Settimanale L. 150
LETTERE
al direttore
il Centro
sussidi audiovisivi
Egregio Direttore,
Le chiedo di pubblicare, a
norma dell’art. 8 della legge
8 febbraio 1948, n. 47, le pre¬
cisazioni che seguono riguar¬
danti il contenuto dell’artico¬
lo intitolato « Minuetto in ca¬
sa Badaloni », a Arma Ercole
Bonacina, contenuto nel n. 22
datato 29 maggio 1966 del pe¬
riodico l'Astrolabio da Lei di¬
retto.
1) Il Centro nazionale dei
;Eussidi audiovisivi è un ente
^ di diritto pubblico istituito
con legge 12 ottobre 1956,
n. 1212, con il compito di
« promuovere la cinematogra¬
fia didattica e culturale e gli
altri sussidi audiovisivi in
ogni ordine e grado di scuo¬
la ». Sono organi del Centro ;
il Presidente, il Consiglio di
amministrazione, il Collegio
dei revisori dei conti. Il Pre¬
sidente dell’Ente è, per legge,
un Sottosegretario di Stato
per la pubblica istruzione de¬
signato dal Ministro. Come
Sottosegretario ho ricoperto
l’incarico di Presidente dal
24-2-1962 al 20-4-1966. Ho
chesto io stessa che il Centro
fosse sottoposto al controllo
della Corte dei Conti. Gli at¬
ti amministrativi e contabili,
come i verbali delle sedute
del Consiglio di amministra¬
zione, sono ostensibili e pos¬
sono fornire tutti 1 dati, senza
eccezione, sia sul merito che
sulla parte formale del perio¬
do di gestione nel quale ho
ricoperto la carica di Presi¬
dente.
2) Il contributo del Mini¬
stero della pubblica istruzio¬
ne al Centro risulta fissato
nell’attuale importo di 50 mi¬
lioni di lire con legge 14 feb¬
braio 1963, n. 155 e non con
la normale legge di bilancio,
come è riferito nell’articolo.
3) Come Presidente del
Centro nazionale dei sussidi
audiovisivi e come Sottose¬
gretario di Stato ho conside¬
rato favorevolmente l’adozio¬
ne di una « convenzione », fra
il Ministero e il Centro, per
la disciplina giuridica di un
servizio già chiesto dal Mini¬
stero della pubblica istruzio¬
ne al Centro stesso, al fine di
dare veste chiara, ufficiale e
pubblica al servizio medesi¬
mo. Il Ministero non « appal¬
ta » ciò che gli compete; non
fa una « gestione fuori bilan¬
cio ». in quanto è sempre di
sua competenza scegliere e
deliberare gli acquisti. La
scelta avviene da parte delle
Direzioni generali e dei Ser¬
vizi competenti con il sussi¬
dio dei propri organi tecni¬
ci. L’approvazione dei pro¬
grammi e le assegnazioni del¬
le somme sono di competenza
diretta del Ministro. Il Cen¬
tro esegue, attenendosi rigo¬
rosamente alle norme fissate.
La convenzione, da me firma¬
ta in data 15 gennaio 1965,
come Presidente del Centro,
dietro mandato ricevuto dal
Consiglio di amministrazione
(verbale n. 53 del 21 dicem¬
bre 1964), aveva avuto il pa¬
rere del C^onsiglio di Stato. 11
decreto del Ministro, che ha
approvato la convenzione, è
stato registrato dalla Corte
dei Conti il 3 dicembre 1965.
4) Analoga convenzione,
con le medesime finalità,
il Ministero della pubblica
istruzione ha stipulato con
l’Ente nazionale per le biblio¬
teche popolari e scolastiche
ed io ho firmato in data 21
gennaio 1965 il relativo atto
per delega conferitami dal
Ministro con lettera n. 149
del 14 gennaio ’65. La con¬
venzione aveva già avuto il
parere del Consiglio di Stato
e il decreto del Ministro, che
ha approvato la convenzione
medesima, è stato registrato
dalla Corte dei Conti il 31
luglio 1965.
Non ho avuto altri parti¬
colari incarichi riguardanti
l’Ente nazionale per le bi¬
blioteche popolari e scolasti¬
che e quindi non spetta a me
trattare gli altri argomenti
toccati dall’articolo citato (il
Ministro peraltro risponderà
ad interrogazione inerente ai
medesimi argomenti). Mi so¬
no occupata soltanto, come
rappresentante del Ministro
della pubblica istruzione nel
Comitato nazionale per la ce¬
lebrazione del Ventennale
della Resistenza, del program¬
ma di diffusione di pubblica¬
zioni sulla Resistenza ed El¬
la sa come i libri diffusi sia¬
no stati scelti, in quanto è
stata membro determinante
della Commissione che ha
proceduto alla scelta mede¬
sima.
Aggiungo che il program¬
ma di libri, che per la dota¬
zione delle biblioteche scola¬
stiche il Ministero annual¬
mente acquista previa scelta
da parte delle Direzioni gene¬
rali e dei Servizi competenti,
e la deliberazione delle spese
non fanno parte della delega
a me conferita. Come vede,
non ho fatto nè avrei potuto
fare operazioni « miliardo »
nè mi sono prestata ad alcu¬
na « preziosa » manovra, co¬
me l’articolo vuole insinuare.
Mentre mi riservo azione
legale, non posso tacerLe il
mio rincrescimento che pro¬
prio il periodico da Lei di¬
retto si sia prestato ad un
attacco personale che oltre ad
essere infondato è condotto
in termini calunniosi.
Con distinti saluti
Maria Badaloni
Mi rincresce che l’on. Ba¬
daloni abbia ravvisato nelle
censure amministrative e po¬
litiche del sen. Bonacina
una volontà di diffamazione,
estranea certo alle sue inten¬
zioni come alle mie. Anche io
disapprovo le due convenzio¬
ni. e mi dispiace particolar¬
mente quella con l'Ente bi¬
blioteche popolari: una di¬
scussione parlamentare po¬
trebbe aggiungere, a suffra¬
gare questo contrario avviso,
precisazioni e particolari.
Netto divario quindi di giudi¬
zio sulle due operazioni, ma
nessuna implicazione in esso.
nessuna insinuazione o calun¬
nia a carico della onorabilità
personale della signora Bada¬
loni. Alla quale è mio dovere
dare atto — poiché ella me lo
ricorda — della efficace ope¬
ra prestata per la diffusione
nelle scuole di libri e testi
sulla Resistenza in occasione
del Ventennale. Considero de¬
cisiva la sua volonterosa col¬
laborazione per la buona riu¬
scita del lavoro allora com¬
piuto dall'apposita commis¬
sione. Oggiungerò che l’on.
Badaloni non aveva certo bi¬
sogno di richiamarsi all’art. 8
della legge sulla stampa per¬
chè pubblicassimo la sua ret¬
tifica.
Ferruccio Farri
Rispondo punto per punto
alle precisazioni del sottose¬
gretario alla Pubblica Istru¬
zione.
1) L’« anamnesi » del Cen¬
tro nazionale per i sussidi
audiovisivi l'avevo già scritta
nel mio articolo, dando le
stesse informazioni della let¬
tera ed anche altre. La sola
novità è che il sottosegreta¬
rio tiene a farci sapere di
avere personalmente chiesto
l'assoggettamento del Centro
al controllo della Corte dei
Conti. Ne prendo volentieri
atto, limitandomi a osservare
che. con la sua iniziativa, il
sottosegretario ha ottempera¬
to a un obbligo di legge, qua¬
le è quello stabilito appunto
dalla legge 21 marzo 1958 nu¬
mero 259.
Io non dubito che gli atti
e i verbali del Centro siano
ostensibili: ci mancherebbe
altro che non lo fossero, trat¬
tandosi di un ente pubblico.
Ma non capisco perchè il sot¬
tosegretario abbia voluto av¬
visare che gli atti e i verbali
possono fornire tutti i dati.
senza eccezione, del periodo
di gestione in cui egli copri
la carica di presidente del
Centro. A me non interessava
la gestione dell'ente, i suoi
atti. In sua contabilità, ma
una convenzione, il suo con¬
tenuto. i suoi effetti s. perché
no?, i suoi pericoli.
2) E’ vero che l’aumento
del contributo statale all'en¬
te. da venti a cinquanta mi¬
lioni di lire annui, fu dispo¬
sto con legge sostanziale e
non con legge di bilancio.
Prendo nota della esistenza
della « leggina », che mi ero
sfuggita.
3) Se il sottosegretario ha
considerato favorevolmente
l'adozione della convenzione
tro il ministero e il Centro
sussidi audiovisivi, mi con¬
senta di ripetergli che ha sbo-
gliato perché la convenzione
era e rimane illegittima, es¬
sendo sprovvista di qualun¬
que supporto legislativo. Se
poi. come lascia intendere, lo
ha fatto a fin di bene, cioè
per « dare veste chiara, uffi¬
ciale e pubblico » al servizio,
devo forse dedurne che prima
il servizio aveva veste oscu¬
ra, non ufficiale e segreta?
Cosi parrebbe dalla lettera:
ma una illegalità non cessa
di essere tale sol perché è
resa manifesta. Io non ho
scritto che il ministero aveva
« appaltato » ciò che gli com¬
pete, mo di peggio, e cioè che
il ministero aveva trasferito
a un terzo, fosse pure ente
pubblico, l'esecuzione di un
proprio servizio, al di fuori
e contro la legge. Il sottose¬
gretario conferma che tale
trasferimento è avvenuto, ed
è questo che conta, non il
fatto che l'ente sia un sem¬
plice esecutore degli ordint
ministeriali. Peraltro, secon¬
do la convenzione, l'ente
« esegue » solo le ordinazioni
di materiali audiovisivi pas-,
sategli dal ministero. Invece
non esegue, ma agisce libera¬
mente, allorché destina gli
utili del servizio alla produ¬
zione di film, filmine, diaposi¬
tive e dischi: tale infatti è
la facoltà datagli dall'art. 8
della convenzione e questo è
uno degli aspetti più scon-
certanti della vicenda. La
« gestione fuori bilancio ».
poi, è indubbio e mi sorpren¬
de che il sottosegretario non
se ne avveda. Perché si abbia
uno gestione di biloncio, oc¬
corre che gli stanziamenti
siano erogati per i fini voluti,
nei modi stabiliti, dagli orga¬
ni abilitati, con le giustifica¬
zioni contabili richieste per
ogni singola erogazione : di
queste quattro condizioni, so¬
lo una e neanche tutta ricor¬
re nell’accordo tra il mini¬
stero e l'ente. La notizia che
la convenzione col Centro
sussidi audiovisivi aveva ri¬
portato il parere favorevole
segue a pag. 35
2
Domenica 12 Giugno 1966
Direttore
Ferruccio Farri
Comitato di Redazione
Lamberto Borghi, Tristano Codignola, Alessandro Galante Gar¬
rone, Antonio Giolitti, Giampaolo Nitti, Leopoldo Riccardi, Er¬
nesto Rossi, Paolo Sylos Labini, Nino Valeri, Aldo Visalberghi
Vice Direttore Responsabile
Luigi Ghersi
ravvenimento della settimana
Federico Artusio: Dopo Gemini 9: Dove va Superman? .
som ma rio
4
Elezioni: Il gioco moderato
7
Ernesto Rossi: La cedolare nera .
8
Un Savoja sul Vesuvio .
10
la vita politica
Leopoldo Riccardi: Parlamento: Il meccanismo della democrazia
11
Luciano Vasconi: Cina: Le streghe di Pechino.
16
Max Salvadori: Lettera daH'America: Due sondaggi .
18
1 . F. Stone: Cambogia: Il re e il vietcong.
22
agenda internazionale
G. C. N,: Congo: La giustizia di Mobutu.
S. Domingo: La vittoria dell’equivoco . .
25
26
Paok) Sylos Labini: Relazione Carli: la linea della cautela .
27
economia
Un freno allo sviluppo .
29
Carlo Galante Garrone: Questi nostri giudici .
31
Donato: Università: Una scelta sorniona ....
33
cronache italiane
Aladino: Crisi di giovani
34
L’Astrolabio è In vendita ogni sabato. Direzione. Redazione e Amministrazione. Via Pisanelli 2. Roma. Tel. 310.326
385.433. Pubblicità: L. 200 al mm. giustezza 1 colonna sulla base di 3 colonne a pag. Tariffe di abbonamento: Italia:
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Tribunale di Roma n. 8861 del 27-10-62. Distributore; Società Diffusione Periodici (SO.DI.P.) Via Zurettl. 25 - Mi¬
lano - Tel. 6884251. Stampa: Graphocolor s.p.a. - Roma. Spedizione in abbonamento postale gruppo II.
^Astrolabio 12 giugno 1966
3
Rendez-vous spaziale
S tafford e Cernan sanno quello che
fanno: e a noi sembra secondario
che l’aggancio della Gemini al satel¬
lite-lepre abbia luogo durante questo
esperimento, o in un prossimo, che
non potrà comunque tardare molto.
Intanto i laboratori del Surveyor, riu¬
scito alla prima prova nel suo allunag¬
gio morbido, continuano a trasmettere
dati di enorme importanza, che con¬
fermano come i programmi astronau¬
tici americani abbiano raggiunto, sen¬
za stento, gli antecedenti non meno
sorprendenti della scienza e della tec¬
nologia sovietica.
Ci si domanda molto spesso, con
un interrogativo che sembra ormai fu¬
tile, chi dei due sia ormai più progre¬
dito: chi per primo, dunque, arriverà
sulla luna. A tale questione si è già
largament? ris^to, ogni volta che s’è
6sservàto''corhe, a"questo punto, il pa¬
rallelismo dei due itinerari astronàu¬
tici stia diventando assurdo. Quando
si effettuò il primo allunaggio sovie¬
tico, la riflessione più sensata fu che i
primi a profittarne, per i loro esperi¬
menti, sarebbero stati gli americani; e
probabijmetite le trasmissioni televi-
dve della Gemini sono, a loro volta, al¬
trettanti ^ts scientifici pelle mani
dei sovietici. Il fatto che a questo pun¬
to gli sforzi non vengano congiunti
sembra tanto più assurdo, in quanto
sia gli Stati Uniti all’inizio di maggio,
sia l’URSS ai primi di giugno, hanno
avanzato all’ONU progetti estrema-
mente simili di diritto spaziale, e di
internazionalizzazione della luna.
La questione chi sia dunque più
avanti, e di quanto, e come, non si
pone più. Se ne pone un’altra, secon¬
do noi, diversa, e che per ora non può
che segnare, almeno su un primo pun¬
to, un vantaggio per gli Stati Uniti.
Mentre nell’Unione Sovietica, secondo
un rilievo che è dello stesso Kossighin,
e che risponde senza dubbio alla real¬
tà, esiste tuttora uno jato non col¬
mato tra i livelli scientifici d’avanguar¬
dia e le deduzioni tecnologiche che
possono e debbono esserne ricavate per
la razionalizzazione dell’industria, negli
Stati Uniti questo distacco non solo
non esiste; ma è già in atto il "ponte”,
non solo tra scienza e tecnologia in
genere (sarebbe un luogo comune in¬
sistervi), ma uno specifico strumento
di transizione fra le ricerche scientifi-
, che e tecnologiche che rendono possi¬
bili le operazioni astronautiche, e i li¬
velli più pertinenti di applicazione alla
tecnologia terrestre. La NASA stessa
ha fondato un "Office of Technology
Utilization”, che si divide in due se¬
zioni, la STID (« Scientific-and Tech-
nical Information Division ») e la TUD
(« Tecnology Utilization Division »).
Quest’ultima è il vero e proprio or¬
gano di connessione tra risultati, me¬
todi e strumenti del settore astronau¬
tico, e la loro estensione, rettifica ed
applicazione a settori tecnologico-pro-
duttivi, sia dell’industria che dell’eco¬
nomia... Un "Centro di trasmissione’!
è stato istituito sin dal 1963 nell’Uni¬
versità di Indiana, e aziende private vi
si "abbonano” secondo una ben spe¬
cifica gradazione di "commesse”. Il
fatto importante è che non solo posso¬
no ricavarsene conseguenze per la pro¬
duzione, ma soprattutto per la previ¬
sione di mercato, e quindi, in più lar^
go senso, per l’economia in generale
degli Stati Uniti.
Un'ipotesi "fantaindustriale". Si
era parlato sovente, in passato, del
pericolo che l’astronautica servisse in
realtà a fini strategici, vantaggiosi, ov¬
viamente, per il "primo arrivato”. Nes¬
suno lo esclude in pratica, ma tutti gi^
si preoccupano di annullarne il peri¬
colo in sede di diritto. Invece è del
tutto chiaro che mentre l’astronautica
americana non è una scelta tra la terra
e la luna, ma sin da questo momento
la luna rappresenta in essa una inte¬
grazione del "fenomeno America” sul¬
la terra, per l’Unione Sovietica la riu¬
scita non è della medesima specie.
Quando partirono gli Sputnick, fu giu;
sto pensare che uno stato socialista si
proponesse certi grandi scopi scienti¬
fici disinteressati, che un paese capita¬
lista esitava a perseguire, non ved«i-
dovi forse un tornaconto sia pure a
lungo termine. Ma oggi le cose non
stanno più così. Negli Stati Uniti si
può lanciare il mito di una concor¬
renza a breve termine tra l’industria
astronautica e quella automobilistica;
ma in URSS, lungi dal vagheggiare
questa immagine fantaindustriale, se si
vuole produrre un milione di auto
ci si rivolge ancora alla Fiat e alla
Renault. Per ora almeno il grosso atout
della superiorità americana sta dunque
nella "globalità” del suo meccanismo
scienza-tecnica, mentre è notoria la di¬
scontinuità di quello sovietico. Se vo¬
gliamo tradurre in termini politici
questa differenza, diremo che Kru¬
sciov fu l’uomo che se ne avvide, fi*
questa presa di coscienza sovietica. La
sua promessa ai popoli e ai paesi so¬
cialisti, che nel 1970 sarebbe stata
raggiunta la parità con gli Stati Uniti,
era però una risposta, tuttavia, da mi-
tomane, ad un problema che richiede
anche adesso una crescita, una trasfor¬
mazione profonda (già in corso indub¬
biamente) del rapporto, nei paesi so¬
cialisti ma anzitutto in URSS, del rap¬
porto scienza-società.
Naturalmente si può fare a meno di
partire dal livello astronautico
costruire (e mitizzare) una certa tec-
11 lancio della Gemini 9
I avvenimento gena settimana
DOVE IH SUmUN?
Il volo della Gemini ha riaperto un problema per gli USA: raggiunto un livello di potenza tecnica
che non ha raffronti nel mondo, gli americani sanno o no a quale fine impiegarlo? Sanno come
trasformarlo, piuttosto che in un problema di più produzione, nell’altro fine della convivenza insie¬
me agli altri popoli della terra? Gemini, è vero, conosce la sua strada: ma Superman, dove va?
oologia: la jjacata rinunzia della Gran
Bretagna laburista ad ogni tentativo e
2 d ogni contributo astronautico è la
prova di un senso del limite, che però
l’URSS non è pùù in grado di permet¬
tersi. Invece la riuscita della Gemini, la
^ttimana scorsa, ha riaperto un pro¬
blema, che tormenta gli americani
porno per giorno, non forse là dove
la provincia sonnecchia beata nel suo
conformismo, ma nelle punte vive del
Paese; tra i politici e gli strateghi, tra
la Casa Bianca e gli oppositori del
fenato. Gemini, è vero, conosce la sua
prada: ma Superman? Raggiunto un
livello di potenza tecnica che non ha
rtóronti possibili nel mondo, gli ame¬
ricani sanno si o no a quale fine im¬
piegarlo? sanno come trasformarlo, non
^mplicemente in una questione di
più” produzione, o di "meglio previ¬
sta” distribuzione, o di diminuito ri¬
schio nel lancio i nuove merci; ma
fU’altro fine, quello della convivenza
■nsieme agli altri popoli della terra?
1-^ democrazia di Rusk. Guardiamo¬
ci dal cadere noi stessi nell’immagine,
assolutamente arbitraria, di un’Amen¬
to^ che non solo è il primo della serie
di tutti i popoli, ma un "essere primo”
che sta fuori, staccato dalla serie. Gli
Stati Uniti non condividono questa
caratteristica con il Dio di Aristotele.
Sono una potenza umana, alla quale si
pone proprio il problema che acco-
ttiuna tutti gli altri uomini: come vi-
''cre insieme. Sino ad un certo punto,
può sorreggerli uno schema, che è
tjuello contrapposto recentemente da
Busk a U Thant: e la regola della no¬
stra convivenza è la lotta per la de-
uiocrazia, dovunque, contro l’autorita-
tismo e il comuniSmo. Ma la replica
di U Thant è di quelle che contrastano,
*®nza farsene colpire, l’argomentazione
®ttiericana: in Asia, nel Vietnam, la
^nte vuole vivere; la vostra regola,
della democrazia contro l’antidemocra-
^*3. non la riguarda. Nessuno la rico-
ttosce o la vuole. Voi distruggete in
-►
' Il volo di Stafford e Cernan
t
i -astrolabio - 12 giugno 1966
5
l’avvenimento della settimana
Asia, in nome della democrazia, la
vita umana.
Superman incomincia ad essere toc¬
cato da questo tipo di argomenti. Re¬
centemente abbiamo letto lettere e
pensieri di giovani americani, richia¬
mati per la guerra in Asia sud-orien¬
tale, e il sugo non è poi tanto diverso
da quello delle lettere degli ufficiali
tedeschi assediati in Stalingrado: ”Non
vorrei morire per una causa che non
è la mia, che non riconosco giusta”.
C’è nella ”globalità” della potenza
terrestre e già iperterrestre degli Stati
Uniti un paradosso di cui Superman
cerca la soluzione, ma non la trova. Il
paradosso è che, quando si ha in ma¬
no quella potenza, ci si deve battere
per le cause giuste. Ma chi, che cosa
permette ed insegna a discriminare tra
le cause che l’americano deve far pro¬
prie perchè sono giuste, e le cause che
diventano giuste perchè sono ameri¬
cane?
Non parliamo qui di dilemmi sofi¬
sticati. Non è un caso che, lo stes¬
so giorno, o quasi, il Presidente John¬
son sostenesse il suo piccolo Massinis-
sa, il generale Ky; che Rusk desse
invece ragione ai buddisti; e che Me
Namara prendesse finalmente le sue
distanze, e, con insospettata acutezza
di ministro della Difesa, affermasse
che la pace e la sicurezza non si con¬
seguono solo con le armi, e che gli
Stati Uniti errano se credono di assu¬
mere il ruolo di poliziotto del mondo.
Se a parlare in questo modo fosse
stato il senatore Morse, il fatto ci sa¬
rebbe parso scontato e banale: ma se
ad esprimersi cosi è l’uomo responsa¬
bile di una spesa di 60 miliardi di
dollari all’anno per la ”sicurezza”, il
consigliere più vicino di Johnson, sia¬
mo colpiti: Superman sa, quando è
l’ora, prendere il volo. Ma il dramma,
questa volta, è che la direzione non
è in vista. Superman sa volare, ma
non sa e non può partire.
Questa incertezza radicale di rap¬
porti con il mondo contemporaneo ha
indotto un settimanale dell’amica Ger¬
mania, il buon atlantico settimanale
Die Zeit di Amburgo, a pubblicare
un pezzo, sensatissimo, intitolato:
”Johnson ohne Konzept”. Naturalmen¬
te la Zeit non fa il caso personale del
Presidente Johnson come uomo. Si
potrebbe anche sollevarlo, ma è dive¬
nuto persino triviale parlare, da un
lato, della sua ansia di consenso, dal¬
l’altra del suo isolamento dagli strati
intellettuali e morali più significativi
del paese. Eppure anche Johnson tenta,
per quanto può, di affacciarsi dalla sua
torre. Pochi giorni fa ha riunito una
vasta conferenza che aveva come tema
i diritti civili, e dove la rappresentanza
più numerosa era logicamente di ne¬
gri. Ebbene, che cosa ne ha cavato, se
non il parere di smettere la guerra in
Asia e di dedicare quel denaro alla
elevazione del tenor di vita della gente
di colore negli Stati Uniti (fra l’altro
è appena necessario avvertire che per¬
centualmente sono i giovani negri a
pagare, più numerosi, in Asia sudorien¬
tale, tra le file degli americani)?
Dove prender terra? Si guardi per
un momento appena dove potrebbe
prendere terra Superman. In Europa?
Benissimo, tutti amici. Ma appena si
scava sotto la superficie, viene fuori l’in¬
terpretazione inglese del Times, che la
presenza americana in Europa costitui¬
sce ormai semplicemente la ”riserva”
di addestramento specializzato, da cui
gli USA attingono e attingeranno per
qualunque impresa li attragga nel mon¬
do. Non un organo impertinente come
VAstrolabio, ma un giornale secolare
e ponderato come Economist, ne ri¬
cava che è divenuto palese, allora, che
le vie dell’Europa e dell’America sono
fatalmente vie diverse. Subito il New
York Times si è risentito, ha evocato
la generosità USA verso l’Europa, e
accusato gl’inglesi di lanciare notizie
e pareri avventati. Ma sotto sotto l’a¬
marezza di una verità sgradevole resta
intatta.
E’ vero, tuttavia, che Superman po¬
trebbe atterrare in URSS. Una parola.
Da un lato, le conclusioni del Penta¬
gono dicono che indubbiamente, e per
un numero ragionevole di anni, non
sono da temere aggressioni dall’URSS;
dall’altro è però costretto ad ammet¬
tere che l’URSS è l’unico paese fisi¬
camente in grado di distruggere gli
Stati Uniti (a costo beninteso di la¬
sciarci la sua carcassa).
Dunque, fino a quando non si sia
trovato un modus vivendi, cioè una
politica della fiducia, tra URSS, Eu¬
ropa e Stati Uniti, la convivenza non
può basarsi che sul sospetto, e per¬
tanto sull’incremento indefinito del¬
l’armamento americano. Ma come non
avvedersi che la soluzione ”più arma-
naento”, genialmente inserita nella
globalità scientifico-tecnologica degli
Stati Uniti, allontana da loro cioè dalla
fiducia in loro, europei e sovietici?
Il vero pericolo — gli americani già
lo vedono — non è De Gaulle: è che
De Gaulle abbia, però, addirittura
molto al di là delle sue predilezioni
nazionalistiche, enunciato a nome di
molti altri quel principio della ”plu-
ralità” del diritto di esistenza, dell’au¬
tonomia delle scelte politiche, e che in
forme anche xlel tutto diverse, altri
paesi siano via via disposti ad afier-
marli. E’ ingeneroso, lo riconosciamo:
ingeneroso rivoltarsi contro gli Stati
Uniti, conoscendo non solo la minac¬
cia della loro {x)tenza, ma l’agonia del
loro scrupolo. Tuttavia dove il na¬
palm vuole correre, corre.
Superman LBJ. La Cina, allora; forse
il Vietnam. Negli ultimi giorni, John¬
son ha proposto (sembra) al governo
di Hanoi di sospendere i suoi bom¬
bardamenti, se O Ci-min smette di
far scendere uomini al Sud. E’ la più
importante offerta di tregua che il
Presidente abbia fatto sinora; perchè
qui propose uno scambio concreto,
mentre prima faceva solo chiacchiere
sulla sua disponibilità ad inverosimili
incontri di tregua. La concretezza di
questo nuovo passo è fondata sulla co¬
statazione che, dopo un anno di bom¬
bardamenti delle ”vie per il sud”, de¬
gli uomini di O Ci-mm, costoro rad¬
doppiano mensilmente la loro compar¬
sa sul terreno americano.
Johnson avrebbe anche compiuto un
altro passo assolutamente inatteso: nei
contatti USA-Cina di Varsavia, avreb¬
be fatto proporre ai cinesi che, se essi
rinunziano ai test nucleari, e firmano
il trattato di Mosca, gli Stati Uniti si
impegnano a non mai usare per primi
l’arma atomica. E’ una promessa fatta
a scapito dell’Europa, perchè si sappia
tutto. Infatti sinora gli americani,
pur assunta la tesi dell’escalation, e
quindi del differimento dell’uso di or¬
digni termonucleari, non si erano mai
vincolati a non usare per primi l’arma
atomica, data la sproporzione, a van¬
taggio dell’URSS, delle armate e delle
armi convenzionali. Siamo dunque a
questo, e gli europei potrebbero aprire
le orecchie: Johnson può essere ten¬
tato di scambiare la pace in Asia con
le garanzie all’Europa.
In realtà, forse solo al tempo di
Roma antica, quando Livio espresse il
parere che l’impero stava schiaccian¬
dosi sotto il suo stesso peso, si è dato
nella storia un antecedente così dram¬
matico corre quello della politica e del¬
la potenza americana di oggi.
Il vero volo di Superman quello in¬
nocente, quello senza pentinenti e sar¬
casmi, non sarebbe forse in testa alla
Gemini, irmanzi a tutti i voli interpla¬
netari della civiltà americana? Super¬
man invece non ha pace, tutte le sedi
terrestri lo attendono, nessuna può ac¬
coglierlo porchè vi si posi a tessere la
tela che McNamara ha pure disegrta-
to, un tessuto che unisca popoli con
6
un filo americano di elevazione mate¬
riale e di rispetto umano, soprattutto,
là dove la prima lotta è per la soprav¬
vivenza, e quando questa diventa, a
sua volta, non un istinto, ma un mo-
uiento religioso.
Gli astronauti della Gemini continua¬
no invece a ripetere le loro orbite per¬
dette, Il loro rischio è calcolato ed
eroico, la loro ricompensa (due mila
dollari al mese) persino irrisoria. Ven¬
timila aziende americane lavorano in¬
tanto per la NASA. La luna aspetta
indifferentemente Rusk o Gromiko.
Forse anche Kossighin, come Johnson,
vive anni e mesi di incertezza; ma si¬
curamente egli ha oggi, su Johnson, il
vantaggio di essere il successore, e
l’aiitidoto, di Krusciov. Johnson non
solo porta su di sè il dànno di essere
venuto dopo Kennedy; ma di avere, al
contrario di quanto è accaduto in
URSS, voluto indossare, lui, quelle ali
di Superman, che Kennedy, pur tra
molte esitazioni, aveva ordinato di ri¬
porre in soffitta.
FEDERICO ARTUSIO ■
_ ELEZIONI
il gioco
moderato
I » interesse politico della consulta-
zione elettorale del 12 giugno
Siustiflca ampietmente l’impegno con
il quale tutti i leaders della maggio¬
ranza hanno affrontato la campagna
elettorale. Per Moro come per Ta¬
rassi, per La Malfa come per Eie
Martino, per Rumor come per Nenni
e in gioco qualcosa di più che la co¬
stituzione di alcune giunte provin¬
ciali e comunali. Per la DC si trat¬
ta di verificare la possibilità di recu¬
perare almeno una parte dei voti
perduti nelle politiche del 1963, per
i socialisti di impedire che lo scon¬
tento € la protesta contro il modo
di concepire ed attuare la collabo-
razione di governo si traduca in una
sconfitta elettorale.
Socialdemocratici e repubblicani
sono, a loro volta, alle prese con
problemi e interrogativi di non mi-
bore importanza. Riuscirà Tanassi ad
ottenere i successi di Saragat? Il pre¬
stigio derivante dalla presenza di un
socialdemcxjratico al Quirinale varrà
a compensare l’assenza del leader
dall’agone politico? Potranno i repub¬
blicani — grazie all’attivismo, agli
atteggiamenti critici e anche alle in¬
quietudini di Ugo La Malfa — riu¬
scire finalmente a superare i ristretti
limiti elettorali in cui la lotta poli¬
tica li aveva finora confinati?
Ma l’ipoteca più pesante di que¬
sto, ormai imminente anche se par¬
ziale, giudizio elettorale, grava indub¬
biamente su Moro e Nenni. Per que¬
sti due leaders è infatti in gioco la
capacità della loro jpolitica di con¬
solidare e di rafforzare, anziché in¬
debolire, l’area e la consistenza elet¬
torale dell’intera maggioranza di
centro-sinistra.
Una risposta a questi interrogativi
la daranno, fra pochi giorni, circa
cinque milioni di elettori, prevalen¬
temente concentrati in grandi città
come Roma, Firenze, Genova e Bari,
chiamati alle urne per rinnovare tre
consigli provinciali e i consigli co-
biunali di otto capoluoghi di pro¬
vincia € di 160 altri comuni, di cui
101 con popolazione superiore ai 5000
abitanti e 59 al di sotto di questa
cifra. Il risultato della consultazione
sarà reso anche più importante dal¬
la situazione che caratterizza ormai
da tempo la situazione di molti di
questi enti locali. Su undici consigli
provinciali e comunali di città cajx)-
luogo, cinque erano stati rinnovati
nel novembre 1964 e avevano porta¬
to alla costituzione di « giunte dif¬
ficili », rimaste prive di una maggio¬
ranza capace di approvarne i bilan¬
ci. E’ ciò che è avvenuto alla Pro¬
vincia di Roma, al Comune di Geno¬
va, ai Comune di Firenze, alla Pro¬
vincia e al Comune di Forlì. In un
altro caso (Comune di Ascoli Pice¬
no) resistenza di una maggioranza
aritmetica non è stata sufficiente a
superare e a comporre i dissensi che
si sono verificati all’interno del cen¬
tro-sinistra. Degli altri cinque con¬
sigli, eletti nel dicembre del 1962 e
che hanno potuto funzionare per l’in¬
tera durata del loro msmdato, solo
tre — i consigli comunali di Bari, di
Foggia e di Pisa — disponevano di
una maggioranza iniziale di centro-
sinistra; al consiglio provinciale di
Foggia e a quello comunale di Roma
la maggioranza si è potuta costituire
solo grazie al provvidenziale sposta¬
mento di qualche consigliere monar¬
chico e missino.
Anche fra i comuni di minore im¬
portanza, questa situazione si ripe¬
te, pur se con proporzioni diverse.
Non mancano casi paradossali ri¬
spetto al normale schieramento poli¬
tico del paese, che sono tuttavia, an-
ch’essi, sintomatici della atmosfera di
crisi che attraversa la maggioranza
e caratterizza i rapporti fra i partiti.
In un importante centro del Lazio,
a Velletri, una giunta di sinistra con
sindaco repubblicano è stata messa
in crisi dai socialisti che intendevano
sostituirle una maggioranza di cen¬
tro-sinistra e la battaglia elettorale
si svolge essenzialmente fra sociali¬
sti e socialdemocratici da una parte
e repubblicani dall’altra. A Bari il
PRI, che presenta capolista Michele
Cifarelli, ha perduto numerosi espo¬
nenti, passati al Partito socialdemo¬
cratico. A Firenze il PSI, nonostante
le gravi perdite subite nelle prece¬
denti elezioni amministrative ad ope¬
ra del PSIUP e nonostante il netto
spostamento a destra della Democra¬
zia Cristiana, non ripresenta gli espo¬
nenti della sinistra socialista; è as¬
sente anche dalla lista socialista l’ex
vice sindaco Enriquez Agnoletti, che
fu insieme a La Pira uno dei pro¬
motori e degli artefici del centro-
sinistra in questa città.
Gli esempi potrebbero continuare
e trovano riscontro in una imposta¬
zione della campagna elettorale, che
è da parte del PSI il risultato di
queste debolezze e contraddizioni e
si è svolta fra qualche attacco pole¬
mico al moderatismo democristiano,
la riconferma d’ufficio della propria
volontà di attuazione del programma,
l’ottimismo unificatorio e la dramma¬
tica constatazione della mancanza di
alternative.
Non cosi la Democrazia Cristiana,
che ha scelto fin dal primo momento
una linea univoca sia nella composi¬
zione delle liste che nella condotta
della campagna elettorale. L’obietti¬
vo della Segreteria de è stato subito
quello di recuperare a destra quanti
più voti possibile e a ciò hanno ser¬
vito egregiamente sia i discorsi anti¬
comunisti sia i candidati di destra
immessi con grande ostentazione nel¬
le liste, a far da richiamo all’eletto¬
rato monarchico, liberale e missino.
E’ difficile dire quanto questi ten¬
tativi possano avere successo, ma
essi non possono non ipotecare gra¬
vemente, quali che ne siano i risul¬
tati, gli orientamenti e le caratteri¬
stiche della maggioranza. Gli avve¬
nimenti della Val d’Aosta con il
tentato condizionamento liberale e
quelli _ 2 mcora più gravi di Napoli,
dove è in atto una vasta operazione
di cattura e riqualificazione dei re¬
sidui del laurismo che è stata giusta¬
mente e drammaticamente denun¬
ciata dall’on. Lezzi, indicano come
queste scelte da parte della DC non
siano occasionali e contingenti.
In questa situazione quasi dovun¬
que la campagna elettorale è note¬
volmente scaduta di tono, spesso a
pura e semplice campagna pubblici¬
taria, dominata dal personalismo dei
candidati, dall’ovvietà e dal cattivo
gusto degli slogans, dal mancato ap¬
profondimento dei temi amministra¬
tivi, dalla conseguente genericità del
dibattito € del confronto politico. In
questo clima, accuse pur gravi rivol¬
te al Sindaco di Roma dai radicali
(un esposto è stato presentato alla
Procura della Repubblica sulla ge¬
stione di una serie di enti assisten¬
ziali) e dai comunisti (stanziamenti
I)er gli alluvionati di Prima Porta)
non hanno neppure provocato una
presa di posizione da parte degli
altri partiti delia maggioranza. E’
evidente che la DC preferisce le in¬
vettive contro lo stalinismo. Ma a
chi, oltre la DC, può giovare questo
costume politico e questo tipo di rap¬
porto con l’opinione pubblica e l’elet¬
torato? ■
L Astrolabio 12 giugno i966
7
la
vita
lK)litica
i
>
P uò darsi che qualche lettore del-
VAstrolabio ricordi ancora la sto¬
ria della ”più grossa frode fiscale com¬
messa in Italia in questo do^guerra”
(cosi la definì Lino Jannuzzi, che ne
diede notizia, per primo, sull’Ejprerro
del 30 marzo 1965).
Ministri papalini. Quando, nel di¬
cembre del 1962, l’imposta cedolare
sui titoli azionari venne messa in di¬
scussione alla Camera, la Commissione
finanze e tesoro respinse un emenda¬
mento col quale l’on. Faustino Zugno,
democristiano, avrebbe voluto esentare
tutte le azioni di proprietà della Santa
Sede. Pubblicata la legge 29 dicembre
1962, n. 1745, invece di vigilare sulla
sua severa applicazione, il ministro
delle finanze, Mario Martinelli, anche
lui democristiano, sospese, con una
semplice circolare, la ritenuta d’acconto
o d’imposta sugli utili distribuiti dalle
società, in qualsiasi forma e sotto qual¬
siasi titolo, di pertinenza della Santa
Sede.
Il governo credè poi di poter rego¬
larizzare questa grave illegalità con
uno scambio di quattro note diploma¬
tiche, datate tutt’è quattro 11 ottobre
1963: con la prima il segretario di
Stato della Città del Vaticano, card.
Cicognani, — richiamandosi ad analo¬
ghe agevolazioni concesse nel 1942 dal
governo fascista ed allo spirito del
Concordato — esprimeva sommessa¬
mente l’avviso che, "sarebbe stato au¬
spicabile” non applicate, a partire dalla
sua istituzione, la ritenuta della cedo¬
lare sui dividendi ipagati alla Santa
Sede; in altre due note l’ambasciatore
d’Italia presso la Santa Sede, Migone,
comunicava che "il governo italiano
era d’accordo” e proponeva che lo scam¬
bio di note "entrasse in vigore non
appena fosse reso esecutivo, secondo
le norme dell’ordinamento interno”;
nella quarta nota il card. Cicognani ac¬
cettava la procedura proposta dal go¬
verno italiano.
Nel sopracitato articolo suWEspres-
so, Jannuzzi scrisse che il regalo alla
Santa Sede ammontava per gli ultimi
Preti
jà
8
tre anni, ad lina quarantina di mi¬
liardi.
Sul fascicolo del 6 febbraio, la ri¬
vista Time anticipiò un riassunto del-
1 articolo di Jannuzzi e scrisse che, se¬
condo le migliori congetture dei ban¬
chieri, il Vaticano possedeva titoli
tlelle società italiane per 1,6 miliardi
tli dollari, corrispondenti al 15 per
cento del valore delle azioni quotate
complessivamente nelle Borse italiane.
« Per cercare di legalizzare il rifiuto del
Vaticano a pagare Timposta — aggiunse Time
— i democristiani al governo hanno presen¬
tato il disegno di leg^ n. 1773, che esente-
tebbe i dividendi pagati al Vaticano, e l’han-
jto fatto sdrucciolare in Parlamento durate
*a crisi presidenziale seguita alle dimissioni
tt'l presidente Segni; ma, prima che il di-
^gno di legge fosse approvato, i socialisti lo
hanno letto e lo hanno bloccato. Ciò ha reso
furibondo il Vaticano ».
L’autorevole rivista americana scris¬
se anche che, alla richiesta di presen¬
tare un elenco completo dei titoli ita¬
liani di proprietà della Santa Sede, da
esentare dalla cedolare, il card. Cico-
8nani "aveva freddamente risposto che
Un governo sovrano non fa confidenze
ad un altro governo sullo stato delle
sue finanze’’.
Chi non morrà vedrà. Il disegno di
|^8ge n. 1773, presentato alla Camera
il 26 ottobre 1964, porta la firma del
Sono passati ormai quattordici mesi da quando Ernesto Rossi, in
un articolo pubblicato «e//’Astrolabio del 20 marzo 1965, si occu¬
pava dei problemi connessi al d.d.l. n. 1773, che praticamente
avrebbe esentato il Vaticano dal pagamento della cedolare d’ac-
conto sui dividendi azionari. Con questo articolo ritorniamo sul¬
l’argomento per spiegare i motivi che hanno reso possibile ai
governi che d’allora si sono succeduti di stendere una coltre di
silenzio sulla « più grossa frode fiscale di questo dopoguerra ».
ministro degli esteri: fu questo il ter¬
zo tempestivo intervento col quale
l’on. Saragat si aprì la strada che do¬
veva portarlo alla suprema carica dello
Stato. 11 primo era stato il comunicato
della Farnesina, del giugno 1964, in
cui "veniva vivamente deplorata la
campagna di calunnie contro la memo¬
ria del Sommo Pontefice Pio XII” e
la circostanziata risposta che "per dare
tangibile prova di quanto stesse a
cuore del governo italiano il manteni¬
mento degli eccellenti rapporti che
l’Italia intratteneva con la Santa Sede”,
l’on. Saragat diede a una interrogazio¬
ne presentata dai comunisti sulla op¬
portunità di quel comunicato ufficiale;
il secondo era stato l’articolo, che ave¬
va mandato in sollucchero tutti i mon¬
signori del Vaticano, di esaltazione
della enciclica "Ecclesiam suam”, pub¬
blicata il 14 agosto 1964.
In un lungo articolo %uVl'A strolabio
del 20 marzo 1965, io esposi tutte le
notizie che ero riuscito a mettere in¬
sieme sull’argomento: diedi l’elenco
degli enti vaticaneschi che avrebbero
dovuto essere esentati dalla cedolare
(elenco che quel disegno di legge n.
1773 non portava, e che — sulla base
di un accenno contenuto nella sopraci¬
tata lettera del card. Cicognani — riu¬
scii faticosamente a ritrovare in una
circolare del ministero delle finanze
del 31 dicembre 1942); ricordai le ra¬
gioni politiche per le quali, soltanto
alla fine del 1942, dopo sette anni
dalla istituzione della cedolare, il go¬
verno fascista si era deciso a conce¬
dere l’agevolazione tributaria alla
quale la Santa Sade aveva fatto ri¬
ferimento nella nota dell’11 ottobre
1963; spiegai che dal disegno di leg¬
ge Saragat e dalle note del card. Ci¬
cognani non era possibile ricavare al¬
cun dato per stabilire quale sarebbe
stata la perdita per il Tesoro, e misi
in rilievo che l’esenzione avrebbe
consentito anche a molti pescecani
laici di uscir fuori dalla rete del Fisco
attraverso i larghi buchi che sarebbe¬
ro stati praticati in favore della Santa
Sede e degli enti religiosi.
Dopo aver riportato un brano di
un articolo comparso sulla Stampa
del 12 marzo 1964, in cui Arturo
Barone prevedeva che il varo del di¬
segno di legge, n. 1773, "non sareb¬
be stato tranquillo, nè cosi pacifico
come si sarebbe potuto pensare”, com¬
mentai: "Chi non morrà vedrà”.
La tattica del rinvio. Dal marzo 1965
sono passati ormai quattordici mesi:
ancora non sono morto, ma ancora
non ho visto niente. Nella seduta del
3 febbraio 1965 il relatore socialista,
on. Luigi Anderlini, espresse un pa¬
rere nettamente contrario al disegno di
legge n. 1773. Il rappresentante del
governo chiese allora ”un breve rin¬
vio”, per meglio prepararsi sull’argo¬
mento: poiché si trattava di im pro¬
blema abbastanza rognoso — in cui
poteva rimanere implicato come re¬
sponsabile di una grossa frode fiscale,
un ex ministro delle finanze — la
Commissione non sollevò alcuna diffi¬
coltà, e rinviò di qualche giorno la
discussione.
Il 25 febbraio 1965 i deputati co¬
munisti Busetto, Ingrao, Amendola,
Raffaeli!, Raucci presentarono una in¬
terpellanza per sapere:
— « Oime è potuto avvenire che, in vio¬
lazione della l^e che ha istituito la ritenuta
d’acconto o imposta sugli utili distribuiti
dalle società, enti dipendenti dalla Santa
Sede non abbiano fino ad oggi pagato l’im¬
posta per un ammontare di 40 miliardi;
— « Se ritiene legittimo il comportamen¬
to di organi di Governo e di suoi rappre¬
sentanti, che, dopo aver disposto l’esenzione
fiscale con una semplice circolare del Mini¬
stro delle finanze, hanno proceduto ad uno
scambio di note con la Santa Sede, onde con¬
cordare la non applicazione della legge, e
sono giunti perfino a presentare un disegno
di legge di ratifica in tal senso;
— « Che cosa intenda fare per assogget¬
tare a regolare tassazione i titoli azionari il¬
legittimamente esentati, per impedire che si
produca un danno all’erario e per evitare,
inoltre, che questo inammissibile stato di
fatto possa incoraggiare larghe evasioni dalla
imposizione cedolare ».
Questa interpellanza non è mai ve¬
nuta in discussione, nè mi risulta che
i comunisti abbiano in alcun modo
L'astrolabio -12 .giugno 1966
9
La vita politica
protestato: la presentazione di un’in¬
terpellanza è spesso sufficiente per con¬
tentare la platea; dietro le quinte, vie¬
ne poi concluso un compromesso col
governo, ed il grosso pubblico ben pre¬
sto dimentica anche quegli argomenti
che più lo avevano appassionato. In
questa tattica già eccelleva l’on. De
Gasperi; ma è stata portata, direi,
alla perfezione dall’on. Moro, ”il
temporeggiatore’ ’.
Nel gennaio scorso l’on. Anderlini
si è permesso di ricordare all’on. Or¬
landi, socialdemocratico, che il dise¬
gno di legge n. 1773, presentato dal
governo più che un anno prima, non
era stato ancora discusso dalla Com¬
missione finanze e tesoro, da lui pre¬
sieduta, mentre continuava ad essere
illegalmente applicata la circolare che
aveva sospeso la esazione dell’imposta
sui titoli del Vaticano.
Se l'opposizione facesse sul serio.
Se l’opposizione si decidesse una buo¬
na volta a fare il suo mestiere sul se¬
rio, sarebbe questa, a me pare, un’ot¬
tima occasione per cominciare: essa do¬
vrebbe insistere presso la presidenza
della Camera perchè venisse messa in
discussione, prima delle vacanze estive,
la interpellanza comunista del 25 feb¬
braio 1965; dovrebbe chiedere al nuovo
ministro delle Finanze, on. Preti (che
tanto ci tiene ad apparire come il più
rigido difensore degli interessi dell’Era¬
rio) di revocare subito la circolare Mar¬
tinelli del 1962, facendo valere l’os¬
servazione che — anche se il Parla¬
mento non concedesse la sanatoria —
trascorsi cinque armi dall’inizio della
sospensione del pagamento dell’impo¬
sta, il diritto dello Stato a riscuotere
le prime rate dell’imposta verrebbe an¬
nullato dalla prescrizione. In attesa
della discussione parlamentare, l’oppo¬
sizione dovrebbe poi denunciare alla
Procura generale della Corte dei conti
l’illecito amministrativo dell’ex mini¬
stro Martinelli, ed alla Procura gene¬
rale presso la Corte di appello di
Roma l’illecito penale commesso dal
medesimo personaggio.
Se lo volesse, la Procura generale
della Corte dei conti potrebbe proce¬
dere, per proprio conto, senza alcuna
autorizzazione de! Parlaménto, ed il
suo eventuale procedimento non sareb¬
be neppure arrestato dall’approvazione
del disegno di legge n. 1773, perchè
un danno, e danno gravissimo, è stato
in tutti i modi arrecato alle finanze
dello Stato con l’arbitraria sospensione
della cedolare.
Per procedere contro l’on. Martinelli
la magistratura ordinaria dovrebbe chie¬
dere l’autorizzazione del Parlamento, ed
il "caso Trabucchi” (per la scandalosa
storia del tabacco messicano) costitui¬
sce un precedente che non lascia al¬
cuna speranza sulla possibilità di arri¬
vare all’incriminazione di un ex mini¬
stro democristiano finché i democristia¬
ni continueranno ad avere la maggio¬
ranza relativa in Parlamento.
Ma certe sconfitte possono valere,
per l’opposizione, più di una vittoria.
ERNESTO ROSSI ■
un Savoia
sul Vesuvio
L a grande stampa ha trattato con
pudicizia, economia e reticenza la
manovra imbastita a Napoli dai mo¬
narchici per il 2 giugno. Era davvero
una grande manovra che da Napoli,
supposta sempre supinamente monar¬
chica, voleva contrapporre alla mo¬
desta ed incerta democrazia del Qui¬
rinale e riproporre agli italiani l’al¬
ternativa lucidata a nuovo della mo¬
narchia.
L’occasione non era mal scelta: i
nove giovani napoletani caduti per la
causa monarchica, le rispolverate
leggende sul colpw di Stato e sulle
truffe elettorali di Romita, il figlio
del duca leale soldato morto nel
lontano esilio, tutto faceva buon bro¬
do. Sono mancati a impietosire il po¬
polo di Ghiaia e dintorni i capelli
biondi di Maria Gabriella. Non è
mancato il messaggio da Cascais. Ed
infine ha volteggiato sul cielo di
Ghiaia il nuovo Lohengrin. Ben
montata la scena, diciamo da tecnici.
Sertipre da tecnici, ci permettiamo
alcuni consigli ai registi principali:
uno è il signor Sergio Boschiero, l’al¬
tro è un noto uomo politico, ex par¬
lamentare (non Govelli dunque e non
Lauro). Non chiamino Delcroix a fa¬
re orazioni, è come facessero parla¬
re un fantasma di oltre tomba. Non
facciano far interviste o dichiara¬
zioni all’ex-re: screditano l’alterna-
tiva. Proibiscano al suo giovane ere¬
de di parlare: rovina tutto; è trop¬
po indietro di scrittura.
E poi tengano conto che la demo¬
crazia italiana si regge sulle sorelle
Kessler e sul torneo di calcio. Se
essi adop>erassero fondi depositati
nella banca ginevrina anche per per¬
mettere alla squadra del Napoli di
comp>erare degli altri Sivori, di bat¬
tere nel prossimo torneo l’Inter, di
umiliare Milano, e di conquistare lo
scudetto, tutto sotto il patronato e
la benedizione, e magari con la pre¬
senza di qualche fanciulla dei Savoia,
questo sarebbe un colpo grosso. Buo¬
no per aprir la strada almeno ad un
nuovo regno del Sud.
Non è una cosa seria l’alternativa
monarchica, dicono i nostri, amici
che ci rimproverano di occuparcene.
D’accordo, non è una cosa seria : se
lo diventasse sarebbe tragica. Ma era
una grande folla che si stipava ec¬
citata e clamorosa nella sala del ci¬
nema napoletano. E, come abbiamo
già detto, questo ostentato quasi im¬
provviso risveglio di neo-attivismo
monarchico interessa come frutto evi¬
dente di un processo di disintegra¬
zione della nostra società politica e
della organizzazione della vita pub¬
blica. Sulla stessa linea stanno i
neo-fascismi e le altre velleità neo¬
restauratrici parafasciste.
Ripetiamo ancora una volta che
una situazione di infiacchimento e
deterioramento delle posizioni poli¬
tiche qualificate può permettere sol¬
tanto delle pericolose frenate a
destra.
Martinelli
10
PARLAMENTO
di LEOPOLDO PICCARDI
Montecitorio
Co« questo intervento di Leopoldo
Piccardi prosegue il dibattito sulla crisi
del Parlamento. In precedenza sono
Intervenuti Lelio Basso ed Ernesto
I Rossi.
I
j
1 A bblamo ripetutamente detto — ed
' * Ernesto Rossi ha fatto bene a ri-
I cordarlo e spiegarlo ancora una volta —
, quali dubbi e quali perplessità abbiamo
avuto prima di promuovere, come Mo¬
vimento Salvemini, un pubblico dibat¬
tito sulla « crisi del Parlamento *. In
Un’atmosfera di qualunquismo, come
I quella che il temperamento degli ita¬
liani alimenta costantemente, di fronte
f tutte le buone ragioni che si hanno
^ Italia per non essere soddisfatti del
hinzionamento delle istituzioni, in pre¬
senza di tendenze antidemocratiche,
suggerite da persistenti nostalgie del
I passato e riproposte dal basso livello
di educazione politica di vasti strati
della nostra popolazione, il parlare di
crisi del Parlamento può portare, se¬
condo un’espressione cara a Rossi,
acqua al mulino dei nostri avversari.
Queste preoccupazioni giustificate dalla
situazione attuale trovano conferma nel
ricordo di un’esperienza dell’Italia pre-
^ascista, alla quale pure si riferisce Ros-
I si: la critica delle istituzioni parlamen¬
tari condotta dagli uomini più rappre-
^ potativi della nostra cultura — da
^ Viti De Marco a Salvemini, da Mo-
sca a Pareto, senza dimenticare Bene¬
detto Croce — non concorse nell’ope¬
ra di corrosione alla quale il nostro si¬
stema politico era sottoposto da parte
' di quella correnti che sfociarono nel fa¬
scismo? Dubbi e scrupoli in questo sen¬
so ce ne sono stati, e sono ben com¬
prensibili. Ma la crisi dello Stato libe¬
rale in Italia è stata troppo profonda
e complessa per pensare che un diverso
atteggiamento dei nostri uomini di cul¬
tura potesse evitarla o deviarne il corso.
Comunque, se una colpa vi fu, non fu
la colpa di aver parlato quando si po¬
teva tacere; fu la colpa i ogni gene¬
razione, che fatalmente incontra nel mu¬
tare dei tempi il proprio limite.
Chi ha assistito al convegno del Sal¬
vemini ha potuto constatare che di que¬
ste preoccupazioni tutti gli interventi
hanno tenuto conto, misurando le cri¬
tiche verso le istituzioni parlamentari
ed evitando quelle discussioni di prin¬
cipio che avrebbero potuto aprire peri¬
colose prospettive. La prudenza non è
mancata; forse ce n’è stata anche trop¬
pa, perche il problema del Parlamento
non si affronta se non sul terreno dei
principi. Tanto che dobbiamo rallegrarci
di una felice incongruenza in cui è ca¬
duto Ernesto Rossi, il quale, dopo ave¬
re ampiamente spiegato con quale cau¬
tela vada affrontato il problema del
Parlamento, non ha esitato a scendere
sul terreno dei principi e a tratteggiare
lontane prospettive, non esclusa quella
di un sistema che faccia a meno di ele¬
zioni, affidando alla sorte la scelta della
classe governante. Non seguirò Rossi su
questa strada. Ciascuno di noi ama
prendersi le sue vacanze, cercare un an¬
golo dove possa dare sfogo alla sua im¬
maginazione, libero dalla responsabilità,
che sempre ci opprime, di mettere d’ac¬
cordo la nostra ragione e la realtà in cui
viviamo. Ciascuno di noi ha la sua re¬
pubblica ideale, la sua utopia, la sua
città del sole. Ma sono avventure soli¬
tarie. Le discussioni, in questa zona,
sono inutili. Il giorno in cui, secondo
il sogno di Ernesto Rossi, fosse aperta
Astrolabio -12 giugno i966
il meccanismo
della
democrazia
La vita politica
a tutti gli italiani la via degli studi,
fino all’università, e la classe politica
fosse estratta a sorte fra i laureati con
110 e lode, avremmo certamente un
governo di mandarini, più pericoloso di
ogni altro per le libertà individuali: ma
troveremmo certamente Ernesto Rossi a
quel posto di combattimento che ha
occupato in tutta la sua vita. Questo
sappiamo e questo ci basta.
S ono invece d’accordo con Rossi nel¬
la sua critica del mito della sovra¬
nità popolare. Non perchè io non creda
nel popolo, nella sua capacità di gover¬
narsi. Il pessimismo che Ernesto Rossi
dimostra a questo proposito è un mo¬
tivo che riaffiora continuamente nel suo
pensiero, ma che è sempre sopraffatto
da altri motivi e da contrastanti impulsi
del suo temperamento: quanta fede
nell’umanità ci vuole per fare quello
che egli ha fatto! Che il popolo valesse
meno della classe politica, ai tempi di
Giustino Fortunato, mi pare dubbio,
anche se non si può escludere. La mar¬
cia di un popola e quella della sua classe
dirigente non sono sempre sincronizza¬
te: spesso accade che il primo soprav-
vanzi la seconda, o viceversa. Oggi, mi
sia consentito dire, il popolo, in Italia,
vale più della sua classe dirigente. Co¬
munque, non è sfiducia nella capacità
del popolo di governarsi, la ragione del
mio atteggiamento critico verso il mito
della sovranità popolare. Che esso, co¬
me ricorda giustamente Ernesto Rossi,
abbia rappresentato un potente stru¬
mento di lotta contro la monarchia as¬
soluta, che esso abbia costituito uno
dei motivi più vitali della moderna lot¬
ta per la libertà, è fuori dubbio. Oggi,
però, i pericoli che quel mito presenta
soverchiano i servizi di cui è capace.
Nella lotta contro il potere assoluto del¬
la tnonarchia, era giusto contrapporre
al sovrano un altro sovrano; era giusto
contrapporre a un potere illimitato,
supèriorem non recognoscens, un altro
potere, egualmente illimitato. Ma, una
volta avviata la costruzione di un si¬
stema politico basato sul consenso po¬
polare, sulla partecipazione del popolo
al potere, riprende tutta la sua forza
un’altra, non meno essenziale, rivendi¬
cazione della libertà moderna: quella
che il potere pubblico, da chiunque sia
esercitato e in nome di chiunque sia
esercitato, incontri un limite in una zo¬
na di rispetto assicurata all’individuo.
Non un potere illimitato in contrappo¬
sizione a un altro potere illimitato, non
un sovrano in contrapposizione a un al¬
tro sovrano, ma nessun potere illimita¬
to, nessun sovrano. Attribuire al po¬
polo un potere illimitato, sovrapo, si¬
gnifica sostituire a una tirannide un’al¬
tra tirannide: e una tirannide, per di
più, nella quale il richiamo a una fonte
popolare del potere è una semplice fin¬
zione. Quando vengono meno le liber¬
tà individuali, lo sappiamo ormai per
esperienza, il potere non è esercitato dal
popolo, ma da un uomo, da un gruppo,
da un’oligarchia, che usurpano il nome
del popolo.
Non c’è dunque democrazia senza li¬
bertà, ma non c’è neppure libertà senza
democrazia. L’esistenza di una barriera
invalicabile, a tutela della libertà indi¬
viduale, di fronte al potere pubblico e
la derivazione del potere dal popolo,
sono questi i due aspetti, inscindibili,
della libertà moderna. Ma considerare
il popolo come sola legittima fonte del
potere non significa creare un mecca¬
nismo attraverso il quale si formi una
volontà che, per finzione giuridica e po¬
litica, possa essere attribuita a quel¬
l’astrazione che è il popolo. Democra¬
zia è partecipazione del popolo, e cioè
dei cittadini, degli uomini e delle don¬
ne che lo compongono, all’esercizio del
potere. E in un sistema politico vi è
tanta più democrazia quanto più am¬
pie, più molteplici, più varie sono le
forme di questa partecipazione all’eser¬
cizio del potere, offerte ai cittadini;
quanto più il popolo è soggetto e non
oggetto di potere, quanto più politica-
mente attivo.
In questa articolazione della demo¬
crazia, quale posto spetta al Parlamen¬
to? Che il Parlamento non possa più
considerarsi, e non sia mai stato, l’uni¬
ca espressione della democrazia, che la
sua importanza tenda a diminuire, è sta¬
to detto in modo eccellente da Bobbio,
nella sua relazione al convegno, e da
Basso, nel suo intervento e poi nell’ar¬
ticolo pubblicato AaWA strolabio. Ma il
Parlamento, e cioè un’assemblea rap¬
presentativa dell’intera collettività, ri¬
mane uno strumento insostituibile della
democrazia politica. Si suole ripetere,
e giustamente, che non basta, perchè un
popolo sia libero, chiamarlo periodica¬
mente a votare per nominare i propri
rappresentanti in un’assemblea naziona¬
le. Ma non basta neanche che la popo¬
lazione elegga i propri amministratori
negli enti locali, che vi sia una larga
libertà associativa, che vi sia una vivace
attività sindacale, che si discuta libera¬
mente nelle scuole, nelle fabbriche, in
tutti i centri di lavoro e di vita sociale.
La democrazia moderna corre sempre
il pericolo di due forme di corruzione.
La macrodemocrazia, che si ha quando
il popolo ha l’illusione di partecipare
alle grandi decisioni nazionali attraver¬
so l’elezione di un’assemblea rappre¬
sentativa: illusione, quando all’eserci¬
zio del diritto di voto non si accompa¬
gna un’intensa e articolata vita locale.
La microdemocrazia, nella quale al con¬
trario la vita p>olitica si disperde nei piC'
coli rivoli delie autonomie locali, della
vita associativa, del movimento sinda¬
cale, senza che il popolo possa influire
sulle scelte che determinano la politica
del paese, nella sua unità. Il mondo mo¬
derno ci offre esempi dell’una e dell’al¬
tra tendenza.
Mon è questa la sede e non c’è qui
■ »lo spazio per tentare un bilancio del
convegno promosso dal Movimento Sal¬
vemini, che ha visto succedersi alla tri¬
buna del Ridotto dell’Eliseo, autore¬
voli rappresentanti di partiti politici e
altrettanto autorevoli studiosi. Quando
si potrà disporre dell’intero materiale
registrato, vi si troverà una larga messe
di proposte, in gran parte concernenti
la procedura parlamentare e altri aspetti
particolari del problema, ma non perciò
meno utili e interessanti. Qui vorrei
limitarmi a fare un cenno degli atteg¬
giamenti più significativi che si sono
manifestati nel convegno e delle ten¬
denze che vi sono rivelate, rispetto al
problema generale, cosi come è stato
sopra impostato.
Per quanto riguarda i comunisti, che
hanno partecipato al dibattito con una
serie di impegnativi interventi —
Amendola, Ingrao e Laconi — devo
esprimere ancora una volta il senso di
delusione già manifestato in queste pa¬
gine da Ferruccio Farri. Un senso di
delusione al quale sono del tutto estra¬
nee le preoccupazioni che Ernesto Rossi
dimostra ancora di avere nei confronti
del P.C.I. Il rimprovero di una troppi
stretta dipendenza dalla politica inter¬
nazionale della Russia sovietica mi sem¬
bra, veramente, l’eco di una polemica
ormai superata. E certo è che, se di
qualcosa ci si deve lamentare a pro-
12
La vita politica
posilo delle posizioni prese dai comu¬
nisti nel recente convegno, non è di una
loro eccessiva aderenza ai modelli e alle
esperienze dei paesi dove il comuniSmo
è al potere. Questi paesi hanno anch'es¬
si, pur non essendo retti da un siste¬
ma parlamentare, un loro problema del
Parlamento, il problema, cioè, di una
rappresentanza popolare a livello delle
supreme decisioni di portata nazionale.
E, bene o male, lo risolvono. Non cre¬
do che le esperiènze dei paesi comuni¬
sti in materia possano esserci di grande
aiuto. Ma un tentativo di interpretarne
il significato, ponendole a raffronto con
le corrispondenti istituzioni cki paesi
occidentali, poteva avere un certo in¬
teresse. Nessuno meglio dei comunisti
avrebbe potuto portare questo contri¬
buto al nostro convegno. Ma su questo
argomento non si è intesa una sola pa¬
rola. Ingrao si è mantenuto sul terreno
del metodo di lavoro parlamentare.
Amendola ci ha ricordato che la de¬
mocrazia non si manifesta soltanto at¬
traverso le istituzioni parlamentari, ma
anche nelle amministrazioni locali, nei
sindacati, nelle fabbriche, nella scuola.
Ciò che significa voler eludere deli¬
beratamente il problema: perchè nes¬
suno nega, e l’abbiamo or ora ricordato,
che un sistema democratico debba ar¬
ticolarsi in una serie varia e molteplice
di centri di decisione, ma tuttavia un
problema del Parlamento esiste. E que¬
sto era il tema all’ordine del giorno,
^munque, la tendenza a porre in ri¬
lievo gli aspetti di una democrazia di
base, di fronte a quelli dell’organizza¬
zione centrale, si può ricollegare a espe¬
rienze del mondo comunista, dove quei
tanto di vita democratica che si sta
sviluppando si svolge di preferenza ap¬
punto sul piano della microdemocrazia.
Più sorprendente sarebbe l’intervento
di Laconi, se i comunisti non ci aves¬
sero abituati a questi atteggiamenti. Il
suo discorso è stato un’esaltazione gia¬
cobina del governo di assemblea, che
c* pare lontana, quanto è possibile, dalle
premesse ideologiche e dalle esperienze
comuniste. Secondo lui, il Parlamento
italiano è perfettamente in grado di
svolgere tutte le sue funzioni legislative
c di controllo: a esso non mancano nè
il tempKj nè la competenza per farlo.
Poiché avevamo segnalato come una
enormità la richiesta comunista che si
proceda a rifare tutti i codici, non ri¬
correndo, come d’uso, a una delega al
Governo, ma attraverso l’ordinaria pro¬
cedura parlamentare, Laconi ci ha con¬
fermato che il Parlamento potrebbe be¬
nissimo discutere articolo per articolo
i progetti dei codici che fossero presen¬
tati dal Governo, senza per questo ve¬
nir meno alla sua funzione politica nè
agli altri suoi compiti. La sola causa
delle difficoltà che il nostro sistema
politico attraversa starebbe, per Laco¬
ni e, in minore misura, per gli altri
oratori comunisti, nella formazione di
una maggioranza parlamentare della
quale i comunisti non fanno parte.
A questo proposito, Laconi, riallac¬
ciandosi alla sua personale esperienza
dell’Assemblea costituente, ha prospet¬
tato un’interpretazione della nostra Gj-
stituzione piuttosto nuova e originale,
secondo la quale sarebbe estranea al
nostro sistema istituzionale la divisione
del Parlamento in maggioranza e mino¬
ranza, con la correlativa antitesi tra go¬
verno e opposizione. La tendenza co¬
munista a ridurre il problema politico
italiano alla questione della loro presen¬
za o meno nella maggioranza governa¬
tiva non ci è nuova: e spesso ci è acca¬
duto di condannarla, rimproverando ai
comunisti di non sapersi rassegnare a
svolgere il compito che loro spetta nel¬
l’attuale situazione politica italiana, il
compito cioè di un’opposizione che con¬
trolla il governo e si prepara a succe¬
dergli, offrendo all’elettorato un’alter¬
nativa politica. Ma mai ci era accaduto
di ascoltare una dimostrazione costitu¬
zionalmente così rigorosa della presen-
Fernando Etnasì
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L’astrolabio - 12 giugno isee
13
La vita politica
za comunista necessaria nella maggio¬
ranza governativa!
Diciamo queste cose senza spirito po¬
lemico e con sincero rammarico. Rite¬
niamo utile l’opera svolta da questo
giornale e dal Movimento Salvemini
per chiarire, fuori di ogni disegno di
strategia o tattica politica, i motivi di
una sinistra italiana. Quello del Parla¬
mento ci era parso e ci pare, fra questi
motivi, uno dei più importanti. Il ri¬
fiuto di discuterne, da parte della mag¬
gior forza di sinistra italiana, non age¬
vola il nostro lavoro.
S e si prescinde da queste posizioni
di cui ragioni politiche, fondate o
infondate che siano, possono dare una
spiegazione, il riconoscimento che una
crisi del Parlamento è in atto, e che
quindi-un problema del Parlamento esi¬
ste, è stato, in seno al convegno, una¬
nime. Ma assai meno concordi e assai
più caute sono state le risposte, quando
si è trattato di proporre una soluzione.
Si può dire anzi che la sola indicazione
chiara e netta è stata quella di cui si è
fatto vigoroso assertore Guarino, anche
se è stata in modo più dubitativo pro¬
spettata in altri interventi. Secondo
questa corrente, la crisi del Parlamento
è un processo inevitabile e inarresta¬
bile, attraverso il quale le assemblee
parlamentari sono destinate a veder
sempre più ridotta la parte loro asse¬
gnata e il governo è destinato ad assu¬
mere, fra i poteri dello Stato, una sem¬
pre più decisa preminenza. Non si trat¬
ta quindi di contrastare questo proces¬
so, ma piuttosto di assecondarlo e di
dirigerne il corso, scaricando il Parla¬
mento di parte delle sue funzioni, attri¬
buendo al governo gli strumenti neces¬
sari per assolvere il compito al quale
ormai è chiamato: così, per l’attività le¬
gislativa, ci sì deve rassegnare a una
sempre maggiore affermazione dei pote¬
ri di iniziativa del governo, a un’esten¬
sione della legislazione delegata e di
urgenza, a un ampliamento del potere
regolamentare.
Le constatazioni dalle quali muove
questo orientamento trovano senza dub¬
bio riscontro nella realtà che sì sta
sviluppando sotto i nostri occhi. La re¬
lazione di Bobbio, con il suo acuto esa¬
me dell’evoluzione subita dalle istituzio¬
ni parlamentari, in tutti i paesi del mon¬
do, compreso quello dove esse hanno
una più antica ed esemplare tradizione
— l’Inghilterra —, con gli opportuni
riferimenti ad altri sistemi di governo,
quale quello presidenziale, ne aveva da¬
to atto. Ma U problema è se il decadi¬
mento delle istituzioni parlamentari
non si traduca fatalmente in una per¬
dita di libertà e di democrazia; se noi
dobbiamo limitarci ad assecondare il
trapasso di poteri dal Parlamento al go¬
verno o se dobbiamo cercare altrove
quelle garanzie di progresso civile e di
sviluppo democratico che ci hanno da¬
to in passato le istituzioni parlamentari.
Per parte mia, credo che le preoccu¬
pazioni del nostro legislatore costituen¬
te per le possibili esorbitanze del go¬
verno non fossero soltanto giustificate
da una triste esperienza appena conclu¬
sa, quando gli italiani si stavano dando
un nuovo ordinamento costituzionale,
ma trovassero e trovino tuttora rispon¬
denza in una permanente situazione di
pericolo. I poteri del governo sono già
oggi formidabili e tendono ad aumen¬
tare continuamente, sia per il costante
sviluppo delle funzioni statali, sia per il
carattere al tempo stesso soverchiante
ed espansivo del potere di governo, che
tende ad atrofizzare ogni altro centro
di potere e a riempire qualsiasi vuoto
di potere che si formi nell’organismo
sociale. Un governo, che l’indefettibile
solidarietà di una maggioranza parla¬
mentare renda immune da ogni control¬
lo politico, investito di poteri normativi
diretti e arbitro, attraverso il suo po¬
tere, praticamente esclusivo, di inziati-
va, dello strumento legislativo, posto al
centro di una rete di interessi che avvi¬
luppa tutto il paese, munito dei più ef¬
ficaci strumenti di formazione dell’opi¬
nione pubblica, è la negazione di ogni
ideale di libertà e democrazia, perchè
rende inoperante il meccanismo dell’al¬
ternativa nel potere, riduce a proprio
arbitrio la sfera di libertà dei cittadini,
sopprime la loro partecipazione al po¬
tere, trasformandoli in sudditi.
11 problema del Parlamento non sì
" risolve dunque assecondando il pro¬
cesso di accentramento di potere nel
governo, ma restaurando, nei limiti del
possibile, l’autorità delle istituzioni par¬
lamentari e cercando altrove quelle ga¬
ranzie che esse, nella loro forma e nel
loro funzionamento tradizionali, non
sono più in grado di darci. Nel conve¬
gno, la risposta più adeguata al proble¬
ma, cosi impostato, mi è parsa quella
di Basso, che è stata da lui presentata
anche nelle pagine dell'/lr/ro/<7^/o. Ed
è anche la risposta che più si avvicina
ai miei personali orientamenti; che pro¬
prio per questo essa mi abbia trovato
ben disposto a intenderla e ad apprez¬
zarla, non può sorprendere. Che cosa
cerchiamo tutti nei dibattiti se non una
conferma delle nostre idee?
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14
La vita politica
Tralascio gli sviluppi del discorso di
Basso, che i lettori di questo giornale
conoscono, per ricordare soltanto le sue
concrete proposte; nomina di una parte
del Parlamento per cooptazione, da par¬
te dei membri eletti a suffragio tmiver-
sale; riconoscimento di una specifica e
propria funzione alle minoranze, con
1 attribuzione ad esse, per esempio, del
potere di inchiesta sul governo. La pri¬
lla di queste proposte muove evidente¬
mente dal riconoscimento che la fun¬
zione parlamentare richiede oggi un al¬
to grado di preparazione tecnica e che
sistema elettivo non fornisce una va-
hda designazione di capacità; la secon¬
da proposta tende a sostituire il con¬
trollo del Parlamento sul governo, di-
^nuto impossibile per il vincolo di si
“Ordinazione che lega governo e maf
gioranza parlamentare allo stesso pai
tito o agli stessi partiti, con un cor
trollo della minoranza. Sono preciss
l^cnte i motivi ispiratori di alarne mie
•dee, che ho già avuto occasione di
Wfiorre.
A mio avviso, ciò che deve essere ad
J^ni costo salvato nelle istituzioni par¬
lamentari è la loro funzione rappresen¬
tativa. Dati i limiti assai ristretti che
i^ontrano in una grande comunità na¬
zionale i metodi della democrazia di¬
retta, un ordinamento democratico po¬
stula l’esistenza di un’assemblea rappre¬
sentativa nazionale, nella quale trovino
espressione le grandi correnti dell’opi¬
nione pubblica e che sia capace di pro¬
nunciarsi sulle grandi scelte di fronte
^e qualsi si trova la politica del paese.
Rappresentatività, in una democrazia,
significa necessariamente elezioni a suf¬
fragio universale e diretto. Ma il carat¬
tere rappresentativo delle assemblee
parlamentari è compromesso dal tecni¬
cismo delle funzioni che sono oggi ad
esse affidate e dal professionalismo che
fa carica di membro del Parlamento sta
sempre più assumendo. Il parlamentare,
per la varietà e la complessità de suoi
compiti, dovrebbe oggi avere un’eleva¬
tissima preparazione tecnica.
Ma il sistema elettivo può esprimere
una valida designazione di rappresenta-
strumento
'’altro lato,
)rbe ormai
i vi è chia-
ntato: perciò, come il sacerdote, viven-
uo p>er l’altare, deve vivere dell’altare,
così il membro del Parlamento deve
trarre dalla sua carica i mezzi di sussi-
^enza e garanzie di sicurezza di vita,
t-tò che compromette il carattere rap-
Pr^ntativo delle assemblee parlamen¬
tari, sia perchè l’elettorato ha una pos-
V^ità, mentre è
AaawiitAc t un pessimo
^ designazione di capacità. E
fa funzione parlamentare ass
completamente il tempo di cl
•-'astrolabio - 12 giugno 1966
sibilità sempre più limitata di scelta dei
suoi rappresentanti, sia perchè la pro¬
fessionalità della funzione segna un
sempre maggiore distacco tra i membri
del Parlamento e il popolo dal quale
essi sono espressi. I parlamentari fanno
ormai parte di quel personale politico¬
amministrativo di cui si avvale uno Sta¬
to moderno in tutte le cariche alle quali
non si accede attraverso un rapporto
di impiego: assemblee rappresentative
nazionali e locali, presidenze e consigli
di amministrazione di enti pubblici, e
via dicendo. La mobilità e la possibili¬
tà di rinnovamento di questa categoria
di pubblici funzionari trovano i loro li¬
miti nella cerchia della categoria stessa.
Il significato tecnocratico di questo pro¬
cesso è evidente e, con esso, sono evi¬
denti i pericoli che ne derivano.
Bisogna dunque fare una scelta. Se
si vuole salvaguardare il carattere rap¬
presentativo delle assemblee parlamen¬
tari occorre rinunciare al loro tecnici¬
smo, occorre evitare il professionalismo
che al tecnicismo fatalmente si accom¬
pagna. Non pretendiamo che il Parla¬
mento faccia le leggi, con quella com¬
petenza che la tecnica legislativa richie¬
de; che controlli l’attività finanziaria
dello Stato e degli enti pubblici, con
quella preparazione che è indispensabile
per affrontare i problemi della finanza
pubblica moderna; che, al tempo stesso,
eserciti la propria funzione di controllo
politico sul governo. Un’assemblea rap¬
presentativa nazionale dovrebbe oggi li¬
mitarsi a esprimere un governo, ad ap¬
provare i piani economici e i bilanci,
a tracciare, con leggi-quadro o leggi-
cornice, come si usa chiamarle, le gran¬
di direttive della legislazione. Questa
delimitazione di compiti può consentire
al Parlamento di contenere i suoi la¬
vori, nei limiti di tempo sopportabili
per chi non faccia della funzione par¬
lamentare una professione: negli inter¬
valli fra le sessioni, la continuità del¬
l’istituto può essere assicurata da un
comitato permanente. In questo modo
si può ridare all’assemblea il suo carat¬
tere rappresentativo, chiamando a far¬
ne parte cittadini che partecipano alla
vita del paese e che la lascino tempo¬
raneamente per assolvere il loro man¬
dato, sJvo a riprendere poi il loro po¬
sto fra i propri concittadini.
Ma al Parlamento dovrebbe spettare
un’altra importante funzione: queUa di
corpo elettorale destinato a nominare,
con una elezione di secondo grado, i
componenti degli organi destinati’ a
svolgere i compiti tecnici che le assem¬
blee parlamentari non sono più in gra¬
do di adempiere. Come si vede, siamo
in un ordine di idee analogo a quello
esposto da Basso, con la sola differenza
che il Parlamento, invece di eleggere
per cooptazione una parte dei suoi
membri, darebbe vita a corpi separati;
innanzi tutto a un consigKo legislativo,
destinato a fare le leggi necessarie per
l’attuazione delle leggi-quadro approva¬
te dal Parlamento, così come i provve¬
dimenti legislativi d’urgenza, e fors’an-
che a esercitare, almeno nella sua parte
più importante, il potere regolamentare.
In questo modo, mentre si prende atto
della impossibilità in cui si trova il
Parlamento di esercitare tutte le sue at¬
tuali funzioni, non si favorisce l’ac¬
centramento di poteri nel governo, ma
anzi si circondano di garanzie democra¬
tiche anche facoltà di cui esso è attual¬
mente investito. Un organo quale la
Corte dei conti, più strettamente col¬
legato con il Parlamento, potrebbe for¬
nire a questo, per l’esercizio delle sue
funzioni di controllo politico, la neces¬
saria base di informazione sulla vita
finanziaria dello Stato c degli enti pub¬
blici. Il CNEL potrebbe essere trasfor¬
mato anch’esso, attraverso lo stesso si¬
stema elettivo indiretto, in una espres¬
sione del Parlamento. Questo, nella sua
funzione di corpo elettorale, potrebbe
concorrere alla costituzione di altri or¬
gani dello Stato: non soltanto, come
oggi avviene, della Corte costituzionale,
del Consiglio superiore della Magistra¬
tura e di alcune commissioni, ma anche
degli organi direttivi della RAI-TV, co¬
me è richiesto dal progetto Parti, del
Consiglio superiore della pubblica istru¬
zione, e così via. Sarebbe questo il mo¬
do di dare alle minoranze quella funzio¬
ne che giustamente è ad esse attribuita
da Basso: non chiamandole, come vor¬
rebbero i comunisti, a partecipare alle
responsabilità del governo, ma dando
loro il modo di esercitare, con la loro
presenza, un controllo sul centri più de¬
licati e più pericolosi del potere gover¬
nativo.
So bene quanto vi è di arbitrario in
queste costruzioni: perciò ho parlato,
nel convegno, di fantascienza. Ma que¬
ste prospettive, anche se temerarie, pos¬
sono avere un’utilità in quanto concor¬
rano a indicare qualche direttiva di
marcia. Da quello che ho detto mi pare
che se ne possano trarre due: non ag¬
gravare il nostro Parlamento di funzio¬
ni che esso non è in grado di svolgere,
per non accentuare il tecnicismo e il
professionalismo della sua attività, a
scapito della sua rappresentatività; non
consentire che continui a svolgersi il
processo di accentramento di poteri nel
governo, senza circondare di garanzie
democratiche l’esercizio di tali poteri.
LEOPOLDO PICCARDI g
15
L
I
le streghe
di Pechino
Peng Cen
La caduta del notabile di Pechino, Peng Cen, può essere l’effetto
dell’errore attendista commesso dalla Cina nella crisi indonesiana,
ma rientra anche nella lotta in corso nelle gerarchie cinesi intorno
alle scelte che il tramonto dell’era di Mao ha posto sul tappeto.
I l paradosso, nel caso Peng Cen, il
sesto uomo della gerarchia cinese caduto,
come si dice, in disgrazia, è che sia stato
accusato di « revisionismo » : Peng Cen
era infatti considerato, con buoni motivi,
un capofila degli intransigenti, e fu un
suo discorso del luglio 1964 ad avviare,
con grande risonanza, la campagna che
prese il nome di « rivoluzione culturale ».
Da allora questa u rivoluzione culturale »
ha avuto vittime illustri: un gran numero
di intellettuali, noti aH’interno e all’estero
(è inutile un elenco dettagliato, basti ri¬
cordare il fedelissimo Kuo Mo-jo), hanno
dovuto piegarsi a umilianti autocritiche.
Peng Cen è stato il battistrada di que¬
sta campagna di « rettifica », come usano
dire i cinesi. Come segretario del partito
a Pechino (oltre che uomo piazzatissimo
nell’ufficio politico e nella segreteria cen¬
trale), e sindaco della capitale, curava per¬
sonalmente che nel cuore politico della
Cina non sorgessero centri revisionistici,
e organizzava le periodiche migrazioni
« volontarie » di centinaia e migliaia di
intellettuali e studenti mandati in fabbri¬
ca o nelle Comuni agricole a operarsi il
« lavaggio del cervello », una frase che in
Cina non ha il significato macabro che
le diamo noi occidentali, perchè con essa
si intende il contatto con la vita reale del
paese e con le sue masse, ma che, in ogni
caso, ha fatto perdere ore preziose ai co¬
siddetti « lavoratori della cultura », senza
che contadini ed operai ne traessero alcun
vantaggio (perchè spesso il lavoro manua¬
le degli intellettuali creava soltanto con¬
fusione, come è facile immaginare).
Come si spiega l’accusa di « revisioni¬
smo » ? che Peng Cen seminava bene ma
razzolava male? che faceva il doppio gio¬
16
co? La propaganda ufficiale sostiene qual¬
cosa del genere, perchè da parecchio tem¬
po si legge, sulla stampa cinese, che gli
« anti-partito » si vantavano di essere i
più solerti seguaci di Mao Tse-tung ma
nascondevano le loro vere attività dietro
tale schermo.
L’errore di destra in Indonesia. Pro¬
babilmente Peng Cen ha pagato l’errore
di destra commesso in Indonesia. Fu l’ul¬
timo leader cinese a recarsi a Giakarta
prima del doppio colpo di Stato del 30
settembre e del i® ottobre dello scorso
anno (per il 45® anniversario del PKI). In
quella occasione, oltre a pronunciare un
violentissimo discorso antisovietico, che
delineava una piattaforma di rottura con
Mosca in tutto il Terzo Mondo, fu proba¬
bilmente consultato, dai dirigenti comu¬
nisti locali, sulla crisi che stava per esplo¬
dere e di cui erano già manifesd i sintomi
premonitori: i generali stavano preparan¬
do il loro colpo di Stato, inteso a liquidare
il più grosso partito comunista non ^
potere; quale consiglio poteva fornirà
Pechino?
La risp>osta, se un consiglio venne t*'
chiesto o comunque fornito, sta nei fatti:
il 30 settembre, quando la fazione mili¬
tare di sinistra tentò il colpo di Stato
preventivo, il PKI si dichiarò neutrale
(« estraneo » alle lotte interne dell’eserci¬
to), c quando nel giro di 24 ore era gi^
chiaro che i generali indonesiani mir*"
vano a liquidare tutta la sinistra, ancora
il PKI lanciò la parola d’ordine dell’uniw
nazionale attorno a Sukarno, ormai pt*'
gioniero dell’estrema destra. Le conse¬
guenze di questo errore — cioè l’ordine
mancato di insurrezione generale — sono
ormai tragicamente note: secondo le ulti¬
me cifre attendibili 700 mila comunisti e
loro simpatizzanti sono stati sterminati, e
la follìa sanguinaria dei generali non ha
risparmiato nessuno, perchè intere fami¬
glie sono state trucidate affinchè i fig'|
domani non vendicassero i padri. Uno dei
più orrendi massacri della storia.
J
agenda intemazionale
Se Peng Ccn (come è probabile) era
i'tato richiesto di un parere, e il consiglio
c stato quello dell’inazione, per motivi di
politica estera cinese (le illusioni nei con¬
fronti di Sukarno), è chiaro che, sia pure
nella massima buona fede, avrebbe com-
niesso un errore di « destra », e su questa
ipotesi appare credibile l’accusa di « revi¬
sionismo ». In tal caso, tuttavia, Peng Ccn
sarebbe stato accomunato ai veri revisio¬
nisti cinesi (numerosi negli ambienti in-
icllcttuali) per un motivo estraneo a quella
viene definita la « rivoluzione cultu¬
rale ».
Lotta di correnti. £’ possibile che il
Caso Peng Cen sia circoscritto alla pur
importante questione indonesiana, ma
altri clementi indicano che l’epurazione in
Corso in Cina avviene sotto la spinta di
forze politiche molto più frazionate. La
« rivoluzione culturale » non è soltanto un
tentativo di condizionare gli intellettuali
c di imptedire che le nuove generazioni
siano attratte dal « revisionismo ». La bat¬
taglia in corso è chiaramente politica, e
S'edc misurarsi le correnti che in seno al
partito erano state finora cementate dalla
presenza attiva di Mao Tsc-tung, il quale
in caso di dissensi fungeva da supremo
arbitro e manteneva unito il partito; oggi,
con il progressivo distacco del leader dalla
politica attiva (le sue rare apparizioni con¬
fermano le voci di malattia), i candidati
alla successione appaiono meno uniti non
tanto pxir rivalità personali, quanto p>er
le diverse scelte che la Cina ha di fronte,
scelte sulle quali c’è discordia.
L’adesione formale, e spjesso pxtdante.
di tutti i dirigenti cinesi alla campagna
contro il « revisionismo » non riesce a
mascherare i dissensi. Il congresso del par¬
tito non si è più riunito dal 1956 (solo nel
1958 si ebbe una seconda sessione dell’8“
congresso, con i vecchi delegati). Nep>-
pure il nuovo piano quinquennale, ini¬
ziato a gennaio dopx> una serie di piani
annuali straordinari, ha offerto l’occasione
per indire un congresso. Quando un par¬
tito evita per cosi lungo temp» un con¬
fronto interno, e una verifica delle proprie
posizioni, è il sintomo più esplicito che le
fratture sono profonde.
In questi dieci anni si è passati dalla
ClU En - LAI
Cen Yi
piolitica dei « cento fiori » all’irrigidi¬
mento, con una serie contraddittoria di
« rettifiche » intermedie : vere e proprie
svolte a sinistra e a destra. Pur restando
unito il grupp» dirigente supremo, nelle
fasi estremichc sono venuti alla ribalta
Liu Sciao-ci e Teng Hsiao-ping (appog¬
giati da Peng Cen e dal ministro degli
esteri Ccn Yi), mentre le correzioni in
senso moderato venivano affidate a Ciu
En-lai (appoggiato daU’cconomista Ccn
Yun). Fra questi due gruppi, l’intransi¬
gente c il moderato, si è ora inserita la
presenza vivacissima di Lin Piao, il mini¬
stra della Difesa, il quale ha già assunto
in proprio, forse su mandato dello stesso
Mao Tsc-tung, la funzione tipica del vec¬
chio leader •. quella di arbitro fra la « si¬
nistra » c la « destra » del partito.
il ruolo di Lin Piao. Nel partito cinese
è la presidenza che concentra i maggiori
piotcri, la segreteria essendo considerata
organo esecutivo. Il presidente del par¬
tito è Mao, Vice-presidenti sono quattro:
il vecchio Ciu Tch (ottantenne c fuori
—»■
L’astrolabio - 12 giugno isee
17
Agenda internazionale
gioco per una successione), Liu Sciao<i
che è capo dello Stato, Ciu En-lai che
dirige il governo, Lin Piao. Segretario
generale del partito (cioè capo dell’appa¬
rato) è Teng Hsiao-ping, e Peng Cen
era il suo vice.
Oggi si fanno svariate ip>otesi sui rap>-
pwrti fra questi uomini, e sulle correnti
che rappresentano. C’è la tesi dell’alleanza
fra gli intransigenti e il « centro » (Lin
Piao) ai danni dei moderati, e quindi la
previsione di una caduta in disgrazia di
Ciu En-lai. La tesi opposta è quella della
alleanza fra moderati e « centro », per
imbrigliare l’estrema sinistra c neutraliz¬
zarne i danni. Gli osservatori occidentali
propendono per la prima tesi, e in genere
classificano Lin Piao intransigente per il
suo noto rapporto del settembre 1965, in
cui teorizzò la rivolta mondiale dei fjopoli
sottosviluppati. Poi, dato che il giornale
delle forze armate ha condotto sistemati¬
camente l’attuale campagna anti-revisio-
nistica, si sostiene che Lin Piao sia, fra
tutti i leaders cinesi, il più estremista.
Abbiamo già rilevato in passato come
questa interpretazione ci appaia forzata.
Direi che proprio le polemiche in campo
militare smentiscono la tesi prevalente.
L’anno scorso il capo di Stato maggiore
cinese. Lo Jui-cing, aveva scritto un saggio
in cui sosteneva che bisognava « realisti¬
camente » prepararsi a una guerra atomi¬
ca con gli Stati Uniti. In settembre, il
successivo saggio di Lin Piao, al di là di
tutte le teorie di rivoluzione mondiale che
tanto spaventarono gli occidentali, espose
una piattaforma che, sintetizzata, voleva
dir questo; la linea strategica cinese pog¬
gia sull’accerchiamento delle « città » (i
paesi industrializzati del Nord-America e
dell’Europa occidentale) a opera delle
« campagne » (le nazioni in via di svilup¬
pa dell’Asia, dell’Africa e dell’America
latina); ma questa è strategia a lungo ter¬
mine; sul piano tattico, immediato, cia¬
scun p)op>olo si fa la sua rivoluzione e non
deve aspettarsi alcun aiuto esterno, se
aiuto vuol dire intervento militare, e que¬
sto vale pjer il Vietnam così come la Cina
si era liberata senza asp)cttare le armate di
Stalin.
Dopo il terzo esperimento nucleare cine¬
se (9 maggio di quest’anno), è stata una
dichiarazione di Ciu En-lai ad avere la
precedenza sullo stesso comunicato rela¬
tivo all’esplosione. Il primo ministro di¬
chiarava: i) la Cina non vuole la guerra
con gli Stati Uniti; 2) offre a appx>ggio e
aiuto » ai vietnamiti ma non pxtnsa affatto
di intervenire nel conflitto; 3) se attaccata
dagli americani, confida nella propria
superiorità numerica, e non si monta la
testa perchè pessiede l’atomica; 4) se
attaccata dall’aria o dal mare, reagirà, ma
contrattaccando su diversi fronti terrestri.
finché gli americani si stancheranno.
Se ci si attiene ai fatti, a come si sono
svolte le polemiche, ai risultati che hanno
prodotto, ai nomi più rilevanti degli « an-
ti-partito » messi sotto accusa, se ne do¬
vrebbe dedurre che fra Lin Piao e Ciu
En-lai si è concordata una linea di coeren¬
te prudenza che presuppone un’alleanza
fra moderati e « centro » del partito. Men¬
tre cominciano a cadere in disgrazia, a
parte la larga frazione di intellettuali re¬
visionisti, alcuni capifila degli intransi¬
genti. Ora è stata la volta di Peng Cen
(e probabilmente di Lo Jui-cing). Domani
potrebbe toccare a Teng Hsiao-ping, che
è il più intransigente degli intransigenti,
e il cui prestigio, se si pone attenzione
al fatto che è sotto accusa Vorganizzazio¬
ne del partito, è già in parte compromes¬
so. Le accuse al comitato di partito di
Pechino (Peng Cen) non possono infatti
non riflettersi sul segretario generale, e
così le accuse rivolte dal giornale delle
forze armate al Quotidiano del popolo
(organo del partito) possono avere lo stesso
significato, porchè il Quotidiano del po¬
polo era nelle mani dell’apparato, cioè de¬
gli uomini di Teng Hsiao-ping. La cam¬
pagna anti-revisionista, a mio parere, deve
essere considerata una costante della vita
interna cinese (spocie in funzione anti¬
sovietica), ma non deve impedire di rico¬
noscere, nel contesto generale, gli attacchi
che vengono rivolti (sposso esplicitamente)
anche contro il « revisionismo di sini¬
stra », cioè contro il dogmatismo.
Quindi non sposerei la tesi che appare
più convincente a diversi commentatori
occidentali (fra cui Victor Zorza del
Guardian), secondo cui Ciu En-lai sta por-
dendo la partita. E’ chiaro che la lotta
non ha ancora rivelato i vincitori e i vinti,
e tutto può accadere, e può pure accadere
che il gruppo .dirigente non ripeta la
strada sovietica di una progressiva fran¬
tumazione e sia capace di raggiungere un
compromesso. Ma le chance! di Ciu En-
lai, e dei moderati, sono ancora forti.
Anche perchè la situazione generale, a
meno di un conflitto con gli Stati Uniti,
che i cinesi non vogliono, tende a raffor¬
zare le soluzioni moderate. Oggi non sia¬
mo ancora a questo punto, e la strada
sarà lunga c combattuta.
Quanto all’attuale campagna anti-revi-
sionista, non sarebbe la prima volta che
nel corso di una « rettifica » il tiro viene
spjostato. All’epxxa dei « cento fiori » si
sparò a zero sul dogmatismo, e alla fine
venne considerato più p>ericoloso il revi¬
sionismo. Adesso potrebbe accadere l’in¬
verso. I comunisti cinesi sono testardi, ma
se s’accorgono di rischiare sono pronti
alla successiva « rettifica ». Ne va di
mezzo la loro sopravvivenza.
LUCIANO VASCONI ■
New York: lo sciuscià negro
lettera dairam^
■ risultati delle primarie! (la scelta di
candidati alle elezioni federali di no¬
vembre) che hanno avuto luogo in parec¬
chi Stati dcirUnione in maggio, erano
attesi con interesse da tutti e con ansia
da molti. E così pure i risultati di nume¬
rose elezioni a cariche statali e municipali.
L’ansia aveva la sua giustificazione: dal
consigliere municipale al Presidente della
Repubblica, eletti ed eleggendi tengono
conto degli umori degli elettori più che
di qualsiasi altra cosa. Negli Stati Uniti,
a qualsiasi livello, la p>olitica adottata è
quella che cerca di ottenere il massimo di
consensi - "osa naturale in un sistema
p>olitico che avendo come principio il
pluralismo in ogni asp>ctto della vita col¬
lettiva, tende al compromesso, indispensa¬
bile alla pacifica coesistenza di gruppi
diversi. Fra gli Stati in cui si votava, quel¬
li sui quali si fermava maggiormente
l’attenzione erano l’Alabama e l’Oregon-
Con ri,6 % della popolazione degli Stati
Uniti l’uno e con meno dell’i % l’altro,
povero in senso assoluto quello, il meno
prospero degli Stati del Far West questo,
18
non sono gli Stati che più contano; ma
* medesimi atteggiamenti, aspirazioni e
tendenze sono diffusi in tutta la nazione
Americana anche se la loro importanza
fclativa varia da regione a regione e la
tlifferenza fra l’Alabama nel Sud e l’In-
tliana nel Midwest, fra l’Oregon sul Pa¬
cifico ed il Mainc sull’Atlantico — c
tutto quello che vi è di mezzo — è mi¬
nore che non lo si creda generalmente
*11'estero.
Wallace in gonnella. NcH’Alabama,
^Ite nel '64 diede il 70 % dei voti a
Goldwater (non votarono allora che po¬
chi negri ed anche molti bianchi erano
privi di suffragio), c’era da eleggere il
governatore dello Stato ed il tema prin¬
cipale della campagna elettorale era l’in¬
tegrazionismo razziale. Inoltre si presen¬
tavano candidati a cariche minori — sin¬
daco, sceriffo, consigliere municipale, de¬
putato statale — dei negri. Nell’Oregon,
Stato in cui la maggioranza assoluta degli
elettori è tenuta dai Democratici, questi
sceglievano il loro candidato al senato fe¬
New York: l’appello dei marines
derale ed il tema principale della campa¬
gna elettorale era la politica americana
nel Vietnam. Negri e Vietnam sono i due
massimi problemi americani di oggi; ve
ne sono altri (p)er esempio all’interno l’in¬
flazione ed il diffondersi di fenomi so¬
ciali patologici, ed all’estero il collasso del
sistema di alleanze creato nel 1949-55),
ma anche se se ne occupano stampa c
televisione e la gente ne parla, non susci¬
tano emozioni profonde, non portano an¬
cora alla formazione di schieramenti ben
definiti ed antagonistici. Vi è una do¬
manda pratica che molti, forse i più, già
si pongono: modificheranno le elezioni di
novembre la maggioranza parlamentare
che oggi appoggia il Presidente sia in
politica interna che in politica estera, che
approva riforme ardite dal punto di vista
americano ed allo stesso tempo vota i cre¬
diti richiesti dal governo per continuare
la guerra nel Vietnam? e se vi sarà una
modifica, quale ne sarà la direzione —
meno riforme e più guerre o più riforme
e meno guerra?
Nell’Alabama i negri costituiscono og¬
gi poco più di un quarto della {xipola-
zione dello Stato. Grazie al controllo effi¬
cace esercitato da funzionari federali inca¬
ricati deH’applicazione di leggi votate in
questi ultimi anni dal Congresso, ed allo
attivismo sia di organizzazioni integrazio-
nistc in cui collaborano bianchi e negri
sia di organizzazioni separatiste negrc^
un quarto circa degli iscritti alle liste elet¬
torali erano negri. Per molti di questi,
anzi per quasi tutti, era la prima volta
che votavano, e votarono in massa. I segre¬
gazionisti avevano come candidato la
moglie dell’attuale governatore Wallace
(era una scappatoia legale: il marito era
il vero candidato ma la costituzione dello
Stato ne proibiva la rielezione c così si
era presentata la moglie). Gli integrazio¬
nisti avevano come candidato il procura¬
tore dello Stato Flower, giurista abile ed
influente. Nelle contee situate al centro
dello Stato in cui i negri costituiscono la
maggioranza della {wpolazione, vennero
eletti a cariche minori i candidati negri,
ma neil’insieme dello Stafo la signora
*-astrolabio - 12 giugno 1966
19
Agenda internazionale
Wallace ebbe una maggioranza notevole,
supcriore a quella prevista dai più fer¬
venti segregazionisti; c non vi fu bisogno
del secondo ballottaggio sul quale gli inte¬
grazionisti avevano fatto assegnamento.
Wallace aveva sempre sostenuto che la
maggioranza non dei bianchi ma dcH’in-
tcra fKjpKjlazione, non solo ncH’Alabama
c nel resto del Sud ma dovunque vi sia
un numero rilevante di negri (o di altra
minoranza di colore; meticci, mulatti,
orientali ed indiani) è in favore della
segregazione. Adattandosi airambicntc
ideologicamente democratico, la volontà
della maggioranza era Targomcnto di cui
Wallace maggiormente si serviva nei suoi
discorsi fuori dello Stato per legittimare
il segregazionismo. Gli integrazionisti, i
quali provengono in maggioranza da file
ideologicamente democratiche c progres¬
siste, dovevano invece servirsi dell’argo¬
mento (liberale in Europa, conservatore
nella terminologia p>olitica americana c
proprio della posizione dei Repubblicani)
dei limiti alla volontà della maggioranza
impliciti nel costituzionalismo c miranti a
garantire i diritti delle minoranze. Nella
Florida, dove la maggioranza della popo¬
lazione è venuta recentemente da altre
zone che quelle del Sud, il candidato se¬
gregazionista a governatore ebbe minore
fortuna che ncirAlabama: votarono com¬
patti per il candidato moderatamente inte¬
grazionista non solo i negri (un quinto
circa della popolazione) e molti bianchi
ma anche gli oriundi delle Antille assai
numerosi in particolare nella zona metro-
f>olitana di Miami; malgrado ciò il voto
segregazionista fu circa la metà del totale.
Dodici anni di campagna e di agita¬
zione integrazionista che sono costati la
vita ad alcune decine di persone, hanno
modificato la posizione legale dei negri
e la struttura istituzionale degli Stati del
Sud — anche nel Mississippi, la Louisia¬
na c la Carolina del Sud che con l’Alaba-
ma formano la roccaforte del razzismo
bianco; ma il fosso fra bianchi e quel set¬
timo della popolazione composto di non
bianchi (i venti milioni di negri, i quasi
dieci milioni di meticci e mulatti di lin¬
gua spagnola, alcune centinaia di migliaia
di oriundi dell’Estremo Oriente e di india¬
ni) non solo è ancora lì, è forse più largo
e più profondo che non lo fosse stato nel
maggio del ’54 quando la Corte Suprema,
dichiarando illegale la segregazione nelle
scuole pubbliche, diede il via alle forze
integrazioniste. Malgrado gli sforzi com¬
piuti da una minoranza bene intenzio¬
nata, il problema resta. Ha la sua base
non nelle leggi ma nel costume. La coesi¬
stenza è difficile negli Stati Uniti come
altrove e qui il problema è reso più acuto
dal fatto che la nazione americana è
pluralistica non solo di fatto, lo è anche
ideologicamente.
Un risultato sconcertante. Nell’Ore-
gon i Democratici dovevano scegliere il
candidato per uno dei due seggi al senato
federale. L’altro seggio è occupato dal se¬
natore Waync Morse, il massimo avver¬
sario dell’intervento americano nel 'Viet¬
nam ed uno dei più influenti portavoce
del neo-isolazionismo che sta facendo ra¬
pidi progressi, sopra tutto fra gli ambienti
già internazionalisti di centro-sinistra. Si
erano presentati alle primaries un amico
di Morse ed uomo influente nel partito
Democratico, Morgan, ed il deputato fe¬
derale Democratico Duncan, che ha sem¬
pre appoggiato la {x>litica di Jc^nson.
Con sorpresa quasi generale Morgan ebbe
p>oco più di un terzo dei voti Democra¬
tici (per avere una idea corretta della si¬
tuazione neU’Oregon, ai voti ottenuti da
Duncan occorre aggiungere quelli della
minoranza Repubblicana). Ma non avreb¬
be dovuto esservi sorpresa. Circa tre quin¬
ti (o {xjco meno a seconda dei sondaggi
più recenti) degli americani appoggiano
la politica presidenziale, un po’ meno di
un quinto vi si oppongono sia perchè vo¬
gliono la guerra ad oltranza o perche
vogliono la pace immediata, gii altri sono
incerti.
La posizione della maggioranza che
appoggia Johnson e che si è espressa con
il voto del 35 maggio ncll’Oregon non è
semplice e la sua complessità s^gge spes¬
so sia agli osservatori stranieri sup)crficiali
e frettolosi sia a quegli americani che han¬
no fatto propri schemi ideologici defor¬
manti perchè eccessivamente semplicistici.
L’analisi della posizione della maggioran¬
za si impxjne, in particolare se si tiene
presente il fatto che negli Stati Uniti
l’opinione pubblica ancora conta, che pres¬
sioni governative sono neutralizzate ed
Luther King
annullate da altre pressioni, che america¬
ni e stranieri — anche se trovano chiuse
le porte del Congresso e della Casa Bian¬
ca — possono presentare al pubblico i loro
argomenti ed influire sui risultati eletto¬
rali. Non so quanto {)otrà durare questa
situazione ereditata dalle illusioni genero¬
se deH’ilIuminismo del 18* secolo, ed oggi
forse sempre più anacronistica. Come al¬
trove e dovunque vi sono americani i qua¬
li, chi istintivamente e chi per convinzio¬
ne ragionata, giungono alla conclusione
(alla quale da temp>o è arrivato il Lip-
mann) che la centralizzazione del potere
e l’indebolimento se non addirittura l’eli¬
minazione di remore parlamentari, sono
necessari per risolvere i problemi all’inter¬
no e per sostenere le pressioni sempre più
minacciose che vengono dal di fuori.
Esperti di scienze politiche ritengono che
vecchia e nuova sinistra avversarie del re¬
gime costituzionale hanno l’adesione di
circa il 5 96 della popolazione c che ciò
che qui è chiamato thè Radicai Right, la
destra autoritaria, costituisce un quinto
della popolazione: non è poco. Ma piu
numerosi sono quelli che senza essere
nettamente anticostituzionali, vogliono
abolire il dualismo Congresso-Presidente
al fine di (}are maggiore potere ed auto¬
nomia al .Presidente.
Il mito dell'eroismo. Nell’Oregon co-
come altrove negli Stati Uniti i guerra¬
fondai non sono molti; il nazionalista fre¬
netico quale lo abbiamo conosciuto in Eu¬
ropa e quale oggi esiste in molti Stati
del Terzo Mondo, è raro; non vi è una
tradizione di gloria militare e, malgrado
tutto quello che si scrive sul Pentagono,
non vi è una casta militare capace di
azione pxilitica; nel gruppm ristretto di
uomini di affari più influenti, la massima
preoccupazione è l’inflazione e vi è la
convinzione che tàVescaìation militare cor¬
risponde prima o dopo Vescalation dei
controlli governativi sull’economia e la
finanza. Vi è inoltre qualcosa di nuovo:
è .a prima volta nella storia dell’umanità
che una nazione intera vede con i propri
Stati Uniti: violenza
Agenda internazionale
occhi quello che succede al fronte. Cade
così il mito della differenza fra l’eroismo
nobile dei « nostri » soldati e la barbarie
del nemico — mito che ha servito a tenere
su il morale di ogni nazione coinvolta in
guerre. Davanti all'apparecchio fotogra¬
fico tutti sono uguali: non vi è differen¬
za fra l’americano che muore ed il parti¬
giano vietnamesc che muore. Sapere di
combattimenti e morti è una cosa : vederli
morire è un’altra, ed è dall’occhio che
viene la crisi di coscienza dei più. Dei
due maggiori programmi televisivi di in¬
formazione americani uno è nettamente
antigovernativo, l’altro si barcamena fra il
sì ed il no. La guerra del Vietnam ha
acquistato per il pubblico degli Stati Uniti
Una tragica immediatezza, ed anche una
obiettività che nessuna guerra aveva mai
avuto, che certo non hanno gli altri con¬
flitti — dalle guerre e guerricciole com¬
battute alle frontiere dell’India o nello
Yemen, alle recenti insurrezioni sangui¬
nose e repressioni nel Ruanda, nel-
l’Uighur e in una ventina di altri paesi
afro-asiatici.
Data la gravità della situazione — e po¬
chi a questo proposito si fanno qui delle
illusioni — discutere di torti e ragioni di
Una parte o dell’altra non serve
gran che. Occorre conoscere ptosizioni c
argomentazioni: occorre anche prenderli
come dati di fatto e tenerne conto quando
si cercano da parte di terzi delle soluzio¬
ni. Fra gli americani, come fra i loro
avversari o presunti avversari, vi sono al¬
cune idee centrali e poche emozioni pro¬
fonde. Per ciò che riguarda la massa del
pubblico — ed anche, credo, il più dei
tlirigenti — la paura sovrasta qualsiasi
altra idea o emozione. Importa poco se la
paura è giustificata o no (come importava
poco se avevano ragione o torto i tedeschi
ossessionati dall’idea deU’accerchiamento
nel 1914, se aveva ragione o torto Stalin
ossessionato dall’idea della cospirazione
organizzata all’estero e con ramificazioni
in tutta l’URSS). Le situazioni non cam¬
biano per il fatto che non si veda giusto,
«ìucllo che conta è come si vedono le cose.
L'incubo cinese. Quello che prevale
oggi negli Stati Uniti non è, come spesso
si crede, la paura del comuniSmo come
comuniSmo: il policentrismo, vero o im-
niaginario che sia, ha avuto il suo effetto
c sono f>c>chi gli americani che non si
esprimono con simpatia nei confronti di
Tito e non approvino i miliardi che gli
sono stati regalati, o che non siano con¬
vinti, oggi, che è possibile l’intesa con
l’URSS. Non è la paura della Cina come
Cina. E’ paura della fusione di comuni¬
Smo e Cina sì che il colosso — la Cina,
tanto più temibile quanto più è circondata
di mistero — è animato da una volontà
implacabile — il comuniSmo. Se il gover¬
no della Repubblica Democratica del Viet¬
nam si dissociasse dalla Cina come 18
anni fa Tito si dissociò dall’URSS, la
paura già diminuirebbe di parecchio. Se
poi nella Repubblica Democratica il parti¬
to comunista facesse quello che sono di¬
sposti a fare i comunisti dell’Europa occi¬
dentale (fjcnso a quello che sta avvenendo
in Finlandia e che spero possa avvenire
altrove), e cioè a collaborare da eguali con
altri (che nel Vietnam del Sud non sareb¬
bero necessariamente i militari ma dovreb¬
bero essere almeno i buddisti, i cattolici e
gli altri due gruppi politico-religiosi) la
paura, nei riguardi del Vietnam e forse
anche di alcuni paesi confinanti, cessereb¬
be. Non si deve dimenticare che coloro
che oggi sono la classe dirigente negli
Stati Uniti avevano 20 o 30 anni quando
i fronti nazionali in tutta l’Europa occu¬
pata da truppa sovietiche servirono da
strumento per l’instaurazione di dittature
monocolori; avevano pochi anni di più
quando alla vittoria comunista in Cina
fece seguito, a breve intervallo, la guerra
di Corca.
Come ho già detto in un articolo prece¬
dente, a complicare la situazione è venu¬
ta la convinzione, ai primi di quest’anno,
che non vi sono altre alternative che o
sconfitta o vittoria. I 4 punti di Ho Chi
Minh hanno contribuito, non importa se
a ragione o a torto, a confermare questa
convinzione. La vittoria, propria o del¬
l’avversario, è una cosa, la pace è un’altra.
La maggior parte di coloro che partecipa¬
rono alle dimostrazioni dell’anno scorso
non volevano la sconfitta degli Stati Uniti,
volevano dei negoziati per arrivare alla
pace, cioè al compromesso. Quest’anno le
dimostrazioni hanno avuto meno successo
perchè sembrava chiaro a molti pacifisti
che pace era sinonimo di sconfitta ame¬
ricana e di vittoria, per interposto stato,
della Cina. La guerra del Vietnam ha
continuato la guerra di Corca, come que¬
sta aveva continuato la guerra contro il
Kuomintang appoggiato dagli americani;
la vittoria « cinese » nel Vietnam sognifi-
ca ricominciare altrove: tanto vale allora
fermarsi dove si è, anche se l’ambiente
è sfavorevole. Finché l’unica scelta resta
quella fra sconfitta e vittoria, il trio pre¬
sidente-ministro della difesa-ministro de¬
gli esteri avrà dalla sua parte una maggio¬
ranza degli americani e se le cose vanno
male militarmente è il partito della guer¬
ra che si rafforza, non il partito della
pace. Più significativo di recenti dimo¬
strazioni a New York ed all’università
di Chicago è il fatto che sono aumentati
gli arruolamenti volontari c che quando
si è trattato di votare crediti di guerra
pochi senatori hanno seguito Waync
Morse.
Per la maggioranza degli americani sia
la sconfitta che la vittoria significano
guerra. Pace è invece il compromesso. E’
qui che i terzi possono esercitare un’azio¬
ne utile, se veramente per essi la pace
è più importante della vittoria sia di una
parte che dell’altra. Come avvenne già nel
1953, malgrado Me Carthy e quando il
nemico sembrava essere l’intero blocco co¬
munista, la pace senza vittoria verrebbe
accolta entusiasticamente dalla nazione
americana. In favore delle ostilità rimar¬
rebbe solo una piccola minoranza, influen¬
te sì ma non tale da poter a lungo deter¬
minare la politica degli Stati Uniti. A
parte vecchia e nuova sinistra, pacifisti
integrali e l’ala più profondamente uma¬
nitaria del protestantesimo americano, i
più sono p>crsuasi che la vittoria — dei
« cinesi » chè sulla propria pochi ci con¬
tano — non sarebbe che un armistizio;
che la pace non può essere separata dal
compromesso il quale a sua volta esige
un equilibrio di forze. Non è da sorpren¬
dersi se nello Stato in cui Waync Morse
è senatore la maggioranza del suo partito
ha votato nelle primaries di maggio con¬
tro il suo candidato.
MAX SALVADORI ■
Stati Uniti: le reclute
L’ASTROUBIO - 12 giugno 1966
21
Agenda internazionale
CAMBOGIA
il re
e
il vietcong
di J. F. STONE
L a pace avvolge la Cambogia come
una benedizione. Passare da Saigon a
Pnom Penh è come passare dall’Inferno
al Paradiso dell’Asia di sud-est. Nonostan¬
te la guerra, la rottura delle relazioni di¬
plomatiche ed i continui incidenti di fron¬
tiera, la Air Vietnam c la Royal Air Cam-
bodge continuano ad effettuare voli tra
le due capitali, a giorni alterni. In nessuna
altra parte del mondo è possibile che una
ora di volo separi due luoghi tanto con¬
trastanti. Atterrare nella capitale della
Cambogia dopo otto giorni passati nello
squallore e nella tensione di Saigon, si-*
gnifica comprendere appieno quanto sia
benefica una politica neutralista nell’Asia
di sud-est. Da una parte un aeroporto scu¬
ro, sporco ed affollato dove i viaggiatori
debbono aspettare per delle ore, mentre
stanchi ed immusoniti Gl sfilano sotto i
loro occhi; dall’altra un aeroporto bianco,
pulito e tranquillo dove è difficile che si
veda un’uniforme, ad eccezione dell’uffi¬
ciale di polizia addetto al controllo.
Dirigendomi in macchina verso Pnom
Penh, sono rimasto colpito dall’assolutd
mancanza di posti di blocco e barricate,
dalla pulizia dei larghi viali che portano
alla capitale del Principe Sihanouk, dalle
moderne case ad appartamend che circon¬
dano la città, dai prad ben tenud. Que¬
sta città rallegra l’occhio con i suoi giar¬
dini e le ampie strade, dopo il fastidioso
disordine di Saigon. All’Hotel Royal co¬
perto di buganvillea, circondato di palme
e dotato di una piscina, vasti atri ad aria
condizionata, sono riuscito ad ottenere una
magnifica camera al modico prezzo di S
dollari per notte; nella tariffa è compreso,
lusso grandioso, anche il bagno caldo.
Mentre mi reco dall’albergo nel centro
della città per pranzare, la notte splende
sopra di me come velluto. Non ci sono
aerei, non c’è pericolo che proiettili di
mortai ed obici mi esplodano vicino. Fa¬
cendo una passeggiata dopo pranzo, mi è
sembrato che tutta la popolazione si fosse
riversata nelle strade per un giretto dopo
la calura della giornata. I negozi sono
aperti, i cinema fanno affari d’oro proiet¬
tando film all’italiana fatti ad Hong
Kong. I bambini giocano sui marciapiedi,
ma non chiedono l’elemosina come a Sai¬
gon. Nessuno mi tira la manica per ven¬
dermi la sorella. Non ci sono molesti gui¬
datori di cyclopus, ed i bar sono pochi.
Nel grande mercato all’aperto al centro
della città si vende di tutto, dai fiori
ai fumetti in lingua francese o khmer. Un
bianco che cammini in mezzo a questa
gente sottile, di piccola statura e di colori¬
to più scuro dei vietnamiti, può andare
perfettamente tranquillo. Mi son sentito
più sicuro tornando all’albergo attraverso
le zone residenziali male illuminate ed i
parchi completamente bui, di quanto lo
sarei stato a Washington.
Nei tre giorni che ho trascorso in Cam¬
bogia sono rimasto affascinato c deliziato
dalla felice mescolanza di tradizione e mo¬
dernità che caratterizza il regime del Prin¬
cipe Sihanouk. Nel grande complesso del
Palazzo Reale, che è una piccola Versail¬
les asiatica, la Regina Madre mantiene sal¬
di i legami dd paese con la sua antica mo¬
narchia. Visitando con una gita organizza¬
ta gli edifici dd complesso costruiti in
legno meravigliosamente scolpito e pia¬
strelle gialle ed azzurre, il visitatore può
vedere la spada dell’incoronazione che ri¬
sale al VII secolo, l’alto trono dell’incoro¬
nazione sotto il baldacchino sacro a sette
strati, il soppalco a due piani dal quale i
monarchi salivano sugli elefanti reali, di¬
versi cannoni del XII secolo ed un picco¬
lo tesoro di gioielli della dinastia, conser¬
vati in vetrine. Dappertutto vi sono im¬
magini di Naga, il sacro serpente a sette
teste di Visnù, ed effigi dd Buddha, nd-
la mescolanza di religione buddista e bra-
manesimo importata in questo paese tre
secoli or sono dai commercianti e dai mis¬
sionari indiani. Da uno dei palazzi, posto
ad un angolo dd parco, i gong e gli xilo¬
foni della scuola del balletto reale annun¬
ciavano la rappresentazione dd mattino.
proibita ai visitatori come un serraglio
orientale.
A non più di un miglio di distanza, sul¬
le rive del Mekong, che scorre ampio e
tranquillo, c’è un panorama dd tutto di¬
verso. In un’area da esposizione costruita
in uno stile semplice e moderno, sono mes¬
si in mostra i risultati di dieci anni di
sviluppo ( 1955 - 1965 ) sotto il movimento
socialisu popolare creato dal Principe Si¬
hanouk. Un grafico a colori illustra: zero
trattori nd 1955 , 1030 trattori nel 1965 .
Il regime sostiene che il tasso di analfabe¬
tismo è solo dd 2 o 9 &, e che nd giro di un
anno, grazie ad una campagna di inse¬
gnamento volontario (mi viene in mente
la Cuba di Castro) nel paese non vi sa¬
ranno più analfabeti. Sembra che il socia¬
lismo popolare abbia stimolato l’iniziadva
privata. I grafici mostrano un’impressio¬
nante espansione ddle imprese private e
ad economia mista; il settore pubblico è
più recente, c si limita in gran parte alle
22
attività bancarie c di export-import; que¬
st ultimo è più che raddoppiato. Salta
all occhio che gli Stati Uniti non sono
compresi tra gli Stati che hanno accordi
commerciali con la Cambogia, mentre vi
sono la Cina, i paesi del blocco sovietico
cd il Giappone; altri accordi commerciali
sono stati conclusi con le due Germanie
c le due Coree: esempio di neutralismo
nel commercio come nella polidca.
La politica di Sihanouk
Dopo una settimana trascorsa nel Viet¬
nam meridionale, molto di ciò che viene
considerato implicito altrove qui sembra
nuovd. E’ un piacere potersi spingere in
niacchina per una trentina di chilometri
all’interno senza scorta armata e senza do¬
ver temere le mine ed i franchi tiratori.
In Un villaggio modello, ci aspicttava un
gnippo di ufficiali in camicia bianca, cal¬
zoni neri e cravatta nera. Alte palme da
vano contro un cielo azzurro disseminato
di nuvolette bianche. Un gruppetto di
bambini giocava con la pompa di un nuo¬
vo pozzo mentre altri razzolavano insie¬
me alle oche e alle galline sotto le case
col tetto di paglia costruite su palafitte.
Con orgoglio, ci furono mostrati gabinetti
all’aperto, un ospedale pulito anche se
rudimentale con annesso dispensario, ed
una scuola p>er ostetriche gestita da infer¬
miere dagli occhi brillanti, vestite di uni¬
formi bianche inamidate. Abbiamo anche
ispezionato una scuola nuova dotata di un
campo di giochi. Lasciato il villaggio, sia¬
mo passati davanti ad una stazione della
Esso ed a due bonzi vestiti di arancione
che passeggiavano per la strada con un pa¬
rasole bianco. Abbiamo veduto una diga
costruita f)cr ottenere due raccolti di riso
l’anno, iniziativa del tutto nuova in que¬
sto paese tranquillo che secondo lo stan¬
dard asiatico è sottopopolato, e dove fino
ad oggi si usava dire: « Se cresce, — cioè
sfxjntaneamente — perchè preoccuparsi di
seminarlo? » Tornando verso Pnom Penh
abbiamo visitato una meravigliosa pagoda
illuminata come un albero di Natale con
vivide luci rosse e verdi. Un bonzo, piut¬
tosto borioso, volle sapere quanti buddisti
ci sono negli Stati Uniti; perse ogni in¬
teresse per la conversazione quando gli si
disse che ce n’erano pochi. Le campanelle
del tempio dolcemente squillanti nella
brezza serale per tutto il giardino intorno
alla pagoda, sono qualcosa che non potrò
dimenticare.
Il governante di questo regno, che ha le
dimensioni dell’Oklahoma ed una popola¬
zione di cinque milioni di persone, ha
dovuto sopperire alla debolezza militare
con l’abilità politica. Facendosi strada tra
le rivalità internazionali e le pressioni ri¬
voluzionarie, il Principe Sihanouk ha di
gran lunga superato LBJ nell’arte del tira
e molla. Il Principe salì al trono nel 1941
a 18 anni, all’inizio del periodo più turbo¬
lento della sua storia. Riuscì a strappare
l’indipendenza ai francesi prima della
Conferenza di Ginevra, costrinse al ritiro
gli invasori del Vict Minh e con uno scio¬
pero « seduto » di cinque ore a Ginevra
ritardò la firma degli accordi di Ginevra
finché Molotov e Chou En-Lai non accol¬
sero la sua richiesta di non neutralizzare
la Cambogia come il Vietnam. Così ot¬
tenne di importare armi e stringere alle¬
anze difensive. A quell’epoca la Cambogia
veniva considerata la più filo-occidentale
tra le nuove nazioni dell’Indocina. Da al¬
lora il Principe Sihanouk ha dimostrato
di essere straordinariamente abile. Venne
ad un compromesso con i sentimenti re-
pubblicani nel 1 ^ 5 , abdicando al trono
in favore di suo padre; in tal modo ebbe
mano libera per partecipare attivamente
alla vita politica, cosa (he non poteva fare
L’astrolabio - 12 giugno i966
Sihanouk
finché sedeva sul trono. Battè sul tempo i
comunisti Icxrali entrando a far parte dei
neutralisti di Bandung in cambio di pro¬
messe di « non interferenza » da parte del¬
la Cina comunista e dd Vietnam setten¬
trionale. Un mese dopo firmò il primo
accordo di aiuti militari diretti USA. Nel
corso dello stesso anno il suo partito « so¬
cialista popolare » ottenne r8o96 dei voti
e tutti i 91 seggi dell’Assemblea Na¬
zionale.
Se non fosse stato tanto intelligente,
Sihanouk avrebbe potuto dire « L’ctat
c est moi ». In effetti ora è come se fosse
Luigi XIV, Tito e Harry Truman messi
insieme. Nessuno è stato abile come lui
nell’ottenere aiuti da tutte le parti. In pa¬
tria, (( Monsignore » è riuscito a conciliare |
la monarchia con una facciata democrati¬
ca, i piani quinquennali e quel tanto di :
« socialismo » da far perdonare la Cambo¬
gia se confonde Mosca con Pechino. A
tempo perso scrive editoriali di prima qua¬
lità [)er la sua stampa in lingua francese J
c canzoni popolari. In tutti gli annali |
del governo, non c’è mai stato nessuno . n
come lui. Diversamente che nel Laos e li
nel Vietnam, nel suo paese non esiste la |
guerriglia comunista. Questa è la ragione
p<T cui l’ostilità USA nei suoi confronti j
gli sembra tanto illogica. I comunisti ci¬
nesi hanno trattato Sihanouk con una j'
«correttezza» sociale e politica intesa a di¬
mostrare che sono disposti a coesistere con !
i differenti regimi sociali che esistono alle I j
loro frontiere. Ma gli USA si sono alleati j
con gli antichi nemici della Cambogia — '
i Thai ed i Viet — e per mezzo della J
L
Agenda intemazionale
CIA hanno cercato di eliminarlo. Vi è
un movimento « Free Serei » diretto con¬
tro Sihanouk di cui le nostre Forze Sp>e-
ciali si servono come guida e come stru¬
mento. Sihanouk, come tutti i cambogia¬
ni in generale, teme i vietnamiti, si tratti
di comunisti o di anticomunisti. Il 6 mar¬
zo 1964 egli accusò Hanoi di essere k vaga
come gli anglosassoni » in relazione alla
richiesta di garantire le frontiere della
Cambogia. Ma il Principe Sihanouk si è
convinto che il Vietcong vincerà e che la
salvezza del suo paese dipende dalle buo¬
ne relazioni con i ribelli e con Hanoi.
« I nostri amici americani sono eccellenti
organizzatori, tecnici brillanti ed ottimi
soldati — disse tre anni fa — Ma il loro
incontestabile realismo si arresta quando
si arriva alle questioni politiche: a que¬
sto punto danno l’impressione di credere
che il loro interesse consista nel compor¬
tarsi come ostriche ».
La posizione cambogiana nei confronti
della guerra vietnamita è stata espressa il
22 aprile scorso da Réalités Cambodgien-
nes, organo non ufficiale, in un’intervista
con un certo Tram Minh Bach, sottote¬
nente dell’aviazione sud-vietnamita che
aveva cercato asilo in Cambogia; aveva di¬
sertato dopo che il suo « consigliere » ame¬
ricano gii aveva fatto una ramanzina bru¬
tale ed insultante davanti ai suoi stessi
uomini. Egli ha detto: «Gli americani
si comportano come padroni e ci trattano
come boys » — questo termine è spregia¬
tivo, e risale ai tempi del colonialismo
francese. Quando gli è stato chiesto se
avesse intenzione di arruolarsi nel Viet¬
cong, il sottotenente replicò di esser con¬
trario alla dominazione nel suo paese, co¬
munista o americana che fosse: u La po¬
litica del Principe Sihanouk, nazionalista
ed indipendente, è la migliore che si pos¬
sa fare in questa regione — affermò —
Egli difende il suo paese e nient’altro, e
lo fa progredire in pace. Questo è un
esempio sul quale tutti i patrioti vietnami¬
ti dovrebbero meditare ».
Nella stessa edizione un editoriale non
firmato illustrava una posizione neutrali¬
sta ancor più sottile. L’editoriale parlava
delle dimostrazioni nazionaliste contro Ky
svoltesi a Saigon ed Hué, capeggiate da
Thich Tri Quang. Si metteva in ridicolo
l’idea di libere elezioni « in un paese
dove il governo controlla solo un quinto
del territorio ed un quarto della popola¬
zione ». Si affermava che mentre i na¬
zionalisti sono stanchi della guerra, di¬
sgustati dalla dominazione americana ed
ostili alla giunta militare di Saigon, sono
tanto compromessi dal loro passato politi¬
co da temere le rappresaglie del FLN se
gli americani se ne vanno. « In effetti tut¬
to quel che i nazionalisti di Hué, Danang
c Saigon — proseguiva l’editoriale — vo¬
gliono è che gli USA permettano loro di
sostituire il gruppo che attualmente de¬
tiene il potere mentre gli USA continua¬
no a proteggerli dal Vietcong ». L’edito¬
riale consigliava quindi ai veri naziona¬
listi di unirsi al FLN « in modo da con¬
trobilanciare l’influenza comunista e sal¬
vaguardare il futuro ». Quindi ricordava
la Resistenza francese in cui i gollisti com¬
batterono a fianco dei comunisti: dopo la
liberazione ciò permise ai non comunisti
di « costituire un governo in cui i comu¬
nisti avevano un posto — ma niente di
più ». L’editoriale affermava che è venu¬
to il momento di un’azione comune fra
nazionalisti e comunisti per costituire un
governo provvisorio che chiederebbe il ri¬
tiro degli americani. Concludendo l’edito¬
riale affermava : « Noi crediamo sincera¬
mente che gli americani, non avendo più
una scusa giuridica per giustificare la lo¬
ro presenza, acconsentirebbero a questa ri¬
chiesta — ed in fondo a loro non dispia¬
cerebbe troppo por fine ad un’avventura
che, se fosse portata sino in fondo, inevi¬
tabilmente si concluderebbe con un disa¬
stro per loro; e di questo gli americani
già si rendono conto ». Secondo il punto
di vista cambogiano, soltanto un’azione
congiunta contro gli USA può impedire
che i comunisti si impadroniscano del
Vietnam c rendere possibile una soluzione
neutralista. Tale punto di vista riflette
lo scaltro successo dello stesso Principe
Sihanouk, che è riuscito a sopraffare i co¬
munisti non combattendo contro di loro,
ma costringendoli a scendere in campo.
Avevo sperato, mentre mi trovavo in
Cambogia, di riuscire a parlare con un
rappresentante del FLN o almeno con
Alfred Burchett, che segue la guerra dal¬
la parte dei ribelli. Burchett si trovava ad
Hanoi, ma sono riuscito a farmi esporre
le idee del FLN da un’altr^r persona in
contatto con il Fronte, appena tornata da
una zona di territorio controllata dal Viet¬
cong.
« Non è vero che Pechino proibisca ad
Hanoi di parlare della pace o che Hanoi
lo proibisca al FLN — disse il mio infor¬
matore —. Il Fronte è libero di negoziare.
Washington deve capire che il Fronte non
è uno strumento di Pechino. Il Fronte ri¬
vendica esclusivamente a sé la rappresen¬
tanza del ptopolo sudvietnamita nel senso
che non vi è nessun’altra forza organiz¬
zata con la quale si possa trattare. Al
Fronte può unirsi qualsiasi gruppto, pur¬
ché sia sinceramente a favore delì’indiptcn-
denza una volta finito l’intervento ame¬
ricano. La porta rimane sempre apterta ».
Il mio informatore ha detto che questa
è la ragione per cui il Fronte non ha mai
costituito un governo provvisorio, anche
se in tutto il Vietnam meridionale ha una
amministrazione propria. Esso vuole, per
la conquista finale, un governo che abbia
la base più larga possibile. Non ha alcuna
fiducia nelle elezioni; dubita che le ele¬
zioni vengano organizzate, e teme che se
si faranno, saranno fasulle come quelle
tenute sotto Diem. « E’ sbagliato pensare
— ha detto il mio informatore — che il
Fronte sia forte solo nei villaggi. In ogni
missione, in ogni parte del governo, il
Fronte ha la sua gente. Quando un sol¬
dato sudvietnamita ottiene una licenza di
15 giorni per tornare a casa, nel villaggio
dove è nato, prima passa da un ufficio
del Fronte pier farselo timbrare ed assicu¬
rarsi così un lasciapassare. Quando gh
autocarri vanno da Saigon a Mytho, otten¬
gono un lasciapassare dal governo sudviet-
namita; ma fuori di Saigon sopra al Is'
sciapassare viene stampata un’autorizza¬
zione del Fronte ».
Il problema
della successione
« Il Fronte raccoglie tasse in ogni città,
Saigon compresa. Sta già preparando 1
piani per il mantenimento della legge c
dell’ordine a Saigon per quando il gover¬
no cadrà ed esso riuscirà a conquistare il
potere. Il FLN si rende conto che impe¬
dire i saccheggi e gli assassini sarà un pro¬
blema serio. Il giorno in cui Saigon verrà
liberata, il Fronte sarà l’unica protezione
degli americani. Sarà difficile questo com¬
pito di protezione in una città di 2 mi¬
lioni di {jersone piene d’odio. Il problema
è ancor più grave perche da Saigon la leg¬
ge e la morale sono scomparse. Il giorno
in cui l’autorità' passerà definitivamente
nelle mani del Fronte, sarà un giorno di
crisi; il Fronte ha già addestrato ed arma¬
to varie dozzine di persone pronte ad im¬
padronirsi del controllo ed a mantenere
la legge e l’ordine.
« Gli emissari USA vogliono negoziare
una qualche forma di permanenza nel
Vietnam meridionale. Si sbagliano. Do-
24
Agenda internazionale
vranno andarsene come hanno fatto i
francesi. Solo dopo che se ne saranno an¬
dati potranno avere relazioni commerciali
negoziate tramite le vie diplomatiche, e
discutere gli aiuti economici. Ma innanzi¬
tutto deve sparire qualsiasi traccia di do¬
minazione.
« Il Fronte vuole una pwlitica estera
neutrale. Considera la riunificazione co¬
me Un qualcosa appartenente ad un futuro
lontano; in questo momento troppe sono
le differenze e le difficoltà che l’ostaco¬
lano. La p>olitica interna sarà socialista, ma
non come quella della Cina o del Vietnam
settentrionale; sarà un’altra di quelle for¬
me di socialismo asiatico che si presenta
tn tante varianti in questa regione del
mondo. Gli USA debbono rendersi conto
che questa è una lotta per l’indipendenza
non Una guerra di aggressione. Secondo
il Fronte, Thich Tri Quang è un uomo
del Medioevo che in qualche modo vuole
tenere le truppe USA nel Vietnam meri¬
dionale. Il Fronte vuole un Vietnam me¬
ridionale davvero indipendente; anche
l’idea di Ho Chi Minh di un’unione fe¬
derale è qualcosa che appartiene al fu¬
turo ».
Il FLN considera la Conferenza del Po¬
polo Indonesiana come il possibile germe
di una più ampia confederazione neutra¬
lista che potrebbe un giorno unire il Viet¬
nam meridionale, il Laos e la Cambogia.
Il Principe Sihanouk è dello stesso avvi¬
so. L’anno scorso la Conferenza riunì
rappresentanti neutralisti e del Fronte co¬
munista del Vietnam settentrionale e me¬
ridionale, del Laos e della Cambogia. Era¬
no presenti anche i neutralisti sudvietna¬
miti esiliati in Francia. Tra breve la Con¬
ferenza aprirà un ufficio a Pnom Penh,
che in futuro potrebbe in qualche modo
partecipare ai colloqui di pace. La recente
visita a Mosca compiuta dal re del Laos
e dal suo Primo Ministro Principe Sou-
vanna Phouma, cui è stata fatta ben poca
pubblicità, indica che anche loro conti¬
nuano a pensare secondo una linea neu¬
tralista. Il governante della Cambogia ri¬
tiene che il comuniSmo possa asser conte¬
nuto solo con la pace e la p>olitica. Per
dodici anni gli USA hanno cercato di
farlo con la dittatura militare, la repres¬
sione e la guerra. Oggi il Vietcong è più
forte che all’inizio. Dopo dodici anni, il
successo della Cambogia ed il nostro fal¬
limento, il progresso della Cambogia e le
sofferenze del Vietnam, dovrebbero basta¬
re ad indicare quale sia la strada giusta.
I. F. STONE ■
CO NGO
la giustizia
di Mobutu
C on un fulmineo processo, e con
l’esecuzione dei quattro principali
responsabili, il gen. Mobutu ha sventa¬
to un complotto contro la sicurezza
dello Stato. Fra i condannati erano l’cx-
primo ministro Kimba, destituito dal¬
lo stesso Mobutu il 25 novembre scor¬
so con un colpo di Stato, e Anany, che
aveva fatto parte con Mobutu del co¬
siddetto « grupp» di Binza », ossatura
del governo Adula. Secondo la versio¬
ne delle autorità congolesi, il complot¬
to sarebbe stato organizzato di concer¬
to con i servizi segreti occidentali, ed
in particolare con l’ambasciata belga:
il gen. Mobutu ha tentato apertamen¬
te di collegare la congiura di Kimba
con la tensione in atto da tempo fra
Bruxelles e Kinshasa (nuova denomi¬
nazione di Léopoldville), originata da
certi atteggiamenti di « autonomia »
del governo congolese sgraditi ai cir¬
coli finanziari ed economici belgi. La
tragica cerimonia dell’esecuzione di
Kimba e dei complici avrebbe dovuto
sanzionare così, nelle intenzioni del
presidente congolese, la sua coerenza
« nazionale », contro i revascismi nep¬
pure nascosti dall’ex-potcnza colo¬
niale.
Come sempre, la versione delle auto-
Mobutu
rità congolesi permette un margine di
dubbio sulla sua veridicità. Nonostan¬
te l’asserita confessione degli accusati.
Ma non è sulle prove del complotto
che deve vertere il più fermo dissenso
per ciò che è avvenuto a Kinshasa,
qualunque sia la giustificazione « ideo¬
logica » : nessuna cojjcrtura « anti<o-
loniale » può infatti cancellare l’im¬
pressione che sia stato compiuto un
crimine, di cui il Congo e l’Africa
non potranno non patire le conse¬
guenze. Perchè, pur senza contestare
il diritto alla difesa di ogni regime, la
« giustizia » presume sempre una « le¬
galità ».
Nel Congo non esiste più — se mai
è esistita — una legalità: e in queste
condizioni è aberrante una condanna
a morte per dei delitti politici, persino
per il più grave quale il complotto
contro il governo in carica. Nel Con¬
go &I 0 due strade si ponevano c si
pongono per la riconquista della le¬
galità : la « via rivoluzionaria », ten¬
tata senza fortuna dal movimento po¬
polare nel 1964 , che non riuscì a so¬
stenere militarmente e molto di più
politicamente la sua prospettiva di ri¬
generazione integrale, o la « stabiliz¬
zazione » effettiva di un potere auten¬
ticamente nazionale. Se la prima stra¬
da è fallita, e momentaneamente ac¬
cantonata, è certo prematuro dire che
Mobutu abbia realizzato la seconda.
Le vere intenzioni delia sua azione di
presidente, per molti motivi contrad¬
dittoria, sono ancora oscure e nessun
giudizio conclusivo è ancora possibile,
ma le esecuzioni del 2 giugno, in pie¬
no clima di transizione, sono destina¬
te a pesare negativamente. Qualunque
fosse il grado di corresponsabilità di
Kimba con i piani del Belgio, un si¬
mile recupero della « dignità » nazio¬
nale non promette evoluzioni incorag¬
gianti: e ci si aspetta che i nazionali¬
sti veri si dissocino dal generale-presi¬
dente. Al più, i eondannati sono stati
degli strumenti, gli strumenti di quella
stessa politica che si è già servita in
passato di Ciombe e dello stesso Mo¬
butu. Il dramma di Kinshasa, del re¬
sto, diventa lugubramente grottesco
quando si ricordi che Mobutu ha man¬
dato a morte per un complotto contro
il governo colui che egli stesso ha ro¬
vesciato dal governo, mentre attendeva
il voto del parlamento, con un colpo
di Stato militare.
G. C. N.
L'astrolabio ■ 12 giugno i966
25
Agenda internazionale
S. DOMINGO
la vittoria
deirequlvoco
S febbralo '66. Gii studenti dciruni-
versità di S. Domingo invadono le
strade che circondano il palazzo del Go¬
verno. Volti tesi, grida e corpi che spin¬
gono verso gli sbarramenti di poliziotti.
I cartelli, alti sopra le teste, incitano alla
difesa del consiglio universitario che Go-
doy ha tentato di neutralizzare. I mitra
della polizia sparano. Bilancio: 6 morti
e 45 feriti. La popolazione della capitale
si riversa nelle strade. Scatta lo sciopero
generale, Juan Bosch chiede ai suoi soste¬
nitori di aderirvi. Il movimento di piazza
si espande. La folla attacca le caserme.
I morti da 6 passano a 30. I feriti da 45
a 130. Bosch ha un attimo di perplessità.
Teme forse di veder la ribellione trasfor¬
marsi in moto rivoluzionario. E in questo
caso non sarebbe probabilmente capace di
fermare la mano alla sinistra dominicana
{Movimiento 14 de Julio, Partito Socialista
Popular e Movimiento Popular Domini¬
cano) che preme per dare soluzioni più
radicali alla crisi che avvolge da un anno
l’isola caraibica. Prende la parola alla
televisione e chiede la cessazione dello
sciopero. Invita il popolo ad obbedire al
Presidente provvisorio Garcia Godoy af¬
fermando che questi ripristinerà l’ordine
c preparerà le cleziohi di giugno.
17 marzo. L’ambasciatore USA a San
Domingo, William Bcnnet e il rappre¬
sentante della commissione di pace del-
rOSA, Ellsworth Bunker, chiedono ed
ottengono un colloquio con Juan Bosch.
Nel corso del pour-parler, i due inviati
statunitensi promettono l’appoggio finan¬
ziario degli Stati Uniti, a S. Domingo,
anche nei caso di una sua vittoria eletto¬
rale (una vittoria che sembrava, fino a
p)ochi giorni fa, più che certa). Non sap¬
piamo che cosa rispose, in quell’occasio¬
ne, « E 1 viejo », (così i dominicani chia¬
mano affettuosamente Bosch). Se cioè ac¬
cettò o ricusò la larvata, c nello stesso
tempo, pesante « offerta » americana. Una
cosa però è certa: la posizione di Bosch
ha assunto man mano, nei giorni prece¬
denti la consultazione elettorale, una colo¬
razione sempre più smorzata arrivando al
rifiuto totale di ogni appoggio da parte
dei partiti delia sinistra marxista e castri-
Balaguer
sta e a sommesse riajjcrture verso gli USA.
Giunge la scadenza elettorale. Vince il
candidato ufficiale degli USA, l’ex mini¬
stro di Trujillo, Joaquin Balaguer, con
754.409 voti contro i 517.784 del grande
favorito Juan Bosch. Il risultato sorprende
tutti gli osservatori politici. Lo stesso New
Yor/f^ Times del 5 giugno non può fare
a meno di domandarsi come abbia fatto
« Joaquin Balaguer, il non affascinante
ex ministro di Trujillo, ad ottenere il
58,5 % dei voti in questa contesa che lo
vedeva di fronte al carismatico Juan
Bosch ».
Nelle due date, 9 febbraio e 17 marzo,
sono forse racchiusi alcuni perchè della
imprevista sconfitta elettorale del « viejo »
(oltre alle irregolarità che sembrano iver
soffocato le operazioni di scrutinio). Da
un lato la pesante pressione statunitense
che si è estrinsecata sia con la presenza
fisica dei marines e delle truppe intera¬
mericane deU’OSA, che con la più sub¬
dola operazione del ricatto bonario portato
avanti a fior di labbra nei corridoi delle
ambasciate e nella fresca penombra delle
residenze dei leaders. Ed è questa secon¬
da « presenza » statunitense che ha forse
determinato, in parte, il 17 marzo, con le
proposte dell’ambasciatore William Ben-
nct, l’atteggiamento politicamente sfuma¬
to ambiguo, del Bosch preelettorale. Dal¬
l’altro lato il fondamentale moderatismo
dell’ex Presidente dominicano che gli ha
impedito di cogliere il senso vero sia del
moto popolare del 9 febbraio che spingeva
verso sinistra, che della ribellione costi¬
tuzionalista di Caamano. Ed è anche que¬
sta sorta di miopia moderata che ha spinto
« E 1 viejo » nelle secche pericolose rappre¬
sentate da una, sia pur timida, « apertu¬
ra » verso gli USA (pericolose se si tiene
conto del clima di odio znù-yanltees, spes¬
so truculento e difficilmente comprensi¬
bile per un europeo, che da un anno con¬
diziona tutta la vita politica dominicana).
Brogli elettorali a parte, quindi, la scon¬
fitta politica di Bosch sembra essere stata
seriamente determinata da queste due im¬
portanti componenti — pressione USA c
ritorno moderato ddl’cx Presidente domi¬
nicano dopo le intransigenti ed esaspera¬
te p>osizioni prese nel corso del ’65 —
che non possono non aver influenzato
l’esito del confronto tra Bosch e Balaguer.
E’ infatti del tutto errato pensare che la
presenza fisica statunitense abbia inco¬
raggiato gli autori degli innegabili brogli
elettorali? Ed è forse sbagliato credere
che il ricatto bonario ma pesante dei rap¬
presentanti di JtAnson nell’isoJa caraibica,
abbia riscoperto l’istinto moderato di
Juan Bosch? Ed c veramente del tutto as¬
surdo f>ensare che l’ammorbidimento della
politica preelettorale del « viejo » abbia
scoraggiato, f)er la sua ambiguità, molti
potenziali elettori di sinistra, non del tutto
qualificati, che hanno preferito a questo
punto puntare sul vero cavallo degli USA
piuttosto che su un cavallo ambiguo?
Queste ipotesi ci sembrano valide. Spiega¬
no infatti, in parte, la sconfitta elettorale
del candidato delle sinistre dominicane
(dalla stessa Ciudad Nueva, roccaforte dei
costituzionalisti durante la guerra civile,
sono scaturiti molti suffragi per Balaguer).
Ed ora l’atmosfera di S. Domingo torna
a scaldarsi. Bosch sembra prepararsi ad un
nuovo, volontario, esilio. Il fronte coagu¬
lato dall’ex Presidente si sta sfaldando.
Jottin Cury e Hector Aristy, due vecchi
membri dell’équipe di Caamano, hanno
formalmente rotto con il leader domini¬
cano. Il Movimiento 14 de julio e il Par-
tido Social-cristiano, le due principali for¬
mazioni politiche raccoltesi intorno a
Bosch, sembrano risolute a rilanciare le
agitazioni. La centrale sindacale « Frente
Unido de los Trahajadores » si prepara
allo sciopero generale. Il PRD (Partido
Revolucionario Dominicano) chiede l’in¬
validamento delle elezioni.
Balaguer, da parte sua, afferma (il 6
giugno) che le truppe dell’OSA dovranno
rimanere in territorio dominicano anche
dopo l’insediamento del nuovo governo.
Le forze antagoniste si muovono con sem¬
pre più decisione. Circa l’affermazione di
Balaguer, Marcel Nicdergang ha scritto:
« La vittoria di questo uomo di 60 anni,
debole ma ostinato, è quella della stan¬
chezza e dell’equivoco ». Ed è in questo
equivoco che probabilmente si consumerà
la morte politica di Bosch. Non è impro¬
babile un ritorno alla guerra civile. E « El
viejo » appare l’uomo tutt’altro che adatto
a guidarla. A questo punto viene spon¬
taneo alla mente un interrogativo: che
farà Caamano?
economia
Carli
RELAZIONE CARLI
la linea della cautela
di PAOLO SYLOS LABIKI
I n tutti i paesi eurojjei, ma sp>ecial-
mente in Italia, negli ultimi anni sono
andate crescendo le richieste di capitali
3 lungo termine, sia da parte delle im¬
prese sia da parte dello Stato e degli
enti pubblici, più rapidamente del red¬
dito nazionale c più rapidamente della
disposizione del pubblico a sottoscri-
'^ere titoli, ai saggi correnti dell’inte¬
resse. Per evitare l’aumento dei saggi
dell’interesse, le autorità monetarie
nanno indotto le banche ad assorbire un
Volume crescente di titoli, accettando il
conseguente accrescimento dei mezzi
•rionetari. Negli ultimi due anni si è
trattato soprattutto di titoli a reddito
L ASTROLABIO - 12 giugno 1966
fisso, sia perchè le richieste di finan¬
ziamento a lungo termine provenivano
in gran parte dallo Stato e dagli enti
pubblici, sia perchè le imprese hanno
potuto emettere un volume modesto di
azioni, principalmente a causa della li¬
mitata capacità di assorbimento della
Borsa.
Nel 1965 l’assorbimento di titoli da
parte delle banche è ulteriormente au¬
mentato e minaccia di divenire impo¬
nente nel corso di quest’anno, poiché
lo Stato e gli enti pubblici, a causa
del forte aumento delle spese correnti,
devono ricorrere al credito sia a breve
sia a lungo termine non solo per finan¬
ziare i loro investimenti ma anche per
coprire i disavanzi.
Siamo giunti — dice il dottor Carli
— ad un punto pericoloso: se vera¬
mente le autorità monetarie acconsen¬
tissero a far assorbire dalle banche tut¬
te le obbligazioni che lo Stato e gli enti
pubblici, compresi gli istituti speciali di
credito, devono emettere per finanzia¬
re gl’investimenti e coprire i disavanzi,
e che i privati non sono disposti a sot¬
toscrivere, si avrebbe una creazione ad¬
dizionale di mezzi liquidi talmente
grande da rendere impossibile la stabi¬
lità dei prezzi. Tuttavia, data l’ineffi¬
cienza delle autorità politiche — dice
in sostanza Carli — è poco probabile
che tutti i progetti di legge che preve¬
dono spese da finanziare sul mercato
vengano effettivamente presentati al
Parlamento ed approvati entro que¬
st’anno. In ogni modo, le pubbliche
autorità dovranno procedere alle emis¬
sioni solo quando sono pronte per la
esecuzione delle opere e non prima.
Con riferimento a un orizzonte tem¬
porale più lungo, è essenziale che lo
Stato proceda in modo ordinato alla
formulazione ed alla esecuzione di pro-
27
Economia
WARBURG
LA RINASCITA
DEL PAGANESIMO
ANTICO
CONTRIBUTI ALLA STORIA DELLA CULTURA
L'opera completa di Aby Warburg. I capolavori di
sensibilità psicologica e geniale padronanza del ma¬
teriale che hanno assicurato al Warburg un posto
particolare tra i grandi storici dell’arte. Prefazione di
Gertrud Bing. Rilegato L. 7000
ROSTOVZEV
STORIA
ECONOMICA E SOCIALE
DEL MONDO ELLENISTICO
La vita del mondo greco e dei territori a cultura mi¬
sta. greco-scitica, greco-iranica ecc. Come sia stato
ellenizzato l'Oriente e come la classe dirigente el¬
lenistica si sia poi data ai Romani. Un affresco an¬
cora più grandioso della Storia economica e sociale
dell’Impero romano. Volume I, rilegato L. 8000
La Nuova Italia
N. I. Bucharin
L’ECONOMIA MONDIALE
E L’IMPERIALISMO
Un classico del marxismo, una guida al presente. Edizioni Sa-
monà e Savelli. L. 2000
Emanuele Artom
DIARI
Gennaio 1940 - lebbario 1944. « Quando la sventura ci colpi,
alcuni ci abbandonarono, altri furono colti dalla più nera dispe¬
razione noi rnvece siamo fermi e pazienti, perché sappiamo
che pericoli e danni maggiori affrontarono, senza cedere, i nostri
antenati ». L. 1500.
John Dewey
LA RICERCA
DELLA CERTEZZA
STUDIO DEL RAPPORTO
TRA CONOSCENZA E AZIONE
Un sistema di pensiero capace di interpretare le conclusioni
della scienza e le loro conseguenze sugli scopi e sui valori
della nostra vita. Presentazione di Aldo Visalberghi. L. 3000.
rii. L. 3500
getti che implichino spese fuori bilan¬
cio; ed è essenziale che freni l’aumen¬
to delle spese correnti, dando la prefe¬
renza alle spese d’investimento in infra¬
strutture fondamentali per lo sviluppo
economico e civile del paese.
Questi sembrano i punti centrali
della relazione del dottor Carli. All’ori¬
gine v’è una questione apparentemente
tecnica (il modo di soddisfare le cre¬
scenti richieste di prestiti a lungo ter¬
mine); in realtà, tale questione investe
problemi fondamentali di politica eco¬
nomica, anzi di politica generale: la
spesa pubblica, l’andamento dei salari,
il pericolo che gruppi esteri riescano ad
assicurarsi il controllo di im numero
crescente di imprese nazionali.
Consideriamo uno per uno questi
problemi, mettendo in rilievo le con¬
nessioni con la questione, apparente¬
mente tecnica, dei prestiti a lungo ter¬
mine.
La spesa pubblica. Su alcuni dei mo¬
niti espressi da Carli si può essere com¬
pletamente d’accordo. Si può essere
d’accordo sulla esigenza che lo Stato e
gli enti pubblici non ricorrano al mer¬
cato creditizio per coprire i disavanzi;
che essi debbano contenere l’aumento
delle spese correnti e ricostituire il ri¬
sparmio pubblico, oggi ridotto a zero;
che essi debbano invece dare la prefe¬
renza a spese d’investimento.
Occorre tuttavia esprimere due riser¬
ve. In primo luogo, non è sufficiente-
mente chiarito e documentato nella re¬
lazione il modo con cui si giunge alla
stima della spesa pubblica da coprire
con prestiti a breve e a lungo termine,
nè, in particolare, è indicato come s>
giimge alla stima del fabbisogno di cre¬
dito a lungo termine — 1400 miliardi
di titoli di Stato ed altri 1600 miliardi
di obbligazioni per l’ENEL, le imprese
a partecipazione statale e gli istituti
speciali di credito. G)sl che rimp| 0 -
nente totale di 3000 miliardi di emis¬
sioni nette di titoli a reddito fisso, è
una stima che non può essere accolt*
senza una particolareggiata analisi cri¬
tica. Indipendentemente dalla mancata
approvazione di certe leggi, la stima
dei fabbisogno pubblico di crediti 8
breve e a lungo termine (2300 miliardi)
appare eccessiva, come appare eccessiva
la stima del fabbisogno pubblico da co¬
prire con crediti a lungo termine ( 1400
miliardi) rispetto a quella — risultante
per differenza — da coprirsi con cre¬
diti a breve.
Seconda riserva. E’ giusto sostenere
che, nelle attuali condizioni, le auto¬
rità pubbliche debbano procedere a
nuove emissioni solo quando sono pron-
28
Economia
te a spendere effettivamente i fondi,
per non creare un inutile ingombro nel
mercato finanziario. Ma è necessario
mettere bene in chiaro che nessuna re¬
mora sarà frapposta dalla autorità mo¬
netaria alle emissioni di titoli; ed è
anche necessario mettere bene in chiaro
che quella quasi-previsione circa la
mancata approvazione entro l’anno del-
leggi sul secondo Piano Verde e,
particolarmente, sull’edilizia scolastica
e solo una quasi-previsione, giusta o
sbagliata che sia, e non un mezzo invito
al rinvio.
C’è infine un quesito più ampio, che
non riguarda solo la questione della
spesa pubblica: è certo che emissioni
dell’ampiezza sopra indicata « potreb¬
bero avvenire soltanto sulla base di una
creazione di liquidità maggiore di quel¬
la sufficiente ad assicurare nell’anno in
corso il previsto sviluppo del reddito
m condizioni di soddisfacente stabilità
dei prezzi »? I dati relativi all’anno
scorso e al primo trimestre di quest’an¬
no sulla creazione di mezzi liquidi da
parte del sistema creditizio sembrano
micare che, nonostante le notevoli
esigenze del Tesoro, nonostante il so¬
stegno delle emissioni di titoli a reddi¬
to fisso, e nonostante il forte surplus
della bilancia dei pagamenti, la creazio¬
ne di mezzi liquidi addizionali ha avuto
e sta avendo luogo ad un saggio molto
moderato, grazie soprattutto alle ope¬
razioni creditizie sui mercati interna¬
zionali promosse proprio per questo
scopo dalla banca centrale. V’è anzi il
sospetto che, in questa linea, vi sia
stato un eccesso di cautela. Vero è che,
ciò nonostante, nell’anno scorso e nei
primi mesi di quest’anno i prezzi ai
minuto hanno continuato ad aumenta¬
re, sia pure a un tasso moderato. Ma
è essenziale riconoscere che un tale
aumento non è dipeso e non dipende
da un’eccessiva creazione di mezzi li¬
quidi, nè da eccessive spese pubbliche:
ci sono altri fattori in gioco, che ope¬
rano indipendentemente da quelle spin¬
te (principalmente: andamento delle
produzioni di certi prodotti agrari; fit¬
ti; margini distributivi).
L’aumento dell’indebitamento a lun¬
go termine delle imprese attraverso ob¬
bligazioni dipende, secondo la relazione,
principalmente dalla riduzione dei mar¬
gini di profitto e dalla conseguente
flessione dell’autofinanziamento, che ha
avuto luogo negli anni 1962-1964, co¬
me conseguenza del forte aumento dei
salari. Nella relazione si riconosce che
nel 1965 il peggioramento dei margi¬
ni lordi di profitto si è arrestato, e c’è
stato un certo miglioramento, in segui-
G)STA
Un freno
allo sviluppo
La stasi non c durata a lungo: l'indu¬
stria riprende a « tirare » c l’indice dei
prezzi airingrosso a salire. 1 prodotti
agricoli hanno segnato forti incrementi,
sono stati quelli industriali a far crescere
dello 0,3 per cento l’indice dei prezzi
all’ingrosso in aprile rispetto a marzo.
Ed è sempre ad essi che si deve l'aumen¬
to, dell’aprile scorso suiraprile del '65,
del 2,9 per cento. Aumento che, bilan¬
ciato dalla stasi e persino dal regresso,
per certe voci, segnate nei tre mesi pre¬
cedenti, fa sì che l’incremento dei prezzi
all’ingrosso del primo quadrimestre di
quest’anno sia solo del 2,5 rispetto al
primo quadrimestre dell’anno scorso..
La domanda di beni per la produzione
si riattiva e le industrie di base possono
passare al « recupero » : in che misura
lo si sente e lo si sentirà sul costo della
vita?
Grazie ad una serie di fattori (maggior
resa del lavoro: in presenza di una di¬
minuzione delle ore di lavoro e soprat¬
tutto dell’occupazione il prodotto lordo
del’industria è salito da 224,8 a 231,8; la
disoccupazione ha frenato la dinamica
salariale cosicché i redditi da lavoro nel¬
l’industria sono passati soltanto — tasso
M'americana — da 342,5 a 344,9; il co¬
sto di lavoro per unità di prodotto ha
subito quindi un decremento, ma grazie
anche alla fiscalizzazione degli oneri so¬
ciali, da 152,4 a 148,8) grazie dunque
a questa fenomenologia l’industria italia¬
na ha potuto procurarsi i mezzi d’investi¬
mento. L’occupazione tenderà dunque a
salire, in virtù di investimenti, nei pros¬
simi mesi. La « domanda » tornerà a
farsi maggiore.
Nel 1962 la domanda globale fu pari a
30 mila miliardi di lire, l'anno scorso
a 40 mila (in lire correnti, cioè a valori
riflettenti i prezzi dei due distinti anni).
La produzione invece (ma a prezzi co¬
stanti: cioè in valore fisico o reale che
dir si voglia) passò solo da 33 a 37 mila
miliardi. La conseguenza fu l’aumento
del costo della vita. Siamo alla vigilia
di un ripetersi del fenomeno. 1 prezzi
al consumo e il costo della vita sono
cresciuti anch’essi in aprile, come quelli
all’ingrosso, dello 0,3 per cento. E ciò
in conseguenza del fatto che i prezzi al
minuto sono lievitati dello 0,2 e quelli
dei « servizi » dello 0,5.
11 fatto è che il sistema di distribuzione
italiano non ha alcun margine di ela¬
sticità e ogni minimo aumento dell’in¬
grosso si ripercuote sul minuto e subito
dopo, quindi, sul costo della vita. A ciò
concorre anche il fatto che è già in fase
di crescita (dati ISTAT) il capitolo « abi¬
tazione ». Dire perciò che l'Italia si tro¬
va agli ultimissimi posti nella scala in¬
temazionale degli aumenti del costo della
vita verificatisi tra i mesi di marzo del¬
l’anno scorso e di quest’anno, è conso¬
larsi col fumo deU’arrosto.
Gli Stati Uniti ad esempio hanno visto,
nello stesso tempo, aumentare il costo
della vita (fatto per loro eccezionale) del
2,7 (noi del 2,6): ma il loro tasso di
aumento all’ingrosso è stato però del 4
per cento, contro un nostro tasso d’au¬
mento del solo 2,4. Quel sistema cioè
ha un margine di recupero, tra i due
prezzi, dovuto all’aumento di produttività
della distribuzione. E’ cresciuto cioè il
prezzo all’ingrosso in conseguenza di
un aumento della domanda, assai meno
quello al consumo (dove pure si riper¬
cuote direttamente la domanda). Che è
stato fatto in Italia in questi anni per
modernizzare le nostre strutture distri¬
butive? Non appena l’elemento positivo
della domanda di beni finali di consumo
tornerà a ingrossarsi, il minuto si get¬
terà a un « recupero » assai più alto
di quello che, nell’industria e nell’agri¬
coltura, si verifica per l’ingrosso. g
l-'ASTROUBIO - 12 giugno 1966
29
Economia
to alla fiscalizzazione degli oneri socia¬
li; ma si osserva che è tuttora molto
pesante la situazione debitoria delle im¬
prese e che « l’entità degli oneri finan¬
ziari di cui le imprese sono gravate
limita la loro disp>osizione a realizzare
nuovi investimenti ».
Rianimare la Borsa. Ora bisogna os-
UNIVERSALE
LATERZA UL
Padroni
del vapore
e fascismo
Ernesto Rossi
lire novecento
UNIVERSALE
LATERZA UL
servare che nel 1965, soprattutto negli
ultimi mesi, ha avuto luogo un miglio¬
ramento dei margini di profitto non
solo f)er la fiscalizzazione degli oneri so¬
ciali, ma anche perchè il prodotto ora¬
rio per addetto è cresciuto di giù dei
salari orari di fatto (la relazione fa rife¬
rimento solo al prodotto e al salario
per addetto). Bisogna inoltre osservare
che la pressione salariale quest’anno
risulta relativamente debole: molto
probabilmente, nell’intero anno, pur te¬
nendo conto degli aumenti dei salari
contrattuali che risulteranno dai rinno¬
vi in corso e dei probabili scatti della
contingenza, nell’industria gli aumenti
dei salari di fatto orari non supereran¬
no gli aumenti del prodotto orario. Se
questa prospettiva è fondata; se è vero
che le imprese sono disposte a ricor¬
rere assai più a emissioni obbligazio¬
narie che a emissioni azionarie a causa
dello stato depresso della Borsa e del¬
la sua limitata capacità di assorbimen¬
to; si può trarre la conclusione che
conviene studiare tutti i mezzi appro¬
priati per rianimare la Borsa, non solo,
come si afferma nella relazione, con in¬
novazioni legislative, come l’istituzio¬
ne di fondi d’investimento — innova¬
zioni certamente utili, ma non realizza¬
bili in brevissimo tempo — ma anche
con altri mezzi. Non sembra che una
eventuale espansione di mezzi liquidi,
risultante indirettamente da interventi
di sostegno, costituisca un ostacolo in
questa direzione.
L’opportunità di rianimare la Borsa
risulta anche dalla giusta considerazio¬
ne espressa nella relazione a proposito
dell’afflusso di capitali stranieri in
Italia:
« Imprese nelle quali è basso il rap¬
porto dei capitali investiti, sono più
soggette al pericolo di impossessamen¬
to da parte di stranieri, ai quali i con¬
tributi statali di cui le imprese siano
beneficiarie offrono ulteriore stimolo ».
« In altra circostanza — continua il
dottor Carli modificando, con apprez¬
zabile rettitudine, up suo giudizio pre¬
cedente — abbiamo dichiarato di cre¬
dere nella opportunità che si stabili¬
scano rapporti di collaborazione fra le
imprese italiane e quelle degli altri pae¬
si, alla condizione che ne derivino am¬
pliamenti dei mercati e introduzione di
nuove tecnologie; ma quando si tratti
di assoggettamenti derivanti dalla faci¬
lità con la quale si acquisisce il con¬
trollo di imprese oberate di debiti, con¬
dividiamo le apprensioni di quanti con¬
siderano questo fenomeno non confor¬
me all’interesse generale ».
Un,mercato finanziario più ampio e
più dinamico, non solo nel settore ob¬
bligazionario, ma anche in quello azio¬
nario, potrà ridurre il pericolo di cui
parla Carli. Nel i>eriodo più lungo, un
importante contributo a questo amplia¬
mento e rafforzamento potrà esser dato
dall’istituzione dei fondi d’investimen¬
to, che si ricollega alla riforma delle
società per azioni, una riforma che, in¬
sieme con altre, da tanto tempo atten¬
diamo. Chi scrive è pienamente d’ac¬
cordo con le considerazioni svolte da
Carli su tale riforma; le principali inno¬
vazioni auspicate coincidono fn gran
parte con quelle più volte proposte da
uomini che aderiscono al Movimento
Salvemini.
La funzione del settore pubblico.
Non sono invece d’accordo col punto
di vista espresso da Carli, verso la fine
della relazione, sulla funzione da asse¬
gnare alle imprese pubbliche. E’ un
fatto che si è creata una certa divisione
del lavoro fra imprese private e impre¬
se pubbliche, le quali si sono concen¬
trate sulle industrie di base e sui ser¬
vizi, particolarmente trasporti e comu¬
nicazioni. Carli vorrebbe rendere più
netta e più rigida questa divisione; al¬
trimenti, egli dice, « le partecipazioni
statali si metterebbero in concorrenza
con gli imprenditori privati, scompi¬
gliandole le basi di calcolo economico,
con conseguenze difficilmente preve¬
dibili ».
Ora, se la concorrenza è utile al li¬
vello delle imprese private, è anche uti¬
le fra imprese private e imprese pubbli¬
che. S’intende che lo Stato non deve
promuovere disordinatamente le inizia¬
tive produttive nei campi più disparati;
ma quella divisione del lavoro può aver
fondamento nelle regioni sviluppate,
dove sono relativamente abbondanti le
iniziative imprenditoriali private, non
nelle regioni arretrate del Mezzogiorno,
dove quelle iniziative mancano.
Un’ultima osservazione.
Una parte della sinistra considera la
linea di politica economica sostenuta da
Carli come una linea reazionaria. Ab¬
bondano, in proposito, gli slogans, men¬
tre difettano le analisi approfondite.
Credo che occorra dire a questi amici
che l’attacco a Carli, che si ripete ogni
anno, in occasione della relazione,
quasi secondo un rito, è fuori luogo.
Non si possono attribuire a Carli re¬
sponsabilità ed omissioni che sono del
Governo. £’ verso il Governo che oc¬
corre esercitare l’azione di sprone e di
critica, anzi di dura critica, non tanto
per quel che fa, quanto per quel che
dovrebbe fare, che ha promesso di fare
e che non fa.
PAOLO 8YLOS UBIMI ■
30
cronache italiane
1
i
questi nostri giudici
di CARLO GALANTE GARRONE
^on ci dovrebbe essere motivo di
"scandalo nel fatto che un giudice,
^^traneo al processo, parli del processo
'Juando esso è in corso, e dica aperta-
•^ente la sua opinione sui problemi che
quel procedimento ha portato alla ri-
^Ita. La preoccupazione che i giudici
processo possano essere influenzati
® menomati nella loro libertà di giudi¬
zio dalle opinioni espresse, sulla stam¬
pa o alla radio, da cittadini in tòga o
lo giacchetta, non soltanto è manifesta-
luente priva di fondamento (vogliamo
forse chiudere in conclave i giudici, co¬
prirne gli occhi con lenti affumicate e
lapparne le orecchie con tamponi di
cera? sarebbe una fatica inutile: la voce
^cl mondo supera ogni parete), ma è
anche offensiva, a ben vedere, per la
ifignità e l’indipendenza dei magistrati:
che non hanno davvero bisogno di pro¬
iezioni e tutele contro l’opinione pub-
*-ASTROLABIO - 12 giugno 1966
blica. E invece, a quanto pare, un giu¬
dice romano, Gabriele Battimelli, pro¬
prio di questo è accusato: di aver par¬
lato al manovratore, e cioè al tribunale
di Milano, e così di aver « interferito »
in un procedimento in corso. Scrive
il Giorno:
L’inchiesta sul caso della Zanzara ha su¬
bito una svolta imprevista; il dottor Edmon¬
do Siciliani, capo del servizio ispettivo del
ministero della Giustizia, ha convocato il
dottor Gabriele Battimelli, e gli ha conte¬
stato il contenuto di un’intervista da lui ri¬
lasciata al settimanale TV 7 . In questa inter¬
vista il dottor Battimelli, aveva espresso la
opinione che le disposizioni contenute nella
circolare fascista relativa alle visite personali
dei minori non dovessero più essere applicate
perchè incostituzionali: opinione che, in se¬
guito, fu adottata dal tribunale di Milano
che assolse i tre studenti. Il dottor Siciliani
avrebbe mos» al giudice romano dei rilievi
sull opportunità dell’intervista da più parti
giudicata, a suo avviso, come una matKanza
di solidarietà verso il dottor Carcasio, e di
interferenza in un procedimento in corso.
Il dottor Battimelli avrebbe respinto le con¬
testazioni, sostenendo il suo diritto di inter¬
venire in una questione di generale interesse
che riguardava la magistratura e i cittadini...
Q>ntro il giudice Battimelli, che aveva chie¬
sto l’adeguamento alla Costituzione delle leg¬
gi fasciste, era stata presentata, tempo fa,
un’interpellanza di alcuni deputati del MSI.
Lasciamo da parte il rimprovero di
« mancanza di solidarietà verso il dot¬
tor Carcasio » (la notizia merita confer¬
ma, tanto ci pare incredibile), e l’insur¬
rezione dei deputati missini (ecco una
notizia che non ha davvero bisogno di
conferma). Ma quanti altri interrogativi
attendono una risposta! Per esempio:
chi ha autorizzato il dottor Edmondo
Siciliani a uscire dal seminato, e cioè a
trasferire la sua inchiesta, strettamente
limitata all’attività istruttoria (e perciò
segreta) del sostituto Carcasio, in altri
campi e in altre direzioni? Come è sta¬
to possibile al dott. Siciliani (anche
questo precedente sconfinamento dai
limiti del suo mandato è stato reso noto
dalla stampa) « interrogare » un presi¬
dente di tribunale che alla luce del sole,
con ammirevole tatto e con eccezionale
capacità, ha diretto il dibattimento nel
processo della Zanzara? e chiamare poi
31
Cronache italiane
al « redde rationem » un giudice —
estraneo al processo, ripetiamo — che
ha avuto il solo torto di dire pubblica¬
mente una grande verità, e cioè che in
Italia c’è, da qualche annetto, una Co¬
stituzione ispirata a principi di libertà
e difesa del cittadino?
I giudici di Milano hanno assolto gli
* imputati con una sentenza saggia e
illuminata. Ma intanto, come si è detto.
ci sono giudici che per avere parlato
chiaro si trovano ora nei guai. E se la
Zanzara milanese non è stata fulmi¬
nata dal flit del dottor Lanzi, rappre¬
sentante della pubblica accusa al pro¬
cesso di Milano, non si può neppure
dire, purtroppo, che l’accusa non ab¬
bia lasciato tracce. Gli studenti del
Parini hanno superato coraggiosamente,
senza jattanza ma senza incertezze, la
prova sconcertante del processo. Ma il
preside dell’istituto, pur così coraggio¬
so e dignitoso nel corso del processo, e
pur cosi vigile e pronto nel segnalare
alla pubblica opinione, in una recente
lettera, le imprese antiche e nuove della
teppaglia fascista, non si è sentito (per
la prima volta, crediamo, nella storia
del giornale studentesco del Parini) di
« avallare » un articolo che trattava di
un altro, e ancor più grave, processo,
definito esso pure con una sentenza di
assoluzione che è titolo di onore per la
magistratura milanese. Leggiamo sulla
Stampa:
Tutti gli articoli pubblicati sull’ultimo nu¬
mero deUa Zanzara sono stati visti e appro¬
vati dal preside del liceo, prof. Daniele l^t'
talia, che fu coimputato nel processo. Su
uno solo il preside ha esercitato il suo di¬
ritto di censura; si tratta di un articolo dal
titolo "Una sentenza democratica: l’assolu¬
zione dei giovani dei manifestini”, nel quale
un giovane redattore, lo studente Giacomo
Guastalla, commenta il processo tenutosi a
Milano nello stesso periodo in cui si ebbe
il caso Zanzara, e che vide imputati ed as¬
solti al termine del dibattimento un gruppo
di giovani che avevano distribuito manifesti¬
ni antimilitaristi. Il preside ha vietato la pub¬
blicazione della seconda metà dell’articolo e,
pertanto, la colonna che la doveva ospitare
figura in bianco e con la scritta: * A causa
del parere negativo espresso dalla presidenza,
la redazione rinuncia a pubblicare l’ullima
parte dell'articolo ».
Calunnia calunnia, qualcosa resterà;
processa processa, qualche incertezza e
perplessità rimarrà, inevitabilmente, in
chi ha sofferto l’ansia e la pena dd
giudizio. Questo non vuol essere, si®
ben chiaro, un rimprovero a un preside
saggio e illuminato: vogliamo porre
l’accento, semplicemente, sui « guasti »
fatalmente provocati dalla scarsa sensi¬
bilità (o dall’aperta ostilità) di alcuni
rappresentanti della pubblica accusa per
la libertà di pensiero c di espressione.
E non è finita. Mentre scriviamo
queste noterelle, i giornali annun¬
ciano che il procuratore generale di M*'
lano, in contrasto con la rinuncia del
procuratore della Repubblica, ha deciso
di « coltivare » l’appello contro la sen¬
tenza di assoluzione del preside e dei
tre giovani studenti del Parini. Nulla da
eccepire, naturalmente; il procuratore
generale ha agito nell’esercizio del suo
diritto. (Le sagge considerazioni di En¬
zo Enriques Agnoletti sul Ponte di apri¬
le — e l’intelligente sua domanda:
« l’appello del P.M. è istituto indispen¬
sabile per il buon funzionamento della
giustizia penale? » — non valgono evi¬
dentemente a modificare la realtà pro¬
cessuale di oggi: potranno contribuire
domani — ma ci crediamo poco — alla
modificazione delle norme che regolano
l’impugnazione del Pubblico Ministero-
Ma questo è un altro e diverso discor-
Vi troverete:
le più alte montagne d'Europa;
incantevoli luoghi di soggiorno e stazioni termali;
incomparabili piste di sci invernale ed estivo;
preziose testimonianze di arte romana e medioevale.
La Valle d’Aosta merita un viaggio
Assessorato Regionale del Turiamo • Aosta (Italia)
Venite a conoscere la
YALLE D’AOSTA
32
Cronache italiane
so: che tuttavia potrà e dovrà essere ri¬
preso, secondo l’auspicio dello stesso
Enriques Agnoletti. Così come dovrà
essere aperta e approfondita un’altra
discussione, alla quale Enriques Agno¬
letti non ha accennato e che l’appello
del procuratore generale rende attuale:
e cioè se, pur ammessa la sopravviven¬
za dell’appello del P.M., debba essere
consentito a un procuratore generale di
promuovere e * coltivare » un appello
abbandonato e rinunciato dal procura¬
tore della Repubblica. Sembra una di¬
scussione di natura formale e tecnica,
e non è: le norme processuali non sono
tnai astratte e gelide regole formali,
sono o dovrebbero essere sempre, inve¬
ce, strumenti di giustizia e di tutela del
cittadino. E sotto questo profilo le pa¬
role di Enriques Agnoletti sono illumi¬
nanti). La guerra continua, dunque. Il
volo della Zanzara non è finito ancora.
K^a non pensiamo, per ora, al pro-
cesso che si farà contro il preside
c i tre studenti del Parini; e dal proces¬
so che recentemente si è, se pure non
definitivamente concluso, e dalle riper¬
cussioni che ha avuto prendiamo lo
spunto per alcune considerazioni su
questi nostri giudici. A pensarci bene,
c è qualcosa di paradossale nell’ammi-
uistrazione della giustizia. Giudici che
fanno il loro dovere, come il presiden¬
te del tribunale di Milano, o che eserci¬
tano un loro diritto, come il giudice
Eattimelli, quasi quasi assumono la ve¬
ste di imputati. E dei giudici che non
fanno il loro dovere non si sente par¬
lare mai. Bisogna che un procuratore
della Repubblica ordini la perquisizio¬
ne domiciliare contro un deputato per-
il Parlamento si muova e si com-
tnuova (a ragione, sia ben chiaro) e per-
t^hè il pesante sipario che copre e na¬
sconde i lavori del Consiglio Superiore
della Magistratura si apra e lo spiraglio
così aperto consenta di sapere che quel
•nagistrato... ha commesso un errore
fcusabile (tutti possono sbagliare e
tgnorare la legge, anche i magistrati:
diàmine!). Ma è, questa, l’eccezione che
Conferma la regola. Perchè non possia¬
mo sapere qualcosa — non diciamo:
•ìualcosa di più, perchè non sappiamo
nulla, assolutamente nulla — delle ini¬
ziative « disciplinari * — o dell’inerzia
del Consiglio Superiore della Magi¬
stratura o del Guardasigilli nei confron¬
ti dei giudici? Forse che nascondere la
Verità significa sopprimere la realtà? I
magistrati, come è noto, sono divisi in
due raggruppamenti: l’Associazione
Irrazionale Magistrati e l’Unione dei Ma¬
gistrati Italiani; in eterna lotta fra loro
(una lotta che spesso degenera in zuf-
•-■ASTROLABIO - 12 giugno 1966
fa); ma, si direbbe, concordi fra loro
nel tacere degli errori e delle colpe dei
giudici. E’ sovversivo chiedere im po’
di coraggio, e auspicare che anche la
casa dei magistrati abbia le pareti di
vetro (non smerigliato, si intende)? Ci
sono magistrati che non lavorano; lo sa
per esperienza chi ha dimestichezza con
le aule giudiziarie, lo sanno i cittadini
che attendono per mesi e anni una
sentenza. E ci sono magistrati che la¬
vorano male (accanto ad altri, è appena
il caso di dirlo, che lavorano bene, con
scrupolo, con abnegazione, con passio¬
ne). Leggiamo sul Giorno, in una cor¬
rispondenza da Palermo:
Lo studente universitario Bernardo Cam-
marata di Qjrleone, che dieci mesi or sono
era stato fermato perché sospetto di favo¬
reggiamento nei confronti di alcuni latitanti,
è stato oggi prosciolto in tribunale... La vi¬
cenda di cui il Cammarata è stato protago¬
nista presenta un aspetto del tutto insolito,
che è esploso oggi clamorosamente nell’aula
del tribunale: lo studente è rimasto otto
mesi e mezzo rinchiuso nelle carceri dell'Uc-
ciardone senza che contro di lui fosse stato
spiccato il mandato di cattura. Lo stesso giu¬
dice istruttore che ne ha disposto il rinvio
a giudizio non aveva provveduto all’emis¬
sione e alla notifica del mandato di cattura;
pertanto la lunga detenzione del giovane de¬
ve considerarsi del tutto illegale. Gli avvo¬
cati del Cammarata hanno annunciato una
azione nei confronti dell’amministrazione giu¬
diziaria.
Leggiamo sulla Stampa che un agri¬
coltore siciliano è stato riconosciuto in¬
nocente dopo vent’anni di ergastolo, e
che la condanna era stata determinata
unicamente dal rifiuto dei giudici di
controllare \'alibi dell’imputato. Ricor¬
diamo, a parte esempi famosi (Gallo,
Corbisiero, Tacconi), tutti i processi di
assise annullati perchè i giudici togati
non avevano controllati i « titoli di
studio » dei giurati; ricordiamo che un
pubblico ministero a Bergamo ottenne
alla presenza dei carabinieri, in ore not¬
turne, la « confessione » di detenuti
che poi furono assolti a Torino in
istruttoria per non aver commesso il
fatto. E ci chiediamo: sono state prese
iniziative nei confronti di questi ma¬
gistrati? quali? con quale esito? Qual¬
cosa di tanto in tanto si viene a sapere,
sui giornali, di giudici che sono stati
sottoposti a procedimento disciplinare
(e puniti) per aver parlato male di Ga¬
ribaldi, e cioè per avere espresso opi¬
nioni non del tutto ortodosse sulla ma¬
gistratura. Ma nulla, assolutamente nul¬
la sappiamo, mai, dei giudici che per
leggerezza o indolenza o incomprensio¬
ne dei loro doveri non hanno reso giu¬
stizia. Solleviamo quel pesante sipario.
Abbiamo tutti il diritto di sapere e di
giudicare.
CARLO GALANTE GARRONE ■
UNIVERSITÀ^
una scelta
sorniona
I l 14 giugno sarà eletto il nuovo ret¬
tore dell’Università di Roma. E’ inu¬
tile dire con quale interesse, dopo i
fatti recenti che hanno costretto il
prof. Papi alle dimissioni, questa scelta
sia attesa nel mondo della scuola, de¬
gli insegnanti c dei giovani, non meno
che negli ambienti politici.
Non sarà una nomina facile, chè se
l’onore è grande non minore è la re¬
sponsabilità, e non è allettante la pro¬
spettiva di un rettorato denso di dif¬
ficoltà e di grane. I candidati non sono
molti e non è davvero il caso d’inse¬
guire le molteplici e mutevoli precor¬
renti, tentando d’individuare i falsi
scopi cui esse mirano.
La manovra del governo. E’ una de¬
nuncia che bisogna avanti tutto avan¬
zare. Si è disegnata una chiara volontà
d’imposizione, un po’ clericale, ma
soprattutto democristiana, in nome an¬
cora una volta di un diritto della mag¬
gioranza che, esercitato nella scuola,
diventa prepotenza della maggioranza.
L’appartenenza ad un partito non può
essere titolo di scelta, tanto più per il
governo delle università, che l’ordina¬
mento attuale trasforma in autocrazia
praticamente senza controllo. L’unica
fedeltà politica che deve legare un capo
di scuola è quella alla Costituzione,
legge comune della nostra democrazia
repubblicana.
Tanto più spiacevole riuscirebbe una
candidatura alla quale, attraverso i ne¬
goziati e i compromessi che si stanno
intessendo tra i notabili dell’università
romana si volesse dare una vernicia-
Gui
33
Cronache italiane
tura da centro-sinistra (è il caso del
prof. Orestano, alla cui candidatura è
stata data una chiara impronta gover¬
nativa).
La sicura capacità d’indipendenza da
ogni interesse e pressione, politica o
non politica, estranea alla scuola, deve
essere il primo requisito del nuovo
rettore. E’ una garanzia che il candi¬
dato del governo non dà. La provenien¬
za dal fascismo, la carriera col fascismo
ha lasciato traccia sulla grandissima
maggioranza dei nostri professori. Ma
attraverso le vicende della vita e le
prove successive le qualità di carattere
hanno sempre potuto farsi luce. La
candidatura ora prospettata ha contro
di sé manifestazioni di cupidigia di ser¬
vilismo verso il fascismo, rispetto alle
quali certo impallidiscono gli entusia¬
smi corporativi del prof. Papi.
Una copertura per i baroni. Ecco
una prima ragione che ci obbliga a in¬
tervenire. Una seconda più ampia sta
nel sospetto che essa legittima. Il so¬
spetto che con questa scelta si intenda
creare una copertura per l’intromissione
jxjlitica che è alla sua origine, per l’af¬
farismo universitario che cerca le sue
difese, per il sottogoverno della Dire¬
zione amministrativa, che manovra per
mantenere intatto il dominio che sotto
la copertura del rettorato Papi, ha sem¬
pre dannosamente esercitato sulla uni¬
versità romana.
Altre candidature, anche autorevoli,
sono state affacciate. Hanno il torto,
a nostro avviso, di rappresentare la
continuità d’indirizzo cristallizzatosi
durante il governo Papi.
Spiace che sia stata mal presentata
in modo da nuocerle, quasi di espo¬
nente di parte politica, la candidatura
del prof. Montalenti. Se i professori
romani giudicano assurdo, o puerile,
l’ostracismo agli "uomini di sinistra”
che era nei propositi dichiarati del
prof. Papi, essi sanno di dover cercare
non un uomo di sinistra, o di parte
politica' determinata, ma una persona
che avanti tutto unisca indipendenza
di carattere ed equilibrio, alta coscien¬
za di maestro e prestigio scientifico.
Questo è Montalenti. Ha anche il van¬
taggio di provenire dalle facoltà scien¬
tifiche, da un quarantennio circa esclu¬
se dal rettorato.
Sarebbe una delusione ben grave se,
come nulla fosse accaduto all’Univer¬
sità di Roma, una scelta sorniona ri¬
pristinasse il costume e il malcostume
di prima. Sarebbe un danno ben gra¬
ve se contro il nuovo rettore si do¬
vesse aprire una sgradevole polemica.
Crediamo che gli elettori del nuovo
rettore avranno piena consapevolezza
della scossa prima di tutto morale in¬
tervenuta nella Università di Roma, e
dei lieviti che agitano tutta la scuola
e i giovani. Ci lascino sottolineare che
la loro seria responsabilità sarà valu¬
tata ben oltre l’ambito chiuso del cor¬
po accademico. DONATO ■
crisi
di giovani
Difuggiamo sempre con attenzione
*'dalle querele di generazione: for¬
se perchè siamo abbastanza vecchi
per ricordare l’invenzione « giovani-
listica » del fascismo, e per avere
assimilato la critica dirimente che
ne fecero in anticipo, in Germania,
Georg Simrnel, e, qui da noi, con
estrema lucidità, Antonio Gramsci.
Tuttavia non possiamo nè dobbia¬
mo astenerci dal prendere certi ap¬
punti. In linea generale, il primo
è questo ; i « giovani » si costituisco¬
no « in quanto tali » come una cooi)e-
razione, o un privilegio, o una gene¬
razione, non quando scelgono una
certa moda, ma quando ricusano di
condividere certi scopi della società
in cui vivono, non credono aU’effl-
cacia di veicoli di protesta ordinari,
come i partiti, i circoli, gli oratori,
i movimenti di riarmo morale, o
altri.
Quando i giovani si costituiscono
a sè, come giovani, la loro impor¬
tanza è un’altra : sono un nuovo par¬
tito in embrione, e giudicano non
più come un’avanguardia, ma come
una parte già incorporata nella so¬
cietà contro la quale protestano. Que¬
sto succede soprattutto là, dove Tef-
flcacia dei partiti d’opposizione o non
esiste, o è formale, o è troppo fram¬
mentata. Non abbiamo dimenticato i
giovani del Giappone contro il Per-
mier Kishi e i giovani di Genova
contro il Premier Tambroni — i gio¬
vani di Grecia contro Costantino, e
i giovani renitenti di Parigi che sce¬
glievano, al tempo della guerra d’Al¬
geria, la disobbedienza civUe.
Questi casi esistono; ignorarli sa¬
rebbe presunzione e mancanza di
realismo. Allo stesso modo, abbiamo
sempre trovato semplicistica l’affer¬
mazione (fu anche di Croce) che non
esista un problema degli intellet¬
tuali, p>erchè il solo che li riguardi
è di seguire bene gli atti della loro
specialità. Piuttosto, può accadere
che un problema degli intellettuali
sia posto male, che si voglia riser¬
vare, o lasciar loro richiedere un pri¬
vilegio, come quello che i fascisti re¬
galavano facendo largo ai giovani.
Ma questo è un diverso discorso.
Chiamo dunque crisi dei giovani
quella degli studenti universitari
americani richiamati alle armi per la
leva 1966. La rivista Time ha co¬
struito un eccellente servizio, per
dimostrare, primo, come la loro ri¬
pulsa nasca dalla premura antibelli¬
cistica di entrare come membri at¬
tivi nella loro società, al più presto,
in un’aspirazione che ha certo un suo
sapore individualistico, ma che ha
anche un valore di negazione ; < la
vostra guerra non ci riguarda ». Ti¬
me giunge invece ad una conclu¬
sione aberrante, quando dà pure
ragione a quegli altri giovani, che
partono invece volentieri perchè il
servizio militare consente loro un
rinvio ad una scelta di « servizio »
professionale, che non hanno ancora
saputo predisporre. E’ chiaro che in
questo caso si sommeranno le inde¬
cisioni di oggi, a quelle del redu¬
cismo.
Scelgo un altro esempio in un
campo opposto. C’è oggi nella Re¬
pubblica democratica tedesca un’at¬
tesa febbrile dello scambio di comizi
combinato tra la SED e l’SPD, tra
l’Est e rOvest-Germania. L’attesa è
soprattutto dei giovani.
Dal recente congresso della loro
Federazione è emerso che essi non
si sentono intanto pienamente rap¬
presentati da nessuno di questi due
atteggiamenti ufficiali.
L’uno, espresso dal leader Horst
Schumann, si esprime così ; « La gio¬
vane generazione offre tutta la sua
forza per la fondazione di uno stato
tedesco della pace; per esso lavoria¬
mo, studiamo; siamo pronti a difen¬
derlo con l’arme in pugno ». E’ chia¬
ro : troppa tromba. Ma non funziona
neanche l’opinione, disciplinare e sco¬
lastica, del federale di Lipsia, Fro-
hlich : « Purtroppo una parte dei no¬
stri studenti permane sotto l’influsso
di concezioni idealistiche, sino ad uno
scetticismo che vuole erigersi a mi¬
sura di tutte le cose, e confonde
l’anarchia con la libertà ».
Una gioventù che non si riconosce
in queste frasi è forse la nuova gio¬
ventù socialista tedesca, di qua e di
là dai confini del muro. In Germania
Ovest, e soprattutto alla Libera Uni¬
versità di Berlino, per questa gio¬
ventù in attesa parlano invano
Erhard ma anche Brandt; di là,
Ulbricht o Honnecker. Non c’è un
partito che rai>presenti questi gio¬
vani; è giusto che al loro modo fac¬
ciano partito per proprio conto.
ALAOINO
continuazione
LETTERE
del Consiglio di Stato e il l’i¬
ato di registrazione della Cor¬
te dei Conti, mi addolora ma
non mi sorprende. Mi addo¬
lora, perchè dimostra una
Volta di più la scarsa effi¬
cienza degli organi consultivi
® di controllo della pubblica
oniministrazione; non mi sor-
perché questa scarsa
efficienza la conoscevo da
tempo, come la conosce da
tempo ogni italiano.
., Per la convenzione con
Ente biblioteche popolari e
scolastiche, valgono tutte le
controdeduzioni — per dirla
in gergo curialesco — espo¬
ste al punto 3.
Messi i puntini sugli « i »,
uei’o esprimere il mio ram-
’oarico per l’interpretazione
tata dall'on. Badaloni al mio
orticolo, da lei definito un
«attacco personale che oltre
Od essere infondato è condot¬
to in termini calunniosi ». Se
sionio giunti al punto che la
critica aliazione di governo
01 un dirigente politico può
essere qualificata come attac¬
co personale, addio roba no¬
stra : mettiamoci tutti la mor-
oacchia e non ne parliamo
Ptu. Infondata, poi. la critica
non Io è davvero : salvo il
Particolare della legge 155 , la
tetterà del sottosegretario
non smentisce una sola pa¬
iola. una sola affermazione,
ona sola considerazione di
Quelle contenute nel mio ar¬
ticolo; non. che le convenzio-
”1 fossero state stipulate, non
Che avessero quel contenuto,
non che avessero riconosciu¬
te illegittime « tangenti » e
u*»icurati illegittimi utili ai
uye enti, non che l'impiego
"I codesti utili fosse discre-
eionale, non che l'entità del-
‘ off are fosse quale lo avevo
stimato, non che fosse stata
violata la legge sul cinema e
Via dicendo. E siccome, an¬
che dopo averlo riletto con
“Pe paia di occhiali, nell’ar¬
ticolo non vedo nulla di dif-
/aniatorio anche perché co¬
nosco l’on. Badaloni come di-
'■'.Oente politico non^suscetti-
°*te di essere men che dif-
famato, discusso in quanto a
correttezza e serietà persona-
ti. non c'era nulla da smenti¬
re neanche sotto questo pro¬
filo.
Aver affermato conte ho
lotto che la convenzione era
«un ghiotto boccone che il
'-entro dell'on. Badaloni non
*t è lasciato sfuggire » non c
stato per dire che qualcuno
00 approfittato o intende ap-
brofittare a fini personali del-
'o pattuizione, ma per con¬
cludere come ho concluso che
« dietro tutto questo invero¬
simile intrico di atti illegitti¬
mi si proietta l'ombra della
cinematografia scolastica di
marca clericale » e. relativa¬
mente all’altra convenzione
con l’Ente biblioteche, che
« la facoltà riconosciuta al¬
l’ente. di destinare all'acqui¬
sto di libri gli eventuali utili
del servizio, è cosi indiscrimi¬
nata e discrezionale, che le
scuole si potrebbero vedere
arrivare di tutto ». e di que¬
sta eventualità ho dato per¬
sino alcuni esempi, finora non
smentiti. Se poi fossero stati
il titolo o il tono scherzoso
dell’articolo a infastidire il
sottosegretario, a dargli l'im¬
pressione dell’attacco perso¬
nale. ebbene, me ne dispiace :
ma. suvvia.', un minimo di ri-
t’acitd non nuoce alla pole¬
mica politica, che altrimenti
dwenta, se non lo è già di¬
ventata, una barbosa litania
di catecumeni.
In quanto al resto, guarda
un po' dorè si va a scoprire
la calunnia : persino in un
giudizio politico! Tale era e
tale resta il giudizio sulle due
convenzioni, essendo politico
il problema da esse sollevato.
In parole povere, il problema
è se la scuola italiana debba
essere o no liberata dai ceppi
che la incatenano da sempre.
Affidare l’esclusira di servizi
cosi delicati come l’acquisto
e la produzione di film, dischi.
diapositive, l'acquisto di libri
e la distribuzione del tutto
alle scuole italiane : affidare,
dicevamo, codesta esclusiva a
enti diversi dallo Stato, ege¬
monizzati come sappiamo,
sottratti a efficienti controlli.
discrezionali nelle decisioni,
non é affare da poco.
Che poi tutto questo sia at¬
tuato contro la legge o, per
essere eufemisti, al di fuori
della legge, è affare ancora
più grave. Che, infine, non ci
si arrenda all'evidenza delle
cose ed anzi si pretenda di
gabellarle come perfette giu¬
ste e sacrosante, è affare ad¬
dirittura allarmante. Esso non
riguarda le persone, ma la li¬
nea politica di uomini politici
preposti a settori politica-
mente delicati. Perciò, non
drammatizziamo. Stare al so¬
do delle questioni, stare
« dentro la sostanza » per dir¬
la con Risi, è Tunica cosa
importante. Il resto è polve¬
rone: tanto più che non ho
bisogno io di fare le lodi del-
Ton. Badaloni, come dirigen¬
te politico capace e saldo
nelle sue convinzioni, che
però non sono le mie.
Ercole Bonacina
I Circoli
dell’Astrolabio
D iamo un breve resoconto dei gruppi
e centri di cultura e di dibattito, che
vengono costituendosi in varie città ri¬
chiamandosi, se non sempre nel titolo,
allo spirito animatore deir/4j/ro/a^>/o.
Abbiamo già dato notizia del primo
di essi, costituitosi a Mantova pier ini¬
ziativa dell’on. Tullia Carettoni ed inau¬
gurato dal sen. Patri.
Il secondo si è aperto a Perugia il 18
j maggio. Iniziatore l’on. Anderlini ed al-
I cuni valenti insegnanti del luogo. Ha
parlato inaugurandone i lavori il sen.
Parti. Perugia è città di vivace vita po¬
litica, l’interesse dei giovani intervenuti,
lavoratori e studenti, dà buona speranza
di attività utile.
j Domenica 29 maggio è stata la volta
di Torino. I primi propositi sono nati tra
j compagni socialisti aH’indomani del Con¬
gresso nazionale di Roma. Ripresi succes¬
sivamente ed allargati alle vicinanze poli¬
tiche hanno portato alla costituzione di
un gruppo numeroso, rappresentato da
un Comitato promotore provvisorio nel
quali figurano come PSI, i prof. Cottino
e Murano, come PSIUP, Giovana e Lat-
tes; come PCI, Garavini e Salvadori; per
i cattolici e la CISL i proff. Lombardini
e Corsini, Tridente e Livornino; in più,
indipendenti, Sandro Galante Garrone,
il prof. Quarza, il prof. C:A. Viano e
Daimastro: segretario provvisorio Leo
Casale. E’ una composizione che vorrem¬
mo suggerire come modello.
A Novara, press’a poco contempora¬
neamente, è sorto per opera di un grup¬
po di socialisti di sinistra il Circolo
Astrolabio. Presidente Piero Cardinali;
tra gli altri compagni ricordiamo Emanue¬
le, Castoldi e Porzio Giovanola. Il Cir¬
colo ha promosso a Novara un dibattito
sulla nuova sinistra e ad Omegna una
pubblica ed animata discussione sul caso
scottante della smobilitazione della Co¬
bianchi, tipico esempio, degno di mag¬
giori illustrazioni, delle dolorose insuffi¬
cienze del nostro sistema economico. Ab¬
biamo notizia di altre iniziative che rite¬
niamo di prossima attuazione. In altri
luoghi si sono costituiti di fatto senza
formalità gruppi autonomi di lettori.
Preghiamo circoli e gruppi di dar no¬
tizia della loro attività al giornale, che
può servire da organo di collegamento
comune. Contatti diretti tra i circoli pos¬
sono suggerire esperienze ed iniziative, e
servire allo scambio di oratori. Ma so¬
prattutto teniamo a ripetere alcune os¬
servazioni che riteniamo importanti. Sia¬
mo lieti del diffondersi di queste inizia¬
tive che danno conferma della giustezza
topica, e forse storica, della nostra pub¬
blicazione; non intendiamo in nessun
modo limitare la libertà degli amici di
valersi del suo titolo. Ma deve esser chia¬
ro che la piena indipendenza da ogni
partito o raggruppamento politico, che
VAstrolabio ha sempre osservato ed in¬
tende osservare, deve essere la norma
per i gruppi che ad esso s’intitolano. La
più franca e liberale apertura, nei limiti
dello schieramento democratico, con la
maggior sollecitudine per i giovani, deve
essere la regola, poiché è la prima con¬
dizione di un dialogo efficace.
L'astrolabio - 12 giugno leee
35