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Full text of "L'Astrolabio 1966 n° 24"

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Settimanale L. 150 












LETTERE 


al direttore 


il Centro 
sussidi audiovisivi 


Egregio Direttore, 

Le chiedo di pubblicare, a 
norma dell’art. 8 della legge 
8 febbraio 1948, n. 47, le pre¬ 
cisazioni che seguono riguar¬ 
danti il contenuto dell’artico¬ 
lo intitolato « Minuetto in ca¬ 
sa Badaloni », a Arma Ercole 
Bonacina, contenuto nel n. 22 
datato 29 maggio 1966 del pe¬ 
riodico l'Astrolabio da Lei di¬ 
retto. 

1) Il Centro nazionale dei 
;Eussidi audiovisivi è un ente 

^ di diritto pubblico istituito 
con legge 12 ottobre 1956, 
n. 1212, con il compito di 
« promuovere la cinematogra¬ 
fia didattica e culturale e gli 
altri sussidi audiovisivi in 
ogni ordine e grado di scuo¬ 
la ». Sono organi del Centro ; 
il Presidente, il Consiglio di 
amministrazione, il Collegio 
dei revisori dei conti. Il Pre¬ 
sidente dell’Ente è, per legge, 
un Sottosegretario di Stato 
per la pubblica istruzione de¬ 
signato dal Ministro. Come 
Sottosegretario ho ricoperto 
l’incarico di Presidente dal 
24-2-1962 al 20-4-1966. Ho 
chesto io stessa che il Centro 
fosse sottoposto al controllo 
della Corte dei Conti. Gli at¬ 
ti amministrativi e contabili, 
come i verbali delle sedute 
del Consiglio di amministra¬ 
zione, sono ostensibili e pos¬ 
sono fornire tutti 1 dati, senza 
eccezione, sia sul merito che 
sulla parte formale del perio¬ 
do di gestione nel quale ho 
ricoperto la carica di Presi¬ 
dente. 

2) Il contributo del Mini¬ 
stero della pubblica istruzio¬ 
ne al Centro risulta fissato 
nell’attuale importo di 50 mi¬ 
lioni di lire con legge 14 feb¬ 
braio 1963, n. 155 e non con 
la normale legge di bilancio, 
come è riferito nell’articolo. 

3) Come Presidente del 
Centro nazionale dei sussidi 
audiovisivi e come Sottose¬ 
gretario di Stato ho conside¬ 
rato favorevolmente l’adozio¬ 
ne di una « convenzione », fra 
il Ministero e il Centro, per 
la disciplina giuridica di un 
servizio già chiesto dal Mini¬ 
stero della pubblica istruzio¬ 
ne al Centro stesso, al fine di 
dare veste chiara, ufficiale e 
pubblica al servizio medesi¬ 
mo. Il Ministero non « appal¬ 
ta » ciò che gli compete; non 
fa una « gestione fuori bilan¬ 
cio ». in quanto è sempre di 
sua competenza scegliere e 


deliberare gli acquisti. La 
scelta avviene da parte delle 
Direzioni generali e dei Ser¬ 
vizi competenti con il sussi¬ 
dio dei propri organi tecni¬ 
ci. L’approvazione dei pro¬ 
grammi e le assegnazioni del¬ 
le somme sono di competenza 
diretta del Ministro. Il Cen¬ 
tro esegue, attenendosi rigo¬ 
rosamente alle norme fissate. 
La convenzione, da me firma¬ 
ta in data 15 gennaio 1965, 
come Presidente del Centro, 
dietro mandato ricevuto dal 
Consiglio di amministrazione 
(verbale n. 53 del 21 dicem¬ 
bre 1964), aveva avuto il pa¬ 
rere del C^onsiglio di Stato. 11 
decreto del Ministro, che ha 
approvato la convenzione, è 
stato registrato dalla Corte 
dei Conti il 3 dicembre 1965. 

4) Analoga convenzione, 
con le medesime finalità, 
il Ministero della pubblica 
istruzione ha stipulato con 
l’Ente nazionale per le biblio¬ 
teche popolari e scolastiche 
ed io ho firmato in data 21 
gennaio 1965 il relativo atto 
per delega conferitami dal 
Ministro con lettera n. 149 
del 14 gennaio ’65. La con¬ 
venzione aveva già avuto il 
parere del Consiglio di Stato 
e il decreto del Ministro, che 
ha approvato la convenzione 
medesima, è stato registrato 
dalla Corte dei Conti il 31 
luglio 1965. 

Non ho avuto altri parti¬ 
colari incarichi riguardanti 
l’Ente nazionale per le bi¬ 
blioteche popolari e scolasti¬ 
che e quindi non spetta a me 
trattare gli altri argomenti 
toccati dall’articolo citato (il 
Ministro peraltro risponderà 
ad interrogazione inerente ai 
medesimi argomenti). Mi so¬ 
no occupata soltanto, come 
rappresentante del Ministro 
della pubblica istruzione nel 
Comitato nazionale per la ce¬ 
lebrazione del Ventennale 
della Resistenza, del program¬ 
ma di diffusione di pubblica¬ 
zioni sulla Resistenza ed El¬ 
la sa come i libri diffusi sia¬ 
no stati scelti, in quanto è 
stata membro determinante 
della Commissione che ha 
proceduto alla scelta mede¬ 
sima. 

Aggiungo che il program¬ 
ma di libri, che per la dota¬ 
zione delle biblioteche scola¬ 
stiche il Ministero annual¬ 
mente acquista previa scelta 
da parte delle Direzioni gene¬ 
rali e dei Servizi competenti, 
e la deliberazione delle spese 
non fanno parte della delega 
a me conferita. Come vede, 
non ho fatto nè avrei potuto 
fare operazioni « miliardo » 
nè mi sono prestata ad alcu¬ 
na « preziosa » manovra, co¬ 
me l’articolo vuole insinuare. 

Mentre mi riservo azione 
legale, non posso tacerLe il 
mio rincrescimento che pro¬ 
prio il periodico da Lei di¬ 


retto si sia prestato ad un 
attacco personale che oltre ad 
essere infondato è condotto 
in termini calunniosi. 

Con distinti saluti 

Maria Badaloni 


Mi rincresce che l’on. Ba¬ 
daloni abbia ravvisato nelle 
censure amministrative e po¬ 
litiche del sen. Bonacina 
una volontà di diffamazione, 
estranea certo alle sue inten¬ 
zioni come alle mie. Anche io 
disapprovo le due convenzio¬ 
ni. e mi dispiace particolar¬ 
mente quella con l'Ente bi¬ 
blioteche popolari: una di¬ 
scussione parlamentare po¬ 
trebbe aggiungere, a suffra¬ 
gare questo contrario avviso, 
precisazioni e particolari. 
Netto divario quindi di giudi¬ 
zio sulle due operazioni, ma 
nessuna implicazione in esso. 
nessuna insinuazione o calun¬ 
nia a carico della onorabilità 
personale della signora Bada¬ 
loni. Alla quale è mio dovere 
dare atto — poiché ella me lo 
ricorda — della efficace ope¬ 
ra prestata per la diffusione 
nelle scuole di libri e testi 
sulla Resistenza in occasione 
del Ventennale. Considero de¬ 
cisiva la sua volonterosa col¬ 
laborazione per la buona riu¬ 
scita del lavoro allora com¬ 
piuto dall'apposita commis¬ 
sione. Oggiungerò che l’on. 
Badaloni non aveva certo bi¬ 
sogno di richiamarsi all’art. 8 
della legge sulla stampa per¬ 
chè pubblicassimo la sua ret¬ 
tifica. 

Ferruccio Farri 


Rispondo punto per punto 
alle precisazioni del sottose¬ 
gretario alla Pubblica Istru¬ 
zione. 

1) L’« anamnesi » del Cen¬ 
tro nazionale per i sussidi 
audiovisivi l'avevo già scritta 
nel mio articolo, dando le 
stesse informazioni della let¬ 
tera ed anche altre. La sola 
novità è che il sottosegreta¬ 
rio tiene a farci sapere di 
avere personalmente chiesto 
l'assoggettamento del Centro 
al controllo della Corte dei 
Conti. Ne prendo volentieri 
atto, limitandomi a osservare 
che. con la sua iniziativa, il 
sottosegretario ha ottempera¬ 
to a un obbligo di legge, qua¬ 
le è quello stabilito appunto 
dalla legge 21 marzo 1958 nu¬ 
mero 259. 

Io non dubito che gli atti 
e i verbali del Centro siano 
ostensibili: ci mancherebbe 
altro che non lo fossero, trat¬ 
tandosi di un ente pubblico. 
Ma non capisco perchè il sot¬ 
tosegretario abbia voluto av¬ 
visare che gli atti e i verbali 
possono fornire tutti i dati. 
senza eccezione, del periodo 
di gestione in cui egli copri 
la carica di presidente del 


Centro. A me non interessava 
la gestione dell'ente, i suoi 
atti. In sua contabilità, ma 
una convenzione, il suo con¬ 
tenuto. i suoi effetti s. perché 
no?, i suoi pericoli. 

2) E’ vero che l’aumento 
del contributo statale all'en¬ 
te. da venti a cinquanta mi¬ 
lioni di lire annui, fu dispo¬ 
sto con legge sostanziale e 
non con legge di bilancio. 
Prendo nota della esistenza 
della « leggina », che mi ero 
sfuggita. 

3) Se il sottosegretario ha 
considerato favorevolmente 
l'adozione della convenzione 
tro il ministero e il Centro 
sussidi audiovisivi, mi con¬ 
senta di ripetergli che ha sbo- 
gliato perché la convenzione 
era e rimane illegittima, es¬ 
sendo sprovvista di qualun¬ 
que supporto legislativo. Se 
poi. come lascia intendere, lo 
ha fatto a fin di bene, cioè 
per « dare veste chiara, uffi¬ 
ciale e pubblico » al servizio, 
devo forse dedurne che prima 
il servizio aveva veste oscu¬ 
ra, non ufficiale e segreta? 
Cosi parrebbe dalla lettera: 
ma una illegalità non cessa 
di essere tale sol perché è 
resa manifesta. Io non ho 
scritto che il ministero aveva 
« appaltato » ciò che gli com¬ 
pete, mo di peggio, e cioè che 
il ministero aveva trasferito 
a un terzo, fosse pure ente 
pubblico, l'esecuzione di un 
proprio servizio, al di fuori 
e contro la legge. Il sottose¬ 
gretario conferma che tale 
trasferimento è avvenuto, ed 
è questo che conta, non il 
fatto che l'ente sia un sem¬ 
plice esecutore degli ordint 
ministeriali. Peraltro, secon¬ 
do la convenzione, l'ente 
« esegue » solo le ordinazioni 
di materiali audiovisivi pas-, 
sategli dal ministero. Invece 
non esegue, ma agisce libera¬ 
mente, allorché destina gli 
utili del servizio alla produ¬ 
zione di film, filmine, diaposi¬ 
tive e dischi: tale infatti è 
la facoltà datagli dall'art. 8 
della convenzione e questo è 
uno degli aspetti più scon- 
certanti della vicenda. La 
« gestione fuori bilancio ». 
poi, è indubbio e mi sorpren¬ 
de che il sottosegretario non 
se ne avveda. Perché si abbia 
uno gestione di biloncio, oc¬ 
corre che gli stanziamenti 
siano erogati per i fini voluti, 
nei modi stabiliti, dagli orga¬ 
ni abilitati, con le giustifica¬ 
zioni contabili richieste per 
ogni singola erogazione : di 
queste quattro condizioni, so¬ 
lo una e neanche tutta ricor¬ 
re nell’accordo tra il mini¬ 
stero e l'ente. La notizia che 
la convenzione col Centro 
sussidi audiovisivi aveva ri¬ 
portato il parere favorevole 


segue a pag. 35 


2 

















Domenica 12 Giugno 1966 


Direttore 
Ferruccio Farri 

Comitato di Redazione 

Lamberto Borghi, Tristano Codignola, Alessandro Galante Gar¬ 
rone, Antonio Giolitti, Giampaolo Nitti, Leopoldo Riccardi, Er¬ 
nesto Rossi, Paolo Sylos Labini, Nino Valeri, Aldo Visalberghi 

Vice Direttore Responsabile 
Luigi Ghersi 




ravvenimento della settimana 

Federico Artusio: Dopo Gemini 9: Dove va Superman? . 



som ma rio 

4 



Elezioni: Il gioco moderato 

7 



Ernesto Rossi: La cedolare nera . 

8 



Un Savoja sul Vesuvio . 

10 

la vita politica 

Leopoldo Riccardi: Parlamento: Il meccanismo della democrazia 

11 



Luciano Vasconi: Cina: Le streghe di Pechino. 

16 



Max Salvadori: Lettera daH'America: Due sondaggi . 

18 



1 . F. Stone: Cambogia: Il re e il vietcong. 

22 

agenda internazionale 

G. C. N,: Congo: La giustizia di Mobutu. 

S. Domingo: La vittoria dell’equivoco . . 

25 

26 



Paok) Sylos Labini: Relazione Carli: la linea della cautela . 

27 

economia 

Un freno allo sviluppo . 

29 



Carlo Galante Garrone: Questi nostri giudici . 

31 



Donato: Università: Una scelta sorniona .... 

33 

cronache italiane 

Aladino: Crisi di giovani 

34 

L’Astrolabio è In vendita ogni sabato. Direzione. Redazione e Amministrazione. Via Pisanelli 2. Roma. Tel. 310.326 

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Tribunale di Roma n. 8861 del 27-10-62. Distributore; Società Diffusione Periodici (SO.DI.P.) Via Zurettl. 25 - Mi¬ 
lano - Tel. 6884251. Stampa: Graphocolor s.p.a. - Roma. Spedizione in abbonamento postale gruppo II. 


^Astrolabio 12 giugno 1966 


3 













































Rendez-vous spaziale 


S tafford e Cernan sanno quello che 
fanno: e a noi sembra secondario 
che l’aggancio della Gemini al satel¬ 
lite-lepre abbia luogo durante questo 
esperimento, o in un prossimo, che 
non potrà comunque tardare molto. 
Intanto i laboratori del Surveyor, riu¬ 
scito alla prima prova nel suo allunag¬ 
gio morbido, continuano a trasmettere 
dati di enorme importanza, che con¬ 
fermano come i programmi astronau¬ 
tici americani abbiano raggiunto, sen¬ 
za stento, gli antecedenti non meno 
sorprendenti della scienza e della tec¬ 
nologia sovietica. 

Ci si domanda molto spesso, con 
un interrogativo che sembra ormai fu¬ 
tile, chi dei due sia ormai più progre¬ 
dito: chi per primo, dunque, arriverà 
sulla luna. A tale questione si è già 
largament? ris^to, ogni volta che s’è 
6sservàto''corhe, a"questo punto, il pa¬ 
rallelismo dei due itinerari astronàu¬ 
tici stia diventando assurdo. Quando 
si effettuò il primo allunaggio sovie¬ 
tico, la riflessione più sensata fu che i 
primi a profittarne, per i loro esperi¬ 
menti, sarebbero stati gli americani; e 
probabijmetite le trasmissioni televi- 
dve della Gemini sono, a loro volta, al¬ 
trettanti ^ts scientifici pelle mani 
dei sovietici. Il fatto che a questo pun¬ 
to gli sforzi non vengano congiunti 
sembra tanto più assurdo, in quanto 
sia gli Stati Uniti all’inizio di maggio, 
sia l’URSS ai primi di giugno, hanno 
avanzato all’ONU progetti estrema- 
mente simili di diritto spaziale, e di 
internazionalizzazione della luna. 

La questione chi sia dunque più 
avanti, e di quanto, e come, non si 
pone più. Se ne pone un’altra, secon¬ 
do noi, diversa, e che per ora non può 
che segnare, almeno su un primo pun¬ 
to, un vantaggio per gli Stati Uniti. 
Mentre nell’Unione Sovietica, secondo 
un rilievo che è dello stesso Kossighin, 
e che risponde senza dubbio alla real¬ 
tà, esiste tuttora uno jato non col¬ 
mato tra i livelli scientifici d’avanguar¬ 
dia e le deduzioni tecnologiche che 
possono e debbono esserne ricavate per 


la razionalizzazione dell’industria, negli 
Stati Uniti questo distacco non solo 
non esiste; ma è già in atto il "ponte”, 
non solo tra scienza e tecnologia in 
genere (sarebbe un luogo comune in¬ 
sistervi), ma uno specifico strumento 
di transizione fra le ricerche scientifi- 
, che e tecnologiche che rendono possi¬ 
bili le operazioni astronautiche, e i li¬ 
velli più pertinenti di applicazione alla 
tecnologia terrestre. La NASA stessa 
ha fondato un "Office of Technology 
Utilization”, che si divide in due se¬ 
zioni, la STID (« Scientific-and Tech- 
nical Information Division ») e la TUD 
(« Tecnology Utilization Division »). 

Quest’ultima è il vero e proprio or¬ 
gano di connessione tra risultati, me¬ 
todi e strumenti del settore astronau¬ 
tico, e la loro estensione, rettifica ed 
applicazione a settori tecnologico-pro- 
duttivi, sia dell’industria che dell’eco¬ 
nomia... Un "Centro di trasmissione’! 
è stato istituito sin dal 1963 nell’Uni¬ 
versità di Indiana, e aziende private vi 
si "abbonano” secondo una ben spe¬ 
cifica gradazione di "commesse”. Il 
fatto importante è che non solo posso¬ 
no ricavarsene conseguenze per la pro¬ 
duzione, ma soprattutto per la previ¬ 
sione di mercato, e quindi, in più lar^ 
go senso, per l’economia in generale 
degli Stati Uniti. 



Un'ipotesi "fantaindustriale". Si 

era parlato sovente, in passato, del 
pericolo che l’astronautica servisse in 
realtà a fini strategici, vantaggiosi, ov¬ 
viamente, per il "primo arrivato”. Nes¬ 
suno lo esclude in pratica, ma tutti gi^ 
si preoccupano di annullarne il peri¬ 
colo in sede di diritto. Invece è del 
tutto chiaro che mentre l’astronautica 
americana non è una scelta tra la terra 
e la luna, ma sin da questo momento 
la luna rappresenta in essa una inte¬ 
grazione del "fenomeno America” sul¬ 
la terra, per l’Unione Sovietica la riu¬ 
scita non è della medesima specie. 
Quando partirono gli Sputnick, fu giu; 
sto pensare che uno stato socialista si 
proponesse certi grandi scopi scienti¬ 
fici disinteressati, che un paese capita¬ 
lista esitava a perseguire, non ved«i- 
dovi forse un tornaconto sia pure a 
lungo termine. Ma oggi le cose non 
stanno più così. Negli Stati Uniti si 
può lanciare il mito di una concor¬ 
renza a breve termine tra l’industria 
astronautica e quella automobilistica; 
ma in URSS, lungi dal vagheggiare 
questa immagine fantaindustriale, se si 
vuole produrre un milione di auto 
ci si rivolge ancora alla Fiat e alla 
Renault. Per ora almeno il grosso atout 
della superiorità americana sta dunque 
nella "globalità” del suo meccanismo 
scienza-tecnica, mentre è notoria la di¬ 
scontinuità di quello sovietico. Se vo¬ 
gliamo tradurre in termini politici 
questa differenza, diremo che Kru¬ 
sciov fu l’uomo che se ne avvide, fi* 
questa presa di coscienza sovietica. La 
sua promessa ai popoli e ai paesi so¬ 
cialisti, che nel 1970 sarebbe stata 
raggiunta la parità con gli Stati Uniti, 
era però una risposta, tuttavia, da mi- 
tomane, ad un problema che richiede 
anche adesso una crescita, una trasfor¬ 
mazione profonda (già in corso indub¬ 
biamente) del rapporto, nei paesi so¬ 
cialisti ma anzitutto in URSS, del rap¬ 
porto scienza-società. 

Naturalmente si può fare a meno di 
partire dal livello astronautico 
costruire (e mitizzare) una certa tec- 

11 lancio della Gemini 9 















I avvenimento gena settimana 

DOVE IH SUmUN? 


Il volo della Gemini ha riaperto un problema per gli USA: raggiunto un livello di potenza tecnica 
che non ha raffronti nel mondo, gli americani sanno o no a quale fine impiegarlo? Sanno come 
trasformarlo, piuttosto che in un problema di più produzione, nell’altro fine della convivenza insie¬ 
me agli altri popoli della terra? Gemini, è vero, conosce la sua strada: ma Superman, dove va? 


oologia: la jjacata rinunzia della Gran 
Bretagna laburista ad ogni tentativo e 
2 d ogni contributo astronautico è la 
prova di un senso del limite, che però 
l’URSS non è pùù in grado di permet¬ 
tersi. Invece la riuscita della Gemini, la 
^ttimana scorsa, ha riaperto un pro¬ 
blema, che tormenta gli americani 
porno per giorno, non forse là dove 
la provincia sonnecchia beata nel suo 
conformismo, ma nelle punte vive del 
Paese; tra i politici e gli strateghi, tra 
la Casa Bianca e gli oppositori del 
fenato. Gemini, è vero, conosce la sua 
prada: ma Superman? Raggiunto un 
livello di potenza tecnica che non ha 
rtóronti possibili nel mondo, gli ame¬ 
ricani sanno si o no a quale fine im¬ 
piegarlo? sanno come trasformarlo, non 
^mplicemente in una questione di 
più” produzione, o di "meglio previ¬ 
sta” distribuzione, o di diminuito ri¬ 
schio nel lancio i nuove merci; ma 
fU’altro fine, quello della convivenza 
■nsieme agli altri popoli della terra? 


1-^ democrazia di Rusk. Guardiamo¬ 
ci dal cadere noi stessi nell’immagine, 
assolutamente arbitraria, di un’Amen¬ 
to^ che non solo è il primo della serie 
di tutti i popoli, ma un "essere primo” 
che sta fuori, staccato dalla serie. Gli 
Stati Uniti non condividono questa 
caratteristica con il Dio di Aristotele. 
Sono una potenza umana, alla quale si 
pone proprio il problema che acco- 
ttiuna tutti gli altri uomini: come vi- 
''cre insieme. Sino ad un certo punto, 
può sorreggerli uno schema, che è 
tjuello contrapposto recentemente da 
Busk a U Thant: e la regola della no¬ 
stra convivenza è la lotta per la de- 
uiocrazia, dovunque, contro l’autorita- 
tismo e il comuniSmo. Ma la replica 
di U Thant è di quelle che contrastano, 
*®nza farsene colpire, l’argomentazione 
®ttiericana: in Asia, nel Vietnam, la 
^nte vuole vivere; la vostra regola, 
della democrazia contro l’antidemocra- 
^*3. non la riguarda. Nessuno la rico- 
ttosce o la vuole. Voi distruggete in 

-► 

' Il volo di Stafford e Cernan 



t 


i -astrolabio - 12 giugno 1966 


5 



















l’avvenimento della settimana 


Asia, in nome della democrazia, la 
vita umana. 

Superman incomincia ad essere toc¬ 
cato da questo tipo di argomenti. Re¬ 
centemente abbiamo letto lettere e 
pensieri di giovani americani, richia¬ 
mati per la guerra in Asia sud-orien¬ 
tale, e il sugo non è poi tanto diverso 
da quello delle lettere degli ufficiali 
tedeschi assediati in Stalingrado: ”Non 
vorrei morire per una causa che non 
è la mia, che non riconosco giusta”. 
C’è nella ”globalità” della potenza 
terrestre e già iperterrestre degli Stati 
Uniti un paradosso di cui Superman 
cerca la soluzione, ma non la trova. Il 
paradosso è che, quando si ha in ma¬ 
no quella potenza, ci si deve battere 
per le cause giuste. Ma chi, che cosa 
permette ed insegna a discriminare tra 
le cause che l’americano deve far pro¬ 
prie perchè sono giuste, e le cause che 
diventano giuste perchè sono ameri¬ 
cane? 

Non parliamo qui di dilemmi sofi¬ 
sticati. Non è un caso che, lo stes¬ 
so giorno, o quasi, il Presidente John¬ 
son sostenesse il suo piccolo Massinis- 
sa, il generale Ky; che Rusk desse 
invece ragione ai buddisti; e che Me 
Namara prendesse finalmente le sue 
distanze, e, con insospettata acutezza 
di ministro della Difesa, affermasse 
che la pace e la sicurezza non si con¬ 
seguono solo con le armi, e che gli 
Stati Uniti errano se credono di assu¬ 
mere il ruolo di poliziotto del mondo. 
Se a parlare in questo modo fosse 
stato il senatore Morse, il fatto ci sa¬ 
rebbe parso scontato e banale: ma se 
ad esprimersi cosi è l’uomo responsa¬ 
bile di una spesa di 60 miliardi di 
dollari all’anno per la ”sicurezza”, il 
consigliere più vicino di Johnson, sia¬ 
mo colpiti: Superman sa, quando è 
l’ora, prendere il volo. Ma il dramma, 
questa volta, è che la direzione non 
è in vista. Superman sa volare, ma 
non sa e non può partire. 

Questa incertezza radicale di rap¬ 
porti con il mondo contemporaneo ha 
indotto un settimanale dell’amica Ger¬ 
mania, il buon atlantico settimanale 
Die Zeit di Amburgo, a pubblicare 
un pezzo, sensatissimo, intitolato: 
”Johnson ohne Konzept”. Naturalmen¬ 
te la Zeit non fa il caso personale del 
Presidente Johnson come uomo. Si 
potrebbe anche sollevarlo, ma è dive¬ 
nuto persino triviale parlare, da un 
lato, della sua ansia di consenso, dal¬ 
l’altra del suo isolamento dagli strati 
intellettuali e morali più significativi 
del paese. Eppure anche Johnson tenta, 
per quanto può, di affacciarsi dalla sua 
torre. Pochi giorni fa ha riunito una 


vasta conferenza che aveva come tema 
i diritti civili, e dove la rappresentanza 
più numerosa era logicamente di ne¬ 
gri. Ebbene, che cosa ne ha cavato, se 
non il parere di smettere la guerra in 
Asia e di dedicare quel denaro alla 
elevazione del tenor di vita della gente 
di colore negli Stati Uniti (fra l’altro 
è appena necessario avvertire che per¬ 
centualmente sono i giovani negri a 
pagare, più numerosi, in Asia sudorien¬ 
tale, tra le file degli americani)? 

Dove prender terra? Si guardi per 
un momento appena dove potrebbe 
prendere terra Superman. In Europa? 
Benissimo, tutti amici. Ma appena si 
scava sotto la superficie, viene fuori l’in¬ 
terpretazione inglese del Times, che la 
presenza americana in Europa costitui¬ 
sce ormai semplicemente la ”riserva” 
di addestramento specializzato, da cui 
gli USA attingono e attingeranno per 
qualunque impresa li attragga nel mon¬ 
do. Non un organo impertinente come 
VAstrolabio, ma un giornale secolare 
e ponderato come Economist, ne ri¬ 
cava che è divenuto palese, allora, che 
le vie dell’Europa e dell’America sono 
fatalmente vie diverse. Subito il New 
York Times si è risentito, ha evocato 
la generosità USA verso l’Europa, e 
accusato gl’inglesi di lanciare notizie 
e pareri avventati. Ma sotto sotto l’a¬ 
marezza di una verità sgradevole resta 
intatta. 

E’ vero, tuttavia, che Superman po¬ 
trebbe atterrare in URSS. Una parola. 
Da un lato, le conclusioni del Penta¬ 
gono dicono che indubbiamente, e per 
un numero ragionevole di anni, non 
sono da temere aggressioni dall’URSS; 
dall’altro è però costretto ad ammet¬ 
tere che l’URSS è l’unico paese fisi¬ 
camente in grado di distruggere gli 
Stati Uniti (a costo beninteso di la¬ 
sciarci la sua carcassa). 

Dunque, fino a quando non si sia 
trovato un modus vivendi, cioè una 
politica della fiducia, tra URSS, Eu¬ 
ropa e Stati Uniti, la convivenza non 
può basarsi che sul sospetto, e per¬ 
tanto sull’incremento indefinito del¬ 
l’armamento americano. Ma come non 
avvedersi che la soluzione ”più arma- 
naento”, genialmente inserita nella 
globalità scientifico-tecnologica degli 
Stati Uniti, allontana da loro cioè dalla 
fiducia in loro, europei e sovietici? 
Il vero pericolo — gli americani già 
lo vedono — non è De Gaulle: è che 
De Gaulle abbia, però, addirittura 
molto al di là delle sue predilezioni 
nazionalistiche, enunciato a nome di 
molti altri quel principio della ”plu- 
ralità” del diritto di esistenza, dell’au¬ 


tonomia delle scelte politiche, e che in 
forme anche xlel tutto diverse, altri 
paesi siano via via disposti ad afier- 
marli. E’ ingeneroso, lo riconosciamo: 
ingeneroso rivoltarsi contro gli Stati 
Uniti, conoscendo non solo la minac¬ 
cia della loro {x)tenza, ma l’agonia del 
loro scrupolo. Tuttavia dove il na¬ 
palm vuole correre, corre. 

Superman LBJ. La Cina, allora; forse 
il Vietnam. Negli ultimi giorni, John¬ 
son ha proposto (sembra) al governo 
di Hanoi di sospendere i suoi bom¬ 
bardamenti, se O Ci-min smette di 
far scendere uomini al Sud. E’ la più 
importante offerta di tregua che il 
Presidente abbia fatto sinora; perchè 
qui propose uno scambio concreto, 
mentre prima faceva solo chiacchiere 
sulla sua disponibilità ad inverosimili 
incontri di tregua. La concretezza di 
questo nuovo passo è fondata sulla co¬ 
statazione che, dopo un anno di bom¬ 
bardamenti delle ”vie per il sud”, de¬ 
gli uomini di O Ci-mm, costoro rad¬ 
doppiano mensilmente la loro compar¬ 
sa sul terreno americano. 

Johnson avrebbe anche compiuto un 
altro passo assolutamente inatteso: nei 
contatti USA-Cina di Varsavia, avreb¬ 
be fatto proporre ai cinesi che, se essi 
rinunziano ai test nucleari, e firmano 
il trattato di Mosca, gli Stati Uniti si 
impegnano a non mai usare per primi 
l’arma atomica. E’ una promessa fatta 
a scapito dell’Europa, perchè si sappia 
tutto. Infatti sinora gli americani, 
pur assunta la tesi dell’escalation, e 
quindi del differimento dell’uso di or¬ 
digni termonucleari, non si erano mai 
vincolati a non usare per primi l’arma 
atomica, data la sproporzione, a van¬ 
taggio dell’URSS, delle armate e delle 
armi convenzionali. Siamo dunque a 
questo, e gli europei potrebbero aprire 
le orecchie: Johnson può essere ten¬ 
tato di scambiare la pace in Asia con 
le garanzie all’Europa. 

In realtà, forse solo al tempo di 
Roma antica, quando Livio espresse il 
parere che l’impero stava schiaccian¬ 
dosi sotto il suo stesso peso, si è dato 
nella storia un antecedente così dram¬ 
matico corre quello della politica e del¬ 
la potenza americana di oggi. 

Il vero volo di Superman quello in¬ 
nocente, quello senza pentinenti e sar¬ 
casmi, non sarebbe forse in testa alla 
Gemini, irmanzi a tutti i voli interpla¬ 
netari della civiltà americana? Super¬ 
man invece non ha pace, tutte le sedi 
terrestri lo attendono, nessuna può ac¬ 
coglierlo porchè vi si posi a tessere la 
tela che McNamara ha pure disegrta- 
to, un tessuto che unisca popoli con 


6 














un filo americano di elevazione mate¬ 
riale e di rispetto umano, soprattutto, 
là dove la prima lotta è per la soprav¬ 
vivenza, e quando questa diventa, a 
sua volta, non un istinto, ma un mo- 
uiento religioso. 

Gli astronauti della Gemini continua¬ 
no invece a ripetere le loro orbite per¬ 
dette, Il loro rischio è calcolato ed 


eroico, la loro ricompensa (due mila 
dollari al mese) persino irrisoria. Ven¬ 
timila aziende americane lavorano in¬ 
tanto per la NASA. La luna aspetta 
indifferentemente Rusk o Gromiko. 
Forse anche Kossighin, come Johnson, 
vive anni e mesi di incertezza; ma si¬ 
curamente egli ha oggi, su Johnson, il 
vantaggio di essere il successore, e 


l’aiitidoto, di Krusciov. Johnson non 
solo porta su di sè il dànno di essere 
venuto dopo Kennedy; ma di avere, al 
contrario di quanto è accaduto in 
URSS, voluto indossare, lui, quelle ali 
di Superman, che Kennedy, pur tra 
molte esitazioni, aveva ordinato di ri¬ 
porre in soffitta. 

FEDERICO ARTUSIO ■ 


_ ELEZIONI 

il gioco 
moderato 

I » interesse politico della consulta- 
zione elettorale del 12 giugno 
Siustiflca ampietmente l’impegno con 
il quale tutti i leaders della maggio¬ 
ranza hanno affrontato la campagna 
elettorale. Per Moro come per Ta¬ 
rassi, per La Malfa come per Eie 
Martino, per Rumor come per Nenni 
e in gioco qualcosa di più che la co¬ 
stituzione di alcune giunte provin¬ 
ciali e comunali. Per la DC si trat¬ 
ta di verificare la possibilità di recu¬ 
perare almeno una parte dei voti 
perduti nelle politiche del 1963, per 
i socialisti di impedire che lo scon¬ 
tento € la protesta contro il modo 
di concepire ed attuare la collabo- 
razione di governo si traduca in una 
sconfitta elettorale. 

Socialdemocratici e repubblicani 
sono, a loro volta, alle prese con 
problemi e interrogativi di non mi- 
bore importanza. Riuscirà Tanassi ad 
ottenere i successi di Saragat? Il pre¬ 
stigio derivante dalla presenza di un 
socialdemcxjratico al Quirinale varrà 
a compensare l’assenza del leader 
dall’agone politico? Potranno i repub¬ 
blicani — grazie all’attivismo, agli 
atteggiamenti critici e anche alle in¬ 
quietudini di Ugo La Malfa — riu¬ 
scire finalmente a superare i ristretti 
limiti elettorali in cui la lotta poli¬ 
tica li aveva finora confinati? 

Ma l’ipoteca più pesante di que¬ 
sto, ormai imminente anche se par¬ 
ziale, giudizio elettorale, grava indub¬ 
biamente su Moro e Nenni. Per que¬ 
sti due leaders è infatti in gioco la 
capacità della loro jpolitica di con¬ 
solidare e di rafforzare, anziché in¬ 
debolire, l’area e la consistenza elet¬ 
torale dell’intera maggioranza di 
centro-sinistra. 

Una risposta a questi interrogativi 
la daranno, fra pochi giorni, circa 
cinque milioni di elettori, prevalen¬ 
temente concentrati in grandi città 
come Roma, Firenze, Genova e Bari, 
chiamati alle urne per rinnovare tre 
consigli provinciali e i consigli co- 
biunali di otto capoluoghi di pro¬ 
vincia € di 160 altri comuni, di cui 
101 con popolazione superiore ai 5000 
abitanti e 59 al di sotto di questa 
cifra. Il risultato della consultazione 


sarà reso anche più importante dal¬ 
la situazione che caratterizza ormai 
da tempo la situazione di molti di 
questi enti locali. Su undici consigli 
provinciali e comunali di città cajx)- 
luogo, cinque erano stati rinnovati 
nel novembre 1964 e avevano porta¬ 
to alla costituzione di « giunte dif¬ 
ficili », rimaste prive di una maggio¬ 
ranza capace di approvarne i bilan¬ 
ci. E’ ciò che è avvenuto alla Pro¬ 
vincia di Roma, al Comune di Geno¬ 
va, ai Comune di Firenze, alla Pro¬ 
vincia e al Comune di Forlì. In un 
altro caso (Comune di Ascoli Pice¬ 
no) resistenza di una maggioranza 
aritmetica non è stata sufficiente a 
superare e a comporre i dissensi che 
si sono verificati all’interno del cen¬ 
tro-sinistra. Degli altri cinque con¬ 
sigli, eletti nel dicembre del 1962 e 
che hanno potuto funzionare per l’in¬ 
tera durata del loro msmdato, solo 
tre — i consigli comunali di Bari, di 
Foggia e di Pisa — disponevano di 
una maggioranza iniziale di centro- 
sinistra; al consiglio provinciale di 
Foggia e a quello comunale di Roma 
la maggioranza si è potuta costituire 
solo grazie al provvidenziale sposta¬ 
mento di qualche consigliere monar¬ 
chico e missino. 

Anche fra i comuni di minore im¬ 
portanza, questa situazione si ripe¬ 
te, pur se con proporzioni diverse. 
Non mancano casi paradossali ri¬ 
spetto al normale schieramento poli¬ 
tico del paese, che sono tuttavia, an- 
ch’essi, sintomatici della atmosfera di 
crisi che attraversa la maggioranza 
e caratterizza i rapporti fra i partiti. 
In un importante centro del Lazio, 
a Velletri, una giunta di sinistra con 
sindaco repubblicano è stata messa 
in crisi dai socialisti che intendevano 
sostituirle una maggioranza di cen¬ 
tro-sinistra e la battaglia elettorale 
si svolge essenzialmente fra sociali¬ 
sti e socialdemocratici da una parte 
e repubblicani dall’altra. A Bari il 
PRI, che presenta capolista Michele 
Cifarelli, ha perduto numerosi espo¬ 
nenti, passati al Partito socialdemo¬ 
cratico. A Firenze il PSI, nonostante 
le gravi perdite subite nelle prece¬ 
denti elezioni amministrative ad ope¬ 
ra del PSIUP e nonostante il netto 
spostamento a destra della Democra¬ 
zia Cristiana, non ripresenta gli espo¬ 
nenti della sinistra socialista; è as¬ 
sente anche dalla lista socialista l’ex 
vice sindaco Enriquez Agnoletti, che 
fu insieme a La Pira uno dei pro¬ 
motori e degli artefici del centro- 
sinistra in questa città. 

Gli esempi potrebbero continuare 


e trovano riscontro in una imposta¬ 
zione della campagna elettorale, che 
è da parte del PSI il risultato di 
queste debolezze e contraddizioni e 
si è svolta fra qualche attacco pole¬ 
mico al moderatismo democristiano, 
la riconferma d’ufficio della propria 
volontà di attuazione del programma, 
l’ottimismo unificatorio e la dramma¬ 
tica constatazione della mancanza di 
alternative. 

Non cosi la Democrazia Cristiana, 
che ha scelto fin dal primo momento 
una linea univoca sia nella composi¬ 
zione delle liste che nella condotta 
della campagna elettorale. L’obietti¬ 
vo della Segreteria de è stato subito 
quello di recuperare a destra quanti 
più voti possibile e a ciò hanno ser¬ 
vito egregiamente sia i discorsi anti¬ 
comunisti sia i candidati di destra 
immessi con grande ostentazione nel¬ 
le liste, a far da richiamo all’eletto¬ 
rato monarchico, liberale e missino. 

E’ difficile dire quanto questi ten¬ 
tativi possano avere successo, ma 
essi non possono non ipotecare gra¬ 
vemente, quali che ne siano i risul¬ 
tati, gli orientamenti e le caratteri¬ 
stiche della maggioranza. Gli avve¬ 
nimenti della Val d’Aosta con il 
tentato condizionamento liberale e 
quelli _ 2 mcora più gravi di Napoli, 
dove è in atto una vasta operazione 
di cattura e riqualificazione dei re¬ 
sidui del laurismo che è stata giusta¬ 
mente e drammaticamente denun¬ 
ciata dall’on. Lezzi, indicano come 
queste scelte da parte della DC non 
siano occasionali e contingenti. 

In questa situazione quasi dovun¬ 
que la campagna elettorale è note¬ 
volmente scaduta di tono, spesso a 
pura e semplice campagna pubblici¬ 
taria, dominata dal personalismo dei 
candidati, dall’ovvietà e dal cattivo 
gusto degli slogans, dal mancato ap¬ 
profondimento dei temi amministra¬ 
tivi, dalla conseguente genericità del 
dibattito € del confronto politico. In 
questo clima, accuse pur gravi rivol¬ 
te al Sindaco di Roma dai radicali 
(un esposto è stato presentato alla 
Procura della Repubblica sulla ge¬ 
stione di una serie di enti assisten¬ 
ziali) e dai comunisti (stanziamenti 
I)er gli alluvionati di Prima Porta) 
non hanno neppure provocato una 
presa di posizione da parte degli 
altri partiti delia maggioranza. E’ 
evidente che la DC preferisce le in¬ 
vettive contro lo stalinismo. Ma a 
chi, oltre la DC, può giovare questo 
costume politico e questo tipo di rap¬ 
porto con l’opinione pubblica e l’elet¬ 
torato? ■ 


L Astrolabio 12 giugno i966 


7 





















la 

vita 

lK)litica 




i 

> 


P uò darsi che qualche lettore del- 
VAstrolabio ricordi ancora la sto¬ 
ria della ”più grossa frode fiscale com¬ 
messa in Italia in questo do^guerra” 
(cosi la definì Lino Jannuzzi, che ne 
diede notizia, per primo, sull’Ejprerro 
del 30 marzo 1965). 

Ministri papalini. Quando, nel di¬ 
cembre del 1962, l’imposta cedolare 
sui titoli azionari venne messa in di¬ 
scussione alla Camera, la Commissione 
finanze e tesoro respinse un emenda¬ 
mento col quale l’on. Faustino Zugno, 
democristiano, avrebbe voluto esentare 
tutte le azioni di proprietà della Santa 
Sede. Pubblicata la legge 29 dicembre 
1962, n. 1745, invece di vigilare sulla 
sua severa applicazione, il ministro 
delle finanze, Mario Martinelli, anche 
lui democristiano, sospese, con una 
semplice circolare, la ritenuta d’acconto 
o d’imposta sugli utili distribuiti dalle 
società, in qualsiasi forma e sotto qual¬ 
siasi titolo, di pertinenza della Santa 
Sede. 

Il governo credè poi di poter rego¬ 
larizzare questa grave illegalità con 
uno scambio di quattro note diploma¬ 
tiche, datate tutt’è quattro 11 ottobre 
1963: con la prima il segretario di 
Stato della Città del Vaticano, card. 
Cicognani, — richiamandosi ad analo¬ 
ghe agevolazioni concesse nel 1942 dal 
governo fascista ed allo spirito del 
Concordato — esprimeva sommessa¬ 
mente l’avviso che, "sarebbe stato au¬ 
spicabile” non applicate, a partire dalla 
sua istituzione, la ritenuta della cedo¬ 
lare sui dividendi ipagati alla Santa 
Sede; in altre due note l’ambasciatore 
d’Italia presso la Santa Sede, Migone, 
comunicava che "il governo italiano 
era d’accordo” e proponeva che lo scam¬ 
bio di note "entrasse in vigore non 
appena fosse reso esecutivo, secondo 
le norme dell’ordinamento interno”; 
nella quarta nota il card. Cicognani ac¬ 
cettava la procedura proposta dal go¬ 
verno italiano. 

Nel sopracitato articolo suWEspres- 
so, Jannuzzi scrisse che il regalo alla 
Santa Sede ammontava per gli ultimi 




Preti 




jà 


8 

















tre anni, ad lina quarantina di mi¬ 
liardi. 

Sul fascicolo del 6 febbraio, la ri¬ 
vista Time anticipiò un riassunto del- 
1 articolo di Jannuzzi e scrisse che, se¬ 
condo le migliori congetture dei ban¬ 
chieri, il Vaticano possedeva titoli 
tlelle società italiane per 1,6 miliardi 
tli dollari, corrispondenti al 15 per 
cento del valore delle azioni quotate 
complessivamente nelle Borse italiane. 

« Per cercare di legalizzare il rifiuto del 
Vaticano a pagare Timposta — aggiunse Time 
— i democristiani al governo hanno presen¬ 
tato il disegno di leg^ n. 1773, che esente- 
tebbe i dividendi pagati al Vaticano, e l’han- 
jto fatto sdrucciolare in Parlamento durate 
*a crisi presidenziale seguita alle dimissioni 
tt'l presidente Segni; ma, prima che il di- 
^gno di legge fosse approvato, i socialisti lo 
hanno letto e lo hanno bloccato. Ciò ha reso 
furibondo il Vaticano ». 

L’autorevole rivista americana scris¬ 
se anche che, alla richiesta di presen¬ 
tare un elenco completo dei titoli ita¬ 
liani di proprietà della Santa Sede, da 
esentare dalla cedolare, il card. Cico- 
8nani "aveva freddamente risposto che 
Un governo sovrano non fa confidenze 
ad un altro governo sullo stato delle 
sue finanze’’. 

Chi non morrà vedrà. Il disegno di 
|^8ge n. 1773, presentato alla Camera 
il 26 ottobre 1964, porta la firma del 


Sono passati ormai quattordici mesi da quando Ernesto Rossi, in 
un articolo pubblicato «e//’Astrolabio del 20 marzo 1965, si occu¬ 
pava dei problemi connessi al d.d.l. n. 1773, che praticamente 
avrebbe esentato il Vaticano dal pagamento della cedolare d’ac- 
conto sui dividendi azionari. Con questo articolo ritorniamo sul¬ 
l’argomento per spiegare i motivi che hanno reso possibile ai 
governi che d’allora si sono succeduti di stendere una coltre di 
silenzio sulla « più grossa frode fiscale di questo dopoguerra ». 


ministro degli esteri: fu questo il ter¬ 
zo tempestivo intervento col quale 
l’on. Saragat si aprì la strada che do¬ 
veva portarlo alla suprema carica dello 
Stato. 11 primo era stato il comunicato 
della Farnesina, del giugno 1964, in 
cui "veniva vivamente deplorata la 
campagna di calunnie contro la memo¬ 
ria del Sommo Pontefice Pio XII” e 
la circostanziata risposta che "per dare 
tangibile prova di quanto stesse a 
cuore del governo italiano il manteni¬ 
mento degli eccellenti rapporti che 
l’Italia intratteneva con la Santa Sede”, 
l’on. Saragat diede a una interrogazio¬ 
ne presentata dai comunisti sulla op¬ 
portunità di quel comunicato ufficiale; 
il secondo era stato l’articolo, che ave¬ 
va mandato in sollucchero tutti i mon¬ 
signori del Vaticano, di esaltazione 
della enciclica "Ecclesiam suam”, pub¬ 
blicata il 14 agosto 1964. 

In un lungo articolo %uVl'A strolabio 
del 20 marzo 1965, io esposi tutte le 
notizie che ero riuscito a mettere in¬ 
sieme sull’argomento: diedi l’elenco 
degli enti vaticaneschi che avrebbero 
dovuto essere esentati dalla cedolare 
(elenco che quel disegno di legge n. 
1773 non portava, e che — sulla base 
di un accenno contenuto nella sopraci¬ 
tata lettera del card. Cicognani — riu¬ 
scii faticosamente a ritrovare in una 
circolare del ministero delle finanze 
del 31 dicembre 1942); ricordai le ra¬ 
gioni politiche per le quali, soltanto 
alla fine del 1942, dopo sette anni 
dalla istituzione della cedolare, il go¬ 
verno fascista si era deciso a conce¬ 
dere l’agevolazione tributaria alla 
quale la Santa Sade aveva fatto ri¬ 
ferimento nella nota dell’11 ottobre 
1963; spiegai che dal disegno di leg¬ 
ge Saragat e dalle note del card. Ci¬ 
cognani non era possibile ricavare al¬ 
cun dato per stabilire quale sarebbe 
stata la perdita per il Tesoro, e misi 
in rilievo che l’esenzione avrebbe 
consentito anche a molti pescecani 
laici di uscir fuori dalla rete del Fisco 
attraverso i larghi buchi che sarebbe¬ 
ro stati praticati in favore della Santa 


Sede e degli enti religiosi. 

Dopo aver riportato un brano di 
un articolo comparso sulla Stampa 
del 12 marzo 1964, in cui Arturo 
Barone prevedeva che il varo del di¬ 
segno di legge, n. 1773, "non sareb¬ 
be stato tranquillo, nè cosi pacifico 
come si sarebbe potuto pensare”, com¬ 
mentai: "Chi non morrà vedrà”. 

La tattica del rinvio. Dal marzo 1965 
sono passati ormai quattordici mesi: 
ancora non sono morto, ma ancora 
non ho visto niente. Nella seduta del 
3 febbraio 1965 il relatore socialista, 
on. Luigi Anderlini, espresse un pa¬ 
rere nettamente contrario al disegno di 
legge n. 1773. Il rappresentante del 
governo chiese allora ”un breve rin¬ 
vio”, per meglio prepararsi sull’argo¬ 
mento: poiché si trattava di im pro¬ 
blema abbastanza rognoso — in cui 
poteva rimanere implicato come re¬ 
sponsabile di una grossa frode fiscale, 
un ex ministro delle finanze — la 
Commissione non sollevò alcuna diffi¬ 
coltà, e rinviò di qualche giorno la 
discussione. 

Il 25 febbraio 1965 i deputati co¬ 
munisti Busetto, Ingrao, Amendola, 
Raffaeli!, Raucci presentarono una in¬ 
terpellanza per sapere: 

— « Oime è potuto avvenire che, in vio¬ 
lazione della l^e che ha istituito la ritenuta 
d’acconto o imposta sugli utili distribuiti 
dalle società, enti dipendenti dalla Santa 
Sede non abbiano fino ad oggi pagato l’im¬ 
posta per un ammontare di 40 miliardi; 

— « Se ritiene legittimo il comportamen¬ 
to di organi di Governo e di suoi rappre¬ 
sentanti, che, dopo aver disposto l’esenzione 
fiscale con una semplice circolare del Mini¬ 
stro delle finanze, hanno proceduto ad uno 
scambio di note con la Santa Sede, onde con¬ 
cordare la non applicazione della legge, e 
sono giunti perfino a presentare un disegno 
di legge di ratifica in tal senso; 

— « Che cosa intenda fare per assogget¬ 
tare a regolare tassazione i titoli azionari il¬ 
legittimamente esentati, per impedire che si 
produca un danno all’erario e per evitare, 
inoltre, che questo inammissibile stato di 
fatto possa incoraggiare larghe evasioni dalla 
imposizione cedolare ». 

Questa interpellanza non è mai ve¬ 
nuta in discussione, nè mi risulta che 
i comunisti abbiano in alcun modo 


L'astrolabio -12 .giugno 1966 


9 











La vita politica 


protestato: la presentazione di un’in¬ 
terpellanza è spesso sufficiente per con¬ 
tentare la platea; dietro le quinte, vie¬ 
ne poi concluso un compromesso col 
governo, ed il grosso pubblico ben pre¬ 
sto dimentica anche quegli argomenti 
che più lo avevano appassionato. In 
questa tattica già eccelleva l’on. De 
Gasperi; ma è stata portata, direi, 
alla perfezione dall’on. Moro, ”il 
temporeggiatore’ ’. 

Nel gennaio scorso l’on. Anderlini 
si è permesso di ricordare all’on. Or¬ 
landi, socialdemocratico, che il dise¬ 
gno di legge n. 1773, presentato dal 
governo più che un anno prima, non 
era stato ancora discusso dalla Com¬ 
missione finanze e tesoro, da lui pre¬ 
sieduta, mentre continuava ad essere 
illegalmente applicata la circolare che 
aveva sospeso la esazione dell’imposta 
sui titoli del Vaticano. 

Se l'opposizione facesse sul serio. 

Se l’opposizione si decidesse una buo¬ 
na volta a fare il suo mestiere sul se¬ 
rio, sarebbe questa, a me pare, un’ot¬ 
tima occasione per cominciare: essa do¬ 
vrebbe insistere presso la presidenza 
della Camera perchè venisse messa in 
discussione, prima delle vacanze estive, 
la interpellanza comunista del 25 feb¬ 
braio 1965; dovrebbe chiedere al nuovo 
ministro delle Finanze, on. Preti (che 
tanto ci tiene ad apparire come il più 
rigido difensore degli interessi dell’Era¬ 
rio) di revocare subito la circolare Mar¬ 
tinelli del 1962, facendo valere l’os¬ 
servazione che — anche se il Parla¬ 


mento non concedesse la sanatoria — 
trascorsi cinque armi dall’inizio della 
sospensione del pagamento dell’impo¬ 
sta, il diritto dello Stato a riscuotere 
le prime rate dell’imposta verrebbe an¬ 
nullato dalla prescrizione. In attesa 
della discussione parlamentare, l’oppo¬ 
sizione dovrebbe poi denunciare alla 
Procura generale della Corte dei conti 
l’illecito amministrativo dell’ex mini¬ 
stro Martinelli, ed alla Procura gene¬ 
rale presso la Corte di appello di 
Roma l’illecito penale commesso dal 
medesimo personaggio. 

Se lo volesse, la Procura generale 
della Corte dei conti potrebbe proce¬ 
dere, per proprio conto, senza alcuna 
autorizzazione de! Parlaménto, ed il 
suo eventuale procedimento non sareb¬ 
be neppure arrestato dall’approvazione 
del disegno di legge n. 1773, perchè 
un danno, e danno gravissimo, è stato 
in tutti i modi arrecato alle finanze 
dello Stato con l’arbitraria sospensione 
della cedolare. 

Per procedere contro l’on. Martinelli 
la magistratura ordinaria dovrebbe chie¬ 
dere l’autorizzazione del Parlamento, ed 
il "caso Trabucchi” (per la scandalosa 
storia del tabacco messicano) costitui¬ 
sce un precedente che non lascia al¬ 
cuna speranza sulla possibilità di arri¬ 
vare all’incriminazione di un ex mini¬ 
stro democristiano finché i democristia¬ 
ni continueranno ad avere la maggio¬ 
ranza relativa in Parlamento. 

Ma certe sconfitte possono valere, 
per l’opposizione, più di una vittoria. 

ERNESTO ROSSI ■ 


un Savoia 
sul Vesuvio 

L a grande stampa ha trattato con 
pudicizia, economia e reticenza la 
manovra imbastita a Napoli dai mo¬ 
narchici per il 2 giugno. Era davvero 
una grande manovra che da Napoli, 
supposta sempre supinamente monar¬ 
chica, voleva contrapporre alla mo¬ 
desta ed incerta democrazia del Qui¬ 
rinale e riproporre agli italiani l’al¬ 
ternativa lucidata a nuovo della mo¬ 
narchia. 

L’occasione non era mal scelta: i 
nove giovani napoletani caduti per la 
causa monarchica, le rispolverate 
leggende sul colpw di Stato e sulle 
truffe elettorali di Romita, il figlio 
del duca leale soldato morto nel 
lontano esilio, tutto faceva buon bro¬ 
do. Sono mancati a impietosire il po¬ 
polo di Ghiaia e dintorni i capelli 
biondi di Maria Gabriella. Non è 
mancato il messaggio da Cascais. Ed 
infine ha volteggiato sul cielo di 
Ghiaia il nuovo Lohengrin. Ben 
montata la scena, diciamo da tecnici. 

Sertipre da tecnici, ci permettiamo 
alcuni consigli ai registi principali: 
uno è il signor Sergio Boschiero, l’al¬ 
tro è un noto uomo politico, ex par¬ 
lamentare (non Govelli dunque e non 
Lauro). Non chiamino Delcroix a fa¬ 
re orazioni, è come facessero parla¬ 
re un fantasma di oltre tomba. Non 
facciano far interviste o dichiara¬ 
zioni all’ex-re: screditano l’alterna- 
tiva. Proibiscano al suo giovane ere¬ 
de di parlare: rovina tutto; è trop¬ 
po indietro di scrittura. 

E poi tengano conto che la demo¬ 
crazia italiana si regge sulle sorelle 
Kessler e sul torneo di calcio. Se 
essi adop>erassero fondi depositati 
nella banca ginevrina anche per per¬ 
mettere alla squadra del Napoli di 
comp>erare degli altri Sivori, di bat¬ 
tere nel prossimo torneo l’Inter, di 
umiliare Milano, e di conquistare lo 
scudetto, tutto sotto il patronato e 
la benedizione, e magari con la pre¬ 
senza di qualche fanciulla dei Savoia, 
questo sarebbe un colpo grosso. Buo¬ 
no per aprir la strada almeno ad un 
nuovo regno del Sud. 

Non è una cosa seria l’alternativa 
monarchica, dicono i nostri, amici 
che ci rimproverano di occuparcene. 
D’accordo, non è una cosa seria : se 
lo diventasse sarebbe tragica. Ma era 
una grande folla che si stipava ec¬ 
citata e clamorosa nella sala del ci¬ 
nema napoletano. E, come abbiamo 
già detto, questo ostentato quasi im¬ 
provviso risveglio di neo-attivismo 
monarchico interessa come frutto evi¬ 
dente di un processo di disintegra¬ 
zione della nostra società politica e 
della organizzazione della vita pub¬ 
blica. Sulla stessa linea stanno i 
neo-fascismi e le altre velleità neo¬ 
restauratrici parafasciste. 

Ripetiamo ancora una volta che 
una situazione di infiacchimento e 
deterioramento delle posizioni poli¬ 
tiche qualificate può permettere sol¬ 
tanto delle pericolose frenate a 
destra. 



Martinelli 


10 








PARLAMENTO 


di LEOPOLDO PICCARDI 


Montecitorio 


Co« questo intervento di Leopoldo 
Piccardi prosegue il dibattito sulla crisi 
del Parlamento. In precedenza sono 
Intervenuti Lelio Basso ed Ernesto 
I Rossi. 

I 

j 

1 A bblamo ripetutamente detto — ed 

' * Ernesto Rossi ha fatto bene a ri- 

I cordarlo e spiegarlo ancora una volta — 
, quali dubbi e quali perplessità abbiamo 

avuto prima di promuovere, come Mo¬ 
vimento Salvemini, un pubblico dibat¬ 
tito sulla « crisi del Parlamento *. In 
Un’atmosfera di qualunquismo, come 
I quella che il temperamento degli ita¬ 
liani alimenta costantemente, di fronte 

f tutte le buone ragioni che si hanno 
^ Italia per non essere soddisfatti del 
hinzionamento delle istituzioni, in pre¬ 
senza di tendenze antidemocratiche, 
suggerite da persistenti nostalgie del 
I passato e riproposte dal basso livello 
di educazione politica di vasti strati 
della nostra popolazione, il parlare di 
crisi del Parlamento può portare, se¬ 
condo un’espressione cara a Rossi, 
acqua al mulino dei nostri avversari. 
Queste preoccupazioni giustificate dalla 
situazione attuale trovano conferma nel 
ricordo di un’esperienza dell’Italia pre- 
^ascista, alla quale pure si riferisce Ros- 
I si: la critica delle istituzioni parlamen¬ 
tari condotta dagli uomini più rappre- 
^ potativi della nostra cultura — da 
^ Viti De Marco a Salvemini, da Mo- 
sca a Pareto, senza dimenticare Bene¬ 
detto Croce — non concorse nell’ope¬ 
ra di corrosione alla quale il nostro si¬ 
stema politico era sottoposto da parte 
' di quella correnti che sfociarono nel fa¬ 
scismo? Dubbi e scrupoli in questo sen¬ 


so ce ne sono stati, e sono ben com¬ 
prensibili. Ma la crisi dello Stato libe¬ 
rale in Italia è stata troppo profonda 
e complessa per pensare che un diverso 
atteggiamento dei nostri uomini di cul¬ 
tura potesse evitarla o deviarne il corso. 
Comunque, se una colpa vi fu, non fu 
la colpa di aver parlato quando si po¬ 
teva tacere; fu la colpa i ogni gene¬ 
razione, che fatalmente incontra nel mu¬ 
tare dei tempi il proprio limite. 

Chi ha assistito al convegno del Sal¬ 
vemini ha potuto constatare che di que¬ 
ste preoccupazioni tutti gli interventi 
hanno tenuto conto, misurando le cri¬ 
tiche verso le istituzioni parlamentari 
ed evitando quelle discussioni di prin¬ 
cipio che avrebbero potuto aprire peri¬ 
colose prospettive. La prudenza non è 
mancata; forse ce n’è stata anche trop¬ 
pa, perche il problema del Parlamento 
non si affronta se non sul terreno dei 
principi. Tanto che dobbiamo rallegrarci 


di una felice incongruenza in cui è ca¬ 
duto Ernesto Rossi, il quale, dopo ave¬ 
re ampiamente spiegato con quale cau¬ 
tela vada affrontato il problema del 
Parlamento, non ha esitato a scendere 
sul terreno dei principi e a tratteggiare 
lontane prospettive, non esclusa quella 
di un sistema che faccia a meno di ele¬ 
zioni, affidando alla sorte la scelta della 
classe governante. Non seguirò Rossi su 
questa strada. Ciascuno di noi ama 
prendersi le sue vacanze, cercare un an¬ 
golo dove possa dare sfogo alla sua im¬ 
maginazione, libero dalla responsabilità, 
che sempre ci opprime, di mettere d’ac¬ 
cordo la nostra ragione e la realtà in cui 
viviamo. Ciascuno di noi ha la sua re¬ 
pubblica ideale, la sua utopia, la sua 
città del sole. Ma sono avventure soli¬ 
tarie. Le discussioni, in questa zona, 
sono inutili. Il giorno in cui, secondo 
il sogno di Ernesto Rossi, fosse aperta 


Astrolabio -12 giugno i966 


il meccanismo 
della 

democrazia 
























La vita politica 


a tutti gli italiani la via degli studi, 
fino all’università, e la classe politica 
fosse estratta a sorte fra i laureati con 
110 e lode, avremmo certamente un 
governo di mandarini, più pericoloso di 
ogni altro per le libertà individuali: ma 
troveremmo certamente Ernesto Rossi a 
quel posto di combattimento che ha 
occupato in tutta la sua vita. Questo 
sappiamo e questo ci basta. 

S ono invece d’accordo con Rossi nel¬ 
la sua critica del mito della sovra¬ 
nità popolare. Non perchè io non creda 
nel popolo, nella sua capacità di gover¬ 
narsi. Il pessimismo che Ernesto Rossi 
dimostra a questo proposito è un mo¬ 
tivo che riaffiora continuamente nel suo 
pensiero, ma che è sempre sopraffatto 
da altri motivi e da contrastanti impulsi 
del suo temperamento: quanta fede 
nell’umanità ci vuole per fare quello 
che egli ha fatto! Che il popolo valesse 
meno della classe politica, ai tempi di 
Giustino Fortunato, mi pare dubbio, 
anche se non si può escludere. La mar¬ 
cia di un popola e quella della sua classe 
dirigente non sono sempre sincronizza¬ 
te: spesso accade che il primo soprav- 
vanzi la seconda, o viceversa. Oggi, mi 
sia consentito dire, il popolo, in Italia, 
vale più della sua classe dirigente. Co¬ 
munque, non è sfiducia nella capacità 
del popolo di governarsi, la ragione del 
mio atteggiamento critico verso il mito 
della sovranità popolare. Che esso, co¬ 
me ricorda giustamente Ernesto Rossi, 
abbia rappresentato un potente stru¬ 
mento di lotta contro la monarchia as¬ 
soluta, che esso abbia costituito uno 
dei motivi più vitali della moderna lot¬ 
ta per la libertà, è fuori dubbio. Oggi, 
però, i pericoli che quel mito presenta 
soverchiano i servizi di cui è capace. 
Nella lotta contro il potere assoluto del¬ 
la tnonarchia, era giusto contrapporre 
al sovrano un altro sovrano; era giusto 
contrapporre a un potere illimitato, 
supèriorem non recognoscens, un altro 
potere, egualmente illimitato. Ma, una 
volta avviata la costruzione di un si¬ 
stema politico basato sul consenso po¬ 
polare, sulla partecipazione del popolo 
al potere, riprende tutta la sua forza 
un’altra, non meno essenziale, rivendi¬ 
cazione della libertà moderna: quella 
che il potere pubblico, da chiunque sia 
esercitato e in nome di chiunque sia 
esercitato, incontri un limite in una zo¬ 
na di rispetto assicurata all’individuo. 
Non un potere illimitato in contrappo¬ 


sizione a un altro potere illimitato, non 
un sovrano in contrapposizione a un al¬ 
tro sovrano, ma nessun potere illimita¬ 
to, nessun sovrano. Attribuire al po¬ 
polo un potere illimitato, sovrapo, si¬ 
gnifica sostituire a una tirannide un’al¬ 
tra tirannide: e una tirannide, per di 
più, nella quale il richiamo a una fonte 
popolare del potere è una semplice fin¬ 
zione. Quando vengono meno le liber¬ 
tà individuali, lo sappiamo ormai per 
esperienza, il potere non è esercitato dal 
popolo, ma da un uomo, da un gruppo, 
da un’oligarchia, che usurpano il nome 
del popolo. 

Non c’è dunque democrazia senza li¬ 
bertà, ma non c’è neppure libertà senza 
democrazia. L’esistenza di una barriera 
invalicabile, a tutela della libertà indi¬ 
viduale, di fronte al potere pubblico e 
la derivazione del potere dal popolo, 
sono questi i due aspetti, inscindibili, 
della libertà moderna. Ma considerare 
il popolo come sola legittima fonte del 
potere non significa creare un mecca¬ 
nismo attraverso il quale si formi una 
volontà che, per finzione giuridica e po¬ 
litica, possa essere attribuita a quel¬ 
l’astrazione che è il popolo. Democra¬ 
zia è partecipazione del popolo, e cioè 
dei cittadini, degli uomini e delle don¬ 
ne che lo compongono, all’esercizio del 
potere. E in un sistema politico vi è 
tanta più democrazia quanto più am¬ 
pie, più molteplici, più varie sono le 
forme di questa partecipazione all’eser¬ 
cizio del potere, offerte ai cittadini; 
quanto più il popolo è soggetto e non 
oggetto di potere, quanto più politica- 
mente attivo. 

In questa articolazione della demo¬ 
crazia, quale posto spetta al Parlamen¬ 
to? Che il Parlamento non possa più 
considerarsi, e non sia mai stato, l’uni¬ 
ca espressione della democrazia, che la 
sua importanza tenda a diminuire, è sta¬ 
to detto in modo eccellente da Bobbio, 
nella sua relazione al convegno, e da 
Basso, nel suo intervento e poi nell’ar¬ 
ticolo pubblicato AaWA strolabio. Ma il 
Parlamento, e cioè un’assemblea rap¬ 
presentativa dell’intera collettività, ri¬ 
mane uno strumento insostituibile della 
democrazia politica. Si suole ripetere, 
e giustamente, che non basta, perchè un 
popolo sia libero, chiamarlo periodica¬ 
mente a votare per nominare i propri 
rappresentanti in un’assemblea naziona¬ 
le. Ma non basta neanche che la popo¬ 
lazione elegga i propri amministratori 


negli enti locali, che vi sia una larga 
libertà associativa, che vi sia una vivace 
attività sindacale, che si discuta libera¬ 
mente nelle scuole, nelle fabbriche, in 
tutti i centri di lavoro e di vita sociale. 
La democrazia moderna corre sempre 
il pericolo di due forme di corruzione. 
La macrodemocrazia, che si ha quando 
il popolo ha l’illusione di partecipare 
alle grandi decisioni nazionali attraver¬ 
so l’elezione di un’assemblea rappre¬ 
sentativa: illusione, quando all’eserci¬ 
zio del diritto di voto non si accompa¬ 
gna un’intensa e articolata vita locale. 
La microdemocrazia, nella quale al con¬ 
trario la vita p>olitica si disperde nei piC' 
coli rivoli delie autonomie locali, della 
vita associativa, del movimento sinda¬ 
cale, senza che il popolo possa influire 
sulle scelte che determinano la politica 
del paese, nella sua unità. Il mondo mo¬ 
derno ci offre esempi dell’una e dell’al¬ 
tra tendenza. 

Mon è questa la sede e non c’è qui 
■ »lo spazio per tentare un bilancio del 
convegno promosso dal Movimento Sal¬ 
vemini, che ha visto succedersi alla tri¬ 
buna del Ridotto dell’Eliseo, autore¬ 
voli rappresentanti di partiti politici e 
altrettanto autorevoli studiosi. Quando 
si potrà disporre dell’intero materiale 
registrato, vi si troverà una larga messe 
di proposte, in gran parte concernenti 
la procedura parlamentare e altri aspetti 
particolari del problema, ma non perciò 
meno utili e interessanti. Qui vorrei 
limitarmi a fare un cenno degli atteg¬ 
giamenti più significativi che si sono 
manifestati nel convegno e delle ten¬ 
denze che vi sono rivelate, rispetto al 
problema generale, cosi come è stato 
sopra impostato. 

Per quanto riguarda i comunisti, che 
hanno partecipato al dibattito con una 
serie di impegnativi interventi — 
Amendola, Ingrao e Laconi — devo 
esprimere ancora una volta il senso di 
delusione già manifestato in queste pa¬ 
gine da Ferruccio Farri. Un senso di 
delusione al quale sono del tutto estra¬ 
nee le preoccupazioni che Ernesto Rossi 
dimostra ancora di avere nei confronti 
del P.C.I. Il rimprovero di una troppi 
stretta dipendenza dalla politica inter¬ 
nazionale della Russia sovietica mi sem¬ 
bra, veramente, l’eco di una polemica 
ormai superata. E certo è che, se di 
qualcosa ci si deve lamentare a pro- 


12 











La vita politica 


posilo delle posizioni prese dai comu¬ 
nisti nel recente convegno, non è di una 
loro eccessiva aderenza ai modelli e alle 
esperienze dei paesi dove il comuniSmo 
è al potere. Questi paesi hanno anch'es¬ 
si, pur non essendo retti da un siste¬ 
ma parlamentare, un loro problema del 
Parlamento, il problema, cioè, di una 
rappresentanza popolare a livello delle 
supreme decisioni di portata nazionale. 
E, bene o male, lo risolvono. Non cre¬ 
do che le esperiènze dei paesi comuni¬ 
sti in materia possano esserci di grande 
aiuto. Ma un tentativo di interpretarne 
il significato, ponendole a raffronto con 
le corrispondenti istituzioni cki paesi 
occidentali, poteva avere un certo in¬ 
teresse. Nessuno meglio dei comunisti 
avrebbe potuto portare questo contri¬ 
buto al nostro convegno. Ma su questo 
argomento non si è intesa una sola pa¬ 
rola. Ingrao si è mantenuto sul terreno 
del metodo di lavoro parlamentare. 
Amendola ci ha ricordato che la de¬ 
mocrazia non si manifesta soltanto at¬ 
traverso le istituzioni parlamentari, ma 
anche nelle amministrazioni locali, nei 
sindacati, nelle fabbriche, nella scuola. 
Ciò che significa voler eludere deli¬ 
beratamente il problema: perchè nes¬ 
suno nega, e l’abbiamo or ora ricordato, 
che un sistema democratico debba ar¬ 
ticolarsi in una serie varia e molteplice 
di centri di decisione, ma tuttavia un 
problema del Parlamento esiste. E que¬ 
sto era il tema all’ordine del giorno, 
^munque, la tendenza a porre in ri¬ 
lievo gli aspetti di una democrazia di 
base, di fronte a quelli dell’organizza¬ 
zione centrale, si può ricollegare a espe¬ 
rienze del mondo comunista, dove quei 
tanto di vita democratica che si sta 
sviluppando si svolge di preferenza ap¬ 
punto sul piano della microdemocrazia. 
Più sorprendente sarebbe l’intervento 
di Laconi, se i comunisti non ci aves¬ 
sero abituati a questi atteggiamenti. Il 
suo discorso è stato un’esaltazione gia¬ 
cobina del governo di assemblea, che 
c* pare lontana, quanto è possibile, dalle 
premesse ideologiche e dalle esperienze 
comuniste. Secondo lui, il Parlamento 
italiano è perfettamente in grado di 
svolgere tutte le sue funzioni legislative 
c di controllo: a esso non mancano nè 
il tempKj nè la competenza per farlo. 
Poiché avevamo segnalato come una 
enormità la richiesta comunista che si 
proceda a rifare tutti i codici, non ri¬ 
correndo, come d’uso, a una delega al 
Governo, ma attraverso l’ordinaria pro¬ 
cedura parlamentare, Laconi ci ha con¬ 
fermato che il Parlamento potrebbe be¬ 
nissimo discutere articolo per articolo 
i progetti dei codici che fossero presen¬ 


tati dal Governo, senza per questo ve¬ 
nir meno alla sua funzione politica nè 
agli altri suoi compiti. La sola causa 
delle difficoltà che il nostro sistema 
politico attraversa starebbe, per Laco¬ 
ni e, in minore misura, per gli altri 
oratori comunisti, nella formazione di 
una maggioranza parlamentare della 
quale i comunisti non fanno parte. 

A questo proposito, Laconi, riallac¬ 
ciandosi alla sua personale esperienza 
dell’Assemblea costituente, ha prospet¬ 
tato un’interpretazione della nostra Gj- 
stituzione piuttosto nuova e originale, 
secondo la quale sarebbe estranea al 
nostro sistema istituzionale la divisione 
del Parlamento in maggioranza e mino¬ 


ranza, con la correlativa antitesi tra go¬ 
verno e opposizione. La tendenza co¬ 
munista a ridurre il problema politico 
italiano alla questione della loro presen¬ 
za o meno nella maggioranza governa¬ 
tiva non ci è nuova: e spesso ci è acca¬ 
duto di condannarla, rimproverando ai 
comunisti di non sapersi rassegnare a 
svolgere il compito che loro spetta nel¬ 
l’attuale situazione politica italiana, il 
compito cioè di un’opposizione che con¬ 
trolla il governo e si prepara a succe¬ 
dergli, offrendo all’elettorato un’alter¬ 
nativa politica. Ma mai ci era accaduto 
di ascoltare una dimostrazione costitu¬ 
zionalmente così rigorosa della presen- 


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L’astrolabio - 12 giugno isee 


13 
















La vita politica 


za comunista necessaria nella maggio¬ 
ranza governativa! 

Diciamo queste cose senza spirito po¬ 
lemico e con sincero rammarico. Rite¬ 
niamo utile l’opera svolta da questo 
giornale e dal Movimento Salvemini 
per chiarire, fuori di ogni disegno di 
strategia o tattica politica, i motivi di 
una sinistra italiana. Quello del Parla¬ 
mento ci era parso e ci pare, fra questi 
motivi, uno dei più importanti. Il ri¬ 
fiuto di discuterne, da parte della mag¬ 
gior forza di sinistra italiana, non age¬ 
vola il nostro lavoro. 

S e si prescinde da queste posizioni 
di cui ragioni politiche, fondate o 
infondate che siano, possono dare una 
spiegazione, il riconoscimento che una 
crisi del Parlamento è in atto, e che 
quindi-un problema del Parlamento esi¬ 
ste, è stato, in seno al convegno, una¬ 
nime. Ma assai meno concordi e assai 
più caute sono state le risposte, quando 
si è trattato di proporre una soluzione. 
Si può dire anzi che la sola indicazione 
chiara e netta è stata quella di cui si è 
fatto vigoroso assertore Guarino, anche 
se è stata in modo più dubitativo pro¬ 
spettata in altri interventi. Secondo 
questa corrente, la crisi del Parlamento 
è un processo inevitabile e inarresta¬ 


bile, attraverso il quale le assemblee 
parlamentari sono destinate a veder 
sempre più ridotta la parte loro asse¬ 
gnata e il governo è destinato ad assu¬ 
mere, fra i poteri dello Stato, una sem¬ 
pre più decisa preminenza. Non si trat¬ 
ta quindi di contrastare questo proces¬ 
so, ma piuttosto di assecondarlo e di 
dirigerne il corso, scaricando il Parla¬ 
mento di parte delle sue funzioni, attri¬ 
buendo al governo gli strumenti neces¬ 
sari per assolvere il compito al quale 
ormai è chiamato: così, per l’attività le¬ 
gislativa, ci sì deve rassegnare a una 
sempre maggiore affermazione dei pote¬ 
ri di iniziativa del governo, a un’esten¬ 
sione della legislazione delegata e di 
urgenza, a un ampliamento del potere 
regolamentare. 

Le constatazioni dalle quali muove 
questo orientamento trovano senza dub¬ 
bio riscontro nella realtà che sì sta 
sviluppando sotto i nostri occhi. La re¬ 
lazione di Bobbio, con il suo acuto esa¬ 
me dell’evoluzione subita dalle istituzio¬ 
ni parlamentari, in tutti i paesi del mon¬ 
do, compreso quello dove esse hanno 
una più antica ed esemplare tradizione 
— l’Inghilterra —, con gli opportuni 
riferimenti ad altri sistemi di governo, 
quale quello presidenziale, ne aveva da¬ 
to atto. Ma U problema è se il decadi¬ 


mento delle istituzioni parlamentari 
non si traduca fatalmente in una per¬ 
dita di libertà e di democrazia; se noi 
dobbiamo limitarci ad assecondare il 
trapasso di poteri dal Parlamento al go¬ 
verno o se dobbiamo cercare altrove 
quelle garanzie di progresso civile e di 
sviluppo democratico che ci hanno da¬ 
to in passato le istituzioni parlamentari. 

Per parte mia, credo che le preoccu¬ 
pazioni del nostro legislatore costituen¬ 
te per le possibili esorbitanze del go¬ 
verno non fossero soltanto giustificate 
da una triste esperienza appena conclu¬ 
sa, quando gli italiani si stavano dando 
un nuovo ordinamento costituzionale, 
ma trovassero e trovino tuttora rispon¬ 
denza in una permanente situazione di 
pericolo. I poteri del governo sono già 
oggi formidabili e tendono ad aumen¬ 
tare continuamente, sia per il costante 
sviluppo delle funzioni statali, sia per il 
carattere al tempo stesso soverchiante 
ed espansivo del potere di governo, che 
tende ad atrofizzare ogni altro centro 
di potere e a riempire qualsiasi vuoto 
di potere che si formi nell’organismo 
sociale. Un governo, che l’indefettibile 
solidarietà di una maggioranza parla¬ 
mentare renda immune da ogni control¬ 
lo politico, investito di poteri normativi 
diretti e arbitro, attraverso il suo po¬ 
tere, praticamente esclusivo, di inziati- 
va, dello strumento legislativo, posto al 
centro di una rete di interessi che avvi¬ 
luppa tutto il paese, munito dei più ef¬ 
ficaci strumenti di formazione dell’opi¬ 
nione pubblica, è la negazione di ogni 
ideale di libertà e democrazia, perchè 
rende inoperante il meccanismo dell’al¬ 
ternativa nel potere, riduce a proprio 
arbitrio la sfera di libertà dei cittadini, 
sopprime la loro partecipazione al po¬ 
tere, trasformandoli in sudditi. 

11 problema del Parlamento non sì 
" risolve dunque assecondando il pro¬ 
cesso di accentramento di potere nel 
governo, ma restaurando, nei limiti del 
possibile, l’autorità delle istituzioni par¬ 
lamentari e cercando altrove quelle ga¬ 
ranzie che esse, nella loro forma e nel 
loro funzionamento tradizionali, non 
sono più in grado di darci. Nel conve¬ 
gno, la risposta più adeguata al proble¬ 
ma, cosi impostato, mi è parsa quella 
di Basso, che è stata da lui presentata 
anche nelle pagine dell'/lr/ro/<7^/o. Ed 
è anche la risposta che più si avvicina 
ai miei personali orientamenti; che pro¬ 
prio per questo essa mi abbia trovato 
ben disposto a intenderla e ad apprez¬ 
zarla, non può sorprendere. Che cosa 
cerchiamo tutti nei dibattiti se non una 
conferma delle nostre idee? 


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14 

















La vita politica 


Tralascio gli sviluppi del discorso di 
Basso, che i lettori di questo giornale 
conoscono, per ricordare soltanto le sue 
concrete proposte; nomina di una parte 
del Parlamento per cooptazione, da par¬ 
te dei membri eletti a suffragio tmiver- 
sale; riconoscimento di una specifica e 
propria funzione alle minoranze, con 
1 attribuzione ad esse, per esempio, del 
potere di inchiesta sul governo. La pri¬ 
lla di queste proposte muove evidente¬ 
mente dal riconoscimento che la fun¬ 
zione parlamentare richiede oggi un al¬ 
to grado di preparazione tecnica e che 
sistema elettivo non fornisce una va- 
hda designazione di capacità; la secon¬ 
da proposta tende a sostituire il con¬ 
trollo del Parlamento sul governo, di- 


^nuto impossibile per il vincolo di si 
“Ordinazione che lega governo e maf 
gioranza parlamentare allo stesso pai 
tito o agli stessi partiti, con un cor 
trollo della minoranza. Sono preciss 


l^cnte i motivi ispiratori di alarne mie 
•dee, che ho già avuto occasione di 
Wfiorre. 

A mio avviso, ciò che deve essere ad 
J^ni costo salvato nelle istituzioni par¬ 
lamentari è la loro funzione rappresen¬ 
tativa. Dati i limiti assai ristretti che 
i^ontrano in una grande comunità na¬ 
zionale i metodi della democrazia di¬ 
retta, un ordinamento democratico po¬ 
stula l’esistenza di un’assemblea rappre¬ 


sentativa nazionale, nella quale trovino 
espressione le grandi correnti dell’opi¬ 
nione pubblica e che sia capace di pro¬ 
nunciarsi sulle grandi scelte di fronte 
^e qualsi si trova la politica del paese. 
Rappresentatività, in una democrazia, 
significa necessariamente elezioni a suf¬ 
fragio universale e diretto. Ma il carat¬ 
tere rappresentativo delle assemblee 
parlamentari è compromesso dal tecni¬ 
cismo delle funzioni che sono oggi ad 
esse affidate e dal professionalismo che 
fa carica di membro del Parlamento sta 
sempre più assumendo. Il parlamentare, 
per la varietà e la complessità de suoi 
compiti, dovrebbe oggi avere un’eleva¬ 
tissima preparazione tecnica. 

Ma il sistema elettivo può esprimere 
una valida designazione di rappresenta- 

strumento 
'’altro lato, 
)rbe ormai 
i vi è chia- 
ntato: perciò, come il sacerdote, viven- 
uo p>er l’altare, deve vivere dell’altare, 
così il membro del Parlamento deve 
trarre dalla sua carica i mezzi di sussi- 
^enza e garanzie di sicurezza di vita, 
t-tò che compromette il carattere rap- 
Pr^ntativo delle assemblee parlamen¬ 
tari, sia perchè l’elettorato ha una pos- 


V^ità, mentre è 


AaawiitAc t un pessimo 
^ designazione di capacità. E 
fa funzione parlamentare ass 
completamente il tempo di cl 


•-'astrolabio - 12 giugno 1966 


sibilità sempre più limitata di scelta dei 
suoi rappresentanti, sia perchè la pro¬ 
fessionalità della funzione segna un 
sempre maggiore distacco tra i membri 
del Parlamento e il popolo dal quale 
essi sono espressi. I parlamentari fanno 
ormai parte di quel personale politico¬ 
amministrativo di cui si avvale uno Sta¬ 
to moderno in tutte le cariche alle quali 
non si accede attraverso un rapporto 
di impiego: assemblee rappresentative 
nazionali e locali, presidenze e consigli 
di amministrazione di enti pubblici, e 
via dicendo. La mobilità e la possibili¬ 
tà di rinnovamento di questa categoria 
di pubblici funzionari trovano i loro li¬ 
miti nella cerchia della categoria stessa. 
Il significato tecnocratico di questo pro¬ 
cesso è evidente e, con esso, sono evi¬ 
denti i pericoli che ne derivano. 

Bisogna dunque fare una scelta. Se 
si vuole salvaguardare il carattere rap¬ 
presentativo delle assemblee parlamen¬ 
tari occorre rinunciare al loro tecnici¬ 
smo, occorre evitare il professionalismo 
che al tecnicismo fatalmente si accom¬ 
pagna. Non pretendiamo che il Parla¬ 
mento faccia le leggi, con quella com¬ 
petenza che la tecnica legislativa richie¬ 
de; che controlli l’attività finanziaria 
dello Stato e degli enti pubblici, con 
quella preparazione che è indispensabile 
per affrontare i problemi della finanza 
pubblica moderna; che, al tempo stesso, 
eserciti la propria funzione di controllo 
politico sul governo. Un’assemblea rap¬ 
presentativa nazionale dovrebbe oggi li¬ 
mitarsi a esprimere un governo, ad ap¬ 
provare i piani economici e i bilanci, 
a tracciare, con leggi-quadro o leggi- 
cornice, come si usa chiamarle, le gran¬ 
di direttive della legislazione. Questa 
delimitazione di compiti può consentire 
al Parlamento di contenere i suoi la¬ 
vori, nei limiti di tempo sopportabili 
per chi non faccia della funzione par¬ 
lamentare una professione: negli inter¬ 
valli fra le sessioni, la continuità del¬ 
l’istituto può essere assicurata da un 
comitato permanente. In questo modo 
si può ridare all’assemblea il suo carat¬ 
tere rappresentativo, chiamando a far¬ 
ne parte cittadini che partecipano alla 
vita del paese e che la lascino tempo¬ 
raneamente per assolvere il loro man¬ 
dato, sJvo a riprendere poi il loro po¬ 
sto fra i propri concittadini. 

Ma al Parlamento dovrebbe spettare 
un’altra importante funzione: queUa di 
corpo elettorale destinato a nominare, 
con una elezione di secondo grado, i 
componenti degli organi destinati’ a 
svolgere i compiti tecnici che le assem¬ 
blee parlamentari non sono più in gra¬ 
do di adempiere. Come si vede, siamo 
in un ordine di idee analogo a quello 


esposto da Basso, con la sola differenza 
che il Parlamento, invece di eleggere 
per cooptazione una parte dei suoi 
membri, darebbe vita a corpi separati; 
innanzi tutto a un consigKo legislativo, 
destinato a fare le leggi necessarie per 
l’attuazione delle leggi-quadro approva¬ 
te dal Parlamento, così come i provve¬ 
dimenti legislativi d’urgenza, e fors’an- 
che a esercitare, almeno nella sua parte 
più importante, il potere regolamentare. 
In questo modo, mentre si prende atto 
della impossibilità in cui si trova il 
Parlamento di esercitare tutte le sue at¬ 
tuali funzioni, non si favorisce l’ac¬ 
centramento di poteri nel governo, ma 
anzi si circondano di garanzie democra¬ 
tiche anche facoltà di cui esso è attual¬ 
mente investito. Un organo quale la 
Corte dei conti, più strettamente col¬ 
legato con il Parlamento, potrebbe for¬ 
nire a questo, per l’esercizio delle sue 
funzioni di controllo politico, la neces¬ 
saria base di informazione sulla vita 
finanziaria dello Stato c degli enti pub¬ 
blici. Il CNEL potrebbe essere trasfor¬ 
mato anch’esso, attraverso lo stesso si¬ 
stema elettivo indiretto, in una espres¬ 
sione del Parlamento. Questo, nella sua 
funzione di corpo elettorale, potrebbe 
concorrere alla costituzione di altri or¬ 
gani dello Stato: non soltanto, come 
oggi avviene, della Corte costituzionale, 
del Consiglio superiore della Magistra¬ 
tura e di alcune commissioni, ma anche 
degli organi direttivi della RAI-TV, co¬ 
me è richiesto dal progetto Parti, del 
Consiglio superiore della pubblica istru¬ 
zione, e così via. Sarebbe questo il mo¬ 
do di dare alle minoranze quella funzio¬ 
ne che giustamente è ad esse attribuita 
da Basso: non chiamandole, come vor¬ 
rebbero i comunisti, a partecipare alle 
responsabilità del governo, ma dando 
loro il modo di esercitare, con la loro 
presenza, un controllo sul centri più de¬ 
licati e più pericolosi del potere gover¬ 
nativo. 

So bene quanto vi è di arbitrario in 
queste costruzioni: perciò ho parlato, 
nel convegno, di fantascienza. Ma que¬ 
ste prospettive, anche se temerarie, pos¬ 
sono avere un’utilità in quanto concor¬ 
rano a indicare qualche direttiva di 
marcia. Da quello che ho detto mi pare 
che se ne possano trarre due: non ag¬ 
gravare il nostro Parlamento di funzio¬ 
ni che esso non è in grado di svolgere, 
per non accentuare il tecnicismo e il 
professionalismo della sua attività, a 
scapito della sua rappresentatività; non 
consentire che continui a svolgersi il 
processo di accentramento di poteri nel 
governo, senza circondare di garanzie 
democratiche l’esercizio di tali poteri. 

LEOPOLDO PICCARDI g 
15 


L 


















I 


le streghe 
di Pechino 

Peng Cen 

La caduta del notabile di Pechino, Peng Cen, può essere l’effetto 
dell’errore attendista commesso dalla Cina nella crisi indonesiana, 
ma rientra anche nella lotta in corso nelle gerarchie cinesi intorno 
alle scelte che il tramonto dell’era di Mao ha posto sul tappeto. 



I l paradosso, nel caso Peng Cen, il 
sesto uomo della gerarchia cinese caduto, 
come si dice, in disgrazia, è che sia stato 
accusato di « revisionismo » : Peng Cen 
era infatti considerato, con buoni motivi, 
un capofila degli intransigenti, e fu un 
suo discorso del luglio 1964 ad avviare, 
con grande risonanza, la campagna che 
prese il nome di « rivoluzione culturale ». 
Da allora questa u rivoluzione culturale » 
ha avuto vittime illustri: un gran numero 
di intellettuali, noti aH’interno e all’estero 
(è inutile un elenco dettagliato, basti ri¬ 
cordare il fedelissimo Kuo Mo-jo), hanno 
dovuto piegarsi a umilianti autocritiche. 

Peng Cen è stato il battistrada di que¬ 
sta campagna di « rettifica », come usano 
dire i cinesi. Come segretario del partito 
a Pechino (oltre che uomo piazzatissimo 
nell’ufficio politico e nella segreteria cen¬ 
trale), e sindaco della capitale, curava per¬ 
sonalmente che nel cuore politico della 
Cina non sorgessero centri revisionistici, 
e organizzava le periodiche migrazioni 
« volontarie » di centinaia e migliaia di 
intellettuali e studenti mandati in fabbri¬ 
ca o nelle Comuni agricole a operarsi il 
« lavaggio del cervello », una frase che in 
Cina non ha il significato macabro che 
le diamo noi occidentali, perchè con essa 
si intende il contatto con la vita reale del 
paese e con le sue masse, ma che, in ogni 
caso, ha fatto perdere ore preziose ai co¬ 
siddetti « lavoratori della cultura », senza 
che contadini ed operai ne traessero alcun 
vantaggio (perchè spesso il lavoro manua¬ 
le degli intellettuali creava soltanto con¬ 
fusione, come è facile immaginare). 

Come si spiega l’accusa di « revisioni¬ 
smo » ? che Peng Cen seminava bene ma 
razzolava male? che faceva il doppio gio¬ 

16 



co? La propaganda ufficiale sostiene qual¬ 
cosa del genere, perchè da parecchio tem¬ 
po si legge, sulla stampa cinese, che gli 
« anti-partito » si vantavano di essere i 
più solerti seguaci di Mao Tse-tung ma 
nascondevano le loro vere attività dietro 
tale schermo. 

L’errore di destra in Indonesia. Pro¬ 
babilmente Peng Cen ha pagato l’errore 
di destra commesso in Indonesia. Fu l’ul¬ 
timo leader cinese a recarsi a Giakarta 
prima del doppio colpo di Stato del 30 
settembre e del i® ottobre dello scorso 
anno (per il 45® anniversario del PKI). In 
quella occasione, oltre a pronunciare un 
violentissimo discorso antisovietico, che 
delineava una piattaforma di rottura con 
Mosca in tutto il Terzo Mondo, fu proba¬ 
bilmente consultato, dai dirigenti comu¬ 
nisti locali, sulla crisi che stava per esplo¬ 
dere e di cui erano già manifesd i sintomi 



premonitori: i generali stavano preparan¬ 
do il loro colpo di Stato, inteso a liquidare 
il più grosso partito comunista non ^ 
potere; quale consiglio poteva fornirà 
Pechino? 

La risp>osta, se un consiglio venne t*' 
chiesto o comunque fornito, sta nei fatti: 
il 30 settembre, quando la fazione mili¬ 
tare di sinistra tentò il colpo di Stato 
preventivo, il PKI si dichiarò neutrale 
(« estraneo » alle lotte interne dell’eserci¬ 
to), c quando nel giro di 24 ore era gi^ 
chiaro che i generali indonesiani mir*" 
vano a liquidare tutta la sinistra, ancora 
il PKI lanciò la parola d’ordine dell’uniw 
nazionale attorno a Sukarno, ormai pt*' 
gioniero dell’estrema destra. Le conse¬ 
guenze di questo errore — cioè l’ordine 
mancato di insurrezione generale — sono 
ormai tragicamente note: secondo le ulti¬ 
me cifre attendibili 700 mila comunisti e 
loro simpatizzanti sono stati sterminati, e 
la follìa sanguinaria dei generali non ha 
risparmiato nessuno, perchè intere fami¬ 
glie sono state trucidate affinchè i fig'| 
domani non vendicassero i padri. Uno dei 
più orrendi massacri della storia. 


J 










agenda intemazionale 



Se Peng Ccn (come è probabile) era 
i'tato richiesto di un parere, e il consiglio 
c stato quello dell’inazione, per motivi di 
politica estera cinese (le illusioni nei con¬ 
fronti di Sukarno), è chiaro che, sia pure 
nella massima buona fede, avrebbe com- 
niesso un errore di « destra », e su questa 
ipotesi appare credibile l’accusa di « revi¬ 
sionismo ». In tal caso, tuttavia, Peng Ccn 
sarebbe stato accomunato ai veri revisio¬ 
nisti cinesi (numerosi negli ambienti in- 
icllcttuali) per un motivo estraneo a quella 
viene definita la « rivoluzione cultu¬ 
rale ». 

Lotta di correnti. £’ possibile che il 
Caso Peng Cen sia circoscritto alla pur 
importante questione indonesiana, ma 
altri clementi indicano che l’epurazione in 
Corso in Cina avviene sotto la spinta di 
forze politiche molto più frazionate. La 
« rivoluzione culturale » non è soltanto un 
tentativo di condizionare gli intellettuali 
c di imptedire che le nuove generazioni 
siano attratte dal « revisionismo ». La bat¬ 
taglia in corso è chiaramente politica, e 
S'edc misurarsi le correnti che in seno al 


partito erano state finora cementate dalla 
presenza attiva di Mao Tsc-tung, il quale 
in caso di dissensi fungeva da supremo 
arbitro e manteneva unito il partito; oggi, 
con il progressivo distacco del leader dalla 
politica attiva (le sue rare apparizioni con¬ 
fermano le voci di malattia), i candidati 
alla successione appaiono meno uniti non 
tanto pxir rivalità personali, quanto p>er 
le diverse scelte che la Cina ha di fronte, 
scelte sulle quali c’è discordia. 

L’adesione formale, e spjesso pxtdante. 
di tutti i dirigenti cinesi alla campagna 
contro il « revisionismo » non riesce a 
mascherare i dissensi. Il congresso del par¬ 
tito non si è più riunito dal 1956 (solo nel 
1958 si ebbe una seconda sessione dell’8“ 
congresso, con i vecchi delegati). Nep>- 
pure il nuovo piano quinquennale, ini¬ 
ziato a gennaio dopx> una serie di piani 
annuali straordinari, ha offerto l’occasione 
per indire un congresso. Quando un par¬ 
tito evita per cosi lungo temp» un con¬ 
fronto interno, e una verifica delle proprie 
posizioni, è il sintomo più esplicito che le 
fratture sono profonde. 

In questi dieci anni si è passati dalla 





ClU En - LAI 



Cen Yi 


piolitica dei « cento fiori » all’irrigidi¬ 
mento, con una serie contraddittoria di 
« rettifiche » intermedie : vere e proprie 
svolte a sinistra e a destra. Pur restando 
unito il grupp» dirigente supremo, nelle 
fasi estremichc sono venuti alla ribalta 
Liu Sciao-ci e Teng Hsiao-ping (appog¬ 
giati da Peng Cen e dal ministro degli 
esteri Ccn Yi), mentre le correzioni in 
senso moderato venivano affidate a Ciu 
En-lai (appoggiato daU’cconomista Ccn 
Yun). Fra questi due gruppi, l’intransi¬ 
gente c il moderato, si è ora inserita la 
presenza vivacissima di Lin Piao, il mini¬ 
stra della Difesa, il quale ha già assunto 
in proprio, forse su mandato dello stesso 
Mao Tsc-tung, la funzione tipica del vec¬ 
chio leader •. quella di arbitro fra la « si¬ 
nistra » c la « destra » del partito. 

il ruolo di Lin Piao. Nel partito cinese 
è la presidenza che concentra i maggiori 
piotcri, la segreteria essendo considerata 
organo esecutivo. Il presidente del par¬ 
tito è Mao, Vice-presidenti sono quattro: 
il vecchio Ciu Tch (ottantenne c fuori 

—»■ 


L’astrolabio - 12 giugno isee 


17 














Agenda internazionale 


gioco per una successione), Liu Sciao<i 
che è capo dello Stato, Ciu En-lai che 
dirige il governo, Lin Piao. Segretario 
generale del partito (cioè capo dell’appa¬ 
rato) è Teng Hsiao-ping, e Peng Cen 
era il suo vice. 

Oggi si fanno svariate ip>otesi sui rap>- 
pwrti fra questi uomini, e sulle correnti 
che rappresentano. C’è la tesi dell’alleanza 
fra gli intransigenti e il « centro » (Lin 
Piao) ai danni dei moderati, e quindi la 
previsione di una caduta in disgrazia di 
Ciu En-lai. La tesi opposta è quella della 
alleanza fra moderati e « centro », per 
imbrigliare l’estrema sinistra c neutraliz¬ 
zarne i danni. Gli osservatori occidentali 
propendono per la prima tesi, e in genere 
classificano Lin Piao intransigente per il 
suo noto rapporto del settembre 1965, in 
cui teorizzò la rivolta mondiale dei fjopoli 
sottosviluppati. Poi, dato che il giornale 
delle forze armate ha condotto sistemati¬ 
camente l’attuale campagna anti-revisio- 
nistica, si sostiene che Lin Piao sia, fra 
tutti i leaders cinesi, il più estremista. 

Abbiamo già rilevato in passato come 
questa interpretazione ci appaia forzata. 
Direi che proprio le polemiche in campo 
militare smentiscono la tesi prevalente. 
L’anno scorso il capo di Stato maggiore 
cinese. Lo Jui-cing, aveva scritto un saggio 
in cui sosteneva che bisognava « realisti¬ 
camente » prepararsi a una guerra atomi¬ 
ca con gli Stati Uniti. In settembre, il 
successivo saggio di Lin Piao, al di là di 
tutte le teorie di rivoluzione mondiale che 
tanto spaventarono gli occidentali, espose 
una piattaforma che, sintetizzata, voleva 
dir questo; la linea strategica cinese pog¬ 
gia sull’accerchiamento delle « città » (i 
paesi industrializzati del Nord-America e 
dell’Europa occidentale) a opera delle 
« campagne » (le nazioni in via di svilup¬ 
pa dell’Asia, dell’Africa e dell’America 
latina); ma questa è strategia a lungo ter¬ 
mine; sul piano tattico, immediato, cia¬ 
scun p)op>olo si fa la sua rivoluzione e non 
deve aspettarsi alcun aiuto esterno, se 
aiuto vuol dire intervento militare, e que¬ 
sto vale pjer il Vietnam così come la Cina 
si era liberata senza asp)cttare le armate di 
Stalin. 

Dopo il terzo esperimento nucleare cine¬ 
se (9 maggio di quest’anno), è stata una 
dichiarazione di Ciu En-lai ad avere la 
precedenza sullo stesso comunicato rela¬ 
tivo all’esplosione. Il primo ministro di¬ 
chiarava: i) la Cina non vuole la guerra 
con gli Stati Uniti; 2) offre a appx>ggio e 
aiuto » ai vietnamiti ma non pxtnsa affatto 
di intervenire nel conflitto; 3) se attaccata 
dagli americani, confida nella propria 
superiorità numerica, e non si monta la 
testa perchè pessiede l’atomica; 4) se 
attaccata dall’aria o dal mare, reagirà, ma 
contrattaccando su diversi fronti terrestri. 


finché gli americani si stancheranno. 

Se ci si attiene ai fatti, a come si sono 
svolte le polemiche, ai risultati che hanno 
prodotto, ai nomi più rilevanti degli « an- 
ti-partito » messi sotto accusa, se ne do¬ 
vrebbe dedurre che fra Lin Piao e Ciu 
En-lai si è concordata una linea di coeren¬ 
te prudenza che presuppone un’alleanza 
fra moderati e « centro » del partito. Men¬ 
tre cominciano a cadere in disgrazia, a 
parte la larga frazione di intellettuali re¬ 
visionisti, alcuni capifila degli intransi¬ 
genti. Ora è stata la volta di Peng Cen 
(e probabilmente di Lo Jui-cing). Domani 
potrebbe toccare a Teng Hsiao-ping, che 
è il più intransigente degli intransigenti, 
e il cui prestigio, se si pone attenzione 
al fatto che è sotto accusa Vorganizzazio¬ 
ne del partito, è già in parte compromes¬ 
so. Le accuse al comitato di partito di 
Pechino (Peng Cen) non possono infatti 
non riflettersi sul segretario generale, e 
così le accuse rivolte dal giornale delle 
forze armate al Quotidiano del popolo 
(organo del partito) possono avere lo stesso 
significato, porchè il Quotidiano del po¬ 
polo era nelle mani dell’apparato, cioè de¬ 
gli uomini di Teng Hsiao-ping. La cam¬ 
pagna anti-revisionista, a mio parere, deve 
essere considerata una costante della vita 
interna cinese (spocie in funzione anti¬ 
sovietica), ma non deve impedire di rico¬ 
noscere, nel contesto generale, gli attacchi 
che vengono rivolti (sposso esplicitamente) 
anche contro il « revisionismo di sini¬ 
stra », cioè contro il dogmatismo. 

Quindi non sposerei la tesi che appare 
più convincente a diversi commentatori 
occidentali (fra cui Victor Zorza del 
Guardian), secondo cui Ciu En-lai sta por- 
dendo la partita. E’ chiaro che la lotta 
non ha ancora rivelato i vincitori e i vinti, 
e tutto può accadere, e può pure accadere 
che il gruppo .dirigente non ripeta la 
strada sovietica di una progressiva fran¬ 
tumazione e sia capace di raggiungere un 
compromesso. Ma le chance! di Ciu En- 
lai, e dei moderati, sono ancora forti. 
Anche perchè la situazione generale, a 
meno di un conflitto con gli Stati Uniti, 
che i cinesi non vogliono, tende a raffor¬ 
zare le soluzioni moderate. Oggi non sia¬ 
mo ancora a questo punto, e la strada 
sarà lunga c combattuta. 

Quanto all’attuale campagna anti-revi- 
sionista, non sarebbe la prima volta che 
nel corso di una « rettifica » il tiro viene 
spjostato. All’epxxa dei « cento fiori » si 
sparò a zero sul dogmatismo, e alla fine 
venne considerato più p>ericoloso il revi¬ 
sionismo. Adesso potrebbe accadere l’in¬ 
verso. I comunisti cinesi sono testardi, ma 
se s’accorgono di rischiare sono pronti 
alla successiva « rettifica ». Ne va di 
mezzo la loro sopravvivenza. 

LUCIANO VASCONI ■ 



New York: lo sciuscià negro 


lettera dairam^ 



■ risultati delle primarie! (la scelta di 
candidati alle elezioni federali di no¬ 
vembre) che hanno avuto luogo in parec¬ 
chi Stati dcirUnione in maggio, erano 
attesi con interesse da tutti e con ansia 
da molti. E così pure i risultati di nume¬ 
rose elezioni a cariche statali e municipali. 
L’ansia aveva la sua giustificazione: dal 
consigliere municipale al Presidente della 
Repubblica, eletti ed eleggendi tengono 
conto degli umori degli elettori più che 
di qualsiasi altra cosa. Negli Stati Uniti, 
a qualsiasi livello, la p>olitica adottata è 
quella che cerca di ottenere il massimo di 
consensi - "osa naturale in un sistema 
p>olitico che avendo come principio il 
pluralismo in ogni asp>ctto della vita col¬ 
lettiva, tende al compromesso, indispensa¬ 
bile alla pacifica coesistenza di gruppi 
diversi. Fra gli Stati in cui si votava, quel¬ 
li sui quali si fermava maggiormente 
l’attenzione erano l’Alabama e l’Oregon- 
Con ri,6 % della popolazione degli Stati 
Uniti l’uno e con meno dell’i % l’altro, 
povero in senso assoluto quello, il meno 
prospero degli Stati del Far West questo, 


18 














non sono gli Stati che più contano; ma 
* medesimi atteggiamenti, aspirazioni e 
tendenze sono diffusi in tutta la nazione 
Americana anche se la loro importanza 
fclativa varia da regione a regione e la 
tlifferenza fra l’Alabama nel Sud e l’In- 
tliana nel Midwest, fra l’Oregon sul Pa¬ 
cifico ed il Mainc sull’Atlantico — c 
tutto quello che vi è di mezzo — è mi¬ 
nore che non lo si creda generalmente 
*11'estero. 


Wallace in gonnella. NcH’Alabama, 
^Ite nel '64 diede il 70 % dei voti a 
Goldwater (non votarono allora che po¬ 
chi negri ed anche molti bianchi erano 
privi di suffragio), c’era da eleggere il 
governatore dello Stato ed il tema prin¬ 
cipale della campagna elettorale era l’in¬ 
tegrazionismo razziale. Inoltre si presen¬ 
tavano candidati a cariche minori — sin¬ 
daco, sceriffo, consigliere municipale, de¬ 
putato statale — dei negri. Nell’Oregon, 
Stato in cui la maggioranza assoluta degli 
elettori è tenuta dai Democratici, questi 
sceglievano il loro candidato al senato fe¬ 



New York: l’appello dei marines 


derale ed il tema principale della campa¬ 
gna elettorale era la politica americana 
nel Vietnam. Negri e Vietnam sono i due 
massimi problemi americani di oggi; ve 
ne sono altri (p)er esempio all’interno l’in¬ 
flazione ed il diffondersi di fenomi so¬ 
ciali patologici, ed all’estero il collasso del 
sistema di alleanze creato nel 1949-55), 
ma anche se se ne occupano stampa c 
televisione e la gente ne parla, non susci¬ 
tano emozioni profonde, non portano an¬ 
cora alla formazione di schieramenti ben 
definiti ed antagonistici. Vi è una do¬ 
manda pratica che molti, forse i più, già 
si pongono: modificheranno le elezioni di 
novembre la maggioranza parlamentare 
che oggi appoggia il Presidente sia in 
politica interna che in politica estera, che 
approva riforme ardite dal punto di vista 
americano ed allo stesso tempo vota i cre¬ 
diti richiesti dal governo per continuare 
la guerra nel Vietnam? e se vi sarà una 
modifica, quale ne sarà la direzione — 
meno riforme e più guerre o più riforme 
e meno guerra? 

Nell’Alabama i negri costituiscono og¬ 


gi poco più di un quarto della {xipola- 
zione dello Stato. Grazie al controllo effi¬ 
cace esercitato da funzionari federali inca¬ 
ricati deH’applicazione di leggi votate in 
questi ultimi anni dal Congresso, ed allo 
attivismo sia di organizzazioni integrazio- 
nistc in cui collaborano bianchi e negri 
sia di organizzazioni separatiste negrc^ 
un quarto circa degli iscritti alle liste elet¬ 
torali erano negri. Per molti di questi, 
anzi per quasi tutti, era la prima volta 
che votavano, e votarono in massa. I segre¬ 
gazionisti avevano come candidato la 
moglie dell’attuale governatore Wallace 
(era una scappatoia legale: il marito era 
il vero candidato ma la costituzione dello 
Stato ne proibiva la rielezione c così si 
era presentata la moglie). Gli integrazio¬ 
nisti avevano come candidato il procura¬ 
tore dello Stato Flower, giurista abile ed 
influente. Nelle contee situate al centro 
dello Stato in cui i negri costituiscono la 
maggioranza della {wpolazione, vennero 
eletti a cariche minori i candidati negri, 
ma neil’insieme dello Stafo la signora 


*-astrolabio - 12 giugno 1966 


19 






















Agenda internazionale 




Wallace ebbe una maggioranza notevole, 
supcriore a quella prevista dai più fer¬ 
venti segregazionisti; c non vi fu bisogno 
del secondo ballottaggio sul quale gli inte¬ 
grazionisti avevano fatto assegnamento. 
Wallace aveva sempre sostenuto che la 
maggioranza non dei bianchi ma dcH’in- 
tcra fKjpKjlazione, non solo ncH’Alabama 
c nel resto del Sud ma dovunque vi sia 
un numero rilevante di negri (o di altra 
minoranza di colore; meticci, mulatti, 
orientali ed indiani) è in favore della 
segregazione. Adattandosi airambicntc 
ideologicamente democratico, la volontà 
della maggioranza era Targomcnto di cui 
Wallace maggiormente si serviva nei suoi 
discorsi fuori dello Stato per legittimare 
il segregazionismo. Gli integrazionisti, i 
quali provengono in maggioranza da file 
ideologicamente democratiche c progres¬ 
siste, dovevano invece servirsi dell’argo¬ 
mento (liberale in Europa, conservatore 
nella terminologia p>olitica americana c 
proprio della posizione dei Repubblicani) 
dei limiti alla volontà della maggioranza 
impliciti nel costituzionalismo c miranti a 
garantire i diritti delle minoranze. Nella 
Florida, dove la maggioranza della popo¬ 
lazione è venuta recentemente da altre 
zone che quelle del Sud, il candidato se¬ 
gregazionista a governatore ebbe minore 
fortuna che ncirAlabama: votarono com¬ 
patti per il candidato moderatamente inte¬ 
grazionista non solo i negri (un quinto 
circa della popolazione) e molti bianchi 
ma anche gli oriundi delle Antille assai 
numerosi in particolare nella zona metro- 
f>olitana di Miami; malgrado ciò il voto 
segregazionista fu circa la metà del totale. 

Dodici anni di campagna e di agita¬ 
zione integrazionista che sono costati la 
vita ad alcune decine di persone, hanno 
modificato la posizione legale dei negri 



e la struttura istituzionale degli Stati del 
Sud — anche nel Mississippi, la Louisia¬ 
na c la Carolina del Sud che con l’Alaba- 
ma formano la roccaforte del razzismo 
bianco; ma il fosso fra bianchi e quel set¬ 
timo della popolazione composto di non 
bianchi (i venti milioni di negri, i quasi 
dieci milioni di meticci e mulatti di lin¬ 
gua spagnola, alcune centinaia di migliaia 
di oriundi dell’Estremo Oriente e di india¬ 
ni) non solo è ancora lì, è forse più largo 
e più profondo che non lo fosse stato nel 
maggio del ’54 quando la Corte Suprema, 
dichiarando illegale la segregazione nelle 
scuole pubbliche, diede il via alle forze 
integrazioniste. Malgrado gli sforzi com¬ 
piuti da una minoranza bene intenzio¬ 
nata, il problema resta. Ha la sua base 
non nelle leggi ma nel costume. La coesi¬ 
stenza è difficile negli Stati Uniti come 
altrove e qui il problema è reso più acuto 
dal fatto che la nazione americana è 
pluralistica non solo di fatto, lo è anche 
ideologicamente. 

Un risultato sconcertante. Nell’Ore- 
gon i Democratici dovevano scegliere il 
candidato per uno dei due seggi al senato 
federale. L’altro seggio è occupato dal se¬ 
natore Waync Morse, il massimo avver¬ 
sario dell’intervento americano nel 'Viet¬ 
nam ed uno dei più influenti portavoce 
del neo-isolazionismo che sta facendo ra¬ 
pidi progressi, sopra tutto fra gli ambienti 
già internazionalisti di centro-sinistra. Si 
erano presentati alle primaries un amico 
di Morse ed uomo influente nel partito 
Democratico, Morgan, ed il deputato fe¬ 
derale Democratico Duncan, che ha sem¬ 
pre appoggiato la {x>litica di Jc^nson. 
Con sorpresa quasi generale Morgan ebbe 
p>oco più di un terzo dei voti Democra¬ 
tici (per avere una idea corretta della si¬ 
tuazione neU’Oregon, ai voti ottenuti da 
Duncan occorre aggiungere quelli della 
minoranza Repubblicana). Ma non avreb¬ 
be dovuto esservi sorpresa. Circa tre quin¬ 
ti (o {xjco meno a seconda dei sondaggi 
più recenti) degli americani appoggiano 
la politica presidenziale, un po’ meno di 
un quinto vi si oppongono sia perchè vo¬ 
gliono la guerra ad oltranza o perche 
vogliono la pace immediata, gii altri sono 
incerti. 

La posizione della maggioranza che 
appoggia Johnson e che si è espressa con 
il voto del 35 maggio ncll’Oregon non è 
semplice e la sua complessità s^gge spes¬ 
so sia agli osservatori stranieri sup)crficiali 
e frettolosi sia a quegli americani che han¬ 
no fatto propri schemi ideologici defor¬ 
manti perchè eccessivamente semplicistici. 
L’analisi della posizione della maggioran¬ 
za si impxjne, in particolare se si tiene 
presente il fatto che negli Stati Uniti 
l’opinione pubblica ancora conta, che pres¬ 
sioni governative sono neutralizzate ed 



Luther King 

annullate da altre pressioni, che america¬ 
ni e stranieri — anche se trovano chiuse 
le porte del Congresso e della Casa Bian¬ 
ca — possono presentare al pubblico i loro 
argomenti ed influire sui risultati eletto¬ 
rali. Non so quanto {)otrà durare questa 
situazione ereditata dalle illusioni genero¬ 
se deH’ilIuminismo del 18* secolo, ed oggi 
forse sempre più anacronistica. Come al¬ 
trove e dovunque vi sono americani i qua¬ 
li, chi istintivamente e chi per convinzio¬ 
ne ragionata, giungono alla conclusione 
(alla quale da temp>o è arrivato il Lip- 
mann) che la centralizzazione del potere 
e l’indebolimento se non addirittura l’eli¬ 
minazione di remore parlamentari, sono 
necessari per risolvere i problemi all’inter¬ 
no e per sostenere le pressioni sempre più 
minacciose che vengono dal di fuori. 
Esperti di scienze politiche ritengono che 
vecchia e nuova sinistra avversarie del re¬ 
gime costituzionale hanno l’adesione di 
circa il 5 96 della popolazione c che ciò 
che qui è chiamato thè Radicai Right, la 
destra autoritaria, costituisce un quinto 
della popolazione: non è poco. Ma piu 
numerosi sono quelli che senza essere 
nettamente anticostituzionali, vogliono 
abolire il dualismo Congresso-Presidente 
al fine di (}are maggiore potere ed auto¬ 
nomia al .Presidente. 

Il mito dell'eroismo. Nell’Oregon co- 
come altrove negli Stati Uniti i guerra¬ 
fondai non sono molti; il nazionalista fre¬ 
netico quale lo abbiamo conosciuto in Eu¬ 
ropa e quale oggi esiste in molti Stati 
del Terzo Mondo, è raro; non vi è una 
tradizione di gloria militare e, malgrado 
tutto quello che si scrive sul Pentagono, 
non vi è una casta militare capace di 
azione pxilitica; nel gruppm ristretto di 
uomini di affari più influenti, la massima 
preoccupazione è l’inflazione e vi è la 
convinzione che tàVescaìation militare cor¬ 
risponde prima o dopo Vescalation dei 
controlli governativi sull’economia e la 
finanza. Vi è inoltre qualcosa di nuovo: 
è .a prima volta nella storia dell’umanità 
che una nazione intera vede con i propri 


Stati Uniti: violenza 











Agenda internazionale 


occhi quello che succede al fronte. Cade 
così il mito della differenza fra l’eroismo 
nobile dei « nostri » soldati e la barbarie 
del nemico — mito che ha servito a tenere 
su il morale di ogni nazione coinvolta in 
guerre. Davanti all'apparecchio fotogra¬ 
fico tutti sono uguali: non vi è differen¬ 
za fra l’americano che muore ed il parti¬ 
giano vietnamesc che muore. Sapere di 
combattimenti e morti è una cosa : vederli 
morire è un’altra, ed è dall’occhio che 
viene la crisi di coscienza dei più. Dei 
due maggiori programmi televisivi di in¬ 
formazione americani uno è nettamente 
antigovernativo, l’altro si barcamena fra il 
sì ed il no. La guerra del Vietnam ha 
acquistato per il pubblico degli Stati Uniti 
Una tragica immediatezza, ed anche una 
obiettività che nessuna guerra aveva mai 
avuto, che certo non hanno gli altri con¬ 
flitti — dalle guerre e guerricciole com¬ 
battute alle frontiere dell’India o nello 
Yemen, alle recenti insurrezioni sangui¬ 
nose e repressioni nel Ruanda, nel- 
l’Uighur e in una ventina di altri paesi 
afro-asiatici. 

Data la gravità della situazione — e po¬ 
chi a questo proposito si fanno qui delle 
illusioni — discutere di torti e ragioni di 
Una parte o dell’altra non serve 
gran che. Occorre conoscere ptosizioni c 
argomentazioni: occorre anche prenderli 
come dati di fatto e tenerne conto quando 
si cercano da parte di terzi delle soluzio¬ 
ni. Fra gli americani, come fra i loro 
avversari o presunti avversari, vi sono al¬ 
cune idee centrali e poche emozioni pro¬ 
fonde. Per ciò che riguarda la massa del 
pubblico — ed anche, credo, il più dei 
tlirigenti — la paura sovrasta qualsiasi 
altra idea o emozione. Importa poco se la 
paura è giustificata o no (come importava 
poco se avevano ragione o torto i tedeschi 
ossessionati dall’idea deU’accerchiamento 
nel 1914, se aveva ragione o torto Stalin 
ossessionato dall’idea della cospirazione 
organizzata all’estero e con ramificazioni 
in tutta l’URSS). Le situazioni non cam¬ 
biano per il fatto che non si veda giusto, 
«ìucllo che conta è come si vedono le cose. 

L'incubo cinese. Quello che prevale 
oggi negli Stati Uniti non è, come spesso 
si crede, la paura del comuniSmo come 
comuniSmo: il policentrismo, vero o im- 
niaginario che sia, ha avuto il suo effetto 
c sono f>c>chi gli americani che non si 
esprimono con simpatia nei confronti di 
Tito e non approvino i miliardi che gli 
sono stati regalati, o che non siano con¬ 
vinti, oggi, che è possibile l’intesa con 
l’URSS. Non è la paura della Cina come 
Cina. E’ paura della fusione di comuni¬ 
Smo e Cina sì che il colosso — la Cina, 
tanto più temibile quanto più è circondata 
di mistero — è animato da una volontà 
implacabile — il comuniSmo. Se il gover¬ 


no della Repubblica Democratica del Viet¬ 
nam si dissociasse dalla Cina come 18 
anni fa Tito si dissociò dall’URSS, la 
paura già diminuirebbe di parecchio. Se 
poi nella Repubblica Democratica il parti¬ 
to comunista facesse quello che sono di¬ 
sposti a fare i comunisti dell’Europa occi¬ 
dentale (fjcnso a quello che sta avvenendo 
in Finlandia e che spero possa avvenire 
altrove), e cioè a collaborare da eguali con 
altri (che nel Vietnam del Sud non sareb¬ 
bero necessariamente i militari ma dovreb¬ 
bero essere almeno i buddisti, i cattolici e 
gli altri due gruppi politico-religiosi) la 
paura, nei riguardi del Vietnam e forse 
anche di alcuni paesi confinanti, cessereb¬ 
be. Non si deve dimenticare che coloro 
che oggi sono la classe dirigente negli 
Stati Uniti avevano 20 o 30 anni quando 
i fronti nazionali in tutta l’Europa occu¬ 
pata da truppa sovietiche servirono da 
strumento per l’instaurazione di dittature 
monocolori; avevano pochi anni di più 
quando alla vittoria comunista in Cina 
fece seguito, a breve intervallo, la guerra 
di Corca. 

Come ho già detto in un articolo prece¬ 
dente, a complicare la situazione è venu¬ 
ta la convinzione, ai primi di quest’anno, 
che non vi sono altre alternative che o 
sconfitta o vittoria. I 4 punti di Ho Chi 
Minh hanno contribuito, non importa se 
a ragione o a torto, a confermare questa 
convinzione. La vittoria, propria o del¬ 
l’avversario, è una cosa, la pace è un’altra. 
La maggior parte di coloro che partecipa¬ 
rono alle dimostrazioni dell’anno scorso 
non volevano la sconfitta degli Stati Uniti, 
volevano dei negoziati per arrivare alla 
pace, cioè al compromesso. Quest’anno le 
dimostrazioni hanno avuto meno successo 
perchè sembrava chiaro a molti pacifisti 
che pace era sinonimo di sconfitta ame¬ 
ricana e di vittoria, per interposto stato, 
della Cina. La guerra del Vietnam ha 
continuato la guerra di Corca, come que¬ 
sta aveva continuato la guerra contro il 


Kuomintang appoggiato dagli americani; 
la vittoria « cinese » nel Vietnam sognifi- 
ca ricominciare altrove: tanto vale allora 
fermarsi dove si è, anche se l’ambiente 
è sfavorevole. Finché l’unica scelta resta 
quella fra sconfitta e vittoria, il trio pre¬ 
sidente-ministro della difesa-ministro de¬ 
gli esteri avrà dalla sua parte una maggio¬ 
ranza degli americani e se le cose vanno 
male militarmente è il partito della guer¬ 
ra che si rafforza, non il partito della 
pace. Più significativo di recenti dimo¬ 
strazioni a New York ed all’università 
di Chicago è il fatto che sono aumentati 
gli arruolamenti volontari c che quando 
si è trattato di votare crediti di guerra 
pochi senatori hanno seguito Waync 
Morse. 

Per la maggioranza degli americani sia 
la sconfitta che la vittoria significano 
guerra. Pace è invece il compromesso. E’ 
qui che i terzi possono esercitare un’azio¬ 
ne utile, se veramente per essi la pace 
è più importante della vittoria sia di una 
parte che dell’altra. Come avvenne già nel 
1953, malgrado Me Carthy e quando il 
nemico sembrava essere l’intero blocco co¬ 
munista, la pace senza vittoria verrebbe 
accolta entusiasticamente dalla nazione 
americana. In favore delle ostilità rimar¬ 
rebbe solo una piccola minoranza, influen¬ 
te sì ma non tale da poter a lungo deter¬ 
minare la politica degli Stati Uniti. A 
parte vecchia e nuova sinistra, pacifisti 
integrali e l’ala più profondamente uma¬ 
nitaria del protestantesimo americano, i 
più sono p>crsuasi che la vittoria — dei 
« cinesi » chè sulla propria pochi ci con¬ 
tano — non sarebbe che un armistizio; 
che la pace non può essere separata dal 
compromesso il quale a sua volta esige 
un equilibrio di forze. Non è da sorpren¬ 
dersi se nello Stato in cui Waync Morse 
è senatore la maggioranza del suo partito 
ha votato nelle primaries di maggio con¬ 
tro il suo candidato. 


MAX SALVADORI ■ 



Stati Uniti: le reclute 


L’ASTROUBIO - 12 giugno 1966 


21 













Agenda internazionale 


CAMBOGIA 


il re 
e 

il vietcong 

di J. F. STONE 



L a pace avvolge la Cambogia come 
una benedizione. Passare da Saigon a 
Pnom Penh è come passare dall’Inferno 
al Paradiso dell’Asia di sud-est. Nonostan¬ 
te la guerra, la rottura delle relazioni di¬ 
plomatiche ed i continui incidenti di fron¬ 
tiera, la Air Vietnam c la Royal Air Cam- 
bodge continuano ad effettuare voli tra 
le due capitali, a giorni alterni. In nessuna 
altra parte del mondo è possibile che una 
ora di volo separi due luoghi tanto con¬ 
trastanti. Atterrare nella capitale della 
Cambogia dopo otto giorni passati nello 
squallore e nella tensione di Saigon, si-* 
gnifica comprendere appieno quanto sia 
benefica una politica neutralista nell’Asia 
di sud-est. Da una parte un aeroporto scu¬ 
ro, sporco ed affollato dove i viaggiatori 
debbono aspettare per delle ore, mentre 
stanchi ed immusoniti Gl sfilano sotto i 
loro occhi; dall’altra un aeroporto bianco, 
pulito e tranquillo dove è difficile che si 
veda un’uniforme, ad eccezione dell’uffi¬ 
ciale di polizia addetto al controllo. 

Dirigendomi in macchina verso Pnom 
Penh, sono rimasto colpito dall’assolutd 
mancanza di posti di blocco e barricate, 
dalla pulizia dei larghi viali che portano 
alla capitale del Principe Sihanouk, dalle 
moderne case ad appartamend che circon¬ 


dano la città, dai prad ben tenud. Que¬ 
sta città rallegra l’occhio con i suoi giar¬ 
dini e le ampie strade, dopo il fastidioso 
disordine di Saigon. All’Hotel Royal co¬ 
perto di buganvillea, circondato di palme 
e dotato di una piscina, vasti atri ad aria 
condizionata, sono riuscito ad ottenere una 
magnifica camera al modico prezzo di S 
dollari per notte; nella tariffa è compreso, 
lusso grandioso, anche il bagno caldo. 

Mentre mi reco dall’albergo nel centro 
della città per pranzare, la notte splende 
sopra di me come velluto. Non ci sono 
aerei, non c’è pericolo che proiettili di 
mortai ed obici mi esplodano vicino. Fa¬ 
cendo una passeggiata dopo pranzo, mi è 
sembrato che tutta la popolazione si fosse 
riversata nelle strade per un giretto dopo 
la calura della giornata. I negozi sono 
aperti, i cinema fanno affari d’oro proiet¬ 
tando film all’italiana fatti ad Hong 
Kong. I bambini giocano sui marciapiedi, 
ma non chiedono l’elemosina come a Sai¬ 
gon. Nessuno mi tira la manica per ven¬ 
dermi la sorella. Non ci sono molesti gui¬ 
datori di cyclopus, ed i bar sono pochi. 
Nel grande mercato all’aperto al centro 
della città si vende di tutto, dai fiori 
ai fumetti in lingua francese o khmer. Un 
bianco che cammini in mezzo a questa 
gente sottile, di piccola statura e di colori¬ 
to più scuro dei vietnamiti, può andare 
perfettamente tranquillo. Mi son sentito 
più sicuro tornando all’albergo attraverso 
le zone residenziali male illuminate ed i 
parchi completamente bui, di quanto lo 
sarei stato a Washington. 

Nei tre giorni che ho trascorso in Cam¬ 
bogia sono rimasto affascinato c deliziato 
dalla felice mescolanza di tradizione e mo¬ 
dernità che caratterizza il regime del Prin¬ 
cipe Sihanouk. Nel grande complesso del 
Palazzo Reale, che è una piccola Versail¬ 
les asiatica, la Regina Madre mantiene sal¬ 
di i legami dd paese con la sua antica mo¬ 
narchia. Visitando con una gita organizza¬ 
ta gli edifici dd complesso costruiti in 
legno meravigliosamente scolpito e pia¬ 
strelle gialle ed azzurre, il visitatore può 
vedere la spada dell’incoronazione che ri¬ 
sale al VII secolo, l’alto trono dell’incoro¬ 
nazione sotto il baldacchino sacro a sette 
strati, il soppalco a due piani dal quale i 
monarchi salivano sugli elefanti reali, di¬ 
versi cannoni del XII secolo ed un picco¬ 
lo tesoro di gioielli della dinastia, conser¬ 
vati in vetrine. Dappertutto vi sono im¬ 
magini di Naga, il sacro serpente a sette 
teste di Visnù, ed effigi dd Buddha, nd- 
la mescolanza di religione buddista e bra- 
manesimo importata in questo paese tre 
secoli or sono dai commercianti e dai mis¬ 
sionari indiani. Da uno dei palazzi, posto 
ad un angolo dd parco, i gong e gli xilo¬ 
foni della scuola del balletto reale annun¬ 
ciavano la rappresentazione dd mattino. 


proibita ai visitatori come un serraglio 
orientale. 

A non più di un miglio di distanza, sul¬ 
le rive del Mekong, che scorre ampio e 
tranquillo, c’è un panorama dd tutto di¬ 
verso. In un’area da esposizione costruita 
in uno stile semplice e moderno, sono mes¬ 
si in mostra i risultati di dieci anni di 
sviluppo ( 1955 - 1965 ) sotto il movimento 
socialisu popolare creato dal Principe Si¬ 
hanouk. Un grafico a colori illustra: zero 
trattori nd 1955 , 1030 trattori nel 1965 . 
Il regime sostiene che il tasso di analfabe¬ 
tismo è solo dd 2 o 9 &, e che nd giro di un 
anno, grazie ad una campagna di inse¬ 
gnamento volontario (mi viene in mente 
la Cuba di Castro) nel paese non vi sa¬ 
ranno più analfabeti. Sembra che il socia¬ 
lismo popolare abbia stimolato l’iniziadva 
privata. I grafici mostrano un’impressio¬ 
nante espansione ddle imprese private e 
ad economia mista; il settore pubblico è 
più recente, c si limita in gran parte alle 



22 



















attività bancarie c di export-import; que¬ 
st ultimo è più che raddoppiato. Salta 
all occhio che gli Stati Uniti non sono 
compresi tra gli Stati che hanno accordi 
commerciali con la Cambogia, mentre vi 
sono la Cina, i paesi del blocco sovietico 
cd il Giappone; altri accordi commerciali 
sono stati conclusi con le due Germanie 
c le due Coree: esempio di neutralismo 
nel commercio come nella polidca. 

La politica di Sihanouk 

Dopo una settimana trascorsa nel Viet¬ 
nam meridionale, molto di ciò che viene 
considerato implicito altrove qui sembra 
nuovd. E’ un piacere potersi spingere in 
niacchina per una trentina di chilometri 
all’interno senza scorta armata e senza do¬ 
ver temere le mine ed i franchi tiratori. 
In Un villaggio modello, ci aspicttava un 
gnippo di ufficiali in camicia bianca, cal¬ 
zoni neri e cravatta nera. Alte palme da 



vano contro un cielo azzurro disseminato 
di nuvolette bianche. Un gruppetto di 
bambini giocava con la pompa di un nuo¬ 
vo pozzo mentre altri razzolavano insie¬ 
me alle oche e alle galline sotto le case 
col tetto di paglia costruite su palafitte. 
Con orgoglio, ci furono mostrati gabinetti 
all’aperto, un ospedale pulito anche se 
rudimentale con annesso dispensario, ed 
una scuola p>er ostetriche gestita da infer¬ 
miere dagli occhi brillanti, vestite di uni¬ 
formi bianche inamidate. Abbiamo anche 
ispezionato una scuola nuova dotata di un 
campo di giochi. Lasciato il villaggio, sia¬ 
mo passati davanti ad una stazione della 
Esso ed a due bonzi vestiti di arancione 
che passeggiavano per la strada con un pa¬ 
rasole bianco. Abbiamo veduto una diga 
costruita f)cr ottenere due raccolti di riso 
l’anno, iniziativa del tutto nuova in que¬ 
sto paese tranquillo che secondo lo stan¬ 
dard asiatico è sottopopolato, e dove fino 
ad oggi si usava dire: « Se cresce, — cioè 
sfxjntaneamente — perchè preoccuparsi di 
seminarlo? » Tornando verso Pnom Penh 
abbiamo visitato una meravigliosa pagoda 
illuminata come un albero di Natale con 
vivide luci rosse e verdi. Un bonzo, piut¬ 
tosto borioso, volle sapere quanti buddisti 
ci sono negli Stati Uniti; perse ogni in¬ 
teresse per la conversazione quando gli si 
disse che ce n’erano pochi. Le campanelle 
del tempio dolcemente squillanti nella 
brezza serale per tutto il giardino intorno 
alla pagoda, sono qualcosa che non potrò 
dimenticare. 

Il governante di questo regno, che ha le 
dimensioni dell’Oklahoma ed una popola¬ 
zione di cinque milioni di persone, ha 
dovuto sopperire alla debolezza militare 
con l’abilità politica. Facendosi strada tra 
le rivalità internazionali e le pressioni ri¬ 
voluzionarie, il Principe Sihanouk ha di 
gran lunga superato LBJ nell’arte del tira 
e molla. Il Principe salì al trono nel 1941 
a 18 anni, all’inizio del periodo più turbo¬ 
lento della sua storia. Riuscì a strappare 
l’indipendenza ai francesi prima della 
Conferenza di Ginevra, costrinse al ritiro 
gli invasori del Vict Minh e con uno scio¬ 
pero « seduto » di cinque ore a Ginevra 
ritardò la firma degli accordi di Ginevra 
finché Molotov e Chou En-Lai non accol¬ 
sero la sua richiesta di non neutralizzare 
la Cambogia come il Vietnam. Così ot¬ 
tenne di importare armi e stringere alle¬ 
anze difensive. A quell’epoca la Cambogia 
veniva considerata la più filo-occidentale 
tra le nuove nazioni dell’Indocina. Da al¬ 
lora il Principe Sihanouk ha dimostrato 
di essere straordinariamente abile. Venne 
ad un compromesso con i sentimenti re- 
pubblicani nel 1 ^ 5 , abdicando al trono 
in favore di suo padre; in tal modo ebbe 
mano libera per partecipare attivamente 
alla vita politica, cosa (he non poteva fare 


L’astrolabio - 12 giugno i966 



Sihanouk 

finché sedeva sul trono. Battè sul tempo i 
comunisti Icxrali entrando a far parte dei 
neutralisti di Bandung in cambio di pro¬ 
messe di « non interferenza » da parte del¬ 
la Cina comunista e dd Vietnam setten¬ 
trionale. Un mese dopo firmò il primo 
accordo di aiuti militari diretti USA. Nel 
corso dello stesso anno il suo partito « so¬ 
cialista popolare » ottenne r8o96 dei voti 
e tutti i 91 seggi dell’Assemblea Na¬ 
zionale. 

Se non fosse stato tanto intelligente, 

Sihanouk avrebbe potuto dire « L’ctat 
c est moi ». In effetti ora è come se fosse 
Luigi XIV, Tito e Harry Truman messi 
insieme. Nessuno è stato abile come lui 
nell’ottenere aiuti da tutte le parti. In pa¬ 
tria, (( Monsignore » è riuscito a conciliare | 

la monarchia con una facciata democrati¬ 
ca, i piani quinquennali e quel tanto di : 

« socialismo » da far perdonare la Cambo¬ 
gia se confonde Mosca con Pechino. A 
tempo perso scrive editoriali di prima qua¬ 
lità [)er la sua stampa in lingua francese J 

c canzoni popolari. In tutti gli annali | 

del governo, non c’è mai stato nessuno . n 
come lui. Diversamente che nel Laos e li 

nel Vietnam, nel suo paese non esiste la | 

guerriglia comunista. Questa è la ragione 
p<T cui l’ostilità USA nei suoi confronti j 

gli sembra tanto illogica. I comunisti ci¬ 
nesi hanno trattato Sihanouk con una j' 

«correttezza» sociale e politica intesa a di¬ 
mostrare che sono disposti a coesistere con ! 

i differenti regimi sociali che esistono alle I j 

loro frontiere. Ma gli USA si sono alleati j 

con gli antichi nemici della Cambogia — ' 

i Thai ed i Viet — e per mezzo della J 


L 











Agenda intemazionale 


CIA hanno cercato di eliminarlo. Vi è 
un movimento « Free Serei » diretto con¬ 
tro Sihanouk di cui le nostre Forze Sp>e- 
ciali si servono come guida e come stru¬ 
mento. Sihanouk, come tutti i cambogia¬ 
ni in generale, teme i vietnamiti, si tratti 
di comunisti o di anticomunisti. Il 6 mar¬ 
zo 1964 egli accusò Hanoi di essere k vaga 
come gli anglosassoni » in relazione alla 
richiesta di garantire le frontiere della 
Cambogia. Ma il Principe Sihanouk si è 
convinto che il Vietcong vincerà e che la 
salvezza del suo paese dipende dalle buo¬ 
ne relazioni con i ribelli e con Hanoi. 
« I nostri amici americani sono eccellenti 
organizzatori, tecnici brillanti ed ottimi 
soldati — disse tre anni fa — Ma il loro 
incontestabile realismo si arresta quando 
si arriva alle questioni politiche: a que¬ 
sto punto danno l’impressione di credere 
che il loro interesse consista nel compor¬ 
tarsi come ostriche ». 

La posizione cambogiana nei confronti 
della guerra vietnamita è stata espressa il 
22 aprile scorso da Réalités Cambodgien- 
nes, organo non ufficiale, in un’intervista 
con un certo Tram Minh Bach, sottote¬ 
nente dell’aviazione sud-vietnamita che 
aveva cercato asilo in Cambogia; aveva di¬ 
sertato dopo che il suo « consigliere » ame¬ 
ricano gii aveva fatto una ramanzina bru¬ 
tale ed insultante davanti ai suoi stessi 
uomini. Egli ha detto: «Gli americani 
si comportano come padroni e ci trattano 
come boys » — questo termine è spregia¬ 
tivo, e risale ai tempi del colonialismo 
francese. Quando gli è stato chiesto se 
avesse intenzione di arruolarsi nel Viet¬ 
cong, il sottotenente replicò di esser con¬ 
trario alla dominazione nel suo paese, co¬ 
munista o americana che fosse: u La po¬ 
litica del Principe Sihanouk, nazionalista 
ed indipendente, è la migliore che si pos¬ 
sa fare in questa regione — affermò — 
Egli difende il suo paese e nient’altro, e 
lo fa progredire in pace. Questo è un 
esempio sul quale tutti i patrioti vietnami¬ 
ti dovrebbero meditare ». 

Nella stessa edizione un editoriale non 
firmato illustrava una posizione neutrali¬ 
sta ancor più sottile. L’editoriale parlava 
delle dimostrazioni nazionaliste contro Ky 
svoltesi a Saigon ed Hué, capeggiate da 
Thich Tri Quang. Si metteva in ridicolo 
l’idea di libere elezioni « in un paese 
dove il governo controlla solo un quinto 
del territorio ed un quarto della popola¬ 
zione ». Si affermava che mentre i na¬ 
zionalisti sono stanchi della guerra, di¬ 
sgustati dalla dominazione americana ed 
ostili alla giunta militare di Saigon, sono 
tanto compromessi dal loro passato politi¬ 
co da temere le rappresaglie del FLN se 
gli americani se ne vanno. « In effetti tut¬ 
to quel che i nazionalisti di Hué, Danang 
c Saigon — proseguiva l’editoriale — vo¬ 


gliono è che gli USA permettano loro di 
sostituire il gruppo che attualmente de¬ 
tiene il potere mentre gli USA continua¬ 
no a proteggerli dal Vietcong ». L’edito¬ 
riale consigliava quindi ai veri naziona¬ 
listi di unirsi al FLN « in modo da con¬ 
trobilanciare l’influenza comunista e sal¬ 
vaguardare il futuro ». Quindi ricordava 
la Resistenza francese in cui i gollisti com¬ 
batterono a fianco dei comunisti: dopo la 
liberazione ciò permise ai non comunisti 
di « costituire un governo in cui i comu¬ 
nisti avevano un posto — ma niente di 
più ». L’editoriale affermava che è venu¬ 
to il momento di un’azione comune fra 
nazionalisti e comunisti per costituire un 
governo provvisorio che chiederebbe il ri¬ 
tiro degli americani. Concludendo l’edito¬ 
riale affermava : « Noi crediamo sincera¬ 
mente che gli americani, non avendo più 
una scusa giuridica per giustificare la lo¬ 
ro presenza, acconsentirebbero a questa ri¬ 
chiesta — ed in fondo a loro non dispia¬ 
cerebbe troppo por fine ad un’avventura 
che, se fosse portata sino in fondo, inevi¬ 
tabilmente si concluderebbe con un disa¬ 
stro per loro; e di questo gli americani 
già si rendono conto ». Secondo il punto 
di vista cambogiano, soltanto un’azione 
congiunta contro gli USA può impedire 
che i comunisti si impadroniscano del 
Vietnam c rendere possibile una soluzione 
neutralista. Tale punto di vista riflette 
lo scaltro successo dello stesso Principe 
Sihanouk, che è riuscito a sopraffare i co¬ 
munisti non combattendo contro di loro, 
ma costringendoli a scendere in campo. 

Avevo sperato, mentre mi trovavo in 
Cambogia, di riuscire a parlare con un 
rappresentante del FLN o almeno con 
Alfred Burchett, che segue la guerra dal¬ 
la parte dei ribelli. Burchett si trovava ad 
Hanoi, ma sono riuscito a farmi esporre 
le idee del FLN da un’altr^r persona in 
contatto con il Fronte, appena tornata da 
una zona di territorio controllata dal Viet¬ 
cong. 

« Non è vero che Pechino proibisca ad 
Hanoi di parlare della pace o che Hanoi 
lo proibisca al FLN — disse il mio infor¬ 
matore —. Il Fronte è libero di negoziare. 
Washington deve capire che il Fronte non 
è uno strumento di Pechino. Il Fronte ri¬ 
vendica esclusivamente a sé la rappresen¬ 
tanza del ptopolo sudvietnamita nel senso 
che non vi è nessun’altra forza organiz¬ 
zata con la quale si possa trattare. Al 
Fronte può unirsi qualsiasi gruppto, pur¬ 
ché sia sinceramente a favore delì’indiptcn- 
denza una volta finito l’intervento ame¬ 
ricano. La porta rimane sempre apterta ». 

Il mio informatore ha detto che questa 
è la ragione per cui il Fronte non ha mai 
costituito un governo provvisorio, anche 
se in tutto il Vietnam meridionale ha una 
amministrazione propria. Esso vuole, per 



la conquista finale, un governo che abbia 
la base più larga possibile. Non ha alcuna 
fiducia nelle elezioni; dubita che le ele¬ 
zioni vengano organizzate, e teme che se 
si faranno, saranno fasulle come quelle 
tenute sotto Diem. « E’ sbagliato pensare 
— ha detto il mio informatore — che il 
Fronte sia forte solo nei villaggi. In ogni 
missione, in ogni parte del governo, il 
Fronte ha la sua gente. Quando un sol¬ 
dato sudvietnamita ottiene una licenza di 
15 giorni per tornare a casa, nel villaggio 
dove è nato, prima passa da un ufficio 
del Fronte pier farselo timbrare ed assicu¬ 
rarsi così un lasciapassare. Quando gh 
autocarri vanno da Saigon a Mytho, otten¬ 
gono un lasciapassare dal governo sudviet- 
namita; ma fuori di Saigon sopra al Is' 
sciapassare viene stampata un’autorizza¬ 
zione del Fronte ». 

Il problema 
della successione 

« Il Fronte raccoglie tasse in ogni città, 
Saigon compresa. Sta già preparando 1 
piani per il mantenimento della legge c 
dell’ordine a Saigon per quando il gover¬ 
no cadrà ed esso riuscirà a conquistare il 
potere. Il FLN si rende conto che impe¬ 
dire i saccheggi e gli assassini sarà un pro¬ 
blema serio. Il giorno in cui Saigon verrà 
liberata, il Fronte sarà l’unica protezione 
degli americani. Sarà difficile questo com¬ 
pito di protezione in una città di 2 mi¬ 
lioni di {jersone piene d’odio. Il problema 
è ancor più grave perche da Saigon la leg¬ 
ge e la morale sono scomparse. Il giorno 
in cui l’autorità' passerà definitivamente 
nelle mani del Fronte, sarà un giorno di 
crisi; il Fronte ha già addestrato ed arma¬ 
to varie dozzine di persone pronte ad im¬ 
padronirsi del controllo ed a mantenere 
la legge e l’ordine. 

« Gli emissari USA vogliono negoziare 
una qualche forma di permanenza nel 
Vietnam meridionale. Si sbagliano. Do- 


24 













Agenda internazionale 


vranno andarsene come hanno fatto i 
francesi. Solo dopo che se ne saranno an¬ 
dati potranno avere relazioni commerciali 
negoziate tramite le vie diplomatiche, e 
discutere gli aiuti economici. Ma innanzi¬ 
tutto deve sparire qualsiasi traccia di do¬ 
minazione. 

« Il Fronte vuole una pwlitica estera 
neutrale. Considera la riunificazione co¬ 
me Un qualcosa appartenente ad un futuro 
lontano; in questo momento troppe sono 
le differenze e le difficoltà che l’ostaco¬ 
lano. La p>olitica interna sarà socialista, ma 
non come quella della Cina o del Vietnam 
settentrionale; sarà un’altra di quelle for¬ 
me di socialismo asiatico che si presenta 
tn tante varianti in questa regione del 
mondo. Gli USA debbono rendersi conto 
che questa è una lotta per l’indipendenza 
non Una guerra di aggressione. Secondo 


il Fronte, Thich Tri Quang è un uomo 
del Medioevo che in qualche modo vuole 
tenere le truppe USA nel Vietnam meri¬ 
dionale. Il Fronte vuole un Vietnam me¬ 
ridionale davvero indipendente; anche 
l’idea di Ho Chi Minh di un’unione fe¬ 
derale è qualcosa che appartiene al fu¬ 
turo ». 

Il FLN considera la Conferenza del Po¬ 
polo Indonesiana come il possibile germe 
di una più ampia confederazione neutra¬ 
lista che potrebbe un giorno unire il Viet¬ 
nam meridionale, il Laos e la Cambogia. 
Il Principe Sihanouk è dello stesso avvi¬ 
so. L’anno scorso la Conferenza riunì 
rappresentanti neutralisti e del Fronte co¬ 
munista del Vietnam settentrionale e me¬ 
ridionale, del Laos e della Cambogia. Era¬ 
no presenti anche i neutralisti sudvietna¬ 
miti esiliati in Francia. Tra breve la Con¬ 


ferenza aprirà un ufficio a Pnom Penh, 
che in futuro potrebbe in qualche modo 
partecipare ai colloqui di pace. La recente 
visita a Mosca compiuta dal re del Laos 
e dal suo Primo Ministro Principe Sou- 
vanna Phouma, cui è stata fatta ben poca 
pubblicità, indica che anche loro conti¬ 
nuano a pensare secondo una linea neu¬ 
tralista. Il governante della Cambogia ri¬ 
tiene che il comuniSmo possa asser conte¬ 
nuto solo con la pace e la p>olitica. Per 
dodici anni gli USA hanno cercato di 
farlo con la dittatura militare, la repres¬ 
sione e la guerra. Oggi il Vietcong è più 
forte che all’inizio. Dopo dodici anni, il 
successo della Cambogia ed il nostro fal¬ 
limento, il progresso della Cambogia e le 
sofferenze del Vietnam, dovrebbero basta¬ 
re ad indicare quale sia la strada giusta. 

I. F. STONE ■ 


CO NGO 

la giustizia 
di Mobutu 


C on un fulmineo processo, e con 
l’esecuzione dei quattro principali 
responsabili, il gen. Mobutu ha sventa¬ 
to un complotto contro la sicurezza 
dello Stato. Fra i condannati erano l’cx- 
primo ministro Kimba, destituito dal¬ 
lo stesso Mobutu il 25 novembre scor¬ 
so con un colpo di Stato, e Anany, che 
aveva fatto parte con Mobutu del co¬ 
siddetto « grupp» di Binza », ossatura 
del governo Adula. Secondo la versio¬ 
ne delle autorità congolesi, il complot¬ 
to sarebbe stato organizzato di concer¬ 
to con i servizi segreti occidentali, ed 
in particolare con l’ambasciata belga: 
il gen. Mobutu ha tentato apertamen¬ 
te di collegare la congiura di Kimba 
con la tensione in atto da tempo fra 
Bruxelles e Kinshasa (nuova denomi¬ 
nazione di Léopoldville), originata da 
certi atteggiamenti di « autonomia » 
del governo congolese sgraditi ai cir¬ 
coli finanziari ed economici belgi. La 
tragica cerimonia dell’esecuzione di 
Kimba e dei complici avrebbe dovuto 
sanzionare così, nelle intenzioni del 
presidente congolese, la sua coerenza 
« nazionale », contro i revascismi nep¬ 
pure nascosti dall’ex-potcnza colo¬ 
niale. 

Come sempre, la versione delle auto- 



Mobutu 


rità congolesi permette un margine di 
dubbio sulla sua veridicità. Nonostan¬ 
te l’asserita confessione degli accusati. 
Ma non è sulle prove del complotto 
che deve vertere il più fermo dissenso 
per ciò che è avvenuto a Kinshasa, 
qualunque sia la giustificazione « ideo¬ 
logica » : nessuna cojjcrtura « anti<o- 
loniale » può infatti cancellare l’im¬ 
pressione che sia stato compiuto un 
crimine, di cui il Congo e l’Africa 
non potranno non patire le conse¬ 
guenze. Perchè, pur senza contestare 
il diritto alla difesa di ogni regime, la 
« giustizia » presume sempre una « le¬ 
galità ». 

Nel Congo non esiste più — se mai 
è esistita — una legalità: e in queste 
condizioni è aberrante una condanna 
a morte per dei delitti politici, persino 
per il più grave quale il complotto 


contro il governo in carica. Nel Con¬ 
go &I 0 due strade si ponevano c si 
pongono per la riconquista della le¬ 
galità : la « via rivoluzionaria », ten¬ 
tata senza fortuna dal movimento po¬ 
polare nel 1964 , che non riuscì a so¬ 
stenere militarmente e molto di più 
politicamente la sua prospettiva di ri¬ 
generazione integrale, o la « stabiliz¬ 
zazione » effettiva di un potere auten¬ 
ticamente nazionale. Se la prima stra¬ 
da è fallita, e momentaneamente ac¬ 
cantonata, è certo prematuro dire che 
Mobutu abbia realizzato la seconda. 
Le vere intenzioni delia sua azione di 
presidente, per molti motivi contrad¬ 
dittoria, sono ancora oscure e nessun 
giudizio conclusivo è ancora possibile, 
ma le esecuzioni del 2 giugno, in pie¬ 
no clima di transizione, sono destina¬ 
te a pesare negativamente. Qualunque 
fosse il grado di corresponsabilità di 
Kimba con i piani del Belgio, un si¬ 
mile recupero della « dignità » nazio¬ 
nale non promette evoluzioni incorag¬ 
gianti: e ci si aspetta che i nazionali¬ 
sti veri si dissocino dal generale-presi¬ 
dente. Al più, i eondannati sono stati 
degli strumenti, gli strumenti di quella 
stessa politica che si è già servita in 
passato di Ciombe e dello stesso Mo¬ 
butu. Il dramma di Kinshasa, del re¬ 
sto, diventa lugubramente grottesco 
quando si ricordi che Mobutu ha man¬ 
dato a morte per un complotto contro 
il governo colui che egli stesso ha ro¬ 
vesciato dal governo, mentre attendeva 
il voto del parlamento, con un colpo 
di Stato militare. 

G. C. N. 


L'astrolabio ■ 12 giugno i966 


25 





























Agenda internazionale 


S. DOMINGO 

la vittoria 
deirequlvoco 


S febbralo '66. Gii studenti dciruni- 
versità di S. Domingo invadono le 
strade che circondano il palazzo del Go¬ 
verno. Volti tesi, grida e corpi che spin¬ 
gono verso gli sbarramenti di poliziotti. 
I cartelli, alti sopra le teste, incitano alla 
difesa del consiglio universitario che Go- 
doy ha tentato di neutralizzare. I mitra 
della polizia sparano. Bilancio: 6 morti 
e 45 feriti. La popolazione della capitale 
si riversa nelle strade. Scatta lo sciopero 
generale, Juan Bosch chiede ai suoi soste¬ 
nitori di aderirvi. Il movimento di piazza 
si espande. La folla attacca le caserme. 
I morti da 6 passano a 30. I feriti da 45 
a 130. Bosch ha un attimo di perplessità. 
Teme forse di veder la ribellione trasfor¬ 
marsi in moto rivoluzionario. E in questo 
caso non sarebbe probabilmente capace di 
fermare la mano alla sinistra dominicana 
{Movimiento 14 de Julio, Partito Socialista 
Popular e Movimiento Popular Domini¬ 
cano) che preme per dare soluzioni più 
radicali alla crisi che avvolge da un anno 
l’isola caraibica. Prende la parola alla 
televisione e chiede la cessazione dello 
sciopero. Invita il popolo ad obbedire al 
Presidente provvisorio Garcia Godoy af¬ 
fermando che questi ripristinerà l’ordine 
c preparerà le cleziohi di giugno. 

17 marzo. L’ambasciatore USA a San 
Domingo, William Bcnnet e il rappre¬ 
sentante della commissione di pace del- 
rOSA, Ellsworth Bunker, chiedono ed 
ottengono un colloquio con Juan Bosch. 
Nel corso del pour-parler, i due inviati 
statunitensi promettono l’appoggio finan¬ 
ziario degli Stati Uniti, a S. Domingo, 
anche nei caso di una sua vittoria eletto¬ 
rale (una vittoria che sembrava, fino a 
p)ochi giorni fa, più che certa). Non sap¬ 
piamo che cosa rispose, in quell’occasio¬ 
ne, « E 1 viejo », (così i dominicani chia¬ 
mano affettuosamente Bosch). Se cioè ac¬ 
cettò o ricusò la larvata, c nello stesso 
tempo, pesante « offerta » americana. Una 
cosa però è certa: la posizione di Bosch 
ha assunto man mano, nei giorni prece¬ 
denti la consultazione elettorale, una colo¬ 
razione sempre più smorzata arrivando al 
rifiuto totale di ogni appoggio da parte 
dei partiti delia sinistra marxista e castri- 

Balaguer 


sta e a sommesse riajjcrture verso gli USA. 

Giunge la scadenza elettorale. Vince il 
candidato ufficiale degli USA, l’ex mini¬ 
stro di Trujillo, Joaquin Balaguer, con 
754.409 voti contro i 517.784 del grande 
favorito Juan Bosch. Il risultato sorprende 
tutti gli osservatori politici. Lo stesso New 
Yor/f^ Times del 5 giugno non può fare 
a meno di domandarsi come abbia fatto 
« Joaquin Balaguer, il non affascinante 
ex ministro di Trujillo, ad ottenere il 
58,5 % dei voti in questa contesa che lo 
vedeva di fronte al carismatico Juan 
Bosch ». 

Nelle due date, 9 febbraio e 17 marzo, 
sono forse racchiusi alcuni perchè della 
imprevista sconfitta elettorale del « viejo » 
(oltre alle irregolarità che sembrano iver 
soffocato le operazioni di scrutinio). Da 
un lato la pesante pressione statunitense 
che si è estrinsecata sia con la presenza 
fisica dei marines e delle truppe intera¬ 
mericane deU’OSA, che con la più sub¬ 
dola operazione del ricatto bonario portato 
avanti a fior di labbra nei corridoi delle 
ambasciate e nella fresca penombra delle 
residenze dei leaders. Ed è questa secon¬ 
da « presenza » statunitense che ha forse 
determinato, in parte, il 17 marzo, con le 
proposte dell’ambasciatore William Ben- 
nct, l’atteggiamento politicamente sfuma¬ 
to ambiguo, del Bosch preelettorale. Dal¬ 
l’altro lato il fondamentale moderatismo 
dell’ex Presidente dominicano che gli ha 
impedito di cogliere il senso vero sia del 
moto popolare del 9 febbraio che spingeva 
verso sinistra, che della ribellione costi¬ 
tuzionalista di Caamano. Ed è anche que¬ 
sta sorta di miopia moderata che ha spinto 
« E 1 viejo » nelle secche pericolose rappre¬ 
sentate da una, sia pur timida, « apertu¬ 
ra » verso gli USA (pericolose se si tiene 
conto del clima di odio znù-yanltees, spes¬ 
so truculento e difficilmente comprensi¬ 
bile per un europeo, che da un anno con¬ 
diziona tutta la vita politica dominicana). 



Brogli elettorali a parte, quindi, la scon¬ 
fitta politica di Bosch sembra essere stata 
seriamente determinata da queste due im¬ 
portanti componenti — pressione USA c 
ritorno moderato ddl’cx Presidente domi¬ 
nicano dopo le intransigenti ed esaspera¬ 
te p>osizioni prese nel corso del ’65 — 
che non possono non aver influenzato 
l’esito del confronto tra Bosch e Balaguer. 
E’ infatti del tutto errato pensare che la 
presenza fisica statunitense abbia inco¬ 
raggiato gli autori degli innegabili brogli 
elettorali? Ed è forse sbagliato credere 
che il ricatto bonario ma pesante dei rap¬ 
presentanti di JtAnson nell’isoJa caraibica, 
abbia riscoperto l’istinto moderato di 
Juan Bosch? Ed c veramente del tutto as¬ 
surdo f>ensare che l’ammorbidimento della 
politica preelettorale del « viejo » abbia 
scoraggiato, f)er la sua ambiguità, molti 
potenziali elettori di sinistra, non del tutto 
qualificati, che hanno preferito a questo 
punto puntare sul vero cavallo degli USA 
piuttosto che su un cavallo ambiguo? 
Queste ipotesi ci sembrano valide. Spiega¬ 
no infatti, in parte, la sconfitta elettorale 
del candidato delle sinistre dominicane 
(dalla stessa Ciudad Nueva, roccaforte dei 
costituzionalisti durante la guerra civile, 
sono scaturiti molti suffragi per Balaguer). 

Ed ora l’atmosfera di S. Domingo torna 
a scaldarsi. Bosch sembra prepararsi ad un 
nuovo, volontario, esilio. Il fronte coagu¬ 
lato dall’ex Presidente si sta sfaldando. 
Jottin Cury e Hector Aristy, due vecchi 
membri dell’équipe di Caamano, hanno 
formalmente rotto con il leader domini¬ 
cano. Il Movimiento 14 de julio e il Par- 
tido Social-cristiano, le due principali for¬ 
mazioni politiche raccoltesi intorno a 
Bosch, sembrano risolute a rilanciare le 
agitazioni. La centrale sindacale « Frente 
Unido de los Trahajadores » si prepara 
allo sciopero generale. Il PRD (Partido 
Revolucionario Dominicano) chiede l’in¬ 
validamento delle elezioni. 

Balaguer, da parte sua, afferma (il 6 
giugno) che le truppe dell’OSA dovranno 
rimanere in territorio dominicano anche 
dopo l’insediamento del nuovo governo. 
Le forze antagoniste si muovono con sem¬ 
pre più decisione. Circa l’affermazione di 
Balaguer, Marcel Nicdergang ha scritto: 

« La vittoria di questo uomo di 60 anni, 
debole ma ostinato, è quella della stan¬ 
chezza e dell’equivoco ». Ed è in questo 
equivoco che probabilmente si consumerà 
la morte politica di Bosch. Non è impro¬ 
babile un ritorno alla guerra civile. E « El 
viejo » appare l’uomo tutt’altro che adatto 
a guidarla. A questo punto viene spon¬ 
taneo alla mente un interrogativo: che 
farà Caamano? 

















economia 



Carli 


RELAZIONE CARLI 

la linea della cautela 

di PAOLO SYLOS LABIKI 


I n tutti i paesi eurojjei, ma sp>ecial- 
mente in Italia, negli ultimi anni sono 
andate crescendo le richieste di capitali 
3 lungo termine, sia da parte delle im¬ 
prese sia da parte dello Stato e degli 
enti pubblici, più rapidamente del red¬ 
dito nazionale c più rapidamente della 
disposizione del pubblico a sottoscri- 
'^ere titoli, ai saggi correnti dell’inte¬ 
resse. Per evitare l’aumento dei saggi 
dell’interesse, le autorità monetarie 
nanno indotto le banche ad assorbire un 
Volume crescente di titoli, accettando il 
conseguente accrescimento dei mezzi 
•rionetari. Negli ultimi due anni si è 
trattato soprattutto di titoli a reddito 

L ASTROLABIO - 12 giugno 1966 


fisso, sia perchè le richieste di finan¬ 
ziamento a lungo termine provenivano 
in gran parte dallo Stato e dagli enti 
pubblici, sia perchè le imprese hanno 
potuto emettere un volume modesto di 
azioni, principalmente a causa della li¬ 
mitata capacità di assorbimento della 
Borsa. 

Nel 1965 l’assorbimento di titoli da 
parte delle banche è ulteriormente au¬ 
mentato e minaccia di divenire impo¬ 
nente nel corso di quest’anno, poiché 
lo Stato e gli enti pubblici, a causa 
del forte aumento delle spese correnti, 
devono ricorrere al credito sia a breve 
sia a lungo termine non solo per finan¬ 


ziare i loro investimenti ma anche per 
coprire i disavanzi. 

Siamo giunti — dice il dottor Carli 
— ad un punto pericoloso: se vera¬ 
mente le autorità monetarie acconsen¬ 
tissero a far assorbire dalle banche tut¬ 
te le obbligazioni che lo Stato e gli enti 
pubblici, compresi gli istituti speciali di 
credito, devono emettere per finanzia¬ 
re gl’investimenti e coprire i disavanzi, 
e che i privati non sono disposti a sot¬ 
toscrivere, si avrebbe una creazione ad¬ 
dizionale di mezzi liquidi talmente 
grande da rendere impossibile la stabi¬ 
lità dei prezzi. Tuttavia, data l’ineffi¬ 
cienza delle autorità politiche — dice 
in sostanza Carli — è poco probabile 
che tutti i progetti di legge che preve¬ 
dono spese da finanziare sul mercato 
vengano effettivamente presentati al 
Parlamento ed approvati entro que¬ 
st’anno. In ogni modo, le pubbliche 
autorità dovranno procedere alle emis¬ 
sioni solo quando sono pronte per la 
esecuzione delle opere e non prima. 
Con riferimento a un orizzonte tem¬ 
porale più lungo, è essenziale che lo 
Stato proceda in modo ordinato alla 
formulazione ed alla esecuzione di pro- 


27 















Economia 


WARBURG 

LA RINASCITA 
DEL PAGANESIMO 
ANTICO 

CONTRIBUTI ALLA STORIA DELLA CULTURA 

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sensibilità psicologica e geniale padronanza del ma¬ 
teriale che hanno assicurato al Warburg un posto 
particolare tra i grandi storici dell’arte. Prefazione di 
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ECONOMICA E SOCIALE 
DEL MONDO ELLENISTICO 

La vita del mondo greco e dei territori a cultura mi¬ 
sta. greco-scitica, greco-iranica ecc. Come sia stato 
ellenizzato l'Oriente e come la classe dirigente el¬ 
lenistica si sia poi data ai Romani. Un affresco an¬ 
cora più grandioso della Storia economica e sociale 
dell’Impero romano. Volume I, rilegato L. 8000 

La Nuova Italia 

N. I. Bucharin 

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E L’IMPERIALISMO 

Un classico del marxismo, una guida al presente. Edizioni Sa- 
monà e Savelli. L. 2000 

Emanuele Artom 
DIARI 

Gennaio 1940 - lebbario 1944. « Quando la sventura ci colpi, 
alcuni ci abbandonarono, altri furono colti dalla più nera dispe¬ 
razione noi rnvece siamo fermi e pazienti, perché sappiamo 
che pericoli e danni maggiori affrontarono, senza cedere, i nostri 
antenati ». L. 1500. 

John Dewey 

LA RICERCA 
DELLA CERTEZZA 

STUDIO DEL RAPPORTO 
TRA CONOSCENZA E AZIONE 

Un sistema di pensiero capace di interpretare le conclusioni 
della scienza e le loro conseguenze sugli scopi e sui valori 
della nostra vita. Presentazione di Aldo Visalberghi. L. 3000. 
rii. L. 3500 


getti che implichino spese fuori bilan¬ 
cio; ed è essenziale che freni l’aumen¬ 
to delle spese correnti, dando la prefe¬ 
renza alle spese d’investimento in infra¬ 
strutture fondamentali per lo sviluppo 
economico e civile del paese. 

Questi sembrano i punti centrali 
della relazione del dottor Carli. All’ori¬ 
gine v’è una questione apparentemente 
tecnica (il modo di soddisfare le cre¬ 
scenti richieste di prestiti a lungo ter¬ 
mine); in realtà, tale questione investe 
problemi fondamentali di politica eco¬ 
nomica, anzi di politica generale: la 
spesa pubblica, l’andamento dei salari, 
il pericolo che gruppi esteri riescano ad 
assicurarsi il controllo di im numero 
crescente di imprese nazionali. 

Consideriamo uno per uno questi 
problemi, mettendo in rilievo le con¬ 
nessioni con la questione, apparente¬ 
mente tecnica, dei prestiti a lungo ter¬ 
mine. 

La spesa pubblica. Su alcuni dei mo¬ 
niti espressi da Carli si può essere com¬ 
pletamente d’accordo. Si può essere 
d’accordo sulla esigenza che lo Stato e 
gli enti pubblici non ricorrano al mer¬ 
cato creditizio per coprire i disavanzi; 
che essi debbano contenere l’aumento 
delle spese correnti e ricostituire il ri¬ 
sparmio pubblico, oggi ridotto a zero; 
che essi debbano invece dare la prefe¬ 
renza a spese d’investimento. 

Occorre tuttavia esprimere due riser¬ 
ve. In primo luogo, non è sufficiente- 
mente chiarito e documentato nella re¬ 
lazione il modo con cui si giunge alla 
stima della spesa pubblica da coprire 
con prestiti a breve e a lungo termine, 
nè, in particolare, è indicato come s> 
giimge alla stima del fabbisogno di cre¬ 
dito a lungo termine — 1400 miliardi 
di titoli di Stato ed altri 1600 miliardi 
di obbligazioni per l’ENEL, le imprese 
a partecipazione statale e gli istituti 
speciali di credito. G)sl che rimp| 0 - 
nente totale di 3000 miliardi di emis¬ 
sioni nette di titoli a reddito fisso, è 
una stima che non può essere accolt* 
senza una particolareggiata analisi cri¬ 
tica. Indipendentemente dalla mancata 
approvazione di certe leggi, la stima 
dei fabbisogno pubblico di crediti 8 
breve e a lungo termine (2300 miliardi) 
appare eccessiva, come appare eccessiva 
la stima del fabbisogno pubblico da co¬ 
prire con crediti a lungo termine ( 1400 
miliardi) rispetto a quella — risultante 
per differenza — da coprirsi con cre¬ 
diti a breve. 

Seconda riserva. E’ giusto sostenere 
che, nelle attuali condizioni, le auto¬ 
rità pubbliche debbano procedere a 
nuove emissioni solo quando sono pron- 


28 















Economia 


te a spendere effettivamente i fondi, 
per non creare un inutile ingombro nel 
mercato finanziario. Ma è necessario 
mettere bene in chiaro che nessuna re¬ 
mora sarà frapposta dalla autorità mo¬ 
netaria alle emissioni di titoli; ed è 
anche necessario mettere bene in chiaro 
che quella quasi-previsione circa la 
mancata approvazione entro l’anno del- 
leggi sul secondo Piano Verde e, 
particolarmente, sull’edilizia scolastica 
e solo una quasi-previsione, giusta o 
sbagliata che sia, e non un mezzo invito 
al rinvio. 

C’è infine un quesito più ampio, che 
non riguarda solo la questione della 
spesa pubblica: è certo che emissioni 
dell’ampiezza sopra indicata « potreb¬ 
bero avvenire soltanto sulla base di una 
creazione di liquidità maggiore di quel¬ 
la sufficiente ad assicurare nell’anno in 
corso il previsto sviluppo del reddito 
m condizioni di soddisfacente stabilità 
dei prezzi »? I dati relativi all’anno 
scorso e al primo trimestre di quest’an¬ 
no sulla creazione di mezzi liquidi da 
parte del sistema creditizio sembrano 
micare che, nonostante le notevoli 
esigenze del Tesoro, nonostante il so¬ 
stegno delle emissioni di titoli a reddi¬ 
to fisso, e nonostante il forte surplus 
della bilancia dei pagamenti, la creazio¬ 
ne di mezzi liquidi addizionali ha avuto 


e sta avendo luogo ad un saggio molto 
moderato, grazie soprattutto alle ope¬ 
razioni creditizie sui mercati interna¬ 
zionali promosse proprio per questo 
scopo dalla banca centrale. V’è anzi il 
sospetto che, in questa linea, vi sia 
stato un eccesso di cautela. Vero è che, 
ciò nonostante, nell’anno scorso e nei 
primi mesi di quest’anno i prezzi ai 
minuto hanno continuato ad aumenta¬ 
re, sia pure a un tasso moderato. Ma 
è essenziale riconoscere che un tale 
aumento non è dipeso e non dipende 
da un’eccessiva creazione di mezzi li¬ 
quidi, nè da eccessive spese pubbliche: 
ci sono altri fattori in gioco, che ope¬ 
rano indipendentemente da quelle spin¬ 
te (principalmente: andamento delle 
produzioni di certi prodotti agrari; fit¬ 
ti; margini distributivi). 

L’aumento dell’indebitamento a lun¬ 
go termine delle imprese attraverso ob¬ 
bligazioni dipende, secondo la relazione, 
principalmente dalla riduzione dei mar¬ 
gini di profitto e dalla conseguente 
flessione dell’autofinanziamento, che ha 
avuto luogo negli anni 1962-1964, co¬ 
me conseguenza del forte aumento dei 
salari. Nella relazione si riconosce che 
nel 1965 il peggioramento dei margi¬ 
ni lordi di profitto si è arrestato, e c’è 
stato un certo miglioramento, in segui- 



G)STA 


Un freno 
allo sviluppo 

La stasi non c durata a lungo: l'indu¬ 
stria riprende a « tirare » c l’indice dei 
prezzi airingrosso a salire. 1 prodotti 
agricoli hanno segnato forti incrementi, 
sono stati quelli industriali a far crescere 
dello 0,3 per cento l’indice dei prezzi 
all’ingrosso in aprile rispetto a marzo. 
Ed è sempre ad essi che si deve l'aumen¬ 
to, dell’aprile scorso suiraprile del '65, 
del 2,9 per cento. Aumento che, bilan¬ 
ciato dalla stasi e persino dal regresso, 
per certe voci, segnate nei tre mesi pre¬ 
cedenti, fa sì che l’incremento dei prezzi 
all’ingrosso del primo quadrimestre di 
quest’anno sia solo del 2,5 rispetto al 
primo quadrimestre dell’anno scorso.. 
La domanda di beni per la produzione 
si riattiva e le industrie di base possono 
passare al « recupero » : in che misura 
lo si sente e lo si sentirà sul costo della 
vita? 

Grazie ad una serie di fattori (maggior 
resa del lavoro: in presenza di una di¬ 
minuzione delle ore di lavoro e soprat¬ 
tutto dell’occupazione il prodotto lordo 
del’industria è salito da 224,8 a 231,8; la 
disoccupazione ha frenato la dinamica 


salariale cosicché i redditi da lavoro nel¬ 
l’industria sono passati soltanto — tasso 
M'americana — da 342,5 a 344,9; il co¬ 
sto di lavoro per unità di prodotto ha 
subito quindi un decremento, ma grazie 
anche alla fiscalizzazione degli oneri so¬ 
ciali, da 152,4 a 148,8) grazie dunque 
a questa fenomenologia l’industria italia¬ 
na ha potuto procurarsi i mezzi d’investi¬ 
mento. L’occupazione tenderà dunque a 
salire, in virtù di investimenti, nei pros¬ 
simi mesi. La « domanda » tornerà a 
farsi maggiore. 

Nel 1962 la domanda globale fu pari a 
30 mila miliardi di lire, l'anno scorso 
a 40 mila (in lire correnti, cioè a valori 
riflettenti i prezzi dei due distinti anni). 
La produzione invece (ma a prezzi co¬ 
stanti: cioè in valore fisico o reale che 
dir si voglia) passò solo da 33 a 37 mila 
miliardi. La conseguenza fu l’aumento 
del costo della vita. Siamo alla vigilia 
di un ripetersi del fenomeno. 1 prezzi 
al consumo e il costo della vita sono 
cresciuti anch’essi in aprile, come quelli 
all’ingrosso, dello 0,3 per cento. E ciò 
in conseguenza del fatto che i prezzi al 
minuto sono lievitati dello 0,2 e quelli 
dei « servizi » dello 0,5. 

11 fatto è che il sistema di distribuzione 
italiano non ha alcun margine di ela¬ 
sticità e ogni minimo aumento dell’in¬ 


grosso si ripercuote sul minuto e subito 
dopo, quindi, sul costo della vita. A ciò 
concorre anche il fatto che è già in fase 
di crescita (dati ISTAT) il capitolo « abi¬ 
tazione ». Dire perciò che l'Italia si tro¬ 
va agli ultimissimi posti nella scala in¬ 
temazionale degli aumenti del costo della 
vita verificatisi tra i mesi di marzo del¬ 
l’anno scorso e di quest’anno, è conso¬ 
larsi col fumo deU’arrosto. 

Gli Stati Uniti ad esempio hanno visto, 
nello stesso tempo, aumentare il costo 
della vita (fatto per loro eccezionale) del 
2,7 (noi del 2,6): ma il loro tasso di 
aumento all’ingrosso è stato però del 4 
per cento, contro un nostro tasso d’au¬ 
mento del solo 2,4. Quel sistema cioè 
ha un margine di recupero, tra i due 
prezzi, dovuto all’aumento di produttività 
della distribuzione. E’ cresciuto cioè il 
prezzo all’ingrosso in conseguenza di 
un aumento della domanda, assai meno 
quello al consumo (dove pure si riper¬ 
cuote direttamente la domanda). Che è 
stato fatto in Italia in questi anni per 
modernizzare le nostre strutture distri¬ 
butive? Non appena l’elemento positivo 
della domanda di beni finali di consumo 
tornerà a ingrossarsi, il minuto si get¬ 
terà a un « recupero » assai più alto 
di quello che, nell’industria e nell’agri¬ 
coltura, si verifica per l’ingrosso. g 


l-'ASTROUBIO - 12 giugno 1966 


29 




















Economia 


to alla fiscalizzazione degli oneri socia¬ 
li; ma si osserva che è tuttora molto 
pesante la situazione debitoria delle im¬ 
prese e che « l’entità degli oneri finan¬ 
ziari di cui le imprese sono gravate 
limita la loro disp>osizione a realizzare 
nuovi investimenti ». 

Rianimare la Borsa. Ora bisogna os- 


UNIVERSALE 
LATERZA UL 



Padroni 
del vapore 
e fascismo 

Ernesto Rossi 

lire novecento 

UNIVERSALE 
LATERZA UL 


servare che nel 1965, soprattutto negli 
ultimi mesi, ha avuto luogo un miglio¬ 
ramento dei margini di profitto non 
solo f)er la fiscalizzazione degli oneri so¬ 
ciali, ma anche perchè il prodotto ora¬ 
rio per addetto è cresciuto di giù dei 
salari orari di fatto (la relazione fa rife¬ 
rimento solo al prodotto e al salario 
per addetto). Bisogna inoltre osservare 
che la pressione salariale quest’anno 
risulta relativamente debole: molto 
probabilmente, nell’intero anno, pur te¬ 
nendo conto degli aumenti dei salari 
contrattuali che risulteranno dai rinno¬ 
vi in corso e dei probabili scatti della 
contingenza, nell’industria gli aumenti 
dei salari di fatto orari non supereran¬ 
no gli aumenti del prodotto orario. Se 
questa prospettiva è fondata; se è vero 
che le imprese sono disposte a ricor¬ 
rere assai più a emissioni obbligazio¬ 
narie che a emissioni azionarie a causa 
dello stato depresso della Borsa e del¬ 
la sua limitata capacità di assorbimen¬ 
to; si può trarre la conclusione che 
conviene studiare tutti i mezzi appro¬ 
priati per rianimare la Borsa, non solo, 
come si afferma nella relazione, con in¬ 
novazioni legislative, come l’istituzio¬ 
ne di fondi d’investimento — innova¬ 
zioni certamente utili, ma non realizza¬ 
bili in brevissimo tempo — ma anche 
con altri mezzi. Non sembra che una 
eventuale espansione di mezzi liquidi, 
risultante indirettamente da interventi 
di sostegno, costituisca un ostacolo in 
questa direzione. 

L’opportunità di rianimare la Borsa 
risulta anche dalla giusta considerazio¬ 
ne espressa nella relazione a proposito 
dell’afflusso di capitali stranieri in 
Italia: 

« Imprese nelle quali è basso il rap¬ 
porto dei capitali investiti, sono più 
soggette al pericolo di impossessamen¬ 
to da parte di stranieri, ai quali i con¬ 
tributi statali di cui le imprese siano 
beneficiarie offrono ulteriore stimolo ». 
« In altra circostanza — continua il 
dottor Carli modificando, con apprez¬ 
zabile rettitudine, up suo giudizio pre¬ 
cedente — abbiamo dichiarato di cre¬ 
dere nella opportunità che si stabili¬ 
scano rapporti di collaborazione fra le 
imprese italiane e quelle degli altri pae¬ 
si, alla condizione che ne derivino am¬ 
pliamenti dei mercati e introduzione di 
nuove tecnologie; ma quando si tratti 
di assoggettamenti derivanti dalla faci¬ 
lità con la quale si acquisisce il con¬ 
trollo di imprese oberate di debiti, con¬ 
dividiamo le apprensioni di quanti con¬ 
siderano questo fenomeno non confor¬ 
me all’interesse generale ». 

Un,mercato finanziario più ampio e 
più dinamico, non solo nel settore ob¬ 


bligazionario, ma anche in quello azio¬ 
nario, potrà ridurre il pericolo di cui 
parla Carli. Nel i>eriodo più lungo, un 
importante contributo a questo amplia¬ 
mento e rafforzamento potrà esser dato 
dall’istituzione dei fondi d’investimen¬ 
to, che si ricollega alla riforma delle 
società per azioni, una riforma che, in¬ 
sieme con altre, da tanto tempo atten¬ 
diamo. Chi scrive è pienamente d’ac¬ 
cordo con le considerazioni svolte da 
Carli su tale riforma; le principali inno¬ 
vazioni auspicate coincidono fn gran 
parte con quelle più volte proposte da 
uomini che aderiscono al Movimento 
Salvemini. 

La funzione del settore pubblico. 

Non sono invece d’accordo col punto 
di vista espresso da Carli, verso la fine 
della relazione, sulla funzione da asse¬ 
gnare alle imprese pubbliche. E’ un 
fatto che si è creata una certa divisione 
del lavoro fra imprese private e impre¬ 
se pubbliche, le quali si sono concen¬ 
trate sulle industrie di base e sui ser¬ 
vizi, particolarmente trasporti e comu¬ 
nicazioni. Carli vorrebbe rendere più 
netta e più rigida questa divisione; al¬ 
trimenti, egli dice, « le partecipazioni 
statali si metterebbero in concorrenza 
con gli imprenditori privati, scompi¬ 
gliandole le basi di calcolo economico, 
con conseguenze difficilmente preve¬ 
dibili ». 

Ora, se la concorrenza è utile al li¬ 
vello delle imprese private, è anche uti¬ 
le fra imprese private e imprese pubbli¬ 
che. S’intende che lo Stato non deve 
promuovere disordinatamente le inizia¬ 
tive produttive nei campi più disparati; 
ma quella divisione del lavoro può aver 
fondamento nelle regioni sviluppate, 
dove sono relativamente abbondanti le 
iniziative imprenditoriali private, non 
nelle regioni arretrate del Mezzogiorno, 
dove quelle iniziative mancano. 

Un’ultima osservazione. 

Una parte della sinistra considera la 
linea di politica economica sostenuta da 
Carli come una linea reazionaria. Ab¬ 
bondano, in proposito, gli slogans, men¬ 
tre difettano le analisi approfondite. 
Credo che occorra dire a questi amici 
che l’attacco a Carli, che si ripete ogni 
anno, in occasione della relazione, 
quasi secondo un rito, è fuori luogo. 
Non si possono attribuire a Carli re¬ 
sponsabilità ed omissioni che sono del 
Governo. £’ verso il Governo che oc¬ 
corre esercitare l’azione di sprone e di 
critica, anzi di dura critica, non tanto 
per quel che fa, quanto per quel che 
dovrebbe fare, che ha promesso di fare 
e che non fa. 

PAOLO 8YLOS UBIMI ■ 


30 












cronache italiane 












1 

i 




questi nostri giudici 

di CARLO GALANTE GARRONE 


^on ci dovrebbe essere motivo di 
"scandalo nel fatto che un giudice, 
^^traneo al processo, parli del processo 
'Juando esso è in corso, e dica aperta- 
•^ente la sua opinione sui problemi che 
quel procedimento ha portato alla ri- 
^Ita. La preoccupazione che i giudici 
processo possano essere influenzati 
® menomati nella loro libertà di giudi¬ 
zio dalle opinioni espresse, sulla stam¬ 
pa o alla radio, da cittadini in tòga o 
lo giacchetta, non soltanto è manifesta- 
luente priva di fondamento (vogliamo 
forse chiudere in conclave i giudici, co¬ 
prirne gli occhi con lenti affumicate e 
lapparne le orecchie con tamponi di 
cera? sarebbe una fatica inutile: la voce 
^cl mondo supera ogni parete), ma è 
anche offensiva, a ben vedere, per la 
ifignità e l’indipendenza dei magistrati: 
che non hanno davvero bisogno di pro¬ 
iezioni e tutele contro l’opinione pub- 

*-ASTROLABIO - 12 giugno 1966 


blica. E invece, a quanto pare, un giu¬ 
dice romano, Gabriele Battimelli, pro¬ 
prio di questo è accusato: di aver par¬ 
lato al manovratore, e cioè al tribunale 
di Milano, e così di aver « interferito » 
in un procedimento in corso. Scrive 
il Giorno: 

L’inchiesta sul caso della Zanzara ha su¬ 
bito una svolta imprevista; il dottor Edmon¬ 
do Siciliani, capo del servizio ispettivo del 
ministero della Giustizia, ha convocato il 
dottor Gabriele Battimelli, e gli ha conte¬ 
stato il contenuto di un’intervista da lui ri¬ 
lasciata al settimanale TV 7 . In questa inter¬ 
vista il dottor Battimelli, aveva espresso la 
opinione che le disposizioni contenute nella 
circolare fascista relativa alle visite personali 
dei minori non dovessero più essere applicate 
perchè incostituzionali: opinione che, in se¬ 
guito, fu adottata dal tribunale di Milano 
che assolse i tre studenti. Il dottor Siciliani 
avrebbe mos» al giudice romano dei rilievi 
sull opportunità dell’intervista da più parti 
giudicata, a suo avviso, come una matKanza 
di solidarietà verso il dottor Carcasio, e di 


interferenza in un procedimento in corso. 
Il dottor Battimelli avrebbe respinto le con¬ 
testazioni, sostenendo il suo diritto di inter¬ 
venire in una questione di generale interesse 
che riguardava la magistratura e i cittadini... 
Q>ntro il giudice Battimelli, che aveva chie¬ 
sto l’adeguamento alla Costituzione delle leg¬ 
gi fasciste, era stata presentata, tempo fa, 
un’interpellanza di alcuni deputati del MSI. 

Lasciamo da parte il rimprovero di 
« mancanza di solidarietà verso il dot¬ 
tor Carcasio » (la notizia merita confer¬ 
ma, tanto ci pare incredibile), e l’insur¬ 
rezione dei deputati missini (ecco una 
notizia che non ha davvero bisogno di 
conferma). Ma quanti altri interrogativi 
attendono una risposta! Per esempio: 
chi ha autorizzato il dottor Edmondo 
Siciliani a uscire dal seminato, e cioè a 
trasferire la sua inchiesta, strettamente 
limitata all’attività istruttoria (e perciò 
segreta) del sostituto Carcasio, in altri 
campi e in altre direzioni? Come è sta¬ 
to possibile al dott. Siciliani (anche 
questo precedente sconfinamento dai 
limiti del suo mandato è stato reso noto 
dalla stampa) « interrogare » un presi¬ 
dente di tribunale che alla luce del sole, 
con ammirevole tatto e con eccezionale 
capacità, ha diretto il dibattimento nel 
processo della Zanzara? e chiamare poi 


31 




















Cronache italiane 


al « redde rationem » un giudice — 
estraneo al processo, ripetiamo — che 
ha avuto il solo torto di dire pubblica¬ 
mente una grande verità, e cioè che in 
Italia c’è, da qualche annetto, una Co¬ 
stituzione ispirata a principi di libertà 
e difesa del cittadino? 

I giudici di Milano hanno assolto gli 
* imputati con una sentenza saggia e 
illuminata. Ma intanto, come si è detto. 


ci sono giudici che per avere parlato 
chiaro si trovano ora nei guai. E se la 
Zanzara milanese non è stata fulmi¬ 
nata dal flit del dottor Lanzi, rappre¬ 
sentante della pubblica accusa al pro¬ 
cesso di Milano, non si può neppure 
dire, purtroppo, che l’accusa non ab¬ 
bia lasciato tracce. Gli studenti del 
Parini hanno superato coraggiosamente, 
senza jattanza ma senza incertezze, la 
prova sconcertante del processo. Ma il 


preside dell’istituto, pur così coraggio¬ 
so e dignitoso nel corso del processo, e 
pur cosi vigile e pronto nel segnalare 
alla pubblica opinione, in una recente 
lettera, le imprese antiche e nuove della 
teppaglia fascista, non si è sentito (per 
la prima volta, crediamo, nella storia 
del giornale studentesco del Parini) di 
« avallare » un articolo che trattava di 
un altro, e ancor più grave, processo, 
definito esso pure con una sentenza di 
assoluzione che è titolo di onore per la 
magistratura milanese. Leggiamo sulla 
Stampa: 

Tutti gli articoli pubblicati sull’ultimo nu¬ 
mero deUa Zanzara sono stati visti e appro¬ 
vati dal preside del liceo, prof. Daniele l^t' 
talia, che fu coimputato nel processo. Su 
uno solo il preside ha esercitato il suo di¬ 
ritto di censura; si tratta di un articolo dal 
titolo "Una sentenza democratica: l’assolu¬ 
zione dei giovani dei manifestini”, nel quale 
un giovane redattore, lo studente Giacomo 
Guastalla, commenta il processo tenutosi a 
Milano nello stesso periodo in cui si ebbe 
il caso Zanzara, e che vide imputati ed as¬ 
solti al termine del dibattimento un gruppo 
di giovani che avevano distribuito manifesti¬ 
ni antimilitaristi. Il preside ha vietato la pub¬ 
blicazione della seconda metà dell’articolo e, 
pertanto, la colonna che la doveva ospitare 
figura in bianco e con la scritta: * A causa 
del parere negativo espresso dalla presidenza, 
la redazione rinuncia a pubblicare l’ullima 
parte dell'articolo ». 

Calunnia calunnia, qualcosa resterà; 
processa processa, qualche incertezza e 
perplessità rimarrà, inevitabilmente, in 
chi ha sofferto l’ansia e la pena dd 
giudizio. Questo non vuol essere, si® 
ben chiaro, un rimprovero a un preside 
saggio e illuminato: vogliamo porre 
l’accento, semplicemente, sui « guasti » 
fatalmente provocati dalla scarsa sensi¬ 
bilità (o dall’aperta ostilità) di alcuni 
rappresentanti della pubblica accusa per 
la libertà di pensiero c di espressione. 

E non è finita. Mentre scriviamo 
queste noterelle, i giornali annun¬ 
ciano che il procuratore generale di M*' 
lano, in contrasto con la rinuncia del 
procuratore della Repubblica, ha deciso 
di « coltivare » l’appello contro la sen¬ 
tenza di assoluzione del preside e dei 
tre giovani studenti del Parini. Nulla da 
eccepire, naturalmente; il procuratore 
generale ha agito nell’esercizio del suo 
diritto. (Le sagge considerazioni di En¬ 
zo Enriques Agnoletti sul Ponte di apri¬ 
le — e l’intelligente sua domanda: 
« l’appello del P.M. è istituto indispen¬ 
sabile per il buon funzionamento della 
giustizia penale? » — non valgono evi¬ 
dentemente a modificare la realtà pro¬ 
cessuale di oggi: potranno contribuire 
domani — ma ci crediamo poco — alla 
modificazione delle norme che regolano 
l’impugnazione del Pubblico Ministero- 
Ma questo è un altro e diverso discor- 


Vi troverete: 

le più alte montagne d'Europa; 
incantevoli luoghi di soggiorno e stazioni termali; 
incomparabili piste di sci invernale ed estivo; 
preziose testimonianze di arte romana e medioevale. 

La Valle d’Aosta merita un viaggio 

Assessorato Regionale del Turiamo • Aosta (Italia) 



Venite a conoscere la 

YALLE D’AOSTA 


32 






















Cronache italiane 


so: che tuttavia potrà e dovrà essere ri¬ 
preso, secondo l’auspicio dello stesso 
Enriques Agnoletti. Così come dovrà 
essere aperta e approfondita un’altra 
discussione, alla quale Enriques Agno¬ 
letti non ha accennato e che l’appello 
del procuratore generale rende attuale: 
e cioè se, pur ammessa la sopravviven¬ 
za dell’appello del P.M., debba essere 
consentito a un procuratore generale di 
promuovere e * coltivare » un appello 
abbandonato e rinunciato dal procura¬ 
tore della Repubblica. Sembra una di¬ 
scussione di natura formale e tecnica, 
e non è: le norme processuali non sono 
tnai astratte e gelide regole formali, 
sono o dovrebbero essere sempre, inve¬ 
ce, strumenti di giustizia e di tutela del 
cittadino. E sotto questo profilo le pa¬ 
role di Enriques Agnoletti sono illumi¬ 
nanti). La guerra continua, dunque. Il 
volo della Zanzara non è finito ancora. 

K^a non pensiamo, per ora, al pro- 
cesso che si farà contro il preside 
c i tre studenti del Parini; e dal proces¬ 
so che recentemente si è, se pure non 
definitivamente concluso, e dalle riper¬ 
cussioni che ha avuto prendiamo lo 
spunto per alcune considerazioni su 
questi nostri giudici. A pensarci bene, 
c è qualcosa di paradossale nell’ammi- 
uistrazione della giustizia. Giudici che 
fanno il loro dovere, come il presiden¬ 
te del tribunale di Milano, o che eserci¬ 
tano un loro diritto, come il giudice 
Eattimelli, quasi quasi assumono la ve¬ 
ste di imputati. E dei giudici che non 
fanno il loro dovere non si sente par¬ 
lare mai. Bisogna che un procuratore 
della Repubblica ordini la perquisizio¬ 
ne domiciliare contro un deputato per- 
il Parlamento si muova e si com- 
tnuova (a ragione, sia ben chiaro) e per- 
t^hè il pesante sipario che copre e na¬ 
sconde i lavori del Consiglio Superiore 
della Magistratura si apra e lo spiraglio 
così aperto consenta di sapere che quel 
•nagistrato... ha commesso un errore 
fcusabile (tutti possono sbagliare e 
tgnorare la legge, anche i magistrati: 
diàmine!). Ma è, questa, l’eccezione che 
Conferma la regola. Perchè non possia¬ 
mo sapere qualcosa — non diciamo: 
•ìualcosa di più, perchè non sappiamo 
nulla, assolutamente nulla — delle ini¬ 
ziative « disciplinari * — o dell’inerzia 
del Consiglio Superiore della Magi¬ 
stratura o del Guardasigilli nei confron¬ 
ti dei giudici? Forse che nascondere la 
Verità significa sopprimere la realtà? I 
magistrati, come è noto, sono divisi in 
due raggruppamenti: l’Associazione 
Irrazionale Magistrati e l’Unione dei Ma¬ 
gistrati Italiani; in eterna lotta fra loro 
(una lotta che spesso degenera in zuf- 

•-■ASTROLABIO - 12 giugno 1966 


fa); ma, si direbbe, concordi fra loro 
nel tacere degli errori e delle colpe dei 
giudici. E’ sovversivo chiedere im po’ 
di coraggio, e auspicare che anche la 
casa dei magistrati abbia le pareti di 
vetro (non smerigliato, si intende)? Ci 
sono magistrati che non lavorano; lo sa 
per esperienza chi ha dimestichezza con 
le aule giudiziarie, lo sanno i cittadini 
che attendono per mesi e anni una 
sentenza. E ci sono magistrati che la¬ 
vorano male (accanto ad altri, è appena 
il caso di dirlo, che lavorano bene, con 
scrupolo, con abnegazione, con passio¬ 
ne). Leggiamo sul Giorno, in una cor¬ 
rispondenza da Palermo: 

Lo studente universitario Bernardo Cam- 
marata di Qjrleone, che dieci mesi or sono 
era stato fermato perché sospetto di favo¬ 
reggiamento nei confronti di alcuni latitanti, 
è stato oggi prosciolto in tribunale... La vi¬ 
cenda di cui il Cammarata è stato protago¬ 
nista presenta un aspetto del tutto insolito, 
che è esploso oggi clamorosamente nell’aula 
del tribunale: lo studente è rimasto otto 
mesi e mezzo rinchiuso nelle carceri dell'Uc- 
ciardone senza che contro di lui fosse stato 
spiccato il mandato di cattura. Lo stesso giu¬ 
dice istruttore che ne ha disposto il rinvio 
a giudizio non aveva provveduto all’emis¬ 
sione e alla notifica del mandato di cattura; 
pertanto la lunga detenzione del giovane de¬ 
ve considerarsi del tutto illegale. Gli avvo¬ 
cati del Cammarata hanno annunciato una 
azione nei confronti dell’amministrazione giu¬ 
diziaria. 

Leggiamo sulla Stampa che un agri¬ 
coltore siciliano è stato riconosciuto in¬ 
nocente dopo vent’anni di ergastolo, e 
che la condanna era stata determinata 
unicamente dal rifiuto dei giudici di 
controllare \'alibi dell’imputato. Ricor¬ 
diamo, a parte esempi famosi (Gallo, 
Corbisiero, Tacconi), tutti i processi di 
assise annullati perchè i giudici togati 
non avevano controllati i « titoli di 
studio » dei giurati; ricordiamo che un 
pubblico ministero a Bergamo ottenne 
alla presenza dei carabinieri, in ore not¬ 
turne, la « confessione » di detenuti 
che poi furono assolti a Torino in 
istruttoria per non aver commesso il 
fatto. E ci chiediamo: sono state prese 
iniziative nei confronti di questi ma¬ 
gistrati? quali? con quale esito? Qual¬ 
cosa di tanto in tanto si viene a sapere, 
sui giornali, di giudici che sono stati 
sottoposti a procedimento disciplinare 
(e puniti) per aver parlato male di Ga¬ 
ribaldi, e cioè per avere espresso opi¬ 
nioni non del tutto ortodosse sulla ma¬ 
gistratura. Ma nulla, assolutamente nul¬ 
la sappiamo, mai, dei giudici che per 
leggerezza o indolenza o incomprensio¬ 
ne dei loro doveri non hanno reso giu¬ 
stizia. Solleviamo quel pesante sipario. 
Abbiamo tutti il diritto di sapere e di 
giudicare. 

CARLO GALANTE GARRONE ■ 


UNIVERSITÀ^ 

una scelta 
sorniona 


I l 14 giugno sarà eletto il nuovo ret¬ 
tore dell’Università di Roma. E’ inu¬ 
tile dire con quale interesse, dopo i 
fatti recenti che hanno costretto il 
prof. Papi alle dimissioni, questa scelta 
sia attesa nel mondo della scuola, de¬ 
gli insegnanti c dei giovani, non meno 
che negli ambienti politici. 

Non sarà una nomina facile, chè se 
l’onore è grande non minore è la re¬ 
sponsabilità, e non è allettante la pro¬ 
spettiva di un rettorato denso di dif¬ 
ficoltà e di grane. I candidati non sono 
molti e non è davvero il caso d’inse¬ 
guire le molteplici e mutevoli precor¬ 
renti, tentando d’individuare i falsi 
scopi cui esse mirano. 

La manovra del governo. E’ una de¬ 
nuncia che bisogna avanti tutto avan¬ 
zare. Si è disegnata una chiara volontà 
d’imposizione, un po’ clericale, ma 
soprattutto democristiana, in nome an¬ 
cora una volta di un diritto della mag¬ 
gioranza che, esercitato nella scuola, 
diventa prepotenza della maggioranza. 
L’appartenenza ad un partito non può 
essere titolo di scelta, tanto più per il 
governo delle università, che l’ordina¬ 
mento attuale trasforma in autocrazia 
praticamente senza controllo. L’unica 
fedeltà politica che deve legare un capo 
di scuola è quella alla Costituzione, 
legge comune della nostra democrazia 
repubblicana. 

Tanto più spiacevole riuscirebbe una 
candidatura alla quale, attraverso i ne¬ 
goziati e i compromessi che si stanno 
intessendo tra i notabili dell’università 
romana si volesse dare una vernicia- 



Gui 


33 











Cronache italiane 


tura da centro-sinistra (è il caso del 
prof. Orestano, alla cui candidatura è 
stata data una chiara impronta gover¬ 
nativa). 

La sicura capacità d’indipendenza da 
ogni interesse e pressione, politica o 
non politica, estranea alla scuola, deve 
essere il primo requisito del nuovo 
rettore. E’ una garanzia che il candi¬ 
dato del governo non dà. La provenien¬ 
za dal fascismo, la carriera col fascismo 
ha lasciato traccia sulla grandissima 
maggioranza dei nostri professori. Ma 
attraverso le vicende della vita e le 
prove successive le qualità di carattere 
hanno sempre potuto farsi luce. La 
candidatura ora prospettata ha contro 
di sé manifestazioni di cupidigia di ser¬ 
vilismo verso il fascismo, rispetto alle 
quali certo impallidiscono gli entusia¬ 
smi corporativi del prof. Papi. 

Una copertura per i baroni. Ecco 
una prima ragione che ci obbliga a in¬ 


tervenire. Una seconda più ampia sta 
nel sospetto che essa legittima. Il so¬ 
spetto che con questa scelta si intenda 
creare una copertura per l’intromissione 
jxjlitica che è alla sua origine, per l’af¬ 
farismo universitario che cerca le sue 
difese, per il sottogoverno della Dire¬ 
zione amministrativa, che manovra per 
mantenere intatto il dominio che sotto 
la copertura del rettorato Papi, ha sem¬ 
pre dannosamente esercitato sulla uni¬ 
versità romana. 

Altre candidature, anche autorevoli, 
sono state affacciate. Hanno il torto, 
a nostro avviso, di rappresentare la 
continuità d’indirizzo cristallizzatosi 
durante il governo Papi. 

Spiace che sia stata mal presentata 
in modo da nuocerle, quasi di espo¬ 
nente di parte politica, la candidatura 
del prof. Montalenti. Se i professori 
romani giudicano assurdo, o puerile, 
l’ostracismo agli "uomini di sinistra” 
che era nei propositi dichiarati del 
prof. Papi, essi sanno di dover cercare 


non un uomo di sinistra, o di parte 
politica' determinata, ma una persona 
che avanti tutto unisca indipendenza 
di carattere ed equilibrio, alta coscien¬ 
za di maestro e prestigio scientifico. 
Questo è Montalenti. Ha anche il van¬ 
taggio di provenire dalle facoltà scien¬ 
tifiche, da un quarantennio circa esclu¬ 
se dal rettorato. 

Sarebbe una delusione ben grave se, 
come nulla fosse accaduto all’Univer¬ 
sità di Roma, una scelta sorniona ri¬ 
pristinasse il costume e il malcostume 
di prima. Sarebbe un danno ben gra¬ 
ve se contro il nuovo rettore si do¬ 
vesse aprire una sgradevole polemica. 

Crediamo che gli elettori del nuovo 
rettore avranno piena consapevolezza 
della scossa prima di tutto morale in¬ 
tervenuta nella Università di Roma, e 
dei lieviti che agitano tutta la scuola 
e i giovani. Ci lascino sottolineare che 
la loro seria responsabilità sarà valu¬ 
tata ben oltre l’ambito chiuso del cor¬ 
po accademico. DONATO ■ 


crisi 

di giovani 

Difuggiamo sempre con attenzione 
*'dalle querele di generazione: for¬ 
se perchè siamo abbastanza vecchi 
per ricordare l’invenzione « giovani- 
listica » del fascismo, e per avere 
assimilato la critica dirimente che 
ne fecero in anticipo, in Germania, 
Georg Simrnel, e, qui da noi, con 
estrema lucidità, Antonio Gramsci. 

Tuttavia non possiamo nè dobbia¬ 
mo astenerci dal prendere certi ap¬ 
punti. In linea generale, il primo 
è questo ; i « giovani » si costituisco¬ 
no « in quanto tali » come una cooi)e- 
razione, o un privilegio, o una gene¬ 
razione, non quando scelgono una 
certa moda, ma quando ricusano di 
condividere certi scopi della società 
in cui vivono, non credono aU’effl- 
cacia di veicoli di protesta ordinari, 
come i partiti, i circoli, gli oratori, 
i movimenti di riarmo morale, o 
altri. 

Quando i giovani si costituiscono 
a sè, come giovani, la loro impor¬ 
tanza è un’altra : sono un nuovo par¬ 
tito in embrione, e giudicano non 
più come un’avanguardia, ma come 
una parte già incorporata nella so¬ 
cietà contro la quale protestano. Que¬ 
sto succede soprattutto là, dove Tef- 
flcacia dei partiti d’opposizione o non 
esiste, o è formale, o è troppo fram¬ 
mentata. Non abbiamo dimenticato i 
giovani del Giappone contro il Per- 
mier Kishi e i giovani di Genova 
contro il Premier Tambroni — i gio¬ 


vani di Grecia contro Costantino, e 
i giovani renitenti di Parigi che sce¬ 
glievano, al tempo della guerra d’Al¬ 
geria, la disobbedienza civUe. 

Questi casi esistono; ignorarli sa¬ 
rebbe presunzione e mancanza di 
realismo. Allo stesso modo, abbiamo 
sempre trovato semplicistica l’affer¬ 
mazione (fu anche di Croce) che non 
esista un problema degli intellet¬ 
tuali, p>erchè il solo che li riguardi 
è di seguire bene gli atti della loro 
specialità. Piuttosto, può accadere 
che un problema degli intellettuali 
sia posto male, che si voglia riser¬ 
vare, o lasciar loro richiedere un pri¬ 
vilegio, come quello che i fascisti re¬ 
galavano facendo largo ai giovani. 
Ma questo è un diverso discorso. 

Chiamo dunque crisi dei giovani 
quella degli studenti universitari 
americani richiamati alle armi per la 
leva 1966. La rivista Time ha co¬ 
struito un eccellente servizio, per 
dimostrare, primo, come la loro ri¬ 
pulsa nasca dalla premura antibelli¬ 
cistica di entrare come membri at¬ 
tivi nella loro società, al più presto, 
in un’aspirazione che ha certo un suo 
sapore individualistico, ma che ha 
anche un valore di negazione ; < la 
vostra guerra non ci riguarda ». Ti¬ 
me giunge invece ad una conclu¬ 
sione aberrante, quando dà pure 
ragione a quegli altri giovani, che 
partono invece volentieri perchè il 
servizio militare consente loro un 
rinvio ad una scelta di « servizio » 
professionale, che non hanno ancora 
saputo predisporre. E’ chiaro che in 
questo caso si sommeranno le inde¬ 
cisioni di oggi, a quelle del redu¬ 
cismo. 


Scelgo un altro esempio in un 
campo opposto. C’è oggi nella Re¬ 
pubblica democratica tedesca un’at¬ 
tesa febbrile dello scambio di comizi 
combinato tra la SED e l’SPD, tra 
l’Est e rOvest-Germania. L’attesa è 
soprattutto dei giovani. 

Dal recente congresso della loro 
Federazione è emerso che essi non 
si sentono intanto pienamente rap¬ 
presentati da nessuno di questi due 
atteggiamenti ufficiali. 

L’uno, espresso dal leader Horst 
Schumann, si esprime così ; « La gio¬ 
vane generazione offre tutta la sua 
forza per la fondazione di uno stato 
tedesco della pace; per esso lavoria¬ 
mo, studiamo; siamo pronti a difen¬ 
derlo con l’arme in pugno ». E’ chia¬ 
ro : troppa tromba. Ma non funziona 
neanche l’opinione, disciplinare e sco¬ 
lastica, del federale di Lipsia, Fro- 
hlich : « Purtroppo una parte dei no¬ 
stri studenti permane sotto l’influsso 
di concezioni idealistiche, sino ad uno 
scetticismo che vuole erigersi a mi¬ 
sura di tutte le cose, e confonde 
l’anarchia con la libertà ». 

Una gioventù che non si riconosce 
in queste frasi è forse la nuova gio¬ 
ventù socialista tedesca, di qua e di 
là dai confini del muro. In Germania 
Ovest, e soprattutto alla Libera Uni¬ 
versità di Berlino, per questa gio¬ 
ventù in attesa parlano invano 
Erhard ma anche Brandt; di là, 
Ulbricht o Honnecker. Non c’è un 
partito che rai>presenti questi gio¬ 
vani; è giusto che al loro modo fac¬ 
ciano partito per proprio conto. 

ALAOINO 
















continuazione 


LETTERE 

del Consiglio di Stato e il l’i¬ 
ato di registrazione della Cor¬ 
te dei Conti, mi addolora ma 
non mi sorprende. Mi addo¬ 
lora, perchè dimostra una 
Volta di più la scarsa effi¬ 
cienza degli organi consultivi 
® di controllo della pubblica 
oniministrazione; non mi sor- 
perché questa scarsa 
efficienza la conoscevo da 
tempo, come la conosce da 
tempo ogni italiano. 

., Per la convenzione con 

Ente biblioteche popolari e 
scolastiche, valgono tutte le 
controdeduzioni — per dirla 
in gergo curialesco — espo¬ 
ste al punto 3. 

Messi i puntini sugli « i », 
uei’o esprimere il mio ram- 
’oarico per l’interpretazione 
tata dall'on. Badaloni al mio 
orticolo, da lei definito un 
«attacco personale che oltre 
Od essere infondato è condot¬ 
to in termini calunniosi ». Se 
sionio giunti al punto che la 
critica aliazione di governo 
01 un dirigente politico può 
essere qualificata come attac¬ 
co personale, addio roba no¬ 
stra : mettiamoci tutti la mor- 
oacchia e non ne parliamo 
Ptu. Infondata, poi. la critica 
non Io è davvero : salvo il 
Particolare della legge 155 , la 
tetterà del sottosegretario 
non smentisce una sola pa¬ 
iola. una sola affermazione, 
ona sola considerazione di 
Quelle contenute nel mio ar¬ 
ticolo; non. che le convenzio- 
”1 fossero state stipulate, non 
Che avessero quel contenuto, 
non che avessero riconosciu¬ 
te illegittime « tangenti » e 
u*»icurati illegittimi utili ai 
uye enti, non che l'impiego 
"I codesti utili fosse discre- 
eionale, non che l'entità del- 
‘ off are fosse quale lo avevo 
stimato, non che fosse stata 
violata la legge sul cinema e 
Via dicendo. E siccome, an¬ 
che dopo averlo riletto con 
“Pe paia di occhiali, nell’ar¬ 
ticolo non vedo nulla di dif- 
/aniatorio anche perché co¬ 
nosco l’on. Badaloni come di- 
'■'.Oente politico non^suscetti- 
°*te di essere men che dif- 
famato, discusso in quanto a 
correttezza e serietà persona- 
ti. non c'era nulla da smenti¬ 
re neanche sotto questo pro¬ 
filo. 

Aver affermato conte ho 
lotto che la convenzione era 
«un ghiotto boccone che il 
'-entro dell'on. Badaloni non 
*t è lasciato sfuggire » non c 
stato per dire che qualcuno 
00 approfittato o intende ap- 
brofittare a fini personali del- 
'o pattuizione, ma per con¬ 
cludere come ho concluso che 


« dietro tutto questo invero¬ 
simile intrico di atti illegitti¬ 
mi si proietta l'ombra della 
cinematografia scolastica di 
marca clericale » e. relativa¬ 
mente all’altra convenzione 
con l’Ente biblioteche, che 
« la facoltà riconosciuta al¬ 
l’ente. di destinare all'acqui¬ 
sto di libri gli eventuali utili 
del servizio, è cosi indiscrimi¬ 
nata e discrezionale, che le 
scuole si potrebbero vedere 
arrivare di tutto ». e di que¬ 
sta eventualità ho dato per¬ 
sino alcuni esempi, finora non 
smentiti. Se poi fossero stati 
il titolo o il tono scherzoso 
dell’articolo a infastidire il 
sottosegretario, a dargli l'im¬ 
pressione dell’attacco perso¬ 
nale. ebbene, me ne dispiace : 
ma. suvvia.', un minimo di ri- 
t’acitd non nuoce alla pole¬ 
mica politica, che altrimenti 
dwenta, se non lo è già di¬ 


ventata, una barbosa litania 
di catecumeni. 

In quanto al resto, guarda 
un po' dorè si va a scoprire 
la calunnia : persino in un 
giudizio politico! Tale era e 
tale resta il giudizio sulle due 
convenzioni, essendo politico 
il problema da esse sollevato. 
In parole povere, il problema 
è se la scuola italiana debba 
essere o no liberata dai ceppi 
che la incatenano da sempre. 
Affidare l’esclusira di servizi 
cosi delicati come l’acquisto 
e la produzione di film, dischi. 
diapositive, l'acquisto di libri 
e la distribuzione del tutto 
alle scuole italiane : affidare, 
dicevamo, codesta esclusiva a 
enti diversi dallo Stato, ege¬ 
monizzati come sappiamo, 
sottratti a efficienti controlli. 
discrezionali nelle decisioni, 
non é affare da poco. 


Che poi tutto questo sia at¬ 
tuato contro la legge o, per 
essere eufemisti, al di fuori 
della legge, è affare ancora 
più grave. Che, infine, non ci 
si arrenda all'evidenza delle 
cose ed anzi si pretenda di 
gabellarle come perfette giu¬ 
ste e sacrosante, è affare ad¬ 
dirittura allarmante. Esso non 
riguarda le persone, ma la li¬ 
nea politica di uomini politici 
preposti a settori politica- 
mente delicati. Perciò, non 
drammatizziamo. Stare al so¬ 
do delle questioni, stare 
« dentro la sostanza » per dir¬ 
la con Risi, è Tunica cosa 
importante. Il resto è polve¬ 
rone: tanto più che non ho 
bisogno io di fare le lodi del- 
Ton. Badaloni, come dirigen¬ 
te politico capace e saldo 
nelle sue convinzioni, che 
però non sono le mie. 

Ercole Bonacina 


I Circoli 
dell’Astrolabio 

D iamo un breve resoconto dei gruppi 
e centri di cultura e di dibattito, che 
vengono costituendosi in varie città ri¬ 
chiamandosi, se non sempre nel titolo, 
allo spirito animatore deir/4j/ro/a^>/o. 

Abbiamo già dato notizia del primo 
di essi, costituitosi a Mantova pier ini¬ 
ziativa dell’on. Tullia Carettoni ed inau¬ 
gurato dal sen. Patri. 

Il secondo si è aperto a Perugia il 18 
j maggio. Iniziatore l’on. Anderlini ed al- 
I cuni valenti insegnanti del luogo. Ha 
parlato inaugurandone i lavori il sen. 
Parti. Perugia è città di vivace vita po¬ 
litica, l’interesse dei giovani intervenuti, 
lavoratori e studenti, dà buona speranza 
di attività utile. 

j Domenica 29 maggio è stata la volta 
di Torino. I primi propositi sono nati tra 
j compagni socialisti aH’indomani del Con¬ 
gresso nazionale di Roma. Ripresi succes¬ 
sivamente ed allargati alle vicinanze poli¬ 
tiche hanno portato alla costituzione di 
un gruppo numeroso, rappresentato da 
un Comitato promotore provvisorio nel 
quali figurano come PSI, i prof. Cottino 
e Murano, come PSIUP, Giovana e Lat- 
tes; come PCI, Garavini e Salvadori; per 
i cattolici e la CISL i proff. Lombardini 
e Corsini, Tridente e Livornino; in più, 
indipendenti, Sandro Galante Garrone, 
il prof. Quarza, il prof. C:A. Viano e 
Daimastro: segretario provvisorio Leo 
Casale. E’ una composizione che vorrem¬ 
mo suggerire come modello. 


A Novara, press’a poco contempora¬ 
neamente, è sorto per opera di un grup¬ 
po di socialisti di sinistra il Circolo 
Astrolabio. Presidente Piero Cardinali; 
tra gli altri compagni ricordiamo Emanue¬ 
le, Castoldi e Porzio Giovanola. Il Cir¬ 
colo ha promosso a Novara un dibattito 
sulla nuova sinistra e ad Omegna una 
pubblica ed animata discussione sul caso 
scottante della smobilitazione della Co¬ 
bianchi, tipico esempio, degno di mag¬ 
giori illustrazioni, delle dolorose insuffi¬ 
cienze del nostro sistema economico. Ab¬ 
biamo notizia di altre iniziative che rite¬ 
niamo di prossima attuazione. In altri 
luoghi si sono costituiti di fatto senza 
formalità gruppi autonomi di lettori. 

Preghiamo circoli e gruppi di dar no¬ 
tizia della loro attività al giornale, che 
può servire da organo di collegamento 
comune. Contatti diretti tra i circoli pos¬ 
sono suggerire esperienze ed iniziative, e 
servire allo scambio di oratori. Ma so¬ 
prattutto teniamo a ripetere alcune os¬ 
servazioni che riteniamo importanti. Sia¬ 
mo lieti del diffondersi di queste inizia¬ 
tive che danno conferma della giustezza 
topica, e forse storica, della nostra pub¬ 
blicazione; non intendiamo in nessun 
modo limitare la libertà degli amici di 
valersi del suo titolo. Ma deve esser chia¬ 
ro che la piena indipendenza da ogni 
partito o raggruppamento politico, che 
VAstrolabio ha sempre osservato ed in¬ 
tende osservare, deve essere la norma 
per i gruppi che ad esso s’intitolano. La 
più franca e liberale apertura, nei limiti 
dello schieramento democratico, con la 
maggior sollecitudine per i giovani, deve 
essere la regola, poiché è la prima con¬ 
dizione di un dialogo efficace. 


L'astrolabio - 12 giugno leee 


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