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Full text of "L'Astrolabio 1968 n° 36"

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samona 

savelli 

Ciò che vogliono i cecoslovacchi 
Cosa non vogliono gli invasori 


LA SVOLTA DI PRAGA 

raccolta di documenti - dal IV Congresso degli scrittori 
alla primavera 1968 - a cura di Gianlorenzo Pacini. 

Il volume è corredato da un’ampia introduzione 
informativa e da una cronologia ragionata 
della storia cecoslovacca. 


« ... I testi degli scrittori cèchi, propulsori talvolta 
impazienti del nuovo corso liberalizzatore, sono stati 
più spesso citati genericamente che non portati 
a conoscenza del grosso pubblico. Eccone raccolti 
un buon numero, dagli atti del IV Congresso deH’Unione 
Scrittori, svoltosi a Praga dal 27 al 29 giugno dell’anno 
scorso. Se ne ricava un quadro illuminante... » (Il Giorno) 


« ... Quest’opera, pur raccogliendo una serie di testi 

di rilevante importanza politica, non si limita 

a comporre un’arida somma di documenti, 

magari di difficile lettura, ma offre un’ottima prefazione 

e mette in rilievo gli interventi efficacissimi 

che riguardano soprattutto la posizione 

degli intellettuali cecoslovacchi e dei giovani... » 

(Il Giornale di Sicilia-Palermo) 


amena 

avelli 
















direttore 

Ferruccio Farri 


vice direttore responsabile 
Mario Signorino 


Direzione, redazione e ammini¬ 
strazione: via di Torre Argenti¬ 
na 18, 00186 Roma. Telefono 
565.881-651.257. 


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L. 6.000 - semestrale L. 3.100 - soste¬ 
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- semestrale L. 5.100. Una copia lire 
150, arretrata L. 250. Le richieste van¬ 
no indirizzate a; L'Astrolabio ammini¬ 
strazione, via di Torre Argentina 18, 
00186 Roma, accompagnate dal relati¬ 
vo importo, oppure con versamento 
sul c/c p. n. 1^40736 intestato all'Astro- 
lablo. 

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stezza 1 colonna sulla base di 3 colon¬ 
ne a pag.; 1 pagina L. 150.000: 3 pa¬ 
gine L. 427.500 (sconto 5%); 6 pagine 
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speciali: quarta di copertina a 2 co¬ 
lori L. 200.000, a 3 colori L. 250.000, 
a 4 colori L. 300.000. Dalle tariffe sono 
escluse tasse e Ige. 

Editore « Il Seme ». Registrazione del 
Tribunale di Roma del 18 maggio 1966. 
Distributore; Società Diffusione Perio¬ 
dici (SO.DI.P), Via Zuretti 25, Milano. 
Tel. 6884251. Stampa; Policrom S.p.A. 

- Roma. Spedizione in abbonamento 
postale gruppo II. 

La redazione non garantisce la pubbli¬ 
cazione degli articoli non richiesti, né 
la restituzione di materiale inviato. 



sommario 



4 II costo di Praga, di Ferruccio Farri 

6 La Malfa e i blocchi, di Ernesto Buglioni 

7 Luglio '64; Disco verde ai De Lorenzo, di Giuseppe Loteta 

9 Un tuono a destra, 

10 Studenti: Togni parla chiaro, di M, S. 

11 Comunisti: la nuova strategia, di Luciano Vasconi 

13 Sinistra cattolica; l'incognita delle AGLI, di Fabrizio Coìsson 



15 Praga-URSS; controrivoluzione e apparati, di Donato 

17 Praga: la roulette russa 

18 Germania: la svolta di agosto, di Aldo Giobbio 

24 Medio Oriente: cresce la paura, di G. Calchi Novali 

26 Trade Unions: il centenario difficile, di Jon Halliday 

27 Germania: la sinistra e Praga (colloquio con Karl-Dietrich Wolff] 


32 Lotto: la riffa di Stato, di Giulio Lacava 


30 Milano: il bisturi 
e il plagio 

di Luciano Aleotti 



L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


3 




























D e Gaulle insiste come sempre die 
il peccato originale è stato onv 
messo a Yalta. De Gaulle invecchia e 
diventa montone. La spartizione di 
fatto del mondo (appropriazione indebi¬ 
ta, dicono gli anti-imperialisti) è la ri¬ 
sultante di una concentrazione di forza, 
e quindi di potere, solidificatasi nei due 
blocchi quasi-monopolistici. 

Questi due protagonisti-antagonisti so¬ 
no arrivati alla conclusione che, scartata 
la guerra, non vi è alla lunga altra pro¬ 
spettiva fuor della distensione, ma con 
un ritardo già rovinoso. Ora a questa 
timida, incerta prospettiva Praga porta 
un colpo rovinoso. 

Ma le sue ripercussioni politiche pro¬ 
vano, almeno in parte, che quella scelta 
resta, perchè obbligata, una costante di 
fondo delle due posizioni sul piano 
mondiale. Al di là del Vietnam e di 
Israele, al di là degli spintoni imperiali¬ 
stici delle flotte americane, del dollaro 
c della CIA, al di là degli spintoni e 
della contro-guerra sovietica questa stra¬ 
da deve restare aperta. 

E perchè non si chiudesse non sono 
mancate ' le assicurazioni a Washington, 
anche nei riguardi della Roni^ia, ^ 
Mosca:* non sappiamo se dal Kossigliin 
di Glassboro. E Johnson condanna il 
soppruso militare, maledice, ma conclu¬ 
de che Praga è faccenda interna dell’al¬ 
tro : mondo e la distensione resta. A^i 
alleati e vassalli che reclamano più 
energia nelle risposte dei fatti e nella 
richiesta di sgombero della Cecoslo- 
vaccliia occupata, risponde: rottura no. 


Ed avverte l’arrabbiato inviato di fionn 
che rompere o riprendere i contatti è 
affare che spetta soltanto alla America 
di condurre. 

La situazione mondiale è così delica¬ 
ta e fragile che negli uomini di governo 
è pressoché unanime, anche se diversa- 
mente sincero o diversamente reticente, 
il consenso alla distensione. Ma la ri¬ 
sposta di Johnson è valida sino alle 
elezioni. 

Ritorno al bellicismo. E dopo? 1 di¬ 
scorsi di Nixon, che trova ormai prefe¬ 
ribile mettere in frigo la firma del Trat¬ 
tato anti-ll, sono indicativi del bellici¬ 
smo anti-comunista che i fatti di Praga 
hanno scatenato, e stanno aggravando, 
in America, in tutto il mondo, compre¬ 
si gli inviperiti articolisti dei giornali 
italiani di grande tiratura. Avrebbero ra¬ 
gioni, poverini, se non li tradisse la 
coda di paglia che adorna gli scrittori e 
le loro trame, e non si denuncia qui 
per ragione polemica ma perchè indica¬ 
tiva della vastità e robustezza della cor¬ 
rente anti-pacifista suscitata nel mondo. 

Dietro i politici e ^i scrivani inter¬ 
vengono i professionali del bellicismo: 
generali e tecnici, apparati militari e 
industriali, grandi ordinazioni, e tutto 
l’ormai ampio settore che vive, prospera 
e prolifera sulla base della spesa milita¬ 
re. 

E più dietro ancora, qual dono han¬ 
no fatto i carri armati di Praga alla 
difesa dei sistemi capitalisti, dei re^mi 
conservatori o reazionari, delle ditta¬ 


ture? I-a sterzata anticomunista dove 
porterà le socialdemocrazie, e sin dove, 
sin quando bloccherà quel certo proces¬ 
so di maggiore, più consapevole pressio¬ 
ne delle masse che si andava manife¬ 
stando in Europa? dove andrà a parare 
l’agognato centro-sinistra italiano, debi¬ 
tamente indurito e inseverito, ce lo di¬ 
cono gli scrittori prelodati e gli oratori 
domenicali. Ed io vorrei che il Buon 
Dio a successore di Medici come mini¬ 
stro degli Esteri ci desse l’on. Cariglia, 
non dubitando dei frutti che agli oppo¬ 
sitori procurerebbe il suo oltranzismo 
senza macchia e senza paura. 

L’osservatorio di Washington. Washing¬ 
ton è naturalmente l’osservatorio mi¬ 
gliore per misurare i pericoli e i danni 
maturati e maturanti. A Washington ri¬ 
corre la Geniiania di Bonn, che è l’ob- 
biettivo più diretto del colpo di Praga: 
una cortina più rigida e minacciosa di 
carri amiati, sette categoriche condizio¬ 
ni sovietiche di convivenza, che tagliano 
corto ad ogni speranza di aggiramento, 
e Bonn non si sente di accettare per 
debolezza, immaturità, o vizio ed errore 
della sua politica: la più grave è la 
garanzia nucleare che dopo IVaga la 
Germania ora pretende, annullando le 
precedenti mezze promesse di Brandt. 

La Casa Bianca di Johnson, ancor 
femia all’obiettivo del Trattato anti-H, 
non vuol dare questa garanzia. Che 
cosa farebbe una Casa Bianca di 
Nixon? A Kiesinger che da Ankara con 
il collega turco reclama più sicurezza 




5 


4 











la vita politica 



Lcmnitzcr c Von 



Gui 


militare, e con lui ad una voce sola, 
salvo la Francia, reclama tutta la destra 
europea, é il Pentagono che risponde 
con tono diverso al solito dalla Casa 
Uianca e con le solite interpretazioni 
estensive. 

Non si può dire che il Pentagono 
ravvisi nelle previste decisioni militari 
relative al confine dei Sudeti un perico¬ 
lo aggiuntivo. Ma gli esperti sono stati 
colpiti dalla rapidità, precisione, impo¬ 
nenza della mobilitazione sovietica. Una 
prova generale, non certo improvvisata, 
soddisfacente per i responsabili di Mo¬ 
sca, non per le sue conseguenze per 
noi. Risorge dunque la questione del¬ 
l’attacco improvviso. Siamo preparati, si 
domanda il Pentagono? 

A buon conto, per quanto riguarda 
PAmerica, visto che i sovietici dispon¬ 
gono dei famosi missili orbitali, infi¬ 
schiamoci delle promesse di disarmo e 
variamo il grandioso dispositivo missili¬ 
stico Sentinel a difesa degli Stati Uniti: 
ventottomila miliardi di dollari. Crepio 


pure i popoli affamati. E per quanto 
riguarda l’Europa, resta la strategia fles¬ 
sibile delle risposte localizzate. Niente, 
per ora, testate nucleari a disposizione 
dei tedeschi, ma necessità di rivedere e 
mettere a punto i dispositivi NATO 
perchè la risposta sia tempestiva e suf¬ 
ficiente. 

Che questo sia per esser deciso da 
una prossima riunione NATO è ancora 
incerto, opera sempre l’ostruzionismo 
francese ad ogni cosa legata all’Ame¬ 
rica. Ma che si realizzi in un modo o 
nell’altro, invariabile misura nei paesi 
integrati nella Nato, è ben probabile. 

Il prezzo richiesto all’Italia. Quale sa¬ 
rebbe per noi il costo dell’operazione 
Praga? Completare gli effettivi delle di¬ 
visioni integrate e render quindi più 
severa la coscrizione e anche migliore 
1 addestramento, maggiori dotazioni di 
carri armati moderni, artiglierie e missili 
terrestri, ricliiami e istruzione delle 
classi giovani congedate; aumento del 


Kicimannscgg 

tonnellaggio operativo della Marina Mi¬ 
litare. Una bella zuppa di miliardi. 

Con accompagnamento di fieri di¬ 
scorsi, di inni alla libertà, di generali in 
parata, e di rinnovate condanne a mor¬ 
te della verità, della sincerità e della 
semplicità. E con accompagnamento di 
una politica intemazionale ridotta 
ormai ad una tela di ragno d’incerti 
discorsi, amletici slenzi e bolle di sa¬ 
pone europeistiche. 

Con raggiunta che Johnson chiede 
senza mezzi termini alla Europa non 
solo maggior coopcrazione e maggior 
sacrificio per la propria difesa, ma an¬ 
che maggior solidarietà per tutta la 
politica americana non soltanto atlan¬ 
tica, cioè per il Vietnam. 

Al fondo del quadro di questa ge¬ 
nerale spinta indietro rispunta l’ombra 
di Poster Dulles e della sua strategia 
integrale; “risposta massiccia ed im¬ 
mediata”, rispunta la prospettiva della 
guerra atomica, che trova già bal¬ 
danzosi, ed irresponsabili preconizzatori 
italiani. 

I Soviet hanno adoperato un maglio 
per spaccare una noce. Non tragico er¬ 
rore, ma tragica prigionia di una di¬ 
sin fomiazione, e di una conseguente 
mancanza di opinioni pubbliche e di 
capacità di capire, sentire e valutare le 
reazioni dei popoli del mondo. E’ una 
disinformazione pubblica che condi¬ 
ziona in larga parte la politica ame¬ 
ricana. E quella che minaccia anche 
noi, oggi e domani più di ieri. Sia per¬ 
ciò più attiva, energica, lineare l’opera 
nostra in difesa del nostro avvenire de¬ 
mocratico. 

FERRUCCIO FARRI ■ 



Scluocder od il generale Spantidakis 
L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


5 




NATO 


la sortita 
di La Malfa 


U n duro attacco è stato rivolto da 
La Malfa a quelle forze della sini¬ 
stra non comunista che sostengono la 
necessità di lottare contro la politica 
dei blocchi. Così facendo, agli occhi 
del leader repubblicano, queste forze si 
niaccliiano di molte colpe: evadono dal¬ 
le proprie responsabilità morali, conver¬ 
tono un problema politico in problema 
morale, tradiscono gli interessi di liber¬ 
tà e di indipendenza del proprio paese, 
si propongono di disarmarlo compieta- 
mente di fronte all’eventualità di gravi 
minacce, e chi più ne ha più ne metta. 

Le tesi di La Malfa. Queste accuse si 
reggono su uno schema logico estrema- 
mente semplice e apparentemente inojv 
pugnabile. Cerchiamo di verificarlo. So¬ 
stiene La Malfa: con l’occupazione nia- 
nu militari della Cecoslovacchia, l’URSS 
ha dimostrato ancora una volta di non 
essere disposta a tollerare nel proprio 
campo alcuna spinta centrifuga e alcuna 
tendenza liberalizzatrice, opponendosi 
con la forza ad ogni pros[>ettiva di su¬ 
peramento della politica dei blocchi. 
Sostenere tale prospettiva aH’intemo del 
mondo occidentale significa pertanto 
agire non in direzione del superamento 
dei blocchi ma soltanto dello sgretola¬ 
mento di uno di essi, mentre l’altro 
rinsalda la propria compattezza c la 
propria unità. Di qui le colpe di evasio¬ 
ne dalle proprie responsabilità, di tradi¬ 
mento, ecc. Di qui la necessità, per 
affrancarsi da queste colpe, di sostenere 
il rafforzamento della cosiddetta solida¬ 
rietà occidentale. 

Lo schema di La Malfa, come si ve¬ 
de, non differisce molto da quello delle 
destre se non in un punto certamente 
non secondario: il rafforzamento della 
solidarietà occidentale non deve, per i 
repubblicani, comportare l’abbandono 
della polìtica' di distensione alla quale 
in ultima analisi è affidata la stessa 
speranza e possibilità che sì riapra, nel 
sistema degli Stati socialisti, la strada 
alle tendenze liberalizzatrici. La disten¬ 
sione tuttavia, lungi dal potersi realizza¬ 
re attraverso una politica di superamen¬ 
to dei blocchi, deve necessariamente 
passare , attraverso il loro equilibrio e 
soprattutto attraverso l’equilibrio di po¬ 
tenza dei due Stati-guida. 

Il ragionamento tuttavia, per essere 
politicamente valido, deve fondarsi su 
alcuni assunti: 1) l’aggressione sovietica 
alls Cecoslovacchia rende di nuovo at- 
ttule il pericolo di una minaccia ai pae¬ 
si dell’Europa occidentale; 2) la NATO 


non si comporta nei confronti dei paesi 
aderenti alla maniera del Patto di Var¬ 
savia e non costituisce quindi neanche 
potenzialmente una minaccia alla loro 
libertà e .indipendenza; 3) il blocco oc¬ 
cidentale è portatore di un sistema di 
valori superiore che giustifica l’adesione 
a questo blocco non come semplice 
alleanza militare subordinata ma come 
scelta di civiltà. 1 primi due La Malfa li 
dà troppo facilmente per dimostrati, il 
terzo non è neppure evocato in questa 
circostanza ma, conoscendo le posizioni 
politiche del Partito Repubblicano, 
possiamo considerarlo implicito e 
sottinteso. 


Un discorso unilaterale. Alla luce di 
questi presupposti il discorso del leader 
repubblicano appare, esso si, davvero 
unilaterale. Ci sono state, alla base del¬ 
l’invasione della Cecoslovacchia, preoc¬ 
cupazioni riguardanti la politica interna 
degli Stati socialisti che poteva essere 
messa in crisi da queU’esempio di de¬ 
mocratizzazione, e preoccupazioni di 
politica estera e di equilibrio continen¬ 
tale. Abbiamo scritto su questo giornale 
che è errato attribuire nonostante la 
campagna della stampa sovietica, — a 
questo secondo tipo di preoccupazioni 
il motivo detenninante dcU’intcrvcnto, 
pur tenendo conto della inevitabile cor¬ 
relazione fra ì due aspetti. Ma se sì 
prendono in considerazione i problemi 
di equilibrio intemazionale, non è pos¬ 
sibile ignorare le responsabilità occiden¬ 
tali protrattesi e aggravatesi negli anni 
con la permanente pressione sulla Ger¬ 
mania orientale, con la pemianente e 
sempre sospesa rivendicazione delle 
frontiere Odor Neisse, con il rifiuto di 
discutere ogni progetto di smilitarizza¬ 
zione nell’Europa centrale in zone com¬ 
prendenti aree geografiche di entrambi i 
blocchi. Queste responsabilità hanno 
giocato sui fatti di Cecoslovacchia, non 
meno della volontà dell’URSS di man¬ 
tenere intatta la propria zona di in¬ 
fluenza. Le logiche della politica di 
blocco sì giustificano a vicenda e la 
logica di La Malfa diventa, su questo 
terreno, facilemnte reversibile, con qua¬ 
le utilità per i comunisti cecoslovacchi 
è difficile intendere. 

In realtà sono mancate le forze poli¬ 
tiche europee decise a diventare prota- 
goniste nel proprio continente del pro¬ 
cesso di distensione senza delegarlo agli 




La Malta 


accordi delle due massime potenze. 
Non è anche per la mancanza di questi 
interlocutori che in Polonia nel giro di 
pochi anni la politica di Rapacki e di 
Ochab è stata sostituita con la polìtica 
di partecipazione all’invasione della Ce¬ 
coslovacchia? 

Se invece si ritiene che i carri aniiati 
del Patto di Varsavia si siano mossi in 
direzione di Praga assai più per difende¬ 
re un tipo di regime comunista che per 
garantire le frontiere contro pericoli 
estremi, non si può considerare valido 
Pcsempio della Francia, portato da La 
Malfa per giustificare la superiorità del 
sistema occidentale dal quale si potreb¬ 
be uscire senza pericoli di invasioni mi¬ 
litari americane. Il nazionalismo, la po¬ 
litica di granUmr Pautoritarismo di De 
Gaulle possono infatti infastidire e di¬ 
sturbare la strategia mondiale dell’Ame¬ 
rica ma esaltano c non minacciano il 
sistema che la opposizione di sinistra 
combatte e vuole trasformare. Ma dove, 
come in Grecia, la destra è insicura e 
traballante nel proprio potere, lì inter¬ 
vengono i colonnelli avvalendosi dei 
piani di sicurezza della NATO. Infine 
in nome di quale logica si può tagliar 
fuori da queste considerazioni la distru¬ 
zione di ogni margine di rifomiismo in 
America Latina dopo l’intervento ameri¬ 
cano a San Domingo, l’involuzione del 
sistema democratico americano verso 
fomie crescenti di repressione autorita¬ 
ria all’interno e di politica imperialistica 
aH’estemo? 

Resta il discorso sulla coesistenza!. Ma 
già nel passato il muro dì Berlino non 
si rivelò di ostacolo alla coesistenza. Il 
problema è di sapere quali sviluppi avrà 
c a che livello di democrazia o di auto¬ 
ritarismo sì realizzerà. 

Cosa contrapponiamo? I.a capacità 
dei vietnamiti di fermare la potente 
macchina americana, la resistenza civile 
'c non violenta della popolazione ceco- 
slovacca intorno ai carri armati sovie¬ 
tici, l’esplosione libertaria d’America e 
d’Europa. 

Nonostante le apparenze, ad est come 
ad ovest, la logica di blocco è un abito 
troppo stretto per i fermenti di libertà 
che scuotono il mondo. 


ERNESTO BUGLIONI ■ 


6 


Am 


Pìlscn : 
il carrista 











Koiiiu: Sia/Jari c Jammzzi al processo 

LUGLIO ’64 

nSCOVEHIEAI 

DE LORENZO 


L I attenlii, niinu/iosu vcrificu di 
tutte le risultanze processuali 
impone, a parere del collegio, una sola 
conclusione: e cioè che non una delle 
infonnazioni contenute negli articoli 
degli imputati ha mai avuto concreto 
fondamento di verità e, in sostanz,a, 
che sotto il profilo della verità reale, 
|Kr il cui accertamento l'indagine è sta¬ 
ta fin qui condotta, tutte le tesi for¬ 
mulate dallo Jannuzzi e dallo Scalfari 
sul loro giornale, e al dibattimento, si 
sono dimostrate irrimediabilmente fal¬ 
se... Falsità consapevoli e certamente 
preordinate per un illecito scopo che. 
ad essere benevoli, può quanto mai 
individuarsi negli intendimenti degli inv 
pillati di condurre sul loro giornale una 
clamorosa campagna di stampa inne¬ 
standola sullo scandalo del SIFAR che. 
dopo il dibattimento parlamentare e le 
conclusioni dell’inchiesta amministrativa, 
andava allora incamminandosi sulla via 
del ridimensionamento e della de¬ 
finizione”. 

Non è che uno dei tanti brani della 
motivazione della scnten/ji di condanna 
emessa sui fatti del '(>4 dalla IV sezio¬ 
ne del Tribunale penale di Roma, una 
delle 664 pagine che presentano Scalfa¬ 
ri e Jannuzzi come due loschi giornali¬ 
sti. sempre pronti a inventare scandali 
per “scopi illeciti”, e il gen. De Loren¬ 
zo come un gaantuomo innocente e 
ingiustamente diffamato. Ma è sufficien¬ 
te dare un’idea della parzialità con cui 
il Presidente Casella e i giudizi Simon- 


celli c Della Penna, estensore materiale 
quest’ultimo della sentenza, hanno con¬ 
dotto questo processo che ben a ragio¬ 
ne sarà ricordato in futuro come uno 
dei meno edificanti nella storia della 
Magistratura italiana. Nessuna intenzio¬ 
ne Dio me ne guardi di vilipende¬ 
re con queste riglie il potere giudizia¬ 
rio. Ma che altro dire di fronte a una 
sentenza che “teorizza sono parole 
deir.'liwj// lo Stato di polizia” e che 
presenta come verità rigorosamente ac¬ 
certata la somma delle molte menzogne 
emerse nel dibattimento, mentre relega 
le verità al ruolo di voci inattendibili e 
da respingere? 

In sostanza, i giudici hanno deciso 
che: I) nell cstate del ’M non fu tenta¬ 
to alcun colpo di Stato, nè fu effettua¬ 
ta da parte del Comando dei Carabinie¬ 
ri o del SIFAR alcuna azione illecita; 
2) che il comportamento del gen. De 
Lorenzo fu in quel periodo ineccepibile 
e incensurabile sotto ogni profilo. Le 
misure adottate dal Comandante dei 
Carabinieri sarebbero provvedimenti di 
normale amministrazione e le famose 
liste di proscrizione semplici elenchi di 
“spie, sabotatori ed eversori” da aggior¬ 
nare per conto del SIFAR. Per avvalo¬ 
rare queste decisioni, il Tribunale si av¬ 
vale di curiose spiegazioni. Le tesi della 
parte civile sono sposate in pieno. Ma 
non senza che contraddizioni e affretta¬ 
te conclusione appaiano ad ogni pagina 
della sentenza. Le principali riguardano 
i rapporti a suo tempo elaborati dalle 


commissioni ministeriali d’inchiesta pre¬ 
siedute dai generali Beolchini e Lom¬ 
bardi, Luna sulle deviazioni del SIFAR, 
l’altra sui fatti dell’estate 1964. Per 
quanto concerne la Beolchini, la Com¬ 
missione ritiene trattarsi di conclusioni 
che, “f)er ciò che esse sono e per la 
fonte donde provengono, non possono 
costituire prova relativamente ai fatti 
cui si riferiscono”. Sono tutt’al più 
espressione di “una attività amministra¬ 
tiva meramente conoscitiva e non han¬ 
no alcuna autorità in sede giudiziaria”; 
conclusioni che non hanno alcuna effi- 
.cacia probatoria, “non risultando nella 
relazione in base a quali specifici ele¬ 
menti esse furono adottate. Il Tribunale 
non è in grado di garantire la loro 
conformità al vero”. 

Affermazioni quanto mai gratuite e 
stupefacenti. E non soltanto perchè è 
forse la prima volta che un collegio di 
magistrati, cosfi gelosi delle loro prero¬ 
gative di casta e della loro autonomia, 
delle loro capacità e infallibilità di giu¬ 
dizio, si attribuisce il diritto di non 
riconoscere pari valore di giudizio pon¬ 
derato ed autonomo ad una commissio¬ 
ne d’inchiesta composta da due rispet¬ 
tabili generali di corpo d’armata, rico¬ 
prenti da oltre due anni la carica di 
l’residente del Consiglio Supcriore delle 
Forze Armate l’uno (il gen. Beolchini), 
c di Comandante la Guardia di Finanza 
l’altro (il gen. Turrisi), oltre che dal dr. 
Lugo, un alto e integerrimo funzionario 
attualmente Presidente di Sezione al 
Consiglio di Stato. Ma anche, c, soprat¬ 
tutto, perchè il Tribunale si è ben guar¬ 
dato dal citare come testimoni i mem¬ 
bri della Commissione Beolchini per ac¬ 
certare in base à quali fatti concreti 
avevano espresso giudizi particolarmente 
negativi sul gen. De Lorenzo. Come si 
è guardato dal considerare il fatto che 
proprio in base al rapporto Beolchini il 
Consiglio dei Ministri aveva proceduto 
alla destituzione del gen. De Lorenzo 
dalla carica di Capo di Stato Maggiore 
dell’Esercito. E dal prendere atto del 
fatto che il segreto militare, tante volte 
evocato a sproposito nel corso delle 
udienze, aveva impedito. forse altret¬ 
tanto a sproposito che la relazione 
Beolchini giungesse al Tribunale nella 
sua versione integrale. 

Generali e magistrati. Eppure anche 
mutilata, l’inchiesta sulle deviazioni del 
SIFAR chiariva in modo corto come 
De Lorenzo avesse per anni concentrato 
il potere sul SIFAR e sull’Arma dei 
Carabinieri, premessa necessaria » capire 
l’uomo e a spiegarsi da quali posizioni 
di forza ordisse il colpo di Stato. Altro 
che le rosee conclusioni della sentenza: 
“Fistruttoria dibattimentale non ha of¬ 
ferto, sempre con riferimento ai fatti 
del I9(>4, idoneo riscontro alla affenàa- 
zione che De Lorenzo abbia avuto il 
controllo deH’organismo e dell’.\rm,i 


L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


1 













mediante il collocamento di uomini fi¬ 
dati nei posti chiave”. La Beolchini è a 
questo proposito più che esplicita: “La 
Commissione ha accertato che il gen. 
De Lorenzo, pur passando al Comando 
deH’Arma, ha mantenuto un diretto 
controllo del SIFAR sia attraverso la 
gestione amministrativa, diretta da un 
ufficiale del suo comando, sia con rap¬ 
porti diretti con i principali ufficiali, 
vuoi del centro vuoi della periferia, da 
lui scolti, agevolati In tutti i modi per 
assicurare la permanenza... E tale stato 
di cose è continuato in quanto è docu¬ 
mentata la sua influenza diretta sui suc¬ 
cessori, generale Viggiani e generale Al- 
lavena”. E ancora: “Per quanto riguar¬ 
da la carriera e l’impiego del personale, 
sono state accertate diverse singolari 
agevolazioni od arbitrii veri c propri, 
per consentire la permanenza o l’acces¬ 
so negli incarichi chiave di taluni deter¬ 
minati ufficiaiali (gen. Viggiani, gen. Al- 
lavena, col. Meneguzzer). In particolare, 
per il gen. Allavena è apparsa sorpren¬ 
dente, oltre la rapidità della carriera 
pur rimanendo nello stesso incarico, an¬ 
che rabbinamento per circa tre anni, di 
due incarichi importanti e tra di loro 
incompatibili di Capo Ufficio e di 
Comandante del raggruppamento Centri 
C.S. Roma (controllore che controlla se 
stesso). Anche per il gen. Viggiani e 
per il col. Meneguzzer sono state accer¬ 
tate, tra l’altro, particolari agevolazioni 
per l’acquisizione del prescritto requisi¬ 
to del periodo di comando del reparto 



De Loitnzo 
o 

corrispondente al grado. Per il col. Ta- 
glianionte, invece, è apparsa assai strana 
la lunga permanenza nel delicato incari¬ 
co di Cape Ufficio Amministrazione del 
SIFAR (pèr gestione contabile dei fon¬ 
di relativi alle spese riservate c di istitu¬ 
to), continuata per oltre due anni an¬ 
che dogo l’assunzione del nuovo incari¬ 
co di .Capo Ufficio Programmazione e 
Bilancio del Comando Generale del- 
rArina dei Carabinieri, tanto più che il 
gen; Rossi ha dichiarato che il gen. 
Vi^ani, capo del SIFAR. non deside¬ 
rava averlo più alle sue dirette dipcn- 
(Jenze”. E per finire: “Praticamente il 
SIFAR aveva creato un vero e proprio 
gruppo di potere, in quanto, attraverso 


occulte compiacenze in tutti i posti 
chiave del Ministero e degli Stati Mag¬ 
giori della Difesa e dell’Esercito, ottene¬ 
va il risultato che non fossero mai frap¬ 
poste difficoltà od ostacoli a quanto 
veniva attuato all’intenio del SIFAR. 
Ed è in questo ambiente di spregiudica¬ 
ta sicurezza che sorgevano le iniziative 
sulla proliferazione dei fascicoli, sulla 
persistente ricerca delle notizie scandali¬ 
stiche anche a carico delle persone più 
stimate, fale stato di cose, creato poco 
alla volta dal 1956 ed affermatosi dal 
1959 in poi. è continuato anche dopo 
il passaggio del gen. De Lorenzo al Co¬ 
mando Generale dei Carabinieri in 
quanto è documentata la sua influenza 
diretta sui successori gen. Viaggiani e 
gen. Allavena; anzi il gruppo d’azione 
del centro di potere si era ampliato e 
rafforzato con la diretta partecipazione 
dell’Arma dei Carabinieri, docile e fe¬ 
dele strumento nelle mani del suo 
comandante”. 

Ove non bastasse, il Tribunale non 
avrebbe fatto male a prendere visione 
della sentenza istruttoria della Procura 
Militare su alcuni reati addebitati al De 
Lorenzo: la falsificazione, avvenuta nel 
1961-62, della documentazione relativa 
alla data d'inizio del periodo di coman¬ 
do del col. Viggiani, allo scopo di con¬ 
sentirgli la successione di De Lorenzo 
al comando del SIFAR; il rifacimanto 
fraudolento, avvenuto nel marzo-giugno 
1960, della documantazione caratteristi¬ 
ca dell’allora maggiore di fanteria Atti¬ 
lio Ferrari, relativa al servizio prestato 
nel 1955-57 presso il SIFAR; la falsa 
attestazione, avvenuta nel settembre 
1965, sul servizio aH’estcro di lunga du¬ 
rata prestato dal ten. col. Raspanti. La 
Procura ha ravvisato gli estremi di “ri¬ 
velazione di notizie di carattere riserva¬ 
to” e di “falsificazione di documenti 
concernenti la forza, la preparazione o 
la difesa militare dello Stato”, reati jrer 
i quali il codice militare prevede pene 
detentive fino a venti anni di reclusio¬ 
ne, ed ha conseguentemente richiesto 
l’autorizzazione a procedere alla Presi¬ 
denza della Camera. Certo, avrebbe fat¬ 
to meglio ad addebitare al De Lorenzo 
soltanto il falso in atto pubblico più 
che documentato dalle prove in posses¬ 
so della Procura, ed a trasmettere il 
dossier alla Magistratura ordinaria, com¬ 
petente per materia. Non avrebbe fatto 
cosi sorgere il sospetto che la scelta di 
reati tanto gravi e discutibili abbia lo 
scopo di pemietterc ad un abile difen¬ 
sore di far riconoscere che “il fatto 
non sussiste”, con conseguente decaden¬ 
za di ogni azione penale. Però non c’è 
alcun dubbio che le falsificazioni siano 
state effettuate e facessero parte del 
meccanismo elaborato dal De Lorenzo 
per perpetuare il suo controllo persona¬ 
le sul SIFAR. 

La relazione Lombardi. Con la relazio¬ 
ne Lombardi, poi il contrastp è ancora 


più netto. In merito alle liste di pro¬ 
scrizione, il Tribunale 'ha fatto sue to¬ 
talmente le tesi del De Lorenzo. Non si 
trattava che di elenchi di “irersone peri¬ 
colose perchè sospettate di sabotaggio, 
spionaggio ed eversione” fomiti dal SI¬ 
FAR al comando dell’Arma dei Carabi¬ 
nieri per il loro semplice aggiornamen¬ 
to. E ancora; “è impensabile che essi 
dovessero servire a De Lorenzo per im¬ 
padronirsi del potere; erano soltanto un 
migliaio di persone sconosciute alle sce¬ 
ne politiche-.”; la supposizione che 
l’invio delle liste all’Arma dei Carbinieri 
sia avvenuta non per ordine del capo 
del SIFAR, Viggiani ma del De Loren¬ 
zo, comandante dell’Arma “travaliche¬ 
rebbe fatalmente l’ambito proprio di 
un’inchiesta giudiziaria dovendosi far ri¬ 
corso a supposizioni, illazioni, o insi¬ 
nuazioni”. La Commissione Lombardi, 
invece, malgrado i compromessi e le 
reticenze dai quali era condizionata, ri¬ 
tiene il contrario e cioè che: 1 ) “la 
distribuzione delle liste sia stata solleci¬ 
tata dal gen. De Lorenzo nel quadro 
delle iniziative che egli assunse nell’epo¬ 
ca ix:r un’eventuale attuazione del pia¬ 
no per le emergenze speciali con l’im¬ 
piego delle sole forze deU’Arma”; 2) 
“l’azione intrapresa al riguardo solo nel¬ 
l’ambito dell’Arma lascia adito a sojv 
porre che il fine da perseguire (con le 
liste) non fosse soltanto quello di un 
semplice aggiornamento”; 3) il gen. De 
Lorenzo “fece distribuire ai comandanti 
generali dell’Arma liste di |>ersone peri¬ 
colose per l’ordine pubblico e per la 
sicurezza dello Stato fomite dal SIFAR 
e trattò con i capi di Stato Maggiore 
della Marina c dell’Aeronautica questio¬ 
ni relative ai mezzi di trasporto per il 
conccntramento e lo sgombero di tali 
elementi.”. Quanto alle “irersone scomv 
scinte”, è sufficiente rifarsi agli elenchi, 
mai smentiti, di i>ersone tutt'altro che 
sconosciute negli ambienti politici e sin¬ 
dacali delle singole regioni, pubblicati a 
più riprese dalla stampa, ed alla deposi¬ 
zione rilasciata da un alto ufficiale dei 
carabinieri alia Commissione Lombardi 
resa nota daW'Astrolabio e anch’essa 
mai smentita secondo il quale al mo¬ 
mento stabilito avrebbe dovuto arresta¬ 
re perfino il Prefetto di Milano. Esiste¬ 
va un piano di emergenza elaborato dal 
gen. De Lorenzo'? Per il candido Tribu¬ 
nale quest’esistenza “va anch’essa ri¬ 
guardata alla stregua di fantastiche e 
assurde illazioni”. Per la Commissione 
Lombardi, invece: “Il piano Solo, fatto 
elaborare dal gen. De Lorenzo nei pri¬ 
mi mesi del ’64, usciva dalla nomiali- 
tà.. esorbitava dai compiti dell’Anna... 
costituiva un eccesso di competenza da 
nomialità...esorbitava dai compiti del¬ 
l’Arma... costituiva un’eccesso di compe¬ 
tenza da parte di chi lo aveva escogita¬ 
to...e fu concepito dal gen. De Lorenzo 
anche per fini personali tendenti a raf¬ 
forzare il suo prestigio c per creare 
neH’ambiente politico un particolare 


8 






stato psicologico atto a favorire una 
rapida soluzione della crisi governativa". 

11 Parlamento intervenga. Naturalmente, 
le assurdità della sentenza non finisco¬ 
no qui. Si potrebbe continuare con 
l'offensiva patente di inattandibilità rila¬ 
sciata a testimoni del livello di Parri, di 
Scbiano, di Anderlini, mentre i militari 
che poi avrebbero dichiarato il contra¬ 
rio al gen. Lombardi (come chiamarli 
se non falsi testimoni? ) sono stati 
ascoltati come la bocca della verità. 
Con l’ipocritica affermazione che “il se¬ 
greto politico e militare, invocato da 
molti testimoni e adottato dal governo 
per censurare il rap|X)rto Manes, non 
ha inciso sulla verità dei fatti nè dan¬ 
neggiato i due imputati", quando qual¬ 
siasi lettore di quotidiano ormai sa che 
dalle deposizioni rese all'e Vice- 
Comandiinte deH’Arma sono stati cas¬ 
sati i riferimenti e gli interi periodi 
relativi agli arresti da effettuare, ai luo¬ 
ghi di raccolta ove raggruppare gli arre¬ 
stati, ai campi di concentramento ove 
internarli come ai tempi del fascismo. 
E poi, di grazia, come fa il Tribunale a 
dire che il "segreto" non ha influito 
sulla ricerca della verità se, proprio per 
essere segreto, neanche i giudici poteva¬ 
no esserne a conoscenza? Che dire infi¬ 
ne della strana tesi che il capo del 
Sll'AR non aveva il dovere di infonna- 
re nè il ministro della Difesa nè quello 
deiriNterno sulle misure adottate in te¬ 
ma di ordine pubblico o di sicurezza 
dello Stato? Della cura minuziosa con 
cui l’ex Presidente Segni e la classe 
politica democristiana sono stati tenuti 
lontani dxi ogni sospetto (siamo ancora 
in attesa di smentita della notizia diffu¬ 
sa a suo tempo da AgL'ii:ia Radicale e 
&j\\'Astrolabio di una riunione svoltasi 
(X)co prima della conclusione della crisi 
del '64 fra il con. 13c Lorenzo, Moro, 
Rumor, Cava, Zaccagnini, nel corso del¬ 
la quale il camaleontico generale avreb¬ 
be fatto marcia indietro c messo al 
corrente la dirigenza de dei preparativi 
per un colpo di Stato, da questi attri¬ 
buiti soltanto al Presidente Segni)? 
IX'Ilc altre infinite e non casuali assur¬ 
dità di queste 664 pagine di sentenza? ■ 
Esprimere solo la speranza che in se¬ 
conda istanza il processo cominci tutto 
daccapo e sia impostato con una mag¬ 
giore imparzialità, con una più accurata 
e distaccata ricerca del vero da parte 
del collegio dudicante. E anche per 
rennesima volta, con niù forza e a 
maggior ragione delle altre volte la ri¬ 
chiesta di una inchiesta parlamentare 
ehe faccia finalmente luce su tutta la 
vicenda. Il governo non può continuare 
a trincerarsi dietro inesistenti segreti 
militari e nebulose ragioni di Stato. 
L'Italia non è la Gracia nè la Spagna. 

E la democrazia che dovrebbe essere 
anche dignità ed onestà non deve 
essere ridotta ad una vuota parola, una 
formula astratta e senza senso che rac¬ 
chiude il peggiore marciume e la più 
sconfortante disonestà. 

GIUSEPPE LOTETA ■ 


REPRESSIONE 


un tuono a destra 


Q uattro anni sono passati dal luglio 
1964, poco più di quattro anni. Che 
,1 debba, chissà quando, parlare per lo stes¬ 
so titolo, dell'ottobre 1968? Magari in oc¬ 
casione di un altro processo sul tip» di 
quello Espresso-De Lorenzo; e magari, chis 
sa mai? , con un'altra sentenza che faccia il 
paio con quella di cui si conoscono ora le 
motivazioni, degna di esser immortalata per 
il fideistico rispetto delle intoccabili re¬ 
sponsabilità delle gerarchie militari e politi¬ 
che. Il popolo italiano andrà avanti, ma il 
gonio della stirpe è capace di fregarci anche 
nel 1972. 

Che cosa è questa nuova scadenza dell'ot¬ 
tobre 1968? Le paure dei sistemi sono 
sempre gravide di temporali, com'era se¬ 
condo quel tale l'incombente nuvolone del¬ 
l'imperialismo. La primavera, il maggio di 
questo anno hanno segnato una strategia di 
paura. La inattesa e violenta agitazione stu¬ 
dentesca ha scosso tutta l'Europa. Poi, in 
Francia il grande sciopero. Anche in Italia 
occupazioni universitarie, contestazioni e 
scioperi. Ed anche da noi gli apparati di 
repressione sono apparsi spesso tecnica- 
mente impreparati e disorientati. 

Passata la buriana, andata in ferie la rivo¬ 
luzione, comincia la riflessione. Si teme un 
autunno difficile. De Gaulle accompagna 
con la grinta dura la promessa di una rior¬ 
ganizzazione corporativa della Francia, che 
sembra ispirata dalla lepubblica di Salò. 
Anche Leone scuote la criniera e promette 
agli universitari un pizzico di riforme. Ma 
che stiano buoni, se no son botte. 

I capi parlano quando i responsabili dei 
servizi hanno già portato a buon punto 
nuovi dispositivi, istituzioni e piani di mo¬ 
bilitazione adatti a fornire forze di pronto 
intervento di fronte alle possibili sorprese, 
per quanto ad evitar sorprese dovrebbe 
provvedere il rafforzamento dello spionag¬ 
gio a carico di partiti, sindacati e movi¬ 
menti studenteschi. 

E questa revisione della difesa del co¬ 
siddetto ordine pubblico alla quale il Go¬ 
verno ha ostentato di voler diligentemente 
attendere riceve ora nuovo zelo dai farti di 
Praga. Vi è qualche ragione per ritenere 
accresciuto il pericolo? No certo. Anzi ci 
si potrebbe attendere il contrario, ed una 
politica semplicemente accorta e non gla¬ 
diatoria verso i giovani,come vorrebbe fare 
Edgard Paure in Francia verso sindacati e 
partiti, potrebbe dissipare le temute com¬ 
plicazioni, certo meglio che la faccia fero¬ 
ce. Oh mal consigliato Leonel 
Ma non sarà mai che l'Italia retriva, con i 
clerico-fascisti in prima schiera e l'on. To- 
gni a porta bandiera rinunzi alla bella occa¬ 
sione. Risalgono dai precordi odii viscerali, 
rancori per le paure patite, voglia matta di 
travolgere infine e definitivamente il sacri¬ 
lego assalto dei sovversivi all'ordine cosi 
ben costituito per grazia di Dio e volontà 
dei padroni a difesa dei portafogli e del 
I rote re. 

E cosi, per dimostrare che non sono gra¬ 
tuite fantasie, siamo già al punto che da 
questo momento psicologico, dalle attese 


provocate dalla Russia in ribasso e dal¬ 
l'America in rialzo, risorgono progetti sul 
tipo del luglio 1964. In ottobre dovrebbe 
esser lanciato un nuovo grande "fronte na¬ 
zionale", patrocinato da qualche insigne fa¬ 
scista, con la intenzione particolare di far 
leva sul patriottismo convenzionale di ex¬ 
militari e di organizzazioni combattentisti¬ 
che, contando soprattutto sul malanimo di 
molti ex-generali. Per far che? Quello che 
capita: pressioni sui governi, man forte alle 
forze deH'ordine. Colpi di Stato? Qualche 
sprovveduto già ne parla. 



C'era uno che ci sapeva fare: il gen. De 
Lorenzo. Ed è appunto l'uomo che dovreb¬ 
be dar spicco al fronte progettato. Buono 
per un'altra volta, forse hanno pensato i 
promotori. I quali trovano che dopo la 
sentenza, e soprattutto dopo le motivazio¬ 
ni, il momento gli è favorevole. Governo e 
magistratura ordinaria e militare lo hanno 
protetto. E lo tiene da conto l'alto coman¬ 
do. che perseguita le "pecore nere" e pare 
ispirarsi al generale nei proclami alle forze 
armate. 

Può preoccupare il fatto che dietro que¬ 
ste iniziative di fronti nazionalisti e reazio¬ 
nari stia proprio l'alto^comando. Ed è un 
segno del malanimo della alta casta militare 
verso governi e Parlamebto indifferenti e 
inefficienti, dell'aspirazioiv a maggiori po¬ 
teri, del desiderio di disporre anch'essa di 
strumenti di pressione extraloarlamentari, al 
fine in primo luogo di prornuovere nuovi 
armamenti e spese militari. Ed è segno an¬ 
che del ritorno plumbeo ai piani NATQ 
della guerra fredda, degli eserciti nazionali 
non integrati da preparare per la guerra 
interna contro le quinte colonne. 

Dovendo e volendo astenerci dz^ allarmi 
intempestivi, da questi primi segni premo¬ 
nitori ricaviamo soltanto l'opportunità di 
consigliare vigorosamente prudenza ‘ ai pa¬ 
sticcioni e vigilanza anche ai democratici di 
parte governativa. Una certa responiabile 
prudenza di atteggiamento può esser consi¬ 
gliata anche alle forze ed organizzazioni <ji 
sinistra, ferme nella difesa democratica e 
pronte al contrattacco, ma aliene dalla prot 
vcx:azione ed amiche della persuasione dové’‘ 
sia possibile, sempre consapevoli del dovere 
di rappresentare una alternativa di governo. ' 


L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 










STUDENTI 



Milano: pronti per l'anione 


togni 
parla chiaro 

L a riapertura delle università e la 
ripresa delle lotte studentesche av¬ 
verranno sotto il segno della violenza? 
Non pochi sintomi incoraggiano previ¬ 
sioni pessimistiche. E non si tratta cer¬ 
to dei pretesi gruppi di terroristi e di¬ 
namitardi che secondo le ricorrenti 
invenzioni di certa stampa avrebbero 
preso ormai il controllo del movimento 
studentesco. Bisogna guardare da tut- 
t’altra parte: a quelle autorità politiche 
che pongono la tutela dell’ordine pub¬ 
blico al centro dei loro appelli, ora 
accorati ora minacciosi. Già nei primi 
mesi dell’estate era evidente che il go¬ 
verno aveva fatto la sua scelta. Le gran¬ 
di testate moderate - spie assai atten¬ 
dibili delle tendenze più retrive operan¬ 
ti nei circoli politici — avevano pungo¬ 
lato continuamente l’autorità pubblica 
chiedendo assicurazioni “concrete” in 
previsione della ripresa autunnale. 

La risposta del Presidente del consi¬ 
glio è venuta puntuale. 11 governo aveva 
scelto per tempo il metodo del pugno 
di ferro. Le singole misure, in cui epi¬ 
sodicamente si è concretato finora 
questo indirizzo, hanno tutta l’aria di 
operazioni condotte in pieno accordo 
tra autorità accademiche e potere ese¬ 
cutivo. Cosf, più recentemente, l’istitu¬ 
zione di una sorta di Tribunale speciale 
dotato di poteri inquisitori e punitivi, 
decisa dal rettore dell’università di 
Roma (con tutto il corredo grottesco 
di robuste inferriate alle finestre delle 
facoltà). Sono misure che mostrano 
palesemente la volontà di rappresaglia e 
che costituiscono oggettivamente delle 
provocazioni, i cui effetti sono facil¬ 
mente intuibili. Ma la loro portata poli¬ 
tica va oltre l’ambito studentesco, e 
denuncia tendenze reazionarie che van¬ 
no pericotósamente prendendo piede 
nei circoli/politici e militari. 

Un piano repres-sivo. La stampa comu¬ 
nista Uà riferito, in questi giorni, di 
riunioni congiunte di alti ufficiali della 
“celere”, dei carabinieri e dell’esercito, 
e di funzionari del ministero degli In- 
terai per approntare un piano organico 
di repressione delle future agitazioni 
studentesche. Queste notizie non sor¬ 
prendono. Da tempo era noto che mi¬ 
sure speciali erano allo studio per la 
repressione delle manifestazioni di piaz¬ 


za, per rendere la forza pubblica in 
grado di controllare (anche con una 
rete d’informatori operanti in modo ca¬ 
pillare in seno al movimento studente¬ 
sco), più puntualmente di quanto aveva 
potuto fare l’anno scorso, gli scontri. 
La fornitura di bulldozer rientrerebbe 
in questo quadro; come pure la dota¬ 
zione delle unità operative di elmetti in 
plexigas, quali vengono usati dai poli¬ 
ziotti USA. Sarebbe ormai a punto un 
piano di mobilitazione generale, artico¬ 
lato in diverse direzioni, ma centrato 
soprattutto sulla repressione delle lotte 
studentesche e, non dimentichiamolo, 
operaie. E’ questo lo scopo delle confe¬ 
renze operative che sembra siano state 
convocate su iniziativa del ministero de¬ 
gli Interni. In breve; maggiore efficien¬ 
za delle unità di polizia e dei carabinie¬ 
ri; tendenza alla politicizzazione del¬ 
l’esercito in funzione della repressione 
interna; stretto accordo tra esecutivo e 
autorità accademiche. Leone sa mante¬ 
nere la sua parola. Le misure polizie¬ 
sche sono il risvolto esemplare delle 
promesse mistificatrici di una strimin¬ 
zita riforma degli studi. E sono il sinto¬ 
mo chiaro delle tendenze di tipo gol¬ 
lista che vanno prendendo piede ai ver¬ 
tici della vita politica e militare. Non è 
difficile immaginare l’accoglienza che ha 
incontrato in questi ambienti la pro¬ 
posta di legge presentata dall’onorevole 
Codignola per un’amnistia generale di 
tutti i reati commessi in occasione delle 
agitazioni studentesche. 

Il ruolo provocatorio più smaccato è 
stato assunto, in questo contesto, dalla 
stampa d’informazione. E’ da mesi, da 
quando è iniziato il riflusso del movi¬ 
mento studentesco, che le grandi testa¬ 
te conducono una campagna volta a 


mitizzare la “ripresa autunnale”, come 
il momento inevitabile dello scoppio 
violento di una crisi rivoluzionaria. La 
provocazione va diventando sempre più 
evidente. Nei giorni scorsi tutta la 
stampa di destra dal Tempo al Mes¬ 
saggero alla Nazione Ira riportato con 
grande rilievo “gravi rivelazioni” sui 
piani di gruppi di “jretrolieri” del movi¬ 
mento studentesco romano. Si è parlato 
di depositi di mitra e candelotti di di¬ 
namite, e di un piano di attentati con¬ 
tro i docenti “rei di avere ridicolizzato 
le idee e gli idoli dei cinesi romani”. 
Sarebbe in via di perfezionamento 
secondo questi giornali un piano di 
attentati terroristici contro le scuole, ci¬ 
nema e altri luoghi pubblici “al fine di 
seminare il panico nella popolazione c 
di dissuadere chiunque dall’opporre resi¬ 
stenza al movimento rivoluzionario”. La 
fonte “autorevole” di queste sconvol¬ 
genti profezie è un volantino di un 
famigerato “Comitato per la difesa del¬ 
l’università”. 

“Il Bengodi della sedizione”. Sarebbe 
facile ironizzare sull'infantilismo della 
nostra grande stampa. Ma essa purtrop¬ 
po è il sintomo più chiaro di un certo 
clima politico che si va sempre più af- 
femiando. Ne si tratta solo di cronisti 
scriteriati, dato che alla gazzarra provo¬ 
catoria partecipano di buon grado, e in 
prima fila, anche uomini politici ed ex 
ministri. Giuseppe Togni, per esempio. 
Prendiamo il fondo da lui .scritto per il 
Tcm/H> del 9 settembre; “Contestare il 
disordine”. E’ facile ricavare da questa 
lettura il ritratto di una classe dirigen¬ 
te, di cui non si sa bene se criticare 
più la chiusura reazionaria-poliziesca op¬ 
pure lo scoraggiante livello culturale. 


10 









“Se è vero che vale assai più prevenire 
che reprimere, non si capisce come mai 
sia stata tollerata, tanto per fare un 
esempio, la venuta in Italia di Rudi 
Dutschke e di Daniel Colin-Bendit o di 
quel tal filosofo della contestazione che 
è ritenuto il padre spirituale dell’attuale 
ondata nichilistica. E a che abbia giova¬ 
to la celebrazione nella democratica Ita¬ 
lia del congresso internazionale degli 
anarchici, non si riesce bene a capire”. 

Come responsabile dell’ordine pubbli¬ 
co, Giuseppe Togni non avrebbe sfigu¬ 
rato sotto il regno di Umberto I. Ma 
l’ex ministro la sa lunga, e segnala al 
ministro degli Interni che “alla frontie¬ 
ra non entrano purtroppo soltanto 
sbrindellati capelloni o fangosi barbuti 
protestatari... spesso insieme con questi 
tipi cosi visibilmente eccentrici, vengo¬ 
no più o meno occultamente contrab¬ 
bandate amii e munizioni”. Cosa pro¬ 
pone Togni? Intanto, fa una premessa 
doverosa: il PCI, è vero, non vede di 
buon occhio queste iniziative “cinesi”; 
ma non si può escludere che strumenta¬ 
lizzi o addirittura domini “questi pro¬ 
grammi di disordini”. Perciò un altro 
consiglio al governo: “Non sarebbe del 
tutto inutile che si cominciasse a guar¬ 
dare per tempo a coloro che questa 
gioventù muovono ed eccitano”. In 
conclusione: liberare i tutori dell’ordine 
dal legame avvilente di “una valutazio¬ 
ne politica spesso contraddittoria e tal¬ 
volta polemica, quando non addirittura 
ritardata o indebolita per considerazioni 
contingenti”. E soprattutto pugno di 
ferro: “per impedire che l’Italia diventi 
il Bcngoidi della sedizione e del perver¬ 
timento ideologico e politico”. Per non 
alimentare “una ipotetica quanto vile e 
svirilizzata contestazione globale».” 
Questo parlamentare ed ex ministro, la 
cui prosa tocca simili vertici di dignità, 
è stato di recente eletto presidente del¬ 
la VII Commissione della Camera con i 
voti dei compagni socialisti. 

M. s. ■ 





L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 



la nuova strati 


S crivendo dei comunisti, sulla 
Stampa del 30 agosto. Vittorio 
Gorresio non ha cercato affatto di mi¬ 
nimizzare la posizione del PCI su Praga. 
“Molte volte, anche troppe ha scritto 
si è rimproverato al partito comuni¬ 
sta italiano di non sai^ire fare altro che 
raccogliere i voti degli scontenti... D’ora 
in avanti, la situazione potrebbe cam¬ 
biare. Con decisione e durezza assoluta¬ 
mente inconsuete nella storia del PCI, i 
dirigenti delle Botteghe Oscure hanno 
anzitutto dissociato le proprie responsa¬ 
bilità dagli interventisti sovietici; non 
solo, hanno rivendicato libertà d’azione, 
si sono attribuiti compiti ‘rivoluzionari’ 
loro propri, annunciandosi pronti a rac¬ 
cogliere tutte le forme di contesta/ione 
che possano aver luogo nell’ambito del¬ 
la società italiana, come nel resto del 
mondo, e in ogni modo senza riguardo 
alcuno per i confini dell’area dei paesi 
socialisti. Non ha nessuna importanza 
che i dialettici del partito comunista 
italiano vadano alla ricerca di una coe¬ 
rente continuità ideale, citando il To¬ 
gliatti del DMb (probabile errore di 
stampa. Ctorresio si riferiva evidente¬ 
mente all'inten'ista a Wiiovi Argomenti' 
del 1^56) o quello del memoriale di 
Yalta... Il fatto nuovo è la rottura, fi¬ 
nalmente franca ed aperta, esplicita ed 
unanime con l’Unione Sovietica. Com¬ 
metteremmo un grave errore a sottova¬ 
lutarne la importanza, come se si trat¬ 
tasse di un espediente tattico... Come 
già gli imperi ottomano ed austro- 
ungarico, anche quello sovietico risulta¬ 
va garante di un certo status quo... 1 


nostri rivoluzionari li abbiamo in casa, 
e si proclamano maggiorenni ed autono¬ 
mi. Stanchi della funzione di partito 
obbediente e burocratico, desiderosi 
soprattutto di non lasciarsi scavalcare a 
sinistra... si dicono pronti ad agire alia 
loro maniera, alla prima occasione’. 

Sincerità di Gorresio. Gorresio è sincero 
fino in fondo e, non desiderando una 
soluzione comunista, ha concluso invo¬ 
cando “un’efficace politica di sfida”, 
“un vero centro-sinistra” prima che sia 
"troppo tardi”. 

Anche il Corriere delia Sera tempesta 
in tale direzione, ed è risultato quasi 
umoristico il finale di Spadolini (dome¬ 
nica 8 settembre, per via della data 
simbolica): “Non c’è più un minuto da 
perdere”. Solo che il Corriere non mo¬ 
stra la medesima sincerità di Gorresio 
nel valutare fimportanza della posizione 
comunista in sostegno di Praga e con¬ 
tro l’intervento sovietico. Per il più 
grosso giornale della buona borghesia 
nostrana quella del PCI è pura tattica, 
il contrario di i|uel che sostiene Gor¬ 
resio. 

l: invece il discorso deve partire dalla 
realtà, non fondarsi sugli strumentalismi 
(mentre di tale pecca viene accusato il 
PCI). Lo facciano questo “vero centro- 
sinistra” coloro che ne sono convinti. 
Tanto di guadagnato. Ma non giochino 
ai bussolotti. 

Le frontiere del .socialismo. L’inteivista 
che Longo ha concesso ùiV.istrolahio 


11 





ha destato interesse (malgrado le censu¬ 
re conlindustriali), perchè ha precisato 
forse ancor meglio dell’ultimo Comitato 
centrale comunista la distanza ma so¬ 
prattutto la autonomia del PC italiano 
da Mosca. 

Non è nostra pretesa interpretare 
Congo, ma, rispetto alle dichiarazioni in 
sede di Comitato centrale, il “tragico 
errore" sovietico diventa qualcosa di 
più preciso. Alla domanda se l'invasione 
non derivasse, più che da una valutazio¬ 
ne errata, da una scelta precisa, di ordi¬ 
ne strategico, Congo ammetteva che si 
notano quanto meno delle tendenze al¬ 
la “teorizzazione" deH’intervento milita¬ 
re in Stati socialisti come risposta alla 
strategia globale deirimperialismo, e ag¬ 
giungeva che .se esiste, in lùiropa. ima 


pressione imperialistica sul terreno della 
politica, delVideologia, della cultura, 
dell’economia, la replica dev’essere in 
quelle direzioni, non in altre. “Co 
scontro ideologico... va condotto con 
armi ideologiche”, non con interventi 
militari come se i paesi socialisti fos¬ 
sero “una sorta di fortezza assediata”, 
non essendo tale la realtà, almeno sul 
nostro continente. 

Tutti sappiamo come, nell’epoca sta¬ 
liniana, vigesse (sia pure con fon¬ 
damento fino a una certa fase) la 
“teoria' deH’accerchiamento". Questa 
teoria, prolungata dopo che era finito 
raccerchiamento, provocò i misfatti 
stalinisti che completarono quelli del¬ 
l'epoca precedente, quando si sosteneva 
che, più si andava verso il socialismo, 
più s’inaspriva la lotta di classe. 1 co¬ 
munisti italiani hanno ragione ad affer¬ 
mare che l’intervento in Cecoslovacchia 
pone questioni non solo di comporta¬ 
mento politico ma di approfondimento 
e adeguamento teorico. 

E Longo, sia in Comitato centrale, 
sia ncH’intervista concessa al nostro 
settimanale, contestava la concezione 
“bipolare” secondo cui il mondo deve 
dipendere da due Stati-guida (USA e 
URSS) i quali si spartiscono il pianeta. 
“Le frontiere del socialismo non coin¬ 


cidono con le frontiere dei paesi so¬ 
cialisti”. 

E’ questo rifiuto di Yalta (le “sfere 
d’innuen/a”, non il memorandum di 
Togliatti) che fa “tremare" scriveva 
orgogliosamente Occhetto suH’tVnw del 
I settembre i capitalisti. Sarò sincero 
anch’io, e mi pareva che Occhetto fa¬ 
cesse delle spacconate. Pare invece che 
una certa tremarella esista. 

Proposte al PCI. Scherzi a parte (po¬ 
tremmo includervi la tesi esilarante che 
i comunisti occidentali riprovano Mosca 
perchè ne hanno avuto il “pemiesso”. 
figuriamoci...) al PCI è giusto porre del¬ 
le domande serie, perchè Praga e il 
resto sono cose estremamente gravi. 
( he poi si tratti di elaborazione teorica 


o di più nette posizioni politiche saran¬ 
no i comunisti a giudicarlo. 

Una questione di fondo è quella di 
Mosca che, ignorando completamente il 
giudizio dei PC occidentali, e non solo 
occidentali, di cui era pienamente infor¬ 
mata da tempo, ha preferito subordi¬ 
nare rinternazionalismo alla propria po¬ 
litica di potenza, con una analisi sba¬ 
gliata se si vuole, ma pregiudicando le 
sorti dell’intero movimento. Se infatti i 
IT occidentali, come osservava Duver- 
ger su /,£■ Monde del 5 settembre pos¬ 
sono darsi una loro piattaforma origina¬ 
le, diversa dai grandi “modelli” sovieti¬ 
co c cinese, adatta all’area geografica c 
alle condizioni in cui operano, l’aggres¬ 
sione sovietica alla Cecoslovacchia butta 
un’ipoteca pesantissima sulle sorti del 
socialismo in generale. E’ l'ipoteca che 
viene sfruttata da tutte le destre e da 
tutti i moderati i quali sostengono che 
un’Italia socialista, o comunque “di si¬ 
nistra” (e [rerfino di centro-sinistra), 
sarebbe esposta, come la Cecoslovac¬ 
chia, al pericolo di diventare un protet¬ 
torato sovietico se non riga diritto. Ab¬ 
biamo avuto già modo di osservare che 
se il socialismo vincesse in Occidente, i 
rapporti di forza muterebbero a tal 
punto da non consentire, a nessuno 
Stato-guida o “protettore”, di ridurre 


gli altri a satelliti. Ma perchè questo sia 
credibile i due Stati-guida attuali. USA 
e URSS, devono essere isolati e scon¬ 
fìtti politicamente in seguito ai misfatti 
compiuti in Vietnam (e in America 
Latina, e ricordiamo il colpo si Stato 
in Grecia, e mettiamoci anche il Sifar) 
e in Cecoslovacchia (senza dimenticarci 
dell’Ungheria). 

Isolare e sconfiggere i due Stati-guida 
non significa fare dcir“anti” indiscrimi¬ 
nato, ma incalzare e indebolire quelle 
forze conservatrici, nazionaliste e sciovi- 
niste di grande potenza in URSS, e 
imperialistiche scatenate negli USA, che 
oggi non solo comandano al Cremlino e 
alla Casa llianca, ma applicano appunto 
la teoria delle “sfere d'influenza”. L'in¬ 
tervento in Cecoslovacchia non aiuta 
certo il Vietnam, e viceversa, e il rap¬ 
porto è ancor più evidente se, restando 
in Europa, pensiamo al colpo di Stato 
in Grecia c a quel che dopo è successo 
a Praga. Grecia e Cecoslovacchia sono 
addirittura due casi paralleli ricorrenti: 
subito dopo la guerra l'insurrezione gre¬ 
ca venne stroncata, e nel '48 ci fu il 
“colpo di Stato” a Praga (quanto meno 
“rivoluzione protetta” dall’Armata Ros¬ 
sa. lo ametteva anche Togliatti). 

Su questo terreno i comunisti italiani 
hanno tuttavia le carte più in regola di 
tutti gli atlantici del “partito ameri¬ 
cano”: non andranno alla conferenza di 
.Mosca finché la Cecoslovacchia sarà 
occupata, e, a parte questa pressione 
concreta e immediata su Mosca, sono 
contro i blocchi e ne vogliono il su¬ 
peramento. Troppo comodo per loro, 
dicono nel “partito americano”. Invece 
sarebbe comodo per tutti, anche in 
Est-Europa, però entrano in gioco altri 
fattori che necessitano di un chiarimen¬ 
to esplicito di parte comunista. 

.Monopolio ed egemonia. Una prima 
questione è quella del monopolio del 
potere. In Italia, veramente, dovremmo 
chiedere alla UC di non abusarne come 
fa dal 1947. Ma resta il fatto che il 
K I. se accetta il pluripartismo e non si 
allinea ad alcun “modello” orientale, 
per farsi credere non può solo promet¬ 
tere il rispetto della futura legalità de¬ 
mocratica; non basterebbe neanche ab¬ 
bandonare la tesi che in una società 
socialista gli elettori stessi non vorreb¬ 
bero tornare indietro e dire invece, più 
apertamente, di essere disposti a farsi 
rovesciare dal voto, se così vogliono gli 
elettori. La garanzia reale, verificabile 
oggi e non rinviata al futuro, è la ri¬ 
nuncia al concetto deteriore di “ege¬ 
monia” del partito comunista sulle altre 
forze politiche di sinistra e democra¬ 
tiche. .Sappiamo che ci sono due intcr- 
preta/ioni di tale concetto (essere la 
forza politica di stimolo c di avanguar¬ 
dia oggettiva, per consenso popolare, 
oppure imporre r“egemonia” solo per 
itierito di un apparato organizzativo più 
efficiente). I comunisti dovrebbero chia- 



Koinu: it coiiiiziu a San (ìnnanni 


12 





rire una volta per tutte che cosa inten¬ 
dono per “egemonia”, perchè troppo 
spesso sembrano attribuirle il significato 
peggiore (e non basta rispondere con 
sufficienza che le altre sinistre sono più 
deboli, se no addio ricerca comune di 
una strategia socialista). 

Centralismo democratico. L’altra que¬ 
stione è il famoso “centralismo demo¬ 
cratico”, tema di vecchie polemiche, 
anch’esso prefigurazione di quel che 
sarebbe uno Stato socialista se è vero 
che un partito tende a dani strutture 
organizzative che poi generalizzerebbe 
una volta al potere. 

Qui c’è un confronto concreto: lo 
statuto (anzi il progetto di statuto, per¬ 
chè onnai ci sono i carri armati sovie¬ 
tici) che si stava dando il PC cecoslo¬ 
vacco. Esso non ammetteva le “frazioni 
organizzate”, ma riconosceva la legit¬ 
timità del dissenso interno, il diritto 
delle minoranze “di mantenere le loro 
opinioni e di richiedere, sulla base di 
nuovi elementi di giudizio, una verifica 
delle decisioni prese” dalla maggioranza. 
Il principio del “centralismo democra¬ 
tico” non veniva abolito, nel senso che 
le n inoranze dovevano adeguarsi alla 
linea stabilita dai congressi. Però si 
riconosceva il diritto di controllare la 
maggioranza e di contestarle il modo 
con il quale applicava gli orientamenti 
congressuali, con facoltà di esprimere 
pubblicamente il dissenso (non solo in 
sede di partito), e, al limite, il diritto 
di chiedere la ridefinizione della linea 
del partito sulla scorta di nuovi elemen¬ 
ti di analisi. 


Si era a un passo dall’ainmettere il 
diritto di opposizione aH’interno del 
partito. La questione è controversa: 
sono meglio le “frazioni organizzate” 
(che perfino Lenin accettò fino al X 
congresso, chiedendone in periodo di 
emergenza la soppressione solo tempo¬ 
ranea) o le più elastiche “correnti di 
opinione”, non stratificate, non fisse, 
non sottoposte al pericolo del clien¬ 
telismo? 

Non è detto che in questo senso un 
partito debba assumere la struttura 
organizzativa propria al rapporto di 
contestazione e concorrenza che regola 
un sistema statale pluralistico. Ma, an¬ 
che ammesso che come forza politica 
non orientata al monopolio del potere 
si preferisca adottare un’organizzazione 
interna omogenea e non clientelare, la 
manifestazione pubblica e palese del 
dissenso è una garanzia per se stessi c 
per gli altri. Sappiamo benissimo che 
nel PC italiano questo accade di già 
senza bisogno di una nuova Carta statu¬ 
taria. Ma la codificazione del diritto 
pieno al dissenso è garanzia che si trat¬ 
terà di una regola democratica, non di 
una eccezione che potrebbe essere som¬ 
mersa da un’ondata di riflusso del 
“centralismo burocratico”. Anche nel 
quadro del “centralismo democratico”, 
in altre parole, si tratta di istituziona¬ 
lizzare e garantire un permanente pro¬ 
cesso dialettico pre e post-congressuale. 
Solo cosi gli apparati burocratici non si 
sovrappongono e non liquidano la “de¬ 
mocrazia socialista”. 

LUCIANO VASCONI ■ 


roccupazione 
della pischiutta 

D opo r"Apollon’' e la "Mitrano", è ora 
la volta della "PIschiutta". L'Italia del 
benessere, della prosperità, la settima po¬ 
tenza industriale del mondo, rivela proprio 
nella sua capitale, a Roma, l'altra faccia 
della medaglia, quella che non interessa al 
Messaggero o ai rotocalchi illustrati, perchè 
fa riflettere e pensare, ed è perciò peri¬ 
colosa. 

Gli 85 dipendenti della "Pischiutta", una 
ditta che lavora in appalto per conto della 
"Romano Gas", furono licenziati in tronco 
il 21 giugno in seguito alla decisione del 
proprietario di sospendere la sua attività in 
questo campo. 

Da allora gli operai licenziati occupano la 
sede dell'azienda, chiedendo che l'interven¬ 
to dell'autorità consenta di trovare una so¬ 
luzione al grave problema. Non è infatti 
possibile che un gruppo di operai specializ¬ 
zati, con una media di anzianità di 15 
anni, venga costretto ad inserirsi in un al¬ 
tro ramo della produzione, sprecando un 
tale patrimonio di esperienza e di capacità, 
per ripartire da zero. 

D'altra parte poiché gli impianti del gas 
vengono eseguiti quasi esclusivamente dalla 
"Romana gas", la soluzione più logica e 
normale sarebbe la assunzione in blocco da 
parte di questa società, che è controllata 


dall'ENI ed è quindi indirettamente dipen¬ 
dente dal ministero delle Partecipazioni 
Statali. Ed è in questa direzione, infatti, 
che sono stati fatti i primi tentativi per 
trovare uno sbocco positivo alla vertenza, 
ma le risposte, come troppo spesso suc¬ 
cede, sono state evasive ed incerte. Nè mi¬ 
gliore effetto hanno avuto finora le richie¬ 
ste presentate al Comune di Roma e al 
ministero del Lavoro. 

Intanto, nonostante l'indifferenza delle 
autorità, continua la lotta degli operai della 
"Pischiutta gas" e si sviluppa una vasta 
solidarietà morale e materiale verso gli 
occupanti. 

Il caso degli 85 dipendenti della "Pi- 
schiutta" può sembrare a prima vista di 
non grande rilievo di fronte ad altre situa¬ 
zioni ancor più tragiche cui ci si trova 
spesso di fronte in Italia. 

Ma è significativo, se si pensa che siamo a 
Roma e che questa è la terza volta nel giro 
di poche settimane che degli operai debbo¬ 
no ricorrere all'occupazione della fabbrica 
per difendere il loro posto di lavoro. 

"Noi lottiamo perchè Roma non diventi 
la capitale della disoccupazione" c'era scrit¬ 
to su un cartello di protesta davanti alla 
sede della "Pischiutta" in via Monteverde: 
è questo il senso di una battaglia che do¬ 
vrebbe venir aiutata ed appoggiata da tutte 
le forze democratiche. E questo dovrebbe 
anche far riflettere i politici sulle troppe 
contraddizioni che ancora caratterizzano il 
nostro paese. 

F. G. ■ 



SINISTRA CAnOLICA 

rincognita 
delle adì 


I fermenti che da qualche tempo per¬ 
corrono larghi strati della sinistra 
cattolica italiana stanno in questi giorni 
prendendo dimensioni e caratteri più 
precisi, particolarmente in seguito alle 
nuove posizioni assunte dagli aclisti e 
dalle prospettive che queste aprono. 
“Un eventuale rilancio della coalizione 
tra DC e PSU” ha detto il Presidente 
delle AC LI Livio Labor “manterrebbe 
un carattere di attesa in vista di equili¬ 
bri politici nuovi. Essa non appare in¬ 
fatti più in grado di costituire un’ipote¬ 
si di lungo periodo per la direzione 
politica dello sviluppo della società ita¬ 
liana”. L’inequivocabile chiarezza di 
questa e di altre effermazioni di diri¬ 
genti dei lavoratori cristiani, sembrereb¬ 
be tracciare una netta linea di separa¬ 
zione tra il futuro della politica demo- 
cristiana, tutta protesa alla ricerca di 
contenuti e di formule nuove capaci di 
ridar vita al centro-sinistra, e la volontà 
di “rimescolare completamente le car¬ 
te” che anima invece gli ambienti 
aclisti. 

1 “gatti selvaggi” di Labor, ove que¬ 
sto divorzio cattolico venisse davvero 
consumato, verrebbero cosi a situarsi 
politicamente all’opposizione, cioè a si¬ 
nistra del PSU, c vi sarebbe senza dub¬ 
bio una naturale convergenza con gli 
altri elementi inquieti della maggiora¬ 
nza, i socialisti di Lombardi. La matu¬ 
razione di questo processo è iniziata, 
per non risalire a tempi ancor più lon¬ 
tani, con i risultati delle elezioni di 
maggio: l’insufficienza, la delusione del¬ 
l’esperimento di centro-sinistra era al¬ 
lora risultata chiarissima a tutto il pae¬ 
se. Discorsi che sembravano prematuri, 
come quelli di certa sinistra democri¬ 
stiana. e gesti giudicati avventati, come 
quelli dei cattolici dissenzienti, si rivela¬ 
vano i soli ad essere alla pari coi tempi 
in campo cattolico. Questo processo 
autocritico, se fu volutamente ignorato 
dalla ma^oranza conservatrice della 
Democrazia Cristiana, investi natural- 


L'AST ROLABIO 15 settembre 1968 


13 





mente le ACLl; "E’ tempo di pensare 
ad una rifomia della politica; ad una 
nuova dislocazione di forze, cioè, capa¬ 
ce di rappresentare realmente le istanze 
nuove presenti nel paese, cominciando 
con l’enucleare, almeno nel dibattito e 
nel confronto culturale e politico, tutte 
le forze di sinistra democratica”. 

D’altra parte la spinta della base con¬ 
fermava che la strada da battere era 
questa e che il primo impegno doveva 
essere la difesa e il potenziamento della 
autonomia delle AGLI da ogni condi¬ 
zionamento politico da parte demo- 
cristiana. 

Il confronto dialettico. Ma con tutta 
probabilità i tempi di questa svolta 
sarebbero stati molto lunghi se la crisi 
cecoslovacca e la conseguente posizione 
del PCI non avessero sollecitato un’im¬ 
mediata reazione di tutte le forze 
politiche, l primi ad accettare, insieme 
ai lombardiani, che la presa di posizio¬ 
ne comunista segnasse una tappa fonda¬ 
mentale e rivoluzionaria nei rapporti 
politici italiani sono stati appunto gli 
aclisti. “Un confronto dialettico va 
aperto con il Partilo Comunista. Ad 
esso non possiamo rifiutarci, nella spe¬ 
ranza che le drammatiche vicende co¬ 
stringano ad una revisione non suircrfi- 
ciale, e che il nuovo corso continui 
irreversibilmente anche nel PCI. 


una iniziativa 
per ii beiice 

S ta per arrivare l'inverno anche nelle 
tende, nelle baracche, nelle case scon¬ 
nesse, sulla gente ancora sconvolta nella 
Sicilia occidentale. 

Al disordine ed all’insufficienza dei soc¬ 
corsi governativi, ha corrisposto il disordine 
e l'inaccettabile ritardo della ricostruzione. 
Particolarmente irresponsabile è stata la 
mancanza di tempestività nell'awiare gli in¬ 
dispensabili accertamenti geologici. Leggi e 
provvedimenti di fondo, assegnazione di 
fondi — decisi per gran parte in seguito alla 
pressione popolare — sono rimasti perlopiù 
inoperanti nei cassetti della burocrazia ro¬ 
mana e palermitana. 

Poiché è urgente investire in modo 
organicamente razionale la volontà di lavo¬ 
ro delle popolazioni nella realizzazione del¬ 
la nuova città-territorio che dovrà articolar¬ 
si nelle Valli del Beiice, del Carboi e dello 
Jato; poiché alcune opere fondamentali al¬ 
lo sviluppo della zona assolutamente non 
possono essere rinviate, il Centro studi e 
iniziative, di Partinico diretto da Danilo 
Dolci in collaborazione con rappresentanti 
della popolazione delle tre valli, ha deciso 
di avviare dal 15 settembre prossimo: 

— la più vasta discussione di un piano per 
lo sviluppo democratico delle Valli Beiice 
— Carboi — Jato; 

— una serie di pressioni per ottenere 
quelle opere fondamentali allo sviluppo 
della zona, che non possono essere più 
oltre rimandate. 

Una conferenza-stampa sarà tenuta il 15 
settembre al Centro di Trappeto (prov. 
Palermo! per illustrare e discutere questi 
programmi di lavoro. ■ 


Si è cosi giunti all'incontro di Val- 
lombrosa dove le posizioni delle diverse 
forze della sinistra cattolica hanno pre¬ 
so contorni più precisi. Labor, i sinda¬ 
calisti c la maggior pane della base 
aclista su posizioni di sempre maggior 
autonomia e contestazione (creativa) 
nei confronti del partito-madre demo¬ 
cristiano; una destra aclista, che ha avu¬ 
to un tumultuoso sostenitore nell’on. 
DeH’Armellina, nettamente contraria al¬ 
l’operazione di sganciamento e all’aper¬ 
tura di nuovi dialoghi; infine la sinistra 
democristiana che si sforza di fare da 
trait-d'wiion, da ponte tra le volontà 
adiste e le esigenze della DC'. 

Lo scontro e la dialettica fra queste 
tre tendenze dovrebbe caratterizzare 
l'attività politica aclista di questi mesi, 
fino al congresso ACLl previsto per la 
primavera del 1969, ed influire non po¬ 
co anche sulle decisioni di altre forze 
interne alla IX' ed al PSU. 

L’obiezione di fondo che viene mossa 
da più parti a Labor e agli aclisti “indi¬ 
pendentisti” (in particolar modo dalla 
sinistra DC) è che una nuova forma¬ 
zione politica rischierebbe di diventare 
una forza marginale ed inconsistente 
nei confronti dei grandi partiti di mas¬ 
sa, perdendo molta dell’incisività che 
oggi può avere restando all’interno di 
un partito come la Democrazia Cristia¬ 
na. Dall’altra parte si risponde che que¬ 
sto discorso sarebbe giustificato se le 
elezioni fossero andate in un altro 
modo o se la Democrazia Cristiana 
avesse dato segni tangibili di indirizzarsi 
verso prospettive nuove, ma che in una 
situazione come quella attuale (non 
soltanto in campo cattolico) occorre 
elaborare una strategia del cambiamento 
capace di soddisfare “la nuova do¬ 
manda politica” di larghi strati del 
paese. 

La benevola a.stensione. Ma la questione 
fondamentale e decisiva resta sempre la 
stessa: quale sarà l’atteggiamento del 
Vaticano? E’ indubbio, infatti, che una 
posizione negativa dell’autorità ecclesia¬ 
stica bloa’hcrebbc o perlomeno prive¬ 
rebbe di contenuto ogni mossa separa¬ 
tista in seno allo schieramento politico 
cattolico. Ed è su questo che hanno 
sempre fatto leva gli ambienti conserva¬ 
tori democristiani. La presenza degli 
assistenti ecclesiastici in seno alle ACLl 
ha finora avuto infatti il compito di 
temperare le spinte troppo rivoluzio¬ 
narie e rinnovatrici ed è un canale 
perpetuo di contatto e di controllo 
diretto tra Vaticano e movimento ope¬ 
raio cattolico. 

Sembra però che ultimamente la posi¬ 
zione della Chiesa abbia subito un’evo¬ 
luzione anche riguardo a questi rappor¬ 
ti. Se non si può parlare di un vero e 
proprio placet ecclesiastico o di entusia¬ 
stica approvazione delle nuove iniziative 
adiste, sembra però sicura una benevola 
astensione che sarebbe stata assicurata a 


Labor dalla Segreteria di Stato ed in 
particolar modo da mons. henelli, pros¬ 
simo ad indossare la porpora cardina¬ 
lizia. Non si spiegherebbero in altro 
modo certi mutamenti piuttosto rapidi 
del linguaggio e delle scelte politiche 
adiste. 

1 motivi che spingerebbero la Cliiesa 
ad assumere posizioni cosi innovatrici 
possono essere molteplici: la possibilità 
di un inserimento di forze compatte e 
dichiaratamente cattoliche nell’arco del¬ 
la sinistra di opposizione; la volontà di . 
seguire, controllandola, una scissione 
ugualmente inevitabile, piuttosto che es¬ 
serne spettatrice passiva; il tentativo di 
un’operazione di recupero politico verso 
i cattolici dissenzienti o tendenzial¬ 
mente tali; la possibilità di attirare certi 
ambienti cattolici c comunisti fuori dal 
IX'I. E non è detto che non esistano 
altri motivi, se non proprio accordi 
particolari. 

D’altra parte, come ha indirettamente 
sottolineato Labor nel suo ultimo di¬ 
scorso, il nuovo partito non sarebbe 
“cattolico”, ma semmai aperto a cat¬ 
tolici e laici, e questo è molto impor¬ 
tante nella valutazione della posizione 
vaticana. 

Se dunque questo atteggiamento ,on 
negativo da parte del V'aticano dovesse 
continuare: la nuova situazione costrin¬ 
gerebbe molte forze della sinistra demo- 
cristiana ad un esame di coscienza cer¬ 
tamente non facile. Ed è probabile che 
una buona maggioranza non avrebbe il 
coraggio di iniziare adesso un’avventura 
piena di incognite come può essere per 
loro un allontanamento radicale dalla 
Democrazia Cristiana. La stessa IX’. 
d’altra parte, subirebbe, per conseguen¬ 
za deirusciia di queste forze, un certo 
squilibramento a destra, molto perico¬ 
loso in una contingenza politica come 
quella attuale, anche perchè un eguale 
processo si aprirebbe nel l’SU con 
l’uscita dei lombardiani. Questa è forse 
la maggiore incognita contenuta in 
un’operazione di sganciamento aclista 
dalla IXmocrazia Cristiana. Intanto, con 
il discorso di l’iccoli, è cominciata la 
massiccia contromanovra della DC, che 
pare non voglia cedere almeno per il 
momento su nessuno dei punti 
controversi. Nello stesso tempo l’allar¬ 
mato fondo di Spadolini sul Corriere 
della Sera ha lanciato all’offensiva le 
schiere conservatrici contro il pericolo 
di un dialogo tra aclisti c comunisti. La 
prima verifica delle possibilità di attua¬ 
zione reale del disegno di Labor si avrà 
a fine mese alla riunione del Consiglio 
Nazionale delle ACLL Soltanto alle 
elezioni amministrative sarà possibile 
però valutare con certezza la portata 
reale c definitiva del dissenso aclista e 
di conseguenza il nuovo panorama 
politico italiano. 

A meno che nel frattempo qualcosa 
cambi in Vaticano. 

FABRIZIO COrssON ■ 


14 














agenda internazionale 



Dclciiu/ionc ul custcllu di Pru^a 


PRAGA-URSS 


GnmMBviuzni 

EAPnuuri 


N on è opportuno uccuntonurc con 
soverchia facilità, senza la necessa¬ 
ria attenzione Pinsistente, puntiglioso 
sforzo giustificazionista condotto cosi 
pesantemente da Mosca come fosse una 
semplice riedizione della favoletta anti¬ 
ca del lupo e delPagnello. 0 come se il 
piccolo nocciolo avvelenato di questa 
pretestuosa ricerca dovesse rislversi in 
quel poco di intrighi e mene provocato¬ 
rie che sono purtroppo pratica nonnale 
nei rapporti internazionali, specialmente 
in tempi torbidi. Cosi faceva Hitler, co¬ 
si fa spesso la CIA, e si fa corrente¬ 
mente nei rapporti Est-Ovest. 

La politica estera dei Soviet è nor¬ 
malmente discreta in questa materia, ed 
ò di corrente contestazione il suo reali¬ 
smo. La insistenza sul pericolo controri¬ 
voluzionario, anche per una pemianentc 
preoccupazione di giudizio obiettivo, 
obbliga a qualche riflessione induttiva, 
surrogatoria in qualche modo delle in- 
fomiazioni che mancano e delle indagi¬ 
ni impossibili. 

Le allusioni, vaglie anche se virulente 
della stampa sovietica, trapassano dalle 
interferenze e dagli “interessi stranieri” 
alla “controrivoluzione”. Controrivolu¬ 
zione che avrebbe dovuto reintrodurre* 


e portare al Governo un sistema capita¬ 
lista. Gli interessi stranieri sono da at¬ 
tribuire a Bonn ed al suo revanscismo, 
sostenuto da un vasto e innominato di¬ 
segno imperialista. Nessun accenno se 
non nebuloso a preparativi e propositi 
di azione violenta, anche perchè eccessi¬ 
vamente inverosimili. Ma insistenza sulla 
presenza c sulla azione dei controrivolu¬ 
zionari, tra i quali le denunce mosco¬ 
vite fanno pensare a forti nuclei di fo¬ 
mentatori ed organizzatori stranieri. 

Le scuole di spìpioggio. Il primo sugge¬ 
rimento di una possibile verosimiglianza 
a questo particolare riguardo può esser 
tratta daH'intercssante volume che Alain 
Guerin, noto esperto c specialista di 
questo particolare settore di storia, ha 
dedicato all’opera del gen. Reinhard 
Gchlen. colui che collaborò durante la 
guerra col gen. Guderian alla organizza¬ 
zione delle forze controrivoluzionarie 
dietro le linee sovietiche, e recuperato 
dopo la guerra dal Governo di Bonn ne 
organizzò e diresse con la stessa diabo¬ 
lica abilità i servizi segreti sino al re¬ 
cente pensionamento per raggiunti limi¬ 
ti di età. Il libro ò stato pubblicato in 



t Ibricht c Diibcck 



Kadar c (ioiiuilka 



Francia all'iiiizio di quest'anno, e sincro 
esca presto in traduaionc italiana. 

E’ la guerra segreta contro Pankow 
ciuf Guerin traccia con grande precisio¬ 
ne di particolari, ravvivata quando si 
arriva alla costruzione del “muro male¬ 
detto”, e Gehlcn organizza le fughe 
sensazionali di gente di l'à, che poi, 
dopo opportuno addestramento rimanda 
ad est del muro come suoi agenti. 

Una seconda conferma viene da fonti 
d’informazione francesi. E’ dal 1966 
che i servizi di sicurezza della Germania 
federale, in stretta collaborazione con 
quelli della NATO di Francoforte, han¬ 
no dato più forte impulso alla organiz¬ 
zazione dello spionaggio nei paesi del 
Patto di Varsavia. La centrale sta sem¬ 
pre a Wiesbaden. Due scuole per agita¬ 
tori ed infonnatori sono state organiz¬ 
zate nei due L'diuler della Renania, del 
Nord-Westfalia e del Baden-Wiirt- 
temberg. Fino ad un mese addietro ave¬ 
vano partecipato alle scuole 350 gio\ani 


L’ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


15 






provenienti dai paesi del Patto di Var¬ 
savia. 

Particolar attenzione è stata dedicata 
ai molti giovani giunti nei due ultimi 
anni dalla Cecoslovacchia. Quelli più 
adatti a svolgere compiti politici, una 
volta rientrati nel loro paese, sono stati 
istruiti dal prof. E.Weiss, quelli da adi¬ 
bire a compiti di spionaggio militare e 
industriale hanno avuto per istruttori 
rispettivamente il colonnello Ch. Wlon- 
dcr e il dott. 11. Lodi. 

Ampio sviluppo è stato dato allo 
spionaggio industriale. Chi non sa che 
le grandi imprese titolari di importanti 
sviluppi e collegamenti internazionali 
sono normali fonti e canali di infonna- 
zioni? Di solito l’agente segreto racco¬ 
glie e coordina, ma talvolta le due figu¬ 
re dell’operatore per il servizio segreto 
e per la industria si confondono, come 
è quasi tradizionalmente, sin dai tempi 
gu^iclmini, per i tedeschi. Del resto 
così è (x:r tutti i paesi ad alto sviluppo 
industriale, Italia compresa; ne sapeva 
qualcosa il col. Rocca. 

Le centrali della Germania federale 
hanno molto curato appena hanno po¬ 
tuto la penetrazione industriale, e con 
essa lo spionaggio, nei paesi dell’Est 
dando qualche volta l’impressione con 
l’ampia e sistematica inserzione di spe¬ 
cialisti e tecnici — ad esempio nella 
industria chimica — di mirare ad una 
sorta di noyautage. 

I timori di Pankow. Ma da quando a 
Bonn la “grande coalizione” ha meglio 
precisato il disegno di sviluppare i rap¬ 
porti economici con l’Est aggirando e 
scavalcando Gemiania orientale e Polo¬ 
nia, attenzione particolare è stata data 
alla Romania ed alla Cecoslovacchia. La 
prima, più libera, ha stabilito con Bonn 
rapporti ufficiali e contrattuali; la se¬ 
conda avrebbe desiderato di farlo. La 
traduzione nel sottofondo di questa po¬ 
litica è stala una nuova ondata, forse 
più scoperta, di agenti tedeschi più o 
meno segreti. 

La reazione dei due cerberi di 
l’ankow e Varsavia si è fatta più decisa 
da quando era venuta a cadere la ga¬ 
ranzia rappresentata dalla presenza del 
regime Novotny. E più rabbiosa, con il 
rifiuto della mano tesa da Bonn, la 
polemica contro il revanscismo, l’inestir¬ 
pabile nazismo e la disseminazione di 
agenti nazisti. Questa delle propensioni 
antiche e forse latenti di parte della 
classe dirigente tedesca è discono vec¬ 
chio: basta vedere le carte d’identità 
del Presidente Liibke, che avrebbe fatto 
meglio ad andarsene prima, e dello stes¬ 
so Kiesinger. Ma poiché la polemica del 
nazismo si ritorce ora contro la Germa¬ 
nia Orientale, si deve ricordare la con¬ 
dizione dei regimi sorti nelle due Ger¬ 
manie dopo il crollo hitleriano, costret¬ 
ti a servirsi — in misura limitata nel¬ 
l’Est comunista, ampia e frettolosa nel¬ 
l’Ovest degli alleati — dei resti del vec¬ 



chio apparato amministrativo, poiché il 
nazismo aveva provveduto ad eliminare 
accuratamente tutti i possibili avversari. 
Del resto di citi si è servito in Italia il 
post-fascismo? 

Per rimanere nei limiti obiettivi della 
informazione e del giudizio, si deve ri¬ 
cordare che l’irritazione per questo ri¬ 
mestare di agenti, spionaggi ed aggira¬ 
menti era stato anch’esso alla radice 
deH’irrigidimento sovietico sulla questio¬ 
ne tedesca, irritazione anche nei riguar¬ 
di della CIA, sempre presente in queste 
faccende, e della politica sempre a dop¬ 
pia faccia, Pentagono e Dipartimento di 
Stato, di Washington. 

Quale controrivoluzione? Due osserva¬ 
zioni possono concludere questa esposi¬ 
zione di fatti. La prima viene dalla fon¬ 
te qui utilizzata, attendibile come sicu¬ 
rezza di informazioni, che partendo da 
una visuale evidentemente limitata, tro¬ 
va che in definitiva i sovietici non han¬ 
no fatto che “restituire pesantemente” 
ciò che la politica segreta tedesco¬ 
americana aveva seminato. La seconda é 
già stata espressa da vari osservatori 
neutrali; l’intervento dei Cinque di Var¬ 
savia é stato operato con disastroso ri¬ 
tardo. Se il “nuovo corso” dava sospet¬ 
ti per possibili sviluppi centrifughi, in¬ 
ternazionali ed ideologici, l’intervento 
ed il chiarimento dovevano aver luogo 
in marzo. 

Può darsi che interventi tempestivi 
avrebbero potuto contenere a Praga una 
certa euforia trascinatrice e suggerire 
iiìaggiore prudenza nelle trattative con 
Bonn. Ma tra i rilievi qui oggettivamen¬ 
te esposti per la migliore comprensione 
dei fatti da un lato, c l’intervento dei 
carri armati a reprimere una minaccia 
di controrivoluzione dall’altro, vi é un 
salto logico insuperabile. 

Non occorreva una integrale c brutale 
occupazione militare per aver l’assicura¬ 
zione del rispetto del Patto di Varsavia 
c dei suoi vincoli militari, né occorreva 
per evitare il danno, riconosciuto da 
Dubcck, che sul piano diplomatico po¬ 
tevano soffrire i vicini. Tanto meno era 
necessaria per prevenire una possibile 
controrivoluzione borgliesc c capitalista 
fomentata dalla CIA, e organizzata dai 
famosi 40.000 controrivoluzionari accu¬ 
ratamente censiti dagli amici di No¬ 
votny. Sono favole che qualificano sgra¬ 
devolmente la propaganda sovietica. 

Un pretesto formale d’intervento sta 
di certo nell’appello di oppositori ed 
informatori faziosi che hanno verosimil¬ 
mente da lungo tempo attizzato il fuo¬ 
co, a favore dei quali Mosca ha impo¬ 
sto la immunità. E’ mortificante per 
chiunque che un grande paese di fede 
comunista voglia gabellare per popolo 
fratello una frazione minoritaria di ap¬ 
parato e gruppi di oppositori, e degna 
dei carri armati la grande massa visibil¬ 
mente ostile dei lavoratori e dei gio¬ 
vani. 


Praga; il blocco 

Non occorre rifare qui analisi sulle 
motivazioni e spiegazioni della decisione 
dei Cinque, già lungamente esplorate. 

La controrivoluzione da prevenire sta 
nella rottura del sistema, temuta con- | 
clusione di una .inarrestabile libertà nel- 1 

la scelta di una propria via di organiz- ‘ 

zazione socialista. Solo la pressione mi- I 
litare, tanto più brutale quanto più tar¬ 
diva, può neutralizzare questa libertà e 
ristabilire l’obbligatorio e docile confor¬ 
mismo alla unità strategica e ideologica 
di una comunità non sopranazionale * 
perchè a guida egemonica, e perciò pri¬ 
va di scelte nazionali. 

I controrivoluzionari, stranieri e indi¬ 
geni, non sono una vile invenzione. So¬ 
no un pretesto. Ma un pretesto necessa¬ 
rio. Cioè la giustificazione rispetto al 
mondo, rispetto alla propria opinione 
pubblica, rispetto al popolo cecoslovac¬ 
co. l*raga deve accettarla per riconosce¬ 
re l’esistenza della sua colpa, la giustifi¬ 
cazione della occupazione, e delle san¬ 
zioni dopo di essa necessarie. E’ un 
verdetto ingiusto, anzi iniquo che Praga 
sinché può non ratificherà. 

Guai se gli intransigenti di Mosca ne 
facessero una questione insormontabile 
di principio. 

forse dopo la ribellione rumena, cosi 
invisa a Moscai è stato l’inatteso, impe¬ 
tuoso afl'ermarsi del nuovo corso ceco- 
slovacco ad allannarc sin dall’inizio il 
sistema sovietico. La Polonia reagiva su- . 
bito in modo apparso in Occidente po¬ 
co comprensibile: mutamento di quadri, 
dura repressione dei movimenti giovani- ! 

li. spiacevoli ritorni di antisemitismo. i 

Poi è continuata questa politica del rie- 1 

ciò, chiuso in se stesso, ricco di aculei ' 

contro la critica e la discussione, che \ 

non ha più la forza di affrontare, anzi 1 

di stimolare, c di superare. Sono gli I 

apparati che di fronte a duemila parole ^ 

fanno come fa il riccio. Ma è un modo 
che porta ad invecchiare. Auguriamo 
che anche questi paesi trovino i modi 
per non invecchiare. donato» 


16 






Praga: rìiiiiioiw di iijlìt iali cccoslovim hi 


PRAGA 

la roulette 
russa 

E t unu continua altalena di iiltiina- 
tuni e di pause cariche di tensio¬ 
ne. Una vera e propria roulette russa: 
una pallottola nella pistola a tamburo, 
col caricatore che gira in folle e l’uomo 
che preme il grilletto senza sapere co¬ 
me va a finire. A Praga si vive in que¬ 
sta atmosfera. Un giorno sembra che i 
sovietici siano ragionevoli, ma 24 ore 
dopo diventano nevrastenici. Non è più 
nemmeno guerra dei nervi, ò cinismo. I 
dirigenti di Praga hanno molto sangue 
freddo, ma non è concepibile che duri 
cosi all'infinito. 

La missione Kuznetsov. Quando il pri¬ 
mo vice-ministro degli esteri sovietico, 
Vassily Kuznetsov, è arrivato da Mosca, 
sembrava fosse un sintomo distensivo. 
Un diplomatico e non un generale, e 
nemmeno quell’ambasciatore Cervonen- 
ko che aveva mantenuto rapporti illeciti 
con Novotny spedendo al Cremlino rap¬ 
porti sulla “controrivoluzione” galop¬ 
pante. Sabato 7 settembre la l'ravda si 
era improvvisamente calmata, quasi a 
convalidare il carattere positivo della 
missione Kuznetsov. Ma presto le spe¬ 
ranze cadevano. Domenica 8 la Prmxla 
era nuovamente su tutte le furie: biso¬ 
gnava reprimere la “controrivoluzione”, 
i dirigenti di Praga non dovevano farsi 
alcuna illusione sul ritiro delle truppe 
finche non avessero adottate misure 
coercitive in Cecoslovacchia. 

Li “controrivoluzione” deve essere 
dimostrata. L spetta ai dirigenti pro¬ 
gressisti di Praga il compito ingrato. L’ 



.Svoboda 


il prezzo della loro sopravvivenza politi¬ 
ca e forse fisica. Non erano forse que¬ 
sti gli “accordi” di Cicma, Bratislava e 
Mosca? 

H’ grave, estremamente grave, questo 
preteso filo di continuità tra il compro¬ 
messo di Ciema e di Bratislava e il 
diktat di Mosca imposto a Dubeek, 
Smrkovsky, Cemik e gli altri costretti a 
trattare da prigionieri, salvati dal presi¬ 
dente Svoboda, pronto a tutto, e da gli 
operai che in patria erano decisi a usci¬ 
re armati dalle fabbriche. E’ grave per¬ 
ché i sovietici insistono nel tentativo di 
scaricare sui dirigenti cecoslovacchi la 
responsabilità di aver violato un’accor¬ 
do, che invece è stato violato dal 
Cremlino. E’ grave perché ci sono per¬ 
sone a Mosca intestardite a “dimostra¬ 
re” a qulsiasi prezzo che la controrivo¬ 
luzione esisteva e non è stata inventata. 


E’ grave perchè si tratta di una catena 
di provocazioni e di ricatti che. un 
giorno o l'altro, possono far esplodere 
la Cecoslovacchia. 

Il ricatto peggiore. Il ricatto più ignobi¬ 
le è quello di mettere uomini reali co¬ 
me Svoboda, Dubeek, Smrkovsky e 
Cernik di fronte all’alternativa di incar¬ 
cerare degli inesistenti controrivoluzio¬ 
nari pur di salvare la Cecoslovacchia da 
un massacro, da un ritorno in forze dei 
carri armati, da un’Unglieria novembre 
’56 dopo il fìnto ripiegamento di fine 
ottobre. 

Domenica 8 settembre Svoboda ha 
convocato Dubeek, Smrkovsky, Cernik 
e anche lo “scomunicato” Cisar per di¬ 
scutere le condizioni sovietiche. Nessu¬ 
no di questi uomini è disposto a salva¬ 
re la reputazione di Brezhnev ricaccian¬ 
do in galera i sopravvissuti delle epura¬ 
zioni staliniste e novotniane. Il ministro 
della giustizia Kucera, lunedi 9. dichia¬ 
rava di essere pronto a riaprire “i pro¬ 
cessi di riabilitazione”, non i processi 
che vorrebbe Mosca. La fierezza di que¬ 
sta gente è esemplare, non ha aggettivi 
degni. 


1 

3D 

> 

c; 

> 


La risposta di Eliisak. I capi del Crem¬ 
lino hanno cercato di inventare una so¬ 
luzione di ricambio decente se Dubeek 
e gli altri non accetteranno il ricatto. I 
conservatori Kolder, Bilak, Svestka, l’il- 
ler, Barbirek non hanno accettato di 
firmare la lettera di “richiesta” dell’in¬ 
tervento svietico, che rimane anonima. 
Indra, che i comandi sovietici gabellaro¬ 
no come il capo del nuovo “governo 
operaio” cecoslovacco, sembra si trovi 
tutt’ora a Mosca, screditato dai russi 
benché la sua firma non sia apparsa in 
calce ad alcuna “richiesta”. Il poliziotto 
Salgovic, l’unico che abbia dato una 
mano all’invasione, è “scomparso”, e il 
/'race, l’organo dei sindacati cecoslovac¬ 
chi, ha spiegato che ha dovuto scappare 
a Mosca (il partigiano Pavel. benché ab¬ 
bia perduto il dicastero degli interni, 
non aveva poi tutti i torti nell’annun- 
ciare che l’aveva destituito in piena oc¬ 
cupazione). 

I sovietici hanno tentato di aggancia¬ 
re Gustav liusak, progressista, dieci an¬ 
ni di galera in periodo stalinista-no- 
vtniano, nuovo segretario del PC in Slo¬ 
vacchia al posto di Bilak. Ilusak ha 
molto prestigio, c fu il suo intervento 
in comitato centrale, da c.\ galeotto, a 
rovesciare Novotny dalla presidenza del¬ 
la Repubblica, dopo che Dubeek l’aveva 
battuto per la segreteria del partito. 
Quando Ilusak potè tornare in comita¬ 
to centrale si girò attorno e disse: “Al¬ 
cuni dei compagni processati sono qui 
con noi. Vedo il compagno Smrkovsky, 
il compagno Pavel... In galera eravamo 
in buona compagnia... Poi ci scar¬ 
cerarono per amnistia, assieme agli ex 
SS, ai membri della guardia Presi- 


L'ASTROLABIO - 15 senembre 1968 


17 





I 


deliziale di monsignor liso, agli spio¬ 
ni..”. Non riabilitati perchè comunisti 
innocenti e onesti, messi fuori alla che¬ 
tichella perchè i tempi cambiavano. 

llusak, come molti c,\ carcerati, non 
è entrato nel “Club 231” {dall’articolo 
del codice penale sul reato di tradimen¬ 
to c attentato alla sicurezza statale), 
perchè sapeva che parecchia di quella 
brava gente era esasperata e, per reazio¬ 
ne umana, era passata a destra, non 
credeva più al socialismo. Queste sue 
oneste dichiarazioni sono state montate 
dalla Pravcla, e riferite in un contesto 
parziale e censurato. Anche a Praga si è 
seminato il sospetto su Husak, quasi 
fosse un potenziale “collaborazionista”. 

Kuznetsov si è scomodato ed è anda¬ 
to a riverirlo a Bratislava, capitale della 
Slovacchia, dopo aver dettato a Dubeek 
le condizioni sovietiche. L'incontro, lu¬ 
nedi 9 settembre, è stato “franco c da 
compagni”, la formula identica adopera¬ 
ta per i colloqui forzati di Dubeek a 
Mosca. Tutti hanno capito, a Praga, che 
llusak deve aver rovesciato suH’incauto 
diplomatico un torrente di ingiurie. 

Qualcuno dubita ancora di lui. Ma 
lon è ruomo che i sovietici cercano 
nvano. Se dovesse andare al posto di 
Dubeek, sarebbe un osso ancora più 
Juro, solo Smrkovsky potrebbe superar- 
o in questo. 

La “Pravda” di Bratislava Significativa 
la polemica tra due giornali dallo stesso 
nome, ma che si stampano una a Mo¬ 
sca e l'altro a Bratislava. La Pravda di 
Mosca (quella più conosciuta) s’è arrab¬ 
biata con la consorella slovacca. Quella 
di Bratislava, infatti, aveva scritto che 
le milizie operaie, gli organi di sicurez¬ 
za, e l’esercito — in Slovacchia non 
avevano dovuto arrestare neanche un 
contorivoluzionario, e tanto meno spa¬ 
rargli addosso, perchè controrivoluziona¬ 
ri, in circolazione, non se ne erano vi¬ 
sti. liceo un esempio di inettitudine e 
di scarsa vigilanza, tuonava l’organo 
moscovita. 

La Pra\'da di Bratislava è il giornale 
di llusak, segretario del PC slovacco. 
Un altro “buco” nella ricerca di colla¬ 
borazionisti decenti, che non siano al 
livello di Salgovic. 

Sei mesi di tempo, llusak aveva detto, 
tornando da Mosca; “Lasciateci sci me¬ 
si di tempo, sci mesi soltanto..”. In 
pratica lo stesso discorso di Smrkovsky, 
che su queste colonne abbiamo già rife¬ 
rito. Si sbagliano o hanno compiuto 
una fredda analisi, calcolando le con¬ 
traddizioni insanabili del Cremlino? 

Da Mosca continuano ad accavallarsi 
notizie di dissensi nel gruppo di vertice. 
L’isolamento sovietico comincia a pesa¬ 
re, c le “colombe” alla Kossigliin sta¬ 
rebbero cercando di salvare, anche loro, 
il salvabile, proprio come i. dirigenti di 
Praga. 

Come andrà a finire non si può pro- 
18 


nosticare. I “falchi” (i “duri ’ dalla par¬ 
te sbagliata, che compromettono anche 
le sorti del Vietnam) sono ancora forti. 
Ma stanno giocando una partita perico¬ 
losa. La brutale politica di potenza, in 
difesa della burocrazia nco-stalùiista, 
distrugge il prestigio dei Soviet. Dovran¬ 
no occupare tutta l’Europa orientale 
per imporlo? E anche a tale prezzo, 
che cosa si salverebbe degli ideali del¬ 
l’ottobre ’17? 

La Grecia antica seppe civilizzare, 
benché conquistata, perfino una parte 
dei romani. Nei limiti di quei tempi. 
Oggi le idee corrono più svelte. E non 
c’è carro armato che tenga. ■ 

GERMANIA 

la svolta 
di agosto 

n queste settimane molto si è parla¬ 
to del ruolo che, nell’invasione della 
Cecoslovacchia, avrebbe avuto Walter 
Ulbricht. Pure, di una cosa almeno si 
può essere sicuri: che la crisi cecoslo¬ 
vacca ha brutalmente interferito con 
un’iniziativa che si presentava sotto i 
migliori auspici c che avrebbe segnato 
un importante passo avanti nella nor¬ 
malizzazione dei rapporti fra le due 
Gemianie. Da molto tempo le relazioni 
Bonn-Berlino Est non erano state cosi 
buone, come nei giorni che precedette¬ 
ro immediatamente l’invasione della Ce¬ 
coslovacchia. Tutto era cominciato il 9 
agosto, con una dichiarazione di Ulbri¬ 
cht davanti alla Camera della Repubbli¬ 
ca democratica tedesca, che avrebbero 
potuto esserci dei negoziati tra il mini¬ 
stro tedesco-orientale del Commercio 
estero e quello occidentale dell’Econo- 
mia. Tali negoziati avrebbero dovuto 
vertere su un aumento di crediti (da 
parte della Repubblica federale tedesca) 
al commercio interzonale, sul regola¬ 



mento del contenzioso relativo e su fa¬ 
cilitazioni all’csjxirtazione dei carburanti 
e lubrificanti dalla RDT alla RFT. com¬ 
merciali con la RFT, avrebbe potuto 
farlo neU’ambilo di una politica comu¬ 
ne del blocco comunista, senza prende¬ 
re iniziative eterodosse. 

Un’altra ipotesi, naturalmente, potreb¬ 
be essere quella che il processo di di¬ 
sgregazione del blocco stesso era ormai 
arrivato cosi in là che lo stesso Ulbri¬ 
cht possa aver sentito il bisogno di 
prendersi una qualche contro-assicura¬ 
zione ad Ovest. Ma, infine, tutte queste 
ipotesi sono state superate da un fatto 
che può apparire paradossale solo a chi 
abbia dimenticato le buone usanze del¬ 
l’epoca stalinista, ossia che, il giorno 
stesso deH’invasione della Cecoslovac¬ 
chia, l’invito è stato rinnovato. Questo 
significa, in pratica, che probabilmente 
non c’è mai stata alcuna relazione fra 
le due cose, e che la coincidenza cro¬ 
nologica non è che una delle tante ma¬ 
nifestazioni di quella “doppia morale” 
che, fin dalle origini, è stata una delle 
caratteristiche della diplomazia sovieti¬ 
ca. E’ ovvio che, per uno stalinista 
come Ulbricht, un’operazione di polizia 
come quella di rimettere al passo la 
Cecoslovacchia non ha nulla a che ve¬ 
dere con le relazioni intemazionali. Ci 
troviamo, quindi, di fronte ad una ma¬ 
nifestazione particolarmente netta del 
cuim regiu eitis religio, un principio 
che ad un tedesco colto - quale certa¬ 
mente è Ulbricht dovrebbe essere fa¬ 
miliare, anche senza ricorrere ai prece¬ 
denti diplomatici degli anni trenta. 

I limiti della Ostpolitik. Ma, indubbia¬ 
mente, ci vuole tutta la disinvoltura di 
Ulbricht per credere, o far finta di cre¬ 
dere, che la Ostpolitik non abbia rice¬ 
vuto un colpo mortale dagli avvenimen¬ 
ti di Cecoslovacchia. Cominciata trion¬ 
falmente con la visita di Manescu a 
Bonn (30-31 gennaio 1967) e il conse¬ 
guente scambio di ambasciatori (23 
maggio 1967) tra la Romania e la 
RFT, la Ostpolitik stava riportando in 
Cecoslovacchia un nuovo, clamoroso 
successo. Dopo le accoglienze trionfali 
di Tito e Ceausescu a l’raga, dopo la 
dichiarazione (U Cemik alla radio au¬ 
striaca che la » Cecoslovacchia avrebbe 
accettato crediti dall’Occidente, il can¬ 
celliere Kiesinger poteva parlare di un 
blocco neutralista Praga-Bucarest-Bel- 
grado: probabilmente, fu proprio que¬ 
sto eccessivo successo che perdette la 
Cecoslovacchia. 

Concepita com’era, frutto di un com¬ 
promesso tra Willy Brandt e gli oltran¬ 
zisti della CDU (Strauss-Schroeder), con 
Kiesinger in veste di mediatore, la 
Ostpolitik aveva un vizio d’origine, cui 
recentemente, sé ne era aggiunto un 
altro. Il primo, e fondamentale, era 
che, non essendo associata ad una so¬ 
lenne dichiarazione della RFT di non 
mirare alla modifica dello status quo 

Itrandt 









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Berlino: il busto dcU'liiiiKratore 


territoriale dell’Europa centro-orientale, 
lasciava adito al sospetto di mirare pro¬ 
prio a quello, ossia alla riunificazione 
della Germania attraverso il progressivo 
isolamento diplomatico della RDT. 11 
secondo - più recente, accessorio e 
forse transitorio, ma che, nondimeno, 
deve aver avuto anch’esso una parte 
non trascurabile nel momento della cri¬ 
si - è stato la riluttanza (della cui 
opportunità intrinseca non vogliamo di¬ 


scutere in questa sede) della RFT a 
firmare il trattato di non proliferazione 
nucleare. E' dubbio se l'URSS accetterà 
mai la riunificazione della Germania in 
cambio del suo disarmo; non ci posso¬ 
no essere dubbi sul fatto che non ac¬ 
cetterà mai una Germania al tempo 
stesso unita e armata. 

Queste contraddizioni ponevano alla 
Ostpolitik un limite invalicabile: l’URSS 
non avrebbft mai consentito alla RFT 


di distruggere i risultati della seconda 
guerra mondiale. La fin de non recevoir 
opposta da Mosca, ai primi di luglio, 
alla proposta tedesco-occidentale di un 
patto reciproco di non ricorso alla vio¬ 
lenza, suonava come un avvertimento, 
che purtroppo non deve essere stato 
compreso, allora, in tutto il suo valore. 
Ci si può porre, naturalmente, la do¬ 
manda se l’URSS, per salvaguardare 
l’assetto territoriale emerso dalla secon¬ 
da guerra mondiale, sia disposta a ri- 
scliiame un altra. La domanda è ango¬ 
sciosa, ma, probabilmente, essa non è 
stata veramente attuale durante la crisi 
cecoslovacca. Dalla pratica ormai ven¬ 
tennale del confronto condotto per in¬ 
terposta persona (attraverso gli esempi 
della Corea, Cuba, il Vietnam. San Do¬ 
mingo ecc.) è emerso che gli eventuali 
scontri anilati conseguenti a tale con¬ 
fronto si mantengono nelle dimensioni 
della persona interposta: va in frantumi 
il vaso di coccio, ma i vasi di ferro che 
ne hanno provocato la rottura non si 
toccano fra di loro. Si può discutere 
sulla validità universac di questa tesi, 
ma non c’è dubbio sul fatto che i diri¬ 
genti sovietici, nel calcolare i rischi ine¬ 
renti all’operazione cecoslovacca, non 
l’abbiano presa per buona. 

Bonn e la crisi cecoslovacca. Ila destato 
molta emozione nella RFT (cui ha fat¬ 
to riscontro, in modo abbastanza in- 


il rebus 
di pankow 

I Pankow-Astrologen, gli "esperti" occi¬ 
dentali della politica di UIbricht, sono 
in crisi. Le informazioni che giungono da 
Berlino orientale non sono, come al solito, 
semplicemente contradditorie. Questa volta 
— dopo l'intervento sovietico in Cecoslo¬ 
vacchia non corrispondono alle necessità 
propagandistiche dell'industria manipolativa 
tedesco-occidentale. Il tutto iniziò con 
un'indiscrezione, raccolta a Berlino Ovest 
da un giornalista di Der Spiegel, secondo la 
quale le truppe della Volksarmee di UIbri- 
cht non sarebbero entrate in Cecoslovac¬ 
chia: per evitare reazioni antitedesche nella 
popolazione, i pretoriani di UIbricht avreb¬ 
bero invaso il territorio cecoslovacco solo 
sulla carta. La fonte dell'indiscrezione: un 
alto ufficiale dell'armata sovietica. 

Seconda indiscrezione, ancora più spiace¬ 
vole per i propa^ndisti di Bonn, raccolta 
da giornalisti occidentali in circoli diploma 
tici rumeni e jugoslavi qualche giorno dopo 
l'intervento: il gruppo dirigente della SED 
— con Walter UIbricht in testa — si sarebbe 
opposto fino all'ultimo minuto alla presen¬ 
za di truppe della ROT nella Cecoslovac¬ 
chia. 

La stampa tedesco-occidentale, sostenuta 
dai comunicati ufficiali del governo della 
RDT, ha ignorato le indiscrezioni acco¬ 
gliendo a braccia aperte le informazioni 
raccolte dal servizio di spionaggio militare 
della Bundeswehr, secondo il quale la set¬ 


tima divisione corazzata di Dresda e la un¬ 
dicesima divisione motorizzata di Erfurt 
avrebbero partecipato all'invasione (rima¬ 
nendo però solo 10 giorni sul territorio 
cecoslovacco). Un gruppo di giornalisti del 
secondo programma televisivo di Bonn, un 
inviato del giornale di Springer Die Welt e 
lo scrittore Kuby per il settimanale illustra¬ 
to Sterri, sguinzagliati dai loro padroni, su¬ 
bito dopo l'intervento, alla caccia del tede¬ 
sco invasore, sono tornati a mani vuote. 
Hanno battuto per quasi una settimana il 
territorio incriminato senza riuscire a trova¬ 
re alcuna traccia di truppe tedesche. 

Come si spiega tutto ciò? 

Che il gruppo dirigente della SED fosse 
stato, fin dall'inizio, favorevole ad un inter¬ 
vento armato è certamente fuori dubbio. 
Già due mesi orsono un ufficiale della 
Volksarmee aveva detto ad un giornalista 
svizzero in visita a Berlino Est che "le 
truppe del Patto di Varsavia, verso la fine 
dell'estate e con la scusa di manovre già da 
tempo previste", avrebbero "occupato il 
territorio cecoslovacco". Le nuove ten¬ 
denze sostenute dal gruppo Dubeek avreb¬ 
bero condotto "oggettivamente" la Ceco¬ 
slovacchia ad una situazione "militarmente 
ed economicamente insostenibile per i 
paesi socialisti". 

Per i dirigenti di Pankow, il dilemma si 
acutizzò quando, dopo la visita di Gret- 
schko e Jakubowski a Berlino Est (merco- 
ledr 14 agosto), vennero discussi i partico¬ 
lari dell'inten/ento. Molto probabilmente 
gli uomini di UIbricht si dichiararono con¬ 
trari alla presenza di truppe tedesche. Sia 
dal punto di vista "legale", che da quello 
tattico e propagandistico, la presenza dei 
tedeschi avrebbe avuto certamente delle 
conseguenze catastrofiche. 


All'ultimo momento si giunse al compro¬ 
messo le per alcuni giorni, a Berlino Est, 
circolò la voce che, per questo motivo, 
UIbricht fosse stato messo "in quarantena" 
da alcuni dei suoi d'accordo coi capi del 
Cremlino). Ufficialmente le truppe della 
Volksarmee avrebbero partecipato all'inter¬ 
vento, per dimostrare l'unità dei paesi so¬ 
cialisti ortodossi, mentre in realtà solo al¬ 
cune unità specializzate in telecomunica¬ 
zioni e singoli ufficiali, normalmente aggre¬ 
gati all'armata rossa, avrebbero superato il 
confine Cecoslovacco. 

E cosf probabilmente avvenne. Che il 
compromesso non sia servito a nujia, che la 
presenza o no di truppe tedesche non cam¬ 
bi nulla alla gravità del fatto, tutto ciò non 
ha bisogno di essere dichiarato esplicita¬ 
mente. E' solo un latto marginale che ri¬ 
conferma il clima kafkiano, sia a Pankow 
che al Cremlino, in cui sono state prese le 
decisioni di queste ultime settimane. 

,C. P. 


L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


Berlino Lst: 
la sfilala del / maggio 













! 


spiegabile, la pressoché totale indiffe¬ 
renza degli altri paesi occidentali) la 
giustificazione ufficiale addotta dal- 
l’URSS al proprio intervento in Ceco¬ 
slovacchia, ossia che tale intervento era 
dovuto a motivi strategici, e che, giuri¬ 
dicamente, era giustificato dagli articoli 
53 c 107 della Carta dell'ONU (secon¬ 
do i quali uno Stato-membro può pren¬ 
dere, anche senza consultare il Consi¬ 
glio di sicurezza, le iniziative che ritie¬ 
ne necessarie, qualora si creda minaccia¬ 
to da un ex-nemico). L'emozione è sta¬ 
ta. naturalmente, più grande anche per¬ 
chè tale giustificazione è stata accompa¬ 
gnata da una campagna propagandistica 
tendente a far ricadere sulla K1 T la 



Lo spray anli-nay.i 


colpa originale della crisi. Pure, la nota 
di protesta rimessa il 2 settembre dal¬ 
l’ambascia toro sovietico a Bonn, 
Zarapkin, al governo federale, in se¬ 
guito alla dichiarazione, fatta il 25 ago¬ 
sto da Kiesinger alla radio tedesco- 
occidentale, che la RFT non poteva 
aderire alla dottrina sovietica del man¬ 
tenimento indefinito dello status quo, è 
stata generalmente interpretata, mal¬ 
grado il suo tono duro, come un espe¬ 
diente per far capire ai dirigenti te¬ 
desco-occidentali che rURSS non ha 
intenzioni aggressive nei riguardi della 
RFT. Anche in questo caso, non sa¬ 
rebbe esatto parlare di doppiezza; 
l'invasione della Cecoslovacchia è stata 
effettivamente un atto di guerra contro 
la RFT (donde la necessità, secondo la 
complicata mentalità legalistica della 
diplomazia sovietica, di richiamarsi ai 
due articoli della Carta dell’ONU, cui 
nessuno omiai pensava più) ma, d'altra 
parte, i sovietici sono perfettamente 
sinceri quando affermano di non aver 
alcuna intenzione di minacciare il ter¬ 
ritorio attuale della RFT. 

Come reagirà la Gemiania Occidentale 
a questa nuova situazione? Per il 
momento, nemmeno i contatti in corso 
con la RDT sono stati interrotti, anche 
se, ovviamente, sono stati affidati ad 
un alto funzionario, non essendoci più 
le circostanze adatte per compro¬ 
mettervi un ministro. Brandt si è recato 
alla conferenza di Ginevra dei paesi 
non-nucleari e vi ha rilasciato dichia¬ 
razioni molto moderate: la distensione 
rimane sempre l’obiettivo principale del¬ 
la Grande coalizione, e persino il trat¬ 
tato di non-proliferazione potrebbe es¬ 
sere fimiato (per quanto non subito), 
purché la RFT riceva adeguate garanzie 
che ciò non compromettcra la sua si¬ 
curezza nazionale, le sue possibilità di 
applicazione pacifica dell’energia nu¬ 
cleare, non sia in contrasto con il pro¬ 
cesso di unificazione europea e rap¬ 
presenti il primo passo verso un disar¬ 
mo reale. Brandt si è anche richiamato 
espressamente, a questo proposito, al 
piano Rapacki. Dietro la moderazione e 

10 spirito di iniziativa di Brandt scal¬ 
pitano, tuttavia, Straiiss e Schroeder, 
per i quali la sola lezione che si possa 
trarre dagli avvenimenti cecoslovacchi è 

11 rilancio deH’atlantismo. 

Una via senza uscita. Quale che sia la 
volontà delle persone che attualmente 
dirigono la politica estera della RFT, 
risulta molto difficile pensare alla 
Ostpolitik come a qualcosa che abbia 
ancora un avvenire (a meno, s’intende, 
di novità non dipendenti da un sem¬ 



plice atto di volontà del governo te¬ 
desco). La lezione degli avvenimenti ce¬ 
coslovacchi è di averci fatto toccare 
con mano quanto limitata sia l’auto¬ 
nomia in politica estera (potremmo 
anche dire la sovranità nazionale) delle 
potenze minori. Tale autonomia era 
praticamente nulla per un piccolo paese 
come la Cecoslovacchia, ma non è. evi¬ 
dentemente, molto grande neppure per 
la RFT. Comunque la si voglia giu¬ 
dicare, la Ostpolitik è stata il primo 
tentativo di una cer<a ampiezza e il 
primo che avesse dato qualche risultato 
— per superare l’anchilosi dell’Europa 
conseguente all’assetto determinatosi tra 
il 1944 e il 1949. 


Massima proccupazione dei dirigenti 
sovietici, dopo l’invasione della Cecoslo¬ 
vacchia, è stata quella di affermare che 
tale episodio nulla avrebbe cambiato 
dei rapporti con l’Occidente. Ma è pro¬ 
prio in questo “nulla” che sta il veleno 
dell’argomento, giacché l’Occidente può 
considerare l’occupazione della Cecoslo¬ 
vacchia come un fatto che non lo ri¬ 
guarda, come una semplice operazione 
di polizia aH’interno dell’“impero” so¬ 
vietico, solo a patto di ammettere resi¬ 


stenza di tale “impero”, il che signifi¬ 
cherebbe, in pratica, ritornare ai giorni 
peggiori della guerra fredda. Questa vi¬ 
sione può essere accettata o respinta, 
ma è evidente che, se la si accetta, la 
Ostpolitik è finita per sempre. 

Una situazione del genere può essere 
gravida di conseguenze per la RFT. 
Scoprire la propria impotenza, per un 
paese che nel passato ha avuto più vol¬ 
te la tentazione della Machtpolitik, non 
è mai un’esperienza facile da digerire. 
D’altra parte, se la RFT seguisse la ten¬ 
tazione gollista delfautosufficienza mili¬ 
tare, amiamento nucleare compreso, im¬ 
boccherebbe una strada molto pericolo¬ 
sa, senz’altro sbocco prevedibile che 
una nuova guerra con l’URSS per il 
Lebensraum dell’Europa orientale. 

Tra la tentazione di un neo-immobili¬ 
smo atlantista e quella di un’avventura 
a fondo cieco, l’avvenire della Germania 
si gioca forse più a Parigi (dove Brandt 
ha avuto un incontro interlocutorio con 
Dcbré il 7 settembre, mentre è attesa 
una visita di De Gaulle a Bonn, per il 
27-28 settembre) che a Bonn; in ogni 
caso, esso dipende dalle alternative clic 
sapranno offrirle i suoi alleati europei 

ALDO GIOBBIO ■ 



1 


20 




















la rivoluzione 
culturale è finita? 

Mao ha licenziato 
le guardie rosse? 

Cosa significa l’annuncio di 
radio Pechino sulla 
“vittoria totale e 
definitiva’,’ della rivoluzione 
culturale? 


I l 6 settembre Radio Pecliino ha an¬ 
nunciato la vittoria totale e definiti¬ 
va della “rivoluzione culturale”. Manca¬ 
vano due importanti regioni autonome 
neH'elenco dei territori “conquistati” 
dai comitati rivoluzionari; il Sinkiang e 
il Tibet. A partire dal 6 settembre 
“tutta la Cina si è tinta di rosso, ad 
eccezione di Taiwan” (l’isola di Kormo- 
sa in mani di Ciang Kai-scek o. meglio, 
in mani americane). 

^ La “rivoluzione culturale” è dunque 
Imita? Mao ha licenziato le guardie 
rosse? Mi pare più esatto dire che la 
“rivoluzione culturale” ha raggiunto il 
traguardo, non facile, di dare un’ossatu¬ 
ra e un’organizzazione unitaria a un 
paese vastissimo che, secondo l’ultimo 
dato ufficiale, conta 712 milioni di abi¬ 
tanti (300 in più di Unione Sovietica e 
Stati Uniti messi assieme). 

Che significa organizzazione unitaria? 
Che la Cina era nelle mani dei “signori 
della guerra” e che il potere centrale 
Ira dovuto riannettersela pezzo per pez¬ 
zo, come un immenso mosaico? E’ la 
tesi di certa stampa occidentale che ha 
visto, nelle lotte politiche di questi an¬ 
ni, un’esplosione di continue guerre ci¬ 
vili, scontri annati, battaglie sanguinose, 
feroci e spietate lotte di fazioni. Il 
mondo intero è stato riempito da una 
letteratura a valanga di pseudo-esperti, 
incaricati di descrivere la Cina in preda 
al terrore c all’autosterminio. Le cifre 
sono rimbalzate, dall’ima all’altra capi¬ 
tale, gonfiandosi di zeri. Poche settima¬ 
ne fa si parlava di 60 mila morti, e a 
distanza di poche ore erano diventati 
60 milioni. Perfino i giornali più fega¬ 
tosi, neH’ultimo caso, hanno avuto rite¬ 
gno a “montare” la cifra colossale an¬ 
nunciata a Taipeh (Fonnosa) e diffusa 
da un dispaccio di poche righe del¬ 
l’agenzia americana Associated /Wss. 

La “violenza” cinese. C’è stata violen¬ 
za? 1 cinesi dicono di si, e Mao Tse- 
tung afferma che la rivoluzione non è 
una scampagnata o un ricevimento. Su 
queste basi, e giocando con i teniiini 
simbolici della lingua cinese, cui s’è ag¬ 
giunta la fraseologia militare di quel 
partito comunista nato e cresciuto in 
una guerra vera di liberazione durala 


L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


21 























22 anni (dal 1927 al 1949), molti si 
sono ritenuti autorizzati a tradurre alla 
lettera gli slogans sulle "battaglie per la 
conquista del potere”. I sinologlii veri, 
dall’osservatorio di Hong Kong, hanno 
faticato non poco a spiegare agli inviati 
di mezzo mondo, giunti alle porte proi¬ 
bite della Cina, che certe “notizie” an¬ 
davano tradotte, e interpretate, alla lu¬ 
ce di una elementare cognizione del 
modo di esprimersi dei cinesi. I giorna¬ 
listi più provveduti e onesti lo hanno 
capito dopo i loro sondaggi a Hong 
Kong, e hanno avuto il merito di rico¬ 
noscerlo pubblicamente. Ma, senza la 
Cecoslovacchia, quest’estate avremmo 
certamente avuto nuovi massacri in Ci¬ 
na, altri impiccati ai lampioni di Can- 
ton (che erano poi pupazzi raffiguranti 
gli avversari politici), e altri cadaveri 
nella rada di Hong Kong (ne sono arri¬ 
vati, ma per effetto di una disastrosa 
alluvione, solo che la notizia delle inon¬ 
dazioni è stata data senza alcun rilievo 
da certe pubblicazioni occidentali che 
avevano fatto, a Hong Kong, un maca¬ 
bro commercio di foto con agenti di 
Ciang Kai-scek incaricati di ripescare i 
morti per legarli e imbavagliarli). 

Episodi di violenza fìsica tuttavia ve 
ne sono stati, in due anni di aspra 
lotta politica, non sempre controllabile 
da un esercito disarmato (testimonianza 
raccolta onestamente, a suo tempo, 
anche da giornalisti italiani come Caval¬ 
lari del Corriere della Sera Igor Man 
della Stampa e Paternostro del Giorno). 
Un esercito disarmato che doveva inter¬ 
venire quando la lotta politica degene¬ 
rava e i sostenitori dell’una o dell’altra 
tendenza, per immaturità, venivano alle 
armi. 

Però la Cina rimane un territorio 
proibito agli stranieri, e chi può pren¬ 
dere per oro colato il giudizio degli 
esperti di Hong Kong, quelli veri e non 
prezzolati? Ai;che le analoglie notizie 
provenienti dalTc ambasciate di Pechino, 
e dagli uffici commerciali, potrebbero 
essere minimizzate per mantenere buoni 
rapporti e utili scambi economici. Cer¬ 
to: restano in pochi a costruire roman¬ 
zi gialli, e lo fanno per lo più in perio¬ 
di di magra di notizie giornalistiche. 
Ma, se non si possono prvare i massa¬ 
cri. come provare il contrario? Pechino 
stessa ha annunciato alcune fucilazioni 
di agenti’ del Kuomintang e, benché 
tutti i governi sappiano che a Formosa 
non sono stati con le mani in mano, 
come èsser certi che le esecuzioni pub¬ 
bliche erano limitate a sabotatori sbar¬ 
cati sul continente o a qualche cinese 
che, nel corso della “rivoluzione cultu- 
ra)c”, non aveva rispettato l’ordine pre¬ 
ciso di non usare la violenza fìsica fino 
a provocare incidenti e ad uccidere un 
avversario? 

Chi nc sa qualcosa e parla in buona 
fede sostiene che nel corso di tutta la 
“rivoluzione culturale” non si sono re¬ 
gistrate più vittime di quante non se ne 


siano lamentate in una sola città ameri¬ 
cana in una sola giornata di “estate 
calda”. tale stregua gli Stati Uniti 
sarebbero immersi in una guerra civile 
di proporzioni immani, se il temiine 
guerra civile dovesse applicarsi alla Ci¬ 
na. Ma a Pechino sono indifferenti a 
tutte le montature occidentali — e so¬ 
vietiche purtroppo — e dicono che la 
verità verrà a galla, che non c’è niente 
da nascondere, ma non è necessario ri¬ 
battere a ogni frottola. Non hanno tor¬ 
to dopo tante denigrazioni, e non han¬ 
no neppur torto a rifiutare i visti alla 
stampa estera dati i precedenti. Pur¬ 
troppo, a danno dei cinesi, gioca l’eti¬ 
chetta di “stalinismo” impressa con 
troppa facilità alia loro “rivoluzione 
culturale”. Anche nella Russia di Stalin 
non sembrava ver, ed invece era peg¬ 
gio di quanto si raccontava. 

L’etichetta stalinista. E’ proprio il para¬ 
gone con lo stalinismo che distorce l’in¬ 
terpretazione della realtà cinese. In 
Russia si era scatenata la violenza fìsica 
durante le “purglie”. In Cina le epura¬ 
zioni hanno avuto il carattere di violen¬ 
za morale: se non gli veniva torto un 
capello, l’avversario era dileggiato e co¬ 
perto di cartelli infamanti, costretto per 
ore a subire l’atto di accusa di una 
folla di attivisti i quali pretendevano 
l’“ autocritica”. Qualcuno certamente 
non ha retto a questa violen7.a morale, 
su alcuni più atroce, per l’umiliazióne 
inferta, di una violenza fìsica vera e 
propria. Era “necessario” tutto questo? 
Il partito, Mao, Lin Piao, Ciu En-lai, 
hanno spesso duramente criticato tale 
ricorso al metodo di mettere l’avversa¬ 
rio alla gogna, di antica ma spietata 
tradizione contadina. Perché, tuttavia, 
non lo hanno impedito? 

La risposta dei cinesi che sanno “tra¬ 
durre” i termini occidentali il perché di 
tali eccessi è che la degenerazione buro¬ 
cratica del partito doveva essere colpita 
nella maniera più indolore, ma in modo 
che la lezione risultasse esemplare e lo 
sfogo delle masse potesse esprimersi 
almeno “a un passo di distanza” dalla 
violenza fìsica. Era il modo per impedi¬ 
re esplosioni incontrollabili, da una par¬ 
te, e l’impunità dei burocrati incalliti, 
dall’altra. I cinesi si erano accorti che il 
partito si andava sovrapponendo alle 
masse, che la “linea di massa” veniva 
applicata in astratto, che i dirigenti - 
quand’erano criticati — si facevano la 
regolare “autocritica” ma tutto restava 
come prima. Le strade erano due: la 
repressione di tipo stalinista, sulle mas¬ 
se e su una parte della burocrazia, con 
il risultato di legalizzare una dittatura 
“sul proletariato”; oppure uno scossone 
severo a tutta l’impalcatura burocratica, 
a prezzo degli eccessi indicati, pur di 
uscire dalla spirale dell’esercizio autori¬ 
tario burocratico del potere; e in un 
paese ancora strutturalmente contadino 
era giocoforza ammettere temporanea¬ 





Alau 


mente il ripristino di forme di pressio¬ 
ne elementari, e non di semplice “per¬ 
suasione” come era stato l'indirizzo del 
partito fino alla “rivoluzione culturale”. 
In poche parole la burocrazia non si 
lasciava “persuadere”, e aveva giocato 
d’astuzia durante le precedenti “campa¬ 
gne di rettifica”, ammettendo gli errori 
soltanto a parole e continuando a guar¬ 
dare dall’alto in basso la popolazione. 
Questa volta doveva guardarla “dal bas¬ 
so in alto”, anche a costo di inginoc¬ 
chiarsi (letteralmente) in mezzo alla fol¬ 
la. 

Queste spiegazioni hanno senso pen¬ 
sando alla struttura sociale della Cina, 
dove anche la classe operaia è di estra¬ 
zione contadina e di fonnazione recen¬ 
te. Tuttavia si comprende che l’indiriz¬ 
zo seguito è stato l’oppostO' dello stali¬ 
nismo, e che perciò tale etichetta non 
è applicabile alla Cina della “rivoluzio¬ 
ne culturale”. 

Mao dice che occorrono almeno due 
o tre “rivoluzioni culturali” ogni secolo 
per sradicare la pianta burocratica ed 
estirparne le radici. E’ chiaro che le 
future “rivoluzioni culturali” saranno 
adottate (se lo saranno) in un contesto 
sociale diverso e, quindi, con metodi 
diversi, più comprensibili alla nostra 
mentalità. 

Studenti e operai. La “rivoluzione cul¬ 
turale” germogliava da tempo, fin da 
quando il partito, nel 1957-’58, aveva 
cominciato ad affrontare il problema 
urgente deH’industrializzazione con il 
“balzo in avanti” sabotato dai sovietici. 
Mao aveva accettato di buon grado, nel 
’56, di unirsi alla sconfessione pubblica 
di Stalin (con gli articoli “A proposito 
della dittatura del proletariato”, pubbli- 


22 






cali dopo il XX congresso di Mosca). 
Mao in realtà aveva anticipato la scon¬ 
fessione con la pratica e con discorsi 
“interni" di partito precedenti il vente¬ 
simo; non fu mai stalinista in tutta la 
sua vita (e qui non è necessario tornare 
sull’indipendenza dei comunisti cinesi, 
impersonata dal gruppo dirigente attua¬ 
le, fin dal’inizio della guerra civile do¬ 
po i massacri operati dai nazionalisti di 
Ciang nel 1927). Tuttavia la Cina, nel 
’57 e ’58 (“cento fiori” e “grande bal¬ 
zo”), tentando di combinare un sistema 
di “democrazia socialista” con un pro¬ 
cesso d’industrializzazione che non 
consentiva ritardi - pena la stagnazione 
e poi la paralisi che colpi l’India — si 
accorse che il secondo obiettivo era più 
urgente del primo, per la sopravvivenza 
stessa del paese. 

Fu allora che Liu Sciao-ci (né stalini¬ 
sta ne kruscioviano malgrado le etichet¬ 
te diverse che circolano su di lui al¬ 
l’estero o in Cina) ottenne di congelare 
i “cento fiori”, dando poteri discre¬ 
zionali alla burocrazia politica ed eco¬ 
nomica. Si rischiò la rottura fra partito 
e masse, il fallimento economico (s- 
oprattutto quando Krusciov nel ’60 riti¬ 
rò i tecnici e tutti i progetti degli im¬ 
pianti industriali). Si presentava dram¬ 
matica la scelta fra lo stalinismo e 
qualcosa di completamente diverso. Liu 
Sciao-ci, dopo aver oscillato in direzio¬ 
ne dello stalinismo, cercò soluzioni più 
umane e razionali dando maggiori pote¬ 
ri alla burocrazia economica. Ma non 
era una soluzione di “democrazia socia¬ 
lista” (lo vediamo oggi in URSS, che 
pure ò a livelli industriali altissimi). 
Nacque perciò l’idea della “rivoluzione 
culturale”, una combinazione dei “cen¬ 
to fiori” con la mobilitazione intensiva 
di massa per la produzione. Liu Sciao- 
ci non credeva in tale esperimento, lo 
giudicava illusorio. Come poteva un po¬ 
polo contadino imparare contempora¬ 
neamente a esercitare il potere e a pro¬ 
durre, a far politica e a lavorare? Una 
cosa dopo l’altra, con gradualismo, e 
prima era necessario lavorare. 

Mao ha fatto leva sugli studenti (figli 
di operai e di contadini) come fattore 
umano da plasmare e rendere esplosivo, 
culturamente in grado di assorbire la 
sua parola d’ordine. L’esercito, catechiz¬ 
zato da Lin Piao in senso quasi mona¬ 
stico, era la carta di riserva del regime 
se resperimento fos.se fallito, e la lotta 
anti-burocratica avesse scatenato il caos. 

Nell’agosto del ’66 nascevano le guar¬ 
die rosse, e iniziavano la loro “conte- 
stazione”: primi assalti alla burocrazia 
di partito, intellettuale ed economica. 
Ma l’ingresso nelle fabbriche, ai primi 
del ’67, non era facile: gli operai, molti 
dei quali avevano fatto la rivoluzione 
vera, non volevano prender lezione da 
questi “presunfuosi”. Nel gennaio del 
’67 c’erano i grandi scioperi di Scian- 
gai, prò e contro r“economicismo” (la 
linea Liu Sciao-ci), prò e contro la “ri¬ 


voluzione” degli studenti. Poco alla vol¬ 
ta, fase per fase, città per città, regione 
per regione, si muoveva la classe ope¬ 
raia, la più esposta alla “suggestione 
economicistica” (gli incentivi). 1 conta¬ 
dini erano già abituati, per generazioni, 
a tirare la cinghia, ed era più facile 
convincerli a lavorare senza chiedere 
troppo in cambio, per dare allo Stato i 
fondi da accumulare per gli investimen¬ 
ti nell’industria. Ma gli operai, e i con¬ 
tadini che si urbanizzavano, scoprivano 
un mondo diverso da quello tradiziona¬ 
le: in fabbrica si poteva guadagnare di 
più, ed era umano chiedere di più. 

La lotta fra le “due linee” è stata 
dura: le guardie rosse parlavano di pri¬ 
mato della politica, di produrre di più 
e di vivere in austerità per il progresso 
economico della Cina, di combattere le 
tendenze “economicistiche” e i burocra¬ 
ti che negli uffici di partito o in quelli 
di fabbrica avrebbero dato con una ma¬ 
no un incentivo maggiore ma con l’al¬ 
tra avrebbero tolto agli operai ogni di¬ 
ritto rivoluzionario di controllare la ge¬ 


stione. Sono volati schiaffi e molte 
guardie rosse hanno dovuto incassarli, 
malgrado la loro offerta di lavorare in¬ 
sieme perché era più importante la fab¬ 
brica dell’università. 

Poco alla volta, in mezzo a errori di 
estremismo e di infantilismo, i giovani 
“predicatori” sono stati presi sul serio. 
E gli operai hanno fatto la rivoluzione 
sul serio, accettando la linea maoista. 

La rivoluzione cinese, iniziata e vinta 
nelle campagne, attraverso gli studenti 
era entrata in fabbrica e conquistava le 
città. E’ durato due anni questo proces¬ 
so di lenta conquista che, pur trovando 
un terreno fertile, si scontrava inevita¬ 
bilmente con la coscienza sindacale 
degli operai delle città. Alla fine Mao- 
Tse-tung sembra averla spuntata. Nel¬ 
l’agosto ’68 può diclùarare che la classe 
operaia è alia testa della “rivoluzione 


culturale”, e che i giovani, ora, debbo¬ 
no imparare dagli operai (e dai contadi¬ 
ni e dai soldati) come si passa dalle 
parole ai fatti. Tutto ciò in un conte¬ 
sto intemazionale drammatico sul quale 
ci siamo più volte soffermati. 

Ora le guardie rosse hanno compiuto 
la loro parte. Sono state licenziate? 
Direi che tornano a scuola, a parte 
quelle che sono state assunte in fabbri¬ 
ca, e a scuola, a impadronirsi della 
scienza c della tecnica, vanno anche 
molti operai invitati, da Mao, a portare 
una loro nuova “contestazione” nel 
mondo accademico. C’è una specie di 
ricambio o, se si vuole, di cambio delle 
parti: la classe operaia riprende la pro¬ 
pria fisionomia di forza motrice della 
rivoluzione (in linea anche con i “sacri 
testi”). 

L’esperimento è stato indubbiamente 
singolare, e Mao non ha rispettato alcu¬ 
na “ortodossia”. Però ha raggiunto ì 
suoi scopi: battere la burocrazia, evitare 
lo stalinismo, ottenere il consenso ope¬ 
raio nello sforzo immane di industrializ¬ 


zare la Cina, con gli operai convinti e 
non irreggimentati alla maniera di Sta¬ 
lin. Se questa non è una rivoluzione, 
non saprei come definirla. Finora non 
c’erano riusciti, in analoghe cndizioni. 
in nessun paese. 

Questa vittoria maoista cambierà pro¬ 
babilmente molte cose. Più si rivelerà 
salda e profonda, stabile e non effime¬ 
ra, più rapidamente cadranno le “sco¬ 
muniche” all’interno e all’estemo. Una 
Cina sicura del proprio cammino non 
avrà più bisogno di miti e di “culti”, e 
nemmeno di rinchiudersi in se stessa: 
potrà confrontarsi con gli altri senza 
ostilità e senza rancore, l^urchè non sia 
costretta a fare la guerra: la grande 
incognita restano il Vietnam e la strate¬ 
gia d’aggressione degli americani in 
Asia. 

L. Va. ■ 



IVclùno: numijcstazionc Ji nuarJif rosa’ 


L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


23 


wàim 



MEDIO ORIENTE 

cresce 
la paura 

L e decisioni prese dalla Lesa araba 
a Khartoum nell’agosto lv67 non 
sono mai state ufficialmente ripudiate, 
ma possono dirsi di fatto superate. Le 
conuizioni in cui si presenta a tanta 
distanza di tempo dalla guerra dei sei 
giorni il rapporto fra arabi ed Israele 
sono evidentemente troppo diverse, sia 
per le conseguenze anche politiche del 
^‘consolidamento” delle occupazioni ter¬ 
ritoriali, sia per lo spostamento della 
lotta degli arani verso una guerriglia più 
specificamente “palestinese , sia per le 
divergenze che sono affiorate di nuovo 
aspre fra gli arabi dopo l'unanimità di 
facciata salvata nel clima d’emergenza. 
La esigenza di un riesame delle posizio¬ 
ni arabe era perciò naturale: era lo sco¬ 
po che si riprometteva, anche se la 
conferenza era prevista ad un livello 
inferiore, la sessione del Consiglio della 
Lega araba in programma al Cairo per i 
primi giorni di settembre. 

La conferenza si è aperta in un mo¬ 
mento di particolare tensione. La molti¬ 
plicazione degli attentati e dedi inci¬ 
denti sulle frontiere, dalla Giordania al¬ 
la Siria ed al Canale di Suez, aveva 
provocato in Israele una vera psicosi, 
propagatasi ai paesi arabi, lasciando te¬ 
mere una ritorsione massiccia delle for¬ 
ze armate dello Stato ebraico. Israele 
ha reagito con violenza già in passato, 
a periodi regolari, soprattutto contro la 
Giordania (Karamò, Irbid, Salt), e le 
puntuali condanne dell’ONU - giudica¬ 
te unilaterali daH'opinione pubblica di 
Israele e dal governo non l’hanno 
distolto dalla teorizzazione del diritto 
alla replica contro obicttivi di sua scel¬ 
ta. La paura si era fatta più precisa 
dopo lo scontro avvenuto il 26 agosto 
sulla riva orientale del Canale di Suez, 
in cui due soldati israeliani erano cadu¬ 
ti vittime di un’imboscata addebitata da 
Israele ad una puntata dell’esercito re¬ 
golare della RAU al di à delle linea 
del cessate-il-fuoco. 

Soluzione politica o militare? E’ diffi¬ 
cile distinguere la propaganda dalla veri¬ 
tà e le notizie tendenziose dagli accer¬ 
tamenti di fatto. Anche nel 1967 la 
catena culminata nel blocco di Aqaba e 
poi nel disastro del Sinai era comincia¬ 
ta con la “fuga” di voci sul conccntra- 
mcnto di truppe israeliane per un attac¬ 
co contro la .Siria. Questa volta le voci 
parlavano di piani per un colpo in 
grande stile alla Giordania: esponenti 
ufficiali del governo di Amman avevano 
esposto i loro timori all’ONU e alcuni 
giornali autorevoli avevano raccolto 
l'ipotesi che l’aviazione israeliana si ap¬ 
prestasse a bombardare le città giorda¬ 
ne, riferendo fra l’altro che le truppe 
israeliane "ammassavano ponti mobili 
sulla riva occidentale del Giordano 
occupata ncH’apparcnte preparazione di 
un attraversamento in armi” (così il 


Sunday Times). Israele aveva smentito 
tutte le voci allannistichc, sen^a dare 
troppe garanzie (è la legge deH’intimi- 
dazione, cui lo Stato ebraico nell’at¬ 
tuale congiuntura non vuole certo ri¬ 
nunciare), ed aveva anzi preso l’insolita 
iniziativa di ricorrere alle Nazioni Unite 
per l’incidente di Suez del 26 agosto 
valendosi di un rapporto della commis¬ 
sione di controllo moderatamente favo¬ 
revole alla sua versione. 

Sotto l’impressione del pericolo (la 
radio israeliana aveva ammonito il 5 
agosto gli ospiti del campo profughi di 
Ilussun, alla periferia di Amman, accu¬ 
sati di dare ospitalità ed assistenza ai 
guerriglieri, che la "prossima volta non 
sfuggirete alla nostra punizione” e due 
aerei israeliani avevano sganciato mani¬ 
festini minacciosi sulla stessa capitale 
giordana), i governi arabi hanno studia¬ 
to al Cairo le possibilità di un attacco 
e le misure per cautelarsi. Nella convin¬ 
zione che la Giordania resti il bersaglio 
più probabile, si è parlato di un impe¬ 
gno anticipato di tutti ad intervenire 
immediatamente e collettivamente in 
caso di attacco: la proposta, di parte 
siriana, non ha incontrato però molto 
favore, ed è stata ritirata. Al suo posto 
è stato approvato un più generico im¬ 
pegno dei governi arabi a prendere uni¬ 
lateralmente i provvedimenti ritenuti 
opportuni. E’ proprio su questa base 
che truppe siriane hanno già preso posi¬ 
zione in territorio giordano. 

Sul merito della questione, la Lega 
araba non ha introdotto novità di rilie¬ 
vo. E’ stato ribadito il proposito di 
liberare le terre occupate, c stato ripe¬ 
tuto il principio della restaurazione dei 
diritti nazionali dei palestinesi ed è sta¬ 
to confermato l’appoggio politico e mi¬ 
litare del mondo arabo a tutti coloro 
che si battono contro Israele con il 
terrorismo urbano, con gli sconfina¬ 
menti nei territori occupati e con vere 
e proprie azioni di guerriglia. Le deci¬ 
sioni — per molti motivi scontate e 
quindi poco significative non sembra¬ 
no distinguere con la necessaria chiarez¬ 
za tra “soluzione politica” e “soluzione 
militare”, da una parte addossando ad 
Israele le responsabilità per l'impasse in 
cui versa l’opera di mediazione dell’in- 
viato deirONL ed utilizzando dall’altra 




^^1 


fino in fondo i mezzi della pressione 
militare a scopi politici. La contraddi¬ 
zione può essere superata solo se i 
paesi arabi prenderanno atto con più 
coerenza dell’incompatibilità fra “solu¬ 
zione politica” e negazione di Israele, 
nonché fra “liberazione” della Palestina 
e ritorno allo status quo di prima della 
guerra del 1967 (quando la Palestina 
non esisteva). 

La Giordania è il punto debole. Ila 
avvertito l’incongruenza della politica 
generale del mondo arabo la Tunisia, 
che ha preso le distanze dalla Lega. Il 
delegato tunisino alla Conferenza del 
Cairo, l’ambasciatore Eltayeb Sahbani. 
ha addirittura abbandonato i lavori del 
Consiglio il 2 settembre, sostenendo di 
non aver potuto parlare liberamente ed 
accusando indirettamente la RAU di 
voler monopolizzare la politica araba, 
senza neppur sapere trovare una via 
d’uscita da una situazione in continuo 
deterioramento. 

La Tunisia non è nuova a queste 


|\ 


Ih 


1 cl .Aviv:.?/' studiano i Jraniiiiaili di un ci/'/os/o» J 


-> y 


24 


Il Cairo: 
sfilala militare 







“secessioni”, dato che le periodiche 
“riconciliazioni” con Nasscr sono sem¬ 
pre state puramente tattiche. L’impen¬ 
nata sarebbe però più costruttiva se la 
denuncia nel nome del “realismo” della 
linea adottata a Khartoum non peccasse 
a sua volta di demagogia. Le critiche di 
Bourguiba non riescono a suggerire in 
realtà nessuna soluzione di ricambio 
agli indirizzi obiettivamente senza sboc¬ 
co perseguiti confusamente dal Cairo; 
per ragioni di ovvia convenienza poli¬ 
tica, la Tunisia insiste infatti sulla ne¬ 
cessità che gli arabi trovino un'intesa 
stabile (sventando le manovre accentra¬ 
trici della RAD) prima di affrontare 
seriamente il problema delle relazioni 
con Israele, ma non rileva, o finge di 
non rilevare, che le divergenze inter- 
arabe, al di là del gusto del Cairo al¬ 
l'egemonia e delle esibizioni di estremi¬ 
smo allo stato puro (e come tale steri¬ 
le) della Siria, sono il prodotto di si¬ 
tuazioni diverse, come diversa è mili- 
tamiente, politicamente e emotivamente 
— la situazione della Tunisia rispetto a 
quella della Giordania o dell'Egitto. 

Il punto debole del fronte arabo è la 
Giordania e la strategia in cui gli arabi 
mostrano di credere non sembra preve¬ 
dere nessuna risposta convincente in 
merito alla sorte della (ìiordania. E’ 
ormai evidente che il trono di Hussein 
attaccato da Israele con i raids di 
rappresaglia e minato aH’interno dai 
movimenti di liberazione palestinesi, 
sottratti in pratica alle sue direttive e 
quindi al suo controllo — è in grave 
pericolo. Costringere la Giordania con 
un calcolato dosaggio di minacce e di 
lusinghe a rompere l’unità araba sareb- 



tontrollo i.sraeliano sul [ionie Mleiiib) 


be una breccia forse detenninante. Il 
governo israeliano non si adopera più 
come un tempo a puntellare le deboli 
fondamenta del regno hashemita, con¬ 
tribuendo al contrario ad accentuare la 
sua fragilità, ma gli arabi assecondano 
questo piano di Israele pensando a tut¬ 
te le implicazioni sul governo monar¬ 
chico della Giordania di una guerriglia 
anti-coloniale o lo contrastano? Al li¬ 
mite, anche un aiuto militare globale a 
Hussein sarebbe di poca utilità al suo 
regime, perchè sarebbe la prova risolu¬ 
tiva della sua impotenza. 

La paura si è rovesciata di segno. E’ 
stata probabilmente una coincidenza, 
ma la fine della conferenza dejla Lega 
araba è stata seguita, il 4 settembre, da 
uno dei più clamorosi e sanguinosi at¬ 
tentati in una città israeliana. Una 
bomba è esplosa a Tel Aviv uccidendo 
un israeliano e ferendone parecchie de¬ 
cine. La “paura” si è rovesciata di se¬ 
gno e ha trascinato una parte della po¬ 
polazione ebraica a spedizioni punitive 
contro la popolazione araba di Israele, 
COSI assurde nel loro inconfondibile sa¬ 
pore di pugroms che come hanno 
rilevato alcuni dirigenti di Israele - po¬ 
trebbero dare al “nemico”, cioè agli 
arabi, il duplice successo della distruzio¬ 
ne materiale e morale dello Stato ebrai¬ 
co. La momentanea schiarita introdotta 
dalla felice conclusione dell’affare del 
Boeing, dirottato su Algeri da un coni- 
mando arabo-palestinese, e restituito 
dalle autorità algerine dietro impegno 
del governo israeliano a compiere un 
“gesto umanitario” (concretizzatosi nel¬ 
la liberazione di sedici prigionieri arabi, 
detenuti fin da prima della guerra del 
1967), è subito svanita. Nulla più del 
terrorismo indiscriminato può esasperare 
l'atmosfera politica in Israele, riprodu¬ 


cendo le condizioni avvelenate di una 
“battaglia di Tel Aviv”; un segno 
preoccupante in proposito è il nuovo 
gravissimo scontro di Suez dell’8 set¬ 
tembre. 

Il terrorismo è la conseguenza dell’oc¬ 
cupazione militare di terre arabe fino al 
giugno 1967, e l’occupazione militare è 
la conseguenza di una guerra che gli 
israeliani dicono (convinti) di aver com¬ 
battuto per autodifesa, sentendola ora 
come il prezzo della preconcetta oppo¬ 
sizione degli arabi ad un negoziato di 
pace diretto, ed un pegno per arrivare 
a quei negoziati. 1 suoi effetti trascen¬ 
dono però questo quadro. Il terrorismo 
è destinato a rendere impossibile la 
coesistenza fra arabi e israeliani, con la 
possibile alternativa di un nuovo esodo 
di arabi più o meno sollecitato o di 
una più rapida conversione di Israele 
all’idea dell’abbandono dei territori oc¬ 
cupati; la tragedia di ogni battaglia 
terroristica è che essa è “efficace” solo 
se dolorosissima. 

Le audaci imprese dei terroristi nel 
cuore stesso dell’Israele ebraico dimo¬ 
strano con drammatica evidenza che 
l’affemiazione del movimento palestine¬ 
se, di cui “Al-Fatali” è il braccio mili¬ 
tare, è il fattore nuovo della crisi 
medio-orientale, causa di crescente insi¬ 
curezza per Israele e di mobilitazione 
[Psicologica per gli arabi che vivono nei 
territori occupati; se Israele ammesso 
che sia fondata l’intenzione attribuitagli 
ad esempio dal Ohsen-er di negoziare in 
ottobre una nuova sistemazione dei 
territori occupati, Gerusalemme esclusa 
riconoscesse che dietro la risoluta 
determinazione dei guerriglieri si na¬ 
sconde il vero “interlocutore”, il pro¬ 
blema palestinese sarebbe forse maturo 
per una svolta. 

GIAMPAOLO CALCHI MOVATI ■ 



Dayan in visita a un Libbul/ 


L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


25 


MEDIO ORIETITE 





Lornlra; (/ comizio del siiidacalisla 


TRAOE UNIONS 

il centenario 
difficile 

B lackpool, settembre. Il principale 
argomento all'ordine del giorno 
del congresso del TUC (Trades Union 
Congressi di quest’anno riguardava i 
rapporti tra sindacati e governo laburi¬ 
sta, soprattutto in materia di politica 
dei redditi. Diversi mesi prima del Con¬ 
gresso una commissione governativa pre¬ 
sieduta da Lord Donovan aveva partori¬ 
to un monumentale rapporto sui sinda¬ 
cati che in sostanza proponeva da una 
parte di scavalcare i sindacati ufficiali e 
“istituzionalizzare" la contrattazione di¬ 
retta a livello di fabbrica, e dall’altra 
preparava il terreno per l'introduzione 
di sanzioni giuridiche molto più rigoro¬ 
se contro i sindacati. In sostanza il rap¬ 
porto Donovan era profondamente of- 
, fensivo per il TUC, in quanto metteva 
in rilievo il fatto che il 95 per cento di 
tutti gli scioperi industriali registrati in 
(Iran Bretagna erano spontanei cioè 
; nor proclamati dai sindacati ufficiali. 
La morale del rapporto, per il TUC e 
in particolare per il suo segretario gene¬ 
rale George Woodcock, era questa: 
“Voi siete in teoria i rappresentanti dei 
lavoratori; noi abbiamo bisogno di lavo¬ 
ratori disciplinati; voi dovete control¬ 
larli; se non ne siete capaci, ci limite¬ 
remo a trattare con chi è in grado di 
controllarli; e per semplificare le cose 
' vorremmo introdurre leggi nuove per 

‘regolarizzare’ la nuova situazione’’. 
Come se non bastasse, i sindacati bri- 
I tannici sono diventati il bersaglio di 

j un’incredibile e sostenuta campagna 

denigratoHa, di cui Wilson è stato il 
primo a percepire i vantaggi: essa gli ha 
pennesso infatti di ignorare le reiterate 
I richieste della classe lavoratrice, rappre- 

I sentata da un’organizzazione che gli 

strumenti di informazione di massa 


sono quasi riusciti a screditare perfino 
tra gli stessi lavoratori. 

H’ strano, ma questa freddezza tra 
TUC e governo laburista potrebbe avere 
come risultato netto un avvicinamento 
tra i sindacati e la base del l.abour che 
a sua volta potrebbe creare a Wilson 
più difficoltà del TUC. L’unico altro 
mezzo di pressione del movimento sin¬ 
dacale nei confronti di Wilson sarebbe 
il taglio dei fondi: se un paio dei sin¬ 
dacati maggiori decidessero di non ver¬ 
sare i loro contributi, il Partito laburi¬ 
sta si troverebbe di fronte alla rovina 
finanziaria, ma una possibilità del gene¬ 
re sembra ancora piuttosto remota. 

Politica dei redditi. In sostanza, il vero 
contrasto sulla politica dei redditi ri¬ 
guardava la scelta tra una politica vo¬ 
lontaria c una politica obbligatoria. 1 
voti contrari all’appoggio al l’riees and 
Ineoines /lc7 (che prevede sanzioni lega¬ 
li) sono stati 7.746.000, c quelli a fa¬ 
vore soltanto 1.022.000, ma la sinistra 
ha forse sbagliato i suoi calcoli basati 
su una politica dei redditi ‘volontaria’. 
Si tratta naturalmente di un anacroni¬ 
smo, proposto per la prima volta al 
Congresso di Brighton nel 1965 da 
George Brown, il quale sosteneva che 
se il TUC non avesse varato una pro¬ 
pria politica volontaria, il governo 
avrebbe dovuto introdurre misure obbli¬ 
gatorie. In realtà nemmeno la destra 
del TUC era convinta che fosse il caso 
di cantare vittoria perchè l’unica ra¬ 
gione di mettere ai voti una politica 
dei redditi volontaria era quella di cer¬ 
care di risllevare il prestigio dei sinda¬ 
cati (“se ce lo chiedeste con le buone 
potremmo farlo...’’). Woodcock ha fatto 
di tutto per convincere Jack Peci, il 
capo del sindacato tessile dei tintori, a 
ritirare la .sua mozione a favore dell’esi¬ 
stente politica volontaria del TUC sui 
redditi, ma dopo averla chiamata ‘pro¬ 
vocatoria e superflua’, egli ha invitato i 
delegati ad appoggiarla, perchè una sua 
sconfitta sarebbe stata imbarazzante. 
Comunque la mozione è stata approva¬ 
ta con soli 34.000 voti di maggioranza 


(4.266.000 a favore e 4.232.000 
tro) mentre alla riunione di febbraio 
dei dirigenti sindacali era stata approva¬ 
ta con una maggioranza di 536.(300 vo¬ 
ti; trattandosi di voti vincolati *a bloc¬ 
chi’, questo è praticamente un pareggio. 
L’ improbabile a questo punto che tut¬ 
to ciò abbia la minima influenza sulla 
politica governativa. 



Salari femminili. L’altro problema im¬ 
portante discusso al Congresso è stato 
quello delle retribuzioni femminili, e 
può darsi benissimo che la decisione 
presa abbia nei prossimi anni fortissime 
ripercussioni sull’industria britannica. 
Con la sua votazione il TUC ha deciso 
di appoggiare i sindacati che rivendica¬ 
no la parità salariale, lasciando cosf ina¬ 
scoltate le invocazioni della direzione 
del TUC. In materia di salari femminili 
l’Inghilterra è uno dei paesi più arretra¬ 
ti Il governo si è rifiutato di ratificare 
la convenzione del BIT (l’Ufficio inter¬ 
nazionale del lavoro di Ginevra) sulla 
parità salariale. Attualmente le donne 
rappresentano il 37 per cento della 
manodopera britannica, ma soltanto il 
10 per cento di esse ricevono salari o 
stipendi uguali a quelli degli uomini (in 
certi settori amministrativi, accademici 
e simili); perfino in un settore come 
quello bancario le donne guadagnano il 
30 per cento in meno rispetto agli 
uomini che fanno lo stesso lavoro. 
Secondo l.e Monde (che cita dati che 
la stampa britannica preferisce ignorare) 
nel 1967 neH’industria la paga (set¬ 
timanale) media delle donne era meno 
della metà di quella degli uomini (dieci 
sterline e mezzo contro ventidue); nei 
lavori non manuali il divario era anche 
maggiore: undici sterline e dodici scel¬ 
lini contro ventotto sterline. Ber molti 
questa sarà una sorpresa; in base a tali 
cifre c’è da aspettarsi che oggi la Gran 
Bretagna sia quasi in coda alla gra¬ 
duatoria (al principio degli anni ses¬ 
santa si calcolava che il divario più for¬ 
te spettasse al Giappone: nel 1961 i 
salari femminili corrispondevano al 43,7 
per cento di quelli maschili; nello stes¬ 
so anno i dati relativi a qualche altro 



26 


Cousins 














paese erano i seguenti; Gran Bretagna 

50.7 per cento, Gemiania Occidentale 

61.8 per cento, Danimarca 66,7 per 
cento e E'raneia 84,7 per cento). Una 
delegata ha fatto il punto sulla cosid¬ 
detta parità in Ingliilterra facendo giu¬ 
stamente notare che su oltre 1000 dele¬ 
gati al Congresso le donne non erano 
che 46: “Per troppo tempo le lavoratri¬ 
ci sono state tenute a bada con risolu¬ 
zioni melense e chiaccherate familiari 
nella sala da tè della Camera dei Comu¬ 
ni. 11 ministro Barbara Castle riceve sti¬ 
pendio uguale per lavoro uguale: e per¬ 
chè noialtrc no? 

Il Financial Times ha rivelato la sua 
preoccupazione in un articolo di fondo 
del giorno successivo: “Il costo com¬ 
plessivo della parità salariale è stato va¬ 
lutato da acuni in 600 milioni di ster¬ 
line e da altri in 1200 milioni di ster¬ 
line, pari a un aumento del 3-6 per 
cento del fondo salari nazionale”. Co¬ 
me era prevedibile il giornale si dilunga¬ 
va poi sul fatto che la parità salariale 
concessa alle donne non avrebbe fatto 
altro che rallentare il ritmo degli 
aumenti salariali per gli uomini, il che 
è perfettamente vero, qualora rimanga 
in vigore l’attuale politiea dei redditi. 

Ma ciò che importa in realtà è il 
fatto che la votazione del TUC rappre¬ 
senta un importante passo avanti, per¬ 
chè significa che d’ora in poii ci sani 
un fronte unito in occasione di scioperi 
che fino a ieri sono rimasti talvolta 
molto isolati. Qualche mese fa lo scio¬ 
pero di 187 operaie della Ford ha dato 
il la a questa nuova fase. 1 sindacati 
hanno chiesto l’attuazione della parità 
salariale entro due anni; il governo ne 
ha proposti sei o sette. 

I sindacati e il governo. Il fatto nuovo 
delle Traile Unions è che oggi per la 
prima volta i due sindacati maggiori, 
quello dei trasporti (Transport and Ge¬ 
neral Workers Union. TGWU) e quello 
dell’industria meecanica (AEF), sono 
guidati entrambi da forti personalità di 
sinistra: l'rank Cousins e Mugli Scanlon 
rispettivamente. Cousins dovrebbe riti¬ 
rarsi dall’attività tra breve, ma è prati¬ 
camente certo elio gli succederà il suo 
braccio destro Jack Jones, che se 
mai è leggcniicnte più a sinistra di 
lui. Inoltre il nuovo Consiglio generale 
(una s[iccie di comitato permanente), 
pur essendo ancora prevalentemente 
moderato, si è spostato sensibilmente a 
sinistra e alcuni dei principali vecchi 
esponenti di destra sono stati indotti a 
ritirarsi dall’attività. In particolare i sin¬ 
dacalisti di sinistra hanno dato prova di 
maggiori capacità di quelli di destra e 
si può prevedere che riusciranno a in¬ 
fluenzare il centro incerto. 

L’ indubbio che il movimento sinda¬ 
cale è ai ferri corti con il governo, 
l’erfino Sid Greene, il dirigente filogo- 
vernativo dei ferrovieri, ha ammonito 
che nemmeno i fedelissimi accetteranno 


un sensibile aumento della disoccupa¬ 
zione. VEconomist ha osservato a ma¬ 
lincuore che “tutta la sala era stufa di 
quello che è successo dopo il 1964”. 
In sostanza i sindacati sono a favore 
dell’espansione e il governo è a favore 
della compressione: le possibilità di 
compromesso si riducono ogni giorno 
di più. Il guaio è che mentre pare che 
le nuove ordinazioni per l’industria stia¬ 
no diminuendo (riduzione del 3 per 
cento nel secondo trimestre del 1968 
rispetto al prim), gli ultimi hanno 
cominciato a salire alle stelle (incre¬ 
mento del 19 per cento nel primo 
t rimestre di quest’anno rispetto al 
medesimo periodo dell’anno scorso). 1 
sindacati hanno dunque perfettamente 
ragione quando sostengono che la rior¬ 


ganizzazione voluta da Wilson giova so¬ 
stanzialmente agli interessi della classe 
capitalista. 

Il Tremier non è riuscito a dimo¬ 
strare ai sindacati la necessità di attuare 
misure economiche restrittive; il punto 
di vista dei sindacati ha il vantaggio di 
essere fondamentalmente giusto. Il di¬ 
battito sulla politica dei redditi ha rive¬ 
lato quanto fossero meschini i prov¬ 
vedimenti legislativi introdotti dall’am- 
ministrazione: calcoli indipendenti han¬ 
no dimostrato come in base ad essi 
non si sia riusciti a far altro che man¬ 
tenere i salari a un livello inferiore di 
meno dell’l per cento rispetto a quello 
che sarebbe stato raggiunto senza politi¬ 
ca dei redditi. 

JON HALLIOAYB 


" Unii i maestri sono ligri di carta”: manilcsta/.ionc studentesca a Uerllno 

GERMANIA 

LA SNSTRA E PRAGA 

Colloquio con KARL-DIETRICH WOLFF 

Il venticinquenne Karl-Dietrich Wolff, detto « Ka-De ha studiato legge 
a Freiburg. Dal settembre dello scorso anno è presidente della Lega 
degli Studenti Socialisti Tedeschi (SDS). L'SDS è un'organizzazione de¬ 
centralizzata, costituita dai vari gruppi presenti in ogni città universita¬ 
ria. La direzione nazionale delI'SDS è dunque soprattutto un centro di 
coordinamento e d informazione per questi gruppi relativamente autono¬ 
mi, le cui tendenze rispecchiano abbastanza fedelmente la varietà di po¬ 
sizioni politiche, a sinistra della socialdemocrazia, presenti in quasi tut¬ 
ti i paesi neocapitalisti. La piattaforma politica della lega viene decisa 
ogni anno dalla Delegiertenkonferenz, il congresso delI’SDS, che si tiene 
solitamente in settembre a Francoforte sul Meno _k. 



L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


INGHILTERRA 








Irancojortc, settembre 

L’ASTROLABIO Aiiclic la sinistra 
tedesca è stata colta di sorpresa dall’in- 
tcrvento degli Stati del Patto di Varsa¬ 
via in Cecoslovacchia. Malgrado l'SDS 
e. in generale anche l’opposizione e.xtra- 
parlamentare, non si fossero mai dichia¬ 
rati del tutto favorevoli all’esperimento 
cecoslovacco, le bandiere rosse della 
sinistra socialista tedesco-occidentale 
sono state le prime a scendere per le 
strade in segno di protesta contro l’in- 
vasione ... 

WOLl'F Contemporaneamente alle 

manifestazioni di strada l’SDS ha orga¬ 
nizzato nelle maggiori città universitarie 
dei teach-in. durante i qtiali sono state 
analizzate le strutture socio-economiche 
degli attuali paesi socialisti e le loro 
tendenze di sviluppo oggettive. 

L’ASTROLABIO Le vostre grida di 
protesta non si sono confuse con quelle 
dei gruppi reazionari e anticomunisti? 

WOLFl- Noi abbiamo fatto le no¬ 

stre manifestazioni e abbiamo discuss 
pubblicamente le nostre posizioni. 
L’isteria anticomunista voluta dai rea¬ 
zionari ha il compito di impedire la 
discussione. Il compito dei mar.xisti ò 
quello di non evitare una discussine 
sui problemi essenziali dello sviluppo 
ambivalente nei paesi a democrazia so¬ 
cialista: specialmente in rapporto alle 
contraddizioni nel popolo. 

L’ASTROLABIO ...e al rapporto 
tra partito e masse. 

WOLFF Certo. I fatti dimostrano 
che i partiti, in questi paesi, hanno 
perso a tal punto il contatto con le 
masse (o non sono riusciti a guadagnar¬ 
selo). che la sola idea di un controllo 
delle loro decisioni da parte delle masse 
di lavoratori e la necessità di correggere 
concezioni ideologiche attraverso discus¬ 
sioni e conflitti di massa, sembrano lo¬ 
ro completamente assurde. Solo questa 
posizione di isolamento dalle masse per¬ 
mette ai partiti di chiamare controrivo¬ 
luzionari e di mettere sullo stesso piano 
sia gli studenti marxisti "ribelli” che i 
"liberali” filoimperialisti. Partiti che 
hanno paura di una discussione aperta 
tra le masse dei lavoratori c che sanno 
usare solo metodi burocratici e manipo¬ 
lativi. sono incapaci di far fruttare in 
modo democratico e socialista le con¬ 
traddizioni nel popolo. La confusione 
tra iniziativa democratica di base e con¬ 
trorivoluzione ha come conseguenza di 
provocare ciò che si voleva evitare: i 
reazionari non vengono isolati e la po¬ 
polazione si identifica con l’occidente e 
acquisisce ideologie reazionarie. 

L’ASTROLABIO — Passiamo ad al¬ 
tro. Durante il Festival mondiale della 
gioventù a Sofia, che come al solito è 


stato molto folcloristico, spoliticizzato 
come un carnevale, l’SDS ha cercato di 
rimanere fedele alla propria vocazione 
di guastatore anche a livello intema¬ 
zionale, organizzando teae/i-iii e sit-in 
non previsti nel programma, dove la 
politica cocsistenziale deH’URSS è stata 
duramente criticata Avete cercato, di¬ 
ciamo così, di “politicizzare da sini¬ 
stra”, mentre altri gmppi hanno cerca¬ 
to, invano come voi, di "politicizzare 
da destra”. Il risultato in loco è stato 
nullo, a parte il fatto che alcuni mem¬ 
bri della vostra delegazione si sono 
apertamente schierati contro la direzio¬ 
ne deirSDS. Ora siamo alla vigilia del 
vostro congresso. Fino a che punto i 
fatti di Sofia influenzeranno le discus¬ 
sioni congressuali? 

V/OLFF Cinque compagni presenti 
a Sofia sono stati sospesi e la direzione 
ha fatto richiesta di espulsione. L’unità 
d’azione dell’SDS è stata rotta da pic¬ 
coli gruppi che, all’interno dell’organiz¬ 
zazione, sono sempre stati in minoran¬ 
za. La direzione spera perciò che le 
controversie tra questa minoranza più o 
meno revisionista c la maggioranza assu¬ 
mano, durante i lavori congressuali, il 
ruolo secondario che si meritano. Solo 
il problema più ampio, quello dell’iinità 
d’azione nella lega, dovrà essere trattato 
ampiamente. 

L’ASTROLABIO Quali saranno i 
temi principali del congresso? 

WOLFF Prima di tutto dobbiamo 
discutere, valutare e interpretare le 
azioni da noi intraprese negli ultimi sei 
mesi. Poi è nostro compito definire i 
punti centrali della nostra politica futu¬ 
ra: in primo limgo una strategia per le 
azioni nell’università, ma anche la cam¬ 
pagna contro la Nato per esempio. 
D’altra parte dobbiamo iniziare con una 
critica alla politica sindacale per quanto 
riguarda la Mitbestimmung (congestio¬ 
ne) e allo stesso tempo fornire spunti 
per una polìtica non riformista nei 
paesi a capitalismo avanzato a quelle 
organizzazioni che hanno il compito di 
difendere gli interessi immediati dei la¬ 
voratori. 

SDS E SirJDACATI 

L’ASTROLABIO Proprio in questi 
giorni, il potente sindacato dei metal¬ 
meccanici IG Metal! tiene a Monaco il 
proprio congresso. Cosa vi aspettate da 
questo congresso sindacale? 

WOLFF Speriamo soprattutto che 
quella frangia di sindacalisti, che anche 
prima dell’approvazione delle leggi 
d'emergenza si era opposta alia politica 
di vertice della Kì Mctall, riesca a for¬ 
marsi c a formulare le proprie proposte 
alternative. Il che vuol dire rinunciare 
alla solita politica legata a persone e a 



v.oin 


decisioni singole per passare ad una cri¬ 
tica più generale che investa tutta la 
politica e gli errori degli scorsi anni. 


L’ASTROLABIO Mi sembra che 
l’SDS abbia cominciato solo in questi 
ultimi mesi a criticare direttamente la 
politica dei sindacati. Durante gli scorsi 
anni - secondo le nostre impressioni - 
l’SDS, come tutti gli altri raggrup¬ 
pamenti di sinistra, si era limitato ad 
una critica (diciamo cosi) “amichevole” 
ad alcune decisioni della direzione sin¬ 
dacale, lasciando da parte le questioni 
di fondo. 


WOLFF Da molti anni l’SDS cri¬ 
tica i sindacati, anche duramente, su 
questioni precise e limitate. La novità 
sta nel fatto che, durante gli ultimi 
tempi, dall’interno dei sindacati ste.ssi si 
sono sentite voci che criticano aspra¬ 
mente la politica rifomiista della dire¬ 
zione sindacale. L’SDS. dopo essersi li¬ 
berato dal fardello socialdemocratico, è 
andato sempre di più staccandosi da 
posizioni sostenute dai sindacati, preci¬ 
sando - in questo periodo di emancipa¬ 
zione - la propria critica al riformismo 
Decisiva è stata l’esperienza accumulata 
dairSDS durante la campagna contro le 
leggi d’emergenza. Ed è merito dcl- 
rSDS, non dei sindacati, se ci sono 
state manifestazioni di massa durante la 
discussione delle leggi al Parlamento. 

L’ASTROLABIO - L’attuale critica 
deirSDS alla politica sindacale non 
bloccherà prima o poi una possibile 
unità d’azione con la sinistra sindacale’ 

WOLFF - Noi non crediamo die 
una critica qualificata alla direzione sin¬ 
dacale debba neces.sariamente bloccare 
l’unità d’azione, in casi concreti, con la 
sinistra sindacale. Al contrario: siamo 
del parere che solo una politicizzazione 
alla base possa, a lungo termine, frena- 


28 







re il processo d’involuzione politica dei 
sindacati. Attualmente si sta sperimen¬ 
tando. Una collaborazione tra studenti 
e operai è molto difficile, ma molti 
legami, soprattutto sul piano infonna- 
tivo, sono già stati allacciati. Dal punto 
di vista organizzativo gli esperimenti 
sono diversi da città a città: gruppi di 
base per quartiere, nelle fabbriche, dove 
cerchiamo soprattutto contatti con gio¬ 
vani operai e apprendisti. Nei centri più 
importanti cominciamo a raggiungere ri¬ 
sultati interessanti. 

L’ASTROLABIO Nel frattempo è 
nata un’organizzazione di giovani ope¬ 
rai, la SDAJ (Sozialistische Deutsche 
Arbeiterjugend). ispirata dal K'T illega¬ 
le. Quali sono i vostri rapporti con 
questa nuova organizzazione? 

WOLFF Si tratta del tentativo bu¬ 
rocratico. praticamente fallito, di creare 
un’organizzazione sulla scia dei successi 
delI’SDS. Per noi è impossibile discute¬ 
re con costoro: la loro rigida struttura 
organizzativa non permette loro una di¬ 
scussione libera e aperta secondo i me¬ 
todi e le abitudini dell’opposizione 
extraparlamentare. dcll’SDS c, in gene¬ 
rale, di tutto il movimento di protesta 
giovanile. 

L’A.STROLABIO II movimento di 
protesta nella RFT sta attraversando, 
secondo le nostre impressioni, un perio¬ 
do di stasi. L’intervento sovietico in 
Cecoslovacchia e le conscguenti manife¬ 
stazioni di protesta sono state piuttosto 
una parentesi, anche perché, per la sini¬ 
stra, si è trattato soprattutto di riflet¬ 
tere sul piano teorico, di analizzare, più 
che di agire. Quali sono secondo te le 
prospettive di azione attuali del movi¬ 
mento di protesta? 

WOLFF - Dopo l’approvazione delle 
Leggi sullo Stato d’emergenza e in se¬ 
guito ai fatti di maggio-giugno in Fran¬ 
cia (proprio perché laggiù si è riusciti, 
per un certo periodo, a creare l’unità 
d’azione tra studenti c operai), il movi¬ 
mento è caduto in uno stato di rasse¬ 
gnazione. Per questo motivo non pos¬ 
siamo prevedere azioni di massa nei 
prossimi tempi. D’altra parte, possiamo 
vedere che i motivi, le cause della pro¬ 
testa, sono sempre presenti. La base del 
dissenso si allarga sempre di più: allievi 
medi, giovani operai, maestri di scuola, 
architetti, ecc. Per i prossimi tempi 
possiamo dunque prevedere conflitti, 
anche se forse di dimensioni limitate, il 
cui carattere è però apertamente poli¬ 
tico. In più dobbiamo rilevare lo scon¬ 
tento, riscontrabile sempre più fre¬ 
quentemente, tra le reclute della 
“Bundcswehr”. 

ORGAfJIZZARE L'OPPOSIZIOfJE 

L’ASTROLABIO - In questi ultimi 
tempi si discute sempre più sovente la 


necessità di dare aH’opposizionc extra¬ 
parlamentare una struttura organizzativa 
adeguata ai compiti che attualmente le 
stanno di fronte, compiti estremamente 
più complessi di quelli degli scorsi anni, 
soprattutto dopo rallargamcnto della 
base del dissenso negli ultimi mesi. 
Alcuni parlano della necessità di costi¬ 
tuirsi in partito. Qual’è il tuo parere in 
proposito? 

WOLFF - L’allargamento del movi¬ 
mento extraparlantentare é caratteriz¬ 
zato dalla creazione di Club (repubbli¬ 
cani o socialisti, nel frattempo sono più 
di cinquanta) e. nello stesso tempo, dal 
processo di differenziazione politica al- 
l’intemo del movimento stesso. In que¬ 
sto processo nascono quasi necessaria¬ 
mente concezioni che prevedono la fon¬ 
dazione di un partito politico tradizio¬ 
nale o di una alternativa filoparlamenta¬ 
re di sinistra |Jcr le prossime elezioni. 

L’ASTROLABIO Secondo le nostre 
infomiazioni esistono tre tendenze al- 
l’intemo deH’opposizione extraparlamen¬ 
tare. Da una parte il nucleo più attivo 
di quest’opposizione, ossia la maggio¬ 
ranza deirSDS e il suo seguito, che 
sostiene coerentemente posizioni anti¬ 
parlamentari. Dall’altra il gruppo legato 
al partito comunista illegale, il ciuale è 
interessato alla presenza parlamentare di 
un raggrupiximento di sinistra (ma è 
contrario, per ovvi motivi, alla creazio¬ 
ne di un nuovo partito decisamente 
socialista). E infine un gruppo di socia¬ 
listi di sinistra “tradizionalisti”, che la¬ 
vorano nella prospettiva di un nuovo 
partito politico. Se non sbagliamo, lo 
scorso anno ci fu una tacita alleanza 
tra “comunisti” e "antiparlainentaristi” 
per impedire la fondazione di un lUiovo 
partito. Qual’è la situazione attuale? 

WOLFF Secondo me la terza “fra¬ 
zione”. quella che lavora nella prospet¬ 
tiva di un nuovo partito socialista, è 
oggi praticamente senza seguito. Ij ten¬ 
denza diciamo cosi, “comunista” inve¬ 
ce, prende sempre più piede. La situa¬ 
zione perciò non è più cosi confusa 
come in passato. Si tratta, attualmente, 
di una scelta di contenuto, e cioè il 
rapporto col parlamentarismo, c non di 
una questione organizzativa. 

L’ASTROL.ABIO — E’ dunque preve¬ 
dibile che, per le prossime elezioni, al¬ 
cuni gruppi della sinistra si costituiran¬ 
no come alternativa parlamentare di 
sinistra e presenteranno candidati. 
Qual’è la posizione delI’SDS in pro¬ 
posito? 

V/OLFF — Noi chiameremo queste 
“alternative elettorali” eon il loro no¬ 
me. e cioè come il tentativo tatticistico 
di canalizzare in direzione parlamentari- 
stica il nuovo movimento di protesta, il 
che significa, da una parte, il tentativo 


di smorzare la forza d’urto del movi¬ 
mento e, dall’altra, il tentativo di rom¬ 
pere l’unità d’azione deH’opposizione 
extraparlamentare. Nello stesso tempo 
richiederemo di annullare le schede con 
frasi di protesta. 

L’ASTROLABIO Durante le ultime 
settimane si sono tenute, in Europa, 
molte conferenze intemazionali (x;r 
coordinare i vari movimenti studente- 
^hi. In quale prospettiva lavora l’SDS 
sul piano intemazionale? 

V/OLFF A livello intemazionale la 
solidarietà tra i movimenti studenteschi 
è abbastanza soddisfacente. Non solo 
dopo l’attentato a Rudi Dutschkc. 
quando ci furono manifestazioni in tut¬ 
to il mondo. dall’America Latina a Cal¬ 
cutta e da parte di organizzazioni che 
nemmeno conoscevamo, ma anche dopo 
i fatti di maggio in Francia. Contem- 
iwrancamente si sono intensificati i 
contatti internazionali: in congressi e 
conferenze abbiamo avuto la possibilità 
di discutere le varie posizioni strategi- 
ehe, non tanto in rapporto ad una 
comune organizzazione, quanto in rap¬ 
porto ad una comune base teorica. Una 
coordinazione intemazionale delle azio¬ 
ni si può sviluppare solamente sulla ba¬ 
se di una discussione teorica comune. 
In molti paesi europei non esiste nem¬ 
meno una piattafonna organizzativa pa¬ 
ragonabile a quella dcll’SDS. Li la dc- 
centralizz.azione è un fatto negativo allo 
stato attuale. l>ji prossimi sviluppi ci 
attendiamo una chiarificazione politica 
che pemietta di impostare meglio e più 
chiaramente una collaborazione interna¬ 
zionale, la cui necessità si fa sentire 
sempre più fortemente in tutti i movi¬ 
menti. Si tratta soprattutto di eliminare 
tutte le tendenze settarie, a favore di 
una nuova sinistra antidogmatica, nei 
singoli paesi e aH’interno di gni mo¬ 
vimento. 

L’ASTROLABIO Alcuni portavoce 
dei movimenti studenteschi europei 
hanno dichiarato di non essere interes¬ 
sati ad una internazionale studentesca. 
Vogliono un’intemazionale rivoluziona¬ 
ria che comprenda anche la classe ope¬ 
raia. Qual’è il tuo parere? 

WOLFF — Noi non siamo del parere 
che un’organizzazione studentesca inter¬ 
nazionale non possa avere una funzione 
(positiva. Naturalmente, vista la politica 
fallimentare di certe organizzazioni stu¬ 
dentesche intemazionali a carattere bu¬ 
rocratico, siamo del parere ehe i tempi 
non sono ancora maturi per una nuova 
internazionale studentesca. Per ora dob¬ 
biamo sforzarci, attraverso un rafforza¬ 
mento dei contatti c dei legami intema¬ 
zionali, di collaborare alla rinascita dcl- 
l’intemazionalismo tra i movimenti ri¬ 
voluzionari e socialisti di tutto il 
mondo. 


L'ASTROLABIO • 15 settembre 1968 


29 


GERMANIA 






P lagio: un primario dcirOspcdale 
Maggiore di Milano dichiara da¬ 
vanti al magistrato di essere stato sug¬ 
gestionato dal suo aiuto, di essere stato 
costretto, in stato di grave choc psi¬ 
chico, a interventi chirurgici non neces¬ 
sari e pericolosi, a errori grossolani nel 
corso degli stessi, a scritture inesatte 
nell’elaborazione delle cartelle cliniche. 
Dello stesso tenore è una perizia di 
■parte depositata presso l’autorità giudi¬ 
ziaria per conto del sovrintendente del¬ 
l’Ospedale Maggiore, e compilata da 
due dei più insigni medici milanesi, 
docenti universitari e primari al Policli¬ 
nico. Il “plagiatore” si sarebbe avvalso 
del suo ascendente sul supcriore per 
screditarlo professionalmente, farlo ca¬ 
dere in di^razia e prendere in tal 
modo il suo posto. 

L’accusa è pesante: l’ultimo anello di 
una catena fatta di insinuazioni, ricatti, 
denunce, intimidazioni, che dura da 
anni; l’ultimo tentativo per bloccare 
una verità che mette in serio imbarazzo 
buona parte della élite medica lombar¬ 
da. Il temerario aiuto primario che vuol 
portare in tribunale tanti colleglli nella 
veste di imputati è già stato più volte 
invitato, con le buone e con le cattive 
maniere, a lasciar perdere: le sue do¬ 
mande di trasferimento dal posto occu¬ 
pato non hanno avuto esito, la sua pro¬ 
va di concorso per il primariato è stata 
invalidata per irregolarità fonnali, per¬ 
sino il suo stipendio è stato decurtato. 
E ^i stessi riguardi, tutti quanti, sono 
stati riservati al suo collega aiuto ane¬ 
stesista che coraggiosamente si è assun¬ 
to il compito e la responsabilità di far 
da testimone. Poi, la sospensione dal¬ 
l’incarico, il licenziamento, Pinfamantc 
accusa di plagio. 

Ma plagio non c’è stato. Con recente 
sentenza del giudice istruttore del tribu¬ 
nale di Milano (e successivo appello del 
Procuratore generale) l'aiuto primario 
viene completamente scagionato “per¬ 
ché il fatto non sussiste”; in compenso 
alcuni noti medici milanesi vengono rin¬ 
viati a giudizio per omicidio colposo, 
altri sono liberati daH’incriminazione 
grazie alla sopraggiunta amnistia del 
1963, altri infine non compariranno in 
tribunale perché nel frattempo defunti. 

La denuncia. Quasi 7 anni fa, alla fine 
del gennaio 1962, il professor Lorenzo 
Sarti, aiuto primario della divisione Pas¬ 
sera all’Ospedale Maggiore di Milano 
veniva sospeso per un mese da ogni 
attività “in via cautelare”. Al prof. Sar¬ 
ti il Consiglio di Amministrazione con¬ 
testava l’addebito di aver divulgato “no¬ 
tizie profondamente lesive del buon 
andamento e del prestigio” dcH’ospc- 
dale stesso, e questo per aver egli de¬ 
nunciato aH'autorità giudiziaria casi di 
“grave trascuratezza, di incompetenza, 
di colposo difetto di soccorso” che si 
sarebbero verificati alPintcrno degli Isti¬ 
tuti Ospedalieri. 


30 






cronache 


“Come mai - si cliicdeva il commen¬ 
tatore del Giorno del 26 gennaio 1962 
un sanitario, ormai affermato dal 
punto di vista della carriera, ha deciso 
di giocare il tutto per tutto rendendo 
clamorosamente pubblici fatti ed episo¬ 
di che una secolare tradizione di riser¬ 
vatezza tiene normalmente segreti, nel 
chiuso dei verbali delle commissioni 
scientifiche d'inchiesta, nominate sce¬ 
gliendo gli esponenti più conosciuti dei 
diversi settori? ” C’erano evidentemente 
dei motivi di ordine anche personale 
dietro queU’azione tanto inattesa, la 
prima azione decisa portata avanti da 
un medico contro il sistema dei medici. 
.Si disse che era la reazione di un pule¬ 
dro di razza tenuto troppo a lungo alla 
briglia. In ogni caso, il Sarti veniva li¬ 
cenziato nove mesi dopo, alla scadenza 
deH’ottcnnio di nomina. 

Nell’annunciare il provvedimento di 
sospensione, il Consiglio di Amministra¬ 
zione dell’ospedale riaffermava (vedi 
Corriere della Sera del 26 gennaio) che 
il funzionamento dei reparti rispondeva 
a “ogni esigenza di regolarità ammini¬ 
strativa”, che la classe sanitaria ospeda¬ 
liera era “all’altezza delle migliori tradi¬ 
zioni milanesi”, che, infine, non aveva 
ritenuto di dover proporre denuncia al¬ 
l’autorità giudiziaria per i fatti rivelati 
dal Sarti e confermati dal prof. Coluc¬ 
ci, aiuto anestesista, perché, “nono¬ 
stante le segnalazioni, sempre incomple¬ 
te e reticenti, dei due predetti aiuti 
(Sarti e Colucci), non risultarono estre¬ 
mi di reato che giustificassero la pre¬ 
sentazione di un rapporto”. 

“Ogni volta che, come può agevol¬ 
mente accadere in un grande complesso 
con 5 mila degenti - cosi teneva a 
precisare rAmministrazione — sorgono 
dubbi su presunti inconvenienti terapeu¬ 
tici e sull’assistenza in generale, vengo¬ 
no effettuati rigorosi accertamenti”. I 
“presunti inconvenienti terapeutici” in 
base ai quali il prof. Sarti aveva chiesto 
l’intervento della magistratura erano 5, 
quelli per i quali potevano essere porta¬ 
te delle prove. Tre piccoli morti tra il 
luglio 1959 e il gennaio I960 (Luciana 
Michelon, Stefano Cerosa, Rita Dainel- 
li) perché non operati in tempo; inoltre 
una bambina, Gilberte Assai, e una si¬ 
gnora, Anita Masi, gravemente lese in 
organi vitali durante normali interventi 
per imperizia del chirurgo (le due don¬ 
ne guarirono in seguito, dopo essere 
state trasferite in altre cliniche). 

Il plagiato. 1 “rigorosi accertamenti” 
annunziati dall’Ospedale Maggiore erano 
già stati affidati a due eminenti persor 
nalità del Policlinico, i professori Guido 
Osclladorc e Guido Melli, che deposita¬ 
rono le loro relazioni cliniche al Procu¬ 
ratore della Repubblica nel luglio 1962. 
Era. in pratica, una denuncia per calun¬ 
nia contro il prof. Sarti, presentata in 
nome e per conto del prof. Germano 
Sollazzo, sovrintendente dell’ospedale. 


Prendendo in esame 3 dei 5 casi solle¬ 
vati dal Sarti, i periti ne contestavano 
globalmente la validità; era sorto, in 
verità, un piccolo problema riguardo a 
un caso (quello della paziente Anita 
Masi): le loro dotte argomentazioni si 
trovavano infatti in contraddizione con 
quanto era scritto sui referti operatori, 
^lozione: quanto riportato dai referti 
non rispondeva a verità: il primario che 
aveva vergato i documenti (il prof. So¬ 
stegni, superiore del Sarti) era in com¬ 
pleta balia del suo aiuto, da lui sug¬ 
gestionato a tal punto da ripetere sulla 
carta le sue false affermazioni. “A leg¬ 
gere codesto referto — dice a pag. 12 il 
documento Oselladorc-Melli-Sollazzo - 
anche un profano resta sorpreso e per¬ 
plesso, perche difficilmente gli sfugge 
che esso ha le caratteristiche di un 
autentico atto di accusa contro se stes¬ 
so... Non riesce difficile rendersi conto 
che il .Stislcgtù ...si é lasciato andare ad 


asserzioni che sono in parte assai poco 
verosimili, in parte spiegabili soltanto 
con un lapsus calami”. Pagina 22-23: 
“Il Sostegni si indusse a fare alh Masi 
il secondo intervento, soltanto quando 
il Sarti gli fece credere che una fisio¬ 
logia aveva dimostrato che la via biliare 
era interrotta; mentre era vero soltanto 
che la fisiologia non aveva dimostrato 
nulla...”. Pagina 17-18: “Evidentemente 
l’autoaccusa di aver leso insieme vena 
porta e arteria epatica, nonché l’affer¬ 
mazione di averle riparate entrambe, il 
Sostegni dovette scriverla nel suo reper¬ 
to operatorio dietro l’indicazione data¬ 
gli dal Sarti alla fine dell’intervento”. 
Pagina 12-13; “L’unica verosimile spie¬ 
gazione sta nella più che probabile sug¬ 
gestione esercitata sul prof. Sostegni dal 
prof. Sarti”. 

Il bisturi insicuro. Poco più di un anno 


dopo, neH’agosto del 1963, la commis¬ 
sione peritale nominata d’ufficio dalla 
magistratura e composta dai professori 
Cattabeni (a quell’epoca rettore del¬ 
l’Università di Milano), Chiatellino e 
Mauri, depositò i risultati deH’inchiesta; 
in essa, punto per punto, tutte le circo¬ 
stanze sanitarie contenute nell’esposto 
Sarti venivano riconosciute come ri¬ 
spondenti al vero. False dunque le 
argomentazioni e i documenti di prova 
portati dalla perizia Oselladore-Melli- 
Sollazzo; vero, al contrario, in relazione 
al caso di Anita Masi, che “...la via 
biliare principale era interrotta in un 
punto non definibile..” e che, nel cor¬ 
so del secondo intervento, “certamente 
indagoso e difficile”, vi furono “lesioni 
vascolari avvenute durante le manovre 
di dissezione, interessanti sia elementi 
venosi che arteriosi, lesioni che comun¬ 
que vennero riparate dal Sarti”. 

Caduta in ipiesto modo l’assurda ac¬ 


cusa di plagio nei confronti del profes¬ 
sor Sarti, restava ancora aperta la vera 
questione di fondo; nei casi denunciati 
dal Sarti c’era stata, e in che misura, 
trascuratezza e incompetenza da parte 
dei sanitari implicati? Fino a che pun¬ 
to costoro ne erano responsabili e quin¬ 
di penalmente perseguibili? La perizia 
d’ufficio, in questo, mostrava di non 
avere dubbi: nessuna colpa generica o 
specifica poteva essere ravvisata nel 
comportamento dei sanitari. Il criterio 
informatore di tale giudizio è così ri¬ 
portato nella sentenza del giudice 
istruttore: “Non è giuridicamente im¬ 
perito il medico che dimostra minore 
cultura professionale o abilità tecnica di 
un altro, ma quello che non possiede 
quel tanto di abilità tecnica o di cultu¬ 
ra professionale che si richiede alla 
maggior parte dei medici di eguale posi- 



L'ASTROLABIO ■ 15 settembre 1968 


31 





zione professionale; analogamente an¬ 
drebbero formulati i giudizi sulla ne¬ 
gligenza e sulPimprudenza del sanitario: 
donde la enorme difficoltà di valutare e 
comprovare la colpa penale del medico. 
Laddove vi è margine per la opinabilità 
nella portata di una condotta non può 
esservi colpa in senso penale”. Ma 
un’esatta e approfondita ricostruzione 
di tutta la vicenda ha portato invece il 
giudice istruttore su posizioni del tutto 
diverse. 

Il primo caso documentato nell’espo¬ 
sto Sarti si era verificato nel lu^io 
1959. La piccola Luciana Michclon, di 
2 mesi, era stata ricoverata al reparto 
pediatrico Mariani deH’Ospcdale Maggio¬ 
re di Milano il giorno 14 con diagnosi 
di broncopolmonite in soggetto distro¬ 
fico. Per 2 giorni, malgrado le sue con¬ 
dizioni si facessero sempre più gravi, 
con rantoli polmonari, cianosi, tacliicar- 
dia, non si procedette a esame radiogra¬ 
fico, ma. si continuò semplicemente con 
terapie antibiotiche. Solo il giorno 17, 
quando il caso si presentava onnai gra¬ 
vissimo, venne eseguita una radiografia, 
che confermò quello che tutti i sintomi 
visibili facevano già da tempo intende¬ 
re: pneumotorace sinistro, con imme¬ 
diata necessità di intervento operatorio. 
In questi casi, la prima misura di pron¬ 
to soccorso consiste nell’applicazione di 
un drenaggio, operazione che è alla 
portata di qualsiasi medico, c anche di 
qualsiasi non medico (si tratta di infila¬ 
re un comune ago da siringa nella pare¬ 
te toracica del malato). Ma questo in¬ 
tervento di pronto soccorso non venne 
compiuto nel più grande ospedale di 
Milano. Per alcune ore, la piccola Mi¬ 
chclon fu sballottata da un padiglione 
all’altro senza ricevere assistenza alcuna, 
e solo alle 11,30 venne presa in cura 
alla divisione Passera. Ma era ormai 
troppo tardi. La piccola morì alcune 
ore dopo l’intervento per pneumotorace 
da stafilococco. Dunque: trascuratezza 
da parte dei sanitari del reparto Mariani 
(prof. Cislaglii primario, prof. Quarti 
Trevano aiuto pediatra) per non aver 
preceduto subito all’accertamento radio- 
grafico, colposa omissione di soccorso 
quando il trattamento minimo era a 
tutti chiarissimo, e, infine, mancato 
tempestivo ricovero nella divisione più 
attrezzata per simili contingenze, nel 
caso la divisione Passera. 

Per comprendere quest’ultimo aspetto 
del caso è necessario risalire a una di¬ 
sposizione che il sovrintendente del¬ 
l’ospedale prof. Sollazzo aveva tassativa¬ 
mente impartito qualche mese prima. 
Secondo tale disposizione, nessuna ope¬ 
razione di chirurgia toracica doveva es¬ 
sere effettuata alla divisione Passera, 
“malgrado sussista agli atti — si legge 
nella sentenza - la prova di una speci¬ 
fica preparazione in tale campo acquisi¬ 
ta dal prof. Sarti”. Questa misura mira¬ 
va in pratica a riservare tutta l’attività 
di chirurgia toracica dell’ospedale a un 


solo sanitario e alla sua corte, un lu¬ 
minare di grande fama qua era il prof. 
De Gasperis (ora scomparso), che in 
concreto deteneva il monopolio in tal 
genere di interventi. 

La disposizione Sollazzo doveva esse¬ 
re all’origine, in seguito, di altri 2 casi, 
pressoché analoghi tra di loro, che 
terminarono con la morte di due neo¬ 
nati nel giro di un mese. Stefano Ce¬ 
rosa era stato ricoverato il 26 dicembre 
’59 alla divisione di guardia (prof. Ba¬ 
riatti primario, prof. Gagliardi aiuto) 
per un intervento d’urgenza: presentava 
una grave malformazione congenita al¬ 
l’esofago. con possibilità di sopravviven¬ 
za valutabili intorno al 50 per cento. 
Ma l'operazione avvenne solo 2 giorni 
più tardi, e non alla divisione Passera, 
la meglio attrezzata per casi del genere, 
ma in quella di chirurgia toracica (in 
osservanza alle direttive del prof Sol¬ 
lazzo). Operatore fu l’allora assistente 
del prof. De Gasperis, il dott. Renato 
Donatelli (“non autorizzato tra l’altro 
- si legge nella sentenza a sostituire 
il primario”): l’esito fu fatale: “deiscen¬ 
za delle suture sottoposte a trazione”, 
secondo la perizia d’ufficio. La stessa 
sorte toccò alla neonata Rita Dainelli, 
ricoverata nello stesso stato del piccolo 
Cerosa il 13 gennaio del 1960: uguale 
attesa prima dell’intervento, uguale ope 
ratore (dott. Donatelli), uguale esito: 
“deiscenza delle suture sottoposte a tra¬ 
zione”. Proprio in quei giorni si stava 
risolvendo il caso di Gilberte Assai, 
l’undicenne bambina francese ricoverata 
il 26 settembre 1959 alla divisione Pas¬ 
sera con diagnosi certa di enteroragia. 
Si trattava di togliere un polipo intesti¬ 
nale delle dimensioni di un grosso ccce: 
un’operazione di nonnaie difficoltà, che 
tuttavia il prof. Sostegni, primario della 
divisione, non riuscì a [xtrtare a termi¬ 
ne felicemente. Provocò anzi la perfora¬ 
zione del colon e, nel successivo inter¬ 
vento riparatore, aggravò il tutto (lesio¬ 
ne della vescica) fino a portare la pa¬ 
ziente in grave pericolo di vita. La pic¬ 
cola Assai usci dall’ospedale con gravi 
lesioni vescicali e intestinali dopo 162 
giorni di ricovero, per volontà del pa¬ 
dre: trasferita in una clinica di Parigi, 
fu sottoposta dopo 13 giorni a una 
nuova operazione dalla quale usci conv 
plctamcnte guarita. “Non può non scor¬ 
gersi — si legge nella sentenza nel 
comportamento del Sostegni un profilo 
di colpa punibile. Trattasi, anzi, di im¬ 
perizia oltre che d’imprudenza, giacché 
da un primario chirurgico...per di più 
di fronte a un caso non cosi arduo... è 
lecito attendersi qualcosa di più del ba¬ 
gaglio normale di cognizioni e dì espe¬ 
rienze tecnico professionali...”. 

La casta degli intoccabili. Dopo il caso 
Assai, i professori Sarti e Colucci chie¬ 
sero a più riprese la convocazione del 
Consiglio di Amministrazione dell’ospe¬ 
dale, allo scopo di riferire sulla difficile 


situazione di lavoro esistente nella divi¬ 
sione Passera. Vennero loro richieste re¬ 
lazioni e testimonianze sull’operato 
tecnico del Sostegni, ma nessun provve¬ 
dimento fu preso, e il primario conti¬ 
nuò a operare ancora, mese dopo mese, 
quantunque egli mostrasse “con il suo 
comportamento estcrionnente ostensì¬ 
bile di insicurezza e di irresolutezza 
nelle sue azioni c nelle sue volizioni” 
di essere ormai poco idoneo a svolgere 
funzioni di primario. 

Il 30 aprile 1961 venne ricoverata 
nella divisione Passera la signora Anita 
Masi, 50 anni, per colica epatica e cal¬ 
colosi biliare. Anche in questo caso il 
Sostegni operò una prima volta mala¬ 
mente, provocando l’interruzione della 
via biliare, e aggravò i danni nel secon¬ 
do intervento (lesioni della vena porta 
e dell’arteria epatica, immediatamente 
saturate dal .Sarti). La Masi guari in 
seguito a una terza operazione, effet¬ 
tuata doix) 4 mesi dal prof. ,Stau- 
dacher, del Policlinico. “Poiché dunque 
- si legge nella sentenza - sussistono 
elementi specifici di colpevolezza del¬ 
l’imputato in ordine al delitto ascritto¬ 
gli, il Sostegni dovrebbe essere rinviato 
a giudizio, ma, purtroppo, ricorrono 
anche per questo caso (come per il 
caso Assai) tutti i requisiti previsti..per 
l’applicazione dcll’ainnistia-.”. E’ la 
stessa formula che la sentenza usa, infi¬ 
ne, nei confronti dei membri del Consi¬ 
glio di Amministrazione (Masini, Pie- 
poli, Salvaterra, Marini, Vercesi) nonché 
del sovrintendente prof. Sollazzo e del 
segretario generale dott. Magnanensi: 
“Gli imputati... ebbero reiteratamente 
notizia dei reati di cui ai precedenti 
capi di imputazione, neH’esercizio o 
comunque a causa delle loro precipue e 
rispettive funzioni; ciononostante, pur 
trattandosi dì delitti non punibili a 
querela della persona offesa ma perse¬ 
guibili d’ufficio, essi omisero delibera¬ 
tamente dì farne denuncia all’Autorità 
giudiziaria”. 

A distanza di quasi 7 anni dal comu¬ 
nicato apparso sul Corriere della Sera il 
26 gennaio 1961, appaiono ora in evi¬ 
denza la “regolarità amministrativa”, i| 
livello della classe sanitaria “all’altezza 
delle migliori tradizioni milanesi”, la 
serietà di un Consiglio di Amministra¬ 
zione che non aveva trovato gli “estre¬ 
mi di reato” per una denuncia all’auto¬ 
rità giudiziaria. Toccata su questioni de¬ 
licate come “capacità professionale” 
“senso morale”, “correttezza scienti¬ 
fica”, “responsabilità penale”, la catego¬ 
ria medica si era rinserrata a scudo 
ritrovando l’antico spirito della casta 
sacrale: infallibile e intoccabile. Uno 
spirito che oggi si può altrimenti dire 
mafioso. Un aiuto primario ha tentato 
per primo, dall’interno, di rompere il 
circolo chiuso che vincola la categoria 
medica: ora il processo. 

LUCIANO ALEOTTI ■ 


32 






o~30-2i? 



Komu: la mano della fortuna 


tono 

la riffa 
di stato 

I l gioco del lotto è divciituto il 
Liechtenstein dei più modesti tra i 
"capitali vaganti” d'Italia. Si chiamano 
“vaganti” quei denari che i prprietari 
non intendono legare stabilmente ad al¬ 
cuna iniziativa. Essi non si muovono 
però più, come in passato, per spirito 
d’avventura, per perenne amore del ri¬ 
schio. Si muovono soltanto per sfuggire 
a ogni tassa. Il che è tanto più facile, 
quanto più sovente si faccia cambiare 
“bandiera” al proprio denaro. 

Sotto la bandiera della Svizzera, del 
Lussemburgo del Liechtenstein, molti 
finanzieri compiono prestigiose opera¬ 
zioni. Non sono pochi i liberi professio¬ 
nisti italiani (medici, architetti) o anche 
mediatori, negozianti, che ne hanno se¬ 
guito la strada. Capacissimi a nascon¬ 
dere al fisco italiano ingenti guadagni, 
non lo sono altrettanto nel rendere 
remunerativo il loro denaro. Cosi si af¬ 
fidano agli Investment trust sorti so¬ 
prattutto in questi tre Stati. Spesso 
perdono irrimediabilmente il loro dena¬ 
ro, mal affidato, soprattutto nel Liech¬ 
tenstein. 

Cosi da qualche anno sta accadendo 
— per somme che naturalmente sono 


Napoli: la quaterna spaziale 

unitariamente assai più modeste con 
il gioco del Lotto. Il principio di que¬ 
sta caratterizzazione dell'antico gioco 
comincia attorno al 1960. Data da al¬ 
lora la scoperta, fatta da alcuni “finan¬ 
zieri da caffè”, che giocando l’ambata 
sui numeri “ritardatari” si riesce a “to¬ 
gliere” qualcosa allo Stato, per giunta 
evitando di pagare tasse sui profitti 
Certo il sistema richiede accortezze: 
accortezze empiriche. Il gioco del Lotto 
è fatto in modo che ogni settimana si 
calano nella “bussola” di ognuna delle 
10 città (“ruote”) in cui si fanno le 
estrazioni, 90 dischetti ciascuno dei 
quali ha un numero compreso tra 1 e 
90. Da o^i ruota un ragazzo bendato 
estrae 5 dischetti. Dunque ogni settima¬ 
na l’estrazione avviene ex novo: in teo¬ 
ria potrebbero venir estratti ogni set¬ 
timana gli stessi 5 numeri e gli altri 85 
potrebbero non venire estratti mai. 

Ma la realtà è diversa. Attraverso gli 
archivi le estrazioni settimanali del Lot¬ 
to sono state ricostruite per 70 anni. Si 
è visto che pochi sono i numeri che 
non vengono estratti in cento settima¬ 
ne. 1 pochi “centenari”, tra i 5 e i 15 
per anno, in genere vengono finalmente 
estratti nelle 20 settimane successive. Si 
sono contati, in 70 anni, solo poco più 
di 100 casi in cui taluni numeri hanno 
superato le 123 settimane d’assenza. 
Sin’ora il record dei ritardi spetta al 
numero 8 che, a cavallo con l’inizio 
della guerra, restò “assente” a Roma 
per 202 settimane (circa 4 anni). 



I orrari A{!^tadi 

Gli strateghi dell’anibata. Fidandosi di 
tali statistiche, taluni hanno iniziato dal 
I960 circa a giocare sistematicamente i 
numeri a partire dalla centesima setti¬ 
mana di ritardo. Li giocano in “alliba¬ 
ta”: fanno cioè, su una sola scheda. 89 
ambi centrati su un 90csimo numero, 
quello prescelto per il suo ritardo. Lo 
àato, se il numero esce, paga la posta 
moltiplicandola per 11,23. Se la giocata 
è stata di mille lire, se ne pagano 
11.230. 

11 margine dell’ambata è modesto: 
con mille lire, se ne vincono 10 mila. 
Dopo tre settimane, con 3 mila lire 
spese, se ne vincono 8 mila. Alla terza 
settimana i “sistemisti” alzano lieve¬ 
mente la puntata. Giocando 1.300 lire, 
tornano a porsi nella condizione di 
riprendersi il “capitale”, più 10 mila 
lire circa di guadagno. 

Cifre modeste, modestissimi guadagni: 
visto però in termine di “interessi ’, il 
tasso è elevatissimo. Giocando mille lire 
un sabato e incassandone 11 mila al 
lunedi, si realizzerebbe un “interesse” 


L'ASTROLABIO - 15 settembre 1968 


33 




novità 

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philosophy 

A SURVEY 

La philosophie 
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glie sul vivo l’acume e il rigore 
speculativo della trasformazio¬ 
ne ». L. 5000 


pari al 150 mila per cento. Ovviamente 
se si devono attendere 50 settimane 
(un annetto) per vedere uscire il pro¬ 
prio numero, si finisce solo per ripren¬ 
dere il proprio capitale più un utile di 
poche decine di migliaia di lire: l’in¬ 
teresse annuo composto scende al più 
terrestre tasso del cento per cento, che 
è sempre elevatissimo. 

I “finanzieri da caffè” del Lotto non 
arricchiscono mai, ma si sentono ‘'pa¬ 
dreterni” della finanza. In genere questi 
sistemisti versano ogni anno un milion- 
cino ai botteghini e ne ricavano il dop¬ 
pio: un milione per seguitare il gioco, 
il resto per risollevare il ménage. Non 
sono insomma dissimili a quei veneziani 
che, con l’eterno “sistemino” del rosso 
e nero, ricavano ogni sera d'estate al 
Casinò del Lido le 3-5 mila lire. 

Ma all’improvviso, quest’anno, l’amba- 
ta è divenuta una moda. Si sono posti 
a praticarla da una parte vere e proprie 
piccole “società” finanziarie forniate da 
gruppi d' amici; o addirittura alene di 
quelle cosidette “finanziarie” che da 
anni pullulano nelle grandi città prati¬ 
cando prestiti a privati cittadini che, 
per garanzia, invece dei lenzuoli al 
munte, portano alla “finanziaria” cam¬ 
biali con il proprio onorato nome d’im¬ 
piegati statali. 

Oltre a tali “società”, si è gettata 
sull’ambata una massa, decine e decine 
di migliaia di persone, del tutto sprov¬ 
veduta e convinta che ugni numero 
“centenario” debba uscire in poche set¬ 
timane. Dal principio di luglio, il Lotto 
si è messo a incassare 6 miliardi per 
settimana, da luglio cresciuti a 7. Tra 
allora e oggi, in settanta giorni, lo Sta¬ 
to ha incassato dal Lotto ben 65 mi¬ 
liardi di lire, quanti cioè ne aveva in¬ 
cassati nell’intero 1965. 

L’attivo dello Stato. Il fenomeno ha 
dunque assunto proporzioni economiche 
rilevanti. Migliaia di famiglie, in luglio e 
agosto, hanno dato ai botteghini mi¬ 
gliaia e migliaia di lire sottratte ai loro 
normali consumi. Poi hanno dovuto 
smettere rinseguimento al numero ritar¬ 
dalo del momento il 67 per la ruota 
di Cagliari. 

II giorno in cui il 67 uscirà ^ o in 
cui esce ogni altro numero fortemente 
ritardato lo Stato certamente non 
sbancherà. Esso pagherà con quanto ha 
(ncassato dalle migliaia e migliaia di 
persone che si sono ritirate. Ma dal 
punto di vista dell’economia sarà acca¬ 
duto questo: lo Stato avrà rastrellato 
decine di miliardi a famiglie a reddito 
fisso (che perciò pagano già, senza al¬ 
cuna possibile sottrazione. Te loro impo¬ 
ste), e restituito decine di miliardi ai 
“sistemisti” che evadono le tasse. 

Nei primi si sarà alimentata inimicizia 
verso uno Stato che, pemiettendo e 
sfruttando il lotto, Ita permesso e 
sfruttato la loro sciempiaggine; nei 
secondi si sarà rafforzato il convinci¬ 


mento che è giusto e possibile frodare 
lo Stato che “toglie agli sciocchi, ma 
premia i furbi”. 

In realtà, per dirla con le cifre, sino 
alla fine d’agosto lo Stato aveva que¬ 
st’anno incassato 160 miliardi dal lotto, 
contro una previsione d’entrate per 88 
miliardi. E deve, a coloro che hanno 
già vinto negli 8 mesi, circa 60 miliar¬ 
di, contro 50 che prevedeva di dover 
pagare. Se ora esce il 67 a Cagliari (sul 
quale da agosto si giocano circa 5 mi¬ 
liardi a settimana), lo Stato per questo 
numero pagherebbe circa 60 miliardi. 

L’attivo statale, per il Lotto, re¬ 
sterebbe forte: ma decine di migliaia di 
famiglie, per colpa d un padre o d’una 
madre che per alcune settimane di 
seguito hanno depositato migliaia di lire 
nei bottegliini “statali” del Lotto, 
avrebbero irrimediabilmente visto sce¬ 
mare i loro già bassi consumi essenziali. 

Riforma o abolizione? Dicendosi espli¬ 
citamente preoccupato per tali famiglie 
e indignato per il cattivo uso che i 
sistemisti “milionari” fanno dei loro ca¬ 
pitali, il ministro delle Finanze, Ferrari 
Aggradi, ha annunciato una rifonna del 
Lotto. Finalmente conosciuta, s’è visto 
che essa, in realtà, renderà impossibile 
ogni tipo di gioco fatto sui numeri 
ritardatari solo a chi non abbia molto 
denaro. Chi abbia “capitali vaganti’’, sia 
pure con molta perdita di tempo, potrà 
invece trasferire sull’ambo vero e 
proprio il gioco che attualmente fa 
sull’ainbata. 

Può darsi che il concerto dei ministri, 
prima, e l’esame del Parlamento, poi, 
eliminino anche questo vuoto lasciato 
dal ministro nella rete creata attorno 
all’estratto semplice, all’estratto deter¬ 
minato, all’ambata e all’ambo, che sono 
i quattro modi di giocare i numeri in 
ritardo. Ma tutto ciò non toglie che il 
gioco del Lotto resti in piedi. Vi gio¬ 
cheranno solo i “tradizionalisti” che 
scommettono sui numeri portati in so¬ 
gno dal nonno o ricavati da altrettanto 
medievali auspici. In larga parte del¬ 
l’opinione pubblica resterà il sospetto 
(che equivale a certez7.a) che quando 
finalmente s’era scoperto il modo di 
vincere contro lo Stato, con il Lotto, 

10 Stato abbia cambiato i termini della 
contesa, riprendendosi il suo privilegio. 
Ch’era quello, sino agli anni ’60, d’in¬ 
cassare ogni 12 mesi una quarantina di 
miliardi, restituendone, per vincite, solo 

11 40-43 per cento. 

Sarebbe ora, per uno Stato moderno, 
d’abolire del tutto il gioco del Lotto e 
di recuperare i soldi che in tal modo 
l’erario non incasserebbe più, attraverso 
una rifomia e un’anagrafe tributarie 
capaci di impedire le massicce evasioni 
che ai “capitali vaganti” d’ogni di¬ 
mensione in Italia sono ancora con¬ 
sentite. 

GIULIO lacava ■ 


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