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Full text of "L'Astrolabio 1981 n° 07"

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La scelta di non rischiare 

di Giorgio Ricordy 


• L’emergenza è tale che perfino quelli che po¬ 
trebbero essere considerati successi di questo governo, 
riconfermano invece la sua abissale incapacità politica 
di fronteggiare la crisi. Un successo assai lusinghiero, 
infatti, è stato giudicato l’arresto della « primula ros¬ 
sa » brigatista, di quel Mario Moretti promotore del 
rapimento Moro e di quant'altro la sovversione na¬ 
zionale ha saputo finora architettare. 

Il « successo » di quest’arresto è pericolosamente 
simile ad altri « successi » riportati in settori non 
essenziali alla vita del paese di quanto sia la lotta al 
terrorismo e all'eversione: come il terrorismo trova le 
uniche risposte efficienti da parte di organi tecnici qua- 
li possono essere Polizia e Carabinieri, cosi il disa¬ 
stro economico nazionale seguita a trovare risposte ef¬ 
ficienti solo da parte di un organo tecnico come la 
Banca d’Italia. Dopodiché, sul fronte del terrorismo e 
sul fronte del disastro economico, i mali profondi che 
ne rappresentano l’origine, il concima e l'humus di 
cultura, rimangono immutati a produrre guasti ulte¬ 
riori, successive crisi, successive tragedie. 

Cappuzzo e Ciampi hanno decine di volte ripetu¬ 
to pubblicamente che gli strumenti di cui essi dispon¬ 
gono non bastano, pur impiegati con il massimo del 
rigore e della competenza professionale, a risolvere i 
problemi con i quali, da soli, sono costretti a battersi. 
E infatti i terroristi vengono arrestati, la lira viene 
energicamente controllata, ma i mitra seguitano ad uc¬ 
cidere per le strade e l’economia seguita a precipitare 
rovinosamente. 

La latitanza politica del governo Forlani, del re¬ 
sto, non è a sua volta frutto di specifiche incompeten¬ 
ze — come riduttivamente sembra suggerire il presi¬ 
dente repubblicano Visentini — o di specifiche forme 
di malgoverno. Le incompetenze e il malgoverno ci 
sono, naturalmente, ma sono oramai talmente conna¬ 
turati in questo assetto di potere che basta la semplice 
espressione della volontà di rimuoverli per incrinare 
il sistema e indurre tutti a fare marcia indietro per 
evitare che il sistema si sfasci. 

La totale paralisi in cui gli ultimi governi si sono 
trovati deriva, paradossalmente, proprio da certa loro 
buona volontà di fare qualcosa di nuovo e di migliore 
del passato. Come i precedenti governi presieduti da 
Cossiga, anche questo governo Forlani aspira, don vi¬ 
gore più o meno strumentale, a forme di « moralizza¬ 
zione », ad intraprendere strade capaci di fare uscire 
l Italia e l alleanza che lo sostiene, da una situazione 
di stallo. Ma quasi per una legge fisica, appena una 
forza si mette in moto, se ne mobilita un'altra uguale 
e contraria-, da qui la paralisi. Ciò che rende grave e 
senza uscita questa situazione è il fatto che la di¬ 
namica di forze contrapposte non è il frutto di una 
democratica dialettica fra maggioranza e opposizione, 
ma il prodotto di contraddizioni che esplodono tutte 


all’interno della stessa maggioranza. Dallo scanda¬ 
lo Cossiga-Donat Cattin della scorsa estate, alla 
vergogna del contrabbando di petroli che coinvolge 
nomi di massimo prestigio del partito di maggioranza, 
agli ultimi sviluppi della vicenda Sindona che chiama 
in causa con numeri e cifre perfino il presidente del 
Senato, proprio in una fase politica nella quale il suo 
nome viene associalo alla costruzione di ipotesi di 
superamento di questa maggioranza e di questo gover¬ 
no, tutto ciò rende evidente che la guerra per bande 
che devasta l’Italia è sfuggita oramai al controllo di 
chi in passato ha saputo utilizzarla senza consentire 
che ne rimanessero travolte le istituzioni stesse della 
democrazia e della Repubblica. Le istituzioni infatti 
vacillano — e non è pura esercitazione teorica il di¬ 
battito che intorno alla riforma istituzionale si va svi¬ 
luppando, ma è questione eminentemente politica — 
non per gli attacchi di un Moretti che può essere arre¬ 
stato e che non è espressione di sentimenti radicati 
nel popolo italiano, ma per l’uso clientelare, corpora¬ 
tivo, strumentale al mantenimento di un assetto di 
potere, che la classe politica al potere ne ha fatto e 
seguita a farne. 

Nemmeno con un ottimismo forzato fino ai li¬ 
miti dell’incoscienza è più possibile sperare in aggiu¬ 
stamenti che facciano superare al paese la crisi pre¬ 
sente senza modifiche profonde, di struttura, nel si¬ 
stema di potere e nel funzionamento dell’economia. 

A questo punto, l’allarme più grave nella pro¬ 
spettiva che ci si presenta, deriva dalle eccessive 
oscillazioni che si manifestano nell’unico partito 
di opposizione che pure esprime le esigenze di 
cambiamento per cui tanta parte degli italiani sa¬ 
rebbero dispósti anche ad accettare il pesantissimo ca¬ 
rico di sacrifici e di impegni che, viceversa, adesso, 
non hanno altro effetto che moltiplicare le spinte cor¬ 
porative e le chiusure settarie. E massimo allarme de¬ 
riva anche dalle divisioni, confusioni, incertezze, con¬ 
flittualità, in cui da mesi si trovano invischiate le cen¬ 
trali del sindacato, che mai come adesco che lo nega¬ 
no si riducono ad essere « cinghie di trasmissione » di 
progetti politici opposti, stretti da una triplice morsa 
per la organicità di alcuni a logiche interne di partito, 
per la pressione crescente da una base sindacale che 
reclama i suoi diritti per l'insidia ormai estesissima del¬ 
le associazioni autonome e corporative. 

Se la paralisi attuale del governo e della maggio¬ 
ranza deriva dalla paura di compiere scelte perché qua¬ 
lunque scelta comporta il rischio di uno scontro che 
sarebbe fatale per questo assetto di potere, questo 
problema non è tuttavia meno presente nelle forze che 
sono fuori del governo e della maggioranza. Ma i rischi 
impliciti in una scelta seriamente formulata e respon¬ 
sabilmente gestita sono certamente inferiori a quelli 
ormai imminenti che la paura di scegliere comporta. • 


(-•Astrolabio • quindicinale • n, 7 - 12 aprile 1981 


1 




ha che vuole 

QUESTO ANDRE 
ATTA ? _ 


LA «VIGNETTA 
DELL'ONOREVOLE 


i 


V 



RAFFORZARE 

LA S/L4NC1A 

OEl PATlMerfì 


/- 


Il coraggio di una spallata 


di Andrea Saba 


Lo scontro nelle misure di politi¬ 
ca economica fra governo e sinda¬ 
cati si sta combattendo su un terreno 
arcaico ormai superato dai tempi. Ed 
invece appare ormai chiaro ciò che 
con Riccardo Lombardi andiamo so¬ 
stenendo da anni. 

La crisi del capitalismo, nonostan¬ 
te tutte le tensioni, i problemi e le 
difficoltà che crea, deve essere vista 
come un fatto positivo perché ci co¬ 
stringe finalmente ad uscire dalla lo¬ 
gica di un sistema che ha raggiunto i 
suoi limiti storici ed a lavorare per la 
definizione di un modello alternativo 
che è poi il supporto economico ne¬ 
cessario per una vera alternativa poli¬ 
tica. I tempi politici e quelli econo¬ 
mici ora coincidono. Ora è il momen¬ 
to in cui la maggior virtù politica de¬ 
ve essere il coraggio. Lo sviluppo in¬ 
dustriale italiano è stato propiziato dal¬ 
la simultaneità di condizioni estrema- 
mente favorevoli: stabilità di un si¬ 
stema monetario basato sul dollaro 
che è stato per venticinque anni la 
comoda e certa valuta internazionale; 
la domanda mondiale sempre crescen¬ 
te; il costo irrisorio delle fonti di 
energia; l’acquiescenza dei paesi del 
Terzo mondo produttori di materie 
prime; la relativa tranquillità sindacale 
almeno fino al ’69. 

Ora tutte queste condizioni sono 
scomparse. Conquiste sindacali giuste 
nel periodo felice sono ora non soste¬ 
nibili. 

Forme di intervento pubblico pri¬ 
ma giustificabili appaiono ora ecces¬ 
sive; atteggiamenti padronali duri og¬ 
gi non hanno più nemmeno giustifi¬ 
cazione culturale. I tre protagonisti 


del triangolo lamalfiano: sindacato, 
governo, imprenditori recitano un co¬ 
pione logoro in un teatro che si sta 
svuotando ogni giorno di più. 

La logica keynesiana-socialdemocra- 
tica ha guidato la politica economica 
negli ultimi venti anni ha toccato i 
suoi limiti, in tutta Europa, solo che 
l’Italia è l’anello più sensibile, non 
perché più debole, ma perché il più 
mal governato. Il fiscal-drag ha deter¬ 
minato un incremento rapido delle en¬ 
trate attraverso un meccanismo pato¬ 
logico. II governo ha ritenuto che tut¬ 
to ciò che entrava nelle casse pubbli¬ 
che potesse essere preso senza tener 
conto che le entrate si gonfiavano per 
ragioni inflazionistiche e che ritrasfor¬ 
mare tutto in consumi pubblici non 
avrebbe fatto altro che perpetuare la 
inflazione amplificandola. 

A questo punto: la repressione fi¬ 
scale non può più aumentare senza 
frenare gli investimenti; la spesa pub¬ 
blica deve essere tagliata per frenare 
l’inflazione; ma se si ferma lo stipen¬ 
dio dei dipendenti della P.A. allarga¬ 
ta e le pensioni non si può non fre¬ 
nare l’altra componente del reddito 
che è il salario dei lavoratori dipen¬ 
denti. E tagli e frenate devono esse¬ 
re simultanei e uguali per tutti. Ma 
nel frattemno il progresso tecnico, 
sollecitato dalla carenza di energia, 
continuerà ad espellere mano d’ope¬ 
ra e a non creare posti di lavoro per i 
giovani. 

E non si potrà supplire con spesa 
pubblica, spesso creando posti di la¬ 
voro fittizio, perché i governanti fol¬ 
li hanno espanso la spesa per ragioni 
di prestigio dei singoli ministri e non 


per mantenere o creare occupazione. 

Perciò, poiché l’occupazione soffri¬ 
rà molto, la crescita del costo del la¬ 
voro degli occupati va frenata in 
qualche punto. Ora mantenere le com¬ 
petitività internazionale è molto più 
importante perché non ci può essere 
più la spesa pubblica crescente che 
mantenga alta la domanda interna. 

Siamo alla « austerità dinamica » e 
cioè alla linea obbligata che vado pre¬ 
dicendo da dopo la crisi energetica: 
cambiare il modo di produrre e cam¬ 
biare il modo di consumare. Il che 
significa cambiare di molto le nostre 
esistenze. Il modo di produrre sta 
« mutando » senza politiche, nel se¬ 
greto, ma tecniche che usano più la¬ 
voro e meno energia stanno crescen¬ 
do bene in Italia anche se sono pre¬ 
valentemente sommerse o mal studia¬ 
te (perché tutti hanno in mente, co¬ 
me positivo, il modello capitalistico): 
e le piccole imprese hanno una cari¬ 
ca autogestionaria di grande interesse. 

Il modo di consumare « vorrebbe » 
cambiare di più, il successo di Nicoli¬ 
ni, delle corse della bicicletta e delle 
feste popolari è un segno evidente. 
Sono le strutture territoriali e produt¬ 
tive che ci forzano ancora verso con¬ 
sumi che ormai la coscienza collettiva 
vuole rifiutare. E quindi non solo non 
mancano lo spazio e i tempi per un 
modello alternativo, ma addirittura se 
ne vedono i segni e le premesse con 
crete. Ed allora, coraggio, diamogli an¬ 
che la spallata politica. Perché, se non 
« muta » il sistema economico, su che 
cosa si modellano proposte di « gran¬ 
de riforma »? 



2 


L'Astrolabio - quindicinale • n 7 • 12 aprile 1931 









CAFFÈ, LOMBARDINI, MONTI: 

Le misure adottate sono inefficaci 
ed innescano una più veloce 
rincorsa dei prezzi 

IL VERO OBIETTIVO DELL'AZIONE DI GOVERNO 


ATTACCO 

ALLA SCALA MOBILE 


di Marcofabio Rinforzi 


• I provvedimenti monetari adottati 
il 22 marzo dal Governo « risul¬ 
tano molto onerosi per le aziende più 
sane e lasciano in salvo i parassiti ». 
Sono parole del ministro del Tesoro 
Andreatta, quello stesso che quei prov¬ 
vedimenti ha apprbvato e firmato seb¬ 
bene « a condizione che sia brevissimo 
lo scarto temporale fra quei provvedi¬ 
menti creditizi assunti e quelli strut¬ 
turali da assumersi in seguito ». 

E’ la riaffermazione della politica 
dei due tempi che in passato si è trop¬ 
po spesso rivelata essere costituita da 
un primo tempo restrittivo attuato, e 
un secondo tempo espansivo ma rima¬ 
sto allo stadio di intenzione. Anche 
questa volta si è cominciato con l’adot¬ 
tare provvedimenti di tipo monetario 
di sicuro effetto recessivo, ma neces¬ 
sari, si è detto, per frenare la selvag¬ 
gia ascesa dei prezzi. 

Anche questa volta, però, e forse 
ancor più che in passato, le misure 
creditizie non soltanto rischiano di ri¬ 
sultare inefficaci ai fini deflazionistici, 
ma finiranno anche con l’innescare una 
più veloce rincorsa dei prezzi, e aggra¬ 
veranno senz’altro la crisi produttiva 
ed occupazionale. 

Tali effetti ha chiaramente sintetiz¬ 
zato Siro Lombardini: « la stretta cre¬ 
ditizia provocherà un forte aumento 
degli oneri finanziari e quindi dei co¬ 
sti delle imprese che cresceranno an¬ 
che per gli aumenti dei prezzi delle 
materie prime importate, in conse¬ 
guenza della svalutazione della lira. Si 
produrrà cosi un ulteriore impatto in¬ 
flazionistico ». Secondo Lombardini 
infatti a causa di una ingovernabile 
spesa pubblica e degli automatismi del 
sistema, il mercato mantiene un eleva¬ 
to potere d’acquisto che consente alle 
imprese di trasferire sui prezzi gli au¬ 
menti dei costi di produzione. Di qui 
due fondamentali indicazioni: l’una 


rivolta al contenimento delle spese 
pubbliche correnti, l’altra indirizzata 
alla revisione degli automatismi che 
alimentano il costo del lavoro. 

Federico Caffè appunta le sue os¬ 
servazioni su un altro aspetto del pro¬ 
blema « ma questi signori si sono letti 
l’ultimo rapporto GATT sul com¬ 
mercio internazionale? Nel corso del 
1980 questo ha avuto uno sviluppp 
soltanto dell’1% in termini reali a 
fronte di un aumento del 6% regi¬ 
strato nel 79. Il commercio interna¬ 
zionale dunque ristagna e da noi si 
prendono provvedimenti di svaluta¬ 
zione monetaria per favorire l’espan¬ 
sione delle esportazioni. E’ sulla so¬ 
stituzione delle importazioni che biso¬ 
gna puntare. A quando un serio pro¬ 
gramma di sviluppo dell’agricoltura, 
un piano energetico degno di questo 
nome? E’ questa la via da percorrere 
per ridurre il disavanzo con l’estero. 
La svalutazione non fa che peggiora¬ 
re la situazione ». 

Secondo Mario Monti i provvedi¬ 
menti del 22 marzo « suggellano un 
inefficace governo dell’economia con 
una azione destinata a sua volta a 
rimanere inefficace. L’inflazione non è 
più alimentata da eccessi di domanda 
ma dai prezzi delle importazioni, dai 
costi interni per unità di prodotto e 
dalle stesse aspettative inflazionisti¬ 
che. In tali condizioni il deprezzamen¬ 
to del cambio e l’intensificazione del¬ 
la stretta monetaria aggraveranno l’in¬ 
flazione attraverso tutti e tre i sud¬ 
detti canali ». 

Da questa pur rapida panoramica 
emerge una significativa caratteristica 
dei poovvedimenti governativi del 
22 marzo: quella di essere avversati, 
oltre che dai lavoratori e dagli im¬ 
prenditori, anche dagli economisti e, 
come appare dalle parole di Andreat¬ 
ta, dagli stessi autori di quei provve¬ 


dimenti. La promessa seconda fase, 
quella degli interventi strutturali e di 
sviluppo, sembra ancora una volta es¬ 
sere destinata a rimanere nelle inten¬ 
zioni, e tuttalpiù a ridursi ad alcuni 
severi aumenti tariffari e a qualche in¬ 
significante taglio alla spesa pubblica. 
Vale la pena, a questo punto, ricor¬ 
dare le critiche rivolte da Caffè alla 
politica tariffaria adottata dal Gover¬ 
no che sarebbe, a suo giudizio, fonda- 
mentale stimolo alla crescita dei prezzi. 

Per comprendere allora i motivi che 
hanno portato il Governo ad adotta¬ 
re quei provvedimenti è forse neces¬ 
sario individuare il vero obiettivo che 
si è voluto perseguire e che, dalle sues¬ 
poste dichiarazioni degli esperti eco¬ 
nomici e dai recenti comportamenti 
delle parti sociali, sembra effettiva¬ 
mente essere stato centrato l’attacco 
convergente alla scala mobile. 

Si è voluta creare una situazione di 
dura stretta creditizia con prospettive 
recessionistiche, per forzare gli attac¬ 
chi di parte imprenditoriale all’istituto 
della scala mobile come principale re¬ 
sponsabile degli aumenti del costo del 
lavoro e quindi dei costi di produzio¬ 
ne; per rinfocolare il dibattito sulla 
spirale inflazionistica e sui perversi 
automatismi che la alimentano e tro¬ 
vare in esso giustif'cazioni anche teo¬ 
riche per una modifica della scala mo¬ 
bile; per indurre gli stessi sindacati, 
sotto la minaccia di una caduta dei li¬ 
velli occupazionali, ad ammorbidire la 
loro posizione sulla revisione del mec¬ 
canismo dell’indennità di contigenza. 

Mario Monti, da tempo sostenito¬ 
re della opportunità di una modifica 
del meccanismo di indennità di conti¬ 
genza, avanza una proposta: « il Go¬ 
verno subordini la sua scelta in mate- 
ri credititzia ed economica al raggiun¬ 
gimento di un accordo tra Confindu- 
stria e sindacati sulla scala mobile e 
sulla produttività. Ponga un limite 
temporale entro il quale le parti socia¬ 
li devono trovare tale accordo ed in¬ 
dichi quali provvedimenti intende as¬ 
sumere a seguito del positivo o del 
negativo esito della contrattazione e 
proceda di conseguenza. Non credo 
che vi sarebbe nulla di autoritario o di 
scarsamente democratico nella pro¬ 
posta avanzata ». 

Si attende ora la risposta del sin¬ 
dacato che pure, ultimamente, ha mo¬ 
strato qualche segno di una nuova di¬ 
sponibilità a riflettere sui temi della 
politica salariale e dell’appiattimento 
retributivo. 


L'Astrolabio - quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1981 


3 








£' partito dal più fedele dei suoi alleati un siluro alla DC 

Visentini non vuole più 
fare il pesce pilota 


di Italo Avellino 


La sorte 
del governo Forlani 
dipende forse 
esclusivamente 
dal Congresso 
repubblicano: 
se passa la proposta 
Visentini, la crisi 
è quasi inevitabile. 


Tanto tuonò, che piovve. A for¬ 
za di scagliare lampi e fulmini. 
Bruno Visentini ha scatenato un nu¬ 
bifragio politico. Sui tradizionali, e 
sempre cordialissimi, rapporti fra DC 
e PRI. Nel suo partito. Le previsioni 
in politica non sono meno ardue di 
quelle metereologiche. Sarà perché lo 
impone la dizione stessa della testa¬ 
ta, Astrolabio che si sforza a guarda¬ 
re alla globalità della volta non sem¬ 
pre celestiale della politica, questa 
tempesta l’aveva preannunciata. Nei 
dettagli guardando, come nel fondo 
della classica tazza da té dei preveg¬ 
genti induisti, fra le foglie grandi e 
piccole dell 'Edera. 


Dietro una apparente unanimità, la 
proposta Visentini divide profonda¬ 
mente il PRI e tutto quel mondo fi¬ 
nanziario e imprenditoriale cui da ol¬ 
tre trent’anni fa riferimento l’asse DC- 
PRI. Perché il PRI è sempre stato in 
qualche misura il pesce pilota della 
DC nelle sue varie stagioni, dal cen¬ 
trismo al centrosinistra, dall’apertura 
al PSI a quella al PCI, dal governo 
della non-sfiducia alla solidarietà na¬ 
zionale, a oggi. 

La proposta Visentini, qualunque 
sia il giudizio, aveva una novità che 
non poteva non essere che dirompen¬ 
te: spezzava l’alleanza a prova di uo¬ 
mini e di governi, fra democristiani e 



4 


L'Astrolabio • quindicinale - n 7 • 12 aprile 1981 














repubblicani. Perché la proposta del 
presidente del PRI è prima di tutto 
contro la DC. Da destra come ritiene 
Craxi; o da sinistra a parere di altri. 
Se qualcosa di destabilizzante la for¬ 
mula visentiniana — non nuova per¬ 
ché molto somigliante al trasformismo 
di De Petris — aveva, non era tanto 
nell’accantonamento dei partiti, quan¬ 
to nell’accantonamento del partito che 
è di maggioranza (relativa) da oltre 33 
anni. Per quegli accomodamenti di 
cui sono maestri i dirigenti politici 
italiani, tutti lo avevano capito ma 
nessuno lo diceva apertamente. 

Perfino la DC, così permalosa con 
i socialisti rei di lesa maestà demo- 
cristiana, faceva finta di non capire. 

I tanti focosi democristiani che nei 
giorni scorsi erano andati in delega¬ 
zione senza distinzione di preambolo, 
da Flaminio Piccoli perché rimettes¬ 
se a posto Formica che ne aveva dette 
di pesanti, parevano dei Don Abbon¬ 
dio il quale in tutto il romanzo del 
Manzoni non pronuncia mai il nome 
di « colui », il nome di Don Rodrigo. 
Perché questi democristiani avevano 
intuito che dietro Visentini c’erano 
dei « colui » — il conte zio, l’Innomi¬ 
nato? — molto, molto importanti. In 
Italia e fuori. 

II Congresso PRI 
non è una formalità 
notarile 


— guardavano al solo congresso del 
PSI, al solo governo Forlani, eccete¬ 
ra, adesso di colpo si è scoperto che 
dopo la metà di maggio c’è anche un 
congresso repubblicano che non è una 
formalità notarile. Perché la tanto 
attesa o la tanta temuta crisi di go¬ 
verno potrebbe nascere dal congres¬ 
so del PRI se passerà nella sua to¬ 
talità la proposta Visentini le cui 
connessioni vanno ben oltre i confini 
dello Stivale, a Ovest. E in Medio 
Oriente. 

Le reazioni — una vera spaccatura 

— nel PRI attengono al ruolo di que¬ 
sto partito di opinione. E alla preoc¬ 
cupazione, in alcuni, che il PRI del 
1981 faccia la fine del PLI degli anni 
cinquanta quando i liberali, rompen¬ 
do con la DC, uscirono dall’area di 
governo per una lunga quarantena mi¬ 
nisteriale. L’intreccio del congresso 
repubblicano è grosso. Tocca i rap¬ 
porti fra democristiani e laici non sol¬ 
tanto nella sfera politica ma in quella 
finanziaria, imprenditoriale, industria¬ 
le. L’intero, o quasi, sistema bancario 
italiano si regge da quasi due decenni 
sull’intesa — apparentemente innatu¬ 
rale — fra i « cattolici » della DC e i 
« laici » del PRI. Ora Visentini non 
è un neofita, né un umorale. Se si è 
buttato allo scoperto significa che la 
pentola non bolle, scoppia. Una pento¬ 
la Dronta a deflagrare sotto il sedere 
della DC. 


Finché Visentini non ha preso di 
petto Arnaldo Forlani, il punto di 
(precario) equilibrio interno democri¬ 
stiano. A quel punto la DC non po¬ 
teva più fare finta di non capire, o di 
lasciare a Craxi, in solitudine, il com¬ 
pito di fronteggiare Visentini e i « co¬ 
lui » che ha dietro. E ha reagito. Con 
prudenza. Lasciando al repubblicano 
Aristide Gunnella il coraggio di par¬ 
lare dei « colui ». Però, di colpo, An¬ 
dreatta si è trovato più (relativo) vi¬ 
cino ai socialisti. E più lontano (in 
assoluto) da Giorgio La Malfa che 
pure sulla proposta Visentini non è 
poi così caldo ed entusiasta. Ma si sa 
che i figli pagano anche le colpe dei 
patrigni. 

Così mentre tutti — meno Astro¬ 
labio, ci sia consentita la civetteria 


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L’Astrolabio - quindicinale - n. 7 • 12 aprile 1981 


5 










Intervista a 
NICOLA CAPRIA 

a cura di 
Italo Avellino 


...Per l’incontro 
PCI-PSI 


abbandonare le ”vie oblique”... 


Il 42° Congresso del PSI 
è uno dei grandi appuntamenti 
politici dell'anno. Non soltanto 
perché il PSI è parte rilevante 
della sinistra italiana. Non soltanto 
perché consacrerà, con 
l'investitura congressuale, la 
leadership di Bettino Craxi. 
L'assise socialista di Palermo 
servirà pure a illuminare meglio 
le prospettive, di unità o di 
divisione, della sinistra italiana 
negli anni ottanta. Servirà 
a capire se ci aspetta o meno 
un altro decennio di egemonia 
democristiana. 
Sul problema, essenziale almeno 
per capire, dei rapporti fra 
PCI e PSI abbiamo intervistato 
alla vigilia del congresso l'on. 
Nicola Capria, ministro per il 
Mezzogiorno. 


• Il 42° Congresso del PSI è alle 
porte. La verifica congressuale del PSI 
avviene mentre il paese si trova in una 
fase di transizione che può essere di 
progresso o di involuzione. Molto di¬ 
penderà dai rapporti, tutt’altro che cor¬ 
diali, fra PCI e PSI. Senza fare l’in¬ 
ventario delle passate e attuali recipro¬ 
che responsabilità, è possibile una ripre¬ 
sa dell’intesa politica fra i due partiti? 
Quali pregiudiziali, da una parte ma 
anche dall'altra, vanno rimosse? 

Un rapporto migliore tra PCI e PSI 
non è soltanto auspicabile, ma neces¬ 
sario: se non si vuole rinunciare, chis¬ 
sà per quanto tempo, ad una prospet¬ 
tiva di reale e profondo cambiamento 
nel nostro paese. Ma il problema non 
è tanto di superare le pregiudiziali, 
quanto di arrivare a sciogliere i nodi 
che da troppo tempo tengono divisa 


la sinistra. Non mi pare che noi socia¬ 
listi abbiamo posto al PCI delle pre¬ 
giudiziali: noi poniamo ai comunisti 
dei problemi, che è cosa assai diversa. 
E’ il PCI che ha posto la pregiudizia¬ 
le negativa verso qualsiasi governo che 
non abbia la sua partecipazione diretta. 
Certo, se il PCI accantonasse questa 
pregiudiziale o almeno la gestisse con 
minore asprezza, tutta la situazione ne 
trarrebbe beneficio, non soltanto i rap¬ 
porti nella sinistra. Del resto, anche 
se non fosse più posto in termini pre¬ 
giudiziali, il problema della piena le¬ 
gittimazione dei comunisti alla direzio¬ 
ne del paese resterebbe una delle que¬ 
stioni centrali dello sviluppo democra¬ 
tico italiano. 

In definitiva, le sollecitazioni che 
nei rivolgiamo al PCI, in termini dia¬ 
lettici, non come rigide pregiudiziali, 
sono rivolte a questo stesso obiettivo. 


6 


L'Astrolabio - quindicinale • n. 7 - 12 aprile 1981 


Noi riteniamo, però, che continuare a 
tentare l’approccio all’area di governo 
per vie oblique da parte del PCI sia 
un errore, che finisce per risolversi in 
una perdita di tempo. Fino a quando, 
nel PCI, il rifiuto e la critica delle 
ideologie e dei modelli autoritari dell 
Est non passerà dal limbo delle que¬ 
stioni di principio ad una acquisizione 
irreversibile nella coscienza della base 
attraverso la denuncia e la mobilita¬ 
zione di massa, una eventuale parteci¬ 
pazione dei comunisti al governo rischie¬ 
rà di apparire, a torto o a ragione, de¬ 
stabilizzante o ambigua rispetto alla 
collocazione internazionale del nostro 
paese. Non a caso Rodano ha teorizza¬ 
to di recente un nuovo assetto euro¬ 
peo basato su due compromessi paral¬ 
leli, in Italia e in Polonia: si tratte¬ 
rebbe di bilanciare l’allentamento del¬ 
l’ingerenza sovietica a Varsavia con 1 
ingresso del PCI nel governo, che de¬ 
terminerebbe una riduzione dell influen¬ 
za americana a Roma. E’ chiaro come, 
ponendo in termini di equilibri inter¬ 
nazionali la questione della piena le¬ 
gittimazione comunista a governare, 
questa divenga difficilmente superabi¬ 
le e ci si debba ridurre a tentarne l’ag¬ 
giramento per vie oblique. Non a caso 
lo stesso Rodano va tessendo da setti¬ 
mane sulle colonne di Paese Sera 1 
elogio della proposta Visentini come 
compromesso tra il PCI e la cosiddet¬ 
ta ala moderna e non parassitarla del 
capitalismo italiano. Questo senza che 
dalle Botteghe Oscure siano venute ret¬ 
tifiche, come è capitato, invece, a Ma¬ 
caiuso. 

• I comunisti ritengono insufficien¬ 
te l'alternanza alla presidenza del con¬ 
siglio proposta dalla segreteria sociali¬ 
sta, senza che vengano specificati i 
contenuti in politica interna e interna¬ 
zionale di questo cambiamento. Un so¬ 
cialista al posto di un democristiano 
a Palazzo Chigi è sufficiente ad avvia¬ 
re un reale cambiamento nel paese? 

Questo comunque è un problema 
reale, che è ormai posto; ma in pro¬ 
spettiva, non nell’immediato. Attual¬ 
mente abbiamo un governo che sta fron¬ 
teggiando con grande efficacia il terro¬ 
rismo e che si sforza di tenere sotto 


controllo la crisi economica e l’infla¬ 
zione. Mettere in discusisone gli equi¬ 
libri politici in frangenti tanto delicati 
sarebbe da irresponsabili. 

Ma volendo guardare alla prospet¬ 
tiva dell’alternanza e della presiden¬ 
za Craxi, ho l’impressione che sia al¬ 
quanto astratto tentare sin da ora di 
delinearne il quadro programmatico. 
Molto dipende dallo svolgimento della 
situazione italiana ed internazionale di 
qui ad allora. Avremo sconfitto o no 
definitivamente il terrorismo? Saremo 
riusciti o no a riportare l’inflazione 
entro i livelli di guardia? L’Unione So¬ 
vietica avrà o non avrà invaso la Po¬ 
lonia? Come si fa a delineare un pro¬ 
gramma di governo davanti a tre varia¬ 
bili aperte di questa portata? 

Ma, al di là. del quadro programma¬ 
tico, che non potrà non essere condi¬ 
zionato dagli avvenimenti, mi pare che 
una presidenza del Consiglio socialista 
avrebbe comunque un valore di cam¬ 
biamento innegabile: sarebbe per la 
gente un argomento tangibile per con¬ 
vincersi che l’egemonia democristiana 
non è insuperabile. Non riesco a capi¬ 
re come il PCI potrebbe sottovalutare 
un fatto di questa portata e negare 
a Craxi ciò che ha concesso ad An- 
dreotti. 

• Nel PCI si discute molto, anche 
in modo polemico e insolito, dei rap¬ 
porti fra PCI e PSI. Molto meno nel 
PSI salvo che nelle correnti di mino¬ 
ranza socialiste. Eppure la questione è 
rilevante anche nell’ottica della strate¬ 
gia di Craxi. Al massimo nella corren¬ 
te di maggioranza ci si limita a rila¬ 
sciare pagelle a questo o quel dirigente 
comunista. Non le sembra che quest' 
atteggiamento alimenti più che atte¬ 
nuare le animosità reciproche? 

Sono persuaso anch’io della sterili¬ 
tà di un dialogo che si rivolge esclusi¬ 
vamente alle minoranze interne. Se 
qualche volta abbiamo dato l’impres¬ 
sione di distribuire pagelle ai dirigen¬ 
ti comunisti sulla base del loro grado 
di filosocialismo, abbiamo certamente 
sbagliato. Però non siamo mai arriva¬ 
ti a sollecitare un ribaltamento delle 
situazioni interne e addirittura un go¬ 
verno sostenuto dalle minoranze inter¬ 


ne degli altri partiti. Questa è una re¬ 
sponsabilità che altri, non noi, si sono 
assunta. Tuttavia sarebbe ingenuo ne¬ 
gare che, nella dialettica interna co¬ 
munista, si va facendo strada una ro¬ 
busta componente autonomista che 
tende a cercare nel socialismo europeo 
(e pertanto, in Italia, nel PSI), il suo 
punto di riferimento. Di qui anche 1’ 
animosità contro di noi di altri settori 
del PCI. Si tratta di condurre il dia¬ 
logo con grande senso di responsabi¬ 
lità non dimenticando mai che l’obiet¬ 
tivo è di aiutare, per quanto sta in 
noi, tutto il PCI, non solo una parte, 
a maturare irreversibilmente la sua 
evoluzione europea. 

• Il congresso del PSI è a tesi. Il 
che fa supporre, superata la conta pre¬ 
congressuale, che ci si avvìi a un esito 
unitario almeno fra le due maggiori 
componenti, quella di maggioranza e 
quella di Lombardi-Signorile-Cicchitto. 
Alla vigilia del congresso questa solu¬ 
zione quasi unitaria, sempre auspica¬ 
bile in ogni partito, è veramente pos¬ 
sibile? E, quanti nella corrente riformi¬ 
sta vengono da sinistra non rischiano di 
trovarsi collocati al centro? 

Il confronto sulle tesi facilita cer¬ 
to un esito unitario del nostro congres¬ 
so, anche se non annulla le differenze 
di linee esistenti. Il dato nuovo di que¬ 
sto congresso è costituito, però, non 
tanto dalla schiacciante maggioranza 
della corrente riformista quanto dal fat¬ 
to che a questa maggioranza corrispon¬ 
de una maturazione ideologica e po¬ 
litica irreversibile di tutto il partito. 
Sbaglierebbe quindi chi, pensando ad 
esperienze ormai irripetibili, facesse i 
suoi calcoli su una ipotesi di sfalda¬ 
mento successivo della maggioranza ri¬ 
formista. Rispetto al grande fatto po¬ 
litico di una acquisizione così piena e 
incisiva della coscienza autonomista nel 
PSI, perdono significato le etichette 
topografiche di destra, sinistra e cen¬ 
tro. 


L’Astrolabio • quindicinale ■ n. 7 - 12 aprile 1981 


7 





Il PSI ai raggi X dei suoi sindacalisti 


Ceremigna, 
Verzelli, 
Mezzanotte, 
Larizza, 
Bugli e 
Degni 
sulle tesi 
congressuali. 




di Angelo Galantini 

Ai sindacalisti socialisti le Tesi 
congressuali del Psi sul sindacato 
piacciono. Ci sono sfumature diverse 
di « gradimento », ma nel complesso si 
raccolgono opinioni largamente favo¬ 
revoli. E non manca chi polemizza im¬ 
plicitamente con alcuni dei giudizi cri¬ 
tici espressi sul n. 5 dell’« Astrolabio » 
da Scheda, Liverani, Lettieri e Del 
Piano. 

Il punto da cui tutti prendono le 
mosse è l’accento pósto sull’esigenza 
dell’unità sindacale. « Si fa così giu¬ 
stizia — dice Enzo Ceremigna, segre¬ 
tario confederale della Cgil — di mol¬ 
te interpretazioni strumentali o mali¬ 
ziose circa le reali intenzioni che molti 
Osservatori hanno cercato a più ripre¬ 
se di attribuire al nuovo dorso del 
Psi ». Aggiunge Pietro Larizza, se¬ 
gretario confederale della Uil: « In un 
momento in cui il sindacato è sotto¬ 
posto ad un fuoco concentrico di at¬ 
tacchi, ed in cui c’è chi teme ma c’è 
anche chi spera che s’incrini l’unità sin¬ 
dacale, le Tesi hanno il grande valore 
di rilanciare con forza quest’obietti¬ 
vo, che se a qualcuno appare fuori mo¬ 
da in realtà resta essenziale per il 
successo di ogni prospettiva di cambia¬ 
mento ». 

Per Mario Mezzanotte, segretario 
della Federbracciand Cgil, « questa 
posizione del Psi non è certo una 
novità, ma è stato importante riba¬ 
dirla solennemente, dati i tempi che 
corrono e le illazioni strumentali che 


si fanno circa gli obiettivi di Craxi 
sul sindacato. Se un appunto devo fare 
al Psi, è che non ha posto con la ne¬ 
cessaria forza dialettica questa posi¬ 
zione al centro del dibattito sindacale 
a partire dalle fabbriche e da tutti i 
luoghi di lavoro ». 

E Bruno Bugli, segretario confe¬ 
derale della Uil, mette in luce « il ri¬ 
fiuto di ogni tentazione di un ritorno 
a casa. Ci si muove al contrario per 
riaffermare l’unità e l’autonomia del 
movimento sindacale: l’unità perché il 
primo obiettivo delle forze moderate, 
della nuova destra è proprio il sin¬ 
dacato unitario, che ha dimostrato in 
più occasioni, dalle stragi fasciste ai 
più efferati delitti del terrorismo, la 
sua forza e la sua capacità di mobilita¬ 
zione; l’autonomia, perché ancora oggi 
da parte di alcuni settori del Pei è in 
atto il tentativo di ridurre gli spazi 
ed il ruolo del sindacato, rilanciando 
una concezione egemonica del Parti¬ 
to ». 

Dunque, non c’è nessuno scheletro 
(di « sindacato socialista ») nell’arma¬ 
dio del Psi. Comunque, anche qui, 
qualche puntino sulle i va messo. « Ri¬ 
tengo essenziale — osserva Sandro De¬ 
gni, segretario generale dei chimici Uil 
— un interessamento attivo dei parti¬ 
ti'politici sulla problematica dell’uni¬ 
tà sindacale, e bene ha fatto il Psi a 
dargli questo rilievo. Una raccoman¬ 
dazione però mi sentirei di fare: quan¬ 
do i partiti, ed in particolare il Psi, 









i 


8 


L'Astrolabio - quindicinale * n. 7 - 12 aprile 1981 






si accostano alle tematiche sindacali, 
sarebbe opportuno che non venisse 
dimenticato il modo con il quale il 
sindacato ha costruito in tutti questi 
anni la sua strategia, i suoi obiettivi, 
la sua concezione dell’unità e dell’au¬ 
tonomia ». Rileva a sua volta Ceremi- 
gna: « E’ giusto che non ci siano nelle 
Tesi tentazioni di ritagliarsi spazi par¬ 
ticolari. Questa impostazione, natural¬ 
mente, ha bisogno di essere interpre¬ 
tata e gestita da tutto il sindacato. In 
questo senso è corretto che le Tesi ri¬ 
badiscano l’obiettivo verso cui tende¬ 
re, ma al sindacato spetta la riflessione 
e le scelte sul ” come ” arrivarci, ed 
è così che a me pare che il Psi dia 
grande valore all’autonomia del mo¬ 
vimento sindacale ». 

C’è però un’espressione, nelle Tesi, 
che ha suscitato più d’un appunto cri¬ 
tico. E’ quella in cui s’afferma l’esi¬ 
genza che i socialisti presenti nelle tre 
confederazioni «. siano convergenti nel¬ 
la elaborazione di obiettivi comuni ». 
Risponde Degni: « C’è stato un mo¬ 
mento in cui l’idea di un sindacato so¬ 
cialista sembrò essere il modo per ri¬ 
solvere alcuni problemi, particolari ed 
anche generali. Non nego che quella 
idea, specialmente nel periodo della 
guerra fredda tra i sindacati, avreb¬ 
be potuto quanto meno far chiarezza 
su esigenze (allora apparivano tali) di 
rappresentatività e di schieramento. 
Alla luce della situazione attuale i so¬ 
cialisti rappresentano indubbiamente 
un grosso fattore di unità, soprattutto 
nell’elaborazione delle linee sindacali. 
Ciò, comunque, non cancella alcun- 
difficoltà di rapporti e di coordina¬ 
mento che, a mio avviso, non sono la 
negazione dell’autonomia, e quindi la 
frase citata non m’impressiona più di 
tanto. Si tratta di una situazione — è 
sempre Degni a parlare — che, aldilà 
di alcuni vantaggi di facciata, che sol¬ 
lecitano da qualche parte l’applicazio¬ 
ne di criteri più rigorosi di rappresen¬ 
tatività, è certamente molto scomoda 
e difficile. Comunque, nella nostra po¬ 
sizione di socialisti, c’è in nuce l’idea 
dell’unità sindacale che dovremmo 
realizzare ». Silvano Verzelli, segreta¬ 
rio confederale della Cgil, taglia cor¬ 
to: « Il tema è quello del rapporto tra 
sindacato e partito. Ebbene: nel qua¬ 


dro di un’alleanza tra tutte le forze 
riformatrici, questo rapporto non può 
non essere improntato ad un rigoroso 
riconoscimento della reciproca autono¬ 
mia. Senza questo dato si determina 
confusione e savrapposizione di ruoli, 
con conseguenze negative per tutti ». 

Ma che tipo di sindacato viene fuo¬ 
ri dalle Tesi, e per fare cosa? Su que¬ 
ste stesse pagine, Rinaldo Scheda ha 
scritto che « sembra fortemente offu¬ 
scata l’idea del sindacato come forza 
di cambiamento, cioè come soggetto 
impegnato a lottare per trasformare la 
società italiana ». Enzo Ceremigna 
contesta questa valutazione: « E’ pro¬ 
babile che se le Tesi avessero spiega¬ 
to cosa il sindacato deve fare, secondo 
il Psi, Scheda avrebbe lamentato le 
ingerenze pesanti del Partito sull’au¬ 
tonomia sindacale... A parte la battu¬ 
ta: vi sono delle convergenze obietti¬ 
ve tra la strategia del cambiamento e 
quella della grande riforma. Non sono 
antitetiche, ma complementari. Per¬ 
ché però le Tesi avrebbero dovuto af¬ 
fidare le possibilità della loro realiz¬ 
zazione solo al sindacato? Il sindacato 
ci deve essere, resta uno dei soggetti 
essenziali — prosegue Ceremigna — per 
una politica di riforme e di cambia¬ 
mento: ma deve assumere questo com¬ 
pito avendo piena coscienza della sua 
parzialità, altrimenti si voterebbe ad 
essere ingiustamente la cassa di riso¬ 
nanza ed il bersaglio preferito di tutte 
le tensioni esistenti, anche di quelle 
che francamente non gli appartengo¬ 
no ». 

Resta il fatto che il modello di sin¬ 
dacato che sembra prendere corpo è 
un modello molto « partecipativo ». 
« Per fortuna, commenta Pietro Lariz- 
za. Per me questo è un dato da sotto- 
lineare con la massima evidenza. So¬ 
no convinto che bisogna sviluppare fi¬ 
no in fondo, senza tabù, il discorso tra 
sindacato ed istituzioni, tra sindacato 
e forze politiche per affrontare teori¬ 
camente, ma non solo teoricamente, i 
concetti della democrazia industriale. 
E’ vero o no, come da un po’ di tempo 
a questa parte tutti diciamo, che la 
programmazione dev’essere lo stru¬ 
mento principe dello sviluppo del Pae¬ 
se? Ebbene, il sindacato non può fare 
lo spettatore, deve stare dentro questo 


processo ed assumersi coerentemente 
le responsabilità che gli spettano ». 
Per Mario Mezzanotte le Tesi indica¬ 
no « l’opzione del sindacato riformista 
e partecipativo, contrario, nella stra¬ 
tegia che si dà e nella prassi del con¬ 
flitto industriale, alla logica del sin¬ 
dacato massimalista e meramente con¬ 
testativo. Coerentemente con questi 
orientamenti di fondo il Psi chiede al 
sindacato d’impegnarsi con più con¬ 
cretezza sui temi della democrazia in¬ 
dustriale e della democrazia economi¬ 
ca, per affermare in modo istituziona¬ 
lizzato il suo ruolo di protagonista nel¬ 
la fabbrica e nella società ». 

Un’ultima questione, una di quelle 
che più appassionano il dibattito po¬ 
litico: come regolare il diritto di scio¬ 
pero. Qui c’è distanza tra i sindacati 
socialisti e le Tesi, che indicano l’esi¬ 
genza d’un recepimento dell’autorego¬ 
lamentazione in legge dello Stato. I 
sindacalisti non rifiutano a priori que¬ 
sta strada, ma non la vedono percor¬ 
ribile nell’immediato. Dice Degni: 
« Non mi nascondo dietro il dito, le 
difficoltà ci sono e grandi. Non mi 
convince però che possano essere su¬ 
perate con un intervento legislativo 
che disciplini il diritto di sciopero. Il 
problema mi sembra essere più politi¬ 
co, fatto di rapporti nuovi con la gen¬ 
te, di scelte che prevedano una redi¬ 
stribuzione delle risorse meno ingiu¬ 
sta. Per questo, la via da battere 
è quella dell’autoregolamentazione». 
Per Silvano Verzelli, « oggi lo sforzo 
più intenso va dedicato a far passare 
tra i lavoratori il significato profondo 
dell’autoregolamentazione, a farne vi¬ 
vere tra la gente la valenza politica, 
diffondendone i contenuti innovatori. 
Questo esperimento — perché di un 
esperimento si tratta — va fatto se¬ 
riamente: perché se avessimo scelto 
questo cammino già convinti della sua 
impraticabilità ed avendo già disegna¬ 
to la tappa successiva, ben poca con¬ 
sapevolezza davvero mostreremmo ver¬ 
so il Paese. Per fortuna non è il no¬ 
stro caso. Dunque sperimentiamo fino 
in fondo l’autoregolamentazione. Se 
fallirà, allora è evidente che si dovrà 
pensare a qualcosa d’altro, ed anche 
a una legge ». 


L'Astrolabio - quindicinale * n. 7 • 12 aprile 1981 


9 









Fine delle ideologie? 


LA POLITICA DEI CLUB 


di Carlo Vallauri 

Una rete di clubs — è noto — ha 

costituito in Francia la base per 
ricostruire dalle ceneri della SFIO un 
rinnovato partito socialista, libero da 
strette pregiudiziali ideologiche e pron¬ 
to ad aprirsi alle esigenze di una so¬ 
cietà industriale avanzata. Da allora, 
anche in Italia, riaffiora sovente l’ipo¬ 
tesi di servirsi della spinta moderniz- 
zatrice che può venire da circoli cul¬ 
turali per coniugare la politica socia¬ 
lista con gli interessi dei nuovi qua¬ 
dri emergenti della tecnica, dell'econo¬ 
mia, dell’amministrazione, della produ¬ 
zione artistica (G. Tamburrano è stato 
uno degli antesignani di tale linea). In 
effetti già nell’epoca del disgelo negli 
anni 50 gruppi e riviste di impronta 
laica, sfidando i dogmatismi imperan¬ 
ti, avevano rappresentato una cerchia 
significativa attorno al PSI, ed anzi il 
primo centro-sinistra sembrava orien¬ 
tato a . raccogliere quelle esperienze, 
che invece finirono per essere in gran 
parte avvilite nella corsa accelerata 
alla « stanza dei bottoni ». Di qui l'a¬ 
marezza di uomini quali Pizzorno, For¬ 
tini, e, per altri versi, Bobbio. 

La sensazione che al di là della po¬ 
litica contingente condotta dai dirigen¬ 
ti prò tempore vi fosse una più vasta 
area potenziale era sin da allora lar¬ 
gamente diffusa e proprio iniziative 
come quella duratura del club Turati 
di Milano e quella più effimera del 
club di via Brofferio a Roma hanno di¬ 
mostrato la possibilità per i sociali¬ 
sti di coinvolgere in un discorso di cam¬ 
biamento — onde recuperare j ritar¬ 
di culturali del partito — un fronte am¬ 
pio di energie. 

Attraverso le sezioni e i circoli so¬ 
cialisti sono passati negli anni 60 ele¬ 
menti eterogenei, per provenienza e 
destinazione, che stentavano però a 
trovare una propria specifica identità 
(come emerge del resto dal documenta¬ 


to, recentissimo studio di Valerio Stri¬ 
nati Politica e cultura nel PSI, 1945 - 
1978) pressati com’erano tra l’esigenza 
di ricerche approfondite che veniva 
dalla coscienza di insoddisfazione peri 
modelli prevalenti e la ritualità asfitti¬ 
ca della prassi quotidiana. La minac¬ 
cia di una « liquidazione » dell’eredità 
storica del socialismo portava negli an¬ 
ni 70 ad un riesame della propria fun¬ 
zione e a un rilancio di strumenti ca¬ 
paci di assicurare una presenza quali¬ 
ficata (nasceva così l’Istituto sociali¬ 
sta di studi storici, venivano compiuti 
sforzi per potenziare la stampa di par¬ 
tito, si avviava un dibattito teorico con 
vecchie e nuove leve). La questione del 
« superamento » del marxismo per al¬ 
cuni aspetti faceva tornare alle pole¬ 
miche degli anni 30 (prima trascurate), 
per altri introduceva tematiche econo¬ 
miche e istituzionali non riguardanti 
— come spesso nel passato — solo un 
filone della cultura. 

Il desiderio d’aggregazione attraver¬ 
so moduli in grado di sostituire ai vec¬ 
chi apparati organizzativi — trasforma¬ 
tisi in molti luoghi in sottoboschi clien- 
telari — ha così dato luogo a nuove 
formule e a nuovi canali associativi, 
permanendo tuttavia una pluralità di 
atteggiamenti e posizioni, caratteristi¬ 
ca nrecipua del movimento socialista 
italiano. Nel timore però di essere e- 
marginati, gruppi ed uomini già pre¬ 
senti all'interno del partito hanno pen¬ 
sato anch’essi di impiegare le nuove 
forme di sodalizio, e così le aspirazio¬ 
ni spontanee a dar vita a piante di nuo¬ 
vo tipo hanno finito per confondersi 
con operazioni — più eleganti anche 
dal punto di vista dei locali e dei mez¬ 
zi utilizzati — che nascondevano inte¬ 
ressi certo leggittimi ma pur tuttavia 
taciuti e appunto per questo tali da 
ingenerare zone d’ombra. 

Si aggiunga che nei mesi scorsi il 


più prestigioso centro culturale sociali¬ 
sta di Roma è stato privato di ogni 
« ufficialità » e ciò mentre in perife¬ 
ria sorgevano parecchie istanze infor¬ 
mali. Il recente convegno di Firenze ha 
voluto collegare le varie e difformi e- 
sperienze per stabilire vincoli più pre¬ 
cisi e continuativi, anche in vista di 
una eventuale trasformazione del par¬ 
tito nel senso della propensione ad 
una maggiore apertura verso la socie¬ 
tà civile, superando gli schemi di una 
organizzazione sinora decentrata in ma¬ 
niera uniforme a somiglianza della 
struttura statuale o del vecchio model¬ 
lo socialdemocratico tedesco, per cer¬ 
care invece di cogliere il cittadino nel¬ 
la variegata molteplicità dei suoi mo¬ 
menti (lavoro, cultura, tempo libero, 
ecc.). 

Sino a che punto la politica dei clubs 
così come sembra venire impostata ri¬ 
sponde oggi ad una necessità di forma¬ 
zione e di ricerca, di impegno e di lot¬ 
ta? 

Se — alla lunga — l’obiettivo 
è quello di sostituire alle sezioni 
i cluDs (prima ipotesi) c’è da dire che 
la crisi di partecipazione alla vita di 
partito non dipende tanto da una di¬ 
minuita politicizzazione quanto dalla 
progressiva crisi di una forma partiti¬ 
ca troppo legata ad atti ripetitivi, sem¬ 
pre più poveri di contenuto, ed intes¬ 
suta con mene di potere e che pertan¬ 
to gli stessi elementi negativi potreb¬ 
bero presentarsi, aggravati, nei clubs, 
per loro natura elitari, meno tenuti a 
rispondere alla base e scarsamente 
rappresentativi della intera realtà so¬ 
ciale. 

Una seconda ipotesi — più attendibi¬ 
le — è quella che i clubs vogliano inte¬ 
grarsi alle articolazioni territoriali, ag¬ 
giungendo alla struttura attuale dei 
partiti l'approdo di gruppi e settori 
specializzati, di uomini per tempera¬ 
mento schivi dal riconoscersi nell’or¬ 
ganizzazione partitica. Ciò può costi¬ 
tuire un utile arricchimento qualitati¬ 
vo, anche se di fatto finisce per attri¬ 
buire un peso maggiore ad alcuni in¬ 
dividui, perché non si limita a nume¬ 
rarli nella « conta » per le decisioni del 
partito ma conferisce loro una capa¬ 
cità di orientamento negato al sempli¬ 
ce iscritto, non portato — in ragione 
della umiltà della sua milizia — a for¬ 
mare gruppi o clubs. Si noti peraltro 
che molte volte organizzatori, mana- 
gers, segretari, aderenti di questi clubs 
sono già iscritti al partito, su cui indi¬ 
rizzi quindi finirebbero per influire in 


10 


L'Astrolabio • quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1981 






Craxi 


più vesti (sono sempre le stesse facce 
che si incontrano a titoli diversi e sem¬ 
brano fare il girotondo e ripetere gli 
stessi luoghi comuni, fenomeno detto 
della balbuzie democratica). A parte poi 
che vi è già una diseguaglianza nel fat¬ 
to che clubs con maggiori mezzi finan¬ 
ziari dall'esterno possono permettersi 



Bettino 

dimentica Nenni 


Verso il 4T 

Congresso 

del PSI: 

le tesi di 

Craxi 

in politica 

internazionale 


Più che sbagliata, l'analisi del segretario socialista è troppo sommaria 

/4ol e nrialicmn ni irnnpn 


e unilaterale. 


di retribuire i propri funzionari, inca- 
ricati di dedicare il tempo pieno al¬ 
l'attività del gruppo, con evidente di- 
j, sparità nei confronti dei clubs che vi¬ 
vono solo grazie al volontariato disin¬ 
teressato. Si ripeterebbe cioè il feno¬ 
meno degenerativo già esistente nello 
ambito di vari partiti. 

Terza ipotesi; i clubs continuano a 
coltivare il giardino fiorito mentre l’or¬ 
to che dà cibi nutrienti resta affidato 
ai politici. E’ quel che è accaduto si¬ 
nora con i risultati di disgregazione 
della democrazia che ben conosciamo: 
per dirla con Strinati, « un pluralismo 
critico e indipendente, ma anche privo 
di reali possibilità di intervento poli¬ 
tico effettivo ». 

E allora, quelli che vengono presenta¬ 
ti come nuovi veicoli di democrazia po- 
* trebbero mascherare una forza di mag¬ 
giore pressione di alcuni gruppi. 

I rischi di tutte e tre le ipotesi in¬ 
ducono a considerare con minore otti¬ 
mismo la strada dei clubs (che può 
essere per taluni una scorciatoia per 
« arrivare ») e a riflettere di più sui 
contenuti socialisti dell’azione cultura¬ 
le da svolgere, specie di fronte al peri¬ 
colo che attraverso i clubs si vogliano 
far meglio passare formule neo-liberali, 
rispettabilissime di per sé, ma politi¬ 
camente e storicamente distinte da 
quelle appunto socialiste. Il discorso 
quindi ritorna alla scelte di fondo, alla 
capacità e volontà di essere e rimane¬ 
re, alle soglie del 2000, socialisti (per 
fortuna non è obbligatorio esserlo — 
e ciascuno ha diritto di cambiare opi- 
t nione — ma non si può pretendere di 
far passare per socialismo ciò che non 
lo è, o è addirittura il suo contrario'. 
A queste considerazioni induce il ten¬ 
tativo di far passare nei clubs, il no¬ 
me del laicismo, l’ideologia della fine 
delle ideologie che è « ideologia » mi¬ 
stificante per eccellenza giacché le ide¬ 
ologie (o meglio le teorie, le culture po¬ 
litiche) vivono o passano di moda (ac¬ 
cettate o meno dai più) indipendente¬ 
mente da chi crede decretarne la fine 
(o il trionfo) solo perché personalmen¬ 
te non le condivide (o al contrario vuo- 
% le enfatizzarle). 


Dimenticata la grande tradizione pacifista 

di Luciano De Pascalis 

Non è difficile individuare nella 
attuale congiuntura politica inter¬ 
nazionale i reali interessi dell’Europa. 

Questi reali interessi possono così 
essere sintetizzati e riassunti: 

— riconoscere con preoccupazione 
l’ampiezza assunta dalla corsa al riar¬ 
mo da parte delle due grandi poten¬ 
ze e non accettare compromesso alcu¬ 
no su questo terreno; 

— contribuire alla ripresa del dia¬ 
logo fra Est ed Ovest, opponendo la 
pratica del dialogo alla strategia del 
confronto messa oggi in atto dagli 
USA e dell’Urss; 

— evitare che gli specifici proble¬ 
mi del Terzo mondo vengano prevari¬ 
cati nella logica paralizzante del con¬ 
fronto Estovest, che porta, fra l’al¬ 
tro, con sé il rischio della emargina¬ 
zione dell’Europa; 

— favorire il vertice fra i due Gran¬ 
di, tenendo però conto dei pericoli di 
una polarizzazione totale e di una eu- 
ropeizzazione globale del confronto; 

— avere sempre presente che gli 
europei hanno precisi e specifici in¬ 
teressi da difendere, che non sempre 
coincidono con quelli americani. 

La politica internazionale si va pro¬ 
gressivamente militarizzando mentre 
la vendita di armi ha già raggiunto 
livelli catastrofici: ciò non vuol dire 
che la pressione europea, pur essen¬ 
do limitata, non possa riuscire effica¬ 
ce per arrestarla e per imporre inizia¬ 
tive e misure di disarmo. 

Così se si può legittimamente giu¬ 
dicare insufficiente la proposta di mo¬ 
ratoria di Breznev perché in cambio 


della rinuncia europea agli euromissi¬ 
li si limita a congelare allo stato at¬ 
tuale il numero degli SS 20 (oltre 
centocinquanta con tre testate atomi¬ 
che ciascuno), si deve anche riconosce¬ 
re che, contemporaneamente, Mosca 
non rifiuta di aprire un negoziato per 
ridurre e smantellare almeno in parte 
gli arsenali europei degli SS 20. 

La elencazione, sia pure succinta, 
dei reali interessi europei è presente 
nelle tesi di politica internazionale pre¬ 
sentate per ii 42° congresso del Partito 
dalle componenti interne del PSI: non 
però nella stessa successione e con gli 
stessi accenti e richiami. 

E’ comune però a tutte le compo¬ 
nenti socialiste la riaffermazione del¬ 
l’impegno del PSI a dotare il nostro 
Paese di una politica estera capace di 
fare dell’Italia, nel rispetto degli im¬ 
pegni assunti e delle alleanze sotto- 
scritte, un alleato sicuro per gli ami¬ 
ci, un interlocutore valido per i Paesi 
non allineati, un elemento trainante 
nella costruzione della pace nel mon¬ 
do. 

Comune è anche l’affermazione che 
per ristabilire un giusto equilibrio del¬ 
le forze fra Est ed Ovest è necessario 
risolvere, con un serio negoziato, il 
problema del riequilibrio missilistico 
in Europa, puntando non già al con¬ 
gelamento dello stato attuale ma alla 
riduzione degli arsenali nucleari di tea¬ 
tro. 

Non deve meravigliare il fatto che 
nei documenti congressuali socialisti 
ampio spazio e rilievo sia stato dato al 



L'Astrolabio • quindicinale • n. 7 • 12 aprile 1981 


11 





tema delle relazioni internazionali. 
Ciò è dipeso dalla generale consape¬ 
volezza della gravità della crisi mondia¬ 
le e dalla comune persuasione che og¬ 
gi, più che nel passato, vi è un legame 
profondo fra gli sviluppi della situa¬ 
zione internazionale e la vita politica 
italiana e fra la politica interna ed 
estera del nostro Paese. 

Tutti i socialisti sono, d’altra parte, 
convinti che la immagine del PSI de¬ 
ve essere quella di un partito riformi¬ 
sta ed europeo, integrato, pur con la 
sua specificità e le sue tradizioni sto¬ 
rico-culturali, nella grande famiglia 
della sinistra democratica occidentale 
e riconoscono che il PSI nella realtà 
italiana è, per ragioni obiettive, poli¬ 
ticamente competitivo con la DC e 
con il PCI. Questa competitività non 
si deve però porre come obiettivo quel¬ 
lo di respingere il PCI su posizioni 
tradizionaliste e filosovietiche e di so¬ 
spingere la DC su posizioni integra- 
liste e filo-americane. 

Il PSI deve trarre dalla sua colloca¬ 
zione autonoma nell’ambito della sini¬ 
stra italiana ed europea un « ruolo » 
di centralità democratica rivolto alla 
a 88 re gazione sociale e politica di una 
vasta alleanza riformatrice. 

Ora la prospettiva di una alternati¬ 
va democratica di sinistra, che resta 
la strategia socialista per gli anni « 80, 
richiede che il PCI guadagni una col- 
locazione omogenea con quella della 
sinistra democratica europea e risolva 
il problema, ancora aperto, della coin¬ 
cidenza della identità comunista (che 
è la fedeltà ai valori del passato e del¬ 
la terza internazionale) ct>n la sua in¬ 
tegrazione occidentale. 

Anche nel contesto di questa pro¬ 
spettiva il PSI non ha però interesse 
a schiacciare la DC sulle posizioni di 
Washington, che la renderebbero so¬ 
spetta ai governi di Bonn e di Parigi, 
perché la battaglia per la autonomia 
dell’Europa ha bisogno del contribu¬ 
to anche dei cattolici italiani e dei ce- 
•ti che la DC rappresenta. 

, Rispetto a questa impostazione ge¬ 
nerale, che è presente in tutto il PSI, 
le tesi sulle relazioni internazionali 
presentate da Craxi, deboli sul piano 
della elaborazione teorica e della defi¬ 


nizione dei nuovi contenuti dell’inter¬ 
nazionalismo socialista, appaiono ina¬ 
deguate ed insufficienti. Carente la 
analisi del quadro mondiale, che vede 
contrapporsi alla svolta di destra una 
svolta a sinistra dei partiti socialisti, 
sommaria la precisazione della dimen¬ 
sione europea del PSI: le tesi interna¬ 
zionali craxiane non fanno neppure 
richiamo alla grande tradizione pacifi¬ 
sta e neutralista, che trovò voce au¬ 
torevole in Pietro Nenni e ignorano il 
problema, certo di prospettiva (come 
di prospettiva è quello della riunifica¬ 
zione tedesca e della liquidazione dei 
blocchi), del recupero di una identità 
europea estesa dagli Urali all’Atlanti¬ 
co. 

Quanto alla Alleanza Atlantica e al¬ 
la Nato, il limite delle tesi craxiane è 
quello di guardare solo al presente e 
di impegnare il PSI ad assicurare una 
presenza attiva dellTtalia. 

Le tesi craxiane infine, mentre sot¬ 
tolineano che la presenza italiana sul 
piano internazionale deve caratteriz¬ 
zarsi per la difesa dei diritti dcH’uomo 
e dei popoli e per la lotta contro tutte 
le disuguaglianze, offrono un giudizio 
sommario ed incompleto sulle cause 
della crisi della distensione e sulle re¬ 
sponsabilità americane e sovietiche nel 
deterioramento delle relazióni inter¬ 
nazionali, che finisce col colpevolizza¬ 
re solo l’Urss e far giudicare incompa¬ 
tibile con la pace la politica estera so¬ 
vietica. 

Più coerenti e conseguenti si pre¬ 
sentano invece le tesi internazionali 
della « sinistra storica », che si ricol¬ 
legano appieno alla tradizione sociali¬ 
sta e che ribadiscono l’impegno del 
PSI a lavorare, pur nel rispetto delle 
alleanze esistenti, per la liquidazione 
dei blocchi contrapposti, i quali gene¬ 
rano solo equilibri sempre precari ba¬ 
sati sul terrore atomico e sulla rincor¬ 
sa competitiva agli armamenti. 

Esse poi delineano per l’immediato 
due precisi e concreti indirizzi per la 
politica estera italiana. 

Il primo è costituito da un impegno 
ad ancorarla ad una rigida difesa del 
carattere difensivo e geograficamente 
limitato della partecipazione italiana 
alla Alleanza atlantica ed alla Nato. 
Questo impegno appare significativo 


di fronte alla svolta impressa da Rea- 
gan alla politica americana e alla sua 
proposta di una « partnership » euro¬ 
pea nella gestione della politica este¬ 
ra occidentale. 

Le tesi della sinistra storica respin¬ 
gono questa proposta perché essa com¬ 
porterebbe, nella attuale congiuntura 
internazionale, una dilatazione degli 
impegni europei verso forme nuove di 
solidarietà e di corresponsabilità con 
la politica mondiale degli Usa, i cui 
interessi non sempre possono coinci¬ 
dere con quelli reali dell’Europa. 

Il secondo indirizzo rivendica inve¬ 
ce un più preciso collegamento col 
campo europeo, che deve essere il 
campo privilegiato della politica este¬ 
ra italiana, estesa, per coerenza con i 
suoi principi ed ideali, al di là dei 
paesi della Cee anche ai paesi neutra¬ 
li e non allineati. 

Sviluppando una politica europea 
comune di dialogo e di cooperazione, 
rilanciando almeno a livello europeo 
la distensione, si eliminerebbe una del¬ 
le costanti della politica estera sovie¬ 
tica, la preoccupazione per una Euro¬ 
pa comunitaria fattasi campo operati¬ 
vo di accerchiamento militare dell’Urss 
e si Contribuirebbe ad alleggerire la 
pressione sovietica sui paesi del bloc¬ 
co orientale, favorendo così il loro 
processo di democratizzazione sociali¬ 
sta. 

Nel campo europeo d’altra parte T 
eurosocialismo, che fino ad oggi si è 
limitato alla rivendicazione e alla dife¬ 
sa dei diritti della democrazia, si apri¬ 
rebbe ad una dimensione più vasta, 
quella dell’eurosinistra, favorendo la 
evoluzione dei partiti comunisti, e al¬ 
la ricerca teorica e politica di un mo¬ 
dello di sviluppo europeo capace di 
fare superare la crisi economica e di 
stabilire un rapporto egualitario e coo¬ 
perativo con i paesi del Terzo mondo. 

E questo sarebbe un effettivo con¬ 
tributo europeo alla pace poiché eli¬ 
minerebbe un permanente focolaio di 
conflitti e di tensioni sociali e politi¬ 
che presenti nei paesi sottosviluppati, 
che, proprio per questo, sono oggetto 
di contesa per il loro controllo fra le 
due grandi potenze. 

L. D. P. 


12 


L'Astrolabio • quindicinale • n. 7 - 12 aprile 1981 






i—sinistra indipendente- 


IL PUNTO 

di Gabriella Smith 


• Camera e Senato sono stati impegnati con il 
bilancio previsionale dello Stato per l’anno finanzia¬ 
rio 1981 e il bilancio pluriennale per il triennio 81-83. 
Mentre la Camera lo ha già approvato, al Senato sono 
state esaminate le tabelle di competenza dalle Com¬ 
missioni permanenti. 

L'indipendente di sinistra Lazzari, intervenendo al¬ 
la Commissione Agricoltura, ha sottolineato l’esigen¬ 
za di una programmazione agricola nazionale che con¬ 
senta di stimolare ed eventualmente anche contestare 
le regioni inattive. In modo particolare. Lazzari si è 
soffermato sui motivi della crisi agricola: una delle 
ragioni centrali — ha detto — è quella dell’antiquato 
meccanismo istituzionale dotato di scarsa leggittima- 
zione democratica. In tale struttura istituzionale è sta¬ 
to dato scarso peso al Parlamento europeo. Lazzari 
ha anche messo in rilievo come nessun interesse cul¬ 
turale e nessuna prospettiva concreta vengano avan¬ 
zati per i problemi agricoli. 

Nel suo intervento critico, Lazzari ha posto poi 
l'accento sull'indifferenza del Governo nel rendere 
operanti i provvedimenti legislativi e l'atteggiamento 
carente in merito a scelte da compiere su problemi 
fondamentali quali la riforma dei patti agrari e del 
credito. 

• • • 

Non è necessario costituire un comitato ristretto 
per esaminare e coordinare le proposte di emendamen¬ 
ti al provvedimento di modifica del sistema penale. 
E’ quanto ha sostenuto l’indipendente di sinistra Goz- 
zini nel corso della discussione sulla legge presso la 
Commissione Giustizia di Palazzo Madama. Un comi¬ 
tato ristretto potrebbe allungare i tempi di discus 
sione anzicché abbreviarli. Gozzini ha osservato che 
se una delle funzioni essenziali del provvedimento è 
senza dubbio quella di alleggerire il sovraffollamento 
carcerario, sarebbe necessario conoscere l’impatto che 
esso può avere su tale sovraffollamento. Se i dati con¬ 
fermassero una reale incidenza sul fenomeno del so¬ 
vraffollamento sarebbe necessario accelerare il più 
possibile l’iter del disegno di legge. In questo senso si 
è espresso sfavorevolmente alla costituzione di un co¬ 
mitato ristretto. 

• • • 

Una proposta di modifica del regolamento è stata 
presentata da un gruppo di senatori della Sinistra In¬ 
dipendente. La proposta — a firma di Anderlini, pre¬ 
sidente del gruppo e fra gli altri di Branca e Napoleo¬ 
ni, prevede una sessione per l’approvazione del bilan¬ 
cio di previsione dello Stato. Il massimo documento 
contabile dello Stato e i disegni di legge ad esso con¬ 
nessi — secondo la proposta degli indipendenti di si¬ 
nistra — devono essere iscritti, se presentati al Sena¬ 
to, all’ordine del giorno dell’Assemblea il primo giorno 
non festivo del mese di novembre e devono esser vo¬ 
tati entro il 15 dello stesso mese; se presentati dal 
Governo alla Camera in prima lettura, devono essere 
iscritti all’ordine del giorno dell’Assemblea entro tren¬ 
ta giorni dal deferimento alle Commissioni e sottopo¬ 
sti al voto finale entro il 24 dicembre. La procedura 
si applica anche nell’ipotesi che i lavori del Parlamen¬ 


to siano sospesi nel corso di crisi di Governo. Un'ana 
Ioga proposta verrà quanto prima presentata alla Ca¬ 
mera, sempre dagli esponenti della Sinistra Indipen¬ 
dente. 

• • • 

Gli indipendenti di sinistra si sono dichiarati deci¬ 
samente contrari alla proposta di annullare le elezio¬ 
ni già svolte per le elezioni dei Comitati del CNR abi¬ 
litati alla distribuzione dei 40 miliardi per la ricerca 
scientifica. A seguito del dissenso, il ministro della 
Ricerca Scientifica, on. Romita, è intervenuto alla 
Conferenza dei capi-gruppo del Senato. Il presidente 
del gruppo, Luigi Anderlini, ha dichiarato che « è inac¬ 
cettabile che il Governo pretenda che il Parlamento 
decida per legge di bruciare schede già votate e che 
si voglia per legge (con la copertura del Parlamento) 
annullare un atto amministrativo, come il decreto del 
Presidente del Consiglio che ha indetto la legge. Quel 
poco di buono — ha proseguito Anderlini — che c’era 
nella legge sulla docenza universitaria, cioè l’affidare 
a un organo elettivo, quello che finora avevano fatto 
solo gli amici del ministro e funzionari della P.I., sa¬ 
rebbe vanificato ». 

• • • 

Un ampio e analitico intervento ha svolto, nel cor¬ 
so della discussione alla Camera sul bilancio di previ¬ 
sione, l’on. Spaventa, indipendente di sinistra. 

Dopo aver detto che il Ministero delle Finanze ha 
compiuto dei veri « esperimenti di laboratorio, aggiun¬ 
gendo, sottraendo e modificando ripetutamente le po¬ 
ste di bilancio, tanto è vero che le note di variazioni 
non sono riuscite a tener dietro a tanta inventiva », 
Spaventa ha ripercorso « le tappe » della storia a par¬ 
tire dall’ormai famoso « decretone » che prevedeva uria 
modifica del regime dell’ILOR, mai approvato e so¬ 
stituito da una serie di leggi ordinarie e da un decre¬ 
to. Il modo di procedere del Governo e della maggio¬ 
ranza — ha concluso Spaventa — è riuscito a produrre 
il « massimo di complessità legislativa » e non è in 
grado di garantire ai cittadini « un minimo di cer¬ 
tezza ». 

• • • 

Vincenzo Marrone, ex componente della segreteria 
del PSI di Temi, e Giorgio Antonucci, vice-presidente 
dell’Azienda Turismo di Terni, hanno lasciato il PSI 
ed hanno chiesto, con una lettera in cui motivano la 
decisione, di aderire alla Sinistra Indipendente. Da 
lungo tempo militanti del PSI, i due esponenti scri¬ 
vono che la decisione di aderire agli indipendenti di 
sinistra avviene non « sull’onda di una momentanea 
delusione », ma dopo « una pausa di riflessione ». Nel¬ 
la lettera, Vincenzo Marrone afferma che il PSI ha 
visto, « nell’arco di pochi anni trasformata la propria 
composizione sociale e quindi il soggetto politico da 
essa rappresentato ». L’attuale Partito Socialista, nel¬ 
l’attuale fase politica — sostiene ancora Marrone — 
sembra interpretare il ruolo di pendant di una « ri¬ 
volta moderata che ha come interpreti principali la 
DC e vasti settori della borghesia italiana ». Insomma, 
il PSI ha mutato volto e i due militanti non si ricono¬ 
scono più in esso. • 


L'Astrolabio - quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1981 


13 













MONOCAMERALISMO: SI O NO? 


di Massimo Carli e Raffaella Leone 

Crisi delle istituzioni e dei partiti, distacco progressivo e sempre più accentuato tra 
Paese legale e Paese reale, Parlamento paralizzato dalla pioggia di decreti-legge e leggine, Esecutivo 
in balia dei « direttori » e dei vertici dei partiti della maggioranza: gli ultimi, più clamorosi esempi 
di ingovernabilità hanno rafforzato e riportato in primo piano anche un dibattito 
da tempo aperto — sul problema della riforma delle istituzioni. E’ una riflessione in 
corso soprattutto tra le forze della sinistra. Il Psi si presenta al Congresso con una serie di proposte 

di riforma istituzionale, messe a fuoco anche in un recente convegno. L’orientamento della 

maggioranza del Partito socialista, stando a quanto è emerso dal convegno, punta 
essenzialmente ad una revisione dei meccanismi elettorali (sia per quanto riguarda l'eiezione del 
Senato che per la possibilità di introdurre correttivi alla proporzionale) e, in linea di 
massima, guarda con favore ad un sistema bicamerale « corretto ». A sua volta il Pei ha risposto alla 
« provocazione » socialista alzando il tiro e presentando un pacchetto organico di 
proposte di « ingegneria istituzionale » che riprendono ed ampliano un discorso di difesa e piena 
attuazione della Costituzione, e di attenzione alle nuove forme di espressione politica di 
una società moderna da tempo avviato nel partito. Tra le proposte comuniste, 

che riguardano nel complesso l'assetto istituzionale e gli stretti legami tra i vari « circuiti » (attraverso 

la sottolineatura che gli interventi più incisivi sono quelli che tendono a ricostruire 
I intero tessuto istituzionale, sviluppando i collegamenti tra i diversi apparati) la più caratterizzante, 
quella di maggior rilievo (anche costituzionale) e quella che maggiormente farà discutere 
è il monocameralismo. Oggi il Pei propone apertamente di ridurre le Camere ad 
una sola: sulla questione « L'Astrolabio » ha aperto un confronto, con gli interventi di Luigi Anderlini e 
Giuseppe Branca, e le risposte al nostro questionario di Francesco Paolo Bonifacio (De), 
Federico Coen (Psi), Stefano Rodotà (S. I.), Ugo Spagnoli (Pei). 


14 


L'Astrolabio quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1981 













Dalla provocazione al 

di Luigi Anderlini 


Il gran discorrere che si fa di 
riforme costituzionali (grandi e pic¬ 
cole) da qualche settimana a qresta 
parte ha tutto il sapore di una po¬ 
lemica largamente pretestuosa. 

Come se riforme costituzionali in 
Italia non se ne fossero fatte nei 
trentatré anni di vita della Costitu¬ 
zione, come se impegnativi proget¬ 
ti di riforma fossero stati presentati 
solo negli ultimi mesi. 

E’ vero che la « memoria » stori¬ 
ca dei nostri polemisti e anche di 
molti politici è piuttosto corta, ma 
non credo sia lecito dimenticare che 
almeno tre riforme costituzionali 
sono state introdotte nel nostro or¬ 
dinamento, per ricordare solo quel¬ 
le di un certo rilievo. 

Valga il vero. 

Nel febbraio 1963 si modificò la 
norma che stabilisce una diversa 
durata della legislatura per la Ca¬ 
mera e il Senato (rispettivamente 5 
e 6 anni nella Costituzione del ’48), 
rendendo così assolutamente « ugua¬ 
le » il nostro bicameralismo e ri¬ 
ducendo nei fatti alla metà le con¬ 
sultazioni politiche generali negli ul¬ 
timi trent'anni. Non fu riforma da 
poco. 

Sempre nel ’63 si fissò a un li¬ 
vello assai elevato il numero dei 
membri delle due Camere (nella Co¬ 
stituzione del ’48 si stabiliva un rap¬ 
porto tra popolazione ed eletti). 
Anche questa (tenuto conto che il 
nostro Parlamento è tra i più nu¬ 
merosi del mondo) non fu riforma 
di poco conto. Alcune difficoltà del 
funzionamento della Camera deri¬ 
vano dal fatto che una assemblea 
di oltre 600 persone è difficilmente 
governabile. 

Nel dicembre dello stesso anno si 
diede vita alla ventesima regione, 
il Molise, accettando una rivendica¬ 
zione localistica non priva di fon¬ 
damento ma che trovava certamen¬ 
te la sua spinta di fondo in una 
volontà di creare nel sud una ul¬ 
teriore struttura burocratico-clien- 
telare. 

* * * 

Per due decenni almeno (dal '48 al 
'68) la sinistra, salvo la parentesi 
del '63 molto spesso dimenticata, si 
arroccò attorno alla parola d’ordi¬ 
ne: tutta la Costituzione, niente al¬ 
tro che la Costituzione. Nella stret¬ 
ta difensiva, nel clima della guerra 
fredda non c’era altro da fare. Fu, 
per molti versi, una battaglia vin¬ 
cente: restarono aperte le vie allo 
sviluppo della democrazia italiana, i 


fautori della guerra fredda furono 
sconfitti nel segno della distensione 
c del dialogo Est-Ovest. 

All’inizio degli anni '70 anche a 
sinistra si comincia ad avvertire 
l’esigenza di non considerare la Co¬ 
stituzione un tabù. Mentre fino ad 
allora si era considerato che muove¬ 
re anche un solo mattone dell’edifi¬ 
cio poteva comportare il rischio di 
un crollo, dal 70 in poi ci si rende 
conto che ritocchi, aggiornamenti, 
revisioni sono possibili, salvo, s’in¬ 
tende, la salvaguardia dei princìpi 
fondamentali. 

Ricorderò un convegno fiorentino 
dei primi anni 70 (relatore Predie- 
ri) e un dibattito assai denso alle 
Frattocchie degli anni successivi, ri¬ 
corderò anche che è del 75 la pri¬ 
ma presentazione di tre progetti di 
revisione costituzionale, sul tema 
specifico della funzionalità e della 
collocazione del Parlamento, che 
portano la mia firma. Li ho ripre¬ 
sentati quattro mesi fa, polemica- 
mente, quasi a rimproverare alle 
forze politiche decisive del Paese 
di non averli presi in considerazio¬ 
ne. Forse ne valeva la pena. 

In sintesi si trattava e si tratta di 
stabilire che: 

a) le Camere si riuniscono in se¬ 
duta congiunta e votano congiunta- 
mente non solo nei casi attualmen¬ 
te previsti dalla Costituzione ma 
anche nel dibattito sull’investitura 
di un nuovo governo e nella discus¬ 
sione del bilancio e della legge fi¬ 
nanziaria. Era un modo di sempli¬ 
ficare, razionalizzare il lavoro dei 
due rami e di dare una modesta 
spinta in direzione del monocamera¬ 
lismo considerato che esso — a me¬ 
no di eventi rivoluzionari — è sta¬ 
to quasi sempre nell’Occidente il 
risultato della fusione delle due Ca¬ 
mere precedenti. Non tenevo conto 
allora, sette anni fa, che mille par¬ 
lamentari sono troppi ma ho per 
scusante che non avevamo ancora 
eletto i mille consiglieri regionali. 

b) Anche da noi, come nella 
RFT, avrebbe avuto vigore il prin¬ 
cipio del tacito consenso per cui se 
una delle due Camere approva una 
legge e se l’altra non chiede (a mi¬ 
noranza qualificata) di discuterla 
entro 20 giorni la legge s’intende 
approvata. Lascio immaginare al let¬ 
tore quali effetti avrebbe avuto una 
norma di questo genere nella vicen¬ 
da politica italiana degli ultimi anni. 

c) Che per differenziare il la- 


confronto 


voro del Senato da quello della Ca¬ 
mera bisognava dotare il primo di 
ben più consistenti poteri di con¬ 
trollo e di indagine (potere di in¬ 
chiesta alle Commissioni permanen¬ 
ti, strutture operative di controllo), 
lasciandogli sul piano legislativo il 
ruolo di recupero e di rettifica sulle 
questioni di rilievo, secondo la re¬ 
gola del tacito consenso. 

★ * * 

Mi domando adesso se la ripre¬ 
sentazione di quei disegni di legge 
abbia avuto (quattro mesi fa) solo 
carattere provocatorio. Credo che 
tutto sommato essi possano servire 
ancora come indicazione di un punto 
di incontro tra proposte tanto di¬ 
verse e contrastanti. 

Quando avanzai le mie proposte, 
mi sentii dire da un autorevole 
esponente comunista che, poiché es¬ 
se contenevano una pericolosa cari¬ 
ca monocameralista, erano da re¬ 
spingere o almeno da insabbiare. 
Così di fatto è stato e non solo per 
opera dei comunisti, s’intende. Oggi 
rischio di trovarmi spiazzato, io 
modesto emendatore del sistema, di 
fronte alla perentoria richiesta di 
« abolire il Senato » che viene da 
tante parti e alla scelta di Berlin¬ 
guer per l’unicameralismo. 

Avverto anche come le richieste 
socialiste che toccano altri punti 
del nostro sistema costituzionale, 
in alcuni casi (come quello sull’in¬ 
dipendenza della magistratura) in 
maniera da incidere sui princìpi di 
fondo, mal si conciliano con le mie 
proposte di allora che erano (e re¬ 
stano) non una provocazione pole¬ 
mica ma un tentativo di individuare 
l’area di consenso sufficiente ad af¬ 
frontare quei necessari aggiusta¬ 
menti al nostro sistema costituzio¬ 
nale che trentatré anni di vita della 
Repubblica rendono utili ed oppor¬ 
tuni. 

Resto dell’opinione che il terreno 
da me indicato allora possa ancora 
oggi servire come indicazione per 
un approccio costruttivo, per un 
dialogo da fare ormai in forme rav¬ 
vicinate. Potrebbe anche servire a 
svelenire le polemiche in corso, a 
dare ad esse una dimensione non 
negativa, non logorante nei rapporti 
interni della sinistra. Una cosa mi 
pare certa: comunque si vogliano 
giudicare le mie proposte di allora, 
vale la pena che, serenamente, di 
esse e del resto si discuta sulle pa¬ 
gine di questa rivista. 


L’Astrolabio • quindicinale • n. 7 • 12 aprile 1981 


15 




Le domande dell’Astrolabio 


1) L'ipotesi monocamerale è o no 
— secondo Lei — la più rispondente 
ad assicurare il miglior funziona¬ 
mento del Parlamento e anche la 
più immediata e più completa for¬ 
ma di rappresentanza degli interessi 
per la sua idoneità a restituire tra¬ 
sparenza e controllabilità alle isti¬ 
tuzioni pubbliche? 

2) Le sembra che un’opzione mo¬ 
nocamerale sia o no maggiormente 
in grado, rispetto all’attuale bicame¬ 
ralismo perfetto e alle ipotesi di bi¬ 
cameralismo corretto, di offrire uno 
spazio più incisivo anche per le atti¬ 


vità di controllo svolte dall’istituto 
parlamentare? 

3) Se il problema è quello di as¬ 
sicurare maggiore efficienza al Par¬ 
lamento ed un più stretto collega¬ 
mento tra istituzioni e società, la so¬ 
luzione deve passare prioritariamen¬ 
te attraverso una modifica delle 
« forme » della rappresentanza (cor¬ 
reggendo ad esempio il sistema elet¬ 
torale proporzionale) o attraverso un 
intervento sugli strumenti della de¬ 
cisione politica (una riforma sostan¬ 
ziale del Parlamento e del governo)? 


4) Pensa che questa attenzione 
verso misure — anche tecnicamente 
dettagliate — che toccano i mecca¬ 
nismi di funzionamento degli appa¬ 
rati statali sia una novità nella col¬ 
tura istituzionale della sinistra, e 
quale grado di efficacia esse posso¬ 
no conseguire? Può cioè l’uso di si¬ 
nistra dell’« ingegneria istituziona¬ 
le » garantire contemporaneamente 
maggiore funzionalità del Parlamen¬ 
to ed una decisionalità che rispec¬ 
chi pienamente l’articolazione delle 
domande sociali: garantire conte¬ 
stualmente, in una parola, più rap¬ 
presentanza e più decisione? 



1-2) L’esperienza italiana induce 
ormai a ritenere l’ipotesi monoca¬ 
merale come quella più adeguata 
ad una situazione in cui è forte la 
richiesta di un Parlamento capace 
sia di decisioni rapide che di atti¬ 
vità incisive di controllo. S’intende, 
tuttavia, che non avrebbe senso pas¬ 
sare dal bicameralismo al monoca¬ 
meralismo lasciando immutato l'in¬ 
sieme di attività oggi svolte in sede 
parlamentare. Mi riferisco special- 
mente alla folla di microfunzioni 
svolte dalle Camere, dalle leggine ad 
un sindacato ispettivo che giunge fi¬ 
no alla mancata concessione di ima 
singola pensione dell’Inps. 

Il passaggio al monocameralismo, 
allora, dovrebbe costituire l’occasio¬ 
ne per portare a termine tre opera¬ 
zioni: una delegificazione che, con 
adeguate garanzie, trasferisca al go¬ 
verno ed alle regioni una quota con¬ 
sistente del lavoro attualmente svol¬ 
to in forma legislativa dalle Came¬ 
re (e, conseguentemente, questa nuo¬ 
va ripartizione di competenze boni¬ 
ficherebbe anche l’attività di con¬ 
trollo); una riorganizzazione della 
struttura e delle procedure parla¬ 
mentari (tipo e competenze delle 
commissioni; rapporto tra lavoro le¬ 
gislativo in commissione e lavoro 
in aula; procedura di conversione 
dei decreti legge); un ampliamento 
dei poteri diretti di informazione e 
di controllo verso il governo e l’am¬ 
ministrazione (con conseguente ade¬ 
guamento dell’organizzazione e del¬ 
le competenze dello staff parlamen¬ 
tare e dei servizi a disposizione dei 
parlamentari). Inoltre, e come ef- 


RODOTÀ 
Una sola 
Camera 
come avvio 
di riforme 



letto delle operazioni appena ricor¬ 
date, dovrebbe essere messa a pun¬ 
to una integrazione tra funzione le¬ 
gislativa e funzione di controllo dal¬ 
lo specifico punto di vista della va¬ 
lutazione dell’attuazione delle leggi: 
al posto di un controllo rappresen¬ 
tato da una « seconda lettura » delle 
leggi dovrebbe esserne messo a pun¬ 
to uno che « legga » le leggi appro¬ 
vate alla luce dell’esperienza con¬ 
creta e solleciti interventi di ade¬ 
guamento. 

Per questa via non solo potrebbe 
essere recuperata una maggiore ef¬ 
ficienza parlamentare, ma verrebbe 
pure realizzato un concreto sposta¬ 
mento dell’attività verso le funzioni 
di indirizzo e controllo di carattere 
generale. E lo stesso singolo parla¬ 
mentare vedrebbe significativamen ! 
te modificato il propiio ruolo, con 
una netta caduta delle funzioni di 
rappresentanza puramente locali e 
sezionali. 


3) Mi sembra comunque necessa¬ 
rio ridisegnare il circuito parlamen¬ 
to-governo: e questo non solo per 
assicurare ad esso una maggiore 
fluidità in termini di decisione e 
controllo, ma soprattutto per comin¬ 
ciare a ripensare concretamente 
quali siano i luoghi istituzionali in 
cui collocare i poteri di decisione e 
di controllo. E’ ovvio che ciò com¬ 
porterebbe anche l’uscita di molti 
poteri da quel circuito (in direzione 
degli enti locali, per esempio), così 
ponendo concretamente anche il pro¬ 
blema di una redistribuzione del 
potere nell’organizzazione sociale. 
Un intervento che privilegiasse, in¬ 
vece, solo la modifica del sistema 
elettorale rischierebbe di deprimere 
proprio la capacità rappresentativa 
dell’istituzione parlamentare, con 
eventuali effetti di frizione tra una 
sede parlamentare fortemente selet¬ 
tiva e una organizzazione istituzio¬ 
nale tendente a legittimare doman¬ 
de e forme organizzative più diret¬ 
tamente espressive della dinamica 
sociale. 

4) L’attenzione della cultura di si¬ 
nistra per i temi istituzionali non è 
certamente una novità. Nuove, in¬ 
vece, possono essere considerate la 
disponibilità anche a modifiche che 
tocchino alcuni punti della Costi¬ 
tuzione e la consapevolezza acquisi¬ 
ta dai partiti della importanza dei 
temi istituzionali. Ora, è venuto il 
momento di confronti più serrati, 
sia per valutare in concreto la por¬ 
tata delle varie proposte, sia per ve¬ 
rificarne la realizzabilità nella pre¬ 
sente situazione italiana. 


16 


L'Astrolabio - quindicinale • n. 7 • 12 aprile 1981 

















Da un ricorso accorto alle risorse 
dell'« ingegneria istituzionale » pos¬ 
sono venire indubbi benefici, a con¬ 
dizione che ciò non si risolva nella 
tendenza o tentazione a modificare 
soltanto i circuiti di vertice dell'or¬ 
ganizzazione pubblica. Ritengo, an¬ 
zi, che solo una attenta considera¬ 
zione dell’insieme del sistema socio¬ 
istituzionale consenta di sfuggire ai 
rischi (di inefficienza e di autorita¬ 
rismo) di una progettazione che pen¬ 
si di risolvere problemi sempre più 
complessi affidandoli ad un unico 
centro di decisione. 

Stefano Rodotà 



BONIFACIO 
Meno leggi 
ma due Camere 

1) Non credo che l’esigenza di 
maggiore efficienza del Parlamento 
passi attraverso l’ipotesi di una ri¬ 
forma del sistema da bicamerale a 
monocamerale. L’esperienza dimo¬ 
stra che riforme di grande rilevan¬ 
za, intorno alle quali si sia formata 
una convergenza politica, non hanno 
visto ritardato il loro percorso a 
causa della duplice, necessaria ap¬ 
provazione a Montecitorio ed a Pa¬ 
lazzo Madama (ad esempio, la ri¬ 
forma di polizia) e, viceversa, che 
altre riforme, sulle quali c’è dissen¬ 
so, non sono state varate neppure 
da uno dei due rami del Parlamen¬ 
to, e, quindi, sarebbero inoperanti 
anche nell’ambito di un sistema mo¬ 
nocamerale (ad esempio, la riforma 
delle autonomie locali). 

2) La funzione di controllo (alla 
quale aggiungerei la funzione di in¬ 
dirizzo) resterà compressa ed avvi¬ 
lita finché il Parlamento, prendendo 
atto delle novità del nostro tempo, 
non avrà razionalizzato ed ammo¬ 
dernato la funzione legislativa. Non 
c'entra il sistema bicamerale. C’en¬ 
tra, invece, la cosiddetta « delegifi¬ 
cazione », vale a dire una legisla¬ 
zione per princìpi e criteri direttivi, 
che lasci al governo spazio sufficien¬ 
te per l’esercizio della sua istituzio¬ 


nale di potestà regolamentare. C’en¬ 
tra la legislazione per principi in 
tutte le materie trasferite alle Re¬ 
gioni; c’entra, infine, la doverosa 
astensione dal legiferare intorno a 
settori coperti dalla normativa co¬ 
munitaria. Liberatosi dal peso di 
un’attività legislativa di dettaglio, il 
Parlamento potrà diventare sede 
dei grandi dibattiti di indirizzo po¬ 
litico e potrà potenziare la sua, oggi 
impoverita, funzione di controllo. 
Ma perché questa possa essere eser¬ 
citata nella sua pienezza, occorre 
che il Parlamento disponga di ade¬ 
guate strutture strumentali. Finché 
esso sarà costretto ad assumere at¬ 
traverso il governo e la pubblica 
amministrazione — e, cioè, attraver¬ 
so i soggetti « controllati » — la 
massa delle necessarie informazio¬ 
ni, la funzione di controllo resterà, 
come ora è, formale ed apparente. 

3) L’abolizione del sistema pro¬ 
porzionale si muoverebbe nella di¬ 
rezione opposta a quella sollecitata 
da un più stretto collegamento fra 
istituzioni e società. La proporziona¬ 
le proietta nel Parlamento il plura¬ 
lismo presente nella nostra società. 
Si possono introdurre ritocchi che 
incentivino l’aggregazione di piccole 
forze omogenee, ma non si può tra¬ 
dire il nucleo fondamentale del si¬ 
stema proporzionale senza correre 
il rischio di una riduzione « artifi¬ 
ciale » della rappresentatività del 
Parlamento e senza determinare il 
gravissimo danno legato ad un pre¬ 
vedibile « scontro frontale » fra le 
forze politiche. Un diverso modo di 
esercizio delle funzioni del Parla¬ 
mento e la restituzione al governo 
delle attribuzioni sue proprie sono i 
canali attraverso i quali si può assi¬ 
curare l'efficienza della decisione 
politica. 

4) Le novità della cultura istitu¬ 
zionale della sinistra sta nella di¬ 
sponibilità, oggi dichiarata, al dibat- 
j ito intorno alle istituzioni ed a ra¬ 
gionevoli riforme. Giudico positiva- 
mente l’iniziativa di Craxi e del 
Psi, perché ritengo, — al di là delle 
valutazioni delle singole proposte 
— che l'iscrizione dei proble¬ 
mi istituzionali all’ordine del gior¬ 
no deH’imminente congresso co¬ 
stituirà, per tutti i partiti de¬ 
mocratici, una spinta ad uscire allo 
scoperto, abbandonando lo sterile 
colloquio a distanza. Gli effetti po¬ 


sitivi già si riscontrano nelle propo¬ 
ste che il Partito comunista ha or 
ora formulato e nell’atteggiamento 
di disponibilità che la Democrazia 
cristiana viene assumendo. Mi pia¬ 
ce l’interrogativo col quale si chiu¬ 
de l’ultima vostra domanda. Biso¬ 
gna essere molto prudenti nelle 
scelte, badando a che il rafforza¬ 
mento delle capacità decisionali del 
sistema non si realizzi a spese della 
sua rappresentatività. Solo in que¬ 
sto modo si può sbarrare la via a 
manovre di riflusso che potrebbero 
pericolosamente e subdolamente in¬ 
serirsi in un discorso riformatore. 
Molti tentano di leggere la rifonda¬ 
zione della repubblica come fonda¬ 
zione di una seconda repubblica. 
Bisogna far capire che questo ten¬ 
tativo è destinato al fallimento. 

Francesco Paolo Bonifacio 



SPAGNOLI 
Una sola 
Camera: 
scelta 

coraggiosa e 
indispensabile 

1) Sono profondamente convinto 
che la soluzione monocamerale ri¬ 
sponda ad entrambe le esigenze po¬ 
ste dalla domanda. Le difficoltà del 
Parlamento derivano, per buona 
parte, anche se non esclusivamente, 
dalla espansione sempre crescente 
delle domande che emergono dalla 
società, dalle esigenze di un con¬ 
trollo più incisivo e diffuso, anche 
con riferimento ai nuovi compiti 
che gli sono stati demandati, so¬ 
prattutto negli ultimi anni. 

Si riflettono infatti sul Parlamen¬ 
to le domande di decisioni .sulle 
grandi scelte produttive del Paese, 
su questioni sociali di grande rilie¬ 
vo, sul modo come deve essere dato 
uno sviluppo programmato all’eco- 
nomia del Paese. 


L’Astrolabio - quindicinale • n 7 • 12 aprile 1981 


17 












Si sono accumulate su questi e 
su altri temi (quali quelli attinenti 
ai problemi istituzionali, dell’ordi¬ 
namento dello Stato e dei suoi ap¬ 
parati, dei diritti civili) questioni 
non risolte, che da anni si trascina¬ 
no, mentre le esigenze di controllo 
sull’esecutivo si sono fatte più pres¬ 
santi sia in relazione ai nuovi poteri 
del Parlamento sia in relazione al 
preoccupante diffondersi di proces¬ 
si degenerativi in vari settori della 
attività pubblica. 

In questa situazione — e anche 
in relazione alla incapacità dei go¬ 
verni di esprimere e di sostenere un 
proprio coerente programma e di 
compiere selezioni e scelte — si c 
determinata una forte divaricazione, 
destinata ad accrescersi, tra le in¬ 
combenze complessive che gravano 
sul Parlamento in relazione alle sue 
funzioni e la sua capacità di prende¬ 
re decisioni o di svolgere e definire 
con tempestività attività ispettive 
e di controllo. 

La consapevolezza di questa situa¬ 
zione, certamente allarmante, e del¬ 
le ripercussioni negative che da es¬ 
sa possono e potranno derivare allo 
intero sistema istituzionale, pone in 
termini concreti l’urgenza di solu¬ 
zioni che rendano più razionale ed 
efficiente il lavoro del Parlamento, 
riducendo i passaggi delle procedu¬ 
re legislative, eliminando i momen¬ 
ti ripetitivi e rendendo complessiva¬ 
mente più rapidi e snelli i lavori 
parlamentari. 

Non vi è dubbio che il bicamera¬ 
lismo costituisce fonte di forti fi¬ 
tardi, di rilevante allungamento dei 
tempi, di duplicazione delle discus¬ 
sioni e di una serie di altre attivi¬ 
tà, di un forte appesantimento del 
lavoro parlamentare in tutti i suoi 
aspetti. Si tratta di un dato agevol¬ 
mente dimostrabile per la sua im¬ 
mediata rilevanza, e i cui effetti ne¬ 
gativi superano oggi di gran lunga i 
vantaggi del bicameralismo. 

Ogni discorso sulla efficienza del 
Parlamento, per essere davvero cre¬ 
dibile, non può perciò non muovere 
da questo dato di fondo, da questo 
nodo che deve essere seriamente af¬ 
frontato e risolto, e che non può 
trovare surrogati validi. La riforma 
dei regolamenti è indispensabile, ma 
certamente non sufficiente. La dele¬ 
gificazione e il decentramento legi¬ 
slativo sono da anni invocati senza 
risultato, e comunque richiedono 


tempi assai lunghi, sempreché ci si 
decida ad avviare con coerenza que¬ 
sto pur utilissimo processo. Neppu¬ 
re credo siano possibili soluzioni che 
distribuiscano le funzioni tra le due 
Camere, per la grande difficoltà di 
scindere in modo netto la attività 
legislativa da quella del controllo. 

Occorre avere perciò il coraggio 
di avviare il nostro sistema parla¬ 
mentare ad una soluzione monoca¬ 
merale, con una scelta che appa¬ 
re oggi sempre più indispensabile 
ed anche urgente, se vogliamo dare 
funzionalità ed efficienza al Parla¬ 
mento. 

2) Certamente. E' sufficiente in¬ 
fatti riflettere ai problemi che sor¬ 
gono dal fatto che, per varie ragioni, 
le commissioni di inchiesta ed altre 
che svolgono attività di controllo 
sono bicamerali: il che comporta 
una rilevante lentezza dei loro lavo¬ 
ri, per la diversa disponibilità dei 
componenti in relazione ai rispetti¬ 
vi impegni nelle singole Camere. 
E ciò vale anche per la duplicazio¬ 
ne delle attività conoscitive, dello 
stesso sindacato svolto con lo stru¬ 
mento della interrogazione. 

E’ ben chiaro che una soluzio¬ 
ne monocamerale richiederà neces¬ 
sariamente una diversa organizza¬ 
zione del lavoro, tale da consen¬ 
tire che l’attività di controllo 
possa svolgersi in modo incisivo, evi¬ 
tando il più possibile l'accumulo di 
incarichi, soprattutto potenziando e 
concentrando le strutture camerali, 
e dando una ben diversa estensione 
alla informazione. Una sola Camera 
potrebbe essere organizzata in mo¬ 
do davvero moderno, e fornire ai 
suoi componenti — il cui numero 
in ogni caso dovrà essere ridotto — 
e alle sue articolazioni, gli strumen¬ 
ti necessari per svolgere una attivi¬ 
tà incisiva ed efficace. 

3) La modifica del sistema propor¬ 
zionale non darebbe alcuna maggio¬ 
re efficienza al Parlamento, ma lo 
priverebbe di un suo connotato ir- 
rinunziabile, quello di essere lo 
« specchio del Paese », di rappresen¬ 
tare la diversità delle posizioni, an¬ 
che minoritarie, presenti nella socie¬ 
tà. Questo è un dato peculiare della 
nostra democrazia, caratterizzata 
da un rapporto tra istituzioni e so¬ 
cietà tale da recepirne le varie ar¬ 
ticolazioni e da rispettare il plura¬ 
lismo. . 

Nessun accorpamento forzoso, e 
tanto meno nessuna escogitazione 


di apparentamenti, o premi di mag¬ 
gioranza di qualsiasi specie sarebbe 
idoneo a risolvere problemi che so¬ 
no esclusivamente politici. 

Per questo ritengo del tutto ne¬ 
gativo sia sotto l’aspetto della effi¬ 
cienza del Parlamento, sia sotto 
quello del collegamento tra istitu¬ 
zioni e società, ogni modifica del si¬ 
stema elettorale proporzionale. 

Il problema di una maggiore ca¬ 
pacità decisionale del nostro siste¬ 
ma istituzionale deve essere invece 
affrontato sul terreno della riforma 
del Parlamento e del governo. Per 
il Parlamento ho già espresso la mia 
opinione sulla necessità di supera¬ 
re il bicameralismo e di ridurre il 
numero dei parlamentari: ma le ri¬ 
forme dovranno altresì investire i 
regolamenti delle Camere facendo 
della programmazione un metodo 
realmente operante di organizzazio¬ 
ne dei lavori, di selezione e di coor¬ 
dinamento, snellendo le procedure 
legislative, individuando controlli 
incisivi sulla rispondenza dei decre¬ 
ti-legge ai presupposti costituziona¬ 
li, ristrutturando le Commissioni 
permanenti, potenziando le struttu¬ 
re. 

Ma il problema più rilevante per 
dare maggior efficienza e capacità 
decisionale al sistema, riguarda il 
governo. Io ritengo che sia errato 
e per molti versi strumentale accen¬ 
trare la attenzione soprattutto — 
quando non esclusivamente — sulle 
carenze del Parlamento. Il punto 
di maggior debolezza del sistema è 
invece costituito dal governo, dalla 
sua struttura ministeriale pletorica 
e irrazionale, dalla mancanza di 
coordinamento e dalla debolezza del¬ 
la sua direzione: una struttura su 
cui si riflette negativamente lo 
stesso metodo con il quale avviene 
la scelta dei ministri, su designazio¬ 
ne delle correnti e dei partiti della 
coalizione. Fino a che il governo sa¬ 
rà costituito da quella che è stata 
definita una « somma di feudi », 
sino a che il Consiglio dei Ministri 
non diverrà un organo effettivamen¬ 
te collegiale e al Presidente del Con¬ 
siglio non saranno consentiti poteri 
di impulso e di direzione politica 
— e non di mera mediazione tra i 
ministri, o tra i segretari dei partiti 
della coalizione, — il governo conti¬ 
nuerà a rimanere un organo incapa¬ 
ce di perseguire indirizzi chiari e 
coerenti e di dare anche una parzia¬ 


le 


L’Astrolabio - quindicinale • n. 7 - 12 aprile 1981 



le attuazione ad un programma che 
non sia limitato ad un puro e ripe¬ 
titivo elenco di propositi da annun¬ 
ziarsi all'atto di ogni investitura. 
Né è possibile dare un minimo di 
credito ad ogni proclamazione di vo¬ 
lontà riformatrice o di intendimen¬ 
ti efficientistici sino a che non si 
comincerà ad avviare concretamen¬ 
te e con urgenza upa riforma che 
da tutti i governi, succedutisi in 
trent’anni, è stata dichiarata urgen¬ 
te e irrinunziabile: la legge sulla 
Presidenza del Consiglio. 

4) Vi è stata, negli anni recenti, 
una maggiore attenzione della sini¬ 
stra ai problemi delle strutture, del 
funzionamento, della capacità deci¬ 
sionale delle istituzioni centrali, Par¬ 
lamento e Governo, e dell’ammini- 
strazione dello Stato nel suo com¬ 
plesso. 

Talora, tuttavia, la cultura isti¬ 
tuzionale è stata portata a smarrire 
i dati politici che sono al fondo dei 
problemi o per altro verso ad esco¬ 
gitare modelli istituzionali come 
strumento per realizzare determina¬ 
te ipotesi politiche. Al di là di que¬ 
ste forzature, che hanno diminuito 
sensibilmente la credibilità dell’in¬ 
gegneria costituzionale, è stato po¬ 
sitivo lo sforzo di analisi dei mec¬ 
canismi e delle ragioni del loro in¬ 
ceppamento o delle strozzature, o 
delle deviazioni connesse al modo 
di esercizio ultratrentennale del po¬ 
tere democristiano. 

Nella sinistra esistono oggi diffe¬ 
renze sensibili sul modo come dare 
al nostro sistema istituzionale ca¬ 
pacità di decisione, ampliando nel 
contempo i rapporti con la società 
e accrescendo la capacità di sintesi 
delle domande che da queste emer¬ 
gono. Ma il problema di fondo, an¬ 
che per ciò che riguarda le istitu¬ 
zioni, è pur sempre quello che at¬ 
tiene al dato politico. La crisi delle 
istituzioni non può essere compresa 
se non la si rapporta alla politica che 
è stata seguita per tanti anni, al ti¬ 
po di sviluppo imposto al Paese, al¬ 
la preclusione ad ogni ricambio di 
direzione politica. 

Il problema del funzionamento 
delle istituzioni richiede necessaria¬ 
mente che si affrontino questi nodi 
politici: gli stessi aggiornamenti, 
pur necessari, della Costituzione, ri¬ 
chiedono che si ritorni alla Costitu¬ 
zione, ponendo termine a pratiche 
che con questa confligpono. Se non 
si percorre questa strada, è difficile 


pensare che si voglia davvero dare 
maggiore funzionalità e capacità di 
decisione alle nostre istituzioni. Que¬ 
sta volontà non si misura sulla ba¬ 
se di esercitazioni ingegneristiche 
più o meno spericolate, ma affron¬ 
tando sia i problemi politici reali, 
sia le riforme che sono da tempo 
mature, come la Presidenza del Con¬ 
siglio, l’Inquirente, i regolamenti 
parlamentari, i problemi della strut¬ 
tura del governo e della pubblica 
amministrazione. Su questi temi po¬ 
litici e istituzionali occorre perciò 
concretamente misurarsi, per usci¬ 
re da un sostanziale immobilismo, 
anche se mascherato dal ricorrente 
rilancio di campagne sulla riforma 
istituzionale. Su essi il confronto 
deve uscire dalla genericità ed e\*- 
trare nella fase delle concrete ed ef¬ 
fettive realizzazioni. 


Ugo Spagnoli 



COEN 

Quella del PCI 
è una fuga 
in avanti 

1) L’ipotesi monocamerale avan¬ 
zata dal PCI mi pare una fuga in 
avanti, perché è ovviamente la più 
difficile a realizzarsi (ve lo immagi¬ 
nate il Senato che vota la propria 
soppressione?). Dal punto di vista 
della funzione legislativa, la soppres¬ 
sione della seconda Camera avreb¬ 
be dei vantaggi nel senso dell’ab¬ 
breviazione dei tempi, ma farebbe 
sorgere il problema molto serio del¬ 
la irreversibilità di deliberazioni che 
possono essere viziate da errori tec¬ 
nici (come spesso accade) o dalla 
formazione di maggioranze occasio¬ 
nali. Con un quadro politico fram¬ 
mentato e accidentato come quello 
italiano, una seconda lettura mi pa¬ 
re necessaria. Si può renderla sem¬ 
mai eventuale, lasciando alla secon¬ 
da Camera un potere di richiamo 
delle leggi votate dall’altra. La que¬ 
stione della semplificazione delle 
procedure va affrontata con la ri¬ 
forma dei regolamenti parlamenta¬ 
ri, nonché con la delegificazione. 
Quanto alla rappresentanza, è evi¬ 


dente che 1’esistenza di due Camere 
consente una differenziazione che il 
monocameralismo impedisce (per 
esempio: rappresentanza su base 
naziona’e o regionale o locale ecc.). 

2) Non vedo perché il monocame¬ 
ralismo dovrebbe consentire con¬ 
trolli più incisivi. Non mi pare co¬ 
munque che sia questo il punto 
centrale della questione. 

Anche perché si può sempre ri¬ 
correre, per determinate funzioni 
di controllo, alle Commissioni bica¬ 
merali. 

4) Rispondo prima alla quarta do¬ 
manda, che riguarda gli obiettivi 
della riforma. A mio avviso, non c’è 
contraddizione tra l’esigenza di ga¬ 
rantire « più rappresentanza » e 
quella di garantire « più decisio¬ 
ne », purché sia chiaro che si ha in 
mente la rappresentanza degli in¬ 
dirizzi politici, e non di tutta la 
gamma sterminata degli interessi 
che si riscontrano nella società. Se 
questo è il problema, credo che sia 
un importante passo avanti per la 
sinistra cominciare a capire che la 
cosiddetta ingegneria istituzionale 
può concorrere in modo efficace a 
rendere la società più governabile, 
senza per questo sacrificare la de¬ 
mocrazia politica. 

3) Per quanto detto sopra, sono 
personalmente convinto che il ri¬ 
medio più incisivo sarebbe una leg¬ 
ge elettorale che, in luogo di favori¬ 
re la polverizzazione del quadro po¬ 
litico, come oggi avviene, ne favoris¬ 
se la ricomposizione. Si potrebbe 
cominciare con l’incentivare le ag¬ 
gregazioni, per arrivare poi a una 
clausola di sbarramento di tipo te¬ 
desco (5°/o). Parallelamente (e non 
alternativamente) si tratta di intro¬ 
durre meccanismi di stabilizzazione 
dell’Esecutivo, con una nuova disci¬ 
plina della fiducia parlamentare, di 
rafforzare la posizione del Presiden¬ 
te del Consiglio nell'ambito del go¬ 
verno e di ridurre il carico del la¬ 
voro legislativo del Parlamento. 

A mio parere, i partiti di opposi¬ 
zione (che non si muovano su una 
linea di pura destabilizzazione) sono 
interessati a queste innovazioni non 
meno di quelli di governo. E non 
vedo, soprattutto, come un eventua¬ 
le futuro governo alternativo di si¬ 
nistra potrebbe fronteggiare le gra¬ 
vi desistenze che avrebbe contro 
senza disporre di meccanismi sta¬ 
bilizzanti di questo tipo. 

Federico Coen 


L'Astrolabio ■ quindicinale • n 7 12 aprile 1931 


19 






ILLUSIONI COSTITUZIONALI 

di Giuseppe Branca 


# Di riforme serie, radicali, sostan¬ 
ziose, se ne sono avute poche in Italia: 
riforme previste tutte, anche esplicita¬ 
mente, dalla Costituzione. Come si può 
dire che la carta costituzionale è in¬ 
vecchiata e deve essere rifatta quan¬ 
do ancora, e non per colpa sua, non 
è convenientemente cresciuta? 

Si è stabilito in Italia un rapporto di 
amore-odio per la Costituzione. Una 
buona parte del popolo si può dividere 
in due gruppi: quello di chi davanti a 
qualunque ingiustizia o scorrettezza o 
provvedimento a lui sgradito grida che 
è incostituzionale (come se non esistes¬ 
se altro modello, oltre la carta, per giu¬ 
dicare l'azione degli altri o dello Stato 
o dei detentori del potere); e quella di 
chi, bramoso d'efficienza (governativa 
o no) e largamente insoddisfatto, della 
sua insoddisfazione dà la colpa alla leg¬ 
ge fondamentale dello Stato: come se 
per esempio della disfunzione d'un nu¬ 
cleo familiare fosse specialmente re- 
ponsabile l'alloggio in cui risiede. 

Ma i riformatori, quelli del secondo 
gruppo, oltreché un tantino passionali 
sono anche un poco ingenui: si illudo¬ 
no che possano essere le istituzioni, 
debitamente riformate, a migliorare gli 
uomini: e invece sono gli uomini a peg¬ 
giorare o annichilire qualunque buona 
istituzione. Imponenti, nel cronicario 
delle crisi, sperano o vogliono sperare 
che, ricostruendo, punto e a capo, la 
Repubblica, il male sia sconfitto, i mi¬ 
nistri governino, l'amministrazione cam¬ 
mini, il Parlamento recuperi se stesso. 
Così è che, invitati a precisare i conte¬ 
nuti della molto amata e sospirata Re¬ 
pubblica a venire, cadono spesso i bizan¬ 
tinismi o in errori a cui non danno mol¬ 
to peso: non gliene danno perché la 
speranza-illusione è il sentimento che 
li muove. 

Il male del giorno è, indubbiamente, 
quel che si chiama ingovernabilità. La 
ingovernabilità è tipica dei regimi a for¬ 
mazioni politiche numerose e diverse. 
A soffrirne non è solo il Consiglio dei 
ministri. Anche il Parlamento si perde 
in lungaggini e in pastoie. Il Parlamen¬ 
to. Che cosa si propone? Una sola Ca¬ 
mera con strutture più moderne e red¬ 
ditizie. Ma si riconosce che una rifor¬ 
ma così radicale non è cosa da fare su 
due piedi. Si ripiega perciò da taluni 
sulla differenza di funzioni tra le due 
Camere: una legifera, l'altra controlla. 
Contemporaneamente costoro ed anche 
altri, contrari alla differenziazione dei 
compiti, vorrebbero che una delle due 
fosse a base regionale o corporativa 
(rappresentanze di interessi). Ed è qui 
la contraddizione. La seconda Camera 
a base regionale o corporativa, se aves¬ 


se (come da taluni si propone) le stes¬ 
se competenze della prima, accresce¬ 
rebbe l'ingovernabilità (appunto perché, 
diversa da quella più di quanto non sia 
il Senato rispetto alla Camera attual¬ 
mente, più difficile sarebbe il consen¬ 
so di tutt'e due intorno all'uno o all al¬ 
tro disegno di legge). Se hanno compe¬ 
tenze diverse, è giusto che siano forma¬ 
te diversamente, col pericolo che pre¬ 
valga quella in cui il popolo sia meno 
interamente rappresentato? E qual e la 
più importante delle due funzioni, quel¬ 
la legislativa o quella di controllo-indi- 
rizzo politico? A quale delle due Came¬ 
re attribuire Cuna o l'altra? Problema un 
po' difficile per chi deve partire da ze¬ 
ro. Vi sembra che valga la pena, ora, 
di dedicare una parte delle nostre forze 
se con esse non riusciamo a combatte¬ 
re neanche i mali contingenti? 

La sfiducia costruttiva? Il governo ri¬ 
marrebbe fino a quando non ne venisse 
costituito uno nuovo. Non credo che 
basti per risolvere le crisi. Se il Con¬ 
siglio dei ministri non riesce a governa¬ 
re per la resistenza delle Camere, chi 
gli può impedire di dimettersi? E, se 
non si dimette, come fa a governare 
col Parlamento contrario? Il fatto è che 
il Paese, dove la sfiducia costruttiva è 
stata inventata, vive in regime di bipar¬ 
titismo (imperfetto), il che rende più 
facile la vita dei governi. Non dico che 
quell'istituto sia inattuabile in Italia. Os¬ 
servo soltanto che da noi darebbe me¬ 
no di quanto ci si potrebbe aspettare. 

Da capo. La frammentazione delle 
forze politiche, compresa quella inter¬ 
na dei grandi partiti, è la cosa principa¬ 
le dell'ingovernabilità. Se è cosi, il ri¬ 
medio più esemplare e più efficiente 
dovrebbe essere la riforma della legge 
elettorale. Costringere i partiti all'appa¬ 
rentamento, come in Francia. Troppo fa¬ 
cile! I più seri costituzionalisti francesi 
hanno riconosciuto che l'apparentamen¬ 
to ha giovato soprattutto in direzione 
anticomunista: infatti i partiti minori con 
tutti si apparentano fuorché con il PCI. 
Non siamo più al tempo del Fronte po¬ 
polare sconfitto; il PCI non è più quel¬ 
lo di 30 anni fa neanche presso l'opinio¬ 
ne pubblica, ma va a farlo capire al mo¬ 
mento del voto! 

Dunque è meglio lasciare le cose co¬ 
me stanno. La piaga del giorno è l'as¬ 
senteismo parlamentare. Qui non c'è da 
riformare la Magna Charta. Molte leggi 
passano per il non assenteismo e II sen¬ 
so di responsabilità del Partito comuni¬ 
sta. Sarebbe ora che lo si accogliesse 
a palazzo. Altro che palingenesi costitu¬ 
zionale! Non hanno da essere forze vec¬ 
chie su Costituzione nuova, ma forze 
nuove su Costituzione vecchia! • 


Il problema vero per il sindacato 
non è la moderazione nella 
politica salariale (che c’è stata), 
ma la capacità di orientarla 
verso la ripresa produttiva 
e quindi l'occupazione. 


• Si ignora se fu Flavio Gioia ad in¬ 
ventare la bussola, ma è certo che 
questo strumento non sembra gode¬ 
re in Italia di molta considerazione. 
Abbiamo una maggioranza nata all'in¬ 
segna della governabilità, un’opposi¬ 
zione che vuole essere un’alternativa 
di governo, dei sindacati che si defi¬ 
niscono responsabili e chiedono un 
governo che governi. Sembrerebbe a 
prima vista che la volontà di governa¬ 
re e quindi di avere una politica, una 
maggioranza, un consenso sociale sia¬ 
no indiscussi. Eppure se c’è un paese 
ingovemato in Europa, questo è l’Ita¬ 
lia. Come al tempo dei Comuni cia¬ 
scuna fazione, ciascuna città tenta di 
governare se stessa senza quel disegno 
generale, quella cultura, quella filoso¬ 
fia dell'uso e del fine del potere che 
predicava invano Machiavelli. 

Il contesto economico internazionale 
è dominato da una crescente sindro¬ 
me recessiva. Secondo gli esperti del 
GATT si prevede nei prossimi anni 
una forte riduzione degli scambi in¬ 
temazionali. La stagnazione produtti¬ 
va e soprattutto degli investimenti de¬ 
terminerà una flessione, nei paesi in¬ 
dustrializzati ed in quelli di nuova in¬ 
dustrializzazione, del reddito prodotto. 
Nello stesso tempo, fatto abbastanza 
paradossale, i tassi di interesse conti¬ 
nuano a salire rendendo i costi de¬ 
gli investimenti estremamente elevati. 
Né sarà più facile come nel passato 
indebitarsi sui mercati internazionali. 
I tassi d'inflazione crescono, ma si ac¬ 
centua anche la differenza fra paese 
e paese. Rallenta l’aumento del prezzo 
del petrolio ma anche la quantità pro¬ 
dotta e la disponibilità di capitali pe¬ 
troliferi. In questa situazione la mag¬ 
gior parte dei governi europei e degli 
altri paesi industrializzati si muovono 
lungo due strade non necessariamente 
convergenti: la riduzione della spesa 
pubblica e della pressione fiscale nel 
tentativo di mettere a disposizione ri¬ 
sorse per l’accumulazione privata e il 
contenimento o la riduzione del costo 
del lavoro per ricostituire i profitti. 


20 


L'Astrolabio - quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1981 




Se il sindacato 
non perde la bussola 

di Giancarlo Meroni 


Resta da vedere se una politica in¬ 
discriminatamente restrittiva che com¬ 
prime la domanda pubblica e privata 
in una situazione di recessione in¬ 
cipiente crei le condizioni per la ri¬ 
presa del risparmio e dell'accumula¬ 
zione. Risultato questo reso ancora 
più aleatorio dall’aumento del costo 
del denaro, da manovre spericolate sui 
tassi di cambio e da sempre più forti 
tentazioni protezionistiche. Il proble¬ 
ma della ripresa dell’accumulazione e 
quindi del trasferimento di risorse dai 
consumi agli investimenti è tuttavia 
reale e deve essere fatto quadrare con 
la necessità contestuale di esportare 
una quota crescente di reddito per pa¬ 
gare il conto petrolifero. Ma come la 
classica manovra keynesiana si è ri¬ 
velata inefficace così sarebbe ineffica¬ 
ce e pericolosissima una reazione de¬ 
flazionistica quale quella che stanno 
attuando molti governi europei. Tan¬ 
to più inefficace e pericolosa in quan¬ 
to è assai diverso il contesto sociale 
ed il grado di intervento pubblico nel¬ 
la struttura economica e nel sostegno 
del ciclo produttivo rispetto ad altri 
periodi storici. Ciò spiega perché ac¬ 
canto a misure deflattive appaia sem¬ 
pre più evidente la volontà di modifi¬ 
care il rapporto di forza fra sindaca¬ 
ti, imprenditori e Stato. In sostanza 
attraverso il tentativo di bloccare sa¬ 
lari e contratti si vuole riprendere il 
controllo della distribuzione del red¬ 
dito e del mercato del lavoro e, attra¬ 
verso i tagli indiscriminati alla spesa 
pubblica, la direzione dei processi re¬ 
distributivi (trasferimenti sociali) e di 
quelli economici. Vi è dunque uno 


scontro politico intorno al controllo e 
al riavvio dei processi produttivi da 
cui dipende anche la possibilità di un 
nuovo balzo tecnologico per cui esi¬ 
stono già le condizioni e le basi. 

C'è chi sostiene, infatti, che l’aumen¬ 
to dei tassi d’interesse sia anche ef¬ 
fetto di una scarsità di capitali ri¬ 
spetto ai bisogni per investimenti in 
nuove tecnologie (elettronica micro¬ 
precessori, energia) e al potenziale di 
fattore lavoro inutilizzato. 

E allora la soluzione del problema 
dipende o da una sconfitta dei sinda¬ 
cati o da un’assunzione da parte loro 
di un ruolo attivo nella ripresa dei 
processi di accumulazione. Allo stato 
dei fatti il dilemma è aperto. 

Le misure di politica monetaria e di 
bilancio che il governo italiano ha pre¬ 
so o intende prendere si collocano nel 
solco di un orientamento, come abbia¬ 
mo visto, assai diffuso. In Italia il 
buon ritmo di aumento del reddito 
nazionale negli anni scorsi è dipeso 
essenzialmente dalla domanda interna. 
Essa ha stimolato i consumi privati 
mentre gli investimenti produttivi han¬ 
no stagnato e si sono accresciute la 
spesa pubblica improduttiva e le im¬ 
portazioni. Vi è stato uno scarto fra 
la crescita dei redditi monetari e quel¬ 
la dei beni e servizi prodotti che si è 
tradotto in inflazione e in deficit del¬ 
la bilancia commerciale. La svaluta¬ 
zione della lira a questo punto era ine¬ 
vitabile, ma non ha risolto né risolve¬ 
rà alcun problema. Anzi sarà fonte di 
inflazione in quanto aumenteranno i 
prezzi dei prodotti importati e di re¬ 
cessione, in quanto accompagnata da 


Roma (marzo): 
Assemblea dei 
lavoratori ATAC 


un aumento enorme del costo del de¬ 
naro e da una fortissima stretta credi¬ 
tizia. Non c’è da stupirsi se a questo 
punto si ritorni alla « vexata quae¬ 
stio » del costo del lavoro, della massa 
salariale, del taglio della spesa pubbli¬ 
ca. Per uscire da questa spirale in¬ 
fernale è necessario agire in modo 
radicale sulla struttura produttiva, 
sulla programmazione della spesa pub¬ 
blica, sulla competitività e sulla pro¬ 
duttività. 

C’è bisogno di una politica di pro¬ 
grammazione che punti non a una ri¬ 
duzione della domanda globale, ma ad 
una sua diversa distribuzione in fun¬ 
zione di precisi obiettivi produttivi e 
sociali e di un riequilibrio dei nostri 
rapporti con l’economia mondiale. 
Questo è anche l’obiettivo che si pon¬ 
gono i sindacati e su questa base so¬ 
no state fatte proposte anche detta¬ 
gliate al governo nei recenti incontri. 
Ma a questo proposito sorgono due 
interrogativi: può un governo domina¬ 
to ancora largamente da un partito co¬ 
me la DC fortemente legato a inte¬ 
ressi corporativi fare una tale poli¬ 
tica? E ancora: può il sindacato pre¬ 
tendere la programmazione senza as¬ 
sumere totalmente la propria respon¬ 
sabilità nella ripresa del processo di 
accumulazione e quindi nella redistri¬ 
buzione delle risorse, del reddito e 
della forza lavoro? 

La vicenda del piano triennale, le 
recenti risse fra ministri sui tagli alla 
spesa pubblica e le elargizioni a set¬ 
tori privilegiati della P.A. o ai medici 
generici mostrano che siamo lontani 
da una politica di programmazione. 

D’altra parte la timidezza del sin¬ 
dacato ad affrontare il problema delle 
relazioni industriali, della struttura del 
salario, della coerenza della politica 
rivendicativa in campo sociale e pro¬ 
duttivo con gli obiettivi settoriali e 
globali di ridistribuzione delle risorse, 
di produttività e di ripresa produttiva 
rende scarsamente efficaci le propo¬ 
ste avanzate. 

Il problema vero per il sindacato 
non è la moderazione nella politica 
salariale (che c’è stata), ma la capacità 
di orientarla verso la ripresa produt¬ 
tiva e quindi l’occupazione. A questo 
fine va anche visto il ridimensiona¬ 
mento della spesa pubblica. Non è pos¬ 
sibile pretendere adeguamenti salaria¬ 
li e aumento dei trasferimenti sociali 
nel settore pubblico senza procedere 
alla sua razionalizzazione secondo cri¬ 
teri di efficienza oltre che di giusti- 


l'Astrolabio • quindicinale • n. 7 - 12 aprile 1981 





Se il sindacato 
non perde 
la bussola 


Perché il tramonto della « cinghia di trasmissione » 
è irreversibile 

Partiti e sindacati: qualè 
oggi il loro "mestiere”? 


zia sociale. Né chiedere interventi as¬ 
sistenziali nella industria pubblica e 
privata e nuovi investimenti nelle in¬ 
frastrutture, per l'energia, per il Mez¬ 
zogiorno. Così la politica delle tarif¬ 
fe dei servizi, causa oggi d’inflazione, 
non può essere fondata esclusivamen¬ 
te su esigenze sociali. Occorre rende¬ 
re produttivo il settore pubblico e 
trasparente la sua politica tariffaria. 
L’intervento a favore dei redditi più 
bassi non può farsi attraverso le ta¬ 
riffe pubbliche, ma attraverso sgravi 
fiscali o trasferimenti sociali. Non si 
capisce perché anche chi ha un red¬ 
dito di 30 milioni annui debba godere 
per luce e telefoni della c.d. fascia 
sociale. Non sono che esempi, ma 
stanno a indicare la strada che i sin¬ 
dacati devono percorrere per sostan¬ 
ziare di contenuti concreti le proprie 
proposte di programmazione. 

Insomma è necessario che i sinda¬ 
cati vincano la sfida politica sul con¬ 
trollo e l’orientamento del processo 
di accumulazione non solo con un pro¬ 
gramma di richieste, ma costruendo 
concretamente nei comportamenti e 
nelle rivendicazioni un sistema di re¬ 
lazioni fra le priorità e gli aggregati 
economici e i fini sociali che renda 
attuabile sia la programmazione che 
la democrazia economica. Su questa 
base, su cui si può fondare un più 
ampio consenso sociale, sarà possibi¬ 
le e credibile l’offerta di cambiamén¬ 
to politico fatta anche recentemente 
dalla CGIL. Qualsiasi forza riforma¬ 
trice che voglia governare in questa 
fase storica deve darsi un programma 
sociale di grande respiro che goda 
di un'ampia solidarietà, ma che sia im¬ 
perniato su scelte precise a cui vanno 
adeguati gli interessi particolari. Que¬ 
sta dovrebbe anche essere la scelta 
del sindacato. Non si tratta di cedere 
alle pressioni imprenditoriali, ma di 
saper interpretare gli interessi anche 
delle forze produttive e su questa base 
definire rapporti e accordi. Ma allora 
bisogna passare all’offensiva sapendo 
cosa si vuole e senza paura di com¬ 
promettersi. 

A Marco Aurelio che ogni volta che 
vinceva sacrificava una grande quan¬ 
tità di buoi un anonimo inviò questi 
versi satirici: « A Marco Cesare i can¬ 
didi buoi: se vinci ancora siamo tutti 
spacciati ». Un avvertimento che an¬ 
che i sindacati non dovrebbero tra¬ 
scurare. 

G. M. 


di Mimmo Carrieri 

Si parla molto in questi ultimi 
tempi di tentazioni risorgenti ad 
opera delle forze politiche verso le 
« cinghie di trasmissione » e il colla¬ 
teralismo, e se ne parla soprattutto per 
quello che riguarda i rapporti tra Par¬ 
tito Comunista e sindacati (e questo è 
sembrato l’oggetto principale di un se¬ 
minario organizzato a Fiuggi dalla 
CGIL laziale). Prevalgono nei com¬ 
menti gli accenni a tentazioni di ritor¬ 
no al passato, a compressioni dell’au¬ 
tonomia e dello spazio del movimento 
sindacale sul piano politico. Queste 
interpretazioni però non sembrano te¬ 
ner conto dei dati, nuovi e inelimina¬ 
bili, che la situazione presenta rispet¬ 
to agli anni cinquanta o sessanta. Quel¬ 
lo che è saltato definitivamente, nel 
corso dell’ultimo decennio, è una di¬ 
visione del lavoro (spontanea o pro¬ 
grammata che fosse), una distinzione 
netta e codificata dei compiti tra il 
sindacato e il partito politico. Non si 
può, cioè, a questo punto pensare che 
il sindacato possa tornare ad occupar¬ 
si solo di vertenze, come d’altra parte 
non si può pensare che il partito deb¬ 
ba interessarsi solo del funzionamento 
delle istituzioni. Sono saltate in altri 
termini le suddivisioni tradizionali tra 
politico e sociale, tra economia e po¬ 
litica (le cui interdipendenze richiedo¬ 
no una adeguata attrezzatura politico¬ 
sindacale) e questo mette in discussio¬ 
ne permanentemente ruolo e spazi di 
ogni soggetto politico, ruolo e spazi 
che non possono essere considerati da¬ 
ti una volta per tutte. 

Dunque non un dato contingente e 
limitato ai soli comunisti ma un pro¬ 
blema che riguarda nella sua interezza 
il movimento sindacale e il sistema dei 
partiti. E questo consente anche di 
chiarire la parzialità di analisi e di 
prospettiva su cui si basano quelle po¬ 
lemiche che guardano solo al rappor¬ 
to tra PCI e CGIL, e non intendono 
nel loro complesso le relazioni e ten¬ 
sioni reciproche esistenti tra le gran¬ 
di organizzazioni della rappresentanza 


politica nel nostro paese. Polemica che 
avrebbe probabilmente maggiori ra¬ 
gioni di sussistenza, verso quei dirigen¬ 
ti di sindacati autonomi che si richia¬ 
mano a forze politiche: ce ne sono 
purtroppo diversi che a quanto pare 
fanno riferimento al Partito Socialista 
(il dato è stato citato da Giorgio Lauzi 
ad un recente convegno di Mondope- 
raio). Tutto questo appare però late¬ 
rale rispetto alla comprensione della 
dinamica di questi fenomeni. 

All’inizio degli anni 70, quando il 
sindacato riceveva consensi e aspetta¬ 
tive da parte di larghi strati sociali 
tanto che venivano avanzate ipotesi 
pansindacaliste, pure non si era veri¬ 
ficata una asprezza di toni e una con¬ 
correnza — che forse è il termine più 
adeguato a disegnare lo stato attuale 
— di questa portata. In quella fase 
sembrava possibile una dilatazione in¬ 
dolore e generalizzata della politica, 
nuovi soggetti si aggiungevano a quelli 
abituali all’interno dei meccanismi del 
« mercato politico » (all’interno cioè di 
quella rete di rapporti e scambi tra 
gruppi che produce le scelte politiche) 
e sembrava possibile che essi non si 
sostituissero agli attori precedenti (cer¬ 
tamente non a tutti, ridimensionando¬ 
ne però alcuni), ma si sommassero ad 
essi, almeno ad una parte di essi, con 
il vantaggio di irrobustire il peso com¬ 
plessivo delle forze « prolabour ». 

Appare invece attualmente in crisi 
questa nozione espansiva della politi¬ 
ca, il mercato politico si mostra in¬ 
golfato e incline ad una tendenziale 
restrizione della dialettica precedente. 
Che cosa ha determinalo questo muta¬ 
mento di scenario, e quali fattori og¬ 
gettivi hanno modificato e complicato 
il quadro nel corso degli ultimi anni? 
Diversi sono gli elementi da conside¬ 
rare e in alcuni casi strettamente in-, 
trecciati tra loro. Si può — sempre 
schematicamente — dire che c’è una 
crisi di tutti gli attori politici abilitati 
a incontrarsi per produrre effetti dif¬ 
fusivi. Lo stato attraversa una crisi di 



22 


L'Astrolabio • quindicinale • n. 7 12 aprile 198t 






credibilità senza precedenti, in buona 
misura attribuibile, oltre che a disfun¬ 
zioni storiche, proprio alla scarsa effi¬ 
cacia nell’onorare gli impegni assunti 
con i soggetti sociali, le cui aspettative 
ha invece contribuito a incrementare. 
Partiti e sindacati attraverso una crisi 
che è, insieme, delle basi sociali e della 
loro identità. Per lungo tempo mentre 
(soprattutto alcuni tra) i partiti sembra¬ 
vano avviati ad un declino irreversibile 
della rappresentanza di identità colletti¬ 
ve organizzate intorno ad un progetto di 
società, il sindacato pareva potenzial¬ 
mente in grado di esprimere più im¬ 
mediatamente tanto la mobilitazione 
collettiva che la sua traduzione in una 
sintesi propositiva. Sono avanzati suc¬ 
cessivamente processi diversi: i partiti 
hanno cercato di recuperare una rap¬ 
presentanza diretta degli interessi, e 
tendono quindi a presentarsi come con¬ 
federazioni di gruppi piuttosto che co¬ 
me espressione di progetti. E questo 
va dalla rappresentanza dei pensionati 
— esempio ormai classico — rivendi¬ 
cata da Pietro Longo, alla miriade di 
sottointeressi settoriali che la De cer¬ 
ca di aggregare (secondo il modello 
del partito pigliatutto), rendendo il 
consenso, fondato su decisioni a breve, 
continuamente da ricontrattare. Il sin¬ 
dacato aspira ad essere espressione non 
solo di una parte della società, mentre 
si produce una sorta di sindacalizza- 
zione dei partiti (di cui i lavori parla¬ 
mentari costituiscono un esempio ri¬ 
levante), che non può non causare at¬ 
triti e frizioni. Infatti questa tenden¬ 
za indebolisce contemporaneamente — 
oltre ad annebbiare la prospettiva di 
una sintesi generale, il sindacato, 
sottoposto a pressioni particolaristiche 
che sono elevate a strumento principa¬ 
le di attività politica e che gli 
impediscono di essere portatore di 
ipotesi di rappresentanza generale 
degli interessi delle classi lavora¬ 
trici: quali sono i denominatori comu¬ 
ni intorno a cui unificare i diversi grup¬ 
pi sociali? è possibile « stare con le 
masse » rincorrendo continuamente le 
rivendicazioni e quindi rinunciando ad 
una funzione selettiva, oppure bisogna 
privilegiare il momento della scelta tra 
i diversi interessi, indicando quali si 
vuole tutelare e qual è il blocco sociale 
cui si fa riferimento (correndo il ri¬ 
schio di una perdita secca di rappre¬ 
sentatività)? Ma è possibile che sia il 
sindacato ad indicare una severità ri¬ 
vendicativa — soprattutto in mancan¬ 
za di risultati sul piano degli effetti 
strutturali — se le forze politiche usa¬ 


no un metodo diverso di rapporto che 
la società, che tende a disarticolarla e a 
stimolare comportamenti di segno di¬ 
verso (che modificano continuamente 
i rapporti di forza tra i principali ag¬ 
gregati sociali)? 


C’è dunque materia sufficiente per 
un confronto aperto tra sindacati e 
partiti che investa questioni di fondo 
inerenti le loro funzioni e il loro rap¬ 
porto con la « manipolazione » della 
composizione sociale. Le linee di ten- 


« PROGETTO » CISL IN CONTROLUCE 

Il sistema di potere DC? 
Non c’è, e se c’è 
fìngete di non vederlo 


o Progetto è il nome, significati¬ 
vo e ambizioso insieme, che ha as¬ 
sunto la nuova rivista bimestrale del¬ 
la CISL, di cui è uscito il primo nu¬ 
mero. 

Taglio agile, grafica accurata, temi 
impegnativi ma trattati con sforzo di 
snellezza, attenzione alle questioni e- 
conomiche ma prevalenza di un ap¬ 
proccio di relazioni industriali e di 
sociologia dell'industria, che per la 
Confederazione rappresenta un rife¬ 
rimento tradizionale ma anche uno 
spazio nuovo di attenzione e di dif¬ 
ferenziazione (il primo numero è de¬ 
dicato ad una impegnativa messa a 
fuoco della tematica « Sindacato, con¬ 
flitto, partecipazione »). 

« Progetto » assume — con una 
certa enfasi ed esagerazione — « un 
soggetto sociale, il sindacato, come 
attore fondamentale delle trasforma¬ 
zioni della società ». Punto di parten¬ 
za di questo bisogno di recuperare 
una nuova dimensione progettuale, è 
la crisi delle grandi ideologie (delle 
interpretazioni globali del mondo), e 
la constatazione della « frattura che 
si è prodotta tra la struttura di in¬ 
terpretazione, regolazione e governo 
e l'emergenza del nuovo che non si 
lascia più dire né interpretare con gli 
schemi categoriali del passato ». La 
necessità quindi di approfondire co¬ 
noscenze parziali e di sperimentare 
progetti specifici, per elaborare una 
nuova cultura che vada oltre gli stru¬ 
menti contrattuali, ma non faccia a 
meno del conflitto. Si intende com¬ 
battere il disegno risorgente presso 
alcune forze politiche di ristabilire un 
ruolo variamente subalterno del sin¬ 
dacato, e si rivendica un'autonomia 
sindacale da ogni tipo di collaterali¬ 
smo, fondata sulla rappresentanza del 
« sociale », intriso di politicità e di 
aspirazioni autonome. 

Tesi queste — enunciate con un 
linguaggio che è un misto di scienti¬ 
ficità, sinistrese e parrocchia di sini¬ 
stra — che non possono non condivi¬ 
dersi nella generalità delle afferma¬ 
zioni e nella sostanza a cui alludo¬ 
no. Si possono peraltro sollevare due 
interrogativi almeno, che costitui¬ 
scono materia di discussione per 
l'insieme del movimento sindacale. 

Il primo riguarda il rapporto tra 


propositi « d'assalto » e incidenza su¬ 
gli equilibri politici. La crisi dei gran¬ 
di impianti categoriali non pu5 signi¬ 
ficare rinuncia a cogliere le differen¬ 
ze, anche empiriche e minute, rinun¬ 
cia a capire e a schie rarsi. E la real¬ 
tà rileva che esistono forze di go¬ 
verno e forze di opposizione, che e- 
sprimono non solo ceti diversi, ma an¬ 
che una diversa concezione e pra¬ 
tica della gestione dello stato. Dire 
di volere un cambiamento sostanzia¬ 
le, che non sia solo un'alternativa di 
gestione, significa o no mettere sotto 
accusa, non una formula o un parti¬ 
to, ma una determinata visione dello 
stato e della politica, quella inedita 
penetrazione dei partiti negli apparati 
pubblici (che ha corrotto la moralità 
pubblica, ma anche il modo di pensa¬ 
re e il senso comune)? Insomma il 
sistema di potere della DC è o no il 
bersaglio dell'iniziativa sindacale, es¬ 
so rappresenta o no una discriminan¬ 
te che non consente neutralità (può 
l'alternativa essere neutra)? 

Il secondo punto riguarda l'afferma¬ 
zione del ruolo politico del sindacato, 
che è giustamente legata all'autono¬ 
mia sindacale (ma non si tratta di 
patrimonio prevalentemente cislino). 
Esistono nel sindacato e nel dibattito 
politico diverse immagini e visioni di 
soggettualità politica: per cui questa 
non può essere ribadita con un con¬ 
cetto tanto generale. Bisognerà quindi 
chiarire con maggiore nettezza di con¬ 
torni che cosa si intende: non è tan¬ 
to in discussione se il sindacato deb¬ 
ba avere o no un suo autonomo rap¬ 
porto con le istituzioni pubbliche, ma 
è la qualità di questo rapporto. Il sin¬ 
dacato deve partecipare al confron¬ 
to tra progetti di organizzazione della 
economia espressi dai vari soggetti 
o ha diritto alla gestione autonoma 
di fette di economia? Il sindacato de¬ 
ve asoirare ad una intesa privilegiata 
con l'esecutivo che metta in discus¬ 
sione la tradizionale divisione del po¬ 
teri e scavalchi gli organi costituzio¬ 
nali della decisione politica, o se non 
deve essere così in qual modo può 
influire sulle scelte dei pubblici po¬ 
teri in senso favorevole ai lavorato¬ 
ri (non solo sul piano redistributi¬ 
vo)? • 

Mimmo Carrier! 


l'Astrolabio • quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1931 


23 






denza a cui si accennava comportano 
una sovrapposizione di competenze e 
un’occupazione di spazi vicini mentre 
si riducono le risorse disponibili: il 
meccanismo che si è innestato tende 
a questo punto a restringere i canali 
della rappresentanza, perché ogni sog¬ 
getto può rappresentare diversi gruppi 
ad esclusione degli altri. E il punto è 
proprio questo, che questa contiguità 
di terreni operativi, con i conflitti che 
ne derivano, siano esplicitati senza af¬ 
fermazioni di primati esclusivi, che mi¬ 
rino a negare i diritti di partecipazio¬ 
ne — alle diverse articolazioni del 
gioco politico — degli altri soggetti. 
E quindi si ha la crisi di rappresenta¬ 


tività che Giugni ha così condensato 
efficacemente: « Ma quanto più l’or¬ 
ganizzazione si distacca dal suo refe¬ 
rente immediato tanto più si pone il 
problema della sua capacità di mantene¬ 
re con lo stesso un rapporto costante ». 
Il sindacato non è il rappresentante 
esclusivo della società civile, come il 
partito non è l’unico soggetto del siste¬ 
ma politico. L’autonomia del sindacato 
non si ricava rispetto ad un solo par¬ 
tito ma si misura dalla capacità di ela¬ 
borare e proporre. Il sindacato fa rife¬ 
rimento a progetti di trasformazione 
che mettono in discussione la maniera 
d’essere e di organizzare lo stato di 
alcune forze politiche: questo dato e 


anche i contrasti debbono essere resi 
più evidenti. Anche i partiti debbono 
rivendicare ed esprimere, in forme non 
tortuose, una loro autonomia di inter¬ 
vento e di proposta sui temi del sala¬ 
rio e del reddito; insomma — come ri¬ 
levava Ingrao a Fiuggi — il conflitto 
deve emergere con nettezza e chiarirsi 
in tutto il suo significato di confronto 
tra diverse ipotesi di organizzazione 
della società e di gestione dello stato: 
solo in questo modo diventa conflitto 
positivo, di arricchimento delle pro¬ 
spettive di trasformazione, e non si 
traduce nella competizione miope per 
la difesa di spazi che si restringono. 


I SOTTERRANEI DEL VATICANO 


Il nuovo archivio segreto vati¬ 
cano (interrato, in due piani, 
sotto il cortile della Pigna, dentro il 
perimetro dei suoi famosi musei) ha 
stabilito alcuni primati ancor prima di 
essere aperto alla pattuglia degli stu¬ 
diosi che potranno frequentarlo. « E’ 
il più moderno d’Europa », ha com¬ 
mentato, con i giornalisti in visita a 
una « mostra documentaria » il 4 apri¬ 
le scorso, uno dei suoi massimi rea¬ 
lizzatori l’ingegner Ernesto Figini. Ma 
è anche il più « vociferato ». Nell’au¬ 
tunno scorso qualcuno ipotizzò che 
tanta perfezione tecnica servisse in 
realtà a nascondere un bunker antiato¬ 
mico dove dare rifugio, in caso di 
guerra mondiale, al pontefice e ai suoi 
collaboratori vaticani. 

I dati tecnici sono impressionanti. 
Superficie 4.500 metri quadrati, volu¬ 
me: 31.000 metri cubi. Impianti per 
l’illuminazione costante, servizio an¬ 
tincendio permanente, colonnine con 
microfoni attivati 24 ore su 24 disse¬ 
minati ovunque. Essi servono per cap¬ 
tare grida di aiuto di qualche dipen¬ 
dente o studioso che fosse colto da 
malore nelle sue ampie profondità. Le 
« tavolette » dove saranno messi li¬ 
bri, documenti e anche microfilms, so¬ 
no 50.000. Potrebbero accogliere so¬ 
lo 35.000 chilometri di documenti. 
Ma, poiché sono installate su scaffali 
« compacts », cioè semigirevoli, la lo¬ 
ro effettiva capienza è di 50.000 me¬ 
tri (ovvero 50 chilometri). Nel rea- 


di Maurizio Di Giacomo 

lizzare questo ampliamento — lo sol¬ 
lecitò per la prima volta nel 1972 
Paolo VI al « prefetto » dell’archivio 
vaticano mons. Martino Giusti — si 
è badato a sfruttare bene tutto ciò che 
era possibile. Ivi compreso il costo: 
di soli 5 miliardi. Particolare interes¬ 
sante, la parte in cemento dell’impian¬ 
to è stata realizzata dall’impresa edili¬ 
zia Castelli la stessa che, oltre a se¬ 
minari e convitti vaticani, ha realiz¬ 
zato la prima vera e propria « resi¬ 
denza universitaria » di matrice opus- 
deisia a Roma, a testimonianza di vin¬ 
coli non solo commerciali fra alcuni 
suoi proprietari e i seguaci di mons. 
Escrivà De Balaguer. Il responsabile 
dell’archivio segreto, il cardinale An¬ 
tonio Samore’, (lo stesso impegnato 
nella « mediazione » tra Cile e Argen¬ 
tina per lo sbocco al mare del canale 
Beagle) ha dichiarato di sperare che 
Questo complesso basterà fino al 
2050. Ma valutazioni più realistiche 
ipotizzano che fra soli 50 anni questo 
spazio sarà zeppo come un uovo. D’al¬ 
tra parte, ogni anno affluiscono in 
Vaticano i rapporti di vescovi, di fra¬ 
ti e suore, dei « nunzi » (una specie 
di ambasciatori), le corrispondenze 
con presidenti, regnanti e popoli del 
mondo. 

Bisogna, inoltre, dire che questo 
pozzo di San Patrizio il Vaticano lo 
gestisce con oculatezza. L’archivio 
(quello vecchio) fu aperto da papa 
Leone XIII nel 1881. Papa Wojtyla 
ha autorizzato la consultazione dei do¬ 


cumenti fino al 1903, per tutto cioè 
il pontificato di Leone XIII. Per cui 
per poter accedere ai retroscena del 
Concordato del 1929 fra Italia e San¬ 
ta Sede o più in generale ai rapporti 
tra chiesa e fascismo bisognerà pazien¬ 
tare ancora per decenni. Senza dimen¬ 
ticare che all’interno del nuovo archi¬ 
vio esiste una « zona » riservatissima 
(separata da una robusta rete metal¬ 
lica) dove saranno depositati i docu¬ 
menti più riservati. In quella sezione 
potranno accedere solo il cardinale Sa- 
moré e mons. Giusti. Pertanto, do¬ 
cumenti tipo il ruolo mediatore del 
Vaticano in Polonia o i conti in rosso 
della banca vaticana (l’Istituto per le 
Opere di Religione) dopo il crack Sin- 
dona, a dir poco per tutto il secolo 
avvenire, si potranno solo visionare 
con la fantasia. 

L’ingegner Figini ha smentito che 
il nuovo archivio possa essere un bun¬ 
ker. Le porte di uscita e di sicurezza 
e la soletta del pavimento del secondo 
piano sono troppo leggere per resi¬ 
stere all’apocalisse nucleare. Certo esi¬ 
ste un particolare che potrebbe incu¬ 
riosire. L’illuminazione è alimentata 
da due centrali in parallelo (se una 
si blocca scatta l’altra) installate di 
fianco all’archivio. In altre parole, il 
Vaticano non ha voluto dipendere da 
energia fornita dallo stato italiano. 
Così, qualche maligno osserverebbe, 
non c’è problema di bolletta da paga¬ 
re e non c’è pericolo di black out. 



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L'Astrolabio • quindicinale - n. 7 • 12 aprile 1981 





MEZZOGIORNO 

Intervista a FRANCESCO MARTORELLI 
a cura di Francesca Cusumano 

Camorra 
e disoccupazione 
effetti caotici 
del terremoto 


A Napoli i disoccupati organizzati sono scesi di nuovo 
sul sentiero di guerra: l'ufficio del collocamento 
è stato assediato, manifestazioni, cortei che hanno 
paralizzato il traffico si sono succeduti almeno per una 
settimana; si è scatenata un’azione di vera e propria guerriglia. 
Da anni ormai i disoccupati organizzati lottano per il posto di 
lavoro, ma mai lo scontro era stato così violento come in questi 
ultimi tempi. Il terremoto, le tante promesse non mantenute, 
la sfiducia « congenita » che ormai si ha nel Meridione nei 
confronti delle istituzioni, hanno portato questa gente 
all’esasperazione, dunque anche alla violenza. C’è chi sostiene 
che sia stato tutto organizzato da provocatori, e più precisamente 
da esponenti di « Autonomia ». Ma è pur vero che il movimento 
dei « disoccupati organizzati » esiste a Napoli da anni e che 
ancora tanti di questi non hanno trovato un'occupazione 
stabile. La disoccupazione, la « fiducia » di questa 
gente più nelle cosche mafiose, nella « n'drangheta » 
che non nelle istituzioni democratiche, sono 
tutti sintomi che ci fanno capire quanto sia ancora grave 
e importante la « questione meridionale ». Ne parliamo 
con il deputato comunista Francesco Martorelli 
esperto di problemi dello Stato e membro della 
Commissione inquirente. 


• La Questione meridionale, ieri 
e ogni, 1970 e 1980: quali sono i dati 
nuovi? Che cosa è cambiato? 

La questione meridionale rimane la 
grande « questione » del nostro pae¬ 
se, ma in questi ultimi tempi è diven¬ 
tata più acuta a causa di un metodo 
di governo e di un sistema di potere 
che hanno fatto del clientelismo e del¬ 
l’intrallazzo una regola. 

• A chi si riferisce in particolare.' 

Alla De soprattutto e a parte del 
Psi che nel Mezzogiorno usano gli 
stessi metodi e hanno le stesse regole 
delle cosche mafiose: sono un insie¬ 
me di piccole grandi « lobbies ». Nel¬ 
l’ultimo congresso provinciale della 
De a Cosenza, per esempio, sono sal¬ 
tate fuori 18 posizioni diverse, soste¬ 
nute da 18 interessi particolari al di 
fuori delle grandi linee componenti. 
A fondamento di questo sistema po¬ 
litico ci sono l’alleanza e i rapporti più 
ambigui non solo con gruppi impren¬ 
ditoriali spregiudicati, tipo Ursini o 
Rovelli, ma anche con alcuni gruppi 
finanziati dalla mafia. Tutto questo 
ha colpito le istituzioni democratiche, 
la loro funzione, svuotandole di con¬ 
tenuto e di significato. 

• F. la mafia? la camorra? la « n‘ 
drangheta? » 

Il fenomeno che sta crescendo e che 
è molto pericoloso è quello delle gran¬ 
di organizzazioni criminali della Cam¬ 
pania: gli effetti caotici del terremoto 
possono contribuire al consolidarsi di 
queste cosche mafiose che non hanno 
nulla da invidiare alla mafia siciliana. 


Infatti hanno un ruolo importante an¬ 
che nel traffico della droga, hanno en¬ 
trate molto forti e sono in grado di 
condizionare l’attività politica pubbli¬ 
ca. Ormai stanno diventando dei nuo¬ 
vi « interlocutori » politici con i qua¬ 
li si è costretti a fa buon gioco fare 
i conti e stanno raggiungendo la piena 
legittimazione politica. Un processo 
che si è già verificato in Sicilia e in 
Calabria, dove i consiglieri regionali, 
i sindaci, gli assessori, sono figli di 
mafiosi. 

• Come è potuta accadere una co¬ 
sa simileV 

Non è un processo molto difficile 
da spiegare i rappresentanti dei parti¬ 
ti della maggioranza provengono in¬ 
fatti da una certa burocrazia parassi¬ 
tarla: enti di sviluppo e via dicendo; 
al momento dell’elezione di uno di 
questi personaggi, avviene di fatto 
una fusione tra la burocrazia parasta¬ 
tale e la classe politica, e chi era fun¬ 
zionario della Regione, assunto con 
metodi client'-lori, d ; venta professio¬ 
nista della politica. E’ la stessa classe 
politica, dunque, ad essere inquinata 
e corrotta, che permette o fa passare 
inosservata Reiezione di persone poco 
raccomandabili. 

• A Napoli la situazione è incan¬ 
descente: il terremoto, la disorc”pa- 
zione, la situazione di precarietà han¬ 
no portato i disoccupati all’esaspera¬ 
zione: ci sono state manifestazioni, 
scontri, veri e propri episodi di guerri¬ 
glia di fronte agli uffici del colloca¬ 
mento. Qualcuno sostiene che gli scon¬ 
tri siano stati guidati da autonomi che 
avrebbero aptirofittato dello stato di 
animo dei disoccupati per creare il 


caos nella città, ma soprattutto per 
« spiazzare » il Pei alimentando la sfi¬ 
ducia nelle istituzioni democratiche 
delle quali il Pei si fa difensore. Lei 
che ne pensa? 

Gli autonomi ci sono a Napoli, co¬ 
me in qualsiasi altra città, e il loro 
obiettivo è quello di creare il caos e 
di far perdere al Pei la credibilità di 
cui gode tra la classe operaia, ma non 
penso che gli autonomi da soli avreb¬ 
bero potuto spingere i napoletani ad 
azioni di guerriglia. 

Il fatto è che a Napoli hanno trova¬ 
to un terreno fertile, che già stava per 
esplodere per le ragioni che abbiamo 
elencato prima. Il rifiuto del colloca¬ 
mento, ad esempio, dipende dal fatto 
che si crede più all’affermazione del¬ 
la propria posizione in termini illega¬ 
li: costume al quale si è da sempre 
abituati. Certo, il Pei rischia l’isola¬ 
mento in un sistema in cui tutto si 
risolve nello scontro di interessi parti¬ 
colari, e abbiamo pagato anche dura¬ 
mente la difesa della saldezza delle 
istituzioni: non scordiamoci che in 
Calabria sono stati uccisi ben 5 comu¬ 
nisti. Il nodo essenziale, dunque, è 
quello di una diversa classe politica 
che recida tutti i legami e gli interes¬ 
si particolari. 

• Quali sono i rimedi più urgenti 
che avete proposto? 

Il primo che riguardava una rifor¬ 
ma generale del collocamento con la 
iscrizione al li'trme unico, sta già dan¬ 
do alcuni risultati: ormai si sono già 
iscritti ottantamila e molti altri stan¬ 
no prendendo la derisione di fare al¬ 
trettanto, perfino alcune liste come 
« Banchi Nuovi » e « Rai 3 » i cui 


L'Astrolabio • quindicinale • n. 7 • 12 aprile 1981 


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Mezzogiorno: intervista 
a Francesco Martorelli 


componenti in principio si erano di¬ 
chiarati assolutamente contrari al li¬ 
stone. E’ necessario poi un intervento 
programmato per la ricostruzione che 
non sia solo settoriale; il ministro Fo¬ 
schi, poi, dovrà decidere se accettare 
la nostra proposta di aumentare l’in¬ 
dennità di disoccupazione, per chi non 
verrà sistemato, che oggi è di ottocen¬ 
to lire, per ogni disoccupato, subito, 
a cinquemila lire al giorno. 

• E in prospettiva, su quali linee 
dovrà essere orientato il processo di 
ricostruzione del tessuto sociale e de¬ 
mocratico di Napoli e della Campa¬ 
nia? 

Il dopo terremoto è un grande ter¬ 
reno per ricostruire su basi diverse, 
ma può anche essere l’avvio ad un ul¬ 
teriore degrado di tutta la Campania. 

C’è bisogno di un collegamento 
della forte classe operaia con i disoccu¬ 
pati e i giovani. imprenditori che non 
trovano uno spazio: le forze sane del 
paese. Di una migliore distribuzione 
delle risorse sul piano nazionale: il 
concetto « berlinguriano » di austeri¬ 
tà riprende tutto il suo valore in sen¬ 
so di razionalizzazione della spesa: 
perché a Verona ci deve essere l’opu¬ 
lenza, mentre nel Meridione si stenta 
a sopravvivere? 

Sulla questione meridionale si gio¬ 
cano le sorti della democrazia, questo 
deve essere ben presente ai partiti del¬ 
la sinistra e ai sindacati. La sinistra 
ha il grande compito di restituire cre¬ 
dibilità a un progetto generale di tra¬ 
sformazione, anche se riconosco che 
non è una cosa facile, perché l’incapa¬ 
cità di governare ha allontanato il cit¬ 
tadino dalle istituzioni e ha determi¬ 
nato un vuoto di va'ori democratici. 
Ma in questo clima, che senso ha par¬ 
lare di « grandi riforme costituziona¬ 
li ». Non sono deviami dai problemi 
reali, quotidiani, che sono legati alla 
sopravvivenza? Al disoccupato napo¬ 
letano non possiamo certo parlare del¬ 
la « sfiducia costruttiva » anziché del 
suo lavoro, dunque le « grandi rifor¬ 
me » di fronte a questi obiettivi cosi 
impellenti rischiano di diventare sol¬ 
tanto un alibi. 


TERRORISMO E DIRITTO 

Un mare 
di tautologie 


• A 12 anni di distanza dalla stra¬ 
ge di Piazza Fontana e a pochi giorni 
dalla pronuncia della Corte d'Assise 
d'Appello di Catanzaro che ha assolto 
dal reato di strage tutti gli imputati 
condannati in primo grado, si è torna¬ 
ti ancora una volta a parlare — come 
suol dirsi, accademicamente — del 
« terrorismo • sotto il profilo giuri¬ 
dico. 

Al Convegno, indetto dalla Unione 
Forense per la tutela dei diritti dell’ 
uomo, sul tema: « La Convenzione Eu¬ 
ropea per la repressione del terrori¬ 
smo » hanno introdotto il dibattito i 
relatori Giovanni Conso, Mario Giu¬ 
liano e Stefano Rodotà, tutti ordinari 
di materie giuridiche e gli ultimi due 
deputati al Parlamento. 

Se il motivo essenziale della riu¬ 
nione, secondo i relatori, era quello 
di esortare il Parlamento a superare 
le difficoltà frapposte alla ratifica del¬ 
la Convenzione e di vincere il timore 
di introdurre un sistema di indifendi¬ 
bilità dei diritti delle vittime di ingiu¬ 
ste persecuzoni politiche, lo svolgersi 
del dibattito è stato interessante al 
solo fine di avere ancora una volta 
la prova che è impossibile definire 
giuridicamente il reato di terrorismo 
e che la stessa Convenzione interna¬ 
zionale, nel tentare di delinearlo roz¬ 
zamente, è caduta in ripetute tautolo¬ 
gie. 

La difficoltà di ratificare tale Patto 
— in quanto eventualmente lesivo del 
fondamentale principio di asilo poli¬ 
tico, universalmente» riconosciuto da 
tutti I popoli con ordinamento demo¬ 
cratico — appare insuperabile per qua¬ 
si tutti i Paesi che lo hanno sotto- 
scritto: solo due Stati, che hanno po¬ 
chi problemi con il terrorismo, hanno 
ratificato senza riserve; qualche altro 
Stato ha ratificato con riserva; la 
maggioranza dei contraenti, a più di 
quattro anni dal 27 gennaio 1977 (da¬ 
ta di stipulazione della Convenzione), 
non ha ratificato. 

Possiamo essere sicuri che altri 
convegni, del tipo di quello al quale 
facevamo cenno, tenutosi a Roma il 
23 marzo al Palazzetto Venezia, nella 
sede della Società per l'Organizzazio¬ 
ne Internazionale, si susseguiranno 
negli anni a venire. 


Giuristi e uomini politici avvertono 
certamente la difficoltà di contempe¬ 
rare le garanzie e le difese dei fon¬ 
damentali diritti umani e la repres¬ 
sione delle ideologie che provocano 
i reati commessi per la finalità di 
terrorismo o di eversione; ma insi¬ 
stono vanamente nel cercare di incap¬ 
sulare nella dottrina, nella legislazio¬ 
ne, nella giurisprudenza ciò che esula 
dall'ordinamento giuridico vigente, 
che l'eversione cerca appunto di sov¬ 
vertire. 

Quando Massimiliano Robespierre 
votò alla Convenzione per la morte di 
Luigi XVI non portò a sostegno del 
suo voto argomentazioni giuridiche e, 
pur essendo contro la pena di morte, 
chiese l'uccisione del re per eliminare 
il tiranno, e con lui, l'ordinamento giu¬ 
ridico del quale era il massimo rap¬ 
presentante. 

Tutto ciò e molte altre cose — mi¬ 
sero bagaglio nozionistico del liceo 
— mi tornavano in mente nell'ascolta- 
re le dotte elucubrazioni sulla distin¬ 
zione tra « terrorismo assoluto », (e- 
sempio Piazza Fontana, Stazione di 
Bologna) e « terrorismo relativo • (uc¬ 
cisione della scorta di Moro e seque¬ 
stro e uccisione dello statista demo- 
ristiano, vari assassinil di giudici), o 
sulla esatta interpretazione dell’art. 8 
del Codice Penale, il quale, all'ultimo 
comma, recita, con una impressionan¬ 
te serie di tautologie: « Agli effetti 
della legge penale, è delitto politico 
ogni delitto che offende un interesse 
• politico » dello Stato, ovvero un di¬ 
ritto « politico » del cittadino. E' altresì 
considerato * politico » il delitto co¬ 
mune determinato, in tutto o in parte, 
da motivi • politici ». 

Anche in un recente disegno di leg¬ 
ge presentato dal gruppo democri¬ 
stiano al Senato, che intende favorire 
ulteriormente i pentiti di reati « com¬ 
messi per la finalità di terrorismo o 
di eversione » ritorna l'infelice e con¬ 
traddittoria dicitura del primo artico¬ 
lo della legge 15 dicembre 1979; cioè 
si dimentica che il terrorismo è il 
mezzo per arrivare all'eversione e 
non un'ipotesi autonoma. 

Le imprecisioni legislative rivelano 
il solito ritardo con il quale il diritto 
arriva rispetto ai fenomeni reali • 

Sergio Bochicchio 


I 


26 


L'Astrolabio • quindicinale • n. 7 • 12 aprile 1981 






A proposito 

di un libro di Luciano Berio 

Per una civiltà 
musicale 

a livello di miliardi 
di uomini 



Diciamolo subito e con franchez¬ 
za: io non ho nessun titolo speci¬ 
fico per occuparmi di questa Intervi¬ 
sta sulla musica che Luciano Berio ha 
recentemente pubblicato presso 1 edi¬ 
tore Laterza (a cura di R. Dalmonte, 
pagg. 167, lire 5000). Non sono un 
« critico musicale », della musica come 
tecnica dei suoni conosco appena i ru¬ 
dimenti, il livello della mia « cultura 
musicale » non è superiore a quello del¬ 
l’italiano medio. Non vale nemmeno 
(e sarebbe in ogni caso una ragione 
deteriore) la mia personale amicizia 
con l’autore. 

Il fatto è che la responsabilità di 
una recensione « profana » come questa 
la porta in buona parte proprio Lucia¬ 
no Berio che, almeno per una metà 
della sua intervista, affronta problemi 
di carattere generale (estetico, sociolo¬ 
gico, politico) che pur restando incen¬ 
trati in un discorso sulla musica, fini¬ 
scono col presentarsi come una felice 
provocazione anche per chi, come me, 
si considera di fatto « fuori del tem¬ 
pio ». 

E’ un tentativo il suo di fare il 
punto sulla situazione della musica og¬ 
gi, dopo l’esperienza dodecafonica e 
quella « seriale » fino alle ultime elabo¬ 
razioni elettroniche. Chi ha voglia e co¬ 
noscenze sufficienti per seguirlo in que¬ 
sto suo esercizio ne potrà giudicare le 
suggestioni e le prese di distanza, sotto¬ 
lineando talune compromettenti dichia¬ 
razioni d’amore o certe ripulse senza ri¬ 
torno, individuando di fatto per mezzo 
di una serie di coordinate indirette il 
luogo di consistenza di Luciano Berio 
musicista, il tutto sostenuto da un vigo¬ 
re polemico, rivelatore di una presenza 
sempre attiva, al limite della inflessi¬ 
bilità. 

Ma non è per questo che mi sono de¬ 
ciso a scrivere di questo « luogo » del¬ 
la musica di Berio, così individuato, e 
del panorama che di lì si intravvede 


io so giudicare malamente, o meglio 
non mi riconosco autorità sufficiente 
per esporre il mio punto di vista al 
lettore. 

Quello che invece mi interessa — 
l’ho già detto — sono le tesi di fondo, 
generali, del libro. 

Sta in primo luogo l’affermazione 
che la musica più di ogni altra arte 
comporta un rapporto diretto, positivo, 
tra il fare e il pensare, tra la tecnica e 
lo « spirituale », tra « il corpo e l’ani¬ 
ma ». Questo difficile rapporto si è via 
via dilatato nel tempo in confini sem¬ 
pre più ampi quanto più la consapevo¬ 
lezza storica e sociale del fare musicale, 
della tecnica cioè, veniva assumendo 
maggiore rilievo. 

L’intuizione mi pare rilevante e (a 
differenza di quanto Berio afferma) 
riferibile non solo alla musica. Tutte 
le arti in fondo hanno la loro tecnica, 
la pittura come la scultura, la poesia 
come l’architettura, come la danza. 
Non a caso « arte » e « artigianato » 
hanno la stessa radice. Anche se si de¬ 
ve convenire con Berio che in alcune 
di esse (non certamente per la danza, ad 
esempio) il momento tecnico ha subi¬ 
to molte evoluzioni assai rilevanti ma 
non tali da eliminare del tutto la ten¬ 
sione dialettica tra fare e pensare. 

Il fatto è che, sol che si vada un po’ 
più a fondo, quello che Berio chiama 
momento della tecnica è in realtà lo 
accumulo, lo stratificarsi di un proces¬ 
so millenario con tutte le sue compli¬ 
cate intersecazioni e le sue consorterie 
(pare che adesso ci sia una consorteria 
neoromantica). 

Non a caso del resto « arte » almeno 
nel nostro linguaggio medioevale si¬ 
gnifica anche corporazione come quella 
dei cardatori di lana (« i ciompi » ap¬ 
punto del noto « tumulto fiorentino ») 
o degli speziali cui appartenne Dante. 

La consapevolezza che i vecchi con¬ 
fini vadano Superati, che tra « compo¬ 


sitore » e « fruitore » di musica non 
debba più stabilirsi una cesura, uno 
iato incolmabile a me pare uno dei pun¬ 
ti di approdo più felici di questa inter¬ 
vista anche se Berio ne sviluppa l’idea 
lungo un itinerario che appartiene più 
al Berio musicista (siamo ancora nella 
« arte ») che non al Berio scrittore o 
teorico di questa problematica. 

Per intenderci: il punto centrale che 
andava affrontato è: come realizzare, 
oggi che i mezzi di comunicazione han¬ 
no dilatato a dismisura le nostre possi¬ 
bilità, e che il divario tecnico tra frui¬ 
tore e compositore si è attenuato, una 
civiltà musicale a livello di miliardi di 
uomini che, sia pure a livelli ancora 
diversi, acquistino via via una sempre 
crescente consapevolezza dei valori di 
quella civiltà, cogliendone la portata 
non solo epidermicamente gratificante 
o solennemente gladiatoria ma umana¬ 
mente impegnata a conoscere meglio 
se stessi e la propria storia. 

Non che Berio non intuisca che an¬ 
che questo c’è in un discorso sulla mu¬ 
sica fatto oggi: da buon musicista egli 
però sfiora l’ostacolo e dal suo giusto 
punto di partenza fa approdare il tut¬ 
to ad una « visione della musica », una 
visione o funzione che dovrebbe avere 
essa da sola valore risolutorio del pro¬ 
blema il che evidentemente non può 
essere. In realtà si tratta della « sua » 
musica, la musica appunto di Luciano 
Berio, così vorace e generosa, così mi¬ 
steriosa ed esplicita, così moderna e 
tanto antica, espressione di una per¬ 
sonalità che ogni volta dilaga e si con¬ 
trolla, raffinata e popolare, fuori del 
tempo e calata come poche (anche po¬ 
liticamente) nella realtà del nostro tem¬ 
po. 

Il che è poi — secondo me — il 
luogo vero di residenza di uno dei mag¬ 
giori musicisti della nostra epoca. 

Luigi Anderlini 



L'Astrolabio - quindicinale • n. 7 - 12 aprile 1981 


27 











La sinistra francese alle elezioni 

Marchais gioca solo 

Con chi gioca Mitterrand? 

di Marcelle Padovani 


« A cosa serve il PCF? », 
interroga, rosso su bian¬ 
co, un libro di successo, ap¬ 
pena uscito a Parigi, e fir¬ 
mato dal politologo Georges 
Lavau. Già: a cosa serve il 
Partito comunista francese? 
Molti, anche a sinistra, se 
lo chiedono da qualche tem¬ 
po. Serve a governare? « Ma 
no, rispondono al Partito so¬ 
cialista, dato che è stato lo 
stesso PCF a distruggere, 
nel 1978, ogni possibilità 
ravvicinata, per la sinistra, 
di esercitare il potere ». Ser¬ 
ve allora a organizzare la 
protesta sociale? « Ma nem¬ 
meno, rispondono sia la 
estrema sinistra, che il sin¬ 
dacato CFDT: la più poten¬ 
te protesta sociale del do¬ 
poguerra, il Maggio ’68, si 
è fatta contro il PCF, non 
con lui ». Cosa concludere? 
Dire come Lavau che il PCF 
serve soltanto a svolgere 
una « funzione protestata¬ 
ria », volta ad esprimere 
l’impotenza dei ceti mino¬ 
ritari, eternamente refratta¬ 


ri, della nostra società? Ma 
questo tipo di domanda, e 
le conseguenti risposte, ri¬ 
schiano di diventare rapi¬ 
damente accademiche, addi¬ 
rittura metafisiche. Non sa¬ 
rebbe più « redditizio » chie¬ 
dersi piuttosto in che cosa 
consiste l’attuale visibile 
crisi del Partito comunista 
francese così come si espri¬ 
me attraverso la campagna 
per l'elezione presidenziale? 

Le elezioni sono sempre 
state per il PCF una sca¬ 
denza capitale. Ma mai co¬ 
me oggi. Non solo per la 
sorte dell’attuale gruppo di¬ 
rigente, capeggiato dal 1972 
da Georges Marchais, ma an¬ 
ce per la sopravvivenza del 
partito stesso. Il PCF, che 
da trent’anni subisce una 
lenta e continua erosione 
dei suoi voti (21% dei suf¬ 
fragi nel 1978), passa in ef¬ 
fetti al vaglio dell'elettora¬ 
to la sua svolta del 78, 
quando, di fronte alla cre¬ 
scita « abnorme » del Parti¬ 
to socialista (passato, lui, dal 


6% del 1969, al 23% del 
1973), decise di abbandona¬ 
re la linea di « unione delle 
sinistre » e l’impegno del 
« programma comune di go¬ 
verno ». Per quale strategia? 
Formalmente per una unio¬ 
ne delle sinistre » orga¬ 
nizzata « dal basso ». In real¬ 
tà, per un atteggiamento 
settario che fa leva su un 
operaismo di vecchio stam¬ 
po, e su un antisocialismo 
quotidiano, rissoso, irasci¬ 
bile. L’aspra concorrenza so¬ 
cialista sul terreno popola¬ 
re e sulla tematica della 
unità a sinistra, hanno piaz¬ 
zato il PCF in posizione di¬ 
fensiva. E la paura di esse¬ 
re protagonista di un’espe¬ 
rienza di governo a sinistra 
non egemonizzata dal PC 
ma dal Partito socialista lo 
ha spinto a rompere l’unità. 
Convinto di essere il vero 
rappresentante dei lavorato¬ 
ri, e l’unico autentico parti¬ 
to della classe operaia, il 
PCF aspetta adesso con an¬ 
goscia il verdetto dell’opi¬ 


nione pubblica: voterà il po¬ 
polo di sinistra più per 
Marchais o più per Mitter¬ 
rand? 

Il PCF ha comunque fat¬ 
to di tutto per rovesciare il 
rapporto di forza all’inter¬ 
no della sinistra. Una cam¬ 
pagna aspra, dura, senza 
concessioni: Mitterrand, di¬ 
cono i comunisti, è scivolato 
a destra; la sua politica 
estera è allineata sugli in¬ 
teressi americani; se gover¬ 
na, governerà con la destra, 
prova ne è il suo rifiuto di 
dichiarare che prenderà dei 
ministri comunisti in caso 
di vittoria; Mitterrand in 
verità, non è che l’altra fac¬ 
cia di Giscard. Ma sentiamo 
George Marchais, sugli 
schermi di T.V., il 23 mar¬ 
zo: « cosa farò al secondo 
turno dell'elezione presiden¬ 
ziale, il 10 maggio, se riman¬ 
gono in lizza Giscard e Mit¬ 
terrand? Certo, non voterò 
Giscard, certo non mi piace 
astenermi; non è detto che 



28 


L'Astrolabio - quindicinale - n. 7 • 12 aprile 1981 








non voterò Mitterrand, ma 
il rischio è grave: il leader 
socialista governerà con la 
destra, dato che non ha as¬ 
sunto alcun impegno pre¬ 
ciso sulle rivendicazioni so¬ 
ciali, né annunciato alcuna 
misura che metta in discus¬ 
sione la dominazione del ca¬ 
pitale ». Sconsigliando così 
discretamente agli elettori 
comunisti di votare Mitter¬ 
rand al secondo turno, il 
segretario del PCF li spin¬ 
ge piuttosto a scendere per 
strada all’indomani della 
consultazione, a moltiplica- 
re le lotte sociali, e a non 
lasciar respirare il futuro 
governo socialista. In veri¬ 
tà, come ha sottolineato 
« Le Monde ». il PCF orga¬ 
nizza metodicamente la 
sconfitta di Mitterrand. 

La sua avversione per l’ex 
alleato socialista è diventa¬ 
ta tale che molti a sinistra 
non esitano ad affermare 
che per Marchais la vittoria 
di Giscard è preferibile a 
quella di Mitterrand. Come 
per confermare tale giudi¬ 
zio, ecco che la « Pravda », 
da Mosca, dà la sua benedi¬ 
zione al « candidato-cittadi¬ 
no » (così si è autodefinito 
Giscard D'Estaing): il suo, 
dice, è un « bilancio global¬ 
mente positivo ». Certo, nel 
suo servizio speciale del 13 
marzo, dedicato all’elezione 
presidenziale, l’organo del 
PCUS afferma che il miglior 
candidato rimane Marchais, 
che Mitterrand è il porta¬ 
voce di Reagan, e Chirac un 
arcaico gollista, ma che, a 
destra però, se si guarda be¬ 
ne, c'è qualcuno — Giscard 
—, che « si è guadagnato 
un’autorità personale in 
quanto uomo politico pru¬ 
dente e riservato, special- 
mente sulla scena interna¬ 
zionale dove la posizione 
della Francia si è consolida¬ 
ta in questi ultimi anni ». 
Sarebbe difficile essere più 
espliciti. 

La crisi d’identità del par¬ 
tito è dunque forte. Ne te¬ 
stimoniano alcuni fatti in¬ 
confondibili. Per i 51 comi¬ 


zi tenuti da Marchais, sol¬ 
tanto 400.000 persone si so¬ 
no spostate ad ascoltarlo. 
Le difficoltà a mobilitare le 
sezioni e a raccogliere i fon¬ 
di sono notevoli: sicché que¬ 
sta è forse la campagna più 
discreta del PCF. Quanto al 
malessere dei militanti si 
esprime a sua volta quasi 
senza veli. Sessanta membri 
o ex membri del partito, ge¬ 
neralmente degli intellettua¬ 
li — fra di essi lo storico 
Jean Bruhat, membro da 
cinquant’anni del partito —, 
denunciano il 26 febbraio 
in una lettera aperta la cri¬ 
si involutiva del loro parti¬ 
to: il PCF, dicono, non può 
continuare a essere confi¬ 
scato da un gruppo ristretto 
di dirigenti; per il suo ri¬ 
piego operaista e settario, 
non è comunque più in gra¬ 
do di svolgere una funzione 
di animatore del movimento 
delle masse; bisogna infine 
votare Mitterrand al secon¬ 
do turno quale che sia la 
decisione ufficiale del grup¬ 
po dirigente. 

Il 20 febbraio, erano stati 
una cinquantina di militan¬ 
ti della CGT (equivalente 
approssimativo della CGIL) 
di Marsiglia a pronunciarsi 
a favore « del candidato di 
sinistra, quale esso sia, al 
secondo turno ». Ma qui bi¬ 
sogna ricordare che la CGT 
aveva già invitato pubblica¬ 
mente e ufficialmente i 
propri iscritti a votare Mar¬ 
chais, presentandolo come 
l’unico candidato veramente 
di sinistra. La cosa è scon¬ 
volgente, non solo perché è 
la prima volta che il sinda¬ 
cato francese più forte si 
appiattisce così apertamen¬ 
te sulle posizioni comuniste, 
ma perché nella CGT, i so¬ 
cialisti hanno il 42% dei mi¬ 
litanti. Certo, i dirigenti so¬ 
cialisti si dissocieranno dal¬ 
l'iniziativa, ma il male ora¬ 
mai è fatto: chi, tra i lavora¬ 
tori, può seriamente crede¬ 
re nell’autonomia sindacale 
dopo un tale episodio? 

Le espulsioni, aperte o 
mascherate, si moltiplicano. 


Per esempio, gli scrittori, 
giornalisti e storici Jean 
Elleinstein, Jean Kehayan, 
Catherine Clément, Hélène 
Parmelin, Edouard Pignon, 
Antoine Spire; Henri Fizbin, 
lui, viene cancellato dall’uf¬ 
ficio del Comitato federale 
di Parigi, allorché ne era 
stato per molti anni il se¬ 
gretario. Ma l’espulsione che 
ha forse più colpito è stata 
quella di Etienne Balibar, 
41 anni, filosofo della scuo¬ 
la di Althusser. Balibar ha 
pubblicato sul « Nouvel Ob- 
servateur » del 9 marzo un 
lunghissimo articolo che si 
rammarica della svolta co¬ 
munista sul tema degli im¬ 
migrati. Perché, chiede Ba¬ 
libar, il PCF si è lanciato in 
una campagna contro gli 
arabi, i congolesi, afferman¬ 
do che la loro concentrazio¬ 
ne in alcune zone della peri¬ 
feria parigina suscita dei 
problemi sia per la casa e 
per la scuola che per i ser¬ 
vizi sociali? Dov’è andato a 
finire il mio partito, il par¬ 
tito di Charonne, che nel 
1961 ebbe otto morti nel cor¬ 
so di una manifestazione an¬ 
tirazzista e prò algerina? 
Perché sta giocando adesso 
con le peggiori nozioni del 
sociologismo americano co¬ 
me quella di « soglia di tol¬ 
leranza »? Perché al di so¬ 
pra di un 15% di immigrati 
nelle scuole ci dovrebbe es¬ 
sere, per forza, una reazione 
di tipo razzista nella popola¬ 
zione metropolitana? 

Il fatto è che a Vitry, il 
giorno di Natale, dei mili¬ 
tanti comunisti hanno di¬ 
strutto a colpi di bulldozer 
un ostello per immigranti. 
E’ pure vero che un mese 
dono, a Montieny, il PC lo¬ 
cale, spinto dalle istanze na¬ 
zionali. ha organizzato una 
manifestazione contro im¬ 
migrati marocchini accusati 
di essere degli spacciatori di 
droga. E che per finire ha 
mobilitato le popolazioni 
contro l'eccesso in Francia 
del numero dei « gitans ». 
Per concludere poi i suoi 
manifesti con quest’invito: 


« Votando Marchais, agirete 
per la vostra sicurezza ». 

Nessuno nega che il pro¬ 
blema dei lavoratori Immi¬ 
grati — quattro milioni se 
si contano le famiglie — sia 
grosso, soprattutto in un pe¬ 
riodo di crisi in cui ognuno 
è tentato di vedere nello 
straniero quello che ruba il 
lavoro. Ma non basta però 
a spiegare il carattere siste¬ 
matico della campagna anti 
immigrati del PCF, né il suo 
accanimento a manifestare 
contro l'ingresso della Spa¬ 
gna nella CEE rovesciando 
i camion di agrumi che at¬ 
traversano i Pirenei, o a de¬ 
nunciare i viticoltori italia¬ 
ni che invadono il mercato 
con i loro vini da taglio. La 
prossimità dell’elezione pre¬ 
sidenziale, il timore di un 
brutto scrutinio dei voti, ec¬ 
co le vere ragioni della cam¬ 
pagna comunista. Sembra 
che il PCF abbia deciso, da¬ 
ta l'intensità della crisi eco¬ 
nomica, di far leva su al¬ 
cuni strati disagiati di « pic¬ 
coli bianchi », sulla paura 
della disoccupazione e sul 
clima di insicurezza che si 
diffonde nelle grandi città. 
Donde queste azioni spetta¬ 
colari destinate a dimostra¬ 
re che la « Francia pove¬ 
ra » può contare sul PC. 

Non si sa se questo striz¬ 
zar d’occhio ai « piccoli 
bianchi » francesi, nazionali¬ 
sti. razzisti e impauriti dalla 
crisi, gioverà al PCF. Né se, 
il 26 aprile, alla fine del pri¬ 
mo turno dell’elezione pre¬ 
sidenziale, esso potrà glo¬ 
riarsi di avere ottenuto quel 
20-21% a cui ambisce. Ma 
una cosa è sicura: qualcosa 
di poco pulito è stato sca¬ 
tenato, teorizzato e glorifi¬ 
cato nella Francia sciovini¬ 
sta, e di questa glorificazio¬ 
ne il Partito comunista fran¬ 
cese è stato lo strumento 
consapevole. Chi si meravi¬ 
glierà se, interrogati da « Le 
Matin », il 57% degli inter¬ 
vistati chiedono ora che non 
venga più costituito un so¬ 
lo ostello per immigrati? 


L'Astrolabio • quindicinale * n. 7 • 12 aprile 1981 


29 




LA TRAGEDIA REAGAN 

Luna di miele con finale Western 

di Giampaolo Calchi Novati 


• Il presidente rappresenta l'America; il suo presti¬ 
gio e i suoi poteri si confondono con la grandezza 
e l'onnipotenza dell'America. Il processo di identifica¬ 
zione è legittimante ma nello stesso tempo coinvol¬ 
gente e pericoloso. Che cosa può significare allora un 
attentato contro il presidente degli Stati Uniti? Il di¬ 
scorso porterebbe lontano, investendo le componenti 
storiche, culturali, caratteriali della società americana, 
nonché i riflessi che le sue vicende — solo apparente¬ 
mente interne — finiscono per proiettare in tutto il 
mondo. Si può escludere solo che l'attentato contro 
Reagan sia un episodio isolato : senza precedenti e con¬ 
seguenze politiche. Così come si può escludere che la 
causa determinante del gesto dello sparatore folle sia 
la libertà , come pure alcuni hanno ritenuto di scrivere 
in un tentativo disperato di far tornare tutti i conti. 
Più pertinenti sarebbero considerazioni sulla violenza 
che inquina la vita degli Stati Uniti, sull'assurda irra¬ 
zionalità di un’ideologia tutta protesa ad esaltare l’af¬ 
fermazione individuale, sulla futilità che diventa ca¬ 
tastrofe nazionale. 

Poiché i vari delitti politici, da Dallas in poi, sono 
rimasti casi irrisolti (anche in America), tutti i so¬ 
spetti sono fondati. Non ci sono né prove né indizi, 
ma l’ipotesi del complotto è la più inquietante. A 
poche settimane dall’investitura, senza un motivo, sen¬ 
za un’alternativa, ad opera di un uomo tutto solo, di 
un paranoico. 

Certo è che la lotta per la successione è un pro¬ 
blema aperto. Si può capire l’agitazione subito dopo 
gli spari fuori dell’Hotel Hilton a Washington, ma 
non si doveva trattare di una novità se una rivista come 
« Time » ha dedicato alle grandi manovre dietro l’ombra 
autorevole di Reagan un’accurata inchiesta sul numero 
dietro l’ombra autorevole di Reagan un’accurata inchie¬ 
sta sul numero uscito prima di quel fatale 30 marzo. E 
nel mirino — già nella ricostruzione di «Time» — 
c’era l’imprevedibile segretario di Stato Haig, accusato 
da un aiutante della Casa Bianca di comportarsi pensan¬ 
do « di essere lui il presidente ». Non sorprende allora 
se, saputo dei colpi di rivoltella contro il presidente 
eletto, Haig si sia dimenticato delle precedenze e, forte 
del suo passato di militare, abbia tentato di assumere i 
pieni poteri. Una mossa improvvisa, perché il vice-pre¬ 
sidente Bush lo ha subito rimpiazzato ai comandi e il 
ministro della Difesa Wetnbcrger ha rivendicato a sua 
volta il diritto di dirigere le forze armate. E poco im¬ 
porta chi abbia giuocato per l’occasione la parie del 
« falco » e chi la parte della « colomba », perché tutto 
l' «entourage » presidenziale si muove in una stessa pro¬ 
spettiva, che lascia poco spazio alla moderazione. 

Nel complesso — sia nella tenzone che ha circondato 
la formazione del comitato ministeriale per la gestione 
dell’emergenza che nella successiva crisi seguita all’atten¬ 


tato di Washington — è il vice-presidente Bush ad aver 
fatto la prova migliore. E’ Bush che, mentre Reagan 
deve pensare a riprendersi completamente da una fe¬ 
rita che può difficilmente essere sottovalutata, anche in 
considerazione della sua età, sta affermandosi come il 
« numero uno bis », perfin troppo consapevole e sicuro 
di sé per non dare l'impressione di essere il presidente 
ideale. Ronald Reagan, intanto, assolto da tutti i suoi 
limiti grazie all'attentato e al coraggio dimostrato anche 
in questa circostanza, ha toccato i vertici della popola¬ 
rità e dei consensi. 

L'esordio dell’Amministrazione repubblicana dopo la 
grande vittoria elettorale e la rapida cancellazione dalla 
memoria del povero Carter don era stato in verità dei 
più felici. Cerano state le dichiarazioni di guerra contro 
l’Urss e contro tutti i governi imparentati da vicino o 
da lontano con Mosca, così dure e intransigenti da far 
sorgere in tutti spontaneo l’interrogativo: « Ma che cosa 
vuole Reagan dall’Urss? ». C’era stato il mezzo inter¬ 
vento nel Salvador, giustificato dallo stesso Haig con 
motivazioni che avevano irritato anche la stampa ame¬ 
ricana. C’erano stati i provvedimenti in economia, tanto 
distruttivi da tollerare allarme un po’ dovunque. E 
alla fine era venuto il contrasto aperto fra i massimi col- 
laboratori del presidente, fino al punto da far apparire 
probabile, anche se non immediato, l’allontanamento di 
Hùg, presentato da alcuni come un ambizioso afflitto da 
una sindrome d’autodistruzione, dal dipartimento di 
Stato. 

L’attentato può avere avuto un effetto semplifican¬ 
te, perché ha fatto scordare le colpe di Reagan strin¬ 
gendo l’opinione pubblica intorno al presidente ferito, 
ma le confuse vicende che hanno accompagnato i fatti 
drammatici del 30 marzo hanno aumentato ancora le 
ombre. I meccanismi messi in moto dalla sfida pesante 
lanciata contro l’Urss sono controllabili? La società ame¬ 
ricana, a prescindere da questa ripetizione implacabile 
dello stesso scenario (e per un Hinckley che arriva a 
sparare contro il presidente, quanti sono quelli che s n nn 
fermati o si fermano in tempo?), alimenta inevitabil¬ 
mente dentro di sé le cause di una instabilità profonda 
che l'apparente immutabilità delle istituzioni non riesce 
a dissimulare del tutto. Se anche Reagan, che ha vinto 
in nome della « legge e ordine », subisce il contraccolpo 
di una violenza che la sua politica avrebbe avuth la- 
pretesa di rivolgere verso l’esterno (i « nemici », i « ros¬ 
si », i « terroristi ») o quanto meno contro le schegge 
eversive dello stesso sistema americano, è segno che 
la disgregazione è andata molto in là e che gli obiettivi 
che si volevano raggiungere con la catarsi di un presi¬ 
dente tutto dedito alla reazione potrebbero essere per¬ 
seguiti d’ora in poi con altri mezzi. Chiunque sia il can¬ 
didato a gestire una simile svolta, le implicazioni del¬ 
l’attentato, come si vede, sono chiaramente e nettamen¬ 
te politiche • 


30 


L'Asirolabio • quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1991 









I diritti umani 

e la politica estera di Reagan 

...Ma l’intervento Usa nel Salvador è cominciato due anni fa... 

di Sylvia E. Crane 


La campagna per i di¬ 
ritti umani è in peri¬ 
colo nella Washington di 
Reagan. Lanciata nel 1977 
come emblema di Jimmy 
Carter, questa politica ha 
dato un significativo vantag¬ 
gio strategico agli Stati Uni¬ 
ti. Ora è stata retrocessa 
al secondo posto, lasciando 
la precedenza agli affari. In 
nome dei diritti umani, du¬ 
rante la sua prima conferen¬ 
za stampa, il Presidente ha 
attaccato i sovietici per la 
repressione interna, chia¬ 
mandoli « terroristi, imbro¬ 
glioni e bugiardi ». Sempre 
su questa linea, l’ammini¬ 
strazione è arrivata ad at¬ 
tribuire all'Unione Sovieti¬ 
ca l’origine e il sostegno del 
terrorismo internazionale. 

Tali accuse implicano la 
condanna della distensione, 
e lasciano prevedere un ri¬ 
torno alla guerra fredda nei 
rapporti intemazionali e un 
atteggiamento militaristico 
all’interno. Di fronte ai ri¬ 
petuti inviti di Breznev per 
un nuovo vertice per nego¬ 
ziare le differenze fra le 
superpotenze, Washington 
ha ripreso la corsa agli ar¬ 
mamenti prima che inizino 
i negoziati sulla limitazione 
degli armamenti in modo 
da poter negoziare da una 
posizione di forza. Una li¬ 
nea fortemente anticomuni¬ 
sta è diventata il simbolo 
della politica estera di Rea¬ 
gan. 

L'anticomunismo di Rea¬ 
gan è semplicistico e cade 
nell’equivoco per cui il con¬ 
trario del comuniSmo è l’an¬ 
ticomunismo, anziché la de¬ 
mocrazia e tutta la serie 
di alternative possibili fra 
questi due poli di organizza¬ 
zione socio-politica. 

Il modello del più sco¬ 
perto anticomunismo è il 
Salvador. Di recente Rea¬ 
gan ha giustificato la deci¬ 
sione di aumentare gli aiuti 
militari e il numero di con¬ 
siglieri inviati alla giunta 
militare, col desiderio di 


« frenare la forza destabiliz¬ 
zatrice del terrorismo ed e- 
vitare che la guerriglia e la 
rivoluzione vengano laggiù 
esportate con l’appoggio del¬ 
l’Unione Sovietica e di Cu¬ 
ba ». Ha attribuito la morte 
di 6.000 persone nello scor¬ 
so anno ai « terroristi e ai 
guerriglieri » e ha concluso 
affermando: « noi pensiamo 
di aiutare le forze che so¬ 
stengono i diritti umani nel 
Salvador ». Egli si basa sul 
« programma di riforma 
agraria come il migliore 
obiettivo per migliorare le 
condizioni del popolo ». 

Il Presidente ha sicura¬ 
mente alterato i fatti, come 
risulta dai rapporti contrad¬ 
dittori che stanno affluendo 
all’opinione pubblica. In 
realtà è certo che le priva¬ 
zioni economiche siano al¬ 
l'origine dei disordini civili 
in un clima di repressione 
che non lasciava altra alter¬ 
nativa che l’esplosione di un 
movimento di guerriglia. Il 
capo del sindacato dei lavo¬ 
ratori metallurgici del Sal¬ 
vador, dopo una brillante 
introduzione fatta da un sa¬ 
cerdote gesuita, ha detto di 
fronte ad un uditorio di stu¬ 
denti attivisti dell’Universi¬ 
tà di Fordham, che i lavora¬ 
tori della città percepisco¬ 
no un salario di 2 dollari 
al giorno, quando trovano 
lavoro, mentre la forza-la¬ 
voro delle campagne è rimu¬ 
nerata in modo ancora più 

per um 140,0 

RjEACAh . 


modesto. Una legge recen¬ 
te ha dichiarato illegale l’in¬ 
gresso nelle fabbriche del 
personale sindacale. Ha ag¬ 
giunto che sindacalisti, am¬ 
ministratori della riforma 
agraria e assistenti sociali, 
sono stati sistematicamente 
assassinati dagli squadroni 
della morte istigati dalle 
forze governative. Le 14 fa¬ 
miglie che posseggono la 
maggior parte della terra 
e delle industrie dipendono 
in modo massiccio dai mi¬ 
litari per il loro potere. Con 
i prezzi inflazionati, gli 
operai e i contadini non rie¬ 
scono a procurarsi da man¬ 
giare. Il presidente del sin¬ 
dacato ha dichiarato che 
non esiste altra alternativa 
che la lotta o la morte per 
fame o denutrizione. Molti 
preti e universitari che ope¬ 
ravano in favore del popo¬ 
lo sono stati indiscriminata¬ 
mente uccisi. Anche un ar¬ 
civescovo — come si sa — 
è stato ucciso a sangue 
freddo. 

L’ex-ambasciatore degli 
Stati Uniti, Robert White, 
richiamato dal Segretario di 
Stato, A. Haig, ha dichiarato 
in una seduta del sotto¬ 
comitato per gli affari in¬ 
teramericani del Congresso 
che « un maggiore aiuto mi¬ 
litare renderebbe più diffi¬ 
cile la soluzione politica del 
conflitto nel Salvador se es¬ 
so dovesse comportare un 
indebolimento della leader- 


HAIC ; WAIG 
Si HfTTe MALE... 


ship civile del governo ». 
Ha aggiunto inoltre che le 
forze di sicurezza nazionale 
erano implicate nell’uccisio¬ 
ne delle quattro missionarie 
cattoliche nello scorso di¬ 
cembre e ha ripetuto le sue 
precedenti accuse che gli 
assassini non sono stati ri¬ 
cercati seriamente «come 
era stato invece promesso». 
Infine ha affermato che non 
avrebbe « avallato una co¬ 
pertura » e sta quindi ri¬ 
schiando la sua carriera a 
soli 54 anni per difendere il 
proprio punto di vista. 
« Quando ci si accorge che 
un nuovo Vietnam incombe 
su di noi, è nostro dovere 
prendere posizione » ha di¬ 
chiarato amaramente. 

In un dibattito con Jean 
Kirkpatrick, delegato statu¬ 
nitense all’Onu, White ha di¬ 
chiarato: « Nella misura in 
cui sostenete una soluzione 
militare nel Salvaor, voi da¬ 
te appoggio a uno dei grup¬ 
pi più violenti e sanguinari 
esistenti nel mondo. Essi 
hanno ucciso — come mini¬ 
mo — 5.000 o 6.000 ragazzi 
sulla base del semplice so¬ 
spetto di essere in rapporto 
con la sinistra ». Inoltre, 
White ha continuato che 
« quei governi militari 
(neH'America Latina) esiste¬ 
vano perché noi abbiamo 
attivamente incoraggiato i 
governi militari... A causa 
dell’errata politica america¬ 
na negli ultimi 25-30 anni, 
tutte le istituzioni politiche 
(democratiche) sono state 
sistematicamente distrutte 
nel Salvador. L’amministra¬ 
zione Reagan sta incorag¬ 
giando questo governo a raf¬ 
forzare la componente mi¬ 
litare a danno di quella ci¬ 
vile. E per tale cammino si 
arriverà al disastro ». 

Un esperto di America La¬ 
tina mi ha detto di conosce¬ 
re personalmente il presi¬ 
dente José Napoleon Duarle 
e di considerarlo un demo¬ 
cratico cristiano moderato 
che crede nella democrazia. 




L’Astrolabio - quindicinale • n 7 - 12 aprile 1981 


31 








« Il dramma è ora che 
Duarte ha perso il controllo 
del proprio governo ». Il 
programma di riforma agra¬ 
ria è in posizione di stallo 
e i suoi esecutori rischiano 
la morte sul lavoro. Sei 
membri della Commissione 
per i diritti umani sono sta¬ 
ti rapiti e uccisi. Secondo 
Amnesty International nel 
paese ci sono già stati cir¬ 
ca 10.000 morti. 

Flora Lewis ha smosso le 
acque di tutta Washington 
rendendo noto un « paper » 
dissidente scritto da qual¬ 
cuno del Consiglio per la 
Sicurezza Nazionale, del Di¬ 
partimento di Stato e della 
Difesa e della Cia, in data 
6 novembre 1980, in cui si 


parla di « un energico ma 
coperto intervento statuni¬ 
tense avvenuto lo scorso an¬ 
no per prevenire un’esplo¬ 
sione della crisi nel Salva¬ 
dor prima delle elezioni ». 
Quantunque il Dipartimento 
di Stato abbia negato che si 
tratti di un documento uf¬ 
ficiale, la Lewis ha confer¬ 
mato i fatti. « Ancora più 
importante, essa continua, 
è l’accusa che tutte le in¬ 
formazioni contrarie all’opi¬ 
nione dominante a favore 
dell’intervento sono state 
soppresse ». Il documento 
afferma che « gli Stati Uni¬ 
ti stavano addestrando mi¬ 
litari salvadoregni nelle lo¬ 
ro basi a Panama nel più 
lungo programma di eserci¬ 


tazioni che sia mai stato 
svolto in un paese dell’Ame¬ 
rica Latina in un solo anno. 
L'Argentina è diventata il 
secondo maggiore istruttore 
di ufficiali salvadoregni. Il 
Cile e l’Uruguay dove gli 
Stati Uniti hanno svolto ne¬ 
gli anni ’60 un altamen¬ 
te controverso programma 
controrivoluzionario, hanno 
pure accettato di inviare 
consiglieri per la controrivo¬ 
luzione urbana e rurale. Il 
presidente del Panama si 
era opposto pubblicamente 
a questo programma sul 
suo territorio ma nessuno 
gli aveva dato ascolto ». 

La Lewis aggiunge anco¬ 
ra, citando dal rapporto che 
« i servizi segreti americani 


sono al corrente di una for¬ 
za d’urto paramilitare in 
Guatemala formata da ele¬ 
menti appartenenti alla 
Guardia nazionale nicara¬ 
guense di Somoza, da cuba¬ 
ni anticastristi e da perso¬ 
nale militare guatemalteco 
e da mercenari ». Nel 1954 
la Cia ha deposto il presi¬ 
dente Arbenz democratica¬ 
mente eletto e insediato un 
regime di repressione accu¬ 
sato da « Amnesty Interna¬ 
tional » di genocidio politi¬ 
co di massa. Si sostiene ora 
che la Cia stessa con l’FBI 
e altri servizi siano respon¬ 
sabili della promozione di 
questa forza. Ufficiali hun- 
duregni starebbero proget¬ 
tando attacchi contro il Ni- 



Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa 


SILENZIO STAMPA 
SULLA TERZA TAPPA 


Dal mese di settembre 1980 a Ma¬ 
drid sono ripresi i lavori della 
cSCE — la Conferenza per la Sicu¬ 
rezza e la Cooperazione in Europa 
— il cui atto finale che regola pacifi¬ 
camente i rapporti fra gli Stati eu¬ 
ropei, venne sottoscritto da 35 nazio¬ 
ni Stati Uniti e Canada inclusi, nel¬ 
l’agosto 1975 a Helsinki. La carta di 
Helsinki che è il protocollo della di¬ 
stensione in Europa, si articola in tre 
cesti o canestri: i problemi della si¬ 
curezza; la cooperazione economica; 
i diritti umani e civili. 

In sostanza i tre nodi dei rapporti 
fra Ovest ed Est. La conferenza di 
Helsinki ebbe un seguito a Belgrado 
nel 1978 con la riunione dei 35 paesi 
che avevano sottoscritto la Carta per 
fare il punto sull’applicazione pratica 
dei princìpi elencati neH’atto finale. 
I risultati di quella riunione furono 
molto magri, quasi nulli. L’unica deci¬ 
sione che trovò tutti concordi fu di 


darsi appuntamento a Madrid nel 1980. 
E nel settembre dello scorso anno si 
è aperta la terza tappa di questo lun¬ 
go cammino diplomatico verso la di¬ 
stensione e la cooperazionc in Europa. 

Alla vigilia della riunione di Madrid 
si temette addirittura che la conferen¬ 
za non si sarebbe nemmeno aperta 
per il deteriorarsi della situazione in¬ 
temazionale e dei rapporti fra Mosca 
e Washington. Anche perché l’inizio 
di questa terza fase della CSCE coin¬ 
cideva con le elezioni presidenziali 
americane e col conseguente cambio 
alla Casa Bianca dove fino al 20 gen¬ 
naio sarebbe rimasto il presidente 
sconfitto e uscente Carter. Con la 
successione di Reagan la CSCE, mal¬ 
grado la conferma della delegazione 
americana che era stata scelta da 
Carter, risentiva abbastanza evidente¬ 
mente degli orientamenti certamente 
più aggressivi del nuovo presidente 
degli Stati Uniti. Sicché per diversi 


mesi a Madrid ci si limitò a una at¬ 
tenta rassegna di come erano andate 
le cose negli ultimi due anni, dalla 
riunione deludente di Belgrado a 
quella in atto a Madrid. E non manca¬ 
rono le esercitazioni propagandistiche 
da parte degli Stati Uniti che fecero 
temere, per l'irrigidimento sovietico, 
l'ennesimo fallimento dei convegni del¬ 
la CSCE. 

Nonostante tutto ciò la conferenza 
di Madrid assumeva dimensione poli¬ 
tica attorno alla proposta francese di 
riprendere il discorso della distensio¬ 
ne con la convocazione di una confe¬ 
renza pan-europea per il disarmo che 
si ponesse come obiettivo l’aumento 
della fiducia reciproca, estendendo 
le misure di controllo fino agli Urali. 
Ad Helsinki, infatti, nel 1975 era stato 
stabilito che ogni manovra militare di 
proporzioni consistenti dovesse essere 
resa nota alla controparte con un pre¬ 
ventivo annuncio; che vi fosse scam¬ 
bio di delegazioni militari quando 
queste manovre avevano luogo; che 
queste informazioni sui movimenti di 
truppa riguardavano ad Est il terri¬ 
torio dei paesi aderenti al Patto di 
Varsavia inclusa una fascia di 250 
chilometri di terra sovietica. 

E’ partendo da questa precedente 
intesa che la Francia a Madrid ha pro¬ 
posto di estendere la zona delle misu¬ 
re di controllo fino agli Urali. Su que¬ 
sta estensione lo scontro a Madrid 
fra sovietici e le delegazioni della NA¬ 
TO sarà durissimo, fino al febbraio 
scorso. Ma anche all’interno dello 
schieramento occidentale si verificano 
differenze non trascurabili. Gli Stati 
Uniti e il Canada aderiscono alla 
proposta francese solo in un secondo 
tempo. Fra i paesi della Comunità Eu¬ 
ropea le posizioni sono differenziate: 
l’atteggiamento dell’Olanda che ha ri- 



32 


L'Astrolabio • quindicinale • n. 7 * 12 aprile 1981 

































caragua. Il rapporto conclu¬ 
de che « nulla può indeboli¬ 
re gli Stati Uniti e compor- 
« tare un più sostanziale coin¬ 
volgimento cubano e sovie¬ 
tico di un intervento milita¬ 
re americano ». Esso racco¬ 
manda « negoziati, possibil¬ 
mente senza gli Stati Uniti 
e un inequivocabile muta¬ 
mento di segnali agli estre¬ 
misti di destra della regio¬ 
ne ». 

Gli aiuti militari all’attua¬ 
le giunta del Salvador sono 
stati approvati apertamente 
solo da Costa Rica e dal 
Venezuela, mentre sono 
apertamente criticati dal 
k presidente messicano Lopez 
Portillo. 1 governi militari 
dell’Argentina, del Brasile, 


dei Cile e dell’Uruguay go¬ 
dono nuovamente del favore 
di Washington che sembra 
aver dimenticato l’assassi¬ 
nio nella stessa capitale de¬ 
gli Stati Uniti nel settem¬ 
bre 1976 di Orlando Letel- 
lier, ambasciatore di Allen- 
de negli Stati Uniti, e del 
suo collega americano Ron- 
ni Moffitt. Malgrado il ri¬ 
fiuto di Pinochet di estra¬ 
dare i colpevoli negli Stati 
Uniti per subire il processo 
e il rifiuto di processarli 
nel Cile stesso, Reagan favo¬ 
risce il rafforzamento di le¬ 
gami col Cile per ragioni 
pratiche. 

Reagan ha ricevuto con 
molta cordialità alla Casa 
Bianca il generale Roberto 


Viola, nuovo capo milita¬ 
re dell’Argentina, malgrado 
l’arresto sotto l’accusa di 
aver violato le leggi di si¬ 
curezza nazionale, di sei di¬ 
fensori dei diritti umani e 
la confisca dei loro archivi 
con i nomi di 6.000 persone 
ritenute rapite dalle forze di 
sicurezza e date per disper¬ 
se. 

Il presidente del Guate¬ 
mala, Lucas Garcia, anche 
egli accolto con calore alla 
Casa Bianca da Reagan, è 
stato accusato da Amnesty 
International come diretto 
sovrintendente di un’agen¬ 
zia di servizi segreti che 
perpetra assassinii politici. 
Da quando Garcia è salito 
al potere nel 1978, un am¬ 


pio rapporto di Amnesty 
sulle violazioni dei diritti u- 
mani attribuisce al suo go¬ 
verno l’arresto e l’assassinio 
di circa 5.000 persone sen¬ 
za mandato e di 615 altre se¬ 
questrate e poi sparite. Le 
vittime appartengono al 
mondo politico, sindacale, 
ecclesiale, accademico e fan¬ 
no parte del Fronte demo¬ 
cratico guatemalteco contro 
la repressione. 

Con notevole scetticismo 
sono stati accolti gli emissa¬ 
ri inviati da Reagan in Eu¬ 
ropa per illustrare il Libro 
Bianco del Dipartimento di 
Stato che pretende di do¬ 
cumentare l’appoggio sovie¬ 
tico e cubano alla guerriglia 
salvadoregna che dal canto 


fiutato l’installazione dei missili Persh- 
ing e Cruise è differente da quello 
della Germania Federale. L'Italia che 
col ministro Emilio Colombo all’ini¬ 
zio dei lavori aveva giocato un ruolo 
positivo, in questa fase dà l’impressio¬ 
ne di assenza di una linea precisa. 
Per obiettività va ricordato che il 
viaggio del ministro degli Esteri a 
Mosca — viaggio probabilmente con¬ 
cordato con i partners europei — 
i aveva di fatto spianato la via alla ri¬ 
presa della Conferenza sulla Sicurezza 
e la Cooperazione. Infatti, nei corridoi 
della CSCE di Madrid è stato possi¬ 
bile raccogliere giudizi non negativi 
sul comportamento italiano anche da 
parte dei paesi del Patto di Varsavia. 

A fine febbraio la conferenza di Ma¬ 
drid si muove fra coloro che pensa¬ 
vano che ormai bisognasse chiudere i 
lavori — la data prefissata era il 5 
marzo — e quanti invece ritenevano 
che si dovesse prendere ancora qual¬ 
che settimana di respiro per vedere 
di concludere su qualcosa di positivo. 
La situazione era di stallo, quando in¬ 
terviene il discorso di Breznev al 26° 
> Congresso del PCUS. Un discorso che 
rimette in discussione tutti i dati del¬ 
la conferenza di Madrid aprendo un 
grosso spiraglio: Breznev, riferendosi 
proprio alla questione delle aree da 
sottoporre a possibili controlli nel 
quadro di una conferenza pan-europea 
per il disarmo, accetta il principio che 
queste ispezioni possano giungere fino 
agli Urali, cioè a tutta la parte euro¬ 
pea dell’Unione Sovietica chiedendo 
naturalmente che da parte occidentale 
si propongano adeguate contropartite 
sul versante opposto. 

Proprio in quei giorni una delega 
zione del Comitato Italiano per il 
Disarmo si trova a Madrid per incon¬ 
trarsi con rappresentanti di paesi che 


hanno un ruolo rilevante nella CSCE 
(citiamo nell’ordine le delegazioni in¬ 
contrate: italiana, francese, olandese, 
jugoslava, americana, sovietica). Nei 
giorni in cui soggiorniamo a Madrid, 
la Conferenza si trova sotto lo choc 
di questa nuova inaspettata iniziativa 
sovietica felicemente contradittoria ri¬ 
spetto alle passate posizioni dell’Unio¬ 
ne Sovietica. L'interrogativo da parte 
occidentale è: chissà che vorrà Brez¬ 
nev quando chiede contropartite ade¬ 
guate? 

Qualcuno arriva a pensare che Brez¬ 
nev possa chiedere ispezioni sul terri¬ 
torio degli Stati Uniti e del Canada; 
altri più realisticamente pensano al¬ 
le Azzorre, ai movimenti delle flotte 
occidentali in Atlantico vicino alle co¬ 
ste dell’Europa o in Mediterraneo. E’ 
in questo clima che gli ottimisti in¬ 
sistono per prolungare i lavori magari 
fino a Pasqua. I pessimisti, e fra que¬ 
sti — incredibile a dirsi — la diploma¬ 
zia svizzera, avrebbero voluto chiude¬ 
re tutto con rapidità. Per inciso, il ca¬ 
po della delegazione olandese (l’Olan¬ 
da presiede attualmente le riunioni dei 
paesi della CEE) qualificherà come ci¬ 
nica la proposta del suo collega sviz¬ 
zero. Ma il cinismo non ha prevalso. 
La maggioranza dei paesi partecipan¬ 
ti si è pronunciata per una proroga 
e c’è quindi una speranza che da Ma¬ 
drid i 35 paesi della CSCE escano con 
qualcosa di positivo. Che venga al¬ 
meno accettata l'iniziativa di una con¬ 
ferenza pan-europea per il disarmo 
per trovare, in mezzo a mille difficol¬ 
tà, delle soluzioni che valgano anzitut¬ 
to a ristabilire un clima di maggiore 
fiducia, per fermare la spirale infer¬ 
nale della corsa al riarmo invertendo 
il senso di marcia per ridiscendere 
verso forme di disarmo bilanciato e 
controllato. 


Sul secondo cesto, quello della coo¬ 
perazione economica, c’è anche qui 
una grossa proposta sovietica per una 
conferenza europea sull’energia. Alla 
proposta sovietica, che ha trovato im¬ 
preparate le delegazioni occidentali, 
si è affiancata l’iniziativa sempre del- 
l’URSS che ha offerto accordi bilate¬ 
rali per un nuovo metanodotto Sibe- 
ria-Europa Occidentale. Proposta che 
trova la Germania Federale molto in¬ 
teressata ma che incontra, natural¬ 
mente, i sospetti di Washington che ri¬ 
tiene che una impresa del genere po 
trebbe mettere nelle mani dell’Unione 
Sovietica un’arma di pressione econo¬ 
mica e politica sull'Europa Occiden¬ 
tale, poiché Mosca controllerebbe i ru¬ 
binetti del metanodotto siberiano. 
D’altra parte l’Europa si dibatte con 
il deficit energetico, incontra difficol¬ 
tà di approvvigionamento, e si sente 
stretta nella duplice morsa del dolla¬ 
ro che per l’Italia sale oltre quota 
mille lire, e del conseguente aumento 
del prezzo del petrolio. Un problema 
rilevante e complesso che certamen¬ 
te avrà un seguito fuori dalla Confe¬ 
renza di Madrid. 

In conclusionè ci sia consentita una 
annotazione che riguarda la stampa 
italiana che ignora totalmente o quasi 
i lavori della Conferenza di Madrid 
i cui sviluppi tuttavia saranno comun¬ 
que rilevanti non soltanto per i rap¬ 
porti inter-europei fra Est e Ovest, 
non soltanto per le politiche nazio¬ 
nali dei singoli paesi, ma per le eco¬ 
nomie di ogni nazione alle prese con 
l’inflazione galoppante. Dietro questa 
incredibile distrazione della stampa 
nazionale c’è forse il fatto che a trop¬ 
pi non piace una conferenza che si 
muove all'insegna della cooperazione 
europea dall’Atlantico agli Urali. 

L. A 


L'Astrolabio - quindicinale • n. 7 - 12 aprile 1981 


33 





/ diritti utnani 
e la politica estera 
di Reagan 


suo ha categoricamente 
smentito le imputazioni. 
Queste affermazioni erano 
state fatte in precedenza in 
un rapporto preparato per 
il Consiglio sulla sicurezza 
latino-americana che espri¬ 
me i timori della classe con¬ 
servatrice per un’espansione 
sovietica neH'America Lati¬ 
na, incontestata sfera di in¬ 
teresse americana da 150 an¬ 
ni. 

Quantunque il Congresso 
abbia votato 25 milioni di 
dollari per un aiuto militare 
straordinario al Salvador, 
aumentando gli originali 10 
milioni e i 45 consiglieri 
militari in più, gonfiandone 
le fila a 54, la critica al 
Campidoglio è divenuta 
aspra. Il deputato democra¬ 
tico Garry Studds ha otte¬ 
nuto la firma di 40 colleghi 
su una risoluzione non an¬ 


cora definitiva che chiede la 
fine degli aiuti militari a 
causa delle migliaia di as¬ 
sassina civili attribuiti alle 
forze dei servizi di sicurez¬ 
za, inclusa la morte di tre 
suore cattoliche e di un as¬ 
sistente sociale laico. I se¬ 
natori Ted Kennedy e Paul 
Tsongas hanno presentato 
una risoluzione che rifiuta 
gli aiuti fino a che non sia 
fatta piena luce sugli assas¬ 
sini. Il senatore Christopher 
Dodd e il deputato Stephen 
Solarz hanno proposto una 
altra risoluzione in cui co¬ 
me condizione per gli aiuti 
militari vi sia una riduzione 
delle violazioni dei diritti 
umani e l'attuazione di ri¬ 
forme economiche ». Mi¬ 
chael Barnes, presidente 
della sottocommissione per 
gli affari interamericani, ha 
organizzato delle udienze 
per dare possibilità di paro¬ 
la ai gruppi dell’opposizione 
fra cui un arcivescovo catto¬ 
lico in nome dei vescovi cat¬ 
tolici deH’America e il Consi¬ 
glio nazionale delle Chiese. 
L'arcivescovo James A. Hic- 
key si è opposto all’aiuto 
militare in quanto provoche¬ 


rebbe un arresto della rifor¬ 
ma agraria e un aumento 
della repressione col rischio 
di una guerra civile di pro¬ 
porzioni immense. 

Il Congresso manifesta la 
sua perplessità. Alcuni ri¬ 
tengono che Reagan abbia 
violato lo spirito e forse an¬ 
che la lettera del « War Po- 
wers Act », un’eredità del 
Vietnam, che impone al Pre¬ 
sidente di inviare al Con¬ 
gresso un formale annuncio 
scritto entro le 48 ore del¬ 
l’impiego di forze statuni¬ 
tensi in atti bellici o in aree 
in cui il coinvolgimento nel¬ 
le ostilità è « chiaramente 
indicato » dalle circostanze. 
L’amministrazione non ha 
applicato questo principio 
col pretesto che ai consi¬ 
glieri è fatto divieto di par¬ 
tecipare ad azioni militari. 
Viene espresso il timore che 
« l’invio di istruttori milita¬ 
ri... possa portare ad un 
coinvolgimento duraturo co¬ 
me in Vietnam ». « E una ri¬ 
petizione degli anni '60 », ha 
affermato Richard Ottinger. 

Nel vicino Nicaragua, il 
regime sandinista si trova a 
una svolta dovuta al « di¬ 


sordine economico » eredita¬ 
to dalla guerra e dal regime 
di Somoza che ha lasciato 
1,6 miliardi di dollari di de¬ 
ficit. Il ristagno e l’inflazio¬ 
ne in Occidente per la do¬ 
manda dei prodotti agrico¬ 
li del paese e i forti anti¬ 
cipi richiesti dalle aspetta¬ 
tive rivoluzionarie esaspera¬ 
no le difficoltà. L'influenza 
del senatore Jesse Helms ha 
accelerato il taglio di tutti 
gli aiuti ai sandinisti. La so¬ 
spensione di 15 milioni di 
dollari in aiuti americani, 
parte di un pacchetto di 75 
milioni concessi da Carter 
e dei 50 milioni promessi 
ma fermi al Congresso, ha 
aumentato l'instabilità e ha 
acuito il dibattito interno 
nel Nicaragua, se radicaliz- 
zare la rivoluzione e avvi¬ 
cinarsi di più a Cuba, o se 
accomodarsi alle pesanti 
pressioni americane. La po¬ 
sizione statunitense sul fu¬ 
turo trasferimento di armi 
dal Nicaragua al Salvador 
ha contribuito a indebolire 
i moderati nel regime san¬ 
dinista polarizzando lo scon¬ 
tro. 

S. E. C. 


Gli ”affidabili” consiglieri di Gardner 


• Tra i più afflitti nell’apprendere 
l’esito delle elezioni americane furo¬ 
no, nel novembre scorso, alcuni no¬ 
stri assidui frequentatori detl’Amba- 
ciata Usa a Roma. Fonte delle loro 
preoccupazioni non era tanto la svolta 
politica che sarebbe stata impressa 
dal vincitore Reagan. quanto la « per¬ 
dita » di un amico, l’ambasciatore Ri¬ 
chard Gardner, che nei suoi quattro 
anni di soggiorno romano aveva tra¬ 
sformato la sede diplomatica statu¬ 
nitense in un salotto aperto ad una 
selezionatissima cerchia di uomini po¬ 
litici, Intellettuali, economisti, giorna¬ 
listi, tutti ovviamente di provata fede 
atlantica. Per tutti costoro Gardner 
sapeva essere squisito anfitrione ed 
interessante/interessato interlocutore. 

Dal giorno in cui si apprese che, 
come « uomo di Carter », l’ambascia¬ 
tore avrebbe dovuto lasciare l’incari¬ 
co e fino al momento della partenza 
dall’Italia, tutta la famiglia Gardner 
è stata impegnata in un tour de force 
politico-mondano. Tra una cena d’addio 
e l’altra, non si sono contate le inter¬ 
viste, il filo diretto a Radio anch'io, il 
servizio a Tg /'una; domande e rispo¬ 
ste tra il confidenziale e il politico 


sui momenti belli e brutti, sul magni¬ 
fico sole di Roma e sul terrorismo, 
sul « consiglio da dare agli italiani ». 

Ora Gardner è negli Stati Uniti e 
mette a frutto l’esperienza acquisita 
a Roma illuminando gli americani sul¬ 
la situazione nel nostro Paese. Ulti¬ 
mamente — come riferisce il Secolo 
XIX del 25 marzo — l’ex-ambasciatore 
ha tenuto una conferenza alla Colum¬ 
bia University e si è detto preoccu¬ 
pato per la vulnerabilità dell’Italia. I’ 
alleato-chiave degli Stati Uniti. Le cau¬ 
se destabilizzanti sarebbero, a suo pa¬ 
rere, tre: la presenza del maggiore 
Partito comunista occidentale, la per¬ 
sistente crisi economica e infine il 
terrorismo. Naturalmente, la cosa che 
più lo preoccupa è la forza del PCI, a 
proposito del quale ha ribadito la vo¬ 
lontà americana di tenerlo lontano dal 
governo. Su questo punto Gardner ha 
tenuto a dire di essersi formato una 
opinione anche alla luce di quanto gli 
hanno spiegato • i politici e gli sto¬ 
rici che ho usato come miei abituali 
consulenti: Luciano Pellicani, Lucio 
Colletti, Vittorio Strada. Federico 
Cohen, Mario D’Addio, Alberto Ron- 
chey e Rosario Romeo ». 


Ora non sappiamo quali siano state 
in merito all’» affidabilità democrati¬ 
ca » del PCI le opinioni di ciascuno; 
chi abbia messo in guardia Washing¬ 
ton ricorrendo ai soli rozzi argomenti 
e chi abbia soltanto espresso riserve 
sulla riluttante • base filosovietica ». 
Nè è dato sapere in che conto Gard¬ 
ner abbia tenuto, per esempio, le opi¬ 
nioni di Lucio Colletti e quelle del 
craxiano Pellicani. Del resto molti dei 
« consulenti • citati dall’ambasciatore 
•si premurano di farci conoscere il lo¬ 
ro pensiero con puntuale cadenza (c’è 
sempre un dopo Kabul e siamo sem¬ 
pre in attesa di notizie da Varsavia...). 

Il richiamo di Gardner a questi ami¬ 
ci italiani fa piuttosto venire alla men¬ 
te un passo dì un’opera scritta da 
Baldesar Castiglione nel XVI secolo. 
Lo sfondo deali avvenimenti narrati 
era la corte di Urbino, dove il duca 
Guidobaldo procurava che la sua casa 
« fusse di nobilissimi e valorosi gen¬ 
tiluomini piena ». Costoro, scrive il 
Castiglione. ■ tra l’altre piacevoli fe¬ 
ste e musiche e danze "che continua- 
mente si usavano, talor proponevano 
belle quistioni ». 

L’oDera, per chi non la ricordasse, 
s’intitolava « Il Cortigiano » • 


34 


L'Astrolabio - quindicinale • n. 7 • 12 aprile 1981 










L'America Latina due mesi dopo Reagan (2) 

BRASILE: un regime che cerca 
di sopravvivere a se stesso 

di Marco Marchioni 


• Segnali nuovi dell’inutilità della scelta militare e 
autoritaria vengono anche dal Brasile, l’altro grande 
paese latinoamericano il cui destino ha grande influen¬ 
za sull’evoluzione politica nell’intero continente. 

Il regime dopo aver percorso la via militare fino in 
fondo, dopo aver svenduto la propria autonomia nazio¬ 
nale (e con essa le proprie ingenti risorse naturali), do¬ 
po aver compresso ogni tipo di libertà e aver utilizzato 
a piene mani ogni tipo di repressione, oggi cerca di rin¬ 
novarsi, di succedere a sé stesso aprendo le porte ad una 
cauta « democratizzazione », il cui significato è chiaro: ri¬ 
trovare il consenso e l’appoggio di settori nazionalisti fi¬ 
no ad oggi schiacciati dal capitale monopolistico multi¬ 
nazionale totalmente esterno; accordare qualche timida 
apertura alle classi lavoratrici sul piano delle libertà 
sindacali e delle concessioni economiche, ma tenere 
saldamente in pugno il controllo sostanziale del paese e 
dei meccanismi economici. Tutto ciò, come in Argenti¬ 
na, urta contro la crescente presa di coscienza di set¬ 
tori sempre più ampi della popolazione, in particolare 
delle classi lavoratrici, del proletariato urbano, malgra¬ 
do tutto cresciuto in questi anni, delle stesse masse con¬ 
tadine e bracciantili. Abbiamo raccolto tre testimonian¬ 
ze di grande interesse per suffragare queste afferma¬ 
zioni. 

Dice Olivio Dutra, dirigente sindacale e del Partito 
dei Lavoratori brasiliani (PTB): « Dal 1975 è andata 
crescendo in Brasile una forte corrente sindacale che 
riprende la necessità di indipendenza e di autonomia 
che è della nostra tradizione storica. Il sindacato non 
può dipendere né dal padrone, né dal governo, né dai 
partiti. Ciò non vuol dire che il sindacato è apolitico. 
Al contrario il sindacato fa politica partendo dalla 
politica della base operaia. O facciamo la nostra po¬ 
litica o facciamo quella degli altri, della borghesia, che 
nel nostro caso non è una borghesia nazionale ma di¬ 
pendente e subordinata al capitale straniero. Questa 
visione è oggi abbracciata da un numero crescente di 
dirigenti sindacali nelle città e nelle campagne. Per 
questo progetto siamo stati e siamo duramente colpi¬ 
ti dal regime, che cerca di isolare questa tendenza al¬ 
l’interno della classe operaia per poterla più facilmen¬ 
te liquidare. Ma noi cerchiamo di unire le lotte urbane 
e industriali con quelle contadine. La richiesta di rifor¬ 
ma agraria dei contadini è una rivendicazione di tutto 
il movimento. Il nostro programma prevede: salario mi¬ 
nimo garantito; riforma agraria; libertà sindacale; ga¬ 
ranzia del lavoro e diritto di costituire una centrale 
unica dei lavoratori ». 

Aggiunge: « Con tutti i settori oppressi della società 
brasiliana, lottiamo per la democrazia e la libertà in 
modo aperto, ampio. La democrazia in Brasile passa 
necessariamente per la democratizzazione della struttu¬ 
ra sindacale. Mantenendo il sindacato verticale attuale 
non si può parlare di democrazia e di libertà del no¬ 
stro paese ». 

La lotta unitaria dei lavoratori trova oggi più vaste 
alleanze e sostegni in altri settori sociali che vanno or¬ 
ganizzandosi. Dice Rosaria Amado Andrade, dirigente 
del Centro brasiliano delle donne di San Paolo: « Noi 
donne lottiamo sotto la bandiera del femminismo, ma 


nella prospettiva della classe operaia. Le nostre riven¬ 
dicazioni sono per il diritto al lavoro, all’uguaglianza 
della donna contro la discriminazione anche nella fa¬ 
miglia, nell’istruzione. Ma appoggiamo attivamente le 
lotte dei lavoratori. Nello sciopero alla ABC di San Pao¬ 
lo abbiamo creato un fondo di solidarietà per lo scio¬ 
pero, abbiamo raccolto 100 tonnellate di alimenti e 6 
milioni di cruzeiros (1 dollaro 70 cruzeiros). Siamo 
a fianco dei lavoratori anche per l’amhistia e contro 
la repressione. Quando è venuto Videla noi donne abbia¬ 
mo organizzato una manifestazione emozionante: lo ab¬ 
biamo accolto vestite di nero e con un fazzolettone bian¬ 
co sulla testa con su scritto il nome di uno scomparso ». 

Dice Lelia Gonzales, dirigente del Movimento Nero 
Unificato: « Esistiamo come movimento perché esiste 
una discriminazione razziale che si riflette nella lotta 
di classe. I negri in Brasile appartengono al settore 
più povero e più sfruttato della popolazione: un negro 
in Brasile riceve la metà del salario di un bianco. De¬ 
nunciamo il mito della democrazia razziale del Brasile: 
il mito per il quale bianchi e neri vivono in Brasile 
come in una specie di paradiso terrestre. Il governo 
brasiliano vuole esportare l'immagine della democrazia 
razziale, ma il popolo nero vive in condizioni di gran¬ 
de sfruttamento. Si chiama l’ideologia dell’ "imbianca¬ 
mento”. Contro questa ideologia è nato il nostro movi¬ 
mento, il primo movimento nero del nostro paese che 
articola la propria lotta in termini di lotta di classe con¬ 
tro tre tipi di discriminazione: di classe, razziale e 
sessuale ». 

Come dimostrano queste interviste e molte altre te¬ 
stimonianze e documenti che sono disponibili, molti 
sono i processi in corso nel vasto continente latinoame¬ 
ricano. Non sembra che piani brutali e schematici come 
quelli reaganiani possano passare senza creare profon¬ 
de e visibili contraddizioni alTintemo dei vari paesi, 
all’interno stesso delle forze che detengono il potere. Il 
dato di fatto visibile a tutti è che oggi soltanto le oli¬ 
garchie più feroci, come quella del Salvador, e i settori 
militari più brutali, come quelli del Cile, plaudono al¬ 
l’iniziativa americana. Perplessità se non vere e proprie 
dissociazioni provengono invece da settori più moderati 
seppure ancora compromessi nella gestione del potere 
negli ultimi 10 anni nei vari paesi dell’America Latina. 
Regimi forti, come quelli dell’Argentina e del Brasile, 
cercano di sopravvivere a se stessi autorigenerandosi 
di fronte all’approfondirsi di contraddizioni interne ed 
esterne. Nuove aggregazioni e organizzazioni vendono in 
primo luogo dal seno della classi lavoratrici che più 
pesantemente hanno pagato il prezzo della nuova dipen¬ 
denza esterna e della repressione interna. Le borghesie 
nazionali ricercano nuove dislocazioni e nuove alleanze, 
sostenute in questo dall’esperienza pluralista del Ni¬ 
caragua e dello stesso Salvador. Una nuova fase è oggi 
certamente aperta in America Latina ma non crediamo 
che sarà quella voluta dall’Amministrazione Reagan. 
Come dimostra il caso del Salvador e come già dimo¬ 
strò quello del Nicaragua, l'Europa ha o potrebbe avere 
un ruolo positivo in questo nuovo processo. Al di là 
della solidarietà, vi è spazio per una iniziativa politica 
che sia di reale sostegno alle forze che in condizioni 
nuove si battono per la libertà e per la democrazia • 


L Astrolabio • quindicinale • n. 7 - 12 aprile 1981 


35 









1 


TACCUINO SOVIETICO 


Kiev: il « santino » 
del camionista 


ZA RODINU 
ZA STALIN A! 


«Per la Patria 
per Stalin!» 


Il vecchio grido di guerra alla prova dai giorni d'oggi 
in un Paese che cambia nonostante freni, tradizioni, 
problemi — Un « identikit » dello stalinismo d’oggi 
oppure la ricerca dei « perché »? — il ruolo dei 
missili puntati sull'URSS e gli « alleati » che si 
trovano sulle rive del Potomak. 


di Carlo Benedetti 


# MOSCA, aprile — Dallo schermo panoramico del 
grande palazzo del cinema le immagini dei soldati del¬ 
l’Armata Rossa all'attacco si susseguono con una fre¬ 
quenza impressionante. L'opera che si proietta è « Essi 
combattevano per la patria », un kolossal tratto dal ro 
manzo omonimo di Sciolokov, epopea del soldato so¬ 
vietico. Dall’impianto stereo della sala giunge il grido 
della truppa che si lancia all’assalto: « Za Rodinu!... » e 
cioè « Per la patria!... ». E’ il grido tradizionale che ha 
caratterizzato una epoca, una generazione. Ma la gente 
ha ancora la memoria buona. E se nello schermo si è 
operata una censura, la realtà è diversa. Così, in sala, il 
pubblico, quasi sottovoce, completa lo slogan. Quello ve¬ 
ro, di allora e cioè: « Za Rodinu, za Staiina ». E cioè 
«Per /#• patria! per Stalin! ». Sembra un controcanto, 
un nuovo impianto stereo in funzione. Ecco: siamo a 
Volgograd dove si proietta, in prima, questo film che 
rievoca gesta eroiche servendosi di quel grande attore 
che è stato Sciukscin. Ma Volgograd, per i sovietici, è 
anche Stalingrad. Del resto le targhe delle auto sono 
ancora ferme sulla sigla « Sta », cioè Stalin. Anche a 
Mosca, nel parco di Fili', mentre i giovanissimi in divi¬ 
sa nera, filettata in rosso, della scuola militare « Survo- 
rov » sfilano a passo di parata cantando: « Artiglieri! il 
maresciallo ha dato l'ordine » — una canzone estrema- 
mente popolare negli anni della guerra — gli anziani 
che, seduti nelle panchine giocano a domino — sempre 
sottovoce ricordano che la strofa era ben diversa e 
cioè: « Artiglieri! Stalin ha dato l'ordine! ». 

L’ombra del vecchio capo, quindi? No. E' bene pre¬ 
cisare una cosa. E cioè che l’interesse per la sua figura 
non consiste tanto nel « personaggio » — o non è tanto 
nel personaggio — per « pittoresco » che potesse esse¬ 
re, quanto in un concetto già passato alla storia — e per 
questo impersonale — sotto il nome di stalinismo. E par¬ 
lando appunto di stalinismo è perfetta illusione pensa¬ 
re di poter risolvere la cosa con dei profili, l’anedotti- 
ca scoperta di « inediti » vari o inventati. La tentazio¬ 
ne di chi sta a Mosca — e ci sta oramai da più di die¬ 
ci anni — sarebbe forse anche quella di fare l’identikit 
del « perfetto stalinista » (e le occasioni, forse, non man¬ 


cherebbero). Ma è una tentazione fuorviarne perché si 
rischierebbe magari di scoprire alla base di tutto una 
reazione di questo tipo (che a me è capitato di sentire 
spesso): « Ma se si saltava fuori dalla trincea per cor¬ 
rere incontro al piombo nazista gridando "Per la pa¬ 
tria, per Stalin "!? ». E’, quindi, anche dovere di croni¬ 
sta resistere a questa tentazione che ti inchioda sul pia¬ 
no emotivo, di superficie, ostacolando quindi una per¬ 
cezione più approfondita. 

Si disse, e non a torto, che stalinismo oltre ad esse¬ 
re frutto di una generale arretratezza (assenza della so¬ 
cietà civile, tradizione radicata di autocrazia ecc.) era 
anche prodotto di una situazione di emergenza e di ab¬ 
bandono, da un certo momento in poi, di una rigorosa 
elaborazione teorica marxista. Ce lo illustrano in mo¬ 
do molto convincente le nitide pagine della Storia del- 
l’URSS di Boffa che a tutt’oggi rappresentano, forse, il 
contributo più valido da parte del filone marxista nel¬ 
la spiegazione della genesi storica dello stalinismo. Me¬ 
todologicamente ineccepibile mi sembra anche la di¬ 
stinzione che fa Boffa all’interno del fenomeno tra i 
metodi e le concezioni. Mentre i metodi — constata 
giustamente Boffa — non sono più in uso, le concezioni 
sono, in molti casi, dure a morire. 

Un discorso sullo stalinismo che non voglia dege¬ 
nerare in disquisizioni da salotto — a mio modo di ve¬ 
dere — mi sembra debba partire proprio da qui. E pun¬ 
tare non tanto sul personaggio e le circostanze biogra¬ 
fiche più o meno esotiche, bensì su quel complesso di 
circostanze che sottendono lo stalinismo; ossia rispon¬ 
dere a una serie di quesiti impliciti nella constatazione 
di Boffa. Come e in quale misura è possibile resistenza 
dello stalinismo sotto la forma delle concezioni senza 
chi si ricorra anche ai metodi? Quali sono e come agi¬ 
scono i fattori che spingono a cancellare le prime e a 
conservare i secondi? E se esiste una tendenza alla ri¬ 
nascita del fenomeno nel suo complesso da quali con¬ 
dizioni economiche, sociali, politiche, culturali, trae ali¬ 
mento? 

Che l’emergenza oggi non c’è più nell’URSS non è 
certo una scoperta da fare. E’ oramai una constatazio- 


36 


L’Astrolabio - quindicinale n. 7 - 12 aprile 1981 








ne pacifica di quasi tutti gli osservatori non prevenuti 
che seguono le cose dell'URSS. Ma si sbaglierebbe a 
stabilire una specie di equazione tra un certo livello 
di benessere, l’assenza di fame, di antica miseria, di ma¬ 
lessere acuto e la messa in disuso di metodi repressivi 
passati alla storia, appunto, con l’epiteto « stalinisti ». 
Non deve assolutamente sfuggire alla nostra attenzione 
quello sforzo sistematico e tenace del gruppo dirigen¬ 
te del PCUS volto consapevolmente a conseguire que¬ 
sto scopo. Non posso qui che limitarmi ad alcuni esem¬ 
pi. Uno potrebbe essere quel lavoro di sistemazione le¬ 
gislativa che procede, oramai da circa un decennio a 
questa parte, e che solo chi è aceccato dall’odio antiso¬ 
vietico può considerare come puro esercizio formalisti- 
co. Si cerca di arrivare, evidentemente, a quella « cer¬ 
tezza del diritto » che se è ovvia e connaturata alla men¬ 
talità, mettiamo, di un inglese (con 1 ’Habeas corpus vo¬ 
tato sette secoli fa!) non lo era fino a tempi abbastan¬ 
za recenti per gli abitanti della Russia. Non meno im¬ 
portante, su questa via per ridurre il margine di un 
eventuale intervento extra-legale, si presenta tutta quel¬ 
la serie di misure che sono volte a facilitare e rendere 
più scorrevoli i meccanismi di contatto del singolo cit¬ 
tadino con lo Stato nei suoi vari congegni. Mi riferisco 
alle norme sempre più precise per l’esame delle « Let¬ 
tere ai giornali » e a varie istanze per la segnalazione di 
soprusi ecc. 

Un fenomeno collaterale spinge a curiose conside¬ 
razioni. Una delle piaghe che la stampa di partito la¬ 
menta di più negli ultimi anni è appunto quella della 
« corruzione ». Orbene sotto Stalin — ed è questo tra 
l’altro uno degli argomenti cui più volentieri ricorrono 
i vedovi del « capo » — la corruzione sembra fosse un 
fatto quasi insignificante: e non tanto per facoltà de¬ 
miurgiche di Stalin stesso, quanto perché le cose si 
« risolvevano » in modo verticale. Cioè con intervento 
extralegale. Non voglio, con questo — in assurdo — 
giungere a sostenere che la corruzione sia oggi un be¬ 
ne. Voglio semplicemente notare che una corretta let¬ 
tura di alcuni comportamenti sociali, di massa, rivela 
appunto una tendenza di fondo verso un più ordinato 
— e decentrato — funzionamento dell'apparato stata¬ 
le. Facciamo un altro esempio, questa volta essenzial¬ 
mente di natura politico-propagandistica. Intendo quel¬ 
la vasta e insieme sottile campagna di « riappacificazio¬ 
ne » che viene portata avanti — con procedimenti di¬ 
versi — ai vari livelli della società sovietica. Al centro 
di questa campagna c’è un personaggio-asse che è sta¬ 
to calato, come si suol dire, « nel sociale ». E’ il « vete¬ 
rano ». Un termine, un concetto. 

Originariamente, come è ovvio, esso si riferisce ai 
combattenti della « Grande guerra patria ». E veterani, 
indistintamente, sono tutti coloro ai quali, primi fra 
tutti il paese e il popolo, debbono la propria salvezza. 
Ma il termine di « veterano » — nella sua vaghezza — 
riesce a comprendere anche coloro che si erano prodi¬ 
gati nelle battaglie precedenti a partire dalla guerra 
civile, le imprese sovrumane dei primi piani quinquen¬ 
nali, la collettivizzazione e via dicendo, e cioè, al limi¬ 
te, anche chi ricopriva incarichi di responsabilità e a ri¬ 
gore del termine dovrebbe essere catalogato tra gli sta¬ 
linisti di stretta osservanza. Però, dal momento che 


nessuno ha annullato i deliberati del XX° e del XXII” 
congresso, « veterani » sono in qualche mòdo anche co¬ 
loro che gran parte del periodo staliniano l’hanno pas¬ 
sato dall'altra parte del filo spinato e sono tornati alla 
vita sociale (quando sono tornati) anche dopo assenze 
di 15-18 anni. Così si può vedere tranquillamente sullo 
stesso giornale una solenne commemorazione di un 
Kossior o di un Tuchacevskij o di qualche altra vitti¬ 
ma di Stalin, accanto a una rievocazione ineggiante a 
Zdanov o Svemik. O, insomma, a un altro di quelli che 
di Stalin condividevano appieno sia le concezioni che 
i metodi. 

Con questo, bisogna riconoscerlo, si riesce ad evita¬ 
re molte lacerazioni e anche, forse, spaccature insana¬ 
bili e quindi di risparmiare alla società tutta, energie 
da mettere a frutto in vari campi. Comunque è più o 
meno questa la spiegazione che i sovietici danno quan¬ 
do accettano di affrontare con te il discorso sullo sta¬ 
linismo. Ma è una spiegazione, come è chiaro, che la¬ 
scia completamente aperta la domanda se, a lungo an¬ 
dare, giovi alla società sovietica continuare a tacere su 
questo capitolo del proprio passato. Il prezzo da paga¬ 
re — pensando soprattutto ai giovani che si vengono a 
formare in questo clima di silenzi — non è forse trop¬ 
po alto? 

Non si pensi che sono domande puramente retori¬ 
che solo perché quasi un quarto di secolo ci separa ora¬ 
mai dal « rapporto segreto » di Krusciov e non una, ma 
più generazioni di sovietici, hanno fatto in tempo a met¬ 
tersi avanti sulla scena della vita attiva. Il tempo, ve¬ 
ramente, è trascorso e non ha lasciato le cose così come 
erano. La società sovietica ha subito profonde modifi¬ 
cazioni sotto vari aspetti, ma tutte sotto il segno di ma¬ 
turazione. Mi riferisco innanzitutto ai processi di svi¬ 
luppo socio-economico-culturaii del resto sotto gli occhi 
di tutti( basta non confondere le basi di partenza di qui, 
con gli indici della economia statunitense di ieri). An¬ 
cora a cavallo tra gli anni '20 e '30, tre quarti di citta¬ 
dini dell’URSS abitavano nelle campagne, mentre oggi 
la situazione è quasi rovesciata. Uno sguardo alle sta¬ 
tistiche della fine degli anni '30 dice che oltre l’80% 
dei lavoratori delle industrie e dei servizi lo erano da 
meno di dieci anni, mentre già verso la fine degli an¬ 
ni '60 tali lavoratori, con l'anzianità inferiore a dieci 
anni, erano solo poco più del 40%. Si è formata, in altri 
termini, una classe operaia — di seconda o anche di 
terza generazione — che non può essere più definita di 
« contadini appena inurbati ». Questa classe oramai si 
autoriproduce anziché attingere da altri strati sociali. 
Ed è concentrata, in larga prevalenza, per limitarci 
sempre a lavoratori dell'industria nelle grandi aziende 
(se ancora nel ’60 le aziende con meno di 1000 addetti 
occupavano poco meno della metà di tutti gli operai, 
nel 72 sono cadute sotto il 40%, mentre quelle di di¬ 
mensioni più grandi hanno superato il 60%). Si aggiun¬ 
ga il salto — quello sì vertiginoso — nei livelli di istru¬ 
zione scolastica (oggi: dieci anni imposti per legge a 
tutti) e si avrà una prima idea di come sono cambiati 
almeno otto, nove sovietici su ogni dieci. 

Si arriva qui al nodo del perdurare di determinate 
concezioni dello stalinismo. La loro vitalità — a mio 
modo di vedere — è da ricercare essenzialmente proprio 


L’Astrolabio • quindicinale - n. 7 • 12 aprile 1931 







TACCUINO SOVIETICO 


tra i problemi posti sul tappeto dallo sviluppo sociale- 
economico dell'URSS. Questi problemi sono oramai 
troppo noti per descriverli uno ad uno. Sono stati al 
centro della famosa « riforma Kossighin » della metà 
degli anni '60 come lo sono tuttora nella deliberazione 
del CC e del consiglio dei ministri sul miglioramento 
della gestione stato-economica. E gran parte di questi 
problemi li ritroviamo nella relazione di Breznev al 
XXVI. Le diagnosi contenute in questi e altri documen¬ 
ti sono senz'altro qualificate e sembrano individuare 
con precisione le strettale e i punti deboli del mecca¬ 
nismo economico nazionale. Ma il carattere stesso dei 
correttivi proposti, pare rivelare una incertezza di fon¬ 
do. Lo testimonia tra l’altro il modo impacciato con il 
quale vengono propagandate, ad esempio, le nuove non 
me di pianificazione e di gestione economica tese a com¬ 
battere l'influenza nefasta degli indici globali... e a fa¬ 
vorire la qualità e l’efficienza. Non sono, intendiamoci 
bene, problemi di facile soluzione. Anzi nella stessa lo¬ 
ro complessità segnalano 1’esistenza di rapporti econo¬ 
mici talmente sviluppati, di un apparato produttivo tal¬ 
mente sofisticato e di un corpo sociale talmente ma¬ 
turo da consentire e, forse più ancora, imporre la ri¬ 
discussione di concetti anche basilari della economia 
politica come valore, mercato, prezzo, merce, paga, rea¬ 
lizzazione, distribuzione ecc. Se finora sono state sem¬ 
pre considerate retaggio della formazione precedente 
— il capitalismo — quasi una specie di tributo pagato 
dalla nuova società al proprio passato, oggi per la pri¬ 


ma volta si impone una loro riconsiderazione sulla 
base pratica, e quanto mai omogenea, dell'economia 
socialista che con una insistenza sempre maggiore esi¬ 
ge appunto la chiarezza di fondo per quel che riguarda 
queste categorie. E in attesa che siano acquisiti i risul¬ 
tati di una tale analisi teorica è giocoforza che si ricor¬ 
ra a soluzioni empiriche e quindi più o meno soggetti¬ 
ve. Che l’ideologia cerca di esaltare con tanta maggio¬ 
re intensità, quanto più vistosi sono i vuoti di questo 
esame teorico. Le radici di quanto perdura delle conce¬ 
zioni staliniste, mi pare, siano da ricercare proprio qui. 
Ma lo stalinismo, si sa, era determinato anche se non 
soprattutto da fattori esterni, da quello che si era soli¬ 
ti chiamare l'accerchiamento imperialista. Oggi, certo, 
non è il caso di parlare dell’URSS « accerchiata » (anche 
se per un occidentale non è sempre facile, psicologica¬ 
mente, mettersi nei panni del cittadino di un paese che 
ha qualcosa come 7000 chilometri di frontiera con la 
Cina che tutti i giorni parla della « necessità » di « pre¬ 
pararsi alle calamità naturali e alla guerra »). Eppure 
il peso del fattore esterno rimane di primo ordine tra 
le cause che determinano quelle che potremmo defini¬ 
re le « chiusure ». Oggi questo fattore si presenta nelle 
vesti dei Pershing e dei Cruise puntati verso l’URSS. E 
non sarebbe affatto un paradosso, quindi, nè forzatura 
propagandistica definire come alleati più attivi degli 
stalinisti di oggi proprio i signori del palazzo pentago¬ 
nale sul Potomak. 




Breznev: dal Soviet 
di quartiere al Cremlino 


l.ennid Breznev: paqine della sua vita » edito da 
Rizzoli e in edicola da poco, non è certamente un 
libro a sensazione. 

Ma a ben guardare non è neanche il solito libro 
agiografico su di un dirigente, sul massimo dirigente, 
di una repubblica socialista. A ben guardare fra le pie- 
nhe del libro si percepisce il lunahissimo itinerario che 
deve percorrere chi, partendo dalla base, giunge alla 
sommità della democrazia sovietica. 

Attraverso la biografia di Breznev, si percepisce 
quella del dirigente qualsiasi del PCUS il cui itinerario 
parte dal soviet rionali per arrivare fin dove le sue ca¬ 
pacità personali e politiche glielo consentono. Un lungo 
cammino che giustifica, fra l’altro, l’età avanzata dei 
massimi dirigenti del Cremlino: nel PCUS non ci sono 
scorciatoie. Non ci sono state neanche per Leonid Brez¬ 
nev che è passato attraverso una complessa esperien¬ 
za, perché chi arriva dall Ufficio Politico « deve affron¬ 
tare una cerchia di questioni molto più ampia di quel¬ 
la di cui si occupano I dirigenti occidentali ». 

La biografia di Breznev è anche lo spaccato di una 
generazione dì sovietici che — ammette il numero uno 
dell’URSS — ha conosciuto • l’indigenza e le avversità, 


l’incubo degli anni di guerra, la gioia della vittoria, la 
fierezza del proprio lavoro ». 

Diviso in cinque capitoli di interesse diverso, la te¬ 
stimonianza di attività politica di Leonid Breznev appor¬ 
ta alcuni inediti sulla sua collocazione negli anni di Ni- 
Rita Khruscev: Breznev allora si occupò prima dei voli 
spaziali e poi. quale segretario del partito kazakho, del¬ 
la fertilizzazione delle terre vergini. C’è, sempre tra le 
righe, pure la spiegazione politica della sua ascesa al 
vertice massimo dell’URSS alla caduta di Khruscev: lo 
impegno a rispettare il principio della - direzione colle¬ 
giale » dopo la gestione ■ soggettivistica » di Nikita 
Khruscev. Principio al quale Breznev si è sempre atte¬ 
nuto rigorosamente e che spiega la sua longevità poli¬ 
tica, e la staticità al Cremlino confermata con il XXVI 
congresso del PCUS. Una staticità apparente, però fina¬ 
lizzata a ben radicare appunto il concetto, innovatore e 
rilevante, della articolazione collegiale, seppur ristretta 
del potere. Una collegialità che è premessa del pro¬ 
gressivo rioristino della democrazia socialista avvilita 
per decenni dal potere personale durante il lungo pe¬ 
riodo del comuniSmo di guerra, e anche nella fase più 
bonaria del disgelo kruscioviano • | ta | 0 Ave ||j no 



38 


L'Astrolabio • quindicinale ■ n. 7 - 12 aprile 1981 














-l’astrolabio- 

avvenimenti dal 1 al 15 marzo 1981 


1 

— Passa alla Camera (326 voti contro 237) la legge fi¬ 
nanziaria dopo un dibattito che ha messo alle strette 
il governo Forlani. 

— Conferenza episcopale Usa. Coraggiosa presa di po¬ 
sizione sul Salvador: « gli aiuti militari rischiano di 
essere impiegati contro le comunità cristiane e lo stes¬ 
so personale ecclesiastico della repubblica centro-ame¬ 
ricana ». 

2 

— Berlinguer agli operai della Italcantieri di Genova: 
« Incomprensibile e assurdo » il comportamento del 
PCUS verso Pajetta. Attacco ai leaders della maggio¬ 
ranza: « mai segretario de ha osato criticare un presi¬ 
dente Usa ». 

— Dichiarazione ufficiale della Congregazione per la 
dottrina della fede (ex Sant’Uffizio): scomunica e pene 
canoniche per i cattolici che si iscrivono alla massoneria. 

3 

— Pericolo di vietnamizzazione per il Salvador. Reagan 
invia il primo contingente di « berretti verdi » ed in¬ 
tensifica gli aiuti militari. 

4 

— Assemblea a Montecatini dei dirigenti CGIL, CISL. 
UIL. Messa a punto di nuove proposte su salario, ora¬ 
rio e liquidazioni. 

— Approvata dal Senato la Riforma PS; favorevoli tut¬ 
ti i gruppi tranne radicali e missini. 

5 

— Unanimità nella Direzione de attorno alle tesi di Pic¬ 
coli. « Visentini ha ragione, ma questo governo non si 
tocca ». Andreotti (intervista al Corriere ): la solidarietà 
nazionale ha consentito di governare meglio. 

— Un nuovo capitolo nello scandalo petroli: intercetta¬ 
zioni telefoniche rivelano tangenti pagate ad esponenti 
della maggioranza. 

6 

— Gravi rivelazioni di Spadolini rientrato dagli Usa: 
Reagan ci chiederà molto di più degli euromissili. 

— Referendum: la Direzione del PCI si pronuncia per 
il « NO » alle due richieste abrogative della Legge 194 
sull'aborto e per l'abolizione dell’ergastolo e dei tribù 
nali militari. 

7 

— Supervertice di 26 magistrati propone nuovi piani 
di lotta contro il terrorismo ed una maggiore apertura 
nei confronti dei « pentiti » (come in Germania Occi¬ 
dentale). 

— Delegazione di parlamentari italiani incontra a Bei¬ 
rut Yasser Arafat. Il leader palestinese condanna i me¬ 
todi terroristici e chiede all'Europa il riconoscimento 
dell’OLP. 

— Intervista di Maletti, ex dirigente del Sid, all'Espres¬ 
so: negli anni '70 si sono registrati in Italia cinque ten¬ 
tativi di golpe. 

8 

— Interrogatorio di Marco Donat Cattin: uccidemmo 
il giudice Alessandrini perché preparava un altro « 7 
aprile » a Milano. 


— Berlinguer riconferma, a Catanzaro, la scelta euro- 
comunista; una risposta indiretta agli attacchi sovieti¬ 
ci contro la « terza via » occidentale. 

9 

— Offensiva di pace del Cremlino: messaggi a tutta 1’ 
Europa e agli Usa. Consultazione tra i paesi Nato per 
una risposta concordata. Reagan annuncia intanto alla 
rete televisiva ABC: armeremo i guerriglieri in Afgha¬ 
nistan. 

10 

— Craxi apre in Tv la campagna per la « grande rifor¬ 
ma »: restituire autorevolezza e efficienza al governo 
cambiando la Costituzione e la legge elettorale. 

— La Nato definisce inaccettabile la proposta sovieti¬ 
ca di una moratoria nell’installazione dei missili euro¬ 
strategici. 

11 

— Il finanziamento pubblico ai partiti passa da 45 a 
80 miliardi. La legge approvata dal Senato prevede an¬ 
che una scala mobile che rivaluterà le entrate. Appro¬ 
vata inoltre l'anagrafe patrimoniale per i politici. 

— Crisi al Banco di Napoli. Il Presidente Osso’.a mi¬ 
naccia le dimissioni per protesta contro le ingerenze 
de nella nomina del direttore generale. 

— Scontri a Napoli tra disoccupati e polizia, assediati 
gli uffici di collocamento. 

12 

— La vertenza Itavia alla Camera: battuto il governo 
(240 voti contrari e 222 favorevoli), come al solito nella 
votazione a scrutinio segreto. 

— Il presidente della Commissione parlamentare Rai 
Bubbico boccia (su commissione della De) la trasmis¬ 
sione televisiva sullla prostituzione « A.A.A. offresi ». 

13 

— Importante intervista di Pertini ad Epoca. Critiche a 
Reagan per politica estera e armamenti; deciso « no » 
ad elezioni politiche anticipate. 

— Trasporti: sciopero nazionale di un giorno dei con 
federati. De e Psi sollecitano una iniziativa del quadri- 
partito per regolamentare le vertenze sindacali. 

14 

— Scandalo Sindona. Tramite Raffaele Scarpini, con¬ 
sulente finanziario della De, il bancarottiere aveva con- 

— Emergenza in Sicilia per la violentissima eruzione 
dell’Etna. 

— Il governo rinvia a tempo indeterminato il piano 
a medio termine del ministro La Malfa. 

segnato al partito di maggioranza relativa undici mi¬ 
liardi di lire. 

— Muore improvvisamente in una clinica di Londra 
Paolo Grassi. 

15 

— Forlani commemorando a Bologna Aldo Moro, parla 
di « coesione nazionale ». Per il PSDI si tratta di una 
apertura ai comunisti: dura polemica di Longo. 

— Muore a ottantadue anni il regista francese René 
Clair. 


L’Astrolabio * quindicinale • n. 7 • 12 aprile 1901 


39 










-lastrolabio- 

avvenimenti dal 16 al 31 marzo 1981 


16 

— Il presidente Pertini, intervistato per una Tv priva¬ 
ta da Enzo Biagi, racconta in quasi due ore la sua 
vita. 

— Conclusi positivamente i lavori della commissione 
italo-sovietica: negozieremo con l’Urss il gasdotto tra 
Siberia ed Europa. 

— Fallito il colpo di Stato in Mauritania: pesanti ac¬ 
cuse al Marocco da parte dei lealisti. 

17 

— PCI contrario al piano socialista di revisione costi¬ 
tuzionale: « riformatevi prima voi ». 

— Battaglia tra disoccupati e polizia a Napoli: assalto 
alla Camera del Lavoro, 106 arrestati. 

— A Londra rivolta dei conservatori contro la diri¬ 
genza Thatcher: esponenti del partito passano al nuo¬ 
vo gruppo socialdemocratico. 

18 

— Convegno della Confindustria: per gli imprenditori 
« la festa è finita ». Duro attacco ai salari. 

— Aborto: un documento firmato da duecento donne 
adiste chiede libertà di coscienza per il referendum. 

19 

— Due sconfitte per il governo: battuto al Senato sul¬ 
le aliquote fiscali e alla Camera sul bilancio della Di¬ 
fesa. Proteste di Reviglio contro l’assenteismo par¬ 
lamentare. 

— Nuovo ambasciatore Usa a Roma: è l’avvocato set¬ 
tantenne Maxwell Road. 

— Il Papa fra gli operai delle acciaierie di Terni: « qui 
in fabbrica siete voi i padroni ». 

20 

— Strage di Piazza Fontana: assolti al processo di Ca¬ 
tanzaro per insufficienza di prove Giannettini, Vai- 
preda, Merlino, Pozzan, Ventura e Freda. La sentenza 

— scrive l'Unità — calpesta anni di battaglie per la 
verità. 

— Sequestrate dalla Finanza ad Arezzo carte segrete 
nella villa di Licio Selli, capo della Loggia P2. Si at¬ 
tendono rivelazioni sui « 500 » del tabulato Sindona. 

21 

— Washington rinvia la decisione sulla bomba al neu¬ 
trone, prendendo atto dell'opposizione europea. 

— Sfiorata una tragedia a Colleferro (Roma): salta in 
aria per un incidente un intero capannone della fab¬ 
brica di esplosivi SNIA. 

22 

— Nuova stangata governativa in un clima di grande 
confusione. La lira svalutata del 6 per cento, tasso di 
sconto al 19 per cento, ticket su visite e ospedali. Scon¬ 
tri tra ministri, divisi i socialisti, netta opposizione dei 
sindacati alle misure restrittive. 

— Vertice massonico all'Hilton di Roma: « assolta » 
la Loggia P2. 

23 

— Svalutazione: il marco tedescho sfiora le 500 lire, il 


dollaro risale a 1.040. Forlani (al vertice Cee, ammette 
che i provvedimenti aggraveranno la disoccupazione. 

24 

— « Prestiti » di Sindona ai partiti. Flaminio Piccoli 
ammette in Tv che la tangente alla DC raggiunge i 
due miliardi. 

— Allarme a Roma per la fuga del leader autonomo 
Oreste Scalzone, in libertà provvisoria per motivi di 
salute. 

— Approvata alla Camera con il concorso dell’opposi¬ 
zione di sinistra la legge sull’editoria. 

25 

— Approvata con larga maggioranza alla Camera la 
riforma della polizia. Contrario solo il voto dei radica¬ 
li, missini e PDUP. 

— Ritorna unita la DC alla vigilia del Consiglio nazio¬ 
nale. Forlani « congelato » alla presidenza. 

— Scontro nello staff di Reagan: il vicepresidente 
Bush è investito di più ampi poteri, ridotto il ruolo 
del segretario di Stato Haig. 

26 

— Documento del Fondo Monetario Internazionale: 
sotto accusa gli aumenti della spesa pubblica italiana. 
Secondo il direttore Aalan Whittome occorre tagliare 
le spese e bloccare la scala mobile. 

— Sciopero generale di 24 ore in Italia dei trasporti 
urbani ed aerei. 

— Aperto a Genova il Congresso nazionale dell’ANPI. 

27 

— La sinistra del PSI propone un « esecutivo d'emer¬ 
genza » che vada dai liberali al PCI. 

— Pietro Sette su Repubblica : salvate TIRI, sta per 
affondare. 

— Approvata definitivamente al Senato la « legge fi¬ 
nanziaria ». 

28 

— CN democristiano: rilancio dell'alleanza con Craxi, 
eluso il tema del fallimento del governo. Dura rispo¬ 
sta di Berlinguer a Sassari. 

— Pertini in Messico: sul Salvador anche l'Italia ten¬ 
terà la mediazione. 

29 

— Al Comitato Centrale del POUP difficile ricerca di 
una soluzione che garantisca il rinnovamento. Accolte 
molte richieste di Solidamosc: lo sciopero generale è 
evitato. 

30 

— Attentato a Reagan davanti all'Hilton di Washing¬ 
ton: una ferita non grave al torace. 

— Il direttivo unitario sindacale promette al governo 
« la più dura delle risposte » se sarà varata la stanga¬ 
ta-bis. 

31 

— Conferenza stampa di Forlani in Tv: necessario un 
accordo tra Sindacato e Confindustria. 


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L’Astrolabio • quindicinale - n. 7 - 12 aprile 1981