samona
savelli
Ciò che vogliono i cecoslovacchi
Cosa non vogliono gli invasori
LA SVOLTA DI PRAGA
raccolta di documenti - dal IV Congresso degli scrittori
alla primavera 1968 - a cura di Gianlorenzo Pacini.
Il volume è corredato da un’ampia introduzione
informativa e da una cronologia ragionata
della storia cecoslovacca.
« ... I testi degli scrittori cèchi, propulsori talvolta
impazienti del nuovo corso liberalizzatore, sono stati
più spesso citati genericamente che non portati
a conoscenza del grosso pubblico. Eccone raccolti
un buon numero, dagli atti del IV Congresso deH’Unione
Scrittori, svoltosi a Praga dal 27 al 29 giugno dell’anno
scorso. Se ne ricava un quadro illuminante... » (Il Giorno)
« ... Quest’opera, pur raccogliendo una serie di testi
di rilevante importanza politica, non si limita
a comporre un’arida somma di documenti,
magari di difficile lettura, ma offre un’ottima prefazione
e mette in rilievo gli interventi efficacissimi
che riguardano soprattutto la posizione
degli intellettuali cecoslovacchi e dei giovani... »
(Il Giornale di Sicilia-Palermo)
amena
avelli
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Ferruccio Farri
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Mario Signorino
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cazione degli articoli non richiesti, né
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sommario
4 II costo di Praga, di Ferruccio Farri
6 La Malfa e i blocchi, di Ernesto Buglioni
7 Luglio '64; Disco verde ai De Lorenzo, di Giuseppe Loteta
9 Un tuono a destra,
10 Studenti: Togni parla chiaro, di M, S.
11 Comunisti: la nuova strategia, di Luciano Vasconi
13 Sinistra cattolica; l'incognita delle AGLI, di Fabrizio Coìsson
15 Praga-URSS; controrivoluzione e apparati, di Donato
17 Praga: la roulette russa
18 Germania: la svolta di agosto, di Aldo Giobbio
24 Medio Oriente: cresce la paura, di G. Calchi Novali
26 Trade Unions: il centenario difficile, di Jon Halliday
27 Germania: la sinistra e Praga (colloquio con Karl-Dietrich Wolff]
32 Lotto: la riffa di Stato, di Giulio Lacava
30 Milano: il bisturi
e il plagio
di Luciano Aleotti
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
3
D e Gaulle insiste come sempre die
il peccato originale è stato onv
messo a Yalta. De Gaulle invecchia e
diventa montone. La spartizione di
fatto del mondo (appropriazione indebi¬
ta, dicono gli anti-imperialisti) è la ri¬
sultante di una concentrazione di forza,
e quindi di potere, solidificatasi nei due
blocchi quasi-monopolistici.
Questi due protagonisti-antagonisti so¬
no arrivati alla conclusione che, scartata
la guerra, non vi è alla lunga altra pro¬
spettiva fuor della distensione, ma con
un ritardo già rovinoso. Ora a questa
timida, incerta prospettiva Praga porta
un colpo rovinoso.
Ma le sue ripercussioni politiche pro¬
vano, almeno in parte, che quella scelta
resta, perchè obbligata, una costante di
fondo delle due posizioni sul piano
mondiale. Al di là del Vietnam e di
Israele, al di là degli spintoni imperiali¬
stici delle flotte americane, del dollaro
c della CIA, al di là degli spintoni e
della contro-guerra sovietica questa stra¬
da deve restare aperta.
E perchè non si chiudesse non sono
mancate ' le assicurazioni a Washington,
anche nei riguardi della Roni^ia, ^
Mosca:* non sappiamo se dal Kossigliin
di Glassboro. E Johnson condanna il
soppruso militare, maledice, ma conclu¬
de che Praga è faccenda interna dell’al¬
tro : mondo e la distensione resta. A^i
alleati e vassalli che reclamano più
energia nelle risposte dei fatti e nella
richiesta di sgombero della Cecoslo-
vaccliia occupata, risponde: rottura no.
Ed avverte l’arrabbiato inviato di fionn
che rompere o riprendere i contatti è
affare che spetta soltanto alla America
di condurre.
La situazione mondiale è così delica¬
ta e fragile che negli uomini di governo
è pressoché unanime, anche se diversa-
mente sincero o diversamente reticente,
il consenso alla distensione. Ma la ri¬
sposta di Johnson è valida sino alle
elezioni.
Ritorno al bellicismo. E dopo? 1 di¬
scorsi di Nixon, che trova ormai prefe¬
ribile mettere in frigo la firma del Trat¬
tato anti-ll, sono indicativi del bellici¬
smo anti-comunista che i fatti di Praga
hanno scatenato, e stanno aggravando,
in America, in tutto il mondo, compre¬
si gli inviperiti articolisti dei giornali
italiani di grande tiratura. Avrebbero ra¬
gioni, poverini, se non li tradisse la
coda di paglia che adorna gli scrittori e
le loro trame, e non si denuncia qui
per ragione polemica ma perchè indica¬
tiva della vastità e robustezza della cor¬
rente anti-pacifista suscitata nel mondo.
Dietro i politici e ^i scrivani inter¬
vengono i professionali del bellicismo:
generali e tecnici, apparati militari e
industriali, grandi ordinazioni, e tutto
l’ormai ampio settore che vive, prospera
e prolifera sulla base della spesa milita¬
re.
E più dietro ancora, qual dono han¬
no fatto i carri armati di Praga alla
difesa dei sistemi capitalisti, dei re^mi
conservatori o reazionari, delle ditta¬
ture? I-a sterzata anticomunista dove
porterà le socialdemocrazie, e sin dove,
sin quando bloccherà quel certo proces¬
so di maggiore, più consapevole pressio¬
ne delle masse che si andava manife¬
stando in Europa? dove andrà a parare
l’agognato centro-sinistra italiano, debi¬
tamente indurito e inseverito, ce lo di¬
cono gli scrittori prelodati e gli oratori
domenicali. Ed io vorrei che il Buon
Dio a successore di Medici come mini¬
stro degli Esteri ci desse l’on. Cariglia,
non dubitando dei frutti che agli oppo¬
sitori procurerebbe il suo oltranzismo
senza macchia e senza paura.
L’osservatorio di Washington. Washing¬
ton è naturalmente l’osservatorio mi¬
gliore per misurare i pericoli e i danni
maturati e maturanti. A Washington ri¬
corre la Geniiania di Bonn, che è l’ob-
biettivo più diretto del colpo di Praga:
una cortina più rigida e minacciosa di
carri amiati, sette categoriche condizio¬
ni sovietiche di convivenza, che tagliano
corto ad ogni speranza di aggiramento,
e Bonn non si sente di accettare per
debolezza, immaturità, o vizio ed errore
della sua politica: la più grave è la
garanzia nucleare che dopo IVaga la
Germania ora pretende, annullando le
precedenti mezze promesse di Brandt.
La Casa Bianca di Johnson, ancor
femia all’obiettivo del Trattato anti-H,
non vuol dare questa garanzia. Che
cosa farebbe una Casa Bianca di
Nixon? A Kiesinger che da Ankara con
il collega turco reclama più sicurezza
5
4
la vita politica
Lcmnitzcr c Von
Gui
militare, e con lui ad una voce sola,
salvo la Francia, reclama tutta la destra
europea, é il Pentagono che risponde
con tono diverso al solito dalla Casa
Uianca e con le solite interpretazioni
estensive.
Non si può dire che il Pentagono
ravvisi nelle previste decisioni militari
relative al confine dei Sudeti un perico¬
lo aggiuntivo. Ma gli esperti sono stati
colpiti dalla rapidità, precisione, impo¬
nenza della mobilitazione sovietica. Una
prova generale, non certo improvvisata,
soddisfacente per i responsabili di Mo¬
sca, non per le sue conseguenze per
noi. Risorge dunque la questione del¬
l’attacco improvviso. Siamo preparati, si
domanda il Pentagono?
A buon conto, per quanto riguarda
PAmerica, visto che i sovietici dispon¬
gono dei famosi missili orbitali, infi¬
schiamoci delle promesse di disarmo e
variamo il grandioso dispositivo missili¬
stico Sentinel a difesa degli Stati Uniti:
ventottomila miliardi di dollari. Crepio
pure i popoli affamati. E per quanto
riguarda l’Europa, resta la strategia fles¬
sibile delle risposte localizzate. Niente,
per ora, testate nucleari a disposizione
dei tedeschi, ma necessità di rivedere e
mettere a punto i dispositivi NATO
perchè la risposta sia tempestiva e suf¬
ficiente.
Che questo sia per esser deciso da
una prossima riunione NATO è ancora
incerto, opera sempre l’ostruzionismo
francese ad ogni cosa legata all’Ame¬
rica. Ma che si realizzi in un modo o
nell’altro, invariabile misura nei paesi
integrati nella Nato, è ben probabile.
Il prezzo richiesto all’Italia. Quale sa¬
rebbe per noi il costo dell’operazione
Praga? Completare gli effettivi delle di¬
visioni integrate e render quindi più
severa la coscrizione e anche migliore
1 addestramento, maggiori dotazioni di
carri armati moderni, artiglierie e missili
terrestri, ricliiami e istruzione delle
classi giovani congedate; aumento del
Kicimannscgg
tonnellaggio operativo della Marina Mi¬
litare. Una bella zuppa di miliardi.
Con accompagnamento di fieri di¬
scorsi, di inni alla libertà, di generali in
parata, e di rinnovate condanne a mor¬
te della verità, della sincerità e della
semplicità. E con accompagnamento di
una politica intemazionale ridotta
ormai ad una tela di ragno d’incerti
discorsi, amletici slenzi e bolle di sa¬
pone europeistiche.
Con raggiunta che Johnson chiede
senza mezzi termini alla Europa non
solo maggior coopcrazione e maggior
sacrificio per la propria difesa, ma an¬
che maggior solidarietà per tutta la
politica americana non soltanto atlan¬
tica, cioè per il Vietnam.
Al fondo del quadro di questa ge¬
nerale spinta indietro rispunta l’ombra
di Poster Dulles e della sua strategia
integrale; “risposta massiccia ed im¬
mediata”, rispunta la prospettiva della
guerra atomica, che trova già bal¬
danzosi, ed irresponsabili preconizzatori
italiani.
I Soviet hanno adoperato un maglio
per spaccare una noce. Non tragico er¬
rore, ma tragica prigionia di una di¬
sin fomiazione, e di una conseguente
mancanza di opinioni pubbliche e di
capacità di capire, sentire e valutare le
reazioni dei popoli del mondo. E’ una
disinformazione pubblica che condi¬
ziona in larga parte la politica ame¬
ricana. E quella che minaccia anche
noi, oggi e domani più di ieri. Sia per¬
ciò più attiva, energica, lineare l’opera
nostra in difesa del nostro avvenire de¬
mocratico.
FERRUCCIO FARRI ■
Scluocder od il generale Spantidakis
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
5
NATO
la sortita
di La Malfa
U n duro attacco è stato rivolto da
La Malfa a quelle forze della sini¬
stra non comunista che sostengono la
necessità di lottare contro la politica
dei blocchi. Così facendo, agli occhi
del leader repubblicano, queste forze si
niaccliiano di molte colpe: evadono dal¬
le proprie responsabilità morali, conver¬
tono un problema politico in problema
morale, tradiscono gli interessi di liber¬
tà e di indipendenza del proprio paese,
si propongono di disarmarlo compieta-
mente di fronte all’eventualità di gravi
minacce, e chi più ne ha più ne metta.
Le tesi di La Malfa. Queste accuse si
reggono su uno schema logico estrema-
mente semplice e apparentemente inojv
pugnabile. Cerchiamo di verificarlo. So¬
stiene La Malfa: con l’occupazione nia-
nu militari della Cecoslovacchia, l’URSS
ha dimostrato ancora una volta di non
essere disposta a tollerare nel proprio
campo alcuna spinta centrifuga e alcuna
tendenza liberalizzatrice, opponendosi
con la forza ad ogni pros[>ettiva di su¬
peramento della politica dei blocchi.
Sostenere tale prospettiva aH’intemo del
mondo occidentale significa pertanto
agire non in direzione del superamento
dei blocchi ma soltanto dello sgretola¬
mento di uno di essi, mentre l’altro
rinsalda la propria compattezza c la
propria unità. Di qui le colpe di evasio¬
ne dalle proprie responsabilità, di tradi¬
mento, ecc. Di qui la necessità, per
affrancarsi da queste colpe, di sostenere
il rafforzamento della cosiddetta solida¬
rietà occidentale.
Lo schema di La Malfa, come si ve¬
de, non differisce molto da quello delle
destre se non in un punto certamente
non secondario: il rafforzamento della
solidarietà occidentale non deve, per i
repubblicani, comportare l’abbandono
della polìtica' di distensione alla quale
in ultima analisi è affidata la stessa
speranza e possibilità che sì riapra, nel
sistema degli Stati socialisti, la strada
alle tendenze liberalizzatrici. La disten¬
sione tuttavia, lungi dal potersi realizza¬
re attraverso una politica di superamen¬
to dei blocchi, deve necessariamente
passare , attraverso il loro equilibrio e
soprattutto attraverso l’equilibrio di po¬
tenza dei due Stati-guida.
Il ragionamento tuttavia, per essere
politicamente valido, deve fondarsi su
alcuni assunti: 1) l’aggressione sovietica
alls Cecoslovacchia rende di nuovo at-
ttule il pericolo di una minaccia ai pae¬
si dell’Europa occidentale; 2) la NATO
non si comporta nei confronti dei paesi
aderenti alla maniera del Patto di Var¬
savia e non costituisce quindi neanche
potenzialmente una minaccia alla loro
libertà e .indipendenza; 3) il blocco oc¬
cidentale è portatore di un sistema di
valori superiore che giustifica l’adesione
a questo blocco non come semplice
alleanza militare subordinata ma come
scelta di civiltà. 1 primi due La Malfa li
dà troppo facilmente per dimostrati, il
terzo non è neppure evocato in questa
circostanza ma, conoscendo le posizioni
politiche del Partito Repubblicano,
possiamo considerarlo implicito e
sottinteso.
Un discorso unilaterale. Alla luce di
questi presupposti il discorso del leader
repubblicano appare, esso si, davvero
unilaterale. Ci sono state, alla base del¬
l’invasione della Cecoslovacchia, preoc¬
cupazioni riguardanti la politica interna
degli Stati socialisti che poteva essere
messa in crisi da queU’esempio di de¬
mocratizzazione, e preoccupazioni di
politica estera e di equilibrio continen¬
tale. Abbiamo scritto su questo giornale
che è errato attribuire nonostante la
campagna della stampa sovietica, — a
questo secondo tipo di preoccupazioni
il motivo detenninante dcU’intcrvcnto,
pur tenendo conto della inevitabile cor¬
relazione fra ì due aspetti. Ma se sì
prendono in considerazione i problemi
di equilibrio intemazionale, non è pos¬
sibile ignorare le responsabilità occiden¬
tali protrattesi e aggravatesi negli anni
con la permanente pressione sulla Ger¬
mania orientale, con la pemianente e
sempre sospesa rivendicazione delle
frontiere Odor Neisse, con il rifiuto di
discutere ogni progetto di smilitarizza¬
zione nell’Europa centrale in zone com¬
prendenti aree geografiche di entrambi i
blocchi. Queste responsabilità hanno
giocato sui fatti di Cecoslovacchia, non
meno della volontà dell’URSS di man¬
tenere intatta la propria zona di in¬
fluenza. Le logiche della politica di
blocco sì giustificano a vicenda e la
logica di La Malfa diventa, su questo
terreno, facilemnte reversibile, con qua¬
le utilità per i comunisti cecoslovacchi
è difficile intendere.
In realtà sono mancate le forze poli¬
tiche europee decise a diventare prota-
goniste nel proprio continente del pro¬
cesso di distensione senza delegarlo agli
La Malta
accordi delle due massime potenze.
Non è anche per la mancanza di questi
interlocutori che in Polonia nel giro di
pochi anni la politica di Rapacki e di
Ochab è stata sostituita con la polìtica
di partecipazione all’invasione della Ce¬
coslovacchia?
Se invece si ritiene che i carri aniiati
del Patto di Varsavia si siano mossi in
direzione di Praga assai più per difende¬
re un tipo di regime comunista che per
garantire le frontiere contro pericoli
estremi, non si può considerare valido
Pcsempio della Francia, portato da La
Malfa per giustificare la superiorità del
sistema occidentale dal quale si potreb¬
be uscire senza pericoli di invasioni mi¬
litari americane. Il nazionalismo, la po¬
litica di granUmr Pautoritarismo di De
Gaulle possono infatti infastidire e di¬
sturbare la strategia mondiale dell’Ame¬
rica ma esaltano c non minacciano il
sistema che la opposizione di sinistra
combatte e vuole trasformare. Ma dove,
come in Grecia, la destra è insicura e
traballante nel proprio potere, lì inter¬
vengono i colonnelli avvalendosi dei
piani di sicurezza della NATO. Infine
in nome di quale logica si può tagliar
fuori da queste considerazioni la distru¬
zione di ogni margine di rifomiismo in
America Latina dopo l’intervento ameri¬
cano a San Domingo, l’involuzione del
sistema democratico americano verso
fomie crescenti di repressione autorita¬
ria all’interno e di politica imperialistica
aH’estemo?
Resta il discorso sulla coesistenza!. Ma
già nel passato il muro dì Berlino non
si rivelò di ostacolo alla coesistenza. Il
problema è di sapere quali sviluppi avrà
c a che livello di democrazia o di auto¬
ritarismo sì realizzerà.
Cosa contrapponiamo? I.a capacità
dei vietnamiti di fermare la potente
macchina americana, la resistenza civile
'c non violenta della popolazione ceco-
slovacca intorno ai carri armati sovie¬
tici, l’esplosione libertaria d’America e
d’Europa.
Nonostante le apparenze, ad est come
ad ovest, la logica di blocco è un abito
troppo stretto per i fermenti di libertà
che scuotono il mondo.
ERNESTO BUGLIONI ■
6
Am
Pìlscn :
il carrista
Koiiiu: Sia/Jari c Jammzzi al processo
LUGLIO ’64
nSCOVEHIEAI
DE LORENZO
L I attenlii, niinu/iosu vcrificu di
tutte le risultanze processuali
impone, a parere del collegio, una sola
conclusione: e cioè che non una delle
infonnazioni contenute negli articoli
degli imputati ha mai avuto concreto
fondamento di verità e, in sostanz,a,
che sotto il profilo della verità reale,
|Kr il cui accertamento l'indagine è sta¬
ta fin qui condotta, tutte le tesi for¬
mulate dallo Jannuzzi e dallo Scalfari
sul loro giornale, e al dibattimento, si
sono dimostrate irrimediabilmente fal¬
se... Falsità consapevoli e certamente
preordinate per un illecito scopo che.
ad essere benevoli, può quanto mai
individuarsi negli intendimenti degli inv
pillati di condurre sul loro giornale una
clamorosa campagna di stampa inne¬
standola sullo scandalo del SIFAR che.
dopo il dibattimento parlamentare e le
conclusioni dell’inchiesta amministrativa,
andava allora incamminandosi sulla via
del ridimensionamento e della de¬
finizione”.
Non è che uno dei tanti brani della
motivazione della scnten/ji di condanna
emessa sui fatti del '(>4 dalla IV sezio¬
ne del Tribunale penale di Roma, una
delle 664 pagine che presentano Scalfa¬
ri e Jannuzzi come due loschi giornali¬
sti. sempre pronti a inventare scandali
per “scopi illeciti”, e il gen. De Loren¬
zo come un gaantuomo innocente e
ingiustamente diffamato. Ma è sufficien¬
te dare un’idea della parzialità con cui
il Presidente Casella e i giudizi Simon-
celli c Della Penna, estensore materiale
quest’ultimo della sentenza, hanno con¬
dotto questo processo che ben a ragio¬
ne sarà ricordato in futuro come uno
dei meno edificanti nella storia della
Magistratura italiana. Nessuna intenzio¬
ne Dio me ne guardi di vilipende¬
re con queste riglie il potere giudizia¬
rio. Ma che altro dire di fronte a una
sentenza che “teorizza sono parole
deir.'liwj// lo Stato di polizia” e che
presenta come verità rigorosamente ac¬
certata la somma delle molte menzogne
emerse nel dibattimento, mentre relega
le verità al ruolo di voci inattendibili e
da respingere?
In sostanza, i giudici hanno deciso
che: I) nell cstate del ’M non fu tenta¬
to alcun colpo di Stato, nè fu effettua¬
ta da parte del Comando dei Carabinie¬
ri o del SIFAR alcuna azione illecita;
2) che il comportamento del gen. De
Lorenzo fu in quel periodo ineccepibile
e incensurabile sotto ogni profilo. Le
misure adottate dal Comandante dei
Carabinieri sarebbero provvedimenti di
normale amministrazione e le famose
liste di proscrizione semplici elenchi di
“spie, sabotatori ed eversori” da aggior¬
nare per conto del SIFAR. Per avvalo¬
rare queste decisioni, il Tribunale si av¬
vale di curiose spiegazioni. Le tesi della
parte civile sono sposate in pieno. Ma
non senza che contraddizioni e affretta¬
te conclusione appaiano ad ogni pagina
della sentenza. Le principali riguardano
i rapporti a suo tempo elaborati dalle
commissioni ministeriali d’inchiesta pre¬
siedute dai generali Beolchini e Lom¬
bardi, Luna sulle deviazioni del SIFAR,
l’altra sui fatti dell’estate 1964. Per
quanto concerne la Beolchini, la Com¬
missione ritiene trattarsi di conclusioni
che, “f)er ciò che esse sono e per la
fonte donde provengono, non possono
costituire prova relativamente ai fatti
cui si riferiscono”. Sono tutt’al più
espressione di “una attività amministra¬
tiva meramente conoscitiva e non han¬
no alcuna autorità in sede giudiziaria”;
conclusioni che non hanno alcuna effi-
.cacia probatoria, “non risultando nella
relazione in base a quali specifici ele¬
menti esse furono adottate. Il Tribunale
non è in grado di garantire la loro
conformità al vero”.
Affermazioni quanto mai gratuite e
stupefacenti. E non soltanto perchè è
forse la prima volta che un collegio di
magistrati, cosfi gelosi delle loro prero¬
gative di casta e della loro autonomia,
delle loro capacità e infallibilità di giu¬
dizio, si attribuisce il diritto di non
riconoscere pari valore di giudizio pon¬
derato ed autonomo ad una commissio¬
ne d’inchiesta composta da due rispet¬
tabili generali di corpo d’armata, rico¬
prenti da oltre due anni la carica di
l’residente del Consiglio Supcriore delle
Forze Armate l’uno (il gen. Beolchini),
c di Comandante la Guardia di Finanza
l’altro (il gen. Turrisi), oltre che dal dr.
Lugo, un alto e integerrimo funzionario
attualmente Presidente di Sezione al
Consiglio di Stato. Ma anche, c, soprat¬
tutto, perchè il Tribunale si è ben guar¬
dato dal citare come testimoni i mem¬
bri della Commissione Beolchini per ac¬
certare in base à quali fatti concreti
avevano espresso giudizi particolarmente
negativi sul gen. De Lorenzo. Come si
è guardato dal considerare il fatto che
proprio in base al rapporto Beolchini il
Consiglio dei Ministri aveva proceduto
alla destituzione del gen. De Lorenzo
dalla carica di Capo di Stato Maggiore
dell’Esercito. E dal prendere atto del
fatto che il segreto militare, tante volte
evocato a sproposito nel corso delle
udienze, aveva impedito. forse altret¬
tanto a sproposito che la relazione
Beolchini giungesse al Tribunale nella
sua versione integrale.
Generali e magistrati. Eppure anche
mutilata, l’inchiesta sulle deviazioni del
SIFAR chiariva in modo corto come
De Lorenzo avesse per anni concentrato
il potere sul SIFAR e sull’Arma dei
Carabinieri, premessa necessaria » capire
l’uomo e a spiegarsi da quali posizioni
di forza ordisse il colpo di Stato. Altro
che le rosee conclusioni della sentenza:
“Fistruttoria dibattimentale non ha of¬
ferto, sempre con riferimento ai fatti
del I9(>4, idoneo riscontro alla affenàa-
zione che De Lorenzo abbia avuto il
controllo deH’organismo e dell’.\rm,i
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
1
mediante il collocamento di uomini fi¬
dati nei posti chiave”. La Beolchini è a
questo proposito più che esplicita: “La
Commissione ha accertato che il gen.
De Lorenzo, pur passando al Comando
deH’Arma, ha mantenuto un diretto
controllo del SIFAR sia attraverso la
gestione amministrativa, diretta da un
ufficiale del suo comando, sia con rap¬
porti diretti con i principali ufficiali,
vuoi del centro vuoi della periferia, da
lui scolti, agevolati In tutti i modi per
assicurare la permanenza... E tale stato
di cose è continuato in quanto è docu¬
mentata la sua influenza diretta sui suc¬
cessori, generale Viggiani e generale Al-
lavena”. E ancora: “Per quanto riguar¬
da la carriera e l’impiego del personale,
sono state accertate diverse singolari
agevolazioni od arbitrii veri c propri,
per consentire la permanenza o l’acces¬
so negli incarichi chiave di taluni deter¬
minati ufficiaiali (gen. Viggiani, gen. Al-
lavena, col. Meneguzzer). In particolare,
per il gen. Allavena è apparsa sorpren¬
dente, oltre la rapidità della carriera
pur rimanendo nello stesso incarico, an¬
che rabbinamento per circa tre anni, di
due incarichi importanti e tra di loro
incompatibili di Capo Ufficio e di
Comandante del raggruppamento Centri
C.S. Roma (controllore che controlla se
stesso). Anche per il gen. Viggiani e
per il col. Meneguzzer sono state accer¬
tate, tra l’altro, particolari agevolazioni
per l’acquisizione del prescritto requisi¬
to del periodo di comando del reparto
De Loitnzo
o
corrispondente al grado. Per il col. Ta-
glianionte, invece, è apparsa assai strana
la lunga permanenza nel delicato incari¬
co di Cape Ufficio Amministrazione del
SIFAR (pèr gestione contabile dei fon¬
di relativi alle spese riservate c di istitu¬
to), continuata per oltre due anni an¬
che dogo l’assunzione del nuovo incari¬
co di .Capo Ufficio Programmazione e
Bilancio del Comando Generale del-
rArina dei Carabinieri, tanto più che il
gen; Rossi ha dichiarato che il gen.
Vi^ani, capo del SIFAR. non deside¬
rava averlo più alle sue dirette dipcn-
(Jenze”. E per finire: “Praticamente il
SIFAR aveva creato un vero e proprio
gruppo di potere, in quanto, attraverso
occulte compiacenze in tutti i posti
chiave del Ministero e degli Stati Mag¬
giori della Difesa e dell’Esercito, ottene¬
va il risultato che non fossero mai frap¬
poste difficoltà od ostacoli a quanto
veniva attuato all’intenio del SIFAR.
Ed è in questo ambiente di spregiudica¬
ta sicurezza che sorgevano le iniziative
sulla proliferazione dei fascicoli, sulla
persistente ricerca delle notizie scandali¬
stiche anche a carico delle persone più
stimate, fale stato di cose, creato poco
alla volta dal 1956 ed affermatosi dal
1959 in poi. è continuato anche dopo
il passaggio del gen. De Lorenzo al Co¬
mando Generale dei Carabinieri in
quanto è documentata la sua influenza
diretta sui successori gen. Viaggiani e
gen. Allavena; anzi il gruppo d’azione
del centro di potere si era ampliato e
rafforzato con la diretta partecipazione
dell’Arma dei Carabinieri, docile e fe¬
dele strumento nelle mani del suo
comandante”.
Ove non bastasse, il Tribunale non
avrebbe fatto male a prendere visione
della sentenza istruttoria della Procura
Militare su alcuni reati addebitati al De
Lorenzo: la falsificazione, avvenuta nel
1961-62, della documentazione relativa
alla data d'inizio del periodo di coman¬
do del col. Viggiani, allo scopo di con¬
sentirgli la successione di De Lorenzo
al comando del SIFAR; il rifacimanto
fraudolento, avvenuto nel marzo-giugno
1960, della documantazione caratteristi¬
ca dell’allora maggiore di fanteria Atti¬
lio Ferrari, relativa al servizio prestato
nel 1955-57 presso il SIFAR; la falsa
attestazione, avvenuta nel settembre
1965, sul servizio aH’estcro di lunga du¬
rata prestato dal ten. col. Raspanti. La
Procura ha ravvisato gli estremi di “ri¬
velazione di notizie di carattere riserva¬
to” e di “falsificazione di documenti
concernenti la forza, la preparazione o
la difesa militare dello Stato”, reati jrer
i quali il codice militare prevede pene
detentive fino a venti anni di reclusio¬
ne, ed ha conseguentemente richiesto
l’autorizzazione a procedere alla Presi¬
denza della Camera. Certo, avrebbe fat¬
to meglio ad addebitare al De Lorenzo
soltanto il falso in atto pubblico più
che documentato dalle prove in posses¬
so della Procura, ed a trasmettere il
dossier alla Magistratura ordinaria, com¬
petente per materia. Non avrebbe fatto
cosi sorgere il sospetto che la scelta di
reati tanto gravi e discutibili abbia lo
scopo di pemietterc ad un abile difen¬
sore di far riconoscere che “il fatto
non sussiste”, con conseguente decaden¬
za di ogni azione penale. Però non c’è
alcun dubbio che le falsificazioni siano
state effettuate e facessero parte del
meccanismo elaborato dal De Lorenzo
per perpetuare il suo controllo persona¬
le sul SIFAR.
La relazione Lombardi. Con la relazio¬
ne Lombardi, poi il contrastp è ancora
più netto. In merito alle liste di pro¬
scrizione, il Tribunale 'ha fatto sue to¬
talmente le tesi del De Lorenzo. Non si
trattava che di elenchi di “irersone peri¬
colose perchè sospettate di sabotaggio,
spionaggio ed eversione” fomiti dal SI¬
FAR al comando dell’Arma dei Carabi¬
nieri per il loro semplice aggiornamen¬
to. E ancora; “è impensabile che essi
dovessero servire a De Lorenzo per im¬
padronirsi del potere; erano soltanto un
migliaio di persone sconosciute alle sce¬
ne politiche-.”; la supposizione che
l’invio delle liste all’Arma dei Carbinieri
sia avvenuta non per ordine del capo
del SIFAR, Viggiani ma del De Loren¬
zo, comandante dell’Arma “travaliche¬
rebbe fatalmente l’ambito proprio di
un’inchiesta giudiziaria dovendosi far ri¬
corso a supposizioni, illazioni, o insi¬
nuazioni”. La Commissione Lombardi,
invece, malgrado i compromessi e le
reticenze dai quali era condizionata, ri¬
tiene il contrario e cioè che: 1 ) “la
distribuzione delle liste sia stata solleci¬
tata dal gen. De Lorenzo nel quadro
delle iniziative che egli assunse nell’epo¬
ca ix:r un’eventuale attuazione del pia¬
no per le emergenze speciali con l’im¬
piego delle sole forze deU’Arma”; 2)
“l’azione intrapresa al riguardo solo nel¬
l’ambito dell’Arma lascia adito a sojv
porre che il fine da perseguire (con le
liste) non fosse soltanto quello di un
semplice aggiornamento”; 3) il gen. De
Lorenzo “fece distribuire ai comandanti
generali dell’Arma liste di |>ersone peri¬
colose per l’ordine pubblico e per la
sicurezza dello Stato fomite dal SIFAR
e trattò con i capi di Stato Maggiore
della Marina c dell’Aeronautica questio¬
ni relative ai mezzi di trasporto per il
conccntramento e lo sgombero di tali
elementi.”. Quanto alle “irersone scomv
scinte”, è sufficiente rifarsi agli elenchi,
mai smentiti, di i>ersone tutt'altro che
sconosciute negli ambienti politici e sin¬
dacali delle singole regioni, pubblicati a
più riprese dalla stampa, ed alla deposi¬
zione rilasciata da un alto ufficiale dei
carabinieri alia Commissione Lombardi
resa nota daW'Astrolabio e anch’essa
mai smentita secondo il quale al mo¬
mento stabilito avrebbe dovuto arresta¬
re perfino il Prefetto di Milano. Esiste¬
va un piano di emergenza elaborato dal
gen. De Lorenzo'? Per il candido Tribu¬
nale quest’esistenza “va anch’essa ri¬
guardata alla stregua di fantastiche e
assurde illazioni”. Per la Commissione
Lombardi, invece: “Il piano Solo, fatto
elaborare dal gen. De Lorenzo nei pri¬
mi mesi del ’64, usciva dalla nomiali-
tà.. esorbitava dai compiti dell’Anna...
costituiva un eccesso di competenza da
nomialità...esorbitava dai compiti del¬
l’Arma... costituiva un’eccesso di compe¬
tenza da parte di chi lo aveva escogita¬
to...e fu concepito dal gen. De Lorenzo
anche per fini personali tendenti a raf¬
forzare il suo prestigio c per creare
neH’ambiente politico un particolare
8
stato psicologico atto a favorire una
rapida soluzione della crisi governativa".
11 Parlamento intervenga. Naturalmente,
le assurdità della sentenza non finisco¬
no qui. Si potrebbe continuare con
l'offensiva patente di inattandibilità rila¬
sciata a testimoni del livello di Parri, di
Scbiano, di Anderlini, mentre i militari
che poi avrebbero dichiarato il contra¬
rio al gen. Lombardi (come chiamarli
se non falsi testimoni? ) sono stati
ascoltati come la bocca della verità.
Con l’ipocritica affermazione che “il se¬
greto politico e militare, invocato da
molti testimoni e adottato dal governo
per censurare il rap|X)rto Manes, non
ha inciso sulla verità dei fatti nè dan¬
neggiato i due imputati", quando qual¬
siasi lettore di quotidiano ormai sa che
dalle deposizioni rese all'e Vice-
Comandiinte deH’Arma sono stati cas¬
sati i riferimenti e gli interi periodi
relativi agli arresti da effettuare, ai luo¬
ghi di raccolta ove raggruppare gli arre¬
stati, ai campi di concentramento ove
internarli come ai tempi del fascismo.
E poi, di grazia, come fa il Tribunale a
dire che il "segreto" non ha influito
sulla ricerca della verità se, proprio per
essere segreto, neanche i giudici poteva¬
no esserne a conoscenza? Che dire infi¬
ne della strana tesi che il capo del
Sll'AR non aveva il dovere di infonna-
re nè il ministro della Difesa nè quello
deiriNterno sulle misure adottate in te¬
ma di ordine pubblico o di sicurezza
dello Stato? Della cura minuziosa con
cui l’ex Presidente Segni e la classe
politica democristiana sono stati tenuti
lontani dxi ogni sospetto (siamo ancora
in attesa di smentita della notizia diffu¬
sa a suo tempo da AgL'ii:ia Radicale e
&j\\'Astrolabio di una riunione svoltasi
(X)co prima della conclusione della crisi
del '64 fra il con. 13c Lorenzo, Moro,
Rumor, Cava, Zaccagnini, nel corso del¬
la quale il camaleontico generale avreb¬
be fatto marcia indietro c messo al
corrente la dirigenza de dei preparativi
per un colpo di Stato, da questi attri¬
buiti soltanto al Presidente Segni)?
IX'Ilc altre infinite e non casuali assur¬
dità di queste 664 pagine di sentenza? ■
Esprimere solo la speranza che in se¬
conda istanza il processo cominci tutto
daccapo e sia impostato con una mag¬
giore imparzialità, con una più accurata
e distaccata ricerca del vero da parte
del collegio dudicante. E anche per
rennesima volta, con niù forza e a
maggior ragione delle altre volte la ri¬
chiesta di una inchiesta parlamentare
ehe faccia finalmente luce su tutta la
vicenda. Il governo non può continuare
a trincerarsi dietro inesistenti segreti
militari e nebulose ragioni di Stato.
L'Italia non è la Gracia nè la Spagna.
E la democrazia che dovrebbe essere
anche dignità ed onestà non deve
essere ridotta ad una vuota parola, una
formula astratta e senza senso che rac¬
chiude il peggiore marciume e la più
sconfortante disonestà.
GIUSEPPE LOTETA ■
REPRESSIONE
un tuono a destra
Q uattro anni sono passati dal luglio
1964, poco più di quattro anni. Che
,1 debba, chissà quando, parlare per lo stes¬
so titolo, dell'ottobre 1968? Magari in oc¬
casione di un altro processo sul tip» di
quello Espresso-De Lorenzo; e magari, chis
sa mai? , con un'altra sentenza che faccia il
paio con quella di cui si conoscono ora le
motivazioni, degna di esser immortalata per
il fideistico rispetto delle intoccabili re¬
sponsabilità delle gerarchie militari e politi¬
che. Il popolo italiano andrà avanti, ma il
gonio della stirpe è capace di fregarci anche
nel 1972.
Che cosa è questa nuova scadenza dell'ot¬
tobre 1968? Le paure dei sistemi sono
sempre gravide di temporali, com'era se¬
condo quel tale l'incombente nuvolone del¬
l'imperialismo. La primavera, il maggio di
questo anno hanno segnato una strategia di
paura. La inattesa e violenta agitazione stu¬
dentesca ha scosso tutta l'Europa. Poi, in
Francia il grande sciopero. Anche in Italia
occupazioni universitarie, contestazioni e
scioperi. Ed anche da noi gli apparati di
repressione sono apparsi spesso tecnica-
mente impreparati e disorientati.
Passata la buriana, andata in ferie la rivo¬
luzione, comincia la riflessione. Si teme un
autunno difficile. De Gaulle accompagna
con la grinta dura la promessa di una rior¬
ganizzazione corporativa della Francia, che
sembra ispirata dalla lepubblica di Salò.
Anche Leone scuote la criniera e promette
agli universitari un pizzico di riforme. Ma
che stiano buoni, se no son botte.
I capi parlano quando i responsabili dei
servizi hanno già portato a buon punto
nuovi dispositivi, istituzioni e piani di mo¬
bilitazione adatti a fornire forze di pronto
intervento di fronte alle possibili sorprese,
per quanto ad evitar sorprese dovrebbe
provvedere il rafforzamento dello spionag¬
gio a carico di partiti, sindacati e movi¬
menti studenteschi.
E questa revisione della difesa del co¬
siddetto ordine pubblico alla quale il Go¬
verno ha ostentato di voler diligentemente
attendere riceve ora nuovo zelo dai farti di
Praga. Vi è qualche ragione per ritenere
accresciuto il pericolo? No certo. Anzi ci
si potrebbe attendere il contrario, ed una
politica semplicemente accorta e non gla¬
diatoria verso i giovani,come vorrebbe fare
Edgard Paure in Francia verso sindacati e
partiti, potrebbe dissipare le temute com¬
plicazioni, certo meglio che la faccia fero¬
ce. Oh mal consigliato Leonel
Ma non sarà mai che l'Italia retriva, con i
clerico-fascisti in prima schiera e l'on. To-
gni a porta bandiera rinunzi alla bella occa¬
sione. Risalgono dai precordi odii viscerali,
rancori per le paure patite, voglia matta di
travolgere infine e definitivamente il sacri¬
lego assalto dei sovversivi all'ordine cosi
ben costituito per grazia di Dio e volontà
dei padroni a difesa dei portafogli e del
I rote re.
E cosi, per dimostrare che non sono gra¬
tuite fantasie, siamo già al punto che da
questo momento psicologico, dalle attese
provocate dalla Russia in ribasso e dal¬
l'America in rialzo, risorgono progetti sul
tipo del luglio 1964. In ottobre dovrebbe
esser lanciato un nuovo grande "fronte na¬
zionale", patrocinato da qualche insigne fa¬
scista, con la intenzione particolare di far
leva sul patriottismo convenzionale di ex¬
militari e di organizzazioni combattentisti¬
che, contando soprattutto sul malanimo di
molti ex-generali. Per far che? Quello che
capita: pressioni sui governi, man forte alle
forze deH'ordine. Colpi di Stato? Qualche
sprovveduto già ne parla.
C'era uno che ci sapeva fare: il gen. De
Lorenzo. Ed è appunto l'uomo che dovreb¬
be dar spicco al fronte progettato. Buono
per un'altra volta, forse hanno pensato i
promotori. I quali trovano che dopo la
sentenza, e soprattutto dopo le motivazio¬
ni, il momento gli è favorevole. Governo e
magistratura ordinaria e militare lo hanno
protetto. E lo tiene da conto l'alto coman¬
do. che perseguita le "pecore nere" e pare
ispirarsi al generale nei proclami alle forze
armate.
Può preoccupare il fatto che dietro que¬
ste iniziative di fronti nazionalisti e reazio¬
nari stia proprio l'alto^comando. Ed è un
segno del malanimo della alta casta militare
verso governi e Parlamebto indifferenti e
inefficienti, dell'aspirazioiv a maggiori po¬
teri, del desiderio di disporre anch'essa di
strumenti di pressione extraloarlamentari, al
fine in primo luogo di prornuovere nuovi
armamenti e spese militari. Ed è segno an¬
che del ritorno plumbeo ai piani NATQ
della guerra fredda, degli eserciti nazionali
non integrati da preparare per la guerra
interna contro le quinte colonne.
Dovendo e volendo astenerci dz^ allarmi
intempestivi, da questi primi segni premo¬
nitori ricaviamo soltanto l'opportunità di
consigliare vigorosamente prudenza ‘ ai pa¬
sticcioni e vigilanza anche ai democratici di
parte governativa. Una certa responiabile
prudenza di atteggiamento può esser consi¬
gliata anche alle forze ed organizzazioni <ji
sinistra, ferme nella difesa democratica e
pronte al contrattacco, ma aliene dalla prot
vcx:azione ed amiche della persuasione dové’‘
sia possibile, sempre consapevoli del dovere
di rappresentare una alternativa di governo. '
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
STUDENTI
Milano: pronti per l'anione
togni
parla chiaro
L a riapertura delle università e la
ripresa delle lotte studentesche av¬
verranno sotto il segno della violenza?
Non pochi sintomi incoraggiano previ¬
sioni pessimistiche. E non si tratta cer¬
to dei pretesi gruppi di terroristi e di¬
namitardi che secondo le ricorrenti
invenzioni di certa stampa avrebbero
preso ormai il controllo del movimento
studentesco. Bisogna guardare da tut-
t’altra parte: a quelle autorità politiche
che pongono la tutela dell’ordine pub¬
blico al centro dei loro appelli, ora
accorati ora minacciosi. Già nei primi
mesi dell’estate era evidente che il go¬
verno aveva fatto la sua scelta. Le gran¬
di testate moderate - spie assai atten¬
dibili delle tendenze più retrive operan¬
ti nei circoli politici — avevano pungo¬
lato continuamente l’autorità pubblica
chiedendo assicurazioni “concrete” in
previsione della ripresa autunnale.
La risposta del Presidente del consi¬
glio è venuta puntuale. 11 governo aveva
scelto per tempo il metodo del pugno
di ferro. Le singole misure, in cui epi¬
sodicamente si è concretato finora
questo indirizzo, hanno tutta l’aria di
operazioni condotte in pieno accordo
tra autorità accademiche e potere ese¬
cutivo. Cosf, più recentemente, l’istitu¬
zione di una sorta di Tribunale speciale
dotato di poteri inquisitori e punitivi,
decisa dal rettore dell’università di
Roma (con tutto il corredo grottesco
di robuste inferriate alle finestre delle
facoltà). Sono misure che mostrano
palesemente la volontà di rappresaglia e
che costituiscono oggettivamente delle
provocazioni, i cui effetti sono facil¬
mente intuibili. Ma la loro portata poli¬
tica va oltre l’ambito studentesco, e
denuncia tendenze reazionarie che van¬
no pericotósamente prendendo piede
nei circoli/politici e militari.
Un piano repres-sivo. La stampa comu¬
nista Uà riferito, in questi giorni, di
riunioni congiunte di alti ufficiali della
“celere”, dei carabinieri e dell’esercito,
e di funzionari del ministero degli In-
terai per approntare un piano organico
di repressione delle future agitazioni
studentesche. Queste notizie non sor¬
prendono. Da tempo era noto che mi¬
sure speciali erano allo studio per la
repressione delle manifestazioni di piaz¬
za, per rendere la forza pubblica in
grado di controllare (anche con una
rete d’informatori operanti in modo ca¬
pillare in seno al movimento studente¬
sco), più puntualmente di quanto aveva
potuto fare l’anno scorso, gli scontri.
La fornitura di bulldozer rientrerebbe
in questo quadro; come pure la dota¬
zione delle unità operative di elmetti in
plexigas, quali vengono usati dai poli¬
ziotti USA. Sarebbe ormai a punto un
piano di mobilitazione generale, artico¬
lato in diverse direzioni, ma centrato
soprattutto sulla repressione delle lotte
studentesche e, non dimentichiamolo,
operaie. E’ questo lo scopo delle confe¬
renze operative che sembra siano state
convocate su iniziativa del ministero de¬
gli Interni. In breve; maggiore efficien¬
za delle unità di polizia e dei carabinie¬
ri; tendenza alla politicizzazione del¬
l’esercito in funzione della repressione
interna; stretto accordo tra esecutivo e
autorità accademiche. Leone sa mante¬
nere la sua parola. Le misure polizie¬
sche sono il risvolto esemplare delle
promesse mistificatrici di una strimin¬
zita riforma degli studi. E sono il sinto¬
mo chiaro delle tendenze di tipo gol¬
lista che vanno prendendo piede ai ver¬
tici della vita politica e militare. Non è
difficile immaginare l’accoglienza che ha
incontrato in questi ambienti la pro¬
posta di legge presentata dall’onorevole
Codignola per un’amnistia generale di
tutti i reati commessi in occasione delle
agitazioni studentesche.
Il ruolo provocatorio più smaccato è
stato assunto, in questo contesto, dalla
stampa d’informazione. E’ da mesi, da
quando è iniziato il riflusso del movi¬
mento studentesco, che le grandi testa¬
te conducono una campagna volta a
mitizzare la “ripresa autunnale”, come
il momento inevitabile dello scoppio
violento di una crisi rivoluzionaria. La
provocazione va diventando sempre più
evidente. Nei giorni scorsi tutta la
stampa di destra dal Tempo al Mes¬
saggero alla Nazione Ira riportato con
grande rilievo “gravi rivelazioni” sui
piani di gruppi di “jretrolieri” del movi¬
mento studentesco romano. Si è parlato
di depositi di mitra e candelotti di di¬
namite, e di un piano di attentati con¬
tro i docenti “rei di avere ridicolizzato
le idee e gli idoli dei cinesi romani”.
Sarebbe in via di perfezionamento
secondo questi giornali un piano di
attentati terroristici contro le scuole, ci¬
nema e altri luoghi pubblici “al fine di
seminare il panico nella popolazione c
di dissuadere chiunque dall’opporre resi¬
stenza al movimento rivoluzionario”. La
fonte “autorevole” di queste sconvol¬
genti profezie è un volantino di un
famigerato “Comitato per la difesa del¬
l’università”.
“Il Bengodi della sedizione”. Sarebbe
facile ironizzare sull'infantilismo della
nostra grande stampa. Ma essa purtrop¬
po è il sintomo più chiaro di un certo
clima politico che si va sempre più af-
femiando. Ne si tratta solo di cronisti
scriteriati, dato che alla gazzarra provo¬
catoria partecipano di buon grado, e in
prima fila, anche uomini politici ed ex
ministri. Giuseppe Togni, per esempio.
Prendiamo il fondo da lui .scritto per il
Tcm/H> del 9 settembre; “Contestare il
disordine”. E’ facile ricavare da questa
lettura il ritratto di una classe dirigen¬
te, di cui non si sa bene se criticare
più la chiusura reazionaria-poliziesca op¬
pure lo scoraggiante livello culturale.
10
“Se è vero che vale assai più prevenire
che reprimere, non si capisce come mai
sia stata tollerata, tanto per fare un
esempio, la venuta in Italia di Rudi
Dutschke e di Daniel Colin-Bendit o di
quel tal filosofo della contestazione che
è ritenuto il padre spirituale dell’attuale
ondata nichilistica. E a che abbia giova¬
to la celebrazione nella democratica Ita¬
lia del congresso internazionale degli
anarchici, non si riesce bene a capire”.
Come responsabile dell’ordine pubbli¬
co, Giuseppe Togni non avrebbe sfigu¬
rato sotto il regno di Umberto I. Ma
l’ex ministro la sa lunga, e segnala al
ministro degli Interni che “alla frontie¬
ra non entrano purtroppo soltanto
sbrindellati capelloni o fangosi barbuti
protestatari... spesso insieme con questi
tipi cosi visibilmente eccentrici, vengo¬
no più o meno occultamente contrab¬
bandate amii e munizioni”. Cosa pro¬
pone Togni? Intanto, fa una premessa
doverosa: il PCI, è vero, non vede di
buon occhio queste iniziative “cinesi”;
ma non si può escludere che strumenta¬
lizzi o addirittura domini “questi pro¬
grammi di disordini”. Perciò un altro
consiglio al governo: “Non sarebbe del
tutto inutile che si cominciasse a guar¬
dare per tempo a coloro che questa
gioventù muovono ed eccitano”. In
conclusione: liberare i tutori dell’ordine
dal legame avvilente di “una valutazio¬
ne politica spesso contraddittoria e tal¬
volta polemica, quando non addirittura
ritardata o indebolita per considerazioni
contingenti”. E soprattutto pugno di
ferro: “per impedire che l’Italia diventi
il Bcngoidi della sedizione e del perver¬
timento ideologico e politico”. Per non
alimentare “una ipotetica quanto vile e
svirilizzata contestazione globale».”
Questo parlamentare ed ex ministro, la
cui prosa tocca simili vertici di dignità,
è stato di recente eletto presidente del¬
la VII Commissione della Camera con i
voti dei compagni socialisti.
M. s. ■
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
la nuova strati
S crivendo dei comunisti, sulla
Stampa del 30 agosto. Vittorio
Gorresio non ha cercato affatto di mi¬
nimizzare la posizione del PCI su Praga.
“Molte volte, anche troppe ha scritto
si è rimproverato al partito comuni¬
sta italiano di non sai^ire fare altro che
raccogliere i voti degli scontenti... D’ora
in avanti, la situazione potrebbe cam¬
biare. Con decisione e durezza assoluta¬
mente inconsuete nella storia del PCI, i
dirigenti delle Botteghe Oscure hanno
anzitutto dissociato le proprie responsa¬
bilità dagli interventisti sovietici; non
solo, hanno rivendicato libertà d’azione,
si sono attribuiti compiti ‘rivoluzionari’
loro propri, annunciandosi pronti a rac¬
cogliere tutte le forme di contesta/ione
che possano aver luogo nell’ambito del¬
la società italiana, come nel resto del
mondo, e in ogni modo senza riguardo
alcuno per i confini dell’area dei paesi
socialisti. Non ha nessuna importanza
che i dialettici del partito comunista
italiano vadano alla ricerca di una coe¬
rente continuità ideale, citando il To¬
gliatti del DMb (probabile errore di
stampa. Ctorresio si riferiva evidente¬
mente all'inten'ista a Wiiovi Argomenti'
del 1^56) o quello del memoriale di
Yalta... Il fatto nuovo è la rottura, fi¬
nalmente franca ed aperta, esplicita ed
unanime con l’Unione Sovietica. Com¬
metteremmo un grave errore a sottova¬
lutarne la importanza, come se si trat¬
tasse di un espediente tattico... Come
già gli imperi ottomano ed austro-
ungarico, anche quello sovietico risulta¬
va garante di un certo status quo... 1
nostri rivoluzionari li abbiamo in casa,
e si proclamano maggiorenni ed autono¬
mi. Stanchi della funzione di partito
obbediente e burocratico, desiderosi
soprattutto di non lasciarsi scavalcare a
sinistra... si dicono pronti ad agire alia
loro maniera, alla prima occasione’.
Sincerità di Gorresio. Gorresio è sincero
fino in fondo e, non desiderando una
soluzione comunista, ha concluso invo¬
cando “un’efficace politica di sfida”,
“un vero centro-sinistra” prima che sia
"troppo tardi”.
Anche il Corriere delia Sera tempesta
in tale direzione, ed è risultato quasi
umoristico il finale di Spadolini (dome¬
nica 8 settembre, per via della data
simbolica): “Non c’è più un minuto da
perdere”. Solo che il Corriere non mo¬
stra la medesima sincerità di Gorresio
nel valutare fimportanza della posizione
comunista in sostegno di Praga e con¬
tro l’intervento sovietico. Per il più
grosso giornale della buona borghesia
nostrana quella del PCI è pura tattica,
il contrario di i|uel che sostiene Gor¬
resio.
l: invece il discorso deve partire dalla
realtà, non fondarsi sugli strumentalismi
(mentre di tale pecca viene accusato il
PCI). Lo facciano questo “vero centro-
sinistra” coloro che ne sono convinti.
Tanto di guadagnato. Ma non giochino
ai bussolotti.
Le frontiere del .socialismo. L’inteivista
che Longo ha concesso ùiV.istrolahio
11
ha destato interesse (malgrado le censu¬
re conlindustriali), perchè ha precisato
forse ancor meglio dell’ultimo Comitato
centrale comunista la distanza ma so¬
prattutto la autonomia del PC italiano
da Mosca.
Non è nostra pretesa interpretare
Congo, ma, rispetto alle dichiarazioni in
sede di Comitato centrale, il “tragico
errore" sovietico diventa qualcosa di
più preciso. Alla domanda se l'invasione
non derivasse, più che da una valutazio¬
ne errata, da una scelta precisa, di ordi¬
ne strategico, Congo ammetteva che si
notano quanto meno delle tendenze al¬
la “teorizzazione" deH’intervento milita¬
re in Stati socialisti come risposta alla
strategia globale deirimperialismo, e ag¬
giungeva che .se esiste, in lùiropa. ima
pressione imperialistica sul terreno della
politica, delVideologia, della cultura,
dell’economia, la replica dev’essere in
quelle direzioni, non in altre. “Co
scontro ideologico... va condotto con
armi ideologiche”, non con interventi
militari come se i paesi socialisti fos¬
sero “una sorta di fortezza assediata”,
non essendo tale la realtà, almeno sul
nostro continente.
Tutti sappiamo come, nell’epoca sta¬
liniana, vigesse (sia pure con fon¬
damento fino a una certa fase) la
“teoria' deH’accerchiamento". Questa
teoria, prolungata dopo che era finito
raccerchiamento, provocò i misfatti
stalinisti che completarono quelli del¬
l'epoca precedente, quando si sosteneva
che, più si andava verso il socialismo,
più s’inaspriva la lotta di classe. 1 co¬
munisti italiani hanno ragione ad affer¬
mare che l’intervento in Cecoslovacchia
pone questioni non solo di comporta¬
mento politico ma di approfondimento
e adeguamento teorico.
E Longo, sia in Comitato centrale,
sia ncH’intervista concessa al nostro
settimanale, contestava la concezione
“bipolare” secondo cui il mondo deve
dipendere da due Stati-guida (USA e
URSS) i quali si spartiscono il pianeta.
“Le frontiere del socialismo non coin¬
cidono con le frontiere dei paesi so¬
cialisti”.
E’ questo rifiuto di Yalta (le “sfere
d’innuen/a”, non il memorandum di
Togliatti) che fa “tremare" scriveva
orgogliosamente Occhetto suH’tVnw del
I settembre i capitalisti. Sarò sincero
anch’io, e mi pareva che Occhetto fa¬
cesse delle spacconate. Pare invece che
una certa tremarella esista.
Proposte al PCI. Scherzi a parte (po¬
tremmo includervi la tesi esilarante che
i comunisti occidentali riprovano Mosca
perchè ne hanno avuto il “pemiesso”.
figuriamoci...) al PCI è giusto porre del¬
le domande serie, perchè Praga e il
resto sono cose estremamente gravi.
( he poi si tratti di elaborazione teorica
o di più nette posizioni politiche saran¬
no i comunisti a giudicarlo.
Una questione di fondo è quella di
Mosca che, ignorando completamente il
giudizio dei PC occidentali, e non solo
occidentali, di cui era pienamente infor¬
mata da tempo, ha preferito subordi¬
nare rinternazionalismo alla propria po¬
litica di potenza, con una analisi sba¬
gliata se si vuole, ma pregiudicando le
sorti dell’intero movimento. Se infatti i
IT occidentali, come osservava Duver-
ger su /,£■ Monde del 5 settembre pos¬
sono darsi una loro piattaforma origina¬
le, diversa dai grandi “modelli” sovieti¬
co c cinese, adatta all’area geografica c
alle condizioni in cui operano, l’aggres¬
sione sovietica alla Cecoslovacchia butta
un’ipoteca pesantissima sulle sorti del
socialismo in generale. E’ l'ipoteca che
viene sfruttata da tutte le destre e da
tutti i moderati i quali sostengono che
un’Italia socialista, o comunque “di si¬
nistra” (e [rerfino di centro-sinistra),
sarebbe esposta, come la Cecoslovac¬
chia, al pericolo di diventare un protet¬
torato sovietico se non riga diritto. Ab¬
biamo avuto già modo di osservare che
se il socialismo vincesse in Occidente, i
rapporti di forza muterebbero a tal
punto da non consentire, a nessuno
Stato-guida o “protettore”, di ridurre
gli altri a satelliti. Ma perchè questo sia
credibile i due Stati-guida attuali. USA
e URSS, devono essere isolati e scon¬
fìtti politicamente in seguito ai misfatti
compiuti in Vietnam (e in America
Latina, e ricordiamo il colpo si Stato
in Grecia, e mettiamoci anche il Sifar)
e in Cecoslovacchia (senza dimenticarci
dell’Ungheria).
Isolare e sconfiggere i due Stati-guida
non significa fare dcir“anti” indiscrimi¬
nato, ma incalzare e indebolire quelle
forze conservatrici, nazionaliste e sciovi-
niste di grande potenza in URSS, e
imperialistiche scatenate negli USA, che
oggi non solo comandano al Cremlino e
alla Casa llianca, ma applicano appunto
la teoria delle “sfere d'influenza”. L'in¬
tervento in Cecoslovacchia non aiuta
certo il Vietnam, e viceversa, e il rap¬
porto è ancor più evidente se, restando
in Europa, pensiamo al colpo di Stato
in Grecia c a quel che dopo è successo
a Praga. Grecia e Cecoslovacchia sono
addirittura due casi paralleli ricorrenti:
subito dopo la guerra l'insurrezione gre¬
ca venne stroncata, e nel '48 ci fu il
“colpo di Stato” a Praga (quanto meno
“rivoluzione protetta” dall’Armata Ros¬
sa. lo ametteva anche Togliatti).
Su questo terreno i comunisti italiani
hanno tuttavia le carte più in regola di
tutti gli atlantici del “partito ameri¬
cano”: non andranno alla conferenza di
.Mosca finché la Cecoslovacchia sarà
occupata, e, a parte questa pressione
concreta e immediata su Mosca, sono
contro i blocchi e ne vogliono il su¬
peramento. Troppo comodo per loro,
dicono nel “partito americano”. Invece
sarebbe comodo per tutti, anche in
Est-Europa, però entrano in gioco altri
fattori che necessitano di un chiarimen¬
to esplicito di parte comunista.
.Monopolio ed egemonia. Una prima
questione è quella del monopolio del
potere. In Italia, veramente, dovremmo
chiedere alla UC di non abusarne come
fa dal 1947. Ma resta il fatto che il
K I. se accetta il pluripartismo e non si
allinea ad alcun “modello” orientale,
per farsi credere non può solo promet¬
tere il rispetto della futura legalità de¬
mocratica; non basterebbe neanche ab¬
bandonare la tesi che in una società
socialista gli elettori stessi non vorreb¬
bero tornare indietro e dire invece, più
apertamente, di essere disposti a farsi
rovesciare dal voto, se così vogliono gli
elettori. La garanzia reale, verificabile
oggi e non rinviata al futuro, è la ri¬
nuncia al concetto deteriore di “ege¬
monia” del partito comunista sulle altre
forze politiche di sinistra e democra¬
tiche. .Sappiamo che ci sono due intcr-
preta/ioni di tale concetto (essere la
forza politica di stimolo c di avanguar¬
dia oggettiva, per consenso popolare,
oppure imporre r“egemonia” solo per
itierito di un apparato organizzativo più
efficiente). I comunisti dovrebbero chia-
Koinu: it coiiiiziu a San (ìnnanni
12
rire una volta per tutte che cosa inten¬
dono per “egemonia”, perchè troppo
spesso sembrano attribuirle il significato
peggiore (e non basta rispondere con
sufficienza che le altre sinistre sono più
deboli, se no addio ricerca comune di
una strategia socialista).
Centralismo democratico. L’altra que¬
stione è il famoso “centralismo demo¬
cratico”, tema di vecchie polemiche,
anch’esso prefigurazione di quel che
sarebbe uno Stato socialista se è vero
che un partito tende a dani strutture
organizzative che poi generalizzerebbe
una volta al potere.
Qui c’è un confronto concreto: lo
statuto (anzi il progetto di statuto, per¬
chè onnai ci sono i carri armati sovie¬
tici) che si stava dando il PC cecoslo¬
vacco. Esso non ammetteva le “frazioni
organizzate”, ma riconosceva la legit¬
timità del dissenso interno, il diritto
delle minoranze “di mantenere le loro
opinioni e di richiedere, sulla base di
nuovi elementi di giudizio, una verifica
delle decisioni prese” dalla maggioranza.
Il principio del “centralismo democra¬
tico” non veniva abolito, nel senso che
le n inoranze dovevano adeguarsi alla
linea stabilita dai congressi. Però si
riconosceva il diritto di controllare la
maggioranza e di contestarle il modo
con il quale applicava gli orientamenti
congressuali, con facoltà di esprimere
pubblicamente il dissenso (non solo in
sede di partito), e, al limite, il diritto
di chiedere la ridefinizione della linea
del partito sulla scorta di nuovi elemen¬
ti di analisi.
Si era a un passo dall’ainmettere il
diritto di opposizione aH’interno del
partito. La questione è controversa:
sono meglio le “frazioni organizzate”
(che perfino Lenin accettò fino al X
congresso, chiedendone in periodo di
emergenza la soppressione solo tempo¬
ranea) o le più elastiche “correnti di
opinione”, non stratificate, non fisse,
non sottoposte al pericolo del clien¬
telismo?
Non è detto che in questo senso un
partito debba assumere la struttura
organizzativa propria al rapporto di
contestazione e concorrenza che regola
un sistema statale pluralistico. Ma, an¬
che ammesso che come forza politica
non orientata al monopolio del potere
si preferisca adottare un’organizzazione
interna omogenea e non clientelare, la
manifestazione pubblica e palese del
dissenso è una garanzia per se stessi c
per gli altri. Sappiamo benissimo che
nel PC italiano questo accade di già
senza bisogno di una nuova Carta statu¬
taria. Ma la codificazione del diritto
pieno al dissenso è garanzia che si trat¬
terà di una regola democratica, non di
una eccezione che potrebbe essere som¬
mersa da un’ondata di riflusso del
“centralismo burocratico”. Anche nel
quadro del “centralismo democratico”,
in altre parole, si tratta di istituziona¬
lizzare e garantire un permanente pro¬
cesso dialettico pre e post-congressuale.
Solo cosi gli apparati burocratici non si
sovrappongono e non liquidano la “de¬
mocrazia socialista”.
LUCIANO VASCONI ■
roccupazione
della pischiutta
D opo r"Apollon’' e la "Mitrano", è ora
la volta della "PIschiutta". L'Italia del
benessere, della prosperità, la settima po¬
tenza industriale del mondo, rivela proprio
nella sua capitale, a Roma, l'altra faccia
della medaglia, quella che non interessa al
Messaggero o ai rotocalchi illustrati, perchè
fa riflettere e pensare, ed è perciò peri¬
colosa.
Gli 85 dipendenti della "Pischiutta", una
ditta che lavora in appalto per conto della
"Romano Gas", furono licenziati in tronco
il 21 giugno in seguito alla decisione del
proprietario di sospendere la sua attività in
questo campo.
Da allora gli operai licenziati occupano la
sede dell'azienda, chiedendo che l'interven¬
to dell'autorità consenta di trovare una so¬
luzione al grave problema. Non è infatti
possibile che un gruppo di operai specializ¬
zati, con una media di anzianità di 15
anni, venga costretto ad inserirsi in un al¬
tro ramo della produzione, sprecando un
tale patrimonio di esperienza e di capacità,
per ripartire da zero.
D'altra parte poiché gli impianti del gas
vengono eseguiti quasi esclusivamente dalla
"Romana gas", la soluzione più logica e
normale sarebbe la assunzione in blocco da
parte di questa società, che è controllata
dall'ENI ed è quindi indirettamente dipen¬
dente dal ministero delle Partecipazioni
Statali. Ed è in questa direzione, infatti,
che sono stati fatti i primi tentativi per
trovare uno sbocco positivo alla vertenza,
ma le risposte, come troppo spesso suc¬
cede, sono state evasive ed incerte. Nè mi¬
gliore effetto hanno avuto finora le richie¬
ste presentate al Comune di Roma e al
ministero del Lavoro.
Intanto, nonostante l'indifferenza delle
autorità, continua la lotta degli operai della
"Pischiutta gas" e si sviluppa una vasta
solidarietà morale e materiale verso gli
occupanti.
Il caso degli 85 dipendenti della "Pi-
schiutta" può sembrare a prima vista di
non grande rilievo di fronte ad altre situa¬
zioni ancor più tragiche cui ci si trova
spesso di fronte in Italia.
Ma è significativo, se si pensa che siamo a
Roma e che questa è la terza volta nel giro
di poche settimane che degli operai debbo¬
no ricorrere all'occupazione della fabbrica
per difendere il loro posto di lavoro.
"Noi lottiamo perchè Roma non diventi
la capitale della disoccupazione" c'era scrit¬
to su un cartello di protesta davanti alla
sede della "Pischiutta" in via Monteverde:
è questo il senso di una battaglia che do¬
vrebbe venir aiutata ed appoggiata da tutte
le forze democratiche. E questo dovrebbe
anche far riflettere i politici sulle troppe
contraddizioni che ancora caratterizzano il
nostro paese.
F. G. ■
SINISTRA CAnOLICA
rincognita
delle adì
I fermenti che da qualche tempo per¬
corrono larghi strati della sinistra
cattolica italiana stanno in questi giorni
prendendo dimensioni e caratteri più
precisi, particolarmente in seguito alle
nuove posizioni assunte dagli aclisti e
dalle prospettive che queste aprono.
“Un eventuale rilancio della coalizione
tra DC e PSU” ha detto il Presidente
delle AC LI Livio Labor “manterrebbe
un carattere di attesa in vista di equili¬
bri politici nuovi. Essa non appare in¬
fatti più in grado di costituire un’ipote¬
si di lungo periodo per la direzione
politica dello sviluppo della società ita¬
liana”. L’inequivocabile chiarezza di
questa e di altre effermazioni di diri¬
genti dei lavoratori cristiani, sembrereb¬
be tracciare una netta linea di separa¬
zione tra il futuro della politica demo-
cristiana, tutta protesa alla ricerca di
contenuti e di formule nuove capaci di
ridar vita al centro-sinistra, e la volontà
di “rimescolare completamente le car¬
te” che anima invece gli ambienti
aclisti.
1 “gatti selvaggi” di Labor, ove que¬
sto divorzio cattolico venisse davvero
consumato, verrebbero cosi a situarsi
politicamente all’opposizione, cioè a si¬
nistra del PSU, c vi sarebbe senza dub¬
bio una naturale convergenza con gli
altri elementi inquieti della maggiora¬
nza, i socialisti di Lombardi. La matu¬
razione di questo processo è iniziata,
per non risalire a tempi ancor più lon¬
tani, con i risultati delle elezioni di
maggio: l’insufficienza, la delusione del¬
l’esperimento di centro-sinistra era al¬
lora risultata chiarissima a tutto il pae¬
se. Discorsi che sembravano prematuri,
come quelli di certa sinistra democri¬
stiana. e gesti giudicati avventati, come
quelli dei cattolici dissenzienti, si rivela¬
vano i soli ad essere alla pari coi tempi
in campo cattolico. Questo processo
autocritico, se fu volutamente ignorato
dalla ma^oranza conservatrice della
Democrazia Cristiana, investi natural-
L'AST ROLABIO 15 settembre 1968
13
mente le ACLl; "E’ tempo di pensare
ad una rifomia della politica; ad una
nuova dislocazione di forze, cioè, capa¬
ce di rappresentare realmente le istanze
nuove presenti nel paese, cominciando
con l’enucleare, almeno nel dibattito e
nel confronto culturale e politico, tutte
le forze di sinistra democratica”.
D’altra parte la spinta della base con¬
fermava che la strada da battere era
questa e che il primo impegno doveva
essere la difesa e il potenziamento della
autonomia delle AGLI da ogni condi¬
zionamento politico da parte demo-
cristiana.
Il confronto dialettico. Ma con tutta
probabilità i tempi di questa svolta
sarebbero stati molto lunghi se la crisi
cecoslovacca e la conseguente posizione
del PCI non avessero sollecitato un’im¬
mediata reazione di tutte le forze
politiche, l primi ad accettare, insieme
ai lombardiani, che la presa di posizio¬
ne comunista segnasse una tappa fonda¬
mentale e rivoluzionaria nei rapporti
politici italiani sono stati appunto gli
aclisti. “Un confronto dialettico va
aperto con il Partilo Comunista. Ad
esso non possiamo rifiutarci, nella spe¬
ranza che le drammatiche vicende co¬
stringano ad una revisione non suircrfi-
ciale, e che il nuovo corso continui
irreversibilmente anche nel PCI.
una iniziativa
per ii beiice
S ta per arrivare l'inverno anche nelle
tende, nelle baracche, nelle case scon¬
nesse, sulla gente ancora sconvolta nella
Sicilia occidentale.
Al disordine ed all’insufficienza dei soc¬
corsi governativi, ha corrisposto il disordine
e l'inaccettabile ritardo della ricostruzione.
Particolarmente irresponsabile è stata la
mancanza di tempestività nell'awiare gli in¬
dispensabili accertamenti geologici. Leggi e
provvedimenti di fondo, assegnazione di
fondi — decisi per gran parte in seguito alla
pressione popolare — sono rimasti perlopiù
inoperanti nei cassetti della burocrazia ro¬
mana e palermitana.
Poiché è urgente investire in modo
organicamente razionale la volontà di lavo¬
ro delle popolazioni nella realizzazione del¬
la nuova città-territorio che dovrà articolar¬
si nelle Valli del Beiice, del Carboi e dello
Jato; poiché alcune opere fondamentali al¬
lo sviluppo della zona assolutamente non
possono essere rinviate, il Centro studi e
iniziative, di Partinico diretto da Danilo
Dolci in collaborazione con rappresentanti
della popolazione delle tre valli, ha deciso
di avviare dal 15 settembre prossimo:
— la più vasta discussione di un piano per
lo sviluppo democratico delle Valli Beiice
— Carboi — Jato;
— una serie di pressioni per ottenere
quelle opere fondamentali allo sviluppo
della zona, che non possono essere più
oltre rimandate.
Una conferenza-stampa sarà tenuta il 15
settembre al Centro di Trappeto (prov.
Palermo! per illustrare e discutere questi
programmi di lavoro. ■
Si è cosi giunti all'incontro di Val-
lombrosa dove le posizioni delle diverse
forze della sinistra cattolica hanno pre¬
so contorni più precisi. Labor, i sinda¬
calisti c la maggior pane della base
aclista su posizioni di sempre maggior
autonomia e contestazione (creativa)
nei confronti del partito-madre demo¬
cristiano; una destra aclista, che ha avu¬
to un tumultuoso sostenitore nell’on.
DeH’Armellina, nettamente contraria al¬
l’operazione di sganciamento e all’aper¬
tura di nuovi dialoghi; infine la sinistra
democristiana che si sforza di fare da
trait-d'wiion, da ponte tra le volontà
adiste e le esigenze della DC'.
Lo scontro e la dialettica fra queste
tre tendenze dovrebbe caratterizzare
l'attività politica aclista di questi mesi,
fino al congresso ACLl previsto per la
primavera del 1969, ed influire non po¬
co anche sulle decisioni di altre forze
interne alla IX' ed al PSU.
L’obiezione di fondo che viene mossa
da più parti a Labor e agli aclisti “indi¬
pendentisti” (in particolar modo dalla
sinistra DC) è che una nuova forma¬
zione politica rischierebbe di diventare
una forza marginale ed inconsistente
nei confronti dei grandi partiti di mas¬
sa, perdendo molta dell’incisività che
oggi può avere restando all’interno di
un partito come la Democrazia Cristia¬
na. Dall’altra parte si risponde che que¬
sto discorso sarebbe giustificato se le
elezioni fossero andate in un altro
modo o se la Democrazia Cristiana
avesse dato segni tangibili di indirizzarsi
verso prospettive nuove, ma che in una
situazione come quella attuale (non
soltanto in campo cattolico) occorre
elaborare una strategia del cambiamento
capace di soddisfare “la nuova do¬
manda politica” di larghi strati del
paese.
La benevola a.stensione. Ma la questione
fondamentale e decisiva resta sempre la
stessa: quale sarà l’atteggiamento del
Vaticano? E’ indubbio, infatti, che una
posizione negativa dell’autorità ecclesia¬
stica bloa’hcrebbc o perlomeno prive¬
rebbe di contenuto ogni mossa separa¬
tista in seno allo schieramento politico
cattolico. Ed è su questo che hanno
sempre fatto leva gli ambienti conserva¬
tori democristiani. La presenza degli
assistenti ecclesiastici in seno alle ACLl
ha finora avuto infatti il compito di
temperare le spinte troppo rivoluzio¬
narie e rinnovatrici ed è un canale
perpetuo di contatto e di controllo
diretto tra Vaticano e movimento ope¬
raio cattolico.
Sembra però che ultimamente la posi¬
zione della Chiesa abbia subito un’evo¬
luzione anche riguardo a questi rappor¬
ti. Se non si può parlare di un vero e
proprio placet ecclesiastico o di entusia¬
stica approvazione delle nuove iniziative
adiste, sembra però sicura una benevola
astensione che sarebbe stata assicurata a
Labor dalla Segreteria di Stato ed in
particolar modo da mons. henelli, pros¬
simo ad indossare la porpora cardina¬
lizia. Non si spiegherebbero in altro
modo certi mutamenti piuttosto rapidi
del linguaggio e delle scelte politiche
adiste.
1 motivi che spingerebbero la Cliiesa
ad assumere posizioni cosi innovatrici
possono essere molteplici: la possibilità
di un inserimento di forze compatte e
dichiaratamente cattoliche nell’arco del¬
la sinistra di opposizione; la volontà di .
seguire, controllandola, una scissione
ugualmente inevitabile, piuttosto che es¬
serne spettatrice passiva; il tentativo di
un’operazione di recupero politico verso
i cattolici dissenzienti o tendenzial¬
mente tali; la possibilità di attirare certi
ambienti cattolici c comunisti fuori dal
IX'I. E non è detto che non esistano
altri motivi, se non proprio accordi
particolari.
D’altra parte, come ha indirettamente
sottolineato Labor nel suo ultimo di¬
scorso, il nuovo partito non sarebbe
“cattolico”, ma semmai aperto a cat¬
tolici e laici, e questo è molto impor¬
tante nella valutazione della posizione
vaticana.
Se dunque questo atteggiamento ,on
negativo da parte del V'aticano dovesse
continuare: la nuova situazione costrin¬
gerebbe molte forze della sinistra demo-
cristiana ad un esame di coscienza cer¬
tamente non facile. Ed è probabile che
una buona maggioranza non avrebbe il
coraggio di iniziare adesso un’avventura
piena di incognite come può essere per
loro un allontanamento radicale dalla
Democrazia Cristiana. La stessa IX’.
d’altra parte, subirebbe, per conseguen¬
za deirusciia di queste forze, un certo
squilibramento a destra, molto perico¬
loso in una contingenza politica come
quella attuale, anche perchè un eguale
processo si aprirebbe nel l’SU con
l’uscita dei lombardiani. Questa è forse
la maggiore incognita contenuta in
un’operazione di sganciamento aclista
dalla IXmocrazia Cristiana. Intanto, con
il discorso di l’iccoli, è cominciata la
massiccia contromanovra della DC, che
pare non voglia cedere almeno per il
momento su nessuno dei punti
controversi. Nello stesso tempo l’allar¬
mato fondo di Spadolini sul Corriere
della Sera ha lanciato all’offensiva le
schiere conservatrici contro il pericolo
di un dialogo tra aclisti c comunisti. La
prima verifica delle possibilità di attua¬
zione reale del disegno di Labor si avrà
a fine mese alla riunione del Consiglio
Nazionale delle ACLL Soltanto alle
elezioni amministrative sarà possibile
però valutare con certezza la portata
reale c definitiva del dissenso aclista e
di conseguenza il nuovo panorama
politico italiano.
A meno che nel frattempo qualcosa
cambi in Vaticano.
FABRIZIO COrssON ■
14
agenda internazionale
Dclciiu/ionc ul custcllu di Pru^a
PRAGA-URSS
GnmMBviuzni
EAPnuuri
N on è opportuno uccuntonurc con
soverchia facilità, senza la necessa¬
ria attenzione Pinsistente, puntiglioso
sforzo giustificazionista condotto cosi
pesantemente da Mosca come fosse una
semplice riedizione della favoletta anti¬
ca del lupo e delPagnello. 0 come se il
piccolo nocciolo avvelenato di questa
pretestuosa ricerca dovesse rislversi in
quel poco di intrighi e mene provocato¬
rie che sono purtroppo pratica nonnale
nei rapporti internazionali, specialmente
in tempi torbidi. Cosi faceva Hitler, co¬
si fa spesso la CIA, e si fa corrente¬
mente nei rapporti Est-Ovest.
La politica estera dei Soviet è nor¬
malmente discreta in questa materia, ed
ò di corrente contestazione il suo reali¬
smo. La insistenza sul pericolo controri¬
voluzionario, anche per una pemianentc
preoccupazione di giudizio obiettivo,
obbliga a qualche riflessione induttiva,
surrogatoria in qualche modo delle in-
fomiazioni che mancano e delle indagi¬
ni impossibili.
Le allusioni, vaglie anche se virulente
della stampa sovietica, trapassano dalle
interferenze e dagli “interessi stranieri”
alla “controrivoluzione”. Controrivolu¬
zione che avrebbe dovuto reintrodurre*
e portare al Governo un sistema capita¬
lista. Gli interessi stranieri sono da at¬
tribuire a Bonn ed al suo revanscismo,
sostenuto da un vasto e innominato di¬
segno imperialista. Nessun accenno se
non nebuloso a preparativi e propositi
di azione violenta, anche perchè eccessi¬
vamente inverosimili. Ma insistenza sulla
presenza c sulla azione dei controrivolu¬
zionari, tra i quali le denunce mosco¬
vite fanno pensare a forti nuclei di fo¬
mentatori ed organizzatori stranieri.
Le scuole di spìpioggio. Il primo sugge¬
rimento di una possibile verosimiglianza
a questo particolare riguardo può esser
tratta daH'intercssante volume che Alain
Guerin, noto esperto c specialista di
questo particolare settore di storia, ha
dedicato all’opera del gen. Reinhard
Gchlen. colui che collaborò durante la
guerra col gen. Guderian alla organizza¬
zione delle forze controrivoluzionarie
dietro le linee sovietiche, e recuperato
dopo la guerra dal Governo di Bonn ne
organizzò e diresse con la stessa diabo¬
lica abilità i servizi segreti sino al re¬
cente pensionamento per raggiunti limi¬
ti di età. Il libro ò stato pubblicato in
t Ibricht c Diibcck
Kadar c (ioiiuilka
Francia all'iiiizio di quest'anno, e sincro
esca presto in traduaionc italiana.
E’ la guerra segreta contro Pankow
ciuf Guerin traccia con grande precisio¬
ne di particolari, ravvivata quando si
arriva alla costruzione del “muro male¬
detto”, e Gehlcn organizza le fughe
sensazionali di gente di l'à, che poi,
dopo opportuno addestramento rimanda
ad est del muro come suoi agenti.
Una seconda conferma viene da fonti
d’informazione francesi. E’ dal 1966
che i servizi di sicurezza della Germania
federale, in stretta collaborazione con
quelli della NATO di Francoforte, han¬
no dato più forte impulso alla organiz¬
zazione dello spionaggio nei paesi del
Patto di Varsavia. La centrale sta sem¬
pre a Wiesbaden. Due scuole per agita¬
tori ed infonnatori sono state organiz¬
zate nei due L'diuler della Renania, del
Nord-Westfalia e del Baden-Wiirt-
temberg. Fino ad un mese addietro ave¬
vano partecipato alle scuole 350 gio\ani
L’ASTROLABIO - 15 settembre 1968
15
provenienti dai paesi del Patto di Var¬
savia.
Particolar attenzione è stata dedicata
ai molti giovani giunti nei due ultimi
anni dalla Cecoslovacchia. Quelli più
adatti a svolgere compiti politici, una
volta rientrati nel loro paese, sono stati
istruiti dal prof. E.Weiss, quelli da adi¬
bire a compiti di spionaggio militare e
industriale hanno avuto per istruttori
rispettivamente il colonnello Ch. Wlon-
dcr e il dott. 11. Lodi.
Ampio sviluppo è stato dato allo
spionaggio industriale. Chi non sa che
le grandi imprese titolari di importanti
sviluppi e collegamenti internazionali
sono normali fonti e canali di infonna-
zioni? Di solito l’agente segreto racco¬
glie e coordina, ma talvolta le due figu¬
re dell’operatore per il servizio segreto
e per la industria si confondono, come
è quasi tradizionalmente, sin dai tempi
gu^iclmini, per i tedeschi. Del resto
così è (x:r tutti i paesi ad alto sviluppo
industriale, Italia compresa; ne sapeva
qualcosa il col. Rocca.
Le centrali della Germania federale
hanno molto curato appena hanno po¬
tuto la penetrazione industriale, e con
essa lo spionaggio, nei paesi dell’Est
dando qualche volta l’impressione con
l’ampia e sistematica inserzione di spe¬
cialisti e tecnici — ad esempio nella
industria chimica — di mirare ad una
sorta di noyautage.
I timori di Pankow. Ma da quando a
Bonn la “grande coalizione” ha meglio
precisato il disegno di sviluppare i rap¬
porti economici con l’Est aggirando e
scavalcando Gemiania orientale e Polo¬
nia, attenzione particolare è stata data
alla Romania ed alla Cecoslovacchia. La
prima, più libera, ha stabilito con Bonn
rapporti ufficiali e contrattuali; la se¬
conda avrebbe desiderato di farlo. La
traduzione nel sottofondo di questa po¬
litica è stala una nuova ondata, forse
più scoperta, di agenti tedeschi più o
meno segreti.
La reazione dei due cerberi di
l’ankow e Varsavia si è fatta più decisa
da quando era venuta a cadere la ga¬
ranzia rappresentata dalla presenza del
regime Novotny. E più rabbiosa, con il
rifiuto della mano tesa da Bonn, la
polemica contro il revanscismo, l’inestir¬
pabile nazismo e la disseminazione di
agenti nazisti. Questa delle propensioni
antiche e forse latenti di parte della
classe dirigente tedesca è discono vec¬
chio: basta vedere le carte d’identità
del Presidente Liibke, che avrebbe fatto
meglio ad andarsene prima, e dello stes¬
so Kiesinger. Ma poiché la polemica del
nazismo si ritorce ora contro la Germa¬
nia Orientale, si deve ricordare la con¬
dizione dei regimi sorti nelle due Ger¬
manie dopo il crollo hitleriano, costret¬
ti a servirsi — in misura limitata nel¬
l’Est comunista, ampia e frettolosa nel¬
l’Ovest degli alleati — dei resti del vec¬
chio apparato amministrativo, poiché il
nazismo aveva provveduto ad eliminare
accuratamente tutti i possibili avversari.
Del resto di citi si è servito in Italia il
post-fascismo?
Per rimanere nei limiti obiettivi della
informazione e del giudizio, si deve ri¬
cordare che l’irritazione per questo ri¬
mestare di agenti, spionaggi ed aggira¬
menti era stato anch’esso alla radice
deH’irrigidimento sovietico sulla questio¬
ne tedesca, irritazione anche nei riguar¬
di della CIA, sempre presente in queste
faccende, e della politica sempre a dop¬
pia faccia, Pentagono e Dipartimento di
Stato, di Washington.
Quale controrivoluzione? Due osserva¬
zioni possono concludere questa esposi¬
zione di fatti. La prima viene dalla fon¬
te qui utilizzata, attendibile come sicu¬
rezza di informazioni, che partendo da
una visuale evidentemente limitata, tro¬
va che in definitiva i sovietici non han¬
no fatto che “restituire pesantemente”
ciò che la politica segreta tedesco¬
americana aveva seminato. La seconda é
già stata espressa da vari osservatori
neutrali; l’intervento dei Cinque di Var¬
savia é stato operato con disastroso ri¬
tardo. Se il “nuovo corso” dava sospet¬
ti per possibili sviluppi centrifughi, in¬
ternazionali ed ideologici, l’intervento
ed il chiarimento dovevano aver luogo
in marzo.
Può darsi che interventi tempestivi
avrebbero potuto contenere a Praga una
certa euforia trascinatrice e suggerire
iiìaggiore prudenza nelle trattative con
Bonn. Ma tra i rilievi qui oggettivamen¬
te esposti per la migliore comprensione
dei fatti da un lato, c l’intervento dei
carri armati a reprimere una minaccia
di controrivoluzione dall’altro, vi é un
salto logico insuperabile.
Non occorreva una integrale c brutale
occupazione militare per aver l’assicura¬
zione del rispetto del Patto di Varsavia
c dei suoi vincoli militari, né occorreva
per evitare il danno, riconosciuto da
Dubcck, che sul piano diplomatico po¬
tevano soffrire i vicini. Tanto meno era
necessaria per prevenire una possibile
controrivoluzione borgliesc c capitalista
fomentata dalla CIA, e organizzata dai
famosi 40.000 controrivoluzionari accu¬
ratamente censiti dagli amici di No¬
votny. Sono favole che qualificano sgra¬
devolmente la propaganda sovietica.
Un pretesto formale d’intervento sta
di certo nell’appello di oppositori ed
informatori faziosi che hanno verosimil¬
mente da lungo tempo attizzato il fuo¬
co, a favore dei quali Mosca ha impo¬
sto la immunità. E’ mortificante per
chiunque che un grande paese di fede
comunista voglia gabellare per popolo
fratello una frazione minoritaria di ap¬
parato e gruppi di oppositori, e degna
dei carri armati la grande massa visibil¬
mente ostile dei lavoratori e dei gio¬
vani.
Praga; il blocco
Non occorre rifare qui analisi sulle
motivazioni e spiegazioni della decisione
dei Cinque, già lungamente esplorate.
La controrivoluzione da prevenire sta
nella rottura del sistema, temuta con- |
clusione di una .inarrestabile libertà nel- 1
la scelta di una propria via di organiz- ‘
zazione socialista. Solo la pressione mi- I
litare, tanto più brutale quanto più tar¬
diva, può neutralizzare questa libertà e
ristabilire l’obbligatorio e docile confor¬
mismo alla unità strategica e ideologica
di una comunità non sopranazionale *
perchè a guida egemonica, e perciò pri¬
va di scelte nazionali.
I controrivoluzionari, stranieri e indi¬
geni, non sono una vile invenzione. So¬
no un pretesto. Ma un pretesto necessa¬
rio. Cioè la giustificazione rispetto al
mondo, rispetto alla propria opinione
pubblica, rispetto al popolo cecoslovac¬
co. l*raga deve accettarla per riconosce¬
re l’esistenza della sua colpa, la giustifi¬
cazione della occupazione, e delle san¬
zioni dopo di essa necessarie. E’ un
verdetto ingiusto, anzi iniquo che Praga
sinché può non ratificherà.
Guai se gli intransigenti di Mosca ne
facessero una questione insormontabile
di principio.
forse dopo la ribellione rumena, cosi
invisa a Moscai è stato l’inatteso, impe¬
tuoso afl'ermarsi del nuovo corso ceco-
slovacco ad allannarc sin dall’inizio il
sistema sovietico. La Polonia reagiva su- .
bito in modo apparso in Occidente po¬
co comprensibile: mutamento di quadri,
dura repressione dei movimenti giovani- !
li. spiacevoli ritorni di antisemitismo. i
Poi è continuata questa politica del rie- 1
ciò, chiuso in se stesso, ricco di aculei '
contro la critica e la discussione, che \
non ha più la forza di affrontare, anzi 1
di stimolare, c di superare. Sono gli I
apparati che di fronte a duemila parole ^
fanno come fa il riccio. Ma è un modo
che porta ad invecchiare. Auguriamo
che anche questi paesi trovino i modi
per non invecchiare. donato»
16
Praga: rìiiiiioiw di iijlìt iali cccoslovim hi
PRAGA
la roulette
russa
E t unu continua altalena di iiltiina-
tuni e di pause cariche di tensio¬
ne. Una vera e propria roulette russa:
una pallottola nella pistola a tamburo,
col caricatore che gira in folle e l’uomo
che preme il grilletto senza sapere co¬
me va a finire. A Praga si vive in que¬
sta atmosfera. Un giorno sembra che i
sovietici siano ragionevoli, ma 24 ore
dopo diventano nevrastenici. Non è più
nemmeno guerra dei nervi, ò cinismo. I
dirigenti di Praga hanno molto sangue
freddo, ma non è concepibile che duri
cosi all'infinito.
La missione Kuznetsov. Quando il pri¬
mo vice-ministro degli esteri sovietico,
Vassily Kuznetsov, è arrivato da Mosca,
sembrava fosse un sintomo distensivo.
Un diplomatico e non un generale, e
nemmeno quell’ambasciatore Cervonen-
ko che aveva mantenuto rapporti illeciti
con Novotny spedendo al Cremlino rap¬
porti sulla “controrivoluzione” galop¬
pante. Sabato 7 settembre la l'ravda si
era improvvisamente calmata, quasi a
convalidare il carattere positivo della
missione Kuznetsov. Ma presto le spe¬
ranze cadevano. Domenica 8 la Prmxla
era nuovamente su tutte le furie: biso¬
gnava reprimere la “controrivoluzione”,
i dirigenti di Praga non dovevano farsi
alcuna illusione sul ritiro delle truppe
finche non avessero adottate misure
coercitive in Cecoslovacchia.
Li “controrivoluzione” deve essere
dimostrata. L spetta ai dirigenti pro¬
gressisti di Praga il compito ingrato. L’
.Svoboda
il prezzo della loro sopravvivenza politi¬
ca e forse fisica. Non erano forse que¬
sti gli “accordi” di Cicma, Bratislava e
Mosca?
H’ grave, estremamente grave, questo
preteso filo di continuità tra il compro¬
messo di Ciema e di Bratislava e il
diktat di Mosca imposto a Dubeek,
Smrkovsky, Cemik e gli altri costretti a
trattare da prigionieri, salvati dal presi¬
dente Svoboda, pronto a tutto, e da gli
operai che in patria erano decisi a usci¬
re armati dalle fabbriche. E’ grave per¬
ché i sovietici insistono nel tentativo di
scaricare sui dirigenti cecoslovacchi la
responsabilità di aver violato un’accor¬
do, che invece è stato violato dal
Cremlino. E’ grave perché ci sono per¬
sone a Mosca intestardite a “dimostra¬
re” a qulsiasi prezzo che la controrivo¬
luzione esisteva e non è stata inventata.
E’ grave perchè si tratta di una catena
di provocazioni e di ricatti che. un
giorno o l'altro, possono far esplodere
la Cecoslovacchia.
Il ricatto peggiore. Il ricatto più ignobi¬
le è quello di mettere uomini reali co¬
me Svoboda, Dubeek, Smrkovsky e
Cernik di fronte all’alternativa di incar¬
cerare degli inesistenti controrivoluzio¬
nari pur di salvare la Cecoslovacchia da
un massacro, da un ritorno in forze dei
carri armati, da un’Unglieria novembre
’56 dopo il fìnto ripiegamento di fine
ottobre.
Domenica 8 settembre Svoboda ha
convocato Dubeek, Smrkovsky, Cernik
e anche lo “scomunicato” Cisar per di¬
scutere le condizioni sovietiche. Nessu¬
no di questi uomini è disposto a salva¬
re la reputazione di Brezhnev ricaccian¬
do in galera i sopravvissuti delle epura¬
zioni staliniste e novotniane. Il ministro
della giustizia Kucera, lunedi 9. dichia¬
rava di essere pronto a riaprire “i pro¬
cessi di riabilitazione”, non i processi
che vorrebbe Mosca. La fierezza di que¬
sta gente è esemplare, non ha aggettivi
degni.
1
3D
>
c;
>
La risposta di Eliisak. I capi del Crem¬
lino hanno cercato di inventare una so¬
luzione di ricambio decente se Dubeek
e gli altri non accetteranno il ricatto. I
conservatori Kolder, Bilak, Svestka, l’il-
ler, Barbirek non hanno accettato di
firmare la lettera di “richiesta” dell’in¬
tervento svietico, che rimane anonima.
Indra, che i comandi sovietici gabellaro¬
no come il capo del nuovo “governo
operaio” cecoslovacco, sembra si trovi
tutt’ora a Mosca, screditato dai russi
benché la sua firma non sia apparsa in
calce ad alcuna “richiesta”. Il poliziotto
Salgovic, l’unico che abbia dato una
mano all’invasione, è “scomparso”, e il
/'race, l’organo dei sindacati cecoslovac¬
chi, ha spiegato che ha dovuto scappare
a Mosca (il partigiano Pavel. benché ab¬
bia perduto il dicastero degli interni,
non aveva poi tutti i torti nell’annun-
ciare che l’aveva destituito in piena oc¬
cupazione).
I sovietici hanno tentato di aggancia¬
re Gustav liusak, progressista, dieci an¬
ni di galera in periodo stalinista-no-
vtniano, nuovo segretario del PC in Slo¬
vacchia al posto di Bilak. Ilusak ha
molto prestigio, c fu il suo intervento
in comitato centrale, da c.\ galeotto, a
rovesciare Novotny dalla presidenza del¬
la Repubblica, dopo che Dubeek l’aveva
battuto per la segreteria del partito.
Quando Ilusak potè tornare in comita¬
to centrale si girò attorno e disse: “Al¬
cuni dei compagni processati sono qui
con noi. Vedo il compagno Smrkovsky,
il compagno Pavel... In galera eravamo
in buona compagnia... Poi ci scar¬
cerarono per amnistia, assieme agli ex
SS, ai membri della guardia Presi-
L'ASTROLABIO - 15 senembre 1968
17
I
deliziale di monsignor liso, agli spio¬
ni..”. Non riabilitati perchè comunisti
innocenti e onesti, messi fuori alla che¬
tichella perchè i tempi cambiavano.
llusak, come molti c,\ carcerati, non
è entrato nel “Club 231” {dall’articolo
del codice penale sul reato di tradimen¬
to c attentato alla sicurezza statale),
perchè sapeva che parecchia di quella
brava gente era esasperata e, per reazio¬
ne umana, era passata a destra, non
credeva più al socialismo. Queste sue
oneste dichiarazioni sono state montate
dalla Pravcla, e riferite in un contesto
parziale e censurato. Anche a Praga si è
seminato il sospetto su Husak, quasi
fosse un potenziale “collaborazionista”.
Kuznetsov si è scomodato ed è anda¬
to a riverirlo a Bratislava, capitale della
Slovacchia, dopo aver dettato a Dubeek
le condizioni sovietiche. L'incontro, lu¬
nedi 9 settembre, è stato “franco c da
compagni”, la formula identica adopera¬
ta per i colloqui forzati di Dubeek a
Mosca. Tutti hanno capito, a Praga, che
llusak deve aver rovesciato suH’incauto
diplomatico un torrente di ingiurie.
Qualcuno dubita ancora di lui. Ma
lon è ruomo che i sovietici cercano
nvano. Se dovesse andare al posto di
Dubeek, sarebbe un osso ancora più
Juro, solo Smrkovsky potrebbe superar-
o in questo.
La “Pravda” di Bratislava Significativa
la polemica tra due giornali dallo stesso
nome, ma che si stampano una a Mo¬
sca e l'altro a Bratislava. La Pravda di
Mosca (quella più conosciuta) s’è arrab¬
biata con la consorella slovacca. Quella
di Bratislava, infatti, aveva scritto che
le milizie operaie, gli organi di sicurez¬
za, e l’esercito — in Slovacchia non
avevano dovuto arrestare neanche un
contorivoluzionario, e tanto meno spa¬
rargli addosso, perchè controrivoluziona¬
ri, in circolazione, non se ne erano vi¬
sti. liceo un esempio di inettitudine e
di scarsa vigilanza, tuonava l’organo
moscovita.
La Pra\'da di Bratislava è il giornale
di llusak, segretario del PC slovacco.
Un altro “buco” nella ricerca di colla¬
borazionisti decenti, che non siano al
livello di Salgovic.
Sei mesi di tempo, llusak aveva detto,
tornando da Mosca; “Lasciateci sci me¬
si di tempo, sci mesi soltanto..”. In
pratica lo stesso discorso di Smrkovsky,
che su queste colonne abbiamo già rife¬
rito. Si sbagliano o hanno compiuto
una fredda analisi, calcolando le con¬
traddizioni insanabili del Cremlino?
Da Mosca continuano ad accavallarsi
notizie di dissensi nel gruppo di vertice.
L’isolamento sovietico comincia a pesa¬
re, c le “colombe” alla Kossigliin sta¬
rebbero cercando di salvare, anche loro,
il salvabile, proprio come i. dirigenti di
Praga.
Come andrà a finire non si può pro-
18
nosticare. I “falchi” (i “duri ’ dalla par¬
te sbagliata, che compromettono anche
le sorti del Vietnam) sono ancora forti.
Ma stanno giocando una partita perico¬
losa. La brutale politica di potenza, in
difesa della burocrazia nco-stalùiista,
distrugge il prestigio dei Soviet. Dovran¬
no occupare tutta l’Europa orientale
per imporlo? E anche a tale prezzo,
che cosa si salverebbe degli ideali del¬
l’ottobre ’17?
La Grecia antica seppe civilizzare,
benché conquistata, perfino una parte
dei romani. Nei limiti di quei tempi.
Oggi le idee corrono più svelte. E non
c’è carro armato che tenga. ■
GERMANIA
la svolta
di agosto
n queste settimane molto si è parla¬
to del ruolo che, nell’invasione della
Cecoslovacchia, avrebbe avuto Walter
Ulbricht. Pure, di una cosa almeno si
può essere sicuri: che la crisi cecoslo¬
vacca ha brutalmente interferito con
un’iniziativa che si presentava sotto i
migliori auspici c che avrebbe segnato
un importante passo avanti nella nor¬
malizzazione dei rapporti fra le due
Gemianie. Da molto tempo le relazioni
Bonn-Berlino Est non erano state cosi
buone, come nei giorni che precedette¬
ro immediatamente l’invasione della Ce¬
coslovacchia. Tutto era cominciato il 9
agosto, con una dichiarazione di Ulbri¬
cht davanti alla Camera della Repubbli¬
ca democratica tedesca, che avrebbero
potuto esserci dei negoziati tra il mini¬
stro tedesco-orientale del Commercio
estero e quello occidentale dell’Econo-
mia. Tali negoziati avrebbero dovuto
vertere su un aumento di crediti (da
parte della Repubblica federale tedesca)
al commercio interzonale, sul regola¬
mento del contenzioso relativo e su fa¬
cilitazioni all’csjxirtazione dei carburanti
e lubrificanti dalla RDT alla RFT. com¬
merciali con la RFT, avrebbe potuto
farlo neU’ambilo di una politica comu¬
ne del blocco comunista, senza prende¬
re iniziative eterodosse.
Un’altra ipotesi, naturalmente, potreb¬
be essere quella che il processo di di¬
sgregazione del blocco stesso era ormai
arrivato cosi in là che lo stesso Ulbri¬
cht possa aver sentito il bisogno di
prendersi una qualche contro-assicura¬
zione ad Ovest. Ma, infine, tutte queste
ipotesi sono state superate da un fatto
che può apparire paradossale solo a chi
abbia dimenticato le buone usanze del¬
l’epoca stalinista, ossia che, il giorno
stesso deH’invasione della Cecoslovac¬
chia, l’invito è stato rinnovato. Questo
significa, in pratica, che probabilmente
non c’è mai stata alcuna relazione fra
le due cose, e che la coincidenza cro¬
nologica non è che una delle tante ma¬
nifestazioni di quella “doppia morale”
che, fin dalle origini, è stata una delle
caratteristiche della diplomazia sovieti¬
ca. E’ ovvio che, per uno stalinista
come Ulbricht, un’operazione di polizia
come quella di rimettere al passo la
Cecoslovacchia non ha nulla a che ve¬
dere con le relazioni intemazionali. Ci
troviamo, quindi, di fronte ad una ma¬
nifestazione particolarmente netta del
cuim regiu eitis religio, un principio
che ad un tedesco colto - quale certa¬
mente è Ulbricht dovrebbe essere fa¬
miliare, anche senza ricorrere ai prece¬
denti diplomatici degli anni trenta.
I limiti della Ostpolitik. Ma, indubbia¬
mente, ci vuole tutta la disinvoltura di
Ulbricht per credere, o far finta di cre¬
dere, che la Ostpolitik non abbia rice¬
vuto un colpo mortale dagli avvenimen¬
ti di Cecoslovacchia. Cominciata trion¬
falmente con la visita di Manescu a
Bonn (30-31 gennaio 1967) e il conse¬
guente scambio di ambasciatori (23
maggio 1967) tra la Romania e la
RFT, la Ostpolitik stava riportando in
Cecoslovacchia un nuovo, clamoroso
successo. Dopo le accoglienze trionfali
di Tito e Ceausescu a l’raga, dopo la
dichiarazione (U Cemik alla radio au¬
striaca che la » Cecoslovacchia avrebbe
accettato crediti dall’Occidente, il can¬
celliere Kiesinger poteva parlare di un
blocco neutralista Praga-Bucarest-Bel-
grado: probabilmente, fu proprio que¬
sto eccessivo successo che perdette la
Cecoslovacchia.
Concepita com’era, frutto di un com¬
promesso tra Willy Brandt e gli oltran¬
zisti della CDU (Strauss-Schroeder), con
Kiesinger in veste di mediatore, la
Ostpolitik aveva un vizio d’origine, cui
recentemente, sé ne era aggiunto un
altro. Il primo, e fondamentale, era
che, non essendo associata ad una so¬
lenne dichiarazione della RFT di non
mirare alla modifica dello status quo
Itrandt
l
t
I
»
Berlino: il busto dcU'liiiiKratore
territoriale dell’Europa centro-orientale,
lasciava adito al sospetto di mirare pro¬
prio a quello, ossia alla riunificazione
della Germania attraverso il progressivo
isolamento diplomatico della RDT. 11
secondo - più recente, accessorio e
forse transitorio, ma che, nondimeno,
deve aver avuto anch’esso una parte
non trascurabile nel momento della cri¬
si - è stato la riluttanza (della cui
opportunità intrinseca non vogliamo di¬
scutere in questa sede) della RFT a
firmare il trattato di non proliferazione
nucleare. E' dubbio se l'URSS accetterà
mai la riunificazione della Germania in
cambio del suo disarmo; non ci posso¬
no essere dubbi sul fatto che non ac¬
cetterà mai una Germania al tempo
stesso unita e armata.
Queste contraddizioni ponevano alla
Ostpolitik un limite invalicabile: l’URSS
non avrebbft mai consentito alla RFT
di distruggere i risultati della seconda
guerra mondiale. La fin de non recevoir
opposta da Mosca, ai primi di luglio,
alla proposta tedesco-occidentale di un
patto reciproco di non ricorso alla vio¬
lenza, suonava come un avvertimento,
che purtroppo non deve essere stato
compreso, allora, in tutto il suo valore.
Ci si può porre, naturalmente, la do¬
manda se l’URSS, per salvaguardare
l’assetto territoriale emerso dalla secon¬
da guerra mondiale, sia disposta a ri-
scliiame un altra. La domanda è ango¬
sciosa, ma, probabilmente, essa non è
stata veramente attuale durante la crisi
cecoslovacca. Dalla pratica ormai ven¬
tennale del confronto condotto per in¬
terposta persona (attraverso gli esempi
della Corea, Cuba, il Vietnam. San Do¬
mingo ecc.) è emerso che gli eventuali
scontri anilati conseguenti a tale con¬
fronto si mantengono nelle dimensioni
della persona interposta: va in frantumi
il vaso di coccio, ma i vasi di ferro che
ne hanno provocato la rottura non si
toccano fra di loro. Si può discutere
sulla validità universac di questa tesi,
ma non c’è dubbio sul fatto che i diri¬
genti sovietici, nel calcolare i rischi ine¬
renti all’operazione cecoslovacca, non
l’abbiano presa per buona.
Bonn e la crisi cecoslovacca. Ila destato
molta emozione nella RFT (cui ha fat¬
to riscontro, in modo abbastanza in-
il rebus
di pankow
I Pankow-Astrologen, gli "esperti" occi¬
dentali della politica di UIbricht, sono
in crisi. Le informazioni che giungono da
Berlino orientale non sono, come al solito,
semplicemente contradditorie. Questa volta
— dopo l'intervento sovietico in Cecoslo¬
vacchia non corrispondono alle necessità
propagandistiche dell'industria manipolativa
tedesco-occidentale. Il tutto iniziò con
un'indiscrezione, raccolta a Berlino Ovest
da un giornalista di Der Spiegel, secondo la
quale le truppe della Volksarmee di UIbri-
cht non sarebbero entrate in Cecoslovac¬
chia: per evitare reazioni antitedesche nella
popolazione, i pretoriani di UIbricht avreb¬
bero invaso il territorio cecoslovacco solo
sulla carta. La fonte dell'indiscrezione: un
alto ufficiale dell'armata sovietica.
Seconda indiscrezione, ancora più spiace¬
vole per i propa^ndisti di Bonn, raccolta
da giornalisti occidentali in circoli diploma
tici rumeni e jugoslavi qualche giorno dopo
l'intervento: il gruppo dirigente della SED
— con Walter UIbricht in testa — si sarebbe
opposto fino all'ultimo minuto alla presen¬
za di truppe della ROT nella Cecoslovac¬
chia.
La stampa tedesco-occidentale, sostenuta
dai comunicati ufficiali del governo della
RDT, ha ignorato le indiscrezioni acco¬
gliendo a braccia aperte le informazioni
raccolte dal servizio di spionaggio militare
della Bundeswehr, secondo il quale la set¬
tima divisione corazzata di Dresda e la un¬
dicesima divisione motorizzata di Erfurt
avrebbero partecipato all'invasione (rima¬
nendo però solo 10 giorni sul territorio
cecoslovacco). Un gruppo di giornalisti del
secondo programma televisivo di Bonn, un
inviato del giornale di Springer Die Welt e
lo scrittore Kuby per il settimanale illustra¬
to Sterri, sguinzagliati dai loro padroni, su¬
bito dopo l'intervento, alla caccia del tede¬
sco invasore, sono tornati a mani vuote.
Hanno battuto per quasi una settimana il
territorio incriminato senza riuscire a trova¬
re alcuna traccia di truppe tedesche.
Come si spiega tutto ciò?
Che il gruppo dirigente della SED fosse
stato, fin dall'inizio, favorevole ad un inter¬
vento armato è certamente fuori dubbio.
Già due mesi orsono un ufficiale della
Volksarmee aveva detto ad un giornalista
svizzero in visita a Berlino Est che "le
truppe del Patto di Varsavia, verso la fine
dell'estate e con la scusa di manovre già da
tempo previste", avrebbero "occupato il
territorio cecoslovacco". Le nuove ten¬
denze sostenute dal gruppo Dubeek avreb¬
bero condotto "oggettivamente" la Ceco¬
slovacchia ad una situazione "militarmente
ed economicamente insostenibile per i
paesi socialisti".
Per i dirigenti di Pankow, il dilemma si
acutizzò quando, dopo la visita di Gret-
schko e Jakubowski a Berlino Est (merco-
ledr 14 agosto), vennero discussi i partico¬
lari dell'inten/ento. Molto probabilmente
gli uomini di UIbricht si dichiararono con¬
trari alla presenza di truppe tedesche. Sia
dal punto di vista "legale", che da quello
tattico e propagandistico, la presenza dei
tedeschi avrebbe avuto certamente delle
conseguenze catastrofiche.
All'ultimo momento si giunse al compro¬
messo le per alcuni giorni, a Berlino Est,
circolò la voce che, per questo motivo,
UIbricht fosse stato messo "in quarantena"
da alcuni dei suoi d'accordo coi capi del
Cremlino). Ufficialmente le truppe della
Volksarmee avrebbero partecipato all'inter¬
vento, per dimostrare l'unità dei paesi so¬
cialisti ortodossi, mentre in realtà solo al¬
cune unità specializzate in telecomunica¬
zioni e singoli ufficiali, normalmente aggre¬
gati all'armata rossa, avrebbero superato il
confine Cecoslovacco.
E cosf probabilmente avvenne. Che il
compromesso non sia servito a nujia, che la
presenza o no di truppe tedesche non cam¬
bi nulla alla gravità del fatto, tutto ciò non
ha bisogno di essere dichiarato esplicita¬
mente. E' solo un latto marginale che ri¬
conferma il clima kafkiano, sia a Pankow
che al Cremlino, in cui sono state prese le
decisioni di queste ultime settimane.
,C. P.
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
Berlino Lst:
la sfilala del / maggio
!
spiegabile, la pressoché totale indiffe¬
renza degli altri paesi occidentali) la
giustificazione ufficiale addotta dal-
l’URSS al proprio intervento in Ceco¬
slovacchia, ossia che tale intervento era
dovuto a motivi strategici, e che, giuri¬
dicamente, era giustificato dagli articoli
53 c 107 della Carta dell'ONU (secon¬
do i quali uno Stato-membro può pren¬
dere, anche senza consultare il Consi¬
glio di sicurezza, le iniziative che ritie¬
ne necessarie, qualora si creda minaccia¬
to da un ex-nemico). L'emozione è sta¬
ta. naturalmente, più grande anche per¬
chè tale giustificazione è stata accompa¬
gnata da una campagna propagandistica
tendente a far ricadere sulla K1 T la
Lo spray anli-nay.i
colpa originale della crisi. Pure, la nota
di protesta rimessa il 2 settembre dal¬
l’ambascia toro sovietico a Bonn,
Zarapkin, al governo federale, in se¬
guito alla dichiarazione, fatta il 25 ago¬
sto da Kiesinger alla radio tedesco-
occidentale, che la RFT non poteva
aderire alla dottrina sovietica del man¬
tenimento indefinito dello status quo, è
stata generalmente interpretata, mal¬
grado il suo tono duro, come un espe¬
diente per far capire ai dirigenti te¬
desco-occidentali che rURSS non ha
intenzioni aggressive nei riguardi della
RFT. Anche in questo caso, non sa¬
rebbe esatto parlare di doppiezza;
l'invasione della Cecoslovacchia è stata
effettivamente un atto di guerra contro
la RFT (donde la necessità, secondo la
complicata mentalità legalistica della
diplomazia sovietica, di richiamarsi ai
due articoli della Carta dell’ONU, cui
nessuno omiai pensava più) ma, d'altra
parte, i sovietici sono perfettamente
sinceri quando affermano di non aver
alcuna intenzione di minacciare il ter¬
ritorio attuale della RFT.
Come reagirà la Gemiania Occidentale
a questa nuova situazione? Per il
momento, nemmeno i contatti in corso
con la RDT sono stati interrotti, anche
se, ovviamente, sono stati affidati ad
un alto funzionario, non essendoci più
le circostanze adatte per compro¬
mettervi un ministro. Brandt si è recato
alla conferenza di Ginevra dei paesi
non-nucleari e vi ha rilasciato dichia¬
razioni molto moderate: la distensione
rimane sempre l’obiettivo principale del¬
la Grande coalizione, e persino il trat¬
tato di non-proliferazione potrebbe es¬
sere fimiato (per quanto non subito),
purché la RFT riceva adeguate garanzie
che ciò non compromettcra la sua si¬
curezza nazionale, le sue possibilità di
applicazione pacifica dell’energia nu¬
cleare, non sia in contrasto con il pro¬
cesso di unificazione europea e rap¬
presenti il primo passo verso un disar¬
mo reale. Brandt si è anche richiamato
espressamente, a questo proposito, al
piano Rapacki. Dietro la moderazione e
10 spirito di iniziativa di Brandt scal¬
pitano, tuttavia, Straiiss e Schroeder,
per i quali la sola lezione che si possa
trarre dagli avvenimenti cecoslovacchi è
11 rilancio deH’atlantismo.
Una via senza uscita. Quale che sia la
volontà delle persone che attualmente
dirigono la politica estera della RFT,
risulta molto difficile pensare alla
Ostpolitik come a qualcosa che abbia
ancora un avvenire (a meno, s’intende,
di novità non dipendenti da un sem¬
plice atto di volontà del governo te¬
desco). La lezione degli avvenimenti ce¬
coslovacchi è di averci fatto toccare
con mano quanto limitata sia l’auto¬
nomia in politica estera (potremmo
anche dire la sovranità nazionale) delle
potenze minori. Tale autonomia era
praticamente nulla per un piccolo paese
come la Cecoslovacchia, ma non è. evi¬
dentemente, molto grande neppure per
la RFT. Comunque la si voglia giu¬
dicare, la Ostpolitik è stata il primo
tentativo di una cer<a ampiezza e il
primo che avesse dato qualche risultato
— per superare l’anchilosi dell’Europa
conseguente all’assetto determinatosi tra
il 1944 e il 1949.
Massima proccupazione dei dirigenti
sovietici, dopo l’invasione della Cecoslo¬
vacchia, è stata quella di affermare che
tale episodio nulla avrebbe cambiato
dei rapporti con l’Occidente. Ma è pro¬
prio in questo “nulla” che sta il veleno
dell’argomento, giacché l’Occidente può
considerare l’occupazione della Cecoslo¬
vacchia come un fatto che non lo ri¬
guarda, come una semplice operazione
di polizia aH’interno dell’“impero” so¬
vietico, solo a patto di ammettere resi¬
stenza di tale “impero”, il che signifi¬
cherebbe, in pratica, ritornare ai giorni
peggiori della guerra fredda. Questa vi¬
sione può essere accettata o respinta,
ma è evidente che, se la si accetta, la
Ostpolitik è finita per sempre.
Una situazione del genere può essere
gravida di conseguenze per la RFT.
Scoprire la propria impotenza, per un
paese che nel passato ha avuto più vol¬
te la tentazione della Machtpolitik, non
è mai un’esperienza facile da digerire.
D’altra parte, se la RFT seguisse la ten¬
tazione gollista delfautosufficienza mili¬
tare, amiamento nucleare compreso, im¬
boccherebbe una strada molto pericolo¬
sa, senz’altro sbocco prevedibile che
una nuova guerra con l’URSS per il
Lebensraum dell’Europa orientale.
Tra la tentazione di un neo-immobili¬
smo atlantista e quella di un’avventura
a fondo cieco, l’avvenire della Germania
si gioca forse più a Parigi (dove Brandt
ha avuto un incontro interlocutorio con
Dcbré il 7 settembre, mentre è attesa
una visita di De Gaulle a Bonn, per il
27-28 settembre) che a Bonn; in ogni
caso, esso dipende dalle alternative clic
sapranno offrirle i suoi alleati europei
ALDO GIOBBIO ■
1
20
la rivoluzione
culturale è finita?
Mao ha licenziato
le guardie rosse?
Cosa significa l’annuncio di
radio Pechino sulla
“vittoria totale e
definitiva’,’ della rivoluzione
culturale?
I l 6 settembre Radio Pecliino ha an¬
nunciato la vittoria totale e definiti¬
va della “rivoluzione culturale”. Manca¬
vano due importanti regioni autonome
neH'elenco dei territori “conquistati”
dai comitati rivoluzionari; il Sinkiang e
il Tibet. A partire dal 6 settembre
“tutta la Cina si è tinta di rosso, ad
eccezione di Taiwan” (l’isola di Kormo-
sa in mani di Ciang Kai-scek o. meglio,
in mani americane).
^ La “rivoluzione culturale” è dunque
Imita? Mao ha licenziato le guardie
rosse? Mi pare più esatto dire che la
“rivoluzione culturale” ha raggiunto il
traguardo, non facile, di dare un’ossatu¬
ra e un’organizzazione unitaria a un
paese vastissimo che, secondo l’ultimo
dato ufficiale, conta 712 milioni di abi¬
tanti (300 in più di Unione Sovietica e
Stati Uniti messi assieme).
Che significa organizzazione unitaria?
Che la Cina era nelle mani dei “signori
della guerra” e che il potere centrale
Ira dovuto riannettersela pezzo per pez¬
zo, come un immenso mosaico? E’ la
tesi di certa stampa occidentale che ha
visto, nelle lotte politiche di questi an¬
ni, un’esplosione di continue guerre ci¬
vili, scontri annati, battaglie sanguinose,
feroci e spietate lotte di fazioni. Il
mondo intero è stato riempito da una
letteratura a valanga di pseudo-esperti,
incaricati di descrivere la Cina in preda
al terrore c all’autosterminio. Le cifre
sono rimbalzate, dall’ima all’altra capi¬
tale, gonfiandosi di zeri. Poche settima¬
ne fa si parlava di 60 mila morti, e a
distanza di poche ore erano diventati
60 milioni. Perfino i giornali più fega¬
tosi, neH’ultimo caso, hanno avuto rite¬
gno a “montare” la cifra colossale an¬
nunciata a Taipeh (Fonnosa) e diffusa
da un dispaccio di poche righe del¬
l’agenzia americana Associated /Wss.
La “violenza” cinese. C’è stata violen¬
za? 1 cinesi dicono di si, e Mao Tse-
tung afferma che la rivoluzione non è
una scampagnata o un ricevimento. Su
queste basi, e giocando con i teniiini
simbolici della lingua cinese, cui s’è ag¬
giunta la fraseologia militare di quel
partito comunista nato e cresciuto in
una guerra vera di liberazione durala
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
21
22 anni (dal 1927 al 1949), molti si
sono ritenuti autorizzati a tradurre alla
lettera gli slogans sulle "battaglie per la
conquista del potere”. I sinologlii veri,
dall’osservatorio di Hong Kong, hanno
faticato non poco a spiegare agli inviati
di mezzo mondo, giunti alle porte proi¬
bite della Cina, che certe “notizie” an¬
davano tradotte, e interpretate, alla lu¬
ce di una elementare cognizione del
modo di esprimersi dei cinesi. I giorna¬
listi più provveduti e onesti lo hanno
capito dopo i loro sondaggi a Hong
Kong, e hanno avuto il merito di rico¬
noscerlo pubblicamente. Ma, senza la
Cecoslovacchia, quest’estate avremmo
certamente avuto nuovi massacri in Ci¬
na, altri impiccati ai lampioni di Can-
ton (che erano poi pupazzi raffiguranti
gli avversari politici), e altri cadaveri
nella rada di Hong Kong (ne sono arri¬
vati, ma per effetto di una disastrosa
alluvione, solo che la notizia delle inon¬
dazioni è stata data senza alcun rilievo
da certe pubblicazioni occidentali che
avevano fatto, a Hong Kong, un maca¬
bro commercio di foto con agenti di
Ciang Kai-scek incaricati di ripescare i
morti per legarli e imbavagliarli).
Episodi di violenza fìsica tuttavia ve
ne sono stati, in due anni di aspra
lotta politica, non sempre controllabile
da un esercito disarmato (testimonianza
raccolta onestamente, a suo tempo,
anche da giornalisti italiani come Caval¬
lari del Corriere della Sera Igor Man
della Stampa e Paternostro del Giorno).
Un esercito disarmato che doveva inter¬
venire quando la lotta politica degene¬
rava e i sostenitori dell’una o dell’altra
tendenza, per immaturità, venivano alle
armi.
Però la Cina rimane un territorio
proibito agli stranieri, e chi può pren¬
dere per oro colato il giudizio degli
esperti di Hong Kong, quelli veri e non
prezzolati? Ai;che le analoglie notizie
provenienti dalTc ambasciate di Pechino,
e dagli uffici commerciali, potrebbero
essere minimizzate per mantenere buoni
rapporti e utili scambi economici. Cer¬
to: restano in pochi a costruire roman¬
zi gialli, e lo fanno per lo più in perio¬
di di magra di notizie giornalistiche.
Ma, se non si possono prvare i massa¬
cri. come provare il contrario? Pechino
stessa ha annunciato alcune fucilazioni
di agenti’ del Kuomintang e, benché
tutti i governi sappiano che a Formosa
non sono stati con le mani in mano,
come èsser certi che le esecuzioni pub¬
bliche erano limitate a sabotatori sbar¬
cati sul continente o a qualche cinese
che, nel corso della “rivoluzione cultu-
ra)c”, non aveva rispettato l’ordine pre¬
ciso di non usare la violenza fìsica fino
a provocare incidenti e ad uccidere un
avversario?
Chi nc sa qualcosa e parla in buona
fede sostiene che nel corso di tutta la
“rivoluzione culturale” non si sono re¬
gistrate più vittime di quante non se ne
siano lamentate in una sola città ameri¬
cana in una sola giornata di “estate
calda”. tale stregua gli Stati Uniti
sarebbero immersi in una guerra civile
di proporzioni immani, se il temiine
guerra civile dovesse applicarsi alla Ci¬
na. Ma a Pechino sono indifferenti a
tutte le montature occidentali — e so¬
vietiche purtroppo — e dicono che la
verità verrà a galla, che non c’è niente
da nascondere, ma non è necessario ri¬
battere a ogni frottola. Non hanno tor¬
to dopo tante denigrazioni, e non han¬
no neppur torto a rifiutare i visti alla
stampa estera dati i precedenti. Pur¬
troppo, a danno dei cinesi, gioca l’eti¬
chetta di “stalinismo” impressa con
troppa facilità alia loro “rivoluzione
culturale”. Anche nella Russia di Stalin
non sembrava ver, ed invece era peg¬
gio di quanto si raccontava.
L’etichetta stalinista. E’ proprio il para¬
gone con lo stalinismo che distorce l’in¬
terpretazione della realtà cinese. In
Russia si era scatenata la violenza fìsica
durante le “purglie”. In Cina le epura¬
zioni hanno avuto il carattere di violen¬
za morale: se non gli veniva torto un
capello, l’avversario era dileggiato e co¬
perto di cartelli infamanti, costretto per
ore a subire l’atto di accusa di una
folla di attivisti i quali pretendevano
l’“ autocritica”. Qualcuno certamente
non ha retto a questa violen7.a morale,
su alcuni più atroce, per l’umiliazióne
inferta, di una violenza fìsica vera e
propria. Era “necessario” tutto questo?
Il partito, Mao, Lin Piao, Ciu En-lai,
hanno spesso duramente criticato tale
ricorso al metodo di mettere l’avversa¬
rio alla gogna, di antica ma spietata
tradizione contadina. Perché, tuttavia,
non lo hanno impedito?
La risposta dei cinesi che sanno “tra¬
durre” i termini occidentali il perché di
tali eccessi è che la degenerazione buro¬
cratica del partito doveva essere colpita
nella maniera più indolore, ma in modo
che la lezione risultasse esemplare e lo
sfogo delle masse potesse esprimersi
almeno “a un passo di distanza” dalla
violenza fìsica. Era il modo per impedi¬
re esplosioni incontrollabili, da una par¬
te, e l’impunità dei burocrati incalliti,
dall’altra. I cinesi si erano accorti che il
partito si andava sovrapponendo alle
masse, che la “linea di massa” veniva
applicata in astratto, che i dirigenti -
quand’erano criticati — si facevano la
regolare “autocritica” ma tutto restava
come prima. Le strade erano due: la
repressione di tipo stalinista, sulle mas¬
se e su una parte della burocrazia, con
il risultato di legalizzare una dittatura
“sul proletariato”; oppure uno scossone
severo a tutta l’impalcatura burocratica,
a prezzo degli eccessi indicati, pur di
uscire dalla spirale dell’esercizio autori¬
tario burocratico del potere; e in un
paese ancora strutturalmente contadino
era giocoforza ammettere temporanea¬
Alau
mente il ripristino di forme di pressio¬
ne elementari, e non di semplice “per¬
suasione” come era stato l'indirizzo del
partito fino alla “rivoluzione culturale”.
In poche parole la burocrazia non si
lasciava “persuadere”, e aveva giocato
d’astuzia durante le precedenti “campa¬
gne di rettifica”, ammettendo gli errori
soltanto a parole e continuando a guar¬
dare dall’alto in basso la popolazione.
Questa volta doveva guardarla “dal bas¬
so in alto”, anche a costo di inginoc¬
chiarsi (letteralmente) in mezzo alla fol¬
la.
Queste spiegazioni hanno senso pen¬
sando alla struttura sociale della Cina,
dove anche la classe operaia è di estra¬
zione contadina e di fonnazione recen¬
te. Tuttavia si comprende che l’indiriz¬
zo seguito è stato l’oppostO' dello stali¬
nismo, e che perciò tale etichetta non
è applicabile alla Cina della “rivoluzio¬
ne culturale”.
Mao dice che occorrono almeno due
o tre “rivoluzioni culturali” ogni secolo
per sradicare la pianta burocratica ed
estirparne le radici. E’ chiaro che le
future “rivoluzioni culturali” saranno
adottate (se lo saranno) in un contesto
sociale diverso e, quindi, con metodi
diversi, più comprensibili alla nostra
mentalità.
Studenti e operai. La “rivoluzione cul¬
turale” germogliava da tempo, fin da
quando il partito, nel 1957-’58, aveva
cominciato ad affrontare il problema
urgente deH’industrializzazione con il
“balzo in avanti” sabotato dai sovietici.
Mao aveva accettato di buon grado, nel
’56, di unirsi alla sconfessione pubblica
di Stalin (con gli articoli “A proposito
della dittatura del proletariato”, pubbli-
22
cali dopo il XX congresso di Mosca).
Mao in realtà aveva anticipato la scon¬
fessione con la pratica e con discorsi
“interni" di partito precedenti il vente¬
simo; non fu mai stalinista in tutta la
sua vita (e qui non è necessario tornare
sull’indipendenza dei comunisti cinesi,
impersonata dal gruppo dirigente attua¬
le, fin dal’inizio della guerra civile do¬
po i massacri operati dai nazionalisti di
Ciang nel 1927). Tuttavia la Cina, nel
’57 e ’58 (“cento fiori” e “grande bal¬
zo”), tentando di combinare un sistema
di “democrazia socialista” con un pro¬
cesso d’industrializzazione che non
consentiva ritardi - pena la stagnazione
e poi la paralisi che colpi l’India — si
accorse che il secondo obiettivo era più
urgente del primo, per la sopravvivenza
stessa del paese.
Fu allora che Liu Sciao-ci (né stalini¬
sta ne kruscioviano malgrado le etichet¬
te diverse che circolano su di lui al¬
l’estero o in Cina) ottenne di congelare
i “cento fiori”, dando poteri discre¬
zionali alla burocrazia politica ed eco¬
nomica. Si rischiò la rottura fra partito
e masse, il fallimento economico (s-
oprattutto quando Krusciov nel ’60 riti¬
rò i tecnici e tutti i progetti degli im¬
pianti industriali). Si presentava dram¬
matica la scelta fra lo stalinismo e
qualcosa di completamente diverso. Liu
Sciao-ci, dopo aver oscillato in direzio¬
ne dello stalinismo, cercò soluzioni più
umane e razionali dando maggiori pote¬
ri alla burocrazia economica. Ma non
era una soluzione di “democrazia socia¬
lista” (lo vediamo oggi in URSS, che
pure ò a livelli industriali altissimi).
Nacque perciò l’idea della “rivoluzione
culturale”, una combinazione dei “cen¬
to fiori” con la mobilitazione intensiva
di massa per la produzione. Liu Sciao-
ci non credeva in tale esperimento, lo
giudicava illusorio. Come poteva un po¬
polo contadino imparare contempora¬
neamente a esercitare il potere e a pro¬
durre, a far politica e a lavorare? Una
cosa dopo l’altra, con gradualismo, e
prima era necessario lavorare.
Mao ha fatto leva sugli studenti (figli
di operai e di contadini) come fattore
umano da plasmare e rendere esplosivo,
culturamente in grado di assorbire la
sua parola d’ordine. L’esercito, catechiz¬
zato da Lin Piao in senso quasi mona¬
stico, era la carta di riserva del regime
se resperimento fos.se fallito, e la lotta
anti-burocratica avesse scatenato il caos.
Nell’agosto del ’66 nascevano le guar¬
die rosse, e iniziavano la loro “conte-
stazione”: primi assalti alla burocrazia
di partito, intellettuale ed economica.
Ma l’ingresso nelle fabbriche, ai primi
del ’67, non era facile: gli operai, molti
dei quali avevano fatto la rivoluzione
vera, non volevano prender lezione da
questi “presunfuosi”. Nel gennaio del
’67 c’erano i grandi scioperi di Scian-
gai, prò e contro r“economicismo” (la
linea Liu Sciao-ci), prò e contro la “ri¬
voluzione” degli studenti. Poco alla vol¬
ta, fase per fase, città per città, regione
per regione, si muoveva la classe ope¬
raia, la più esposta alla “suggestione
economicistica” (gli incentivi). 1 conta¬
dini erano già abituati, per generazioni,
a tirare la cinghia, ed era più facile
convincerli a lavorare senza chiedere
troppo in cambio, per dare allo Stato i
fondi da accumulare per gli investimen¬
ti nell’industria. Ma gli operai, e i con¬
tadini che si urbanizzavano, scoprivano
un mondo diverso da quello tradiziona¬
le: in fabbrica si poteva guadagnare di
più, ed era umano chiedere di più.
La lotta fra le “due linee” è stata
dura: le guardie rosse parlavano di pri¬
mato della politica, di produrre di più
e di vivere in austerità per il progresso
economico della Cina, di combattere le
tendenze “economicistiche” e i burocra¬
ti che negli uffici di partito o in quelli
di fabbrica avrebbero dato con una ma¬
no un incentivo maggiore ma con l’al¬
tra avrebbero tolto agli operai ogni di¬
ritto rivoluzionario di controllare la ge¬
stione. Sono volati schiaffi e molte
guardie rosse hanno dovuto incassarli,
malgrado la loro offerta di lavorare in¬
sieme perché era più importante la fab¬
brica dell’università.
Poco alla volta, in mezzo a errori di
estremismo e di infantilismo, i giovani
“predicatori” sono stati presi sul serio.
E gli operai hanno fatto la rivoluzione
sul serio, accettando la linea maoista.
La rivoluzione cinese, iniziata e vinta
nelle campagne, attraverso gli studenti
era entrata in fabbrica e conquistava le
città. E’ durato due anni questo proces¬
so di lenta conquista che, pur trovando
un terreno fertile, si scontrava inevita¬
bilmente con la coscienza sindacale
degli operai delle città. Alla fine Mao-
Tse-tung sembra averla spuntata. Nel¬
l’agosto ’68 può diclùarare che la classe
operaia è alia testa della “rivoluzione
culturale”, e che i giovani, ora, debbo¬
no imparare dagli operai (e dai contadi¬
ni e dai soldati) come si passa dalle
parole ai fatti. Tutto ciò in un conte¬
sto intemazionale drammatico sul quale
ci siamo più volte soffermati.
Ora le guardie rosse hanno compiuto
la loro parte. Sono state licenziate?
Direi che tornano a scuola, a parte
quelle che sono state assunte in fabbri¬
ca, e a scuola, a impadronirsi della
scienza c della tecnica, vanno anche
molti operai invitati, da Mao, a portare
una loro nuova “contestazione” nel
mondo accademico. C’è una specie di
ricambio o, se si vuole, di cambio delle
parti: la classe operaia riprende la pro¬
pria fisionomia di forza motrice della
rivoluzione (in linea anche con i “sacri
testi”).
L’esperimento è stato indubbiamente
singolare, e Mao non ha rispettato alcu¬
na “ortodossia”. Però ha raggiunto ì
suoi scopi: battere la burocrazia, evitare
lo stalinismo, ottenere il consenso ope¬
raio nello sforzo immane di industrializ¬
zare la Cina, con gli operai convinti e
non irreggimentati alla maniera di Sta¬
lin. Se questa non è una rivoluzione,
non saprei come definirla. Finora non
c’erano riusciti, in analoghe cndizioni.
in nessun paese.
Questa vittoria maoista cambierà pro¬
babilmente molte cose. Più si rivelerà
salda e profonda, stabile e non effime¬
ra, più rapidamente cadranno le “sco¬
muniche” all’interno e all’estemo. Una
Cina sicura del proprio cammino non
avrà più bisogno di miti e di “culti”, e
nemmeno di rinchiudersi in se stessa:
potrà confrontarsi con gli altri senza
ostilità e senza rancore, l^urchè non sia
costretta a fare la guerra: la grande
incognita restano il Vietnam e la strate¬
gia d’aggressione degli americani in
Asia.
L. Va. ■
IVclùno: numijcstazionc Ji nuarJif rosa’
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
23
wàim
MEDIO ORIENTE
cresce
la paura
L e decisioni prese dalla Lesa araba
a Khartoum nell’agosto lv67 non
sono mai state ufficialmente ripudiate,
ma possono dirsi di fatto superate. Le
conuizioni in cui si presenta a tanta
distanza di tempo dalla guerra dei sei
giorni il rapporto fra arabi ed Israele
sono evidentemente troppo diverse, sia
per le conseguenze anche politiche del
^‘consolidamento” delle occupazioni ter¬
ritoriali, sia per lo spostamento della
lotta degli arani verso una guerriglia più
specificamente “palestinese , sia per le
divergenze che sono affiorate di nuovo
aspre fra gli arabi dopo l'unanimità di
facciata salvata nel clima d’emergenza.
La esigenza di un riesame delle posizio¬
ni arabe era perciò naturale: era lo sco¬
po che si riprometteva, anche se la
conferenza era prevista ad un livello
inferiore, la sessione del Consiglio della
Lega araba in programma al Cairo per i
primi giorni di settembre.
La conferenza si è aperta in un mo¬
mento di particolare tensione. La molti¬
plicazione degli attentati e dedi inci¬
denti sulle frontiere, dalla Giordania al¬
la Siria ed al Canale di Suez, aveva
provocato in Israele una vera psicosi,
propagatasi ai paesi arabi, lasciando te¬
mere una ritorsione massiccia delle for¬
ze armate dello Stato ebraico. Israele
ha reagito con violenza già in passato,
a periodi regolari, soprattutto contro la
Giordania (Karamò, Irbid, Salt), e le
puntuali condanne dell’ONU - giudica¬
te unilaterali daH'opinione pubblica di
Israele e dal governo non l’hanno
distolto dalla teorizzazione del diritto
alla replica contro obicttivi di sua scel¬
ta. La paura si era fatta più precisa
dopo lo scontro avvenuto il 26 agosto
sulla riva orientale del Canale di Suez,
in cui due soldati israeliani erano cadu¬
ti vittime di un’imboscata addebitata da
Israele ad una puntata dell’esercito re¬
golare della RAU al di à delle linea
del cessate-il-fuoco.
Soluzione politica o militare? E’ diffi¬
cile distinguere la propaganda dalla veri¬
tà e le notizie tendenziose dagli accer¬
tamenti di fatto. Anche nel 1967 la
catena culminata nel blocco di Aqaba e
poi nel disastro del Sinai era comincia¬
ta con la “fuga” di voci sul conccntra-
mcnto di truppe israeliane per un attac¬
co contro la .Siria. Questa volta le voci
parlavano di piani per un colpo in
grande stile alla Giordania: esponenti
ufficiali del governo di Amman avevano
esposto i loro timori all’ONU e alcuni
giornali autorevoli avevano raccolto
l'ipotesi che l’aviazione israeliana si ap¬
prestasse a bombardare le città giorda¬
ne, riferendo fra l’altro che le truppe
israeliane "ammassavano ponti mobili
sulla riva occidentale del Giordano
occupata ncH’apparcnte preparazione di
un attraversamento in armi” (così il
Sunday Times). Israele aveva smentito
tutte le voci allannistichc, sen^a dare
troppe garanzie (è la legge deH’intimi-
dazione, cui lo Stato ebraico nell’at¬
tuale congiuntura non vuole certo ri¬
nunciare), ed aveva anzi preso l’insolita
iniziativa di ricorrere alle Nazioni Unite
per l’incidente di Suez del 26 agosto
valendosi di un rapporto della commis¬
sione di controllo moderatamente favo¬
revole alla sua versione.
Sotto l’impressione del pericolo (la
radio israeliana aveva ammonito il 5
agosto gli ospiti del campo profughi di
Ilussun, alla periferia di Amman, accu¬
sati di dare ospitalità ed assistenza ai
guerriglieri, che la "prossima volta non
sfuggirete alla nostra punizione” e due
aerei israeliani avevano sganciato mani¬
festini minacciosi sulla stessa capitale
giordana), i governi arabi hanno studia¬
to al Cairo le possibilità di un attacco
e le misure per cautelarsi. Nella convin¬
zione che la Giordania resti il bersaglio
più probabile, si è parlato di un impe¬
gno anticipato di tutti ad intervenire
immediatamente e collettivamente in
caso di attacco: la proposta, di parte
siriana, non ha incontrato però molto
favore, ed è stata ritirata. Al suo posto
è stato approvato un più generico im¬
pegno dei governi arabi a prendere uni¬
lateralmente i provvedimenti ritenuti
opportuni. E’ proprio su questa base
che truppe siriane hanno già preso posi¬
zione in territorio giordano.
Sul merito della questione, la Lega
araba non ha introdotto novità di rilie¬
vo. E’ stato ribadito il proposito di
liberare le terre occupate, c stato ripe¬
tuto il principio della restaurazione dei
diritti nazionali dei palestinesi ed è sta¬
to confermato l’appoggio politico e mi¬
litare del mondo arabo a tutti coloro
che si battono contro Israele con il
terrorismo urbano, con gli sconfina¬
menti nei territori occupati e con vere
e proprie azioni di guerriglia. Le deci¬
sioni — per molti motivi scontate e
quindi poco significative non sembra¬
no distinguere con la necessaria chiarez¬
za tra “soluzione politica” e “soluzione
militare”, da una parte addossando ad
Israele le responsabilità per l'impasse in
cui versa l’opera di mediazione dell’in-
viato deirONL ed utilizzando dall’altra
^^1
fino in fondo i mezzi della pressione
militare a scopi politici. La contraddi¬
zione può essere superata solo se i
paesi arabi prenderanno atto con più
coerenza dell’incompatibilità fra “solu¬
zione politica” e negazione di Israele,
nonché fra “liberazione” della Palestina
e ritorno allo status quo di prima della
guerra del 1967 (quando la Palestina
non esisteva).
La Giordania è il punto debole. Ila
avvertito l’incongruenza della politica
generale del mondo arabo la Tunisia,
che ha preso le distanze dalla Lega. Il
delegato tunisino alla Conferenza del
Cairo, l’ambasciatore Eltayeb Sahbani.
ha addirittura abbandonato i lavori del
Consiglio il 2 settembre, sostenendo di
non aver potuto parlare liberamente ed
accusando indirettamente la RAU di
voler monopolizzare la politica araba,
senza neppur sapere trovare una via
d’uscita da una situazione in continuo
deterioramento.
La Tunisia non è nuova a queste
|\
Ih
1 cl .Aviv:.?/' studiano i Jraniiiiaili di un ci/'/os/o» J
-> y
24
Il Cairo:
sfilala militare
“secessioni”, dato che le periodiche
“riconciliazioni” con Nasscr sono sem¬
pre state puramente tattiche. L’impen¬
nata sarebbe però più costruttiva se la
denuncia nel nome del “realismo” della
linea adottata a Khartoum non peccasse
a sua volta di demagogia. Le critiche di
Bourguiba non riescono a suggerire in
realtà nessuna soluzione di ricambio
agli indirizzi obiettivamente senza sboc¬
co perseguiti confusamente dal Cairo;
per ragioni di ovvia convenienza poli¬
tica, la Tunisia insiste infatti sulla ne¬
cessità che gli arabi trovino un'intesa
stabile (sventando le manovre accentra¬
trici della RAD) prima di affrontare
seriamente il problema delle relazioni
con Israele, ma non rileva, o finge di
non rilevare, che le divergenze inter-
arabe, al di là del gusto del Cairo al¬
l'egemonia e delle esibizioni di estremi¬
smo allo stato puro (e come tale steri¬
le) della Siria, sono il prodotto di si¬
tuazioni diverse, come diversa è mili-
tamiente, politicamente e emotivamente
— la situazione della Tunisia rispetto a
quella della Giordania o dell'Egitto.
Il punto debole del fronte arabo è la
Giordania e la strategia in cui gli arabi
mostrano di credere non sembra preve¬
dere nessuna risposta convincente in
merito alla sorte della (ìiordania. E’
ormai evidente che il trono di Hussein
attaccato da Israele con i raids di
rappresaglia e minato aH’interno dai
movimenti di liberazione palestinesi,
sottratti in pratica alle sue direttive e
quindi al suo controllo — è in grave
pericolo. Costringere la Giordania con
un calcolato dosaggio di minacce e di
lusinghe a rompere l’unità araba sareb-
tontrollo i.sraeliano sul [ionie Mleiiib)
be una breccia forse detenninante. Il
governo israeliano non si adopera più
come un tempo a puntellare le deboli
fondamenta del regno hashemita, con¬
tribuendo al contrario ad accentuare la
sua fragilità, ma gli arabi assecondano
questo piano di Israele pensando a tut¬
te le implicazioni sul governo monar¬
chico della Giordania di una guerriglia
anti-coloniale o lo contrastano? Al li¬
mite, anche un aiuto militare globale a
Hussein sarebbe di poca utilità al suo
regime, perchè sarebbe la prova risolu¬
tiva della sua impotenza.
La paura si è rovesciata di segno. E’
stata probabilmente una coincidenza,
ma la fine della conferenza dejla Lega
araba è stata seguita, il 4 settembre, da
uno dei più clamorosi e sanguinosi at¬
tentati in una città israeliana. Una
bomba è esplosa a Tel Aviv uccidendo
un israeliano e ferendone parecchie de¬
cine. La “paura” si è rovesciata di se¬
gno e ha trascinato una parte della po¬
polazione ebraica a spedizioni punitive
contro la popolazione araba di Israele,
COSI assurde nel loro inconfondibile sa¬
pore di pugroms che come hanno
rilevato alcuni dirigenti di Israele - po¬
trebbero dare al “nemico”, cioè agli
arabi, il duplice successo della distruzio¬
ne materiale e morale dello Stato ebrai¬
co. La momentanea schiarita introdotta
dalla felice conclusione dell’affare del
Boeing, dirottato su Algeri da un coni-
mando arabo-palestinese, e restituito
dalle autorità algerine dietro impegno
del governo israeliano a compiere un
“gesto umanitario” (concretizzatosi nel¬
la liberazione di sedici prigionieri arabi,
detenuti fin da prima della guerra del
1967), è subito svanita. Nulla più del
terrorismo indiscriminato può esasperare
l'atmosfera politica in Israele, riprodu¬
cendo le condizioni avvelenate di una
“battaglia di Tel Aviv”; un segno
preoccupante in proposito è il nuovo
gravissimo scontro di Suez dell’8 set¬
tembre.
Il terrorismo è la conseguenza dell’oc¬
cupazione militare di terre arabe fino al
giugno 1967, e l’occupazione militare è
la conseguenza di una guerra che gli
israeliani dicono (convinti) di aver com¬
battuto per autodifesa, sentendola ora
come il prezzo della preconcetta oppo¬
sizione degli arabi ad un negoziato di
pace diretto, ed un pegno per arrivare
a quei negoziati. 1 suoi effetti trascen¬
dono però questo quadro. Il terrorismo
è destinato a rendere impossibile la
coesistenza fra arabi e israeliani, con la
possibile alternativa di un nuovo esodo
di arabi più o meno sollecitato o di
una più rapida conversione di Israele
all’idea dell’abbandono dei territori oc¬
cupati; la tragedia di ogni battaglia
terroristica è che essa è “efficace” solo
se dolorosissima.
Le audaci imprese dei terroristi nel
cuore stesso dell’Israele ebraico dimo¬
strano con drammatica evidenza che
l’affemiazione del movimento palestine¬
se, di cui “Al-Fatali” è il braccio mili¬
tare, è il fattore nuovo della crisi
medio-orientale, causa di crescente insi¬
curezza per Israele e di mobilitazione
[Psicologica per gli arabi che vivono nei
territori occupati; se Israele ammesso
che sia fondata l’intenzione attribuitagli
ad esempio dal Ohsen-er di negoziare in
ottobre una nuova sistemazione dei
territori occupati, Gerusalemme esclusa
riconoscesse che dietro la risoluta
determinazione dei guerriglieri si na¬
sconde il vero “interlocutore”, il pro¬
blema palestinese sarebbe forse maturo
per una svolta.
GIAMPAOLO CALCHI MOVATI ■
Dayan in visita a un Libbul/
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
25
MEDIO ORIETITE
Lornlra; (/ comizio del siiidacalisla
TRAOE UNIONS
il centenario
difficile
B lackpool, settembre. Il principale
argomento all'ordine del giorno
del congresso del TUC (Trades Union
Congressi di quest’anno riguardava i
rapporti tra sindacati e governo laburi¬
sta, soprattutto in materia di politica
dei redditi. Diversi mesi prima del Con¬
gresso una commissione governativa pre¬
sieduta da Lord Donovan aveva partori¬
to un monumentale rapporto sui sinda¬
cati che in sostanza proponeva da una
parte di scavalcare i sindacati ufficiali e
“istituzionalizzare" la contrattazione di¬
retta a livello di fabbrica, e dall’altra
preparava il terreno per l'introduzione
di sanzioni giuridiche molto più rigoro¬
se contro i sindacati. In sostanza il rap¬
porto Donovan era profondamente of-
, fensivo per il TUC, in quanto metteva
in rilievo il fatto che il 95 per cento di
tutti gli scioperi industriali registrati in
(Iran Bretagna erano spontanei cioè
; nor proclamati dai sindacati ufficiali.
La morale del rapporto, per il TUC e
in particolare per il suo segretario gene¬
rale George Woodcock, era questa:
“Voi siete in teoria i rappresentanti dei
lavoratori; noi abbiamo bisogno di lavo¬
ratori disciplinati; voi dovete control¬
larli; se non ne siete capaci, ci limite¬
remo a trattare con chi è in grado di
controllarli; e per semplificare le cose
' vorremmo introdurre leggi nuove per
‘regolarizzare’ la nuova situazione’’.
Come se non bastasse, i sindacati bri-
I tannici sono diventati il bersaglio di
j un’incredibile e sostenuta campagna
denigratoHa, di cui Wilson è stato il
primo a percepire i vantaggi: essa gli ha
pennesso infatti di ignorare le reiterate
I richieste della classe lavoratrice, rappre-
I sentata da un’organizzazione che gli
strumenti di informazione di massa
sono quasi riusciti a screditare perfino
tra gli stessi lavoratori.
H’ strano, ma questa freddezza tra
TUC e governo laburista potrebbe avere
come risultato netto un avvicinamento
tra i sindacati e la base del l.abour che
a sua volta potrebbe creare a Wilson
più difficoltà del TUC. L’unico altro
mezzo di pressione del movimento sin¬
dacale nei confronti di Wilson sarebbe
il taglio dei fondi: se un paio dei sin¬
dacati maggiori decidessero di non ver¬
sare i loro contributi, il Partito laburi¬
sta si troverebbe di fronte alla rovina
finanziaria, ma una possibilità del gene¬
re sembra ancora piuttosto remota.
Politica dei redditi. In sostanza, il vero
contrasto sulla politica dei redditi ri¬
guardava la scelta tra una politica vo¬
lontaria c una politica obbligatoria. 1
voti contrari all’appoggio al l’riees and
Ineoines /lc7 (che prevede sanzioni lega¬
li) sono stati 7.746.000, c quelli a fa¬
vore soltanto 1.022.000, ma la sinistra
ha forse sbagliato i suoi calcoli basati
su una politica dei redditi ‘volontaria’.
Si tratta naturalmente di un anacroni¬
smo, proposto per la prima volta al
Congresso di Brighton nel 1965 da
George Brown, il quale sosteneva che
se il TUC non avesse varato una pro¬
pria politica volontaria, il governo
avrebbe dovuto introdurre misure obbli¬
gatorie. In realtà nemmeno la destra
del TUC era convinta che fosse il caso
di cantare vittoria perchè l’unica ra¬
gione di mettere ai voti una politica
dei redditi volontaria era quella di cer¬
care di risllevare il prestigio dei sinda¬
cati (“se ce lo chiedeste con le buone
potremmo farlo...’’). Woodcock ha fatto
di tutto per convincere Jack Peci, il
capo del sindacato tessile dei tintori, a
ritirare la .sua mozione a favore dell’esi¬
stente politica volontaria del TUC sui
redditi, ma dopo averla chiamata ‘pro¬
vocatoria e superflua’, egli ha invitato i
delegati ad appoggiarla, perchè una sua
sconfitta sarebbe stata imbarazzante.
Comunque la mozione è stata approva¬
ta con soli 34.000 voti di maggioranza
(4.266.000 a favore e 4.232.000
tro) mentre alla riunione di febbraio
dei dirigenti sindacali era stata approva¬
ta con una maggioranza di 536.(300 vo¬
ti; trattandosi di voti vincolati *a bloc¬
chi’, questo è praticamente un pareggio.
L’ improbabile a questo punto che tut¬
to ciò abbia la minima influenza sulla
politica governativa.
Salari femminili. L’altro problema im¬
portante discusso al Congresso è stato
quello delle retribuzioni femminili, e
può darsi benissimo che la decisione
presa abbia nei prossimi anni fortissime
ripercussioni sull’industria britannica.
Con la sua votazione il TUC ha deciso
di appoggiare i sindacati che rivendica¬
no la parità salariale, lasciando cosf ina¬
scoltate le invocazioni della direzione
del TUC. In materia di salari femminili
l’Inghilterra è uno dei paesi più arretra¬
ti Il governo si è rifiutato di ratificare
la convenzione del BIT (l’Ufficio inter¬
nazionale del lavoro di Ginevra) sulla
parità salariale. Attualmente le donne
rappresentano il 37 per cento della
manodopera britannica, ma soltanto il
10 per cento di esse ricevono salari o
stipendi uguali a quelli degli uomini (in
certi settori amministrativi, accademici
e simili); perfino in un settore come
quello bancario le donne guadagnano il
30 per cento in meno rispetto agli
uomini che fanno lo stesso lavoro.
Secondo l.e Monde (che cita dati che
la stampa britannica preferisce ignorare)
nel 1967 neH’industria la paga (set¬
timanale) media delle donne era meno
della metà di quella degli uomini (dieci
sterline e mezzo contro ventidue); nei
lavori non manuali il divario era anche
maggiore: undici sterline e dodici scel¬
lini contro ventotto sterline. Ber molti
questa sarà una sorpresa; in base a tali
cifre c’è da aspettarsi che oggi la Gran
Bretagna sia quasi in coda alla gra¬
duatoria (al principio degli anni ses¬
santa si calcolava che il divario più for¬
te spettasse al Giappone: nel 1961 i
salari femminili corrispondevano al 43,7
per cento di quelli maschili; nello stes¬
so anno i dati relativi a qualche altro
26
Cousins
paese erano i seguenti; Gran Bretagna
50.7 per cento, Gemiania Occidentale
61.8 per cento, Danimarca 66,7 per
cento e E'raneia 84,7 per cento). Una
delegata ha fatto il punto sulla cosid¬
detta parità in Ingliilterra facendo giu¬
stamente notare che su oltre 1000 dele¬
gati al Congresso le donne non erano
che 46: “Per troppo tempo le lavoratri¬
ci sono state tenute a bada con risolu¬
zioni melense e chiaccherate familiari
nella sala da tè della Camera dei Comu¬
ni. 11 ministro Barbara Castle riceve sti¬
pendio uguale per lavoro uguale: e per¬
chè noialtrc no?
Il Financial Times ha rivelato la sua
preoccupazione in un articolo di fondo
del giorno successivo: “Il costo com¬
plessivo della parità salariale è stato va¬
lutato da acuni in 600 milioni di ster¬
line e da altri in 1200 milioni di ster¬
line, pari a un aumento del 3-6 per
cento del fondo salari nazionale”. Co¬
me era prevedibile il giornale si dilunga¬
va poi sul fatto che la parità salariale
concessa alle donne non avrebbe fatto
altro che rallentare il ritmo degli
aumenti salariali per gli uomini, il che
è perfettamente vero, qualora rimanga
in vigore l’attuale politiea dei redditi.
Ma ciò che importa in realtà è il
fatto che la votazione del TUC rappre¬
senta un importante passo avanti, per¬
chè significa che d’ora in poii ci sani
un fronte unito in occasione di scioperi
che fino a ieri sono rimasti talvolta
molto isolati. Qualche mese fa lo scio¬
pero di 187 operaie della Ford ha dato
il la a questa nuova fase. 1 sindacati
hanno chiesto l’attuazione della parità
salariale entro due anni; il governo ne
ha proposti sei o sette.
I sindacati e il governo. Il fatto nuovo
delle Traile Unions è che oggi per la
prima volta i due sindacati maggiori,
quello dei trasporti (Transport and Ge¬
neral Workers Union. TGWU) e quello
dell’industria meecanica (AEF), sono
guidati entrambi da forti personalità di
sinistra: l'rank Cousins e Mugli Scanlon
rispettivamente. Cousins dovrebbe riti¬
rarsi dall’attività tra breve, ma è prati¬
camente certo elio gli succederà il suo
braccio destro Jack Jones, che se
mai è leggcniicnte più a sinistra di
lui. Inoltre il nuovo Consiglio generale
(una s[iccie di comitato permanente),
pur essendo ancora prevalentemente
moderato, si è spostato sensibilmente a
sinistra e alcuni dei principali vecchi
esponenti di destra sono stati indotti a
ritirarsi dall’attività. In particolare i sin¬
dacalisti di sinistra hanno dato prova di
maggiori capacità di quelli di destra e
si può prevedere che riusciranno a in¬
fluenzare il centro incerto.
L’ indubbio che il movimento sinda¬
cale è ai ferri corti con il governo,
l’erfino Sid Greene, il dirigente filogo-
vernativo dei ferrovieri, ha ammonito
che nemmeno i fedelissimi accetteranno
un sensibile aumento della disoccupa¬
zione. VEconomist ha osservato a ma¬
lincuore che “tutta la sala era stufa di
quello che è successo dopo il 1964”.
In sostanza i sindacati sono a favore
dell’espansione e il governo è a favore
della compressione: le possibilità di
compromesso si riducono ogni giorno
di più. Il guaio è che mentre pare che
le nuove ordinazioni per l’industria stia¬
no diminuendo (riduzione del 3 per
cento nel secondo trimestre del 1968
rispetto al prim), gli ultimi hanno
cominciato a salire alle stelle (incre¬
mento del 19 per cento nel primo
t rimestre di quest’anno rispetto al
medesimo periodo dell’anno scorso). 1
sindacati hanno dunque perfettamente
ragione quando sostengono che la rior¬
ganizzazione voluta da Wilson giova so¬
stanzialmente agli interessi della classe
capitalista.
Il Tremier non è riuscito a dimo¬
strare ai sindacati la necessità di attuare
misure economiche restrittive; il punto
di vista dei sindacati ha il vantaggio di
essere fondamentalmente giusto. Il di¬
battito sulla politica dei redditi ha rive¬
lato quanto fossero meschini i prov¬
vedimenti legislativi introdotti dall’am-
ministrazione: calcoli indipendenti han¬
no dimostrato come in base ad essi
non si sia riusciti a far altro che man¬
tenere i salari a un livello inferiore di
meno dell’l per cento rispetto a quello
che sarebbe stato raggiunto senza politi¬
ca dei redditi.
JON HALLIOAYB
" Unii i maestri sono ligri di carta”: manilcsta/.ionc studentesca a Uerllno
GERMANIA
LA SNSTRA E PRAGA
Colloquio con KARL-DIETRICH WOLFF
Il venticinquenne Karl-Dietrich Wolff, detto « Ka-De ha studiato legge
a Freiburg. Dal settembre dello scorso anno è presidente della Lega
degli Studenti Socialisti Tedeschi (SDS). L'SDS è un'organizzazione de¬
centralizzata, costituita dai vari gruppi presenti in ogni città universita¬
ria. La direzione nazionale delI'SDS è dunque soprattutto un centro di
coordinamento e d informazione per questi gruppi relativamente autono¬
mi, le cui tendenze rispecchiano abbastanza fedelmente la varietà di po¬
sizioni politiche, a sinistra della socialdemocrazia, presenti in quasi tut¬
ti i paesi neocapitalisti. La piattaforma politica della lega viene decisa
ogni anno dalla Delegiertenkonferenz, il congresso delI’SDS, che si tiene
solitamente in settembre a Francoforte sul Meno _k.
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
INGHILTERRA
Irancojortc, settembre
L’ASTROLABIO Aiiclic la sinistra
tedesca è stata colta di sorpresa dall’in-
tcrvento degli Stati del Patto di Varsa¬
via in Cecoslovacchia. Malgrado l'SDS
e. in generale anche l’opposizione e.xtra-
parlamentare, non si fossero mai dichia¬
rati del tutto favorevoli all’esperimento
cecoslovacco, le bandiere rosse della
sinistra socialista tedesco-occidentale
sono state le prime a scendere per le
strade in segno di protesta contro l’in-
vasione ...
WOLl'F Contemporaneamente alle
manifestazioni di strada l’SDS ha orga¬
nizzato nelle maggiori città universitarie
dei teach-in. durante i qtiali sono state
analizzate le strutture socio-economiche
degli attuali paesi socialisti e le loro
tendenze di sviluppo oggettive.
L’ASTROLABIO Le vostre grida di
protesta non si sono confuse con quelle
dei gruppi reazionari e anticomunisti?
WOLFl- Noi abbiamo fatto le no¬
stre manifestazioni e abbiamo discuss
pubblicamente le nostre posizioni.
L’isteria anticomunista voluta dai rea¬
zionari ha il compito di impedire la
discussione. Il compito dei mar.xisti ò
quello di non evitare una discussine
sui problemi essenziali dello sviluppo
ambivalente nei paesi a democrazia so¬
cialista: specialmente in rapporto alle
contraddizioni nel popolo.
L’ASTROLABIO ...e al rapporto
tra partito e masse.
WOLFF Certo. I fatti dimostrano
che i partiti, in questi paesi, hanno
perso a tal punto il contatto con le
masse (o non sono riusciti a guadagnar¬
selo). che la sola idea di un controllo
delle loro decisioni da parte delle masse
di lavoratori e la necessità di correggere
concezioni ideologiche attraverso discus¬
sioni e conflitti di massa, sembrano lo¬
ro completamente assurde. Solo questa
posizione di isolamento dalle masse per¬
mette ai partiti di chiamare controrivo¬
luzionari e di mettere sullo stesso piano
sia gli studenti marxisti "ribelli” che i
"liberali” filoimperialisti. Partiti che
hanno paura di una discussione aperta
tra le masse dei lavoratori c che sanno
usare solo metodi burocratici e manipo¬
lativi. sono incapaci di far fruttare in
modo democratico e socialista le con¬
traddizioni nel popolo. La confusione
tra iniziativa democratica di base e con¬
trorivoluzione ha come conseguenza di
provocare ciò che si voleva evitare: i
reazionari non vengono isolati e la po¬
polazione si identifica con l’occidente e
acquisisce ideologie reazionarie.
L’ASTROLABIO — Passiamo ad al¬
tro. Durante il Festival mondiale della
gioventù a Sofia, che come al solito è
stato molto folcloristico, spoliticizzato
come un carnevale, l’SDS ha cercato di
rimanere fedele alla propria vocazione
di guastatore anche a livello intema¬
zionale, organizzando teae/i-iii e sit-in
non previsti nel programma, dove la
politica cocsistenziale deH’URSS è stata
duramente criticata Avete cercato, di¬
ciamo così, di “politicizzare da sini¬
stra”, mentre altri gmppi hanno cerca¬
to, invano come voi, di "politicizzare
da destra”. Il risultato in loco è stato
nullo, a parte il fatto che alcuni mem¬
bri della vostra delegazione si sono
apertamente schierati contro la direzio¬
ne deirSDS. Ora siamo alla vigilia del
vostro congresso. Fino a che punto i
fatti di Sofia influenzeranno le discus¬
sioni congressuali?
V/OLFF Cinque compagni presenti
a Sofia sono stati sospesi e la direzione
ha fatto richiesta di espulsione. L’unità
d’azione dell’SDS è stata rotta da pic¬
coli gruppi che, all’interno dell’organiz¬
zazione, sono sempre stati in minoran¬
za. La direzione spera perciò che le
controversie tra questa minoranza più o
meno revisionista c la maggioranza assu¬
mano, durante i lavori congressuali, il
ruolo secondario che si meritano. Solo
il problema più ampio, quello dell’iinità
d’azione nella lega, dovrà essere trattato
ampiamente.
L’ASTROLABIO Quali saranno i
temi principali del congresso?
WOLFF Prima di tutto dobbiamo
discutere, valutare e interpretare le
azioni da noi intraprese negli ultimi sei
mesi. Poi è nostro compito definire i
punti centrali della nostra politica futu¬
ra: in primo limgo una strategia per le
azioni nell’università, ma anche la cam¬
pagna contro la Nato per esempio.
D’altra parte dobbiamo iniziare con una
critica alla politica sindacale per quanto
riguarda la Mitbestimmung (congestio¬
ne) e allo stesso tempo fornire spunti
per una polìtica non riformista nei
paesi a capitalismo avanzato a quelle
organizzazioni che hanno il compito di
difendere gli interessi immediati dei la¬
voratori.
SDS E SirJDACATI
L’ASTROLABIO Proprio in questi
giorni, il potente sindacato dei metal¬
meccanici IG Metal! tiene a Monaco il
proprio congresso. Cosa vi aspettate da
questo congresso sindacale?
WOLFF Speriamo soprattutto che
quella frangia di sindacalisti, che anche
prima dell’approvazione delle leggi
d'emergenza si era opposta alia politica
di vertice della Kì Mctall, riesca a for¬
marsi c a formulare le proprie proposte
alternative. Il che vuol dire rinunciare
alla solita politica legata a persone e a
v.oin
decisioni singole per passare ad una cri¬
tica più generale che investa tutta la
politica e gli errori degli scorsi anni.
L’ASTROLABIO Mi sembra che
l’SDS abbia cominciato solo in questi
ultimi mesi a criticare direttamente la
politica dei sindacati. Durante gli scorsi
anni - secondo le nostre impressioni -
l’SDS, come tutti gli altri raggrup¬
pamenti di sinistra, si era limitato ad
una critica (diciamo cosi) “amichevole”
ad alcune decisioni della direzione sin¬
dacale, lasciando da parte le questioni
di fondo.
WOLFF Da molti anni l’SDS cri¬
tica i sindacati, anche duramente, su
questioni precise e limitate. La novità
sta nel fatto che, durante gli ultimi
tempi, dall’interno dei sindacati ste.ssi si
sono sentite voci che criticano aspra¬
mente la politica rifomiista della dire¬
zione sindacale. L’SDS. dopo essersi li¬
berato dal fardello socialdemocratico, è
andato sempre di più staccandosi da
posizioni sostenute dai sindacati, preci¬
sando - in questo periodo di emancipa¬
zione - la propria critica al riformismo
Decisiva è stata l’esperienza accumulata
dairSDS durante la campagna contro le
leggi d’emergenza. Ed è merito dcl-
rSDS, non dei sindacati, se ci sono
state manifestazioni di massa durante la
discussione delle leggi al Parlamento.
L’ASTROLABIO - L’attuale critica
deirSDS alla politica sindacale non
bloccherà prima o poi una possibile
unità d’azione con la sinistra sindacale’
WOLFF - Noi non crediamo die
una critica qualificata alla direzione sin¬
dacale debba neces.sariamente bloccare
l’unità d’azione, in casi concreti, con la
sinistra sindacale. Al contrario: siamo
del parere che solo una politicizzazione
alla base possa, a lungo termine, frena-
28
re il processo d’involuzione politica dei
sindacati. Attualmente si sta sperimen¬
tando. Una collaborazione tra studenti
e operai è molto difficile, ma molti
legami, soprattutto sul piano infonna-
tivo, sono già stati allacciati. Dal punto
di vista organizzativo gli esperimenti
sono diversi da città a città: gruppi di
base per quartiere, nelle fabbriche, dove
cerchiamo soprattutto contatti con gio¬
vani operai e apprendisti. Nei centri più
importanti cominciamo a raggiungere ri¬
sultati interessanti.
L’ASTROLABIO Nel frattempo è
nata un’organizzazione di giovani ope¬
rai, la SDAJ (Sozialistische Deutsche
Arbeiterjugend). ispirata dal K'T illega¬
le. Quali sono i vostri rapporti con
questa nuova organizzazione?
WOLFF Si tratta del tentativo bu¬
rocratico. praticamente fallito, di creare
un’organizzazione sulla scia dei successi
delI’SDS. Per noi è impossibile discute¬
re con costoro: la loro rigida struttura
organizzativa non permette loro una di¬
scussione libera e aperta secondo i me¬
todi e le abitudini dell’opposizione
extraparlamentare. dcll’SDS c, in gene¬
rale, di tutto il movimento di protesta
giovanile.
L’A.STROLABIO II movimento di
protesta nella RFT sta attraversando,
secondo le nostre impressioni, un perio¬
do di stasi. L’intervento sovietico in
Cecoslovacchia e le conscguenti manife¬
stazioni di protesta sono state piuttosto
una parentesi, anche perché, per la sini¬
stra, si è trattato soprattutto di riflet¬
tere sul piano teorico, di analizzare, più
che di agire. Quali sono secondo te le
prospettive di azione attuali del movi¬
mento di protesta?
WOLFF - Dopo l’approvazione delle
Leggi sullo Stato d’emergenza e in se¬
guito ai fatti di maggio-giugno in Fran¬
cia (proprio perché laggiù si è riusciti,
per un certo periodo, a creare l’unità
d’azione tra studenti c operai), il movi¬
mento è caduto in uno stato di rasse¬
gnazione. Per questo motivo non pos¬
siamo prevedere azioni di massa nei
prossimi tempi. D’altra parte, possiamo
vedere che i motivi, le cause della pro¬
testa, sono sempre presenti. La base del
dissenso si allarga sempre di più: allievi
medi, giovani operai, maestri di scuola,
architetti, ecc. Per i prossimi tempi
possiamo dunque prevedere conflitti,
anche se forse di dimensioni limitate, il
cui carattere è però apertamente poli¬
tico. In più dobbiamo rilevare lo scon¬
tento, riscontrabile sempre più fre¬
quentemente, tra le reclute della
“Bundcswehr”.
ORGAfJIZZARE L'OPPOSIZIOfJE
L’ASTROLABIO - In questi ultimi
tempi si discute sempre più sovente la
necessità di dare aH’opposizionc extra¬
parlamentare una struttura organizzativa
adeguata ai compiti che attualmente le
stanno di fronte, compiti estremamente
più complessi di quelli degli scorsi anni,
soprattutto dopo rallargamcnto della
base del dissenso negli ultimi mesi.
Alcuni parlano della necessità di costi¬
tuirsi in partito. Qual’è il tuo parere in
proposito?
WOLFF - L’allargamento del movi¬
mento extraparlantentare é caratteriz¬
zato dalla creazione di Club (repubbli¬
cani o socialisti, nel frattempo sono più
di cinquanta) e. nello stesso tempo, dal
processo di differenziazione politica al-
l’intemo del movimento stesso. In que¬
sto processo nascono quasi necessaria¬
mente concezioni che prevedono la fon¬
dazione di un partito politico tradizio¬
nale o di una alternativa filoparlamenta¬
re di sinistra |Jcr le prossime elezioni.
L’ASTROLABIO Secondo le nostre
infomiazioni esistono tre tendenze al-
l’intemo deH’opposizione extraparlamen¬
tare. Da una parte il nucleo più attivo
di quest’opposizione, ossia la maggio¬
ranza deirSDS e il suo seguito, che
sostiene coerentemente posizioni anti¬
parlamentari. Dall’altra il gruppo legato
al partito comunista illegale, il ciuale è
interessato alla presenza parlamentare di
un raggrupiximento di sinistra (ma è
contrario, per ovvi motivi, alla creazio¬
ne di un nuovo partito decisamente
socialista). E infine un gruppo di socia¬
listi di sinistra “tradizionalisti”, che la¬
vorano nella prospettiva di un nuovo
partito politico. Se non sbagliamo, lo
scorso anno ci fu una tacita alleanza
tra “comunisti” e "antiparlainentaristi”
per impedire la fondazione di un lUiovo
partito. Qual’è la situazione attuale?
WOLFF Secondo me la terza “fra¬
zione”. quella che lavora nella prospet¬
tiva di un nuovo partito socialista, è
oggi praticamente senza seguito. Ij ten¬
denza diciamo cosi, “comunista” inve¬
ce, prende sempre più piede. La situa¬
zione perciò non è più cosi confusa
come in passato. Si tratta, attualmente,
di una scelta di contenuto, e cioè il
rapporto col parlamentarismo, c non di
una questione organizzativa.
L’ASTROL.ABIO — E’ dunque preve¬
dibile che, per le prossime elezioni, al¬
cuni gruppi della sinistra si costituiran¬
no come alternativa parlamentare di
sinistra e presenteranno candidati.
Qual’è la posizione delI’SDS in pro¬
posito?
V/OLFF — Noi chiameremo queste
“alternative elettorali” eon il loro no¬
me. e cioè come il tentativo tatticistico
di canalizzare in direzione parlamentari-
stica il nuovo movimento di protesta, il
che significa, da una parte, il tentativo
di smorzare la forza d’urto del movi¬
mento e, dall’altra, il tentativo di rom¬
pere l’unità d’azione deH’opposizione
extraparlamentare. Nello stesso tempo
richiederemo di annullare le schede con
frasi di protesta.
L’ASTROLABIO Durante le ultime
settimane si sono tenute, in Europa,
molte conferenze intemazionali (x;r
coordinare i vari movimenti studente-
^hi. In quale prospettiva lavora l’SDS
sul piano intemazionale?
V/OLFF A livello intemazionale la
solidarietà tra i movimenti studenteschi
è abbastanza soddisfacente. Non solo
dopo l’attentato a Rudi Dutschkc.
quando ci furono manifestazioni in tut¬
to il mondo. dall’America Latina a Cal¬
cutta e da parte di organizzazioni che
nemmeno conoscevamo, ma anche dopo
i fatti di maggio in Francia. Contem-
iwrancamente si sono intensificati i
contatti internazionali: in congressi e
conferenze abbiamo avuto la possibilità
di discutere le varie posizioni strategi-
ehe, non tanto in rapporto ad una
comune organizzazione, quanto in rap¬
porto ad una comune base teorica. Una
coordinazione intemazionale delle azio¬
ni si può sviluppare solamente sulla ba¬
se di una discussione teorica comune.
In molti paesi europei non esiste nem¬
meno una piattafonna organizzativa pa¬
ragonabile a quella dcll’SDS. Li la dc-
centralizz.azione è un fatto negativo allo
stato attuale. l>ji prossimi sviluppi ci
attendiamo una chiarificazione politica
che pemietta di impostare meglio e più
chiaramente una collaborazione interna¬
zionale, la cui necessità si fa sentire
sempre più fortemente in tutti i movi¬
menti. Si tratta soprattutto di eliminare
tutte le tendenze settarie, a favore di
una nuova sinistra antidogmatica, nei
singoli paesi e aH’interno di gni mo¬
vimento.
L’ASTROLABIO Alcuni portavoce
dei movimenti studenteschi europei
hanno dichiarato di non essere interes¬
sati ad una internazionale studentesca.
Vogliono un’intemazionale rivoluziona¬
ria che comprenda anche la classe ope¬
raia. Qual’è il tuo parere?
WOLFF — Noi non siamo del parere
che un’organizzazione studentesca inter¬
nazionale non possa avere una funzione
(positiva. Naturalmente, vista la politica
fallimentare di certe organizzazioni stu¬
dentesche intemazionali a carattere bu¬
rocratico, siamo del parere ehe i tempi
non sono ancora maturi per una nuova
internazionale studentesca. Per ora dob¬
biamo sforzarci, attraverso un rafforza¬
mento dei contatti c dei legami intema¬
zionali, di collaborare alla rinascita dcl-
l’intemazionalismo tra i movimenti ri¬
voluzionari e socialisti di tutto il
mondo.
L'ASTROLABIO • 15 settembre 1968
29
GERMANIA
P lagio: un primario dcirOspcdale
Maggiore di Milano dichiara da¬
vanti al magistrato di essere stato sug¬
gestionato dal suo aiuto, di essere stato
costretto, in stato di grave choc psi¬
chico, a interventi chirurgici non neces¬
sari e pericolosi, a errori grossolani nel
corso degli stessi, a scritture inesatte
nell’elaborazione delle cartelle cliniche.
Dello stesso tenore è una perizia di
■parte depositata presso l’autorità giudi¬
ziaria per conto del sovrintendente del¬
l’Ospedale Maggiore, e compilata da
due dei più insigni medici milanesi,
docenti universitari e primari al Policli¬
nico. Il “plagiatore” si sarebbe avvalso
del suo ascendente sul supcriore per
screditarlo professionalmente, farlo ca¬
dere in di^razia e prendere in tal
modo il suo posto.
L’accusa è pesante: l’ultimo anello di
una catena fatta di insinuazioni, ricatti,
denunce, intimidazioni, che dura da
anni; l’ultimo tentativo per bloccare
una verità che mette in serio imbarazzo
buona parte della élite medica lombar¬
da. Il temerario aiuto primario che vuol
portare in tribunale tanti colleglli nella
veste di imputati è già stato più volte
invitato, con le buone e con le cattive
maniere, a lasciar perdere: le sue do¬
mande di trasferimento dal posto occu¬
pato non hanno avuto esito, la sua pro¬
va di concorso per il primariato è stata
invalidata per irregolarità fonnali, per¬
sino il suo stipendio è stato decurtato.
E ^i stessi riguardi, tutti quanti, sono
stati riservati al suo collega aiuto ane¬
stesista che coraggiosamente si è assun¬
to il compito e la responsabilità di far
da testimone. Poi, la sospensione dal¬
l’incarico, il licenziamento, Pinfamantc
accusa di plagio.
Ma plagio non c’è stato. Con recente
sentenza del giudice istruttore del tribu¬
nale di Milano (e successivo appello del
Procuratore generale) l'aiuto primario
viene completamente scagionato “per¬
ché il fatto non sussiste”; in compenso
alcuni noti medici milanesi vengono rin¬
viati a giudizio per omicidio colposo,
altri sono liberati daH’incriminazione
grazie alla sopraggiunta amnistia del
1963, altri infine non compariranno in
tribunale perché nel frattempo defunti.
La denuncia. Quasi 7 anni fa, alla fine
del gennaio 1962, il professor Lorenzo
Sarti, aiuto primario della divisione Pas¬
sera all’Ospedale Maggiore di Milano
veniva sospeso per un mese da ogni
attività “in via cautelare”. Al prof. Sar¬
ti il Consiglio di Amministrazione con¬
testava l’addebito di aver divulgato “no¬
tizie profondamente lesive del buon
andamento e del prestigio” dcH’ospc-
dale stesso, e questo per aver egli de¬
nunciato aH'autorità giudiziaria casi di
“grave trascuratezza, di incompetenza,
di colposo difetto di soccorso” che si
sarebbero verificati alPintcrno degli Isti¬
tuti Ospedalieri.
30
cronache
“Come mai - si cliicdeva il commen¬
tatore del Giorno del 26 gennaio 1962
un sanitario, ormai affermato dal
punto di vista della carriera, ha deciso
di giocare il tutto per tutto rendendo
clamorosamente pubblici fatti ed episo¬
di che una secolare tradizione di riser¬
vatezza tiene normalmente segreti, nel
chiuso dei verbali delle commissioni
scientifiche d'inchiesta, nominate sce¬
gliendo gli esponenti più conosciuti dei
diversi settori? ” C’erano evidentemente
dei motivi di ordine anche personale
dietro queU’azione tanto inattesa, la
prima azione decisa portata avanti da
un medico contro il sistema dei medici.
.Si disse che era la reazione di un pule¬
dro di razza tenuto troppo a lungo alla
briglia. In ogni caso, il Sarti veniva li¬
cenziato nove mesi dopo, alla scadenza
deH’ottcnnio di nomina.
Nell’annunciare il provvedimento di
sospensione, il Consiglio di Amministra¬
zione dell’ospedale riaffermava (vedi
Corriere della Sera del 26 gennaio) che
il funzionamento dei reparti rispondeva
a “ogni esigenza di regolarità ammini¬
strativa”, che la classe sanitaria ospeda¬
liera era “all’altezza delle migliori tradi¬
zioni milanesi”, che, infine, non aveva
ritenuto di dover proporre denuncia al¬
l’autorità giudiziaria per i fatti rivelati
dal Sarti e confermati dal prof. Coluc¬
ci, aiuto anestesista, perché, “nono¬
stante le segnalazioni, sempre incomple¬
te e reticenti, dei due predetti aiuti
(Sarti e Colucci), non risultarono estre¬
mi di reato che giustificassero la pre¬
sentazione di un rapporto”.
“Ogni volta che, come può agevol¬
mente accadere in un grande complesso
con 5 mila degenti - cosi teneva a
precisare rAmministrazione — sorgono
dubbi su presunti inconvenienti terapeu¬
tici e sull’assistenza in generale, vengo¬
no effettuati rigorosi accertamenti”. I
“presunti inconvenienti terapeutici” in
base ai quali il prof. Sarti aveva chiesto
l’intervento della magistratura erano 5,
quelli per i quali potevano essere porta¬
te delle prove. Tre piccoli morti tra il
luglio 1959 e il gennaio I960 (Luciana
Michelon, Stefano Cerosa, Rita Dainel-
li) perché non operati in tempo; inoltre
una bambina, Gilberte Assai, e una si¬
gnora, Anita Masi, gravemente lese in
organi vitali durante normali interventi
per imperizia del chirurgo (le due don¬
ne guarirono in seguito, dopo essere
state trasferite in altre cliniche).
Il plagiato. 1 “rigorosi accertamenti”
annunziati dall’Ospedale Maggiore erano
già stati affidati a due eminenti persor
nalità del Policlinico, i professori Guido
Osclladorc e Guido Melli, che deposita¬
rono le loro relazioni cliniche al Procu¬
ratore della Repubblica nel luglio 1962.
Era. in pratica, una denuncia per calun¬
nia contro il prof. Sarti, presentata in
nome e per conto del prof. Germano
Sollazzo, sovrintendente dell’ospedale.
Prendendo in esame 3 dei 5 casi solle¬
vati dal Sarti, i periti ne contestavano
globalmente la validità; era sorto, in
verità, un piccolo problema riguardo a
un caso (quello della paziente Anita
Masi): le loro dotte argomentazioni si
trovavano infatti in contraddizione con
quanto era scritto sui referti operatori,
^lozione: quanto riportato dai referti
non rispondeva a verità: il primario che
aveva vergato i documenti (il prof. So¬
stegni, superiore del Sarti) era in com¬
pleta balia del suo aiuto, da lui sug¬
gestionato a tal punto da ripetere sulla
carta le sue false affermazioni. “A leg¬
gere codesto referto — dice a pag. 12 il
documento Oselladorc-Melli-Sollazzo -
anche un profano resta sorpreso e per¬
plesso, perche difficilmente gli sfugge
che esso ha le caratteristiche di un
autentico atto di accusa contro se stes¬
so... Non riesce difficile rendersi conto
che il .Stislcgtù ...si é lasciato andare ad
asserzioni che sono in parte assai poco
verosimili, in parte spiegabili soltanto
con un lapsus calami”. Pagina 22-23:
“Il Sostegni si indusse a fare alh Masi
il secondo intervento, soltanto quando
il Sarti gli fece credere che una fisio¬
logia aveva dimostrato che la via biliare
era interrotta; mentre era vero soltanto
che la fisiologia non aveva dimostrato
nulla...”. Pagina 17-18: “Evidentemente
l’autoaccusa di aver leso insieme vena
porta e arteria epatica, nonché l’affer¬
mazione di averle riparate entrambe, il
Sostegni dovette scriverla nel suo reper¬
to operatorio dietro l’indicazione data¬
gli dal Sarti alla fine dell’intervento”.
Pagina 12-13; “L’unica verosimile spie¬
gazione sta nella più che probabile sug¬
gestione esercitata sul prof. Sostegni dal
prof. Sarti”.
Il bisturi insicuro. Poco più di un anno
dopo, neH’agosto del 1963, la commis¬
sione peritale nominata d’ufficio dalla
magistratura e composta dai professori
Cattabeni (a quell’epoca rettore del¬
l’Università di Milano), Chiatellino e
Mauri, depositò i risultati deH’inchiesta;
in essa, punto per punto, tutte le circo¬
stanze sanitarie contenute nell’esposto
Sarti venivano riconosciute come ri¬
spondenti al vero. False dunque le
argomentazioni e i documenti di prova
portati dalla perizia Oselladore-Melli-
Sollazzo; vero, al contrario, in relazione
al caso di Anita Masi, che “...la via
biliare principale era interrotta in un
punto non definibile..” e che, nel cor¬
so del secondo intervento, “certamente
indagoso e difficile”, vi furono “lesioni
vascolari avvenute durante le manovre
di dissezione, interessanti sia elementi
venosi che arteriosi, lesioni che comun¬
que vennero riparate dal Sarti”.
Caduta in ipiesto modo l’assurda ac¬
cusa di plagio nei confronti del profes¬
sor Sarti, restava ancora aperta la vera
questione di fondo; nei casi denunciati
dal Sarti c’era stata, e in che misura,
trascuratezza e incompetenza da parte
dei sanitari implicati? Fino a che pun¬
to costoro ne erano responsabili e quin¬
di penalmente perseguibili? La perizia
d’ufficio, in questo, mostrava di non
avere dubbi: nessuna colpa generica o
specifica poteva essere ravvisata nel
comportamento dei sanitari. Il criterio
informatore di tale giudizio è così ri¬
portato nella sentenza del giudice
istruttore: “Non è giuridicamente im¬
perito il medico che dimostra minore
cultura professionale o abilità tecnica di
un altro, ma quello che non possiede
quel tanto di abilità tecnica o di cultu¬
ra professionale che si richiede alla
maggior parte dei medici di eguale posi-
L'ASTROLABIO ■ 15 settembre 1968
31
zione professionale; analogamente an¬
drebbero formulati i giudizi sulla ne¬
gligenza e sulPimprudenza del sanitario:
donde la enorme difficoltà di valutare e
comprovare la colpa penale del medico.
Laddove vi è margine per la opinabilità
nella portata di una condotta non può
esservi colpa in senso penale”. Ma
un’esatta e approfondita ricostruzione
di tutta la vicenda ha portato invece il
giudice istruttore su posizioni del tutto
diverse.
Il primo caso documentato nell’espo¬
sto Sarti si era verificato nel lu^io
1959. La piccola Luciana Michclon, di
2 mesi, era stata ricoverata al reparto
pediatrico Mariani deH’Ospcdale Maggio¬
re di Milano il giorno 14 con diagnosi
di broncopolmonite in soggetto distro¬
fico. Per 2 giorni, malgrado le sue con¬
dizioni si facessero sempre più gravi,
con rantoli polmonari, cianosi, tacliicar-
dia, non si procedette a esame radiogra¬
fico, ma. si continuò semplicemente con
terapie antibiotiche. Solo il giorno 17,
quando il caso si presentava onnai gra¬
vissimo, venne eseguita una radiografia,
che confermò quello che tutti i sintomi
visibili facevano già da tempo intende¬
re: pneumotorace sinistro, con imme¬
diata necessità di intervento operatorio.
In questi casi, la prima misura di pron¬
to soccorso consiste nell’applicazione di
un drenaggio, operazione che è alla
portata di qualsiasi medico, c anche di
qualsiasi non medico (si tratta di infila¬
re un comune ago da siringa nella pare¬
te toracica del malato). Ma questo in¬
tervento di pronto soccorso non venne
compiuto nel più grande ospedale di
Milano. Per alcune ore, la piccola Mi¬
chclon fu sballottata da un padiglione
all’altro senza ricevere assistenza alcuna,
e solo alle 11,30 venne presa in cura
alla divisione Passera. Ma era ormai
troppo tardi. La piccola morì alcune
ore dopo l’intervento per pneumotorace
da stafilococco. Dunque: trascuratezza
da parte dei sanitari del reparto Mariani
(prof. Cislaglii primario, prof. Quarti
Trevano aiuto pediatra) per non aver
preceduto subito all’accertamento radio-
grafico, colposa omissione di soccorso
quando il trattamento minimo era a
tutti chiarissimo, e, infine, mancato
tempestivo ricovero nella divisione più
attrezzata per simili contingenze, nel
caso la divisione Passera.
Per comprendere quest’ultimo aspetto
del caso è necessario risalire a una di¬
sposizione che il sovrintendente del¬
l’ospedale prof. Sollazzo aveva tassativa¬
mente impartito qualche mese prima.
Secondo tale disposizione, nessuna ope¬
razione di chirurgia toracica doveva es¬
sere effettuata alla divisione Passera,
“malgrado sussista agli atti — si legge
nella sentenza - la prova di una speci¬
fica preparazione in tale campo acquisi¬
ta dal prof. Sarti”. Questa misura mira¬
va in pratica a riservare tutta l’attività
di chirurgia toracica dell’ospedale a un
solo sanitario e alla sua corte, un lu¬
minare di grande fama qua era il prof.
De Gasperis (ora scomparso), che in
concreto deteneva il monopolio in tal
genere di interventi.
La disposizione Sollazzo doveva esse¬
re all’origine, in seguito, di altri 2 casi,
pressoché analoghi tra di loro, che
terminarono con la morte di due neo¬
nati nel giro di un mese. Stefano Ce¬
rosa era stato ricoverato il 26 dicembre
’59 alla divisione di guardia (prof. Ba¬
riatti primario, prof. Gagliardi aiuto)
per un intervento d’urgenza: presentava
una grave malformazione congenita al¬
l’esofago. con possibilità di sopravviven¬
za valutabili intorno al 50 per cento.
Ma l'operazione avvenne solo 2 giorni
più tardi, e non alla divisione Passera,
la meglio attrezzata per casi del genere,
ma in quella di chirurgia toracica (in
osservanza alle direttive del prof Sol¬
lazzo). Operatore fu l’allora assistente
del prof. De Gasperis, il dott. Renato
Donatelli (“non autorizzato tra l’altro
- si legge nella sentenza a sostituire
il primario”): l’esito fu fatale: “deiscen¬
za delle suture sottoposte a trazione”,
secondo la perizia d’ufficio. La stessa
sorte toccò alla neonata Rita Dainelli,
ricoverata nello stesso stato del piccolo
Cerosa il 13 gennaio del 1960: uguale
attesa prima dell’intervento, uguale ope
ratore (dott. Donatelli), uguale esito:
“deiscenza delle suture sottoposte a tra¬
zione”. Proprio in quei giorni si stava
risolvendo il caso di Gilberte Assai,
l’undicenne bambina francese ricoverata
il 26 settembre 1959 alla divisione Pas¬
sera con diagnosi certa di enteroragia.
Si trattava di togliere un polipo intesti¬
nale delle dimensioni di un grosso ccce:
un’operazione di nonnaie difficoltà, che
tuttavia il prof. Sostegni, primario della
divisione, non riuscì a [xtrtare a termi¬
ne felicemente. Provocò anzi la perfora¬
zione del colon e, nel successivo inter¬
vento riparatore, aggravò il tutto (lesio¬
ne della vescica) fino a portare la pa¬
ziente in grave pericolo di vita. La pic¬
cola Assai usci dall’ospedale con gravi
lesioni vescicali e intestinali dopo 162
giorni di ricovero, per volontà del pa¬
dre: trasferita in una clinica di Parigi,
fu sottoposta dopo 13 giorni a una
nuova operazione dalla quale usci conv
plctamcnte guarita. “Non può non scor¬
gersi — si legge nella sentenza nel
comportamento del Sostegni un profilo
di colpa punibile. Trattasi, anzi, di im¬
perizia oltre che d’imprudenza, giacché
da un primario chirurgico...per di più
di fronte a un caso non cosi arduo... è
lecito attendersi qualcosa di più del ba¬
gaglio normale di cognizioni e dì espe¬
rienze tecnico professionali...”.
La casta degli intoccabili. Dopo il caso
Assai, i professori Sarti e Colucci chie¬
sero a più riprese la convocazione del
Consiglio di Amministrazione dell’ospe¬
dale, allo scopo di riferire sulla difficile
situazione di lavoro esistente nella divi¬
sione Passera. Vennero loro richieste re¬
lazioni e testimonianze sull’operato
tecnico del Sostegni, ma nessun provve¬
dimento fu preso, e il primario conti¬
nuò a operare ancora, mese dopo mese,
quantunque egli mostrasse “con il suo
comportamento estcrionnente ostensì¬
bile di insicurezza e di irresolutezza
nelle sue azioni c nelle sue volizioni”
di essere ormai poco idoneo a svolgere
funzioni di primario.
Il 30 aprile 1961 venne ricoverata
nella divisione Passera la signora Anita
Masi, 50 anni, per colica epatica e cal¬
colosi biliare. Anche in questo caso il
Sostegni operò una prima volta mala¬
mente, provocando l’interruzione della
via biliare, e aggravò i danni nel secon¬
do intervento (lesioni della vena porta
e dell’arteria epatica, immediatamente
saturate dal .Sarti). La Masi guari in
seguito a una terza operazione, effet¬
tuata doix) 4 mesi dal prof. ,Stau-
dacher, del Policlinico. “Poiché dunque
- si legge nella sentenza - sussistono
elementi specifici di colpevolezza del¬
l’imputato in ordine al delitto ascritto¬
gli, il Sostegni dovrebbe essere rinviato
a giudizio, ma, purtroppo, ricorrono
anche per questo caso (come per il
caso Assai) tutti i requisiti previsti..per
l’applicazione dcll’ainnistia-.”. E’ la
stessa formula che la sentenza usa, infi¬
ne, nei confronti dei membri del Consi¬
glio di Amministrazione (Masini, Pie-
poli, Salvaterra, Marini, Vercesi) nonché
del sovrintendente prof. Sollazzo e del
segretario generale dott. Magnanensi:
“Gli imputati... ebbero reiteratamente
notizia dei reati di cui ai precedenti
capi di imputazione, neH’esercizio o
comunque a causa delle loro precipue e
rispettive funzioni; ciononostante, pur
trattandosi dì delitti non punibili a
querela della persona offesa ma perse¬
guibili d’ufficio, essi omisero delibera¬
tamente dì farne denuncia all’Autorità
giudiziaria”.
A distanza di quasi 7 anni dal comu¬
nicato apparso sul Corriere della Sera il
26 gennaio 1961, appaiono ora in evi¬
denza la “regolarità amministrativa”, i|
livello della classe sanitaria “all’altezza
delle migliori tradizioni milanesi”, la
serietà di un Consiglio di Amministra¬
zione che non aveva trovato gli “estre¬
mi di reato” per una denuncia all’auto¬
rità giudiziaria. Toccata su questioni de¬
licate come “capacità professionale”
“senso morale”, “correttezza scienti¬
fica”, “responsabilità penale”, la catego¬
ria medica si era rinserrata a scudo
ritrovando l’antico spirito della casta
sacrale: infallibile e intoccabile. Uno
spirito che oggi si può altrimenti dire
mafioso. Un aiuto primario ha tentato
per primo, dall’interno, di rompere il
circolo chiuso che vincola la categoria
medica: ora il processo.
LUCIANO ALEOTTI ■
32
o~30-2i?
Komu: la mano della fortuna
tono
la riffa
di stato
I l gioco del lotto è divciituto il
Liechtenstein dei più modesti tra i
"capitali vaganti” d'Italia. Si chiamano
“vaganti” quei denari che i prprietari
non intendono legare stabilmente ad al¬
cuna iniziativa. Essi non si muovono
però più, come in passato, per spirito
d’avventura, per perenne amore del ri¬
schio. Si muovono soltanto per sfuggire
a ogni tassa. Il che è tanto più facile,
quanto più sovente si faccia cambiare
“bandiera” al proprio denaro.
Sotto la bandiera della Svizzera, del
Lussemburgo del Liechtenstein, molti
finanzieri compiono prestigiose opera¬
zioni. Non sono pochi i liberi professio¬
nisti italiani (medici, architetti) o anche
mediatori, negozianti, che ne hanno se¬
guito la strada. Capacissimi a nascon¬
dere al fisco italiano ingenti guadagni,
non lo sono altrettanto nel rendere
remunerativo il loro denaro. Cosi si af¬
fidano agli Investment trust sorti so¬
prattutto in questi tre Stati. Spesso
perdono irrimediabilmente il loro dena¬
ro, mal affidato, soprattutto nel Liech¬
tenstein.
Cosi da qualche anno sta accadendo
— per somme che naturalmente sono
Napoli: la quaterna spaziale
unitariamente assai più modeste con
il gioco del Lotto. Il principio di que¬
sta caratterizzazione dell'antico gioco
comincia attorno al 1960. Data da al¬
lora la scoperta, fatta da alcuni “finan¬
zieri da caffè”, che giocando l’ambata
sui numeri “ritardatari” si riesce a “to¬
gliere” qualcosa allo Stato, per giunta
evitando di pagare tasse sui profitti
Certo il sistema richiede accortezze:
accortezze empiriche. Il gioco del Lotto
è fatto in modo che ogni settimana si
calano nella “bussola” di ognuna delle
10 città (“ruote”) in cui si fanno le
estrazioni, 90 dischetti ciascuno dei
quali ha un numero compreso tra 1 e
90. Da o^i ruota un ragazzo bendato
estrae 5 dischetti. Dunque ogni settima¬
na l’estrazione avviene ex novo: in teo¬
ria potrebbero venir estratti ogni set¬
timana gli stessi 5 numeri e gli altri 85
potrebbero non venire estratti mai.
Ma la realtà è diversa. Attraverso gli
archivi le estrazioni settimanali del Lot¬
to sono state ricostruite per 70 anni. Si
è visto che pochi sono i numeri che
non vengono estratti in cento settima¬
ne. 1 pochi “centenari”, tra i 5 e i 15
per anno, in genere vengono finalmente
estratti nelle 20 settimane successive. Si
sono contati, in 70 anni, solo poco più
di 100 casi in cui taluni numeri hanno
superato le 123 settimane d’assenza.
Sin’ora il record dei ritardi spetta al
numero 8 che, a cavallo con l’inizio
della guerra, restò “assente” a Roma
per 202 settimane (circa 4 anni).
I orrari A{!^tadi
Gli strateghi dell’anibata. Fidandosi di
tali statistiche, taluni hanno iniziato dal
I960 circa a giocare sistematicamente i
numeri a partire dalla centesima setti¬
mana di ritardo. Li giocano in “alliba¬
ta”: fanno cioè, su una sola scheda. 89
ambi centrati su un 90csimo numero,
quello prescelto per il suo ritardo. Lo
àato, se il numero esce, paga la posta
moltiplicandola per 11,23. Se la giocata
è stata di mille lire, se ne pagano
11.230.
11 margine dell’ambata è modesto:
con mille lire, se ne vincono 10 mila.
Dopo tre settimane, con 3 mila lire
spese, se ne vincono 8 mila. Alla terza
settimana i “sistemisti” alzano lieve¬
mente la puntata. Giocando 1.300 lire,
tornano a porsi nella condizione di
riprendersi il “capitale”, più 10 mila
lire circa di guadagno.
Cifre modeste, modestissimi guadagni:
visto però in termine di “interessi ’, il
tasso è elevatissimo. Giocando mille lire
un sabato e incassandone 11 mila al
lunedi, si realizzerebbe un “interesse”
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968
33
novità
LA NUOVA ITALIA
Contemporary
philosophy
A SURVEY
La philosophie
contemporaine
CHRONIQUES
I. LOGIC AND
FOUNDATIONS
OF MATHEMATICS
pp. 400 L. 6000
II. PHILOSOPHY
OF SCIENCE
pp. 528 L. 7500
In preparazione i volumi III e IV
Sotto la direzione di Ray¬
mond Klibansky, più di
100 studiosi di 25 paesi
hanno composto un pa¬
norama completo della fi¬
losofia mondiale.
Le struttgre logiche del
pensiero esemplificate nei
classici della filosofia.
Aperta a tutti la lezione
privata di un vero grande
maestro.
LUIGI
SCAU^IULLI
Critica del capire
« Capire il nuovo significato di
ogni parola nuova ». L 3000
Scritti kantiani
« Il punto critico in cui si co¬
glie sul vivo l’acume e il rigore
speculativo della trasformazio¬
ne ». L. 5000
pari al 150 mila per cento. Ovviamente
se si devono attendere 50 settimane
(un annetto) per vedere uscire il pro¬
prio numero, si finisce solo per ripren¬
dere il proprio capitale più un utile di
poche decine di migliaia di lire: l’in¬
teresse annuo composto scende al più
terrestre tasso del cento per cento, che
è sempre elevatissimo.
I “finanzieri da caffè” del Lotto non
arricchiscono mai, ma si sentono ‘'pa¬
dreterni” della finanza. In genere questi
sistemisti versano ogni anno un milion-
cino ai botteghini e ne ricavano il dop¬
pio: un milione per seguitare il gioco,
il resto per risollevare il ménage. Non
sono insomma dissimili a quei veneziani
che, con l’eterno “sistemino” del rosso
e nero, ricavano ogni sera d'estate al
Casinò del Lido le 3-5 mila lire.
Ma all’improvviso, quest’anno, l’amba-
ta è divenuta una moda. Si sono posti
a praticarla da una parte vere e proprie
piccole “società” finanziarie forniate da
gruppi d' amici; o addirittura alene di
quelle cosidette “finanziarie” che da
anni pullulano nelle grandi città prati¬
cando prestiti a privati cittadini che,
per garanzia, invece dei lenzuoli al
munte, portano alla “finanziaria” cam¬
biali con il proprio onorato nome d’im¬
piegati statali.
Oltre a tali “società”, si è gettata
sull’ambata una massa, decine e decine
di migliaia di persone, del tutto sprov¬
veduta e convinta che ugni numero
“centenario” debba uscire in poche set¬
timane. Dal principio di luglio, il Lotto
si è messo a incassare 6 miliardi per
settimana, da luglio cresciuti a 7. Tra
allora e oggi, in settanta giorni, lo Sta¬
to ha incassato dal Lotto ben 65 mi¬
liardi di lire, quanti cioè ne aveva in¬
cassati nell’intero 1965.
L’attivo dello Stato. Il fenomeno ha
dunque assunto proporzioni economiche
rilevanti. Migliaia di famiglie, in luglio e
agosto, hanno dato ai botteghini mi¬
gliaia e migliaia di lire sottratte ai loro
normali consumi. Poi hanno dovuto
smettere rinseguimento al numero ritar¬
dalo del momento il 67 per la ruota
di Cagliari.
II giorno in cui il 67 uscirà ^ o in
cui esce ogni altro numero fortemente
ritardato lo Stato certamente non
sbancherà. Esso pagherà con quanto ha
(ncassato dalle migliaia e migliaia di
persone che si sono ritirate. Ma dal
punto di vista dell’economia sarà acca¬
duto questo: lo Stato avrà rastrellato
decine di miliardi a famiglie a reddito
fisso (che perciò pagano già, senza al¬
cuna possibile sottrazione. Te loro impo¬
ste), e restituito decine di miliardi ai
“sistemisti” che evadono le tasse.
Nei primi si sarà alimentata inimicizia
verso uno Stato che, pemiettendo e
sfruttando il lotto, Ita permesso e
sfruttato la loro sciempiaggine; nei
secondi si sarà rafforzato il convinci¬
mento che è giusto e possibile frodare
lo Stato che “toglie agli sciocchi, ma
premia i furbi”.
In realtà, per dirla con le cifre, sino
alla fine d’agosto lo Stato aveva que¬
st’anno incassato 160 miliardi dal lotto,
contro una previsione d’entrate per 88
miliardi. E deve, a coloro che hanno
già vinto negli 8 mesi, circa 60 miliar¬
di, contro 50 che prevedeva di dover
pagare. Se ora esce il 67 a Cagliari (sul
quale da agosto si giocano circa 5 mi¬
liardi a settimana), lo Stato per questo
numero pagherebbe circa 60 miliardi.
L’attivo statale, per il Lotto, re¬
sterebbe forte: ma decine di migliaia di
famiglie, per colpa d un padre o d’una
madre che per alcune settimane di
seguito hanno depositato migliaia di lire
nei bottegliini “statali” del Lotto,
avrebbero irrimediabilmente visto sce¬
mare i loro già bassi consumi essenziali.
Riforma o abolizione? Dicendosi espli¬
citamente preoccupato per tali famiglie
e indignato per il cattivo uso che i
sistemisti “milionari” fanno dei loro ca¬
pitali, il ministro delle Finanze, Ferrari
Aggradi, ha annunciato una rifonna del
Lotto. Finalmente conosciuta, s’è visto
che essa, in realtà, renderà impossibile
ogni tipo di gioco fatto sui numeri
ritardatari solo a chi non abbia molto
denaro. Chi abbia “capitali vaganti’’, sia
pure con molta perdita di tempo, potrà
invece trasferire sull’ambo vero e
proprio il gioco che attualmente fa
sull’ainbata.
Può darsi che il concerto dei ministri,
prima, e l’esame del Parlamento, poi,
eliminino anche questo vuoto lasciato
dal ministro nella rete creata attorno
all’estratto semplice, all’estratto deter¬
minato, all’ambata e all’ambo, che sono
i quattro modi di giocare i numeri in
ritardo. Ma tutto ciò non toglie che il
gioco del Lotto resti in piedi. Vi gio¬
cheranno solo i “tradizionalisti” che
scommettono sui numeri portati in so¬
gno dal nonno o ricavati da altrettanto
medievali auspici. In larga parte del¬
l’opinione pubblica resterà il sospetto
(che equivale a certez7.a) che quando
finalmente s’era scoperto il modo di
vincere contro lo Stato, con il Lotto,
10 Stato abbia cambiato i termini della
contesa, riprendendosi il suo privilegio.
Ch’era quello, sino agli anni ’60, d’in¬
cassare ogni 12 mesi una quarantina di
miliardi, restituendone, per vincite, solo
11 40-43 per cento.
Sarebbe ora, per uno Stato moderno,
d’abolire del tutto il gioco del Lotto e
di recuperare i soldi che in tal modo
l’erario non incasserebbe più, attraverso
una rifomia e un’anagrafe tributarie
capaci di impedire le massicce evasioni
che ai “capitali vaganti” d’ogni di¬
mensione in Italia sono ancora con¬
sentite.
GIULIO lacava ■
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