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Full text of "ATTI del Centro di ricerche storiche - Rovigno n. 21-1991"

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CDU 908(497.12/.13Istria) ISSN 0392-9493 
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO 





VOLUME XXI 


TRIESTE-ROVIGNO 1991 


UNIONE ITALIANA - FIUME 
UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE 


ATTI, vol. XXI, p. 1-412, Trieste-Rovigno, 199] 


CDU 908(497.12/.13Istria) ISSN 0392-9493 
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO 





VOLUME XXI 
TRIESTE-ROVIGNO 1991 


UNIONE ITALIANA - FIUME 
UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE 


ATTI, vol. XXI, p. 1-412, Trieste-Rovigno, 1991 


CENTRO RICERCHE STORICHE - ROVIGNO 


UNIONE ITALIANA - FIUME 
UNIVERSITA POPOLARE DI TRIESTE 


REDAZIONE ED AMMINISTRAZIONE 
Piazza Matteotti 13, Rovigno Istria (Rovinj), tel. (052) 811-133 


COMITATO DI REDAZIONE 


PROF. ARDUINO AGNELLI, Trieste PROF.SSA ANITA FORLANI, Dignano 
ProFr. ELIO APIH, Trieste ProF. LuciaNO Laco, Trieste 

ProF. MARINO BUDICIN, Rovigno PROF. ANTONIO PAULETICH, Rovigno 
Prof. GIULIO CERVANI, Trieste Prof. MARINO PREDONZANI, Trieste 


PROF. GIOVANNI RaDbossi, Rovigno 


CONSIGLIO DI REDAZIONE 


DANIELA BERTONI, Pirano; GIULIO CERVANI, Trieste; LuciANo LaGo, Trieste 
Luso MARGETIC, Fiume; OLGA MILOTTI, Pola; ANTONIO PELLIZZER, Rovigno; 
Giovanni Rapossi, Rovigno; ALESSANDRO RossiT, Trieste; ERNA TONCINICH, Fiume 
SALVATOR ZITKO, Capodistria 


REDATTORI 


ProF. MARINO PREDONZANI, Trieste Prof. MARINO BUDICIN, Rovigno 


DIRETTORI RESPONSABILI 


ProFr. Luciano LaGo, Trieste ProF. GIOVANNI Rapossi, Rovigno 


Recensore: 
MR. ANTONIO MICULIAN, Trieste 


© 1992 - Proprietà letteraria riservata 


Edizione fuori commercio - Esce una volta all'anno 


Finito di stampare nel marzo 1992 
TIPOGRAFIA-LITOGRAFIA MODERNA - VIA ROSSETTI 9 - 34126 TRIESTE - TELEFONO (040) 765329 


INDICE 


Memorie 


G. DE SIMON, L’«Indice delli Semplici» di G. EF Tommasini, vescovo 
di Cittanova nel XVII secolo, ricuperato in concordanza con la 
nomenclatura scientifica attuale... 


E. IvETIc, La popolazione di Parenzo nel Settecento: aspetti, pro- 
blemi ed episodi del movimento demografico. .......... 


G. Rapossi, Stemmi di capitani, rettori e famiglie notabili di S. Lo- 
renzo del: Pasenatico: in Istila ic; n 


Note e documenti 


S. BERTOSA, Nuovi frammenti a testimonianza dei legami esistenti 
tra Ivan Kukuljevié Sakcinski e Pietro Kandler ......... 


M. BonIFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco . ...... 


G. DE SIMON, Aspetti fisiografici dell'Istria flyschioide nord-occi- 
ALMA it RSA LI E RI nio 


M. MALUSÀ, I! carteggio de Madonizza-Luciani (1878-1889) riguar- 
dante «La Provinciadell'Istrià: <il aa 


A. MARGETIC, Lo Statuto di Tersatto (1640) nel testo italiano . . . 


R. MaTyYAdiCé, Monumento funerario romano scoperto a Zambrat- 
CAUMILOI ESE e ae I a MIO 


R. MATBICIC, I! ruolo degli architetti triestini nella progettazione 
degli edifici monumentali di Fiume... 


A. MICULIAN, «Incombenze del Capitanio Gabriel Rivanelli Reggi- 
mento di Verona come direttore della linea di sanità nel Quar- 
ner in Istria, stesa nell’anno 1783 per il fatal morbo che affli- 
bea DAmMazas: ra IALIA O 





A. SONIE, La decorazione marmorea della Basilica Eufrasiana di 
PARENZO AID AITRO SR LR DE E A 


Nofme. per ucolliboratoni=. accanita 


Pag. 


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117 


187 


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297 
305 


317 


333 


359 


391 
411 


MEMORIE 


L’INDICE DELLI SEMPLICI DI G.F. TOMMASINI, VESCOVO 
DI CITTANOVA NEL XVII SECOLO, RICUPERATO IN CONCORDANZA 
CON LA NOMENCLATURA SCIENTIFICA ATTUALE 
INDAGINE SULLA PRIMA DOCUMENTAZIONE DELLE PIANTE MEDICINALI DELL’ISTRIA, 
QUALE CONTRIBUTO ALLE CONOSCENZE REGIONALI DI FARMACOGEOGRAFIA STORICA 


GIORGIO pe SIMON 
Università degli Studi CDU: 633.88:581.9(497.12/.13lstria)«16»(083.86) 
Trieste Saggio scientifico originale 

Settembre 1991 


Riassunto - Nel presente lavoro viene esperito il riconoscimento e il ricupero all'inda- 
gine scientifica di un seicentesco elenco di semplici della regione istriana, prima im- 
portante documentazione farmacogeografica regionale, ricavata dalla corografia di G. F. 
Tommasini, episcopus emoniensis. 


Introduzione 


Una veramente preziosa descrizione dell'Istria è quella che venne redatta 
attorno alla metà del XVII secolo da mons. Giacomo Filippo Tommasini (1597- 
1655), vescovo di Cittanova, sotto il nome di Commentarj storici-geografici del- 
la Provincia dell’Istria.' Quest'opera presenta una valenza corografica notevol- 
mente ampia, raccogliendo una messe di notizie volte a far conoscere, accanto 
a un patrimonio di pregnanti valori umani, una non meno complessa e varia 
realtà di quella natura che li regola e condiziona. 

Tra gli aspetti naturali della Terra d'Istria più accuratamente — ed anche 
originalmente — osservati dal Tommasini, furono già oggetto di studio quelli 
inerenti la fenomenologia carsica nelle sue più appariscenti manifestazioni su- 
perficiali e ipogee (CUCAGNA 1959). Molte altre notizie, a carattere schietta- 
mente gcografico, ovvero di interesse Interdisciplinare, attendono di essere va- 
gliate e valorizzate criticamente. Con tale obiettivo la presente ricerca si pro- 
pone di contribuire al ricupero scientifico e alla valorizzazione delle conoscen- 
ze delle piante medicinali dell’epoca in questa regione. 


' Per quanto riguarda la datazione dei Commentarj si può indicare l'intervallo 1644-1655, 
così come risulta da riferimenti cronologici sparsi negli otto libri che li compongono, purtroppo 
rimasti incompleti e non rivisti. Vennero stampati, con un'appendice, ec con parecchi errori, ap- 
pena nel 1837 nell'Archeogro Triestino (vol. IV), a cura di Domenico Rossetti. 


10 G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991. p. 9-115 


Facendo riferimento in particolare all'indice Delli Semplici più rari della 
provincia (libro 1, cap. XXXVII) la finalità perseguita è quella di trovare il ri- 
scontro — per quanto possibile esatto — delle specie vegetali ivi citate, nella no- 
menclatura binomia attuale. Tale rispondenza permetterà di giovarsi di una chek- 
list, che si auspica profittevole per ulteriori considerazioni e ricerche, sia di ca- 
rattere fitogeografico (comparazioni e raffronti di stazioni e di areali di epoche 
diverse), sia fitoclimatico, e anche fito-antropico (variazioni di impatto am- 
bientale). 


Modalità della ricerca 

Si è trattato di un impegno complesso, che ha richiesto la trattazione ana- 
litica di alcune centinaia di entità floristiche ricavate dall’elenco del Tommasi 
ni: ognuna di queste è stata — ove possibile — identificata nell’intricata selva 
delle sinonimie pre-linneane, verificandone nel contempo l’effettiva presenza e 
consistenza nella flora istriana recente e attuale. 

Le convergenze sinonimiche sono state vagliate sulla base delle denomi- 
nazioni, spesso appositive, presumibilmente in uso nella seconda metà del “600, 
così come individuate da LINNEO (e subordinatamente da SCOPOLI). 

Le citazioni linneane sono state rispettate integralmente nella forma. Sono 
riportate alcune sinonimie di quegli AA. le cui opere vennero stampate nei se- 
coli XVI e XVII, e solo eccezionalmente nei primissimi decenni del XVIII se- 
colo. In particolare sono stati isolati, fra numerosi altri, solo i sinonimi più si- 
gnificativamente aderenti alle denominazioni presenti nell’ Elenco (ciò anche per 
non appesantire ulteriormente la lettura, già di per sé necessariamente tecnici- 
stica): ponendo cura a che le analogie così evidenziate fossero comunque ido- 
nee a soddisfare le concordanze richieste. Vi si è frequentemente aggiunta la 
denominazione volgare allora in uso — e cioè quand’essa riproponga, confer- 
mandolo, il nome dell’elenco tommasiniano — tratta per lo più dal MATTIOLI, 
l’unico A. al quale nel medesimo Elenco si faccia alcune volte riferimento. 

Riguardo ai richiami sinonimici binomiali, accanto al nome scientifico at- 
tualmente più frequente nella letteratura europea, viene normalmente riportato 
il basonimo della specie,3 e talora alcuni altri sinonimi che siano sembrati di 
qualche utilità per le loro connessioni onomastiche.* 


"MPA Deer CAS a 5 3 È ii s pa 

“ Semplici, ovv. semplici medicamenti: sostanze naturali vegetali (ossia “erbe”). più rara- 
mente di origine animale, che venivano usate direttamente a fini terapeutici, 0 come ingredienti 
nella preparazione dei “composti” (le “medicine’). In questo Elenco si tratta per la massima par- 
te di piante officinali (di proprietà medicinali riconosciute), ovvero di loro prodotti naturali, 0 
— solo eccezionalmente — ottenuti con arzifizio (es. Opio). 

3 La nomenclatura binomiale (nomina rrivialia) fu introdotta da Linneo nella 1 edizione del 
suo Species Plantarum (I vol. maggio 1753). 

4 Due sono i riscontri numerici su ciascuna delle specie concordanti: il primo (sigla FI. It.) 
rimanda alla numerazione progressiva nella Flora d'Italia del PIGNATTI, e si riferisce alla deno- 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici». Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 Il 


Il criterio per la distinzione di ciascuna specie ha seguito questo schema 
generale di controlli incrociati: 


PRESENZA 
(IN ISTRIA) 


el sali HABITAT SS 


GRADO DI DIFFUSIONE USO OFFICINALE 


bue > DENOMINAZIONE 


Per alcuni dei suddetti elementi discriminativi sono stati talora possibili dei 
raffronti diretti tra le condizioni attuali (o di fine ‘800) e quelle del XVII se- 
colo. Si è posto altresî attenzione al criterio della rarità della specie, riferita al 
suo valore medicinale (dell’epoca), tenendo presente che nell’Elenco si è detto 
trattarsi delli Semplici più rari della provincia: tuttavia per qualche genere (cs. 
Rubus), ancor oggi di assai difficile determinazione, sono state tralasciate le spe- 
cie a distribuzione strettamente localizzata. 

Per motivi di spazio e per ridurre al minimo le inevitabili reiterazioni del 
testo, si è evitato di riportare, anche sommariamente, gli svolgimenti analitici 
inerenti, per ciascuna specie, al sopra esposto schema esplorativo: analisi, co- 
me si può ben capire, a carattere ripetitivo nelle argomentazioni che precedono 
ogni specifica scelta. Dette si basano — in buona sostanza — essenzialmente sul- 
la ricerca sinonimica, sull’interpretazione delle tavole mattiolane, sul riscontro 
nella flora attuale regionale e delle aree adiacenti, sulle più 0 meno riconosciute 
qualità officinali, sull’epoca del primo scopritore e della prima introduzione in 
Italia, sulle esigenze reali del semplice in relazione all’habitat indicato dal Tom- 
masini, ecc. Pertanto ogni identificazione — sic er simpliciter dichiarata — costi- 
tuisce solo il punto d'arrivo di una preselezione spesso laboriosa e talora anche 
sofferta, ma sempre frutto di una scelta personale, di cui lo scrivente si prende 
piena responsabilità: lontano dal pensare che essa rappresenti, in diversi casi al- 
meno, l’unica opzione possibile, ma anche convinto che possa trattarsi senz’al- 
tro di una tra le più probabili. 


minazione internazionale d'uso corrente; il secondo (siglato R.) riporta corrispondentemente al 
Codex linneames del RICHTER, a utile confronto — anche integrativo — con l'apparato sinonimico 
dell'A. svedese. 


12 G. DE Simon, « Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 


L'elenco “Delli Semplici più rari della provincia” 


È questa senz'altro, ove si trascurino le poche notizie fornite dal Mattioli5 
la prima lista ordinata delle piante medicinali dell'Istria di cui possiamo di- 
sporre. Alla stesura del relativo manoscritto (pp. 161-171 dei Commentarj, Ar- 
ch. tr, pp. 107-118) si può assegnare, con discreta approssimazione, l’anno 1650. 

Bisognerà poi attendere sino alle relazioni di viaggio dello Zannichelli lun- 
go le coste istriane, da Capodistria al M. Maggiore (1722 e 1725, pubblicate 
postume nel 1730), per avere altre notizie floristiche di questi luoghi. 

Occorre precisare come lVarea geografica della Provincia dell'Istria cui si 
è fatto costante riferimento durante la verifica degli habitat, il confronto con le 
esigenze climatiche ed edafiche, e il ritrovamento degli areali delle specie bo- 
taniche contemplate nell’Elenco, non corrisponde alla penisola istriana carto- 
graficamente intesa. I limiti storici-geografici della regione sono quelli indicati 
dallo stesso Tommasini al cap. II del suo libro: Anche noi adunque, da questo 
fiume così famoso appresso gli antichi [il Timavo| faremo cominciare la nostra 
Istria, cioè a S. Gio. di Duino, ch'è pur su la costa del Golfo Triestino, sino 
all’altro Golfo del Carnero..., © avrà dunque |per confini] da oriente, e setten- 
trione li monti de la Vena \W'Istria], e del Carso |triestino].® 

Il repertorio, che diciamo tommasiniano, anche se il Vescovo di Cittanova 
non ne fu in realtà l’estensore, ma soltanto il relatore” comprende 292 capo- 
versi disposti in ordine alfabetico per prima lettera, ciascuno dei quali riporta 
la denominazione, e (spesso) l'habitat, di almeno un semplice ma sono frequenti 


* Effettivamente il celebre medico senese Pier Andrea Mattioli (1500-1577), avendo dimo- 
rato parecchi anni nel Goriziano e nel Trentino ... è stato il primo che studiò la flora di queste 
regioni arrivando nelle sue escursioni nei dintorni di Trieste e forse anche nell'Istria ]MORPUR- 
GO 1930, p. 123]. Ma, tra la settantina di piante citate dal Mattioli per la Venezia Giulia (nella 
edizione latina dei suoi Commentarii a Dioscoride, del 1560, e in quella italiana del 1568), so- 
lamente tre sono nominate espressamente per l'Istria peninsulare: il Nardo celtico (1.41. p. 29), il 
Ginepro licio (1. I p. 102), la Staphisagria (1. IV, p. 575). 

© In particolare è chiaro che quest'Istria storicamente intesa non comprende la regione o/- 
Iremontana, cioè a nord-est della dorsale della Cicceria e ad oriente della sommità dei Caldiera. 
Per altri dettagli sui limiti dell'Istria cfr. Arch. gr IV, p. DI. 

Riguardo agli speziali che gli l'ornirono i nomi dei Semplici, come egli stesso premette 
(... da alcune persone eccelenti in questa professione ne ho havuto il seguente indice ...), Cè da 
osservare che fa ripetizione di diverse «specie», riportate nel corso dell'indice sotto nomi diffe- 
renti (ma anche uguali, e persino nell'indicazione degli habitat, v. nn. 65 e 84), porta senz'altro 
a supporre che il T. avesse avuto a disposizione due (0 forse anche tre) liste di piante officinali 
di provenienza diversa, che poi avrebbe fuso insieme, omettendo solamente — e non sempre — 
quelle dal nome perfettamente identico. Del resto è lecito supporre che il prelato non avesse 
profonde cognizioni nell'arte dei semplici, disciplina allora privilegio degli semplicisti e, in su- 
bordine, degli speriali e degli herbolatti. È indicativo in tal senso che, dopo aver egli scritto (a 
p. 61) “er quelli [semplici] che sono stati da me praticati, et conosciuti in Cittanova saranno di- 
versificati con l'asterisco”. non ne abbia più avanti così evidenziato alcuno: anche se si può ri- 
tenere che si fosse ripromesso di farlo in un secondo momento. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI 1991, p. 9-115 13 


i richiami a sorzi affini, e altre indicazioni floristiche dal rango tassonomico va- 
riabile e diversissimo (che va dall’aggregato al semplice cultivar): talché, ana- 
lizzando accuratamente l’Elenco, alla luce delle classificazioni scientifiche più 
recenti, si raggiunge nel complesso il numero di circa 400 fara. Si tratta per- 
tanto di un patrimonio cospicuo, paragonabile a quello contemplato nelle mi- 
gliori monografie italiane recenti |efr. ed. es. LopI 1957; NEGRI 1976; POMINI 
1981]. 

È bensì vero che abbiamo di fronte solo un arido elenco, in cui sono ri- 
chiamati alla rinfusa tanto 1 semplici «selvaggi» (specie spontanee), che i «do- 
mestici» (qualità coltivate, ortaggi), 1 prodotti fruttiferi dalle supposte proprietà 
farmacoterapiche, accanto a quelli speziali (piante aromatiche, droghe di varia 
origine):* ma, alla luce di quanto si è potuto constatare, non sembra esagerata 
l'affermazione che, sotto questa modesta apparenza, si cela in definitiva un pres- 
soché completo inventario floristico officinale dell'Istria del Seicento? 

Verrà tra breve riportato l'elenco tommasiniano tratto dal manoscritto ori- 
ginale. Nella trascrizione si è rispettata la forma testuale (distinguendo però le 
lettere # dalle v), e ciò sia nella variabilità delle medesime parole, sia nell'uso 
delle interpunzioni. Riguardo alcuni segni di troncamento e di contrazione non 
rappresentabili per ragioni tipografiche (desinenze in m e dittonghi latini), so- 
no stati indicati | corrispondenti valori tra parentesi quadre; così per un segno 
abbreviativo con significato proprio (er cerera). La trascrizione è rimasta inte- 
grale anche nei casi di evidente errore grafico; la forma corretta viene comun- 
que segnalata nella relativa concordanza. 

Due indici alfabetici chiudono il lavoro: il primo consistente nel repertorio 
tommasiniano delli Semplici, nella loro denominazione volgare, compilato 
sull'analisi rigorosa delle varie spetie e sorti floristiche che vi risultano con- 
template: il secondo elenco comprende le corrispondenti entità tassonomiche, 
così come sono state riconosciute ed identificate nella nomenclatura scientifica 
moderna. 


Nelle concordanze non verrà qui fatto riferimento alla parte della pianta usata come me- 
dicinale (folia. fructus, radiae, ...), compito questo essenzialmente botanico-farmmacognostico. Inol- 
tre, quando il T. non farà apposito richiamo alla sorte domestica (anche con le espressioni “si 
semina”, oppure “negli orti”, si intenderà trattarsi ordinariamente della sorte silvestre 0 selvati- 
ca, ove contemplata nei repertori rinonimici dell'epoca. Alcune volte si rimanda senz'altro agli 
specialisti per la discriminazione delle cultivar regionali dell'epoca. 

° Tale elenco venne poi ripreso dal Petronio nelle sue Memorie dell'Istria sacre e profane 
(1681), però con molte omissioni e parecchi errori di trascrizione, ma anche con qualche rettiti- 
ca, e pochissime aggiunte. Inedite sino al 1968 (vennero allora pubblicate a cura di G. Borri), ri- 
portano nel | libro 130 semplici nobili, quasi una scelta elettiva rispetto a quelli — ben più nu- 
merosi — giù definiti come i più rari dal Vescovo di Cittanova. 


14 G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti. vol. XXI, 1991, p. 9-115 


L'analisi dell’indice tommasiniano 
Ogni singolo nome botanico dell’Elenco è stato analizzato secondo una suc- 

cessione-tipo standard, che viene qui proposta in forma schematica completa (il 

riferimento è al manoscritto originale): 

Il. Numerazione progressiva di ciascun capoverso, corrispondente a uno 0 più 
semplici (v. 5). 

2. Richiamo del nome stampato nell’Archeografo triestino | siglato Arch. tr]. 
c/o tratto nelle Memorie di Prospero Petronio [P.P.], (solo in caso di di- 
versità). 

3. Suggerimento della conformazione corretta del nome volgare, ove non si 
tratti una forma antica/disusata, ma di un probabile errore di ricopiatura |si- 
gla Recte]. Per queste variazioni grafiche è stato fatto riferimento special- 
mente al Grande Dizionario della Lingua Italiana di S. Battaglia & Coll." 

4. Indicazione di un'eventuale ripetizione (0 presunta tale) nell’Elenco, ri- 
chiamata dalla sigla /te;, seguita dal numero di riferimento. 

5. Ulteriore scomposizione, nell’ambito di ciascun numero. Ove il T. vi abbia 
compreso più semplici, ovvero più sorti, ecc., queste vengono distinte con 
lettere minuscole; e per ognuna — all'occorrenza — di nuovo con numeri." 

6. Nome scientifico moderno: binomio latino corrispondente alle regole 
dell’International Code of Botanical Nomenclature, principalmente se- 
guendo Pignatti & Coll. (F7. d’Italia); segnalazione di alcune altre sinoni- 
mie correnti — anche da Ehrendorfer & Coll. (Liste Mitteleur)- e dell’even- 
tuale basonimo di Linneo. 

Rappresenta la denominazione concordante col nome volgare (ovvero lati- 
no) riportato dal Tommasini, cd è stampata in grassetto." 

Talora la scelta del nome scientifico è obbligatoriamente diversa da quella 
cui avrebbe dovuto condurre il nome attribuito al semplice dal T., ovvero 


A 
dai suoi informatori.'* In tal caso viene usato il simbolo *, con valore 


a SODI . 3 ; Big: À 
sostitutivo (A sostituisce B): la specie B è quella classicamente indicata dai 
Semplicisti dell’epoca come corrispondente al nome riportato dal Tomma- 
sini: nondimeno la sua assenza dalla flora della regione istriana (estraneità 


!© Per le grafie latine, talora diverse da quelle classicamente registrate, si rimanda al Yhne- 


saurus Academ. quinque germanic (fino alla lettera M, nel 1991), e al Lexicon del FORCELLINI. 

!! Tale discriminazione è necessaria in ordine all'analisi separata delle singole entità flori- 
stiche, ed anche per chiarire il valore logico delle frasi in cui compaiono più nomi. 

In sei casi il semplice non è stato identificato (nn. 100, 105, 168 b, 220), 276 Db e 280). 

E senz'altro possibile che le persone eccelenti incaricate della ricerca abbiano fornito al 
Vescovo un clenco «abbellito» per dare maggiore risalto alla feracità della loro terra. Più volte 
infatti vengono citati semplici di riconosciuta efficacia terapeutica (valorosi), in luogo di altre 
specie, generalmente simili, ma meno rare e nobili — forse perché meno note — che sostituisco- 
no le precedenti nella regione istriana: si veda ad es. L'Achanzus mollis citato in luogo dell'A. 
balcanicus, al n. 3. Ma non viene, ovviamente, escluso neanche l’involontario errore, in diversi 
casi di stretta affinità morfologica. 


G. pe Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 15 


d’areale), induce ragionevolmente a ritenere ch'essa sia stata «confusa» con 
la relativamente simile specie A. Qui per «confusione» si intende tanto lo 
scambio consapevole che l'abbaglio involontario." Infine, un'unica con- 
cordanza «dedotta» (n. 284) è indicata col segno T.!5 

7. Sinonimie dei vecchi Autori botanici |sw1.Bot.ver.|, in neretto corsivo, es- 
senzialmente ricavate dalle concordanze linneane (subordinatamente dello 
Scopoli), con preferenza per le citazioni delle opere apparse dal 1550 al 
1650. La forma delle citazioni è quella originale dello stesso Linneo |efr. 
HeLLER 1959], secondo la progressione: denominazione sinonimica con- 
cordante, Autore (abbrev.) opera (minusc. e abbrev.), numero dell'edizione, 
pagina o figura o tavola di riferimento. 
Seguono a lato i rimandi ai lavori da cui sono state tratte le concordanze." 
Vengono segnalate solo quelle denominazioni che ripropongono o richia- 
mino con sufficiente sicurezza 1 nomi degli semplici del T., 0, in mancan- 
za, che palesino una affinità tale da condurre con elevata probabilità al bi- 
nomio linneano indicato come corrispondente. Se tale grado di attendibilità 
non pare conseguito, al binomio di cui al punto 6 è premessa l’indicazio- 
ne [prob.], ovvero [er prob.| se i binomi cui ci si riferisce sono più di uno 
(I, II, ...): se permangono fondati dubbi sull’esattezza della concordanza 
raggiunta, allo stesso binomio è premessa l'indicazione |dub.|. 

8. Riscontro — verificato nella corrispondenza della «specie» — del nome 
dell’Elenco nei Discorsi del Mattioli, allora la più celebre opera sui sem 
plici e la più diffusa in Italia |vw/g.comp.|.!? È stato essenzialmente effet- 


4 In altre parole, la doppia freccia verticale indica che nell'Elenco era stato «adattato» un 
nome noto ad una specie simile, e di quest'ultima si dà Ta concordanza scientifica. 

!5 Non rientra nelle finalità del presente lavoro indicare le cosiddette false concordanze, cioè 
quelle sinonimie solo apparentemente valide, e invece casuali: si cita per tutte l'esempio del n. 
292: il nome Zea indurebbe a scegliere immediatamente il MAIS (Zed mavs L.). Invece, questo 
riferimento va certamente escluso, intanto perché all'epoca persistevano le denominazioni dotte 
di FRUMENTUM INDICUM di Mattioli (Comm. [1565], p. 393) ovv. di TURCICUM FRUMENTUM di 
Fuchs (Hist. [1542], p. 825), e le corrispondenti volgari di FORMENTONI: INDIANO e GRANO TUR- 
CO; poi perché, mentre è presumibile che il Tommasini avesse conosciuto la polenta di mais (sul- 
la piazza di Padova nel 1630, v. MESSEDAGLIA 1924, p. 141), questo cereale venne introdotto as- 
sai tardivamente in Istria, e cioè, secondo A. Rossi (1924, p. 35), appena sul principio del seco- 
lo XIX (2). 

!6 Assai utile a tali ricerche si è rivelato il già citato Codex botanicus linneanus del Ricu- 
TER, nonché il relativo /ndex alphabeticus del PETERMANN, ricco di circa 40.000 nomi, ai quali 
— si confida con discernimento — è stato fatto costante ricorso. In ogni caso, onde non appen- 
santire troppo l'apparato delle citazioni, queste rimandano solo alla prima edizione dell'Opera 
linneana che registra la sinonimia (purché sia stata ripresa anche nelle eventuali edizioni succes- 
sive). 

!? Di quest'Opera vennero stampate oltre 61 edizioni [FORNACIARI 1971]. Ma, soprattutto, 
il Mattioli è l'unico A. al quale il Vescovo Tommasini faccia espresso riferimento, citandolo tre 
volte nell'indice dei Semplici (nn. 249 a e b, 254 e 270). Per inciso, lo stesso versatile Medico 
Sanese verrà citato anche altrove nei Conmentarj. come nel medesimo libro 1, al cap. XL 


16 G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


tuato sulla traccia delle concordanze già ritrovate dal Targioni Tozzetti 
(1858) e/o dal Loss (1870), vagliate criticamente, e se necessario rigettate 
od aggiornate secondo la nomenclatura attuale. Il controllo del testo e del- 
le tavole mattiolane è stato condotto — per confronto — su diverse edizio- 
ni. Vi si è tratta alcune volte qualche breve citazione di chiarimento o di 
commento. 

Ove la sinonimia riferita per gli Autori pre-linneani d’oltralpe discordino 
dei nomi volgari registrati dal Mattioli (per es. la /ampsana del Dodoens, 
n. 164, concordata da Linné con la sua Lapsana communis, non corrisponde 


SERPENTINA. TANACETO. 





(Arch. tr., p. 125), ove tratta delle Miniere delle Pietre, e Metalli, e della Gagate. Ma di più, 
confrontando attentamente il manoscritto del T. con diversi passi dei Discorsi, si è fatta convin- 
zione, in chi scrive, l'idea iniziale che un'edizione seicentesca di quei sei libri della materia me- 
dicinale, vero compendio delle conoscenze del tempo, dovette costituire un'importante fonte, cui 
attinsero 1 Semplicisti istriani nella preparazione dell’Elenco richiesto. 


G. E Simon, « Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 17 


alla /ampsana del Mattioli, che è invece la Sinapis arvensis L.) — ceteris 
paribus in quanto ad ammissibilità floristica, esigenze ecologiche, ecc. — 
sono stati senz'altro preferiti questi ultimi. 
Accanto alle suddette sinonimie si riportano talora i riscontri omonimi vol- 
gari di qualche altro A. del "500 e del "600. 

9. Osservazioni [Obs.| (rare), quali pronunciate diversità tra le indicazioni 
d'habitat e le richieste ambientali reali della «specie»:! o altri chiarimen- 
ti particolari. 


SASSIFRAGIA III. PAMPINELLA SASSIFRAGIA, 









NÌ f: 


DADA 





SUA questo proposito occorre d'altronde riconoscere che spesso gli habitat riportati, ed in 
particolare le esigenze edafiche delle specie, risultano veramente precise — pur nell’estrema con- 
cisione — denotando un'osservazione diretta e attenta degli ambienti. 


18 G. bE Simon, «Indice delli Semplici», Arti. vol. XXI, 1991. p. 9-115 


Conclusione 


Nuovamente i Commentarj Storici-geografici della Provincia dell'Istria re- 
datti dal Vescovo Tommasini si rivelano una preziosa testimonianza e una au- 
tentica miniera di informazioni. 

Dal suo /ndice delli Semplici si sono tratte alcune indicazioni di specie 0g- 
gi assai rare o affatto scomparse, ma allora relativamente diffuse (come la Brio- 
nia, Brvonia alba L., n. 52); altre, viceversa, di piante rare solo allora, perché 
appena introdotte da lontani paesi, e coltivate per le virtù medicinali (ad es.: 
Tulipani persiani, n. 278). Ma la gran parte degli Semplici mantiene pressoc- 
ché inalterata la propria distribuzione, oltre naturalmente al proprio habitat pre- 
ferenziale, apparentemente indifferente — sinora — al volgere dei secoli ed al 
mutare dei condizionamenti umani. Altre specie elencate dal T. non possono, 
per il vero, aver fatto — neanche ai suoi tempi — parte della flora spontanea del- 
la Provincia dell'Istria (come la Salvia aethiopis L., n. 120): ma, lo si ripete, 
pare ovvio che il nostro Prelato, ovvero le persone che con lui collaborarono, 
avessero in animo di vantare anche quel genere di ricchezza della loro Terra, 
onde proporlo alla più attenta considerazione — e, perché no — all’ammirata in- 
vidia degli stranieri. 

Concludendo la presente indagine 0, per citare ancora il Loss, questa gran 
fatica nel poco appariscente lavoro (p. 9), sia lecita all'autore la speranza che 
essa possa riuscire di qualche utilità nel quasi inesplorato campo della farma- 
cogeografia storica istriana-giuliana.'” E non sembri infine pretestuosa l'affer- 
mazione che, nonostante l’annoso impegno dedicatovi, questo lavoro non sa- 
rebbe stato portato a termine se lo scrivente avesse voluto approdare sempre 
a dei risultati assolutamente certi: si tratta pertanto solo di un saggio, di wn 
tentativo da essere emendato |SACCARDO, cit., p. XIT alla luce delle ricerche 
future. 


Lavoro eseguito presso il Dipartimento di Scienze Geografiche e Storiche 
dell’Università degli Studi di Trieste. 


!° Ma forse anche nei collegati campi delle discipline fitogeografiche e fitoclimatiche. Ove, 
ad esempio, per l'epoca della stesura dei Commentarj venisse confermata una maggiore presen- 
za percentuale delle specie termofile e/o scelerofile, si potrebbe ragionevolmente supporre per 
l'Istria un clima regionale relativamente più secco dell'attuale. 


G. pe Simon, «Indice delli Semplici », Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 19 














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20 G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 





G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Azzi, vol. XXI, 1991, p. 9-115 21 


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G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Arti. vol. XXI, 1991, p. 9-115 23 


ELENCO TOMMASINIANO TRATTO DAL MANOSCRITTO ORIGINALE 


Delli Semplici più rari della/ provincia 
Cap: litolo] XXXVII. 


p. 161 Hò fatto con ogni diligenza vedere quali siano i semplici in questa provincia 


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perchè i curiosi n’abbiano alcuna notizia, et da/ alcune persone eccelenti in 
questa professione ne hò havuto/ il seguente indice, et quelli che son stati da 
me praticati, e conosciuti qui in Cittanova saranno diversificati con l'aste- 
risco. 

Anemone fiore, che si pianta ne gl'horti, e giardini. 


Asphodello con fiori bianchi nasce su li monti, et luoghi freddi, et con/ fiori 
gialli sop:[rJa uno scoglio vicino à Parenzo. 

Acantho in terreno inculto, e grasso. 

Aron fra spine, siepi, e luoghi ombrosi 

Anthemide, lat:fine] Anthemis, e Camaemellu[m]. 

Artichiochi si coltivano ne gl’horti. 

Anonide, lat:[ine] Anonis, nasce ne prati. 

Asparagi di più sorte, cioè Domestici, et Silvestri, alcuni nascono in/ siti 


montuosi, sassosi, sechi, e caldi, altri in valle, e luoghi humidi/ e altri, che 
si coltivano ne gl’horti. 


Artemisia nasce in terra buona. 

Acettosa lat:[ine] exalis di due sorti si trova in terreno buono, e ne carsi. 
Aphaca. 

Avellane, lat:[ine] Nuces pontic[a]e. 

Anomoni, lat:[ine] Anene. 


Atriplice, lat:[ine] Atriplex: è di più sorti, la d:[etfta domestica che si/ trova 
ne gl'horti in terren humido, e ben coltivato una di foglie verdi, l’altra di 


foglie rosse la silvestre, anco di più spetie ama terren buono, e sito caldo. 


Oltre di queste vi è/ la marina 
Alsine lat:[ine] Haelsine volgarm:[enfte pavarina vuol horti, et terra/ grassa 
Aristolochia in terra buona, e sito caldo// 


24 


p. 162 
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18. 
19. 
20). 
21. 
22. 
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40. 
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42. 
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44. 
45. 
46. 
41. 
48. 
49. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Affi, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Abrotano maschio, e femina ne monti, e luoghi sassosi nasce/ il silvestre, et 
se ne soltiva ne gl’horti ancora 


Agrimonia lat:[ine] Eupatorium in ogni sito. 

Aglio orsino in luoghi ombrosi, e monti 

Anagiride, in terra fertile, sassosa 

Aparine ne campi coltivati 

Aquileia ne gl’horti 

Aster attico ama il sito ombroso, et inculto 

Amaranto spicato ne gl’horti 

Alcea in buon terreno 

Asuro appresso l’acque 

Ancusa in terra sterile, e sassosa 

Assaro, in sito montuoso, freddo, e sassoso 

Aneto ne gl’horti 

Angelica, et Aniso, in luogo humido, e grasso 

Apocino appresso le siepi, e buon terreno 

Absinthio pontico alla marina 

Absinthio in terren buono, apprico, et solivo 

Alchechingi ne luoghi campestri, et humidi 

Bardano latt:[ine] personata 

Ballotte latt:[ine] marrubiulm] nigrulm] 

Bellis maggior, e minor, e minimo, nasce ne i prati, et valli 
Basilico latt:[ineJ ocymu[m], si coltiva ne gl’horti, et ne vasi 
Brassica cioè cavoli di molte sorti, che si coltivano ne gl’horti dette/ crespe 
capuccine, et c:|etera] oltre i cavoli fiori, e corzuti. 

Blito bianco, e rosso in terren grasso 

Boragine ne gl’horti 

Buglosa, ne campi, et in ogni terreno, @ sito 


Borsa pastorale lat:[ine] Bursa Pastoris ne gl’horti, e ne campi grassi,/ et 
intorno le ville, e castelli in sito calido 


Buftalmo per il più ne prati, e valli 

Blattaria in ogni terreno, © sito 

Bietole bianche, rosse, e nere, ne gl’horti 
Bietola selvatica in terra buona 

Bistorta sù le montagne de carsi in terren grasso 
Balsamina si coltiva ne gl’horti// 


Balsamita 
Betonina ne prati, e luoghi inculti 
Brionia fra le siepi, e siti calidi 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 25 


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78. 


p. 164 
79. 


80. 


81. 
82. 
83. 


Caucalide ne campi in ogni terreno 


Cauda equina, 0° Coda di cavallo, overo latline] Equisetu[lm], appresso 
l’acque, e terren humido in valle 


Centinodia ne gl’horti, e pler] le strade 


Cimeri con certi fiori come garofoli mà gialli, ed odor ingrato, si/ piantano 
ne gl’horti, e ne vasi per bella vista 


Cimino, 0° Comino sù ì Carsi in terra sassosa 

Consolida maggior, 0° Regale ne i prati, e valli: la doppia ne gl’horti 
Cipolla ne gl’horti 

Carote ne gl’horti 

Cruciata ne gli monti, e terra mediocre 

Cimbalaria ne muri scoperti 


Capil Venere lat:[ine] Pulitrico, aut Capillulm[] Veneris, in caverne ombro- 
se, e humide 


Calendula ne gl’horti detta qui fior d’ogni mese 
Camepitio lat:[ine] Camale]pitis, nelli Campi coltivati 


Clematide di più spetie cioè bettida prima, seconda detta anco/ lat:line] Cle- 
matis peregrina areas, et Flamula Jovis, ne gl’horti, et/ pler] le siepi 


Canape lat:[ineJ Canabis si semina in terra grassa, et humida 


Cardo santo lat:(ine] Atratylis, et fusus Agrestis, 0° Cardus benedictus,/ si 
semina, è di maggior virtù in sito caldo, e solivo. 


Carpino 

Cardo stellato 

Carcdina nasce appresso le strade, e siepi, e mura di ville, e castelli 
Canna lat:[ine] Arundo 


Cocumero di più spetie lat:[ine]J cucumis il selvatico, e damestico ama terra 
grassa, et humida 


Calaminta pler] il più appresso le strade in abbondanza, et intorno ai fossi 
Cappari amano terra sottile nascono nelle mura e ruine d’edifficij 

Carthamo si semina ne gl’horti 

Cariofilata alpestre nasce ne boschi del carso 

Carlina maschio, e femina, nasce nella cima de monti sterili// 


Cataputia è seminata nelli horti da i Contadini, è apunto medicina/ de Con- 
tadini, i quali da se stessi, non senza sconcerto del stomaco/ et pericolo del- 
la vita sogliono pigliarne per bocca tre grani,/ et se questi non operano sei, 
poi nove p[er] purgarsi, et ciò/ le succede alcune volte bene, ma pler] il più 
le riesce male,/ et spesso le caggiona vomito anco del sangue, et periscono 


Centaurea maggiore, e minore, nasce ne monti, et terra sterile, et/ inculta, et 
da il fior giallo 


Cerfoglio negli horti, e ne pratti 
Chamedrio in terra sottile, e buona 
Chamamilla selvatica ne campi coltivati, et la domestica ne gl’horti 


26 


84. 
85. 
86. 
87. 
88. 


89. 

90. 

91. 
92. 


94. 
95. 
96. 
97. 
98. 
99. 
100. 
101. 
102. 
103. 
104. 
105. 


106. 
107. 
108. 
109. 


110. 
III. 
LIZ. 
113. 
114. 
115. 
I16. 
ISS 
118. 
119. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici». Arti, vol XXI, 1991, p. 9-115 


Chamepitio in campi coltivati 

Chelidonia lat:line] Chelidoniulm] maius, nasce fra le ruine de gl’edifficij 
Chelidonia minore appresso i fossi, e siepi in luoghi humidi, e ombrosi 
Chondrila ne campi appresso i fossi, et strade 


Cicorea selvaggia, et hortense, la selvaggia in ogni terra, mà meglio/ nelle 
Valli 


Cicuta d’intorno i Castelli, e Ville 
Cinque foglia lat:[ine] Pentaphillon in ogni sito di buona terra 
Cirso sù monti ne prati 


Cisampellos, 0’ convolvulo, o’ villuchio nasce ne campi, et vigne, et/ s’invo- 
glie attorno i palli, et biade è nemico della terra arrida,/ et sterile 


Climeno terra mediocre 

Colchico ne prati, e luoghi humidi 

Coniza luogho humido, et appresso le strade 

Coriandoli ne gl’horti 

Croco 0° Zaffarano ne gl’horti in luogo solivo, e sassoso 
Cuscuta nasce sopra l’altre piante come sature inebulo, e simili 
Cyano maggiore, e minore ne campi coltivati 

Cvydamino ne monti, e luoghi sassosi, e solivi 
Cynoglossa terra arrida, e soliva 

Cynara son l’artichiochi di più sorti 

Ceci 

Cisto femina 

Cireo.// 


Dente canino, o’ dente di leone in ogni terreno inculto appresso i luoghi 
Dragontea ne gl’horti, così il Dragoncello 

Dissaco sù gl’argini de fossi appresso le siepi 

Dauco Silvestre 


Endivia ne gl’horti la domestica oltre la silvestre 

Enula campana nelle valli in terra humida, e grossa 

Epithimo ne carsi sassosi 

Eruca, 0° ruchetta hortense, et la silvestre in vigne, et luoghi solivi 
Eringio in luoghi inculti, e campestri pler] tutto 

Erisimo, o’ Irio nasce di sua posta ne gl’horti 

Eupatorio per tutto in buon terreno 

Eufragia ne pratti, e ne monti 

Eno 


Eleboro negro, over eleborastro per tutto, et il bianco ne carsi sù le montagne 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 27 


120. 
121. 
I22: 
IL. 
124. 
12.5: 
126. 
127. 


128. 
129. 
130. 


139. 
140. 
141. 
142. 
143. 
144, 
145. 
146. 
147. 
148. 


149. 


150. 


Ethiapide 

Fabaria sop.[rla sassi, e muri 

Farfara in luogo humido acquoso 

Filpendula ne prati in buona terra 

Felice lat:[ine]J Felix maximj in luoghi ombrosi, e freddi 
Fior di primavera il stesso sito 

Fenochio ne gl'horti, e vigne coltivate 


Fragraria in ogni terra non troppo humida spetialm:[fenfte ne monti, e/ luo- 
ghi opachi 


Frassinella in sito sassoso, et aprico 
Fumaria lat:[ine[J Capnos, et fumus terr[ale, ne gl’horti, e terreni grassi 
Funghi diversi in varij luoghi secondo le diversità delle spetie 


Gallio in luoghi humidi, e paludosi 


Gallega in luogo humido appresso i fossi delle stradde lat:[ine] Ruta capra- 
ria flore cerulo 


Galeopsi lat:[ine] Urtica labeus, Urtica floJetida appresso le strade, et hor- 
1i// 


Gariofoli lat:[ine] gariofilulm], fiori di varij colori fatti con artificio/ d’in- 
calmi domestici ne vasi, et horti, i silvestri sono di tre/ sorti, amano terra 
arrida, e soliva 

Gariofillata 

Ginestra sito montuoso 

Gentiana sù carsi, montagne, e luoghi alti 


Gelsomini di due sorti cioè semplici ne gl'horti, et di spagna/ incalmati ne 
vasi 


Giunco luoghi acquosi 

Giglio bianco hortense in sito aprico 

Geranio terra arrida, e soliva, et è di quattro specie. |. 2. 3. 4. 
Gladiolo in campi, e prati humidi 

Gramigna in ogni terreno 

Ginepro, o’ Junipero 

Gattaria, 0° herba gatta in solivo 

Girasole si pianta ne i giardini 

Grano 

Galle 


Hedera terrestre, et arborea in luoghi inculti, et arridi, et sop:[rJa le/ ruine, 
e fabriche antiche 
Hemerocalle in sito montuoso et inculto. 


170. 
171. 
1726 
173. 
174. 
175. 
176. 
177. 
178. 
179. 
180. 
181. 
182. 
183. 
184. 
185. 


G. nE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI. 1991, p. 9-115 


Hieracio in sito alpestre 


Horminio, 0° sclarea, terren grasso, e solivo, et un altra spetie di/ hormino 
silvestre appresso le strade, et ne i terreni non humidi/ inculti 


Hiacinti ne i giardini, et gl'indiani per salvarli l’inverno si pongono/ ne i 
vasi. Il Giacinto selvatico pler] tutto ne campi 


Hioschijamo appresso le ville, et castelli in terra grasso 
Hipecoo ne campi coltivati, et buoni 

Hipericon in terra sottile, e sito aprico 

Hisoppo ne monti in terra sottile 

Hippolupata// 


Iride lat:[ine] Jris terra sottile, sassosa, et sito solivo 
Kali in terreno sovente bagnato dalla marina 


Lagrime di Job, o’ litospermo lat:[ine] miliu[m] solis in terren mediocre/ 
più tosto arido che humido 


Latuca hortense di più sorti cioè crespa, capucina, Romana 

Latuca silvestre, ne campi, et horti 

Lamprana, ne campi buoni, et horti 

Lapato terra humida, et horti 

Luppa terren grasso, e grosso 

Lavanda, 0° lavandula in sito solivo, e caldo 

Lente domestica ne campi seminata, silvestre in ogni terra, e sito caldo 


Leucaio cioè violari di viole bianche, rosse, rossane, gialle, et ne i muri in 
sito solivo 


Lilio convalio ne prati in valle 

Limonio ne prati in luoghi paludosi 

Linaria terra buona, e grassa 

Lino terren grosso, grasso, et humido 

Lupoli nelle siepi in ogni sito, et terren grasso 
Lisimachia in prati humidi, et appresso l'acque 

Lichinde lat:[ine] lichinis sopra le pietre in luogo humido 
Leucantha, lat:[ine] spina alba 

Lingua serpentina 

Latiri lat:[ine] lathvris 

Lambrusca nelle siepi 

Ligustro nelle siepi, et ne boschi 

Lagopo 

Laura 

Maggiorana lat:fine] sampsacu[m], et amarasius in sito caldo, e aprico 


Malva, et malvoni di più sorti guali son l’istessa, che althea, et/ di varij co- 
lori l’arborea, così la malva vischio 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 29 


186. 
187. 


p. 168 


188. 
189. 
190. 
191. 
192. 


193. 
194. 


195. 
196. 
197: 
198. 
199. 
200. 
201. 


202. 
203. 
204. 


205. 
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207. 


208. 
209. 
210. 
211. 


p. 169 


212. 
213: 
214. 


Marubio sito aprico, e sassoso 
Matricaria ne gl’horti, e terreni grassi// 


Martagon in alcune montagne del Carso appresso i boschi 

Melunto si semina ne gl’horti, il silvestre detto pseudo meluntho non si vede 
Melissa lat:[ine] Melissophilu[m], et apiastru[m] in ogni sito montuoso 
Menta rotonda ne gl'horti in sito aprico 


Menta greca in alcuni luoghi ne gl’horti in altri usano gl’/ Illirici piantarla 
sopra i cemiterij alle sepolture de cadaveri/ novam:[en]/te sotterati cioè usa- 
no (nel territorio di Pinguente, à Pedena,/ et in altri Castelli) piantarvi della 
lavanda maschio detta spico/ Italiano come nella Villa Dostuma nel Trevisa- 
no usano mettervi/ un cimo d'olivo pler] fossa, et plerci]ò si coltiva un oli- 
vo nel Cimiterio. 

Mentastro ne campi, e terreni grassi 

Mercorella maschio, e femina lat:[ineJ mercurialis, et linozastis, in sito cal- 
do, et terra grassa 

Mille folio ogni sito, e terren mediocre 

Mastruzzi, 0’ Nasturzij fior giallo ne giardini, e vasi 

Melenzane ne gl'horti per cibo 

Mosco terrestre 

Meloni 

Mandole 

Marasche 


Narcisi di più sorte ne giardini 
Nasturtio, 0° agretti ne gl'horti 
Nimfea 


Ozimo .i.[dest] basilico ama il terren grassissimo sole, et acqua spesso 


Ocimoide lat:[ine] ocimoides, et ocimastu[m] in torno li luoghi in terra buo- 
na 


Ortica com[mJune in terra grassa intorno le siepi così detta che non/ punge, 
et la fetida 


Orobanche ogni sito inculto. 
Oxiride lat:[ine] oxiridis 
Oxilapato in ogni terreno 
Orzo ne ì campi// 


Olivo domestico, e silvestre 
Olmo. 
Opio 


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205. 
216. 
217. 
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222. 
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244. 


p. 170 


245. 
246. 
247. 
248. 
249. 
250. 
251. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici », Atti. vol. XXI. 1991, p. 9-115 


Parietaria sopra li muri onde ne riporta anco il nome di murara 
Pastinacha silvestre, et domestica terren grasso, et humido 
Paronichia ne i sassi, muri, e grotte 

Periclimeno nelle siepi in ogni terra 

Perfogliata ne campi tra le biade, ne prati, et Argini de fossi 
Plitide in monti ombrosi selvosi, et sassosi 

Pilosella lat:[ine] Helostiu[m], in terra sottile, sterile, et giarrosa. 
Pimpinella in ogni sito, et terreno 

Piantagine similm:[en]te, così l’acquatile ove giace l'acqua 
Poligmato ne monti 

Polipodio sop:[r]a i roveri; mà quantità se ne vede sop:lrJa i faggi, ne carsi 
Politrichio ne sassi, e mura humide, et ombrose 

Portulaca ne gl’horti, e terre grasse. 

Pori con agli, e scalogne ne gl'horti 

Primula veris in ogni terra, e sito ombroso 

Pulegio terra sottile, arrida, grassa 

Pulmonaria con foglie machiate in terra humida, ombrosa 
Pulsatila sù i Carsi in terra arrida sassosa 

Pino domestico, e silvestre 

Polio primo 


Ranunculi diversi in terra humida grassa in valle, et anco ne monti 
Rape terra humida, e grassa similmente il raphano 

Raphano rusticano, che il slavo Krem il simile 

Ramponzolo terra arrida, e sassosa, e sito solivo 

Rosmarino si pone fra gli arbusti 

Rose rosse damascene, bianche, purpuree, et.c.[etera] buona terra 
Rusco terra buona, sassosa, sottile, calda 

Rubia lat:[ine] erithrondanu[m] terra grassa 

Ruta terra arrida, sassosa, sito aprico 

Ruchetta, 0° Bucola, eruca// 


Rocco rubus, et le more, mora rubi 

Salvia sito aprico, sassoso 

Sanicola sù i carsi in boschi ombrosi 

Satureia terra arrida montuosa, sassosa in solivo 

Saxifragia terza, et l’Hercina del Mathioli in sassi in sitto solivo 
Scabiosa in ogni sitto, e terreno 

Scolopendria, 0’ Cetrach sù le mura humide, et ombrose 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Affi, vol XXI, 1991, p. 9-115 31 


254. 
255. 
256. 
257. 
258. 
259: 
260). 


261. 
262. 
263. 
264. 
265. 
266. 
267. 
268. 
269. 
270. 


dal 
272. 
28; 
274. 


p. 171 


ZIO 
276. 


DI%a 
278. 


279. 
280). 
281. 
282. 
283. 
284. 
285. 


Scorzonera sopra i carsi in alcuni pratti in buona terra 

Semprevivo maggior, minor, et minimo sopra i muri, mà per il più sopra li 
teti delle Case 

Serpentina del Mathioli in terra sterile arrida, giarosa, e sottile. 

Serpillo in terra sterile, e secca 

Siderite heraclea in valli humide. 

Senape si semina 

Sisembro acquatico, domestico, et selvatico nell'acqua, et appresso fontane vive 
Smirnio in luoghi sassosi inculti delle colline 

Solatro hortense, Alicacobo, o’ Vesicaria quel ne gl’horti, gli altri in terren 
grasso 

Soncho liscio, et aspro in horti, campi, e Vigne 

Spinazzi terra humida grassa ne gl’horti 

Stramonio terra bona sito solivo 

Sinphito maggior .i.[dest] consolida maggiore 

Senecio lat:[ine] Erigeron in horti 

Scrofolaria 

Sambuco 

Sclarea lat:[ine] Horminiu[m] 

Selino ne gl'horti 


Tanaceto maggiore lat:[ine] Tanacetu[m], seu athanasia math:[ioli] volgare, 
terra buona,/ e sito solivo. 


Testicolo di cane di cinque spetie in varij siti 

Thimbra ne Colli magri, e giarosi 

Thipha nelle paludi, et acque morte 

Thitimali di più sorti cioè elioscofilo dendraide caracia, et ciparisso [et cete- 
ral, in ogni sito// 


Tragopogono similmente 


Trifoglio pratense, et girgidio ancora l’acetoso poi in sito mon-/ tuoso, hu- 
mido, selvoso, frigido, opacho 


Trinitas sito montuoso, arrido, sassoso, et opacho 

Tulipani persiani di sei foglie tre rosse, e tre bianche di tutti rossi, tutti 
gialli, verguti [et cetera] ne gl'horti in terra grassa 

Tlapsi 

Tambra 

Tormentilla. 

Trissagine idest Chamedrios 

Vena, o' Avena 

Valeriana silvestre minore sul carso nelle montagne in terren buono 
Verbasco in terra arrida, sotile, ghiarosa in sito solivo 


286. 
287. 


288. 
289. 
290). 
291. 
292. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI. 1991, p. 9-115 


Verbena recta, e volgare per tutto verbenaca 
Viole purpuree, pavonazze in terra sotile, e sito solivo, le bianche/ nascono 
ne pratti, er umidità, et p[erci]ò ha puoco odore 


Vite negra. Vite bianca idest Vidalba, o’ Brionia 

Vite Vinifera 

Xiride sù i carsi in luoghi sassosi di poca terra solivi, et inculti 

Zuche, melloni, Angurie di più sorti in terra grassa, et lummida in sito solivo 
Zea 


G. DE SIMON, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 


W 
W 


ELENCO TOMMASINIANO ANALIZZATO E CONCORDATO 


Anemone fiore, che si pianta ne gl’horti, e giardini. 
Anemone coronaria L. FI. It. 718 R. 4007 


sw. Bot. ver: Anemone Cam. epit. 386 [L. Sp. PI. I, p. 539] 
vulg. comp: ANEMONE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 10] 


Asphodello con fiori bianchi nasce su li monti, et luoghi freddi, et con fiori gial- 


li sopra uno scoglio vicino à Parenzo. 
Arch. tr.: Asfodello 


2a. Asphodello con fiori bianchi 
2b. (Asphodello) con fiori gialli 


2a. Asphodelus albus Miller FI. It. 4552 
= A. Ramosus L. p. p. R. 244) 

sw. Bot. vet: Asphodelus albus Dod. pempt. 206 [L. H. Cliff., p. 127] 

2b. Asphodeline lutea (L.) Rchb. FI. It 4593 
= Asphodelus luteus L. R. 2438 


sm. Bot. vet: Asphodelus luteus Dod. pempt. 208; Bauh. hist. 2, p. 632; Caes. syst. 
416 [L. H. Cliff., p. 127] 


Obs.: Resta solamente dubbio a quale specie si debba riferire «l’Asfodello a fiori gialli, ve- 
getante sopra uno scoglio vicino a Parenzo», dappoiché l’Asphodelus luteus cui si dovreb- 
be pensare, manca tanto alla terra ferma che alle isole di Parenzo, e non compare che sul- 
lo scoglio di S. Francesco nel porto di Pola e quindi sulle isole del Quarnero [MARCHE- 
SETTI C., 1890, p. 21]. Venne poi trovato anche presso Strugnano e a occidente di Fianona 
[PosPicHaL, 1897 (1). p. 221]. E possibile tuttavia che in due secoli e mezzo sia scompar- 
so dalla stazione segnalata dal TOMMASINI, stante la particolare vulnerabilità della vegeta- 
zione litorale. 


Acantho in terreno inculto, e grasso. 
Arch. tr: Acanto 


Acanthus balcanicus Heyw. et Richardson FI. It. sub 3563 


A 


Acanthus mollis L. R. 4646 


sm. Bot. vet: Acanthus sativus Dod. pempt. 719; Lob. hist. 477 [L. H. Cliff., p. 326] 
vulg. comp: ACANTHO Matt. Disc. [Loss, p. 13] 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Obs: L’Acanthus mollis è VA. usato in medicina, ma viene segnalato appena nei dintorni di 
Fiume [BARONI E., n. 2112]. Può essere che nel XVII secolo fosse più diffuso, oppure che 
gli informatori del 7. lo avessero confuso con l'A. balcanicus, dal quale differisce per i seg- 
menti fogliari assottigliati alla base. 


Aron fra spine, siepi, e luoghi ombrosi 
Arch. tr. Aro 


Arum maculatum L. FI. It, 5298 R. 6995 


sw. Bot. vet: Arum Fuchs. hist. 69; Lob. ic. 597 [L. Sp. PI. I, p. 966] 
Bauh. hist. 2 p. 784; Dod. pempt. 328 |L. H. Ups., p. 279] 
Matth. Diosc. p. 411 [Scop. FI. Carn. II, n. 1138] 


Obs.: Chiamano i Greci l’Aro Apov [Matt Disc., 1597, p. 418]. 


Anthemide, lat:[ine] Anthemis, e Camaemellu[m]. 
Arch. tr: Antemide 
Iter.: v. 83b 


Matricaria chamomilla L. FI. It. 3984 R. 6453 


sm. Bot. ver: Anthemis vulgaris Lob. ic. 770 [L. Sp. PI. I, p. 891; FI. Suec. I, n. 702] 
Chamaemelum vulgare sive Leucanthemum dioscoridis Bauh. pin. 135 
[L. ead. et Mat. med., n. 402; H. Cliff., p. 415] 

vulg. comp: ANTHEMIDE, OVERO CamamiLiA Matt. Disc. [(1597), pp. 594-5; (1604), p. 
954; cfr. Loss, p. 14] 


Artichiochi si coltivano ne gl'horti. 
Arch. tr; Articiochi 


Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hayek FI. It. 4171/b 
= Cywnara scolvmus L. R. 5998 


sw. Bot. vet: Cynara hortensis, foliis non aculeatis Bauh. pin. 383 [L. Sp. PI. 1, p. 
8271 


Anonide, lat:[ineJ Anonis, nasce ne prati. 
Arch. tr: Ononis 


Ononis spinosa L. subsp. antiquorum (L.) Arcang. FI. It. 1778/b 


Ononis spinosa L. R. 5265 


sw. Bot. vet: Anonis Fuchs. hist. 60 [L. Sp. PI. IT, p. 1006 (var. 1)] 
vulg. comp: ANONIDE Matt. Disc. [(1597), p. 463: (1604), p. 711: Loss, p. 14] 


Obs: La subsp. antiquorum «sostituisce la subsp. spinosa nell’area della vegetazione medi- 
terranea, particolarm. in Istria ...» |PIGNATTI, cit.|. 


Asparagi di più sorte, cioè Domestici, et Silvestri, alcuni nascono in/ siti mon- 
tuosi, sassosi, sechi, e caldi, altri in valle, e luoghi humidi,/ e altri, che si colti- 
vano ne gl'horti. 


8a. Asparagi Domestici che si coltivano ne gl’horti 

8bl. alcuni nascono in siti montuosi, (1) 
8b. Asparagi Silvestri sassosi, sechi e caldi (II) 

8b2. altri in valle, e luoghi humidi 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 35 


10. 


8a. Asparagus officinalis L. FI. It.4708 R. 2460 
= A. officinalis var. altilis L. 


sw. Bot. ver: Asparagus sativa Bauh. pin. 489 [L. Sp. PI. I, p. 313] 


vulg. comp.: ASPARAGI DOMESTICHI Matt. Disc. ((1597), p. 353: (1604), p. 504] 
8b1.1. Asparagus tenuifolius L. FI. It 4710 
vulg. comp.: ASPARAGO SALVATICO, MONTANO Matt. Disc. [(1597), pp. 353-4] 
Il. Asparagus acutifolius L. FI. It 4711 
vulg. compi ASPARAGO SALVATICO, PETREO Matt. Disc. [(1597), pp. 353-4; cfr. Loss, 
p. IS] 
8b2. Asparagus maritimus (L.) Mill. FI. It. 4709 


= A. officinalis var. maritimus L. 


vulg. comp.: ASPARAGO SALVATICO, PALUSTRE Matt. Disc. [(1597), p. 353] 


Artemisia nasce in terra buona. 
Artemisia vulgaris L. FI. It. 4016 R. 6140 


sw. Bot. vet: Artemisia vulgaris Bauh. hist. 3, p. 184 [L. Sp. PI 1, p. 848; FI. 
Suec. I, p. 667] 
vulg. comp: ARTEMISIA Matt. Disc. [Loss, p. 15] 


0bs.: L'habitat (incolti, macerie) non corrisponde a quello indicato dal T. 
Acettosa lat:Jine]J exalis di due sorti si trova in terreno buono, e ne carsi. 
Arch. tr: Acetosa 


10a. Acettosa in terreno buono 
10b. (Acettosa) ne carsi 


10a. Rumex acetosa L. Fl. IL 299 
sw. Bot. vet: Oxalis s. acetosa Matth. Diosc., p. 336 |Scop. FI. Carn. II, n. 438] 


10b. Rumex acetosella L. FI. It. 291 
sw. Bot. vet: Oxalis s. acetosa minor Matt. 448 [L. Syst. PI. (cur. GILIBERT), n. 
485.27] 
. Aphaca. 
Vicia sepium L. FI. It 1708 


vulg. comp: APHACA Matt. Disc. [Loss, p. 14] 


Avellane, lat:line] Nuces ponticae. 
Arch. tr. Arellane 


Corylus avellana L. FI. It. 190 R. 7233 


sm. Bot. vet: Avellana nux sylvestris Fuchs. hist. 398 [L. Sp. PI. 1, p. 998: FI. 
Suec. I, n. 787] 
Nux avellana etc. Dod. pempt. 816; Caes. syst. 38 [L. H. Cliff., p. 
448| 

vule. comp: NOCCIUOLE; AVELLANE: NocELLE Matt. Volg. [(1550), p. 214]; Disc. 
[(1557), p. 158] 


36 


G. pi Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI 1991, p. 9-115 


Anomoni, lat:[ine]J Anene. 
Arch. tr: Anemoni 
Recte: Anemoni, ... Ane[mo]ne (prob. error/ lapsus calami) 


[proh.} Anemone hortensis L. FI. It. 716 R. 4008 
= A. stellata Lam. 


svn. Bot. vet: Anemone prima Dod. pempt. 434 [L. Sp. PI. I, p. 540] 


Atriplice, lat:[ine] Atriplex: è di più sorti, la d:[et]ta domestica che si/ trova ne 
gl’horti in terren humido, e ben coltivato una di/ foglie verdi, l’altra di foglie 
rosse la silvestre, anco di più/ spetie ama terren buono, e sito caldo. Oltre di 
queste vi è/ la marina 


14a. (Atriplice) detta domestica 

14al. una di foglie verdi 

14a2. l’altra di foglie rosse 
14b. (Atriplice) silvestre ... di più spetie (14b1, 14b2, 14b3) 
14c. (Atriplice) marina 


14al e 2 Atriplex hortensis L. FI. It. 350 R. 7618 


sw. Bot. vet: V4al. A. hortensis alba s. pallide virens Bauh. pin. 119 [L. Sp. PI. I, 
p. 1053: H. Cliff., p. 469] 
14a2. A. hortensis rubra Bauh. pin. 119 [L. Sp. PI. I, p. 1053; Mat. 
med., n. 473] 


14bl. Atriplex patula L. var. angustifolia (Sm.) FI It. sub 356 _R. 7621 


sw. Bot. vet: Atriplex sylvestris, polygoni s. helxines foliis, angustifolia Raj. hist. 
192 [L. H. Cliff., p. 469] 
vulg. comp.: ATRIPLICE SALVATICO Matt. Disc. [Loss, p. 15] 


14b2. Atriplex patula L. FI. It 356 R. 7621 


sw. Bot. vet: Atriplex sylvestris, polygoni s. helxines foliis Lob. ic. 257 [L. Sp. PI. 
I, p. 1053; FI. Suec. II, n. 922; H. Cliff., p. 469] 
Dalech hist. 546 [L. H. Cliff., id.] 
Atriplex silvestris II Matt. Comm. [(1565), Saccardo, p. 78] 
vulg. comp.: ATRIPLICE SALVATICO IH Matt. Disc. [Loss, p. 15] 


14b3. Chenopodium murale L. FI. It 341 R. 1801 


sw. Bot. vet. Atriplex sylvestris tertia Dalech. hist. 536 [L. H. Cliff, p. 85] 
vulg. comp: ATRIPLICE SALVATICO HI Matt. Disc. [Loss, p. 15] 


14c. Atriplex latifolia Wahlenb FI. It. 357 
= A. hastata Auct. L. R. 7620 


sw. Bot. vet: Atriplex marina Matth. |Marchesetti, FI. Tr., p. LVIII] 

vulg. comp.: ATRIPLICE MARINO Matt. Disc. [(1597), p. 346] 
«Nasce copiosissimo fuori della città di Triesti (sic), non lungi dalle 
saline nell’istesso lido del mare, ...» 


Alsine lat:[ine] Haelsine volgarm:fenfte pavarina vuol horti, et terra/ grassa 
Arch. tr. Alsine lat. Alsine 


Stellaria media (L.) Vill. FI. It. 463 
= Alsine media L. R. 2166 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 37 


19. 


sw. Bot. vet: Alsine Dalech. hist. 1232 [L. H. Cliff., p. 173] 
vulg. comp: ALSINE Matt. Disc. [Loss, p. 14| 

PavarIna Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 189] 
vulg. hod: Pavarino (1924, in Istria) [PENZIG, 2, p. 398] 


. Aristolochia in terra buona, e sito caldo 


Aristolochia rotunda L. FI. I 251 R. 6963 
sw. Bot. vet. Aristolochia Cam. epit. 419 |L. Sp. PI. I, p. 962I 


. Abrotano maschio, e femina ne monti, e luoghi sassosi nasce/ il silvestre, et se 


ne coltiva ne gl’horti ancora 


17a. Abrotano maschio 

17b. (Abrotano) femina 

17c. (Abrotano) silvestre 

17d. (Abrotano) se ne coltiva ne gl’horti 


17a. Artemisia abrotanum L. FI. It. 4017/b_R. 6127 


sw. Bot. vet: Abrotanum mas Dod. pempt. [L. Sp. PI. I, p. 845; H. Ups., p. 257] 
vulg. comp. ABROTANO MASCHIO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. I; Loss, p. 
13 


17b. Santolina Marchii Arrigoni FI. It. 3935/b 
î 
Santolina chamaecyparissus L. R. 6100 


sw. Bot, vet: Abrotanum femina vulgare Clus. hist. 1, p. 341 [L. Sp. PI. I, p. 842; 
H. Ups., p. 252; H. Cliff., p. 397] 
vulg. comp: ABROTANO FEMMINA Matt. Disc. [Loss, p. 13] 


17c. [prob.] Artemisia campestris L. FI. It. 4034 R. 6130 
17d. Santolina Marchii Arrigoni 


Ì 
Santolina chamaecyparissus L. fo. hort. FI. It. sub 3935/b_R. 6100 


Agrimonia lat:[ine] Eupatorium in ogni sito. 
Iter.: v. 116 FI. I I4IT R. 3478 


sw. Bot. vet: Agrimonia Caesalp. syst. 319 |L. H. Cliff., p. 179] 
Agrimonia officinarum Bauh. hist. 3, p. 398; Dod. pempt. 28; Moris. 
hist. 2, p. 614 [L. H. Cliff., id.] 
Eupatorium Fuchs. hist. 244; Cam. epit. 756 [L. Sp. PI. I, p. 448; FI. 
Suec. I, n. 394 
Eupatorium veterum s. Agrimonia Bauh. pin. 321 [L. Sp. PI. I, id. er 
Mat. med., n. 221] 

vulg. comp. AGRIMONIA; EuPATORIO Matt. Disc. [(1597), p. 653; Loss, p. 21] 


Aglio orsino in luoghi ombrosi, e monti 
Arch. tr.: Alio 


Allium ursinum L. FI. It. 4697 R. 2374 


sw. Bot. vet.: Allium ursinum Fuchs. hist. 739 [L. Sp. PI. I, p. 3001 
Cam. epit. 330 [L. id. er FI. Suec. II, n. 2771 
vulg. comp.: AGLIO ORSINO Matt. Disc. [(1597), p. 396: cfr. Loss, p. 13] 


38 


20. 


ZI 


22: 


28: 


24. 


25; 


G. BE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI 1991, p. 9-115 


Anagiride, in terra fertile, sassosa 
Arch, tr: Anagallide 


Laburnum anagyroides Medicus FI. It. 1577 
= Cytisus laburnum L. R. 5437 


sw. Bot. vet: Anagyris non foetens minor Bauh. pin. 391 [L. Sp. PI. I, p. 739; H. 
Cliff., p. 354] 
Anagyris Eghelo Matth. Diosc., p. 603 [Scop. FI. Carn. II, n. 903] 
vulg. comp.: ANAGIRI MINORE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 10] 


Obs: L’Anagiri maggiore del Mattioli (Anagyris foetida L.) non cresce in Istria. 


Aparine ne campi coltivati 

Galium aparine L. 

sw. Bot. vet: Aparine Dod. pempt. 353 [L. Sp. PI. II, p. 157; H. Cliff., p. 34; FI. Suec. 
II, n. 128] 


Aparine vulgaris Bauh. pin. 334 [L. Sp. PI. I, p. 108; cer. cad.] 
sw. vulg: APARINE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 11; Loss, p. 14] 


Aquileia ne gl'horti 
Arch. tr: Aquileja 


Aquilegia vulgaris L. FI. It 821 R. 3964 
sw. Bot. vet: Aquileja Dod. pempt. 180 [L. H. Cliff., p. 215] 


Aquileja hortensis simplex Bauh. pin. 144 [L. Sp. PI. I, p. 533] 
vulg. comp: AQUILEGIA; AQUILINA (ACQUILINA) Matt. Disc. [(1597), p. 434-5; Loss, p. 
15] 


Obs: È specie il cui areale naturale, non rientra nei limiti della regione istriana (si limita 
alla Birchinia sett., v. Posphical (IM), 1, p. 106). D'altronde non è possibile individuare le 
forme coltivate, alle quali si riferisce il T. 


Aster attico ama il sito ombroso, et inculto 


Aster amellus L. FI. It. 3815 R. 6318 


sw. Bot. vet: Aster atticus Dod. pempt. 206 [L. Sp. PI. I, p. 873; H. Cliff., p. 407] 
vulg. comp: ASTER ATTICO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti, II, p. 17; Loss, p. 15] 


Amaranto spicato ne gl horti. 


[prob.) Celosia cristata L. R. 1661 
= C. argentea L. var. cristata (L.) O. Kuntze 


svn. Bot. vet: Amaranthus spicatus argenteus americanus Boerh. lugdb. 2, p. 98 [L. 
H. Cliff., p. 43] 


Alcea in buon terreno 
Althaea cannabina L. FI. It, 2215 R. 5032 


sw. Bot. vet: Alcea cannabina Bauh. pin. 316 [L. Sp. PI. I, p. 686; H. Ups., p. 205; 
H. Cliff., p. 349] 
Moris. hist. 2, p. 527; Tourn. inst. 98; Boerh. lugdb. 1, p. 270 [L. 
H. Cliff., id.) 
vulg. comp: ALCEA: MALVA SALVATICA Matt. Disc. [(1597), p. 605, Loss, p. 13] 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991. p. 9-115 39 


26. 


29. 


30. 


Asuro appresso l’acque 
Arch. tr.: Asaro 


non identif. 


Ancusa in terra sterile, e sassosa 
Arch. tr: Anchusa 


Ancusa officinalis L. (incl. A. angustifolia L. et A. leptophvylla auct.) FI It cfr. 3028 
vulg. comp.: ANCUSA I Matt. Disc. |(1597), pp. 641-2: ctr. Loss, p. 14] 


Assaro, in sito montuoso, freddo, e sassoso 
Arch. tr. Asaro come il 26] 


Asarum europaeum L. FI. It. 247 R. 3423 


sw. Bol. vet. Asarum Cam. epit. 19 |L. Sp. PI. I, p. 442] 
Bauh. pin. 197 [L. Sp. PI. I, id. et H. Cliff., p. 178] 
Caes. syst. 389; Bauh. hist. 3, p. 548; Dod. pempt. 358 [L. H. 
Cliff., id.] 


Aneto ne gl'horti 
Anethum graveolens L. FI. It. 2499 R. 2098 


sw. Bol. vet: Anetum Bauh. hist. 3, p. 6 er al. AA. [L. H. Cliff., p. 106] 
Dod. pempt. 298 [L. id. er H. Ups., p. 66] 
Anethum hortense Bauh. pin. 147 [L. Sp. PI. I, p. 263; H. Cliff. er H. 
Ups. ead.; Mat. med., n. 146] 
Moris. hist. 3, p. 311 [L. H. Cliff. id.| 
vulg. comp. ANETHO Matt. Disc. [(1597), p. 610; cfr. Loss, p. 14] 


Obs: «Coltiv. come erba medicinale ed aromatica, oggi, ovunque, in via di scomparsa ...» 
|PIGNATTI, cit.]. 
Angelica, et Aniso, in luogo humido, e grasso 


30a. Angelica 
30b. Aniso 


30a. Angelica sylvestris L. FI. It. 2564 

Angelica archangelica L. R. 2016 

sm. Bot. vet: Angelica Lob. hist. 398; Riv. pent. 15 [L. H. Cliff., p. 97: FI. Suec. 1, 
n. 233] 

30b. Pimpinella anisum L. FI. IL 2456 R. 2106 


sw. Bot. vet: Anisum Caes. syst. 317 |L. H. Cliff., p. 107] 
Fuchs. hist. 62 |L. id. er H. Ups., p. 67] 
vulg. comp: ANISO Matt. Disc. [Loss, p. 14] 


Obs: L'A. arcangelica (sec. LobI, p. 323), «in Italia è rara e spesso quelli che dicono di 
averla vista spontanea la confondono con l’angelica silvestre». Sec. PIGNATTI [n. 2564/II] 
«da noi non esiste allo stato spontaneo ...». La P. anisiwon attualmente non è presente nel 
nostro settore. Può darsi che fosse coltivata, e quindi inselvatichita, nel XVII sec. 


40 


(OS) 
(O) 


(99) 
(99) 


34. 


(99) 
(a) 


36. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Apocino appresso le siepi, e buon terreno 


Vincetoxicum hirundinaria Medicus FI. It. 2583 
= V. officinale Moench 
= Asclepias vincetoxicum L. R. 1782 


sm. Bot. vet: Apocyna Asclepiades dicta Herm. par. 43 |L. H. Clift., p. 78] 
vulg. comp: APOCINO Matt. Disc. (1597), pp. 700-1; (1604), pp. 1157-8] 


Absinthio pontico alla marina 
Arch. tr.: Assenzio pontico 


Artemisia coerulescens L. FI. It 4031 


Artemisia pontica L. R. 6136 


sw. Bot. vet. Absinthium ponticum vulgare Clus. hist. 1, p. 339; Bauh. hist. 3, p. 175; 
Moris. hist. I, p. 8 [L. H. Cliff., p. 404] 


Obs: Non può essere VA. ponrica, perché è stata trovata avventizia appena nel 1785 (AL- 
LIONI, v. SACCARDO 1909, p. 289). Era altresì «coltivata fin dal quattrocento», ma qui il T. 
si riferisce ad un suo habitat naturale. L’A. coerulescens è diffusa sulle marine istriane |PO- 
SPICHAL, 2, p. 877]. 


. Absinthio in terren buono, apprico, et solivo 


Arch. tr.: Assenzio 
Artemisia absinthium L. FI. It. 4028 R. 6139 


sw. Bot. vet; Absinthium quct. |L., 0p. in RICHTER, cit.] 


Alchechingi ne luoghi campestri, et humidi 
P.P.: Alchechengi 

Arch. tr.: Alchechengi 

Iter.: v. 260b 


Physalis alkekengi L. FI. IL 3289 R. 1450 


sw. Bot. vet: Alkekengi officinarum Tourn. inst. 151 (ma 1700) [L. H. Cliff., p. 62; 
H. Ups., p. 49] 


Bardano latt:[ineJ personata 
P.P.: Bardana 

Arch. tr.: Bardana 

Iter.: v. 166 


Arctium lappa L. FI. It. 4109 R. 5926 
= Lappa officinalis AI. 
= L. major Gaertner 


sw. Bot. ver: Bardana s. Lappa major Dod. pempt. 58 [L. Sp. PI. I, p. 816 er FI. 
Suec. I, n. 651 (var. Q)] 
Personata Cam. epit. 887 [L., ead.| 


Ballotte lat:[ine] marrubiu[m] nigru[m] 
P.P.: Ballota lat. Marubium nigrum 
Arch. tr.: Ballota 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 41 


37. 


I. Ballota nigra L. subsp. foetida Hayek FI. It 3153/b 
et 
II. Ballota nigra L. subsp. velutina (Pospichal) Patzak FI. In 3153/d 
} /utr.] 
Ballota nigra L. R. 4248 


sw. Bot. vet.: Ballote Fuchs. hist. 154 [L. Sp. PI. I, p. 582; FI. Suec. I, n. 484] 
Cam. epit. 572 [L. id.] 
Caesalp. plant. 445 [L. Sp. PI. II, p. 815; FI. Suec. II, n. 529] 
Ballote s. Marrubium nigrum Dod. pempt. 90; Lob. hist. 279 [L. H. 
Cliff., p. 311] 
Bauh. hist. 3, p. 318 [L. H. Cliff. er FI. Suec. II, /. c.] 
vulg. comp. BaLLOTE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 29; Loss, p. 16] 


Obs: La subsp. velutina irradia dalla Dalmazia sino a Pirano [PIGNATTI, cit.]. Nell'ambito 
dell'Istria settentrionale, appartiene a un gruppo di entità per le quali «esistono fondati 
dubbi sulla loro effettiva presenza» [POLDINI, 1980, p. 323]. 


Bellis maggior, e minor, e minimo, nasce nei prati, et valli 


37a. Bellis maggior 
37b. (Bellis) minor 
37c. (Bellis) minimo 


Iter. (37b): v. 229 


37a.I. Leucanthemum vulgare Lam. var. vulgare FI. It. 3997(a) 
Il n praecox Horvatié var. praecox FI. It. 3994(a) 

Ill. (ESE liburnicum Horvatié var. autumnale (S. Amas) 
Horvatié FI. It. 3994(b) 
IV. ile liburnicum Horvatié var. liburnicum FI. It. 4000 


} Jomnia] 
Leucanthemum vulgare L. 
= Chrysanthemum leucanthemum L. R. 6432 


svn. Bot. vet: Bellis major Fuchs. hist. 148; Cam. epit. 635 [L. Sp. PI. L p. 888; FI. 
Suec. I, n. 700] 
Bauh. hist. 3, p. 114; Dod. pempt. 265 [L. H. Cliff., p. 416] 
vulg. comp.: BELLIS MAGGIORE Matt. Disc. [Loss, p. 16] 


37b. Bellis perennis L. FI. It. 3836 R. 6413 


sw. Bot. vet.: Bellis sylvestris minor Bauh. pin. 267 [L. Sp. PI. 1, p. 886; «Act. Holm» 
(1741), p. 206; FI. Suec. II, n. 761] 
vulg. comp.: BELLIS MINORE Matt. Disc. [Loss, p. 16] 


37c. Bellis sylvestris Cyr. FI. It. 3840 
i 
Bellis annua L. R. 6414 


sy. Bot. vet.: Bellis minima annua Triumf. obs. t. 80 [L. Sp. PI. I, p. 887] 


Obs.: La 37c. non cresce in Istria, ma «sono noti ibridi B. annua x B. sylvestris, quindi ... 
tra queste due le differenze non sono nette» |PIGNATTI, cit.]. 


42 


38. 


39. 


40. 


4l. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici». Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Basilico lat:[ine]J ocvmu/m], si coltiva ne gl’horti, et ne vasi 
Arch. tr.: Basilico, lat. ocynum 

Recte: Ocimum 

Iter.: v. 205 


Ocimum basilicum L. 

sw. Bot. vet: Ocymum Cam. epit. 308 [L. Sp. PI. I, p. 597; H. Ups., p. 168] 
Brassica cioè cavoli di molte sorti, che si coltivano ne gl'horti dette/ crespe ca- 
puccine, et c:letera] oltre i cavoli fiori, e corzuti. 


39a. (Brassica cioè cavoli), sorti dette crespe 
39b. (Brassica cioè cavoli), sorti dette capuccine 
39c. Cavoli fiori 

39d. (Cavoli) corzuti 


39a. Brassica oleracea convar. capitata cv. sabauda L. FI. It. sub 1164 R. 4854 £ 


sw. Bot. vet. Brassica alba crispa Bauh. pin. 11 [L. Sp. PI. I, p. 667] 
vulg. comp.: BRASSICA CRESPA Matt. Disc. [Loss, p. 16] 


39b. Brassica oleracea convar. capitata cv. capitata L. FI. It. sub 1164 R. 4854 è 
vulg. comp.: BRASSICA CAPUCCIA Matt. Disc. [Loss, p. 16] 

39c. Brassica oleracea convar. botrytis L. cv. botrytis L. = FI. It sub 1164 R. 48541 
sw. Bot. vet. Brassica cauliflora Bauh. pin. 11I [L. Sp. PI. I, p. 667] 


39d. [dub.} Brassica oleracea convar. acephala DC. cv. gongyloides L. 
FI. It. sub 1164 R. 48544 


Blito bianco, e rosso in terren grasso 


40a. Blito bianco 
40)b. (Blito) rosso 


40a. Chenopodium album L. FI. It. 344 
vulg. comp. BLrro BIANCO Matt. Disc. [Loss, p. 16] 
40b. Amaranthus lividus L. FI. IL 399 


= A. blitum L. 1753 
= A. viridis L. s.l. 1763 


sw. Bot. vet.: Blitum rubrum minus Bauh. pin. 118: Bauh. hist. 2, p. 967 [L. Sp. PI. 
Il, p. 1405] 
vulg. comp.: BLITO ROSSO Matt. Disc. [Loss, p. 16] 


Ohs: L'A. albus L. è segnalato in Italia appena dal 1723 |SaccaRDO 1909, p. 82 e 379]. 
Improbabile anche la concordanza parallela di C. e J. BAUHIN (Blitum album minus), cioè 
lA. ascendens Loisel. (= A. lividus L. var. ascendens (Loisel.) Thell.), in ordine specialm. 
ai caratteri morfo-fisionomici. 


Boragine ne gl'horti 
Arch. tr.: Borragine 


Borrago officinalis L. FI. It. 3035 R. 1106 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-1t5 43 


42. 


43. 


44. 


45. 


46. 


sw. Bot. vet: Borrago Bauh. pin. 256 [L. Sp. PI. I, p. 137; Mat. med., n. 63; H. Clitf., 
p. 44; H. Ups., p. 34] 
Borrago hortensis Moris. hist. 3, p. 437 [L. Mat. med., id.] 

vulg. comp.: BORRAGINE: BUGLOSSA vERA Matt. Disc. [(1597), pp. 743-4; Loss, p. 16] 


Buglosa, ne campi, et in ogni terreno, e sito 
P.P.: Blugosa 
Arch. tr: Bugloa 


Anchusa italica Retz. FI. It. 3029 
vulg. comp.: BUGLOSSA vOLGARE Matt. Disc. [(1597), pp. 743 (ic.)-774; Loss, p. 16] 
Borsa pastorale lat:[ine] Bursa Pastoris ne gl’horti, e ne campi grassi/ et intor- 
no le ville, e castelli in sito calido 


Capsella bursa - pastoris (L.) Medicus FI. It. 1093 
= Thlaspi bursa - pastoris L. R. 4706 


sw. Bot. vet: Bursa pastoris Fuchs. hist. 611 [L. Sp. PI. I, p. 647] 


Buftalmo per il più ne prati, e valli 


|. Anthemis tinctoria L. FI. It. 3955 R. 6488 
er/aul 

Il. Anthemis triumfettii (L.) DC. FI. It. 3956 
= A. tinctoria var. triumfettii L. R. 6488 B 


sw. Bot. vet: Buphthalmum vulgare chrysanthemo congenere Clus. hist. 1, p. 332 
[L. H. Cliff., p. 414; FI. Suec. II, n. 769] 
vulg. comp: BurtaLmo Matt. Disc. [(1597), p. 596; cfr. Loss, p. 16] 


Blattaria in ogni terreno, e sito 

Arch. tr.: Blatturia 

Verbascum blattaria L. FI. It. 3337 _R. 1412 
sw. Bot, vet. Blattaria Dod. pemp. 145 [L. H. Cliff., p. 55] 

vulg. comp.: BLATARIA Matt. Disc. [Loss, p. 16] 

Bietole, bianche, rosse, e nere, ne gl’horti 


46a. Bietole bianche 
46b. (Bietole) rosse 
46c. (Bietole) nere 


46a. Beta vulgaris L. subsp. vulgaris var. cicla L. FI. It, sub 322(a) R. 1816 


sm. Bot. vet: Beta alba vel pallescens, quae cicla officinarum Bauh. pin. 118 [L. 
Sp. PI. I, p. 222, var. n] 
vulg. comp.: BIETOLA BIANCA Matt. Disc. [(1597), p. 351; Loss, p. 16] 


46b. Beta vulgaris L. subsp. vulgaris var. rapa L. FI. It. sub 322(a) R. 1816 


sw. Bot. vet: Beta rubra vulgaris Bauh. pin. 118 [L. Sp. PI. I, p. 222, var. BJ 
vulg. comp: BIETOLA ROSSA Matt. Disc. [(1597), p. 351] 


46c. |prob.] B. vulgaris L. subsp. vulgaris var. rubra DC. FI. It. sub 322(a) 


44 


4 


4 


4 


AN 
N 


TE 


8. 


9. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Obs: Degna di nota la già avvenuta diffusione di 46b (varietà ancora poco comune) in 
Istria. Scrive a proposito il Mattioli (cit.): «La beta in Toscana si chiama Bietola, & 
amendue, la bianca, cio è & la nera, si ritrovano oggi negli horti. In Alomagna, & in al- 
cuni luoghi del Trentino se ne ritrova una terza spetie di rossa ...». 


Bietola selvatica in terra buona 


[prob.) Beta vulgaris L. subsp. maritima (L.) Arcang. FI. It. 3220) 
= B. vulgaris var. perennis L. 
= B. maritima L. R. 1818, 18160 


sw. Bot. vet: Beta sylvestris maritima Bauh. pin. 118 [L. Sp. PI. HI, p. 322] 
Bistorta sù le montagne de carsi in terren grasso 

P.P.: Bisorta 

Polygonum bistorta L. FI. I. 278 R. 2853 


sw. Bot. vet: Bistorta Cam. epit. 638 [L. Sp. PI. I, p. 360; H. Ups., p. 95] 
vulg. comp.: BistoRTA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 26; Loss, p. 16] 


Obs: Distribuzione in Istria (fine sec. XIX): sui prati di montagna, molto raro (catena dello 
Sbeuna) [sec. PosricHaL, 1, p. 384]. 
Balsamina si coltiva ne gl’horti 
Momordica balsamina L. R. 7314 


sw. Bot. vet: Balsamina Dalech. hist. 630 [L. H. Cliff., p. 451] 
B. rotundifolia repens s. mas. Bauh. pin. 306 |L. Sp. PI. I, p. 1009] 
ulg. comp.: BALSAMINA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 146; Loss, p. 16] 





Balsamita 
Mentha spicata L. em. Harley var. crispata Schrad. FI. tl cfr. 3253 
= M. viridis (L.) L. p.p. R. 4200) 


vulg. comp.: BALSAMITA Matt. Disc. [(1597), p. 358] 


Betonina ne parti, e luoghi inculti 
Arch. tr: Betonica 
Recte (prob.): Betonica 


Stachys officinalis (L.) Trevisan FI. IL 3156 
= S. betonica Bentham 
= Betonica officinalis L. R. 4298 


sw. Bot. vet: Betonica Dod. pempt. 40 [L. Sp. PI. I, p. 573; H. Cliff., p. 310] 
vulg. comp: Beronica Matt. Disc. [Loss, p. 16] 


Brionia fra le siepi, e siti calidi 
Iter. (9): v. 288 b 
52.I. Bryonia alba L. FI. It. 2336 R. 7340 


sw. Bot. vet: Bryonia Caesalp. syst. 205 [L. H. Cliff., p. 453] 
Bryonia alba, baccis nigris Bauh. pin. 297 [L. Sp. PL I, p. 1012; H. 
Cliff., p. 453] 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici», Atri, vol XXI, 1991, p. 9-115 45 


AN 
AN 


aut [dub.] 
II. Bryonia dioica Jacq. 


= B. cretica L. subsp. divica (Jacg.) Tutin FI. It. 2338b_R. (7346) 7340 
sw. Bot. vet: Bryonia aspera s. alba (baccis rubris) Bauh. pin. 297 [L. Mat. med., 
n. 448] 


Obs.: Altro caso interessante di sp. presente in Istria (perché già sfuggita a preced. cultu- 
re?) nel sec. XVII, ed ora non più segnalata; è rara e «in via di scomparsa» in alc. loca- 
lità dell’Italia sett. (Liguria, Alto Adige, Veneto) [PIGNATTI, cit.]. Del resto anche SCOPOLI 
(FI. Carn. II, n. 1200) ne confermava — nel 1772 — la presenza «ad sepes Tergestinas et 
Gorizienses». E tuttavia anche possibile che T. si riferisca all’affine B. divica, che pre- 
senta «le medesime proprietà |medicinali]» [NEGRI 1976, p. 385]. ed è ben diffusa in 
Istria [v. ad es. BaRONI 1969, p. 186], anche se quest'ultima verrà elencata al n. 288 b. 


Caucalide ne campi in ogni terreno 


Turgenia latifolia (L.) Hoffm. FI. It. 2612 
= Tordvylium latifolium L. 1753 
= Caucalis latifolia L. 1767 R. 1937 


sm. Bot. vet: Caucalis lato apii folio Moris. hist. 3, p. 307 [L. H. Clitf., p. 91] 
Caucalis arvensis echinata latifolia Bauh. pin. 152 [L. id. et Sp. PI. 
I, p. 240] 

vulg. comp: CAUCALIDE Matt. Disc. [Loss, p. 16] 


Cauda equina, 0° Coda di cavallo, overo latine] Equisetu[m], appresso l’acque, 
e terren humido in valle 


I. Equisetum telmateia Ehrh. FI. It 26 
= E. maximum auct. 


vulg. comp.: CODA DI cavaLLo 1 Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


el 
II. Equisetum arvense L. FI It 25 R.7730 


vulg. comp.: CODA DI CAVALLO Il Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


et | prob.] 


III. Equisetum hyemale L. FI. IL 18 R. 7734 
swn. Bot. vet: Equisetum Cam. epit. 770 f. A. [L. Sp. PI. 1, p. 1062; FI. Suec. I, n. 
838] 


vilg. comp: CODA DI CAVALLO INI E IV Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


Centinodia ne gl’horti, e per le strade 
Polygonum aviculare L. FI. It. 266 R. 2865 


sw. Bot. vet: Polygonum s. Centumnodia Bauh. hist. 3, p. 374 |[L. H. Cliff., p. 
150] 

vulg. comp: CORREGGIOLA OvERO CENTINODIA Matt. Volg. [(1550), p. 548]; Disc. 
[(1597), p. 620] 


Cimeri con certi fiori come garofoli mà gialli, ed odor ingrato, si/ piantano ne 
gl’horti, e ne vasi per bella vista 


Tagetes erecta L. FI. It. 3930/11 R. 6418 


46 


ST 


58. 


39; 


60. 


61. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici». Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 
sw. Bot. vet: Cariophyllus indicus Cam. cpit. 406 [L. Sp. PI. I p. 887] 
vulg. comp: GAROFANO INDIANO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 107] 
vulg. hod: Cimero (a. 1924, in Istria) [PENZIG, 1, p. 481] 


Cimino, 0° Comino sù i Carsi in terra sassosa 


Carum carvi L. FI. IL 2553 R. 2101 
sw. Bot. vet: Cuminum pratense, Carvi officinarum Bauh. pin. 158 [L. Sp. PI. I, 
p. 263] 


Consolida maggior, 0’ Regale ne i prati, e valli: la doppia ne gl'horti 
Recte: Consolida maggior, e Regale ne i prati ... 


58a. Consolida maggior 
58b. (Consolida) regale 
58c. (Consolida regale) doppia 


Iter. (58a): v. 264 
58a. Symphytum officinale L. FI. IL. 3020 R. 1097 


sw. Bot. vet: Symphytum Consolida major Bauh. pin. 259 [L. Sp. PI. I, p. 136; FI. 
Succ. I, n. 155; Mat. med., n. 61] 
Consolida major Dorst. hist. (sic.) 89 [L. Mat. med., id.| 

vulg. comp. CONSOLIDA MAGGIORE Matt. Disc. [(1597), p. 625; (1604), p. 1012; 
Loss, p. 19] 


58b. Consolida regalis S.F. Gray FI. It. 706 
= Delphinium consolida L. R. 3945 


sw. Bot. vet: Consolida regalis arvensis Bauh. pin. 142 |L. Sp. PI. L p. 531; FI. 
Suec. I, n. 440); Mat. med., n. 268] 
Consolida regalis Cam. cpit. 521 [L. Sp. PI. I er FI. Succ. I, ead.| 
vulg. comp: CONSOLIDA REGALE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 63: Loss, p. 


19] 
58c. Consolida ajacis (L.) Schur FI. It. 705 
= Delphinium ajacis L. R. 3946 


sw. Bot. vet: Consolida regalis, flore majore et multiplici Bauh. pin. 142 |L. Sp. 
PI. I, p. 531; H. Cliff., p. 213, n. 2 (var. B)] 

Cipolla ne gl'horti 

Allium cepa L. FI. IL 4685 R. 2376 


Carote ne gl'horti 

Daucus carota L. subsp. sativus (Hoffm.) Arcang. FI. Ir. 2620(e) R. 1944 

sw. Bot. vet: Carota Caesalp. syst. 288 [L. H. Cliff., p. 89, n. 1 (var. 0); H. Ups. 
p. 59, n. 1 (var. B)] 

Cruciata ne gli monti, e terra mediocre 


Gentiana cruciata L. FI. It. 2803 R. 1885 


G. be Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI 1991, p. 9-115 47 


63. 


64. 


65. 


66. 


sw. Bot. vet: Gentiana minor s. vulgi Cruciata Bauh. hist. 3, p. 522; Dod. pempt. 
343 [L. H. Cliff., p. 81] 

vulg. comp: CRUCIATA: GENTIANA MINORE Matt. Disc. [(1597), pp. 445-6; cfr. Loss, 
p. 23] 


Cimbalaria ne muri scoperti 


Cymbalaria muralis Gaertn. Mey. et Sch. FI. It. 3384 
= Linaria cymbalaria (L.) Miller 
= Antirrhinum cvymbalaria L. R. 4426 


sw. Bot. vet: Cymbalaria Bauh. pin. 306; Dalech. hist. 1322 |L. Sp. PI. L p. 612; 
H. Cliff., p. 323; H. Ups., p. 175] 
Cam. cpit. 860 [L. Sp. PI. I, id.] 
vulg. comp.: CIMBALARIA Matt. Disc. [(1597). pp. 711-2] 


Capil venere lat:line] Pulitrico, aut Capillum Veneris in caverne ambrose, e hu- 
mide 
Arch. tr. Polytrichum 


Adiantum capillus-veneris L. FI. It. 42 R. 7932 


sw. Bot. vet: Adiantum Cam. epit. 924 [L. Sp. PI I, p. 1096] 
Adianthum Matthiol. Disc., p. 744 [Scop. FI., Cam. II, n. 1277] 
vulg. comp.: ADIANTO; CAPEL VENERE Matt. Disc. [(1597), pp. 750-1; cfr. Loss, p. 13] 


Calendula ne gl'horti detta qui fior d'ogni mese 


Calendula officinalis L. FI. It 4104 R. 6662 
= C. officinalis var. hortensis Fiori 


sw. Bot. vet: Calendula Caces. syst. 495; Dod. pempt. 254 [L. H. Clift., p. 425] 

vulg. comp: CALENDOLA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 31] 
FIOR D'OGNI MESE Ang. Sempl.: Michet. Lex. [Targioni Tozzetti II, |, p. 
98] 


Camepitio lat:[ine] Camaepitis, nelli Campi coltivati 
Arch. tr.: Chamaepytis 


Ajuga chamaepitys (L.) Schreber FI IL 3090 
= Teucrium chamaepitys L. R. 4121 
= Chamaepitvs vulgaris Spenn. 


sw. Bot. vet: Chamaepitys Caes. syst. 456 [L. H. Cliff., p. 301] 
Chamaepitys prima Dod. pepmt. 46 [L. Sp. PI. I, p. 562] 
vulg. comp.: CAMEPITIO I Matt. Disc. [Loss, p. 17] 


Clematide di più spetie cioè bettida prima, seconda detta anco/ lat:[ine] Clematis 
peregrina areas, et Flamula Jovis, ne gl'horti, et/ per le siepi 


66a. (Clematide) bettida 
66b. (Clematide) seconda detta anco lat:fine] Clematis peregrina areas 
66c. (Clematide) Flamula Jovis 


66a. Vinca minor L. FI. It. 2843 R. 1791 
= Pervinca minor Scop. 


48 


67. 


68. 


69. 


70. 


71. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 


svn. Bot. vet: Clematis I Matthiol., p. 616 [Scop. FI. Carn. II, n. 273] 
vulg. comp: CLEMATIS I Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


66b. Clematis viticella L. FI. It. 728 _R. 4029 


sw. Bot. vet: Clematis peregrina caerulea et purpurea Lob. hist. 345; Clus. hist. I, 
p. 122; Dod. pempt. 406 [L. H. Cliff., p. 225] 
vulg. comp: CLEMATIDE II Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


66c. Clematis flammula L. FI. It. 724 R. 4036 


sw. Bot. ve: Jovis flamma Rinio (sec. XV) [sec. De Toni, 1919/25] 
Flammula Dod. pempt. [L. Sp. PI. I, p. 544; H. Cliff., p. 225] 
Clematis s. Flammula repens Bauh. pin. 300 [L. Sp. PI. I, p. 544; H. 
Cliff., p. 225] 


Canape lat:[ine] Canabis si semina in terra grassa, et humida 

Arch. tr. Cannabis 

Cannabis sativa L. FI. It. 221 R. 7430 
sw. Bot. vet: Cannabis Lob. hist. 284 |L. H. Cliff., p. 457 (fem.)] 

vulg. comp.: CANAPE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 33; Loss, p. 17] 

Cardo santo lat:[ine] Atratylis, et fusus Agrestis, 0° Cardus benedictus,/ si semi- 
na, è di maggior virtù in sito caldo, e solivo. 


Cnicus benedictus L. FI. It. 4269 
= Centaurea benedicta L. R. 6621 


sw. Bot. ver: Carduus benedictus s. Carduus sanctus Caes. syst. 534 [L. H. Cliff. 
id.| 
vulg. comp: CARDO SANTO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, I, p. 38; Loss, p. 17] 


Carpino 


Carpinus betulus L. FI. It. 187 R. 7231 


sw. Bot. vet: Carpinus Cam. epit. 71 [L. Sp. PI. I, p. 998; FI. Suec. I, n. 786] 
Dod. pempt. 841 [L. ead. er H. Cliff., p. 447] 
vulg. comp: CARPINO Matt. Disc. [Loss, p. 17] 


Cardo stellato 


Centaurea calcitrapa L. FI. It. 4259 R. 6624 
= Calcitrapa stellata Lam. 


sw. Bot. vet: Carduus stellatus s. Calcitrapa Bauh. hist. 3, p. 89 [L. Sp. PI. I, p. 
917] 

Cardina nasce appresso le strade, e siepi, e mura di ville, e castelli 

Arch. tr: Carbina 

[duh.) Carlina vulgaris L. FI. It. 4278 R. 5995 


Obs: La concordanza rimane irrisolta anche potendo intendere Carlina (forma dissimilata 
per cardina, da cardo [BATTAGLIA & COLL.]). L'habitat esclude trattarsi di una ripetizione 
di 78. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 49 


72. 


73. 


74. 


19: 


76. 


77. 


Canna lat:[ine] Arundo 
Arundo donax L. FI. I 5166 R. 683 
sw. Bot. vet: Arundo sativa, quae Donax dioscoridis Bauh. pin. 17, theatr. 271 [L. 


Sp. PI. I, p. 81; H. Clitf., p. 502 (var. @)] 
vulg. comp: CANNA Matt. Disc. [Loss, p. 17] 


Cocumero di più spetie lat:[ine] cocumis il selvatico, e domestico ama terra gras- 
sa, et humida 


73a. (Cocumero) selvatico 
73b. (Cocumero) domestico 


73a. Ecballium elaterium (L.) Rich. FI. It, 2335 
= Momordica elaterium L. R. 7321 


sw. Bot. vet: Cucumis sylvestris Cam. epit. 946 [L. Sp. PI. I, p. 1010; H. Ups., p. 
294] 
vulg. comp: COCOMERO SALVATICO Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


73b. Cucumis sativus L. FI. It. 2343 R. 7336 


sw. Bot. vet: Cucumis sativus vulgaris Bauh. pin. 310 [L. op. in RICHTER, cit.] 
vulg. comp: COCOMERO Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


Calaminta per il più appresso le strade in abbondanza, et intorno ai fossi 


Calamintha nepeta (L.) Savi FI. It. 3212 
= Melissa calamintha L. R.4310 
= Thvmus calamintha Scop. 


sw. Bot. vet: Calamintha vulgaris et officinarum germaniae Bauh. pin. 228 [L. Sp. 
PI. I, p. 593; Mat. med., n. 295; H. Cliff., p. 307] 
Calamintha vulgaris I Bauh. Hist. III, p. 228 [Scop. FI. Carn. Il, n. 
733] 
vulg. comp.: CALAMINTHA Matt. Disc. [Loss, p. 17] 


Cappari amano terra sottile nascono nelle mura e ruine d’edifficij 


Capparis spinosa L. (incl. C. rupestris S. et S.) FI. It. 917 R. 3817 


sw. Bot. vet: Capparis Caes. syst. 480 [L. H. Cliff., p. 203] 
Dod. pempt. 746 [L. id. (var. €)] 
vulg. comp: CAPPARI Matt. Disc. [(1597), p. 423; cfr. Loss, p. 17] 


Carthamo si semina ne gl'horti 

Arch. tr. Cartamo 

Carthamus tinctorius L. FI. It. 4264 R. 6002 
sw. Bot. vet: Cnicus sativus s. carthamus officinarum Bauh. pin. 378 [L. Sp. PI. I, 


p. 830; Mat. med., n. 377; H. Ups., p. 251] 


Cariofilata alpestre nasce ne boschi del carso 
P.P.: Cariophilata alpestre 
Arch. tr.: Carifillata alpestre 


50 


78. 


79. 


80. 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici», Affi, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Geum urbanum L. FI. It. 1424 R. 3805 
= Carvophvllata urbana Scop. 


sw. Bot. vet: Caryophyllata Matthiol. Diosc., p. 632 [Scop. FI. Carn. IT, n. 628] 
J 


Geum montanum L. 
= Carvophvllata montana Scop. 


sw. Bot. vet: Caryophyllata montana Matth. Diosc., p. 632 [Scop. FI. Carn. Il, n. 
6301 


Obs: Il G. montanum L. è un orofita di suolo acido, di zone altitudinali medio alte, ad ha- 
bitat diverso da quello indicato (pascoli), e viene segnalato appena sulle Alpi Giulie: 
all'opposto il G. urbanum L., che cresce a quote più basse, richiede proprio «luoghi om- 
brosi e freschi» [BARONI 1975, p. 115] e viene compreso tra le «essenze erbacce e suf- 


frutticose del bosco carsico». | MEZZENA 1965, p. 33]. Le due specie «hanno pres'a poco 


le stesse proprietà» officinali [Lobi 1957, p. 383]. 


Carlina maschio, e femina, nasce nella cima de monti sterili 

78a. Carlina maschio 

78b. (Carlina) femina 

78a. Carlina acaulis L. var. alpina Jacq. cfr. FI. It. 4278 R. 5992 
78b. Carlina acaulis L. FI. It. 4278 R. 5992 
Obs: Concordanza da confermare con riscontri sinonimici. Peraltro certa. 

Cataputia è seminata nelli horti da i Contadini, è apunto medicina/ de Contadini, 
i quali da se stessi, non senza sconcerto del stomaco/ et pericolo della vita s0- 
gliono pigliarne per bocca tre grani,/ et se questi non operano sei, poi nove per 


purgarsi, et ciò/ le succede alcune volte bene, ma per il più le riesce male,/ et 
spesso le caggiona vomito anco del sangue, et periscono 


Iter.: v. 179 
Euphorbia lathyris L. FI. IL 2086 R. 3527 
sw. Bot. vet: Cataputia Caes. syst. 377 [L. H. Cliff., p. 198] 


Obs.: «... fa tre rami, e frutti grossi più delle altre specie con tre semi. Questi, e anche le 


foglie sono imprudentemente adoprati per purgarsi, dalla gente di campagna, e spesso 


hanno prodotto fiere dissenterie ...» [Targioni Tozzetti II, 2, p. 98]. 

Altro significativo esempio di antica coltivazione ad uso officinale popolare. Tuttavia an- 
cora nel 1957 Loi (p. 388) osserva che l'olio del seme di catapuzia «... si può usare co- 
me purgante, più violento che l'olio di ricino». 


Centaurea maggiore, e minore, nasce ne monti, et terra sterile, ev inculta, et da 
il fior giallo 


80a. Centaurea maggiore 
80b. (Centaurea) minore 


80a. Centaurea centaurium L. FI. It. 4198 R. 6583 


svn. Bot. vet: Centaurium magnum Dod. pempt. 144 [L. H. Cliff., p. 421] 
Centaurea major Caes. syst. 540 [L. H. Cliff., id.] 

vulg. comp: CENTAUREA MAGGIORE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti IT, I, p. 49; Loss, p. 
18] 


G. DE SIMON, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 SI 


81. 


82. 


83. 


84. 


80b. Centaurium erythraea Rafn FI. IL. 2788 R. 1876 
= Gentiana centaurium L. 
= Centaurium minus Weinm. 


sw. Bot. vet Centaurium minus Dod. pempt. 336 [L. H. Cliff., p. 81; FI. Suec. II, 
n. 232] 


vulg. comp: CENTAUREA MINORE Matt. Disc. [Loss, p. 18] 


Cerfoglio negli horti, e ne prati. 

Anthriscus cerefolium (L.) Hotfm. FI. It. 2436 R. 2057 

= Scandix cerefolium L. 

= Cerefolium sativum Bess. 

sw. Bot. vet: Chaerefolium Dod. pempt. 700 [L. Sp. PI. I, p. 257; H. Cliff., p. 110; 
FI. Succ. I, n. 242] 

vulg. comp. CEREFOLIO Matt. Disc. [Loss, p. 18] 


Obs: La preziosa indicazione «... e ne’ prati» testimonia una già avvenuta naturalizzazione 
|v. SAccARDO 1909, n. 238]. 


Chamedrio in terra sottille, e buona 


Teucrium chamaedrys L. FI. It. 3099 R. 4143 
Iter.: v. 282 


sw. Bot. vet: Chamaedrys Riv. mon. 10 [L. Sp. PI. I, p. 565 (var. @)] 
Lob. Hist. 260, ic. 491 [L. Syst. PI. (cur. GILIBERT), n. 
764, 26] 
Caesalp. syst. 454 [L. H. Cliff., p. 302] 
Chamaedrys vulgo vera Bauh. hist. 3, p. 288 [L. H. Cliff., p. 302] 
vulg. comp.: CAMEDRIO I Matt. Disc. [Loss, p. 17] 


Chamamilla selvatica ne campi coltivati, et la domestica ne gl’horti 


83a. Chamamilla selvatica 
83b. (Chamamilla) domestica 
Iter. (83b): v. 5 


83a. Anthemis arvensis L. subsp. arvensis FI. IL 3947(a) R. 6481 
83b. Matricaria chamomilla L. FI. IL 3984 R. 6453 


sw. Bot. vet: Chamomilla Till. ab. 17 [L. FI. Lapp., n. 309] 
vulg. comp.: ANTHEMIDE, OVERO CamamiLiA Matt. Disc. [(1597), pp. 594-5; (1604), p. 
954] 


Ohs: Concordanza altam. probabile, anche se gli attributi «selvatica» e «domestica» sem- 
brano essere originali. 


Chamepitio in campi coltivati 


[duh.] Teucrium botrys L. FI. It. 3098 R. 4120) 
sw. Bot. vet: Chamaepitys altera Dod. pempt. 46 [L. Sp. PI. I, p. 562; H. Cliff., p. 
301] 


Obs.: Ripetizione del n. 65, anche nell’indicazione dell'habitat, indotta forse dalla ditferen- 
za formale camepitio/ chamepitio. Rimane la possibilità, qui ventilata, che i Semplicisti 


52 


85. 


86. 


87. 


88. 


89. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI. 1991, p. 9-115 


avessero voluto indicare al T., oltre alla C. prima, anche la Chamuaepitvs altera del Dodo- 
neo. 


Chelidonia lat:JineJ Chelidonium maius, nasce fra le ruine de gl’edificij 
Arch. tr.: Celidonia 


Chelidonium majus L. FI. It. 891 R. 3835 
sn. Bot, ve: Chelidonia Bauh. hist. 3, p. 482 [L. H. Cliff., p. 201; FI. Suec. I, n. 
430] 
Chelidonium majus Fuchs. hist. 865 [L. Sp. PI. I, p. 505: FI. Suec. I, 
id.) 


vulg. comp. CHELIDONIA MAGGIORE Matt. Disc. [Loss, p. 18] 

Chelidonia minore appresso i fossi, e siepi in luoghi humidi, e ombrosi 

Arch. tr: Celidonia minore 

Ranunculus ficaria L. FI. It. 781 R. 4069 


swi. Bot. vet: Scrophularia minor Bauh. hist. 3, p. 468 [L. H. Cliff., p. 228; FI. 
Suec. I, n. 460] 
Chelidonium minus Fuchs. hist. 866 [L. Sp. PI. 1, p. 550: FI. Suec. I, 
id.) 
Dod. pempt. 49 [L. H. Cliff. et FI. Suec. cad.] 
Lob. hist. 322 [L. H. Cliff., id.] 
vulg. comp. CHELIDONIA MINORE Matt. Disc. |Loss, p. 18] 


Chondrila ne campi appresso i fossi, et strade 

Arch. tr. Condrilla 

Chondrilla juncea L. FI. It. 4367 R. 5825 
sw. Bot. vet: Chondrilla juncea Tabern. hist. 487 [L. Sp. PI. I, p. 796] 

vulg. comp. CHONDRILLA I Matt. Disc. [Loss, p. 18] 

Cicorea selvaggia, et hortense, la selvaggia in ogni terra, ma meglio nelle Valli 


88a. Cicorea selvaggia 
88b. (Cicorea) hortense 


88a. Cichorium intybus L. var. sylvestre Vis. R. 5921 


sw. Bot. vet: Cichorium sylvestre s. officinarum Bauh. pin. 126 |L. Sp. PI. 1, p. 
813; Mat. med., n. 373] 


88b. Cichorium intybus L. var. indivisum Vis. R. 5921 


sw. Bot. vet: Cichorium sativum Bauh. pin. 126 |L. H. Cliff., p. 389 (var. è)] 


Cicuta d’intorno i Castelli, e Ville 
Conium maculatum L. FI. It, 2506 R. 1954 


svn. Bot. ve: Cicuta Dod. pempt. 461 |L. H. Cliff., p. 92; FI. Suec. I, n. 226] 
Bauh. hist. 3, p. 175 [L. H. Cliff., id.] 
Matth. Diosc., p. 693 [Scop. FI. Carn. II, n. 340] 

vulg. comp: CicutA Matt. Disc. [Loss, p. 18] 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 SS) 


90. 


Dili. 


92. 


93. 


94. 


95. 


Cinque foglia lat:lineJ Pentaphillon in ogni sito di bona terra 
Arch. tr. Cinque foglie, lat. Pentaphilon 


Potentilla reptans L. FI. It. 1457 R. 3796 


sw. Bot. vet: Pentaphyllum s. Quinquefolium vulgare repens Bauh. pin. 325 |[L. 
H. Cliff., p. 194; Mat. med., n. 247] 
Bauh. hist. 2, p. 397 [L. H. Cliff., id.] 
Quinquefolium Matt. Diosc., p. 630 [Scop. FI. Carn. Il, n. 622] 
vulg. comp: CINquEFOGLIO Matt. Disc. [Loss, p. 18] 


Cirso su monti ne prati 

Arch. tr.; Circio 

Recie: Cirsio 

[duh.) Carduus defloratus L. FI. It. 4123 R. 5957 

sw. Bot. vet: Cirsium s. Carduus angustifolius Bauh. pin. 377 prodr. 155 |L. Sp. 
PI. II, p. 1152] 


Cirsium tertium, montanum primum Clus. hist. 2, p. 149 [L. Syst. 
PI. (cur. GILIBERT), n. 1004,14] 


Obs: L'«ampia ibridabilità» del gruppo defforatus, anche con sp. affini [v. PIGNATTI, n. 
4123-4125], rende irraggiungibile una precisa concordanza. Il C. defforatus L. nella 
subsp. g/aucus (Baumb) viene segnalato per il M. Maggiore [BARONI, n. 378.13]. 


Cisampellos, 0’ convolvulo, o villuchio nasce ne campi, et vigne, ev s'invoglie at- 
torno i palli, et biade è nemico della terra arrida/ et sterile 
Convolvulus arvensis L. FI. It. 2969 R. 1216 


sw. Bot. vet: Helxine cissampelos s. Convolvulus minor Bauh. hist. 2, p. 157 |[L. 
H. Cliff., p. 66] 
Helxine cissampelos Matthiol. Diosc., p. 646 [Scop. FI. Carn. II, n. 
219] 

vulg. comp.: HELSINE; CISSAMPELOS; VILUCCHIO Matt. Disc. |(1597), pp. 651-2] 


Climeno terra mediocre 


Lathyrus latifolius L. FI. It 1741 R. 5402 


sw. Bot. vet: Lathyrus latifolius Bauh. pin. 344 [L. Sp. PI. I, p. 733] 
Clymenum matthioli I. Bauh. [Scop. FI. Carn. II, n. 892] 
vulg. comp: CLimeno Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


Colchico ne prati, e luoghi humidi 


Colchicum autumnale L. FI. 1t.4566 R. 2620 


sw. Bot. vet: Colchicum Fuchs. hist. 356.357 [L. Sp. PL 1, p. 341: H. Cliff., p. 
140; H. Ups., p. 901 
vulg. comp: COLCHICO Matt. Disc. [(1597), p. 704] 


Coniza luogho humido, et appresso le strade 


Pulicaria dysenterica (L.) Bernh. FI. It. 3894 
= Inula dvysenterica L. R. 6377 


96. 


97. 


98. 


99. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Affi, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


svn. Bot. vet: Conyza prima Tabern. hist. [L. Sp. PI 1, p. 882; FI. Suec. II, n. 757] 
Conyza media matthioli etc. Bauh. hist. 2, p. 1050 [«Act. Holm.», n. 
85, p. 207] 

vulg. comp: CONIZA MEZZANA Matt. Disc. [Loss, p. 19] 

Obs: Qui il discriminante nei confronti di /nula convza DC. (= Conyza squarrosa L.) 

[Conyza Cam.; C. major mattholi Dalech.] è l'habitat indicato: infatti //. conyza predilige 

tendenzialmente i luoghi aridi, incolti. 


Coriandoli ne gl’horti 


Coriandrum sativum L. FI. It 2442 R. 2053 
sw. Bot. vet: Coriandrum Bauh. hist. 3, p. 89 [L. Sp. PI IL p. 256; H. Cliff., p. 
100] 


Cam. epit. 523 [L. Sp. PI. I, id.] 
Caesalp. syst. 316; Lob. hist. 403; Dod. pempt. 302 [L. 
H. Cliff., id.] 
vulg. comp: CORIANDRO Matt. Disc. [Loss, p. 19] 
«E il Coriandro in Italia notissima pianta, & parimente è notissimo il 
suo seme chiamato volgarmente Coriandolo» (1597, p. 513). 


Croco 0’ Zaffarano ne gl'horti in luogo solivo, e sassoso 


Crocus reticulatus Steven FI. It. 4767 


N 
v 


Crocus albiflorus Kit. 
= C. vernus Auct. p. max. p. 
= C. sativus var. vernus L. R. 248 


vulg. comp: CROocO Matt. Disc. [ctr. Loss, p. 20) 


Cuscuta nasce sopra l’altre piante come sature inebulo, e simili 
Cuscuta europaea L. FI. It. 2946 R. 1022 


sw. Bot. vet: Cuscuta Cam. epit. [L. Sp. PI. 1, p. 124] 
Matthiol. Diosc., p. 788 [Scop. FI. Carn. II, n. 176] 
vulg. comp: CUSCUTA Matt. Disc. [Loss, p. 20] 


Cvano maggiore, e minore ne campi coltivati 
Arch. tr.: Ciano ... 

99a. Cyano maggiore 

99b. (Cyano) minore 


99a. Centaurea triumfetti All. FI. It, 4251 
= C. montana L. subsp. triumfetti et variegata 


v 
Centaurea montana L. R. 6591 


sw. Bot. vet: Cyanus major Lob. ic. 548 [L. Sp. PI. I p. 911 (var. 0); H. Ups., p. 
270; H. Cliff., p. 422] 
Dod. pempt. 251 [L. H. Ups. et H. Cliff., cad.) 
vulg. comp.: CIANO MAGGIORE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 53; Loss, p. 18] 


99b. Centaurea cyanus L. FI. It. 4254 R. 6592 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti. vol. XXI, 1991, p. 9-115 SÌ 


100. 


101. 


102. 


103. 


104. 


105. 


106. 


sw. Bot, vet: Cyanus minor Dalech. hist. 437; Lob. hist. 296; Dod. pempt. 251 [L. 
H. Cliff., p. 422] 
vilg. comp: CIANO MINORE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, I, p. 53; Loss, p. 181 


Cvdamino ne monti, e luoghi sassosi, e solivi 

Arch. tr.: Ciclamino 

non identif. 

Cwoglossa terra arrida, e soliva 

Arch. tr: Cinoglossa 

Cynoglossum officinale L. FI. I 3061 R. 1082 


sm. Bot. ver: Cynoglossum vulgare Cam. epit. 917: Bauh. hist. 3, p. 598 [L. FI. 
Suec. I, n. 154] 
Matthiol. Diosc., p. 739 |Scop. FI. Carn. II, n. 191] 


Cynara son l’artichiochi di più sorti 
Arch. tr. Cinanco 


Iter.: v. 6 
Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.) Hayek, cfr. cv. FI. It. 4171/b 
= C. scolimus L. R. 5265 


sw. Bot. vet: Cynara hortensis, foliis non aculeatis Bauh. pin. 383 [L. Sp. PI. L p. 
27] 


Ceci 

Cicer arietinum L. FI. It. 1677 R. 5430 
sw. Bot. vet: Cicer Caes. syst. 237 [L. H. Clitf., p. 370] 

valg. comp: Ceci Matt. Disc. [(1597), pp. 322-3; (1604), pp. 442-4; Loss, p. 17| 


Cisto femina 


Cistus salviifolius L. FI. It, 2288. R. 3891 
svn. Bot. vet: Cistus femina Clus. hist. 1, p. 70 [L. Sp. PI. I, p. 524; H. Cliff. p. 
205] 


Cistus femina, folio salviae Bauh. pin. 464 [L. cad.| 
vulg. comp.: CISTO FEMMINA Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


Cireo. 
Arch. tr; Circea 


non identif. 


Dente canino, 0° dente di leone in ogni terreno inculto appresso i luoghi 


Taraxacum officinale Weber s.I. (agg.) FI. It 4383 
= Leontodon taraxacum L. R. 5837 


sw. Bot. ve: Dens leonis s. Urinaria Lob. ic. 432 [L. FI. Suec. I, n. 627] 
vulg. comp: DENTE DI LEONE; DENTE DI CANE; (...) Matt. Disc. [(1597), pp. 365-7; ctr. 
Loss, p. 20] 


56 


107. 


108. 


109. 


110. 


III. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Obs.: Strana qui la doppia denominazione — non ritrovata altrove — «dente canino, 0° den- 
te di leone». In genere per dente canino si intendevano ssp. affatto diverse, quali l’Ervth- 
ronium dens canis L., e anche l'Agropyrum repens P.B. 


Dragontea ne gl’horti, così il Dragoncello 


107a. Dragontea 
107b. Dragoncello 


107a. Arch. tr: Dragonzio 


Dracunculus vulgaris Schott FI. It. 5301 
= Arum dracunculus L. R. 6983 


sw. Bot. vet: Dracunculus, vulgo Dragontea et serpentaria Caesalp. syst. 225 [L. 
H. Cliff., p. 434] 
Dracontium Dod. pempt. 329 [L. Sp. PI. 1, p. 964] 


107b. Artemisia dracunculus L. FI. IL 4036/b_R. 6143 


sw. Bot. vet: Dragone Caes. syst. 563 [L. H. Cliff., p. 403] 
Draco herba Dod. pempt. 709 [L. Sp. PI. I, p. 849] 
vulg. comp. DRAGONCELLO Matt. Disc. [Loss, p. 20] 


Dissaco su’ gl’argini de fossi appresso le siepi 
Dipsacus fullonum L. FI. It. 3668 R. 794 
= Dipsacus sylvester Hudson 


sm. Bot. vet. Dipsacus sylvestris Dod. pempt. 735 [L. Sp. PI. I, p. 97; H. Cliff., p. 
29] 
vulg. comp.: Dissaco Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 69; Loss, p. 20] 


Dauco Silvestre 


Peucedanum cervaria (L.) Lapeyr. FI. It. 2583 
= Athamanta cervaria L. 1759 R. 1964 
= Selinum cervaria Scop. et L. 1753 


sw. Bot. vet: Daucus IT Matthiol. Diosc., p. 518 [Scop. FI. Carn. Il, n. 331] 
Dauci tertium genus Fuchs. hist. 233 [L. Sp. PI. 1, p. 1194; H. Ups., 
p. 59] 


Endivia ne gl’horti la domestica oltre la silvestre 


110a. (Endivia) domestica 
110b. (Endivia) silvestre 


110a. Cichorium endivia L. R. 5922 


sm. Bot. vet: Cichorium latifolium s. Endivia vulgaris Bauh. pin. 125 [L. Sp. PI I, 
p. 813; H. Cliff., p. 389, n. 3] 


110b. Cichorium intybus L. FI. It. 4294 R. 5921 

sw. Bot. vet: Cichorium sylvestre s. officinarum Bauh. pin. 126 [L. Sp. PI. I, p. 813; 
H. Cliff., p. 389, n. 2] 

Enula campana nelle valli in terra humida, e grossa 

Inula helenium L. FI. It. 3877 R. 6373 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 SW 


LIZ. 


114. 


sw. Bot. vet: Helenium s. Enula campana Bauh. J. Hist. 3, p. 108 |L. H. Cliff., p. 
407; «Amoen. ac.» I, p. 410; FI. Suec. Il, n. 755] 


Obs: Pignatti (cit.) annota «Spontanea probabilm. solo nell’It. Merid. (Camp. e Basil.), 
nell’It. Sett, Centr., Sard. e Cors. un tempo coltiv. (farmac.) e subspont., però quasi 
ovunque in via di scomparsa». Dall’indicazione del T. risulta che V°/. Helenium era già 
naturalizzata ai suoi tempi (anche se non è detto che fosse spontanea). 

L'habitat è corretto. Pospichal (IL, 2, p. 850) la segnala, oltre che nella valle del Reka 
superiore, nell’Istria centrale (Foiba-Wiesen e Draga-Wiesen, tronchi iniziali). 


Epithimo ne carsi sassosi 
Arch. tr. Epitimo 
Cuscuta epithymum L. FI. It. 2949 R. 1024 


sw. Bot. vet: Epithymum s. Cuscuta minor Bauh. pin. 219 [L. Sp. PI. I, p. 124] 
vulg. comp.: EPrrHimo Matt. Disc. [(1597), p. 793; cfr. Loss, p. 21] 


. Eruca, o’ ruchetta hortense, et la silvestre in vigne, et luoghi solivi 


113a. Eruca, o’ ruchetta hortense 
113b. (Eruca o’ ruchetta) silvestre 


Iter. (113b): v. 244 


113a. Eruca sativa Miller FI. It. 1182 
= Brassica eruca L. R. 4858 


sw. Bot. vet: Eruca sativa Lob. hist. 109; Dalech. hist. 649 [L. H. Cliff., p. 337] 
Dod. pempt. 708 [L. H. Cliff., id. er H. Ups., p. 190] 
vulg. comp: RUCHETTA DOMESTICA Matt. Disc. [Loss, p. 32] 


113b. Diplotaxis tenuifolia (L.) DC. FI. It 1158 
= Eruca tenuifolia (L.) Moench. 
= Sisvmbrium tenuifolium LL. R. 4782 


sw. Bot. vet: Eruca sylvestris Blackw. t. 266 (ma 1750-72) [L. Syst. PI. (cur. Gi1- 
BERT), n. 877.6] 
vulg. comp. RUCHETTA SALVATICA Matt. Disc. [Loss, p. 32] 


Eringio in luoghi inculti, e campestri per tutto 


Eryngium amethystinum L. FI. It. 2420 
= E. campestre Scop. p. p. 

t [prob.| 
Eryngium campestre L. R. 1897 
= E. campestre Scop. p.p. 


sw. Bot. vet: Eryngium Camer. epit. 447 [L. Syst. PI. (cur. GILIBERT), n. 354.7] 
Eryngium campestre Dod. pempt. 730 |L. H. Cliff., p. 87] 


Obs: L'E. campestre L. e° presente — e nemmeno troppo comune — soltanto nell’Istria 
meridionale (primo ritrovam. ZANNICHELLI 1772), a parte alc. aree limitate presso Pirano 
[STEFANI 1894/95]. D'altronde, così scriveva ScoPOLI, ancora nel 1722: «Neque inter 
EryncIuMm Campestre et Amethystinum discrimen invenio, nisi quod folia in uno minus, in 
alio magis incisa sint, ...> (FI. Carn. HI, n. 301). 

L’E. maritimum L., ad habitat costiero, resta escluso dall'indicazione «per tutto». 


58 


115. 


116. 


117. 


118. 


119. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Erisimo, 0° Irio nasce di sua posta ne gl'horti 


Sisymbrium officinale (L.) Scop. FI. It 928 
= Ervsimum officinale L. R. 4804 


sw. Bol. vet.: Irio s. Erysimum Dod. pempt. 714: Lob. ic. 206 |L. FI. Suec. 1, n. 554] 
vulg. comp. TRIONE, OVERO Erisimo Matt. Disc. [(1557), p. 295] 


Eupatorio per tutto in buon terreno 
Iter.: v. 18 


Agrimonia eupatoria L. FI. It. 1411 R. 3478 


sw. Bol. vet: Eupatoriuin Fuchs. hist. 224; Cam. epit. 756 [L. Sp. PI. I, p. 448: FI. 
Succ. I, n. 394] 
vulg. comp: AGRIMONIA: EupatoRIO Matt. Disc. [(1597), p. 653: Loss, p. 21] 


Eufragia ne pratti, e ne monti 


I. Euphrasia liburnica Wettst. 
= E. officinalis L. var. liburnica (Wettst) in Fiori e Paoletti 
ei 


Il. Euphrasia stricta D. Wolff. FI. IL 3464 
= E. stricta Host. 
= E. officinalis L. var. stricta (Host) in Fiori e Paoletti 
è |ur.} 


Euphrasia officinalis L. R. 4380) 


sw. Bot. vet: Euphrasia Cam. epit. 767, et al. AA. [L. op. in RICHTER, cit.] 
Euphrasia officinarum Bauh. pin. 233, et al. AA. [L. op. in RICHTER, 
cit.] 

vulg. comp: EUFRAGIA Matt. Disc. [Loss, p. 21] 


Ervo 
Arch. tr.: Eruo 


Vicia ervilia (L.) Willd. FI. I 1700 
= Ervum ervilia L. R. 5429 


sw. Bot. vet: Ervum Cam. epit. 215 |L. Sp. PI. II, p. 1040] 
valg. comp: Ervo; Okrono Matt. Disc. [efr. Loss, p. 21] 


Eleboro negro, over eleborastro per tutto, er il bianco ne carsi sù le montagne 
Arch. tr. Elleboro 


119a. Eleboro negro, over eleborastro 
119b. (Eleboro) bianco 

FI. It. 24%) 
119a. Elleborus multifidus Vis. subsp. istriacus (Schiffn.) Merxm. et Podl. 


Hellebome viridis L. R. 4108 


sw. Bot. vet: Helleborum nigrum Matth. Diosc., p. 755 |Scop. FI. Carn. II, n. 696] 
Elleborum nigrum vulgare Caesalp. syst. 581 [L. H. Cliff., id.] 
Helleborastrum Dod. pempt. 385 [L. H. Cliff. p. 227] 

Lob. ic. 680 [L. H. Ups., p. 158] 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI 1991, p. 9-115 59 


120. 


121. 


122: 


123. 


124. 


119b. Veratrum album L. FI. It 4546 R. 7539 


mm. Bot. vet: Helleborus album Matth. Diosc., p. 755 [Scop. FI. Carn. II, n. 1233] 
Elleborus albus(-um) Caes. syst. 580 [L. H. Cliff., p. 468 (var. @)] 
vulg. comp.: ELLEBORO BIANCO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 72; Loss, p. 21] 


Ethiapide 
Recte: Ethiopide n 


|dub.] Salvia aethiopis L. FI. It. 3268 R. 216 


sm. Bot. vet: Aethiopis foliis sinuosis Bauh. pin. 141 |L. Sp. PI. 1, p. 27 (var. @)I 
vulg. comp. ErroPIDE Matt. Disc. [(1597), p. 725: (1604), p. 1212; Loss, p. 21] 


Obs: La S_dethiopis L. è specie estranea all'area qui considerata, e la sua distribuzione 
attuale (aree aride / parasteppiche sud-europee ed asiatiche) non rende sostenibile una 
sua presenza neanche nel XVII secolo. Mette conto tuttavia riportare questa indicazione 
tratta dal Mattioli (cit.): «Quantunque per avanti avessi sempre creduto che la Ethiopide 
nascesse solamente in Ethiopia, & parimenti in sul monte Ida di Troia ... niente di meno 
m'è stata dipoi portata da Padova ...». 


Fabaria sopra sassi, e muri 
Arch. tr.: Fabazia 


Sedum maximum (L.) Suter FI. It. 1235 
= S. telephium subsp. maximum Krocker. 


Sedum telephium L. R. 3345 


ww. Bot. vet: Anacampseros, vulgo faba crassa J. Bauh. hist. 3, p. 681 [L. H. Cliff., 
p. 176; Mat. med., n. 217; FI. Suec. I, n. 386] 
vulg. comp.: FABARIA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 85: Loss, p. 21] 


Farfara in luogo humido acquoso 
Tussilago farfara L. FI. It 4037 R. 6263 


Sp. Bot. ver: Tussilago s. Farfara, s. Ungula caballina Caesalp. syst. 490 [L. H. 
Cliff., p. 411; FI. Suec. 1, n. 680] 
vulg. comp: FAREARA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 87] 


Filpendula ne prati in buona terra 
Arch. tr.: Filipendula 


Filipendula vulgaris Moench FI. It 1342 
= Spiraca filipendula L. R. 3727 


qu. Bot. vet: Filipendula Cam. epit. 608 [L. Sp. PI I, p. 490; FI. Suec. I, n. 404] 
valg. comp. FiliPenpuLa Matt. Disc. [Loss, p. 22] 


Felice lat:line] Felix maximj in luoghi ombrosi, e freddi 
Arch. tr.: Felce, lat. Filix maoris 
Recte: (prob.) Felix mas 


Dryopteris filix-mas (L.) Schott FI. It 86 
= Polvpodium filix mas L. R. 7895 


60 


125. 


126. 


127. 


128. 


129: 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI. 1991, p. 9-115 


sw. Bot. vet: Filix mas Fuchs. hist. 594 [L. Sp. PI. I, p. 1090; FI. Suec. 1, n. 846] 
Dod. pempt. 462; Lob. hist. 473; Bauh. hist. 3, p. 737 [L. H. 
Cliff., p. 475] 


Fior di primavera il stesso sito 
(I. Fior di primavera in luoghi ombrosi, e freddi) 


Primula veris L. subsp. columnae (Ten.) Liidi FI. It. 2657(c) 
1 
V 

Primula veris L. R. 1150 


= P. otficinalis (L.) Hill. 

vulg. comp. FIOR DI PRIMAVERA I Matt. Disc. [(1597), p. 723-4] 
Fenochio ne gl'horti, e vigne coltivate 

Arch. tr.: Finocchio 


I. Foeniculum vulgare Miller subsp. vulgare FI. It. 2498(a) 
et 
Il. Foeniculum vulgare Miller subsp. piperitum (Ucria) Coutinho FI. It. 2498(b) 


v 
Foeniculum vulgare Miller FI. It 2498 
= Anethum foeniculum L. .2100 


sw. Bot. vet: Foeniculum Caesalp. syst. 282 [L. H. Cliff., p. 106] 
Dod. pempt. 297 [L. id. et H. Ups., p. 66] 


Fragaria in ogni terra non troppo humida spetialmente ne monti, e luoghi opa- 
chi 

Fragaria vesca L. FI. IL 1470 R. 3769 
sw. Bot. vet: Fragaria Caesalp. syst. 554 [L. H. Cliff., p. 192] 

vulg. comp.: FRAGARIA Matt. Disc. [Loss, p. 22] 

Frassinella in sito sassoso, et aprico 

Dictamnus albus L. FI. It. 2119 R. 3013 


sw. Bot. vet: Dictamnus albus, vulgo Fraxinella Bauh. pin. 222 [L. Sp. PI. I, p. 383; 
H. Cliff., p. 161] 
Fraxinella Bauh. hist. 3, p. 494; Dod. pempt. 348 |L. H. Cliff., id.| 
Clus. hist. I, p. 99 [L. H. Cliff., id. er H. Ups., p. 202 (var. 
2)l 


Fumaria lat:[ine] Capnos, et fumus terrae, ne gl'horti, e terreni grassi 


Fumaria officinalis L. FI. It. 912 R. 5126 
sw. Bot. vet: Fumaria Fuchs. hist. 338; Cam. epit. 890 [L. Sp. PI. I, p. 700; FI. Suec. 
I, n. 584] 


Dod. pempt. 59 [L. H. Cliff., p. 252; FI. Suec. I, id.] 
Dalech. hist. 1292 [L. H. Cliff., id.] 
Capnos Lob. hist. 437 |L. H. Clitf., er FI. Suec. I, ead.] 
Fumaria s. Fumus terrae Caesalp. syst. 273 |L. H. Cliff., id.] 
vulg. comp: FUMARIA DELLA SECONDA SPECIE Matt. Disc. [(1597), p. 728] 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 GI 


130. Funghi diversi in varij luoghi secondo le diversità delle spetie 


131. 


132. 


T39E 


134. 


Obs: Concordanze inattuabili per mancanza di dati specifici. L'unica altra informazione 
consta in un breve cenno che ne dà lo stesso T. alla fine del cap. XXXVII (p. 160 man. 
p. 107 Arch. tr.): «Quanto ai funghi su quel di Berda sotto Momiano nella mia diocesi 
nascono boletti in gran quantità, che essi chiamano giordani, e con men pericolo di ve- 
leno di quelli sono altrove, e ve ne sono anco di altre sorti cioè di ...» [qui il testo ma- 
noscritto è sospeso]. 


Gallio in luoghi humidi, e paludosi 
Gallium verum L. FI. It. 2887 R. 869 


sw. Bot. vet: Gallium Dod. pempt. 335 [L. Sp. PI. II, p. 155; H. Cliff. p. 34] 
vulg. comp: GALLIO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, I, p. 107] 


Obs: L'habitat indicato non è tuttavia quello tipico di G. verzin L. (ma piuttosto di G. 
palustre L.). 


Gallega in luogo humido appresso i fossi delle strade lat:[ine] Ruta capraria 


flore cerulo 


Galega officinalis L. FI It. 1624 R. 5559 


sm. Bot. vet: Galega Bauh. hist. 2, p. 342; Dalech. hist. 976; Lob. hist. 509; Dod. 
pempt. 548 [L. H. Cliff., p. 362] 
Caprago Caes. syst. 249 |L., id.] 
vulg. comp. GALEGA, O RUTA CAPRARIA Matt. Disc. [Loss, p. 22] 


Galeopsi lat:[ine] Urtica labeus, Urtica foetida appresso le strade, et horti 
Arch. tr.: Galiopsi .... Urtica fuetida 
Iter.: v. 207c 


Lamium album L. FI. Kt. 3141 R. 4221 
sw. Bot. ver: Galeopsis Cam. cpit. 865 [L. Sp. PI. I, p. 579 (var. @); FI. Succ. I n. 
493] 


vulg. comp: GALIOPSI Matt. Volg. [(1563), p. 570]; Disc. [(1597), p. 714 ic. (non 
descrip.)] 
Durante Herb. [(1602), p. 195] 


Obs.: «Chiamano le Galiopsi ... i Latini, Urtica labeo, & Urtica foetida ...» (Matt., cit., p. 
715). 


Gariofoli lat:[ine] gariofilum, fiori di varij colori fatti con artificio d’incalmi 
domestici ne vasi, et horti, i silvestri sono di tre sorti, amano terra arrida, e 
soliva 

Arch. tr: Garofani, lat. Carvophillus 


134a. (Gariofoli) domestici di vari] colori 
134b. (Gariofoli) silvestri di tre sorti (134b1, 134b2, 134b3) 


134a. Dianthus caryophyllus L. var. coronarius L., cfr. cv. FI IL. 656-657 R. 3209 


sw. Bot. ver: Caryophyllus hortensis simplex, flore majore Bauh. pin. 208 [L. Sp. 


PI. 1, p. 410 (var. @) er al., v. RICHTER cit.) 


62 


135. 


136. 


37: 


138. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici». Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


134bl. Dianthus carthusianorum L. FI. I 651 R, 3204 


svn. Bot. vet: Caryophyllus sylvestris vulgaris latifolius Bauh. pin. 209 [L. Sp. PI. I, 
p. 409; H. Ups., p. 105] 


134b2. Dianthus armeria L. FI. It 6593 R. 3206 


swi. Bot. vet: Caryophyllus barbatus sylvestris Bauh. pin. 203 |L. Sp. PI. L p. 410; 
H. Cliff., p. 165] 


134b3. I. Dianthus sylvestris Wulfen FI. It. 656 
= D. inodorus Kerner an L. R. 3209 


svn. Bot. vet. (p.p.): Caryophyllus sylvestris biflorus Bauh. pin. 209, prodr. 104 [L. Sp. 
PL I, p. 410 (var. £)] 


134b3. II. aur [duh.| Dianthus monspessulanus L. FI. It. 663 R. 3214 
Gariofillata 
Geum urbanum L. FI. It. 1424 R. 3805 


sw. Bot. vet: Caryophyllata Matthiol. Diosc., p. 632 [Scop. FI. Carn. II, n. 628] 
Dod. pempt. 137 [L. Sp. PI. I, p. 501: H. Cliff., p. 195] 
Garifilata Caesalp. syst. 550 [L. H. Cliff., id.] 
vulg. comp.: GARIOFILLATA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 107] 
Ginestra sito MONTUOSO 


Spartium junceum L. FI. It. 1614 


vulg. comp: GENESTRA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 109; Loss, p. 22] 


Gentiana sù carsi, montagne, e luoghi alti 

Gentiana symphyandra Murb. FI. It. 2795 
= G. lutea L. subsp. svuphvandra Hayek 

Gentiana lutea L. R. 1858 


svn. Bot. vet: Gentiana Cam. epit. 415 [L. Sp. PI. I, p. 227] 
Clus. hist. 1, p. 311: Dalech. hist. 1258 [L. H. Cliff., p. 80] 
Dod. pempt. 342 [L. H. Cliff. id.: FI. Lapp. n. 96; FI. Succ. 
I n. 201] 


Gelsomini di due sorti cioè semplici ne gl’horti, et di spagna incalmati ne vasi 


138a. (Gelsomini) semplici 
138b. (Gelsomini) di spagna 


138a. Jasminum officinale L. FI. It. 2772 R.43 

sw. Bot. vet: Jasminum vulgatius, flore albo Bauh. pin. 397 [L. Sp. PI. I, p. 7, er 
al.] 

138b. Jasminum grandiflorum L. R. d4 


sw. Bot. vet: Gelseminum catalonicum Cam. epit. 37 [L. Sp. PI. II, p. 8] 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici». Atti. vol. XXI, 1991, p. 9-115 63 


139. 


140. 


141. 


142. 


Giunco luoghi acquosi 

Juncus conglomeratus L. FI. It. 4805 R. 2530) 

sw. Bot. vet: Juncus Cam. epit. 780 [L. Sp. PI. I, p. 326; FI. Suec. I, n. 278] 
Mathiol. ic. 1036 [L. Syst. PI. (cur. GiLIBERT), n. 471.2] 
Mathiol. Diosc., p. 659. I. Bauhin Hist. II, p. SIO [Scop. FI. 
Carn. II, n. 427] 

vulg. comp: GIuNco Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 115; Loss, p. 23] 

Giglio bianco hortense in sito aprico 

Lilium candidum L. FI. IL 4599 R. 2384 

sw. Bot, vet. Lilium album vulgare Bauh. hist. 2, p. 685 [L. H. Cliff., p. 120] 

Geranio terra arrida, e soliva, et è di quattro specie. l. 2. 3. 4. 


14la. (Geranio) specie |. 
141b. (Geranio) specie 2. 
14lc. (Geranio) specie 3. 
141d. (Geranio) specie 4. 


14la. Geranium molle L. FI. Il. 1992 R. 4989 

valg. comp: GERANIO IT Matt. Comm. [Loss, p. 23] 

141b. Erodium malacoides (L.) L’Hér. FI. It. 2006 
= Geranium malacoides L. R. 4966 


sw. Bot. vet: Geranium sextum Matthioli Dalech. hist. 1280 |L. H. Cliff., p. 344] 


14lc. Geranium purpureum Vill. FI. IL. 1999 
= G. robertianum L. var. purpureum Gaud. 
Geranium robertianum L. FI. It. 1998 R. 4987 
sw. Bot. ve: Geranium tertium Fuchs. hist. [L. Sp. PI. I, p. 681: FI. Suec. I, n. 578] 
141d. Geranium rotundifolium L. FI. It. 1991 R. 4994 


sw. Bot. vet: Geranium aliud secundum Dalech. hist. 1277 [L. FI. Suec. I, n. 575] 
Geranium alterum Fuchs hist. 205 [L. Sp. PI. I, p. 683] 


Ohs: Dall'esame degli habitat e della diffusione della specie di Geranium e di Herodium 
nella regione istriana, risulta solo sufficientemente probabile che gli informatori del Tom- 
masini si riferissero alla entità qui sopra indicate. 


Gladiolo in campi, e prati humidi 
I. Gladiolus italicus Miller FI. It. 4781 
et 
II. Gladiolus illyricus Koch FI. It. 4786 
3 [utr.] 
Gladiolus communis L. R. 298 


sw. Bot. vet: Gladiolus Dodon. coron., p. 162; Riv. mon. 163 ]L. Syst. PI. (cur. Gi- 
LIBERT), n. 63.1] 
vulg. comp.: GLADIOLO Matt. Disc. [(1597), pp. 639-40] 


143. 


144. 


145. 


146. 


147. 


148. 


149. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Gramigna in ogni terreno 


Cynodon dactylon (L.) Pers. FI. It. 5245 R. 488 
= Panicum dactvylon L. 


vulg. comp.: GRAMIGNA Matt. Disc. [(1604), p. 566; Loss, p. 23] 


Ginepro, 0° Junipero 

Juniperus communis L. FI. IL 126 R. 7506 

sm. Bot. vet: Juniperus vulgaris fruticosa Bauh. pin. 488 [L. Syst. PI. (cur. Gili- 
BERT), n. 1240.7] 

Gattaria, o’ herba gatta in solivo 

Nepeta cataria L. FI. It. 3177 R. 4168 


sm. Bot. vet: Gattaria Caesalp. syst. 472 [L. H. Cliff., p. 130] 
Herba felis Dalech. hist. 908 |L. H. Cliff., p. 130] 

vulg. comp: GATTARIA Matt. Disc. [(1597), pp. 488-489; (1604), pp. 755-758] 
HERBA GATTA Matt. Disc.; Caesalp. Hortus [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 
123] 


Girasole si pianta ne i giardini 

Ricinus communis L. FI. It. 2049 R. 7298 
sw. Bot. vet: Ricinus vulgo Girasole Caesalp. syst. 380 [L. H. Cliff., p. 450] 

vulg. comp. GirasoLE Matt. Disc.; Caesalp. Plantis [Targioni Tozzetti II, 1, p. 114] 
Grano 


[prob.| Triticum aestivum L. 
= T. vulgare Host 
= T. vulgare Vill. subsp. typicum vel aristatum 


vulg. comp: GRANO Matt. Disc. [Loss, p. 23] 
Galle 
P.P.: Galle detta d'Istria 


Quercus gallae, cynipidarum 
(Cynipidae cecidiozoae super Quercus sp.) 


[Cfr.] Cynipis calicis Bgsdf. 


Hedera terrestre, et arborea in luoghi inculti, et arridi, et sopra le ruine, e fa- 
briche antiche 


149a. Hedera terrestre 
149b. (Hedera) arborea 


149a. Glechoma hederacea L. FI. It. 3182 R. 4216 


sw. Bot. vet: Hedera terrestris vulgaris Bauh. pin. 306 |L. Sp. PI. I, p. 578; H. Cliff., 
id.; FI. Suec. I, n. 483] 
Hedera terrestris Caes. syst. 452; Dod. pempt. 394 [L. H. Cliff., p. 3071 
vulg. comp. HEDERA TERRESTRE Matt. Disc. [Loss, p. 23] 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 65 


150. 


ISI. 


149b. Hedera helix L. FI. It. 2400 R. 1637 


sw. Bot. ve: Hedera arborea Bauh. pin. 305 [L. Sp. PI. I, p. 202; Mat. med., n. 98; 
H. Clift., p. 74] 
Hedera Caesalp. syst. 92 [L. H. Cliff., id.] 
Hedera helix Dod. pempt. 413 [L. Mat. med. er H. Cliff., cad.) 

vulg. comp.: HEDERA ARBOREA Matt. Disc. [(1597), p. 432] 


Hemerocalle in sito montuoso et inculto 


Lilium bulbiferum L. FI. It. 4596 


vulg. comp: HEMEROCALLE; GIGLIO SALVATICO Matt. Disc. [(1597), pp. 578-9] 


Hieracio in sito alpestre 
Leontodon autumnalis L. FI. {1 4343 R. 5842 


sw. Bot. vet: Hieracium vulgare Till. ab. 34 |L. FI. Lapp., n. 281; FI. Suec. I, n. 
629] 


Obs: Il L. autummalis viene soltanto proposto come una concordanza notevolm. probabile, 
vagliata tra le dozzine di Hieraci degli A.A. prelinneani. Tuttavia il Mattioli, seguendo 
Dioscoride, ne considera solo due, il maggiore e il minore: quest'ultimo, per Loss (p. 
24) corrisponderebbe al nostro. 


. Horminio, o’ sclarea, terren grasso, e solivo, et un altra spetie di horminio sil- 


vestre appresso le strade, et ne i terreni non humidi inculti 
Arch. tr: Hormino ... hormino silvestre ... 


152a. Horminio, o’ sclarea 
152b. Horminio silvestre 


Iter. (152a): v. 268 
152a. Salvia sclarea L. FI. It. 3266 R. 214 


sw. Bot. vet: Horminum Sclarea dictum Bauh. pin. 228 [L. Sp. PI. I, p. 27; Mat. 
med., n. 15; H. Ups., p. 10] 
vulg. comp. SCLAREA Matt. Disc. [Loss, p. 33] 


152b. Salvia nemorosa L. FI. It. 3274 R. 193, 192 
= S. svlvestris auct. 


sw. Bot. vet: Horminum silvestre salvifolium minus Bauh. pin. 239 [L. Syst. PI. (cur. 
GILIBERT), n. 42.11] 


Obs: Entrambe le specie sono da considerarsi senz'altro rare nel territorio contemplato dal 
T. comunque non mancano le segnalazioni; per quelle dello scorso secolo (ad 152b.) 
cfr. S. svlvestris L. 


. Hiacinti ne i giardini, et gl'indiani per salvarli l'inverno si pongono ne i vasi. 


Il Giacinto selvatico per tutto ne campi 
Arch. tr: Jacinti ... Giacinto salvatico ... 


153a. Hiacinti 
153b. (Hiacinti) indiani 
153c. Giacinto selvatico 


66 


154. 


155. 


156. 


157. 


G. be Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


153a. Leopoldia comosa (L.) Parl. FI. It. 4647 
= Muscari comosum (L.) Miller 
= Hvacinthus comosus L. R. 2497 


swn. Bot. vet: Hyacinthus Cam. epit. 798 [L. Sp. PI. I, p. 318] 
vulg. comp. HiacintHo Matt. Disc. [Loss, p. 24] 


153b. Polianthes tuberosa L. R. 2486 


sw. Bot. vet: Hyacinthus indicus tuberosus, flore narcissi Bauh. pin. 47 |L. Sp. PI. 
I, p. 316 (var. a); H. Ups., p. 76] 


153c.I. Muscari atlanticum Boiss. et Reuter FI. It. 4644 
= M. racemosum auct. 
= Hvacinthus racemosus L. R. 2499 
et 
Il. Muscari botryoides (L.) Miller FI. It. 4645 
= Hvacinthus botrvoides L. R. 2498 


sw. Bot. vet: (I-II) Bulbus sylvestris qbsd. Hyacinthus sylvestris Caesalp. syst. 401 
[L. H. Cliff., p. 126] 


@bs: 153b. Origin. di Giava e Ceylon, al tempo della stesura dei Commentarj era stata 
introdotta nella penisola italiana solo da una decina d'anni (Sec. SACCARDO 1909, p. 56). 
Significativa dunque questa attestazione per l'Istria! 

Hioschijamo appresso le ville, et castelli in terra grasso 

Hyoscyamus niger L. FI. It. 3286 R. 1423 
sm. Bot. vet: Hyoscyamus Riv. mon. 152 [L. FI. Lapp., n. 87; H. Cliff., p. 56] 
Hipecoo ne campi coltivati, et buoni. 

Arch. tr. Bupleuro (sic!) 

Hibiscus trionum L. F). It. 2224 R. SI04 


sw. Bot. vet: Hypectoum Matth. diosc. 673 [L. H. Cliff., p. 349] 
vulg. comp.: HiPecoO Matt. Disc. [Loss, p. 24] 


Obs: «Auf bebautem Boden ... in Istrien bei ... Cittanova ...» [POSFICHAL., Il (1), p. 15]. 
Hipericon in terra sottile, e sito aprico 

Arch. tr. Iperico 

Hypericum perforatum L. FI. IL 872 R. 5758 


sw. Bot. vet: Hypericon Dod. pempt. 76 [L. Sp. PI. I, p. 785; H. Clifl., p. 380; FI. 
Suec. I, n. 625; FI. Lapp., n. 275] 
vulg. comp.: HireRico Matt. Disc. [(1597), pp. 610-12] 


Hisoppo ne monti in terra sottile 
Arch. tr: Issopo 
Hyssopus officinalis L. FI. It. 3220 R. 4165 


sm. Bot. vet. Hyssopus vulgaris Dod. pempt. 287 [L. Sp. PI. I, p. 569; H. Clift., p. 
304; H. Ups., p. 162] 
vulg. comp.: Hissoro Matt. Disc. [Loss, p. 24] 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 67 


158. 


160. 


I61. 


162. 


Hippolupata 
P.P.: Hippolapato 
Recte: Hippolapato (Hippolapatho, Ippolapato) 


Rumex obtusifolius L. FI. It 315 


vulg. comp.: HirroLaPatHO Matt. Disc. [(1597), p. 340, ic.] 


. Iride lat:[ine] Jris terra sottile, sassosa, et sito solivo 


Iris germanica L. FI. It 4742 R. 319 


sw. Bot. vet.: Iris vulgaris germanica sive sylvestris Bauh. pin. 30 [L. Sp. PI. I, p. 
38: Mat. med., n. 24] 
Iris sylvestris major Camer. epit. 2 [L. Syst. PI. (cur. GILIBERT), n. 65.3] 
vulg. comp.: TRIDE SALVATICA Matt. Disc. [(1597), p. 19] 


Obs: Con ogni probabilità viene fatto riferimento alle forme inselvatichite, relativam. dit- 
fuse in Istria. Cfr. al es. PosPHICAL 1897 (1), p. 266. 
Kali in terreno rovente bagnato dalla marina 
Salsola soda L. FI. It 380 R. 1822 
sw. Bot. vet: Kali Dod. pempt. 81 [L. Sp. PI. I, p. 223] 
Lagrime di Job, o’ litospermo lat:[ine] milium solis in terren mediocre più to- 
sto arido che humido 
Lithospermum officinale L. FI. It. 2982 R. 1068 
sw. Bot. vet: Lithospermum sive Milium solis Bauh. hist. 3, p. 590 [L. H. Cliff., p. 
46: «Ad. Holm.», XVIII, p. 187] 
Coix lacrima-jobi L. FI. It. 5293/11 R. 7092 


sw. Bot. vet: Lacrima jobi Clus. hist. 2, p. 216 [L. Sp. PI. I p. 972: H. Ups., p. 281; 
H. Cliff., p. 437; FI. Zeil., n. 330] 
Lithospermum arundinaceum Bauh. pin. 258 [L. cad.|] 


Obs: Lo speziale informatore di T. ha evidentem. commisto in un'unica entità due specie 
affatto distinte. La vera Lacrima di Giobbe (Coix lacrima - Jobi L.) è estranea alla flora 
istriana spontanea. 

Latuca hortense di più sorti cioè crespa, capucina, Romana 


162a. (Latuca hortense) crespa 
162b. (Latuca hortense) capucina 
162c. (Latuca hortense) Romana 


162a. Lactuca sativa L. var. crispa L. s.s. R. 5818 


sw. Bot. vet: Lactuca crispa Bauh. pin. 123: Dod. pempt. 644 [L. Sp. PI. I, p. 795 
(var. Y)] 
vulg. comp.: LATTUCA CRESPA Matt. Disc. [(1597), p. 376] 


162b. Lactuca sativa L. subsp. capitata (L.) Janchen R. 5818 
sm. Bot. vet: Lactuca capitata Bauh. pin. 123 [L. Sp. PI. I, p. 795 (var. B)] 


68 


163. 


164. 


166. 


167. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


162c. Lactuca sativa L. subsp. longifolia (Lam.) Janchen 
= L. romana Garsault 


vulg. comp.: LATTUGA ROMANA Durante, Herb., p. 243 


Latuca silvestre, ne campi, et horti 


Lactuca serriola L. FI. It. 4398 R. 5819 
= Lactuca scariola L. 


sy. Bot. vet: Lactuca sylvestris costa spinosa Bauh. pin. 123 |L., cfr. RICHTER] 


Lamprana, ne campi buoni, et horti 
P.P.: Lampsana 
Recte: Lampsana 


Sinapis arvensis L. FI. It. 1179 
vulg. comp: LAMPSANA Matt. Disc. [Loss, p. 25] 


Obs.: Semplice già poco impiegato nel XVI secolo, in Italia: «.. quantunque ella Ila lam- 
psanal non sia a i tempi nostri troppo in uso ne i cibi, né nelle medicine, se non ne i 
tempi delle carestie» |Matt. Disc. (1597), p. 341]. 


5. Lapato terra humida, et horti 


Rumex crispus L. FI. It, 310 R. 2581 
= Lapathum crispum Scop. 


sw. Bot. vet. Lapathum folio acuto crispo Bauh. pin. 115 [L. Sp. PI. I, p. 335; H. 
Cliff., p. 138] 

vulg. comp.: LAPATIO; ROMBICE Matt. Disc. [(1597), p. 339; cfr. Targioni Tozzetti II, 
I, p. 232] 


Luppa terren grasso, € grosso 
Arch. tr: Lappa 

Recte: (prob.) Lappa 

Iter.: v. 35 


Arctium lappa L. FI. It 4109 R. 5926 
= Lappa officinalis AlI 
= Lappa major Gaertner 


svn. Bot. vet: Bardana sive Lappa major Dod. pempt. 58 [L. Sp. PI. I, p. 816 (var. 
o); FI. Suec. I, n. 651; H. Cliff., p. 391] 
Lappa Hall. Hist., n. 161 (ma 1768) [Scop. FI. Carn. II, n. 995] 


Lavanda, o’ lavandula in sito solivo, e caldo 


Lavandula angustifolia Miller FI. It, 3256 

= L. officinalis Chaix 

= L. spica L. var. a Auct. R. 4183 

svn. Bot. vet: Lavandula angustifolia Bauh. pin. 216 [L. Sp. PI. I, p. 572; H. Cliff. 
p. 3031 


vulg. comp.: LAVANDA Matt. Disc. [Loss, p. 25] 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 69 


168. 


169. 


170. 


171. 


Lente domestica ne campi seminata, silvestre in ogni terra, e sito caldo 


168a. Lente domestica 
168b. (Lente) silvestre 


168a. Lens culinaris Medicus FI. It. 1724 
= Vicia lens (L.) Coss. et Germ. 
= Ervum lens L. R. 5424 


svn. Bot. vet: Lens Dod. pempt. 526 [L. Sp. PI. I, p. 738] 
Moris. hist. 2, p. 59; Caes. syst. 235; Bauh. hist. 2, p. 317 [L. H. Cliff., 
p. 370] 


168b. non identif. 


Leucaio cioè violari di viole bianche, rosse, rossane, gialle, et ne i muri in sito 
solivo 

Arch. tr: Lencojo 

Recte: Leucoio 

169a. Viole bianche 

169b. (Viole) rosse 


169c. (Viole) rossane 
169d. (Viole) gialle 


169a.b.c. Matthiola incana (L.) R. Br. FI. It. 965 
= Cheiranthus incanus L. R. 4817 


sw. Bot. vet: Leucojum album et purpureum Dalech. hist. 802; Lob. hist. 178 [L. 
H. Cliff., p. 334] 
vulg. comp: LEUCOJO BIANCO Matt. Disc. (Targioni Tozzetti II, 1, p. 134] 
LEucoJO PuRPUREO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti, id.] 


169d. Erysimum cheiri (L.) Crantz FI. It. 948 
= Cheiranthus cheiri L. R. 4812 


fn. Bot. ve: Leucojum luteum Dod. pempt. 160 |L. Sp. PI. I, p. 661; H. Ups., p. 
187: H. Cliff., p. 334] 
vulg. comp. LeuCOJO GIALLO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 134; Loss, p. 25] 


Lilio convalio ne prati in valle 
Canvallaria majalis L. FI. It. 4700 R. 2478 


sw. Bot. vet: Lilium convallium Caesalp. syst. 224; Dod. pempt. 205; Dalech. hist. 
838; Bauh. hist. 3, p. 531 [L. H. Cliff., p. 124] 
Tournefort. Inst., p. 77 [Scop. FI. Carn. II, n. 418] 
Matt. Disc. (1597), p. 578 


Limonio ne prati in luoghi paludosi 


Limonium serotinum (Rchb.) Pign. FI. It. 2739 
= Limonium vulgare Miller subsp. serotinum (Rchb.) Gams 

= Statice serotina Rchb. 

= Statice limonium L. p.p. 


Statice limonium L. R. 2187 


70 


172. 


173. 


174. 


175. 


176. 


176%: 


178. 


G. DE SIMON, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


svn. Bot. vet: Limonium Matthiol. Diosc., p. 630 [Scop. FI. Carn. Il, n. 380; Mar- 
chesetti FI. Tr., p. 362] 
vulg. comp. LimONIO Matt. Disc. [Loss, p. 25] 


Linaria terra buona, e grassa 


Linaria vulgaris Miller FI. It. 3377 
= Antirrhinum linaria L. R. 4457 


Iter.: v. 209 

sw. Bot. vet: Linaria Till. ic. 70 [L. Mat. med., n. 313] 

vulg. comp.: OSIRIDE, LINARIA Matt. Disc. [(1557), p. 547] 

Lino terren grosso, grasso, et humido 

Linum usitatissimum L. FI. It. 2030 R. 2204 
sw. Bot. vet: Linum Cacsalp. syst. 563; Bauh. hist. 3, p. 450 [L. H. Cliff., p. 114] 
vulg. comp.. Lino Matt. Disc. [Loss, p. 25] 

Lupoli nelle siepi in ogni sito, et terren grasso 

Arch. tr. Luppolo 

Humulus lupulus L. FI. It. 219 
sm. Bot. vet: Lupulus, omnium botanicorum |Scop. FI. Carn. Il, n. 1219] 

vulg. comp: LuroLo Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 150; Loss, p. 26] 
Lisimachia in prati humidi, et appresso l’acque 

Lysimachia vulgaris L. FI. It. 2705 R. 1170 
sw. Bot. vet: Lysimachia Matthiol. Diosc., p. 614 [Scop. FI. Carn. Il, n. 214] 

vulg. comp.: LisSiMACHIA Matt. Disc. [Loss, p. 251 


Lichinde lat:line] lichinis sopra le pietre in luogo humido 


Marchantia polymorpha L. R. 8140 
ww. Bot. vet: Lichen Fuchs hist. 179; Cam. epit. 782 [L. Sp. PI. 1, p. 1137; FI. Succ. 
I, n. 931] 


vulg. comp: LICHENE Matt. Disc. [Loss, p. 25] 
Leucantha, lat:[ine] spina alba 
Arch. tr.:... spina alta 


Silybum marianum (L.) Gaertner FI. It. 4172 
= Carduus marianus L. 


vulg. comp.: LEUCANTHA, CARDO DI SANTA MARIA Matt. Disc. [(1597), pp. 464-5] 


Lingua serpentina. 
Ophioglossum vulgatum L. FI. It. 29 R. 7740 


sw. Bot. vet: Lingua serpentina, qbsd. Ophioglossa Caesalp. syst. 600 [L. H. Clitf., 
p. 472] 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici », Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 71 


179. 


180. 


181. 


182. 


183. 


184. 


vulg. comp.: LINGUA SERPENTINA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 146; Loss, p. 
25] 


Latiri lat:[ine] lathyris 

Iter. v. 79 

Euphorbia lathyris L. FI. It. 2086 R. 3527 
= Tithymalus lathivris Scop. 


sw. Bot. vet: Lathyris Cam. epit. 968; Fuchs. hist. 454 [L. Sp. PI. I, p. 457; «Am. 
acad.» 3, p. 119; H. Ups., p. 140] 
Matthiol. Diosc., p. 777 [Scop. FI. Carn. Il, n. 571] 
vulg. comp. LATHIRI Matt. Disc. |Loss, p. 25] 


Lambrusca nelle siepi 
Vitis vinifera L. subsp. sylvestris (Gmelin) Hegi FI. It. 2189(b) R. 1639 
ww. Bot. vet: Vitis sylvestris, Labrusca Bauh. pin. 299 [L. H. Cliff., p. 74] 


Ligustro nelle siepi, et ne boschi 
Ligustrum vulgare L. FI. It. 2779 R. 49 


ww. Bol. vet: Ligustrum germanicum Bauh. pin. 475 [L. Sp. PI. I, p. 7] 
vulg. comp.: LiGusTRO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, |, p. 135; Loss, p. 25] 


Lagopo. 
Trifolium arvense L. FI. It. 1870 R. 5664 


sw. Bot. vet: Lagopus Dod. pempt. 577 [L. FI. Suec. I, n. 676; H. Cliff., p. 374] 
Lob. hist. 498 [L. H. Cliff., id.) 
Fuchs. hist. 494; Cam. epit. 724 [L. Sp. PI. I, p. 769; FI. 
Suec. I, id.] 
Trifolium arvense humile spicatum sive Lagopus Bauh. pin. 328 [L. 
Sp. PI. I et al., cad.| 
vulg. comp: LacoPo Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 128; Loss, p. 25] 


Laura 
Arch. tr: Lauro 
Laurus nobilis L. FI. It. 875 R. 2915 


sw. Bot. vet: Laurus Cam. epit. |L. Sp. PI. I, p. 369] 
vulg. comp. Lauro Matt. Disc. |(1597), pp. 121-2] 


Obs: Nome abbreviato, dal ven. dial. /aurano (lavrano). Cfr. il toponimo Laurana. [v. an- 
che BatTAGLIA & COLL.] 


Maggiorana lat:[ine] sampsacum, et amarasius in sito caldo, e aprico 
Origanum majorana L. FI. It. 3223 R. 4297 


ww. Bot. vet: Majorana vulgaris Bauh. pin. 224 [L. Sp. PI. 1, p. 590] 
Sampsucus sive Majorana Lob. hist. 265 [L. Mat. med., n. 298; H. 
Clitf., p. 304] 
Amaracus vulgatior Lob. ic. 498 [L. Sp. PI. I, id.] 

vulg. comp.: SANSUCHO; AMARACO; MAIORANA Matt. Disc. (1597), pp. 492 (ic.)-493] 


72 


185. 


186. 


187. 


188. 


189. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Affi, vol. XXI, 1991, p.9-115 


Malva, et malvoni di più sorti quali son l’istessa, che althea, et di varij colori 
l’arborea, così la malva vischio 
Arch. tr. Malva, e Malvoni di più sorti 
185a. (Malva) V'istessa 
Malvoni di più sorti 185b. (Malva) althea 
185c. (Malva) arborea di varij colori 
185d. Malva vischio (di varij colori) 
Iter.: 185d = 185b 


185a. Malva neglecta Wallr. FI. It. 2203 
= M. vulgaris Fries 


vulg. comp. MALvA Matt. Disc. [(1597), pp. 343 (ic.)-345] 
185b. e 185d. Althaea officinalis L. FI. It. 2216 R. 5031 


swn. Bot. vet: Althaea Matth. Diosc., p. 600 [Scop. FI. Carn. II, n. 855] 
Cam. epit. 667; Fuchs. hist. 15 [L. Sp. PI. I, p. 686; H. Ups., 
p. 204] 
Althaea ibiscus Dod. pempt. 655 [L. H. Cliff., p. 348] 
Althaea s. bismalva Bauh. hist. 2, p. 954 [L. H. Cliff., id.) 
vulg. comp. ALTHEA, MaLvavisco Matt. Disc. [(1597), pp. 604 (ic.)-605] 


185c. Alcea rosea L. (incl. A. ficifolia L.) FI. It. 2217 R. 5035, 5036 
= Althaea rosea (L.) Cav. 


vulg. comp. MALVA ARBOREA Matt. Disc. [(1597), p. 343] 


Marubio sito aprico, e sassoso 
Marrubium vulgare L. FI. Kt. 3117 R. 4257 


sw. Bot. vet: Marrubium Matthiol. Diosc., p. 551 [Scop. FI. Carn. IT, n. 712] 
Caesalp. syst. 447; Dod. pempt. 87 [L. H. Cliff., p. 312] 


Matricaria ne gl’horti, e terreni grassi 


Tanacetum parthenium (L.) Sch.-Bip. FI. It. 4009 
= Matricaria parthenium L. R. 6450 


sm. Bot. vet: Matricaria Dod. pempt. 35 |L. Sp. PI. I, p. 890; H. Ups., p. 263, n. 1 
(var. 0); H. Cliff., p. 416] 
Matricaria vulgaris s. sativa Bauh. pin. 133 [L. ead.] 

vulg. comp.: MATRICARIA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 156] 


Martagon in alcune montagne del Carso appresso i boschi 

Lilium martagon L. FI. It. 4595 R. 2389 
sw. Bot. vet: Martagon Matthiol. Diosc., p. 548 [Scop. FI. Carn. II, n. 402] 
Melunto si semina ne gl’horti, il silvestre detto pseudo meluntho non si vede 


P.P.: Meluntho 
Recte: Melanto (melantio, melanthio); id. pseudom. 


189a. Melunto 
189b. Melunto silvestre detto pseudo meluntho 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 73 


190. 


191. 


192. 


189a. Nigella sativa L. FI. It. 681 R. 3968 
syn. Bot. vet: Melantium sativum Cam. epit. 591 [L. Sp. PI. I, p. 534; H. Ups., p. 
154] 


Dalech. hist. 812 [L. H. Ups., id.] 
vulg. comp.: MELANTIO Matt. Volg. [(1563), p. 430] 
MELANTHIO DOMESTICO Matt. Disc. (1597), p. 533] 


189b. Agrostemma githago L. FI. It. 565 R. 3384 
= Lvchnis githago Scop. 


sw. Bot. vet: Pseudo-Melanthium Matthiol. Diosc., p. 529 [Scop. FI. Carn. II, n. 527] 
Pseudo-melanthium Bauh. hist. 3, p. 341; Lob. hist. 23; Dalech. hist. 
438 [L. H. Cliff., p. 175] 

vulg. comp.: PSEUDO MELANTHIO Matt. Disc. [Loss, p. 31] 


Obs: Originale l'osservazione per 189b. che «non si vede». PIGNATTI dice «oggi quasi 
scomparso», ma «comune un tempo». «Nicht héiufig» per POSPICHAL (1, p. 469), comun- 
que presente in Istria. Citato anche da MARCHESETTI (1896-97), PoLpinI (1980); da Ba- 
RONI (1969), nella var. nicaeense W., tipicam. per l’Istria. 


Melissa lat:[ine] Melissophilum, et apiastrum in ogni sito montuoso 
Melissa officinalis L. FI. It. 3191 R. 4308 


sw. Bot. ve: Melissa Caesalp. syst. 446; Dod. pempt. 91 [L. H. Cliff., p. 307] 
Apiastrum s. Melissophyllum Lob Hist. 227 [L. Sp. PI., p. 592; H. Ups., 
p. 163; H. Cliff., id.] 

vulg. comp.: APIASTRO, CEDRONELLA, MELISSA Matt. Volg. [(1563), p. 449]; Disc. 
[(1557), pp. 410-111] 


Menta rotonda ne gl'horti in sito aprico 


|prob.) Mentha suaveolens Ehrh. FI. It. 3250 
= M. rotundifolia Auct. non Hudson R. 4201 


Obs: Concordanza problematica. Sia per le difficoltà legate alla stabilità degli ibridi; sia 
per il mancato reperimento di uno stretto sinonimo coevo; sia infine per l'habitat indica- 
to, che non rispecchia bene le reali esigenze della specie proposta («incolti, bordi dei 
campi e sentieri; anche fossi e luoghi umidi», PIGNATTI, cit.). 


Menta greca in alcuni luoghi ne gl'horti in altri usano gl'Illirici piantarlo so- 
pra i cemiterij alle sepolture de cadaveri novamente sotterati cioè usano (nel 
territorio di Pinguente, à Pedena, et in altri Castelli) piantarvi della lavanda 
maschio detta spico Italiano come nella Villa Dostuma nel Trevisano usano 
mettervi un cimo d'olivo per fossa, et perciò si coltiva un olivo nel Cimiterio. 


192a. Menta greca 
192b. Lavanda maschio detta spico Italiano 
192c. Olivo 


Iter. (192c.):; v. 212a 


192a. Balsamita major Desf. FI. IL 4013/11 
= Tanacetum balsamita L. R. 6122 


vulg. comp: MENTA GRECA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, I, p. 163; Loss, p. 27] 
«... seminasi ancora negli orti una pianta nota et volgare chiamata in 


74 


193. 


194. 


196. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Afzi, vol. XXT, 1991, p. 9-115 


più luoghi come nel contado di Goritia, Menta Greca ... noi in Tosca- 
na la chiamiamo Herba di Santa Maria, et parimente Salvia romana.» 
[Matt. Disc. (1568), III, p. 425: ctr. MoRPURGO, p. 130] 


192b. Lavandula latifolia Medicus FI. It, 3257 
= L. spica L. p. p. 


vulg. comp.: NARDO ITALIANO, SPICO, SPIGO Matt. Disc. |(1597), pp. 31-2] 
«Habbiamo oltre à questo anchora noi in Italia il nostro Nardo, il qua- 
le chiamiamo spigo ... Di questa medesima spetie si crede, che sia la 
lavanda ... & è da credere però: che l'uno sia il maschio, & l'altro la 
femina. Il maschio, ciò è lo spigo produce le foglie più larghe ...» (p. 
32) 


192c. Olea europaea L. var. europaea FI. It. 2780 R. 53 


sw. Bot. vet: Olea sativa Bauh. pin. 472 [L. Sp. PI. I, p. 8; Mat. med., n. 10; H. 
Cliff., p.4, n. | (var. @)] 
vulg. comp: OLIvo DOMESTICO Matt. Disc. [Loss, p. 28] 


Mentastro ne campi, e terreni grassi 
Arch. tr: Mentastao 


I. Mentha longifolia (L.) Hudson FI It, 3251 

= M. svlvestris L. R. 4199 
sv. Bot. vet: Menthastrum Dod. pempt. 96; Lob. hist. 273 |L. H. Cliff., p. 306] 
Il. Mentha spicata L. FI. It, 3253 


= M. viridis Auct. 
sw. Bot. vet: Menthastrum Matth. Diosc., p. 480 [Scop. FI. Carn. II, n. 745] 


Mercorella maschio, e femina lat:[ine] mercurialis, et linozastis, in sito caldo, 
et terra grassa 
Recte: linozostis 


194a. Mercorella maschio 
194b. (Mercorella) femina 


194a .b. Mercurialis annua L. FI. It. 2043 R. 7471 


sw. Bot. vet: Mercurialis mas Bauh. hist. 2, p. 977 [L. H. Cliff., p. 461] 
Mercurialis femina Bauh. hist. 2, p. 977 |L. id.] 

vulg. comp: MERCORELLA MASCHIO Matt. Disc. [(1557), p. 587] 
MERCORELLA FEMINA Matt. Disc. [id.] 


5. Mille folio ogni sito, e terren mediocre 


Achillea millefolium agg. FI. IL 3974-3975-3976 


4A 


Achillea ‘millefolium L. R. 6506 
smi. Bot. vet: Millefolium s. Achillea Dod. pempt. 100 |L. H. Cliff., p. 413] 

vulg. comp: MILLEFOGLIO, MILLEFOGLIO MINORE Matt. Disc. [(1557), pp. 522 (ic.)-523] 
Mastruzzi, 0' Nasturzij fior giallo ne giardini, e vasi 


Tropaeolum majus L. FI. It 2014/11 R. 2645 


G. BE SIMON, «Indice delli Semplici», Affi, vol. XXI 1991, p. 9-115 75 


197. 


198. 


199. 


200. 


201. 


sw. Bol. vet: Masturtio Auct. vet. |Penzig 2, p. 335] 
Nasturzio indico Chellini Vir. (ma 1731) [Targioni Tozzetti Il, |, p. 
173] 


Obs.: Coltivato in Italia dal 1553 (SACCARDO, p. 377), mentre Linneo (Sp. PI. p. 345) lo 
indica introdotto in Europa appena nel 1684. Ma lo det. è certa, dovendosi escludere il 
Nasturzio p.d. (Lepidium sativum L.) per via del colore e della specificazione l’habitat. 


Melenzane ne gl’horti per cibo 


Solanum melongena L. FI. It. 3297 R. 1475 
= Solanum insanum L. 


sw. Bot. vet: Melongena Latinis, Tongu Angolensibus, Macumba Congensibus 
Marcgr. Bras. 24 [L. H. Cliff., p. 61] 
Mala insana Dod. pempt. c. 458 [L. Sp. PI. I, p. 186] 

vulg. comp: MELENZANE, MELANZANE, MELE INSANE, PETRANCIANI Matt. Disc. [(1597), 
p. 689] 


Mosco terrestre 
Lycopodium clavatum L. Fi. It 4 R. 7963 


sw. Bot. vet: Muscus terrestris clavatus Bauh. pin. 360 [L. Sp. PI. I, p. 1101] 
Pluk. phyt. 47, f. 8 [L. Sp. PI. II, p. 1564] 
vulg. comp: MOSCO TERRESTRE Matt. Disc. |[Loss, p. 27] 
Durante Herb. II, p. 301 


0bs.: Diffuso sino alla zona subalpina della contigua Slovenia [MARTINCIC & SUSNIK 
1984, p. 64]; segnalato anche localmente nella valle del Vipacco |POSPICHAL 1, p. 5], non 
è attualmente presente nella regione istriana sensu Tommasini. 


Meloni 
ZIter.: v. 29lb 


Cucumis melo L. FI. It. 2342 _R. 7333 


sw. Bot. vet.: Melo Bauh. hist. 2, p. 242 [L. Sp. PI. 1, p. 1011; H. Ups., p. 292; H. 
Cliff., p. 451] 
vulg, comp: MELONI Matt. Disc. [Loss, p. 27] 


Mandole 

Arch, tr: Mandorle 

Prunus dulcis (Miller) D.A. Webb FI. It. 1558 
= Amygdalus communis L. R. 3619 


vulg. comp: MANDORLE Matt. Disc. |Loss, p. 26] 


Marasche 
Prunus cerasus L. var. marasca (Rchb.) 


vulg. comp: MARASCHE Matt. Volg. (1563) 
«Si connumerano ancora quelle che in Toscana, e in Siena massime, si 
chiamano ciriege amarine, in Roma visciole e in Vinegia e quasi per tut- 
ta la Lombardia marasche» (p. 157). 


76 


202. 


203. 


204. 


205. 


206. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Narcisi di più sorte ne giardini 
202a. Narcissus tazetta L. FI. It. 4732 R. 2313 
vulg. comp: NARCISO IH Matt. Disc. [Loss, p. 28] 

et prob. 
202b. Narcissus jonquilla L. FIL It. 4730/VR. 2316 
vulg. comp: NarcIiSsO VII Matt. Disc. [(1597), p. 776] 

et prob. 
202c. Narcissus pseudonarcissus L. FI. It. 4730 R. 2305 
vulg. comp. NARCISSO II Matt. Disc. [(1597), p. 775] 
Obs.: Concordanze soltanto proposte. Il Mattioli, nei suoi «Discorsi» (varie ediz., cit.), raf- 
figura 9 «spetie» di «narcissi», tra le quali, sec. LOSS, è possibile riconoscere rappresen- 
tanti anche dei generi Tulipa, Galanthus, Scilla, e Leucojum (!). 
Nasturtio, 0' agretti ne gl'horti 
Lepidium sativum L. FI. It. 1142 R. 4685 


sw. Bot. vet. Nasturtium Lob. hist. 107 [L. H. Cliff., p. 331] 
Nasturtium hortense Dod. pempt. 771 [L. id. et. H. Ups., p. 183; Sp. 
PI. II, p. 899] 
vulg. comp: NastURZIO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 173; Loss, p. 28] 
AGRETTO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 4] 


Nimfea 
Nymphaea alba L. FI. It 667 R. 3856 


sw. Bot. vet: Nymphaea Caes. syst. 568 [L. H. Cliff., p. 203] 
vulg. comp: NimPHEA Matt. Volg. (1563) 
«La nimphea nasce nelle paludi e ne gli stagni ... Il fiore è bianco ...» 


(p. 474). 


zimo .i.[dest] basilico ama il terren grasissimo sole, et acqua spesso 
Arch. tr. Osimo basilico 
Iter.: v. 38 


Ocimum basilicum L. FI. It. 3277 R. 4335 


sw. Bot. vet: Ocymum Cam. epit. 308 |L. Sp. PI. I, p. 597] 

vulg. comp. OciMO, BASILICO Matt. Volg. [(1563), p. 310]; Dur. Herb. [(1602), p. 315] 
«Ocimo ... altro non è che il basilico, herba odorata ... onde che forse 
più ragionevolmente si scriverebbe per z, che per c.» (Matt. Disc. (1597), 
p. 383). 


Ocimoide lat:[ine] ocimoides, et ocimastum in torno li luoghi in terra buona 
Arch. tr.: Orimoide, lat. Ocimoides, et Orimastum ... 


[prob.] Silene alba (Miller) Krause FI. It. 599 
= Lvchnis alba Miller 
= Lvchnis dioica B L. R. 3393 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 7] 


207. 


208. 


209. 


210. 


211. 


sm. Bot. vet: Ocimoides major Caes. syst. 256; Dalech. hist. 682 |L. H. Cliff., p. 
LAS] 
vulg. comp: OciMOIDE Matt. Disc. [(1597), p. 644 (ic.)] 


Ortica com[mfune in terra grassa intorno le siepi così detta che non punge, et 
la fetida 


207a. Ortica commune 
207b. Ortica che non punge 
207c. Ortica fetida 

Iter. (207c): v. 133 


207a. Urtica dioica L. FI. lt. 223 R. 7133 
207b. Lamium purpureum L. FI. IL 3143 R. 4222 
sw. Bot. vet: Galeopsis s. Urtica non mordax Lob. hist. 280 [L. H. Cliff., p. 314] 
207c. Lamium album L. FI. It. 3141 R. 4221 


vulg. comp: ORTICA FETIDA Matt. Volg. [(1563), p. 570] 

Orobanche in ogni sito inculto. 

Arch. tr.: Orot, anche ... 

Orobanche ramosa L. FI. It. 3528 R. 4592 
sw. Bot. vet: Orobanche Cam. epit. 311 [L. Sp. PI. I, p. 633] 

valg. comp. OROBANCHE Matt. Disc. |Loss, p. 29] 


Oxiride lat:[ine] oxiridis 
Arch. tr.: lat. Oxyris 


Iter.: v. 172 

Linaria vulgaris Miller FI. It. 3377 

= Antirrhinum linaria L. R. 4457 

swi. Bot. vet: Osyris Fuchs. hist. 543; Cam. epit. 930 |L. Sp. PI. I, p. 1022; FI. Suec. 
I, n. 501] 


Osyris linaria Dalech. hist. 1332 [L. H. Cliff., p. 325] 
vulg. comp: OSIRIDE; LINARIA Matt. Disc. [(1557), p. 547] 


Oxilapato in ogni terreno 
Arch. tr: Oxcilupato 


Rumex crispus x obtusifulius FI. It. sub. 315 
= R. acutus L. R. 2587 
= Lapathum acutum Scop. 


sw. Bot. vet: Lapathum acutum s. Oxylapathum Bauh. hist. 2, p. 983; Lob. ic. 284 
[L. Sp. PI. I, p. 315; H. Cliff., p. 138, n. 1; FI. Suec. I, n. 293] 
Oxylapathum Fuchs. [hist.] 491 [L. Syst. PI. (cur. GILIBERT), n. 485.11] 

vulg. comp. OXILAPATO Matt. Disc. [Loss, p. 29] 


Orzo ne i campi 


Hordeum vulgare L. FI. It. 5044 R. 710 


78 


212. 


213. 


214. 


29: 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


sw. Bot. vet: Hordeum Lobel. ic., p. 28 |L. Syst. PI. (cur. GiLIBERT), n. 104.1] 
vulg. comp: Orzo Matt. Disc. [Loss, p. 29] 


Olivo domestico, e silvestre. 


212a. Olivo domestico 
212b. (Olivo) silvestre 
Iter. (212a): v. 192c 


212a. Olea europaca L. var. europaea FI. It. 2780 R. 53 
= 0. europaea L. var. sativa Hoffmgg. et Link 


sw. Bot. vet: Olea sativa Bauh. pin. 472 |L. Sp. PI. I, p. 8; Mat. med., n. 10; H. 
Cliff., p. 4, n. | (var. 0)] 
vulg. comp: OLIVO DOMESTICO Matt. Disc. [Loss, p. 28] 


212b. Olea europaea L. var. sylvestris Brot. FI. It. 2780 R. 53 
= 0. oleaster Hotfmgg. et Link 
sw. Bot. vet. Oleaster s. Olea sylvestris Bauh. hist. 1, p. 17 |L. H. Cliff. p. 4, n. I] 
Olea sylvestris Clus. hist. 26 [L. id.] 
vilg. comp: OLIVO SALvATICO Matt. Disc. [Loss, p. 28] 
Dur. Herb. |(1602), p. 316] 


Olmo 


Ulmus minor Miller FI. It. 209 
= U. campestris Auct. et L. p.p. R. 1845 


sw. Bot. veti Ulmus Dod. pempt. 387 |L. Sp. PI. I, p. 225; FI. Suec. I, n. 219: H. 
Cliff., p. 83] 
Cam. epit. 70; Lob. ic. 2, p. 89 [L. Syst. PI. (cur. GILBERT), n. 345] 
vulg. comp: OLmo Matt. Disc. |[Loss, p. 281 


Opio. 

I. Papaver rhoeas L. flores siccata FI. It 878 
ei 

Il. Papaver somniferum L. /urex siccatus et pulveratus FI. IL 876 
et [prob.] 

III. Papaver dubium L. flores siccata FI. IL 879 
et [prob.] 

IV. Papaver argemone L. flores siccata FI. It. 882 


«Fassi del latte, che distilla da i capi di papaveri, l’Opio, come benissimo e di- 
ligentemente insegna Dioscoride ... Sono de i papaveri più spetie, de i quali 
chiamano una Rhea ... L’altro è il domestico, che qualche volta si coltiva. Né 
sono ancora due altre spetie di salvatico, de i quali l'uno ha il capo grosso, & 
ritondo, & l’altro lungo, in tutto più grande, & più aspro.» [Matt. Disc. (1597), 
pp. 676-7]. 


Parietaria sopra li muri onde ne riporta anco il nome di murara 


Parietaria diffusa M. et K. FI. It, 229 
= P. judaica Auct. an L. 

I 
Parietaria officinalis L. R. 7606 
= P. erecta M. et K. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 79 


216. 


217. 


218. 


220). 


sw. Bot. vet: Parietaria officinarum et dioscoridis Bauh. pin. 121 [L. Sp. PI. I, p. 
1052; Mat. med., n. 472; H. Ups., p. 302; H. Cliff., p. 469] 
vulg. comp. PARIETARIA; HELSINE PARIETARIA; HELSINE Matt. Disc. [(1597), p. 707: ctr. 
Targioni Tozzetti Il, 1, p. 185] 


Pastinacha silvestre, et domestica terren grasso, et humido 


216a. Pastinacha silvestre 
216b. (Pastinacha) domestica 


216a. Daucus carota L. subsp. carota FI. It 2620(a) R. 1944 

vw. Bot. vet: Pastinaca sylvestris Matthiol. Diosc., p. 500 [Scop. FI. Carn. IT, n. 307, 
8.8.] 
Pastinaca tenuifolia sylvestris dioscoridis Bauh. pin. 151 |L. Sp. PI I, 
p. 242] 

216b. Pastinaca sativa L. subsp. sativa FI. It. 2586(a) R. 2091 


sm. Bot. ve: Pastinaca sativa latifolia Bauh. pin. 155 [L. Sp. PI. I, p. 262 (var. B)] 
vulg. comp.: PASTINACA DOMESTICA Matt. Disc. [(1597), p. 505 (ic.)| 


Paronichia ne i sassi, muri, e grotte 
Asplenium ruta-muraria L. FI. It. 66 R. 7845 


ww. Bot. vet: Paronychia Cam. epit. 785 [L. Sp. PI 1, p. 1081; FI. Succ. I, n. 855] 
Matt. Diosc., p. 661 [Scop. FI. Carn. Il, n. 1265] 
vulg. comp: PARONICHIA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, 1, p. 188: Loss, p. 29] 


Periclimeno nelle siepi in ogni terra. 
Lonicera caprifolium L. 


mm. Bot. vet: Periclymenum perfoliatum Bauh. pin. 302 [L. Sp. PI. 1, p. 173: H. 
Cliff., p. 58; H. Ups., p. 42] 
Bauh. hist. 2, p. 104 [L. H. Clift., id.] 
vulg. comp: PERICLIMENO Matt. Disc. [Loss, p. 30] 
Matt. Volg. [(1563), cit.] 
«Chiamano volgarmente il periclimeno chi matriselva, chi vincibosco 
e chi caprifoglio» (p. 507). 


. Perfogliata ne campi tra le biade, ne prati, et Argini de fossi 


Bupleurum rotundifolium L. FI. It 2516 R. 1910 
sw. Bot. vet: Perfoliata Dod. pempt. 104 |L. Sp. PI. I, p. 236; H. Cliff., p. 104; H. 
Ups., p. 64] 


Matth. Diosc., p. 721 [Scop. FI. Carn. II, n. 346] 
vulg. comp: PERFOGLIATA Matt. Disc. [Loss, p. 30] 


Plitide in monti ombrosi selvosi, et sassosi 


non identif. 


. Pilosella lat:[ine] Helostium, in terra sottile, sterile, et giarrosa 


Hieracium pilosella L. FI. It. 4447 R. 5852 


80 


223: 


20/5) 


224. 


225. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


sm. Bot. vet.: Pilosella officinarum Vaill. act. (ma 1721), p. 236 [L. H. Cliff., p. 388: 
FI. Suec. I, n. 633] 
Pilosella major Cam. epit. 709; Fuchs. hist. 605 [L. Sp. PI. 1, p. 800; 
FI. Suec. I, id.] 


Obs.: Concordanza soltanto proposta: si tengano presenti le «insuperabilis difficultates ex- 
tricandi synonima», in Scopoli (FI. Carn. II, n. 966); Inoltre, per Mattioli (Disc. (1557), 
p- 461) «... errano però manifestamente coloro, che si credono che sia l’Holestio quella, 
che volgarmente chiamiamo noi Pelosella». 


Pimpinella in ogni sito, et terreno 


Sanguisorba minor Scop. FI. It 1416 
= Poterium sanguisorba L. R. 7207 


sw. Bot. vet: Pimpinella vulgo Sorbastrella Caesalp. syst. 321 [L. H. Cliff., p. 446] 
Piantagine similmente, così l’acquatile ove giace l’acqua 
Arch. tr.: Piantaggine 


223a. Piantaggine (in ogni sito e terreno) 
223b. (Piantaggine) acquatile 
223a. Plantago major L. FI. IL 3584 R. 923 


sw. Bot. vet: Plantago major Cam. epit. 261 |L. Sp. PI. 1, p. 112; FI. Suec. I, n. 122] 
vulg. comp. PIANTAGINE MAGGIORE Matt. Disc. [Loss, p. 30; cfr. Targioni Tozzetti Il, 


I, p. 214] 
PIANTAGINE Matt. Disc. [(1604), 2, p. 509] 
223b. Alisma plantago-aquatica L. FI. It. 4490 R. 2628 
sw. Bot. vet: Plantago aquatica Cam. epit. 264 [L. Sp. PI. I, p. 342; FI. Suec. 1, n. 
300] 


vulg. comp.: PIANTAGINE ACQUATICA Matt. Disc. [(1604), 2, pi 509; cfr. Targioni Toz- 
zetti Il, 1, p. 214; cfr. Loss, p. 30] 


Poligmato ne monti 
Arch. tr.: Poligonato 
Recte: Poligonato 


Polygonatum odoratum (Miller) Druce FI. It. 4703 
= P. officinale AI. 
= Convallaria polygonatum L. R. 2480) 


sw. Bot. vet: Polygonatum Till. ab. |[L. FI. Suec. 1, n. 274 (var. 0)] 
Polygonatum vulgo Sigillum salomonis Bauh. hist. 3, p. 529 [L. H. 
Cliff., p. 12 (var. 0)] 

vulg. comp.: PoLiGoNnATO Matt. Disc. [Loss, p. 31] 


Polipodio sopra i roveri; mà quantità se ne vede sopra i faggi, ne carsi 


Polypodium vulgare L. FI IL 98 R. 7865 


sw. Bot. vet: Polypodium Matt. Diosc., p. 795-7 [Scop. FI. Carn. Il, n. 1266] 
Polypodium vulgare Bauh. pin. 359 [L. Sp. PI. 1, p. 1085; Mat. med., 
n. 485; H. Cliff., p. 475] 

vulg. comp: PoLIPODIO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 219] 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 81 


226. 


227. 


228. 


229, 


230. 


Politrichio ne sassi, e mura humide, et ombrose 
Asplenium trichomanes L. FI. It. 54 R. 7838 


sm. Bot. vet: Tricomanes s. Polytrichum officinarum Bauh. pin. 356 [L. Sp. PI. 1, 
p. 1080 (var. 0); Mat. med., n. 483; H. Cliff., p. 474; FI. Suec. I, n. 
854; FI. Lapp., n. 388] 
Bauh. hist. 3, p. 754; Dod. pempt. 474; Lob. hist. 471 [L. 
H. Clitt., id.] 
vulg. comp: CALLITRICO, POLITRICO Matt. Disc. [(1597), pp. 750-1] 


Portulaca ne gl’horti, e terre grasse. 


Portulaca oleracea L. subsp. sativa (Haw.) Celak. FI. It. 45 R. 3488 
= P. sativa Haw. 


sm. Bot. vet: Portulaca hortensis latifolia Bauh. hist. 3, p. 678 [L. H. Clift., p. 207, 
n. | (var. @)] 
Portulaca domestica Lob. ic. 388 [L. Sp. PI. I, p. 445 (var. B); H. Clift., 
id.] 

vulg. comp: PORTULACA DOMESTICA Matt. Disc. [Loss, p. 31; (1604), p. 504] 


Pori con agli, e scalogne ne gl’horti 


2284. Pori 
228b. Agli 
228c. Scalogne 


2284. Allium porrum L. FI. It. sub. 4659 R. 2345 


sm. Bot. vet: Porrum Caesalp. syst. 406; Bauh. hist. 2, p. 551 [L. H. Cliff., p. 136] 
Dod. pempt. 688 |L. id. er H. Ups., p. 77] 
vulg. comp: PORRO Dur. Herb. [(1602), p. 374]; Matt. Disc. [(1597), pp. 391-2] 


228b. Allium sativum L. FI. It. 4650 R. 2354 


sm. Bot. vet: Allium Cam. epit. 328 [L. Sp. PI. I, p. 296: H. Ups., p. 76] 
vulg. comp: ALLIO DOMESTICO Matt. Disc. [Loss, p. 13] 


228c. Allium ascalonicum L. FI. It. sub. 4685 R. 2368 
swn. Bot. vet: Cepa ascalonica Moris. hist. 2, p. 38 

vulg. comp: SCALOGNE Matt. Disc. |Loss, p. 33] 

Primula veris in ogni terra, e sito ombroso 

Iter.: v. 37b. 

Bellis perennis L. FI. I. 3836 R. 64 
sw. Bot. vet: Primula veris Caesalp. syst. 493 [L. H. Cliff., p. 418] 


3 


Pulegio terra sottile, arrida, grassa 
Arch. tr.: Puleggio 


Mentha pulegium L. FI. It. 3247 R. 4211 


sw. Bot. vet: Pulegium Matt. Diosc., p. 475 [Scop. FI. Carn. II, n. 747] 
Fuchs. hist. 199 [L. Sp. PI. I, p. 577] 
x Bauh. hist. 3, p. 256; Dod. pempt. 282 [L. H. Cliff., p. 307] 
vulg. comp: PuLEGIO Matt. Disc. [Loss, p. 31] 


N 
(99) 
N 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI 1991, p. 9-115 


. Pulmonaria con foglie machiate in terra humida, ombrosa 


Pulmonaria officinalis L. F1.1t. 3010 R. 1092 


sw. Bot. vet: Pulmonaria vulgaris, maculoso folio Clus. hist. 2, p. 168 [L. H. Cliff., 
p. 44] 
vulg. comp: POLMONARIA Matt. Disc. [(1597), p. 665] 


. Pulsatila sù i Carsi in terra arrida sassosa 


Arch. tr.: Pulsatilla 


Anemone pulsatilla L. FI. It. 722 R. 4004 
= Pulsatilla vulgaris Miller 


sw. Bot. vet. Pulsatilla Cam. cpit. 398 |L. Sp. PI. I, p. 539; FI. Suec. I, n. 446] 
Dod. pempt. 433 |L. H. Cliff., p. 233 er FI. Succ. I, id.| 
vulg. comp: PuLsATtILIA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti Il, |, p. 225: Loss, p. 311 


. Pino domestico, e silvestre 


233a. Pino domestico 
233b. (Pino) silvestre 


233a. Pinus pinea L. FI. It. 121 R. 7241 


sw. Bot. vet: Pinus sativa Bauh. pin. 491 [L. Sp. PI. 1, p. 1000; Mat. med., n. 435; 
H. Ups., p. 288; H. Cliff., p. 450, n. 2] 
vulg. comp.: Pino pomestico Matt. Disc. [Loss, p. 30] 


233b. Pinus sylvestris L. FI. It. 114 R. 7240 


sw. Bot. vet: Pinus sylvestris Bauh. pin. 491 [L. Sp. PI. I, p. 1000; Mat. med., n. 
434; H. Cliff., p. 450, n. 1; FI. Suec. 1, n. 788; FI. Lapp., n. 346| 
vulg. comp. Pino sAaLvaTICO Matt. Disc. [Loss, p. 30] 


. Polio primo. 


Teucrium polium L. FI. It. 3104 R. 4149 


sm. Bot. vet: Polium Dod. pempt. 283 [L. H. Cliff., p. 302] 
vulg. comp: POLIO I Matt. Disc. [Loss, p. 31] 


. Ranuncoli diversi in terra humida grassa in valle, et anco ne monti 


235a. Ranunculus sceleratus L. FI. IL. 787 R. 4075 
vulg. comp: RANUNCOLO I Matt. Disc. [Loss, p. 32] 

235b. Ranunculus sardous Crantz FI. It. 761 
vulg. comp: RANUNCOLO II Matt. Disc. [Loss, p. 42; (1554) Saccardo, p. 124] 

235c. Ranunculus velutinus Tenore FI. It. 741 
vulg. comp: RANUNCOLO HI Matt. Disc. [Loss, p. 32] 

235d. Ranunculus bulbosus L. FI. It. 758 R. 4086 


vulg. comp. RanuncoLo V Matt. Disc. [Loss, p. 32] 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 83 


236. 


257: 


238. 


239. 


240. 


Obs.: Non è ovviamente da escludere che nella generica indicazione del T. possa esser 
compresa anche qualche altra della ventina di specie di ranuncoli riconosciuti attualmente 
nella penisola istriana (in particolare: R. repens L., R. ffanunula L., e R. acris L.). 


Rape terra humida, e grassa similmente il raphano 
Arch. tr.: ... il rafano 


2364. Rape 
236b. Raphano 


236a. Brassica rapa L. subsp. sylvestris (L.) Janchen FI. It. 1170(b) R. 4853 


sm. Bot. ver: Rapum oblongius Dod. pempt. 673 [L. H. Clitf., p. 339 (var. B)] 
Rapa sativa oblonga s. femina Bauh. pin. 89 [L. Sp. PI. I, p. 666 (var. 
8); H. Clift., p. 339, n. 2 (var. B)] 


236b. Raphanus sativus L. FI. It. 1202 R. 4873 
sm. Bot. vet: Raphanus Bauh. hist. 2, p. 846 [L. H. Cliff., p. 430] 


Raphano rusticano, che il slavo Krem il simile 
Arch. tr.: Rafano rusticano 
Recte: Hren (sl. e srb.-cr.) 


Armoracia rusticana Gaertner, Meyer et Scherb. FI. It. 986 R. 4712 
= Cochlearia armoracia L. 


sw. Bot. vet: Raphanus rusticanus Bauh. pin. 96 [L. Sp. PI. I, p. 648; Mat. med, 
n. 32I; H. Cliff., p. 332; FI. Suec. I, n. 540] 


Ramponzolo terra arrida, e sassosa, e sito solivo 
Arch. tr.: Raponzolo 


Campanula rapunculus L. FI. IL. 3727 R. 1300 


sm. Bot. vet: Rapunculum Dod. pempt. 165 |L. Sp. PI. I, p. 164; H. Ups., p. 40; H. 
Cliff., p. 65] 
vulg. comp. RaPonzoLo Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 229] 


Rosmarino si pone fra gli arbusti 
Rosmarinus officinalis L. FI. It. 3254 R. 181 


sw. Bot. vet: Rosmarinus Linn. H. Cliff., p. 14 (1737) 
Rosmarinus spontaneus, latiore folio Bauh. pin. 217 [L. Sp. PI. I, p. 
23 et Mat. med., n. 16 (var. a, B)] 
Rosmarinus hortensis, angustiore folio Bauh. pin. 217 [L. ead.] 

vulg. comp.: ROSMARINO CORONARIO, ROSMARINO Matt. Disc. [(1597), p. 529] 


Obs: Anche per ScoPOLI (FI. Carn. I, n. 30) «habitat in Istriae montanis». Ciò varrebbe 
a riconoscere una risalienza della macchia mediterranea (cui è strettamente legato, allo 
stato spontaneo) assai maggiore dell’attuale: oggi si esclude infatti la spontaneità del ro- 
smarino persino lungo le coste dell’ Alto Adriatico [cfr. PIGNATTI, cit.]. 


Rose rosse damascene, bianche, purpuree, et.c.etera] buona terra 


240a. Rose rosse damascene 
240b. (Rose) bianche 


84 


241. 


242. 


243. 


244, 


245. 


G. be Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


240c. (Rose) purpuree 
240d. 


240a. Rosa gallica x canina FI. It 1404 
= R. damascena L. R. 3750 


sw. Bot. vet: Rosa rubra Bauh. pin. 481 [L. H. Cliff., p. 191] 
Rosa damascena Lob. hist. 618 |L. id.| 


240b. Rosa arvensis L. FI. It. 1407 R. 3734 
sw. Bot. vet: Rosa arvensis candida Bauh. pin. 484 |L. Mant. Il, p. 245] 
240c. Rosa gallica L. FI. It. 1406 R. 3742 
sw. Bot. vet: Rosa rubra multiplex Bauh. pin. 481 [L. Sp. PI. 1, p. 492] 
240d. Rosa canina L. FI. It. 1404 R. 3744 


Ohs.: Nell'ambito delle num. rose selvatiche (Pospicna!. ne elenca 57 sp. per il Litorale 
Austriaco!) si è limitata la ricerca a quelle specie date per conosciute entro il XVII seco- 
lo dal SAccARDO 1909, valutata naturalm. la loro distribuzione regionale. 


Rusco terra buona, sassosa, sotile, calda 


Ruscus aculeatus L. FI. It 4716 R. 7524 


sm. Bot. vet: Ruscus Bauh. pin. 470 [L. Sp. PI. I, p. 1041; Mat. med., n. 468; H. 
Ups., p. 3001 
Ruscum Dod. pempt. 474 [L. Sp. PI. 1 et H. Ups. ead.] 

vale. comp: Rusco Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 239; Loss, p. 32] 


Rubia lat:[ine] erithrondanum terra grassa 


Galium mollugo L. FI. It. 2889 R. 870 
sw. Bot. vet: Rubia sylvestris laevis Bauh. pin. 333 [L. Sp. PI. II, p. 155; FI. Suec. 
I, n. 117] 


vulg. comp: RuBBIA sALvaTICA Matt. Disc. [Loss, p. 32] 


Ruta terra arrida, sassosa, sito aprico 
Ruta graveolens L. FI. It 2116 R. 3014 


sw. Bot. vet: Ruta Caesalp. syst. 578 |L. H. Cliff., p. 145] 
vulg. comp: Rura Matt. Disc. [Loss, p. 32] 


Ruchetta, 0° Bucola, eruca 
Arch. tr.: Rucchetta, o Bucola 
Recte: ... 0° Rucola 

Iter.: v. 113b 


Diplotaxis tenuifolia (L.) DC. FI. It. 1158 
= Sisymbrium tenuifolium L. R. 4782 


sw. Bot. vet: Eruca tenuifolia perennis Bauh. hist. 2, p. 861 [L. «Amoen. acad.», 
IV, p. 279] 


Rocco rubus, et le more, mora rubi. 
Arch. tr.: Rovo 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 85 


246. 


247. 


248. 


249. 


I. Rubus bifrons Vest FI. It. 1359 
ei 

IT Rubus canescens DC. FI. It. 1366 
ei 

III. Rubus procerus P.S. Miiller FI. It 1362 
ei 

IV. Rubus ulmifolius Schott E It. 1357 
et 

V. Rubus istriacus Pospichal. FI. It. 1361 

$ [omnia] 
Rubus fruticosus L. R. 3760 


sw. Bot. vet: Rubus Cam. epit. [L. Sp. PI. I, p. 493; FI. Suec. I, n. 409] 
Caesalp. syst. 98; Dod. pempt. 743; Lob. hist. 619; Dalech. hi- 
st. 119 [L. H. Cliff., p. 192] 
Ohs.: Delle numerose specie dell’aggregato R. fruricosus L., almeno una dozzina crescono 
in Istria. Quelle riportate sono solo (e presumibilm.) le più frequenti. [cfr. POSPICHAL II, |, 
pp. 263-296]. Vi sono omessi i R. carpinetorum Freyn e R. mvrianthus Freyn, pur abb. 
diffuse nell’Istria meridionale. perché sp. incompletamente note [sec. PiGNATTI. FI. It., nn. 
1355 e 1357/bl. 


Salvia sito aprico, sassoso 
Salvia officinalis L. FI. It. 3260 R. 185 


sw. Bot. vet: Salvia major Bauh. pin. 237 |L. Sp. PI. I, p. 23; Mat. med., n. 13: H. 
Ups.. p. 10] 
Cam. epit. 475 [H. Ups., id.] 


Sanicola sù i carsi in boschi ombrosi 


Sanicula europaea L. FI. It. 2405 R. 1905 
= Astrantia diapensia Scop. 


sw. Bot. vet: Sanicula et diapensia Lob. ic. 663 [L. Mat. med., n. 115] 
Sanicula officinarum Bauh. pin. 319 [L. Sp. PI. I, p. 235; H. Cliff. p. 
88; FI. Suec. I, n. 222; Mat. med, id. | 
Moris. Hist. 2, p. 616 [L. H. Cliff., id.] 
vulg. comp: DIAPENSIA OVVERO SANICOLA Matt. Disc. [Loss, p. 201 
Matt. Volg. [(1563), p. 525] 


Satureia terra arrida montuosa, sassosa in solivo 
Arch. tr.: Satureja 


Micromeria thymifolia (Scop.) Fritsch FI. It. 3200 
= Satureja thvmifolia Scop. 
= Satureja rupestris Wult. 


sw. Bot. vet: Satureja Thymifolio C. Bauh. Pin., p. 219 [Scop. FI. Carn. II, n. 737] 
Satureja Dioscoridis Matthiol. Diosc., p. 485 [Scop. id.] 

vulg. comp.: SATUREIA, OVERAME[NJTE THIMBRA [SALVATICA], SATUREIA DI DIOSCORIDE 
Matt. Disc. [(1597), p. 4901 


Saxigrafia terza, et l’Hercina del Mathioli in sassi in sito solivo 
Recte: Hircina 


86 


250. 


251. 


252. 


253. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Affi, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


249a. Saxifragia terza (del Mathioli) 

249b. (Saxifragia) hercina del Mathioli 

249a. Athamanta turbith (L.) Brot. FI. It. 2493 
= A. cretensis L. p. p. R. 1969 
= A. matthioli Wulten 
= Turbith matthioli Tausch. 


sm. Bot. vet. Sassifragia HI Matt. Disc. [(1597), p. 634; (1604), pp. 1029-30)| 


249b. Pimpinella major (L.) Hudson FI. It. 2460 
= P. magna L. R. 2103, 2102 


vulg. comp. PIMPINELLA SASSIFRAGIA, PIMPINELLA, SASSIFRAGIA HIRCINA Matt. Disc. 
[(1597), p. 662] 


Scabiosa in ogni sitto, e terreno 
Scabiosa columbaria L. FI. It. 3702 R. 809 


sm. Bot. vet: Scabiosa minor Cam. epit. 711 [L. Sp. PI. I, p. 99 (var. 0)] 


Scolopendria, o Cetrach sù le mura humide, et ombrose 


Ceterach officinarum CD. FI. It. 69 
= Asplenium ceterach L. p.p. R. 7834 


svn. Bot. vet: Ceterach Baub. hist. IH, p. 749 [Scop. FI. Carn. II, n. 1262] 
Ceterach officinarum Bauh. pin. 354 [L. Sp. PI. I, p. 1080; H. Cliff., 
p. 474; Mat. med., n. 482 (1.e.)] 
Asplenium s. ceterach Bauh ist. 3, p. 479; Moris. hist. 3, p. 561 [L. 
ead.] 

vulg. comp.: SCOLOPENDRIA, CETRACH, AsPLENO Matt. Disc. [(1557), p. 435] 


Scorzonera sopra i carsi in alcuni pratti in buona terra 
Scorzonera hispanica L. FI. It. 4322 R. 5792 


sm. Bot. ver: Scorzonera Caes. syst. 518; Dod. pempt. 257 [L. H. Clitf., p. 383] 
Scorzonera major hispanica prima Clus. hist. 2, p. 137 [L. Sp. PI. I, 
p. 791; H. Ups., p. 242; H. Cliff., p. 383] 

vulg. comp: SCORZONERA Matt. Disc. [Loss, p. 33] 


Ohs.: Altrove (1.1, cap. XXXVIII) il Tommasini osserva come la scorzonera cresca «dove 
vi è il serpe la scorzone» (1). 


Semprevivo maggior, minor, et minimo sopra i muri, mà per il più sopra li teti 
delle Case 


253a. Semprevivo maggior 
253b. (Semprevivo) minor 
253c. (Semprevivo) minimo 


253a. Sempervivum tectorum L. FI. It. 1226 R. 3561 
= Sedum tectorum Scop. 


sm. Bot. vet: Sempervivum tectorum majus Rupp. jen. 132 (ma 1718) [L. H. Cliff., 
p. 179, n. 3 (Le.)] 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 87 


254. 


255. 


256. 


vulg. comp: SEMPREVIVO MAGGIORE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 249; Loss, 
p. 34] 


253b. Sedum album L. FI. IL. 1245 R. 3356 


sw. Bot. vet: Sempervivum minus alterum Dod. pempt. 129 |L. H. Cliff., p. 177] 
Sedum minus teretifolium album Bauh. pin. 283 [L. Sp. PI. I, p. 432: 
Mant. II, p. 388 (var. B): H. Cliff., id.] 
Moris. hist. 3, p. 472 [L. H. Cliff., id.] 
vulg. comp. SEMPREVIVO MINORE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, |, p. 249: Loss, p. 
34] 


253c. Sedum acre L. FI. It. 1242 R. 3357 
sw. Bot. vet: Sempervivum minimum Frank. spec. 27 |L. FI. Lapp. n. 195: FI. Suec. 
I, n. 389] 
Sempervivum 3. minimum Caesalp. syst. 578 [L. H. Cliff., p. 177] 


vulg. comp.: SEMPREVIVO DELLA TERZA SPETIE; SEMPREVIVO MINIMO Matt. Disc. [(1597), 
pp. 710-1] 


Serpentina del Mathioli in terra sterile arrida, giarosa, e sottile 


Plantago holosteum Scop. FI. It. 3594 
= P. subulata L. p. p. R. 936 
= P. serpentina Koch, non Vill. 


svn. Bot. vet: Serpentina omnium minima Lob. ic. 439 [L. Sp. PI. I, p. 115 (var. 0)] 
vulg. comp.: SERPENTINA Matt. Disc. [(1597), pp. 362-3: (1604), pp. 523-4] 
«... ma copia se ne vede lungo al fiume del Lizzonzo, et in altri luoghi 
del contado di Goritia, dove la chiamano Serpentina ...» 


Obs.: Questa è anche «l'erba serpentina, chiamata coronopo selvatico» di cui scrive lo 
stesso Tommasini al cap. XXX (in Arch. tr., p. 92) |= Coronopus svlvestris Matt. Comp. 
250, sec. MARCHESETTI FI. Tr., p. 455]. 

Serpillo in terra sterile, e secca 

Thymus pulegioides L. FI. It. 3243 
vulg. comp.: SERPILLO Matt. Disc. [(1597), p. 491 ic.] 


Siderite heraclea in valli humide 
Lycopus europaeus L. FI. It. 3244 R. 166 


sm. Bot. vet: Sideritis matthioli Dalech. hist. 1117 [L. Sp. PI. II, p. 30] 
vulg. comp.: SIDERITE I (rif. Siderite Heraclea Diosc.) Matt. Disc. [(1597), pp. 647 
(ic.)-648; Loss, p. 34] 


257. Senape si semina 


I. Sinapis alba L. FI. It. 1181 R. 4863 


sm. Bot. ve: Sinapi sativum alterum Dod. pempt. 707 [L. Sp. PI. I, p. 608: H. Clif., 
p. 338; H. Ups., p. 191] 
vulg. comp: SENAPE II Matt. Disc. [Loss, p. 34] 


et [prob.| 


88 


258. 


259. 


260. 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Affi, vol. XXI, 1991, p.9-115 


Il. Hugueninia tanacetifolia (L.) Rchb. FI. It. 932 
= Sisymbrium tanacetifolium L. R. 4778 


vulg. comp: SenAPE IN Matt. Disc. [Loss, p. 34] 


Sisembro acquatico, domestico, et selvatico nell’acqua, et appresso fontane vive 


258a. Sisembro acquatico 
258b. (Sisembro) domestico 
258c. (Sisembro) selvatico 


258a. Nasturtium officinale R. Br. FI. It. 987 
= Sisymbrium nasturtium aquaticum L. R. 4777 
sw. Bot. vet: Sisymbrium aquaticum vulgo Crescione Caesalp. syst. 362; Bauh. hi- 


st. 2, p. 884 [L. H. Cliff., p. 336] 
vule. comp: SISEMBRO AQUATICO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 253] 


258b. Mentha x villosa Hudson subsp. velutina (Lej.) Briq. FI.It. sub 3250/c 
= M. velutina Lej. 


vulg. comp. SISEMBRO DOMESTICO Matt. Disc. [(1597), pp. 357-8: (1604), p. 513] 
258c. Mentha aquatica L. FI. It. 3249 R. 4204 b 


sw. Bot. vet: Sisymbrium sylvestre Dalech. hist. 677 [L. Sp. PI. I, p. 576; II, p. 805; 
H. Clitf., p. 306] 
vulg. comp.: SISEMBRO SALVATICO Matt. Disc. [Loss, p. 34] 


Smirnio in luoghi sassosi inculti delle colline 
Smyrnium olusatrum L. FI. It. 2445 R. 2095 


sw. Bot. vet: Smyrnium Matt. diosc. 723; Dalech. hist. 707 [L. H. Clitf., p. 105] 
vulg. comp: SmIRNIO Matt. Disc. [Loss, p. 35] 


Obs: Si tratta di una indicazione di notevole interesse per la fitogeografia storica regiona- 
le, da confrontare con la distribuzione attuale della specie (tipicamente stenomediterra- 
nea), e segnalata nel secolo scorso soltanto per il Polese |BIASOLETTO e TOMMASINI 1837; 
FreEYN 1877]. D'altronde è singolare il fatto che il T. non ne riferisca la coltivazione, 
che «fu una delle più comuni» |bE CANDOLLE, p. 118]. 


Solatro hortense, Alicacobo, 0’ Vesicaria quel ne gl’horti, gli altri in terren 
grasso 


260a. Solatro hortense 

260b. (Solatro) Alicacobo, o’ Vesicaria 
Recte: Alicacabo 

Iter. (260b): v. 34 


260a. Solanum nigrum L. subsp. nigrum FI. It. 3293 R. 1573 
sm. Bot. vet: Solanum hortense Dod. pempt. 454 [L. FI. Suec. I, n. 188; H. Cliff., 
p. 60] 


vulg. comp: SOLATRO HORTOLANO Matt. Disc. [(1597), pp. 682-3, 684 (ic.): (1604), p. 
1124, 1125 (ic.)] 


260b. Physalis alkekengi L. FI. It. 3289 R. 1450 
= P. halicacabum Scop. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 89 


261. 


262. 


263. 


264. 


265. 


sw. Bot. vet: Vesicaria Caesalp. syst. 213 [L. id.] 
Halicacabum vulgare Besl. eyst. 2, p. 169 [L. H. Cliff., p. 62] 
Alkekengi Tournefortii, Halicacabum Rivini Rupp. jen. 38 (ma 1718) 
[L. id.] 
Solanum Halicacabum vulgare Bauh. hist. 3, p. 609 [L. id.) 

vulg. comp: SOLATRO HaLicacaBO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 254; Loss, 
p. 35] 


Soncho liscio, et aspro in horti, campi, e Vigne 


26la. Soncho liscio 
261b. (Soncho) aspro 


261a. Sonchus oleraceus L. FI. I1. 4393 R. 5808 


sm. Bot. vet: Sonchus laevis Cam. epit. 279 [L. Sp. PI. I, p. 794 (var. 0)] 
vulg. comp: SONCHO LISCIO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 254] 


261b. Sonchus asper (L.) subsp. nymani (Tineo et Guss) Hegi FI. It. 4392(b) 
Î 
Sonchus asper (L.) Hill. 
= S. oleraceus L. var. asper p.p. R. 5808 


sw. Bot. vet: Sonchus aspera Fuschs. hist. 674 [L. Sp. PI. I, p. 794 (var. d)] 

vulg. comp: SONCHO ASPERO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 254] 

Spinazzi terra humida grassa ne gl’horti 

Spinacia oleracea L. FI. It. 347 R. 7427 
vulg. comp: SPINACCI Matt. Disc. [Loss, p. 35] 


Stramonio terra bona sito solivo 
Datura stramonium L. FI. It. 3304 R. 1418 


sw. Bot. vet: Stramonia s. Datura major foetida etc. Herm. lugdb. 583 |L. H. Cliff., 
p. 55] 


Ohs.: Il SACCARDO (1909, p. 229) indica nel 1726 l’anno della prima naturalizzazione del- 
la specie in Italia. Evidentem. per l’Istria tale data va anteposta di circa un secolo. 


Sinphito maggior .i.[dest] consolida maggiore 
Arch. tr.: Sinfito 
Iter.: v. 584 


Symphytum officinale L. FI. It. 3020 R. 1097 


sw. Bot. vet: Symphytum Consolida major Bauh. pin. 259 [L. Sp. PI. I, p. 136; Mat. 
med., n. 61; FI. Suec. I, n. 155: H. Cliff., p. 47] 
Symphytum majus Cam. epit. 700 [L. FI. Suec. I, id.] 
Consolida major Dorst. hist. 89 [L. FI. Suec. I, id.| 

vulg. comp: CONSOLIDA MAGGIORE Matt. Disc. [Loss, p. 19] 


Senecio lat:[ine] Erigeron in horti 
Senecio vulgaris L. FI. It. 4098 R. 6275 


90 


266. 


267. 


268. 


269. 


270. 


2. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


sm. Bot. vet: Senecio (-tio) Caes. syst. 537; Dalech hist. 575; Bauh. hist. 2, p. 1041 
[L. H. Cliff., p. 406] 
vulg. comp. SENECIO Matt. Disc. |Loss, p. 34| 


Scrofolaria 

Scrophularia nodosa L. FI. It. 3345 R. 4481 
sm. Bot. vet: Scrophularia Cam. epit. 866 |L. Sp. PI. I, p. 619; FI. Suec. II, n. 560] 
vulg. comp: SCROPHULARIA Matt. Disc. [Loss, p. 331 

Sambuco 

Sambucus nigra L. FI. It. 3611 R. 2144 


sw. Bot. vet: Sambucus Dod. pempt. 845 |L. Sp. PI. I, p. 269; H. Cliff., p. 109; FI. 
Succ. I, n. 250] 
Caesalp. syst. 91: Dalech. hist. 266 |L. H. Cliff., id.] 
vulg. comp. SAMBUCO Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 243: Loss, p. 33] 


Sclarea lat:Jine] Horminium 
Arch. tr.: Selarea ... 
Iter. v. 152a. 


Salvia sclarea L. FI. IL. 3266 R. 214 


sm. Bot. vet: Horminum Sclarea dictum Bauh. pin. 288 [L. Sp. PI. I, p. 27; Mat. 
med., n. 15; H. Ups., p. 10] 
vulg. comp: SCLAREA Matt. Disc. |Loss, p. 33] 


Selino ne gl’horti 


Petroselinum sativum Hotfm. FI. k. 2540) 
= Apium petroselinum L. R. 2109 


swi. Bot. vet: Selinum s. Apium hortense Lob. hist. 405 [L. H. Clift., p. 108] 


Tanaceto maggiore lat:[ine] Tanacetum, sue athanasia math:[ioli] volgare, ter- 
ra buona, e sito solivo 
Arch. tr; ... athunasia 


Tanacetum vulgare L. FI. It. 4011 R. 6121 


sm. Bot. vet: Athanasia s. Tanacetum Dalech. hist. 955 [L. Sp. PI. L p. 844 (var. 
o); FI. Succ. I, n. 666; H. Cliff., p. 398] 
vulg. comp: ATHANASIA, OVERO TANACETO Matt. Disc. [(1597), p. 596; (1604), p. 958] 


Testicolo di cane di cinque spetie in varij siti 

27la. Orchis morio L. FI. It, 554] 
vulg. comp. SPETIE DI TESTICOLO I Matt. Disc. 1(1597), p. 581] 

271b. Ophris fuciflora (Crantz) Moench FI. It, 5522 


vulg. comp: SPETIE DI TESTICOLO II Matt. Disc. [Loss, p. 36] 
271c. Orchis papilionacea L. FI. It. 5540) 
vulg. comp. SPETIE DI TESTICOLO III Matt. Disc. [(1597), p. 581] 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 91 


272. 


ZI3. 


274. 


271d. Orchis pallens L. FI. It, 5548 
vulg. comp: SPETIE DI TESTICOLO IV Matt. Disc. [(1597), p. 582] 
27le. Orchis mascula L. FI. It. 5554 


vulg. comp: SPETIE DI TESTICOLO V Matt. Disc. [(1597), p. 582] 


Ohs.: Corrispondenze oltremodo problematiche. Cfr. Targioni Tozzetti II, 1, p. 272: Testi- 
coli di cane = «... Orchideae radice tuberosa, fere omnes» (!). Nondimeno le specie so- 
pra indicate, dedotte dall'analisi delle corrispondenti cinque spetie di testicolo riportate 
dal Mattioli, appaiono tra le più probabili. 


Thimbra ne Colli magri, e giarosi 
Satureja hortensis L. FI. It. 3198 R.4159 


vulg. comp.: SATUREIA, OVERAME[N]TE THimBra Matt. Disc. [(1597), p. 490] 
«Seminasi questa non solamente ne gli horti, ma][nasce ancora per se 
stessa ne i colli magri, & lungo i lidi ghiarosi de i fiumi, ...». 


Thipha nelle paludi, ct acque morte 
Arch. tr: Tripha 


Typha latifolia L. FI. It. 5320 R. 7045 


sw. Bot. vet: Typha palustris maior Bauh. pin. 20: Moris. hist. 3, p. 246 [L. Sp. PI. 
I, p. 971] 
vulg. comp: Tira Matt. Disc. [Loss, p. 36] 


Thitimali di più sorti cioè elioscofilo dendraide caracia, et ciparisso [et cetera] 
in ogni sito 

Arch. tr.: ... Sioscofilo, dendraide caracia, e ciporisso etc., ... 

Recte: ... elioscopio, dendroide, ... 


274a. 
274b. 


Thitimalo) elioscotilo 
Thitimalo) dendraide 
274c. (Thitimalo) caracia 
274d. (Thitimalo) ciparisso 
274e, f, g 


274a. Euphorbia helioscopia L. FI. It.2081 R. 3540 
= Tithvmalus helioscopius Scop. 


PERO NOS 


sm. Bot. vet: Tithymalus helioscopius Bauh. pin. 291; Fuchs. hist. 811; Cam. epit. 
963; Till. ic. 65 [L. op., v. Richter, cit.] 
vulg. comp. TrrHimaLo HeLIOScOPIO Matt. Disc. |(1597), p. 780] 


274b. Euphorbia wulfenii Hoppe FI. It. 2112 
= E. characias L. subsp. wulfenii (Hoppe) A.R. Sm. R. 355% 


sw. Bot. vet.: Tithymalus dendroides Matt. Comm. (1554), 775 |Marchesetti, FI. Tr., 
pp. LVITI, 480] 

vulg. comp.: TrrtimaLo DENDROIDE Matt. Disc. (1568) 
«[Il T. Dendroide] hollo ancora dipoi ritrovato noln] molto lo[nJtano 
dal Timavo, tra sassi, nella costa che tira lungo il mare, tra Duino, et 
Prosecco.» (I. IV, p. 687, cfr. MoRPURGO, p. 133). 


92 


275. 


276. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


274c. Euphorbia characias L. FI. I. 2111 R. 3556 


sw. Bot. vet; Thitymalus characias primus Clus. hist. 2, p. 188 |L. Sp. PI. I, p. 463; 
H. Cliff., p. 119 (var. ©); H. Ups., p. 142; «Amoen. Acad.» II, p. 126] 
vulg. comp: TITHIMALO CHARACIA Matt. Disc. [(1597), pp. 779 (ic.), 781] 


274d. Euphorbia cyparissias L. FI. It. 2107 R. 3549 
= Tithymalus cyparissias Scop. 


sw. Bot. vet Tithymalus cyparissius Bauh. pin. 291; Dalech. Hist. 1644 |L. Sp. PI 
I, p. 461; «Amoen. Acad.» II, p. 127] 
vulg. comp. TITHIMALO CIPARISSIO Matt. Disc. |(1597), pp. 780-781 (ic.)] 


seg. prob.] 


274e. Euphorbia paralias L. FI. It. 2104 R. 3536 
274t. Euphorbia peplus L. FI. It. 2091 R. 3523 
274g. Euphorbia flavicoma DC. subsp. verrucosa (Fiori) Pign. FI. It. 2073/b 

= E. verrucosa L. 1759 non L. 1753 R. 35424 


Ohs.: 274c. è però attualmente limitata al litorale dalmata. Altri Titimali diffusi in Istria, e 
d'uso medicinale sino al XV sec. (cfr. FIscHR 1929), — perciò verosimilm. anche al tem- 
po del T. — sono: Euphorbia dulcis L. ed Euphorbia platvyphyllos L. 


Tragopogono similmente 
Tragopogon pratensis L. FI.Jt. 4310 R. 5772 


sw. Bot. vet: Tragopogon Fuchs. hist. 827 [L. Sp. PI. 1, p. 789; FI. Suec. I, n. 648] 
vulg. comp: TRAGOPOGONO Matt. Disc. [Loss, p. 37] 


Trifoglio pratense, et girgidio ancora l’acetoso poi in sito montuoso, humido, 
selvoso, frigido, opacho 


276a. Trifoglio pratense 

276b. (Trifoglio) girgidio 
Recte (prob.): Gingidio 

276c. (Trifoglio) acetoso 


276a. Trifolium pratense L. FI. It. 1879 R. 5057 
sw. Bot. vet. Trifolium pratense Cam. epit. 582 |L. Sp. PI. I, p. 768; FI. Succ. II, n. 
6661 


Dod. pempt. 365 [L. FI. Suec. II, id.] 
vulg. comp. TRIFOLIO DEI PRATI Matt. Disc. [Loss, p. 371 


276b. non identif. 
276c. Oxalis acetosella L. FI. It. 1970 R. 3369 


sw. Bot. vet.. Trifolium acetosum Dod. pempt. 578 [L. Sp. PI. I, p. 433 (var. 0); H. 
Cliff., p. 175; FI. Suec. I, n. 3851 
Dalech. 1355 [L. H. Cliff. id.| 
Matt. Diosc., p. 555 [Scop. FI. Carn. Il, n. 561] 
vulg. comp: TRIFOGLIO ACETOSO Matt. Disc. [Loss, p. 37] 


G. ne Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 93 


2% 


279. 


280). 


(SS) 
N 


Trinitas sito montuoso, arrido, sassoso, et opacho 


Hepatica nobilis Schreb. FI. I 719 R. 3999 
= Anemone hepatica L. 


svi. Bot. vet. Trinitas Caesalp. syst. 547 [L. FI. Suec. I, n. 445] 
Cam. epit. 585 [L. H. Cliff., p. 223] 
vulg. comp. TRINITAS Matt. Disc. [Targioni Tozzetti IT, 1, p. 277; Loss, p. 37] 


. Tulipani persiani di sei foglie tre rosse, e tre bianche di tutti rossi, tutti gialli, 


verguti |et cetera] ne gl’horti in terra grassa 


2784. Tulipani persiani di sei foglie tre rosse, e tre bianche 
278b. (Tulipani persiani) tutti rossi 

278c. (Tulipani persiani) tutti gialli 

278d. (Tulipani persiani) verguti 


278 a, b, c. Tulipa gesneriana L. FI. It. 4589/VII R. 2406 
sm. Bot. vet: Tulipa (genus fere totum) Bauh. pin. 57 |L. Sp. PI. I, n. 306] 
278d. [proh.) Tulipa clusiana DC. FI. It. 4589/X 


Ohs.: 278 (a, b, c) «Coltivata già in Italia nel 1592 (Del Riccio) ...» [SACCARDO 1909, p. 
45]. 278d. «E giunta dapprima a Firenze e vi fu coltivata nel 1607 da Matteo Ceccini, 
che ne comunicò i bulbi al Clusius ...» [PIGNATTI, cit.]. 


A proposito delle varietà, già nel 1737 LINNEO (H. Cliff., p. 118) scriveva: «... Cultura, 
terra varia, miscela differentium per copulam, produxit tam varia tamque infinita diver- 
sa et mixta, ut nullae leges distinguendi varietates supersint ...». 

Tlapsi 


Lepidium campestre (L.) Br. FI. IL 1140 
= Thlaspi campestre L. 


sw. Bot. vet: Thlaspi Matthiol. Diosc., p. 395 [Scop. FI. Carn. IT, n. 807] 
vulg. comp. THLAPsi Matt. Disc. (1568), 1. II, p. 349 [v. MorPuRGO, p. 133] 
Tambra 


non identif. 


. Tormentilla. 
Pontentilla erecta (L.) Riiuscel FI. It. 1455 
= Tormentilla erecta L. R. 3802 


sw. Bot. vet: Tormentilla Cam. epit. 685 |L. Sp. PI. I, p. 500; H. Suec. I, n. 421) 
Bauh. hist. 2, p. 398; Dod. pempt. 118 |L. H. Cliff., p. 
394] 
Caesalp. epit. 685 [L. H. Cliff. er FI. Suec. I, ead.] 

vulg. comp: TORMENTILIA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 274; Loss, p. 36] 


. Trissagine idest Chamedrios 


Iter.: v. 82 


Teucrium chamaedrys L. FI. I1. 3099 R. 4143 


94 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-t15 


gn. Bor. vet: Chamaedris Riv. mon. 10 [L. Sp. PI. I (var. 01), p. 565] 
Lob. hist. 260 Lic. 491 |L. Syst. PI. (cur. GILIBERT), n. 
764.26] 
Caesalp. syst. 454 [L. H. Cliff., p. 302] 

vulg. comp. TRISSAGINE Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 278] 


Vena, 0° Avena 


Avena sativa L. FI. It, 5072 R. 669 


sw. Bot. vet: Avena nigra Bauh. pin. 23 [L. Sp. PI. I n. 79; H. Ups., p. 20; Mat. 
med., n. 38] 
vulg. comp: VENA Matt. Disc. [Loss, p. 371 


Valeriana silvestre minore sul carso nelle montagne in terren buono 


Valeriana wallrothii Kreyer FI. It. 3654 p.p. 
= V officinalis L. subsp. tenuifolia Vahl. 


Valeriana officinalis L. R._ 254 


sw. Bot. vet: Valeriana sylvestris major Bauh. pin. 164 [L. Sp. PI. 1, p. 31; Mat. 
med., n. 21] 


Ohs: La V wallrothii Kreyer è appunto mediamente di dimensioni minori della V offici- 
nalis L. e ad essa abbastanza simile. Si deve invece escludere la V. divica L., che pure è 
la Valeriana sylvestris minor di RaJ 1724 (falsa concordanza), per il suo habitat affatto 
diverso da quello indicato (specie di palude). Ci troviamo probabilmente difronte ad una 
prima definizione volgare ad hoc. I Mattioli (Disc.) ha VALERIANA MINORE (PHU MINORE) 
per la V collina Wallroth (1597, p. 37 ic.). 


Verbasco in terra arrida, sottile, ghiarosa in sito solivo 


Verbascum thapsus L. FI. It. 3323 R. 1404 


svi. Bot, ver: Verbascum primum Dalech hist. 1298; Ger. hist. 287 |L. H. Cliff., p. 
SSI 
Verbascum I Matthiol. Diosc., p. 716 [Scop. FI. Carn. II, n. 247] 


. Verbena recta, e volgare per tutto verbenaca 


2864. Verbena recta 
286b. Verbenaca volgare 
Iter.: 286a = 286b 


286a, b. Verbena officinalis L. FI. I 3073 R. 164 
sw. Bot. vet: Verbena recta Dod. pempt. 150 [L. Sp. PI. HI, p. 29; FI. Suec. I, n. 26] 


vulg. comp. VERBENACA RETTA; VERBENACA; VOLGARE VERBENACA Matt. Disc. |(1597), 
pp. 672-3; (1604), pp. 1106-7] 


Viole purpuree, pavonazze in terra sotile, e sito solivo, le bianche nascono ne 
pratti, et humidità, et perciò hà puoco odore 


287a. Viole purpuree 
287b. (Viole) pavonazze [hod. paonazze] 
287c. (Viole) bianche 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 95 


288. 


289. 


290). 


287a.b. Viola odorata L. FI. It. 2240) R. 6772 


sw. Bot. vet: Viola purpurea Matthiol. Diosc., p. 733 [Scop. FI. Carn. Il, n. 1097] 
Cam. cpit. 910 |L. H. Cliff., p. 427) 
Viola nigra s. purpurea Dod. pempt. 156, t. 1.2 [L. Sp. PI. I, p. 934] 
vulg. comp: VIOLE PORPOREE Matt. Disc. [(1597), p. 739; cfr. Loss, p. 37] 


287c. [prob.] Viola arvensis Murray FI. It. 276 

= V tricolor L. subsp. arvensis Murray R. 6780) 

vulg. comp.: VIOLA ARVENSIS, FLORE TOTO ALBO Tourn. inst. 421 (ma 1719) [L. H. Cliff., 
p. 427 (var. è)] 


Vite negra. Vite bianca idest Vidalba, o' Brionia 
288a. Vite negra 

288b. Vite bianca idest Vidalba, o° Brionia 

Iter. (?) (288b): v. 52 II 


288a. Tamus communis L. FI. It. 4735 R. 7435 


sw. Bot. vet. Vitis nigra Matt. Comm. 792 [Marchesetti, FI. Tr., p. 551] 

Vitis nigra matthioli Dalech. hist. 1412 [L. H. Cliff., p. 458] 

Vitis nigra, quibusdam Tamnus plinii etc. Bauh. hist. 2, p. 147 |L. id.] 
vulg. comp: Vrre NERA Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 304; Loss, p. 38] 


288b. Bryonia dioica Jacq. FI IL 2338 
= B. cretica L. subsp. dioica (Jacq.) Tutin R. (7346) 7340 


sm. Bot. vet: Bryonia aspera s. alba (baccis rubris) Bauh. pin. 297 |L. Mat. med., 
n. 448] 
vulg. comp: VITE BIANCA OVvERO BRIONIA Matt. Disc. |Loss, p. 38] 


Vite vinifera 
Vitis vinifera L. subsp. vinifera, cfr. cv. FI. It. 2189 R. 1639 


sw. Bot. vet: Vitis vinifera Bauh. pin. 299 |L. Sp. PI. I, p. 202; Mat. med., n. 97; H. 
Ups., p. 50: H. Cliff., p. 74, n. 1 (var. 0)] 

Dod. pempt. 415 |L. H. Ups. er H. Cliff., ead.] 

Cam. epit. 1003 |L. H. Ups., id.| 
vulg. comp. Vite vinirera Matt. Disc. [Loss, p. 38] 
Obs.: Per l'esame delle numerose cultivar dell'epoca si vedano i cap. XXXII, XXXIV e 
XXXV dei Commentarj, in cui VA. si diffonde sulle caratteristiche della viticoltura 
istriana. 


Xiride sù i carsi in luoghi sassosi di poca terra solivi, er inculti 
I. Iris illyrica Tommasini FI. It. sub. 4746 


et |dub.] 


Il. Iris pseudocyperus Schur. FI. It. sub. 4750 
$ [utr.] 
Iris foetidissima L. R. 328 


sw. Bot. vet: Spathula foetida, xyris Dod. pempt. 247 [L. Sp. PI. 1, p. 39] 
Bauh. hist. 2, p. 731 [L. Sp. PI. 1, id., er H. Cliff., p. 19] 
vulg. comp: Xiripe Matt. Disc. [Targioni Tozzetti II, 1, p. 305; Loss, p. 38] 


96 


291. 


202. 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol XXI, 1991, p. 9-115 


Zuche, melloni, Angurie di più sorti in terra grassa, et humida in sito solivo 


29la. Zuche 

29lb. Melloni 
29lc. Angurie 

Iter. (291b.): v. 199 


29la. Lagenaria siceraria (Molina) Standley FI, It. 2345/II 
= Cucurbita lagenaria L. R. 7322 


sw. Bot. ver: Zuccha longa Anguill. simpl. 115 [L. H. Clift., p. 451 (var. d)] 
vulg. comp: ZuccHE Matt. Disc. [(1597), p. 370] 


291b. Cucumis melo L. FI. IL 2342 R. 7333 


sm. Bot. vet: Melo Bauh. hist. 2, p. 242 [L. Sp. PI. I, p. 1011: H. Ups., p. 292; H. 
Cliff., p. 451] 
vulg. comp: MELLONI, MELONI Matt. Disc. [(1597), p. 372] 


29lc. Citrullus lanatus (Thunb.) Mansfeld., cfr. cv. FI. It. 2340 
= Cucurbita citrullus L. R. 7327 
= Anguria citrullus Blackw. 


sw. Bot. vet: Anguria Citrullus dicta Bauh. pin. 312[L. Sp. PI. I, p. 1010; H. Ups., 
p. 292; Mat. med., n. 443; H. Clift., p. 452] 
vulg. comp: ANGURIE Matt. Disc. [(1597), p. 373] 


Zea 

I. Triticum dicoccon Schrank FI. IL 5058/f 
= T. aestivum L. p.p. R. 718 

vulg. comp: ZEA Matt. Disc. [(1597), p. 311; Loss, p. 38] 

II. Triticum spelta L. FI. It 5058/c R. 723 


sw. Bot. vet: Zea s. Spelta Bauh. hist. 2, p. 412; Raj. hist. 1242 [L. H. Ups., p. 21] 


Obs: 292 II resta poco probabile: trattando dei «Formenti», al Cap. XXXI, il T. lo cita 
infatti espressamente col nome di «spelta» (Arch. tr., p. 93). 


G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


REPERTORIO ALFABETICO RIGOROSO 
DELLE ENTITÀ FLORISTICHE TOMMASINIANE 


(Concordanze verbali delli Semplici e delle loro distinzioni) 


Nome 
volgare 


ABROTANO che si coltiva ne gl'horti 
ABROTANO FEMMINA 
ABROTANO MASCHIO 
ABROTANO SILVESTRE 
ABSINTHIO 

ABSINTHIO PONTICO 
ACANTHO 

ACETTOSA 

AGLI 

AGLIO ORSINO 
AGRIMONIA 

ALCEA 

ALCHECHINGI 

ALSINE, volgarmente PAVARINA 
AMARANTO SPICATO 
ANAGIRIDE 

ANCUSA 

ANEMONE 

ANETO 

ANGELICA 

ANGURIE 

ANISO 

ANOMONI 

ADONIDE 

ANTHEMIDE 


Numero 
Elenco 


30 a 
291 ce 
30 b 

13 


Nome 
volgare 


APHACA 

APARINE 

APOCINO 

AQUILEIA 

ARISTOLOCHIA 

ARON 

ARTEMISIA 

ARTICHIOCHI 

ASPARAGI DOMESTICI 

ASPARAGI SILVESTRI che nascono in siti 
montuosi, sassosi, sechi, e caldi 

ASPARAGI SILVESTRI che nascono in 
valle, e luoghi humidi 

ASPHODELLO CON FIORI BIANCHI 

ASPHODELLO CON FIORI GIALLI 

ASSARO 

ASTER ATTICO 

ASURO 

ATRIPLICE DOMESTICA DI FOGLIE ROSSE 

ATRIPLICE DOMESTICA DI FOGLIE VERDI 

ATRIPLICE MARINA 

ATRIPLICE SILVESTRE, DI PIÙ SPETIE 

AVELLANE 


BALLOTTE 
BALSAMINA 


97 


Numero 
Elenco 


Il 
21 
3I 
22 
16 
4 
9 
6 
8a 


8bI 


8b2 
2a 
2b 
28 
23 
26 
14a2 
14al 
14 ce 


14b 1,2 


12 


36 
49 


98 G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Nome 
volgare 


BALSAMITA 

BARDANO 

BASILICO 

BELLIS MAGGIOR 

BELLIS MINIMO 

BELLIS MINOR 

BETONINA 

BIETOLA SELVATICA 

BIETOLE BIANCHE 

BIETOLE NERE 

BIETOLE ROSSE 

BISTORTA 

BLATTARIA 

BLITO BIANCO 

BLITO ROSSO 

BORAGINE 

BORSA PASTORALE 

BRASSICA, CIOÈ CAVOLI, sorti delle 
CAPUCCINE 

BRASSICA, CIOÈ CAVOLI, sorti dette 
CRESPE 

BRASSICA, CIOÈ CAVOLI, sorti dette 
CAVOLI CORZUTI 


BRASSICA, CIOÈ CAVOLI, sorti dette 
CAVOLI FIORI 


BRIONIA 
BUFTALMO 
BUGLOSA 


CALAMINTA 
CALENDULA 

CAMEDRIO 

CAMEPITIO 

CANAPE 

CANNA 

CAPII. VENERE 

CAPPARI 

CARDO SANTO 

CARDO STELLATO 
CARDINA 

CARIOFILATA ALPESTRE 
CARLINA 

CAROTE 

CARPINO 

CARTHAMO 

CATAPUTIA 

CAUCALIDE 

CAUDA EQUINA, 0° CODA DI CAVALLO 


Numero 
Elenco 


50 
35 
38 
37 a 
AS 
37 b 
SI 
47 
406 a 
46 € 
46 b 
48 
45 
40) a 
40 h 
41 
43 


39 c 
SP. 


44 
42 


604 


Nome 
volgare 


CECI 

CENTAUREA MAGGIORE 
CENTAUREA MINORE 
CENTINODIA 
CERFOGLIO 
CHAMAMILI.A DOMESTICA 
CHAMAMILI.A SELVATICA 
CHAMEPITIO 
CHELIDONIA 
CHELIDONIA MINORI: 
CHONDRILA 

CICOREA HORTENSE 
CICOREA SELVAGGIA 
CICUTA 

CIMBALARIA 

CIMERI 

CIMINO, 0° COMINO 
CINQUE FOGLIA 
CIPOLLA 

CIREO 

CIRSO 


CISAMPELLOS, 0° CONVOLVULO, 0° 
VILLUCHIO 


CISTO FEMMINA 
CLEMATIDE FILAMULA JOVIS 
CILEMATIDE PRIMA, BETTIDA 
CLEMATIDE SECONDA 
CLIMENO 

COCUMERO 

COLCHICO 

CONIZA 

CONSOLIDA DOPPIA 
CONSOLIDA MAGGIOR 
CONSOLIDA REGALE 
CORIANDOLI 

CROCO. 0° ZAFFARANO 
CRUCIATA 

CUSCUTA 

CYANO MAGGIORE 

CYANO MINORE 

CYDAMINO 

CYNARA 

CYNOGLOSSA 


DAUCO SILVESTRE 
DENTE CANINO. 0° 
DISSACO 
DRAGONCELLO 
PRAGONTEA 


DENTE DI LEONE 


Numero 
Elenco 


103 
80 a 
80 b 

59 

81 
83 b 
83 a 

84 

85 
86 
87 
88 b 
88 a 
89 
62 
50 
Sì 
90) 
59 
105 
9I 


92 
104 
60 c 
6004 
66 b 
93 
73 
94 
95 
58 € 
58 a 
58 b 
906 
97 
(6 
9 
99 a 
99 b 
100 
102 
101 


109 
106 
108 
107 b 
107 a 


G. bE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Nome 
volgare 


ELEBORO BIANCO 
ELEBORO NEGRO, OVer ELEBORASTRO 
ENDIVIA DOMESTICA 

ENDIVIA SILVESTRE 

LNULA CAMPANA 

EPITHIMO 

ERINGIO 

ERISIMO, 0° IRIO 

ERUCA, 0° RUCHETTA HORTENSE 
ERUCA, 0° RUCHETTA SILVESTRE 
ERVO 

EUFRAGIA 

EUPATORIO 

ETIHAPIDE 


FABARIA 
FARFARA 

FELICE 

FENOCHIO 
FILPENDULA 

FIOR DI PRIMAVERA 
FRAGARIA 
FRASSINELLA 
FUMARIA 

FUNGHI diversi 


GALEGA 
GALEOPSI 

GALLE 

GALLIO 

GARIOFILLATA 

GARIOFOLI DOMESTICI 

GARIOFOLI SILVESTRI, PRIMA SORTE 
GARIOFOLI SILVESTRI, SECONDA SORTE 
GARIOFOLI SILVESTRI, TERZA SORTE 
GATTARIA, 0° ERBA GATTA 
GELSOMINI DI SPAGNA 

GELSOMINI SEMPLICI 

GENTIANA 

GERANIO 

GIACINTO SELVATICO 

GLADIOLO 

GRAMIGNA 

GRANO 

GIGLIO BIANCO ORTENSE 

GINEPRO, 0° JUNIPERO 

GINESTRA 

GIRASOLE 

GIUNCO 


Numero 
Elenco 


119 b 
19 a 
IO a 
110 b 
IK] 
112 
114 
115 
1a 
113 b 
118 
117 
LI6 
120 


121 
122 
124 
126 
123 
125 
127 
128 
129 
130 


132 
133 
148 
131 
135 
134 a 
134 b I 
134 b2 
134 b 3 
145 
138 b 
138.a 
137 
141 
153 e 
142 
143 
147 
140) 
144 
136 
146 
139 


Nome 
volgare 


HEDERA ARBORFA 
HEDERA TERRESTRE 
HEMEROCALLE 
HIACINTI 
HIACINTI INDIANI 
HIERACIO 
HIOSCHIJAMO 
HIPECOO 
HIPERICON 
HIPPOLUPATA 
HISOPPO 


HORMINIO, 0° SCLAREA, Una spetie 
di horminio silvestre 


HORMINIO SILVESTRE, un altra spetie 
IRIDE 
KALI 


LAGOPO 
LAGRIME DI JOB, 0° 
I.AMBRUSCA 
LAMPRANA 

LAPATO 

LATIRI 

LATUCA HORTENSE CAPUCINA 

LATUCA HORTENSE CRESPA 

LATUCA HORTENSE ROMANA 

LATUCA SILVESTRE 

LAURA 

LAVANDA. 0° LAVANDULA 

LAVANDA MASCHIO delta SPICO ITALIANO 
LEUCAIO CIOÈ VIOLARI DI VIOLE BIANCHE 
LEUCAIO CIOÈ VIOLARI DI VIOLE GIALLE 
LEUCAIO CIOÈ VIOLARI DI VIOLE ROSSANE 
LEUCAIO CIOÈ VIOLARI DI VIOLE ROSSE 
LEUCANTHA 

LENTE DOMESTICA 

LENTE SILVESTRE 

LICHINDE 

LIGUSTRO 

LILLO CONVALLIO 

LIMONIO 

LINARIA 

LINGUA SERPENTINA 

LINO 

LISIMACHIA 

LUPOLI 

LUPPA 


LATOSPERMO 


99 


Numero 
Elenco 


149 b 
149 a 
150 
153 a 
153 b 
ISI 
154 
155 
150 
158 
157 


152 a 
152 b 


159 
160) 


182 
I61 
180 
164 
105 
179 
162 b 
162 a 
162 e 
163 
183 
167 
192 b 
169 a 
169 d 
169c 
169 b 
177 
168 a 
168 b 
176 
IS8I 
170 
171 
172 
178 
173 
175 
174 
166 


100 G. pe Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol XXI, 1991, p. 9-115 


Nome Numero Nome Numero 
volgare Elenco volgare Elenco 
MAGGIORANA 184. PERFOGLIATA 219 
MALVA 185 a PERICLIMENO 218 
MALVA ALTHEA 185 Db PIANTAGGINE 223 a 
MALVA ARBOREA di varij colori 185 € PIANTAGGINE ACQUATILE 223 b 
MALVA VISCHIO di vari) colori 185 d°PILOSELLA 221 
MANDOLE 200 PIMPINELI.A 222 
MARASCIIE 201 PINO DOMESTICO 233 a 
MARTAGON 188 PINO SILVESTRE 233 b 
MARUBIO 186 PLITIDI: 220) 
MASTRUZZI 196. PoLIGMATO 224 
MATRICARIA 187. Pon PRIMO 234 
MELIENZANI: 197. PONPODIO 225 
MELISSA 190 POLITRICIO 226 
MELLONI 291 b pori Ra 
MELONI 199 PORTULACA 227 
MELUNTHO 189 a PRIMULA VERIS 229 
MELUNTHO SILVESTRTE detto PULEGIO 230) 
SPEUDO MELUNTHO 189 b PULMONARIA 331 
MENTA GRECA 192 a Ru Sansa 237 
MENTA ROTONDA 191 ° 
MENTASIRO 133 RAMPONZOLO 238 
MERCORELLA FEMINA 194 b fa 
i / RANUNCOLI DIVERSI 235 a, b, c, d 
MERCORELLA MASCHIO 194 a ari 936 a 
MILLE FOLIO 195 s mi 
MOSCO TERRESTRE 198 RAGRLRA Del 
RAPHANO RUSTICANO DAT 
NARCISI DI PIÙ SORTE 202 a, bc RASERMRUROS 245 
NASTURTIO, O° AGRETTI 203 ROSEZBIANGHE 240 b 
NIMIERA 204 ROSE PURPUREE 240) c 
ROSE ROSSE DAMASCIENE 240) a 
OCIMOIDE 206: ROSMARINO 239 
OLIVO 193 RUBIA 242 
OLIVO: DOMESTICO 212a  RUCHETTA, O° BUCOLA, ERUCA 244 
OLIVO SILVESTRE DI Qi: RUSGO 241 
OLMO 213 RUTA 243 
OPIO 214 
OROBANCHE 208 SALVIA 246 
ORTICA CHE NON PUNGE 207 bh SAMBUCO 267 
ORTICA COMMUNE 207 a SCALOGNE 228 
ORTICA FETIDA 207 € SANICOLA 247 
ORZO 211 SATUREIA 248 
OXILAPATO 210) SAXIFRAGIA HERCINA DEL MATHIOLI 249 b 
OXIRIDE 2()9 = SAXIFRAGIA TERZA DEI. MATHIOLI 249 a 
OZIMO idest BASILICO 20)5 SCABIOSA 250 
SCLAREA 268 
PARIETARIA 215 SCOLOPENDRIA, 0 CETRACH 251 
PARONICHIA 217 SCORZONERA 252 
PASTINACA DOMESTICA 6 bb SCROFOLARIA 266 


PASTINACA SII. VESTRE 6a SELINO 269 


G. pe Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Nome 
volgare 


SEMPREVIVO MAGGIORE 

SEMPREVIVO MINIMO 

SEMPREVIVO MINORE 

SENAPE 

SENECIO 

SERPENTINA DEL MATHIOLI 

SERPILLO 

SIDERITE HERACLEA 

SINPHITO MAGGIOR idest CONSOLIDA 
MAGGIORE 

SISEMBRO ACQUATICO 

SISEMBRO DOMESTICO 

SISEMBRO SELVATICO 

SMIRNIO 

SOLATRO ALICACOBO, 0° VESICARIA 

SOLATRO HORTENSE 

SONCO LISCIO 

SONCO ASPRO 

SPINAZZI 

STRAMONIO 


AMBRA 


TANACETO MAGGIORE, Seu ATHANASIA 
MATHIOLI 


TESTICOLO DI CANE, PRIMA SPETIE 
TESTICOLO DI CANE, QUARTA SPETIE 
TESTICOLO DI CANE, QUINTA SPETIE 
TESTICOLO DI CANE, SECONDA SPETIE 
TESTICOLO DI CANE, TERZA SPETIE 
TIIMBRA 

THIPHA 

THITIMALO CARACIA 

THITIMALO CIPARISSO 


Numero 
Elenco 


Www 
POLO: 
DDD 
To» 


264 
258 a 
258 b 
258 c 

259 
260) b 
260) a 
261 a 
261 b 

262 

263 


Nome 
volgare 


THITIMALO DENDRAIDE 
THITIMALO ELIOSCOFILO 
TLAPSI 

TORMENTILLA 

TRAGOPOGONO 

TRIFOGLIO ACETOSO 
TRIFOGLIO GIRGIDIO 
TRIFOGLIO PRATENSE 

TRINITAS 

TRISSAGINE idest CHAMEDRIOS 


TULIPANI PERSIANI DI SEI FOGLIE TRE 
ROSSE, E TRE BIANCHE 


TULIPANI PERSIANI TUTTI GIALLI 
TULIPANI PERSIANI TUTTI ROSSI 
TULIPANI PERSIANI VERGUTI 


VALERIANA SILVESTRE MINORE 
VENA, 0° AVENA 

VERBASCO 

VERBENA RECTA 

VERBENACA VOLGARE 

VIOLE BIANCHE 

VIOLE PAVONAZZE 

VIOLE PURPUREE 

VITE BIANCA idest VIDALBA, 0° BRIONIA 
VITE NEGRA 

VITE VINIFERA 


XIRIDE 


ZEA 
ZUCHE 


101 


Numero 
Elenco 


274 b 
274 a 
279 
281 
275 
276 c 
276 b 
276 a 
2717 
282 


278 a 
278 c 
278 b 
278 d 


284 
283 
285 
286 a 
286 b 
287 c 
287 b 
287 a 
288 b 
288 a 
289 


290 


102 G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


NOMENCLATURA SCIENTIFICA 
DELLE ENTITÀ FLORISTICHE RICHIAMATE 


n. rit. Elenco n. rif. Elenco 
Jevent. ripetiz. Jevent. ripeliz. 
ACANTHUS BALCANICUS Heyw. et ANTHEMIS TINCTORIA L. 41 
Richardson 3 ANTHEMIS TRIUMFETTI (1.) DC, 44 Il 
ACHILLEA MILLEFOLIUM aggr. 195 ANTHRISCUS CEREFOLIUM (L..) Schreber. 65 
ADIANTUM CAPILLUS-VENERIS L. 63 AQUILEGIA VULGARIS L. 29 
AGRIMONIA EUPATORIA LL. 18/116 ARCTIUM LAPPA L.. 35/166 
AGROSTEMMA GITAGO LL. 189b  ARISTOLOCHIA ROTUNDA L. 160 
AJUGA CHAMAEPITYS (L.) Schreber. 65 ARMORACIA RUSTICANA Gaertner, 
ALCEA ROSEA L. 185c Meyer et Scherb. 237 
ALISMA PLANTAGO-AQUATICA LL. 223b  ARTEMISIA ABROTANUM L.. 7a 
ALLIUM ASCALONICUM L. 228c ARTEMISIA ABSINTHIUM |. 33 
ALLIUM CEPA L. 59 ARTEMISIA CAMPESTRIS LL. I7e 
ALLIUM PORRUM L. 2284 ARTEMISIA COERULESCENS L. 32 
ALLIUM SATIVUM L. 228 b ARTEMISIA DRACUNCULUS LL. 107 b 
ALLIUM URSINUM L. 19 ARTEMISIA VULGARIS L. 9 
ALTHAEA CANNABINA L. 25 ARUM MACULATUM L. 4 
ALTHAEA OFFICINALIS L. 185 b/185d ARUNDO DONAX L. 72 
AMARANTHUS LIVIDUS L.. 40b. ASARUM EUROPAEUM L. 28 
ANCHUSA IFALICA Retz. 42 ASPARAGUS ACUTIFOLIUS L. 8bIII 
ANCUSA OFFICINALIS L. 27 ASPARAGUS MARITIMUS (L.) Mill. 8b2 
ANEMONE CORONARIA L. I ASPARAGUS OFICINALIS L. 8a 
ANEMONI: HORTENSIS L. 13 ASPARAGUS TENUIFOLIUS L. 8bII 
ANEMONE PULSATILLA L. 232 AspHODELUS ALBUS Miller Dia 
ANETHUM GRAVEOLENS L. 290 ASPHODELINE LUTEA (L.) Rchb. 2b 
ANGELICA SYLVESTRIS L. 3040 ASPLENIUM RUTA-MURARIA L. 217 
ANTHEMIS ARVENSIS L. subsp. ARVENSIS 83 a ASPLENIUM TRICHOMANES L. 2206 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Arri, vol. XXI, 1991, p. 9-115 103 


n. ri. Elenco 
Jevent. ripetiz. 


ASTER AMELLUS L. 23 
ATHAMANTA TURBITI (L.) Brot. 2491 
ATRIPLEX HORTENSIS L.. 14 a 1/14 a2 
ATRIPLEX LATIFOLIA Wahlenb. I4c 


ATRIPLEX PATULA L. 14b2 
ATRIPLEX PATULA L. var. ANGUSTIFOLIA 

(Sm.) 14b1 
AVENA SATIVA L.. 283 


BALLOTA NIGRA L. subsp. FOETIBA 
Hayek 361 
BALLOTA NIGRA L. subsp. VELUTINA 


(Pospichal) Patzak 36 Il 
BALSAMITA MAJOR Desf 192a 
BELLIS PERENNIS LL. 37 b/229 
BELLIS SYLVESTRIS Cyr. Se 
BETA VULGARIS L. subsp. MARITIMA 

(1..) Arcang. 47 
BETA vULGARIS L. subsp. VULGARIS 

var. CICLA L. 4604 
BETA VULGARIS L. subsp. VULGARIS 

Var. RAPA L. 46b 
BETA VULGARIS L. subsp. VULGARIS 

Vir. RUBRA DC. 46c 
BORRAGO @FFICINALIS L. 4l 
BRASSICA OLERACEA convar. ACEPHALA 

DC. cv. GONGYLODES L. 39d 


BRASSICA OLERACEA convar. BOTRYTIS 
cv. BOTRYTIS L. 39c 
BRASSICA OLFRACFA convar. CAPITATA 


CV. CAPITATA LL. 39b 
BRASSICA OLERACEA CONVaAr. CAPITATA 

CV. SABAUDA L. 39 a 
BRASSICA RAPA L. subsp. SYLVESTRIS 

L. Janchen 2364 
BRYONIA ALBA L. SVI 
BrvyonIA DIVICA Jacq. 52 11/288 b 
BUPLEURUM ROTUNDIFOLIUM L.. 219 
CALAMINTHA NEPETA (L.) Savi 74 
CALENDULA OFFICINALIS L. 64 
CAMPANULA RAPUNCULUS L. 238 
CANNABIS SATIVA L.. 67 
CAPPARIS SPINOSA L. 75 
CAPSELLA BURSA-PASTORIS (L.) 

Medicus 43 
CARDUUS DEFLORATUS L. 91 
CARLINA CAULIS L. 78 b 


n. rif. Elenco 
event. ripetiz. 


CARLINA ACAULIS L. var. ALPINA 


Jacq. Ta 
CARLINA VULGARIS L. 71 
CARPINUS BETULUS L. 69 
CARTHAMUS TINCTORIUS L. 76 
CARUM CARVI L.. 57 
CELOSIA CRISTATA L. 24 
CENTAUREA CALCITRAPA L. 70) 
CENTAURFA CENTAURIUM L. 80a 
CENTAURFA CYANUS L.. 99b 
CENTAURFA TRIUMPETI All 9 a 
CENTAURIUM ERYTHRAFA Rafn 80b 
CETERACH OFFICINARUM DC. 251 
CHELIDONIUM MAJUS L. 85 
CHENOPODIUM ALBUM L. 40 a 
CHENOPODIUM MURALI: L. 14b3 
CHONDRILLA JUNCFA L. 87 
CICER ARIETINUM L. 103 
CICHORIUM ENDIVIA L. 110 
CICHORIUM INTYBUS L. I10b 
CICHORIUM INTYBUS L. var. INDIVISUM 

Vis. 88 b 
CICHORIUM INTYBUS L. var. SYLVESTRE 

Vis. 88a 
CISTUS SALVIFOLIUS L. 104 
CITRULLUS LANATUS (Thund.) Mansfeld. 291 c 
CLEMATIS FLAMMULA L. 66c 
CLEMATIS VITICELLA L. 66b 
CNICUS BENEDICTUS L. 68 
COLCHICUM AUTUMNALE L. 94 
CONIUM MACULATUM L. 89 
CONSOLIDA A4AC1S (1..) Schur 58 
CONSOLIDA REGALIS S.F. Gray 58 b 
CONVALLARIA MAJALIS L. 170 
CONVOLVOLUS ARVENSIS LL. 92 
CORIANDRUM SATIVUM L. 96 
CORYLUS AVELLANA L. 12 
CROCUS RETICULATUS Steven 97 
CUcumis MELO L. 199/291 b 
CUCUMIS sATIVUS L. 73b 
CUSCUTA EPITHYMUM L. 112 
CUSCUTA EUROPAFA L. 9 
CYMBALARIA MURALIS Gaertn. Mey. et 

Sch. 62 
CYNARA CARDUNCULUS L. subsp. 

scoLymus (L.) Hayck 102 
CYNARA CARDUNCULUS L. subsp. 

SCOLYMUS (L.) Hayck 6 
CYNODON DACTYLON (L.) Pers. 143 


CYNOGLOSSUM OFFICINALE L. 101 


104 G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Azti, vol XXI, 1991, p. 9-115 


n. rif. Elenco 
event. ripetiz. 


DATURA STRAMONIUM L. 263 
DAUCUS CAROTA L. subsp. CAROTA 2164 
DAUCUS CAROTA L. subsp. SATIVUS 

(Hoffm.) Arcang. 60) 
DIANTHUS ARMERIA L. 134b2 
DIANTHUS CARTHUSIANORUM L. 134b | 
DIANTHUS MONSPESSULANUS L. 143b3H 
DIANTHUS SYLVESTRIS Wulfen 1436531 
DIANTHUS CARYOPHYLLUS L. var. 

CORONARIUS L. 134a 
DICTAMNUS ALBUS L. 128 
DIPLOTAXIS TENUIFOLIA (L.) DC. 113 b/244 
DIPSACUS FULLONUM L. 108 
DRACUNCULUS VULGARIS Schott. 170 a 
DRYOPTERIS FILIX-MAS (L.) Schott. 124 
ECBALLIUM ELATERIUM (L.) RIch. 73a 
EQUISETUM ARVENSE L. 54 II 
EQUISETUM HYEMALE L. 54111 
EQUISETUM TELMATEIA Ehrh. 541 
ERODIUM MALACOIDES (L.) L'Hér. 141 b 
ERUCA SATIVA Miller 113a 
ERYNGIUM AMETHYSTINUM L. 114 
ERYSIMUM CHEIRI (L.) Crantz 169 d 
EUPHORBIA CHARACIAS L. 274c 
EUPHORBIA CYPARISSIAS L. 274d 
EUPHORBIA FLAVICOMA DC. subsp. 

VERRUCOSA (Fiori) Pign. 274g 
EUPHORBIA HELIOSCOPIA L. 2744 
EUPHORBIA LATHYRIS L. 79/179 
EUPHORBIA PARALIAS L. 274e 
EUPHORBIA PEPLUS L. 274t 
EUPHORBIA WULFENII Hoppe 274b 
EUPHRASIA LIBURNICA Wettst. 1171 
EUPHRASIA STRICTA D. Wolff. 117 H 
FILIPENDULA VULGARIS Moench 123 
FOENICULUM VULGARE Miller subsp. 

PIPERITUM (Ucria) Coutinho 1261II 
FOENICULUM VULGARE Miller subsp. 

VULGARE 1261 
FRAGARIA VESCA L. 127 
FUMARIA OFFICINALIS L.. 129 
GALEGA OFFICINALIS L. 132 
GALIUM APARINE L. 21 


n. rif. Elenco 
levent. ripetiz. 


GALIUM MOLLUGO L. 242 
GALLIUM VERUM L. 131 
GENTIANA CRUCIATA L. 61 
GENTIANA SYMPHYANDRA Murb. 137 
GERANIUM MOLLE L. I4la 
GERANIUM PURPUREUM Vill. I4l e 
GERANIUM ROTUNDIFOLIUM L. 14ld 
GEUM URBANUM L. 77/135 
GLADIOLUS ILLYRICUS Koch 142 II 
GLADIOLUS ITALICUS Miller 142 Il 
GLECOMA HEDERACEA L. 149 a 
HEDERA HELIX L. 149b 


HELLEBORUS MULTIFIDUS Vis. subsp. 
HISTRIACUS (Schitfn.) Merxm. et 


Podl. 119a 
HEPATICA NOBILIS Schreb 277 
HIBISCUS TRIONUM L. 155 
HIERACIUM PILOSELLA L. 221 
HORbEUM VULGARE L.. 211 
HUGUENINIA TANACETIFOLIA (L.) Rchb. 257 Il 
HumuLus Luputus L. 174 
HYOSscYAMUS NIGER L. 154 
HyYPERICUM PERFORATUM L. 156 
HYSSOPUS OFFICINALIS L. 157 
INULA HELENIUM L. III 
IRIS GERMANICA L. 159 
IRIS ILLYRICA Tommasini 290 I 
IRIs PSEUDOCYPERUS Schur. 290 Il 
JASMINUM GRANDIFLORUM L. 138 b 
JASMINUM OFFICINALE L. 138a 
JUNCUS CONGL.OMERATUS L. 139 
JUNIPERUS COMMUNIS L. 144 
LABURNUM ANAGYROIDES Medicus 20) 
LACTUCA SATIVA L. subsp. CAPITATA 

(L.) Janchen 162b 
LACTUCA SATIVA L. subsp. LONGIFOLIA 

(Lam.) Janchen 162 c 
LACTUCA SATIVA L.. var. CRISPA 

IBRESASE 162 a 
LACTUCA SERRIOLA L. 163 


LAGENARIA SICERARIA (Molina) 
Standley 29l a 


G. pe Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


n. rif. Elenco 
Jevent. ripetiz. 


LAMIUM ALBUM L. 133/207 c 
LAMIUM PURPUREUM L. 207b 
LATHYRUS LATIFOLIUS L. 93 
LAURUS NOBILIS L. 183 
LAVANDULA ANGUSTIFOLIA Miller 167 
LAVANDULA LATIFOLIA Medicus 192 b 
LENS CULINARIS Medicus 168 a 
LEONTODON AUTUMNALIS L. ISI 
LEOPOLDIA COMOSA (L.) Parl. 153a 
LEPIDIUM CAMPESTRE (L.) BR. 279 
LEPIDIUM SATIVUM L. 203 


LEUCANTHEMUM LIBURNICUM Horvatié 
var. AUTUMNALE (S. Amas) 


Horvatié 37a1II 
LEUCANTHEMUM LIBURNICUM Horvatié 

Var. LIBURNICUM 37a1V 
LEUCANTHEMUM PRAECOX Horvatié 

Var. PRAECOX 37alIl 
LEUCANTHEMUM VULGARE Lam. var. 

VULGARE 37al 
LIGUSTRUM VULGARE L. 181 
LILIUM BULBIFERUM L. 150 
LILIUM CANDIDUM L. 140) 
LILIUM MARTAGON L. 188 
LIMONIUM SEROTINUM (Rchb.) Pign. 171 
LINARIA vuLGARIS Miller 172/209 
LINUM USITATISSIMUM L. 173 
LITHOSPERMUM OFFICINALE L.. 161 
LONICERA CAPRIFOLIUM L. 218 
LYCOPODIUM CLAVATUM L. 198 
LYCOPUS EUROPARUS L. 256 
LYSIMACHIA VULGARIS L. 175 
MALVA NEGLECTA Wallr. 185 a 
MARCIHANTIA POLYMORPHA L. 176 
MARRUBIUM VULGARE L. 186 
MATRICARIA CHAMOMILLA L. 5/83 b 
MATTHIOLA INCANA (L.) R. Br. 169 abc 
MELISSA OFFICINALIS L. 190 
MENTHA AQUATICA L. 258c 
MENTHA LONGIFOLIA (L.) Hudson 1931 
MENTHA PULEGIUM L. 230) 
MENTHA SPICATA L. 193 II 
MENTHA sPICATA L. em. Harley var. 

CRISPATA Schrad. 50 
MENTHA SUAVEOLENS Ehrh. 191 
MENTHA x VILLOSA Hudson subsp. 

VELUTINA (Lej.) Briq. 258b 


n 


105 


rif. Elenco 


Jevent. ripetiz. 


MERCURIALIS ANNUA L. 194 ab 
MICROMERIA THYMIFOLIA (Scop.) 

Fritsch 248 
MOMORDICA BALSAMINA L. 49 
MUSCARI ATLANTICUM Boiss. et 

Reuter 153cI 
MUSCARI BOTRYOIDES (L.) Miller 153c1II 
NARCISSUS JONQUILLA L. 202b 
NARCISSUS PSEUDONARCISSUS L. 202c 
NARCISSUS TAZETTA L. 202a 
NASTURTIUM OFFICINALE R. Br. 258 a 
NÉPETA CATARIA L. 145 
NIGELLA SATIVA L. 189a 
NYMPHAEA ALBA L. 204 
OCIMUM BASILICUM L. 38/205 
OLEA EUROPAEA L. var. FUROPAEA  192c/212a 
OLFA EUROPAEA L. var. SYLVESTRIS 

Brot. 212b 
ONONIS SPINOSA L. subsp. ANTIQUORUM 

(L.) Arcang. 7 
OPHIOGLOSSUM VULGATUM L. 178 
OPHRIS FUCIFLORA (Crantz) Moench 271b 
ORCHIS MASCULA L. 27le 
ORCHIS MORIO L. 27la 
ORCHIs PALLENS L. 271d 
ORCHIS PAPILIONACEA LL. 27€ 
ORIGANUM MAJSORANA LL. 184 
OROBANCHE RAMOSA L. 208 
OXALIS ACETOSELLA L. 276c 
PAPAVER ARGEMONE LL. 2141V 
PAPAVER DUBIUM L. 214 II 
PAPAVER RHOEAS L. 2141 
PAPAVER SOMNIFERUM L. 214Il 
PARIETARIA DIFFUSA M. et K. 215 
PASTINACA SATIVA L. subsp. SATIVA 216b 
PETROSELINUM SATIVUM Hoffm. 269 
PEUCEDANUM CERVARIA (L.) Lapayr. 109 
PHYSALIS ALKEKENGI LL. 34/260 b 
PIMPINELLA ANISUM L. 30b 
PIMPINELLA MAJOR (L.) Hudson 249 b 
PINUS PINEA L. 23 a 
PINUS SYLVESTRIS L.. 233 b 
PLANTAGO HOLOSTEUM Scop. 254 


106 


n. rif. Elenco 
Jevent. ripetiz. 


PLANTAGO MAJOR L. DOBHI 
POLIANTHES TUBEROSA 1.. 153b 
POLYGONATUM ODORATUM (Miller) 

Druce 224 
POLYGONUM AVICULARE L. 55 
POLYGONUM BISTORTA L. 48 
POLYPODIUM VULGARE L. 225 
PORTULACA OLERACEA L. subsp. 

SATIVA (Haw.) Celak. 227 
POTENTILLA ERECTA (L.) Riuscel 281 
POTENTILLA REPTANS L. 90) 
PRIMULA VERIS L. subsp. COLUMNAE 

(Ten.) Liidi 125 
PRUNUS CERASUS L. var. MARASCA 

(RcHB.) 201 
Prunus puLcis (Miller) D. A. Webb 20)() 
PULICARIA DYSENTERICA (L.) Bernh. 95 
PULMONARIA OLFFICINALIS L. 231 
RANUNCULUS BULBOSUS L. 235d 


RANUNCULUS FICARIA L. 86 


RANUNCULUS SARDOUS Crantz 235b 
RANUNCULUS SCELERATUS L. 235 a 
RANUNCULUS VELUTINUS Tenore 295° 
RAPHANUS SATIVUS L. 236b 
ROSA ARVENSIS L. 240)b 
ROSA CANINA L. 240) d 
ROSA GALLICA L. 240) c 
ROSA GALLIGA X CANINA 240) a 
ROSMARINUS OFFICINALIS L. 239 
RICINUS COMMUNIS L. 146 
RUBUS BIERONS Vest 2451 
RUBuUs CANESCENS DC. 245 Il 


RUBUS ISTRIACUS Pospichal 245 


Rubus PrOcERUS P.J. Miiller 245 III 
RUBUS ULMIFOLIUS Schott 245 IV 
RUMEX ACETOSA L. 0a 
RUMEX ACETOSELLA L. 10 b 
RUMEX CRISPUS L. 165 
RUMEX CRISPUS X OBTUSIFOLIUS 210) 
RUMEX OBTUSIFOLIUS L. 158 
Ruscus ACULEATUS L. 241 
RUTA GRAVEOLENS LL. 243 
SALSOLA SODA L. 160) 
SALVIA ABTHIOPIS L. 120) 
SALVIA NEMOROSA L. 


152b 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


n. rif. Elenco 
event. ripetiz. 


SALVIA OFFICINALIS L.. 246 
SALVIA SCLAREA L. 152 a/268 
SAMBUCUS NIGRA L. 267 
SANGUISORBA MINOR Scop. 299 
SANICULA EUROPAEA L. 247 
SANTOLINA MARCHII Arrigoni 17b/17d 
SATUREJA HORTENSIS L. DITO: 
SCABIOSA COLUMBARIA L. 250) 
SCORZONERA HISPANICA L. 252 
SCROPHULARIA NODOSA L. 266 
SEDUM ACRE L. 253 c 
SEDUM ALBUM L. 253 b 
SEDUM MAXIMUM (L.) Suter 121 
SEMPERVIVUM TECTORUM L.. 25971 
SENECIO VULGARIS L. 265 
SILENE ALBA (Miller) Krause 206 
SILYBUM MARIANUM (L.) Gaertner 177 
SINAPIS ALBA L. 2571 
SINAPIS ARVENSIS L. 164 
SISYMBRIUM OFFICINALI (L.) SCOP. 115 
SMYRNIUM OLUSATRUM L.. 259 
SOLANUM MELONGENA L. 197 
SOLANUM NIGRUM L. subsp. NIGRUM 260) a 
SONCHUS ASPER (L.) Hill. subsp. 

NYMANI (Tinco et Guss) Hegi 261b 
SONCHUS OLERACEUS L. 261 a 
SPARTIUM JUNCEUM L. 136 
SPINACIA OLERACEA LL. 262 
STACHYS OPFFICINALIS (1..) Trevisan SI 
STELLARIA MEDIA (L.) Vill. 15 
SYMPHYTUM OFFICINALE L. 584/264 
TAGLTES ERECTA L. 56 
TAMUS COMMUNIS LL. 2884 


TANACETUM PARTHENIUM (L.) Sch.-Bip. 187 


TANACETUM VULGARL L. 270) 
TARAXACUM OFHICINALE Weber s.1. 

(Agg.) 106 
TEUCRIUM BOTRYS L. 84 
TEUCRIUM CHAMAEDRYS |. 82/282 
TEUCRIUM POLO LL. 234 
THYyMUS PULEGIOIDES L. 255 
TRAGOPOGON PRATENSIS L. 279 
TRIFOLIUM ARVENSE L. 182 
TRIFOLIUM PRATENSE L.. 2761 
TRITICUM AESTIVUM L. 147 


Triricum DICOCCON Schrank 2921 


G. be Simon, «Indice delli Semplici», Arti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 107 


TRITICUM SPRLTA L. 
TROPAROLUM MAIUS LL. 
TULIPA CLUSIANA DC. 
TULIPA GENSNERIANA L. 


TURGENIA LATIFOLIA (L.) Holfm. 


TUSSILAGO FARFARA L. 
TYyPHA LATIFOLIA L. 


ULmus Minor Miller 
URTICA DIDICA LL. 


VALERIANA WALLROTHII Kreyer 
VERATRUM ALBUM L. 


n. rif. Elenco 
event. ripetiz. 


292 IL 
196 
278d 
278abe 
53 

122 

273 


213 
207 a 


284 
119b 


n. rif. Elenco 
event. ripetiz. 


VERBASCUM BLATTARIA L. 45 
VERBASCUM THAPSUS LL. 285 
VERBENA OFFICINALIS L. 286/286b 
Vicia FERVILIA (L.) Willd. 118 
VICIA SEPIUM L. Il 
VINCA MINOR L. 664 
VINCETOXICUM HIRUNDINARIA Medicus 3I 
VIOLA ARVENSIS Murray 287 c 
VIOLA ODORATA L. 287 ab 
VITIS VINIFERA L. subsp. SYIVESTRIS 

(Gmelin) Hegi 180 


VITIS VINIFERA L. subsp. VINIFERA 289 


108 G. pE Simon, «Indice delli Semplici», Arr, vol. XXI, 1991, p. 9-115 


Ringraziamenti 


Un grato e doveroso omaggio va alla memoria del prof. Alessandro Cucagna, già direttore 
dell'Istituto di Geografia della Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Trieste: a Lui 
debbo infatti la prima proposta per la scelta di una ricerca nell’ambito di quel filone storico-co- 
rografico istriano che da sempre lo avvinceva; ed a Lui debbo anche i primi ritrovamenti — cer- 
to non casuali — di materiali utili per questo particolare settore d'indagine. 

Ma è stato soprattutto per il costante incitamento del prof. Luciano Lago, direttore dell’at- 
tuale Dipartimento di Scienze Geografiche e Storiche dello stesso Ateneo, che ringrazio qui an- 
che per avermi lasciato a disposizione il microfilm del manoscritto originale del Tommasini, se 
ho potuto condurre alla fine questa ricerca. 


Ringrazio ancora per la sua cortese e pronta disponibilità il dott. Claudio Poldrugo, diret- 
tore della Biblioteca Generale dell'Università di Trieste. ed i suoi Collaboratori, particolarmente 
la signora Orietta Orel, per il reperimento di materiale bibliografico alla Universititsbibliothek dli 
Lipsia, e la signora Alessandra Rinaldi per la consultazione degli originali testi mattiolani del 
Fondo di Storia della Medicina «Bruno Pincherle». 


G. DE Simon, «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 109 


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 


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ma, 1978, XIV+ 457. 


Baroni, Eugenio. Guida botanica d'Italia, ossia chiavi analitiche per determinare le piante 
spontanee che crescono nella penisola. Riveduta e corretta da Sara Baroni Zanetti, Bologna, 
Cappelli. 1969. XXXI+545. 


BATTAGLIA, SALVATORE & COLL. Grande dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 1961 — 
(32) 


CUCAGNA, ALESSANDRO. Le conoscenze dei fenomeni carsici della Venezia Giulia sino alla 
metà del secolo XVII, Trieste, Univ. Studi, Fac. Econ. e Comm., Ist. di Geogr., n. 3, 1959, 1- 
31. 


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1683, 1-36 [I cd. 1673]. 


TOURNEFORT |pE TOURNEFORT), JOSEPH. /nstitutiones Rei herbariae, Paris, Tip. Regia, 1700, 1 
(1-697), Il (1-250), III (251-476). III Ed. [Linn.] 1719. 


114 G. DE Simon, «Indice delli Semplici », Arti, vol. XXI, 1991. p. 9-115 


SAZETAK: »Kazalo obicnile G. E Tommasini-ja, Novigradskog biskupa XVII stoljeéa 
(istraZivatki pokuSaj o prvoj poznatoj dokumentaciji lijekovitog bilja na tlu Istre kao 
prilog upoznavanju povijesne Jarmakogeograffje) - Monsignor G.F. Tommasini, novi- 
gradski biskup od 1642. do 1653., napisao je jecino od prvih korografskih djela o Istri, 
bogatog dragocjenim podacima i svjedoCanstvima, ne samo povijesno-humanistitkog 
karaktera, veé i onima koji se odnose na razne grane geografske znanosti, ukIjuCujuci 
i farmakogeografiju. U prvom djelu njegovih »Komentara«, posebno u XVII poglaviju, 
popisano je c.ca 300 vrsta Ijekovitog bilja, od kojih su mnoge potanko specificirane u 
vise sorti, te Cesto lokalizirane prema ambijentu i po regionalnim teritorijima, koji pred- 
stavijaju bastinu »vijedifi Obiénih Provincije<. 

Autor u ovom radu, redigiranom u Sematskoj formi, pokusava pronaci znanstve- 
nu konkordancu medunarodne binominalne klasifikacije svakog »Obiénog«, pribjega- 
vajuci bilo veoma Sirokom ali i dvosmislenom sinonimiénom prilogu Botaniékih au- 
tora Cinquecenta i Scicenta, bilo odgovarajuéim narodnim nazivima Mattiola, u to vrije- 
me najvife u upotrebi. Za svaku cvijetnu jedinicu, tako ponovno identificiranu, utvr- 
deni su efektivni ckoloski zahtjevi i sadasnji areali, radi njihove prihvatIjivosti i upo- 
redbe sa onima oznacenim kod Tommasini-ja. 

Ovaj prilog spasavanju floristitkih  poznanstava Istre XVII stoljeta predstavija 
vrijedan osnov za daljnja istrazivanja i podstrek zastiti jedne delikatne bastine. Ciji bio- 
topi u nckim slutajevima veé propadaju. 


POVZETEK: /ndex Preprostil (Indice dei Semplici) G.FE. Tommasinija, $kofa v No- 
vem gradu iz 17. stolegia. ki je bil ponovno aktaliziran ob danaSnjem znansivenem 
poimenovanju (Poskus raziskave prve znane dokumentacije zdravilnih rastlin Istre kot 
prispovek k poznavanju zgodovinske farmaceviske gcografije) - Monsinjor Giacomo 
Filippi Tommasini, $kof v Novem gradu od leta 1642 do leta 1655, je napisal eno pr- 
vih korografij Istre, ki prinaSa veliko Stevilo dragocenih pri-Cevanj in dokumentov ne 
samo zgodovinsko-humanistiénega znacaja, temvet tudi tistihj, ki zadevajo 
najraziiéne ja podroîja zemljepisne znanosti, pri éemer tudi farmaceviska geografija ni 
izvzeta. Tako je v prvi knjigi razprav (Commentari) v poglavju XVII navedel pribliZno 
300 zdravilnih rastlin (ali dele ali izdelke rastlin); mnoge med njimi je razdelil na raz- 


G. DE Simon. «Indice delli Semplici», Atti, vol. XXI, 1991, p. 9-115 115 


ligne veste in dolotil njihovo lokacijo, pogosto glede na ambient, v katerem uspevajo 
in na regionalna podroéja, iz katerih izhajajo. Vse to je povezal v skupino, imenova- 
no »delli Semplici più rari della Provincia« (preproste in najredkefse rastline v pro- 
vinci). 

V tem delu — ki je nujno shematiCno — je avtor skuSal najti  znanstveno ime (in- 
ternacionalni binom) vsake »preproste« rastline in se pri tem posluZeval zelo bogate- 
ga, vendar tudi pogosto dvoumnega aparata sinonimov Botaninih piscev 16. in 17. 
stoletja (ki jih posebej navaja Linnei) ali pa odgovarjajoCih imen, ki so se uporablja- 
la v pogovornem jeziku, ki je bil tedaj najbolj v rabi. 

Za vsako rastlinsko enoto, ki je bila tako najdena, so se preverile resniéne eko- 
lo$ke potrebe in sedanfa podroCja, kjer uspeva, in da bi se jih primerjalo z onimi, ki 
jJih oznatuje Tommasini. 

Avtor upa, da bo ta skromni prispevek k poznavanju istrske flore v 17. stolet ju 
pomagal pri bodotih raziskavah in da bo prispeval k varstvu te obèutljive dediStine, 
katere ZivIjenjski prostor je v mnogih primerih Ze ogrozen. 


LA POPOLAZIONE DI PARENZO NEL SETTECENTO: 
ASPETTI, PROBLEMI ED EPISODI 
DEL MOVIMENTO DEMOGRAFICO 


EGIDIO IVETIC 

Camnizza (Pola) CDU 314(497.13Parenzo)«17» 
Saggio scientifico originale 
Maggio 1991 


Riassunto - L'autore, dopo aver delineato un profilo evolutivo della popolazione di Pa- 
renzo tra il XV ed il XIX secolo, si sofferma sull'analisi del movimento naturale, evi- 
denziando le principali congiunture nel Settecento. In base ai dati desunti dai libri par- 
rocchiali, vengono trattati pure gli aspetti più rilevanti della nuzialità e della stagiona- 
lità delle componenti naturali dell'evoluzione demografica.* 


Il. Le fonti 


L’origine della regolare tenuta dei registri nella maggior parte delle par- 
rocchie istriane risale all’epoca del Concilio di Trento, quando con i decreti del 
1573 venne imposto ai parroci l’obbligo di registrare gli atti di battesimo e di 
matrimonio. Specialmente dopo la visita apostolica del cardinale veronese Ago- 
stino Valier, avvenuta tra il 1579 ed il 1580, la prassi di tenere i libri parroc- 
chiali doveva aver preso un definitivo slancio. 


* Questo lavoro rientra in un quadro di ricerche più vasto sulla società, l'economia, la po- 
polazione e la vita privata a Parenzo tra il XVII ed il XVIII secolo. Si basa sui temi trattati 
nell’ambito della tesi di laurea «Ambiente sociale e movimento demografico a Parenzo nel Set- 
tecento», discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova nel luglio del 
1990). 

L'autore coglie l’opportunità per ringraziare i relatori, prof. Federico Seneca, Ordinario di 
Storia moderna, ed il prof. Franco Fasulo del Dipartimento di Storia dell'omonima Facoltà, i qua- 
li, con attenzione e con preziosi consigli hanno seguito l'evolversi delle ricerche e la stesura del- 
le bozze. Ringrazia inoltre il personale dell’ Archivo storico di Pisino per la cortese disponibilità: 
in modo particolare, l’archivista Jakov Jelintié, al quale deve molti utili suggerimenti nel corso 
della raccolta dei dati. 

! Le fonti parrocchiali usate sono le seguenti: Historijski Arhiv Pazin (H.A.P.) [Archivio 
storico di Pisino], Fond Poreé (= F.P.) [Fondo Parenzo] (= FP). 

Kutija 21 [Busta 21]: 1. Liber Baptizatorum 1657-1692 (= LB); 2. Liber Baptizatorum 1692- 
1709; 3. Liber Baptizatorum 1710-1734; 4. Liber Baptizatorum 1734-1745; 5. Liber Baptizato- 
rum 1745-1753. 

Kutija 22 [Busta 22]: 6. Liber Baptizatorum 1753-1765; 7. Liber Baptizatorum 1766-1791; 
8. Liber Baptizatorum 1792-1804. 


118 E. iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


Tuttavia, per la regione, esistono casi di registrazioni delle nascite avvenu- 
te prima o in contemporanea con il Concilio come attestano gli antichi Liber 
Baptizatorum di Umago (1483), Albona (1538), Valle (1538) e Rovigno (1560). 


Con il «Rituale Romanum» del 1614, imposto dalla costituzione «Aposto- 
licae Sedi» di Paolo V, oltre a sanzionare l’obbligo della registrazione degli at- 
ti di morte e della compilazione annua degli «Status Animarum», si diede un 
nuovo impulso alla regolamentazione generale dei libri canonici specificando il 
modo con cui applicare le norme stabilite. Solo nel Settecento però, dopo un 
secolo di esperienza alle spalle, la compilazione dettagliata dei dati anagrafici 
nei registri assunse un aspetto più preciso e ordinato. 

Per quanto riguarda i registri parrocchiali di Parenzo, non si conosce esat- 
tamente l’anno in cui iniziò la regolare tenuta. 


Presso l'Archivio storico di Pisino vengono conservati tutti i volumi dei li- 
bri canonici a partire dal 1657, ma si presume che ce ne siano stati degli altri 
prima di quella data. Secondo lo Jelintié, infatti, è difficile pensare che a Pa- 
renzo, sede vescovile di antica origine, non sia stato introdotto l'obbligo della 
tenuta dei registri prima della metà del Seicento, quando nelle altre parrocchie 
della medesima Diocesi i registri risalgono all’epoca del Concilio, se non ad- 
dirittura prima. 

Per un’analisi demografica completa ed obiettiva possono essere presi in 
considerazione solamente i registri che partono dal 1710-1711, ovvero da quan- 
do inizia la serie intatta dei libri canonici sino ai nostri giorni. Infatti secondo 
la testimonianza, riportata in una nota scritta nel libro dei battezzati del 1710- 
1733, del parroco Matteo De Rossi, che curò i registri a partire da quell’anno, 
i precedenti volumi, e cioè quelli del 1657-1692 e del 1692-1709, presentano 
molte lacune ed omissioni. 


Kutija 24 |Busta 24]: 13. Liber Copulatorum 1657-1705 (= LC): 14. Liber Copulatorum 
1710-1733: 15. Liber Copulatorum 1733-1753; 16. Liber Copulatorum 1753-1803. 

Kutija 25 [Busta 25]: 20. Liber Defunctorum 1710-1733 (= LD); 21. Liber Delunctorum 
1733-1753: 22. Liber Defunctorum 1753-1782. 

Kutija 26 [Busta 26]: 23. Liber Defunctorum 1783-1807. 

Mancano finora studi sistematici sulla visita apostolica del Valier nelle diocesi di Cittano- 
va, Parenzo, Pola e Pedena che si ritengono fondamentali per la comprensione della diffusione 
delle norme tridentine in materia di libri parrocchiali. Per quanto riguarda il territorio della dio- 
cesi di Trieste cfr. L. TAaccHELLA; M.M. TaccHeLLA, 7 cardinale Agostino Valier e la riforma 
tridentina nella Diocesi di Trieste, Udine, 1974. 

24 JELINCIC, «Najstarije matiéne knjige Poreda i Porestine» [I libri parrocchiali più antichi 
di Parenzo e del Parentino], Zbornik Poreéa [Miscellanea parentina], Parenzo, n. 2 (1987), p. 
173. 


3 Per questi aspetti cfr. AA.VV., Le fonti della demografia storica in Italia, Bologna, 1971- 
1972, cfr. la discussione a p. 913 e seguenti. 
+4. JELINCIC, op. cir., p. 172-173. 


5 H.A_P., FP. L.B. 1710-33, «Parenzo, Adì primo Genaro 1710. Ricevei lo D. Matteo De 
Rossi Arciprete Parocho di questa Città il suddetto Libro de Battezzati dal Signor Canonico Ales- 


E. IviTIc. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 119 


Il registro dei matrimoni del 1657-1705 risulta pure poco attendibile in 
quanto vengono segnati solo i matrimoni in cui uno o ambedue gli sposi sono 
residenti al di fuori della parrocchia di Parenzo; inoltre il numero dei matrimoni 
celebrati per anno risulta troppo esiguo se confrontato con quello della popola- 
zione presente nella città.® Infine, per quanto riguarda i registri delle sepolture, 
non ci sono volumi precedenti all'anno 1710. 


Durante tutto il secolo XVIII l'operazione quotidiana della tenuta dei libri 
e di altri scritti venne affidata ai seguenti parroci: don Matteo De Rossi curò i 
libri dal 1710 al dicembre del 1752, anno della sua morte;” don Antonio Ver- 
gottino, i libri dal 1752 all'aprile 1798;* don Pietro Predonzani, dalla fine del 
secolo ai primi decenni dell’Ottocento.? Tutti i registri sono stati scritti in lin- 
gua volgare. 

Tra le pagine dei libri parrocchiali venivano segnati non solo i dati ana- 
grafici, ma anche eventi eccezionali quali ad esempio nel registro delle nascite 
in data 16 aprile 1713, l’entrata del vescovo Vaira a Parenzo; il 22 ottobre 1716, 
l’esecuzione solenne del «Te Deum» in merito alla liberazione di Corfù; oppu- 
re nel registro delle sepolture, le morti dei Papi e le tragedie sul mare di im- 
barcazioni parentine. 


2. La registrazione del battesimo nei libri parrocchiali di Parenzo è gene- 
ralmente composta dai seguenti dati: data; nome del bambino (se noto, seguito 


sandri prò Arciprete senza registro de Battezzati de tanti Anni, come chiramente si vede, che 
perciò feci io Arciprete De Rossi, il mio Registro in un Libro nuovo de tutti li Battezzati sotto 
la mia Cura come si vede, e non volsi in questo libro registrare alcuna cosa perché osservai 
molte mancanze». 

SJ JELINCIC, op. cit., p. 176. 


? Matteo De Rossi (Parenzo. 1682-1752). di famiglia cittadina di Parenzo, fu creato arci- 
prete nel 1709 e parroco nel 1710. H.A.P., FP, L.D. 1733-53, Adì 27 Dicembre 1752. 

# Antonio Vergottino (o Vergottin) (Parenzo, 1716-1798), dottore in entrambi i diritti, fu 
nominato parroco di Parenzo nel 1752. Si distinse per la composizione di un’opera di carattere 
agiografico, «Memorie storiche delle reliquie dei SS. Martiri Mauro ed Eleuterio» scritta nel 1749. 
Fu uomo dotto e pedante nell’espletare i suoi doveri di parroco. F. BAaBUDbRI, «Parenzo nella sto- 
ria ecclesiastica», Arti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria = AMS), 
vol XXVI (1910), p. 142. 

° Don Pietro Predonzani fu Vicario generale, arciprete e parroco a partire dal 1798. Quan- 
do la sede episcopale restò vacante dopo la morte del vescovo Polesini nel 1819, il Predonzani 
diresse gli atfari della Diocesi fino al 1827 quando fu nominato il nuovo vescovo, il dottor An- 
tonio Peteani. Secondo il cronachista rovignese Angelini, il Predonzani fu un uomo erudito, ca- 
ritatevole ed esemplare. Un altro dei meriti di questo parroco parentino fu l'attività nella propa- 
ganda per l'introduzione della coltura della patata nelle campagne istriane agli arbori dell’Otto- 
cento. Nel 1820 pubblicò a Venezia un’opera di carattere educativo ed economico Discorso ed 
istruzione agro-economica per uso de parrochi e de proprietari dell'Istria. G. RADOSSE A. PAU- 
LETICH, «Repertorio Alfabetico delle Cronache di Rovigno di Antonio Angelini», Arzi del Centro 
di Ricerche storiche di Rovigno (= ACRSR), vol. VII (1976-77), p. 365: E. API, «Contributo al- 
la storia dell'agricoltura istriana (1750-1830)», ACRSR, vol. IV (1973), p. 127-129. 


120 E. IverIc, La popolazione di Parenzo nel Settecento. Azzi, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


da «filio» 0 «filia di»); nome e cognome del padre, seguito spesso dal mestie- 
re che esercitava; nome della madre con il cognome da nubile; stato civile dei 
genitori, solitamente espresso con la formula «iugali»; data di nascita del bam- 
bino (in molti casi anche l'ora); sacerdote che battezzava (nome, cognome e 
grado); parrocchia di appartenenza dei genitori; nome e cognome dei testimo- 
ni; parrocchia di appartenenza dei testimoni. I casi di nascite illegittime di so- 
lito sono segnati con la formula «cuius parentes ignorantur», per 1 bambini ri- 
trovati abbandonati in fasce di cui non si conosceva nessuno dei genitori, e con 
la formula «cuius pater ignoratur», per i casi in cui era nota solo la madre. 

Nei registri dei battesimi vengono indicati non solo i neonati della città di 
Parenzo ma anche quelli provenienti dalle «Ville» di Maggio, Varvari e Cerva- 
re che rientravano nella stessa parrocchia, nonché quelli di altri villaggi limi- 
trofi che appartenevano alle parrocchie prossime a Parenzo oppure avevano una 
propria fonte battesimale, come Villa Monsalise, Villa Valcarino, Villa Mon- 
ghebbo, Villa Dracevaz, Villa Foscolino, Villa Cosinosich e Sbandati. 

All’inizio di ogni libro curato dall’arciprete De Rossi sono elencati i nomi 
delle levatrici alle quali era consentito di impartire il battesimo in caso di ne- 
cessità, ossia «sub conditione», quando cioè il pericolo di morte del bambino 
era imminente. 

Vi sono pure segnati interessanti casi di conversione alla fede cristiana cat- 
tolica di soldati appartenenti ad altre religioni o confessioni e stanziati tempo- 
raneamente nella città di Parenzo: per esempio il 25 maggio 1730 venne im- 
partito il battesimo ad un musulmano bosniaco, il 13 gennaio 1734 a due te- 
deschi luterani, il 22 marzo 1721 ad un calvinista svizzero. 

Esiste un unico caso, registrato il 7 aprile 1745, in cui venne impartito il 
battesimo ad un bambino nato su una galera diretta verso il Levante, durante il 
tragitto da Venezia a Parenzo. 


3. Nello schema abitualmente usato dai parroci parentini per segnare l’at- 
to della sepoltura troviamo riportati la data della sepoltura, il nome e il cogno- 
me del defunto, il nome del padre (presso le donne il nome del marito), lo sta- 
to civile del defunto, la parrocchia di appartenenza, l’età al momento del de- 
cesso (in rari casi viene omessa), la data del decesso (indicata spesso l’ora), le 
cause del decesso, i sacramenti ricevuti, il sacerdote ufficiante (nome, cogno- 
me, grado), il luogo della sepoltura. 

Nella maggior parte dei casi per gli uomini è indicata la professione op- 
pure il nome è preceduto da titoli come «Signor cittadino» o «Nobile di que- 
sta Città», dai quali si può desumere il ceto sociale d’appartenenza. 

Nei registri sono segnati regolarmente i defunti di Villa Monghebbo, in se- 
guito ad un’accordo avvenuto nel Seicento, di cui non si conosce la data, tra i 
«villici» ed i parroci della cattedrale parentina. Di questo fa menzione l’arci- 
prete De Rossi nel registro delle sepolture 1733-53, in un «Avvedimento ad per- 
petuam rei memoriam», datato 1749, spiegando che i contadini della Villa: 


E. Ivemic, La popolazione di Parenzo nel Settecento. Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 121 


«... hanno così sempre usato non solo con me ma ancora con gli 
Antecessori Arcipreti col darmi anco la Candella e pagarmi la scor- 
ta more solito, hoggi faccio la nota che sono quarant'anni che eser- 
cito l’ Arcipretura». 

Similmente come accade nei libri dei battesimi anche in quelli delle se- 
polture sono iscritti i defunti non solo di Parenzo, ma anche di Villa Maggio, 
Cervare e Varvari, nonché di altri villaggi limitrofi non appartenenti alla par- 
rocchia parentina, come Villa Monsalise, Villa Dracevaz, Villa Valcarino e Sban- 
dati. 

Sono inoltre indicati, a volte, i marinai e gli stranieri morti durante la so- 
sta delle navi di passaggio nel porto parentino. In genere per tutti gli stranieri 
capitati in città e lì deceduti veniva specificato il luogo di provenienza. 

Tra i deceduti sono registrati anche i bambini che hanno avuto il battesi- 
mo «sub conditione» dall’ostetrica approvata. Non essendo iscritti nel libro dei 
battesimi, per correttezza statistica sono stati aggiunti alla somma dei nati. La 
notevole e diffusa presenza di levatrici approvate permette di ritenere che po- 
chi dei bambini nati a Parenzo siano stati esclusi dalla registrazione. 


4. Le notizie che vengono fornite nella registrazione dei matrimoni sono: 
data del matrimonio; adempimento all’obbligo delle pubblicazioni o deroga par- 
ziale o totale; nome e cognome dello sposo e nome del padre (spesso è indi- 
cato anche il mestiere); suo luogo di nascita; luoghi dove abitava; parrocchia 
di appartenenza dello sposo al momento delle nozze; nome e cognome della 
sposa e nome del padre di essa; luogo di nascita; luoghi dove abitava; parroc- 
chia di appartenenza della sposa al momento delle nozze; riconoscimento del- 
lo stato libero degli sposi; sacerdote che presenziava al sacramento; nomi dei 
testimoni; loro parrocchia di appartenenza. 


L’età degli sposi non è mai indicata. 


S. Per rilevare la somma totale degli abitanti presenti a Parenzo nel corso 
del Settecento si è fatto uso di dati forniti sia dalle fonti edite sia da quelle ine- 
dite. Tra le fonti inedite particolarmente sono stati presi in considerazione i vo- 
lumi delle Anagrafi venete riguardanti l’Istria, le quali però coprono il periodo 
della seconda metà del secolo (1766-1790);'° per i primi decenni del Settecen- 
to si è fatto riferimento alle relazioni delle visite pastorali, che pur non essen- 
do una fonte rigorosamente demografica, forniscono spesso il numero com- 


!© Archivio di Stato, Venezia (= ASV), Deputati ed Aggiunti alla Provvision del Denaro 
Pubblico, Anagrafi venete, 1766-1770, vol. V e Registro delle Anagrafi Generali (1790); Biblio- 
teca Nazionale Marciana, Venezia (BNM), Deputati ed Aggiunti alla Provvision del Denaro Pub- 
blico, Anagrafi di tutto lo Stato, 1766-1770, 1771-1775, vol. V. 


122 E. IvETIC. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Afri, vol XXI, 1991, p. 117-185 


plessivo degli abitanti diviso in anime «da comunione» e «da non comunione», 
ovvero i bambini al di sotto dei sette anni di vita." 


Le Anagrati venete erano nate per evidenziare in termini quantitativi tutta 
la popolazione e le attività economiche nella Repubblica.'* La rilevazione pro- 
mossa dai vertici governativi veneziani consisteva in un’«universale descrizio- 
ne del numero e qualità delle persone d’ogni condizione, delle arti così libera- 
li come «meccaniche».'* 


L’originalità delle Anagrafi del 1766, in confronto ai censimenti preceden- 
ti, poggia sul fatto che per la prima volta l’indagine venne estesa su tutto il ter- 
ritorio della Serenissima e che i dati raccolti furono stampati in cinque apposi- 
ti volumi. Per attuare l’opera fu coinvolta la fitta rete di parrocchie che rap- 
presentavano le unità territoriali di base per qualsiasi rilevamento e, con l’im- 
pegno dei parroci e sotto la sorveglianza dei rettori, l’intera operazione fu com- 
piuta entro il tempo prestabilito di due mesi.'* Le rilevazioni si susseguirono 
nei quinquenni 1766-1770, 1771-1775, 1780-1784. Il 1790 è l’ultimo anno di 
cui disponiamo di dati completi. Essi sono raccolti in libri manoscritti in quan- 
to il Senato decise di sospendere la pubblicazione per via dell’eccessivo costo. 

I dati relativi alla Provincia dell'Istria, e di conseguenza per la podesteria 
di Parenzo ed il suo territorio, sono completi per i quinquenni 1766-1770," 
1771-1775 e per il 1790, mentre i fascicoli riguardanti l’Istria per il quinquen- 
nio 1780-1784, conservati presso l'Archivio di Stato di Venezia, risultano non 
compilati. 

Nell’Archivio della Curia vescovile di Parenzo vengono conservati in di- 
versi volumi non numerati, i resoconti stesi in occasione delle visite pastorali 
effettuate nella diocesi lungo l’arco di tempo che va dal 1600 al 1779. Lo sco- 
po delle visite diocesane effettuate personalmente dal vescovo o eventualmen- 
te da un sostituto era generalmente la predicazione della parola divina, il con- 
trollo dell’amministrazione dei beni ecclesiastici e dei sacramenti, la verifica 
della disciplina religiosa e morale presso il clero e i fedeli. Le relazioni delle 
visite appaiono come questionari su tutta la materia di cui è oggetto la stessa 
visita con le corrispettive risposte riferite dagli ecclesiastici e fedeli interrogati 


!! Arhiv Biskupskog Ordinarijata Poreî (= ABO?P) {Archivio della Curia vescovile di Pa- 
renzo], Visitationes: 1600, 1634, 1645, 1649, 1653, 1656, 1658, 1663, 1667-68, 1676, 1683, 1710, 
1714, 1719. 1726, 1730, 1732-33, 1736, 1740-41, 1747, 1779. 


? D. BeLTRAMI, Storia della popolazione di Venezia dalla fine del secolo XVI alla caduta 
della Repubblica, Padova 1954, p. 9-13. 

18 R. ConTENTO, «Il censimento della popolazione sotto la Repubblica Veneta». Nuovo Ar- 
chivio Veneto, Venezia. vol. 19-20 (1920), p. 77-79. 

4 Jbidem, p. 92. 

51 dati rilevati dalle Anagrafi venete relativi esclusivamente alle Podesterie sono stati pub- 
blicati da G. Netto, «L'Istria veneta nell’anagrafe del 1766», AMSI, n.s., vol. XXIII (1975), p. 
225-254. 


E. IvETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti. vol. XXI, 1991, p. 117-185 123 


dal vescovo. Nelle testimonianze dei parroci spesso viene riferito il numero com- 
plessivo degli abitanti di una parrocchia, rendendo così possibile la ricostruzio- 
ne dell’evoluzione demografica per i periodi in cui mancano censimenti uffi- 
ciali e in genere fonti affidabili. 

Nelle visite pastorali compiute nella diocesi di Parenzo nel corso del Sei- 
cento emerge l'interesse da parte dei prelati, per l'eventuale presenza nelle co- 
munità parrocchiali di eretici, concubinari pubblici, streghe, bestemmiatori o per 
altri aspetti di comportamento sociale degli individui in contrasto con le rego- 
le di vita stabilite dalla chiesa dopo il Concilio tridentino."° 


Questa attenzione allo stato morale dei fedeli diminuisce durante il Sette- 
cento, quando le visite assumono un aspetto più formale di rituale controllo. 

Sull’attendibilità e la genuinità delle Anagrafi venete!” e delle visite pa- 
storali in quanto fonti demografiche ci sono presso gli studiosi, opinioni di- 
scordanti. Una definizione molto critica nei confronti di questo genere di do- 
cumenti è stata data da uno dei massimi demografi storici italiani, Athos Bel- 
lettini, il quale esclude che sia lecito valutare una popolazione in base alle sti- 
me dei parroci o dei vescovi nelle visite pastorali. Egli considera poi le Ana- 
grafi venete non un documento di «base», bensì «derivato», i cui dati sono sta- 
ti formulati riferendosi ai giudizi e alla mentalità dei compilatori, spesso poco 
obiettiva.'8 AI di là delle dispute in merito al valore delle singole fonti demo- 
grafiche, in questa sede sono stati presi in considerazione i sopraccitati docu- 
menti in mancanza di altri tipi di stime della popolazione che possano definire 
anche sommariamente i processi demografici in atto nel corso del Settecento. 


6. Ritornando alle iscrizioni dei battesimi, il numero delle registrazioni di 
bambini esterni non si presenta considerevole in quanto su 7953 battesimi se- 
gnati nei libri dal 1711 al 1800, i nati dei residenti a Parenzo rappresentano 
1°83,71%. Il numero dei battezzati provenienti da fuori diminuisce progressi- 
vamente col tempo, dimezzandosi quasi del 50%, passando dalle 204 unità per 
il decennio 1711-1720, alle 108 unità dell’ultimo decennio del secolo. Per mag- 
giore precisione si è tenuto conto dell’ordine dei battesimi impartiti ai bambi- 
ni esterni, riportando i risultati per le sedi maggiormente presenti. Comunque 


!6 G. Cuscrro, «Sinodi e riforma cattolica nella Diocesi di Parenzo», AMSI, n.s., 23 (1975), 
p. 139-143: M. BeRrTOSA, Mletatka Istra u XVI i XVII stoljeéu |L'Istria veneta nei secoli XVI e 
XVIII, vol. II, Pola, 1986, p. 359. 


!7 Sulle Anagrafi venete cfr. A. ScHIAFFINO, «Contributo allo studio delle rilevazioni della 
popolazione della Repubblica di Venezia: finalità, organi, tecniche, classificazioni», in Le fonti 
della demografia storica in Italia, a cura del Comitato italiano per lo studio della demografia sto- 
rica (= CISDS), Roma 1972, p. 295-354. 

# A. BELLETTINI, «Sulla utilizzazione delle fonti storico-demografiche per lo studio della 
struttura sociale e professionale della popolazione», in Problemi di utilizzazione delle fonti di de- 
mografia storica, Roma, vol. I (1973), p. 182-184. 


124 E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento. Atri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


risulta impossibile rilevare il movimento demografico di questi villaggi basan- 
dosi sui registri parrocchiali di Parenzo per via dei discordanti risultati ottenu- 
ti dallo spoglio dei dati. Infatti, ad un regolare andamento della natalità rileva- 
to nei libri dei battesimi per Villa Monsalise, fa riscontro la quasi totale assen- 
za di decessi per la medesima, mentre per Villa Monghebbo, i cui abitanti sep- 
pellivano i morti a Parenzo per antica consuetudine (e di conseguenza si può 
seguire l’andamento della mortalità), fa riscontro una serie di battesimi com- 
pleta solo per i primi tre decenni analizzati. Lo stesso accade per il villaggio di 
Dracevaz, invece i dati per Valcarino, Villa Maggio e Varvari, numericamente 
appaiono troppo esigui per qualsiasi e per Cervare addirittura quasi inesistenti. 

Le cause di queste lacune e sproporzioni si possono attribuire a quel feno- 
meno che gli storici della demografia usano definire «attrazione della fonte bat- 
tesimale».!° Non si esclude, infatti, che abbiano fatto battezzare i bambini o sep- 
pellire i morti nelle chiese parrocchiali più facilmente raggiungibili. 

Una spiegazione esauriente a questo problema si potrà dare solo con un’ana- 
lisi sistematica di tutti 1 registri canonici delle parrocchie confinanti con Paren- 


zo! 


Ordinando a seconda della numerosità dei decessi registrati a Parenzo le 
varie località vicine, figura al primo posto Villa Monghebbo (per i motivi so- 
praindicati), seguita da Villa Maggio, Varvari e Villa Valcarino, mentre gli al- 
tri villaggi rappresentati sono Villa Dracevaz, Villa Monsalise, Sbandati, Cer- 
vare, Fontane, Foscolino e Mompaderno.”' 


Sul finire del primo libro dei morti sono registrate delle «Aggiunte di re- 
lationi» che riportano notizie riguardanti i naufragi delle imbarcazioni parenti- 
ne con equipaggi composti da marittimi locali. Annotazione come questa di se- 
guito riportata a titolo di esempio sono peculiari di una cittadina di mare, la cui 
gente prevalentemente era occupata in attività marinare. 


!9 Su alcuni aspetti di questo fenomeno cfr. C.A. CORSINI, «Nascite e matrimoni», in Le 
fonti della demografia storica in Italia. Atti del Seminario 1971-72, (a cura di) CISDS, Roma 
1975, p. 692-696. 

2° Occorre infatti un'analisi dettagliata non solo dei libri delle parrocchie confinanti ma an- 
che di quei registri compilati verso la fine del Settecento esclusivamente per i battezzati, def'un- 
ti e sposati delle ville contigue di cui in questa sede, per motivi di spazio e tempo, non si è po- 
tuto trattare. I registri che tengono conto a parte dei nati provenienti dai dintorni di Parenzo ini- 
ziano nel 1799, quelli riguardanti i decessi nel 1777, e quelli per i matrimoni nel 1791. Si spie- 
ga così, con la creazione di un nuovo libro per i morti «esterni», il calo netto di tale tendenza 
negli ultimi due decenni del Settecento. 

2! L'ordine di numerosità rispecchia approssimativamente l'ordine di distanza chilometrica 
dei villaggi da Parenzo: così Monghebbo dista 4,3 km, Villa Maggio 3.4 km, Varvari 3,8 km, e 
Valcarino 4,2 km, mentre gli altri, ad eccezione di Villa Monsalise (o Monsalice) che dista 4 km, 
risultano più lontani e quindi meno frequenti come Cervare che dista 5 km, Foscolino 6,2 km. 
Fontane 6,7 km, Sbandati 7,7 km, e Mompaderno 12,7 km. 


E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Affi, vol. XXI, 1991, p. 117-185 125 


«Adì 13 Gennaro 1713, Parenzo. Il Paron Rocco De Rossi in età 
d’Anni 55 in circa venendo da Venezia con la sua Pedotta?? per Pa- 
renzo con Antonio Raffaelli e Santo De Piccoli e Mattio Braghes- 
san et un altro marinaro lusignano,”* tutti suoi marinari e per pas- 
segero un Prete che era Parente del Precettore di Pola: in questo 
Golfo Adriatico incontrarono in una grandissima borasca sono scor- 
si spinti dalla gran Tempesta di Venti e tutti li studenti si sono an- 
negati al Lido di Pelestrina con pianto universale e tutti li studenti 
corpi furono ritrovati e sepolti verso Chioza». 





























Tab. 1 
BAMBINI BATTEZZATI A PARENZO 1711-1800 
PROVENIENZA NATI % SUL TOTALE DEI BATTEZZATI 
PARENZO 6659 83,71 
Villa Monsalese 417 5,24 
Villa Maggio 408 9518 
Varvari 2. 2,66 
Valcarino 79 0,99 
Villa Monghebbo IT 0,71 
Dracevaz 50 0,71 
Altri 70) 0.88 
TOTALE 7953 


2 x si . . . . TI & 

“ La pedotta 0 poeta è un'imbarcazione molto comune nella marineria veneziana: di limi- 
tata grandezza, era dotata di remi ed eventualmente di una vela per coprire le distanze più lun- 
ghe. 


2 Probabilmente originario dell'isola di Lussino. 


126 E. IVETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 





























Tab. 2 
DECESSI REGISTRATI A PARENZO (1711-1800) 
PROVENIENZA MORTI % SUL TOTALE DFI MORTI 
PARENZO 5719 89.70 
Villa Monghebbo 174 272 
Villa Maggio 103 1,61 
Varvari 56 0,87 
Valcarino 17 0,26 
Altri 91 1,42 
Stranieri 215 3.37 
TOTALE 6375 
Tab. 3 


MORTALITÀ DEI NON RESIDENTI A PARENZO 


PROVENIENZA 





DECENNIO 





























MALTA MORE UERgO VARVARI VALCARINO ALTRI STRANIERI TOTALE 
1711-1720 19 34 6 3 19 65 146 
1721-1730 3I 25 13 2 16 19 106 
1731-1740 24 17 7 3 6 si 108 
1741-1750 8 28 Il 2 7 37 93 
1751-1760 4 12 d 2 4 6 33 
1761-1770 26 12 2 | 6 d 32. 
1771-1780 2 17 2 I 13 44 
1781-1790 5 16 8 I 8 18 56 
1791-1800 4 13 d 2 4 S 30) 





TOTALE 103 174 56 17 91 215 656 


E. Ivretic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol. XXL 1991, p. 117-185 127 



































Tab. 4 
NATALITÀ NEI VILLAGGI LIMITROFI A PARENZO 
VILLAGGIO 

Pareri at MALA VARVARI. VALCARINO Moninigno PRACEVAZ ALTRI TOTALE 
1711-1720 67 4l 12 Da. 10 29 30) 204 
1721-1730 69 58 19 13 22 9 26 216 
1731-1740 - 48 63 18 9 13 12 Ì 168 
1741-1750 : 44 43 27 Il - 5 7 146 
175 l- 1760 48 56 26 I - I - 132 
1761-1770 38 36 20) 5) - - ] 100 
1771-1780 35 39 33 3 _ | 107 
1781-1790 I, 34 32 5 3 - 2 113 
1791-1800 3I 42 25 10 = = _ 108 
TOTALE 417 408 212 79 7 50 71 1294 


2. Profilo storico della popolazione di Parenzo nel corso dell'età moderna 


I. Analizzando il profilo storico?* della popolazione di Parenzo nel corso 


dell’età moderna, si può osservare un andamento generale contraddistinto da 
due principali fasi di diversa tendenza dinamica: una prima, corrispondente 
all’arco di tempo che va grosso modo dalla metà del secolo XV al 1630, ca- 
ratterizzata da una lunga crisi demografica che appare sotto forma di un irre- 
versibile processo di spopolamento della città, il cui apice viene toccato duran- 
te la grave epidemia di peste nel 1630; una seconda, che prende consistenza 
all’indomani della pestilenza, con un trend differente, e dà inizio ad un nuovo 
processo di espansione demografica che vede accrescere sensibilmente il nu- 
mero degli abitanti nel corso del Sei-Settecento. 


Mettendo a confronto tale andamento con quelli dei centri principali 
dell’Istria veneta, dei quali si possiedono i dati sull'evoluzione demografica per 


2 Il primo profilo storico della popolazione di Parenzo fu dato dallo Schiavuzzi, secondo 
il quale la città contava nell'epoca romana 10.000 abitanti: nel 1350: 3000 ab.; nel 1580: 698 
ab. nel 1610: 300 ab.; nel 1630: 30 ab.; nel 1734: 500 ab.; nel 1749: 3000 ab.; nel 1796: 2000 
ab. nel 1806: 2005 ab.i nel 1851: 3103 ab. cfr. B. SCHIAVUZZI, «Cenni storici sull’etnografia 
dell'Istria», AMSI, vol. XIX (1903), p. 467-468. Recentemente se ne sono occupati G. CERVANI; 
E. De FRANCESCHI, «Fattori di spopolamento nell’Istria veneta nei secoli XVI e XVII», ACRSR, 
vol. IV (1973), p. 115. 


128 E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


i secoli XVI, XVII e XVIII, quali Muggia, Capodistria, Pola,”° Cittanova e Or- 
sera,”° Parenzo appare come una città che ha sofferto in modo più incisivo le 
crisi economiche, sociali e demografiche del Cinque-Seicento ma che, a diffe- 
renza delle altre e in proporzione alla propria dimensione, ha registrato una più 
pronta tendenza al ripopolamento e al rinnovamento economico e sociale. 


2. Per quanto concerne il secolo XV non si possiedono dati sicuri sulla po- 
polazione di Parenzo. Esiste però una considerazione del vescovo parentino Ga- 
spare Negri che nel quarto decennio del secolo XVIII, a proposito del numero 
degli abitanti, così scriveva: 

«Si aggiunge, che tanto dalle Memorie delle riscossioni delle Deci- 
me spettanti al Capitolo, Quanto da registri delle Radunanze del 
Consiglio de’ Cittadini, e da tutte le scritture del Secolo XV chia- 
ramente risulta, che in allora era provveduta in riguardo alla picio- 
lezza del suo recinto di assai abbondante popolazione, mentre sino 
dopo la metà del secolo, oltrepassavano i suoi Abitanti il numero di 
tre milla. Ma nel progresso del secolo susseguente tutto andò sen- 
sibilmente mancando, cossiché nel 1593 dovendosi dal Consiglio dar 
la muta alle Cariche ecc. (...)».? 

Da questo brano delle sue «Memorie storiche della città e Diocesi di Pa- 
renzo» non risulta chiara la collocazione esatta del periodo in cui Parenzo con- 
tava 3000 abitanti, tuttavia, in base ad esso, nell’ambito della storiografia che 
si è occupata di Parenzo, col tempo, si sono formate due interpretazioni: la pri- 
ma, che troviamo in Schiavuzzi e recentemente presso il Cervani ed il De Fran- 
ceschi, stabilisce come data approssimativa la metà del Trecento;”* un’altra, pre- 
sente in Benussi, stima la quantità sopraelencata nell’ambito della prima metà 
del Quattrocento.” 

Un’altra informazione su Parenzo nel secolo XV è stata data da Marin Sa- 
nudo che l’ha visitata nel 1479, il quale ci riferisce che in quell’anno la città 
contava 450 fuochi.’ Nei suoi «Diarii» purtroppo non riporta il numero totale 
degli abitanti presenti, però, tentando l’ipotesi che un fuoco o famiglia abbia 


2 G. CERVANI; E. DE FRANCESCHI, 0p. cit., p. 114-115. 


26 


M. Bupicin, «L'andamento della popolazione a Cittanova nei secoli XVI-XVII», 
ACRSR, vol. XIX (1988-89), p. 106; IbeM, «Alcune linee e fattori di sviluppo demografico di 
Orsera nei secoli XVI-XVII», ACRSR, vol. XVII (1987-88), p. 111-120. 


27 G. NEGRI, «Memorie storiche della città e Diocesi di Parenzo», AMSI, vol. IHI (1888), f. 
34, p. 141. 


28 B. SCHIAVUZZI, «Le epidemie di peste bubbonica in Istria», AMSI, vol. IV (1889), p. 445; 
G. CERVANI; E. DE FRANCESCHI, op. cit., p. 115. 


29 B. BENUSSI, «Parenzo nell’evo medio e moderno», AMSI, vol. XXVI (1910), p. 183. 


30 Il passo riguardante Parenzo, tratto dai «Diarii», è stato riportato da R.M. CossaRr, Pa- 


rentium, Parenzo, 1926, p. 21. 


E. Ivenic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol XXI, 1991, p. 117-185 129 


avuto in quell’epoca una media di 5 membri,*' la popolazione complessiva ri- 
sulterebbe composta, all’incirca, di 2250 unità. 

Tale cifra può apparire notevolmente alta considerando che Parenzo, in 
quell’cpoca, aveva già subito tre delle quattro terribili epidemie di peste bub- 
bonica che avevano devastato l’Istria nella seconda metà del Quattrocento;?? es- 
sa, però, avvalerebbe la tesi di coloro che ritengono la città capace di raggiun- 
gere nella prima metà del secolo le tremila anime. Una possibilità non del tut- 
to fuori luogo se si pondera che durante il secolo XV, i porti dell’Istria occi- 
dentale, in particolare Parenzo, Rovigno e Pola, sulla scia della massima espan- 
sione commerciale della Serenissima, apparivano ancora come centri economi- 
camente floridi e ben popolati nell’ambito delle tradizionali rotte mercantili ver- 
so l’Oriente.3* 


3. Risale al 1554 la prima notizia attendibile riguardo la popolazione di Pa- 
renzo.?* La città contava in quell’anno circa 780 abitanti, mentre il suo territo- 
rio 340. In ordine di grandezza, tra le altre città istriane, rientrava al sesto po- 
sto seguendo la più popolata Capodistria (5706 ab.), Montona (1793 ab.), Ro- 
vigno (1789 ab.), Isola (1600 ab.) e Muggia (1411 ab.). 

La popolazione complessiva dell’Istria ammontava in quell’anno a 52.765 
abitanti con una densità media di abitante per chilometro quadrato del 20,4.* 


Il contenuto demografico di Parenzo era diminuito, nel corso di un secolo 
e mezzo, come forse mai prima nella sua storia. 


Le cause che stanno a monte di tale decadenza sono molteplici: *° la peste 
del 1507 e del 1525 che si era diffusa in tutto il territorio della penisola istria- 


3! Può sembrare lecito supporre a livello ipotetico che una famiglia a Parenzo, nel corso del 
XV secolo, abbia potuto contare una media minima di membri pari a 5 per ogni nucleo, se si 
considera che tre secoli più tardi, in base alle Anagrati venete, nel decennio 1766-1775, la den- 
sità media per fuoco era di 4,74 unità. La mancanza di fonti attendibili e complete per i secoli 
precedenti al Cinquecento, salvo rari casi, è un problema esteso a tutta l'Europa; cfr. R. MoLs, 
Introduction à la démographie historique des villes d'Europe de XIV au XVIII siècle, vol. I, Lou- 
vain, 1954-56. 

3 Le epidemie di peste hanno colpito Parenzo nel 1456, 1467, 1478 e nel 1487. G. NEGRI, 
op. cit., p. 141. 

33 M. BERTOSA, op. cit., vol. I, p. 15-16. 

# Ipem, «Istarski fragment Itinerara mleta&kih sindika iz 1554 godine» |Frammento istria- 
no dell’Itinerario dei Sindici veneziani del 1554], Vjesnik historijskih Arhiva u Pazinu i Rijeci 
(= VHAP) [Bollettino degli archivi storici di Pisino e Fiume], Pola-Fiume, vol. XVII (1972), p. 
37-44. Il BertoSa ha analizzato la parte relativa all’Istria dell’Itinerario fatto dai Sindici venezia- 
ni G. Bragadin, G. Lando e D. Morosini nel 1554. Il documento si trova nel Codice Miscella 
nea Cicogna, segn. 2855, presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia. 

35 M. BeRTOSA, Mleracka Istra, cit., vol. I, p. 309. 


3 Diversi sono gli studi che hanno trattato questo argomento, i più rappresentativi comun- 
que sono M. BerToSA, M/etacka Istra, cit., e G. CERVANI; E. DE FRANCESCHI, 0p. cit., p. 7-118. 


130 E. Iveric. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


na, falciando buona parte della popolazione; la guerra della Lega di Cambrai, 
che è stata probabilmente la vera rovina dell’economia rurale tardomedievale. 
Parenzo non svolse un ruolo attivo nel conflitto, però le distruzioni perpetrate 
sul suo territorio — fornitore di vettovaglie e prodotti agricoli da scambio — die- 
dero un primo sensibile colpo alla sua economia di sussistenza e al commer- 


cio.” 


La peste del 1527, presente anche in vaste zone della Repubblica veneta, 
causò una pesante flessione nei raccolti degli anni 1527, 1528 e 1529, genc- 
rando una diffusa penuria di cereali che durò fino al 1534.* Che il malessere 
maggiore sia stato vissuto in quegli anni nelle campagne, lo attesta pure il nu- 
mero relativamente basso degli abitanti del territorio — più del doppio rispetto 
alla città — ed è questa una tendenza registrata in quasi tutta l’Istria, a parte le 
eccezioni degli agri di Pola e Montona.” L’accavallarsi, quindi, di diversi fat- 
tori politici, sociali, economici, climatici e sanitari, che interagivano e si con- 
dizionavano reciprocamente in un quadro di situazioni complesse, si sono ri- 
flettuti direttamente su una condizione demografica già precaria, determinando 
un sostanziale avvio di necrosi. 


Nella seconda parte del secolo mancano testimonianze di avvenimenti ec- 
cezionali, eppure, a distanza di 26 anni dalla prima rilevazione che possedia- 
mo, la popolazione era scesa ulteriormente del 10,5%, registrando nel 1580, il 
numero totale di 698 abitanti.! 


Il calo è sicuramente connesso alla crisi nelle campagne dell’entroterra, do- 
ve il processo di spopolamento era in atto da diversi decenni." 


Tra il 1580 ed il I610, nel giro di vent'anni, il numero degli abitanti calò 
ancora del 57%: la spiegazione che generalmente fu data dagli storici in meri- 
to a questa ormai apparentemente cronica crisi demografica, considera la ma- 
laria quale causa principale.*? Le zone malariche, infatti, contrassegnavano tut- 
to l’ambiente della costa occidentale istriana, da Capo Salvore fino a Pola, e 
con lo spopolamento di vaste aree territoriali, rimanevano incoltivate ampie su- 
perfici favorendo la propagazione di bacilli.* 

Ma le cause della flessione avvenuta alla fine del Cinquecento vanno an- 
che cercate nella gravissima crisi alimentare in atto tra il 1580 ed il 1595, il 


37 B. BENUSSI, «Parenzo», cit., p. 186. 


38 M. BERTOSA, «I porti istriani e i rifornimenti di cereali a Venezia nell’anno 1528», 
ACRSR, vol. XVII (1986-87), p. 170-171. 


39 IpeM, Mletacka Istra, cit., vol. I, p. 315. 
4° G. NEGRI, op. cit., p. 144. 


*# M. BERTOSA, «L'Istria veneta nel Cinquecento e nel Seicento», ACRSR, vol. VII (1976- 
1977), p. 143. 


4 G. CERVANI E. DE FRANCESCHI, 0p. cit., p. 49-57. 
4 B. SCHIAVUZZI, «La malaria in Istria», AMSI. vol. V (1889), p. 330. 


E. IVETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 131 


cui apice venne toccato tra il 1591 ed il 1594 in quasi tutto il territorio euro- 
peo;* non è da escludere, benché manchino fonti relative, che tale congiuntu- 
ra abbia notevolmente contribuito a decurtare la già esigua popolazione di Pa- 
renzo. Naturalmente la caduta demografica nel secolo XVI non è stata causata 
esclusivamente dalle crisi di mortalità, ma anche dall’abbandono, più o meno 
volontario dei centri abitati e delle campagne da parte dei residenti. Molte del- 
le città costiere erano diventati luoghi desolati da evitare, e solo agli inizi del 
Settecento sarebbe ritornato l’interesse per Parenzo, in qualità di luogo prescelto 
per la dimora, presso gli abitanti delle aree contigue. 


4. Il Seicento a Parenzo, dal punto di vista demografico, è il secolo della 
transizione. 


Nei primi quattro decenni, diversi fatti hanno contribuito ad accellerare la 
decadenza e l'abbandono della città delineando così forse il più drammatico pe- 
riodo della sua millenaria storia. 

Tra il 1601 ed il 1615, un'ulteriore calo ridusse la popolazione a sole 100 
persone; il primo decennio risentiva ancora gli effetti della grave crisi alimen- 
tare del 1591-94 e la città stentava a condurre una vita normale; dal 1593 il 
Consiglio comunale si riunisce con soli otto consiglieri* per chi viene dalle 
altre parti della Serenissima Repubblica, la città appare come «exiguus locus, 
non valde frequens»;*° la presenza della malaria nella città rende difficili le con- 
dizioni di vita al punto che i pedotti, dovendo per mestiere frequentare il suo 
porto, la evitano d'estate facendo scalo a Rovigno dove l’aria era più salubre;*” 
nelle relazioni dei vescovi dirette alla Santa Sede, la città risulta deserta, ricol- 
ma di rovi e sterpaglie, nella quale vivono al massimo cento anime.** Come se 
non bastasse, Parenzo e tutta l’Istria, dovettero vivere nel 1615 un altro con- 
flitto tra Venezia e gli Imperiali; la guerra, questa volta chiamata «degli Uscoc- 
chi», colpisce maggiormente le campagne parentine, frantumando gli scarsi ri- 
sultati di quella colonizzazione dei territori abbandonati, promossa dalle auto- 


+ A. BELLETTINI, La popolazione italiana. Un profilo storico, Torino, 1987. p. 58-59. 

*# G. NEGRI, op. cit., p. 141. 

* G.B. Gointe, «Del sito dell'Istria», Archeografo Triestino (= AT), vol. H (1830). p. 58. 
*# F. Olmo, «Descrittione dell'Istria», AMSI, vol. I (1885), p. 157. 


#1. GRAH, «Izvjestaji poretkih biskupa Svetoj Stolici (1588-1775)» [Le relazioni dei ve- 
scovi parentini alla Santa Sede (1588-1775)], Croatica Cristiana Periodica (= CCP), Zagabria, 
n. 12 (1983). p. 7. Questo saggio è stato di particolare aiuto nella ricostruzione del profilo stori- 
co della popolazione di Parenzo, specialmente per il Seicento. L'autore ha analizzato le relazio- 
ni compilate dai vescovi periodicamente e spedite a Roma, dove ora sono conservate presso Î' Ar- 
chivio Segreto Vaticano. Come fonti ovviamente hanno molti limiti per quanto concerne la de- 
mografia; i dati sulla popolazione, infatti, sono approssimativi, da prendere con il massimo del- 
la circospezione, tuttavia, ordinandoli cronologicamente, tracciano una certa dinamica evolutiva 
che può essere indicativa nella ricostruzione storica. 


132 E. IviTIc, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Azri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


rità venete, che aveva caratterizzato socialmente tutta l’epoca di crisi della pri- 
ma parte del se-colo.* 

Dopo tre anni di logoranti azioni belliche, nelle quali non è stata coinvol- 
ta direttamente, ma che però, troncando le derrate alimentari provenienti 
dall’agro circostante, hanno pregiudicato le sue possibilità di sussistenza, la città 
aveva comunque avviato un tentativo di ripresa nel corso del terzo decennio; 
tale ripresa purtroppo fu breve e nello spazio di pochi anni si trovò a fronteg- 
giare un’altra apocalisse. Il 1630 infatti, rimarrà segnato come l’anno della pe- 
ste, l’ultima nel corso dell’età moderna, i cui strascichi perdureranno nella re- 
gione per circa un biennio. La popolazione di Parenzo, in quell’occasione, si 
era ridotta, secondo alcune stime, a sole 30 persone residenti. Tale minimo sto- 
rico, riportato dal Kandler,° anche se come dato non è del tutto affidabile, ren- 
de l’idea della situazione in cui doveva trovarsi la città allora. Quanto la cau- 
sa di questa strepitosa flessione non sia da ricercare esclusivamente in una cri- 
si di mortalità, ma anche nell’abbandono volontario della città da parte degli 
abitanti, c’è lo dimostrano le cifre sulla popolazione rilevate alcuni anni più tar- 
di: infatti nel 1634 Parenzo sembra già ospitare circa 150 anime.?' Una stima 
del genere apparirà nelle relazioni dei vescovi per circa una decina d’anni e ci 
fa presumere che il centro urbano, malgrado invivibile, abbia lo stesso offerto 
motivo ad una piccola comunità umana di persistere nell’abitarlo. 

Dopo il 1643 deve essersi verificata un’altra contrazione demografica, du- 
rata fino agli inizi del decennio successivo. 

Sono questi gli anni in cui il vescovo di Cittanova Tommasini viaggia per 
l’Istria ed arrivando, nel marzo del 1646, a Parenzo, non può non esprimere 
un'impressione di sconforto e desolazione di fronte alla visione di una città pra- 
ticamente ridotta alle macerie.” 

Per anni, le parole del Tommasini sono state citate in molte opere storio- 
grafiche riguardanti Parenzo e in genere l’Istria, in qualità di testimonianza di- 
retta, quasi «fotografica», di quello che doveva essere stata la decadenza delle 
città marinare dell’Istria occidentale nell’età modema.5 

Ma il Tommasini, quando scriveva, si trovava a vivere un momento stori- 
co particolarmente critico per quanto riguardava la popolazione non solo istria- 
na bensì più in generale europea: tra il 1642 ed il 1650, un’altra grave crisi ali- 
mentare aveva colpito il continente, in seguito ad una serie di annate di scarsi 


4 Sulla guerra degli Uscocchi in Istria cfr. M. BERTOSA, «La guerra degli Uscocchi e la ro- 
vina dell'economia istriana», ACRSR, vol. V (1974), p. 35-128. 

50 P. KANDLER, Notizie storiche di Montona, Trieste 1875, p. 144. 

5 L GRAH, op. cit., p. 15. 


5? G.F. TOMMASINI, «De Commentarij storici-geografici della Provincia dell'Istria», A7, IV 
(1837), p. 375. 


53 Basta ricordare in questa sede i maggiori studiosi: Kandler, Benussi, BertoSa. 


E. IVETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Azzi, vol XXI, 1991, p. 117-185 133 


raccolti provocati da manifestazioni eccezionalmente sfavorevoli del clima.* 
Anche in Italia, nel corso degli anni Quaranta maturava una crisi economica e 
di sussistenza i cui effetti culminanti erano stati raggiunti in molti centri nel 
1649.5° 

Per l’Istria in quegli anni, l’esempio più esplicito di tale crisi forse lo pos- 
siamo trovare nelle tabelle compilate dal Budicin per Cittanova, che nel de- 
cennio 1641-1650 registra una mortalità di gran lunga superiore a quella dei de- 
cenni successivi. 


La metà del Seicento è dunque sicuramente contraddistinta da una con- 
giuntura negativa le cui cause però sono da ricercare non solo strettamente 
nell’ambito regionale ma anche in un contesto più vasto. 


Nel ventennio compreso tra il 1655 ed il 1675 avviene un’inversione di 
tendenza: si verifica una netta ripresa demografica dovuta in maggior parte ad 
un’intensa immigrazione nella città di genti nuove. Un importante impulso ven- 
ne dato dall’arrivo, dopo la caduta dell’isola di Creta in mano ai Turchi nel 
1669, di 64 famiglie?” di profughi, che si sono insediate nella città per dispo- 
sizione governativa. Per l’occasione, il Senato fece costruire e restaurare a Pa- 
renzo 60 case abitabili che furono pronte nel maggio del 1671; furono conces- 
si inoltre terreni da coltivare in prossimità della città e nel 1673 fu costruita 
una chiesetta di fede ortodossa. 

Dalle nostre stime si osserva un primo decollo demografico avvenuto tra il 
1655 ed il 1673, che si ripete nel 1675. Quest'ultima crescita è da mettere in 
relazione principalmente con l'immigrazione dei Cretesi. 


Con la venuta di nuovi abitanti, una linfa vitale cominciò a scorrere tra le 
mura dirute dell’antica città: nell’ottavo decennio del secolo XVII, Parenzo ha 
visto aumentare il fermento della gente; vennero intraprese diverse operazioni 
edilizie che diedero promozione alle tradizionali attività economiche cittadine; °° 
il vescovo Adelasio, grande testimone di tale metamorfosi, vivendo a Parenzo 
per quarant'anni (1671-1711), scriveva a Roma che, mentre la città al principio 


54 Sulla situazione europea nel Seicento cfr. A. ARMENGAUD; J. DUPÀQUIER, Storia della po- 
polazione mondiale, Bari 1971, p. 207-281. 


55 A. BELLETTINI, La popolazione, cit., p. 63. 
56 M. BupICIN, «L'andamento», cif., p. 93. 


57 Se si presume che una famiglia abbia potuto essere composta da 4-5 membri, il totale 
dei profughi poteva ammontare dalle 250 alle 300 persone circa. 


58 Cam. DE FRANCESCHI, «Il Consiglio nobile di Parenzo e i profughi di Creta», AMSI, n.s., 
vol. II (1952), p. 78-81. 


5 B. BENUSSI, «Parenzo», cif., p. 192-195; M. BERTOSA, «Due progetti veneti per sistema- 


re i porti di Parenzo e di Rovigno nella seconda metà del XVII secolo», ACRSR, vol. IV (1973), 
p. 179-204. 


134 E. IveTic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


del secolo appariva distrutta ed abbandonata, in quegli anni, sembrava protesa 
ad un rinnovamento.9° 

Sul piano demografico, lo sviluppo ebbe un assestamento dopo il 1675; la 
popolazione totale rimase invariata (circa 700 abitanti) per almeno un setten- 
nio, mentre dopo il 1682 si era manifestata un’altra contrazione (attorno al 30%) 
da porre in riferimento alla nuova congiuntura negativa in atto nelle regioni ita- 
liane e più in generale nel continente europeo, dovuta alla grande carestia che 
insorse verso il 1679-80. La flessione complessiva è stata meno acuta di quel- 
le provocate nei periodi precedenti ed anche a Parenzo non c’è stata una forte 
decrescita; agli inizi dell’ultimo decennio del secolo, tale tendenza negativa de- 
ve essersi placata, tanto che tra il 1695 ed il 1699 la popolazione nella città era 
nuovamente salita da 500 unità a 700, ed in seguito a 900. 

La consistenza numerica degli abitanti di Parenzo in quel periodo deve es- 
sersi rafforzata a tal punto che l’ultima significativa crisi granaria europea del 
Seicento, avvenuta nel 1693-94,° non ha intaccato in misura rilevante lo svi- 
luppo complessivo allo scorcio del secolo. 

La somma totale di 300 abitanti, fornita dal Vergottin per il 1696, cent’an- 
ni prima della pubblicazione del suo «Breve saggio d’istoria», osservata nell’am- 
bito dell'evoluzione delineata, appare infondata: probabilmente si tratta di una 
stima molto soggettiva, suggestionata dalle tradizioni orali e dalla memoria co- 
lettiva.9* 


N 


S. La prima parte del Settecento è caratterizzata da una netta ripresa de- 
mografica che si riallaccia direttamente allo sviluppo dell’ultimo decennio del 
secolo precedente: tra il 1695 ed il 1741, la popolazione di Parenzo era au- 
mentata del 185,5% pari ad una media annua del 4,14%. 


Dopo il 1750 si ha motivo di ritenere che fosse avvenuto un assestamento 
dell’espansione dovuto ad una diminuzione dell’immigrazione esterna. La città 
deve aver raggiunto il limite dell’abitabilità ottimale, data l’esiguità del luogo 
(la penisola cintata da mura), ed in genere si deve essere normalizzata la si- 
tuazione economica e sociale del territorio, indebolendo lo stimolo a spostarsi 
nella popolazione. 

In base ai dati forniti dalle visite pastorali, il periodo di massima evolu- 
zione demografica nel secolo corrisponde al periodo compreso all’incirca tra il 
1719 ed il 1741, con un tasso medio annuo di sviluppo del 4,5.9* Il tetto seco- 


IL GRAH. op. cit., p. 26. 
8 A. BELLETTINI, La popolazione, cit., p. 65. 


iù 


Ibidem, p. 68. 


B. VERGETTIN, Breve saggio d'istoria antica, e moderna della città di Parenzo nell'Istria, 
Venezia, 1796, p. 46. 


64 La cifra è indicativa. 


E. IveTIc, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 135 


lare è forse raggiunto nel quindicennio che va approssimativamente tra il 1719 
ed il 1734, rilevando tassi annui medi di crescita del 5,7%. 

In materia di cifre raccolte e proposte, siamo più scettici: è possibile che 
la popolazione di Parenzo non abbia raggiunto i mille abitanti prima della metà 
del secondo decennio; è poco probabile che la città abbia conosciuto un incre- 
mento di 300 abitanti tra il 1730 ed il 1733 — un aumento deve esserci stato, 
ma non di tale portata —; infine, bisogna considerare con circospezione il dato 
che affida a Parenzo 2000 abitanti nel 1740: la prassi di segnare un numero 
maggiore nella stima della popolazione era allora assai diffusa. 

Per un periodo di venticinque anni, tra il 1741 ed il 1765, manca qualsia- 
si fonte relativa alla somma totale dei residenti nella città; la mancanza di even- 
ti straordinari che avrebbero potuto stravolgere i valori fin lì definiti, ci fa pen- 
sare che la situazione demografica sia rimasta sostanzialmente invariata. 

Ai dati presi dalle visite per il 1741 ed il 1765, secondo le quali Parenzo 
contava circa 2000 abitanti, fanno seguito le cifre delle stime quinquennali del- 
le Anagrafi venete, nelle quali la città non supera mai le 1860 unità. La di- 
scordanza tra i dati non può essere spiegata come flessione nello sviluppo: co- 
noscendo la natura delle due fonti, è possibile che nelle visite sia avvenuta una 
sovrastima degli effettivi residenti nella città. 

Il documento demografico più attendibile nel Settecento è forse lo Stato 
d’anime di Parenzo per il 1775, compilato dal parroco Vergottin,®° nel quale il 
numero complessivo degli abitanti presenti nei quattro quartieri della città con 
il sobborgo esterno ammonta a 1496 persone. Anche in questo caso abbiamo 
una disparità con i dati delle Anagrafi venete per quello stesso anno di 333 
unità (An. ven. 1775 = 1829 abitanti). Bisogna dire però che nelle stime della 
Serenissima, come unità di rilevamento base, venne presa in considerazione la 
parrocchia di Parenzo intesa in senso più completo, ossia comprendente 1 vil- 
laggi di Villa Maggio, Varvari e Cervare, e le numerose contrade sparse nel ter- 
ritorio adiacente come per esempio Maggio Minore, Gulichi, Vranichi, Vergot- 
tini, Pizzal ecc. Nel censimento napoleonico del 1811, le località sopraindicate 
contavano in tutto 256 abitanti, senza prender in considerazione le molte altre 
contrade tralasciate.’ La città, astraendo dunque dalla somma degli abitanti pre- 
senti nelle sue «periferie rurali» collocate entro un raggio di 2-3 km, poteva 
contare, nell’ottavo decennio, mediamente 1500-1600 anime residenti entro le 
mura di cinta. 

Il censimento napoleonico del 1811 ci fornisce la stima forse più fondata 
per quanto concerne gli abitanti nella circoscrizione urbana (1850 abitanti). 


6 Ristretto dell'anime tutte, che si trovano in questa città di Parenzo, e nel sobborgo del- 
la medesima fatto nell'anno 1775, n ABOP, Visitationes, 1779. 


6 N. SETIG, Napoleon u Istri. Istra za francuske uprave 1805-1813, |Napoleone in Istria. 
L’Istria durante l’amministrazione francese 1805-1813], Pola, 1989, p. 74-75. 


© Ibidem, p. 73. 


136 E. IVETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


Osservando da questa prospettiva tutta l’evoluzione nel Settecento si possono 
inquadrare due fasi: nella prima parte del secolo, in un periodo temporale rela- 
tivamente breve, il numero degli abitanti era salito da circa 700-900 unità a cir- 
ca 1800-1900 (un picco di 2000 abitanti, per ora, è difficilmente immaginabi- 
le), come si vedrà dall’andamento delle componenti naturali dello sviluppo de- 
mografico. La natalità, la mortalità e la nuzialità, registrano una marcata cre- 
scita tra il secondo ed il quinto decennio in concomitanza all’accrescimento del- 
la città: si ha l’impressione che Parenzo aumenti quasi annualmente la propria 
consistenza numerica. Questa tendenza si attenua notevolmente nella seconda 
parte del secolo, ma non scompare: il numero complessivo degli abitanti real- 
mente poteva aggirarsi attorno alle 1750 ed i 1800 persone negli ultimi decen- 
ni del secolo. Solo con l'abbattimento delle mura e con la conseguente espan- 
sione della zona urbana verso est, nella prima metà dell'Ottocento, la popola- 
zione avrebbe oltrepassato la soglia dei 2000 abitanti. 

Infine, possediamo alcune stime della popolazione parentina che difficil- 
mente si collocano nel quadro di evoluzione che abbiamo definito: ci riferiamo 
ai dati riportati dal Podestà e Capitano di Capodistria Michiel in una relazione 
del 1749, «hanno molti dei sudditi portato il loro domicilio a Parenzo e dove 
già quindici anni solo 500 erano gli abitanti, ora passano il numero di tremila 
(...)».9# Ovviamente la cifra appare esagerata; lo stesso Benussi, che riporta ta- 
le affermazione, la giudica eccessiva: la città non poteva nel corso del Sette- 
cento raggiungere mai i tremila abitanti, come sembra improbabile che abbia 
potuto avere nel 1734 solo 500 abitanti. 

Un’altra valutazione, difficilmente compatibile con la dinamica individua- 
ta per il Settecento, è quella relativa a Parenzo nella «Nota della quantità 
dell’anime battezzate esistenti ne” Luochi tutti di questa Provincia» fatta nel 
1741 dal Podestà e Capitano di Capodistria Paolo Condulmer. In quell’occa- 
sione, il Condulmer ha attribuito alla città di Parenzo 3216 abitanti.° 


Anche in questo caso valgono le conclusioni sopra esposte: una somma del 
genere non si conforma con la crescita reale della città ed è, pure, fuori luogo 
in un contesto istriano più vasto. 

Dopo i fattori di spopolamento già noti per i primi secoli dell’età moder- 
na ed analizzati dettagliatamente nei lavori del Berto$a,” le cause della ripresa 
demografica dopo il 1650 a Parenzo possono essere così riassunte: 


®* B. BENUSSI, «Parenzo», cir., p. 199. 


9° Il documento è stato pubblicato, per la prima volta, nella rivista La Provincia dell'Istria, 
Capodistria, 1872, n. 17, da Tommaso Luciani. In base al documento conservato presso l° Archi- 
vio storico di Venezia, lo studioso I. Erceg l’ha nuovamente pubblicato e apportato correzioni e 
modifiche. I. ERCEG, «Dva i pol stoljeéa kretanja stanovniStva Istre (1554-1807)» [L'andamento 
della popolazione dell’Istria nel periodo 1554-1807], in Gunjacin Zbornik [Miscellanea di 
Gunjadal, Zagabria, 1980, p. 235. 


70 M. BeRrTOSA, Mletacka, cit. 





















































E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Azzi, vol. XXI, 1991, p. 117-185 137 

— Mancanza di conflitti sul suolo istriano dopo la guerra degli Uscocchi: un 
lungo periodo di pace fa da sfondo alla generale evoluzione storica dell’Istria 
nel corso dei secoli XVII, XVIII e XIX. 

— Scomparsa delle epidemie di peste: fino al Seicento, il principale taglio al- 
la crescita demografica veniva dato dalle cicliche epidemie di peste; una vol- 
ta cessate, la mortalità delle classi d’età adulte diventò meno consistente. 

— Colonizzazione dell’entroterra di Parenzo: il processo di rinnovo degli abi- 
tanti nelle campagne adiacenti, avviato nel corso del Seicento, ha dato 1 pri- 
mi risultati nel secolo seguente quando la produzione agricola era diventata 
sufficiente per la sussistenza della città. 

— Ripopolamento della città di Parenzo: anche nel periodo di decadenza più 
drammatico, la città non ha mai smesso di attirare genti nuove; di partico- 
lare rilievo è da considerare l’arrivo dei profughi cretesi che ha dato forse 
lo slancio più importante a tutto il processo di ripresa in atto nel Seicento. 

Tab. 5 
EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE DI PARENZO NELL'ETÀ MODERNA 

ANNO ABITANTI % FONTE 

1430 (circa) 3000 - NEGRI, Memorie, p. 141 

1554 780) -—74 BERTOSA, /starski, p. 44 

1580 698 -10,5 NEGRI, Memorie, p. 144 

1601 300 =S7 NEGRI, Memorie, p. 144 

1612 140) —-53,3 GRAH, /zvjestaji, p. Il 

1615 100 —28,5 GRAH, /zvjestaji, p. Il 

1619 100 = GRAH, Izvjestaji, p. 11 

1623 180 +80 GRAH, /zvjestaji, p. 11 

1630 30 -83,3 KANDLER, Notizie, p. 144 

1634 150 +400) GRAH, /zvjestaji, p. 15 

1636 150 - GRAH, /zvjestaji, p. 15 

1640) 150 GRAH, /zvjestaji, p. 15 

1643 150 - GRAH, /zvjestaji, p. 15 

1646 100 —-33,3 TOMMASINI, Commentarij, p. 375 

1647 100 - GRAH, /zvjestaji, p. 17 

1655 180 +80 GRAH, /zvjeSstaji, p. 18 

1665 400 +192.2 GRAH, lavjestaji, p. 18 





1667 320) -20) A.B.O.P., Visitationes, 1667 





138 E. IvETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI. 1991, p. 117-185 



















































































ANNO ABITANTI % FONTE 

1669 500 +56,2 AMSI, 22 (1906), Sen.Ret., p. 184 
1673 600 +20) GRAH, /ovjestaji, p. 26 

1675 700 +16,6 GRAH, /zvjestaji, p. 26 

1679 700 - GRAH, /zvjestaji, p. 26 

1682 700 - GRAH, /zvjestaji, p. 26 

1685 500 -28,7 GRAH, /ovjestaji, p. 26 

1689 500 - GRAH, /zvjestaji, p. 26 

1695 700 +40) GRAH, /cvjestaji, p. 26 

1699 900 +28,5 GRAH, /zvjestaji, p. 26 

1703 900 = GRAN, /zvjestaji, p. 26 

1706 1000 +11,1 GRAH, /ovjestaji, p. 26 

1710 816 -18,4 A.B.O.P., Visitationes, 1710 
1719 1000 +22,5 A.B.O.P., Visitationes, 1719 
1726 1200 +20) A.B.O.P., Visitationes, 1726 
1730 1500 +25 A.B.O.P., Visitationes, 1730 
1733 1800 +20) A.B.O.P., Visitationes, 1733 
1741 2027 +12,6 A.B.O.P., Visitationes, 1741 
1765 2000 — 1,3 A.B.O.P., Visitationes, 1779 
1770 1853 - 7,3 Anagrafi venete, 1766-70 
1775 1829 — 172 Anagrati venete, 1771-75 
1790 1856 + 1,4 Anagrafi venete, 1790 

1796 2000) +71 VergOTTIN, Breve, p. 46 
1811 1850 = Sent, Napoleon, p. 73 
1818 1930 + 4,3 STULLI, Porestina, p. 14 
1820) 2090 + 8,2 StuLLi, Porestina, p. 14 
1840 2425 +13,8 StuLu, Porestina, p. 14 
1853 2744 +13,1 STULLI, Porestina, p. 14 





1910 4222 +53,8 POGATSCHNIG, Origini, p. 7 


EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE DI PARENZO NELL'ETÀ MODERNA 




















bis======#**==**r==="=" e ===" T ra | 


1450 


1580 1646 1682 1719 1733 1779 1790 


1853 


SSISLII "d ‘T66I ‘TXX “IOA “19/7 "omUOvNAS ]au ozuameg Ip auorzejodod equoLaA] ‘A 


6EI 


140 E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Ari, vol XXI, 1991, p. 117-185 


3. Il movimento naturale nel secolo XVIII 


I. Il Settecento rappresenta per l’Istria un secolo di ripresa demografica: le 
città della costa occidentale, ad eccezione di Pola e Cittanova, avevano avvia- 
to un processo di ripopolamento e di crescita, segnando in alcuni casi, come 
Rovigno, un decisivo sviluppo delle attività legate alla piccola industria e al 
commercio e ponendo le basi per un’ulteriore evoluzione economica che sa- 
rebbe seguita nella seconda metà del secolo XIX. 

L’Istria veneta, ad eccezione del Capitanato di Raspo, nelle Anagrafi ve- 
nete per il periodo 1766-70, ha complessivamente 79.129 abitanti suddivisi in 
14.105 famiglie (5,60 di densità per fuoco). I centri maggiori, in quel periodo, 
sono Rovigno con 12.232 abitanti, Capodistria con 5.010, Pirano con 4.100, Di- 
gnano con 2.721, Isola con 2.020 ed infine Parenzo con 1.853 abitanti.” 


Parenzo, nel corso del secolo, ha visto progredire gradualmente uno svi- 
luppo economico al quale è seguito quello sociale. Vista da vicino, la comunità 
parentina nel 1775 era costituita, nella sua struttura socio-professionale, in lar- 
ga parte da un ceto dedito alle attività del settore terziario, una classe artigia- 
nale-borghese che rappresentava il 24,1% della società; essa era seguita da co- 
loro che praticavano la pesca (17,7%), o vivevano di marineria (16,6%) e di 
agricoltura (9,72%). 

Undici abitanti su cento appartenevano al ceto dei nobili e dei cittadini 
di diritto, mentre notevole appariva la presenza di fuochi privi di un capo-ta- 
miglia maschio, dove la madre vedova doveva provvedere da sola alla soprav- 
vivenza (12,2% di famiglie). 


Si ha dunque modo di ritenere che nel corso del Settecento l’ambiente so- 
ciale parentino si fosse, per la prima volta nell’età moderna, definitivamente 
formato; da qui il nostro interesse per l’analisi dettagliata del movimento de- 
mografico della popolazione nel secolo XVIII e per l'evidenza dei momenti cri- 
tici di tale sviluppo, cercando di sottolineare, nel limite delle possibilità, i fat- 
tori che li hanno determinati.” 


© ASNV, Anagrafi venete, 1766-70, vol. V. 
T° Ristretto dell'Anime tutte, cit. 


7 La società nell’ambiente urbano, la ricostruzione delle famiglie, la fertilità della popola 
zione e l’antroponomastica a Parenzo nel Settecento, saranno oggetto di studio di futuri lavori. 


E. Ivenic. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


141 


Tab. 6 


LE ATTIVITÀ LAVORATIVE A PARENZO SECONDO LO STATO D'ANIME DEL 1775 































































































ATTIVITÀ N. % SUL TOTALE 
Pescatore 64 17,78 
Marinaro 60 16,67 
geni = ce I LI PE e 
Calegaro 29 8,05 
Beccaro 7 1,94 
Bottaro 5 1,38 
Squeraiolo 5 1,38 
Capitano di. barca 4 LI 
Fabbro 4 LI 
Marangon (falegname) 4 L,Il 
Speciale (farmacista) ) 0,83 
Facchino 3 0),83 
Mercante 3 0,83 
Murero (muratore) 3 0,83 
Bottegaro 2 0,55 
Comandador (fante) 2 0,55 
Proto di squero 2 ()ì55 
Segador 2 0,55 
Schioppetero (armaiolo) 2 0,55 
Tessaro I 0,27 
Verier (vetraio) I 0,27 
Barbiere l 0,27 
Parrucchiere I 0,27 
Caffettiere l 0,27 
Sarto | (27 
Tagliapietra I 0,27 
TRES dnonio = echi REI LIE + LO 
Non specificato 29 8,05 
TOTALE 275 

Vedove 44 12,22 
Nobili e cittadini 41 11,38 
TOTALE 360 

Totale popolazione 1496 


142 E. IveTIc. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


2. Nell’analisi del movimento naturale, a partire dal 1710, è possibile in- 
quadrare una prima fase caratterizzata da una complessiva stasi demografica; 
infatti nel quindicennio 1711-1725, appaiono due periodi temporali definiti dal- 
la predominanza dei saldi negativi: il primo compreso tra il 1712 ed il 1716, il 
secondo tra il 1719 ed il 1721. 

Anche se, secondo il Benussi” e lo Schiavuzzi,”° nel secondo decennio, 
grazie alla presenza della flotta veneziana nel porto di Parenzo, mandata a pre- 
sidiare la città durante la crisi della guerra di successione spagnola, si favorì lo 
sviluppo economico con la crescita commerciale, alla quale seguì un sostanziale 
aumento della popolazione, la situazione demografica non appariva favorevole. 

Il periodo 1709-1720 fu infatti contraddistinto da un rilevante peggiora- 
mento del clima, sia nella terraferma veneta” che in Istria. 


Lo stesso Schiavuzzi indica come anni di «enorme freddo» il 1709, il 1711 
ed il 1713;”” osservando la seguente tabella della stagionalità dei decessi negli 
anni 1712 e 1713, si nota infatti la prevalenza delle morti nei mesi invernali. 








Tab. 7 
MORTALITÀ MENSILE NEGLI ANNI 1712-1713 

ANNO G F M A M G IE; A 5 O N D 

1712 osso Cit». dae (14540 PA 

1713 tqT_1 i da e 4 - _S ds Ss lu R 


Ma gli aspetti delle condizioni climatiche non bastano per spiegare le cau- 
se di una congiuntura così rilevante. Nel 1711 si era sparsa in Istria, in Dal- 
mazia, come pure nel Friuli e nella terraferma veneta, una terribile epizoozia 
bovina proveniente dall'Europa orientale.” 


Secondo il Povolo, la correlazione tra epizoozia ed epidemie era assai stret- 
ta, in quanto nell’economia rurale gli animali da giogo rappresentavano un im- 


74 B. BENUSSI, «Parenzo», cit. p. 197. 


7 B. ScHiavuZzi, «La malaria», cit., p. 446. 


2 C. Povoro, «Tre villaggi nel contado di Vicenza. Indagine demografica per una storia 


sociale della popolazione veneta nei primi secoli dell'età moderna», in Lisiera. Immagini, docu- 
menti e problemi per la storia e cultura di una comunità veneta. Strutture- congiunture- episodi, 
Vicenza, 1981, p. 961. 

Î B. ScHiavuzzi, «La malaria», cit., p. 444. 


# A. Corrapi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850 
compilati con varie note e dichiarazioni, vol. 11, Bologna, 1973, p. 318. 


E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 143 


portante fattore nella produzione agricola e quindi alimentare;”° la brusca man- 
canza di un elevato numero di bovini si ripercuoteva sull’alimentazione della 
popolazione, rendendola più debole e meno resistente alle ricorrenti malattie 
epidemiche. 

Così nel 1716, tra aprile ed agosto, si segnalano Il casi di morte per «feb- 
bre maligna», le cui cause possono essere ricollegate all’epidemia di tifo regi- 
strata a bordo di una nave militare ancorata nel porto. Nei primi mesi del 1716, 
era arrivato nel porto di Parenzo un «Pubblico convoglio» di navi governato 
dal nobile Giovanni Francesco Barzizza e diretto probabilmente verso la Dal- 
mazia. Un'epidemia di febbre maligna era scoppiata a bordo dell’ammiraglia 
«Scudo della Fede» e la prima vittima registrata era proprio il conte Barzizza. 

Nel giro di un mese, tra il 27 marzo ed il 26 aprile, morirono 26 militari 
e membri dell’equipaggio. 

Ma la prima vera epidemia registrata tra la popolazione parentina è quella 
provocata dal «flusso», probabilmente dissenteria, avvenuta nel 1719, quando 
le morti sovrastano nettamente le nascite; infatti tra agosto e settembre si regi- 
strano complessivamente 25 decessi dovuti a tale malattia, che colpisce preva- 
lentemente i bambini da 0 a I anno di vita, nonché da 6 a 10 anni circa, men- 
tre presso le altre classi si registrano valori normali. 











Tab. 8 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1719 
Oa 1-5 a 6-10 a 11-20) a 21-30 a 31-40 a 41-50) a 51-60) a +60) a 
20 7 10 9 I 2 ] di 7 
Tab. 9 
MORTALITÀ MENSILE NEL 1719 
ANNO G E M A M G DÈ A S O N D 
1719 7 3 4 - 3 - 7 18 7 4 4 3 


La presenza della mortalità dovuta al «flusso» è registrata nel 1714 con 3 
decessi e nel 1718 con 8 decessi: probabilmente agli inizi del secolo, a Paren- 


? C. PovoLo, op. cit., p. 936. 


144 E. IvETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Azzi, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


zo, le condizioni igienico-sanitarie che hanno contraddistinto gli ultimi decen- 
ni del Seicento, persistevano in minima parte. 

Nel 1720 si rilevano 6 casi di morte a causa della «febbre maligna» e 7 
casi di «variole» (probabilmente vaiolo). 


Nel 1721 si osserva un brusco aumento della mortalità del 51,6%: questo 
è l’anno della prima consistente epidemia del vaiolo che colpisce maggiormen- 
te le fasce d’età da 0 a | anno di vita e da | a 5, registrando complessivamente 
il 42,6% di tutti i decessi. L’epidemia si era scatenata nei primi mesi dell’anno 
(gennaio 10 casi, febbraio 10, marzo 13, aprile 5), raggiungendo il tetto a mar- 
zo. 








Tab. 10 
MORTALITÀ MENSILE NEL 1721 

ANNO G F M A M G L A Ss O N D 
1721 18 7 20) 8 6 | = 2; 4 5 6 

Tab. 11 

MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1721 

0-1 a 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40 a 41-50 a 51-60 a +60) a 
3I DO 6 3 5 4 2: 5 Il 


Tra il 1712 ed il 1722 (ad eccezione degli anni dal saldo positivo 1717- 
1718) si registra una notevole congiuntura negativa, causata da diversi fattori 
che rimarrà la più ampia in senso temporale nel corso del secolo XVIII. 

Le altre cause che hanno contribuito ad aumentare la mortalità tra il 1711 
ed il 1725 sono i numerosi decessi dovuti all’«etisia» (21 casi) che appare mar- 
cante in quel periodo; le morti per omicidio (17 casi), che sono legate al feno- 
meno del banditismo; le morti dovute all’idropisia, in particolar modo presenti 
presso le classi d’età più vecchie (15 casi). 

Le medie annue delle nascite, calcolate per quinquennio, osservano una 


flessione nel periodo 1716-20, che può essere dovuta alla prolungata crisi di 
mortalità, oppure è da ricollegare alla forte epidemia di parotite (orecchioni), 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 145 


registrata in tutta l’Istria nel 1716,5° che presso gli individui maschi porta la 
sterilità. 

A partire dal 1722 segue un periodo di crescita fino al 1727, quando riap- 
pare una grave epidemia del vaiolo (35 casi) ed una più lieve di «flusso» (9 
casi), nonché si registra la presenza della «febbre maligna» (6 casi). 








Tab. 12 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1727 
0-1 a 1-Sa 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40 a 41-50 a 51-60 a +60 a 
25 36 7 6 3 I 4 4 4 


La classe più colpita risulta quella da 0 a 5 anni di vita, che riporta in tut- 
to 61 decessi su 90, pari al 67,7%. Le epidemie si scatenano tra agosto e no- 
vembre, quando si può rilevare il 71,1% di tutti i decessi. 








Tab. 13 
MORTALITÀ MENSILE NEL 1727 
ANNO G F M A M G L A Ss (0) N D 
1727 2 2 | 3 1 3 8 16 15 18 15 


Nel 1729 si osserva un saldo negativo per via di un’epidemia di «febbre 
maligna», che colpisce intensamente la popolazione tra i 31 ed i 40 anni d’età. 





Tab. 14 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1729 
0-1 a 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40 a 41-50 a 51-60 a +00) a 
Il 3 3 1 9 15 4 7 9 


80 A. CORRADI, op. cit., p. 336. 


146 E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


Per quanto riguarda la nuzialità, nei primi due decenni presi in esame, es- 
sa raggiunge una crescita, passando dalla media annua del 10,2, del quinquen- 
nio 1711-15, a 18,2 nel quinquennio 1726-30. 

Il rapporto nati/matrimoni, in questo periodo, salvo eccezioni, rimane so- 
stanzialmente stabile sui valori che si aggirano tra il 3,1 ed il 5. 

Nel quinquennio 1726-30, diminuisce la natalità in seguito alle crisi del se- 
condo decennio e degli anni 1727 e 1729, passando dalla media annua di 60 
nati, per il 1721-25, a 56,4 per il 1726-30; la mortalità cresce nel decennio pas- 
sando da 47, 2 morti per il primo quinquennio a 59 di media per il secondo. 


3. Dal 1731 inizia un periodo contraddistinto dalla prevalenza dei saldi po- 
sitivi che dura fino al 1761: in questa fase avviene la decisiva crescita demo- 
grafica di Parenzo. 

Le congiunture principali, che hanno rallentato in alcuni anni tale svilup- 
po, sono quelle del 1734, 1742-43, 1748 e 1750. 

Diversi fattori hanno caratterizzato la mortalità nel 1734: un’epidemia di 
«flusso» (15 casi) colpì i bambini entro i 5 anni di vita, tra il mese di maggio 
e giugno, nonché tra agosto e settembre; negli stessi mesi, tra la popolazione 
da 31 a 60 anni, serpeggiava un’epidemia di «febbre maligna» (10 casi). Il 1734 
fu un anno di grande siccità che interessò anche le parti nord-orientali d’Italia 
e probabilmente anche la penisola istriana:*' la scarsità dell’acqua in un siste- 
ma di approvvigionamento idrico primitivo e l'assenza di una profilassi ade- 
guata, potevano favorire l’insorgere e l'espansione di malattie infettive dell’ap- 
parato digerente, come il tifo e la dissenteria. 





Tab. 15 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1734 
Oa 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40 a 41-50 a 51-60 a +60 a 
18 16 6 4 5 7 6 10 8 


Dal 1730 al 1745 la natalità aumenta passando da una media annua del 
56,4 ad 88,4 nascite. La mortalità nel quinto decennio registra un periodo di 
stagnazione, mentre la nuzialità regredisce nei valori. 

Tra il 1742 ed il 1743 avviene un’altra congiuntura negativa provocata dal 
vaiolo (1742 - Il casi, 1743 - 6 casi) che registra morti tra gli abitanti più gio- 


SI Ibidem, p. 340. 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol XXI, 1991, p. 117-185 147 


vani; numerosi casi di «febbre maligna» colpiscono la popolazione superiore ai 
trent'anni (9 casi nel 1742, 6 casi nel 1743); sono inoltre segnalati 8 casi di 
morte dovuti a «febbre» presso gli ultrasessantenni. 

L'aumento della mortalità nel biennio 1742-43 è forse da mettere in rela- 
zione con il grande freddo del 1740}? allorquando il gelo aveva infierito su nu- 
merosi raccolti, provocando probabilmente una crisi alimentare che andava a 
indebolire la già in parte malnutrita popolazione. 








Tab. 16 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1742 
Ola 1-5a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40) a 41-50 a 51-60 a +60 a 
23 18 2 8 6 5 8 5 15 
Tab. 17 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1743 
Ola 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40) a 41-50 a 51-60 a +00) a 
15 23 6 = 6 4 Il 13 14 





Il 1748 si rivela un anno di elevato numero di nascite (91), che però non 
sono bastate a pareggiare nel saldo naturale l’alta percentuale di mortalità do- 
vuta ad una forte epidemia di vaiolo apparsa sul finire dell’anno, tra novembre 
e dicembre. Nel giro di una cinquantina di giorni muoiono 62 bambini com- 
presi entro i 5 anni di vita, pari al 67,3% di tutti i deceduti in quell’anno. 





Tab. 18 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1748 
0-1 a 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40) a 41-50 a 51-60 a +00 a 
24 38 8 2 3 4 3 3 7 


8 B. Schiavuzzi, «La malaria», cil., p. 444. 


148 E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


Un’analoga situazione si era creata due anni più tardi, nel 1750, quando tra 
agosto e dicembre muoiono 77 bambini d’età inferiore ai 10 anni e che rap- 
presentano il 61,1% della totale mortalità. Le cause, questa volta, sono il «flus- 
so», che colpisce 35 fanciulli tra 1 e 10 anni di vita e un’altra malattia non spe- 
cificata (37 casi), che falcia i bambini da 0 a 5 anni. L’epidemia di «flusso» 
non risparmia in quell’anno nemmeno le classi più adulte, causando 8 decessi 
fra i ragazzi da Il a 20 anni, ed altri 14 presso le fasce superiori. 





Tab. 19 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1750 
Ola 1-Sa 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40 a 41-50 a 51-60) a +00 a 
27 30 2) 15 3 6 4 5 16 


Tra il 1750 ed il 1760 diminuisce la nuzialità, però aumenta il rapporto na- 
ti/matrimoni, passando da una media annua di 4,9 nati, rilevati nel periodo 1746- 
1750 a 6,5 nati per il quinquennio 1756-60. 


4. Tra gli anni 1761-75, la crescita non registra un’inversione di tendenza, 
però i valori raggiunti tendono a stabilizzarsi ulteriormente sui livelli precedenti. 

Il positivo sviluppo demografico viene interrotto nel primo quinquennio 
1761-65, a causa di due anni critici, il 1762 ed il 1765, che incideranno sulla 
prevalenza della mortalità nel saldo complessivo del periodo; come diretta con- 
seguenza, nei seguenti cinque anni, le nascite subiranno una contrazione del 
5,3%. 

Il 1762 è un anno di diffusa mortalità presso tutte le classi d’età: 1 bambi- 
ni sotto i 5 anni sono colpiti da un male non specificato, mentre 20 casi di «feb- 
bre» e 22 casi di «mal di petto» sono distribuiti un po’ in tutte le altre fasce. 





Tab. 20 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1762 
O a 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30) a 31-40 a 41-50 a 51-60 a +60 a 
27 24 7 2 8 ll Il Il 22 


Dalla tabella risulta che le due estremità della popolazione, la più giovane 
e la più vecchia, riportano le perdite maggiori. E interessante vedere la casisti- 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 149 


ca dei fattori di morte per quell’anno: per le classi che vanno oltre i quarant’anni, 
si hanno 2 casi di «febbre con catarro», 2 di febbre polmonare e 3 casi di in- 
fiammazione della gola. In totale, assomando ai casi di «febbre» e «mal di pet- 
to», si registrano 49 decessi (40%) dovuti a complicazioni delle malattie dell’ap- 
parato respiratorio. Questi dati concordano col fatto che si trattava di un anno 
in cui le condizioni climatiche erano particolarmente avverse;8* un inverno lun- 
go e rigido deve aver pregiudicato il destino di molte vite. 

Tre anni dopo, nel 1765, un’altra crisi imperversa nella città: si tratta di 
un’ennesima epidemia di vaiolo, che scoppia a Parenzo a breve distanza di tem- 
po da quella grave registrata a Venezia (1763-64).** Essa si concentra tra i me- 
si di luglio ed ottobre, mentre le vittime, come al solito, sono i bambini al di 
sotto dei 5 anni di vita, che pesano sulla percentuale totale di mortalità del 
54,1%. 





Tab. 21 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1765 
0-1 a 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40 a 41-50 a 51-60 a +60 a 
35 2 9 10 2 6 6 3 14 


Nel periodo successivo, tra il 1766 ed il 1770, diminuisce notevolmente la 
media annua di morti, pari al 43,9%; cala però, come già detto, anche la nata- 
lità, mentre un sensibile aumento è registrato dalla nuzialità. 

Tra il 1771 e il 1775, sia le nascite che i matrimoni rimangono stabili; cre- 
sce invece il numero dei decessi favorito da due congiunture negative (1773, 
LIS) 


Pur non essendo ricordate straordinarie avversità del tempo per quell’anno, 
il 1773 riporta 12 casi di morte dovuti al «mal di petto», 11 casi di «febbre» e 
8 di dissenteria. La mortalità appare distribuita uniformemente in tutte le fasce 
d’età e la curva stagionale dei decessi non presenta punte di crisi significative. 
La pleurite colpisce egualmente la popolazione di tutte le età e quindi non si 
può parlare di una certa prevalenza per categorie. Oltre ad essa, sono registra- 
ti altri 7 casi di «febbre putrida verminosa» (forse una forma di tifo). La mor- 
talità dunque per quest'anno dimostra una fisionomia piena di sfaccettature, dif- 
ficilmente attribuibili ad un’unica causa climatica, economica od alimentare; 
probabilmente il concorrere di tutti questi differenti fattori ha contribuito all’in- 


83 Ibidem. 


#4 A. CORRADI, op. cit., vol. V, p. 684-685. 


150 E. IvErIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arri, vol XXI, 1991, p. 117-185 


sorgere di uno stato di crisi che non ha risparmiato nessun strato della popola- 
zione. 


Per il 1775 non abbiamo testimonianze riguardanti il clima. Osservando 
però l’andamento mensile della mortalità, si desume che il periodo più critico 
in quell’anno dovette ancora una volta coincidere con i mesi più freddi: il ver- 
tice viene subito toccato a gennaio, per poi diminuire sino alla fine dell’estate 
quando il numero delle morti riprende a crescere raggiungendo il massimo a 
dicembre. 








Tab. 22 

MORTALITÀ MENSILE NEL 1775 
ANNO G E MUCCA M G L A S O N D 
1775 15 7 9) 9 4 9 5 4 10 Il 10 12 





S. A partire dal 1775, i periodi in cui prevale il saldo negativo sono ca- 
ratterizzati dalla presenza di epidemie di vaiolo che diventano le cause, quasi 
esclusive, di crisi nella crescita demografica complessiva: gli anni in cui tale 
flagello nettamente incide sull’equilibrio naturale sono il 1781, il biennio 1786- 
88 ed il biennio 1796-97. 


Nel decennio 1776-85, le nascite e le morti riportano un aumento, mentre 
rimane stabile sui valori raggiunti, la nuzialità. 

Il 1777 osserva una minima prevalenza dei nati sui morti, in quanto tra i 
mesi di ottobre e novembre si è manifestata un’epidemia di vaiolo non parti- 
colarmente grave in confronto con le precedenti (22 decessi sempre nella fascia 
1-5 anni, pari al 28,9% sul totale dei morti). 

Quattro anni più tardi, il vaiolo colpisce nel 1781, tra i mesi di luglio e di- 
cembre, falciando 85 bambini inferiori ai 5 anni - quasi 64 morti su cento, in 
quell’anno. Viene rilevata inoltre una notevole percentuale di decessi presso gli 
ultracinquantenni (22 casi pari al 16,5% del totale), dovuta a malattie dell’ap- 
parato respiratorio, da mettere in relazione con l’accentuato irrigidimento del 
clima che ha caratterizzato il periodo: infatti, secondo la «Cronaca» del rovi- 
gnese Angelini, nell'inverno del 1782, molte coltivazioni dell’olivo perirono a 
causa del grande freddo." 


8 G. Rabossi; A. PAULETICH, 0p. cit., p. 216. 


E. Iveric. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991. p. 117-185 151 





Tab. 23 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1781 
0-1 a 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21:30 a 31-40) a 41-50 a 51-60) a +00) a 
40 45 6 7 2 3 = 8 22 


Tra il 1786 ed il 1788 si osserva una nuova congiuntura negativa determi- 
nata da due epidemie di vaiolo (1786, 1788). La percentuale della popolazione 
deceduta al di sotto dei cinque anni è del 56,7%, mentre nel 1788 è del 58,4%: 
in ambedue i casi l’epidemia si era sviluppata tra i mesi di settembre e no- 
vembre. 











Tab. 24 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1786 
O a 15 a 6-10 a 11-20 a 21:30 a 31-40) a 41-50 a 51-60 a +00) a 
33 30 10 8 5 5 5 4 LI 
Tab. 25 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1788 
Ola 15 a 6-10 a 11-20 a 21-30) a 31-40) a 41-50 a 51-60) a +60 a 
4l 42 17 6 7 7 5 2 15 


Il periodo 1786-90, è contrassegnato così da un saldo negativo in cui pre- 
domina la mortalità sulla natalità. 

L’ultima congiuntura del secolo è quella verificatasi tra il 1796 ed il 1797, 
anch’essa dovuta ad un'epidemia di vaiolo. Come di consueto essa ha mietuto 
vittime tra le classi più giovani con una percentuale che si aggira attorno al 
34%. 


Tab. 26 
MORTALITÀ PER CLASSI DI ETÀ NEL 1797 


0-1 a 1-5 a 6-10 a 11-20 a 21-30 a 31-40 a 41-50 a 51-60 a +60) a 


23 39 13 I 6 7 5 ] 19 





152 


E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Afzi, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


Nell'ultimo decennio del secolo XVIII la natalità rimane sui valori stabili 
della media di 84 nati per anno, la mortalità cresce grazie alle crisi sopraindi- 
cate, mentre la nuzialità osserva una netta ripresa rilevando la media più alta 


del secolo (25 matrimoni all’anno). 


Tab. 27 


MOVIMENTO NATURALE DELLA POPOLAZIONE DI PARENZO NEL SECOLO XVIII 

























































































ANNO NATI annua = MORTI ainua NAT MATR ANNUA. NATIMATE 
1711 54 27 + 27 12 4,5 
1712 42 48 — 6, 10 4,2 
1713 48 60 - 12 3 16,0 
1714 45 46 il 9 5,0 
1715 53 57 —- 4 17 3,1 
1711-1715 242 48,4 238 47,7 + 4 SI 10,2 
1716 47 48 - I 9 S2 
1717 50 38 + 12 16 3,1 
1718 SI 4l + 10 14 3,6 
1719 42 60 — 18 12 3,5 
1720 40 46 - 6 22 1,8 
1716-1720 230 46,0 233 46,6 —- 3 73 14,6 3,1 
1721 70 89 — 19 19 3,6 
1722 70 37 + 20 17 3,3 
1:723 56 36 + 20 14 4,0 
1724 60 4l + 19 Il 5,4 
1725 57 33 + 24 Il S.I 
1721-1725 300 60,0 236 47,2 + 64 2 14,4 4,1 
1726 S4 SI + 3 16 3,3 
1727 57 90 =-33 16 359 
1728 71 45 + 26 21 3,3 
1729 50 64 - 14 10 5,0 
1730 50 45 + 5 28 1,7 
1726-1730 282 56,4 295 59,0 — 13 9I 18,2 3,0 
1731 55 38 + 17 21 2,6 
1732 66 48 + 18 15 4,4 
1733 64 61 + 3 22 29 
1734 71 80 - 3 ll 7,0 





E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 




















































































































E ETREEUITRENR GG: 
1735 76 57 + 19 16 4,7 
1731-1735 338 67,6 284 56,8 + 54 85 17,0 39 
1736 82 48 + 34 10 8,2 
1737 66 56 + 10 15 4,4 
1738 80 61 + 19 22 Sio) 
1739 79 6l + 18 15 5,8 
1740) 79 58 + 21 3 2A 
1736-1740) 386 FAIR 284 56,8 +102 65 13,0 99 
1741 85 68 + 17 10 8,5 
1742 85 88 —- 3 15 5,6 
1743 79 90 - ll 23 3,4 
1744 84 68 + 16 13 6,4 
1745 109 65 + 44 12 9,0 
1741-1745 442 88,4 379 75,8 + 63 73 14,6 6,0) 
1746 85 68 + 17 17 5,0 
1747 79 46 + 33 21 3,7 
1748 9I 92 - I 16 5,6 
1749 82 78 + 4 15 5,4 
1750 101 126 — 25 19 5,3 
1746-1750 438 87,6 410 82,0) + 28 88 17,6 4,9 
1751 80 38 + 27 9 8,8 
1752 70) 67 + 3 17 4,l 
li759 95 59 + 40 17 5,9 
1754 76 58 + 18 19 4,0) 
1755 79 45 + 34 18 4,3 
1751-1755 400 80,0 278 55,6 +122 80 16,0 5,0 
1756 88 61 55,6 + 27 12 19 
1797 77 73 + 4 17 4,5 
1758 79 53 + 26 12 6,5 
1759 78 56 + 22 12 6,5 
1760 80 40) + 40) 8 10,0 
1756-1760 402 80,4 283 56,6 +119 61 12,2 6,5 
1761 79 74 + 5 10 7,9 
1762 75 121 — 49 15 4,8 
1763 82 60) + 22 23 3,5 
1764 87 32 + 35 13 6,6 





154 E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


MEDIA MEDIA SALDO MEDIA RAPPORTO 














































































































lab bu ANNUA MORTE — ANNUA NAT. MATR. ANNUA NATI/MATR. 
1765 70) 109 — 39 12 5,8 
1761-1765 390) 78,0) 416 83,2 — 26 73 14,6 9.3 
1766 76 40) + 36 17 4,4 
1767 69 46 + 23 21 soa 
1768 64 39 + 25 16 4,0) 
1769 86 63 + 23 15 5,7 
1770 74 45 + 29 19 3,8 
1766-1770 369 73.8 233 46,6 +136 88 17,6 4,1 
1771 81 46 + 35 16 5,0) 
1772 82 60 +22 9 9,1 
1773 64 78 — 14 16 4,0) 
1774 73 57 + 16 29 2,5 
1775 67 97 — 30 17 3,9 
1771-1775 367 734 338 67,6 + 29 87 17,4 4,2 
1776 76 DI +21 17 4,4 
L77 79 75 + 4 20 3,9 
1778 Ver. SI + 26 25 3,0 
1779 97 43 + 54 29: 4,4 
1780, 88 34 + 54 20) 4,4 
1776-1780 417 834 258 51,6 +159 104 20,8 4,0) 
1781 81 133 - 52 25 32 
1782 99 61 + 38 17 5,8 
1783 82 64 + 18 18 4,5 
1784 86 70 + 16 16 39 
1785 85 63 +22 1) AT 
1781-1785 433 86,6 391 78,2 +42 87 17,4 4,9 
1786 87 Ill - 24 14 6,2 
1787 83 88 - 5 23 3,6 
1788 73 142 - 69 18 4,0) 
1789 70 64 + 6 16 4,3 
1790) 66 57 + 18 3,6 
1786-1790 379 75,8 462 92,4 — 83 89 17,8 4,2 
1791 88 55 + 33 22 4,0 
1792 94 60 + 34 30 REI 
1793 76 58 + 18 29 3,4 
1794 93 62 + 3I 20) 4,6 





E. Iverio, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arri, vol XXI, 1991, p. 117-185 


55 



























































i — prime Cnn VI sen I 
1795 73 62 + Il 20 3,6 
1791-1795 424 84,8 297 59.4 +127 114 22,8 39 
1796 til 79 = 2 19 4.0) 
1797 72 114 - 42 19 351 
1798 89 82 PUT 27 32 
1799 97 73 +24 33 29 
1800 85 56 + 29 Dd7 3.1 
1796-1800 420) 84,0) 404 80,8 + 16 125 25.0 3:3 
Tab. 28 
MORTALITÀ IN BASE ALLE CLASSI DI ETÀ 
DECENNIO 0-30 e 1-12 m ES a 6-10 a 10-20 a 21304 3-40 a 41-50 a 51-60 a 61-80 a +80 a 
1711-1720 Til 85 68 46 29 36 38 23 38 46 21 
1721-1730) 93 74 98° 21 18 Al 47. 29 39 64 7 
1731-1740) 119 78 91 26 2034 42 38 40 68 12 
1741-1750 12687 198 SI 46. 39 37 52 43 97 13 
1751-1760 122. 62 860 34 30 23 33. 4l 38 66 26 
1761-1770 10982 I6 44 39 te) 38 AD ST 76 14 
1771-1780 124. 80 94 27 32 30 39 30 48° 74 18 
1781-1790 164 121 163 50 36 43 35 42 SÌ 131 17 
1791-1800 149 65. 131 28 3I 29 52 4l 48 105 22 
TOTALE 1077 704. 1046 327 281 307 361 338 402 727 150 


MOVIMENTO NATURALE DELLA POPOLAZIONE A PARENZO NEL XVIII SECOLO 


—++ nascite 
msi VOCOSSI 
—— matrimoni 





1711 1719 1727 1736 1743 1761 1759 1767 17765 1783 1791 1799 
Anno 


95 


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E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 157 


4. La nuzialità 


I. Nelle società preindustriali, modellate su principi etici della morale cat- 
tolica, il matrimonio non aveva esclusivamente una funzione religiosa, ma an- 
che un preciso ruolo sociale ed economico.8° 

Le norme e le consuetudini dettate dalla Chiesa stabilivano con l’atto ma- 
trimoniale un evento fondamentale ed insostituibile nel rapporto tra l’uomo e la 
donna. Esso fu però anche uno strumento largamente usato per rinsaldare i rap- 
porti di clientelismo e per la creazione di nuove alleanze familiari, specialmente 
presso quelle classi sociali che avevano qualche interesse da difendere o gua- 
dagnare, come i nobili, i cittadini o gli artigiani.8” 

La scelta del coniuge, quindi, non era determinata unicamente dal senti- 
mento amoroso. Quest'ultimo avrà avuto una certa parte nelle ragioni del ma- 
trimonio, ma non sicuramente il primato: «ci si amava perché si era sposati, 
piuttosto che essersi sposati perché ci si amava».#* Solo forse nelle classi più 
subalterne, dove non c’era nessun problema di trasmissione di patrimonio o di 
privilegio, poteva sussistere un matrimonio basato sugli affetti più che sugli in- 
teressi. 

In questo preciso contesto culturale e sociale deve essere considerata pure 
la nuzialità a Parenzo nel secolo XVIII. 

Nel periodo preso in esame, 1711-1800, nella città sono stati complessiva- 
mente celebrati 1505 matrimoni, pari ad una media annua di 16,75 unioni. 63 
matrimoni su 100 sono stati conclusi tra sposi residenti, mentre il 37% sono 
matrimoni esogamici, ovvero in cui entrambi o almeno uno degli sposi è pro- 
veniente da luoghi esterni alla parrocchia. Non si è tenuta evidenza dei matri 
moni degli sposi residenti nelle «ville» circostanti a Parenzo in quanto questo 
fenomeno è apparso poco rilevante e non continuo nel tempo. Inoltre, non è 
possibile appurare se gli sposi «villici» abbiano scelto la residenza nei luoghi 
di provenienza o abbiano deciso di stabilirsi altrove, per esempio a Parenzo. 

Sono stati registrati tre interessanti casi di matrimoni contratti in un modo 
non acconsentito dalla Chiesa. Si tratta di giovani coppie che si presentavano 
improvvisamente di fronte al parroco dicendo «noi siamo sposati», col propo- 
sito di essere uniti senza il rituale procedimento.*° Secondo la tradizione, si cre- 
deva che bastasse la sola presenza fisica dell’ecclesiastico responsabile, per av- 
valorare l’unione. 


#6 C.A. CORSINI, «Ricerche di demografia storica nel territorio di Firenze», in Demografia 
storica, a cura di E. SoRI, Bologna, 1975, p. 175. 


87 R. MERZARIO, «Il mercato matrimoniale “stretto”», in / vincoli familiari in Italia dal se- 
colo XI al secolo XX, a cura di A. MANOUKIAN, Bologna, 1983, p. 165-194. 


#8 M. BUONANNO (a cura di), Le funzioni sociali del matrimonio, Milano, 1980, p. 15. 


#9 In letteratura è celebre il caso di Renzo e Lucia ne «Il promessi sposi». 


158 E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Ari. vol. XXI, 1991, p. 117-185 


Questi avvenimenti, accaduti nel 1723, 1734 e 1739, sono descritti minu- 
ziosamente dall’arciprete De Rossi, che era coinvolto direttamente, senza spe- 
cificare però le cause che avevano spinto i giovani fidanzati a fare un atto si- 
mile. Nel caso registrato il 7 aprile 1723," il De Rossi, dopo aver rifiutato di 
sancire il fatto accaduto e aver tentato di persuadere la coppia che si trattava 
di un atto illegittimo, contrario alle norme religiose, fu assalito da un gruppo 
di otto cittadini, per la maggior parte marittimi e manovali, che gli intimidaro- 
no di approvare l'unione; la zuffa, che ne era scaturita, in seguito si trasferì nel- 
la sede della Curia vescovile dove, dopo una lunga discussione e dopo che il 
Vescovo ebbe minacciato di riferire tutto l’accaduto al Podestà e in seguito al 
Consiglio dei X, la situazione si calmò e i giovani fidanzati ammisero di esse- 
re in colpa. 

Negli altri due casi, il parroco fu attratto in una casa col pretesto che c’era 
un moribondo da assolvere; una volta entrato, gli apparvero improvvisamente 
due giovani che si dichiararono coniugati. Anche in quelle occasioni, tutta la 
faccenda terminò dal Vescovo e tali unioni vennero proclamate non valide. Di 
questo tipo di matrimoni si è rilevata la presenza solo nella prima metà del se- 
colo; quale sia il motivo di tale comportamento, è difficile dare una spiegazio- 
ne. 

Infine, va segnalato un unico matrimonio celebrato in conseguenza ad un 
caso di deflorazione violenta, che era accaduto a Dracevaz nel luglio del 1743. 


2. Lo stato civile degli sposi è facilmente desumibile dai registri dei ma- 
trimoni in quanto veniva sempre specificato quando si sposava una vedova («re- 
licta») o un vedovo, in seconde o terze nozze. 

A Parenzo, tra il 1711 ed il 1800, su 1505 matrimoni conclusi, il 19% è 
rappresentato da quelli vedovili. Tra questi ultimi, la maggior parte è costituita 
da legami tra celibi e donne vedove, con 1°8,9% sul totale; seguono le unioni 
tra vedovi e donne nubili, con il 5,5% ed infine, la minor percentuale del 4,5 
corrisponde ai matrimoni fatti tra vedovi. 

Nel corso del secolo, le nozze «In primo voto» tendono ad aumentare, ri- 
levando una crescita del 10% circa. Particolarmente alta è la percentuale nel de- 
cennio 1751-1760, quando le unioni tra celibi e nubili registrano il 91,4% del 
totale. 

La notevole quantità complessiva di matrimoni vedovili dimostra che essi 
erano abbastanza frequenti a Parenzo nel corso del secolo XVIII. Le cause di 
questo fenomeno sono da ricercare nell'alta mortalità nel Settecento, per cui esi- 
steva un grande numero di persone colpite precocemente dalla morte del co- 
niuge che spesso per necessità erano costrette a risposarsi. 


9 H.A.P.. FP, LC 1710-33, Adì 7 aprile 1723. 


E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 159 


Un nuovo matrimonio costituiva un grande appoggio, non solo negli affa- 
ri domestici, ma anche nelle varie attività agricole, artigianali o commerciali.” 

Tra le cause che determinano l’alta percentuale di unioni tra donne vedo- 
ve e uomini celibi, va rilevata l'alta mortalità maschile durante tutto il secolo, 
specialmente se si considera che una delle occupazioni più diffuse, e allo stes- 
so tempo più rischiose, era la marineria. Inoltre, vi era un continuo flusso di 
stranieri che arrivavano a Parenzo in cerca di fortuna, di lavoro, o nel tentati- 
vo di promuovere una nuova attività artigianale.?” In questo caso, il matrimo- 
nio con una vedova, che magari aveva una casa cd era riconosciuta nella so- 
cietà cittadina, poteva risultare una buona sistemazione. 

I matrimoni tra uomini vedovi e donne nubili risultavano meno frequenti, 
anche se è certo che i vedovi, specialmente con i figli piccoli, di regola si ri- 
sposavano.’ 

Mancano, infine, testimonianze, nei registri parrocchiali e nelle visite pa- 
storali, sulla pratica a Parenzo degli «charivaris», cioè di quella serie di scher- 
zi e di lazzi messi in atto dai giovani nei confronti di vedovi che si risposava- 
no; non si esclude però che tale fenomeno sia stato presente nella vita della 
comunità parentina, specialmente se si considera che a Rovigno era una prati- 
ca abituale, chiamata in dialetto locale «battarella» 0 «crepazia», che a volte 
coinvolgeva buona parte della popolazione.® 


3. Durante il Settecento, si registrano a Parenzo complessivamente 956 ma- 
trimoni endogamici, in cui cioè entrambi gli sposi sono residenti in parrocchia, 
che equivale al 63,5% di tutti le unioni. Tale tipo di matrimonio ha riportato, 
nel corso del secolo, un deciso aumento a scapito delle unioni esogamiche, in 
cui almeno un coniuge non è residente in parrocchia, e che complessivamente 
tendono al calo. 

La maggioranza dei matrimoni esogamici è rappresentato da quelli in cui 
la sposa è residente in parrocchia; questo fatto è dovuto alla tradizione di ce- 


"JJ Goonv, Famiglia e matrimonio in Europa (origini e sviluppi dei modelli familiari 
dell'Occidente), Milano, 1984, p. 226. 

2 Si trattava, in molti casi, di giovani artigiani o commercianti provenienti dalla regione 
del Friuli, cfr. E. APiH, «Sui rapporti tra Istria e Friuli nell'età moderna», ACRSR, vol. V (1974), 
p. 129-138. 

% C.A. CoRsinI, «Ricerche», cil., p. 178. 

% J.L. FLANDRIN, La famiglia. Dimensioni, struttura e vita materiale, legami di parentela, 
rapporti tra coniugi e morale domestica, sessualità, assistenza ed educazione dei figli nella So- 
cietà preindustriale, Milano, 1979, p. 164. 

% G. RapossI; A. PAULETICH, 0p. cit., p. 283. 


160 E. Ivenic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


lebrare il matrimonio nel luogo d’origine della sposa.?° Dalle percentuali espo- 
ste risulta che a Parenzo era assai viva la mobilità nuziale, in particolar modo, 
nella prima metà del Settecento. 

In base ai dati, che si rilevano dai libri dei matrimoni, si può osservare sol- 
tanto il movimento migratorio che tende verso la parrocchia, costituito gene- 
ralmente da sposi maschi o da coppie che scelgono di sposarsi a Parenzo. Ri- 
mane oscura la tendenza opposta, cioè la mobilità verso l’esterno, che potreb- 
be avere un’importanza notevole sul bilancio totale.” 


1741, quando cioè la crescita complessiva della popolazione di Parenzo co- 
minciava ad assestarsi. Il movimento migratorio verso la città non era però 
scomparso nella seconda parte del secolo: ce lo testimonia l’aumento del nu- 
mero degli sposi che prima di unirsi a Parenzo hanno vissuto un certo periodo 
altrove. Ad una mobilità nuziale diretta nel primo cinquantennio, dovuta alla 
crisi demografica del Seicento, era quindi subentrata gradualmente un’immi- 
grazione di elementi non originari che, dopo un periodo di permanenza nella 
città, diventavano agli occhi della comunità e del parroco Parentini a tutti gli 
effetti. 

Durante il Settecento dunque si rileva, in base alla provenienza degli spo- 
si, un continuo movimento di genti a Parenzo. Dalle direttrici di provenienza 
degli sposi risulta interessata una vasta area geografica che non comprende so- 
lo i territori della parrocchia e dell’agro parentino, ma anche diversi centri 
dell’Istria sia veneta che austriaca, la regione del Friuli, la Terraferma veneta, 
le isole dell’ Adriatico settentrionale, la Dalmazia, le isole ionie e gli stati ita- 
liani. 

Nell’apposita tabella sono stati elencati i luoghi di provenienza degli spo- 
si non originari di Parenzo: in tutto sono stati rilevati 116 luoghi per 651 spo- 
si sul totale di 759 originari da fuori, pari cioè al 85,77%. 

Le principali tendenze migratorie, rilevate nell'analisi, possono essere sin- 
tetizzate nei seguenti punti: 


a) Un’alta percentuale di sposi proviene dall’ambito della parrocchia e dal cor- 
po territoriale della Podesteria: si tratta di una mobilità abituale motivata da 
diversi fattori economici, sociali e di tradizione culturale che dimostrano 
quanto la città di Parenzo fosse legata con il suo entroterra. 


% C.A. Corsini, «Nascite e matrimoni», in Le fonti della demografia storica in Italia, (a 
cura del) CISDS, Roma, 1972, p. 679. 


”? M.W. FLINN, // sistema demografico europeo, Bologna, 1983, p. 100. 


% A Parenzo, nel periodo analizzato (1711-1800), sono stati celebrati 549 matrimoni eso- 
gamici, in cui almeno uno dei due sposi non è residente in parrocchia; considerando che 210 
unioni sono state celebrate tra entrambi gli sposi provenienti da altrove e che interessano quindi 
420) individui, il numero complessivo di donne e uomini non residenti che hanno celebrato le lo- 
ro nozze a Parenzo è 759. 


E. IveTic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Azzi, vol. XXI, 1991, p. 117-185 161 


b) 


c) 


d) 


e) 


f) 


2) 


h) 


La maggioranza assoluta degli sposi esterni, in base al singolo luogo di pro- 
venienza, appartiene a Rovigno. Si possono specificare tre principali fattori 
che hanno determinato tale tendenza: 1) la numerosità della popolazione di 
Rovigno; non dimentichiamo che era il centro più abitato di tutta la Pro- 
vincia; 2) la vicinanza geografica; 3) l’importanza delle rotte marittime in 
qualità di vie di comunicazione; fino all’amministrazione francese (1805- 
1813), l’Istria non possedeva delle vere e proprie vie di comunicazione in- 
terne: il territorio era infatti solcato da poche strade carraie dissestate e sen- 
tieri percorribili solo a cavallo;”” da qui l’importanza della comunicazione 
marittima che per secoli ha rappresentato, lungo la costa occidentale, l’uni- 
ca possibilità di spostamento, creando un forte legame culturale e sociale tra 
le popolazioni delle varie località urbane. 

In base al numero degli sposi è possibile tracciare una linea di spostamen- 
to tra Parenzo e l’interno dell’Istria, in particolare lungo la direttrice Paren- 
zo-Visignano-Visinada-Montona-Pinguente. 

Oltre a Rovigno, gli altri centri della costa istriana, rilevati in ordine della 
numerosità di presenze, sono: Capodistria, Orsera, Pirano, Isola, Umago, Al- 
bona e Pola. 

Notevole appare lo scambio di gente con la Dominante, in special modo se 
messo a confronto con i centri marittimi dell’Istria. 


Il rapporto con il Friuli risulta significativo, mentre quello con la Terrafer- 
ma veneta appare abbastanza discreto anche se esteso a molte località. 


Meno marcante del previsto risulta lo scambio migratorio con le genti pro- 
venienti dai territori imperiali istriani che rientravano nella diocesi di Pa- 
renzo; bisogna ricordare che la popolazione della Contea di Pisino era mol- 
to più esigua di quella residente nella parte veneta della penisola. 

La mobilità relativa ad altre regioni e domini della Serenissima, come la Dal- 
mazia e le isole greche, riflette una tendenza migratoria abbastanza conte- 
nuta, probabilmente doyuta anche al decisivo calo degli scambi commercia- 
li lungo le coste orientali dell’ Adriatico. 


4. In una società preindustriale, caratterizzata da un controllo volontario 


delle nascite quasi inesistente o comungue molto limitato, e da una fertilità ex- 
tramatrimoniale era molto bassa, l’età in cui le donne comunemente si sposa- 
vano diveniva un elemento determinante della fecondità globale.' 


di una popolazione che era approvata dalla morale religiosa dell’epoca. 


Il matrimonio tardivo rappresentava una forma di controllo della fecondità 
OI 


% N. SETIG, op. cit., p. 107-108. 
100 M.W. FLINN, op. cit., p. 41. 
!0! J. Goony, op. cit., p. 228. 


162 E. Ivetio, La popolazione di Parenzo nel Settecento. Arti, vol. XXI. 1991, p. 117-185 


Conoscere l’età degli sposi al primo matrimonio, quindi, rappresenta un pri- 
mo punto fondamentale nello studio della fertilità. 


Negli atti di matrimonio comunemente non viene segnata l’età degli sposi, 
perciò si deve ricorrere ai registri delle nascite e delle morti. Sono stati così 
presi in esame 120 matrimoni celebrati a Parenzo nel periodo tra il 1735 ed il 
1760," tra celibi e nubili nati e residenti in parrocchia. Con l’aiuto dei regi- 
stri dei battesimi, dei decessi e dello Stato d’anime del 1775, è stato possibile 
determinare l’età dei 80 uomini e delle 79 donne." In base a questo campio- 
ne, l’età media al primo matrimonio è di 25,02 anni per l’uomo e di 21,75 per 
la donna. Osservando invece le percentuali in base alla distribuzione per fasce 
d’età, si nota che il 56,2% dei maschi si sposa tra i 21 ed i 25 anni, mentre il 
21,2 tra i 26 e i 30 anni; solo 1°11,2% degli uomini si sposava al di sotto dei 
vent'anni. Tra le donne quasi la metà (44,3%) celebra il matrimonio al di sot- 
to dei vent'anni, mentre il 40,5% tra i 21 ed i 25 anni. Assai contenuto appa- 
re il numero delle nubili che contraggono matrimonio dopo i 26 anni. 


Da questa serie di dati risulta evidente che a Parenzo, nel Settecento, ci sì 
sposava giovani, con una notevole percentuale di unioni celebrate sotto i 25 an- 
ni d’età, mentre in Europa, la media era tra i 26 e i 30 anni.'!* 


Una prima spiegazione può essere individuata nel fatto che Parenzo, per la 
sua struttura cittadina e per la funzione di porto, forse favoriva un inserimento 
precoce nelle attività lavorative dei giovani, rendendo possibile la formazione 
di nuove famiglie prima che in altri ambienti prettamente rurali. 


Una seconda ipotesi può essere legata al senso di precarietà della vita: a 
Parenzo, nel secolo XVIII, era ancora vivo il ricordo della grave crisi demo- 
grafica del Seicento, inoltre si registrava un continuo flusso di immigrati che 
spesso non resistevano a lungo nella città a causa della cronica presenza della 
malaria. Questa mancanza di stabilità, di sicurezza nel futuro, periodicamente 
incisa dalle cicliche crisi di mortalità, poteva determinare nella mentalità della 
gente una più pronta reazione alla vita che si rifletteva nella precoce scelta del- 
la vita coniugale. Una risposta esauriente a questo problema potrà essere data 
soltanto quando si sarà studiata l’età al primo matrimonio della coppia, in un 
contesto più largamente istriano. Dai confronti con altri centri si potrà stabilire 
se si tratta di un fenomeno locale o di un aspetto caratteristico della regione in 
quell'epoca. 


!©2 [L'arco di tempo risulta così vasto per via dell’impossibilità di rilevare un numero suf- 
ficiente di matrimoni endogamici e non vedovili entro un periodo più breve. 

!03 Un terzo degli sposi, probabil mente a causa dell'emigrazione, scompare dai registri par- 
rocchiali dei decessi e quindi risulta impossibile determinarne l’età. 

10 M.W. FLINN, op. cit., p. 44. 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol XXI, 1991, p. 117-185 163 









































Tab. 29 
NUZIALITÀ A PARENZO (1711-1800) 

Matrimoni 1505 
Media annuale 16,72 
Matrimoni con entrambi gli sposi residenti in parrocchia 956 (63,5%) 
Matrimoni con la sola sposa residente in parrocchia 283 (18,8%) 
Matrimoni con il solo sposo residente in parrocchia 56 (3,7%) 
Entrambi gli sposi residenti altrove 210 (13,7%) 
Solo sposo vedovo 83 (5,5%) 
Solo sposa vedova 135 (8.9%) 
Entrambi gli sposi vedovi 68 (4,5%) 
Totale dei matrimoni con almeno un vedovo 286 (19%) 
Matrimoni in cui furono ommesse tutte e tre le pubblicazioni 219 
Casi di consanguineità - 
Sposi residenti in parrocchia che vissero per un certo periodo altrove 213 
Spose residenti in parrocchia che vissero per un certo periodo altrove 158 

Tab. 30 

MATRIMONI SUDDIVISI SECONDO LO STATO CIVILE DEGLI SPOSI 

uuEE EER: 





1711-1720 123 93 75,6 16 13,0 9 19) 5 40 24,39 
1721-1730 163 119 730 22 13,4 15 92 7 4,2. 26,99 
1731-1740 150 117 78,0 17 11,3 9 6,0 7 46 22,00 
1741-1750 161 118 73,2 20) 12,4 9 LÌ 14 8,6 26,70 
1751-1760 141 129 91,4 5 39 5 35 2 1,4 8,51 
7 
9 

















1761-1770 161 139 86,3 10 6,2 5 3.1 4,3 13,66 
1771-1780 191 156 81,6 14 7,3 12 6,2 4,7 18,32 
1781-1790 176 141 80,1 12 6,8 12 6,8 10 5.6 19,31 
1791-1800» 239 206 86,1 19 7,9 J 2,9 7 29 13,80 
TOTALE 1505 1218 80,9 135 8,9 83 39 68 4,5 19,00 














164 E. Ivetic. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


Tab. 31 
MORTALITÀ IN BASE AL SESSO NELLA POPOLAZIONE ATTIVA (11-50 ANNI) 
































DECENNIO Mii o piau ì d4 ; ca 5 TRANI 
1711-1720 12. 17 26 10 22 _ 16 lO el 7650 
1721-1730 2 16 28 13 30.17 19 10 79 56 
1731-1740 14 6 24 10 92 TO 21 19 91 45 
1741-1750 27 19 2 «i 23 14 39 17 112 62 
1751-1760 7519: 12 Il 204 LIB 23 18 72-59 
1761-1770 257 -S14; 17 15 21 IRA 25:17 88° 63 
1771-1780 18° 14 18:12 DI 18 19 Il 16-99 
1781-1790 22 ld 27 16 22 13 23 DIS 94 62 
1791-1800 24 7 19 10 30 +29 19: 22 92 61 
TOTALE 161 120 198109 221 140 198 140 780 509 

Tab. 32 


ANDAMENTO DECENNALE DFI MATRIMONI SECONDO LA PROVENIENZA 
DEGLI SPOSI 


ENTRAMBI SPOSI SOLO SPOSA SOLO SPOSO ENTRAMBI SPOSI 





























DEREIOGO RESIDENTI # RESIDENTE °° RESIDENTE * — NONRESIDENTI  % 

1711-1720 50 40,6 43 34,9 6 4,8 24 19,5 
1721-1730 78 47,8 45 27,6 9 1a) 31 19,0 
1731-1740 76 50,6 37 24,6 9 6,0 28 18,6 
1741-1750 97 60,2 36 22,3 9 NI 19 11,8 
1751-1760 107 75,8 29 20,5 2 14 3 VA 
1761-1770 117 72,6 18 1],] 5 3,1 21 13,0 
1771-1780 128 67,0 24 12,5 9 4,7 30 liSà7 
1781-1790 136 771,2 19 13,9 5 3,6 16 11,7 
1791-1800 167 69,8 32 {3:33 2 0,8 38 15,8 





TOTALE 956 63,5 283 18,8 


. 
D 


37 210 13,9 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 165 
















































































Tab. 33 
MATRIMONI IN CUI LO SPOSO O LA SPOSA RESIDENTI VISSERO 
UN CERTO PERIODO ALTROVE 

DECENNIO SPOSO % (1) SPOSA % 
1711-1720 9 3,6 7 2,8 
1721-1730 8 2,4 8 2,4 
1731-1740 10 3,3 10 3,3 
1741-1750 IS 4,5 17 5,1 
1751-1760 29 8,1 23 8,1 
1761-1770 30 9,3 18 5,5 
1771-1780 28 7,3 17 4,4 
1781-1790 40 11,3 28 7,9 
1791-1800 50 10,4 30 6,9 
TOTALE 218 7,0 158 I 
(1) % sulla somma complessiva degli sposi. 

Tab. 34 

PRINCIPALI LUOGHI DI PROVENIENZA DEGLI SPOSI 

REPUBBLICA DI VENEZIA - PROVINCIA DELL'ISTRIA 
Villaggi appartenenti alla parrocchia di Parenzo 
Villa Maggio 36 5,56 
Varvari 12 1,85 
Cervare 6 0,92 
Villaggi appartenenti alla Podesteria di Parenzo 
Villa Monsalese 27 4,14 
Villa Sbandati 23 3,53 
Villanova 18 2,76 
Villa Valcarino Il 1,68 
Villa Foscolino 8 1,22 
Villa Dracevaz 8 1,22 
Villa Monghebbo 5 0,76 
Villa Cosinosich 4 0,61 
Molinderio 3 0,46 





166 E. IvETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Azzi. vol. XXI, 1991, p. 117-185 




















































































































LUOGO DI PROVENIENZA N. SPOSI % 
Villa Fratta I 0,15 
Villa Abrega l 0,15 
Feudi nel territorio di Parenzo 

Orsera (feudo vescovile fino al 1778) 21 Fd 
Fontane (feudo dei conti Borisi di Capodistria) 5 0,76 
Podesteria di Rovigno 

Rovigno 83 12,74 
Visinada 16 2,45 
San Vicenti 6 0,92 
Castellier a 0,30 
Terra di Rovigno 2 0,30 
Villa Piemonte I 0,15 
Podesteria di San Lorenzo 

San Lorenzo 29, 3,37 
Mompaderno 8 1:22, 
Canfanaro 4 0,61 
Podesteria di Montona 

Montona 18 2,76 
Visignano 17 2,61 
Novacco 6 0,92 
Caroiba 6 0,92 
San Giovanni di Sterna 6 0,92 
San Vitale 4 0,61 
Mondellebotte 3 0,46 
Raccotole | 0,15 
Podesteria di Cittanova 

Cittanova 8 29: 
Torre 9 1,39 
Podesteria di Capodistria 

Capodistria 24 322 
Antignana 3 0,46 
Podesteria di Pola 

Pola 3 0,46 
Gallesano 2 0,30 
Fasana I 0,15 





Capitanato di Raspo 





E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991 p. 117-185 167 


LUOGO DI PROVENIENZA N. SPOSI % 




















































































































Pinguente 7 1,08 
Sovignacco 2 0,30 
Rozzo I 0,15 
Altri centri dell’Istria veneta 

Pirano (Podesteria) 17 2,62 
Isola (Podesteria) 9 1,39 
Umago (Padesteria) 6 0,92 
Albona (Podesteria) 6 0,92 
Muggia (Podesteria) LI 0,61 
Dignano (Podesteria) 3 0.46 
Buie (Podesteria) 3 0,46 
Portole (Podesteria) 2 0,30 
Valle (Podesteria) 2 0,30 
Grisignana (Podesteria) I 0,15 
Due Castelli (giurisdizione) I 0,15 
Barbana (giurisdizione) I 0,15 
PATRIA DEI. FRIULI 

Friuli (in generale) 3 0,46 
Udine 10 1,54 
San Daniele 6 0,92 
Cividale 3 0,46 
Latisana I 0,15 
Osoppo I 0,15 
Travesio I 0,15 
Gemona I 0,15 
Passiano | 0,15 
DOMINANTE E LAGUNA 

Venezia 19 2,93 
Burano Z 0,30 
Torcello I 0,15 
Lido I 0,15 
TERRAFERMA VENETA 

Treviso 2 0,30 
Padova 2 0,30 
Chioggia 2 0,30 
Concordia 2 0,30 





168 E. IvETIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 




















































































































LUOGO DI PROVENIENZA N. SPOSI % 
Portogruaro ] 0,15 
Legnago L 0,15 
Montagnana l 0,15 
San Donà I 0,15 
Cadore I 0,15 
Veneto (in generale) I 0,15 
Bergamo I 0,15 
Pontida I QUIS 
DALMAZIA 

Cherso (Contea di Kerso) 4 0,61 
Cattaro 0,30 
Veglia I 0,15 
Arbe ] 0,15 
Zara I 0,15 
Sebenico I 0,15 
Budua I 0,15 
Antivari I 0,15 
IsoLE TONIE 

Cortù p) 0,30 
Cefallonia I 0,15 
IMPERO ASBURGICO 

Contea di Pisino (Grafschaft Mitterburg) 

Stato imperiale (in generale) 2 0,30 
Pisino 6 0,92 
Vermo 2 0,30 
Villa Cattuni l 0,15 
Gi mino 1 0,15 
Bogliuno l 0,15 
Cascierga I 0,15 
Pedena l 0,15 
Altri centri dell'Impero 

Trie ste 12 1,85 
Aquileia 6 0,92 
Fiume 2 0,30 
Austria (in generale) 2 0,30 
Cormons I 0,15 





E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


169 










































































LUOGO DI PROVENIENZA N. SPOSI % 
Gradisca 1 0,15 
Gorizia I 0,15 
Trento 1 0,15 
Segna I 0,15 
IMPERO OTTOMANO 
Trebigne I 0,15 
Isola di Andros ] 0,15 
Cipro I 0,15 
STATO DELLA CHIESA 
Rimini 2 0,30 
Ancona I 0,15 
REPUBBLICA DI RAGUSA 
Ragusa ] 0,15 
Ducato pi MILANO 
Milano 2 0,30 
DUCATO DI PARMA 
Parma I 0,15 
FRANCIA (in generale) 2 0,30 
TOTALE 65I 
Tab. 35 
ETÀ MEDIA DEGLI SPOSI AL PRIMO MATRIMONIO PER CLASSI DI ETÀ (1) 
e MASCHI % La A FEMMINE % “ne ” 
-20) 9 11,2 18,4 35 44,3 18,5 
21-25 45 36;2 23,1 32 40,5 23,0 
26-30 17 2152 28,0 BISI 28,1 
31-35 6 159 39% 2,5 33,5 
+35 3 3,7 39,3 | L2 39,0 
TOTALE 80 25,02 79 ZI57S 


(1) Le percentuali si riferiscono alla somma complessiva degli appartenenti allo stesso sesso. 


170 E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


5. La stagionalità delle componenti naturali dello sviluppo demografico 


I. Nello studio della natalità di una parrocchia è interessante rilevare le 
oscillazioni stagionali delle nascite e di conseguenza dei concepimenti. Per evi- 
denziare meglio le variazioni registrate nel corso del secolo, si sono calcolati 
gli indici di stagionalità secondo il metodo illustrato dal De Biase nei periodi 
1711-1750 e 1751-1800,%5 


La fase stagionale che presenta il più alto numero di battesimi impartiti ri- 
guarda i mesi di tardo autunno ed invernali: così a novembre si registra il 9,31% 
del totale, a dicembre si raggiunge la punta massima con 1°11,14%, a gennaio 
si ha il 9,82% ed a febbraio l’8,89% di tutte le nascite. I valori minimi si ve- 
rificano nei mesi estivi con giugno e luglio, rappresentati da un valore medio 
annuo rispettivamente del 4,77 e del 4,88, ben lontani dal 8,24 di dicembre. 


Un’alta natalità invernale significa un maggior numero di concepimenti nel 
periodo primaverile, ed infatti da febbraio a maggio sono concentrate le per- 
centuali maggiori (complessivamente 39,42% sul totale). 


Confrontando gli indici di stagionalità tra le due metà del secolo per ogni 
singolo mese si osserva che i valori registrati in dicembre tendono a crescere 
lungo tutto il periodo preso in esame e lo stesso avviene per i mesi di luglio, 
novembre e febbraio. Mentre in gennaio, agosto e ottobre gli indici rimangono 
stabili, nei rimanenti mesi si verifica una decrescita: un calo delle nascite par- 
ticolarmente significativo avviene nei mesi di maggio e giugno i quali corri- 
spondono ai mesi di agosto c settembre per quanto riguarda i conccpimenti. 

Si riscontrano dunque risultati che rientrano in linea di massima nelle nor- 
me registrate in molti paesi europei,'°° ovvero con le punte massime rilevate 
nei primi mesi dell’anno, dopodiché segue un periodo di diminuzione che per- 
dura sino all’autunno, quando ricomincia la crescita. 


Un po’ insolito, invece, appare il valore massimo dei concepimenti rileva- 
to nel mese di marzo, ossia durante il mese che coincide con il periodo della 
Quaresima, quando i rapporti sessuali tra i coniugi, secondo le norme della chie- 
sa cattolica, dovevano essere contenuti." Lo stesso vale per il mese di dicem- 


105 Se chiamiamo Am il numero dei nati (O defunti, o matrimoni) che risulta sommando il 
numero dei nati (O morti, o matrimoni) in un determinato mese per un certo numero di anni e 
se GG è il numero dei giorni di quel mese, se Ap è il numero complessivo dei nati (o morti, 0 
matrimoni) per il periodo considerato, allora l'indice di stagionalità si ottiene: 

Am 
GG 
Ap 
365 

Fonte: L. De BIASE, «Rilevazioni e problemi sull'evoluzione demografica della coltura di 
Lisiera nel XVII secolo», in Lisiera, cit., p. 1067-1068. 


106 L. GRANELLI BENINI, Introduzione alla demografia storica, Firenze, 1974, p. 42. 
107 M.W. ELINN, op. cit., p. 47. 


- 100 


E. IveTIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI. 1991, p. 117-185 171 


bre, durante I’ Avvento. Tuttavia, ci sono studiosi che contestano tale teoria so- 
stenendo che i «minimi di Quaresima nelle curve dei concepimenti sono gene- 
ralmente poco marcati e non attestano, nel migliore dei casi, altro che la con- 
tinenza di una minoranza di coppie legittime»."* Non si può dunque valutare 
l’alto numero dei concepimenti in marzo quale sicura «spia» della mentalità re- 
ligiosa della popolazione di Parenzo nel Settecento. 


Confrontando i risultati ottenuti a Parenzo con quelli dei villaggi circostanti, 
dove prevaleva un regime di vita differente, si osserva una lieve differenza: le 
punte massime vengono pure riportate nei mesi invernali però il periodo più 
fertile si sposta di un mese, e dura da dicembre a marzo, realizzando il 41,52% 
delle nascite in concomitanza con il maggior numero di concepimenti che av- 
vengono tra marzo e giugno. Notevoli scarti di differenza si presentano nella 
scala della natalità tra il mese di aprile e maggio, rispettivamente per i conce- 
pimenti, tra luglio ed agosto, manifestando delle flessioni del 39,5%; altrettan- 
to bruschi appaiono gli aumenti delle nascite tra luglio ed agosto, ossia dei con- 
cepimenti tra ottobre e novembre, creando salti di differenza del 51,83%. Vie- 
ne spontaneo collegare i risultati di queste proiezioni alla teoria che spiega la 
bassa fertilità primaverile, ovvero la contrazione dei concepimenti nei mesi esti- 
vi, da luglio ad ottobre, con una più intensa occupazione nei campi dei conta- 
dini residenti nei villaggi, ma anche nella città di Parenzo. 


2. Le oscillazioni mensili dei decessi dimostrano come in passato le cause 
di morte e i cambiamenti stagionali del tempo fossero in stretta relazione. 


In un’economia in larga parte dipendente dalle vicissitudini delle stagioni, 
i fattori costanti di crisi demografica come la sottoalimentazione diffusa in va- 
sti strati sociali, le pessime condizioni igieniche e sanitarie di vita, le scarse 
possibilità di proteggersi dal freddo in maniera adeguata, venivano accentuati 
dai mutamenti climatici riflettendosi direttamente sulla mortalità di una deter- 
minata popolazione." 


Nelle stagioni calde varie malattie epidemiche trovavano l’ambiente più fa- 
vorevole per diffondersi, mentre il freddo dei mesi invernali, particolarmente 
acuto nella seconda metà del Settecento," colpiva le parti della popolazione 
più deboli, come i vecchi ed i bambini che avevano scarse possibilità di resi- 
stenza alle infezioni da raffreddamento. 


108 J.L. FLANDRIN, «La vita sessuale dei coniugi nell'antica società: dalla dottrina della Chie- 


sa alla realtà dei comportamenti», in / comportamenti sessuali, a cura di P. ARIES; H. LAFONT, 
Torino, 1983, p. 151. 
109 M.W. FLINN, op. cit., p. 74-76. 


!0 E. LE Roy LADURIE, Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall'anno Mil- 
le, Torino, 1982, p. 102. 


172 E. Ivetic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


È interessante quindi determinare l’andamento mensile dei decessi da un 
punto di vista generale ed in rapporto alle varie classi d’età. 


Confrontando le cifre di tutti i decessi distribuiti mensilmente a Parenzo 
nel periodo 1711-1800, si nota che la maggior parte delle morti sono registra- 
te nei mesi di gennaio, ottobre e dicembre, realizzando rispettivamente 
1°11,24%, il 10,52% ed il 9,72% della somma totale. Tra settembre e gennaio 
si è rilevato il 50% dei decessi, mentre i valori medi annuali indicano che la 
tendenza diminuisce gradatamente a partire da febbraio fino a luglio per poi ri- 
sollevarsi bruscamente tra luglio e agosto, passando dal 3,77 al 5,72. Dagli in- 
dici di stagionalità, calcolati con il metodo prima illustrato, si denota come la 
mortalità stagionale non sia medesima nella prima e nella seconda metà del se- 
colo. 


Il periodo stagionale più critico nella prima parte del Settecento corrispon- 
de ai mesi di novembre, dicembre e gennaio, nella seconda invece, tale situa- 
zione si diversifica, tanto che in ordine di valori, i mesi più salienti sono otto- 
bre, gennaio, settembre e febbraio. Se per gennaio e febbraio le cause riman- 
gono di già nota natura, i motivi dell’alta mortalità in settembre ed ottobre so- 
no da ricercare nel consistente numero di decessi riportati dalla classe d’età dei 
bambini al di sotto dei 5 anni di vita, colpiti dal vaiolo generalmente nei pri- 
mi mesi autunnali; difatti dopo il 1750, i saldi negativi nel movimento natura- 
le della popolazione sono stati determinati in massima parte dalle epidemie di 
vaiolo. 

Se si osservano le trasformazioni degli indici di stagionalità di ogni singo- 
lo mese sono da segnalare alcuni aspetti interessanti: tra la prima e la seconda 
metà del secolo si registra un considerevole aumento in giugno e luglio, nei 
mesi in genere definiti «innocui»; un altrettanto considerevole calo dei valori si 
verifica nel mese di agosto; ma lo sbalzo maggiore viene registrato nel mese 
di novembre dove la mortalità, nella seconda parte del secolo XVIII, diminui- 
sce più di venti unità. 

Parte dell’alta mortalità riportata in novembre, sembra essersi spostata, ne- 
gli ultimi decenni del secolo, verso il mese di ottobre; dare definizioni soddi- 
sfacenti sui vari motivi di questi cambiamenti è comunque difficile: per il me- 
se di agosto forse ci troviamo di fronte ad una contrazione delle morti per in- 
fezioni intestinali, dissenteria o malaria, dovute ad un miglioramento della vita 
civile nella città con maggiori precauzioni sanitarie. 


Naturalmente la stagionalità delle morti non è identica per tutte le fasce 
d’età. I fattori climatici ed ambientali influiscono in maniera diversa su ogni 
singola classe determinando un anadamento mensile dei decessi che si distin- 
gue notevolmente tra i bambini, gli adulti appartenenti alla popolazione attiva 
e gli anziani. Per tale motivo si sono osservate con particolare attenzione le fa- 
sce d’età entro gli otto giorni di vita, dal nono al trentesimo, da uno a dodici 
mesi, da uno a cinque anni, da sei a dieci, da 11 a 50 anni ed infine quella de- 
gli ultracinquantenni. 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 173 


3. La mortalità stagionale dei neonati (0-8 g), a seconda dei valori dimo- 
strati, è praticamente suddivisa in due periodi annui completamente distinti: il 
più alto numero dei decessi inizia con il mese di novembre raggiungendo il tet- 
to a gennaio, e declinando notevolmente nel mese di marzo; la mortalità de- 
cresce più del 50% tra i mesi di marzo ed aprile, mentre i valori annui più bas- 
si si registrano a giugno e luglio. E lecito dunque supporre che a Parenzo tale 
tipo di mortalità fosse prettamente connessa alle malattie dovute a raffredda- 
mento e alle condizioni sanitarie molto precarie in cui si trovava la madre al 
momento del parto, e che diventavano più accentuate nei mesi invernali. 


La stagionalità delle morti entro il primo mese di vita vede restringersi il 
periodo critico da cinque a quattro mesi (dicembre, gennaio con le punte mas- 
sime, febbraio e marzo), i valori mensili risultano meno incisivi, però la diffe- 
renza stagionale appare più marcata (9 casi di morte nel mese di giugno per il 
periodo 1711-1800, contro i 96 casi di gennaio).'! 


Per quanto riguarda la mortalità mensile della classe d’età che va da | a 
12 mesi di vita, i valori minori vengono rilevati nei mesi primaverili quelli mag- 
giori, invece, in autunno; il numero dei decessi più elevato avviene nei mesi in 
cui l'impegno lavorativo della popolazione di una città come Parenzo, situata 
tra le campagne ed il mare, assumeva maggiore rilievo. Non è da escludere che 
l'occupazione delle donne nelle varie attività legate all’agricoltura, produzione 
del pesce salato oppure lavori domiciliari in concomitanza con il periodo di al- 
lattamento abbia parzialmente inciso sulla mortalità in seno a tale fascia d’età 
particolarmente sensibile alle cure delle madri o delle balie.'!° 


La distribuzione mensile dei decessi per la classe dei bambini che vanno 
da uno a cinque anni registra i più alti valori tra la seconda metà dell’estate ed 
il primo inverno. È questa l’età in cui i fanciulli perivano in larga misura a cau- 
sa del vaiolo; anche se non si è tenuta una statistica dettagliata in merito, da 
un primo sguardo alle serie di crisi di mortalità dovute a tale malattia infetti- 
va, risulta che essa si manifestava prevalentemente nei mesi autunnali, il che 
coincide con i valori massimi registrati nel mese di ottobre. 


Gli indici stagionali per i bambini deceduti nella fascia d’età compresa tra 
i sei ed i dieci anni delineano tendenze maggiori nei mesi di agosto e settem- 
bre quasi a contrapporsi a quelle minori che si è avuto modo registrare nei me- 
si di giugno e luglio. Appare difficile quindi spiegare quanto tale mortalità sia 


!!! Nelle regioni dell’Italia settentrionale, la maggiore mortalità stagionale infantile e neo- 
natale si è registrata nel corso dei mesi invernali toccando le punte più alte dei valori nel mese 
di gennaio. Cfr. A. BELLETTINI; A. SAMOGGIA, «Evolution differentielle et mouvement saisonnier 
de la mortalité infantile et enfantine dans la banlieue de Bologne (XVII-XX siècles)», Annales 
de Demographie historique (ADH), 1983, p. 195-207. 

tt? Sulla relazione dell'occupazione femminile nelle campagne tedesche e la mortalità sta- 
gionale neonatale ed infantile ctr. J. KNODEL, «Seasonal variation in infant mortality: an ap- 
proach with application», ADH, 193, p. 208-230. 


174 E. Ivetic. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


da mettere in relazione con le infezioni dell’apparato digestivo, particolarmen- 
te diffuse nei mesi estivi e alle quali i bambini erano spesso soggetti.'!* 


Per quanto concerne gli abitanti compresi tra gli Il ed i 50 anni risulta in- 
vece problematico il tentativo di trovare le cause principali che determinano i 
valori stagionali della mortalità; si tratta infatti della cosiddetta «popolazione at- 
tiva» e di conseguenza la più resistente alle varie malattie ed epidemie. 


Bisogna però considerare che la città di Parenzo, per la sua posizione morfo- 
logica, circondata da zone paludose ed acquitrini, era molto soggetta alle epi- 
demie di malaria che erano «frequentissime in ogni estate ed in ogni autun- 

114 
no». 


L’alta mortalità degli adulti, concentrata in modo particolare nei mesi di 
agosto ed ottobre e registrata con sintomi come «febbre», presuppone perciò si- 
curamente una presenza della malaria anche nel corso del Settecento. 


Le punte massime nei mesi di gennaio e febbraio, nonché quelle minime 
per giugno e luglio contraddistinguono l'andamento mensile dei decessi per la 
fascia degli ultracinquantenni. Le malattie dell’apparato respiratorio ed in ge- 
nere 1 mali che assillavano la categoria degli anziani si manifestavano con mag- 
giore incidenza nelle stagioni più fredde assumendo aspetti letali nella maggior 
parte dei casi.!!* 


4. La distribuzione mensile dei matrimoni celebrati a Parenzo tra il 1711 
ed il 1800 è caratterizzata da rilevanti flessioni registrate nei mesi di marzo e 
dicembre in corrispondenza alla Quaresima e all’ Avvento, quando per motivi 
religiosi, non era acconsentito celebrare matrimoni. Questo fatto è tipico delle 
comunità di fede cattolica."!° 


Come conseguenza dei divieti nei mesi di marzo e dicembre, le punte mas- 
sime di nuzialità si concentrano nei mesi contigui. I dati riportati per Parenzo 
ci dimostrano che il più alto valore medio di stagionalità è registrato a febbraio 
e novembre, ovvero nei mesi che precedono la Quaresima e l’ Avvento: essi rap- 
presentano complessivamente il 28,5% di tutti i matrimoni celebrati nel secolo. 
Seguono i mesi di gennaio ed aprile con elevati valori stagionali in quanto so- 
no collocati immediatamente dopo i periodi di osservanza. 


13 M. Livi Bacci, Popolazione ed alimentazione. Saggio sulla storia demografica europea, 


Bologna, 1987, p. 55-56. 

14 B, ScHiavuzzi, «La malaria», cif., p. 330. 

!!5 L. DeL PANTA, Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV-XIX), Torino, 
1980, p. 62. 


!é Cfr. per l’Italia i numerosi saggi in merito contenuti nel volume AA.VV., La popola- 
zione italiana nel Settecento, Bologna, 1980: per la Francia. J. DUPÀ@UIFR, La population frangai- 
se aux XVII et XVIII siècles, Parigi, 1979, p. 14. 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Azzi. vol. XXI, 1991, p. 117-185 175 


Nei mesi di luglio e settembre sono registrati pure notevoli indici, mentre 
è interessante notare una bassa nuzialità nel mese di maggio, forse come diret- 
ta conseguenza alla forte concentrazione dei matrimoni in aprile. 

In genere, le contrazioni che avvengono nei mesi di maggio, giugno, ago- 
sto e ottobre sono da porre in relazione con il maggiore impegno di quella par- 
te della popolazione dedita ai lavori nei campi!” e alla pesca, occupazioni abi- 
tuali in quei periodi. 


Tab. 36 
DISTRIBUZIONE MENSILE DELLE NASCITE E DEI CONCEPIMENTI PER DECENNIO 


CONCEPIMENTI 






































APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. GEN. FEB. MAR. 

DECENNIO 
NASCITE 

GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO SET. OTT. NOV. DIC 
1711-1720 44 35 40) 46 47 36 25 39 49 29 42 40) 
1721-1730 6I 46 47 36 47 37 37 93 50 52 56 60 
1731-1740 76 66 70 48 6 46 5 48 60) 64 62 76 
1741-1750 79 69 73 59 78 59 60 65 74 84 74.106 
1751-1760 70 74 76 57 53 62 6I 59 69 63 77 81 
1761-1770 77 82 64 46 40) 4l 45 74 62 66 81 gl 
1771-1780 84 59 73 SI 56 48 39 52 84 78 7 88 
1781-1790 78 78 54 54 6I 54 53 62 62 69 3 I14 
1791-1800 85 83 65 67 50 47 77 59 6l 7I 83 96 





VALORI MEDI 726 6,57 6,26 515 542 477 498 567 634 640 688 824 
ANNUALI 





INDICE DI STAGIONALITÀ 
1711-1750 HIS.I O 105,9 10190 86,50 10100 81507710 908 106,6 1014 107,1 1249 
1751-1800 115,8 122,5 97,7 836 76,5 76,6 809 900 1027 102,1 1173 1353 











!!7 C.A. CORSINI, «Ricerche», cir.. p. 175. 


176 E. IveTic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 









































Tab. 37 
DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER DECENNIO 
DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET OTT. NOV. DIC. 
1711-1720 940 LARE e n DI e MI 
1721-1730 de do Ud a  M 51 40 600 67 _ 
1731-1740 Gr Ital. 4 39 4 CM I RO di S 
1741-1750 Ri — get cale Aa de SIT IV 
1751-1760 Bi dé MM «#4 9° e SM 
1761-1770 M- di dh 4: di È RM o dd UM 
1771-1780 SG — di. 28 4%. 34 de 40 SM gg e 
1781-1790 W 6 46 D_ 4 ® DD 6 0 MO WS 
1791-1800 de RI e dl Lie I e I 
VALORI 7.045,56 488 4,38 407 372 377 572 598 668 578 6,17 
ANNUALI 
INDICE DI STAGIONALITÀ 
1711-1750 133,8 10,5 9730 779 7640 6140 643 1153 110,4 1158 1233 1173 
1751-1800 ID$3 10,8: 880° 150° CIRO 7280-90 0905 DO 1097 101 Ja85 
Tab. 38 


DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER CLASSI 


DI ETÀ NEI DECENNI: 0-8 G. 


DECENNIO GEN. 






































FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET OTT. NOV. DIC. 
1711-1720 12 49 I r: e 7 “Ere. 6 
1721-1730 10 f 5 3 n I 3 7 3 TRN 
1731-1740 aggio È FCE 2 2 5 2 5 10 
1741-1750 8010 7 2 7 6 4 7 3 6 9 16 
1751-1760 14.10 5 4 5 3 de 2 da 24 foi 
1761-1770 8 16 7 5 3 2 5 3 3 Ss 
1771-1780 8 7 8 3 5 3 I 3 6 8 47 
1781-1790 O i 4 4 2 2 3 5 de 
1791-1800 wrcdhi 6 5 «POOR 4 2 3 5 8001 
TOTALE digg ge _ © dd e "9 e 9 
VALARI EDI ito de De 0 e de, 
ANNUALI 
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STAGIONALITÀ z. 2 


E. IveTIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 177 


Tab. 39 
DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER CLASSI DI ETÀ NEI DECENNI: 9-30 G. 


DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. 









































1711-1720 6 6 2 i ee 2 2 Se 4 I 
1721-1730 8 3 4 I I | = "i 2 | I 5 
1731-1740 10 7 6 I 3 2 I 2 2 5 4 4 
1741-1750 10 3 5 | 3 2 3 4 _M 2 5 
1751-1760 14 5 9 3 3 z I 4 4 3 3 3 
1761-1770 10 6 3 2 = I 2 2 6 2 6 7 
1771-1780 12 8 2 9 3 I 3 I I 7 i 
1781-1790 14015 9 7 2 I I 6 2 3 35 ae 
1791-1800 == 5 2 I TO 7 5 7 8 
TOTALE 96 76 SI 29 21 9 13 26 24 36 33 55 
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INDIEEDIST. "gps digg ig» (8 a ci dg Si e e I 
STAGIONALITA 

Tab. 40 


DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER CLASSI DI ETÀ NEI DECENNI: 1-12 M. 


DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. — GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. 









































1711-1720 (AO e e Sa e IE AE IO SE e 
1721-1730 rss ao Ri LATI ARI 0 
1731-1740 "NO re no PS. E TEN: ATO SOSTE O) OE, 
1741-1750 dente Tana 
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1761-1770 ‘eat Ate 
1771-1780 CENERE LES 
1781-1790 SSR GUESS ENO CSS: GGI DOSSO CRI A A N 
1791-1800 (Gillio: ia — EDS. pi, Der SI DNS i OSS (0 O, 
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ANNUALI 

poni isp: as Rs: 9a ps 04 120 WS Aeg 85. 160 .123 


STAGIONALITÀ 


178 


E. IvETIC. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti. vol. XXI. 1991. p. 117-185 


Tab. 41 


DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER CLASSI DI ETÀ NEI DECENNI: 1-5 A. 












































DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG AGO. SET OTT. NOV. DIC. 
1711-1720 = 3 7 4 5 4 So LU. 7 i 6 
1721-1730 7 9 9 5 2 I gone 0 RS O E. 
1731-1740 7 5 4 5 9 9 5 as 8 6 13 
1741-1750 14 Tie 0 i grumi me e dI de 
1751-1760 13 6 6 7 3 2 7 4° 19 8 4 7 
1761-1770 6 7 610 7 Ca SARO PMO MI 2 7 
1771-1780 9 6 3 7 2 3 4 Sed IS iù 
1781-1790 12 4 4 x 04 $i. VI Wo ab 3 We cs 
1791-1800 lg a 9 Le 5 6 ud. i. 6 6 7 
TOTALE ge — Mi I 599 6-16 
VERBANO] (gr N 06 06 08 Vl de de 
ANNUALI 
LA (ii 71400. lg e a 9 isa 7 0 e I. 
Tab. 42 


DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER CLASSI DI ETÀ NEI 


DECENNI: 6-10 A. 









































DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. 
1711-1720 4 4 3 I 8 3 I 7 I da 
1721-1730 3 I I 2 È I 3 5 2 2 2 
1731-1740 2 2 3 2 I I 3 5 2 2 3 
1741-1750 3 à 3 2 2 Da 6 6 
1751-1760 4 4 3 n 3 2 I di Sat 2 I 3 
1761-1770 2 2 dti 2 E 4 IE, 
1771-1780 I = 2 1 | = SERE 7 I 3 
1781-1790 I I 2 a &. 33 4° 6 3 PIA 
1791-1800 3 3 5 3 I 3 3 2 2 
TOTALE u-=i ge © Md 05 AM IM 
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STAGIONALITÀ 


E. Iveric, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 179 


Tab. 43 
DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER CLASSI DI ETÀ NEI DECENNI: 11-50 A. 


DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. — GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. 













































































1711-1720 o EE NET > E 6 6 Wlan e 
1721-1730 17 dt 5 ve scsi 0 4 
1731-1740 Brie gechi 9 19 7 9 10 
1741-1750 2% Il IZ TB do: sd 0 
1751-1760 14 5 8 9 13° 12 Pa e ARRE SIINO 0 6 n 
1761-1770 dl 8 e ica 2 
1771-1780 9 5 5 6 2 gr i Je de De 2 
1781-1790 o. Re po VE 9 « Te 6 
1791-1800 17 4. (Re di —D O «e db le 
TOTALE 1230830 88093 88097 880 147 131 147 105° 101 
a ia "e Lo Tio TOI 0. ope e Te ne i na 
ia 26,9 19,5 186 203 186 212 186351 287 351 230 214 

Tab. 44 

DISTRIBUZIONE MENSILE DEI DECESSI PER CLASSI DI ETÀ NEI DECENNI: 
OLTRE SI A. 

DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. 
1711-1720 (2%) Gti LI 7 5 6 5 5 7110 
1721-1730 Il NOS DD 9 5 poschi pia: 00 9 
1731-1740 prere 6. 9 5 TONDO E 7 
1741-1750 i Me € LT O ie «i "ia 9 
1751-1760 4 GI pi cani SS 8 6 13 gg PI 
1761-1770 EE sua 9 AB (ESE I 
1771-1780 ii die e PI 9 è dd 1 WM 
1781-1790 All RN 8 AR e I 
1791-1800 Rete e all 
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Nea di deine e ca 0 18 
Bice 293286 233 256 216 1660 16,50 207 234 254 228 239 


STAGIONALITÀ 


180 E. IvETIC. La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 





























Tab. 45 
ANDAMENTO STAGIONALE DEI MATRIMONI PER DECENNIO 

DECENNIO GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. 
1711-1720 16 18 I Il 8 10 10 8 8 10 19 6 
1721-1730 18 21 10) 18 Il 12 10 12 10 8 24 9 
1731-1740 17 26 6 9 16 Il 12 9 13 6 16 9 
1741-1750 21 20) 3 18 7 13 13 12 15 9 21 9 
1751-1760 13 16 6 16 6 10 18 14 12 7 18 5 
1761-1770 24 22 2 21 8 Il 18 9 7 di 24 8 
1771-1780 17 29 5 15 8 13 18 14 23 17 29 di 
1781-1790 15 24 9 24 9 9 15 13 19 18 12 9 
1791-1800 24 56 9 15 12 16 17 14 20) 15 38 3 





VALORI MEDI 1371900 42 122 700 87 109 87 104 80 167 
STAGIONALI 


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184 E. IveTIC, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Atri, vol. XXI, 1991, p. 117-185 


SAZETAK: Stanovnistvo Poreta u XVIII stoljecu: oblici, problemi i epizode demo- 
grafskog kretanja - Putem rekonstrukcije demografskog kretanja stanovnistva Poreta 
kroz noviju povijest, autor je poku$ao odrediti prijelazno razdoblje iz krizne situacije 
u period opéeg rasta broja Zitelja te obnove i razvoja grada. 

U tom smislu odluéujuéa izgledaju desetljeéa koja idu od 1670 do 1750 godine: 
kroz analizu prirodnog kretanja stanovni$tva u prvoj polovici XVIII stoljeda vidljivo 
Je da se stanovnistvo u gradu povecava usprkos ciklusnim demografskim krizama i to 
zahvaljujuéi, u prvom redu, doseljivanju novih Zitelja iz cijele istarske regije i obliZnjih 
pokrajina. 

Krize velike smrtnosti, uzrokovane u vecini slutajeva klimatskim promjenama ili 
problemima opée opskrbe stanovni$tva, u drugom dijelu stoljeda nastaju iskIjutivo zbog 
povremenih manifestacija epidemija velikih boginja koje su narodito pogadale najm- 
lade uzraste. 

Natalitet, smrtnost, vjenéanja predmet su prouéavanja vremenskog raspona od de- 
vedeset godina (1710-1800) kada su zapazene takoder bitne promjene u vrijednostima 
kroz mjeseénu raspodjelu raznih komponenta demografskog razvoja. 

Analizirajuéi razne aspekte brojfanog stanja Zitelja Poreta kroz proSlost koje nam 
otkrivaju matiéne knjige fuvane u 7upnim arhivima, stvara se opéi dojam da XVIII 
stoljeée predstavija odluéujuée razdoblje »demografskog skoka«, potetak obnove i 
stvaranja nove druStvene sredine koja je postala temelj za daljnji razvoj u slijedeéem 
stoljeéu. 


POVZETEK: Prebivalstvo Poreta v 18. stoletju-znacilnosti, problemi in dogodki, po- 
vezani z demografskimi premiki - S svojo rekonstrukcijo razvojnega procesa prebival- 
stva v Poreéu v moderni dobi je skuzal avtor definirati prehodno obdobje, ki gre od 
demografskega gibanja v negativne proti demografskemu porastu in razvoju. 

V tem smislu so odlotilna desetletja, ki gredo od leta 1670 do leta 1750. 

Posebno zanimivo je bilo opazovati naravno gibanje v samem mestu v prvi po- 
lovici osemnajstega stoletja. Veja umrljivost, povezana predvsem s klimo ali proble- 
mom preZivetja samega postane v drugi polovici stoletja skoraj v celoti odvisna od pe- 
riodiénih pojavov epidemije koz, ki je prizadevala predvsem niZje plasti prebivalstva. 

Nekako od leta 1750 dalje se porast celotnega prebivalstva ustali (znotraj) mest- 


E. IveTic, La popolazione di Parenzo nel Settecento, Arti, vol. XXI, 1991, p. 117-185 185 


nega obzidja in v okolici) in doseZe pribliZno Stevilo 1500-1700 oseb. V teh mejah naj 
bi prebivalstvo tudi ostalo v naslednjih petih ali Sestih desetletjih. Porast prebivalstva, 
ki ga je mogoée opaziti ob upostevanju rojstev, smrti in porok, je povezana v prvi 
vrsti s ponovno naselitvijo mesta in tore] z izseljevanjem. Da bi se zaértale glavne 
smeri preseljevanja v smeri proti mestu Poretu, je avtor upoSteval gibljivost prebival- 
stva zaradi porok, kar zaobjema Siroko podroéje Istre same kot tudi sosednjih dezel. 

Razliéna nihanja, ki so posledica naravnih dejavnikov demografske evolucije se 
v glavnem skladajo z normami, kakr$ne zasledimo v evropskem kontekstu. 

Za sklep lahko reéemo, da ob pregledu razliénih dejavnikov, povezanih s prebi- 
valstvom in vsem, kar ja je doletelo, predstavlja osemnajsto stoletje za Poreè stoletje 
»upada« demografske krivulje. 


STEMMI DI CAPITANI, RETTORI E FAMIGLIE NOTABILI 
DI S. LORENZO DEL PASENATICO IN ISTRIA 


GIOVANNI RADOSSI 

Centro di ricerche storiche CDU 929.6(497.13S.Lorenzo) 

Rovigno Saggio scientil'ico originale 
Gennaio 1991 


Riassunto - Attraverso un breve, ma talvolta particolareggiato profilo storico dell’epo- 
ca veneta, viene presentato lo sviluppo urbanistico di S. Lorenzo del Pasenatico ed in- 
dicati gli interventi più vistosi che interessarono la cerchia muraria, le torri, il palazzo 
pretorile. Viene dedicata, inoltre, attenzione allo sviluppo demografico ed etnico dell’abi- 
tato. Il corpo araldico, che consta di 31 esemplari, è tra i più interessanti della provin- 
cia per la varietà «scultorea» dei blasoni e per la presenza di famiglie patrizie e citta- 
dine altrove sconosciute. 


Risalendo il canale di Leme e lasciati gli antichi abitati di S. Michele e di 
Geroldia, a 206 metri sul livello del mare, incontriamo San Lorenzo del Pase- 
natico tutto chiuso nell’antica cerchia delle sue mura con una basilica apparte- 
nente all’epoca della massima decadenza dell’architettura e della scultura. 


«Lontano da Due Castelli miglia cinque confina il suo territorio, ch’è di 
venti quattro miglia in circa da levante con Antignana e Coridico luoghi arci- 
ducali, da mezzogiorno coi Due Castelli e Rovigno, da ponente con Orsara, con- 
tea di Giraldia e Parenzo, da tramontana con Montona. Risiede in mezzo sovra 
un elevato, che sembra colle, ma di sì facile salita, che è insensibile. Per un 
miglio intorno vedesi tutto circondato da olivi, e vigne con campi fertili e pic- 


! Cfr. T.G. Jackson, Dalmatia, the Quarnero and Istria, vol. III, Oxford Clarendon, 
1887, p. 333-334: «About ten miles inland from Parenzo lies the little town of S. Lorenzo in 
Pasenatico, where according to Dr. Kandler was to be seen a basilican church older and more 
perfect than that ot Parenzo, and dating probably from the fourth century. (...) The route lies 
across a country of no great interest, undulating but steadily rising as it recedes from the 
seashore, and civered with woods which are cut every six or seven years for firewood, and so 
never attain the dignity of timber. (...). 

After a two hours’ drive we reached San Lorenzo, an imposing pile ot mediae val fortitica- 
tions, half castle and half town, well perched up on a rocky height, with a gret campanile 
standing on the top of one of the bastions of the wall: and on the highest part of the hill was 
the long straight roof of the basilican church we had come to see». Circa l'origine del toponi- 
mo, non vi è ancora certezza alcuna, visto che la chiesa parrocchiale è dedicata a S. Martino; 
era tradizione locale che al centro dell'abitato fosse una chiesa di tale nome - S. Lorenzo, il cui 
titolo potrebbe essere passato successivamente all'attuale chiesa del cimitero, avendo comunque 
dato il nome anche al castrum. 


188 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


coli boschi abbondanti di erbe, che servono in tutto l’anno per pastura degli 
animali con grandissimo utile degli abitanti. (...) E parte sassoso e serve a nu- 
trimento dei boschi, pascoli d’animali. E pieno di lepri, volpi e pernici». 


Oggi, S. Lorenzo è un piccolo abitato in mezzo ad una campagna fertile 
che avanza verso la strada odierna e si eleva da essa di appena 12 metri. La 
parte centrale del paese, che dista dal mare circa 12 km in linea d’aria, ha le 
mura quasi interamente conservate, seppure con cedimenti e danneggiamenti vi- 
stosi. 


Non è molto probabile una sua origine romana, come convincentemente af- 
ferma M. Mirabella Roberti, poiché una «sede romana non avrebbe avuto una 
cinta murale così fatta ed una disposizione simile all’interno, e l’antica plani- 
metria avrebbe lasciato almeno qualche traccia». 


Pensare poi ad un insediamento militare bizantino sembra ancora meno pro- 
babile, considerata la sua «lontananza» da una strada di grande comunicazione, 
come avrebbe potuto essere l’antica via Flavia romana (quella che oggi vi cor- 
re appresso, è la nuova via Flavia); inoltre, nel Placito del Risano, S. Lorenzo 
non è ricordato tra le città che vi mandarono propri rappresentanti: quindi l’ori- 
gine dell’insediamento può risalire appena alla fine del primo millennio, ovve- 
ro all’alba dell'XI secolo, quando si suppone sia stata eretta la sua grande chie- 
sa collegiata di S. Martino. 


Il documento più antico che parla di S. Lorenzo è un privilegio con il qua- 
le Papa Alessandro IIl (Venezia 1178) confermava ai vescovi parentini la pro- 
prietà di innumerevoli chiese e castelli unitamente all’«Ecclesiam Sancti Lau- 
rentii cum ecclesis suis»: ciò significava, in fondo, consolidare giuridicamente 
la «geografia politica» regionale, risultata a seguito delle grandi donazioni Ot- 
toniane alla chiesa di Parenzo e che si protrassero sino alla metà del sec. XI 
con le donazioni della contessa Azzica. Più interessante, successivamente, la 
«sentenza» del 1186 («Actum in Castro s. Laurentii in Ecclesia Majori»), quan- 
do il «Conte d’Istria Adalberto pronuncia in questione civile fra il Comune di 
S. Lorenzo di Leme ed i figli di Adalburno subvasallo del feudo di Calliseto, 
riconosciuta la ragione mediante duello fra due campioni dei litiganti.»,* e co- 


? G.F. Tommasini, «De” Commentarj storici-geografici della Provincia dell'Istria», Archeo- 
grafo triestino (nel prosieguo A7), Trieste, vol. IV (1837), p. 436-437: «II porto suo è il canale 
di Leme e quivi è una continua scala dove dai vicini boschi sono condotte le Legne per Vene- 
zia». (/bidem, p. 438); ctr. D.F. OLMO, «Descrittione dell’Istria», Arti e memorie della Società 
istriana di archeologia e storia patria (nel prosieguo AMSI/), vol. I, 1885, p. 167: «San Lorenzo 
è un Castello posto non molto lontano dalla Valle dell’Emo, tutto al piano col suo territorio di 
aere poco salubre». 


3 M. MIRABELLA ROBERTI, La chiesa e le mura di S.Lorenzo del Pasenatico, Torino, Vi- 
glongo, 1950, p. 15-16; tuttavia è «certo (che) S. Lorenzo e le sue campagne immediate hanno 
avuto chiara vita romana (/bidem, p. 23, nota 67). 


4 P. KANDLER, Codice diplomatico istriano, sub anno; ctr. B. BENUSSI, Nel medio evo, Pa- 
renzo, Coana, 1897, p. 71 e 133. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 189 


sì criticamente commentata dal Kandler: «Il Castello di Calliseto, in confine al 
Comune di S. Lorenzo che dai Veneziani ebbe nome del Paysnatico era domi- 
nio della Chiesa Episcopale di Trieste venuto in questa certamente per dona- 
zione, ignoto finora da chi ed in quale tempo. Secondo qualche non ben sicu- 
ro indizio, Madonna Azzica Contessa d’Istria, vissuta certamente nel 1040, che 
assai beni aveva appunto alla spiaggia settentrionale del Leme, che ebbe anche 
sepoltura all’aperto in quel territorio, avrebbe donato Calliseto alla Chiesa Ter- 
gestina, probabilmente a Vescovo Adalgero. Calliseto era possessione allodiale. 
[.....| S. Lorenzo era in condizione di Comune di secondo ordine, colle forme 
dei tempi baronali, ma ancora sviluppatesi quelle che vennero in uso nel seco- 
lo XIII e poi. 


Il Conte d’Istria non interveniva (così crediamo) siccome alto Signore sia 
del Feudo di Calliseto sia del Comune di S. Lorenzo. (...) La procedura di co- 
gnizione fu assai semplice e temeraria, le parti contendenti nominarono cadau- 
na lo spadaccino che doveva battersi, combatterono, lo spadaccino del Comu- 
ne ebbe la peggio, e confessò essere afflitto e convinto del torto, il Comune fu 
pronunciato essere in nequizia. (...) II Comune di S. Lorenzo tenevasi in con- 
to e rango di un nobile feudatario, ammesso come fu a combattere da pari a 
pari coi feudatari di Calliseto». 


E questo documento è segno che il Conte d’Istria esercitava la giurisdi- 
zione criminale anche nel margraviato, poiché egli pur essendo soltanto /uogo- 
tenente del margravio, portava il titolo di conte unicamente perché era di fa- 
miglia comitale. 


Intanto, l’avanzare minaccioso dei Veneti nell’Istria, costrinse i Conti a pa- 
cificarsi con i patriarchi, per combattere uniti contro il comune nemico; fu co- 
sì che dal 1267 al 1421, attraverso una lunga serie di dedizioni, guerre, tratta- 
tive ed anche compere, Venezia riuscì ad impossessarsi della marca d'Istria, ap- 
profittando abilmente di una serie di circostanze a lei favorevoli e facendo sì 
che le città istriane venissero quasi da loro stesse a staccarsi ad una ad una da 
Aquileia, ed a sottomettersi al dominio della Serenissima. 


L'occupazione di Parenzo (1267), di Umago (1269) e di Cittanova (1270) 
da parte di Venezia fu perdita considerevole non solo per il patriarcato, cui quel- 
le terre erano appartenute, ma più ancora una minaccia ai possessi istriani dei 
Conti di Gorizia, soprattutto dopo che il conte Alberto II era stato costretto a 
ritirare in quello scorcio di tempo i propri uomini proprio dal castello di S. Lo- 
renzo; l’occupazione anche di quest’ultimo (1271) da parte di Venezia, arrecò 
un colpo mortale all’autorità ed ai possedimenti che i conti di Gorizia avevano 
tentato di garantirsi nell’Istria meridionale, determinando continue liti, offese ed 
ostilità tra le due parti anche negli anni seguenti. 


5 B. BENUSSI, op. cit., p. 288. 


6 Cfr. P. KANDLER, 0p. cit., sub anno 1275: «Nell’atto di confinazione ove si parla di S. 
Lorenzo si pattuisce tra Conte Alberto, e Marchese Guglielmo, pel presidio di quel luogo, che 


190 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol XXI, 1991, p. 187-240 


L’estendersi minaccioso della Repubblica, che aveva messo in forse anche 
gli altri possessi, permise alla medesima di affidare allora il comando delle sue 
milizie nella penisola ad un Capitano; la preoccupazione di dare un carattere 
unitario all’organizzazione militare dei possessi istriani, si manifestò convin- 
centemente già nel 1276, quando il Maggior Consiglio sentenziava che «omnes 
potestates qui erunt in Istria teneantur esse unum simul et adiuvare se ad invi- 
cen»; e pertanto, nel 1291, Venezia affidò il comando militare ad un Capita- 
neus Istrie o Capitaneus generalis Istrie, con sede a Capodistria,” con la pro- 
posta che qui erit potestas Justinopolis sit etiam capitaneus Istrie. 


La cosa, però, non ebbe seguito; e già dagli inizi del 1300 la Repubblica, 
invece di limitarsi a proporre un funzionario straordinario alla difesa militare, 
procedette alla creazione di una vera organizzazione militare provinciale 
dell’Istria, da cui dipendessero tutte le terre istriane soggette alla Signoria ve- 
neta, /a societas Pavsenatici terrarum (nostrarum) Istrie è proponendosi un pro- 


sarebbe stato del Patriarca, nel quale il conte aveva torre e palazzo, e le decime. Ora è certo che 
nel 1284 i veneziani ponevano in S. Lorenzo Podestà e Pasinatico; che nel 1279 il Conte che 
aveva preso S. Lorenzo, lo restituiva ai veneziani; che le questioni fra questi ed il Conte nel 1278 
erano per S. Lorenzo: che nel 1278 i veneziani avevano costretto S. Lorenzo all’obbedienza; che 
nel 1277 si fece pace fra Patriarca e Conte, discordie nate come è verosimile nell’anno stesso ed 
il precedente. (...) Statuirono in conformità di esse scritture che la comunità di S. Lorenzo sia 
tenuta contribuire al sig. Conte di Pisino la decima de’ grani vino e agnelli, ed il sig. Conte di 
questa deve corrispondere ogni quarta a questo clero... ed annualmente contribuire al sig. Conte 
marche cinque; all’incontro ch’esso sig. Conte dal giorno d'oggi in avvenire non debba altro te- 
nere sua gente in questa torre. Ma che questa resti libera sotto l'autorità di mons. Patriarca, e la 
comunità deve provvedere per la difesa d’essa torre». 

? L’Istria non ottenne, allora, un’organizzazione provinciale ordinaria; «nessun organo su- 
periore ai singoli comuni, nessun magistrato superiore ai singoli rettori, i podestà, non più eletti 
dai comuni, ma patrizi veneziani direttamente mandati dalla capitale dietro nomina del Maggior 
Consiglio. Un vincolo provinciale esiste nell’Istria veneziana solo in rapporto all’organizzazione 
militare ed alle cause vertenti tra i singoli comuni». G. DE VERGOTTINI, «La costituzione provin- 
ciale dell'Istria nel tardo medio evo», AMSI, vol. XXXIX (1927), p. 51. 


è Vedi G. DE VERGOTTINI, 0p. cit., p. 16-17: La formula ufficiale Societas Pajsenatici ter- 
rarum nostrarum Istrie, può sembrare pleonastica poiché, come risulta dalla pace provinciale 
dell'XI secolo, i pajsani corrispondono agli abitanti della città, terre e ville, presi nel loro com- 
plesso, mentre nella parola rerrae della commissione si comprendono certo anche le città (Pa- 
renzo, Cittanova). Ma l'apparente pleonasmo non è senza ragione: pajsenaticum vuol dire sfera 
comune a tutte le città e terre della provincia, e siccome l’unica sfera comune a tutte le città e 
terre dell’Istria veneziana era sotto l’organizzazione militare, si vuol mettere in rilievo appunto 
che le rerrae sono strette in una societas solo col determinato scopo di cui sopra. Poi per ana- 
coluto paisenaticun significò ben presto semplicemente il complesso delle attribuzioni militari. 
Per ciò il capitano si chiamerà semplicemente capitaneus pajsenatici Istrie, cioè capo militare 
dell'Istria. 

Finalmente (tutto ciò in breve spazio di tempo) pajsenaticum significò addirittura il territo- 
rio in cui si esplicava il complesso delle attribuzioni militari suddette - ed allora bastò il termi- 
ne capitaneus pajsenatici per indicare il capo militare dell'Istria e con la parola potestates paj- 
senatici sì indicano i podestà di tutte le città ecc. soggette al vincolo della socieras militare, cioè 
i podestà di tutta l’Istria veneziana, fatta eccezione per Capodistria». 


G. Ra»ossi. Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico. Atri, vol. XXI. 1991, p. 187-240 191 


prio patrizio, quale capitaneus Pajsenatici Istrie, che all’inizio durò in carica 
un anno. 


Nonostante qualche dubbio, il primo capitano del paisenatico sembra es- 
sere effettivamente stato M. Badoer, che risulta in carica l'1] marzo 1302, co- 
me confermato da un passo della Commissione del doge G. Soranzo al capita- 
no M. Falier (seniore),° in cui ordina «quod ire debeas in Istriam, ubi per unum 
annum esse debeas Capitaneus Societatis Pajsenaticj terrarum nostrarum Istrie, 
procurando, promovendo et augendo pro posse salvationem, conservationem ac 
statum proficuum et quietum ipsarum terrarum ad honorem et proficuum no- 
strum nostrique Comunis Venetiarum». 


È ovvio che la «societas» fu costituita con fini esclusivamente di natura 
militare; difatti, i comuni mantennero la loro autonomia, con l'obbligo però di 
fornire, in proporzione alle loro disponibilità finanziarie ed alla loro popolazio- 
ne, un determinato contingente alla milizia territoriale a cavallo per la «salva- 
tio, conservatio ac status proficuus et quietus» dei possedimenti istriani. Più tar- 
di Venezia, considerando scarso lo spirito militare di questa milizia, sostituì l’ ob- 
bligo suddetto con quello di pagare annualmente una data somma «pro pajse- 
natico», con cui assoldare i mercenari; così il contributo fu pecunario, ma im- 
plicò sempre per i comuni istriani il concorso comune alla difesa della provin- 
cia. Come la «societas» a cui presiedeva, anche il «capitaneus pajsenatici» fu 
nelle sue origini un funzionario esclusivamente militare: fatta eccezione per il 
podestà di Capodistria, tutti i rettori dell’Istria gli dovevano obbedienza, ma so- 
lo «pro iis que pertinent ad officium Pasinatici»," il capitano aveva il compito 
di presiedere alla difesa di tutta la provincia, di recarsi in tutte le città e terre 
per scopo di ispezione militare, ma non aveva alcuna ingerenza nella giurisdi- 
zione ordinaria dei singoli rettori. 


Non appena istituita la carica, il capitano ebbe dapprima la sua residenza 
a Parenzo, poi sembra non aver avuto sede fissa; ma già nel marzo 1304, poi- 
ché a S. Lorenzo risiedeva un cospicuo numero di «stipendiari», forniti dalle 
«terrae», la Repubblica vi fissò la residenza del capitano («... Capitaneus Pay- 
sinatici faciat residentiam in S. Laurentio sicut faciebat in Parentio, habendo re- 
gimen et salarium potestariae, circa libr. CCCC.. ») e, considerata la piccolez- 


Nel 1335 compare ancora il termine nostrus capitaneus unionis (?); cfr. «Secretorum con- 
silii rogatorum pro factis Istriae», AMSI/, vol. VII (1891), p. 81. 


° «Verum tamen non debes te intromettere de hiis quae facta fuissent (in Istria) anteguam 
vir Nobilis olim Marinus baduario applicuisset in Istria, pro isto Pajsinatico exercendo», G. DE 
VERGOTTINI, 0p. cit., p. 16. Il suo immediato predecessore sarebbe stato in carica per soli due 
mesi (°?); cfr. «Documenta ad Forum Iulij, Istriam etc. spectantia», AMSI, vol. X (1895), p. 4. 


!0 «(...) ipsi tenentur mittere sub debito sacramenti secundum quod tu dixeri requierendum, 


quibus, ut firmatum est, potes precipere pro hiis que pertinent ad officium Pasinatici et eisdem 
imponere penam et penas usque libras quinquaginta ad plus», G. DE VERGOTTINI, op. cit., p. 17; 
vedi ancora «Secretorum Consilii», cir., p. 94, 95. 


192 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Azzi, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


za della borgata, unì alla sua carica anche quella della podestaria.!! Nell’aprile 
1305 il capitanato venne staccato dalla podestaria di S. Lorenzo, stabilendo che 
«non possit habere aliquam aliam potestariam»; comunque già nel 1308 si pro- 
pose, seppure senza successo, di abbinare la carica di capitano a quella di po- 
destà di Parenzo, finché nel 1310 la carica fu definitivamente unita alla pode- 
staria di S. Lorenzo. 


Una volta sistemata l’organizzazione militare dell’Istria, la Signoria avvertì 
la necessità di incaricare suoi funzionari residenti nella penisola, della giurisdi- 
zione nelle liti tra 1 singoli comuni; ciò era avvenuto nel 1304 (tre anni dopo 
la creazione del Paisenatico), affidando l’onere al rettore di Capodistria per le 
liti tra Pirano ed Isola, al capitano di S. Lorenzo per tutte le altre nella pro- 
vincia.! 

Così, dopo il 1304 il capitano del Paisenatico fu non solo il sovrainten- 
dente alle questioni militari di tutta l’Istria veneta (eccetto Capodistria), ma an- 
che il funzionario incaricato della giurisdizione nelle liti fra quasi tutti i comu- 
ni ed, ovviamente, rettore di S. Lorenzo. Fu questo il periodo nel quale la Re- 
pubblica, consapevole dell’importanza della carica, ne seguì nei minimi parti- 
colari gli sviluppi e gli intoppi. Così, nel 1332, essendo il capitano ammalato 
«et contrata non sciat bene sicura», stabilì di eleggere un provveditore «qui va- 
dat in patriam et faciat regimen capitanarie paysanatici cum libertate et com- 
missione, quam habet quousque capitaneus illuc ibit»; decretò che gli obbedis- 
sero i cavalli del Paisanatico, e così le altre terre dell’Istria; che avesse due- 
cento lire, se starà due mesi o meno; se starà di più cento lire al mese, e non 
parta di là senza suo ordine. Ma il Patriarca continua a minacciare il suo do- 
minio, per cui nel 1335 la Serenissima fece scrivere ai propri ambasciatori «quod 
teste deo, in voto et disposicione sumus et eramus, vivendi cum ipso dominio 
patriarcha in quiete et dilectione, ma non possiamo farlo, perché il marchese 
non solo occupò Valle, ma assaltò e fece prigione il capitano del Paisanatico 
con alcuni dei suoi, e quelli del patriarca corsero armata mano a San Lorenzo 
ed a Parenzo, rubando quanto poterono», chiedendo il rilascio dei prigionieri, 
e nominando nel frattempo Sebastiano Corner «quando lo voglia» al governo 
di San Lorenzo «fino al ritorno del padre oppure fin al beneplacito del nostro 
dominio»."* 


!! «I310. 12 Septembris. (...) quod capitanus qui fieret haberet etiam potestariam S. Lau- 
rentii pro meliori totius Paisanatici et quando fuit facta electio ipsius capitanei non fuerit recor- 
datum, capta fuit pars quod dictus capitaneus habeat ipsam potestariam cum illo salario, famulis 
et honore, cum huibus fuit olim d. Petrus Geno». «Documenta», cit., vol. X (1895), p. 264-265. 

!? Codeste notevoli attribuzioni del capitano del pasenatico si resero necessarie a seguito di 
innumerevoli scandali e contese (scandalum et errorem) sorti per l’assenza di un giudice com- 
petente; ‘ora il Capitaneus è definito iudex delegatus (del doge) e, successivamente, judex ordi- 
narius ex vigore. Cfr. G. DE VERGOTTINI, op. cit., p. 20. 


8 «Senato Misti», AMSI, vol. III (1887), p. 223 e 244-245. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 193 


Tuttavia, dopo il completamento del dominio su tutta l’Istria meridionale 
(1331-1335) ed a seguito della sconvolgente ribellione di Capodistria (1348),!* 
la Repubblica comprese che una sola carica militare con sede a S. Lorenzo non 
era sufficiente a tenere sotto controllo l’intera, vasta provincia, e pertanto nel 
1356, quando stava per scoppiare la guerra contro la lega voluta dal re d’Un- 
gheria, decise di dividere militarmente il territorio in due paisenatici, pur man- 
tenendo i contributi dei singoli comuni alla difesa; nacque così il paisenatico 
de citra aquam Quieti a nord, con sede a Grisignana, mentre le città e terre u/- 
tra aquam Quieti (a sud) continuavano ad essere soggette al vecchio, cioè a 
quello che d’allora in poi sarebbe stato denominato semplicemente Capitaneus 
S. Laurentii.! 


I due capitani furono indipendenti l’uno dall’altro, ma in caso di necessità, 
erano tenuti a consigliarsi ed aiutarsi vicendevolmente; al capitano di S. Lo- 
renzo rimaneva soltanto la giurisdizione sulle liti tra i comuni a sud del Quie- 
to; ! ovviamente anche la difesa del territorio meridionale rimaneva di sua com- 
petenza.!? 


!4 La Serenissima intraprese in quell’anno una serie di iniziative per la sicurezza della pro- 
vincia e pro conservacione loci sancti laurencii, così inviò nuovi quantitativi di armi: «Baliste 
parve - XL. Balliste a torno octo cum quatuor cassetis sitamenti. Item falsatorum casse - X. Pa- 
vesii - XXV. Item Lancie - XL. Item mulinelli III. Item coracie - XVI. Item lumerie furnite - 
VIII. Item Ronchoni - XXV. et Manganelle III»; inoltre, dispose «una et quattuor banderiis pe- 
ditum qui sunt pole vadat ad Sanctum Laurentium per mare, pro custodia dicti loci, et postea 
mictat Polam, unam de banderiis equitum Sancti Laurenti». Addirittura «(...) nobilis Vir Nico- 
laus Lauredano, qui fuit Capitaneus Pasinatici, ad finem sue capitanerie, et post adventum sui 
successoris remanserit cum eius et familia in Istria ad procurandum honorem nostrum pro novi- 
tatibus que tunc apparuerunt ibidem»; («Rogatorum pro factis Istrie», AMS/, vol. XII (1897), p. 
30-34). Inoltre, nel 1343 il Senato aveva ordinato al capitano di stipendiare un medico («Senato 
Misti», AMSI, vol. IV (1888), p. 22). 


!5 Sembra che detta spartizione del territorio sia avvenuta dietro esplicita richiesta delle città 
e terre dell'Istria, poiché Venezia vedeva nel carattere unitario della carica militare provinciale 
una maggiore garanzia di rapidità ed efficacia; ctr. G. DE VERGOTTINI, op. cit., p. 21. Nel 1331, 
addirittura, ci fu chi propose l’unionem lustinopolis cum Paisanatico, «Documenta», cit., vol. 
XIII, 1897, p. 256; ovvero nel 1340, onde alleviare le gravezze dei sudditi, 1 Savi del Senato pro- 
posero «quod Paysanaticum Istrie reducatur ad pristinum statum videlicet quod comunia terrarum 
Istrie tenere debeant pro dicto paisanatico tot equos ab armis sufficientes armatos per quot ad 
presens solvunt soldos XL pro equo». «Senato Misti», AMSI, vol. II (1887), p. 267. 


!6 Si veda, ad esempio, la sentenza del Senato («Senato Misti», AMSI/, vol. IV (1888), p. 
153): «1361. 27 aprile. Il capitano di San Lorenzo, che faccia pagare a Pellegrino Querini, po- 
destà di Rovigno, l’importo degli oggetti appartenenti a fra' Geminiano dell’ordine di Santa Ma- 
ria di Ronzivalle, morto a San Lorenzo, oggetti vendutigli da Maffeo Emo allora capitano del 
Paisanatico, e da lui non ancora pagati a un frate di quell’ordine, venuto a riscuotere detti dena- 
ri». 


!7 Così, nel 1363, «In seguito a notizie di radunamenti di genti che sono una minaccia per 
Pola, ora multum desolata gentibus, si ordina al capitano di S. Lorenzo di mandar in quella città 
unam bonam banderiam equestrem che vi faccia buona guardia, anche nel distretto, e vi stia fi- 
no a nuovo ordine. Occorrendo poi buona guardia anche nel Castello Mommarani, riattato di re- 


194 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico. Arti, vol XXI, 1991, p. 187-240 


Nel 1368, dovendosi provvedere alla sicurezza dell’Istria, in occasione del- 
la discesa dell’imperatore in Italia, il capitano di S. Lorenzo (unitamente a quel- 
lo di Grisignana ed al podestà e capitano di Capodistria) effettuarono una revi- 
sione delle difese dei luoghi loro soggetti, «cassando tutti gli stipendiarii non 
sufficientes» e concordando con il Senato che, al fine di diminuire le spese, le 
loro paghe sarebbero state inviate da allora in poi, «di 4 in 4 mesi per mezzo 
dei legno della riviera dell’Istria a cura dei Camerlenghi di comun e degli uf- 
ficiali dell’armar». 


L’antagonismo verso i patriarchi di Aquileia segnò una accelerazione du- 
rante la guerra con Genova (1337-1381), che aveva il patriarca alleato; nel 1381, 
a conflitto concluso, Venezia pensò alla rappresaglia e con la guarnigione di S. 
Lorenzo venne sferrato l’assalto a Duecastelli, patriarchini. «I veneti sbarcati al 
Leme si congiunsero a quelli di S. Lorenzo e presa d’assalto la fortezza, fece- 
ro strage degli abitanti e dopo aver tutto saccheggiato vi appiccarono il fuoco. 
Seguendo il costume dell’epoca esportarono dal tempio di S. Sofia i corpi dei 
Santi Vittore e Corona protettori del Castello e li collocarono nella chiesa par- 
rocchiale di S. Lorenzo, ove sono tuttora.'* 


La divisione in due paisenatici durò fino al 1394 quando Venezia, otten- 
nuto il castello di Raspo c/aves totius Istrie, riunificava il paisenatico della pro- 
vincia, abolendo le due cariche di S. Lorenzo e Grisignana che ebbero da allo- 
ra podestà ordinari; il Maggior Consiglio elesse (1394) il rettore di S. Loren- 
zo, con lire 30 di grossi di salario annuo, con l’obbligo di tenere rres famulos, 
unum ragacium et tres equos ac unum notarium, quest’ultimo ad suas expen- 
sas, gli altri ad suum salarium et expensas;" frattanto a P. Zulian, «andato a 
prender possesso del castello di Raspurch, e che trovandovisi a disagio infermò, 
si accorda il partirsene e di lasciarvi a custodia un connestabile equestre in S. 
Lorenzo con 20 uomini equestribus dei Pasinatici ed una bandiera di fanteria di 
Grisignana, dando gli ordini opportuni a conservazione del luogo; esso Zulian 
torni a S. Lorenzo, ove era capitano, e si mantenga in relazione col detto con- 
nestabile».?° 


cente dal conte veneto in Pola, il detto capitano col conte provvedano d'accordo all’uopo». «Se- 
nato Misti», AMSI, vol. V (1889), p. 17. 


!8 B. ScHiavuzzi, «Due Castelli», AMSI/, vol. XXXI (1919), p. 94. Docastelli saranno defi- 
nitivamente possesso veneto appena nel 1422. Cfr. anche B. ScHiavuzzi, «La malaria in Istria», 
AMSI, vol. V (1889), p. 401. 


!9 «Senato Misti», AMSI, vol. V (1889), p. 285. 


20 Ibidem, p. 282; il Senato ordina poi che due provveditori si rechino a «Raspurch, et ibi 
examinare debeant condicionem et situm eius et omnes introitus loci, ac quot gentes forent ne- 
cessarie et cuius conditionis ad ... reducendum ibi paysanatica et ad securitatem contrate et cum 
quanto soldo et sub quot capitibus», e poi vadano a S. Lorenzo e Grisignana «et ibi similiter pro- 
videre debeant de modo regulandi ipsa loca ad complementum rectorum qui nunc sunt ibi» (/bi- 
dem). 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico. Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 195 


Nel decennio 1411-1421, la Serenissima portava a compimento la conqui- 
sta dell’Istria, ovvero del «marchesato», rimanendo esclusi dal suo possesso 
Trieste e la contea di Pisino con adiacenze. Da allora in poi, i confini rimase- 
ro pressoché inalterati, pur costituendo continuo motivo di attrito; antiche e nuo- 
ve vertenze dettero luogo a sanguinosi litigi, causati evidentemente dall’inde- 
terminatezza del confine e dall’uso dei boschi, dei prati e dei laghi a quello 
adiacenti.” 


Spesso le discordie erano dovute alle cosiddette «differenze»; una di que- 
ste era situata presso Zumesco, la famosa villa mezzo imperiale e mezzo ve- 
neta; un’altra nel confine tra S. Lorenzo, Corridico e Grimalda, e si estendeva 
per 5 miglia di lunghezza e mezzo miglio di larghezza. Qui le precedenti sen- 
tenze avevano lasciato taluni spazi di terreno indiviso e quindi promiscuo fra 
gli abitanti delle due parti, con eguale facoltà di pascolo; «circondata da mon- 
ti con pianura in mezzo, feconda di sua natura non solo a pascoli ed a boschi, 
ma anche a semina, riservata però ad uso di pascolo reciproco, produce solo 
(così scriveva il provveditore Fini nel 1707) spine d’infestationi a questi sud- 
diti».?° 

Altro «memorabile» caso fu quello occorso tra S. Lorenzo e Docastelli, di 
recente acquisito alla Serenissima, e che era continuamente vessato dai vicini 
territoriali: dopo alterne vicende, contro precedente sentenza ad esso sfavore- 
vole, e che ora, in seconda istanza, vedeva risolta in parte a propria soddisfa- 
zione.” 


Tuttavia, nonostante codeste tensioni, la situazione politica generale era co- 
munque ormai stabilizzata: infatti, per quasi un secolo tutta la provincia — e San 
Lorenzo — godranno di continua pace (la breve guerra tra la Repubblica e Trie- 
ste può essere trascurata) e così Venezia poté dare un carattere unitario anche 
all’amministrazione civile del territorio; non fu, certamente, cosa né semplice, 
né facile, visto che, talvolta, le soluzioni non trovavano la giusta corrisponden- 
za nelle possibilità economiche. Così ad esempio, ci sembra di poter afferma- 


2! Su questo argomento si vedano: «Capodistria e provincia tutta intorno ai confini suoi con 
Trieste e con il castello di Pisino ed altre materie raccolte nell’anno 1732» (in particolare S. Lo- 
renzo), AMSI, vol. VII (1891), p. 367-387; «Senato Secreti», AMSI, vol. VI (1890), p. 303. 


2 «Scrittura del sig. A. Fini, Proveditor ai Contini di Capo d'Istria», AMSI, vol. VII (1891), 
p. 188-192. «Poi per più quiete 1448 p. Piero Valier Sindico et commissario del nostro Serenis- 
simo con i Commissari] deputati dalla Maestà di Federico Re de’ Romani furono posti i confini 
à detti luochi». (N. MANZUOLI, Nova descrittione della provincia dell'Istria, Venezia, Bizzardo, 
1611, p. 51). Sulle differentie ctr. M. BERTOSA, Mletatka Istra u XVI i XVII stoljecu [L'Istria ve- 
neta nei secoli XVI e XVII], vol. IL Pola, 1986, p. 136-138 e 140-150. 


3 «Senato Misti», AMSI/, vol. VI (1890), p. 83. Ciò non significa, tuttavia, che i due co- 
muni confinanti non si porgessero talvolta il necessario aiuto, dietro ordine del capitano di Ra- 
spo, quando di mezzo c'erano gli arciducali; così nel 1411, il podestà di S.Lorenzo ebbe in- 
giunzione «quod subito ad requisitionem dicti Lugnani, mittet ad duo castra ad custodiam illius 
loci homines viginti.», «Senato Secreti», AMSI, vol. IV (1888), p. 272. 


196 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


re che per una «terra povera e scomoda», come S. Lorenzo, non riusciva af- 
fatto agevole al Senato provvedere ai rettori (si veda nell’elenco dei podestà, in 
appendice, e nelle disposizioni statutarie, le variazioni di durata del loro man- 
dato!), se, ad esempio, nel 1458 esso decretava «quoniam potestates nostri Sanc- 
ti Laurenti) solvere eisdem met non possunt de salario suo, ex imbecillitate il- 
larum intratarum» ed ordinava al podestà e capitano di Capodistria di assicura- 
re a M. de Avanzago (che vi andava podestà) il salario di un anno.” 


I successivi cent'anni del dominio veneto furono, per il Comune, un pe- 
riodo se non di prosperità, almeno di relativo benessere e di una certa cresci- 
ta; basti pensare che nel 1550 S. Lorenzo contava 1.200 anime, se dobbiamo 
credere a quanto scrive il vescovo Tommasini.” Certo con gli arciducali vi era- 
no sempre motivi di scontro: nel 1588 «quei di Pisino hanno assalito li custo- 
di della Finida, luogo veneto», tagliando biade, ferendo e maltrattando le per- 
sone; nel 1595 ci fu altro «insulto fatto da quelli del contado di Pisino ed altri 
sudditi arciducali ad una casa de nostri sudditi»; nel 1596 vi fu «turbatione fat- 
ta a quei confini d’arciducali»: il Senato intimava allora al podestà «di inte- 
grarvi del spoglio colla retention di alcun suddito arciducale et robbe sue», on- 
de così facilitare la «restitutione delle cose in pristino».?° Gli interventi dei ret- 
tori, però, erano talvolta arbitrati e mal visti dalla Dominante, come avvenne 
nel 1579, quando era «dispiaciuto al Senato ch’egli, a richiesta del capitano di 
Pisino, si sia arbitrariamente recato sul luogo contentioso nei confini fra la giu- 
risdizione veneta e pisinese donde ne sia anco succeduto contro ’] nostro giu- 
dice parole inconvenienti et di poca dignità di voi rappresentante nostro».?” Ma 
anche in materia di politica interna, i rettori spesso non brillarono; nel 1511 gli 
abitanti di San Lorenzo del pasnadego avanzarono lagnanze circa le ingiustizie 
del podestà G. Dolfin, chiedendo la revoca di tutte le sue sentenze da 25 du- 
cati in giù. Nel 1557, invece, si concluse una lunga e intricata vicenda che met- 
teva in luce tutta una serie di brogli e malversazioni nell’amministrazione del- 
la cosa pubblica. «La povera, et fidelissima Università, et populo del Castello 
de San Lorenzo del Pasenadego, (denuncia) insieme con li loro confratelli ha- 
bitanti nella villa, et Territorio di quello, havendo veduto per il passato le ma- 
le administration, tristissimi Governi, latrocinij, fraude, et molti altri disordini 
commessi per li mali, et pessimi ministri, come fontegari, procuratori, et altri 
che hanno maneggiato il danaro, sudor et sangue di essa povera Università a 
danno, anzi total ruina così del povero, smembrato et desolato fontico, susten- 
tation et commodo Universal, et specialmente de poveri, senza il quale questo 
povero loco non potria sustentarsi, come anche de tutti universalmente li vici- 
ni, et habitanti questo povero Castello et Territorio, (...) et desiderando iuxta il 


24 «Senato Mare», AMSI, vol. VII (1891), p. 261. 
25 B. SCHIAVUZZI, «La malaria», cit., p. 469. 

26 «Senato Secreti», AMSI, vol. VI (1890), p. 312. 
27 Ibidem, p. 300-301. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico. Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 197 


potere loro proveder a tal, et tante ladrarie, fraude, maxime della povertà, et del 
povero fontico, (...) acciò essi poveri non siano gabbati, et assassinati da quel- 
li, de cui si fidano, come seguite poco tempo fa nella lite et differentie. (...) Et 
da qui nasce, che nel Castello, et borghi de San Lorenzo sono molti più Casa- 
li, et case ruinate, che case bone, da habitar, et stantiar, Dal che prociede la cor- 
ruttion, et intemperanza dell’aere, et brevemente in total, et ultima ruina di que- 
sto loco. Per tanto ricorsi al suffragio dell’officio delli Clariss." Avogadori di 
Comun, ottenero letere dal Clar.!"° Messer Zuan Battista Contarini direttive al 
magnifico messer Zuanfrancesco Michiel all’hora Podestà del suddetto castello 
che mai volse, che si trattasse nel cons.° quanto commettevano ditte lettere: Hor 
mo per benignità, et solita giustitia sua l’antelato Magn.°° messer Giulio Sala- 
mon Podestà dignissimo di questo loco havuta informatione, et con l’occhio ve- 
duto, et toccato con mano le strusie, et ladrarie fatte, come di sopra, è stà espo- 
sto, hà con tutto il cor abbrazzato, et data la debita essequution, et hobedientia 
alle predette lettere». La causa ebbe, fortunatamente, buon esito per la «fide- 
lissima Università et populo» con l’elezione di «diece homini da ben, di bona 
fama, et vita, che siano idonei, et sufficienti» e che dovevano «star nel ditto of- 
ficio per tutto il tempo della loro vita», con l’incarico di far osservare 1 capi- 
toli dello statuto nel governo del fondaco e del pubblico denaro.” 


Sul finire del secolo, le cose cominciarono a mutare in peggio. Le gravi 
epidemie di peste che, sempre più frequenti, avevano compiuto una vera stra- 
ge nella provincia, risparmiarono in parte l’agro di San Lorenzo, determinan- 
done soltanto un lieve spopolamento; tuttavia, le infezioni malariche ridussero 
la zona circostante a territorio malsano. Il male peggiore, però, continuò ad es- 
sere quello dei rapporti con il Capitanio di Pisino, poiché l’imperatore preten- 
deva un’annua ricognitione sopra il Castello di S. Lorenzo; nel 1625 si addi- 
venne ad accordi che garantirono, parzialmente, «tranquillità et quiete tanto ne- 
cessarie agli interessi di quella povera ed afflitta provintia»: fu nominato in lo- 
co un Proveditore con pienissima auttorità poiché l’esperienza aveva insegna- 
to che «li disordini sono seguiti per non vi essere ordinariamente soggetto nel- 
la Provintia che facci intieramente esequire» le disposizioni.” 


2 «Senato Mare», AMSI, vol. IX (1893), p. 94 e 313-320; ecco la chiave per la scelta dei 
«dieci homeni»: «Tre del numero di nobeli, et cittadini di questo loco appresso il Procurator lo- 
ro del ditto numero. Tre del numero de populari etiam appresso il loro Procurator del populo, et 
quattro di quelli, che habitano fuor della Terra nel Territorio, li quali tutti eletti debbano esser à 
bossoli, et bollette contirmati a questo modo Videlicet: che tutti li ditti diece de uno in uno sia- 
no ballotati per il general consiglio, et quelli, che passeranno la mità del ditto consiglio s’inten- 
dano, et così esser debbano rimasto, quelli veramente, che non passeranno la mità ut supra, non 
s’intendano esser romasti, ma in loco loro si fazza nova elettione, et ballotatione nel modo sud- 
detto. Dichiarando, che del detto num.® di diece non possa esser salvo che uno per casada, et ro- 
masto il padre sia espulso, et cazzado il fiolo, et versavice similiter li fratelli lun Valtro si caz- 
zino, li cugnadi, li zermani cusini, così da parte d’homo, come di donna, et così anche Suosero, 
et versavice». 

29 «Relazione dell’Illustrissimo et Eccellentissimo signor Fr. Basadonna, ecc. 1625», AMSI, 
vol. V (1889), p. 101-102. Dal 1620 il capitano di Pisino chiese ripetutamente il pagamento, da 


198 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Ari, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


Ma, al tramontare del secolo XVIII, R. Rini Deputato a Confini poteva an- 
cora relazionare: «Il Castello di S. Lorenzo del Pasenatico che in riguardo al 
proprio recinto è un cadavero di se stesso, ha però sudditi numerosi, Ter.” fer- 
tilis.° confine sempre insidiato. Quì l’infausto nome dé Differenze occupa 5 mi- 
glia di Paese in lunghezza; mezzo c.a in larghezza. Servono esse Diff. di pa- 
scolo commune sì a Veneti come a Esteri. (...) D’intorno a ciò trovo che in più 
tempi e specila.° 1666 furono p. parte di Cesare ricchieste revisioni, et anche 
dall’Ecc.mo Senato stabiliti Commissarij senza però che mai si ridducesse ad 
effetto la commune intentione, e però cert.e in gte parti più che in qualunque 
altra d.a Prov.a spirano valide le Pub.e rag.ni et in gte più che altrove sono 
grandi et insofferibili le infest.". Austriache. Le scritture poi quasi tutte dell’Istria 
non hanno altra regola che il disordine, altri custodi che il tempo. Rari gl’ Ar- 
chivi che non siano stati arsi o depredati, niuna più distinta materia che cono- 
sca reggistro appartato. Per ogni Reggim.° sotto il nome di quel Rete Volumi, 
e sono una massa di tutti gl’affari di quel tempo Pub.i, Privati, Criminali, Ci- 
vili, Politici, Economici, senza distinzione alcuna insieme complessi. 


Dentro a gti di tempo in tempo anche le Carte attinenti a Confini non so 
se le conservino o sepellischino».° Ne risulta, invero, un'immagine di disordi- 
ne, trascuratezza e disinteresse nell’amministrare l’utile pubblico. 


L’ultimo secolo della dominazione veneta non fu contrassegnato da avve- 
nimenti di particolare rilievo; continuarono le liti con i confinanti territori arci- 
ducali, andarono accentuandosi le già evidenziate carenze nella pubblica am- 
ministrazione; in una parola, il Castello di S. Lorenzo entrava, assieme a tutta 
la provincia, nella fase di definitivo tramonto della potenza veneta. 


È indubbio, che la presenza degli austriaci fosse elemento disgregante con- 
tinuo dell’autorità di Venezia; se ne rese conto, tra gli altri, anche P.G. Capel- 
lo, provveditore sopra la Sanità, quando negli anni 1731-1733, nello svolgi- 
mento delle sue difficili mansioni di custode «dell’universale salute ... non me- 
no che de pubblici confini», proponeva, per l’importantissimo punto di Sanità 
qual’era S. Lorenzo, «sito il più esposto», una valida custodia facendo «avvan- 


parte di San Lorenzo, di lire 40 e di una libbra di pesce a titolo di censo, come era avvenuto re- 
golarmente nel passato sino al 1614, ed anzi ne chiedeva gli arretrati; il Senato, onde guadagna- 
re tempo nella vertenza, chiese la produzione delle prove dei diritti; tuttavia, nonostante i tenta- 
tivi e gli sforzi profusi, il Senato si vide costretto a commettere al podestà di S. Lorenzo (1627) 
che «veduto quanto sia stato solito osservarsi, debba prontamente supplire a quello, «convocan- 
do i capi di quella comunità per comunicare che sia soddisfatto il detto censo dal tempo dell’ul- 
timo pagamento da loro fatto». «Senato Secreti», AMSI/, vol. VII (1891), p. 45, 52, 58, 64. 


30 «Relatione dell’Um.mo etc. R. Fini Dr. Deputato a Confini (1695)», AMSI, vol. VII (1891), 
p. 196-199. Ma R. Fini individua e denuncia delle irregolarità anche nel mondo ecclesiastico: 
«Qualche abitante di quel Castello mi espresse che certi P. del Conu.° di San Michiel di Leme 
da 25 anni in quà s’abbiano arrogato la giudicatura de Contadini di quella Contrada p. l’addie- 
tro sempre soggetti a S. Lor.zo, chi dice usurpata, chi surretiamente ottenutane la facoltà, Tutti 
nel fatto concordano che trà Contadino e Contadino soli giudichino quei Relligiosi; Comunque 
ciò siasi ho creduto mio debito accennarlo». (/bidem). 


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zar la sudetta Galeota nelle acque del Leme distanti da S. Lorenzo, onde nel 
caso di maggiori sopravenienze costantem.te potesse una porz.ne di quella Com- 
pagnia introdursi in detto Castello».?' I tentativi fatti per appianare i dissidi in 
questo secolo, non si contano nemmeno, tutti senza esito, anche perché «l’ar- 
dire de Confinanti abusa e provoca per tutte le vie la somma prudenza di V.a 
Ser.tà anzi pare che cot.a Virtù serva loro anzi di incentivo a sempre nuove e 
sempre maggiori prevaric.ni».*° 


Nel 1754 il capitano e podestà di Capodistria denunciava, all’atto della re- 
visione del fondaco del Castello nuove malversazioni, tanto da aver «motivo di 
molto scontento in vista del suo Capitale in buona parte consunto dell’indiscreta 
avidità de suoi Amministratori; alcuni d’essi abilitati al pagamento vanno sup- 
plendo, chi in tutto, chi in parte, altri poco pensano alla soddisfazione del de- 
bito contratto»; dispose, pertanto, gli ordini per l’arresto «d’alcuno di questi».** 


Nell’estate del 1796, i Francesi, violando la neutralità veneta, avevano oc- 
cupato Verona, minacciando il territorio viciniore; si tentò di correre ai ripari e 
furono chiamate a Venezia le galere generalizie di Zara, di Corfù e la squadra 
del «Capitanio in Golfo», e fu fatta la leva di cernide nell’Istria;3* ma furono 
inutili tentativi: nel 1797 si chiudeva la storia della Serenissima ed, insieme, 
quella dei suoi possessi nella nostra provincia; si concludeva così un ciclo di 
avvenimenti; un’altro vi iniziava con l’accoglimento da parte di quasi tutte le 
città istriane delle proferte amichevoli del nuovo governo di mantenere i vin- 
coli di stretta unione. 


* ** 


Gli abitanti 


Quali e quanti gli abitanti di questo Castello? Il vescovo G.E Tommasini 
ne parla così intorno al 1650: «Già soleva esser ricetto più di duecento fami- 
glie ora da un secolo meno in quà, non si sa per qual mala costellazione fatta 
l’aria insalubre non tiene quaranta fuochi, e le persone sono di cattivo colore. 
Gli abitanti sono distinti in cittadini, persone civili che parlano all’italiana ed i 


® «Raccolta di Atti Pubblici ecc. fatta di S.E. il Sig. P.G. Capello (1731-1733)», AMSI, vol. 
XVII (1901), p. 110; difatti, in tutte quelle azioni di ostilità, ci sarebbe stata «l’intelligenza de- 
gl’Imperiali col mezzo di quel Pievano Milos e delli due altri Pretti tutti Austriaci». 

32 «Capodistria e Provincia tutta ... ecc. (1731-1732)», AMSI, vol. VIII (1892), p. 429; cfr. 
«Relazioni, ecc. (1749)», AMSI, vol. X (1894), p. 84-85. 


33 «Relazioni, ecc. (1754)», AMSI, vol. XIII (1897), p. 194. 
34 B. BeNUSSI, «Cronache di Rovigno dal 1760 al 1806», AMSI, vol. XXV (1910), p. 197- 
198. Negli ultimi anni della dominazione veneta, i podestà di S. Lorenzo furono nominati pro 


tempore (con incombenze anche su Orsera); ctr. «Senato Mare», AMSI, vol. XVII (1901), p. 280- 
281. 


200 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


popolari che parlano slavo, e vestono di panni di lana dall’stesso paese». Co- 
munque, sin dal sec. XII, accanto al nucleo neolatino della popolazione, l’ele- 
mento tedesco continua pure ad esservi rappresentato sia nei commerci che nel- 
la pubblica amministrazione: difatti, a S. Lorenzo troviamo due tedeschi nel 
1183 (Catulus e Bernardus) e due ancora nel 1187 (Adalburno e Cadulo). In 
uno strumento del 1325, relativo all’acquisto di beni, compaiono i seguenti no- 
mi di famiglie: «Ser Ulfo, Ser Matteo Garuffo, Bertolino de Scanabicis, Zan- 
zolo de Furno, Giovanni Ongaro, Tomaso Zane, Pangrazio Morosini, Pietro 
Zorzi, Tisol, Gualperto Zaffo, Pietro di Bologna, Zanino Pinzano, Menzolo 
d’Oria, Albertino di Piacenza, Dragovano e Crisina, - meno forse questi due, 
tutti italiani. In altra carta del 1330 si trovano Gisolo Ragojado e Mazzolo Mar- 
ciliani».?” 

Nel XV secolo sono qui presenti anche degli Ebrei, nei confronti dei qua- 
li la signoria ed il podestà nutrono poca simpatia, «viste le molte e teribele di- 
strucion et manzarie fate et ogni dì se fano per li zudei che habita in Istria a 
tuti nostri fidelissimi Istriani si de tuor uxura denari 6 per lira al mexe e pluy, 
chomo etiam de le desonestissime e sforzade comprede de vini, ogli, sali et al- 
tri suo fruti in erba, per modo che non solamente le suo fadige, et ogni vsifru- 
ti reuerte in loro, ma etiam fina el sangue, la qual cossa e abomineuele apres- 
so dio et agli huomeni cum maximo incargo de la signoria nostra», per cui si 
decide di impedire tale «commercio» di modo che «algun zudio non possa dar 
ad usura ad algun Istrian subdito nostro pluyu de denari tre per lira sopra pe- 
gni», oltre ad introdurre una serie di altri provvedimenti restrittivi** nel loro 
operare, ed in quello di altri gruppi sociali. 


35 G.F. TOMMASINI, op. cit., p. 437. Due secoli più tardi, T.G. JACKSON, op. cif., p. 335, scri- 
veva: «The people are mainly Slavs, though there are some nine or ten Italian families among 
them; but everyone including the Slavs can talk Italian, and in the school instruction is given in 
either language at the choice of the pupil’s parents. The Parroco, Don Radossich, to whom we 
were indebted for a most kindly and hospitable reception in a place where strangers would fare 
very inditferently without an introduction, assured us that though the people look poor they real- 
ly are not badly off, all of them having small possessions in land and live stock by means of 
which they get a very fair living». Gli Slavi di San Lorenzo «hanno calzoni lunghi di griso bian- 
co stretti alle gambe e sopra di essi calze pure di griso, superanti di poco i malleoli, capotto e 
panciotto bruni, quest'ultimo lunghissimo fino alle anche e la casacca breve da non toccare i fian- 
chi, tocco di feltro». (G. CAPRIN, Alpi Giulie, Trieste, 1969, p. 412). 


36 B. ScHIAVUZZI, «Cenni storici sull’etnografia dell'Istria», AMSI/, vol. XVII (1901), p. 314- 
315. 


3 C. DE FRANCESCHI, L’/stria, Note storiche, Parenzo, Coana, 1879, p. 160. Di un certo in- 
teresse anche i nomi degli sripendiarius equester di S. Lorenzo tra il 1335 ed il 1374: Giusto dei 
Giudici (Trieste), Francesco da Ravenna, Marcalino, Paolo Fradello, Bartolomeo da Crema, Mat- 
teo dala Penna, Milano da Milano, Diatrico, Anichino da Petrassano, Angelo de Presenovo, Lo- 
renzo Flandria. «Senato Misti», AMSI, vol. III (1887), p. 250-251; vol. V (1889), p. 27; 43, 46- 
47, 55-56. 


38 «Senato Misti», AMSI, vol. VI (1890), p. 30-31. Avuta la notizia che molti in Istria pra- 
ticavano la religione rurchesca, il Senato faceva pubblicare un proclama (ad Altura, Polesana, S. 


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Furono vistosi nel secolo successivo, mutamenti, arrivi e partenze di nuo- 
vi abitanti nel Castello e nel suo territorio; ** le numerose epidemie di peste pro- 
dussero un grave spopolamento in tutta la provincia, per cui il governo veneto 
pensò di ripopolarla con l’introduzione di Morlacchi dall’Erzegovina, di Greci 
da Cipro e dalla Morea, di Albanesi fuggiti dinanzi alle conquiste turche. Nel 
1544 si fecero insistenti e pressanti le lagnanze dei vecchi abitanti nei confronti 
dei nuovi arrivati, accusati e responsabili di molti delitti, di furti di biade e 
d’animali.* Tuttavia, «nelle terre murate e nelle ville maggiori meno colpite 
dalle pesti abitavano pur sempre gl’Italiani; lo prova il castello di S. Lorenzo 
del Paisenatico, ove troviamo ricordate nel libro dei morti fra il 1500 ed il 1600 
ben centotrentatre famiglie di nome pretto italiano. (...) Né si creda però che, 
oltre agl’indigeni, soltanto questi fuggiaschi e coloni slavi e romanici abitasse- 
ro nella campagna e nelle terre istriane. Vi era un altro elemento, e numeroso, 
formato tanto da quegli indigeni che dalla costa si erano andati a stabilire nell’in- 
terno, quanto da genti venute ad accasarvisi dal Friuli e dalla Carnia. (...) An- 
che coloni trevigiani vennero collocati negli anni 1627 e 28 nei territori di S. 
Vincenti, e di Geroldia al Leme. I coloni morlacchi si occupavano unicamente 
della pastorizia e dell’agricoltura, e queste erano presso che le sole fonti del lo- 
ro sostentamento. Alla venuta di queste genti faceva quindi di mestieri asse- 
gnare loro campi, pascoli, boschi».“ 


Nel 1583 compare nel Castello la famiglia greca dei Gramaticopolo; quel- 


Lorenzo ed Umago) «che chi non si adatta a professare la religione cattolica parta dall’Istria». 
«Senato Mare», AMSI, vol. XV (1899), p. 333. 


39 Nel 1527 si sono già stabilite a S. Lorenzo delle famiglie morlacche: Farinovich, Vitro- 
pacovich e Radonevich. Nel 1558 i Pascotich, Dunsan, Descovich, Gardevich, Cossulich, Rupe- 
novich, Vratovich e Grubazevich fondano Villanova di S. Lorenzo. Cfr. B. ScHIavuzzi, «Cenni», 
cit., vol. XVIII (1902), p. 94 e 98. 


4° A difesa dei vecchi abitanti del Castello nel marzo 1544 il consiglio dei Pregadi in Ve- 
nezia, decretò: «li Murlachi habitanti in ditti territorij siano obligati ritrovar li dannatori, itache 
la giustizia possa procieder contra de loro, altramente che essi Murlachi debbiano pagar de li pro- 
prij beni li animali, et robbe robbate, cioè li Murlachi di cadaun territorio, dove essi habiterano, 
accio che li sia dato causa di obviar a i latrocinij, et discoprir, et ritrovar i ladri, per che se ve- 
de manifestamente, che essi Murlachi quasi mai vengono robbati, et se alcuna cosa li vien tolta, 
ritrovano de fatto per la cognition, et pratica, che hanno delli ladri, altramente amancando que- 
sto singular remedio, non serà possibile, che li supplicanti possino tenir ne animali, ne altro fuo- 
ri alle campagne, nè più potrano viver con le povere loro famiglie». Cfr. «Senato Mare», AMSI, 
vol. IX (1893), p. 125 e 134; AMSI, vol. XXV (1910), p. 410. 


4 B. Benussi, «La liturgia slava nell’Istria», AMS/, vol. IX (1893), p. 204-206: «Ma chi 
esercitava in queste ville, in queste borgate tutto quel complesso di arti e mestieri necessari alla 
vita, per quanto meschina essa si fosse, e che dalle nuove genti slave erano pressochè intiera- 
mente ignorati? (...) Gli altri popoli che abitano questo paese, sono quelli della Carnia, uomini 
industriosi, che lavorano la lana, tessono grisi e rasse per vestir il basso popolo, e lavorano d’al- 
tri mestieri simili, e di questi sono sarti, fabbri, scalpellini, tagliapietra, magnani e d’altre arti ma- 
nuali». 


202 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


la «istriana» dei de Vicinatu, accanto alle «cittadine» Putignan e Grampa, e 
quelle «popolari» Sagredo, Manzolum e de Rubeis (nel 1556).# 


Tredici volte aveva infierito la peste nel secolo XV; quattordici nel XVI: 
e, nonostante le integrazioni nei due secoli precedenti, gli abitanti dell’Istria ve- 
neta contavano nel 1625 appena 39.500 unità (quelli dell’austriaca soltanto 
2380!); e come se ciò non bastasse, nel 1632 si diffuse, sterminatrice, l’epide- 
mia di peste bubbonica che, durata sino al 1634, mieté migliaia di nuove vitti- 
me: nel 1636 il Senato ordinava al Capitano di Raspo di legittimare i terreni 
«che senza pregiuditio e ragioni di sudditi fossero concessibili alle famiglie este- 
re, che il fedel Federico Vendramin offerisse introdur ad habitar l’Istria, parti- 
colarmente nel tenere di S. Lorenzo di quella Prov.a.4* 


Nel 1648 vennero collocate nelle vicinanze di S. Lorenzo cinque famiglie 
morlacche; nel 1650, nel suo territorio si stabilirono 70 nuove famiglie (soltanto 
SO vi si fermarono); nel 1688, la Comunità del Castello aggregava alla propria 
cittadinanza Giorgio Gerguin e figli, sudditi imperiali, abitanti nella terra di Gi- 
mino. 


Altre e numerose aggregazioni avvennero nel secolo XVIII: nel 1700 il 
«Can.co D.n Marco, Francesco e Giorgio fratelli Cortesi, e loro nepoti e di- 
scendenti nativi di Cherso»; nel 1718 Giovanni Pietro Besenghi, il cui figlio 
Pasquale fu aggregato nel 1802 per acclamazione alla nobiltà di Capodistria; 
nel 1736 le quattro famiglie di «Beor fu Marino, di Lemancovich fu Giovanni, 
di Bartali fu Giovanni, di Vidovich fu Gregorio, ambe (sic!) della città di Cur- 
zola con tutti li loro figli e discendenti in perpetuo». Furono apporti umani 


4? «Senato Mare», AMSI, vol. IX (1893), p. 316; B. ScHiavuzzi, «Cenni», cif., vol. XVIII 
(1902), p. 106 e 118. Sulle suppliche presentate dai Morlacchi del territorio di S. Lorenzo nel 
1606 vedi «Senato Mare», AMSI, vol. XII (1896), p. 397-398. 


4 «Senato Mare», AMSI, vol. XIV (1898), p. 317, vedi anche «Senato Rettori», AMSI, vol. 
XVIII (1902), p. 241. » 


4 B. SCHIAVUZZI, «Cenni», cit., AMSI, vol. XIX (1903), p. 235, 239, 242; per sistemare le 
cinque famiglie (del 1648), si rende necessario «confiscare tutti li beni inculti in codesta Pro- 
vincia, come si è in altri tempi praticato» («Senato Mare», AMSI, vol. XV (1899), p. 293; vol. 
XVI (1900), p. 113). Dura, anche se realistica, l'opinione del contemporaneo G.F. TOMMASINI 
(op. cit., p. 438): «I Morlacchi, gente che benché habbino mutato cielo e luogo, conservano l’istes- 
sa barbarie, governano i campi e bestiami, e sono dediti ai latrocinj ed alla ebrietà». 


45 Cfr. «Senato Mare», AMSI, vol. XVI (1900), p. 240; vol. XVII (1901), p. 38; B. ScHIA- 
vUZzzi, «Cenni», cit., AMSI, vol. XXI (1906), p. 82; cfr. G. MORTEANI, «Isola ed i suoi Statuti», 
AMSI, vol. IV (1888), p. 181. Ad integrazione di queste notizie cfr. anche le epigrafi di alcune 
pietre tombali: QVI GIACE ZVANE MARCOVICH // ERETORE // COME P. SVO TE- 
STAM.TO // 1691 // SVOI COMISSARI Px.D (?) // P. GREG.O SOLDATICH PIOV. // ET IL 
JI SIG. ANDREA BENISONI // (Sagrato di S.Martino); ANNO DNI 1661 // O. SEP. F.F. VR- 
BA // N IANCO P. SE // HAERE...SVOI // (Sagrato di S. Martino); 1713 // MICHO MARTI 
JI NCIH F.F.P. // S. ET EREDI // (interno di S. Biagio); R.R. D.D. // P.r MARIVS CANUS SA- 
BAZ PLUS // P.r GREGUS CANUS CETINA // Pr MARTUS CANUS CECHICHI // P.r AN- 
TUS CANVS ORIAN // PROPIIS SUMPTIBUS PRO SE // SUCCESSORIBUS Q SUIS // ERI- 
GERE FECERUNT // (abside centrale di S. Martino, presumibilmente nell’anno 1762, come da 


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che modificarono, ma anche consolidarono, il quadro anagrafico del Castello e 
suo territorio nella seconda metà del secolo. Eccone qui di seguito i dati fon- 
damentali relativi all’anno 1766: popolazione totale 1334 anime (con una den- 
sità di 23,58, su una superficie di 56,57 kmq); numero dei componenti le fa- 
miglie 4,90 (tra i più bassi della provincia, essendo Rovigno in testa con 7,68 
e con una popolazione pari a 19,462 unità!); rapporto uomini-donne 43,40 a fa- 
vore di quest'ultime (minimo assoluto provinciale); tuttavia S. Lorenzo guida 
la classifica nel rapporto tra maggiori di 60 anni (3,44%) ed inferiori ai 14 an- 
ni (49,53), indicando una invidiabile bassa mortalità infantile e quindi tenden- 
za all’ingiovanimento dei suoi abitanti; ci sono famiglie nobili (8), cittadine 
(245) e popolari (19), per un totale di 272; due chierici, tre preti senza benefi- 
cio e cinque con beneficio; la popolazione attiva (arti e mestieri) è così suddi- 
visa: 3 professanti arti liberali, | mercante, | bottegher, 28 artigiani e manifat- 
turieri, 339 lavoranti di campagna: complessivamente 372 unità. 


Ecco, infine, la statistica zootecnica e degli opifici: bovini da giogo 831, 
da strozzo 46; cavalli 101; muli 2; telai da panni di lana 6, da tela 8; una ma- 
cina da olio.*9 


Le mura 


La cerchia di mura che recinge l’antico nucleo è quasi interamente conser- 
vata, anche se in più parti denuncia cedimenti, mancati interventi sanatori e va- 
ria tutela; soffocata da edifici a sud, essa è relativamente libera negli altri lati. 


Gli accessi al Castello sono tre: due attraverso porte antiche, ed uno rica- 
vato dall’abbattimento delle mura là dove c’era stata, in precedenza, una porta 


altra pietra tombale datata ed attigua. Su alcuni banchi di S. Martino, «stampato» in colore bian- 
co: PROPRIETA DI ANTONIO BOGHESSICH, ... ANTONIO XICOVICH, . FAMIGLIA GRA- 
MATICOPOLO. 


4 G. NETTO, «L’Istria veneta nell’anagrafe del 1766», AMSI, vol. XXIII (1975), p. 230- 
235, 244 e 246. 

Cfr., invece, i dati relativi al so/o Castello (senza la villa di Monpaderno), come risultano 
dalla lettura del ms dell’Anagrafe del 1766 e che rivelano anche talune significative discordan- 
ze statistiche: Famiglie: 8 nobili; 19 cittadine; 134 popolari, per un totale di 161 unità. Popola- 
zione: 294 ragazzi sino agli anni 14; 215 uomini dagli anni 14 sino ai 60; 10 vecchi dagli anni 
60 in su; 306 donne d’ogni età, per un totale di 825 anime. Persone religiose: 4 preti provvisti 
di benefizio; 2 preti senza benefizio; | chierico; 1 ospedale (?). Persone industriose: 3 «profes- 
sori» d’arti liberali; 1 negoziante e «bottegar»; 219 lavoranti di campagna; 4 artigiani ed altri ma- 
nifattori, per un totale di 227 unità. Animali: 418 bovini da giogo, 46 bovini da strozzo, 86 ca- 
valli, 1 mulo, 8 somarelli, 3112 pecorini, per un totale di 3671 unità. Edifizj: 1 macina da «oglio» 
(torchio); 3 «telari da tela». (Archivio di Stato - Venezia, Anagrafi dello stato veneto, vol. V, 
1766-1770). 


204 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991. p. 187-240 


(detta «porte piccole», con di fronte palazzo Frigerio); un tempo c’era almeno 
un quarto accesso, sul lato meridionale. 


Le mura, con due torri rettangolari ad occidente, hanno qui andamento cir- 
colare, ma a meridione piegano bruscamente ad angolo retto e, dopo la «porta 
grande» a sesto acuto con profilature veneziane,*” piegano ripetutamente ad an- 
golo retto con torre angolare rettangolare, avviandosi circolarmente a setten- 
trione; si susseguono una torre rettangolare, una seconda porta con una torre in- 
tatta, il campanile di S. Martino (alto 21 m, è per origine torre di cinta, con 
mura che qui misurano 6 m di altezza), una torre triangolare (a bastione), un’al- 
tra rettangolare ed infine una gran torre a pianta trapezoidale (17 m) con all’in- 
terno scala in pietra tra i due ripiani, detta della fontanella. Là, dove la cinta 
piega ad angolo retto, la cortina continua bassissima nelle fondamenta di una 
serie di case che orla la piazza ad occidente, proseguendo verso la facciata del- 
la parrocchiale; questa fu costruita nel 1838,5 poiché prima c’era di fronte il 
palazzo del rettore, e tra di loro passava la cortina delle mura, con una porta, 
per raggiungere la torre «della fontanella», delimitando così un circuito ovoi- 
dale.** Le grandi mura (est) con le grandi torri e le porte veneziane, costitui- 
scono un’aggiunta posteriore, da far risalire, sembra, alla prima metà del 1400: 
l’ampliamento della cinta, dunque, dovrebbe essere avvenuto in rapporto al ruo- 
lo che il Castello andava assumendo con la creazione del Capitanio. Si ha co- 
sì notizia di uno dei primi interventi nel 1354, quando il Senato approva «quod 


4? La descrizione ed i dati tecnici relativi alle mura, sono riassunti da M. MIRABELLA Ro- 
BERTI, 0p. cit.i questa porta fu abbattuta e ricomposta nel 1905; è ad ogiva acuta, ha nella chia- 
ve una testa con orecchie appuntite spioventi, che può essere quella «di Attila», come alla Ma- 
donna dei Campi di S. Domenica di Visinada; misura 4,35 m in altezza, 2,45 in larghezza; sul- 
lo stipi e destro sono incise le misure del doppio braccio di lana (cm 136) e del braccio da se- 
ta (cm 63). Cfr. T.G. JACKSON, op. cit., p. 334-335: «the town at one time extended with suburbs 
and country houses far beyond its present limits. These have now disappeared though their foun- 
dations may still be traced, and the town is confined within the lines of its mediaeval walls, of 
which the greater part is still perfect. We entered by the south gate, a pointed arch of Venetian 
architecture, and found ourselves in an irregular piazza surrounded by dilapidated houses and slo- 
ping upwards to a covered loggia which stretched along the south side ot the great church. The 
town is a rough and uncleanly place, but many of the houses have Venetian windows, and we 
saw several good balconies that spoke of former ease and elegance. There are many ruins, and 
many buildings that threaten to become ruins; and in fact during a storm of rain and wind that 
befel us while we were there one house did actually fall, fortunately without any harm to the in- 
mates. They said it was only a vecchia roba, and did not signify». 

4 Nel 1836, a seguito di alluvioni, stava «per rovesciarsi l’intera sua facciata (della chie- 
sa) attirata dal cadente Palazzo alla quale esso sta(va) attaccato»; sembra che dal palazzo pub- 
blico, attraverso una finestra, si potesse guardare nella chiesa (M. MIRABELLA ROBERTI, 0p. cif., 
p. 17). 

4° Il castrum, la parte più antica del Castello, ha forma ovale e misura m 102x150, con re- 
cinto costituito da due cortine addossate: l'esterna spessa m 1,20, l’interna m 0,80: in media è 
alto 7 m. Le due torri, ora sporgenti, sono senza dubbio opera più tarda (veneziana), probabil- 
mente del sec. XIV, forse primo segno (intervento) della presenza della Serenissima a S. Loren- 
zo, quando fu destinato a sede del «paisenatico». 


G. Rabossi. Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 205 


Capitaneus Pasinatici possit, pro laborerio murorum castri, et fortificatione dic- 
ti castri expendere ultra illud quod potest libras L.»; nel 1377 gli si diede fa- 
coltà di spendere lire 200 di piccoli per riparazioni alla cinta, ai balatoriis ca- 
stri e per dare unam calcheriam seu fornacem; altri interventi nel 1388, 1390 
(recuperatione murorum castri).® 


Nel secolo successivo le riparazioni, le modifiche e le aggiunte continua- 
rono intense: nel 1417, nel 1418 (per 10 anni, annualmente 200 lire pro pos- 
sendo hedificari facere ac reparari castrum), nel 1455 (pro reparatione muro- 
rum dicti loci) ed in particolare nel 1470, quando si informa il Senato che le 
mura cadono per vecchiezza e si temono attacchi dei Turchi.?' Tuttavia sino al- 
la caduta della Repubblica, non constano interventi registrati per restauri alla 
cinta del Castello; autorevole testimonianza della buona salute delle fortifica- 
zioni è forse quella di G.T. Tommasini che nel 1650 circa scriveva: «Il Castel- 
lo è circondato da grosse mura con spessi bastioni all’antica forti con batteria 
da mano».?° 


*o*R* 


Il Palazzo pubblico ed altri edifici 


Il palazzo podestarile di S. Lorenzo venne eretto poco dopo la dedizione- 
occupazione di questa terra da parte di Venezia; tuttavia, fu appena nel 1325 
che il governo veneto acquistava ad uso di palazzo di quella carica, una casa 
ed una torre della famiglia Zane.” 


Nel 1341 vennero stanziati nuovi mezzi «per riparare la casa dove abita il 
capitano del Paisanatico, lire trenta di grossi, col patto quod de illis libris XXX 
fiat illud laborerium quod sufficiat usque ad decem annos.», ma sembra che co- 
sì non fu, se già nel 1366 si impiegarono lire cento di piccoli, ed altrettante nel 
1368; nel 1399 si diede facoltà di spendere lire 125 di piccoli «in riparazioni a 
quel palazzo vecchio, e lire 200 pro aptando il palazzo di residenza del pode- 
stà». 


5 «Senato Misti», AMSI, vol. IV (1888), p. 101: vol. V (1889), p. 69, 70, 271. 
Sl Ibidem, vol. VI (1890), p. 12, 14; «Senato Mare», AMSI, vol. VII (1891), p. 260, 268. 


°° G.F. TomMASInNI, 0p. cit., p. 437. Tuttavia, nel 1598 il Senato aveva commesso al Capi- 
tano di Capodistria di mandare un perito a S. Lorenzo, poiché «essendo caduta una torre, ognu- 
no vi può entrare e non sono sicure neanche le prigioni», concedendo una spesa di 70-80 duca- 
ti. («Senato Mare», AMSI, vol. XII (1896), p. 83). 

53 C. DE FRANCESCHI, 0p. cif., p. 160; cfr. «Senato Misti», AMSI, vol. II (1887), p. 211: 
«1332 ... lire quaranta di grossi, per riparare la casa di sua dimora, già della famiglia Zane». 

5 «Senato Misti», AMSI, vol. IIl (1887), p. 272; vol. V (1889), p. 294; G. VESNAVER, «Gri- 
signana d'Istria», AMSI, vol. II (1887), p. 297. Intanto nel 1390 erano state spese 400 lire an- 
che pro aptatione cuiusdam domus communis; nel 1391, 40 lire di piccoli pro aptandis collonelli 
scale palatii, e successive 400 lire sia per le mura che per lo stabulum palacii («Senato Misti», 


206 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI. 1991, p. 187-240 


Più numerosi gli interventi al palazzo podestarile ed all’abitazione del ret- 
tore nel corso del secolo XV; nel 1402 furono impiegate 400 lire di piccoli pro 
reparatione palatii logiarum e per l'abitazione del cancelliere; nel 1407 lire 300 
e nel 1408 successive 400 lire; nuovi contributi nel 1441, 1444 e 1448; nel 
1469, dopo così frequenti stanziamenti, furono sufficienti sole lire 50 pro re- 
paratione palatij et habitatione Rectorum nostrorum> 


Nonostante tanti e siffatti lavori, nel 1506 il palazzo minacciava rovina, e 
pertanto si dava licenza di spendere fino a 400 ducati del denaro delle con- 
danne; lo stato rovinoso riapparve nel 1544 e vi si impiegarono centocinquan- 
to ducati della Signoria; nuovi interventi nel 1562 e 1588.°° 


Nel secolo XVII fu decisa, praticamente, la sorte del palazzo pretoreo di 
S. Lorenzo: difatti, nel 1619 venivano approvati degli interventi, ma le somme 
preventivate (100 ducati) non bastavano, e così ancora nel 1641 il Senato con- 
statava che nulla si era fatto negli ultimi ventidue anni e si richiedeva infor- 
mazione precisa sui costi per la riparazione. Visto che nessuna delle preceden- 
ti sollecitudini era stata applicata, nel 1645 il Capitano di Capodistria inviava 
un perito a visitare lo stato del palazzo e, se la spesa non eccedeva i trenta du- 
cati, era autorizzato a farlo riparare immediatamente: nel 1652 veniva intimato 
alla medesima carica di ordinare le riparazioni più urgenti, ma appena nel 1657 
furono approvati dal Senato. Tuttavia non se ne fece nulla, poiché nel 1659 si 
constatava che il restauro del palazzo pretorio di San Lorenzo non era stato ese- 
guito e che era reso inabitabile a causa del suo stato rovinoso: si incaricava il 
Capitano di Capodistria di informare circa la nuova spesa necessaria.” 


Dopo ancora qualche inutile tentativo (nel 1780), il Senato sentenziava nel 
1793 di dare «ducati centosessanta per fitto di abitazione» al podestà del Ca- 
stello e di vendere «quel palazzo podestale»; inoltre, si accordava al rettore «che 
per alcuni mesi dell’anno in riflesso alla migliore salubrità dell’aria possa ri- 
siedere nel Castello di Orsara senza però tenersi affatto lontano da S. Lorenzo 
scontentandone così i sudditi». 


AMSI, vol. V (1887), p. 274, 275, 277). Nel Castello, l’acqua scarseggiava e così il Governo ve- 
neto provvide, nella commissione degli anni 1312-1328, di erigere, a spese del Comune, una ci- 
sterna nella casa comunale, ubi stat comestabilis, et alia fiat ubi melius videbitur, pro bono et 
avantagio comunis; sembra, però che a codesto ordine non si fosse allora ottemperato, perché lo 
vediamo ripetuto nel 1347. (B. SCHIAVUZZI, «Le Istituzioni sanitarie istriane nei tempi passati», 
AMSI, vol. VIII (1892), p. 356; «Senato Misti», AMSI, vol. IV (1888), p. 43-44). 

55 «Senato Misti», AMSI, vol. V (1889), p. 301, 308, 310; «Senato Mare», AMSI, vol. VII 
(1891), p. 225, 235, 242, 267. 

56 «Senato Mare», AMSI, vol. IX (1893), p. 86, 138, 347; vol. XI (1895), p. 96. 

ST Ibidem, vol. XII (1896), p. 448, 449; vol. XII (1897), p. 152, vol. XV (1899), p. 24, 28, 
30, 60, 349; vol. XVI (1900), p. 16, 27, 28. Ci fu un provvedimento per il restauro del Palazzo 
nel 1701, con i mezzi ricavati dalla vendita di alberi recisi nel bosco di Vidorno, ma non ebbe 
seguito. 

% Ibidem, vol. XVII (1901), p. 274, 276. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 207 


La fine dell’edificio arrivò, come asserito dal Jackson,” nel 1833, abbat- 
tuto perché cadente, e minacciava di «precipitare sul tetto» della chiesa di S. 
Martino e «sfondarla di bel nuovo in più parti».î0 


Tra gli edifici di pubblico uso, il Senato rivolse particolare cura alla co- 
struzione (1425) di un «torchio da olio», con una spesa di 200 lire che il Co- 
mune dovette restituire nei successivi due anni; nel 1639 si impiegarono 50 du- 
cati dalle condanne per restauri, ed altri 300 nel 1655, però inviati dalla Sere- 
nissima, dopo che, nonostante venisse affittato al pubblico incanto, l’opificio 
dell’olio si ridusse in stato di inagibilità. 

Impegno finanziario fu profuso anche per il fondaco «annoverato per gli 
utili tra 1 primi della provincia» (con l’acquisto, nel 1397 di 100 tavole di abe- 
te e di un barile di chiodi), ovvero per costruire la casa del fabbro dimorante 
nel Castello (nel 1424 furono spese 40 lire, mentre nel 1397 erano stati spesi 
200 di piccoli anche per l’acquisto di duorum follorum a fabro). Si pensò al- 
tresì alla manutenzione delle carceri (nel 1647, 1649 e 1743), alla costruzione 
e successivi continui restauri dell’arsenaletto per la custodia delle armi (pro re- 
paratione fontici bladorum et munitionum castri), nel 1397, 1419 e 1632), alle 
riparazioni alle case del cancelliere e dello speziale (14199 


* EE 


Il corpus araldico di S. Lorenzo, pur non appartenendo a quelli più ricchi, 
è senza dubbio uno dei più interessanti per la varietà «scultorea» dei blasoni e 
per la presenza di talune famiglie patrizie cittadinesche e popolari altrove sco- 
nosciute; si pensi, ad esempio, ai Venier (famiglia patrizia dogale), ai 7usso (ve- 
scovile), ai Dranzi (capitano albanese «de Scutari»); di particolare, e talvolta 
rara bellezza i suoi leoni veneti. Quello che colpisce, poi, è la presenza rile- 


5 T.G. JACKSON, op. cit., p. 339: «The palace is now destroyed, but it stood till 1833 and 
is well remembered by many of the inhabitants, and the foundations are still discernible on the 
surface of the ground». 

60 Era da poco arrivata la Restaurazione postnapoleonica, quando Francesco | d'Austria, vi- 
sitava - passando in quel luogo, la chiesa di S. Martino e quando ancora esisteva il palazzo pre- 
torio «minacciante»; ne fa testimonianza la lapide (dim. 75 x 109 cm), ora spezzata e deposta 
sul pavimento della navata destra: 

POSTERIS LECTURIS NOTUM SIT // QUOD // DIE X MAI MDCCCXVI // FRANCI- 
SCUS I // AUSTRIAE CAESAR POTENTISSIMUS // SACRUM HOC TEMPLUM PIE VISI- 
TAVERIT // OPPIDUM BENIGNE INVISERIT // CORDIS SUI BENEFICIENTISSIMI MO- 
NUMENTA // ATTRIBUERIT // POSITO HOC GRATI ANIMI TESTIMONIO. 

8! «Senato Misti», AMSI, vol. VI (1890), p. 26: «Senato Mare», AMSI, vol. XV (1899), p. 
11, 363, 365. 


2 «Senato Misti», AMS/, vol. V (1889), p. 290: vol. VI (1891), p. 16, 25; «Senato Mare», 
AMSI, vol. XIII (1897), p. 349; vol. XV (1899), p. 299, 307; vol. XVII (1901), p. 51; G.F. Tom- 
MASINI, op. cit., p. 437. 


208 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arzi, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


vante di monumenti araldici a testimoniare le benemerenze podestarili in mate- 
ria di opere pubbliche (vere di cisterna, torri e porte cittadine, ecc.). Tuttavia, 
considerato l’importantissimo ruolo svolto da questa terra soprattutto nel XIV 
secolo, ci sembra lecito dubitare che ciò che in materia araldica vi fu prodot- 
to, sia quello che oggi abbiamo potuto registrare. 


I frequentissimi e violenti scontri che nei secoli XVI-XVII si succedettero 
in quell’area con gli arciducali, ovvero i drastici rivolgimenti politici occorsi 
con la caduta della Serenissima, hanno certamente arrecato non trascurabili dan- 
ni a questo patrimonio, privandoci di più di qualche esemplare araldico: si pen- 
si, ad esempio, alla scomparsa di «un bel leone veneto al sommo della porta 
(ogivale, sotto la torre campanaria, a lato del superstite stemma Grimani, n.d.a.) 
rubato alla fine dell’800.»,° ovvero a quei frammenti di armi gentilizie visibi- 
li anche nel deposito della chiesa collegiata; mentre, senza dubbio, con l’ab- 
battimento del palazzo podestarile qualche leone (?) o pietra araldica avranno 
trovato rovina assieme all’edificio. La scomparsa, poi, o il danneggiamento di 
qualche chiesa (S. Giacomo ed altre)* di pubblici edifici, di lunghi tratti di 
mura, di qualche torre che il logorio del tempo, l’incuria e l’opera demolitrice 
dell’uomo (particolarmente gravi in questo secondo dopoguerra, soprattutto a 
seguito dell’esodo di gran parte della popolazione ed al conseguente svuota- 
mento delle case, oggi in desolante abbandono e rovina), hanno cancellato dal- 
la memoria materiale anche testimonianze araldiche; tra le sopravvissute, pa- 
recchie portano i segni di abrasioni, scalpellature, ovvero di parziali asporta- 
zioni di particolari e di vitali pezzi delle lapidi. 


Ci sembra di poter affermare che la maggior parte degli stemmi non si tro- 
va in posizione originale; tuttavia, essi appartengono prevalentemente ai secoli 
XIV-XV. L'attribuzione dei blasoni gentilizi di S. Lorenzo ci è stata facilitata 
da elementi epigrafici di cui, in massima parte, sono fregiati; tuttavia resta il 
dubbio (espresso anche nel testo) per alcuni di essi, in quanto talune imprese 
potrebbero appartenere a più casati, essendo prive degli originali colori araldi- 
ci. 


x 


Questa raccolta araldica, infine, è costituita da 31 pezzi, così suddivisi: 
24 stemmi gentilizi (podestà, vescovi, famiglie notabili); 

3 leoni di San Marco; 

2 simboli di confraternite o ecclesiastici in genere; 

2 epigrafi (di particolare interesse). 


Nell’opera di documentazione e di rilevazione dei dati di codesto corpo 
araldico, nella lettura delle epigrafi e delle date, insostituibile è stato il contri- 
buto dei proff. Marino Budicin ed Antonio Miculian, del Centro di ricerche sto- 


x 


riche di Rovigno; l’individuazione di taluni siti araldici è stata resa possibile 


63 M. MIRABELLA ROBERTI, 0p. cit., p. 17. 
64 Ibidem, p. 6. 


G. RapossI, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 209 


dal concorso di don Josip Racan, parroco di San Lorenzo del Pasenatico; pre- 
ziose indicazioni e particolari consigli per alcuni blasoni sono stati cortesemente 
offerti dal dott. Alberto Rizzi, da Venezia, insigne studioso di scultura esterna 
ed araldica veneta; le illustrazioni sono state eseguite dalla mano esperta dell’ar- 
chitetto rovignese Bruno Poropat, valente e nuovo collaboratore del nostro Cen- 
tro: a tutti un sincero grazie. 


* 
* 
% 


210 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991. p. 187-240 


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10. 
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12. 
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14. 


16. 
17. 
18. 
19. 


20; 
21. 


22. 


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E: 


23 


24. 


29 


26. 


2 


28. 


29. 


30. 


3 


32. 
33. 


34. 


39: 
36. 


37 


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B. SCHIAVUZZI, «Le istituzioni sanitarie istriane nei tempi passati», AMSI, vol. VIII (1892), 
p. 315-407. 


V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, vol. I-VI, Milano, 1931. 


G.F. TOMMASINI, «De° Commentarj storici-geografici della provincia dell'Istria», A7, vol. IV 
(1837). 


. F. UGHELLI, /talia Sacra (...), t. V, Bologna, 1973. 


213. G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico. Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


LA RACCOLTA ARALDICA 





I. BALBI 

Blasone gentilizio accartocciato della famiglia patrizia dei Balbi. al terzo piano della casa n.ro civico 
86, p.c. 38. (M. ROBERTI, 1950, p. 6). abbongamente mutilo e sbrecciato. «Le prime memorie di questa fa- 
miglia risalgono al sec. XI (...): ascritta al patriziato veneto fin dal 1296. Si divise in due famiglie. (...) Ar- 
ma: d'oro a una leena di nero in maestà». (CROLLALANZA, 1981, 1, p. 81; cfr. PAULETICH-RADOSSI, 1970, p. 
75-79: Rapossi, Dignano, p. 368-369; Idem Cittanova, p. 284-286. Furono rettori a San Lorenzo: Pietro 
(1368, podestà e capitano) e Barbarigo (1667, quale podestà tentò di limitare lo sfruttamento dei pascoli di 
Mompaderno «in gruppi numerosi» di l'alciatori). 

Dimensioni: 38 x 42 cm. 





2. BARBARO 


Grande lapide, minimamente monca, murata sotto la loggia di S. Martino, sulla parete meridionale del- 
la chiesa: epigrafe oscura: (in alto) MI. I...TOR..A //, (in basso) 1429 (?); molto probabilmente scudo tor- 
neario della famiglia patrizia dei Barbaro che «ga Trieste vennero a stabilirsi a Venezia e nell’anno 992 fu- 
rono ammessi fra gli Ottimati e sostennero le principali cariche. Questa famiglia fu compresa fra le patrizie 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico. Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 Z.l:8 


nella serrata del Maggior Consiglio (1297). Marco nel 1122 fu provveditore generale in armata e sotto il Do- 
ge Domenico Michiel si coprì di gloria per aver ricuperato con indicibile coraggio il vesillo di S. Marco, 
conquistato dai barbari nel sanguinoso conflitto al Zaffo». (SPRETI, I, 1931, p. 502): difatti «erano huomini 
di buona qualità, cattolici, et amatori della Patria, et nella guerra di Romania m. msr. Marco Barbaro fu fe- 
rito, e tolse un faciolo, che aveva in testa pieno di sangue, è lo pose in capo a una lancia per stendardo et 
havea forma di tondo rosso in capo bianco, e dopoi quella da ca' Barbaro portano l'arma in questa manie- 
ra. (ANONIMO, p. 9). 

Altri Barbaro, nella nostra evidenza. furono podestà del pasenatico: Giacomo (1698-1699); Francesco 
(1733-1735); Francesco (1741-1743). Cfr. PAULETICH-RabOSSI, 1970, p. 80-82; Rapossi, Dignano, p. 369; 
Idem, Buie, p. 290; Idem. Grisignana, p. 216; BENEDETTI, 1933, p. 193. 


Dimensioni: a) lapide: 79 x 107 cm; b) stemma: 70 x 86 cm. 


| ARE chi 





3. CONTARINI 


Scudo arrotondato, «al chiodo», scolpito su una formella della vera di cisterna del 1331. appartenuto 
al rettore Giovanni Contarini, come attestato dall’epigrafe, molto danneggiata, scolpita su due lati del bordo 
superiore del pozzo: A(N)NO D(OMI)NI MCCCXXXI DIE XXVI IVNI H(OC) OP(US) FA(CTUM) // 
CONS(ILIO) IOH{(ANN})S CO(N)TARENO CAPITANEI G(ENER)ALIS. È probabile, pertanto, che code- 
sta cisterna fosse un prolungamento del palazzo podestarile, abbattuto nel 1838. Nel 1318-1319 fu capitano 
del Pasenatico, un Paolo C.; podestà fu Domenico (1404-1405, uno dei restauratori del Palazzo Pubblico). 
Arma (una delle otto varianti): d’oro a tre bande d'azzurro: cimiero: il corno dogale veneto; motto: Flores 
in virtute parti. (SPRETI, 1931, VII. p. 632). Ctr. PAULETICH-RADOSSI, 1970, p. 97-99; Rabossi, Montona, p. 
202: Idem, Parenzo, p. 386-387. 


Dimensioni: 38 x 48 cm. 


214 G. Raossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 





4. CONTARINI 


Altro blasone gentilizio dei Contarini, scolpito sulla medesima vera di pozzo del precedente, di mino- 
ri proporzioni e sistemato, lateralmente a sinistra, sotto il leone di S. Marco. «Fino dai primi tempi della ve- 
neta Repubblica fu annoverata tra le dodici famiglie qualificate del titolo di apostoliche per avere eletto il 
primo Doge e con le quali fu stabilito il corpo della nobiltà patrizia. Fu inoltre delle tribunizie a Rialto, ed 
ebbe più volte la reggenza generale. Dette alla Repubblica ben otto Dogi, molti Senatori Provveditori, Savi 
di Terraferma, Ambasciatori, Procuratori di S. Marco, podestà, inquisitori, capitani, generali, ecc. e nella ge- 
rarchia ecclesiastica ebbe, oltre quattro Patriarchi di Venezia, un Cardinale». (CROLLALANZA, I, 1981, p. 316). 


Dimensioni: 17 x 22 cm. 





5.DRANZI 

Sulla prima (da sinistra) delle venticinque pietre tombali sistemate di fronte alla facciata principale di 
S. Martino, a costituirne parte del sagrato, c'è questo blasone gentilizio, con scudo ovale, del capitano alba- 
nese Domenigo Dranzi, cimato dall’epigrafe: CAPITAN DOMENEGO DRANZI // ALBANESE DE SCV- 
TARI // FECE FAR PER S. ET HEREDI // D. ANDREA BENISONI PER // TESTA.(MENT)O; sotto la 
data: DIE XX IVNII // MDCLII. Se non l’unica, è una delle rarissime armi gentilizie «dichiaratamente» al- 
banesi. Arma: d'un drago di ... cimato della corona di ... 


Dimensioni: a) lapide: 86 x 192 cm; b) scudo: 32 x 44 cm. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 215 





6. FOSCARINI 


Lastra di pietra epigrafa e monca (angolo inferiore destro), con scudo accartocciato, murata a sinistra 
dello stemma Pasqualigo (v.), su casetta d’orto ubicata tra i n.ri civici 34-36, appartenuto alla famiglia po- 
destarile dei Foscarini; Viscrizione (in alto): M.D.LXXVII. «Questi vennero dalle Contrade, furono savij e 
discretti, et furono fatti nobili al serar del Consiglio». (ANONIMO, p. 42). «Porta d’oro con una banda fusata, 
o’ di fusì azurri. (...) Orionda d’Altino, hebbe l’isole di Venetia per asilo di perseguitata innocenza. (...) 
Godè in ogni tempo gli honor del merito più considerato. (...) È numerosa la serie de° Porporati, Amba- 
sciatori, c Gencrali, senza parlar d'altri di minor condotta». (FRESCHOT, 1970, p. 318-320). Cfr. RADOSSI, Cit- 
tanova, p. 302. 


Dimensioni: a) lapide: 27 x 36 cm; b) scudo: 13 x 19 cm; c) stemma: 26 x 29 cm. 








7. FOSCARINI 


Altra arma gentilizia dei Foscarini, appartenuta al podestà Pierro) Paolo (2) (1577-1579), incassata 
sulla parete settentrionale della loggia, presumibilmente non in posizione originale, a destra della colonnina 
con il S. Marco: la lapide, con cornice saltellata, è danneggiata in più parti nello scudo e lievemente mon- 
ca; l’epigrafe: (M)DLXXIX (in alto); P.F.(oscarini) (in basso); stemma accartocciato, come il precedente, ma 
di rilievo più stacciato. «Dalla città di Altino, poichè fu distrutta dai Goti, i Foscarini, sì rifugiarono nelle 
isolette venete. Appartennero al tribunato, e alla serrata del Maggior Consiglio nel 1297 furono compresi tra 
le famiglie patrizie. Giacomo era Doge nel 1762: un altro Giacomo nel principio del XVII secolo era Gene- 
ralissimo cli mare. Negli ultimi periodi della Rep. i fratelli Sebastiano e Nicolò Cavalieri della stola d’oro so- 
stennero le principali ambascerie. Arma: D'oro, alla banda losangata d’azzurro». (CROLLALANZA, 1, 1981, p. 
426). 


Dimensioni: a) lapide: 27 x 27 cm; b) scudo: 25 x 32 cm; c) stemma: 14 x 19 cm. 


216 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arri, vol. XXI, 1991, p. 187-240) 





8. GRIMANI 


AI sommo della porta ogivale (ora murata), sottostante alla torre che fu costruita subito per essere cam- 
panile alla chiesa di S. Martino, è rimasto superstite (essendo stato rubato alla fine del secolo XIX un leone 
veneto!) questo stemma del podestà Berruccio Grimani cimato dall’epigrate: MCCCCLII DE MARCO CHO 
Il ME(N)CA EL LAVOREDO IN TE(MPORE) D // MISS(IER) BERTUCI GRIMANI. Dalla natia Lom- 
bardia, «vennero di Vicenza, furono huomini Savij,. discretti e molto humili, et sono due arme, una con la 
croce, et l’altra senza, è non sono tutti una cosa medesima, questi furono fatti nobili al serar del Consiglio». 
(AnonIMO, p. 50). Famiglia tra le più illustri della Serenissima, «molti furono capitani, ambasciatori, savi di 
terraferma, senatori procuratori, di S. Marco, sopracomiti, censori, generali e provveditori generali, e tre di 
essi salirono sul trono ducale: Antonio nel 1521, Marino nel 1595 e Pietro nel 1741. Ebbe inoltre tre cardi- 
nali, due patriarchi d’Aquileia e un vescovo di Torcello». (CROLLALANZA, 1981, p. 502). A Marino si deve 
(1352) il ricupero della città e fortezza di Zara che si era ribellata. Antonio (XVI sec.), accusato a torto di 
aver sfuggito la battaglia coi Turchi, fu trasportato in catene a Venezia, ed il cardinale Domenico, suo figlio, 
si prostrò dinanzi al padre, sollevò le sue catene, ma egli stesso lo tradusse in carcere; assolto dall’accusa, 
assurse allo scettro dogale (1521-1523). (Cfr. SpRETI, III, 1931, p. 574-575). Lapide quadrilatera, monca, con 
cornice saltellata che conferma la sua antica fattura. Cfr. RADOSSI, Pinguenze, p. 501; idem, Valle, p. 381. 


Dimensioni: 55 x 75 cm. 





9. GRIMANI 


Sopra le «Porte Grande», ricomposte nel 1905, a sinistra del leone di S. Marco, ed in posizione non 
originale (cfr. la foto G. CAPRIN, I, 1968, p. 85), è stata incassata l'arma, a scudo sannitico, appartenuta al 
rettore Melchiore Grimani (1406-1407) e proveniente, presumibilmente, dall’abbattuto palazzo pretorile che 
era stato restaurato appunto da codesto podestà e proprio nel 140)7, con una spesa di lire 300 di piccoli (ctr. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 217 


«Senato Misti», AMSI, vol. V, 1889, p. 309). come testimoniato anche dall’epigrafe: D.(ominus) MELCHIOR 
G(ri)MANI // POT(estas) MCCCCVII. «Porta palleggiate d’argento, e di rosso di otto pezzi, con una cro- 
cetta vermiglia, in capo al terzo palo, lo scudo sormontato dal Cappello Cardinalitio. (...) «Questa arma non 
varia dalla descritta altrove, che dalla diminutione della Croce, ch'è il contrasegno distintivo delle linee di 
questa Nobilissima Famiglia, che si portarono in Gierusalemme, d’indi in Costantinopoli, nell'occasione di 
qual viaggio furono gratiate della Croce varmiglia da Gottifredo di Buglione, per il merito acquistato con le 
loro valorose operationi. Il Cimiere, che portano questi Signori d’un Leone d’oro coronato dello stesso me- 
tallo, che alza la stessa Croce rossa con la branca destra, parte senza dubbio della stessa concessione». (FRE- 
scHot, 1970. p. 67 e 354). 


Furono ancora rettori di S. Lorenzo Bertuccio (1341-1342), ed altro Bertuccio (1452). 
Dimensioni: a) lapide: 45 x 55 cm; b) stemma: 45 x 45 cm. 





10. LEONE DI S. MARCO 


Eccezionale esemplare del leone veneto, scolpito su un lato della vera di cisterna della casa a fianco 
(orientale) di S. Martino, che un tempo era (sino al 1838) quasi continuazione della linea costituita dal Pa- 
lazzo Pubblico; è un Leone «in moleca», sorgente dalle acque, nimbato, con il libro chiuso ed il muso rin- 
ghiosetto: ai suoi «piedi», a sinistra, sempre sulla medesima formella, c'è lo stemma del Capitano G. Con- 
tarini che fece costruire la bella «vera» da pozzo con gli angoli a volute. ed arricchite, sulle altre tre for- 
melle, da ancora due armi gentilizie (Contarini e Zuliani) e da un interessante altorilievo di S. LA VREN- 
CIVS (agli antipodi del leone alato). Superiormente alla vera della cisterna (dimensioni: 92 x 150 x 150 cm), 
un'epigrafe (vedi lo stemma Contarini). 


Dimensioni: 42 x 52 cm. 


218 G. Rabossi. Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 





ll. LEONE DI S. MARCO 


Altro splendido Leone alato «in moleca», sorgente dalle acque, in cornice saltellata, con il libro chiu- 
so, su lastra di pietra quadrangolare, murata superiormente al bell'arco ad ogiva della «Porte Grande»; pre- 
sumibilmente in posizione originale; nel cantone destro della punta un ramo di foglie d’acanto. AI suo lato 
sinistro lo stemma Grimani, a quello destro l'arma dei Moro. A lato degli stipiti della porta, le cornici vuo- 
te di due iscrizioni patriottiche poste dopo la | guerra mondiale e scalpellate successivamente alla fine del 
secondo conflitto (dimensioni: sinistra 45 x 70 cm; destra 60 x 80 cm). 


Dimensioni: 65 x 65 cm. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 219 

















12. LEONE DI S. MARCO 


Superiormente al blasone gentilizio Salamon, sotto la loggia, al vertice della colonnina epigrafa, un leo- 
ne veneto in altorilievo, con le ali particolarmente movimentate ed il libro chiuso; ovviamente, risale al 1558, 
come indicato nella sottostante iscrizione, al tempo del podestà Giulio Salamon. 


Dimensioni: 33 x 35 em. 


220 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240) 





13. MANOLESSO 

Nel depostio della chiesa di S. Martino, quest'arma gentilizia dei Manolesso, con quasi intatto l’az- 
zurro dello scudo, mentre sono visibili soltanto delle sporadiche tracce d’oro e d’argento. «Questi vennero 
da Torcello, furono huomini forti di sue persone, et duri di opinion». (ANONIMO, p. 56). «Dall’isola di Tor- 
cello, in cui si erano rifugiati al tempo dell’invasione dei Barbari, nel 790) si trapiantarono a Venezia, dove 
alla serrata del maggior Consiglio furono compresi tra i patrizi. Acquistato dalla Repubblica il regno di Can- 
dia, eglino si portarono colà come colonne mobili, e vi si mantennero fino alla caduta di quell’isola in po- 
tere dei Turchi, nel qual tempo si restituirono a Venezia dove sostennero le più eminenti cariche di quella 
Repubblica. Arma: Partito, nel 4° d’azzurro, alla fascia d’oro; nel 2° d’argento». (CROLLALANZA, 1981, Il, p. 
66). Scudo accartocciato. Cfr. FrEscHOT, 1970), p. 353: «Porta d'azurro con la fascia d’argento, partito pur 
dello stesso metallo». Cfr. AMIGONI, 1941-1943, sub nomine. Dietro V’abside di S. Martino, esteriormente, sul 
muro di cinta del cortile tra la chiesa e la torre campanaria, c'è una lapide epigrafa (dimensioni: 40 x 45 
cm): PIETAS AC INDUSTRIA // IACOBI MANVLESS. // PRAETORIS // HOC OPUS FECIT // ANNO 
DOMINI // MDCX: a destra, nella parete, una splendida fontanella (dimensioni: 115 x 225 cm.). 


Dimensioni: 35 x 50 cm. 





14. MORO 


Alla destra del Leone veneto della grande porta ogivale, in posizione originale (anche se «restaurata»), 
questo scudo gentilizio dei Moro, su lapide quadrata, epigrafa, con cornice saltellata; nei due angoli inferio- 
ri le lettere: F.(rancesco) M.(oro), mentre lo stemma è cimato dalla data: 1536. Altri Moro, rettori di S. Lo- 
renzo: Marco (1341, podestà e capitano), Donato (1385-1386, podestà e capitano; processato). Arma: ban- 
dato, di azzurro e di argento col capo di argento carico di tre more di nero, pendenti ed ordinate in fascia. 
«Tra le più antiche di Venezia, e rimaste fra le patrizie al serrar del Maggior Consiglio nel 1297. Si resero 


G. Rabossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Ari, vol. XXI, 1991, p. 187-240 221 


illustri: Domenico, figlio di Barbaro, che nell’anno 936 fu consacrato Vescovo di Padova e morì nel 946. 
Giovanni, patriarca di Grado nel 1121, morì nel 1132. Altro Giovanni nel 1190 fu Vescovo di Torcello. Ma- 
rino, nel 1277 fu capitano dell’Armata e nel 1280 sconfisse i ribelli Triestini. Simone nel 1282 fu Vescovo 
di Venezia. Giovanni di Luigi nel 1401 fu Podestà di Padova, sotto il dominio dei Carraresi. Cristoforo, se- 
natore, nel 1432 accompagnò l’imperatore Sigismondo nel suo passaggio per Roma, quindi procuratore di S. 
Marco e pervenne al Principato della Repubblica (1462-1471)». (Spreti, V, 1932, p. 709); cfr. RADOSSI, /s0- 
la, p. 348-349. Per curiosità, coincidenza o abuso araldico v. BENEDETTI, 1953, p. 130-131. 


Dimensioni: 35 x 35 cm. 











n 





Me AVG, | 


15. PASQUALIGO 


Arma del podestà Nicolò Pasqualigo (1597-1599), scolpita su lapide, saltellata. con la seguente epi- 
grafe: SUB NICOLAO PASQUALIGO // PRAETORE. ANNO DOMINI // 1599. M.AVG. «Questi vennero 
di Candia, furono huomini discretti, et molto amati, et per i boni portamenti di ms. Marco Pasqualigo alla 
guerra de’ Genovesi, esso fu fatto del Consiglio del 1381». (ANONIMO, p. 69). «Porta d’azurro con tre ban- 
de, d’oro lo scudo ornato col capello, o’ berretta Generalitia, et appoggiato a due bastoni di comando incro- 
ciati. (...) Porta l'Arma in uno scudo orato, posto nel cuore d’un Aquila bicipite negra, coronata d’oro in 
campo d'Argento». (FREscHOT, 1970, p. 197, 202, 400). «Navigando Domenico Michieli Doge di Venezia 
nel 1120 in soccorso di Terra Santa, approdò a quella isola, e Pasqualigo, giovine d’illustre nascita e di gran 
coraggio, si unì all’armata veneta, colla quale trasferitosi in Soria vi operò cose segnalate: cosicchè rapito 
l’animo del Doge alla vista delle sue belle imprese, volle condurlo seco in Venezia e lo aggregò tra i patri- 
Zi». (CROLLALANZA, Il, 1981, p. 290). Ebbe tre procuratori di S. Marco, parecchi generali, ambasciatori, se- 
natori e uomini distinti; possedimenti in Friuli. Aggregata alla nobiltà di Cattaro nel 1798. Nicolò Pasquali- 
go, rettore di S. Marco, fu protagonista, nel 1597, di una tra le innumerevoli dispute relative alle differentie, 
con la Contea di Pisino che chiedeva «che li suoi sudditi non dovessero essere obbligati à pagar per li Ani- 
mali non pegnorati, ma per gli pegnorati, e condotti solamente quando sono trovati nelle Commugne che vuol 
dir Finede»; il Pasqualigo respinse tale pretesa (BERTOSA, Il, 1986, p. 140). La lapide si trova immurata (non 
in posizione originaria) su una casetta d’orto di data relativamente recente (secolo XIX-XX), tra i n.ri civi- 
ci 34-36. Cfr. RapoSssi, Montona, p. 213; Amigoni, 1941-1943, sub nomine. 


Dimensioni: a) lapide: 36 x 82 cm; b) stemma con ornamenti: 15,5 x 21 cm; c) scudo: 7 x 10,5 cm. 


990) G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 





16. PRIULI 

Sulla facciata principale della chiesa di S. Martino, tra la lunetta (trifora) e l'architrave della porta d’en- 
trata, stemma gentilizio (?). con in punta una lapide epigrafa: GLORIA ET HONOR // MERITISSIMO 
PRAET. MARCO PR(?)//REDIFICANTI TEMPLVM // COOPERANTE CARITATE FIDELIVM // 
MDCCXXI // OBSE. VINCENTI CARARA DIC. T. L’arma, seppure stilizzata in modo sui generis, potrebbe 
appartenere al podestà Marco Priuli (?) (1721), come dall’epigrafe suddetta. «Questi vennero da Mantova, 
furono huomini savij, cattolici, molto discretti et amichevoli con tutti, questi fecero infabricar la Chiesa di 
Ogni Santi» (ANONIMO, p. 73). «Palato d’oro e d’azzurro di sei pezzi; col capo di rosso». (CROLLALANZA, Il, 
1981, p. 380). «La nobiltà veneta venne concessa verso il 1100 a Silvestro Priuli, cavaliere e capitano nella 
Prima Crociata, figlio di Zaccaria, priore d'Ungheria, figlio a sua volta di Michele, prince. d'Ungheria della 
famiglia degli Arpad, il quale, inviato dalla corona d'Ungheria a Venezia per importanti maneggi col Sena- 
to vi fermò la sua residenza. Nella serrata del Maggior Consiglio (1297) la famiglia Priuli restò esclusa dal- 
lo stesso, ma vi fu tosto riammessa nel 1310 in persona di Niccolò provveditore in Dalmazia. 

Nei vari rami in cui successivamente si divise, si annoverarono: tre dogi di Venezia: Lorenzo, Girola- 
mo, fratello del precedente, Antonio, governatore di galera alla battaglia di Lepanto. Conta la famiglia inol- 
tre una dogaressa: Lilia, moglie del doge Lorenzo, e che fu incoronata il 18 settembre 1557». (SPRETI, V. 
1932, p. 508-509). Diede alla chiesa cinque cardinali, sedici procuratori di S. Marco, numerosi senatori, am- 
basciatori, generali e vescovi (RADOSSI, Cittanova, p. 320). Cfr. FRESCHOT, 1970, p. 221-225. 


Dimensioni: a) stemma: 40 x 45 cm: b) lapide: 20 x 45 cm. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI. 1991, p. 187-240 223 





17. RIMONDO 


Lapide monca e danneggiata, con cornice saltellata, custodita nel deposito della chiesa di S. Martino; 
vi sono scolpite due armi (Rimondo e Tron), uguali a quelle abbinate con lo stemma Tron (v.), ma disposte 
in ordine inverso. La prima (destra) è appartenuta alla nobile casata dei Rimondo: «spaccato; nel 1° d’az- 
zurro, all'aquila d’oro, coronata dello stesso; nel 2° d’oro pieno». (CROLLALANZA, Il, 1981, p. 422): è attra- 
versata da una scalpellatura verticale che la danneggia abbondantemente (cfr. l’altro frammento di lapide, n. 
25). «Questi vennero d'Abruzzo, furono huomini savii, et maestri di navicar, et fedeli alla sua patria». (ANO- 
NIMO, p. 76). Cfr. FRESCHOT, 1970, p. 236; Rapossi, Buie, p. 290. 


Dimensioni: a) lapide: 29 x 39 cm; b) stemma destro: 20 x 20 cm; c) stemma sinistro: 10 x 21 cm. 





18. RIVA 


Minuscolo stemma scolpito sulla fronte del Il gradino dell’altare della Madonna del Carmine, nella 
chiesa di S. Martino, appartenuto presumibilmente (?) al podestà V. Riva (1687)?, come ci sembra di poter 
dedurre dall'iscrizione in oro apposta alla pala d'altare: A_1687 // ZVANE MARCOVICH // F.F. A. HO- 
NORE D.B.V.D.C., ed alle lettere V.R. ai lati dello stemma. «Questi vennero da Giesolo, furono tribuni an- 
tichi, et erano frenetichi, et di poche parole, et molto lussuriosi, vivevano di sua industria». (ANONIMO, p. 
76). «Porta d’oro con una banda azurra carica di tre gigli d’oro coricati in banda». (FRESCHOT, 1970, p. 405- 
407); cfr. CROLLALANZA, Il, 1981, p. 426. 


Dimensioni: a) gradino: 18 x 121 cm; b) stemma: 11,5 x 12 cm. 


224 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol XXI, 1991, p. 187-240) 














19. SALAMON 


Arma gentilizia a scudo rombeggiato ed accartocciato, appartenuta al podestà «meritevole» Giulio Sa- 
lamon (1557-1558), scolpita su colonnina (?) mozzata (cfr. RADOSSI, Portole, p. 297 e 299; Idem, Parenzo, 
p. 387 e 393), murata sotto la loggia della chiesa di S. Martino; cimata dal Leone veneto, e con (sotto) una 
lunga epigrafe: DEO OPT.MAX.0 FAVN // LAVRENTIO PRIOLO // ALMAE VEN./ CIVITAT. // IN- 
CLITO PR. IN IVLIO // (SYALOMONO C.S.L.T Il (?) // ECT. PIENTISSIMO A(...) // (H)ABITATOR CO- 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 225 


MODVM LOCVS ISTE FOELICI // AVSPICIO CONDITUS FVIT // MDLVIII // DIE XXVI AGUST // P. 
DO. «Questi prima erano chiamati Centranighi, vennero da Salerno, furono huomini, modesti, ma di poca 
opera». (ANONIMO, p. 77). Vennero da Torcello, furono tribuni antichi, ed erano del Consiglio nel 916; Pie- 
tro fu fatto doge nel 1024 e regnò dieci anni ed edificò il monastero e la chiesa di S. Marta, Filippo fu vi- 
ceconte e capitano di Sebenico nel 1627, mentre Benedetto vi fu camerlengo rel 1633. (CROLLALANZA, Il, 
1981, p. 467-468). Frequente anche la variante Salomon. Cfr. RADOSSI, Pinguente, p. 18. 


Arma: fusato in banda d’argento e di rosso. Cfr. BENEDETTI, 1940), VIII, p. 15. 


Dimensioni: a) Colonnina con piedestallo: 187 cm; b) colonnina: 41 x 41 x 154 cm; c) stemma ac- 
cartocciato: 21 x 30 cm; d) scudo: 15 x 21 cm. 





20). S. LORENZO 


Bassorilievo scolpito sulla vera di cisterna del 1331, del podestà e capitano G. Contarini, raffigurante 
il Santo orante con mani conserte al seno, che stringono un libro, e cimato dall’epigrafe: S. LAVRENCIVS. 


Dimensioni: 22 x 56 cm. 





21. SORANZO 


Dentro la «Torre della fontanella» (M. ROBERTI, 1950, p. 6) che si conserva ancora relativamente be- 
ne nelle strutture murali, ma priva di tutte quelle interne (nel 1940, secondo M. Roberti si conservavano an- 
cora intatti la scala di pietra con i ripiani in legno), si trova una vera di cisterna (65 x 90 x 90 cm), a tutt’og- 


226 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


gi efficiente (tre angoli a volute, una a foglia di palma), sulle cui formelle sono scolpiti (due) quadrifogli e 
due blasoni gentilizi (di diverse dimensioni), attribuibili alla nobile famiglia dei Soranzo, patrizia e tribuni- 
zia, originariamente detta Superantius. Dopo la distruzione di Aquileia, dalle Lagune si trasferì a Venezia, 
portando grandi ricchezze. Giorgio, partecipò alla battaglia di Salure contro l’imperatore Federico; altri suoi 
membri furono a fianco dei Dogi in Terra Santa. Ma non solo la posizione politica fece emergere questa fa- 
miglia, poiché anche il suo cospicuo censo e l’enorme ricchezza le permisero (1294) di armare a proprie spe- 
se due galere nella guerra contro Genova. Coprì tutte le più eminenti cariche della Serenissima e non vi fu 
epoca in cui fosse stata minima la sua influenza. Dette Giovanni, quale doge (1312-1328) e numerosissimi 
generali, ammiragli, senatori, ambasciatori e procuratori di S. Marco. Si divise in molti rami, che al cadere 
della Repubblica erano ben sedici. Arma: trinciato d’oro e d’azzurro. (Cfr. SPRETI, Il, 1931, p. 377-378). Ve- 
di Rapossi, Valle, p. 387; Idem, Cittanova, p. 326; GELLINI, 1985, p. 91 e 96. Parecchi i Soranzo podestà (e 
capitani) del Pasenatico: Marco (1304, 12 iunii Pacta firmata per d.H. et K... cum d. Marco Superantio ca- 
pit. Paysinatici Istriae et potest. S. Laurenti, AMSI, vol. II, 1887, p. 11), primo e vero capitano; Marino 
(1332, il Senato concede «quod possit occasione ... infirmitatis venire ad S. Laurentium ... cum sua familia 
.. ser Marino Venerio ...»; e, successivamente, poiché «contrata non siat bene sicura» si elegge un provve- 
ditore [N. Zorzi] «qui vadat in patriam et faciat regimen capitanarie paysanatici», AMSI, vol. XII, 1897, p. 
257); Marco (1347-1348) al quale ci sembra di poter attribuire la «paternità» della vera di pozzo e relativi 
stemmi); Paride (1439) e Alvise (1514, vedi prossimo stemma). 


Dimensioni: a) stemma grande: 36 x 48 cm; b) stemma piccolo: 32 x 40 cm. 





22. SORANZO 


Altro blasone dei Soranzo, scolpito sulla parte destra dell'arca d’altare in pietra bianca della cappella 
(a settentrione) dei santi Vittore e Corona, nella chiesa di S. Martino; appartenuto al podestà Alvise Soranzo 
che nel 1514 ne faceva dono, assieme al vescovo di Parenzo, A. Tasso (v.). Lo stemma, di tipo sannitico, 
presenta nel I campo trinciato, delle tracce di colore marrone oro (forse un cattivo oro dell’originale!); svo- 
lazzi ai due lati; cimato di un fiore. Sull’altra estremità (sinistra) della pala, lo stemma Tasso; sul retro il 
simbolo della croce (greca) in corona floreale. 


Dimensioni: sremma: 16 x 27 cm; con svolazzi: 34 x 42 cm. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 227 





23. SURIAN 


Magnifico blasone gentilizio del podestà Andrea Surian (1606-1608), custodito tra i numerevoli oggetti 
ed arredi sacri, nel deposito della chiesa di S. Martino. Stemma accartocciato; lo scudo è cimato da una te- 
sta d'angelo. Sul pavimento della navata sinistra del medesimo tempio, si trova, rotta in tre pezzi ed ivi de- 
positata, una lapide epigrafa del seguente tenore: DIVERSI MODE DISPERSAE CONFRATERNITATV 
SVBSTANTIAE // HIC SVMO LABORE ET INDVSTRIA COGREGATE // ANDREA SVRIANO PRAE- 
TORE PROCVRATE // ANNO DOMINI MDCOVIII. In una sua lettera al Doge (durante il grande interdet- 
to di Papa Paolo V contro la Serenissima), A. Surian informa di essersi occupato, come commessogli, «de- 
gli possessi temporali degli Ecclesiastici» a S. Lorenzo e che egli non mancò di controllare, precisa che «poi- 
chè non vi sono altri, che quatro Canonici, qual col possesso temporale cadaun di loro gode del suo benefi- 
cio», promette di «star vigilante, acciò Vostra Ser.tà obeditta, con che fine riverentemente gli bascio le ma- 
no. Gratie». (AMSI, vol. XIV, 1898, p. 263-264). «Questi vennero da Acre, con le altre sette famiglie; furo- 
no fatti del Consiglio del 1296». (ANONIMO, p. 84). «Porta l’altra Casa di questo medesimo cognome, Scu- 
do d’argento, e di negro con una Croce ancorata de’ colori opposti. Questa da’ tempi più remoti habitante 
in Venetia, per li meriti delle Secretarie, e Residenze s’incaminò alla gloria di poter offerir le sue facoltà 
1647. alla Patria per li bisogni della Guerra, havendo havuto vn’” ANDREA honorato dalla Porpora di Can- 
cellier Grande, huomo fra molti Soggetti della famiglia, di qualificatissimo talento». (FRESCHOT, 1970, p. 410); 
«Fregiata dal titolo comitale. Andrea segretario del Consiglio de’ dieci nella prima metà del XVII secolo. 
Domenico, avendo offerto alla Repubblica centomila ducati per i bisogni della guerra contro i Turchi, otte- 
neva nel 1648 il veneto patriziato. Arma: Spaccato di nero e d’argento, alla croce trifogliata dall’uno all’al- 
tro». (CROLLALANZA, 1981, II, p. 569). 


Dimensioni: a) lapide epigrafa: 44 x 105 cm; b) stemma: 56 x 81 cm; c) scudo: 25 x 34 cm. 


228 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 





24. TASSO 


«Merita di essere citato a parte l’altare della cappella dei SS. Vittore e Corona, su cui è una grande 
arca in pietra di nitide forme donata nel 1514 dal vescovo di Parenzo A/berto (?) Tasso, patrizio bergama- 
sco (zio di Bernardo Tasso, padre di Torquato) e dal podestà A. Soranzo». (M. RoBERTI, 1950, p. 19); lo 
stemma vescovile si trova a sinistra (a destra quello podestarile); nel mezzo un magnifico tabernacolo tipi- 
camente rinascimentale (dimensioni: 35 x 39 cm); superiormente una lunga epigrafe sulla provenienza del 
dono e dei donatori: AILTAS. BER. ESP. PAR. AC AL. SVPE. HVIVS. CASTRI. POT. // SOLERTI. CVRA 
GRATA. Q. DEVOT.OP.HO. BEAT. VIG. // ET. CORO.CORP. QVOR. HIC. INCLVD. F.C. AN. M.D.XIII. 
M.IA.». «Aloysius Tassus, Bergomas, ad Parentinam fedem promptus est an 1500 (An. 1512 “Concilio La- 
teranen. interfuit’’). Sexdecim annis praefuit, deinde ad Recanatensem Episcopatum translatus fuit anno 1516. 
Genitoris sui Augustini viri clarissimi cineres Bergomi in Ecclesia S. Spiritus recondidit, et caenotaphium 
hocce exornauit, Summae fidei, summi officii apud summum Pontificem, mortalesque cunctos Augustinus 
Tassus, soler gentilitiae et dignitatis curator, Filiis optimis moribus, et claris insignitis honoribus, filiabusque 
honestis locatis, Patriae non immemor dulcissimae, Romae moriens, huc cineres deportandos mandaviti ca- 
sto pulveri Catharinae conjugis charissime cum qua fine querela vixit annis XLHI. cum amplis heu non par- 
cant Parcae maritandos. Aloysius Pont. Parentinus F. Pientiss. Parenti domi, forique gloriam B.M. et vive 
matris F.C. Vixit ann. LXIX. ad sept. usque ad Kal. Mart. anno salutis M.D.X. Julio Il Pontis. Max.». (UGHEL- 
LI, 1973, p. 411-412). Arma: troncato; nel | d’argento col corno sospeso a una catena: il tutto di nero; nel Il 
di verde al tasso d’argento; lo scudo è cimato dalla mitra episcopale e da svolazzi, anche laterali. Si noti lo 
scudo Tasso riprodotto dall’Ughelli e che presenta, invece del corno, due cornucopie intrecciate. Lo Spreti, 
cit., presenta ben cinque varianti di quest'arma. 

| Tasso scesero a Bergamo nella prima metà del sec. XIV; ricchi di censo si estesero ben presto fuo- 
ri di quella città, introducendo dovunque le poste (donde il corno nello scudo) e prestando ai privati ed ai 
principi servigi di corriere. «Riorganizzarono il servizio delle poste per la Serenissima Repubblica di Vene- 
zia; poi, spintisi ovunque giungevano i nunzi ed i mercanti di Venezia, tesero sopra tutta l'Europa la rete 
delle loro poste e ottennero privilegi dal pontefice, dagli imperatori e dai re. Nel secolo XVI, i Tassi furono 
Gran Mastri delle poste, contemporaneamente a Venezia, a Genova, a Roma, nella Spagna, nelle Fiandre, in 
Germania e nell’ Austria dove raggiunsero i più alti gradi della nobiltà. In Germania furono ministri genera- 
li delle poste fino alla fine del secolo passato. Tutte le famiglie Tasso s’illustrarono nelle armi, nelle prela- 
ture e nelle lettere. Bastano i nomi di Bernardo e di Torquato». (SPRETI, VI, 1932, p. 551-552). 


Variante: Taxis: cfr. BENEDETTI, 1935, p. 341. 


Dimensioni: a) arca: 57 x 155 cm; b) stemma: 16 x 26 cm; c) stemma con svolazzi: 36 x 43 cm. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 229 





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25. TRON 


Nel deposito della chiesa di S. Martino, lapide di pietra abbondantemente monca di punta ed al fianco 
sinistro, con (superiormente) cornice saltellata (?), danneggiata; vi sono scolpite due armi gentilizie: la pri- 
ma (destra), è un Tron (?), anche se porta le sbarre (?); cfr. il frammento di lapide n. 17 (con lo stemma Ri- 
mondo): troncato; nel 1° caricata di tre gigli (2 sono visibili); nel 2° di sbarre; scudo sannitico; attraversato 
da una scalpellatura che lo percorrono verticalmente, danneggiandolo. La seconda arma (sinistra) troncato; 
nel 1° caricato di un'aquila (?) (probabile blasone Rimondo; v.), è conservata in parte minore. «Tron: porta 
bandato d’oro, e di rosso di sei pezzi, con un capo d'oro carico di tre gigli vermigli, scortati, ovvero senza 
piede». (FRESCHOT, 1970, p. 441-445); cfr. SPRETI, VI, 1932, p. 727; CROLLALANZA, 1981, III p. 47; RA- 
bossi, Portole, p. 308. «Questi vennero da Montona, furono huomini savii et discretti, et propitij al ben del- 
la Patria, questi con li suoi vicini fecero edificar la Chiesa di Sto Ubaldo». (ANONIMO, p. 87). 


Dimensioni: a) lapide: 28 x 38 cm; b) stemma destro: 18 x 19 cm; c) stemma sinistro: 10 x 19 cm. 








26. VENIER 


Architrave immurato nella parete, al pianterreno, di una casa da poco restaurata, ed adiacente (poste- 
riormente) a casa Frigerio (M. ROBERTI, 1950, p. 6), n.ro civico 81; armeggio della famiglia dei Venier. «Que- 
sti vennero di Costantinopoli, et furono del sangue di Valeriano, Imperator, et furono cacciati da Costanti- 
nopoli da Giustinian, Imperador, furono savii piacevoli et molto splendidi, et quando Valerian venne in Ita- 
lia, menò seco msr. Giovanni et Francesco Venier, et per li loro meriti li donò Pavia, et in quel tempo por- 
tavano un Pulicano nell’arma, furono poi cacciati da Pavia, al tempo di Attila, et vennero à abitare in Ve- 
netia co tutta la loro Famiglia, et levorno l'arma co’ tre tresse rosse, e tre bianche con un S. Marco, fecero 
editicar la Chiesa ai S. Moise». (ANONIMO, p. 90). «Da Vicenza i Venier trapiantarono la propria famiglia in 
Venetia nei primi anni della fondazione di questa. Alla serrata del Maggior Consiglio nel 1297 venne com- 
presa fra le patrizie. Vanta essa tre dogi nelle persone di Antonio eletto nel 1382, di Francesco nel 1554 e 
di Sebastiano, il celebre eroe della battaglia di Lepanto, eletto a voti unanimi nel 1577, oltre una lunga se- 
rie di procuratori di S. Marco, capitani, generali, senatori, ambasciatori, ecc. Nel 1797 un ramo di questa il- 
lustre famiglia si era trapiantato a Capodistria». (CROLLALANZA, III, 1981, p. 76). 


230 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


Nel nostro elenco troviamo unicamente nel 1332 un Marino Venerio (AMSI, vol. HI, 1887, p. 127 che 
«cum sua famiglia manente ad custodiam Cressani» venne inviato a S. Lorenzo «cum alio frunimento (sic)» 
a sostituire Marino Soranzo, (capitano) gravemente ammalato. 


Lo scudo è scolpito nel mezzo del lungo «architrave», preceduto e seguito dalla curiosa epigrafe: DO- 
DIO // MAI PIV; il tutto presenta fattura facilmente attribuibile alla prima metà del secolo XIV. 


Dimensioni: a) architrave: 35 x 157 cm; b) stemma: 26 cm. 





27. ZULIAN 


Probabile (?) arma gentilizia dell'ultimo podestà e capitano, Paolo Zulian (1393-1394), scolpita sulla 
vera di pozzo fatta costruire da Giovanni Contarini (v.). Scudo a mandorla, spaccato d’argento e d'azzurro; 
alias: d'azzurro e di verde; scudo al chiogo. «1394. 4. ottobre (...) il capitano P. Zulian consegnerà al suo 
partir di là, il danaro che gli resta in mano di conto dello Stato, per tal lavoro, al detto capitano (di Capo- 
distria, n.d.a.). 1395 - Si assegnano 40 ducati a P.Z., per essere stato mandato con suo incomodo e spese, « 
prender possesso del Castello di Raspo, mentre era capitano di S. Lorenzo («Senato Misti», AMSI, vol. V, 
1889, p. 286-287). «Questi vennero di Grecia, furono huomini di grande intelletto, et amatori della Patria, 
questi fecero edificar la Chiesa Vecchia della Carità, e la dottorno del mohazer (?)». (ANONIMO, p. 95). No- 
ta anche la variante G/ULIAN. Cfr. BENEDETTI, 1933, p. 194. 


Dimensioni: 38 x 48 cm. 





28. 


Frammento di arma gentilizia (?), parte superiore, murato sopra l'architrave di entrata della casa n.ro 
civico 25, accanto alla chiesetta di S. Biagio. Attribuzione sconosciuta. 


Dimensioni: 28 x 35 cm. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 231 





20/ 

Sotto lo stemma Grimani delle «Porte Grande» si trova intassellata una targhetta con questa curiosa 
leggenda: MDXLVII // VIDISTIS // VIDETIS // VIDEBITIS // F.M. Visto che l'impresa si trova vicina al 
blasone gentilizio dei Moro «firmato» per l' Appunto F.M., potrebbe essere stato ivi apposto, in un secondo 
tempo (la data delle due targhe è differente), dalla medesima persona; ovvero, quell’F.M. sta a dire sempli- 
cemente: F.(ecit) M.(onumentum) / (Memoriam). 


Dimensioni: 22 x 25 cm. 





30. 

Acquasantiera in S. Martino; zoccolo con una formella epigrafa: M.Z.Z. // LISANDRO // MENGA- 
ZOL // CASTALDO // 1591, che indica presumibilmente il nome del donatore. Gli angoli dello zoccolo so- 
no delimitati da graziose colonnine scolpite in altorilievo; tutta l'acquasantiera, ed in particolare la parte più 
bassa, presenta evidenti segni di avanzata corrosione della pietra (in calcare tenero, al limite del «friabile»). 


Dimensioni: 28 x 30 cm. 


232 G. Rabossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 





31. 


Croce scorciata e pomata sul retro della bella arca in pietra bianca, sull'altare della cappella dei SS. 
Vittore e Corona, donata (1514) dal vescovo parentino A. Tasso e dal podestà di S. Lorenzo A. Soranzo; in- 
scritta in una splendida e ricca corona di foglie d'acanto e d'edera (?); simbolo sacro. 


Dimensioni: a) (diametro) 55 cm; b) croce (pomata): 30 cm. 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico. Atri, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


LEGENDA 





S.LORENZO DEL PASENATICO 








Di 
so «0 _so__s0 


233 


i). 


M. Mirabella Roberti, disegno R. Griman 


Pianta di San Lorenzo del Pasenatico (rilievo 


234 


G. Rabossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


APPENDICE 


| 


ELENCO DEI CAPITANI E PODESTÀ VENETI * 





1301 
1302 
1303 
1304 
1304 
1306 
1307 
1309 
1309 
1310 
1313 
1313 
1314 
18:15 
1316 
1316-17 
1318 
1318-19 
1320 
1321 
1321-22 
1322-23 
1324-25 
1328 
1330-31 
1331-32 
l332 
1332-33 
1334 
1334 
13359 
1335 


Marco Belligno 
Mari(a)no Badoer 
Michele (de) Canal 
Marino Bembo 
Marco Soranzo 
Giovanni Quirino 
Marino Bembo 
Ugolino Giustinian 
Michele Giustinian 
Pietro Zeno 
Giovanni Doltin 
Giovanni Zeno 
Enrico (de) Molin(o) 
Tomaso Dandolo 
Filippo Bellegno 
Pietro Bellegno 
Paolo Morosini 
Paolo Contarini 
Marco Loredan 
Angelo Bembo 
Tomaso Barbadico 
Francesco Dandolo 
Marco Morosini 
Marino Falier 
Giovanni Contarini 
Marino Soranzo 
Marino Venier 
Nicolò Zorzi 
Alvise Morosini 
Giovanni Corner 
Pietro Da Canal 
Andrea Corner 


1335-36 
1339 
1340 
1341 

1341-42 
1342 

1342-43 
1343 

1343-44 
1344 

1344-45 
1345 
1346 

1346-47 

1347-48 

1353-54 
l:38S 
1355 
1356 
1359 
1360 
1362 
1363 
1364 
1367 
1368 
1374 
1377 

1378-79 
1380 
1381 
1383 


Sebastiano Corner 
Marco Corner 
Marco Corner 
Marco Moro 
Bertuccio Grimani 
Pietro Zeno 
Nicolò Loredan 
Bernardo Giustinian 
Marco Corner 
Simone Dandolo 
Nicolò Loredan 
Marco Barbarigo 
Nicolò Barbo 
Giovanni Morosini 
Marco Soranzo 
Giovanni Gradenigo 
Giovanni Quirino 
Marino Falier 
Pietro Gradenigo 
Maffeo Emo 
Nicolò Zeno 
Giovanni Querini 
Marco Giustinian 
Giovanni Giustinian 
Albano Morosini 
Pietro Balbi 
Fantino Morosini 
Andrea Paradiso 
Marco Gisìi 
Angelo Bragadin 
Francesco Zane 
Angelo Bragadin 





* I nominativi dell’elenco sono desunti in massima parte dallo spoglio degli AMSI/, dell’AT, da P. Kan- 


DLER, Codice, cit. e altre fonti minori. 


G. RADOSSI, 


1385-86 
1386-87 
1388-89 
1389 
1390-91 
1391 
1393-94 
1394 
1397 
1399-1400 
1401-02 
1404-05 
1406-07 
1408 
1411 
1419-20 
1424 
1428-29 
1429-30 
1439 
1441-42 
144-50 
1450-51 
1452 
1452 
1455-56 
1458 
1458-59 
1459 
1461-62 
1462-63 


Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 


Donato Moro 
Bernardo Marcello 
Andrea Donà 
Marino Storlato 
Albano Badoer 
Pietro Querini 

Paolo Zulian 
Tomasino Giustinian 
Vito Bon 

Jacopo Dandolo 
Lazzaro Darpino 
Domenico Contarini 
Melchior Grimani 
Leonardo Molin 
Marco Zen(o) 
Nicolò Pizzamano 
Jacopo Correr 

? Barbaro 

Ranieri Coppo 
Parride Soranzo 
Leonardo Michiel 
Antonio Loredan 
Andrea Loredan 
Antonio Loredan 
Bertuccio Grimani 
Marco Bondumier 
Marino de Avanzago 
Lorenzo de Avanzago 
Marino de Avanzago 
Francesco Bollani 
Domenico Bollani 


1469-70 
1506 
ISII 
1514 
1536 
1537 
1544 
1556 

1557-58 
1557 

1577-79 
1588 

1597-99 
1600 

1601-03 
1604 

1606-08 
1610 
1629 

1641-42 
1647 
1667 
1687 

1698-99 
1710 
1721 

1729331 
1732 

1732-33 

1733-35 

1741-43 


1991, p. 187-240 235 


Giacomo Querini 
Marco Zen(o) 
Giacomo Dolfin 
Alvise Soranzo 
F.(?) Moro 
Orsatto Giustinian 
Bertuccio Bondulmier 
Zantrancesco Michiel 
Giulio Salamon 
Giovanni Donà 
P.(?) Foscarini 
Marco Bollani 
Nicolò Pasqualigo 
Vettor Marcello 
Zacharia Gradenigo 
Andrea Loredan 
Andrea Surian 
Jacopo Manolesso 
Paolo Marcello 
Francesco Zorzi 
Giacomo Barozzi 
Barbarigo Balbi 
V. Riva 

Giacomo Barbaro 
Tommaso Longo 
Marco Priuli 
Pietro Zorzi 

Zan Batta Zen 
Francesco Querini 
Francesco Barbaro 
Francesco Barbaro 


236 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arzi, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


APPENDICE 2 


COMMISSIONE DEL CAPITANO DEL PASENATICO D'ISTRIA 
(Settembre 1355) 


1. Noi, Giovanni Soranzo, per grazia di Dio doge di Venezia, della Dalmazia e della Croa- 
zia, signore di una quarta parte e mezza di tutto l'Impero romano, affidiamo a te nobiluomo Ma- 
rino Falier — nostro fedele suddito — l’incarico di recarti in Istria per un anno in qualità di Ca- 
pitano della Società del Pasenatico delle nostre terre, ad amministrare e a far progredire e cre- 
scere l’Istria, per la salvaguardia, la conservazione e uno stato proficuo e tranquillo delle stesse 
terre, ad onore e a protitto nostro e del nostro comune di Venezia. 


2. Tu devi risiedere nella nostra terra di San Lorenzo, di cui, nel medesimo anno, sarai Po- 
destà e reggerai la medesima terra e il suo distretto, nonché le persone ivi abitanti, con rettitu- 
dine e coscienza nel rispetto della legalità a onore nostro e del nostro comune di Venezia e a 
salvezza della stessa terra. Non devi lasciare con la tua masnada tali reggenze prima dell’inse- 
diamento del tuo successore, per la qual cosa ti deve essere corrisposto un salario proporziona- 
to al periodo di attesa superiore ad un anno. 


3. Tu devi ricevere dal nostro comune in detto anno a titolo di salario per il sopraddetto 
capitanato 400 libbre, 8 soldi, 5 denari di grossi. E, inoltre, siccome devi essere il capo dei tuoi 
cavalieri, ti spettano equamente anche 12 libbre al mese per ognuna delle sette poste e mezza, 
come i tuoi predecessori solevano ricevere, non potendo ottenere in nessun modo e con nessun 
espediente qualche altra posta, né ugualmente assegnare qualche posta a uno che riceva il tuo sa- 
lario o soldo o che sia tuo familiare e sieda alla tua tavola, né ad altri per lui in nessun modo 
e con nessun mezzo. 


4. Per la predetta podesteria devi ricevere dal comune di San Lorenzo in detto anno a tito- 
lo di salario 400 libbre di piccoli e la casa; tale salario ti deve essere devoluto nella moneta usa- 
ta in detta terra e secondo il rispettivo corso. Nient'altro ti spetta per raggiungere la menzionata 
podesteria e per lasciarla. Tuttavia, se durante il servizio presso il comune di San Lorenzo, visi- 
terai qualche luogo, tale comune ti dovrà versare — oltre al tuo salario — per ogni giorno 12 gros- 
si. E, se qualche tuo cavallo durante tali viaggi si infortunerà, dovrà ristabilirsi a carico dello 
stesso comune. Se durante tale mandato dovrai viaggiare per mare, riceverai dal medesimo co- 
mune nove grossi il giorno e inoltre il naviglio. Invero per tutti i viaggi che sosterrai per rag- 
giungere Venezia durante il reggimento di detto comune ti spetterà annualmente la somma di 20) 
soldi di grossi e non di più. 


S. E, perciò, nel corso del sopraddetto capitanato devi avere e tenere per te un cavallo del 
prezzo di quattro libbre di grossi o su di lì. E altri cinque cavalli equipaggiati per i tuoi cava- 
lieri del prezzo di 40 grossi l'uno o su di lì. Inoltre un ronzino per il trombettiere. 


(omissis) 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Atti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 237 


Sei tenuto pure ad avere e tenere durante il predetto capitanato un socio a cui dovrai dare 
in un anno 0 una roba e 40) soldi di grossi o due robe e 20 soldi di grossi, come ti sembrerà op- 
portuno. Tale socio dovrà essere di età superiore ai vent'anni. 

Per la podesteria devi anche disporre di un vicario che sia veneziano e destinato ad essere 
il rettore della località, in caso di tua assenza: a lui dovrai assegnare come salario annuo 100 lib- 
bre di piccoli. E ambedue, ovviamente, il vicario e il socio predetti, dovranno essere assunti con 
il nostro beneplacito. 

Devi tenere ancora, durante detta podesteria, come si suole, un notaio a tue spese, ma non 
potrai tuttavia impiegare per notaio qualcuno della terra di San Lorenzo, né chi abbia lì il do- 
micilio e neppure chi è stato notaio del tuo predecessore. Inoltre non devi accettare come tuo no- 
taio il magistrato Giacomo, che, in qualità di notaio del nobiluomo Marco Morosini, ex podestà 
di Isola, è stato spergiuro, dal momento che ciò ti è vietato dal consiglio dei 40. 

Oltre a ciò, nel corso del capitanato, devi tenere 4 inservienti dei cavalieri, che abbiano 
compiuto vent'anni e sotto i cinquanta. A ciascuno di loro assegnerai 20 soldi l’anno di grossi; 
per di più devi tenere pure un trombettiere. Per la podesteria poi devi disporre di due donzelli e 
di altri cinque famigli sia per la cucina e la stalla sia per gli altri tuoi servizi. 

Sono trascritte qui sotto le istruzioni, che tu devi rispettare ed eseguire specialmente in re- 
lazione al capitanato del Pasenatico. 


6. Per prima cosa, dunque, quando ti verrà rivolta qualche lagnanza in merito a qualche fac- 
cenda riguardante il Pasenatico, devi esaminare con la massima diligenza il caso e consultarti con 
quei podestà di lì che ritieni adatti, e decidere secondo il tuo giudizio che faccia onore a noi e 
sia utile al negozio. Tuttavia non devi ingerirti in questioni sbrigate prima che il nobiluomo Ma- 
rino fosse giunto in Istria per esercitare questo Pasenatico; se chiedi a qualcuno dei podestà del 
Pasenatico di darti un consiglio, lo stesso è in dovere di dartelo. E se chiedi a qualcuno di essi 
di recarsi personalmente in qualche luogo in cerca della persona con cui vuoi cunsultarti, lo stes- 
so podestà è tenuto ad andare secondo l’ordine che avrai ritenuto di impartire. Ma il podestà di 
Montona non è tenuto per questo a scendere dalla sua località. 

(omissis) 

9. Devi sapere che tutti i podestà delle terre dell’Istria sottoindicate sono tenuti ad aiutarti 
e a rispettare per sé e per i loro comuni il predetto pasenatico, come è e come sarà ordinato. 

10. E le stesse nostre terre elencate qui sotto devono avere e tenere pronti per il pasenati- 
co tutti i cavalli indicati, che devono essere tutti di 40) soldi di grossi almeno e avere più di tre 
anni, naturalmente: la terra di Isola 10 cavalli — la terra di Pirano 20 cavalli — la terra di Uma- 
go 4 cavalli — la terra di Emonia 4 cavalli — la terra di Parenzo 12 cavalli — la terra di Rovigno 
S cavalli — la terra di Montona 8 cavalli — la terra di San Lorenzo 5 cavalli — la terra di Pola 20 
cavalli. Valle deve versare al nostro comune, ogni anno, le 400 libbre di piccoli che devolveva 
prima al Marchesato dell'Istria. 

Tutte le soprascritte terre devono avere e tenere pronte le armi come sono tenute a farlo le 
altre nostre soldatesche dell'Istria. 


(omissis) 

16. Abbiamo ordinato ancora che due scale vengano poste stabilmente presso il fiume di 
Leme per traghettare i cavalli, quando sarà da te ordinato. 

17. Non devi poi accettare per te o per altri in alcun modo doni od omaggi di selvaggina 
né di altre cose di valore superiore ai 20) soldi di piccoli il giorno, dato che non è possibile com- 
putare da un giorno all’altro. Li puoi invece ricevere da qualsiasi dei comuni di detto pasenati- 
co fino ad un valore di 100 soldi per tutto il tempo della tua reggenza, a te concesso per il tuo 
capitanato. 

(omissis) 

19. A ciò aggiungiamo che tu non puoi assumere o tenere in paga da te nessun istriano. 
Ugualmente non puoi impiegare o assoldare alcun veneziano per curare il cavallo, se non ti è 
stato permesso da cinque consiglieri dei 40 e da due terzi del consiglio maggiore. 


238 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Azzi, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


Sono indicate qui sotto le istruzioni a cui sei tenuto o devi rispettare e far rispettare spe- 
cialmente per la podesteria di San Lorenzo. 


20. Per prima cosa, infatti, tu renderai ragione e giustizia a tutti quelli che ricorreranno a 
te, secondo le usanze di detta terra e, quando queste mancheranno, giudicherai secondo la tua co- 
scienza. Non devi poi render conto a te stesso o ad altri per te di alcuna persona o cosa per l'in- 
tera durata della tua reggenza, in nessun modo e con nessun espediente. 

(omissis) 

22. Siccome secondo i nostri ordini tutti coloro che si mettono in mare con generi alimen- 
tari e altre cose sono tenuti a raggiungere Venezia perché la nostra città sia meglio approvvi- 
gionata e perché neppure i dazi vengano elusi, e siccome i trasgressori di dette disposizioni pro- 
vengono soprattutto dalle nostre terre e sono nostri sudditi fedeli, la qual cosa va del tutto evi- 
tata nei tempi presenti, si prende la decisione di aggiungere nelle commissioni di tutti i nostri 
rettori dell'Istria l'obbligo di curare e vigilare diligentemente affinché il sale, il vino, l’olio, il 
formaggio e le altre cose non vengano estratte dalle proprie terre per essere trasportate in qual- 
che altro luogo che non sia Venezia, salvi sempre e mantenuti tutti i privilegi e benefici spettanti 
a certe terre nel trasporto del sale e di altri articoli via mare dietro commissione dei nostri ret- 
tori, e, ogni volta che qualcuno vuole esportare con imbarcazioni qualche cosa in direzione di 
Venezia, essi sono tenuti a consegnare loro proprie lettere in cui sia indicato il quantitativo dei 
carichi del naviglio e gli stessi trasportatori devono riportare le controlettere entro un mese, a 
scanso di un'ammenda di XXV libbre. 


(omissis) 
26. E in tutte le cose che dovrai sbrigare non favorirai l’amico, né danneggerai in modo 
fraudolento il nemico. 


27. Non accetterai servizi, doni o presenti da nessuna persona dell’Istria che debba ricorre- 
re a te, durante tutta la durata della tua reggenza e ancora per sei mesi dopo aver lasciato il tuo 
incarico, a tuo favore o di un altro, pena il doppio di quanto avrai ricevuto. E se verrai a cono- 
scenza di quanto è stato tolto, lo farai restituire, se potrai. 

(omissis) 

33. Nelle terre della tua reggenza non devi seminare o far seminare per conto tuo o di un 
altro, in nessun modo e con nessun espediente. 

34. Inoltre non devi svolgere né far svolgere commerci per te o altri in nessun modo e con 
nessun espediente. Non manderai, né farai mandare all’incanto, non acquisterai o farai acquista- 
re all'asta qualche cosa che appartenga al comune di Venezia o al comune di San Lorenzo in 
nessun modo e con nessun espediente. 

35. E se verrai a conoscere che qualcuno esporta o importa qualcosa di contrabbando, de- 
vi notificarlo onestamente a noi il più presto possibile. 

36. Durante la tua reggenza non devi comperare o far comperare alcun podere nella terra 
di San Lorenzo o nel suo distretto, in nessun modo e con nessun espediente. 

37. Non devi inoltre partecipare ad alcun convivio con qualche persona di detta terra nella 
dimora tua o di altri sita sulla medesima terra. 

(omissis) 

44. Non devi svolgere, né far svolgere commerci dal socio o dal notaio o da qualcuno del- 
la tua famiglia. 

45. E sei tenuto a incidere o a far incidere tutti i denari del re di Raxia contraffatti in gros- 
si veneti, che capitino nelle mani tue o dei tuoi ufficiali, a costringere la tua gente nei modi che 
riterrai più opportuni a non dare importanza ai predetti denari nel tuo distretto, anzi ad incider- 
li, se lì scoprono. 


(omissis) 


G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 239 


47. Non devi permettere che qualcuno tagli o faccia tagliare legna nel tuo distretto per tra- 
sportarla in luogo diverso da Venezia e infliggerai in questo caso la pena che riterrai pertinente, 
affinché nessuno presuma di poter trasferire la legna altrove. 


48. E affinché ciò venga meglio rispettato, devi pretendere una garanzia da coloro che in- 
tendono trasportare legna a Venezia e consegnare loro le tue lettere in modo che riportino le con- 
trolettere, dalle quali potrai constatare se abbiano o meno trasferito detta legna a Venezia. 


49. E siccome i boschi del distretto di San Lorenzo sono sottoposti a un forte sfruttamen- 
to per ottenere cenere destinata alla vendita, non devi permettere che nella tua giurisdizione ven- 
ga bruciata senza limite alcuno legna per ricavarne cenere, come è stato detto. 

(omissis) 

54. Perché tu abbia una casa adeguata come abitazione, è stato stabilito da noi e dai nostri 
consigli dei Rogati e dei XL che l’edificio ossia la proprietà di ca Zane con torre, sita in San 
Lorenzo, venga riadattato, vi venga costruita una cisterna, e che per completare questi lavori, ven- 
gano concesse a credito dal nostro comune a quello di San Lorenzo L libbre di grossi a condi- 
zione che, quando lasccrai l’incarico, tu sia tenuto a portare con te a Venezia //// libbre di gros- 
si e così ogni capitano sia obbligato a portare con sé ogni anno il medesimo importo, da resti- 
tuire a chi aveva fatto il prestito, finché le predette L libbre di grossi non saranno state rifuse. 


55. Inoltre siccome ti abbiamo fatto assegnare, secondo la consuetudine, per compensare la 
gente di San Lorenzo del pagamento dell’affitto delle case degli stipendiari, quaranta soldi di 
grossi dai fondi del nostro comune e siccome non vengono distribuite case corrispondenti agli 
stessi stipendiari, perché altri hanno case migliori per le quali viene pagato un affitto maggiore, 
né viene dato qualcosa oltre il piccolo affitto delle case predette, ti incarichiamo di agire a tua 
discrezione a tale proposito, come a te sembrerà giusto e più utile, affinché la faccenda proceda 
equamente come deve. 

Sono state trascritte qui sotto le istruzioni che devi rispettare e far rispettare in generale sia 
per il capitanato del Pasenatico sia per la podesteria di San Lorenzo. 

(omissis) 

59. Devi poi sapere che se tua moglie o un tuo erede, sia maschio sia femmina, oppure il 
tuo socio faranno qualche cosa a te vietata da questa commissione, di cui noi e gli avvocati del 
nostro comune saranno informati, tu sarai considerato responsabile e dovrai pagare tutto ciò che 
gli avvocati stabiliranno nel consiglio a cui sarai stato da loro convocato. E questi avvocati so- 
no tenuti a convocarti anche per la moglie, per gli eredi e per il socio, come se convocassero te 
solo. e riceveranno quella parte della tua condanna che loro spetta come delle altre pene del lo- 
ro ufficio. Ed è compreso l'erede che abbia più di sedici anni. Questa misura non può essere re- 
vocata se non dai cinque consiglieri, dai XXX dei XL e dai due terzi del consiglio maggiore. 

(omissis) 

72. Siccome le due banderie di cavalli dislocate a Valle e a Rosarollo vengono da lì ri- 
mosse, vengono costituite con gli stipendiari più abili delle medesime e della banderia di San 
Lorenzo e con altri beni da ricevere nuovamente due banderie di ottanta cavalli, ossia quaranta 
per ognuna, con due conestabili. E a questi ossia ai conestabili sia dato mensilmente a titolo di 
soldo, per un cavallo grande e un ronzino, per il trombettiere con un altro ronzino, diciotto du- 
cati in monete. E a ognuno dei soci per ogni cavallo cinque ducati in monete al mese e per un 
ronzino quattro libbre ugualmente in monete. E ambedue queste banderie con i detti cavalli do- 
vranno risiedere a San Lorenzo presso il nostro capitano, sottoposte sia in sosta sia in movimento 
agli ordini che egli riterrà opportuni. E venga ingiunto al capitano presente e venga aggiunto nel- 
le commissioni di quelli futuri che sono tenuti a rispettare scrupolosamente sia l’obbligo di far 
eseguire la rassegna degli stipendiari predetti, ogni mese almeno, eliminando gli uomini e 1 ca- 
valli inabili e sostituendoli con altri abili, sia tutte le altre istruzioni impartite. 


(omissis) 


240 G. Rapossi, Stemmi di S. Lorenzo del Pasenatico, Arti, vol. XXI, 1991, p. 187-240 


SAZETAK: Grbovi kapetana, rektora i uglednih obitelji Sv. Lovreéa Pazenatitkoga u 
Istri - Kroz kratak, ali nekad podroban historijski profil, zaustavljajuci se na opisivanju 
zbivanja KaStela Sv. Lovreta u mletaéko doba, prikazuje se ukratko i urbanistiéki raz- 
voj i navode se najupadljiviji zahvati na gradskim zidinama, na kulama, na gradsko) 
palati, itd. Osim toga, posvecuje se paZnja demografskom i etnitkom razvoju naselja. 
Heralditka zbirka koja se sastoji od 32 komada, podijeljenih na 24 obiteljska grba (po- 
destati, biskupi, ugledne obitelji), 3 lava Sv. Marka, 2 simbola bratovstina ili svedenika 
druStava, 2 natpisa (posebnog interesa). Zbirka jedna je od najinteresantnijih u pro- 
vinciji po «kiparskoj» raznolikosti grbova i prisutnosti, drugdje nepoznatih, patricijskih 
i gradanskih obitelji. 

U dodatku se daje popis mletatkih kapetana i podestata tog vaZnog vojniékog centra 
koji je bio prvi pazenatik mletatke Istre. 


POVZETEK: Grbi kapitanov, rektorjev in plemi$kih druZin v Sv. Lovrencu na obmocju 
Pasenatica v Istri - S pomoèjo kratkega, a podrobnega zgodovinskega profila, ki hoée 
orisati razmere znotra) utrdbe Sv. Lovrenca (S. Lorenzo) v éasu beneSke nadoblasti, 
je tu v skopih zamahih predstavljen tudi urbanistiéni razvoj kot tudi vidnej$i posegi 
na mestnem obzidju, stolpih, obéinski palati itd. Avtor posveta pozornost tudi demo- 
grafskemu in etniénemu razvoju tega kraja. Heraldiéna zbirka, ki $teje 31 primerkov, 
Je takole sestavIjena: 24 grbov je plemiskih (gre za grbe Zupanov, s$kofov, plemiskih 
druZin), vsebuje nato Se 3 leve sv. Marka, 2 simbola bratov$èin ali cerkvenih krogov, 
2 posebej zanimiva epigrafska napisa. 

Vsekakor je ta zbirka med najzanimivejSimi v provinci zaradi »oblikovne« pe- 
strosti plemi$kih grbov, pa tudi zato, ker naletimo tu na imena plemi$kih in me$éan- 
skih druZin, ki so drugod neznana. Kot dodatek imamo Se seznam bene$skih kapitanov 
in Zupanov tega pomembnega vojaskega srediséa, ki je bil prvi v beneSki Istri. 


NOTE E DOCUMENTI 


NUOVI FRAMMENTI A TESTIMONIANZA 
DEI LEGAMI ESISTENTI TRA IVAN KUKULJEVIC SAKCINSKI 
E PIETRO KANDLER 


SLAVEN BERTOSA 

Pola CDU 930.85(497.13lstria)(044)«18» 
Comunicazione 
Gennaio 1990 


Riassunto - L'autore accenna brevemente alle relazioni intercorse tra I. Kukuljevié ed 
alcuni uomini di scienza e di cultura dell'Istria e pubblica due documenti dell’ Archivio 
diplomatico della Biblioteca Civica di Trieste che integrano le informazioni relative al- 
lo scambio periodico di pubblicazioni e alla collaborazione scientifica con P. Kandler. 


I. 


Con il titolo «Ivan Kukuljevié Sakcinski e l’Istria. In appendice: frammen- 
ti superstiti del carteggio di P. Kandler - I. Kukuljevi©» gli Arti, già quattordi- 
ci anni fa, hanno richiamato l’attenzione degli uomini di scienza e di cultura 
non solo dell’Istria, ma dell’ampia area geografica che va da Trieste a Zaga- 
bria, sulle relazioni un tempo intercorrenti tra gli storici e gli amanti delle co- 
se antiche croati e italiani.' L'autore dell’articolo ha tratteggiato brevemente la 
vita e l’opera di Ivan Kukuljevié Sakcinski (1816-1889) e i suoi rapporti con 
operatori culturali e pubblici istriani. Tale eminente politico, letterato e storico 
croato — anzi, fondatore della storiografia croata — era affascinato dalla cultura 
italiana e dai suoi legami con la storia croata e jugoslava.® Dall’altro lato lo 
stesso Kukuljevié (ufficiale di un reggimento austriaco di stanza a Milano) era 
assai stimato dai circoli italiani, anche per il fatto che «Ivan Kukuljevié Sak- 
cinski [...... |, ufficiale a Milano, aveva lasciato la divisa austriaca per non com- 
battere contro gli Italiani». Particolarmente intimi e calorosi erano i suoi rap- 
porti con intraprendenti operatori culturali veneziani: con il bibliotecario della 
famosa Marciana, Giuseppe Valentinelli, con il libraio ed editore Bonvecchiati 


! L'autore è M. BERTOSA. Arti del Centro di ricerche storiche, Rovigno-Trieste, vol. V (1974), 
p. 153-169. 


2 Ibidem, p. 158-161. 
3 A. TAMBORRA, Cavour e i Balcani, Torino, 1958, p. 215. 


244 S. BertoSA, Nuovi frammenti (Kukuljevié-Kandler), Arti, vol. XXI, 1991, p. 243-251 


e altri.* Nell'articolo «Dopis iz Mletakah» (Corrispondenza da Venezia) pub- 
blicato sulla Danica Hirska (Diana illirica) di Zagabria verso la fine del 1842, 
Kukuljevié aveva dichiarato: «Voi tutti sapete quanto io sia legato a Venezia; 
essa è per me la città più cara di tutto il mondo». 

Kukuljevié intrattenne relazioni epistolari anche con molti Istriani, espo- 
nenti di primo piano non solo della sfera culturale croata, ma anche di quella 
italiana. Purtroppo, di tale carteggio è rimasta solo una piccola parte. La de- 
molizione del Castello di Ivanec, avvenuta nel 1927 — dove era depositato l’ar- 
chivio di famiglia —, con ogni probabilità distrusse per sempre anche le lettere 
pervenute a Kukuljevid dall’Istria.! Per questo motivo assume particolare signi- 
ficato la scoperta di ogni frammento, che, anche in piccola misura, possa com- 
pletare i materiali riguardanti tali rapporti. 

È opportuno rilevare ancora un fatto importante; l'interesse di KukuljeviC 
per il passato istriano e i suoi sforzi profusi nella raccolta di documenti desti- 
nati a provare il suo carattere croato, suscitò non solo malcontento, ma anche 
reazioni aspre da parte dei circoli culturali italiani dell'Istria.” Ciononostante, la 
corrispondenza continuò. Nel menzionato numero degli Arti sono stati pubbli- 
cati una lettera di Kandler indirizzata a Kukuljevié da Trieste, 111 giugno 1858, 
e un frammento di missiva andata completamente perduta (è sconosciuta pure 
la data del suo invio). Tali resti del carteggio Kandler - Kukuljevié sono con- 
servati nell'Archivio dell’Accademia jugoslava delle scienze e delle arti di Za- 
gabria. 


II. 


Nel presente contributo vengono riportati altri due documenti, che integra- 
no le informazioni relative allo scambio periodico di pubblicazioni e alla col- 
laborazione scientifica tra P. Kandler e IL Kukuljevié; ambedue sono custoditi 
presso l'Archivio Diplomatico della Biblioteca Civica di Trieste. 


I. La dichiarazione della Società per la storia e le antichità degli Jugosla- 
vi, datata 15 novembre 1857, con cui si invia in dono a Kandler un esemplare 


* M. BERTOSA, op. cit., p. 160-161. 

ì Danica Ilirska (Diana illirica), ristampa anastatica (1971), Zagabria, n. 51, 17 dicembre 
1842, p. 204. 

f A. WISSERT, «Arhiv Ivana Kukuljeviéa Sakcinskog» [L'archivio di Ivan Kukuljevié Sak- 
cinski], Arlivisr [L' Archivista], Belgrado, vol. Il (1952), p. 63-67. 

? Vedi in modo più particolareggiato a tale riguardo M. BERTOSA, op. cit., p. 164-165. 

8 Ibidem, p. 167-169. 


S. BERTOSA, Nuovi frammenti (Kukuljevié-Kandler), Atti, vol. XXI, 1991, p. 243-251 245 


della pubblicazione «Arhiv za jugoslavensku povjestnicu» (Archivio per la sto- 
ria iugoslava); dal testo risulta che il ragguardevole storico e archeologo trie- 
stino era membro onorario di detta Società; la dichiarazione è sottoscritta da I. 
Kukuljevié, caposezione, e da I. Borovetki, segretario. La traduzione del testo 
croato e del seguente tenore: 
«Società per la storia e le antichità degli lugoslavi 
Zagabria, 15 novembre 1857. 
La Società per la storia e l’antichità degli Iugoslavi ha l’onore di 
inviare al suo membro onorario, signor 
Dott. Pietro Kandler di Trieste, 
un esemplare della sua opera: Archivio della storia iugoslava - Li- 
bro IV, 1857, con l’umile preghiera di reciproca promessa di ami- 
cizia e specialmente di scambio delle pubblicazioni. 7 
Ivan Kukuljevi6, caposezionel. Borovetki, segretario». 
(Vedi Appendice n. 1) 


2. Degli sforzi tesi a promuovere lo scambio delle pubblicazioni di conte- 
nuto storico-culturale, edite a Zagabria, con quelle di Trieste testimonia pure 
una lettera inviata da I. Kukuljevié a P. Kandler da Zagabria, il 16 settembre 
1862," e scritta in lingua tedesca; essa rileva il fatto che scambi avvenivano 
già anche se non erano onnicomprensivi e regolari. Kukuljevié ringrazia Kan- 
dler dell’invio di un libro sulle iscrizioni romane di Veglia e di alcuni altri 
«Stampati» non espressamente nominati e lo informa che contraccambierà il do- 
no. Anticipa la pubblicazione della collezione «Monumenta Slavorum Meridio- 
nalium historica», corredata di correzioni e iscrizioni provenienti dalla Croazia, 
dalla Dalmazia e dall’Istria, ma aggiunge di essere incerto se mandarla o me- 
no al Kandler («dato che Voi non comprendete la lingua, non so se tale libro 
possa interessarVi»). Promette di fargli pervenire regolarmente tutte le pubbli- 
cazioni in lingua latina e italiana. 

Una frase della lettera di Kukuljevié merita particolare attenzione: in essa 
si confrontano due modi di accedere ai problemi del passato, due livelli di esa- 
me storico: uno si manifesta nella consapevolezza che esistono studi critici di 
storia e di antichità», mentre il secondo si rivela «nell’amore e nell’interesse 
spassionati per [......| il popolo spesso incompreso e ignorato degli Slavi del 
Sud» (vedi il testo tedesco nella trascrizione della lettera). Questa era la carat- 
teristica fondamentale di tutte le storiogratie dell’Europa del XIX secolo. Lo 
sviluppo successivo degli avvenimenti, però, determinò anche in Istria un de- 
clino sempre più accentuato della componente critica e il potenziamento del 
ruolo della componente politico-nazionale della storia e dell’interpretazione del 
passato in genere. 


® BIBLIOTECA CIVICA - ARCHIVIO DIPLOMATICO, Trieste, 21.D.8. 
10 Ibidem, 21.D.6. 


246 S. BerrosA, Nuovi frammenti (Kukuljevié-Kandler), Arti, vol. XXI, 1991, p. 243-251 


Ecco infine la trascrizione completa della lettera di Kukuljevié (vedi Ap- 
pendice n. 2): 
Agram den 16" September 1862. 
Hochverehrter Herr Doctor! 


Bereits vor mehreren Monaten nahm ich mir und meiner heiligen Pflicht. gemiiss, 
Ihnen auf Ihr sehr schiitzbares Schreiben zu antworten, und zugleich fiir die mir sehr 
werthvollen Druckschriften, von Ihnen verfasst und gesendet, zu bedanken; aber stets 
gedriickt von meinen dienstlichen Berufs-geschtiften, und manigfaltigen litterarischen 
Arbeiten. war zugleich meine Absicht Ihnen irgend ein Sie interressirende Werk zu sen- 
den bis nun nicht ausfihrbar, und dies ist somit auch die einzige Ursache dass Sie, Ho- 
chverehrter Herr! bis nun von mir weder eine Nachricht noch die Ausserung des schul- 
digen Dankes erhielten. 

Nun binn ich in der Lage Ihr werthvolles Geschenk mit einer unbedentenden Ga- 
be zweier Werke in einem kleinen Theile zu erwiedern und Ihnen bei dieser Gelegenheit 
zugleich zu berichten, dass mich von Ihren neueston werken die «Inserizzione Roma- 
na etc in Veglia»,"! vor allem interressirte, und dass ich trachten werde meinen Land- 
sleuten auch in einer illyrischen Ubersetzung diese mitzutheilen, da dieselbe nebnst be- 
dentenden kritischen Studien der Geschichte und Alterthiimer, auch die unparteische 
Liebe und Interesse fir unser so oft verkanntes und unbeachtetes Volk der Sidslaven 
in hochem Grade an den Tag legt. 

In kurzer Zeit erscheint das erste Buch meines «Monumenta Slavorum Meridio- 
nalium historica» welches nur croatische Urkunden und Inschriften aus Croatien, Dal- 
matien und Istrien enthalten wird: da Sie die Sprache nicht verstehen, weiss ich nicht 
ob Sie dasselbe Buch interressiren diifte: ich werde aber nicht ermangeln die spitern 
Biicher mit dem lateinischen u. italienischen Teste der alten Autoren Ihnen mit der Zeit 
zu iibermitteln. x 

Nehmen Sie indessen die Ausserung meiner ausgezeichneten Achtung, mit der ich 
die Ehre habe mich zu nennen. 

Ihrer Verehrer 

Ivan von Kukuljevié 


Dalla lettera si desume quanto stessero a cuore a Kukuljevié le relazioni 
con Kandler non solo per il rispetto che nutriva nei confronti di questo ecce- 
zionale personaggio, ma anche per i vantaggi che dalle sue ricerche potevano 
derivare alla storiografia croata. 


"Il titolo completo di tale opera del Kandler suona così: /nscrizione romana del secolo HI 
dell'era comune tratta da vecchi ruderi in Veglia spiegata da P. Kandler, I.R. Conservatore, Trie- 
ste, Nuova tip. L. Herrmanstorfer, 1861, p. 27. 


S. BERTOSA, Nuovi frammenti (Kukuljevié- Kandler), Atti, vol. XXI, 1991, p. 243-251 247 


APPENDICE N. 1 


Attestato dell’omaggio a P. Kandler della pubblicazione «Arhiv za jugoslavensku 
povjestnicu» (Archivio per la storia jugoslava), vol. IV (1857). 


459 Doessigoe a drogati i divine Àgeslavenate. 





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248 S. BERTOSA, Nuovi frammenti (Kukuljevié-Kandler), Atri, vol. XXI, 1991, p. 243-251 
APPENDICE N. 2 


Lettera di I. Kukuljevié a P. Kandler, 6 settembre 1862 (Biblioteca Civica - Ar- 
chivio Diplomatico, 12.D.6). 


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S. BERTOSA, Nuovi frammenti (Kukuljevié-Kandler), Arti, vol. XXI, 1991, p. 243-251 249 


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250 S. BERTOSA. Nuovi frammenti (Kukuljevié-Kandler). Arti. vol. XXI, 1991, p. 243-251 





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S. BERTOSA, Nuovi frammenti (Kukuljevié-Kandler), Atti, vol. XXI, 1991, p. 243-251 251 


SAZETAK: Novi fragmenti o vezama Ivana Kukuljeviéa Sakcinskog i Pietra Kandle- 
ra - PokuSaji uspostavIjanja suradnje na planu istraZivanja proSlosti Istre, izmedu hi- 
storiéara, arheologa, historiéara-samouka i Ijubitelja starina u Zagrebu s onima u Istri 
i Trstu — osobito dopisivanjem i razmjenom publikacija — datiraju jo od prve polovi- 
ce XIX stoljeéa. Prepisku su vodila i dvojica istaknutih promicatelja povijesnih studija 
- Pietro Kandler, trSfanski historiéar i arheolog i Ivan Kukuljevié Sakcinski, hrvatski 
politiéar, historitar i knjiZevnik. U Atti (V, 1974) veé su objavIjeni fragmenti njihove 
korespondencije. U ovom prilogu donose se dva nova dokumenta — pohranjena u Bi- 
blioteca Civica (Archivio Diplomatico) u Trstu — koja upotpunjuju dosadaSnje podatke 
o povremenoj razmjeni publikacija i znanstvenoj suradnji P. Kandlera i I. Kukuljeviéa. 
Iz prvoga se vidi da je Kandler bio podasni élan Druîtva za povjestnicu Jugoslavenah 
u Zagrebu i da je dobivao na dar njegova izdanja, dok drugi svjedoéti koliko je Kukulje- 
vié drZao do veze s Kandlerom, ne samo zbog postovanja prema ovoj iznimnoj liéno- 
sti veé i zbog koristi koju je od njegova istraZivatkog rada mogla imati hrvatska hi- 
storiografija. 


POVZETEK: Nekaj novih drobnih podatkov, ki potrjujejo zvezo med Ivanom Kuklje- 
vitem Sakcinskim in Petrom Kandlerjem - Prvi poskusi, da bi se vzpostavilo sodelo- 
vanje med zgodovinarji, arheologi in raziskovalci iz Zagreba, Trsta in Istre na podroèju 
zgodovinskih raziskav segajo v prvo polovico 19. stoletja. O tem nam prida zbirka pi- 
sem, ki sta si jih izmenjala dva pomembna pobudnika zgodovinskih raziskav: Peter 
Kandler, trza$ki zgodovinar in arheolog in Ivan Kukljevié Sakcinski, politik, zgodovi- 
nar in hrva3ki literat. V petem zvezku Aktov so bili Ze objavIjeni nekateri fragmenti 
iz njune korespondence. V tej razpravi pa sta navedena dva nova dokumenta, ki ju 
hrani diplomatski arhiv mestne knjiZnice v Trstu. 

Ta besedila Se dodatno pogabljajo nase védenje o periodiéni izmenjavi publika- 
cij in o znanstvenem sodelovanju med Kandlerjem in Kukljeviéem. Iz izjave Druiva 
za povjestnicu Jugoslavenah (z dne 15. novembra 1857) v Zagrebu je mogote dogna- 
ti, da je bil Kandler njegov lan. Pismo z dne 16. novembra 1862 pa priéa 0 pome- 
nu, ki ga je imela za Kukljeviéa zveza s Kandlerjem ne samo zaradi njegovega spoSto- 
vanja do tega zgodovinarja, temveè tudi zaradi vse koristi, ki naj bi jih hrvaS$ko zgo- 
dovinopisje imelo iz zgodovinskih raziskav trZaskega zgodovinarja. 


COGNOMI PIRANESI: 
BRAZZAFOLLI E PITACCO 


MARINO BONIFACIO 

Trieste CDU 801.313(497.1 2Pirano)(09) 
Sintesi 
Marzo 1991 


Riassunto - L'autore tratta dei cognomi di due casati piranesi di antica genesi roman- 
za locale. La presenza dei Brazzafolli in questa cittadina è documentata fin dal secolo 
XIII (Bricafolle). Il cognome Bricafolle-Brazzafolli deriva da un originario soprannome 
di mestiere (Battifollo, Follatore di panni). 

Il cognome piranese Pitacco è testimoniato a Pirano dalla metà del secolo XV. Esso ha 
per base il nome o meglio l’agionimo Pietro e può derivare sia da Petracco che da Pe- 
traccolo. 


Antichi casati di Pirano: i Brazzafolli 


Brazzafolli è uno degli antichi casati indigeni piranesi, documentato fin dal 
secolo XIV nel modello grafico Brixafolle secondo il Morteani.' In realtà, co- 
me risulta dalle nostre ricerche, si tratta invece di una famiglia piranese d’epo- 
ca già duecentesca, dato che il primo avo conosciuto del casato in parola è uno 
lohannes Bricafolle (o più esattamente Brica folle come vedremo subito), cioè 
Giovanni Brizafolle — nominato nelle carte piranesi fin dal 28-5-1281 — il qua- 
le ebbe dalla moglie Verda? due o tre figli. Di questi però conosciamo soltan- 


! L. MORTEANI, Notizie storiche della città di Pirano, Trieste 1886, p. 156. 


? Dovrebbe essere un'antica forma femminile di Verde, a meno che si tratti di una grafia 
abbreviata (originatasi presumibilmente tramite un supposto modello intermediario Verdia) del 
personale femminile Verdiana, riflettente il culto di Santa Verdiana e risalente al tardo e raro so- 
prannome augurale latino Viridiana, derivato da viridis verde, e in senso figurato «fresco, gio- 
vanile, rigolgioso» (E. DE FELICE, Dizionario dei nomi italiani, Milano, 1986, p. 352). Da rile- 
vare che il De Felice, tra gli alterati e derivati del cognome-base Verde — alla cui base vi sono 
soprannomi già medioevali formati o derivati con varia motivazione semantica in relazione al co- 
lore, da vérde — registra i cognomi di tipo femminile Verdina, Verdecchia e Verdoglia, ma non 
Verda (E. DE FELICE, Dizionario dei cognomi italiani, Milano, 1978, p. 260). Da osservare per 
di più, che il detto personale femminile Verda — nome della moglie del capostipite dei Brazzafolli 
piranesi — testimoniato a Pirano dal 12-121284, oltre ad essere unico e irripetibile nell’onoma- 
stica piranese duecentesca nonché dei secoli posteriori, a quanto ne so non compare minimamente 
nell’onomastica medioevale e moderna degli altri centri dell’Istria né in quella di tutte le rima- 
nenti regioni italiane, per cui senza dubbio siamo di fronte a un appellativo femminile duecen- 
tesco di notevole interesse linguistico. 


254 M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Arti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


to il nome del capostipite di tutti i Brazzafolli di stirpe piranese oggi esistenti. 

Infatti, l’unico a comparire nei documenti piranesi fin dal 28-5-1281 è Ti- 
sius condam Briga folle? ossia Tisio del fu Bria folle, che nella detta data con- 
segna 31 soldi veneti piccoli al commerciante Martino Lugnano.* Inoltre, il 12- 
12-1284 Verda condam lohanis Brica folle et filius eius Tisus promettono in so- 
lido di dare al citato Martino Lugnano 3 lire venete e 12 denari di frumento. 
E ancora, il 4-5-1289 Tisus condam Brigafolle e altri tre soci si impegnano di 
saldare a Martino Lugnano 20 orne di vino che hanno acquistato da lui al prez- 
zo di 21 denari grossi, somma che gli consegneranno dopo il loro arrivo a Pi- 
rano dal viaggio che stanno per compiere.® 


Continuando, dal lungo documento di confinazione del 19-10-1285 — che 
in effetti è un lodo dei podestà di Capodistria, Cittanova e Umago nelle que- 
stioni di confini e pascoli tra i comuni di Pirano e Isola — apprendiamo che la 
famiglia Brizafolle possiede una vigna a Luzzano sul confine col territorio di 
Isola,” mentre un altro strumento o meglio testamento del 23-12-1288 ci segnala 
che la stessa famiglia ha pure una vigna a Pantiago, che è di proprietà dei fi- 
liorum condam lohanis Bricafolle* cioè dei figli del fu Giovanni Brizatolle. Da 


* D. MIHELIC, NajstarejSa piranska notarska knjiga - Il più vecchio libro notarile di Pira- 
no, 1281-1287/89, Lubiana, 1984 (Viri za zgodovino Slovencev [Fonti per la storia degli Slove- 
ni], lib. XII), p. 22, ove però a causa dei frequnti errori tipografici c’è scritto erroneamente 7i- 
sius condam Birca folle, laddove nell’Indice delle persone e dei luoghi presente nell'opera in que- 
stione leggiamo giustamente 7isius condam Brica folle (Ibidem, p. 190). 


* Il quale Martino Lugnano — originario da Caorle (cittadina lagunare non lungi da Vene- 
zia ) — ha un figlio di nome Sebastiano o Bastiano poi sposatosi poco prima del 29-6-1286 con 
una piranese, da cui discendono i Lugnani piranesi dei nostri giorni, oggi viventi in buona par- 
te a Trieste. 

Î D. MIHELIC, op. cit., p. 101. 


© Ibidem, p. 159, in cui notiamo per la prima volta la grafia unita Brigafolle cioè Brizafol- 
le. 

? Chartularium Piranense, vol. 1 (1062-1299) a cura di Cam. de Franceschi (nel prosieguo 
Chart. Pir., 1), Atti e Memorie della Società istriana e storia patria (nel prosieguo AMSI), vol. 
XXXVI (1924), p. 250, in cui infatti vediamo che la linea confinaria fra i territori di Pirano e 
Isola va tra l’altro usque ad aquarium Lugani et illinc usque ad unam nucem cruce signatam in 
vinea lohannis Bricafollis, ovvero fino al torrente di Luzzano e da lì fino ad un noce con una 
croce incisa nella vigna di Giovanni Brizafolle. Da dire che il toponimo piranese Luzzano — nel- 
la forma Lugano — è documentato fin dal dicembre del 1283 (/bidem, p. 237). 


8 D. MieLiù, Piranska Notarska knjiga - Quaderno notarile di Pirano, fasc. 2, Lubiana, 
1986 (Viri za zgodovino Slovencev, lib. 1X), p. 171, ove rileviamo che nel suo testamento det- 
tato il 23-12-1288 nella propria casa situata nel rione piranese di Porta Mugla, Bona moglie di 
Bernardo detto Capo di Festa tra i vari lasciti assegna tra l’altro col consenso del marito alla di 
lei sorella Diadema appunto rotam eorum vineam iacentem in Pantiago prope vineam filiorum 
condam lohanis Bricafolle, la quale vigna di Pangiago — avvertiamo — è la stessa già assegnata 
a Diadema nel precedente identico testamento di Bona del 23-12-1284 (/bidem, p. 26). Però Bo- 
na — nonostante tale testamento — era felicemente sopravvissuta, tanto da avere bisogno di farne 


M. Bonrracio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atri, vol. XXI, 1991, p. 253-278 255 


avvertire per di più che, Tisio condam lohanis Bricafolle appare in anteceden- 
za come uno dei testi in una carta del 19-11-1286,° in cui certo Maurono pro- 
mette di dare a Pietro petenario (= Pettener) un’orna (= circa 50 litri) di olio 
buono e fresco entro la prossima natività del Signore ventura ossia entro il 25 
dicembre 1286. 


Prima di proseguire, occorre far notare come il capostipite effettivo dei 
Brazzafolli di Pirano — ossia /ohannes Bricafolle - menzionato nei sei precita- 
ti strumenti compresi fra il 28-5-1281 e il 4-5-1289, appaia di fatto quale de- 
funto sin dal 28-5-1281, per cui facendo un calcolo approssimativo a scopo pu- 
ramente indicativo, è presumibile che egli fosse nato a Pirano nel periodo tra 
il 1210 e il 1220, supponendo che la sua vita sia durata fra i sessanta e i set- 
tanta anni, e che il suo decesso sia avvenuto nel corso del 1280 o all’inizio del 
1281. 


Seguitando nell’argomento, il predetto Tisio o Tiso" Brizafolle generò due 
figli, il primo dei quali — Nicolaus filius condam Tixii Bricafolle de Pirano — 
abitante nel quartiere di Porta Campo, in Carara Parva,!! il 27-11-1332 vende 
una sua vigna situata a Spilugola!* a tale Maria figlia del fu Cadolo Cossa di 


10 


un altro precisamente soltanto quattro anni dopo, come abbiamo appena visto. Da rilevare che 
nel suddetto primo testamento di Bona moglie di Bernardo del 23-12-1284 è comprovato per la 
prima volta il toponimo piranese Pantiago, il quale è visibile assieme a Luzzano (citato nell’an- 
tecedente nota 7) nello schizzo topografico del territorio di Pirano allegato al libro di A. STEFA- 
NI, La flora di Pirano, Rovereto 1882 e 1895. 


°D. MHenié, Quaderno notarile di Pirano, cit., p. 134. 


!° Rammentiamo che il nome Tisio o Tiso ha dato origine a Pirano espressamente all’ono- 
mino casato Tiso, registrato inesattamente nella forma grafica latina Tixy (che sta erratamente 
per Tixij cioè Tisio) dal Morteani, che lo fa risalire al XIV secolo (L. MORTEANI, op. cir., p. 157). 
In realtà, il capostipite dei Tiso di Pirano è un Tisus iudex (Tiso giudice) testimoniato nella città 
di San Giorgio fin dall 1-12-1201 (Charz. Pir. 1, p. 15), i cui discendenti perdurarono almeno si- 
no alla prima metà del “600. Difatti, come appare dai libri matrimoniali piranesi, tale donna Fran- 
cesca figliola del q. ser Cancian Thiso V1-3-1593 sposò nella chiesa di San Donato di Pirano 
ser Zorzi fiol del q. ser Facio de Bonifacio, mentre il fratello di Francesca e cioè ser Millian (= 
Emiliano) figlio! del q. sr Cancian de Tiso il 27-1-1600 si unì nella chiesa di San Francesco di 
Pirano con donna Maria figliola del q. ser Zorzi Vial ossia con una Maria Vidali. Il detto ser 
Millian Tiso lo rivediamo poi ancora quale uno dei due testi al matrimonio del 2-2-1609 fra Ma- 
ria Apollonio e Zorzi Vidali svoltosi nella chiesa di San Stefano. 


!! Cioè nella Carrara Piccola detta in dialetto piranese Carara Picia o Carareta, che è una 
delle tre Carrare (= Carraie) di Pirano-città ancor oggi esistenti assieme alla Carara Granda (Car- 
rara Grande) e alla Carara de Raspo (Carrara di Raspo). 


1? Toponimo piranese — detto Spidùgola in dialetto — documentato come Spilugulla (forma 
ipercorretta) e Spilugula fin dal 5-2-1284 (D. MiHELIÈ, 1! più vecchio libro notarile di Pirano, 
cit., p. 53). Come comunicatoci dal Doria, il toponimo piranese Spilugola (localizzato tra le zo- 
ne di Paderno e Cortina di Sicciole) — che in realtà era uno speleonimo in origine — deriva ap- 
punto da un originario Spelucula (M. DORIA, «Note di speleonomastica carsica», in Studi lingui- 
stici e filologici per Carlo Alberto Mastrelli, Pisa, 1985, p. 155), il quale però non è un dimi- 
nutivo del latino spelunca grotta, caverna, antro, bensì di speluca (n.d.r.), voce prelatina di ugua- 
le significato presente nella toponomastica italiana, come ad esempio nella Valle Padana, in Li- 


256 M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Arti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


Pirano. L'altro figlio di Tisio — Dardius qm. Tixii de Brigafolle — lo indivi- 
duiamo invece il 14-12-1337! tra un gruppo di ventinove cittadini di Pirano — 
uomini e donne (quest'ultime in rappresentanza dei loro defunti mariti, e un 
paio di volte anche a nome dei rispettivi figli) — i quali nella riferita data sot- 
toscrivono una quietanza in cui dichiarano di essere stati risarciti delle usure lo- 
ro tolte dal pubblico prestatore Giovanni del fu Corso di Alberto Ristori di Fi- 
renze.! 


Riguardo il suddetto Dardo (abbreviativo di Leonardo) del fu Tisio di Bri- 
zatolle, egli ebbe a sua volta un figlio di nome Balbo che incontriamo il 24-4- 
1350 come Balbi Dardi de Bricafole!* vale a dire Balbo di Dardo di Brizato- 


guria e in Toscana — vedi il lemma spelonca nel Dizionario Etimologico italiano (nel prosieguo 
DEI), a cura di C. Battisti e G. Alessio, Firenze, 1975 — e anche a Pirano d'Istria — aggiungia- 
mo ora noi — come abbiamo appena constatato. Ne consegue pure che il nostro Spilugola (o me- 
glio Spidugola in dialetto), essendo un diminutivo di Speluca tramite un antico Spelucula, corri- 
sponda all'italiano Speloncherta (che è diminutivo di Spelonca). 


13 Chartularium Piranense, vol. Il (1301-1350), a cura di Cam. De Franceschi (nel prosie- 
guo Chart. Pir., IN), Parenzo, 1940, p. 171. 


4 Ibidem, p. 262. 


5 Il vicedomino Giovanni del fu Enrico (= Endrigo o Indrigo) nei suoi quaderni (Archivo 
di Pirano) registra altre quietanze del medesimo tenore rilasciate dal 13-12-1337 all 1-3-1338 ad 
altri 313 cittadini di Pirano di entrambi i sessi dal citato feneratore fiorentino Giovanni del fu 
Corso Ristori, del cui fratello Masino derivano i Corsi piranesi del XX secolo, oggi viventi in 
gran parte a Trieste. 

!6 Chart. Pir., Il, p. 383. Da notare che il nome Balbo ha dato vita a Pirano all'omonimo 
cognome Balbo, segnalato come de Balbo dal Morteani che assegna a questo casato il XIV se- 
colo quale periodo iniziale della sua prima documentazione (L. MORTEANI, op. cir., p. 155). Il 
capostipite della famiglia è però un dominus Albericus Balbi menzionato già in una carta pira- 
nese del 15-3-1276 (Chart. Pir., 1, p. 209), data in cui peraltro egli è già defunto. Tra i discen- 
denti ricordiamo un Vincenzo, anche lui già deceduto alla fine del 1301, come appare da uno 
strumento del 17-12-1301] in cui leggiamo Armelenda uxor quondam Vincencii Balbi (Chart. Pir., 
IH, p. 31), mentre il 15-4-1346 abbiamo un Noclaus filius Odorlici Balbi de Pirano (Ibidem, p. 
337). Ignoriamo quando si siano estinti di preciso i Balbo o Balbi di Pirano, anche se presu- 
miamo che ciò sia avvenuto nel corso del “400 o del ‘500. Ad ogni modo, riguardo quella fa- 
miglia piranese Pettener del nostro secolo i cui componenti venivano detti i Balbi ossia i Balbu- 
zienti — da un membro che barbotava o barbossava cioè borbottava, balbettava o balbuzzava, 
barbugliava — crediamo non abbia alcun presunto collegamento col citato antico cognome pira- 
nese estinto Balbi o Balbo. Da non dimenticare inoltre che, i Barbo detti in principio Balbo, so- 
no una delle famiglie nobili originarie montonesi (diramatasi poi anche a Cosliaco e a Buie), il 
cui capostipite A/binum de Balbo lo reperiamo già nel novembre 1191 (P. KANDLER, Codice Di- 
plomatico Istriano |nel prosieguo CDI| ristampa, Trieste, 1985) e il 5-10-1194 (Ibidem), in cui 
egli compare come A/binus de Balbo Gastaldus de Montona. Un suo discendente — Collandus 
Barbo — nel 1338 era uno dei 12 membri nobili del Consiglio Minore di Montona (L. MORTEA- 
NI, Storia di Montona - con appendice e documenti, Trieste, 1895, p. 84). I Barbo montonesi e 
buiesi oggi vivono in buona parte a Trieste. Il nome e cognome Balbo è però ancor più antico 
in Istria, dato che già nel 1150 rileviamo a Pola una Digna uxor Geroldi Balbi (AMSI, vol. 
XXXIX (1927), p. 328) cioè Degna moglie di Geroldo (= Giraldo) Balbo, e altri due familiari o 
parenti chiamati Artuiccus Balbus e Petrus de Balbo (Ibidem, p. 329). Da avvertire che il nome 
personale medioevale istriano Balbo — analogamente all'omonimo personale coevo delle altre re- 


M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco. Atti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 2557; 


le, il quale è una delle 58 persone di Pirano che nella citata data nominano ot- 
to nunci e procuratori incaricati di reclamare dagli eredi del fiorentino Solda- 
niero Soldanieri la restituzione delle usure. 


Quelli or ora presentati sono dunque i primi Brazzafolli di Pirano testimo- 
niati nelle carte, i quali — analogamente a tutte le antiche casate piranesi — sin 
dalla seconda metà del ‘200 e dall'inizio del °300 possedevano delle vigne nel 
contado di Pirano, precisamente a Luzzano e Pantiago verso il confine con Iso- 
la, e a Spilugola vicino a Sicciole, come si è rilevato nei tre citati documenti 
del 19-10-1285, 23-12-1288 e 27-11-1332. 

A questo punto, bisogna segnalare che i Brazzafolli costituiscono un caso 
unico nella storia di tutte le antiche famiglie di Pirano. Invero, in seguito alla 
terribile peste del 1557-58 che aveva distrutto oltre due terzi dell’intera popo- 
lazione piranese,'” i Brazzafolli vennero ridotti a pochi nuclei familiari. Così, 
tra i superstiti vi furono tre fratelli - Agnolo (= Angelo), Antonio e Giacomo 
figli di Zuane Brazzafolli — che si accasarono.'* Il primo dei tre si unì il 29-4- 
1598 con una Caterina de Petro (= de Preto) cioè Dapretto, dalla quale però 
non sembra abbia avuto prole, anche perché egli probabilmente morì poco do- 
po il matrimonio." In merito a Giacomo sappiamo che la di lui moglie (del cui 


gioni italiane — continua il cognomen latino d'età repubblicana Balbus (e Balbinius), formato 
dall’aggettivo ba/bus balbuziente (cfr. il cognome-base Balbi in E. DL FELICE, Dizionario dei co- 
gnomi italiani, cit., p. 67). Per di più, sempre in relazione al prenominato Balbo di Dardo di Bri- 
zalole piranese del 24-4-1350, c'è da rilevare che altresì il personale Dardo ha prodotto il co- 
gnome Dardi a Pirano, ove è comprovato sin dal XIV secolo (L. MORTEANI, Notizie storiche, cit., 
p. 156). Gli ultimi Dardi della città di Tartini furono Donato Dardi nato nel 1716, rimasto celi- 
be. e le di lui sorelle Luigia e Maria nate rispettivamente nel 1711 e nel 1715, probabilmente ri- 
maste entrambe nubili (cfr. i dati riguardanti i Dardi nel foglio n. 38 degli «Alberi genealogici 
delle famiglie piranesi» compilati dal canonico Domenico Vidali nella seconda metà del secolo 
XIX e che si conservano presso | Archivio di Pirano). Il cognome Dardi pur essendo estinto in 
quanto tale, seguita però a sopravvivere ancor oggi come soprannome storico di alcune famiglie 
piranesi Viezzoli — ossia i Viezzoli/Dardi — il cui capostipite ha sposato una donna piranese di 
cognome Dardi presumibilmente già all’inizio del “500. 

7 L. MORTEANI, Notizie storiche, cit., p. 58-59, nota 14. 

!# Cfr. l'albero genealogico dei Brazzafolli — foglio 14 — del canonico Vidali, ove vanno 
esaminati pure i matrimoni a parte (in alto a sinistra guardando) delle femmine Brazzatolli, e si 
veda anche l’antico libro o meglio quaderno matrimoniale comprendente circa 568 matrimoni ce- 
lebrati a Pirano tra il 13-1-1593 e il 26-11-1611, dove contiamo sei atti matrimoniali in cui so- 
no coinvolti i Brazzafolli. In quattro di questi atti i Brazzafolli vi compaiono direttamente quali 
sposi contraenti il sacramento del matrimonio, e in altri due solo indirettamente come testimoni 
a sposalizi altrui. Da osservare inoltre che, nei detti sei contratti di matrimonio il cognome Braz- 
zalolli appare scritto con cinque differenti varietà grafiche, e cioè Brazzafoli il 20-6-1596 e il 9- 
5-1611, Brazaffolj il 27-1-1597. Brazzafolj il 29-4-1598, Brazafoli il 6-2-1603, e Brazafolli il 6- 
9-1604. Da ricordare ancora che i tre riferiti fratelli Agnolo, Antonio e Giacomo hanno pure due 
sorelle, delle quali Francesca sposa il 20-6-1596 un Dominico Viezzoli, mentre Andriana (= Adria- 
na) dopo essere rimasta vedova non si sa di chi, il 27-1-1597 si risposa con un Zorzi Garbin. 


!9 Infatti, sempre dai libri matrimoniali piranesi notiamo che Caterina Dapretto — già due 
volte vedova — il 9-5-1611 si risposa addirittura per la terza volta con un Piero Fraiacomo (= 


258 M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


nome siamo all’oscuro) procreò soltanto due femmine, di cui Maria nata nel 
1600 sposò nel 1623 un Bonifacio e Adriana nata nel 1604 convolò a nozze 
nel 1625 con un Matteo Potocco nato nel 1596.?° 


Passando al terzo fratello Antonio — nato presumibilmente verso il 1555- 
1560 — egli impalmò intorno al 1588 tale Giovanna che gli diede quattro fem- 
mine — Fiordispina nata nel 1589, Geldera nel 1591, Maria nel 1602, Adriana 
nel 1605 — e due maschi — Giovanni e Vincenzo — nati rispettivamente nel 1594 
e nel 1597. Ciononostante, contrariamente alla logica, non furono però i detti 
due maschi a far proseguire la schiatta di Antonio — in quanto rimasti celibi — 
bensì la citata terzogenita delle femmine, Maria nata nel 1602, la quale nel 1637 
ebbe un figlio illegittimo — Giovanni — che assicurò la sopravvivenza dei Braz- 
zafolli di Pirano.”! È grazie quindi alla figlia di Antonio — Maria nata nel 1602 
— e al di lei figlio naturale Giovanni nato nel 1637 che oggi esiste ancora l’an- 
tichissimo casato piranese dei Brazzafolli.?? 

Ricordiamo che i Brazzafolli sono una delle famiglie popolane di Pirano, 
in quanto nel corso dei secoli non risultano mai ammesse al Consiglio Nobile 
della città. Ad ogni modo, pur non avendo mai fatto parte del Maggior Consi- 
glio, i Brazzafolli rappresentano una delle antiche casate originarie di estrazio- 
ne popolare che hanno fatto la storia di Pirano. Cosicché, tra i 508 Capi di Fa- 
miglie Popolari che esistevano a Pirano in data 15-8-1792, intercettiamo ap- 
punto cinque Capifamiglia col cognome Brazzafolli,?* e cioè Antonio Brazafol- 


Fragiacomo) pure lui vedovo (però per la prima volta e quindi al suo secondo matrimonio). Da 
dire che Caterina Dapretto si era maritata la prima volta con certo Zorzi de Zuane, probabilmente 
poco prima del 1593. 

20 Vedi nel foglio 14 dei Brazzafolli (il quale foglio — avvertiamo — contiene però anche 
gli alberi genealogici dei Barboio, Bergamasco e Boccassin) i matrimoni delle femmine in alto 
a sinistra gurdando; cfr. inoltre il foglio 63 dei Potocco. 

2! Cfr. l’albero genealogico dei Brazzafolli, ossia il pluricitato foglio 14. 

2 Come appare dall’albero dei Brazzafolli, il detto Giovanni Brazzafolli nato nel 1637 spo- 
sò nel 1669 una Agnese Muiesan figlia di Giorgio, la quale gli diede una femmina Maria nel 
1686 e due maschi. Di essi, Giorgio nato nel 1682 si ammogliò nel 1712 con una Maria Sarac- 
co, ed ebbe dei discendenti che continuarono fino all'800. Tra questi, l’ultimo successore ma- 
schio fu appunto un Giorgio (bisnipote omonimo del precitato Giorgio Brazzafolli nato nel 1682) 
nato nel 1823 rimasto celibe, mentre una delle di lui sorelle, e cioè l’'ultimogenita Angela nata 
nel 1827 (circa la primogenita Marcherita nata nel 1811 non sappiamo se sia maritata), il 13-9- 
1852 si unì col concittadino Nicolò Torre, marittimo, nato nel 1807, il quale era già vedovo di 
una Antonia Sfecich di Momiano. L'altro figlio di Giovanni Brazzafolli (1637) e Agnese Muie- 
san che ha invece irradiato i Brazzafolli sino ad oggi, ossia dal quale derivano tutti i Brazzafol- 
li piranesi attualmente viventi, è Antonio nato nel 1679 coniugatosi nel 1705 con Giovanna Sa- 
racco sorella della sunnominata Maria, ovverossia i detti due fratelli Antonio (1679) e Giorgio 
(1682) Brazzafolli si unirono rispettivamente nel 1705 e nel 1712 con le sorelle Giovanna (nata 
nel 1681) e Maria (nata nel 1684) Saracco. Il cognome Saracco è presente fin dal 1458 nel più 
antico registro battesimale di Pirano e si è estinto nella prima metà dell’800. 

23 Cfr., il vecchio fascicolo stampato nel 1792 (con ogni probabilità a Venezia) Per li L.L. 
C.C. popolari di Pirano, p. 81, 82, 93, 96 e 98. 


M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzatolli e Pitacco, Atri, vol. XXI, 1991, p. 253-278 259 


li qu. Domenico* Antonio Brazzafolli qu. Francesco? Niccolò Brazafolli di 
Francesco? Tomaso Brazzafolli qu. Francesco? e Zorzi Brazzafolli qu. Fran- 


2 
CESco. Di 


Rivolgendoci ora all’origine etimologica del casato in esame, il cognome 
piranese Bricafolle, poi divenuto Brizafolle e Brizafolli nel ’400°° e quindi Braz- 
zafolli nel corso del ’500?° — grafia ufficiale del cognome che permane a tuttog- 


2 È l'Antonio Brazzafolli nato nel 1752 sposatosi nel 1784 con Margherita Fragiacomo che 
gli diede un figlio rimasto però celibe, per cui la linea si estinse. 

25 È l’Antonio Brazzafolli — primo cugino del precedente — nato nel 1748, unitosi nel 1777 
con Lucia Fragiacomo, da cui discendono in pratica tutti i Brazzafolli ancora viventi nel 1991. 
Per di più, il detto Antonio Brazzafolli qu. Francesco del 15-8-1792 impersona la prima docu- 
mentazione del cognome nella grafia ufficiale Brazzafolli, atfermatasi poi definitivamente nell'800 
e che prosegue a tutt'oggi. Segnaliamo comunque ancora due grafie anomale del cognome che 
appaiono nei registri matrimoniali piranesi per l’ultima volta nel 1837. Così, certo Nicolò Ben- 
venuti (del ramo dei Cebli), falegname, nato a Pirano il 4-10-1790, già vedovo di una Orsola Ca- 
stro (da lui sposata nel 1812), il 4-2-1837 sposa una Giovanna Brazzofollo (l'autore di questa 
particolare grafia è il sacerdote celebrante don Pasquale Marchio, muggesano), nata a Pirano il 
29-5-1799, figlia di Pietro e di Maria Fonda. Mentre, tale Giovanni Fonda nato il 22-5-1812, agri- 
coltore, il 20-10-1837 sposa Aldigarda Chierego nata il 17-3-1814, figlia di Giovanni e della fu 
Marchesina Brazzaffolli (costei, nata nel 1778, si era unita col detto Chierego nel 1801), in cui 
Brazzaffolli (così scritto dal sacerdote officiante e registratore del citato sposalizio del 20-10-1837 
don Pietro Viezzoli nato nel 1812 - ctr. il foglio 96 dei Viezzoli) è chiaramente ipercorrezione 
di Brazzafolli. 

26 È il Nicolò Brazzafolli nato nel 1758 ammogliatosi nel 1787 con Agnese Parenzan che 
gli diede tre femmine e un maschio il quale però mantenne il celibato per cui lo stipite si esaurì. 


2? È il Tommaso Brazzafolli nato nel 1752 (fratello dell’ Antonio nato nel 1748 già trattato 
nella nota 29) accasatosi nel 1792 con Maria Tagliapietra da cui però non ebbe prole per la qual 
cosa il ramo cessò. 

28 Come si nota con chiarezza dall'albero dei Brazzafolli, egli non può essere che il Gior- 
gio Brazzatolli nato nel 1754 accoppiatosi nel 1784 con Margherita Tamaro, stipite estintosi in 
linea maschile con un nipote che è quel Giorgio nato nel 1823 — rimasto scapolo — di cui si è 
già parlato nella nota 22. Questo Giorgio nato nel 1754 è quindi beninteso fratello del Nicolò 
nato nel 1758 già chiamato nella nota 26. Però, come già verificato, Nicolò viene indicato come 
figlio di Francesco mentre Giorgio è mostrato quale figlio del fu Francesco, in maniera che — al 
fine di correggere un errore — o sono tutti e due figli di Francesco oppure entrambi figli del fu 
Francesco (costui, nato nel 1723, si era unito nel 1751 con Caterina Giraldi, madre appunto dei 
detti Nicolò e Giorgio nonché di altri due maschi e di una femmina). 


2° Mutamento presumibilmente verificatosi nella prima metà del “400, pur non escludendo 
la possibilità che la forma Brizafolle si sia diffusa anche dalla fine del ‘300 in poi, tutti inte rro- 
gativi che si potranno risolvere soltanto esaminando le migliaia di documenti inediti giacenti nel 
ricco Archivio di Pirano. Inoltre, è sottinteso che la grafia Brazzafolli prosecutrice di Brizafolli, 
continui il genitivo latino Bricafollis. 

30 Finora la prima testimonianza diretta della forma Brazzafolli o meglio Brazzafoli, è quel- 
la del 20)-6-1596 già riportata nella nota 18, ma è quasi certo che tale grafia venisse usata al- 
meno sin dalla metà del “500 se non prima. Per il passaggio da Brigafolle o Brizafolle o Bri- 
cqfolti a Brazafolli per assimilazione di i in a, si confronti l'altro cognome piranese che ha se- 
guito un'evoluzione analoga e cioè Brazzatti, che in origine era Brigati (fin dal 19-2-1329), quin- 
di Brizati (dall'11-6-1420) e infine Brazati (dal 5-10-1524 in poi). 


260 M. BoNIFAcIe, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco. Arti, vol. XXI, 1991. p. 253-278 


gi — deriva dunque da un originario soprannome di mestiere Brica folle o 
Bricafolle, formato dal latino medioevale bricare battere, percuotere, pigiare," 
e follo macchina per follare i panni,}° ossia corrisponde grossomodo all’italia- 
no Pigiafollo o meglio ancora a Battifollo,}} ed è l'equivalente del cognome ve- 
neto Follador cioè «follatore di panni». Il cognome Brazzafolli, esclusivo di 


3 Cfr. le voci briciare e brisare nel DEI, e brigiare in N. ZINGARELLI, Vocabolario della 
ingua italiana, sima izione, Ale ; 
lingua italiana, Decima edizione, Bologna, 1970 


Oltre naturalmente a confrontare il verbo follure nel DEI e nel Dizionario etimologico 
della lingua italiana, a cura di M. CoRTELAZZO - P. ZOLLI (nel prosieguo DEL/), Bologna, 1979- 
1988, è necessario riferire al riguardo che, già negli Statuti piranesi del 1307 abbiamo notizia 
dell’esistenza a Pirano di una filonam di proprietà di certo ser Giovanni di Pola (CAM. DL FRAN- 
CESCHI, Gli statuti del comune di Pirano del 1307 confrontati con quelli del 1332 e del 1358, 
Venezia, 1960, p. 52), ossia di un follone o gualchiera tessile ad acqua, i cui magli battevano la 
stoffa, trattata con acqua, sapone, argilla, per conferirle la consistenza del feltro (N. ZINGARELLI, 
op. cit., p. 781, voce gualchiera) o meglio a dire di una macchina mossa da una ruota idraulica 
con magli per battere la stoffa e conterirle la consistenza del feltro (DELI, voce gualchiera). Il 
follone era però pure l'operaio che un tempo follava le lane con i piedi (N. ZINGARELLI, 0p. cir. 
p. 684), ovvero il tintore, lavatore di panni (D£/), o lo sgrassatore di panni (DELI). Da dire che, 
sempre al lemma follone, il DELI osserva che il significato di «macchina, o luogo per la folla- 
tura» non pare attestato nel latino classico, ma è presente nel latino medioevale di Padova del 
secolo XIHI e di Verona del 1319, cui ora c'è da aggiungere Pirano, ove peraltro — come si è vi- 
sto — nel 1307 invece di fullonem o fulonem troviamo la forma femminile filonam indicante la 
chiaramente la macchina per follare cioè la follona o follatrice. Dunque, a quanto rilevato, la 
maggior parte dei Dizionari e Vocabolari italiani registra soltanto la forma follone nel senso di 
«macchina per la follatura», con eccezione peraltro del Palazzi che al lemma gualchiera annota 
anche la forma parallela follo (F. PALAZZI, Novissimo Dizionario della Lingua italiana, edizione 
a cura di Gianfranco Folena, ristampa, Milano, 1975, p. 639), che si conserva proprio nella se- 
conda parte dell'odierno cognome piranese Brazzafolli che in origine era in effetti Briga folle, 
come ampiamente assodato. A quanto ben si sa, il termine di origine latina follone (da fullo 
-onis) è stato poi man mano sostituito dalla voce di origine longobarda gualchiera (da walkan 
rotolare), per cui segnaliamo appunto un documento seicentesco veneziano del cosiddetto Sena- 
to Mare, ove la macchina per la follatura viene chiamata con la doppia dicitura va/lca (= gualca, 
gualchiera) 0 follo. Così, il 5-1-1632 la Signoria di Venezia chiedeva che prima del restauro del- 
le due «Valche o folli» del castello di Raspo in Istria, che sarebbe costato ‘più di 450 ducati, ve- 
nisse reso noto quale utile se ne ricavava allora e quale se ne sarebbe ricavato dopo i lavori di 
rifacimento (AMSI, vol. XII (1898), p. 372). 


8 In proposito l’Olivieri menziona un nome Batifol documentato a Venezia nel 1316, cor- 
rispondente all'italiano Battifolle (D. OLIVIERI, ! cognomi della Venezia Euganea - Saggio di uno 
studio storico-ctimologico, Ginevra, 1923 [Biblioteca dell’ Archivium Romanicum, n. 6], p. 235), 
che è alquanto simile al nostro Bricafolle poi divenuto Brazzafolli. 


# D. OLIVIERI, 0p. cif., p. 203, in cui l'Olivieri dice giustamente che Follador è cognome 
della provincia trevigiana e non di Treviso-città. Inoltre, il cognome Follador è presente anche a 
Venezia (ove però potrebbe essere oriundo trevisano), e a Verona nel tipo italianizzato Folado- 
ri (n.d.r.). Sempre circa il cognome veneto Follador — ripreso dal Pellegrini — poiché esso co- 
gnome risale al latino fullare, egli rileva come il fol! in molti dialetti italiani e nella toponoma- 
stica italiana sia spesso la gual/chiera (G.B. PELLEGRINI, «Nomi e cognomi veneti», in Guida ai 
dialetti veneti III, a cura di Manlio Cortelazzo, Padova, 1981, p. 18), mentre i cognomi tipo Bat- 
tilani (padovano) ci richiamano la terminologia della preparazione dei panni (/bidem, p. 17). Co- 
me risulta dai libri matrimoniali piranesi, certo Alessandro Brisinello di Pontebba (Udine), mu- 


M. Bonrracio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 261 


Pirano d'Istria," rappresenta pertanto con trasparenza un interessante fossile 
dell’antico termine piranese di mestiere duecentesco Brica folle — avente in pra- 
tica la funzione di cognome fin dal 28-5-1281 — vale a dire letteralmente Bar- 
tifollo, ma in realtà, come già sappiamo, Follatore di panni.?° In definitiva, Braz- 
zafolli è cognome piranese e istriano di matrice inconfutabilmente locale, come 
lo comprova la relativa inoppugnabile documentazione prodotta nel corso del- 
la presente ricerca. 

Fino al 1945 vi erano a Pirano cinque famiglie Brazzafolli, più una a Iso- 
la (di provenienza ovviamente piranese), oggi abitanti quasi tutte nella provin- 
cia di Trieste, ove contiamo infatti sei utenti Brazzafolli incluso l'utente Braz- 
zafolli di Borgo San Mauro di Sistiana (Duino-Aurisina). Fuori Trieste ci sono 
una famiglia Brazzafolli a San Vito al Tagliamento (Pordenone) e un’altra a 
Marina di Pisa. 

Tra i Brazzafolli piranesi?” ancora viventi, non si possono dimenticare Don 


ratore, il 31-10-1903 sposò a Pirano tale Anna Heinzingher di Trieste, e i due testimoni furono 
il sacrestano piranese Giorgio Viezzoli (Dardi) e tale Giuseppe Battilana scalpellino, di cui però 
non viene specificata la località di provenienza. Egli non era comunque di Pontebba non esi- 
stendo ivi un cognome Battilana, ma di qualche altra parte del Friuli (il cognome Battilana esi- 
ste per esempio a Udine), oppure dal Veneto (Padova, Treviso, ecc.). Ritornando a quanto enun- 
ciato dal Pellegrini, ricordiamo che anche nella toponomastica istriana esiste un toponimo (/a) 
Folla nel territorio di Capodistria (E. ROsAMAnI, Vocabolario giuliano, Bologna, 1958, p. 389), 
certamente collegato a follone, gualchiera, intanto che a Montona si chiama o si chiamava folon 
il follone cioè il tintore, lavatore di panni (Ibidem, p. 389, cir., p. 389). Per il dialetto piranese il 
Rosamani registra invece il soprannome Foli (Ibidem, p.389), che è l’abbreviativo dialettale con 
cui i Brazzafolli venivano chiamati a Pirano e vengono chiamati ancor oggi a Trieste (n.d.r.). 
Non viene peraltro registrato dal Rosamani alcun termine indicante l'operaio che follava i panni 
a Pirano, in.quanto non esistente nel vernacolo piranese del secolo scorso e di questo secolo. 
Tuttavia — non dimentichiamolo — questo termine è fossilizzato propriamente nel cognome pira- 
nese Brazzafolli, nel quale è eternato il ricordo dell’antichissimo mestiere del Bricafolle cioè del 
Battifolle o Battifollo, ovverossia del Follatore di panni. Inoltre, sempre in merito al precitato 
soprannome Foli dei Brazzafolli piranesi, bisogna dire ancora che il Rosamani segnala pure il 
soprannome Folo in uso a Capodistria, Isola e Orsera (/bidem, p. 389), collegato senza dubbio a 
folo (forma dialettale istriana equivalente all'italiano folle nel senso oggi disusato di manzice, sof- 
fietto), voce comune ai dialetti istriani (con eccezione del rovignese fuo/) — compreso il pirane- 
se — per mantice (e anche per soffietto), oggi comunque usato per lo più metaforicamente 
nell'espressione rirar i foli sofiare come un mantice ossia ansare da parere un mantice, come se- 
gnalato sempre dal Rosamani (/bidem, p. 389), il quale però ignora che a Pirano (e altresì a Zam- 
brattia presso Umago) viene chiamato folo un caramal grando cioè un calamaro grande. 

35 A quanto ne so, il cognome Brazzafolli figura oggi assai raro e fors'anche unico in tut- 
ta Italia. 


36 Cfr. appunto ciò che dico alla fine della nota 30. 


37 I quali sono recenti a Trieste, ove i primi componenti della famiglia sono giunti all’ini- 
zio del ‘900, comunque non prima del 1903, dato che ad esempio non vi compare alcun eletto- 
re col cognome Brazzafolli nelle Elezioni del Consiglio Municipale di Trieste del 1903 - Liste 
Elettorali Rettificate, Trieste, 2 aprile 1903. Tra l’altro, sappiamo di un Domenico Brazzatfolli na- 
to a Trieste tra il 1905 e il 1908, il cui padre piranese — del quale peraltro ignoriamo il nome — 
era arrivato nella città di San Giùsto nel corso del 1903 o nel 1904. Il figlio di Domenico — Fran- 


262 M. Bonifacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


Italo Brazzafolli, attuale cappellano dell'Ospedale Maggiore di Trieste, e la 
maestra Alida Brazzafolli,}” appartenente a una famiglia di tranvieri, a comin- 


cesco nato a Trieste nel 1940 e qui deceduto nel 1980 — ha avuto dalla moglie triestina soltan- 
to due femmine, oggi entrambe sposate (una di esse è la utente Milena Brazzafolli dell'elenco 
telefonico triestino), per cui la linea termina. 

3 Riprendendo le parole di Monsignor Egidio Malusà, Pirano ha l'onore di annoverare tra 
i suoi sacerdoti — l’ultimo in ordine di tempo prima del doloroso esodo dall’Istria — Don Italo 
Brazzatolli nato nella città di Tartini il 7-3-1922, il quale — dopo aver iniziato il curriculum de- 
gli studi nel Seminario di Capodistria e dopo aver ricevuto l'Ordine del Suddiaconato proprio nel 
duomo di Pirano in quella radiosa giornata del 4-6-1944 in cui Monsignor Antonio Santin ave- 
va consacrato pure tre sacerdoti — venne ordinato sacerdote il 3-6-1945 a Trieste nella basilica 
di San Giusto (cfr. La Voce di San Giorgio, Trieste, dell'aprile 1970, p. 1). Dopo aver svolto per 
breve tempo il suo primo ministero a Isola d'Istria, e quindi a Grisignana fino al 1955, con l’esi- 
lio a Trieste egli continuò il suo apostolato, prima nel Campo Protughi di Padriciano e poi 
nell’Ospedale Maggiore di Trieste, ove — come già detto — è tuttora cappellano (cfr. anche La 
Voce di San Giorgio del maggio 1970, p. 1-2). Si veda in Allegato I, l'albero genealogico sche- 
matico (da me elaborato in base al citato albero generale dei Brazzafolli - foglio 14) di Don Ita- 
lo Brazzafolli, il quale è terzo cugino della maestra Alida Brazzafolli, di cui viene qui pubblica- 
to pure l'albero (allegato Il). 

Come mi comunica cortesemente Don Italo Brazzafolli — che ringrazio sentitamente — un 
Nicolò Brazzafolli (è probabilmente quel Nicolò nato nel 1888, il cui padre Giovanni nato nel 
1842 si è sposato tre volte; il detto Nicolò era sesto cugino di don Italo) faceva il commercian- 
te a Mersina in Turchia. Ritornato in Italia e unitosi con una torinese di cognome Rossi, ebbe 
da lei un figlio di nome Ottavio che compì gli studi in Inghilterra, e dopo il 1945 si stabilì nei 
pressi di Bari ove si ammogliò senza peraltro avere dei figli, per cui con la sua morte avvenuta 
qualche anno fa lo stipite si è arrestato. Don Italo Brazzafolli rammenta inoltre che un altro cu- 
gino del nonno paterno Andrea (anche qui si tratta però verosimilmente di un cugino lontano e 
cioè di quel Giovanni Domenico nato nel 1867 primo cugino del precitato Nicolò Brazzafolli na- 
to nel 1888) era azionista nelle Assicurazioni Generali del Lloyd Triestino. Questo Brazzafolli — 
che si faceva chiamare de Brazzafolli ossia aveva aggiunto il de al proprio cognome — fu tra l'al- 
tro pure console italiano a Chio in Grecia, e visse per molti anni a Nizza ove aveva sposato una 
ballerina russa e dove cessò di vivere intorno al 1938. Il detto presunto Giovanni Domenico Braz- 
zatolli (1867) ebbe appunto dalla citata ballerina russa un figlio — nato a Chio — il quale, a quan- 
to mi riferisce la maestra Alida Brazzafolli, venne a Pirano intorno al 1930 a fare delle ricerche 
sulle proprie origini, e fu ospite del nonno paterno di Alida — Antonio — di cui si dirà a fondo 
nella nota 40). Ignoriamo peraltro l'esito delle dette ricerche — e quindi quale grado di parentela 
intercorresse tra il riferito Brazzafolli nato in Grecia e la famiglia di Alida — come pure non sap- 
piamo se il Brazzafolli in questione si sia sposato e abbia avuto discendenti in Grecia o altrove 
che continuano oggi la linea, anche perché dal giorno della sua visita a Pirano, né Alida (che nel 
1930 era sottinteso una bambina) né i suoi hanno più rivisto il Brazzafolli greco. 

39 Nata a Pirano il 12-5-1922 e diplomatasi maestra a Trieste nel settembre del 1940, la si- 
gnora Alida Brazzafolli (sposatasi il 19-2-1949 nella chiesetta di Portorose di Pirano col concit- 
tadino Libero Lugnani-Ghirada nato il 27-10-1919, pure maestro, cui ha dato due figlie) ha in- 
segnato nel 1940-41 a Tomigna di Villa del nevoso (provincia di Fiume), poi ad Antignana di 
Villa Decani fino al Natale del 1941 e a Umago sino al 1942; quindi dal 1942 al 1946 alla Scuo- 
la Avviamento di Pirano e sempre a Pirano alle Elementari dal 1946 al 1949. Dopo l'esodo, ha 
proseguito l’insegnamento alla fine del 1949 (periodo in cui è appunto esodata) a Tricesimo (Udi- 
ne), e successivamente ad Antignano di Latisana, Pordenone, Tamai di Brugnera, Udine, Bassa- 
no del Grappa, e infine a Trieste ove è andata in pensione nel 1977. Come già siamo al corren- 
te, la maestra Alida Brazzafolli è terza cugina di Don Italo Brazzafolli, e anche di Giusto Braz- 


M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Arti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 263 


ciare dal di lei nonno paterno Antonio che fu appunto il primo tranviere di Pi- 
40 
rano. 


zafolli conosciuto popolarmente dai piranesi come sior Giusto Brassafoli del Portadomo (nato a 
Pirano nel 1900 e deceduto a Trieste nel 1976), che fu boreghèr ossia negoziante di alimentari 
a Pirano in Piazza Portadomo sino al momento dell'esodo e il cui padre Francesco nato nel 1858 
era capitano marittimo. Colgo qui l'occasione per ricordare fra i tanti marittimi piranesi per l’ap- 
punto pure un Brazzafolli di nome Giorgio, nato a Pirano nel 1914 (figlio di Augusto nato nel 
1886, muratore, sposatosi nel 1911 con una capodistriana e risposatosi nel 1922 con una stiria- 
na), a tutt'oggi vivente a Trieste (la sua linea purtroppo si estingue poiché la di lui moglie trie- 
stina gli ha dato soltanto una figlia), che era cuoco passeggeri presso la nota società di naviga- 
zione del Lloyd Triestino,ed è ritratto precisamente su La Voce di San Giorgio, nov.-dic. 1990, 
n. 61, p. 20, nella prima foto in alto nel gruppo dei ventuno marittimi piranesi imbarcati sulla 
motonave «Africa». 


0 Nato nel 1864 a Pirano, Antonio Brazzafolli sposò nel 1886 nella propria città certa Ca- 


rolina Lahnegger nata nel 1869 in Stiria, il cui padre vetraio era arrivato appunto con la fami- 
glia (assieme a un fratello pure già sposato, ossia si trattava in realtà di due fratelli capifamiglia 
con i rispettivi familiari cioè mogli e figli) a Pirano a lavorare nella locale fabbrica del vetro, va- 
le a dire nello «Stabilimento Industriale Furian & Salvetti» che era stato fondto nel 1867 alla pe- 
riferia di Pirano, e comprendeva fabbriche di prodotti chimici, saponi e vetrami, le quali fabbri- 
che erano dette dialettalmente — e lo sono tuttora — le Fornase (le Fornaci). Come già segnala- 
to, il detto Antonio Brazzafolli è stato il primo conduttore del tram elettrico su rotaie di Pirano, 
come pure furono tranvieri due dei suoi sei figli maschi (tra i quali il primogenito Giovanni det- 
to Giuseppe nato nel 1888 morì in tenera età, a due o tre anni, mentre Ernesto nato nel 1900 
perdette la vita a dieci anni cadendo incidentalmente da un albero), ovvero Francesco nato nel 
1889, unitosi il 3-6-1922 con la concittadina Giorgina Castro, e Mario nato nel 1903, rimasto ce- 
libe. 

Come si sa, il 20-7-1912 avvenne a Pirano l'inaugurazione delle vetture tranviarie che però 
entrarono in servizio soltanto l 1-5-1913 (R. Rapivo - L. ZUpINI, Va Pirano in mezzo all’onda, 
Opicina di Trieste, 1975, p. 55). Il tram di Pirano svolse per un quarantennio un onorevole ser- 
vizio collegando la Piazza Tartini ossia il centro della città — tramite Portorose e altre fermate 
intermedie — con la stazione ferroviaria di Santa Lucia (Santa Lùssia) distante 5,5 km, fino all’ago- 
sto del 1953, dopodiché fu sostituito da autobus. Come lo sappiamo bene tutti noi piranesi e co- 
me ce lo ricorda la maestra piranese Lidia Vatta nel suo articoletto «Il tram rosso» su La Voce 
di San Giorgio dell'aprile 1975, p. 2, il tram di Pirano era di colore rosso; inoltre essa sottoli- 
nea come — evento importante — nessuna cittadina istriana (con esclusione sottinteso di Pola ca- 
poluogo dell'Istria - n.d.r.) all'infuori di Pirano, potesse vantare di avere un tram. Sempre sull’ar- 
gomento, si vedano gli interessanti appunti di C. PoLvi, «Ricordi d'altri tempi» e «Il tram di Pi- 
rano» sul periodico annuale della Comunità degli italiani di Pirano Lasa pur dir, Pirano 1977, n. 
2, p. 48-SI, di cui tra l’altro vengono forniti i nomi e cognomi (compreso anche qualche so- 
prannome) dei primi dodici tranvieri di Pirano (inclusi il capo e il controllore, mentre alcuni al- 
tri erano gli addetti alla rimessa e alla pulizia dei tram, detti al plurale in dialetto piranese trani 
- n.d.r.). Nella detta ricerca è stato però completamente dimenticato il precitato Antonio Braz- 
zatolli nato nel 1864, che come già detto è stato il primo tranviere di Pirano in assoluto, a quan- 
to mi assicura la di lui nipote ancora vivente a Barcola di Trieste, ossia la pluricitata maestra 
Alida Brazzafolli vedova Lugnani, cui va la mia più sincera gratitudine per tutte le notizie da lei 
gentilmente datemi attorno la sua famiglia, di cui si veda il relativo albero genealogico da me 
preparato. Da segnalre ancora come il suddetto Polvi nel secondo dei suoi due citati brevi scrit- 
ti, avverta che prima del tram elettrico su rotaie, a Pirano abbia funzionato un servizio di filo- 
bus senza rotaie azionati da motori elettrici. Di fatto, come ci conferma il Roselli, Pirano è sta- 
ta la prima città della regione e la seconda dell'intero Impero austro-ungarico ad avere due filo- 


264 M. Boniracio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco. Atri. vol. XXI, 1991, p. 253-278 


Antichi casati di Pirano: i Pitacco 


Il cognome Pitacco non è testimoniato a Pirano dal XVI secolo, come af- 
ferma erroneamente il Morteani,*' bensì dalla metà del "400 come appare dal- 
le nostre ricerche. Inoltre, il cognome Pitacco di Trieste non è affatto triestino, 
a quanto asserisce erratamente l'Olivieri** ma originario appunto da Pirano, ove 
è documentato ufficialmente almeno fin dal 1454. 


Infatti, come risulta da un testamento nuncupativo piranese in latino, stila- 
to il 18-9-1454* dal sacerdote Giovanni del fu ser Giorgio di Guarino* cano- 
nico della chiesa di San Giorgio di Pirano, nella casa d’abitazione dello stesso 
testatore situata nel quartiere piranese di Portadomo, tale ser Facio (= Bonifa- 
cio) del fu ser Odorlico Apollonio di Pirano, nella detta data tra i vari lasciti 
assegna tra l’altro a certa Desa moglie di ser Pietro Pitidona! metà della tan- 


bus o elettromobili, i quali percorsero la strada Pirano-Portorose per tre anni, a iniziare dal 24- 
10-1909. Il successo non fu però quello sperato, in quanto le ruote di gomma senza pneumatici 
del filobus e la strada non asfaltata rendevano il trasporto poco comodo e scarsamente veloce, 
per cui il filobus dovette cedere presto il posto alla più comoda tranvia elettrica, la quale — co- 
me già detto — venne inaugurata il 20-7-1912 (G. Roselli, «Il filobus di Pirano», sul quindici- 
nale triestino Abitare Trieste, 14-28 settembre 1985, n. 60). 

# L. MORTEANI, Notizie storiche, cit., p. 157. 

* D. OLIVIERI, 0p. cit., p. 269, in cui inoltre invece di Pitacco l'Olivieri scrive inesatta 
mente Piftacco, ipotizzando per di più che la base di questo cognome, da lui creduto triestino, 
sia la voce veneta pito tacchino, cioè abbia la stessa base dell'omonimo cognome vicentino Pit- 
taco. Per noi invece — come poi vedremo — la base del cognome piranese Pitacco non può es- 
sere che il nome Pietro. 


* Testamento giacente nell’ Archivio di Pirano, situato dalla fine del 1955 nel Palazzo Ga- 
brielli detto anche Palazzo della Rotonda, mentre fino al 1955 l'Archivio si trovava nella Bi- 
blioteca Civica di Pirano di Piazza Tartini, avente però l’entrata principale nell’adiacente Piaz- 
zetta di Porta Misana. 

#1 Guarino o Varino, poi chiamati Varin o Varini dal “600 in avanti, sono una delle anti- 
che casate piranesi indigene estintesi da poco, il cui cognome risale al nome Varino, documen- 
tato come Varinus dal 10-6-1281 (D. MiHELI®, // più vecchio libro notarile di Pirano, cit., p. 33), 
e quale Guarinus dal 13-6-1305 (Chart. Pir., Il, p. 49). L'ultimo discendente maschio della fa- 
miglia — Bortolo nato nel 1841 — è morto nella guerra di Bosnia il 14-8-1878, mentre le di lui 
due figlie Maria Caterina nata nel 1872 e Zoe Rosa nata all’inizio del 1879 (il di lei padre Bor- 
tolo non la vide nascere) sono decedute presumibilmente tra il 1950 e il 1960. 

# L'antico casato piranese dei Pitidona (= Pizzidona) cioè Piccoladonna (quali esempi cli 
confronto col nostro Pitidona si vedano i cognomi Picciariello, Pittarello e Pizzarello a Roma, il 
cognome veneto Pizzamano cioè Piccolamano, e il cognome toscano Piccolomini diffuso specie 
a Siena), è documentato nella città di San Giorgio fin dal 10-2-1258 (Chart. Pir., I p. 134) con 
un Henricus filius condam Henrici Pitidone ossia Enrico figlio del fu Enrico Pitidona. Nel 1549 
i Pitidona erano già estinti o comunque in via di estinzione, dato che in tale anno Pitidona fun- 
geva da soprannome dei Dardi. Infatti, il 2-2-1549 troviamo a Pirano una Domina Nicolosa uxor 
Ser Joannis de Dardis sivi de Pitidona (L. MORTEANI, Notizie storiche, cit., p. 172), ossia donna 
Nicolosa moglie di ser Giovanni Dardi o Pitidona. Pertanto, i Pitidona nel corso del ‘500 con- 
fluirono nei Dardi, e quest'ultimi poi nei Viezzoli, un cui ramo è appunto soprannominato ancor 
oggi Viezzoli-Dardi. 


M. Boniracio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 265 


gente che gli spetta di una casetta sita a Pirano nel quartiere di Porta Mugla, 
prope domum Luce Pitaco* et prope domum Vezolj et viam publicam, videli- 
cet partem illam versus domum ser Vezolj® — presso la casa di Luca Pitaco e 
presso la casa di Vezoli e la via pubblica, vale a dire quella parte verso la ca- 
sa di ser Vezoli. 

Da rilevare che i Pitacco non furono molto prolifici nella seconda metà del 
"400, dato che — a quanto si nota dal più antico libro battesimale piranese — tra 
il 1458 e il 1500 nacquero a Pirano soltanto 15 bambini col cognome Pitacco,* 
laddove ad esempio nello stesso periodo videro la luce 25 piccoli col cognome 
Muggia (casato poi diventato Muiesan) e altri 25 Pettener.!” In seguito, i Pi- 
tacco ebbero una maggiore riproduttività, tanto che fra i 508 Capifamiglia po- 
polani che esistevano a Pirano il 15-8-1792, ben 14 portavano il cognome Pi- 
tacco," occupando essi il quinto posto per numero di Capi al pari dei Benedetti 
e dei Ruzzier, rimanendo superati solo dai Fragiacomo aventi 39 Capifamiglia, 


+ È la prima documentazione d'archivio del cognome piranese Pitacco — nella forma Pira- 


co — che possediamo finora, ed è anche il primo e unico strumento quattrocentesco sui Pitacco 
di Pirano di cui siamo a conoscenza al momento. Si tratta di uno dei circa 250 documenti quat- 
trocenteschi esistenti nell'Archivio di Pirano, dei quali si dà notizia sul periodico La Provincia 
dell'Istria, Capodistria, 1876, n. 11, p. 1852, e di cui ne ho già parlato su AMSI, vol. XXXVI 
(1988), p. 317, nota 4, e p. 318. Noi crediamo però che i Pitacco siano ancor più antichi a Pi- 
rano, per cui — oltre sottinteso ad esaminare i detti 250 documenti piranesi del ‘400 — sarà gio- 
coforza scorrere a fondo pure tutti i documenti trecenteschi al fine di individuare i primi com- 
ponenti del casato e la genesi completa del cognome Pitacco. Avvertiamo comunque subito che 
nei 236 strumenti del Chart. Pir., II, che vanno dal 1301 al 1350 non vi è alcuna traccia dei Pi- 
tacco, come del resto non vi è però traccia neppure di altri antichi casati piranesi, quali ad esem- 
pio i Benedetti, Bontempo, Spadaro, ecc. 

4 È il primo avo conosciuto dei Viezzoli piranesi, a tutt'oggi ben fiorenti a Trieste e in di- 
verse altre parti d’Italia nonché all’estero, i quali come si è visto in origine erano detti Vezoli 
cioè Vezzoli. 

#* M. SkuBic, «Appunti sui nomi di famiglia quattrocenteschi a Pirano», in Scritti lingui- 
stici in onore di Giovan Battisti Pellegrini, Pisa, 1983, p. 1024, ove l’autore cita il cognome nel- 
la forma Pitucco, per cui se ciò è vero — ossia se non siamo di fronte ad un’italianizzazione del 
cognome effettuata dallo studioso sloveno per praticità — si tratta della prima attestazione del co- 
gnome Pitacco nella stessa forma grafica che continua a tuttoggi. Bisogna però avvisare che l'at- 
tuale forma Pitacco in realtà si è imposta in maniera definitiva soltanto nel corso del ‘700, co- 
me ne dedurremo poi alla nota 10, poiché, ad esempio, come risulta sempre dai registri matri- 
moniali piranesi, su venti matrimoni officiati a Pirano tra il 30-1-1595 e il 9-5-1611, in cui i Pi- 
tacco intervengono direttamente o indirettamente (cioè solo come testi), incontriamo per ordine 
di comparizione nove volte la grafia Pirtacho (compreso l'atto matrimoniale del 9-2-1611 in cui 
il cognome Pitacco oltre che Pitacho viene scritto anche Pitaccho), sei volte la grafia Pitaco, tre 
volte Pirhaco e due sole volte Pitacco. 

4 M. SKUBIC, op. cit., p. 1024. 

50 Per li LL. C.C. popolari di Pirano, cit., p. 82, 84, 85, 87, 88, 90, 94, 97, 98, 100. Da 
dire che i citati 14 Capifamiglia vengono presentati tutti nella sola forma Pitacco, per cui — co- 
me già espresso nella nota 48 — è evidente che il modello grafico Pitacco ha avuto partita vinta 
sulle altre riferite grafie (Pitaco, Pitacho, Pitaccho, Pithaco), in modo chiaro e netto, senz'altro 
durante il ‘700, e con certezza assoluta alla fine dello stesso secolo. 


266 M. Bonracio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


dai Fonda (29 Capifamiglia), Predonzani (21) e Giraldi (16), mentre le restan- 
ti famiglie piranesi erano rappresentate da meno di 14 Capifamiglia per cia- 
scuna. 

Tra i detti 14 Capifamiglia Pitacco del 15-8-1792, tre non possono passa- 
re inosservati, e cioè un Filippo Pitacco qu. Trani®' di cui ne riparleremo più 
avanti, e ancora uno Zuanne Pitacco qu. Zuanne detto Venturato 5 e un altro 
Zuanne Pitacco qu. Zuanne detto Pillela8* Riguardo quest’ultimo, non è faci- 
le a prima vista individuarlo negli alberi genealogici dei Pitacco,5* in cui ci so- 


3 Per li LL. C.C. popolari di Pirano, cit., p. 88. 

52 Ibidem, p. 100. 

53 Ibidem, p. 100, in cui logicamente Pillela è forma ipercorretta di Pilela. 

54 Informiamo che gli alberi genealogici dei Pitacco di Pirano compilati dal canonico Vi- 
dali sono contenuti nei fogli 60, 61 e 62. Nel foglio 60 c'è un capostipite di nome Giovanni na- 
to intorno al 1530, da cui discendono tra l’altro una parte dei Pitacco di Pirano e di Sicciole, e 
i Pitacco detti Pirachin e Brusca: nel foglio 61 c'è un capostipite Domenico nato presumibil- 
mente nel 1545-50 e unitosi verso il 1585 con certa Maria da cui derivano i Pitacco detti Trani, 
Smògoli e Sìmiga (tra i quali ricordiamo Drea Spalanco). Nel foglio 62 ci sono invece due ca- 
postipiti, uno dei quali è Giovanni nato nel 1555 e sposatosi nel 1588 con tale Caterina, i cui di- 
scendenti odierni sono i Pitacco soprannominati Mussolo. Tra questi il più noto è stato senza dub- 
bio Bonifacio Pitacco detto Barba Fassio Mussolo, nato a Pirano nel 1803 e quivi scomparso nel 
1898 (egli ha continuatori al giorno d'oggi), il quale è stato l’ultimo piranese a portare la calsa 
cioè il berretto 0 copricapo di lana nera a forma di calza, come si nota nella foto in cui Barba 
Fassio è appunto ritratto nell'album fotografico di R. RADIVO - L. ZUDpINI, op. cit., p. 98, e an- 
cor meglio su La Voce di San Giorgio nel dicembre 1982, n. 5, p. 4. L'altro capostipite dei Pi- 
tacco nel detto foglio 62 è un Giovanni — che può essere lo stesso gà citato in questa nota nato 
nel 1530 — il cui figlio Luca nato verso il 1565-70 ha sposato nel 1600 (per esattezza il 15 feb- 
braio come da noi poi rilevato nei libri matrimoniali piranesi) con una Caterina Bonifacio, di cui 
ci sono ancora discendenti ai tempi nostri. Da non scordare naturalmente che i quattro citati ca- 
postipiti — Giovanni nato nel 1530, Domenico nel 1545-50, Giovanni nel 1555, Luca nel 1565- 
70 — a loro volta discendono tutti dal prenomianto Luca Pitaco del 18-9-1454, il quale appunto 
in tale data abitava nel quartiere piranese di Porta Mugla, nella parte estrema del rione di Pun- 
ta. Prima di terminare questa nota ci sono però ancora due cose da dire. Cosicché, per prima co- 
sa, essendoci noi accorti che negli alberi genealogici delle famiglie di Pirano compilati dal ca- 
nonico Vidali, vi è ogni tanto qualche lieve errore sulle date di nascita e di matrimonio, avver- 
tiamo che il predetto Barba Fassio Mussolo non era nato nel 1803 a quanto risulta dal citato fo- 
glio 62 sui Pitacco del Vidali e come da noi già riferito, bensì nel 1800 ossia tre anni prima. In 
verità, come verifichiamo dai libri matrimoniali piranesi, il nostro Bonifacio Pitacco (fu Giovan- 
ni e fu Elena Ruzzier), agricoltore, già vedovo di Angela Parenzan (da lui sposata nel 1823), il 
5-8-1867 all’età di 67 anni si risposò a Pirano con certa Antonia Codiglia di Matterada (località 
come si sa vicino a Umago), dalla quale comunque non ebbe prole. Rendo noto infine che di- 
versi altri soprannomi personali e di famiglia dei Pitacco di Pirano — di cui fornisco pure le re- 
lative spiegazioni etimologico-semantiche — si trovano su La Voce di San Giorgio, genn.-febbr. 
1979, n. 1-2, p. 8. Essi sono: Babeta, Beleforme, Brusacusine (a Pirano si chiamano brusacusi- 
ne dei piccoli granchi, detti a Parenzo brasamoline), Brusca (già citato; dal nome dell’omonimo 
erba oppure da brusca spazzola per strigliare i cavalli), Calada, Cantate, Capelèr, Cene, Del Ca- 
pitè! (soprannome di famiglia Pitacco che abitava presso un capitello o tabernacolo a la Costa di 
Sicciole), De lau Cinèla, De Toto (Toto è forma abbreviativa affettiva piranese di Antonio e Cri- 
stoforo), Grongo, Mussolo (già citato), Papafigo (a Pirano e/ papafigo oltreché indicare il pap- 


M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Arti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 267 


no vari Giovanni figli di Giovanni, specie nel foglio 61 dei Pitacco. Siccome 
però il soprannome Pilèla esisteva a Pirano in questo secolo — come ce lo con- 
ferma il Rosamani®° — ovvero poiché il detto Giovanni Pitacco fu Giovanni so- 
prannominato Pilela ha ancor oggi dei discendenti, riteniamo che egli non pos- 
sa identificarsi col Giovanni sposato nel 1778 con Marina Fragiacomo, la cui 
linea si spense con i due figli maschi rimasti celibi (f. 62 dei Pitacco, ramo di 
Luca copulato nel 1600), bensì il Giovanni sposato nel 1783 con Agnese Vi- 
dali, il cui nipote Giovanni unitosi nel 1854 con Maria Castro ha continuatori 
ai tempi nostri (f. 61 dei Pitacco). 


In merito invece al Giovanni Pitacco fu Giovanni detto Venzurato, ricevia- 
mo una chiara indicazione da tale soprannome, il quale ci dice che si tratta del 
Giovanni Pitacco nato nel 1768 sposatosi nel 1795 con Caterina Parenzan che 
gli diede sette femmine e un maschio di nome Giovanni nato nel 1807, rima- 
sto scapolo, per cui lo stipite si esaurì. Il soprannome Venturato di Giovanni 
Pitacco (1768) deriva dal fatto che uno dei suoi due fratelli, e cioè il primoge- 
nito nato nel 1759 si chiamava Bonaventura, e così pure il nonno nato nel 1699. 
A sua volta, questo Bonaventura Pitacco (1699) era figlio di Giovanni nato nel 
1673 ammogliatosi nel 1693 con una Maria Venturin.®9 È proprio per ricorda- 


patico cioè la vela quadra più alta dell'albero di trinchetto, indica pure l'uccello appafico ossia 
il rigogolo o beccafico; le famiglie Pitacco così denominate erano a loro volta distinte in Papa- 
fighi de Piran e Papafighi del Gorgo, i quali ultimi abitavano in località a/ Gorgo nella Valle 
di Sicciole), Pitacheto o Pitachin (ctr. il foglio 60 dei Pitacco — nomignolo di famiglia Pitacco 
un cui componente era piccolo di statura), Saida (dal nome di una nota corrazzata austriaca su 
cui era stato un membro di questa famiglia Pitacco), Sansà/ (= sensale, mediatore; soprannome 
di famiglia Pitacco de lu Costa di Sicciole), Sìmiga (già chiamato; dal verbo piranese simigà ci- 
mare, mangiucchiare. Tra i Pitacco-Sìmiga abbiamo già ricordato un Drea (= Andrea) Smalànco 
cui vi aggiungiamo ora i Sìmighi de la Rissa), Solferìn (dall'omonimo aggeggio, sotfietto o man- 
tice, per spruzzare lo zolfo sulle viti contro la peronospera), Stagno (da un componente massic- 
cio e forte). Prima di passare alla nota 55, devo però fare una precisazione riguardo il precitato 
soprannome Brusacusìne di alcune famiglie Pitacco, il quale — come non intrequentemente av- 
viene tra le famiglie di Pirano per l’intrecciarsi dei vari matrimoni — è in effetti un soprannome 
improprio, in quanto risalente in realtà a un ramo materno della famiglia. Infatti, un Giuseppe 
Pitacco nato nel 1873 (figlio di Nicolò e di Eufemia Parenzan — ctr. il foglio 60 dei Pitacco), ha 
sposato il 5-2-1899 certa Ida Vidali nata nel 1875, del ramo dei Vidali detti Brusacusine (ctr. il 
foglio 92 dei Vidali). Pur essendo il citato Giuseppe Pitacco soprannominato Orta (nomignolo di 
cui al momento ignoriamo l'origine) assieme a tutta la sua famiglia, tale soprannome era peral- 
tro poco usato (cosa che talvolta può succedere tra le famiglie di Pirano), per cui i discendenti 
di questa ramificazione dei Pitacco detti Ora, dopo il matrimonio di un loro componente — ap- 
punto Giuseppe nato nel 1873 — con una Vidali-Brusacusine, sono stati denominati Brusacusine, 
appellativo che continua negli odierni Pitacco-Brusacusine, i quali comunque sono consci che il 
loro soprannome originario — ora relegato in secondo piano — era Ora. 

5 E. ROSAMANI, op. cit., p. 789, voce Pilela, dalla parola piranese pilèla piletta dell’acqua 
santa, acquasantiera. Il soprannome forse allude al fatto che il detto Zuanne Pitacco fosse un as- 
siduo frequentatore delle chiese, un fervente praticante che immergeva spesso la mano nella pi- 
lela per farsi il segno della croce, a meno che il nomignolo nel traslato abbia assunto il senso di 
«forte bevitore, beone». 


Se Cfr. il foglio 60 dei Pitacco. 


268 M. Bonicacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atri, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


re questo cognome materno che è stato dato il nome Bonaventura a due di- 
scendenti della famiglia di cui si è appena detto, in quanto Venturin è in effet- 
ti diminutivo di Ventura e questo è abbreviativo di Bonaventura, nome augura- 
le e gratulatorio documentato in Italia sin dal ’200, significante «che abbia una 
buona ventura» cioè una buona sorte, una buona fortuna. In proposito si con- 
frontino i cognomi Bonaventura e Ventura in E. DE FELICE, Dizionario dei co- 
gnomi italiani, Milano 1978. 1 Venturin o Venturini, testimoniati a Pirano dal 
principio del ‘400, oggi viventi a Trieste e in altre parti d’Italia, in origine si 
chiamavano in fatti anche Ventura. In riferimento al detto soprannome Ventura- 
to del 15-8-1792 — che è un derivato di Ventura o Venturin (in quanto il suf- 
fisso-ato è propriamente derivativo) — esso si è estinto nel secolo scorso con la 
morte dell’ultimo discendente maschio soprannominato Venturato rimasto celi- 
be, ossia il succitato Giovanni Pitacco nato nel 1807 e mancato a Pirano pre- 
sumibilmente negli anni attorno al 1880-1890, ed è sicuramente per questo fat- 
to che il nomignolo Venturato non è stato registrato dal Rosamani. 


Continuando, bisogna avvertire che buona parte degli odierni Pitacco di Pi- 
rano e di Sicciole discendono da un Giovanni nato verso il 1530,Δ il quale com- 
pare come Giovanni Pitacco tra un gruppo di 17 popolani piranesi che sotto- 
scrivono un documento dell’1-10-1578,° alcuni dei quali poi riappaiono nella 
lista dei 35 popolani piranesi firmatari di un altro strumento dell’ 11-10-1579, 
compreso il citato Giovanni, stavolta indicato come Zuanne Pitacco.8® Costui è 
pure uno dei sei membri in rappresentanza dei popolani che firmano l'atto di 
riconciliazione coi nobili di Pirano il 26-2-1580, dei cui quattro rappresentanti 
uno è Lucha Pitacco,® di cui si è già detto nella nota 58. E questa la sola scar- 
na notizia che abbiamo sinora sui nobili Pitacco piranesi, ossia l’unica volta di 
cui si parla di un Pitacco nobile, il che dimostra palesemente che i Pitacco fe- 
cero parte del Consiglio di Pirano per un breve lasso di tempo — finora con cer- 


57 È quello già citato nella nota 54, presente nel foglio 60, il quale ebbe due figli di nome 
Giacomo e Antonio. La linea di Giacomo si estinse però a cavallo fra il ‘700 e 1'800, mentre in- 
vece Antonio ha molti discendenti al giorno d'oggi, tra cui appunto gran parte dei Pitacco di Pi- 
rano e Sicciole, e i Pitacco detti Pitachin e Brusca, tutti già citati. Da segnalare che Antonio, ol- 
tre a cinque figli maschi ebbe dalla moglie Caterina pure due figlie, e cioè Orsola o Orsetta na- 
ta nel 1589 ed Elena nata nel 1607, di cui solo la prima si maritò. Orsola venne infatti sposata 
dal canonico di Pirano Pre Federico Delise, isolano, il 9-2-1611 nella chiesa di San Stefano con 
certo Zuane Perovich fu Marco di Trau, di cui poi rimase vedova per il qual motivo nel 1624 si 
risposò col concittadino Cristoforo Apollonio. 


58 L. MORTEANI, Notizie storiche, cit. p. 74, nota 10. 

59 Ibidem, p. 74, nota 11. 

9 Ibidem, p. 75, nota 12. Come già sappiamo, e a quanto risulta dal foglio 62 dei Pitacco 
e dai libri matrimoniali piranesi, Pre Piero Trani canonico il 15-2-1600 sposò nella chiesa della 
Madonna della neve il nostro ser Lucha fiolo del q. ser Zuane Pitacho con donna Caterina fio- 
la de ser Facjo de Bonijfacjo, alla presenza dei testimoni ser Francesco de ser Domenego Spa- 
daro e ser Zuane Frajacomo (= Fragiacomo). 


M. Bonifacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Azzi. vol. XXI, 1991, p. 253-278 269 


tezza soltanto negli anni tra il 1580 e il 1600 — peraltro con un solo loro rap- 
presentante impersonato appunto dal detto Luca Pitacco accasatosi il 15-2-1600 
con una Caterina Bonifacio. 

È interessante inoltre far notare come dal già chiamato Domenico Pitacco 
nato verso il 1545-50, sposatosi intorno al 1585 con tale Maria,' derivino al- 
tri rami del casato già citati (Sàimiga, Smogoli, ecc.), tra i quali anche i Pitac- 
co-Trani cioè i Pitacco soprannominati Trani.9? Il capostipite effettivo di que- 
sta ramificazione dei Pitacco è un pronipote del detto Domenico, di nome Tra- 
ni — ossia Trani Pitacco — nato verso il 1680 e ammogliatosi nel 1718 con una 
Caterina Parenzan. È appunto dal personale Trani che si usava un tempo a Pi- 
rano — derivato da un precedente Trani (continuatore del genitivo latino di Tra- 
mo), abbreviativo di Gualtrami — che al principio del ’400 si è originato l’omo- 
nimo cognome piranese Trani a tutt'oggi fiorente a Trieste e in altri centri d’Ita- 
lia. 

Riprendendo il discorso dal suddetto Trani Pitacco (1680), egli ebbe dalla 
moglie due femmine e un maschio di nome Filippo nato nel 1721, accasatosi 
nel 1752 con una Lucia Ruzzier, il quale è il Filippo Pitacco qu. Trani già an- 
tecedentemente citato che il 15-8-1792 era uno dei 508 Capifamiglia popolani 
di Pirano. Come constatiamo dal foglio 61 dei Pitacco, la detta Lucia Ruzzier 
diede a Filippo tre femmine e quattro maschi di cui uno chiamato Trani, nato 
nel 1753, che prese moglie. Però, soltanto uno dei tre fratelli di Trani Pitacco 
(1753) — ossia Odorico nato nel 1759 — ha mandato avanti la stirpe dei Pitac- 
co detti Trani sino a noi, nei quali peraltro non si è più ripetuto il personale 
Trani, bensì i nomi Filippo e Odorico. Tra questi Pitacco-Trani — rileviamo — 
vi è stato pure un caso di nanismo: si tratta del Giovanni Pitacco nato nel 1868 
sposatosi nel 1896 con una Ida Terrazzer, il quale era infatti un nano. Da ag- 
giungere che il personale Trani si è ripetuto una sola volta pure tra il discen- 
denti dei due fratelli sposati (altri tre fratelli sono rimasti invece celibi) del pre- 
citato Trani Pitacco, come già detto nato nel 1680 circa. Cosicché, Giorgio spo- 
satosi nel 1683 con Francesca Fornasaro ha avuto da costei una femmina e due 
maschi, il secondogenito dei quali nato nel 1686 è stato battezzato Trani. Que- 
sto ramo si è spento poco dopo con i nipoti di Trani (1686) — Giorgio nato nel 
1723 e Bonifacio nato nel 1727 — rimasti entrambi scapoli. Altresì l’altro fra- 
tello di Trani Pitacco (1680) — Filippo nato nel 1681 — ammogliatosi nel 1710 
proprio con una Adriana Trani, ha imposto a uno dei suoi tre figli maschi — 0s- 
sia a quello nato nel 1724 — il nome Trani, i cui due ultimi discendenti maschi 
sono stati due pronipoti omonimi primi cugini tra loro, ossia Filippo nato nel 
1830 e un altro Filippo nato nel 1853, i quali hanno conservato il celibato, per 
cui anche tale diramazione dei Pitacco-Trani piranesi si è fermata. 


9 Cfr. la nota 54. 
© Cfr. il foglio 61 dei Pitacco. 


270 M. BonIFAcIe, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Affi, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


Riguardo l’etimo del cognome sotto inchiesta, sebbene Pitacco esista spo- 
radicamente altresì nel Friuli, e il suffisso acco 0 -aco sia tipico dei cognomi 
friulani®4 tuttavia il cognome piranese Pitacco è completamente autonomo 
dall’onomino friulano,®° ovvero è un cognome istriano nostrano — sottolineamo 
noi — in quanto -acco è anche suffisso comune a tutta l’Italia settentrionale in- 
sieme ad -aco e -ago, come specifica sempre il De Felice, il quale peraltro 
dimentica che i detti suffissi sia nell’onomastica che nella toponomastica sono 
pure comuni all’Istria, beninteso regione italiana settentrionale la cui onomasti- 
ca e toponomatica non può essere che parte integrante dell’onomastica e topo- 
nomastica della restante area altoitaliana.?” 

In effetti, già nel 1150 è testimoniato a Natarico (villaggio della Polesana 
poi scomparso) uno /ohannes Proedago,® ossia un Giovanni Predago, probabi- 
le forma metatetica di Pedrago o Petrago cioè Petracco. Mentre, tra i 235 cit- 
tadini di Pola che il 4-2-1243 giurano atto di fedeltà a Venezia troviamo uno 
lohannes Petaculus, ossia Giovanni Petacolo in cui Petacolo è forma ridotta 


8 Si veda ad esempio l'elenco telefonico di Udine, in cui oltre a cinque utenti Pitacco (uno 
di essi è in effetti una utente Pitacco Dalle Molle, mentre dei rimanenti quattro utenti Pitacco 
uno è di origine piranese), ci sono pure due utenti Pittacolo, o a essere più precisi un utente Pit- 
tacolo e una utente Pittacolo Pittana. 


% Secondo il De Felice il suffisso -ucco è abbastanza frequente in cognomi del Nord Ita- 
lia, e soprattutto del Friuli-Venezia Giulia, quali ad esempio Beacco, Caporiacco, Maniacco e Pe- 
tracco; mentre in merito al suffisso -aco 0 -ago — forma settentrionale che continua il suffisso 
toponomastico prediale gallo-latino -ucum — egli cita sempre per il Friuli-Venezia i cognomi di 
origine toponimica Maniago e Sdomaco, il quale ultimo appare anche nella forma italianizzata 
Sodomacco (E. DE FELICE, / cognomi italiani - Rilevamenti quantitativi dagli elenchi telefonici: 
informazioni socioeconomiche e culturali, onomastiche e linguistiche, Torino, 1980, p. 311-312). 
Da parte nostra segnaliamo che, ad esempio, il cognome Petracco di Trieste è di origine sia friu- 
lana (ci sono dei Petracco a Udine, Palmanova, Sacile, Spilimbergo, ecc.) che veneta (esistono 
dei Petracco a Venezia, Portogruaro, ecc.), intanto che l’altro cognome Sodomaco di Trieste è in 
parte di provenienza friulana e in parte istriana, precisamente umaghese, dato che a Umago vi 
erano una ventina di famiglie Sodomaco fino al 1945 (con una ramificazione pure a Pirano rap- 
presentata da due famiglie Sodomaco), poi esodate tutte a Trieste. 


65 E naturalmente anche dall'identico cognome vicentino Piftaco citato dall'Olivieri, come 


già visto alla nota 42, il quale cognome però appare nella forma Pitacco nell'elenco telefonico 
dei nostri giorni, ove vediamo infatti due utenti con tale cognome, a meno che — osserviamo — 
i detti utenti Pitacco siano in realtà oriundi istriani e più esattamente piranesi. 

66 Cfr. i detti suffissi -«cco, -aco, -ago, in E. DE FELICE, / cognomi italiani, cit., p. 311-312. 


9? Così, ad esempio, nel 1150 rintracciamo a Pola un Venerius de Cazago (AMSI, vol. 
XXXIX, 1927, p. 328), a Galzana (oggi Golzana) uno /ohannes Louizago (bidem, p. 330), a 
Monte Mariano uno Stephanus Strazago (Ibidem, p. 332), a Dignano un Ursus Calcionago, un 
Dominicus Dalmatinago, un Adam Calcionago, una Maria Cacionago, una Desidera de Paterno 
Strucignago, e un Andreas Dalmatinago (Ibidem, p. 333). 


68 Ibidem, p. 335. E si vedano a Dignano nello stesso anno pure tali Siluester et Martinus 
Protatago e un Dominicus de Proedessa (Ibidem, p. 333). 


95 Notizie storiche di Pola, edite per cura del Municipio, Parenzo, 1876, p. 286. Tra i det- 
ti 235 firmatari di Pola del 4-2-1243 incontriamo pure un Manfredus Peturutus (Ibidem, p. 287) 


M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzatolli e Pitacco, Azzi, vol. XXI. 1991, p. 253-278 271 


di petraccolo o Pietraccolo. E si vedano ancora a Pola nel 1150 uno /ohannes 


Perigulus," vale a dire Giovanni Perigolo o Pericolo (cognome ultimo esisten- 


te ancor oggi assieme alla variante Pericoli in varie parti d’Italia), riduzione di 
Petricolo o Pietricolo; e il 4-5-1289 a Pirano un Petrucullo lohanis de Polla," 
ovvero Petrucolo di Giovanni da Pola. 


Le predette antiche forme istriane ci rivelano pertanto che il cognome pi- 
ranese Pitacco ha per base null’altro che il nome o meglio agionimo Pietro, e 
può venire sia attraverso un originario Petracco in cui -ucco è suffisso sempli- 
cemente derivativo, che da Petraccolo forma diminutivo-vezzeggiativa di Pie- 
tro.?? Da notare in proposito che per una comprensibile dimenticanza, tra gli al- 
terati e derivati del cognome-base Pietri il De Felice registra Petacco” ma non 
il nostro Pitacco, come pure menziona Peracco ma omette Peracca,” tipico an- 


cioè un Manfredo Petrutto o Petrucco, cognome ultimo esistente a tutt'oggi in varie zone d'Ita- 
lia. Inoltre, circa la citata antica forma istriana Petaculus del 4-2-1243, avente sicuramente già la 
funzione di cognome, ricordiamo che ancor oggi Pittacolo è presente come cognome in più par- 
ti d'Italia, a cominciare dalla già citata Udine (cfr. la nota 63) per finire con Roma capitale nel 
cui elenco telefonico avvertiamo infatti tre utenti Pittacolo. 

70 AMSI, voLXXXIX (1927), p. 327. 


" D. MiHELIC, // più vecchio libro notarile di Pirano, cit., p. 159. Citiamo ancorché un Pe- 
drucolus quondam Regine de Sisano (= Sissano) il 29-9-1370 (AMSI, vol. XVI, 1968, p. 59), e 
un Pedruzolus de Galisano a Pola nel 1403 (AMSI, vol. XXIII, 1908, p. 366). 

?? Invero, come chiarisce il De Felice. il suffisso -ucco ha valore genericamente derivativo 
o diminutivo e vezzeggiativo, o anche spregiativo, raramente etnico (E. DE FELICE, / cognomi 
italiani - Rilevamenti quantitativi ecc., op. cit., p. 311). Ovviamente non ha alcun fondamento 
l’etimo proposto dal Pinguentini per il cognome piranese Pitacco, e cioè l'antico personale friu- 
lano (o almeno così presunto) Pitac, equivalente forse a Pitagora o simile, come pure non è at- 
tendibile l’altro suo tentativo di far derivare il nostro Pitacco dal greco «psittakos» pappagallo 
nel senso di pertegolo, chiacchierone (G. PINGUENTINI, / nostri cognomi, Trieste, 1971, p. 114). 

73 Si veda ad esempio il noto giornalista e storico della Il guerra mondiale Arrigo Petacco, 
nato a Castelnuovo Magra in provincia di La Spezia. 

* E. DE FELICE, Dizionario dei cognomi italiani, cit, p. 196-197, ove si veda pure la rela- 
tiva spiegazione etimologica dataci dal De Felice sull'agionimo Pietro — base appunto del co- 
gnome piranese Pitacco — derivato attraverso il latino Petrus e il greco Petros, dal Medio ebrai- 
co e aramaico giudaico «kefa» pietra, roccia, come lo comprova il fatto che nel Vangelo di Mat- 
teo il nome si presenta quale Kephas. Il nome Pietro si è affermato in Italia sin dal primo cri- 
stiasimo per il prestigio c il culto di San Pietro, il principe degli apostoli martire a Roma sotto 
Nerone. L’apostolo, secondo il Vangelo di Matteo, ebbe questo nome da Gesù Cristo (si chia- 
mava infatti Simone, figlio di Giona), che lo riconobbe e lo consacrò fondamento e capo della 
propria Chiesa con le parole «Tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa» (/bi- 
dem, p. 197). Con attinenza all’omissione da parte del De Felice del cognome piranese Pitacco 
e del cognome muggesano Peracca — ossia delle forme cognominali Pitacco e Peracca — egli è 
comunque pienamente scusato, dato che — come egli stesso rende noto — in Italia esiste un al- 
tissimo numero e una grande varietà di forme cognominali originatesi quali alterati e derivati dal 
cognome-base Pietri (avente a sua volta per base il nome Pietro), tanto che è impossibile deti- 
nirle arealmente (/bidem, p. 196). 


Da9: M. Boniracio. Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco. Atri, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


tichissimo casato muggesano a tutt'oggi fiorente, il cui capostipite è un A. de 
Peraga documentato a Muggia fin dal 26-10-1202.” 


Fino al 1945 vi erano in Istria circa 71 famiglie Pitacco, delle quali 51 vi- 
vevano nel comune di Pirano, ossia 33 a Pirano-città, 12 alla Costa (Sicciole), 
I a Castignolo, 2 a Paderno, | a Parezzago, 1 a Portorose e 1 a Santiane. Del- 
le altre 20 famiglie Pitacco viventi fuori del territorio di Pirano — di stirpe ov- 
viamente piranese — | abitava a Capodistria, 5 a Buie,7° 3 a Orsera, 2 a Rovi- 
gno, 6 a Pola, 2 ad Albona e 1 ad Abbazia. 

Oggi Pitacco è il 29° cognome per ordine di diffusione nel comune di Trie- 
ste con 113 utenti,” equivalenti grossomodo ad altrettante famiglie, le quali so- 
no piranesi di nascita o di ceppo. Siccome a Trieste il rapporto tra utenti e for- 
me cognominali è pari a 6,817 — ossia un cognome è portato in media da 6,81 
utenti — ne consegue che i detti 113 utenti Pitacco corrispondono pressappoco 
a 770 persone (113 x 6,81) maschi e femmine portanti tale cognome. Nella pro- 
vincia di Trieste ci sono ancora tre famiglie Pitacco a Duino-Aurisina (di cui 
una a Borgo San Mauro, una al Villaggio del Pescatore e una a Sistiana), e due 
a Muggia. Tra le famiglie piranesi e istriane Pitacco (quest'ultime pur sempre 
di sangue piranese) sparse in Italia e all’estero, ne contiamo una a Monfalco- 
ne, una a Udine, cinque a Venezia, quattro a Padova, una a Verona, due a Mi- 
lano, una a Bordighera (Imperia), una a Livorno, quattro a Roma, una a Bari, 
più una a Montevideo nell’Uruguay rappresentata da Padre Andrea Pitacco.”° 


9 CDI. Diamo comunicazione che il cognome Petracca (oggidì attestato in varie città ita- 
liane. come ad esempio a Padova ) — di cui Peracca è appunto forma ridotta — era comune an- 
che in Dalmazia (ignoriamo però se esso sopravvive ancor oggi sia dentro che fuori della regio- 
ne dalmata), ove è molto antico, dato che già il 17-6-1190 è dimostrato a Ragusa uno lohannes 
Petracce (S. LyuBiC, Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, Zagabria, vol. 1, 
1868. p. 15), ossia un Giovanni di Petracca. 

76 Il capostipite dei Pitacco di Buie è un Luca Pittaco ivi nato nel 1644 (L. UGussi: N. Mo- 
RATTO, «Nomi di famiglia a Buie», Antologia delle opere premiate, Concorso d’arte e di cultu- 
ra «Istria nobilissima», Trieste, vol. XVIII, 1985, p. 193). Da rilevare che, anche se la Ugussi e 
la Moratto non segnalano che il detto Luca Pittaco nato a Buie nel 1644 sia figlio di padre pi- 
ranese — in quanto il Il Libro dei Battezzati (1615-1652) della Parrocchia di Buie non lo dice — 
è quasi certo che egli sia di origine piranese, come se ne deduce dal nome stesso oltreché sot- 
tinteso dal cognome. Così, il di lui padre potrebbe essere ad esempio quel Matteo nato nel 1614, 
figlio del già più volte citato Luca Pitacco sposatosi il 15-2-1600 con Caterina Bonifacio (cfr. le 
note 54 e 60 e il foglio 62 dei Pitacco), il quale Matteo che risulta celibe, potrebbe essere emi- 
grato a Buie, dove si sarebbe accasato nel 1642 o 1643 dando al proprio figlio il nome del non- 
no. Altri possibili avi piranesi del Luca Pittaco nato a Buie nel 1644 possono però essere pure i 
fratelli Matteo (nato nel 1600), Filippo (1601) e Luca (1598) — che appaiono tutti e tre scapoli 
nel foglio 62 dei Pitacco — figli di quel Giovanni nato nel 1555 ammogliatosi nel 1588 con ta- 
le Caterina, i cui discendenti attuali sono i Pitacco-Mussolo. Da ricordare ancora che, fra le cin- 
que famiglie Pitacco che esistevano a Buie nel 1945, una era di recentissima provenienza pira- 
nese, ossia arrivata da Pirano (propriamente da Sicciole) agli inizi di questo secolo. 

" E. DE FELICE, / cognomi italiani, cit., p. 75. 

78 Ibidem. 


? Ordinato sacerdote il 3-6-1944 nel duomo di Pirano. Padre Andrea (Duilio) Pitacco dal 
1954 svolge la sua benemerita opera di missionario nell'America Latina. Le tappe più salienti 


M. BoniraAcio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Arti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 273 


Tra i Pitacco di Pirano, uno dei soggetti più illustri nel corso dei secoli, è 
stato senz'ombra di dubbio Giorgio Pitacco, nato nella città di Tartini l 25-4- 
1866 da modesta famiglia artigiana” trasferitasi poi a Cervignano del Friuli. 
Compiuti gli studi medi nel Ginnasio-Liceo di Gorizia, nel 1890 si laureò in 
giurisprudenza a Graz, ma per bisogno di guadagno abbandonò la vita forense, 
esordendo alla fine del 1891 quale «quarto alunno di concetto» al comune di 
Trieste, ove percorse tutta la carriera fino al grado massimo di assessore alla 
presidenza municipale nel 1905. Nel 1892 era stato nominato segretario gene- 
rale della Lega Nazionale, posto che mantenne per un ventennio. Presentatosi 
candidato alle elezioni politiche del 1905, vinse la battaglia elettorale e fece il 
suo ingresso al Parlamento di Vienna non ancora quarantenne come deputato di 
Trieste, che egli rappresentò poi ininterrottamente dal 1909 al 1914. Fu il pri- 
mo sindaco di Trieste italiana il 17-2-1922, e il re Vittorio Emanuele III, suo 
sincero amico, nel marzo 1923 lo nominò Senatore del Regno per meriti emi- 
nenti verso la patria. Fu sindaco dal 1922 al 1926 e poi podestà tra il 10-5-1928 


della sua vita religiosa sono tracciate su La Voce di San Giorgio, luglio-agosto 1984, n. 16, p. 
2-3. in occasione del 40)" anniversario del suo sacerdozio. Egli appartiene al ramo dei Pitacco pi- 
ranesi soprannominati Mussolo, in quanto discendente da uno dei tre fratelli del Bonitacio Pi- 
tacco nato nel 1800 detto Barba Fassio Mussolo, già citato nella nota 54 — e cioè il primogeni- 
to Bernardino nato nel 1792 — il cui nipote Bortolo nato il 17-8-1851, calzolaio, il 2-3-1878 ave- 
va sposato Maddalena Brazzafolli nata il 15-11-1853 (ctr. il foglio 62 dei Pitacco e l'atto matri- 
moniale piranese del 2-3-1878). I detti Bortolo Pitacco e Maddalena Brazzafolli sono quindi i 
nonni paterni di Padre Andrea Pitacco, mentre Maddalena è una delle quattro sorelle del Fran- 
cesco Brazzafolli nato nel 1858, capitano marittimo, padre del negoziante di commestibili Giu- 
sto Brazzafolli (nato nel 1900), i quali Francesco e Giusto sono entrambi citati nella nota 39 del 
mio studio sui Brazzafolli. Da rilevare che, riguardo il soprannome Mussolo della ramificazione 
dei Pitacco di cui fa parte Padre Andrea Pitacco, esso è abbastanza antico, e risale almeno al pa- 
dre di Barba Fassio Mussolo (1800), ossia Giovanni nato nel 1765 ammogliatosi nel 1789 con 
Elena Ruzzier (ctr. il foglio 62 dei Pitacco), il quale Giovanni venne soprannominato Mussolo 
evidentemente perché era pescatore e pescava mussoli, o comunque era venditore di mussoli, so- 
prannome passato ai figli e discendenti che continua a tutt'oggi in diverse famiglie Pitacco-Mus- 
solo, tra cui appunto quella di Padre Andrea Pitacco missionario a Montevideo nell’Uruguay. 
Rammentiamo ancora che a Pirano esiste pure il soprannome Mussoli, del quale sono fregiate al- 
cune famiglie Fragiacomo, uno dei cui componenti è stato Cesare Fragiacomo-Mussoli, l'ultimo 
comandador 0 fante cioè banditore comunale di Pirano (dove fino al 1953 egli bareva la crida 
cioè il bando gridato al suono del tamburo), deceduto a 84 a Brescia il 3-12-1968. 


8° Giorgio Pitacco — che si chiamava in realtà Giorgio Marco Pitacco (così egli venne bat- 
tezzato il giorno dopo la sua nascita, come appare dall’atto di battesimo del 26-4-1866) — era fi- 
glio di Simone Francesco Pitacco nato il 4-8-1839, orefice (figlio a sua volta di Giorgio Pitacco 
calzolaio e di Caterina Fonda), sposatosi il 10-2-1866 a Pirano con la concittadina Caterina Ruz- 
zier di anni 19, sarta. Il sindaco Giorgio Pitacco (1866), appartenente al ramo dei Pitacco pira- 
nesi detti Smogoli, discendeva quindi da quel Domenico Pitacco nato nel 1545-50 unitosi nel 
1585 con certa Maria (ctr. la nota 54 e il foglio 61 dei Pitacco). A titolo di curiosità, intformia- 
mo che Giorgio Pitacco viene citato nell'opera di G. PINGUENTINI, Nuovo dizionario del dialetto 
triestino - Storia Etimologico Fraseologico, Bologna 1969, p. 244, al lemma Prraco, nella fila- 
strocca triestina maliziosa, Se i furlani vol ver bori, che i staghi a Turiaco, a Trieste ex Pitaco, 
e ghe li beca tuti lui, che lo stesso Pinguentini definisce come una «pasquinata contro un sinda- 
co benemerito». 


274 M. BoniFacio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Arti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


e l’ottobre 1933, e con Decreto Sovrano del 9-11-1938 venne designato Mini- 
stro di Stato, spegnendosi a Trieste il 25-8-1945. Nel 1917 aveva dato alle stam- 
pe il libro propagandistico // travaglio dell'italianità di Trieste, mentre nel 1928 
pubblicò il volume di ricordi La Passione Adriatica. I tre cicli dell’intensa vi- 
ta di Giorgio Pitacco — l’irredentismo, la prima guerra mondiale e il trattato di 
pace, l’amministrazione del comune di Trieste — sono mirabilmente descritti in 
uno studio di C. JONA, da cui ho tratto appunto le presenti preziose note sulla 
figura e sulla vita del mio grande concittadino.’ 


Da ricordare ancora che Giorgio Pitacco è presente quale Pitacco dott. Giorgio tra i 500 
elettori del I Corpo Elettorale di Città nelle Elezioni Generali del Consiglio Municipale di Trie- 
ste del 1903, cit., p. 6, alle quali elezioni vi parteciparono pure altri sette Pitacco. In modo che, 
tra i 3078 elettori del III Corpo Elettorale di Città vediamo un Filippo Pitacco impiegato comu- 
nale e un don Giorgio Pitacco catechista comunale pensionato (/bidem, p. 43), mentre tra i 2631 
elettori del IV Corpo Elettorale di Città ci sono Edoardo Pitacco cittadino tu Donato, Giorgio Pi- 
tacco rivendugliolo di Giorgio, Giovanni Pitacco cittadino fu Donato, Luigi Pitacco cittadino fu 
Donato e Marino Pitacco cittadino fu Donato (/bidem, p. 81). Con un po’ di buona volontà si 
possono individuare quasi tutti questi Pitacco negli alberi genealogici del Vidali. Così, il citato 
Filippo impiegato comunale, appartiene senz'altro al ramo dei Pitacco-Trani, in cui come già sap- 
piamo il personale Filippo si ripete più volte. Egli perciò può identificarsi facilmente col Filip- 
po nato a Pirano nel 1853 (ctr. il foglio 61 dei Pitacco), emigrato poi da adulto a Trieste. Il fu 
Donato Pitacco può essere invece il Donato nato nel 1826 (i cui fratelli sono Nicolò, Andrea, 
Giorgio, Giacomo e Domenico - ctr. il f. 61 dei Pitacco), il quale stabilitosi poi a Trieste ebbe 
dalla moglie i suddetti figli Edoardo, Giorgio, Luigi e Marino. 

Circa l’arrivo dei primi Pitacco piranesi a Trieste, segnaliamo peraltro che già tra gli elet- 
tori del IV Corpo Elettorale nelle Elezioni di Trieste del 1850 intercettiamo un Leonardo Pitac- 
co, come appare dal Regolamento provvisorio per la prima elezione del Consiglio Municipale 
della Città immediata di Trieste, in base della Costituzione promulgata con Sovrana patente 12 
aprile 1850, Trieste 22 luglio 1850. 

Chiudiamo questa nota con un'ultima notizia concernente il padre del sindaco Giorgio Pi- 
tacco. In tal modo, consultando la Guida generale amministrativa commerciale e corografica di 
Trieste, il Goriziano, l'Istria. Fiume e la Dalmazia, Trieste 1894, nel Supplemento alla Guida 
Generale pel 1894 (Edizione speciale per Trieste), p. 43. tra gli indirizzi privati di negozianti e 
industriali, nonché di agenti, impiegati, pensionati, possidenti, privati, ecc., vi reperiamo anche 
quattro Pitacco, e cioè Giuseppe Pitacco agente domiciliato in via Coroneo 2, Giuseppe Pitacco 
pittore abitante in via Rivo 4, Lorenzo Pitacco agente dimorante in androna Risorta 8, e Simo- 
ne Pitacco orefice avente l'abitazione in via San Michele 21, il quale ultimo, come si avverte 
chiaramente, è il padre del sindaco Giorgio Pitacco. 


8 C. JoNA, «Giorgio Pitacco e la passione adriatica», La Porta Orientale, Trieste, n. 164 
(1960). p. 293-316. 

A quanto ci dice lo stesso Jona, Giorgio Pitacco era senz’altro sposato, poiché nel 1940, 
allo scoppio della guerra, egli lasciò Trieste e raggiunse la famiglia a Roma per non restarne di- 
sunito (/hidem, p. 314), ma non viene specificato il nome della moglie, come pure ignoriamo to- 
talmente se egli ebbe dalla consorte figli maschi, e se oggi vi siano ancora continuatori della sua 
linea. Ad ogni modo, nel foglio 61 dei Pitacco notiamo che il nostro Giorgio Pitacco (1866), ol- 
tre che due sorelle aveva pure un fratello minore Antonio nato nel 1867, del quale oggi potreb- 
bero esserci dei discendenti nel caso che egli si sia accasato e abbia avuto degli eredi maschi 
dalla moglie. 


M. Bonrracio. Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 275 


ALBERO GENEALOGICO DI DON ITALO BRAZZAFOLLI 


1520 























1560 1565 1555 
1599 1598 1588 
Giacomo Agnolo Antonio 
G Caterina Dapretto Giovanna 





Maria 1600 - Adriana 1604 


CO TA 1602 














1594 1597 
Giovanni Vincenzo Maria 
1637 
1659 
Giovanni 
Agnese Mujesan 
rapa TTT 1679 
1682 1705 
Giorgio Antonio 


Giovanna Saracco 





1723 1708 
Simone Giovanni 


I741 
Francesco 
Marchesina Furian 








1755 1757 1777 
Giovanni Filippo Antonio 
Lucia Premcono 








1780 





06 
Francesco 
Lucia Benedetti 








rr T_="08 
IBII 1819 1826 
Domenico Pietro Antonio 
Maddalena Varin 





pe 
1830 1835 1836 
Marco. Domenico Piero 


69 
Andrea 
Maria Fifaco 








1871 





1899-1921 
Antonio 
Domenica Zecchin 
Amalia Gottardis 





1922 





Don Italo 























Francesca 1570 
Adriana 1572 


Fiordispina 1589 
Geldera 1591 
Adriana 1005 


Maria 1686 










Agnese 1706 
Antonia 1713 


Giovanna 1742 
Maria 1758 


Marchesina 1778 


Lucia 1815 


Lucia 1834 


Maria 1845 


Maddalena 1870 


Maria Anna 1922 


_=—_xz 


1716 1719 
Giorgio Domenico 


1752 
Tommaso 


1822 
Giovanni 


1829 1843 
Francesco Giovanni 


276 


M. Bonifacio. Cognomi piranesi: Brazzatolli e Pitacco. Arti, vol. XXI, 1991, p. 253-278 


ALBERO GENEALOGICO DI MARIO E ALIDA BRAZZAFOLLI 






































































































































1520 
1554 Francesca 1570 
Zuane Adriana 1572 
? 
1560 1565 1555 
1599 1598 1588 Fiordispina 1589 
Giucomo Agnolo Antonio Geldera 1591 
ci Caterina Dapretto Giovanna Adriana 1605 
Maria 1600 - Adriana 1604 = 
1594 1597 
Giovanni Vincenzo Maria 
1637 
1659 - | Maria 1686 
Giovanni 
Agnese Mujesan 
pn cosi 1679 
1682 1705 Agnese 1706 
Giorgio Antonio Antonia 1713 
Giovanna Saracco 
pen 
re mi o" "— ce 
723 1708 1741 1716 1719 
Simone Giovanni Francesco Giovanna 1742 Giorgio Domenico 
Marchesina Furian Maria 1758 
en grani arr 
1755 1757 1777 1752 
Giovanni Filippo Antonio Marchesina 1778 Tommaso 
Lucia Fragiacomo 
1780 
06 Lucia 1815 
Francesco 
Lucia Benedetti 
Pe A Tw__a [nwanÒnne 
I8II 1819 54 1808 
Domenico Pietro Giovanni Maria Domenica 1859 Antonio 
Antonia Casali Argia 1863 
e I 1864 
1855 1886 Maria 
Francesco Antonio Maria 1898 
Carolina Lahnegger Anna 1905 
1892 __— 1889 —T— 1896 )( == 
1918 1922 1921 1900 1888 1903 
Antonio Francesco Cladoveo Ernesto Giuseppe Mario 
Giuseppa Girardi Giorgia Castro Elisabetta Viezzoli 
1923 1930 1924 1922 
1918 1955 1955 1956 1949 
Armando Antonio Giulio Mario Alida 
F. Tamaro || M. Bosi Gianna Sartori Libero Lugnani 
1957 1963 
1959 1968 1977 1990) 1950 1961 
Silvia. Enrico Lara 1977 | Luciano Paolo Marzia Flavia 


Nicole 1988 |M. Armani 






Luisa Malenato 





M. BoniFacto, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atri. vol. XXI, 1991, p. 253-278 277 


SAZETAK: Piranska prezimena: Brazzafolli i Pitacco - Autor u ov) radnji obraduje 
prezimena dviju loza starog lokalnog romanskoga porijekla: Brazzafolli i Pitacco. Sto 
se tiée prvoga, on dokazuje da se ne radi o lozi iz XIV. stoljeéa, kao Sto je pogresno 
smatrao L. Morteani 1886. godine —, vet o prezimenu porijeklom iz XIII. vijeka zbog 
toga ito je prisutnost obitelji Brazzafolli u ovom gradiéu dokumentom potvrdena od 
28. svibnja 1281. (Bricafolle). 

S obzirom na korijen treba podvudi da prezime Bricafolle-Brazzafolli potjefe od 
jJednog izvornog zanatskog nadimka (Battifollo ili Follatore di panni - valjar sukna). 

Piransko prezime Pitacco posvjedotfeno je u Piranu od polovice XV. vijeka. Au- 
tor je pronasao jednog èlana te loze u jednoj usmenoj oporuci (testamentum nuncupa- 
tivum), mapisanoj na latinskom jeziku 18. rujna 1454. godine. Ovo prezime nije ni 
trsfanskog ni mletaékog porijekla, veé — premda se pojavljuje tu i tamo u susjednoj 
Furlaniji — proizlazi da je piranskoga porijekla. Kao baza mu je ime ili bolje hagio- 
nim Pietro i potjefe, vjerojatno, od posrednih oblika Petracco i Petraccolo. 

IstraZivanja o porijeklu i etimologiji pojedinih prezimena predstavlja za autora 
znatan prilog ne samo povijesti istarskih obitelji starog lokalnog porijekla, veé tako- 
der povijesti Istre i njezinih gradica. 


POVZETEK: Piranski priimki - Brazzafolli in Pitacco - V svojem delu govori avtor 
o priimkih dveh krajevnih rodbin antiénega romanskega izvora iz tega kraja: Braz- 
zofolli in Pitacco. Glede prvega dokazuje, da v tem primeru ne gre za rodbino iz $ti- 
rinajstega stoletja, kot je napaèno domneval L. Morteani leta 1886, temveè, da izhaja 
ta priimek iz trinajstega stoletja, saj je rodbino Brazzafolli mogote zaslediti v doku- 
mentu, datiranem z dne 28. maja 1281 (Bricafolle). 

Glede etimologije tega priimka je treba poudariti, da Bricafolle-Brazzafolli izhaja 
iz prvotnega vzdevka, ki oznatuje poklic, pomeni pa valjavca blaga (battifollo ali fol- 
latore di panni). 

Piranski priimek Pitacco pa je mogote zaslediti od srede petnajstega stoletja dalje. 
Avtor je odkril nekega élana tega rodu v testamentu, napisanem v latin$dini in datira- 
nem z dne 18. septembra 1454. Ta pritmek pa po izvoru ni niti trZaSki niti beneSki, 
temveé je ie Pirana, Ceprav se tu in tam pojavlja tudi v sosednji Furlaniji. Po izvoru 


278 M. Boniracio, Cognomi piranesi: Brazzafolli e Pitacco, Atti, vol. XXI, 1991. p. 253-278 


izhaja iz imena Peter (Pietro) in po vsej verjetnosti iz vmesnih oblik Petracco in Pe- 
traccolo. 

Raziskave o genezi ali etimologiji posameznih priimkov pomenijo — po avtorje- 
vem mnenju — pomemben prispevek k poznavanju zgodovine istrkih druZin, ki so bi- 
le iz teh krajev kot tudi k poznavanju Istre in njenih mestec. 


ASPETTI FISIOGRAFICI DELL’ISTRIA FLYSCHIOIDE 
NORD-OCCIDENTALE 


GIORGIO pe SIMON 
Università degli Studi CDU 911.2:551.4(497.12/.13Istria-16) 
Trieste Saggio scientitico originale 

Gennaio 1991 


Riassunto - Vengono esaminate alcune componenti ambientali naturali dell’ Istria com- 
presa nella “sinclinale di Trieste-Capodistria”, con riferimento particolare alle caratte- 
ristiche oroidrografiche dell’entroterra e ai relativi condizionamenti sulla morfologia co- 
stiera. 


Generalità 

Questo territorio," con riferimento al suo aspetto fisionomico più appari- 
scente, venne distinto come “Istria grigia” o “Istria gialla”, per i colori pre- 
dominanti delle rocce che vi affiorano, ed anche “stria verde” per la rigogliosa 
vegetazione che vi alligna.? 

Dal punto di vista dell’individualità spaziale geograficamente intesa, fu ri- 
levato come tipo unitario dal SESTINI (1962, tipo n. 13b) che lo definì “Pue- 
saggio delle colline arenaceo-marnose dell’Istria grigia”. L'A. lo descrive (p. 
45) come “un paesaggio morbido, composto di minute pieghe e di un mosaico 
di verde, picchiettato dal bianco delle case, senza contrasti, assai ridente: ma 
che alla lunga riesce monotono”. 


Tettonicamente l’Istria flyschioide nord-occidentale e il Golfo di Trieste so- 
no compresi nella “sinclinale di Trieste-Capodistria”, che “rappresenta l’estre- 


! Compreso nella Repubblica di Slovenia e, per un irregolare lembo meridionale, nella Re- 
pubblica di Croazia: ha le denominazioni di Sevrinska Brda per la parte collinare interna e di 
Koprskem Primorje per la fascia marittima. 

Nel prosieguo la toponomastica slovena verrà talora giustapposta a quella italiana tramite 
barra alternativa. 

2 È evidente il parallelismo rispetto all'“/stria bianca”, indicante i contigui altopiani cal- 
carei dell'Istria nord-orientale montana, e all'“/stria rossa” del tavoliere sud-occidentale (1° /stri- 
sche Platte del KREBS 1907). 


280 G. DE Simon, L'Istria flyschioide nord-occidentale. Arti. vol. XXI. 1991, p. 279-295 


ma propaggine verso E della grande sinclinale Adriatico-padano-veneta” 
[D'AmBrosi 1962: 16]. 

Il sottobacino definente il nostro territorio è limitato a NE dal gradino cal- 
carco di S. Servolo, che prosegue innalzandosi nella contigua Cicceria, e a SSW 
dalla stretta anticlinale carbonatica di Buie.* Il complesso del Flysch che l’oc- 
cupa è di età medio-miocenica (Luteziano) e — per alcuni livelli — eocenica in- 
feriore (Cuisiano) |cfr. CASTELLARIN & ZUCCHI 1966], cioè sinorogenico alpi- 
no. Il deposito giunge a una potenza di poco meno di 1000 m (presso Albaro 
Vescovà) |D' AmBROSI 1976]? e si presenta complicato da ondulazioni varie, ta- 
lora molto accentuate, e da turbe per scivolamento.” 


Facies flyschioidi 

Nel Flysch del settore qui preso in considerazione è possibile distinguere 
delle fucies caratteristiche, parzialmente eteropiche, ciascuna prevalente in un 
definito livello stratigrafico. 

In particolare il complesso si presenta prevalentemente marnoso (FIysch- 
mergel) nei livelli basali; si tratta in genere di marne grasse e friabili* a mi- 
crofauna pelagica (tipicamente G/obigerine), dal colore frequentemente grigio- 
azzurrognolo.? Affioramenti estesi si hanno tra Capodistria e il Carso di Buie, 
ove costituiscono in particolare i versanti inferiori di quasi tutti i bacini imbri- 
feri più significativi. 

Nei settori stratigraficamente intermedi il D'AMmBROSI ha riconosciuto e di- 
stinto cartograficamente (1953) una fucies flyschioide di transizione (L,), a più 
fitta stratificazione e in cui la frazione arenacea prevale su quella argillosocal- 


* Quest'ultima, “soggetta a un continuo spostamento verso e relativo approfondimen- 

a Cult ggett I I I NE lat fond 
to” ]D'AmBrosi 1962: 16], è strutturalmente un bacino molassico composto riempito di grandi 
spessori di sedimenti terziari e quaternari |cfr. Lemoine 1978; SLEIKO & AL. 1987]. caratterizza- 
to da una serie pliocenica estesamente gassifera [cfr. Piliri 1973). 

+ Questa dorsale, di “Capo Salvore-Tribano-M.S. Girolamo” |SAcco 1924], separa la sin- 
clinale di Trieste-Capodistria da quella di Buie-Pisino, le quali rimangono tuttavia comunicanti 

È 

fra loro attraverso il ristretto settore di Pinguente. 

* In area marina (Golfo di Trieste) la serie flyschioide giace parzialmente in una struttura 
a Graben composto, superando i 1000 m di spessore |Finkrti 1967]. 

è Ad es. l’anticlinale del Cornalunga. 

? Come lungo le falde orientali del colle di Antignano. 


* La vecchia denominazione locale di cantiere (“tassello”) venne già adottata dal MORLOT 
(1848) per indicare tutto il complesso torbiditico. 

® Variamente denominate: “Marne del tassello”, TARAMELLI 1878: “tassello inferiore”, Cy- 
MIN 1923: “marna a Globigerine", SAcco 1924; “marne cerulee”, D'Ambrosi 1955 (facies L, 
P.p.). 


G. pE SIMON, L'Istria flyschioide nord-occidentale, Arti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 281 


carifera. Questa facies si presenta presso Pirano, lungo 1 versanti vallivi del Ri- 
sano e le displuviali in genere, e diviene prevalente nella fascia più entroterra. 

Verso il top del complesso prendono invece il sopravvento le arenarie (F1y- 
schsandstein), le quali, quando siano massicce e in grossi strati (30-60 cm e 
più) si indicavano localmente col nome di “masegno”.!° Sono di tipo feldspa- 
tico a cemento calcareo, e anche delle calcareniti [cfr MaLARODA 1947] e pre- 
sentano frequenti tracce di organismi bentonici. Questa fucies (L del D' Am- 
BROSI) è diffusa principalmente sulle colline di Muggia e di Antignano ed af- 
fiora su alcune sommità del Capodistriano (es. M. Romano, M. Varda)." 


Note pedologiche 

In linea generale questi complessi sedimentari sono “facilmente erodibili e 
quindi poco atti a sviluppare veri terreni climatici” |ComEL 1935: 77]. Ciò va- 
le specialmente nel nostro territorio, in cui di norma il deflusso delle acque di 
precipitazione è favorito da una morfologia collinare a stretti interfluvi. 

Va sottolineato come i processi pedogenetici si evolvono differentemente a 
seconda se la meteorizzazione coinvolge substrati prevalentemente argillosi op- 
pure prevalentemente arenacei: e ciò per le “caratteristiche antagoniste” |CO- 
MEI. 1935] dei rispettivi materiali generatori; peraltro le peculiari reazioni si at- 
tenuano, per le vicendevoli influenze, tutte le volte in cui i diversi litotipi si 
succedono con frequenti alternanze."? 


I detriti argillosi, provenienti dalle rocce alterate '* e dilavate dal calcare, 
vengono stemperati dai rigagnoli e fluitati nei fondivalle, ove ‘serpeggiano tor- 
tuosi e sempre più assottigliati lungo i torrenti” {TARAMELLI 1876: 9]. La roc- 
cia madre decalcificata e ossidata, insieme a qualche minerale di più rapida al- 
terazione, danno luogo a materiali terrosi bruno-giallognoli assai poco evoluti 
dal punto di vista pedologico. 

Le arenarie, essendo frequentemente fratturate, vanno incontro ad un rapi- 
do processo di alterazione anche in profondità, che viene favorito dalla solubi- 
lizzazione dei componenti calcarei; quando la componente granulare quarzoso- 
feldspatica si ritrova in una massa di fondo via via più decalcificata, la roccia 


!© Vedi l'analogo macigno dell'Appennino settentrionale. 


!! Si accenna qui soltanto alla presenza, specialmente alla base della serie del Flysch, di in- 
tercalazioni di breccia calcarea poligenica. Pur talora di non trascurabile potenza — come nella 
valle del Cornalunga — esse tuttavia, al di là del preciso significato geologico [cfr. D'AMBROSI 
1976], hanno limitate implicazioni d'ordine pedologico e geomorfologico. 

!? Com'è noto, nel determinare le diversità dei due substrati entrano in gioco la percentua- 
le di argilla presente nelle marne e la qualità dei componenti mineralogici delle argilliti e delle 
siltiti così pure la quantità di carbonati (granuli o cemento) costituenti le arenarie. 


! Specie ove siano fessurate in scaglie, per aumentata superficie di attacco. 


282 G. DE Simon. L’Istria flyschioide nord-occidentale, Arti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 


acquista notevole porosità favorendo, a differenza delle marne, e specie delle 
argilliti,!# I'infiltrazione dell’acqua piovana. La reazione è subacida'5 e l’ossi- 
dazione dei composti ferrosi porta ad una tinta giallastra o rosso-giallastra del 
terreno. 


Si nota infine come, in diverse aree di più rapido declivio e a cotica erbo- 
sa discontinua, il ruscellamento favorisca vari fenomeni di erosione accelerata 
e di denudazione, creando brevi vallecole e solchi franosi: frustrando in defini- 
tiva la già scarsa capacità pedogenetica di questi substrati. 


Lineamenti orografici 


Le fattezze generali oroidrografiche dell'Istria gialla considerata rappre- 
sentano localmente lo stadio attuale nel ciclo d’erosione di una ben più vasta 
superficie geomorfologica già peneplanizzata nel miocene |KREBS 1906] o tra 
oligocene e miocene [D'AmBROSI 1955].!9 


Tenendo conto dell’inversione dei rapporti ipsografici'” avvenuti in gene- 
rale tra queste regioni a Flysch e le aree carsiche contigue, in conseguenza di 
processi morfogenetici pliocenici e pleistocenici “differenziati dal clima” [RA- 
DINJA 1974], acquistano evidenza alcuni condizionamenti d'insieme del paesag- 
gio morfologico, evidentemente improntati sulle più rilevanti eredità topografi- 
che della suddetta superficie. 


Il primo condizionamento generale riguarda la bassa energia complessiva 
del rilievo. L'elevazione sommitale media si può indicare sui 300 m s.m.; quel- 
la massima raggiunge quote di poco inferiori ai 500 m.'* La degradazione ri- 
spetto alla superficie morfologica di base è agli estremi superiori del range pre- 
sunto dal D' AMmBROSI (1976: 52) (“ira minimi di 70-80 m e massimi sui 200 m 
e più”). 


4 Le quali invece trattengono tenacemente l’acqua (forte potere d'imbibizione e minima ca- 
pacità di rilascio), con conseguente impermeabilità. 
!5 pH 5,6 (6), Comet 1935. 


!6 Definita “superficie di spianamento cattiano-langhiana” dal D' AMBROSI (1968), è stata 
dallo stesso A. ripetutamente indagata. Si estendeva ad oriente attraverso l’Istria, fino ai piedi de- 
gli attuali allineamenti dei Vena e dei Caldiera, comprendendo l’attuale altopiano della Cicceria. 
Dal punto di vista morfostrutturale costituiva una regione intermedia del grande penepiano ter- 
ziario a torbiditi che dall’Idria (settore della Bainsizza e della Selva di Ternova), si estendeva si- 
no alla Lika (settore dei Velebit). | processi di spianamento sui territori più elevati si sono svol- 
ti presumibilmente “sia prima che durante la fase di più intensa orogenesi dinarica” [D'AM- 
BROSI 1954: 149]; sono essenzialmente dinarici (cioè oligocenici) sull’anticlinale triestina e buie- 
se; hanno avuto poi continuazione nel miocene in Istria e in parte della Dalmazia. 


!? Rapporti in primis dipendenti dalle dislocazioni orogeniche, cui si farà cenno. 
!8 M. Slunizza/V. Repavac 492 m (tra Ceppi/Cepic e Stridone/Zrenj). 


G. DE SIMON, L'Istria flyschioide nord-occidentale, Arti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 283 


Il secondo condizionamento riguarda l'andamento generale sommitale: non 
si hanno accentuate differenze altimetriche tra le maggiori ginocchiature con- 
termini, che non dipendano da slope processes conseguenti a dissesti innescati 
preventivamente al piede o alle rispettive basse pendici da particolari azioni ero- 
sive.!” 

Le quote più elevate diminuiscono con lenta e quasi regolare continuità 
dall’interno verso la fascia costiera: il tasso di abbassamento medio della linea 
di vetta è attorno all’ 1-2%. 

Il terzo condizionamento implica il ripresentarsi caratteristico di cime spia- 
nate e raccordantisi tra loro, chiare “buttes-témains” di un’unica struttura ta- 
bulare in retrocessione per frazionamento idrografico e consumazione esogena. 

Quando tuttavia si passi a considerare nei singoli elementi costitutivi la 
“complessa e varia morfologia dei terreni marnoso-arenacei, ricchi di valli, di 
convalli e canaloni e calanchi a non finire” [D° AMBROSI 1976: 54], si deve de- 
durre che, al di là delle eredità sunnominate c’è stata — nei particolari — una 
vasta alterazione e talora quasi una completa trasformazione del sistema morfo- 
logico originario. L’ “agente trasformatoreper eccellenza” |D° AMBROSI 1976] è 
stato appunto il reticolo fluviale epigeo che — a differenza dai terreni carsici 
contermini, ove la morfostruttura originaria si è perciò in gran parte conserva- 
ta [cfr. ToNIoLO 1949] — su questi erodibili terreni flyschioidi ha continuato e 
continua ad agire incessantemente. 


Contrasti morfologici 

Ai margini orientali e meridionali del complesso flyschioide vengono ad 
affiorare le formazioni carbonatiche,?® già piegate ad anticlinale, sollevate e fa- 
gliate, esumate dalla copertura torbiditica, e quindi anch'essa sottoposte a de- 
gradazione esogena prolungata. 

Tuttavia — com'è noto — le diversità costitutive fisico-mineralogiche delle 
rocce calcaree s.l. nei confronti di quelle calcareo-argillose, calcareo-arenacee, 
ovvero argillose o arenacee più o meno impure, si riflette sul diverso compor- 
tamento delle medesime, sia di fronte agli stresses orogenetici,?" sia rispetto la 
qualità e l’entità della degradazione fluvio-atmosferica.?> 


Il riferimento concerne soprattutto gli slirramenti e le fume superficiali indotte localmen- 
te dalle incisioni vallive paleoidrografiche e dagli odierni corsi d’acqua principali. 

20 Si tratta in particolare del complesso eocenico Ls Irif. Carta geol. D'AMBROSI & STACHE 
1953], e cioè del “Calcare ad alveoline e nummuliti” Cumin 1923, fortemente sviluppato sul 
Carso dell’Istria montana; e dei complessi cretacici, essenzialmente Cenomaniano [C}. C], Turo- 
niano |7} e Senoniano {Se| del Carso di Buie. 

2! Si contrappongono qui rispettivamente rigidità e plasticità nei confronti delle sollecita- 
zioni tettoniche, con reazioni nel primo caso di tipo clastico, nel secondo di tipo prevalentemen- 
te deformativo. 


284 G. DE Simon. LIstria flyschioide nord-occidentale. Arti. vol. XXI. 1991. p. 279-295 


Già nei riguardi della configurazione d'insieme le risultanze di tali pecu- 
liari risposte appaiono con immediata evidenza: tra l’ondulata area carbonatica 
e quella collinare flyschioide si manifesta un contrasto morfologico e cromati- 
co assai spiccato; le forme sovrapposte del carsismo creano poi una vera “du- 
plicità fisiografica” |PouLpINI & Ar. 1978],°* particolarmente apprezzabile lun- 
go le linee di contatto, ai margini della nostra sinclinale. 


Il contrasto altimetrico in particolare deriva —- come accennato — dalle mo- 
dalità evolutive dei rilievi sotto determinati paleoclimi (e per degradazione dif- 
ferenziata “attuale”),°4 ma prima ancora, com’è ovvio, dalle dislocazioni oro- 
genetiche 5 e da neotettonica.?® 

Il diverso cromatismo è dovuto sia alle diversità litologiche che a quelle 
pedologiche?” e risulta evidenziato dal diverso sviluppo e dalla variata fisiono- 
mia del rivestimento vegetale.?* 


Profilo idrogeologico 

Data l’impermeabilità di massima dei terreni e la relativa abbondanza di 
precipitazioni, queste plaghe sono beneficiate da un considerevole, anche se in- 
costante, scorrimento idrico superficiale, che vi ha prodotto un fitto e assai va- 


22 Infatti alla permeabilità in grande delle rocce carbonatiche fessurate si contrappone l’im- 
permeabilità delle rocce argilloso/siltitiche e la semipermeabilità delle rocce arenacee. Inoltre al- 
la solubilità per carbonatazione delle prime si contrappone la quasi insolubilità della frazione 
quarzoso-silicatica delle altre. 

2 Il PospicHat. (1897) esprimeva tale diversità definendo “flemmatiche” queste colline nel 
Flysch e “drammatiche” le forme carsiche vicine. 

4 Oltretutto i gradienti pluviometrici e termici tra Istria pedemontana e gli altopiani di S. 
Sergio e della Cicceria sono notevolmente elevati [efr. FURLAN 1961 e 1965]. 

25 Il sollevamento dei plarcaux carbonatici dell'Istria montana è di età tardo-miocenica ed 
ha carattere epirogenetico (orogenesi alpidica, fuse pontica D'AMBROSI): mentre i relativi con- 
dizionamenti orotettonici, comprese le dislocazioni marginali (e il colamento gravitativo del 
Flysch). risalgono all’acme oligocenico (orogenesi alpidica, fase dinarica D' AMBROSI). 

26 Intesa in senso stretto, cioè con riferimento al Quaternario. 

Indizi di neotettonica sono stati individuati in aree attigue, cioè nel Carso di Buie dal D' Am- 
BROSI (1939). sul Carso triestino da CuccHi & AL. (1982). sul Carso Postumiese da CAR & Go- 
SPODARIC (1984). 

27 Il terreno che si sviluppa dai vicini substrati calcarei, aclimatico litomorfo, è tipicamen- 
te rossastro (“terra rossa”); ma, aumentando l'altitudine, tende a variare dal giallastro al bruna- 
stro, sino al nerastro. 


2 Fisionomia che varia in seguito allo smistamento delle specie in due contingenti, per il 
diverso grado di acidità del terreno, di derivazione carbonatica (specie basifile) rispettivamente 
silicatica (specie acidofile). 


G. pE Simon. L'Istria flyschioide nord-occidentale. Atti. vol. XXI, 1991. p. 279-295 285 


rio frazionamento orografico, un aspetto “ramificato-labirintoide” [SACCO 
1924], cui corrisponde un’altrettanto elevata densità di drenaggio.” 

Le precipitazioni presentano di norma un massimo principale a fine autun- 
no e un massimo secondario all’inizio dell’estate; un minimo principale a fine 
inverno e un minimo secondario a fine estate |cfr. FURLAN 1961, moe.]. L’irre- 
golarità nella distribuzione stagionale è notevole, poiché nel mese di più scar- 
se precipitazioni (febbraio) queste non raggiungono il 60% del totale che cade 
nel mese più piovoso (novembre) |rif. Covedo/Kubed, 1931-60, PLUT 1980]. 


I valori medi normali vanno dai 960 mm sulla costa, a Capodistria, ai 1130 
mm di Covedo, sul margine flyschioide interno |1931-60, PLUT 1980]. 

I regimi idrologici di questo settore dell'Istria, stante il suaccennato basso 
grado di permeabilità delle rocce, la limitata capacità di percolazione e la bre- 
vità delle aste drenanti, non presentano che minimi spostamenti temporali ri- 
spetto al regime pluviometrico, che è di tipo sublitoraneo [class. CIABATTI 1977]. 

Tuttavia una certa quantità d’acqua riesce a infiltrarsi per porosità e per 
fessurazione in diversi orizzonti del Flysch;}° però l’intercettazione avviene spes- 
so già a limitata profondità, non appena si presenti uno strato più compatta- 
mente argilloso, capace di sostenere falde acquifere, sia pure a debole potenza. 
E ben presto — in ragione dell’intenso frazionamento orografico di cui si è det- 
to — ove quegli strati affiorano lungo i versanti, le stesse acque tornano a gior- 
no, per lo più come sorgentelle o allineamenti stillicidiosi: vere e indistinte ori- 
gini di molti tra quei corsi d’acqua” che non nascono per apporti allogeni.* 

Così, per contrapposizione, occorre ricordare che diversi corsi d’acqua non 
hanno una vera e propria foce, essendo il loro decorso interrotto bruscamente 
da un inghiottio attivo** che assorbe le acque al passaggio verso le formazioni 
carbonatiche incarsite (“rese fluviale diffluente” di TonioLO 1927). Esemplare 
in tal senso l’allineamento di inghiottitoi all'orlo settentrionale del Carso di Buie, 
ove rimangono tracce di una paleovalle marginale; ma fenomeni analoghi si ve- 
rificano anche al margine NE del nostro territorio (nella depressione paleoval- 
liva di Gracischie-S. Quirico). 


2 Con valori di HoRTON (1954) presumibilmente non inferiori alle due cifre (il dato si po- 
trà definire alla luce di precise analisi statistiche). A tale proposito già il Coppo nel 1540 così 
spiegava l'etimologia del nome “Dragogna": “(...) per il discorrer in mar con molte fllexuosita 
er reuwolutione a modo de vn Dracone serpe(n)te" [c'r. DEGRASSI 1924: 383). 

30 Che costituiscono quindi delle zone (0 zonule) semipermeabili nel complesso definito ge- 
nericamente come impermeabile. 

* Quali la Dragogna e il Cornalunga. 

32 In particolare per i contributi delle risorgive pedecarsiche: tipico esempio è il Risano, che 
drena acque sia dal bacino di Castelnuovo [Timeus 1910], che dal bacirio della Cicceria/Citarija 
|KRivic & Ar. 1987]. 


3 Ponor nella lett. internaz. Diffuso anche il gr. katavothra. Ingl. sinkhole. 


286 G. DE Simon, L'Istria flyschioide nord-occidentale, Atri, vol. XXI. 1991, p. 279-295 


Nel corso dell’anno i regimi idrici del Risano/Rizana e del Cornalunga/Ba- 
dasevica danno luogo a inondazioni che si ripetono con una certa regolarità 
[PLUT 1980] in concomitanza con precipitazioni a carattere intensivo. Le piene 
avvengono subito dopo l’evento piovoso e defluiscono rapidamente, tranne che 
nell’ambito dei terrazzamenti alveali — talora artificiali — ove l’acqua permane 
per qualche tempo (funzione regimante limitata). 


Analoghe inondazioni ricorrenti si verificano nei bassi bacini della Drago- 
gna/Dragonja e del Valderniga/Drnica [ApAMIC 1980], i cui corsi sono caratte- 
rizzati da forti oscillazioni di livello, per cui passano assai rapidamente dalla 
quasi secchezza dei periodi asciutti agli straripamenti in occasione dei rovesci. 


Il carico solido eroso dal Flysch ha dato luogo a depositi prevalentemente 
sabbiosi nei più alti fondivalle, e prevalentemente di tipo argilloso o franco 
(loamy) lungo i fondi vallivi meno elevati [LOvRENCAK 1980 al, che sono per- 
tanto notevolmente meno permeabili.** 


Attualmente i processi erosivi sembrano manifestare attività rallentata, forse 
per un certo decremento dell'impatto ambientale durante i primi decenni post- 
bellici (e conseguente ripresa del vigore della vegetazione), così come si evince 
dai coefficienti di densità forestale, che vanno da 0,24 nel bacino del Cornalun- 
ga a ben 0,47 in quelli della Dragogna e del Valderniga |LOvRENCAK 1980 bl. 


Fisionomia costiera 


La costa fra Trieste e Salvore si presenta molto articolata per il continuo 
alternarsi di capi o promontori (le cui prominenze a mare sono dette localmente 


“punte”/“rti”)° e di insenature più o meno ampie ( “valloni”, rispettivamente 
“valli”/“zalivi”)39 


Ambienti a costa bassa, di natura alluvionale, si succedono ad altri in cui 
il rilievo si protende alto sul mare e lo delimita con bruschi salti di pendio. È 
questo un chiaro esempio morfologico di “paesaggio costiero mosso e contra- 
stato” [Laco 1988] di formazione relativamente recente. 


Dal punto di vista genetico alle rientranze corrispondono terminazioni val- 
live semisommerse e rielaborate, e alle prominenze dorsali o sproni contesi 
dall'erosione marina. 


34 È interessante l'osservazione del TARAMELLI (1876: 9) di “una costante scarsezza di ciot- 
toli” in queste alluvioni (e nelle altre della penisola istriana), che l'A. attribuiva sia “alla natu 
ra delle rocce” che all “indole torrenziale dei corsi d’acqua” “esagerata dalle locali condizio- 
ni climatologiche (...)”. 

3 “rtici” se di dimensioni minori. 

36 Per le denominazioni correnti e passate delle numerose “punte” e delle “valli” interpo- 
ste si rimanda alla produzione cartografica attuale, rispettivamente alle carte e corografie stori- 
che [etr. Laco & Rossir 1981]. 


G. DE Simon, L’Istria flyschioide nord-occidentale, Atti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 287 


Ingressione attuale 

Questa fascia rivierasca dell’Istria flyschioide rientra nel novero delle ‘‘co- 
ste di sommersione” o “coste ereditate”, e costituisce anzi il locus classicus del 
tipo definito “costa a valloni” 3? 

Si manifesta qui con evidenza una morfologia costiera trasgressiva dovu- 
ta e tuttora condizionata da una serie di fenomeni concomitanti, di cui due es- 
senziali: l'innalzamento del livello del mare, a carattere generale, e la subsi- 
denza della geosinclinale, che comporta un bradisismo regionale negativo |s. 1S- 
seL 1883]. Modalità ed entità dei movimenti sono differenti. 

La subsidenza è dovuta agli incrementi del carico sedimentario nelle aree 
marittime, cui si somma la reazione isostatica rispetto i finitimi plafeaux car- 
bonatici triestino e istriano (in sollevamento differenziato, cfr. rispettivamente 
CARULLI & AL. 1980; D’AMmBROSI 1959). Presenta trend negativo e andamento 
pulsatorio, comprese le inversioni di tendenza [cfr. PoLLI 1947], verosimil- 
mente almeno dall’alto pliocene in poi; risente inoltre — com’è ovvio — degli 
effetti della geodinamica a grande scala. 

L’innalzamento del livello marino è di carattere glacioeustatico, essendo 
controllato dalla deglaciazione globale; presenta carattere nettamente progressi- 
vo solo dalla metà del secolo scorso [MORNER 1973] e tendenzialmente pro- 
gressivo dalla fine dell’ultimo glaciale. 

Il valore locale e attuale della componente verticale isostatica/subsidenzia- 
le è pari a (-) 0,8 + 0,9 mnya (1905-1978, Molo Sartorio, Trieste) [DE SIMON 
1990].49 

La entità generale e secolare della componente glacioeustatica è pari a (+) 
1,0 + 11 mm/a [Lisitzin 1974].4! 

Da questi dati consegue che la velocità complessiva apparente del movi- 
mento verticale costiero a Trieste e (verosimilmente con limitate variazioni) 
nell’Istria di NO durante questo secolo è stimabile attorno a /,8 + 2,0 mmnya. 

Certamente le misurazioni attuali forniscono dati essenziali ai fini della va- 
lutazione dell’entità dell’aggressione marina e dell’alterazione degli equilibri co- 
stieri, nei loro riflessi antropici [cfr. BRAMBATI 1989]. Ma, nell’indagine morfo- 
genetica, importa piuttosto valutare 1 tassi medi di perdita di quota — vale a di- 


37 In tal senso il termine “valloni” è una delle poche parole italiane accolte nella letteratu- 
ra geografica internazionale |StaMmP & CoLc. 1966]. 

38 Dovute probabilmente a ritmiche compensazioni isostatiche strettamente legate all'entità 
delle degradazioni subaeree. 

3 Cioè degli srresses da macrotettonica [cfr. Finerti 1984], la cui incidenza locale attuale 
non è stata ancora (1990) quantitativamente discriminata. 

4° Su dati Lisitzin 1974; PoLi 1980. D'AmBROSI (1958), sulla base di precedenti dati (rif. 
PoLLi 1954), aveva ricavato un corrispondente valore praticamente identico (0,9 cm/10 anni)! 


4! Sulla base del valore medio dei dati di diversi A.A. 


288 G. DE Simon, L'Istria flyschioide nord-occidentale, Azzi, vol. XXI, 1991. p. 279-295 


re d’innalzamento del livello di base generale dell'erosione — durante archi di 
tempo assai più lunghi, confrontabili con quelli necessari al prodursi di deter- 
minate /andforms. 


Eustasia locale nel Quaternario 


Per quanto concerne i tassi dei movimenti eustatici nel Posrglaciale le con- 
troversie tra gli A.A. si limitano ormai agli episodi di dettaglio [ctr. PETHICK 
1984]; invece delle divergenze rimangono nelle valutazioni pleistoceniche.? 


Le entità assolute complessive dei bradisismi olocenici costieri — mediate 
sull’irregolarità di fondo — si possono ricavare tramite raffronti diretti, sulla ba- 
se di reperti archeologici o paleontologici di età nota o determinabile. 


Nel nostro caso si dispone di resti di costruzioni di epoca romana, talora 
oggi sommersi (es. pr. Isola, cfr. SRIBAR 1961). Ciò ha permesso un chiaro ri- 
ferimento cronologico, che si fonda sul terrazzo all’isobata di 2 m, appunto di 
Periodo Romano: esaminato dettagliatamente da SIFRER (1965) nel capodistria- 
no, esso decorre regolarmente, a distanza variabile dalla linea di costa, lungo 
l’intero litorale. Poiché da quell'età si stima un innalzamento assoluto del li- 
vello marino pari a circa 1 m [cfr. ad es. MORNER 1971: JEGERSMA 1961], pos- 
siamo ricavare per questo tratto costiero una velocità media di subsidenza pari 
a 50 mm/secolo. 


Tuttavia, allargando lo sguardo all’intero Quaternario, alcune correlazioni 
geomorfologiche (che qui per brevità si riferiscono soltanto sommariamente) de- 
pongono a favore di un valore medio di subsidenza di entità assai più ridotta, 
probabilmente dell’ordine di pochi millimetri per secolo. 


Gli elementi per tale valutazione sono: 


1) le quote dei terrazzamenti * che ben s’'accordano con le corrispondenti de- 
gli “standards mediterranei”, lo stfasamento divenendo considerevole sol- 
tanto per gli ordini più elevati; 

2) le ridotte ingressioni in profondità nei tronchi vallivi terminali, cui invece 
fanno capo alluvioni deltizie relativamente estese; 


* Ove non altrimenti specificato qui si seguirà principalmente FAIRBRIPGE 1961 a. 

43 Ricavate da Sirrer 1965; cfr. anche KokoLE 1956. 

4 Non sembra superfluo ricordare che gli effetti di una data perdita di quota (Aq = @; 
— Q;) in un certo tempo (At = t, — t;), si manifestano con ritmi di invasione marina (v; = Ai/At) 
che sono inversamente proporzionali alla pendenza media dei tratti costieri interessati (Ai = Aq. 
cotge). Talché, con pari bradisismo, l'ingressione sarà sempre più rapida via via che lungo un 
Thalweg ci si avvicini al mare. 

Con le attuali pendenze medie delle aste terminali del Risano e della Dragogna (rispettiva- 
mente del 3 e 5%c ca.) l’ingressione teorica (cioè in assenza di alluvionamento e di interterenze 
antropiche) ai nostri giorni presenta una velocità di inondazione variabile dai 3 ai 7 n/10 anni. 


G. DE Simen. L’ Istria flyschioide nord-occidentale, Atti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 289 


3) l'energia dei rilievi della fascia costiera, le cui sommità, ad una ricostruzio- 
ne retrospettiva, condurrebbero a quote medie di peneplanazione iniziale in- 
compatibilmente elevate, qualora venissero extrapolati i tassi “attuali”. 


Altri condizionamenti litoranei 


Altri fatti concorrenti alla creazione della nostra morfologia costiera sono 
legati da un lato alla litostratigrafia e dall’altro alla paleoidrografia regionale. 


Riguardo al primo condizionamento, basta semplicemente osservare come, 
durante le trasgressioni, il battente debba progredire — a parità di altezza delle 
ripe — con maggior efficacia erosiva in queste rocce relativamente tenere, ri- 
spetto alle ben più resistenti, anche se più corrodibili, contigue formazioni car- 
bonatiche dell’/stria rossa.* 


L’ondazione opera poi i maggiori svasi e gli ottundimenti in grande lad- 
dove le stratificazioni siano state già incise e frazionate dalle azioni fluviali. 


D'altra parte un primo condizionamento sulla morfogenesi costiera è pro- 
prio d’ordine idrografico e si manifesta soprattutto nell’ampiezza di queste baie 
valliformi, sicuro indice di una (ovvero più) situazioni preingressive già evolu- 
te dal punto di vista del modellamento e dell’approfondimento erosivo fluviale 
[cfr. ad es. D’AMBROSI 1962].8° 


La stessa morfostruttura ad altopiano residuale di degradazione, cui si rac- 
cordano i caratteristici e ricorrenti tratti a falesia, ha evidentemente condizio- 
nato dall’inizio l'impostazione ‘irradiante” del reticolo paleoidrografico |cfr. 
D’AMBROSI 1954] conseguente, e con esso, il prepararsi di una fisiografia lito- 
ranea che manifesta oggi in più settori quell’accennata simmetrica ripetitività. 


Maggiori forme di abrasione marina 


Le maggiori rientranze costiere, qualora vi si comprendano i rispettivi ag- 
getti deltizi di fondo baia,#” evidenziano una sezione planimetrica sub-triango- 
lare e debbono la loro svasatura imbutiforme alle ripetute azioni abrasive dei 
mari interglaciali, in un contesto — come s’è detto — di avanzata maturità del 


45 Come lo dimostra qui la prominenza calcarea di Isola, vero scoglio di resistenza seletti- 
va. 

4 Ciò anche senza tener conto dei possibili — ma ancora non definiti — aumenti delle pre- 
cipitazioni in concomitanza con i maggiori periodi glaciali pleistocenici, sul cui ruolo nelle “ero- 
sioni superficiali in genere” e nelle “incisioni vallive in modo speciale”, aveva posto l'accento 
il Sacco (1924). 

4 Spesso bonificati o trasformati in saline, come presso Capodistria, ovvero a Sicciole e a 
Strugnano. 


290 G. DE SIMON, L’ Istria flyschioide nord-occidentale, Atti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 


ciclo erosivo. Ne fanno fede le serie contrapposte di terrazzi eustatici intraval- 
livi, la cui sistemazione cronologica deve però essere ancora perfezionata, per 
la mancanza di reperti paleofaunistici. 


Così le grandi articolazioni a promontorio rappresentano le forme di mag- 
gior resistenza — perché di maggior rilievo —# ai complessi processi di demo- 
lizione delle ripe, che sono legati in primo luogo alla efficacia delle traversie 
prevalenti (bora; libeccio, loc. garbin). Si tenga comunque presente che le re- 
trocessioni assumono carattere di permanenza soltanto in questi periodi, più de- 
cisamente eutermici. 


L'ultima fase di retrogradazione, quella in corso, vedrebbe i suoi antefatti 
in una situazione post-glaciale in cui la presunta linea di costa decorreva non 
molto più a mare e con andamento quasi parallelo alla congiungente le attuali 
punte più avanzate.* Tale è, del resto, l'andamento dell’attuale isobata di 20 
m: livello che venne raggiunto nel Boreale e che trova un riferimento nel Pia- 
no Ostenda (6000-6500 a.C.) della corrispondente fase ingressiva nord-europea. 
Tuttavia il terrazzo sottomarino delie attuali falesie si approfondisce soltanto fi- 
no a -9 (tl) m [AbAMIC 1981], dove piega bruscamente verso il fondo: se ne 
deduce che le scarpate dei promontori si sono andate delineando secondo la pre- 
sente configurazione appena dall’ Arlantico Inferiore ad oggi. L'attuale freschezza 
del taglio, spesso a picco, testimonia inoltre un notevole tasso di retrocessio- 
ne.50 


Vicissitudini della costa 


La ricostruzione delle variazioni della linea di costa, sia pure limitatamen- 
te all’ultima grande deglaciazione, tra “/’avanzato Catawirm III e l’Attuale”, 
rimane allo stato di rentativo problematico |cfr. MOSETTI & D’AMmBROSI 1967]. 


Resta peraltro come un dato di fatto (provato da rilievi di grande dettaglio 
del fondo marino [MoseTTI 1966; FINETTI 1965 e 1967]) il riconoscimento che 


48 Non si può qui generalmente invocare una selettività di tipo litologico all’erosione, poi- 
ché le variazioni laterali di fucies restano nell’ambito del complesso flyschioide; soltanto le gia- 
citure controllano direttamente la ripidità delle falesie. 

4 Cioè Punta di Campo Marzio-P.ta Sottile-P.ta Madonna-P.ta Salvore. 


50 Stimabile (sulla base della variata posizione di alcuni manufatti rispetto all’orlo delle scar- 
pate, valutaz. pr. Sezza) approssimativamente dell’ordine di diversi mm per decennio. Natural- 
mente è un valore mediato su un trend discontinuo, tipico di questo genere di fenomeni saltua- 
ri. 

Begli esempi di promontori tagliati, cioè troncati rettilineamente, si hanno a Punta Ronco 
(lungh. 260 m, esposiz. N5S°E); nella Valle di Strugnano (400+400 m, -->N) sotto P.ta Prete (600 
m, -+WNW); pr. Pirano (650 m, --+N30°E). Le falesie sono alte sino ai 60-70 m, con maggior 
sviluppo dai 20 ai 40 m ca. Per alcune, ulteriori ricerche potranno forse accertare l'influenza di 
fagliature locali. 


G. DE SIMON, L'’Istria flyschioide nord-occidentale, Arti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 291 


dal Wéirm Recente e sino al Pre-boreale Superiore?' le piane alluvionali costiere 
dell’Istria settentrionale si spingevano molto più a occidente, occupando — in- 
sieme con gli opposti apparati deltizi dell’Isonzo e del Tagliamento — comple- 
tamente il Golfo di Trieste [MoseTTI & D’AMmBROSI 1967]. In tali condizioni di 
regressione glacioeustatica tutte le coste alte dell'Istria flyscioide erano com- 
pletamente fossili e soggette unicamente all’erosione continentale.?? 


Per concludere, appare incontrovertibile come l’interpretazione genetica di 
queste forme d’interfaccia costiera comporti una indagine retrospettiva assai 
complessa, quando si voglia tener conto dei principali controlli multivariati cui 
sono state ciclicamente sottoposte nel volgere della nostra Era. 


3 Dubitativamente — per chi scrive — con una fase intermedia di penetrazione marina. 


5? Cospicui esempi di falesie fossili sono stati evidenziati dal SiFRER (1965) presso Pirano. 


292 G. DE Simon, L’Istria flyschioide nord-occidentale, Arti, vol. XXI, 1991, p. 279-295 


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SAZETAK: Fiziografski aspekti sjevero-zapadne Fli$ne Istre - Sjevero-zapadni dio 
istarskog poluotoka, poznat kao fli$ni facies ili kao dio Sive /stre odnosno Zute Istre, 
tektonski pripada sinklinali Trst-Kopar. 

S ovog su podruèja pregledno rekognoscirane, sa sistemsko-ambi jentalnog gle- 
dista, neke prirodne komponente stratigrafsko-opisne, pedoloSke te, posebno, oroidro- 
grafske prirode. 

Evidentirane su i neke skupne geomorfolo$ke osobitosti, imajuéi posbeno u vidu 
inducirane uvjete duZ obalne linije, gdje genetska interpretacija zahtjeva da se uzmu 
u obzir mnogobrojne interferencije jednog naglaSenog ingresijskog mora. 


POVZETEK: Fiziografske znacilnosti fli$ne severnozahodne Istre - Severnozahodni del 
Istrskega polotoka, ki ima fli$no sestavo in je zato tudi poznan delno kot »Siva Istra« 
ali »Rumena Istra«, spada tektonsko k padajoti geoloski krivulji Trst-Koper z odloéno 
spodnjo lego. 

Clanek opisuje iz sistemsko ambientalnega zornega kota nekatere naravne znadil- 
nosti tega prostora, opisno stratigrafijo, pedologijo in predvsem orohidrografijo. Izpo- 
stavljene so tudi nekatere geomorfoloske znatilnosti s poudarkom na obalni pas, kjer 
mora genetièna interpretacija upoStevati pomembne interference morja, ki se pou- 
darjeno zajeda v kopno. 


IL CARTEGGIO DE MADONIZZA-LUCIANI (1878-1889) 
RIGUARDANTE «LA PROVINCIA DELL’ISTRIA » 


MIRELLA MALUSA 
Centro di ricerche storiche CDU 930.85:07(497.1 2/.1 3Istria)(044)«1878-1889» 
Rovigno Comunicazione 

Gennaio 1991 


Riassunto - Vengono esaminate 19 lettere che Piero de Madonizza inviò a T. Luciani 
nel periodo tra il 1878 e il 1889. Questo carteggio, che si custodisce presso la Biblio- 
teca scientifica di Pola, riguarda principalmente «La Provincia dell’Istria», giornale di 
grande interesse culturale, storico, economico e politico per l’Istria. 


Per la storiografia istriana sono di notevole importanza i carteggi delle nu- 
merose personalità che nel corso della seconda metà del secolo XIX hanno con- 
tribuito agli studi e alle ricerche riguardanti l’'Istria. Carteggi, che con i loro 
contenuti, testimoniano la feconda attività culturale, letteraria, scientifica, socio- 
politica, storica, archeologica di questo periodo, nel quale nacquero e si svi- 
lupparono nuove correnti sia culturali, artistiche che politiche, nonché impor- 
tanti iniziative pubblicistico-editoriali. 

L’albonese Tomaso Luciani, noto intellettuale del secolo scorso, ebbe tra le 
altre, un’intensa attività epistolare con personaggi della vita politica e cultura- 
le dell’epoca, che sviluppò attraverso i contatti, gli scambi, i confronti e le po- 
lemiche avute. Tra i tanti che con lui collaborarono troviamo il capodistriano 
Piero de Madonizza,' noto soprattutto per essere stato redattore responsabile del 
giornale «La Provincia dell'Istria». 


! Piero de Madonizza nacque a Capodistria, da nobile famiglia veneta, nel 1845. Nella città 
natale frequentò la scuola elementare e il Ginnasio. Iscrittosi all’Università di Padova, poi a quel- 
la di Bologna ed infine a quella di Milano, conseguì in quest’ultima, nel 1864, la laurea d’inge- 
gnere civile e a Bologna nel 1867 il dottorato in scienze e matematica. Nel 1866 pese parte al- 
la battaglia del Volturno con Garibaldi. Dal 1884 al 1885 studiò a Londra le funzioni delle as- 
sociazioni previdenziali della Trade-Unions. Fra il 1885 e il 1910, prestò assistenza nella società 
«Pro Patria», in qualità di presidente del gruppo capodistriano; nel 1891 nella Lega Nazionale 
promuovendo l’erezione delle scuole a S. Colombano sul colle di Val d’Oltra e a Carcase, co- 
mune di Monte di Capodistria, scuola che portò il suo nome fino al 1945. Fondatore ed anima- 
tore della «Società Operaia Capodistriana» (società nel campo dell'assistenza e sociale), resse per 
qualche anno il Municipio di Capodistria, quale podestà, continuando poi, come semplice asses- 


298 M. MALUSA, Il carteggio de Madonizza-Luciani, Arti, vol. XXI, 1991, p. 297-303 


I contatti epistolari fra i due riguardavano argomenti di carattere vario. I 
carteggi, ovvero quelli custoditi presso la Biblioteca scientifica di Pola” sono 
64 in tutto. Abbracciano il periodo tra il 1878 e il 1889, Le lettere sono auto- 
grafe e datate, spedite quasi tutte da Capodistria (eccetto una da S. Nicolò d’Ol- 
tra). 

Madonizza in molte delle sue lettere incitava il Luciani a collaborare a «La 
Provincia». Gli spedì copie per la sua distribuzione, si preoccupò per l’esito di 
alcuni articoli e si lamentò dei pochi abbonati. Lo informava, inoltre, che gli 
abbonati stessi insistevano affinché il giornale continuasse ad uscire, ma Ma- 
donizza confessò d’avere non pochi problemi finanziari. 

In questo periodo il Luciani si trovava a Venezia dove attinse direttamen- 
te alle fonti primarie che gli consentivano di scrivere quegli articoli di grande 
interesse per «La Provincia dell'Istria» ritenuta «ottimo magazzino di dati sto- 
rici, economici e legislativi» inerenti l’Istria.* 

Fondato il 1° settembre 18674 da un'iniziativa sollecitata da Carlo Combi 
e Tomaso Luciani, e fatta propria, a Capodistria, dall’avvocato Antonio Mado- 
nizza, il foglio era nato come giornale di interessi civili, economici ed ammi- 
nistrativi dell’Istria. Divenne giornale ufficiale per gli Atti della Società Agra- 
ria Istriana (dal 1° gennaio 1870) e dal 16 gennaio 1870 giornale degli interes- 
si civili, economici, amministrativi dell’Istria ed organo ufficiale per gli atti del- 
la Società Agraria Istriana. Cessava l’attività il 16 dicembre 1894. 


sore o consigliere. Dedicò una particolare cura al vecchio Asilo Infantile, fondato dal congiunto 
Antonio de Madonizza. Morì il 4 gennaio 1910. 

2 Biblioteca scientifica, Pola, Fondo «Manoscritti», busta VIII, fascicolo XV. 

3 C. PAGNINI, «Marco Tamaro e il giornalismo istriano», Pagine istriane, Trieste, s. III, vol. 
I (1950), p. 231. 


4 Sono discordi le date riguardanti la cessazione dell'attività del giornale. Secondo alcuni 
autori, come F. Semi, C. Pagnini e S. Cella la data è da attribuirsi al 1903. C. Colli, E. Apih e 
M. Bogneri sostengono, invece, che l’ultimo numero de «La Provincia» uscì nel 1894, data da 
risultarsi più esatta visto che nel numero del 16 dicembre 1894, la redazione atfermava nella let- 
tera di commiato, che le 28 annate pubblicate resteranno repertorio per gli studi sull’Istria (con- 
siderando che il giornale stava per chiudere). 

Dati tecnici: il giornale era del formato 22 x 29,5 cm; contava da 8 a 10 pagine contenen- 
ti 2 colonne ciascuna. L’abbonamento annuo era di 3 fiorini, mentre un numero costava 15 sol- 
di. 

Stampatori: dall’1-1X-1867 Tipografia Giuseppe Tondelli; dal 16-TX-1873 Tip. Appolonio 
e Caprin (Trieste); dal 16-I1V-1875 Tip. Appolonio e Caprin (Capodistria); dal 16-VHI-1876 Stab. 
tip. B. Appolonio (Capodistria); dal 16-IX-1876 Stab. tip. Appolonio e Caprin (Trieste); dal 16- 
XII-1879 Tip. di C. Priora (Capodistria); dal 16-V-1880 Tip. Priora e Pisani (Capodistria); dal 
16-XII-1880 Tip. Priora (Capodistria); dal 16-VI-1888 Tip. Cobol-Priora (Capodistria); dal 16- 
V-1890 Tip. Priora e Pisani; dal 16-XII-1890 Tip. C. Priora (Capodistria). 

Numeri sequestrati: 16 gennaio 1878; 16 giugno 1882; I° marzo 1883; 1° giugno 1884; 16 
settembre 1884; 16 settembre 1885; 16 settembre 1886: 16 settembre 1887; 10 ottobre 1887; 16 
dicembre 1892; 1° novembre 1894. 


M. MALUSA, Il carteggio de Madonizza-Luciani, Atti. vol. XXI, 1991, p. 297-303 299 





Piero de Madonizza 


ANNO I Capodistria 41 Settembre 1867. N. 1. 


LA PROVINCIA 


GIORNALE DEGLI INTERESSI CIVILI, ECONOMICI ED AMMINISTRATIVI 


uce av DELL'ISTRIA 











Esce it 1 ed il 16 d'ogni mese. Articoli comunicati d'interesse generale si ricevono gra- 
ASSOCIAZIONE per un amno fni 3, semestre e quadri- tuitanionte; gli altri, e nell’ottava pagina soltanto, a soldi 5 
mestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono prosso por linea. — Lettave e denaro /runco alla Redaziove. — 


la Redazione. Pagamenti antecipati. 


300 M. MALUSA, Il carteggio de Madonizza-Luciani, Arti, vol. XXI. 1991, p. 297-303 


«... Noi vogliamo essere i folli; vogliamo che la nostra pazzia non dia pa- 
ce ai saggi, e chi sa che alla fine non si risolvano anch’essi a fare come noi...» 
si aggiungeva, tra l’altro, ne «Il Nostro programma», articolo di presentazione 
apparso sul primo numero. «... In particolare poi, riguardo a questa prima par- 
te degli adoperamenti del giornale, l'assunto, che gli vorremmo proprio, si è di 
promuovere principalmente le misure più atte a rilevare le condizioni econo- 
miche della provincia, a diffondervi la istruzione, a incoraggiarvi la beneficen- 
za e a darle quel logico indirizzo, pel quale abbiamo ammaestramenti ed esem- 
pi pressoché senza numero...» e ancora «... il nostro giornale adunque vuol es- 
sere altresì il giornale dei nostri affari provinciali e comunali...». 

Usciva il 1° e il 16° di ogni mese, e, pubblicava notizie locali, regionali e 
corrispondenze dall’estero, notizie storiche, archeologiche, culturali, economi- 
che, agricole, recensioni bibliografiche, prospetti storici, nonché, a puntate la 
«Nuova Serie di Effemeridi Giustinopolitane» (dal 1° gennaio 1879) e gli «An- 
nali Istriani» (dal 1° gennaio 1881). 

Nicolò de Madonizza fu il primo editore e redattore responsabile, mansio- 
ni che ricoprì per ben 16 anni. Si ritirò, dandone notizia al giornale, con lette- 
ra del 9 marzo 1883, che venne pubblicata sul n.ro 6: 

«Ai benevoli collaboratori ed abbonati. 


Per ragioni di età e di salute ho risolto di cessare dalla direzione della “Pro- 
vincia”, che ho assunta fin’oggi per compiacere egregi patriotti ed amici, e che 
ho mantenuta per oltre sedici anni. 

Nel dare questa partecipazione ai benevoli collaboratori ed abbonati, sento 
l’obbligo di ringraziarli per la loro gentile assistenza; e li prego di volerla pre- 
stare alla nuova direzione, la quale, ne faccio fede, manterà sempre il vecchio 
programma. Nicolò de Madonizza». 

Il 16 marzo 1883, il giornale passava nelle mani di Anteo Gravisi e Piero 
de Madonizza. Il 16 gennaio 1888, dopo la morte del Gravisi, avvenuta il 7 
gennaio 1888, la «Provincia» dipendette completamente dal suo collega e co- 
gnato. Della malattia del Gravisi, Madonizza scrisse al Luciani, informandolo 
man mano del suo stato di salute, sempre più precario. 

Con Piero de Madonizza come redattore responsabile, divenne un giorna- 
le sempre più colto ed erudito, poco adatto alla larga massa di lettori. Gli ab- 
bonati diminuirono, lasciando posto solo ad una cerchia di intellettuali affezio- 
nati che si prodigarono affinché il giornale rimanesse in vita. Tra i collabora- 
tori troviamo nomi tra i più noti della cultura istriana, quali Pietro Kandler, Car- 
lo Combi, Tomaso Luciani, Paolo Tedeschi, Carlo de Franceschi, Andrea Amo- 
roso, Andrea Tomasich, Angelo Marsich, Vitaliano Brunelli, Marco Tamaro, 
Giovanni Vesnaver, Giuseppe Vatova, G. Babuder, L. Barsan, G. Baseggio, E. 
Boccalari, J. Contento, A. Covaz, G.P. de Franceschi, A. e G. Gravisi, Antonio 
Madonizza, G.P. Polesini, G. Pusterla, G. Vassilich, D. Verginella, C. Zarotti. 


Il colloquio epistolare fra Pietro Madonizza e Tomaso Luciani, oltre agli 
argomenti relativi a «La Provincia dell’Istria», trattava di storia patria, di vita 


M. MALUSA, Il carteggio de Madonizza-Luciani, Atri, vol XXI, 1991, p. 297-303 301 


municipale, delle associazioni locali, d'attività pubblicistico-editoriale, nonché 
di informazioni strettamente personali e private sulle loro rispettive famiglie. 

Tomaso Luciani," indagatore di archivi, funzionario all’archivio dei Frari 
a Venezia (dal 1871), socio corrispondente dell’Accademia di Wdine, ispettore 
agli scavi e monumenti di Venezia (dal 1875), stipulò nel 1873 un contratto con 
la Giunta provinciale dove si impegnava, per dieci anni, a decorrere dalla ces- 
sazione del suo impiego presso l’archivio di Venezia, ad occuparsi della rac- 
colta di materiali storici sull’Istria negli archivi veneziani, il che gli permise di 
scrivere sempre di cose istriane in molti giornali, come ad esempio, ne «Il Di- 
ritto» di Torino, «L'Alleanza» e «La Perseveranza» di Milano, «La Nazione» 
di Firenze, nonché in parecchi giornali che uscivano in Istria, dove godeva di 
ottima fama di fornitore di dati politici, amministrativi, economici, statistici, et- 
nografici, militari, storici, archeologici, ecc. 

Figura poliedrica, dunque, del secolo scorso, fu uno dei collaboratori più 
assidui de «La Provincia», che nonostante i nutriti ed interessanti articoli che 
conteneva, ebbe tuttavia scarsa diffusione. 


Nel 1881 il giornale ebbe 151 abbonati; nel 1882 scesero a 95, distribuiti 
a Capodistria, Trieste, Parenzo, Pola, Albona, Dignano, Pirano, Rovigno, Mon- 
tona, Fiume, Isola, Gorizia, Buie, Monpaderno, Umago, Volosca, Frosolone, Fa- 
sana, Seghetto, Zara, Muggia, Cittanova, Tolmino, Carnizza, Veglia, Cherso, 
Lindaro, Fianona, S. Domenica, Caroiba, Barbana, Grisignana, Corridico, Mi- 
lano, Cormons, Visignano.° 


Il giornale, che vide la luce nel clima austriaco, si trovò in crisi non po- 
che volte, e fu impresa faticosa dei suoi redattori a mantenerlo in vita. Anto- 
nio Madonizza, il primo dei suoi redattori, si lamentò di ciò e della poca col- 
laborazione che aveva. La stessa sorte toccò anche ai suoi successori, come lo 
stesso Piero Madonizza affermò più volte. 


5 Tomaso Luciani nacque ad Albona il 7 marzo 1818 da Vittorio Luciani e da Lucia Man- 
zoni. Dopo la morte del padre (1834), la madre lo affida all'educazione del maestro Antonio Ma- 
ria Lorenzini (1834-1842). Nel 1843 entra nel giornalismo scientifico e comincia a pubblicare ar- 
ticoli su «L'Istria» e «Il Museo di antichità» (fondati a Trieste da Pietro Kandler). Dal 1846 al 
1860 fu Podestà di Albona, carica che tenne fino al giorno della sua partenza per Milano. A_Ve- 
nezia si stabilì definitivamente nel 1871, dove accettò l’impiego di sotto-archivista nell'Archivio 
di Stato di Venezia. Nel 1873 Vittorio Emanuele Il gli conferì il titolo di cavaliere e nel 1875 il 
Governo Nazionale lo nominò Ispettore per gli Scavi e Monumenti della provincia di Venezia. 
Poliedrica figura del secolo scorso, Luciani si occupò di preistoria dell'Istria, storia politica, et- 
nografia, archeologia, paletnografia, biografia, bibliografia, folklore, lingua e letteratura latina, 
giornalismo, topogratia, idrografia, geologia, orografia, meteorologia dell'Istria; raccolse molte 
antichità nel territorio tra |’ Arsa, il Montemaggiore e il Quarnero e formò un piccolo Museo che 
arricchì in seguito con monete e campioni litici utili allo studio geologico e del territorio. Morì 
a Venezia il 9 marzo 1894. 


f E. Apui; C. Conn, Catalogo analitico della stampa periodica istriana (1807-1870), Ro- 
vigno, Centro di ricerche storiche, 1983 (Cataloghi di fonti per la storia dell'Istria e di Fiume 
vol. 1), p. 126-127. 


302 M. MALUSÀ, Il carteggio de Madonizza-Luciani, Arti, vol. XXI, 1991, p. 297-303 


Carlo Combi, conosciutissimo intellettuale del tempo, fu senza dubbio uno 
dei pochi ad interessarsi vivamente allo sviluppo culturale dell’Istria e, perciò, 
addirittura scongiurò Piero Madonizza a non sospendere la pubblicazione de 
«La Provincia dell’Istria» che, egli riteneva, era un periodico molto importante 
per la provincia. Doveva uscire, diceva, magari modestamente. Benché soste- 
nuto dalla perseveranza di alcuni fedeli, il giornale era però destinato a scom- 
parire, in seguito alle riduzioni di tiratura, alla stanchezza del piccolo corpo re- 
dazionale e alla nuova situazione politica e sociale che stava subentrando. 

Sfogliando le sue pagine vi troveremo articoli di vita politica e civile, 
sull’attività della dieta provinciale e della giunta provinciale dell’Istria, sulle as- 
sociazioni, istituzioni, società, corrispondenze e cose locali, articoli di storia pa- 
tria (generale, antica, medievale, moderna), notizie e scritti vari, appunti bi- 
bliografici d’argomento istriano e giuliano, necrologie, critica musicale, varia, 
ecc. Gli articoli assunsero un’impronta così dotta ed accademica da escludere 
la grande cerchia di una normale media di lettori, anche se le notizie di carat- 
tere storico, archeologico, glottologico, e via dicendo, costituiscono tutt’oggi 
una fonte di informazione inestimabile e preziosa. I suoi collaboratori rivolse- 
ro la loro attenzione ad argomenti lontani dalla realtà quotidiana di allora. Per 
questo motivo il giornale fu accusato di eccessivo intellettualismo, ben lontano 
dalle note introduttive del primo numero, dove si affermava «... questo vuol es- 
sere un giornaletto domestico, senza pretese di sorta...». 


M. MALUSÀ, Il carteggio de Madonizza-Luciani, Affi, vol. XXI, 1991, p. 297-303 303 


SAZETAK: Zhirka pisama de Madonizza-Luciani (1878-1889) o novinama «La Pro- 
vincia dell'Istria» - U ovoj radnji autorica predstavlja zbirku pisama De Madonizza- 
Luciani koja se fuva u Znanstvenoj Biblioteci u Puli, a odnosi se na list «La Provin- 
cia dell’Istria» (Istarska Provincija). 

Ima 19 pisama i obuhvadaju period izmedu 1878. i 1889. godine. Vlastoruéna su, 
datirana i poslana od Madonizze sva iz Kopra, osim jednoga (od 8.1.1885.) poslanog 
17 S. Nicolò d’Oltra. 

Navedena zbirka pisama, osim $to nam pruza podatke o Zivotu Luciani-ja i De 
Madonizze, vaZna je zbog sadrzaja, koJi su dio povijesti «La Provincia dell’Istria», no- 
vina od velikog kulturnog, historijJskog, ekonomskog i politiékog interesa za Istru. 


POVZETEK: Zbirka pisem de Madonizza-Luciani (1878-1889), ki zadevajo Casopis 
«La Provincia dell'Istria» - Avtorica predstavIja v tem delu zbirko pisem De Mado- 
nizza-Luciani, ki jo hrani znanstvena knjizniéa v Pulju in zadevajo Casopis «La Pro- 
vincia dell’Istria» (Istrska provinca). Gre za skupno 19 pisem iz obdobja 1878-1889. 

Ta lastnoroèna pisma je De Madonizza poslal iz Kopra, razen enega — to je pismo 
z dne 8. januarja 1885 — ki ga je poslal iz kraja S. Nicolò d’Oltra. 

Zbirka pisem nam posreduje nove podatke o Zivljenju obeh dopisovalcev, Lucia- 
nija in De Madonizze, poleg tega pa je pomembna tudi po svoji vsebini, ki jo Je iz njih 
razbrati. To je del zgodovine Casopisa «La Provincia dell'Istria», kulturno, zgodovin- 
sko, ekonomsko in politiéno tako pomembnega za vso Istro. 


LO STATUTO DI TERSATTO (1640) 
NEL TESTO ITALIANO 


ANELIESE MARGETIC 

Fiume CDU 340.13(497.13Tersatto)«1640)»=50) 
Fonte 
Ottobre 1989 


Riassunto - Il testo italiano dello Statuto di Tersatto del 1640 che si conserva presso 
l'Archivio del Monastero francescano di Tersatto non è da ritenere derivato dall’edi- 
zione croata perché presenta con evidenza in alcuni capitoli notevoli diversità. L’origi- 
nale, verosimilmente, venne redatto in tedesco. 


Nel passato Tersatto fece parte del dominio feudale del Vinodol («Valle del 
vino»): era la sua parte occidentale, ai confini col territorio di Fiume (Reka, 
Rika, oggidì Rijeka, Sankt Veit am Pflaum) dal quale la separava il fiume Fiu- 
mara. Di tutti i castelli del Vinodol il territorio di Tersatto era di gran lunga il 
più esiguo e abbracciava l’odierna SuSak dalla Fiumara fino al piccolo porto di 
Martinschizza appena qualche chilometro più ad est. Ciononostante la storia del 
castello di Tersatto è molto movimentata. Per alcuni secoli, dal principio del 
XII fino alla fine del XIV secolo fu un baluardo importantissimo dello Stato 
croato-ungherese verso i vicini signori di Fiume, prima quelli di Duino, poi i 
Walsee ed infine gli Absburgo. 

Nel secolo XIII nacque uno dei più preziosi documenti della storia del di- 
ritto e della cultura non solo croata, ma anche di tutti i popoli slavi — La Leg- 
ge del Vinodol — che è stata tradotta in italiano da chi scrive.! Questa Legge 


! L. MaRGETIC, «La Legge del Vinodol (1288) e l’Urbario di Grobnico (1700)», Atri del 
Centro di ricerche storiche di Rovigno, vol. XII (1981-1982), p. 173-193: per il testo della Leg- 
ge vedi p. 181-189. La Legge del Vinodol è stata pubblicata per la prima volta da A. MAZURA- 
Nic nel 1843 nella rivista Kolo. Tra le altre pubblicazioni di maggior importanza segnaleremo: 
V. JaciC, Zakon Vinodol skij [La Legge del Vinodol], Petrograd, 1880: F. RACKI, Hrvatski pisa- 
ni zakoni [Le leggi scritte croate], Zagabria, 1840 (Monumenta historico-juridica Slavorum Me- 
ridionalium, vol. IV); M. KOSTRENCIC nel Rad [Lavoro], dell’Accademia jugoslava delle scienze 
e delle arti, Zagabria, vol. 227 (1923); M. BARADA, Hrvatski vlasteoski feudalizam |Il feudalesi- 
mo nobiliare croato], Zagabria 1952; L. MARGETIC, /z vinodolske proslosti [Dal passato del Vi- 
nodol], Fiume, 1980: Vi. BraTULIC, Vinodolski zakon [La Legge del Vinodol], Zagabria, 1988. 


306 A. MARGETIC, Lo statuto di Tersatto (1640), Atri, vol. XXI, 1991, p. 305-315 


vigeva a Tersatto non solo ai tempi quando questo faceva parte del Vinodol, 
ma anche molto più tardi. Anzi, l’unico esemplare scritto in latino è stato sco- 
perto proprio a Tersatto. La redazione è del secolo XVII e ciò significa che la 
si considerava in vigore a Tersatto anche in tempi relativamente recenti. 
La legge del Vinodol è stata più tardi modificata in molti punti da un al- 
tro codice, dallo Statuto di Tersatto, scritto nel 1640. Esistono due versioni di 
questo statuto. La prima in lingua croata. La si conserva nella Raccolta di Ter- 
satto?: scritta tra il 1721 e il 1725, oltre allo statuto contiene anche l’Urbario e 
un repertorio delle consuetudini di Tersatto — tutto in croato con alcune parti 
scritte in italiano e latino. Questa versione croata è stata pubblicata da F. RaCki 
nel 1890,* ma con non eccessiva cura. Una nuova edizione curata da L. Mar- 
getié e M. Mogui è stata pubblicata nel 1991.* 
Esiste però anche una vecchia versione italiana che si custodisce nell’Ar- 
chivio del Monastero francescano di Tersatto. Questa versione italiana è stata 
pubblicata solo una volta circa 100 anni fa dal professore del ginnasio fiuma- 
no J. Jankovié, ma con poca cura. Infatti vi si trovano molti errori, come, per 
esempio, «agginto» (!) invece di «aggiuto» (aiuto), «sindici» invece di «giudi- 
ci», «inavertenza» invece di «incuria» e così via. 
Lo Statuto di Tersatto in lingua italiana non è una traduzione dal croato 
perché spesso il testo italiano è più soddisfacente e più chiaro di quello croa- 
to. Basta un solo esempio. L'art. 5 dello Statuto in italiano è compilato come 
segue: 
Se à qualch’uno fusse rubata qualche cosa di consideratione et il 
dannegiato non potesse con euidenti proue conuincer il ladro, mà 
bensi hauesse sospicione sopra tal uno, à questo si debba dar la cor- 
da ò sia tortura, e trouatolo reo, uenghi castigato, bandito e confi- 
scati li benni sotto l’ecc(el)sa Camera. 
Questa norma è accettabile soprattutto dal punto di vista della «sensibilità» 
medievale: la tortura è ammessa solo se si tratta di furto di cosa dal valore re- 
lativamente alto, non è dunque ammessa per i furti piccoli. Il testo croato suo- 
na così: 
Ako bi ta kome ukradeno na dvoru ili zvan dvora, tere ne bi mo- 
gel pokazati, ale bi imel sumnju na kega ili bi velika tadbina, da 
mu se da konop i ako si se na$al takov tat, da ima bit kaStigan kako 
zlotinac i bit bandizan i blago vazeto za kamaru, 

cioè 
Se fosse stato rubato qualcosa a qualcuno in casa o fuori casa e non 
si potrebbe provare, ma esistesse il sospetto su qualcuno o si trat- 


? Pubblicato da L. MARGETIC e M. Mogu$ in Zakon trsarski [La legge di Tersatto], Fiume, 
1991. 


3 F. RAGKI, op. cit. e Prilozi k povijesti grada Su$aka [Contributi alla storia di Su$ak], Su$ak, 
1945. 


4 L. MargETI6; M. Mogus, op. cir. 


A. MaRGETIC, Lo statuto di Tersatto (1640), Atri, vol. XXI, 1991, p. 305-315 307 


terebbe di un grande furto, si deve dargli la corda e se egli risulta 
come ladro, deve essere punito come un malfattore e bandito ed i 
suoi beni confiscati per il fisco. 

Il testo croato non soddisfa perché secondo questo testo la tortura sarebbe 
ammessa in due casi: 1) se qualcuno è sospettato di furto; 2) se si tratta di fur- 
to di una cosa di grande valore — dal che risulterebbe che la tortura era am- 
messa anche per un furto piccolo se il proprietario sospettava di qualcuno. Que- 
sto ovviamente non ha senso. 

D'altra parte neanche il testo croato può considerarsi come traduzione 
dall’italiano. Per ciò si possono addurre molti argomenti, tra l’altro lo stesso 
art. 5 testé citato dove il testo croato contiene le parole «na dvoru ili zvan dvo- 
ra» (in casa o fuori casa) che non si trovano nel testo italiano. 


Quindi, pare che l’unica soluzione possibile consista nell’ammettere un ter- 
zo testo che abbia servito da base per ambedue i testi. Forse in lingua tedesca? 
Questo non è da escludere dato che Tersatto era stato saldamente in potere de- 
gli Asburgo molti decenni prima della compilazione dello Statuto pubblicato. 
Inoltre, anche gli statuti della vicina Castua erano stati scritti in tedesco, italia- 
no e croato. Il testo in tedesco era quello ufficiale, quello in italiano era d’uso 
nell’amministrazione spesso in mano degli Italiani, mentre quello croato era in- 
dispensabile dato che il popolo parlava in croato e l’organo principale del co- 
mune, il consiglio comunale, era composto da Croati. 

Lo Statuto è stato trascritto in modo piuttosto negligente. Dopo l’art. 22 
(numerazione dello Statuto in croato) seguono gli articoli dal 35 fino a 47, poi 
il manoscritto prosegue con l’art. 23. Inoltre mancano gli articoli 59-66 e 68. 
Gli art. 73-77 e 80 mancano anche nel testo croato. La ommissione degli arti- 
coli non è imputabile allo scrivano ma al fatto che al momento della trascri- 
zione questi articoli non erano più in vigore. Anche questo prova che il testo 
italiano è più recente di quello croato. 

Per facilitarne il confronto a fianco degli articoli del testo italiano viene 
messa, tra parentesi, la numerazione dei rispettivi articoli del testo croato. 


5 Lo Statuto di Castua in croato è stato pubblicato da F. RAGKI, Prilozi, cit., p. 181-207; in 
tedesco da J. ZONTAR, «KastavSZina in njeni statuti do konca 16 stoletja» |Il Castuano ed i suoi 
statuti fino alla fine del secolo XVI], Zbornik znanstvenih razprav [Miscellanea di saggi scienti- 
fici], Lubiana, vol. XXI (1946), p. 201-216; in italiano da A. MARGETIC, «Lo statuto di Castua in 
italiano (1706)», Arti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, vol. XVII (1986-1987), p. 239- 
259. 


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APPENDICE 


Statuto di Tersatto fatto nouamente sotto li 24. aprile 1640). 
Presidenti nel castello di Tersatto l’ill(ustrissi)mi* si(gno)ri Giorgio lib(ero) b(aro)ne de Bar- 


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bo/Capitanio di Pisino /commissario deputato, et Steffano lib(ero) barone della Rouere, 
Capitanio di Fiume e Ter-/satto,/Assistenti anco il sig(n)ore® Gabriele© Zar piouano, Sala- 
mon Salamich satnico e giudici! To-/mich Materglian,/Matessa Zastan Matessa Matkoui- 
ch, Stanissa Turih' alias Masuranich, Stipan Sercoz, Gierolimo/Flego, Iuan Brencich, Ju- 
raij Jesich, Miha Bartolouich, luan Kirin, luan Valich, quali/tutti li seguenti puntif ratifi- 
carono et aprouarono" et aposero! il sigilo commune! etc. 

Se s(ua) Sig(no)ria IlI(ustriss)ima facesse sequestrare qualche cosa appresso d’alcuno! et 
se/questo senza saputa e/licenza restituirebbe la cosa sequestrata, sia tenuto del proprio 
reintegrar il sequestro. 

Se qualch’uno di notte tempo chiamasse aggiunto" et che sentito fosse, uenendosi" à ri-/ 
sapere quel tale che l’/haverà sentito, et non sarà uenuto a soccorrerlo s’intenda caduto 
nella pena di I(ire) 50 a/s(ua) Sig(no)ria/ill(ustrissi)ma Hire) 25 et l'altre alla chiesa di S. 
Giorgio. 

Se tal'’uno di giorno chiamasse aggiutoP et non fosse soccorso da quello che" sentirà, pa- 
gi la/pena di I(ire) 2, dico lire doi. 

Se tal’uno rubasse un vaso d’appi, uenendosi' à risapere, pagarà al patrone delle/ 
med(esi)me il/danno et per pena I(ire) 20). 

Se à qualch’uno fusse rubata qualche cosa di consideratione" et il dannegiato” non potes- 
se con euidenti? proue conuincer il ladro, mà bensi hauesse sospicione sopra tal’“uno, à 
questo/si/debba dar la corda sia tortura, e trouatolo reo, uenghi castigato, bandito e confi- 
scati li/benni sotto l’ecc(el)sa Camera. 

Se poi nella tortura non confessasse, quello, che lE'hauerà denuntiato®! et addossatogli 
falsa-/mente il/furto, sarà castigato con pena corporale ad arbitrio dell’ill(ustrissi)mo 
Sig(no)re b(aro)ne/Capitanio della prauda/et pagarà alla chiesa di S. Giorgio! I(ire) 20, 
altrte I(ire) 20 à Sua sig(no)ria/ill(ustrissi)ma et I(ire) 10 ali seniori. 

Per violenza da chiunque usata in casa sia di giorno ò di notte pagi la pena ©' di I(ire) 50. 
Se qualch’uno sapendo tal’aggressore et uiolatore non lo denuntiasse alla giustitia, anzi/ 
l'ascondesse in casa propria, pagarà l’istessa pena. 

Cos'anco! trovando taluno qualche persona à dannegiare nelle vignie altrui e non de- 
nun-/ciandolo pagi la pena di I(ire) 6. 

Se qualche suddito di Tersatto uendesse li suoi beni ad’un’altro, che non fosse suddito, 
senzafinsinuatione®! e licenza della Sig(no)ria et ch'andasse ad habitare!! in altro territo- 
rio, per-/da tutti/li detti beni uenduti d'esser! diuisi per la mettà trà I'II(ustrissi)mo 
Sig(no)re B(aro)ne/Capitanio et l/prauda; se però non li uendesse un suddito al’altro, in 
quel caso si debba formar l’instru-mento/per uia della cancellaria di Tersatto, altrimento 
s'intenda nullo. 


lv 
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Ad ogni femina di buona fama si debba prestare fede. 

Se qual’uno senza esser richiesto uorrà testificare in judicio! pagi la pena di I(ire) 2, et il 
dan-/no/ch’hauerà®! causato et cio per non esser richiesto. 

Se saranno" posti li guardiani giurati da inuigilare sopra le vignie trouando questi qual- 
ch'uno/à dannegiar nelle med(esi)me et potendo leuargli qualche segno per conuincerlo, 
gli lo/ dobbar leuare/et in deffetto di ciò lo denunciarano, et pagarà la pena I(ire) 2 
all’IlI(ustrissi)mo Sig(no)r"/B(aro)ne Capitanio/I(ire) 2 alli seniori et I(ire) 2 alli denun- 
cianti oltre il danno che hauerà" fatto al padrone della/vignia. 

Trouando li pred(et)ti guardiani è dannegiar qualch'uno et non denunciandolo, paghino! 
l’istessa pena/di I(ire) 6, cioè I(ire) 2 all'IlI(ustrissi)mo Sig(no)r B(aro)ne Capitanio, I(ire) 
2 alli seniori/et (ire) 2 à quello che l’haueràP acusati. 

Se qualch’uno auertirà il guard(ian)o à leuar qualche cosa dale med(esi)me vignie, à en-/ 
trar in essa senza/bisognio, pagarà il d(ettto guardiano la pena di I(ire) 8, la mettà per 
quello che l’hauerà"!/accusato. 

Se qualch'uno cadesse nella pena et ciò fosse per causa delli" beni della chiesa, ò del 
piouano,/la! mettà/d'essa pena uà!' al castello et l’altra mettà alla chiesa. 

Se uno bastonasse ò ferisse l’altro quando u’apparisce ettusion di sangue uà all’IlI(ustris- 
si)mo/Sig(no)re Barone/capitanio I(ire) 6 di pena et oltre di ciò debba sentar la prauda à 
giudicar sopra le ferite/come pure sopra li lucri cessanti et danni emergenti del ferito. 

Se tra maschio e maschio o femina e femina passaranno parole ingiurose, siano condan- 
nati/dalla/Prauda nella pena di I(irc) 50 et quello che si trouarà esser statto” origine di ta- 
li parole/dimandi perdono ad altro. 

Se qualch'uno ingiurasse tal’uno de? seniori senza causa e motiuo, cada nella pena di/ 
I(ire) 25/d’esser diuise tra l'Ill(ustrissi)mo Sig(no)r B(aro)ne Capitanio e la Prauda ò pure 
l’ingiu-/rante uenghi/castigato coll’aresto. 

Se uno assaltasse l’altro e l’amazasse, uada la testa per testa, se fosse preso e* ricono- 
sciuto/il caso appresso S(ua) M(aestà) Cl(esar)lea et oltre di ciò sia tenuto à pagare la pena 
di/I(ire) 100, Kire) 20 de/quali andaranno alla chiesa di San Giorgio. 

Se l'homicida non si potrebbe hauer nelle mani e che non hauesse?? figliuolanza, li sian 
con-/fiscati li beni per °°? Ecc(el)sa©° Camera, hauesse creature, li si darà raggioneuole 
sostenta-/mento/et il resto de beni paterni uenghi confiscato a risserua‘? delli©? materni. 
che non deuono/esser sogetti à tal confiscatione,!? mà liberi d’essa. 

Dc tali beni s'assegniarà® un raggioneuole sostentamento alla fameglia"? dell’interfetto/ 
come/riconoscerà la prauda à consideratione che l’ucciso padre l'hauerebbe!? douuto/ali- 
mentare 


Se tal’una sofocasse la propria creatura et che non succedesse per disgrazia, et essa uo- 
lesse/aparir innocente, gli uada la testa, come pure à quello, che in ciò l’hauerà! instiga- 
ta/o indotta. 

Se qualche madre sofocasse nella cuna la propria creatura per negligenza e incuria £° pa- 
garà di/pena alla chiesa I(ire) 25 et alla Prauda Iire) 25 

Se fosse trozata tal'una che esercitasse stregarie, se hauerà d’affare col diauolo,!? sia bru-/ 
sata. 

Se poi non hauesse d'affare col diauolo pagarà di pena I(ire) 100, all’Ill(ustrissi)mo/ 
Sig(no)re Barone/Capitanio I(ire) 80, alla Prauda I(ire) 20, oltre l’esser frustata per tutto il 
villaggio. 

Se qualche femina prostituisse se stessa, ò pure inducesse qualche d’un’altra à prostituirsi 
pa-/garà la pena di I(ire) 50, oltre esser frustrata!" ad essempio dell’altre. 

Se una che fosse grauida andasse in chiesa per sposarsi con la corona per far uedere che/ 


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sia/puta e vergine, uenendosi a risapere il suo parto prima del tempo, sia perciò dalla spi- 
ri-/tualità giudicata e castigata. 

Se Tall’uno facesse alli pastori sforzo ò uiolenza, uenendosi questi à lamentarsi, sia à 
medemi/creduto/et paghi I(ire) 25 di pena. 

Se qualch’uno uolesse sforzar è uiolar l’altrui porte, per apportargli qualche danno ò no-/ 
cumento"?/pagarà la pena all’IlI(ustrissi)Ìmo Sig(no)re B(aro)ne Capitanio I(ire) 80, alli se- 
niori Iire)/20 et li si debbano/dare tre tratti di corda senza alcuna misericordia. 

Se qualch’uno di notte si lasciasse sentire con qualche voce non decente ad un Christian 
co-/me/vrli ò altro, pagarà la pena all’IlIustrissi)Ìmo Sig(no)re B(aro)ne Capitanio I(ire) 
60, alla/Prauda Hire) 20/e alla chiesa Hire) 20, oltre 1° esser bandito anni quatro. 

Se tall'uno venisse à intrigare?? porte della casa ò nel cortille dell’altro et che restasse/ 
ammazato, si intenda ben ammazato et se uenisse lamentarsi pagarà di pena I(ire) 100. 
Se tall’uno per inuidia è altra maleuolenza incendiasse la casa d’un’altro, gli uada la te- 
sta/et pagarà di pena I(ire) 100 all’IlIKustrissi)mo Sig(no)re Bar(on)e Capitanio Hire) 50, 
alla/chiesa di S. Giorgio/I(ire) 25, alli seniori Ire) 25. 

Ogni casa, che si ritroua sul fondo del castello et nella quale u’habita la gente, deue 
ogn’'*/anno uerso la festa di San Michele dare nel castello per straza!? di vino netto mog- 
gio/uno ò pure un ducato; se poi entro non habitassero!? gente et"? non ui?? facesse fuo- 
co/sarà/libera di tall'*3 aggrauio. 

Se qualch'una di dette case non pagasse tre anni conseguentemente l’aggrauio®3 d’un 
moggio di vino/o I(ire) 6 al castello s'intenda caduta sotto il med(esi)mo castello dietro 
l'antica consuetu-/dine 

Se qualch’uno di nuouo fabricasse la casa e uorebbe stabilirsi è Tersatto, il primo anno 
sij°3 li-/bero d’ogni/aggrauio.8 

AI satnico d'ogni casa uerso il carneuale, se non prima, uano soldi 14. 


Se tal’uno rubasse qualche cosa in chiesa!3 et che il furto fosse di poccha consideratione,/ 
pagarà di pena I(ire) 50, la mettà alla Sig(no)riag3 et l’altra mettà alla Chiesa. 

Se poi il furto fosse di consideratione,"3, li uada la testa come ad altri ladri, ma se il la- 
dro s'in-/sinuasse al satnich et esso lo tacesse senza denunciarlo.53 pagarà/il satnich I(ire) 
50 et sarà/obligato a cerchare il danno come saprà 

Il danno che tal"? uno facesse con animali bouini d’ogni capo uadi! pena I(ire) 2 et 
dell’ani-/mali minuti pecorini per cadauno I(ire) 4, oltre il danno dà pa-/garsi al dannegia- 
to, restanto/bandite le capre. 

Se tal’""3 uno trouasse qualche cosa e non la palesasse, anzi lo tenisse nascosta, uenutosi 
alrisapere, pagarà la pena di I(ire) 15 all’Ill(ustrissi)àmo Sig(no)re"? Barone Capitanio e/ 
I(ire) 10 alli seniori/e la robba trouata sia restituita al padrone, mentre in tal caso si deue 
reputare come se fosse stata rubata. 

Ad ogni testimonio che giurarà, quello, che l’hauerà 
pagar/li”3 Iire) 1.4. 

Se poi questo tale giurasse il falso e si trouasse spregiuro, pagarà la pena di I(ire) 
50/Kire) 25/all’IlIustrissi;mo Sig(no)re'3 B(aro)ne Capitanio et 25 alla Prauda e sia fru- 
stato 

Se tal’uno dicesse qualche cosa contro la Prauda et ciò non potesse prouare, pagarà la 
pena/di I(ire) 50 et sarà tenuto è disdirsi,$* dicendo che quello ha detto, ha detto à se me- 
demo. 

Per tal qual uiolenza usata nelle strade publiche con bastonate, ferite è altro, si paga la/ 
pena di I(ire) 50. 

Se uicendeuolmente due di loro uenissero à parole ingiurose ò pure anco alle mani, et 
poscia/s"8 aggiustassero senza Prauda, per la pacificatione“8 uanno I(ire) 2. 


93 indotto è richiesto, sarà tenuto à 


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Se poi una di queste parti uenisse à querellarsi et adimandar judicio ò sia Prauda, non/ 
ostante che poscia s’? aggiustassero, la Prauda douerà giudicare, non però con tal/vigore, 
come se non si fossero agiustati e composti et il reo sarà tenuto pagar tutte le/spese e per 
la pacificatione?? come sopra etc. 

Per sforzo o uiolenza usata da taluno libero a una putta, sia tenuto à sposarla et il/caso 
sia giudicato dalla spiritualità. 

Per sforzo o uiolenza usata da tall'*#* uno alla moglie altrui, gli uada le testa e se di-/ces- 
se qualche cosa al contrario, che non potesse prouare, pagarà la pena di I(ire) 50 

Se tal’uno sforzasse una meretrice pagarà di pena alla chiesa I(ire) 25 et alla Prauda/Iire) 
25: 


a4 


Chi uorrà uender ò far incantar qualche pezzo di terra, dourà insinuarsi per la licenza/ 
all’Illu(strissi)mo/Sig(no)re®* B(aro)ne Capitanio. 

AI satnico per l’incanti©* d'ogni paesano uano soldi 12, dal forastiero Iire) 1.4. 

La terra che fosse uenduta et che non fosse stata!” quatro uolte incantata nel termine di/ 
sette settimane/cioè ogni seconda domenica una uolta, si può sempre recuperare all’incon- 
tro quando è in-/cantata/tutte le quatro uolte resta à quello all’instanza di cui sono 
seguiti©* l’"incanti e l’instru-/mento84/si dourà fare per uia della cancellaria di Tersatto, 
altrimenti si intenda inualido. 

Per comprar et"4 ricuperar sull’incanti sempre è primo, et anziano il paesano. 

Quello, che ardirebbe uiolar la croce postagli per ordine della Sig(no)ria cade nella pena 
di/I(ire) 50 quando/non gli su comminasse prima la pena di I(ire) 25 et in tempo gli si 
pone detta croce/deuegli/esser intimata e fatta la relatione'* nella cancelleria. 

Se in qualunque loco qualch'uno s’’appropriasse del territorio comune** senza licenza 
della/Sig(no)ria, e delli seniori, è degno di castigo secondo ritrouarà la Prauda e si douerà 
pore/l’aggrauio del bir sulla quaderna 

Se si trouasse tall'uno che hauesse!* tagliato legnami nè"4 lochi"' interdetti sottò santa 
cro-/ce, pagarà/la pena di I(ire) 50. 

Quando uien a mancare un seniore della Prauda, deuono l’altri seniori uenire 
all'elettione®/d’un/nuouo e presentarlo alla Prauda ò pure all’Illustrissi)mo Sig(no)r 
B(aro)ne Capitanio,/quale li darà il giura-/mento di uoler amministrar indiferentemente 
giustitiaP* è tutti. 

Quello che fosse citato alla Prauda, e non conparirebbe'* facendo il satnico la relatione®/ 
d'hauerlo/citato, pagarà la pena I(ire) 8, Hire) 3 all'IlI(ustrissiàÌmo Sig(no)re B(aro)ne Ca- 
pitanio,/I(ire) 2 al sig(no)r luogotonente ò/preside in quella Prauda I(ire) 2 alli seniori e 
I(ire) | al cancelliere. 

Se li frateli doppo morte de loro genitori uenissero à diuidere et hauessero!* qualche so- 
rella,/questa/debba star in casa sino uenirà a marito, in qual caso siano essi tenuti dietro 
la possibilità/à do-/tarla, se non fossero sufficienti motiui di separarla prima come per dis- 
senssioni è altro. 

La sorella non può pretendere la portione dè beni paterni mà bensì de materni. 

Quando si uà ala uisione lochale, uiene per stafa all’IlI(ustrissi)mo Sig(no)re' B(aro)ne 
Capita-/nio I(ire) 8, alli seniori/I(ire) 6 et al cancelliere I(ire) 1.4 facendosi poi la sentenza 
per la sessione di nuouo I(ire)/6 et al/cancelliere Hire) 1.4. 

Il satnico l’anno del suo otficio può far pagare sino I(ire) 10 e si debba scriuere la sua/ 
dichia-/ratione"4 in ordine è tali pagamenti, è cui deuono esser obbedienti li soldati?4 
quando/deue esse-/guire qualch'ordine ò commando della Sig(no)ria et per ogni pegnora, 
che farà li ua I(ire)/1.4. 

Il satnico è libero e franco d'ogni et qualunque aggrauio?5 nell’anno del suo satnicato 


(71) 


3v 


(72) 


(78) 
(79) 


(81) 


SIR 


A. MARGETIC, Lo statuto di Tersatto (1640), Arri, vol. XXI, 1991, p. 305-315 


Le strade publiche communib5 sono tenuti tutti li sudditti agiustare et nettare cioè dà Dra- 


ga/sino a San Lorenzo et da Tersatto sino al punte©? della Fiumara et la Sig(no)ria dara 
in/agiuto/di ciò due mistri. 


Le strade communi® di Pouuesicza doueranno agiustare li Vesizani, li Varossani, Stremi- 
zani©S/e/quelli di Misseuo sello dell? castello sino la capella posta à meza strada come 
tutte®5 le/altre strade e vicolli"9 e chi non comparirebbe, pagarà Iire) 2 à quello che lauo- 
rarà per/esso. 

A questo anco saranno tenuti li Studenzi, ogn’uno appresso la sua vicinanza, fuori di Ru- 
pna/che dietro li bisogni con lauoro commune! di tutti dourà esser agiustato!9, 

Quello che concerne la dignità et authorità!5 episcopale e parochiale queste si lasciano è 
giudi-/care/e castigare come per il passato. 

In tutte l’altre cose debbano li Tersachiani regolarsi dietro il Tripartito Vngarico. 


(altra mano) Statuto di Tersatto 
dell’anno 1640 


A. Marcetié, Lo statuto di Tersatto (1640), Azzi, vol. XXI, 1991, p. 305-315 313 


= ide 


ml 
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pil 


Ilistrisimi 
Signor 
Gabrel 
sindici 
Zazan 
Turich 
Puncti 
aprouarono 
aposero 
comune 
om. 

alcuno 
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venerdosi 
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agginto 
quelloche 
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verendosi 
considerazione 
danngiate 
evidentia 
tal uno 

l avera 
denunziato 
S. Giougio 
paghi la pena 
anche 
insinuazione 
abitare 
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Giudicio 
ch’avrà 
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Sigr. 

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A. MARGETIC, Lo statuto di Tersatto (1640), Arti, vol. XXI, 1991, p. 305-315 


avesse 
legniami nei 
loghi 
elezione 
Giustizia 
comparirebbe 
relazione 
avessero 
Sig. 
dichiarazione 
Soldeti 
Aggrario 
comuni 
ponete 
comuni 
Stremiczari 
dal 

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comune 
aquistato 
autorità 


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A. MARGETIC, Lo statuto di Tersatto (1640), Arri, vol. XXI, 1991, p. 305-315 


SAZETAK: Trsatski Statut (1640) - talijanska verzija - Autorica donosi tekst Trsat- 
skog statuta iz 1640. na talifanskom jeziku prema kopiji koja se èuva u Arhivu Franje- 
vatkog samostana na Trsatu. Taj tekst je veé god. 1886. objavio J. Jankovié, ali s mno- 
gim veéim i manjim greskama. Iz krafe analize koju daje autorica vidi se da talijan- 
ski tekst nije prijevod hrvatskog teksta, takoder satuvanoga, jer na vise mjesta talijanski 
Je tekst bolji i logièniji od hrvatskoga. Kako s druge strane i hrvatski tekst ima na 
nekim mjestima bolji tekst od talijanskoga, proizlazi da je morao postojati neki treci 
tekst. Autorica dokazuje da je to morao biti tekst pisan na njemaékom jeziku. Sliéno 
Je uostalom bilo i u Kastvu, gdje su takoder postojala tri teksta, na hrvatskom, ta- 
lifanskom i njematkom. Njemaéki Je bio sluZbeni, talijanski su upotrebljavali upravni 
organi, najéeSfe Talijani, a hrvatski je bio potreban zato Sto je putanstvo bilo hrvat- 
ske narodnosti. 

Talijanski tekst Trsatskog statuta vaZna je karika u razvoju pravnog sustava na 
Trsatu, od kojeg poznajemo kao prvi element Vinodolski zakon. 

Autorica uz tekst donosi i biljfetke u kojima navodi razlike od Jankoviceva iz- 
danja. 


POVZETEK: Statut Trsata (1640) v italijan$Cini - Avtor objavlja besedila Statuta Tr- 
sata iz leta 1640, ki je bilo napisano v italijanStini in je shranjeno v trsatskem 
frantikanskem samostanu. Isto besedilo je z veliko pozornostjo pripravil za objavo J. 
Jankovié leta 1886, ko je tudi prviè iz$lo. 

Iz kratke avtorjeve analize lahko ugotovimo, da omenjeni Statut v italijan$èini ni 
preveden iz hrvaSkega Jezika, zakaj pogosto je italijanski tekst Jasnej$i in popolnejii 
od hrvaskega. Z druge strani pa Je treba reti, da tudi hrvako besedilo ni prevedeno 
iz italijanskega. Avtor zato domneva, da obstaja neki tretji tekst, po vsej verjetnosti 
napisan v nem$éini, ki je bil podlaga ostalima dvema. Tudi statuti bliZnjega kraja Ca- 
stua so bili namreé napisani v treh jezikih: nemSéini, italijan$éini in hrvaStini. Pri tem 
Je bilo nem$ko besedilo uradno, italijansko se je uporabljalo v administraciji, hrvaski 
tekst pa Je bil neobhodno potreben Ze zato, ker je Ijudstvo govorilo ta Jezik. 

Italijanska redakcija trsatskega Statuta predstavlja pomembno fazo v razvoju prav- 
nega sistema v Trsatu, katerega prva stopnja se navezuJe na zakon iz Vinodola. 

Poleg teksta prinasa avtor nekaj opomb, ki pojasnjujejo razlike med to in Janko- 
viéevo izdajo. 


MONUMENTO FUNERARIO ROMANO 
SCOPERTO A ZAMBRATTIA (UMAGO) 


ROBERT MATIJASIC 


Museo archeologico dell’Istria CDU 929.5(497.1 3Istria)«652» 
Pola Saggio scientifico originale 
Gennaio 1989 


Riassunto - Il saggio tratta del ritrovamento di una stele romana con epigrafe nei pres- 
si di Zambrattia (Umago), in un’area già nota come località archeologica di particola- 
re interesse. L'autore descrive la tipologia di questo reperto (apparteneva, verosimil- 
mente, ad una costruzione destinata ad abitazione o ad attività economiche) e analizza 
l’epigrate che riporta il gentilizio Teidius ed i nomi Donatus, Zosima ed Eulimenus. 
L’esemplare di Zambrattia va annoverato tra le stele con edicola e ritratto dei defunti 
(nel nostro caso tre) e arricchisce il patrimonio artistico, ritrattistico ed epigrafico del 
Carso di Buie. 


Tra i reperti archeologici che ogni anno vengono ad arricchire i musei e le 
collezioni dell'Istria, certamente un posto significativo spetta al ritrovamento di 
un monumento funerario romano, di una stele, avvenuto nel corso dei lavori di 
sterro infrastrutturali nei pressi dell’abitato di Zambrattia, lungo la costa nord- 
occidentale dell'Istria tra Umago e Salvore, nel comune di Buie. Dato che es- 
so è stato già esaminato superficialmente in una breve nota, in questa sede ne 
viene presentata una descrizione più particolareggiata come merita la sua rile- 
vanza. 


Durante lo scavo del canale per il collettore tra Zambrattia e il villaggio 
turistico di Sipar, gli operai s’imbatterono, il 20 o il 21 di giugno 1986, in un 
blocco liteo che venne estratto e deposto a lato. Si trovava a una profondità di 
circa un metro e giaceva con la faccia rivolta verso il basso; venne lasciato nel- 
la medesima posizione lungo il canale e appena il 29 o 30 giugno, qualcuno 
degli addetti ai lavori si ricordò di capovolgere la lastra di pietra: comparve il 
lato anteriore di una stele sepolcrale romana con rilievi nella parte superiore e 
un'iscrizione nel campo inferiore, più piccolo. 

Il giorno 30 giugno 1986 qualcuno degli abitanti del luogo, che aveva no- 
tato questo casuale reperto, avvertì il parroco di Salvore, S. Jelenié e costui, il 
giorno seguente, informò gli organi comunali di Buie. Già il 2 luglio il parro- 


! L. PARENTIN, «Stele funeraria romana a Zambrattia (Umago)», Atti e memorie della So- 
cietà istriana di archeologia e storia patria (in seguito: AMS/), Trieste, n.s., vol. 34 (1986), p. 
163-165. 


R. MaTIJasIC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Atri, vol. XXI. 1991, p. 317-331 


318 


co, previo benestare di massima della Comunità d’interesse autogestita della cul- 
tura di Buie, sistemò la stele accanto alla parete della vicina chiesetta di S. Ma- 


ria Maddalena, dove giace ancor oggi.” 


Salvore de 


è 
S.Pietro 





2 Informazioni tratte dalla lettera di S. Jelenié, parroco di Salvore, al quale esprimiamo la 
nostra gratitudine anche per la cura riposta nella conservazione del monumento. 


R. MaTIJasiC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Atti, vol. XXI, 1991, p. 317-331 319 


Il punto, in cui è stato rinvenuto il reperto, si trova alla periferia di una zo- 
na architettonica antica, nota da un pezzo come località archeologica e come 
elemento topografico. Muri antichi sono visibili sulla costa meridionale della 
baia tra la penisola di Sipar e il casale di Zambrattia (Fig. 1). Dal profilo lito- 
raneo emergono pareti con pavimento intonacato; sono state trovate anche al- 
cune tessere musive. Il terreno retrostante alla costa è un po’ ondulato così da 
far presentire la presenza di resti murari e intuire l’ampiezza della stessa co- 
struzione.* 

Lo scavo per il collettore della canalizzazione ha tagliato questa località 
lungo la linea del litorale, a circa 20 metri da esso. Durante la nostra esplora- 
zione* abbiamo notato una grande quantità di frammenti di ceramica sparsi su 
circa 100 metri di canale, più fitti nella parte distante circa 50 metri dalla via 
di comunicazione Umago-Salvore. La linea dello sterro è ben visibile solo nei 
punti in cui sono stati costruiti i tombini; lo spessore dello strato culturale è so- 
lo di circa 40 cm, subito sotto la supeficie del terreno. Uno di questi pozzetti 
è stato collocato proprio sulla punta della baia, nei pressi del molo; in tale zo- 
na è stata scoperta la stele antica, oggetto della presente annotazione. 

Nelle immediate vicinanze giace, parzialmente distrutto, un cumulo mino- 
re, un ammasso di pietrame coperto da alberi e da cespugli, che rivela in due 
punti resti murari di tipica fattura antica eretti in blocchi litei squadrati. In que- 
sto posto è stato ritrovato pure il frammento di una tegola antica con parte del 
marchio di fabbrica (Cri)SPINILL(a) (Fig. 2).° Tutte queste circostanze dimo- 
strano in modo inconfutabile che nel caso di questo reperto architettonico si 
tratta di una costruzione destinata ad abitazione o ad attività economiche, che 
sorgeva lungo la riva del mare ed era il centro di un podere agricolo.® 


Il monumento è alto 168 cm, largo 100 cm, spesso 15-18 cm (Fig. 3); è 
fatto di calcare granulare biancastro; la pattina sottile che qua e là lo ricopre 


3 A. GNIRS, «Neue Funde aus der Gegeud zwischen Kap. Salvore und Cittanova», Jahrbu- 
ch ftir Altertumskunde, Vienna, n. 2 (1908), p. 216-217; D. VrsaLoviC, Arheolo$ka istraZivanja 
u podmorju istoénog Jadrana [Ricerche archeologiche sottomarine nell’ Adriatico orientale], Za- 
gabria, 1970, p. 138. 


* Relazione compilata dall’autore di questi lavori dopo l’esplorazione della località, esegui- 
ta il giorno 18 luglio 1986, su segnalazione, alquanto in ritardo, della Comunità d’interesse au- 
togestita della cultura del comune di Buie. 


5 A proposito di tale marchio cfr. C. GREGORUTTI, «Le marche di fabbrica dei laterizi di 
Aquileia», Archeografo Triestino (in seguito A7), Trieste, n.s., vol. 14 (1888), n. 66; R. MA- 
TYASIC, «Radionitki Zigovi na antitkim opekama zbirke Arheolo$kog Muzeja Istre» [I marchi di 
fabbrica sui mattoni antichi del Museo archeologico dell’Istria], Jadranski zbornik (in seguito JZ) 
[Miscellanea adriatica], Pola-Fiume, vol. 12 (1985), p. 296. 


6 Sull’architettura rurale antica dell’Istria cfr., in modo oltremodo sintetico, R. MATUJAZIO, 
«Alcune considerazioni sulle forme d’insediamento rustico in Istria dal III al VI secolo», Pro- 
blemi storici e archeologici dell’Italia nordorientale e delle regioni limitrofe dalla preistoria al 
medioevo, Atti dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste, Quaderno XIII-II, Trieste, 1984, p. 
231-243. 


320 R. MATYASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Arti, vol. XXI, 1991, p. 317-331 





? 





Fig. 2. 





Fig. 3. 


R. MATIASIC. Monumento funerario romano a Zambrattia, Atri, vol. XXI 1991. p. 317-331 321 


permette di dedurre che sia stato a contatto con l’acqua marina (è stato anche 
scoperto nei pressi del mare). I guasti verificatisi nel corso del rinvenimento 
hanno, in effetti, colpito la parte inferiore e gli orli. La lavorazione risulta su 
tutti i lati grossolana; i fianchi sono danneggiati; solo la superficie anteriore è 
trattata a rilievo. I due terzi superiori sono occupati dalla decorazione consi- 
stente nella raffigurazione di tre defunti in edicola e in un frontone sovrastan- 
te, mentre il terzo inferiore è riservato ad un’iscrizione disposta in tre righe: 

Q.TEIDIVS.DONATVS 

TEIDIA.ZOSIMA V.F. 

TEIDIO.EVLIMENO.FILIO 


La parte superiore, ornamentale, della stele è alta 119 cm; è stata concepi- 
ta come un'edicola incorniciata lateralmente da un pilastro levigato terminante, 
all’estremità, con una profilatura semplice. Il campo centrale ha un’altezza di 
90 cm ed è chiuso in alto dal passaggio, lievemente arcuato, al «frontone» e in 
basso da una modanatura stilizzata. 


In esso è collocato il rilievo dei tre defunti rappresentati in posizione sta- 
tica, a mezza vita. Il loro capo e la loro faccia sono assai danneggiati e non 
permettono un’analisi stilistica esatta. A_ giudicare dalla concezione della testa, 
rispettivamente della raffigurazione nel suo complesso, le immagini di sinistra 
e di destra si riferiscono a degli uomini, quella centrale a una donna. 


Le tre figure, strette l’una all’altra, palesano modalità schematiche identi- 
che e ripetitive; indossano delle tuniche; le loro pieghe stilizzate fasciano il col- 
lo, attraverso il quale è gettata la toga (Fig. 4)” Un’estremità di quest’ultima 
copre la spalla e una mano. La mano destra di tutti e tre i defunti è avvolta dal 
tessuto e disposta sul ventre in modo tale da fissare la toga arrotolata su essa 
gettata. Mentre le mani delle figure laterali sono quasi orizzontali rispetto al 
piano del monumento, quella destra dell’immagine centrale è leggermente pie- 
gata. Contemporaneamente, sembra che la figura centrale tenga in mano un og- 
getto; è difficile però individuarlo con certezza a causa dei guasti subiti dalla 
sua superficie; accanto alle mani degli altri due defunti è visibile un grappolo 


stilizzato. 
(| 


Le teste, eseguite in altorilievo, sono gravemente danneggiate; si sono con- 
servate solo le parti più profonde, l’acconciatura dei capelli e gli orecchi; pare 
che vicino al collo del rilievo mediano sporgano resti di riccioli richiamanti una 
pettinatura femminile; questo particolare permetterebbe l’identificazione di una 
defunta sulla stele. Il volto delle tre immagini è coperto dagli effetti della cor- 
rosione di colore rosso-brunoscuro; inoltre quello della figura di destra è par- 
zialmente staccato. 


? L. BONFANTE WARREN, «Roman Costumes. A glossary and Some Etruscan Derivations», 
Aufstieg und Niedergang des rimisches Welt, Berlino-New-Jork, vol. I, 4 (1973), p. 584-614, in 
particolare p. 612-614. 


322: R. MaTtIASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Arri, vol. XXI, 1991, p. 317-331 


Come è stato rilevato, il passaggio dal campo centrale alla parte superiore 
decorativa della stele è lievemente arcuato; tale parte superiore assomiglia a un 
frontone stilizzato, i cui lati obliqui hanno la forma di un’assicella, con al cen- 
tro una nicchia, ornata ai due lati da un serpente stilizzato. 





In tale nicchia poco profonda, un po’ più elevata del campo del «fronto- 
ne» incornicato da listelli, è sistemata la testa di donna in rilievo (Fig. 5). Il 
volto è ovale, la superficie è danneggiata; si è però conservato il contorno es- 
senziale della bocca, degli occhi e degli orecchi. Anche la pettinatura ha subi- 
to danni; sono rimaste solo alcune incavature eseguite con il succhiello riferi- 
bili, evidentemente, ai riccioli di cui era fatta tutta l’acconciatura dei capelli. La 
nicchia sul lato inferiore è chiusa dal passaggio danneggiato alle spalle, rispet- 
tivamente al busto di questa figura femminile. Sul lato superiore essa risulta lie- 
vemente arcuata e integrata dalla pettinatura, per quello che è possibile desu- 
mere nonostante i guasti notevoli. 


Su ambedue i lati della nicchia con testa, precedentemente descritta, sta una 
semipalmetta con cinque foglie intrecciate, dalle estremità piegate. Similmente 


R. MATIJASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia. Atri, vol. XXI, 1991, p. 317-331 323 


semipalmette stilizzate in modo ancor più accentuato fiancheggiano esterna- 
mente il frontone sotto forma di acroteri laterali sovrastanti le colonnine. Su 
ogni lato della nicchia, sopra il campo del frontone, stava un fiore stilizzato di 
quattro petali regolari, di cui quello di sinistra si è in parte conservato, mentre 
quello di destra è stato completamente distrutto. 





Fig. 5. 


Agli angoli tra il frontone e le estremità della lastra litea è sistemata la fi- 
gura di un Genio alato in rilievo. L'impostazione figurativa si è adeguata allo 
spazio disponibile: le teste e le mani disposte proprio all’orlo del monumento 
sono andate perdute; il corpo è nudo, in posizione orizzontale come nel volo, i 
piedi piegati in modo da seguire la linea del frontone e del blocco. In rilievo è 
stata eseguita un’ala di ogni figura, la quale pure rispetta l’andatura superiore 
della massa litea. 


L’iscrizione mostra caratteri regolari e netti; è ben conservata e non pre- 
senta difficoltà particolari per quanto concerne la lettura (Fig. 6): 


Ql[uintus] Teidius Donatus 
Teidia Zosima v[ivi]) f[ecerunt] 
Teidio Eulimeno filio. 


324 R. MaTIJASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Atti, vol. XXI, 1991, p. 317-331 


Le parole sono separate da interpunzioni oblique di forma triangolare as- 
somigliante alla virgola e all’apostrofo. È disposta nel suo complesso in modo 
alquanto assimetrico, come se lo scalpellino non avesse tenuto sufficientemen- 
te conto dell’ampiezza del testo: l’epigrafe comincia sotto il pilastro sinistro e 
termina accanto a quello destro; il margine del lato destro è superiore alla lar- 
ghezza di una lettera. Il testo è in caratteri capitali classici; sono rilevabili, an- 
che se ad un esame superficiale, determinate irregolarità nelle dimensioni del- 
le singole lettere, perché, ad esempio, le lettere «E» e «F» sono particolarmen- 
te strette, mentre le «0», «Q» e «Z» sono larghe, in specie quest'ultime che nel- 
la terza riga si avvicinano interamente a un cerchio regolare. Caratteristica è an- 
che la lettera «S» con «curve» assai strette e con una lunga linea trasversale di 
collegamento. 





Particolare attenzione merita la prima lettera «I» del nome gentilizio Tei- 
dius, più alta delle altre e ripetuta in tutti i tre casi, in cui essa compare. Que- 
sta peculiarità grafica della lettera «I» contraddistingue, anche se non spesso, 
tutta una serie di monumenti, per lo più fatti risalire, a giudicare da tutto l’in- 
sieme, al I secolo della n.e.: la «I» alta si presenta in due monumenti epigrafi 


R. MaTHASIC. Monumento funerario romano a Zambrattia, Atti, vol. XXI, 1991, p. 317-331 325 


ci di Pola, in cui si menziona Claudio con il patronimico di «Drusi f.»;* quin- 
di in un’iscrizione votiva del collegio polese dei dendrofori (proprio in que- 
st'ultima parola)? e nel frammento di ara sacrificale dedicata a Nemesi.! Per 
quanto concerne le epigrafi sepolcrali, tale tipo di «I» fa la sua comparsa (so- 
lo nella zona di Pola) due volte nell’epitaftio della famiglia Ateni nelle parole 
AID(ilis) e FILIO"' e ancora in tre casi, ma sempre nelle parole PATRI o MA- 
TRI:* 


Oltre che nella lettera «I», la linea perpendicolare elevata appare talvolta 
anche nella lettera «T», in cui la funzione di tale grafia specifica risulta tutta- 
via più chiara e più logica: potrebbe trattarsi del tentativo di economizzare lo 
spazio del rigo, perché l’asta orizzontale della «T» si protende sulle due lette- 
re attigue e occupa così una larghezza minore di quella solita. Però, nel mo- 
mento della stesura della presente annotazione, non siamo riusciti a compren- 
dere perché la linea verticale della lettera «I» nei tre esempi del nome gentili- 
zio Teidius del nostro monumento sia spiccatamente più alta delle altre e quin- 
di lasciamo aperta tale questione. 


Tra gli svariati tipi di monumenti funerari romani (cippo, titulo, ara — di 
dimensioni minori; sarcofago, edicola, mausoleo — di carattere monumentale), 
con ogni probabilità, il posto più significativo spetta proprio alle stele.!* Il no- 
stro esemplare di Zambrattia appartiene al foltissimo gruppo di stele con ritrat- 
ti, la cui architettura imita le edicole e riporta le immagini del defunto (uno o 
più) in rilievo. Proprio la presenza del ritratto e la sua collocazione permette di 
distinguere tipologicamente le stele con uno, due o tre immagini in rilievo in 


8 B. FORLATI TAMARO, Inscriptiones Italiae, 10, |. Pola et Nesactium, Roma, 1947 (in se- 
guito: /nscr. It. 10, 1), 37. datate tra il 37 e il 41 della n.e.: /nscr. fr. 10, 1, 38, risalenti al 45 
della n.e., perché riporta la titolazione imperiale completa. 


° Ibidem, 10, 1, 144. 
!0 Ibidem, 18. 


!! Ibidem, 591, risalente all’epoca di Claudio; cfr. G. FISCHER, Ausgewéihlte Grahbauten des 
ròmischen Pola, Monaco, 1987, 1-911 (diss.). 


12 Jnscr. It. 10, 1, 239, Pola, Porta Aurea, 1-2 sec. n.e.; /bidem, 347, Pola Porta Gemina 2 
sec. n.e.i /bidem, 352, Pola, Scoglio Olivi (tutti i riferimenti cronologici sono tratti da B. FOR- 
LATI TAMARO, /bidem); questa caratteristica lettera «I» compare anche in tutta una serie di altri 
monumenti provenienti dal vasto retroterra, cfr. A. DEGRASSI, /nscriptiones Italiae, 10, 3, Roma, 
1936 (in seguito: /nsc. /r. 10, 3), n. 42, 56, 203, poi P. STICOTTI, /nscriptiones Italiae, 10, 4, Ter- 
geste, Roma, 1951, n. 33-35, 84, 94, 108. 


13 G.A. MANSUELLI, «Genesi e caratteri della stele funeraria padana», Studi in onore di A. 
Calderini e R. Paribeni, Milano, vol. III (1963), p. 365-384; H. GABELMANN, «Zur Tektonik obe- 
ritalischer Sarkophage. Altire und Stelen», Bonner Jarhbucher, Bonn, vol. 177 (1977), p. 199; 
il lavoro recente con ampia bibliografia di M. VERZAR Bass, «Rapporti tra l'Alto Adriatico e la 
Dalmazia: a proposito di alcuni tipi di monumenti funerari», Aquileia, Dalmazia e l’Illirico, Udi- 
ne, 1985 (Antichità Altoadriatiche, XXVI/I), p. 183-208. 


326 R. MatuASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia. Atti, vol. XXI, 1991. p. 317-331 


un campo, quelle con più immagini in campi separati, ecc.,!* e quindi la spe- 
cie della raffigurazione: la sola testa, il busto, il busto fino alla cintola, la per- 
sona intera." 


Il monumento, oggetto delle nostre considerazioni, rientra nel gruppo di 
stele con tre ritratti rappresentati fino alla cintola, come in alcuni esemplari po- 
lesi.' È un grave inconveniente che tutte e tre le teste siano gravemente dan- 
neggiate, perché, basandosi su esse, l’intera analisi e l’attribuzione cronologica 
risulterebbero infinitamente semplificate. Per fortuna, tutti gli altri particolari so- 
no conservati abbastanza bene; sono rimaste anche le mani, la cui posizione 
quasi orizzontale in ambedue le figure laterali e obliqua verso il basso in quel- 
la centrale appare interessante. Molto più frequente, si potrebbe quasi dire nor- 
male, è la posizione dell’avambraccio e del cavo della mano verso l’alto.!” Co- 
me avviene in queste raffigurazioni funebri, il defunto sostiene con la destra ri- 
spettivamente con la sinistra! la toga; talvolta nella seconda mano mostra qual- 
che oggetto, in ogni caso di valore simbolico: si tratta per lo più di un volume, 
di un rotolo che rappresenta il documento dell’avvenuto affrancamento dalla 
schiavitù e la conferma del suo status di uomo libero. Come sembra, qui la so- 
la figura centrale tiene in mano un oggetto che potrebbe essere un frutto o qual- 
cosa di simile. Però, sull’orlo dei campi, vicino alle mani delle figure laterali, 
sta qualcosa assomigliante a un grappolo stilizzato. 


A differenza delle parti inferiore e mediana, relativamente semplici, quella 
superiore, il frontone, inserito nei contorni quadrangolari della lastra litea, spic- 
ca per una decorazione più ricca. Nella parte inferiore della stele sta l’iscrizio- 
ne senza bordatura, in quella centrale i ritratti schematizzati dei tre defunti in- 
corniciati da pilastri levigati, dalle estremità semplici, mentre nella parte supe- 
riore è disposto il frontone con, in rilievo, due serpenti, le palme, una piccola 
figura al centro e due Geni alati. Tale differenziato effetto estetico non è trop- 


14 V. JURKIC, «Portreti na nadgrobnim stelama zbirke antiékog odjela Arheolo%kog muzeja 
Istre u Puli» [I ritratti nelle stele funerarie della collezione di arte antica del Museo archeologi- 
co dell'Istria], /Z, vol. 8 (1973), p. 359-380. 


5 G. CHIESA, «Una classe di rilievi funerari romani e ritratti dell'Italia settentrionale», Stu- 
di in onore di A. Calderini e R. Paribeni, cit, 1965, p. 385-411; S. RinaLDI TUFI, «La stele fu- 
neraria del modenese P. Flavoleus Cordus nel Mittelrheimisches Laudesmuseum di Magonza», 
Miscellanea di studi archeologici e di antichità, Modena, vol. Il (1986), p. 133-152. 


16 V. JuRKIC, op. cit., tav. 4, fig. 1 e 2; si tratta di due monumenti di provenienza ignota 
con due ritratti ciascuno, purtroppo gravemente danneggiati, ma di probabile attribuzione; di con- 
cezione simile, ma di fattura evidentemente diversa è la stele di Quinto Labieno Molio di Gol- 
logorizza nei pressi di Pisino con due ritratti; cfr. /bidem, tav. 6, nonché la relazione sul reper- 
to presentata da F. BuLiC e A. GNIRS su Mirterlungen der K.u.K. Zentralkommission fiir Deuk- 
malpflege, INI f., Bf. 1, Vienna 1902, p. 62. 


!? V.JuRKIC, op. cit., tav. 4, 6 e 7; G. CHIESA, op. cit., fig. 2-6 e 9. 


!8 Cfr. V. GALLIAZZO, Sculture greche e romane del Museo civico di Vicenza, Treviso 1976, 
p. 121-125; AA.VV., Sculture e mosaici romani del museo civico di Oderzo, Treviso, 1976, p. 
33-35; da noi per la stele di Quinto Labieno Moli ctr. V. JURKIC, op. cir., tav. 6. 


R. MATYJASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Atti, vol. XXI, 1991, p. 317-331 327 


po frequente, anche se ci sono esempi simili, come in alcuni monumenti di 
Aquileia.!’ Molto più spesso il monumento è chiuso nella parte superiore da un 
frontone con palmette in funzione di acroteri?° oppure, se il frontone è inseri- 
to nel contorno del blocco di pietra, le palmette sono in rilievo.?! In quest’ul- 
timo caso, quando tra il frontone e l’orlo della lastra esiste dello spazio libero, 
oltre alle palmette, venivano riprodotti, ad esempio, dei delfini.? 


Il ruolo riempitivo dello spazio viene svolto nella nostra stele dai geni vol- 
ti antiteticamente, su lati opposti; essi, del resto, compaiono assai spesso come 
simboli del mondo sotterraneo, ma più frequentemente ai lati delle are sepol- 
crali.?* Tutti gli elementi formali di questa stele funeraria: l’epigrafe, i ritratti e 
i simboli sottostanno alla sua funzione principale, che è quella di rimarcare il 
luogo della sepoltura (locus sepolturae). Il monumento fu fatto erigere dai ge- 
nitori, quand’erano in vita, dal padre Teidius Donatus e dalla madre Teidia Zo- 
sima, a ricordo del figlio Teidius Eulimenus; essi vennero raffigurati nel cam- 
po mediano: la madre al centro (se si deve giudicare dai resti di riccioli di ca- 
pelli che scendono sul collo sotto gli orecchi), il padre a destra (la testa più 
grande con orecchie marcate può forse indicare un uomo di età avanzata), il fi- 
glio, che evidentemente morì prima dei genitori, a sinistra. Siffatta disposizio- 
ne delle figure con la madre al centro è del tutto usuale. Il nome gentilizio Tei- 
dius finora era sconosciuto nelle nostre terre, benché fosse presente nell’ono- 
mastica latina.?* Si sa dell’esistenza di due iscrizioni dei dintorni di Rozzo, 0g- 


19 V. SANTA MARIA SCRINARI, Sculture romane di Aquileia, Roma 1972, n. 340 e 343; in 
ambedue i casi si tratta però di stele senza ritratto, di modo che la sproporzione si avverte tra la 
parte inferiore con l’epigrafe e quella superiore con il rilievo. 

20 V. JURKIC, op. cit., tav. 6: stele di Quinto Labieno Moli; /nscr. fr. 10, 3, 74: stele di Va- 
lerio proveniente da Buie, dove ancor oggi si trova immurata nella facciata della chiesa parroc- 
chiale; V. SANTA MARIA SCRINARI, op. cit., n. 300: stele di Optata Fadia. 


21 V. JURKIC, op. cit., tav. l: stele di Orazia Festa; /nscr. It. 10, 3, 51: stele di Gaio Plotio 
proveniente da S. Giovanni della Cornetta nei pressi di Umago; V. SANTA MARIA SCRINARI, 0p. 
cit., n. 350; A.M. TAMASSIA, «I ritratti delle stele funerarie della “gens Truttedia” a Campalano 
di Nogaro», // territorio veronese in età romana, Atti del Convegno del 1971, Verona, 1973, p. 
269-281. 


22 V. SANTA MARIA SCRINARI, op. cit., n. 336 e 337. 


3 G.L. MARCHINI, «Rilievi con geni funebri di età romana nel territorio veronese», // ter- 
ritorio veronese in età romana, cit., p. 357-437; M. Buonocore, «Monumenti funerari romani 
con decorazione ad Alba Fucens», Melanges de l’Ecole Francaise de Rome, Roma, vol. 94, 2 
(1982), p. 715-741; per un esempio pubblicato proveniente dall’Istria cfr. V. JURKIC GIRARDI, 
«Monumenti romani sul territorio di Pinguente e di Rozzo», Arti del Centro di ricerche storiche 
di Rovigno (in seguito: ACRS), Rovigno, vol. VII (1977-78), p. 17. 

24 La prima menzione della famiglia Teidia risale al sec. Il a.c. (P. Teidius P.f., cfr. 
PWRE, 5, A-1, 1934, p. 127). Essa diede pure due senatori: Sex. Teidius, seguace di Pompeo 
nella guerra civile del 49 a.C. e Sex. Teidius Valerius Catullus, console nel 31 a.C. (CIL 10- 
1233, 14-2466 e 4533, 1-2 p. 70; PWRE, 5, A-1, 1934, p. 127-128; P/R 3, 354, n. 37; W. SCHULT- 
ze, Zur Geschichte lateinische Eigennamen, Berlino, 1933, p. 251) Accanto al gruppo apulo di 


328 R. MatyaSIC, Monumento funerario romano a Zambrattia. Atti, vol. XXI, 1991. p. 317-331 


gi perdute, in cui venivano menzionati Tedia Q. Filia Marcella e Tedia Prima,”° 
che potrebbe essere una variante del nostro Teidius. Tutti e tre i defunti della 
nostra stele portano lo stesso nome gentilizio, ognuno con il suo «cognomen»: 
Donatus, Zosima ed Eulimenus; tutti e tre gli esempi sono relativamente fre- 
quenti nel repertorio dei nomi; ce ne sono anche nelle nostre regioni. Il nome 
Donatus s’incontra in monumenti del Polese tre volte e appartiene a persone af- 
francate o ai loro eredi diretti (Mindius Donatus, C. Settidius Donatus, Dona- 
tus Aug. lib.).?° 


Il «cognomen» Zosima è pure abbastanza consueto nelle epigrafi: due esem- 
pi provengono da Pola e dai suoi dintorni (Zosima o Zosime); ci sono le va- 
rianti maschili Zosimus (tre esempi a Pola) e Zosimianus (un esempio a Pola 
e un secondo nel retroterra di Capodistria). A differenza di questi nomi, non 
ci sono noti esempi del cognome Eulimeno; evidentemente esso appartiene al 
medesimo gruppo onomastico di origine orientale (come Eumelus, Eulalus, Eu- 
charistus, Euphemius, ecc.), di cui fa parte pure il nome Zosima. 


Il territorio di Zambrattia si trova in quel tratto della costa occidentale 
dell’Istria, che nell’antichità fu di certo densamente abitato; rientra nella zona 
ritenuta, per attribuzione secondaria, ager tergestinus,” tra il Formio (Formio fl. 
= Risano) e il Ningo (Ningus = Quieto). Numerosi sono i reperti epigrafici qui 
scoperti: oltre a quelli più antichi, pubblicati nelle “Inscriptiones Italiae” (1936), 
vanno menzionati pure alcuni rinvenimenti più recenti” di modo che la stele 
descritta non rappresenta, da tale punto di vista, una novità particolare nella co- 
noscenza della distribuzione epigrafica antica in Istria e, come tipo di monu- 
mento funerario, appartiene alla categoria più numerosa. 


epigrafi con il nome Teidius (C/L 9, 2103, 3271, 6289), va ricordata la presenza di questo gen- 
tilizio pure su due epigrafi della Regio X (CIL 5, 2366 e 2367) rinvenute a Adria. 


25 Inscr. It. 10, 3, 149 e 150; appare verosimile l'accostamento dei nomi Teidius e Tedius 
(cfr. PWRE 5, A-1, 1934, p. 128). 


26 Insc. It. 10, 1, 49, 156 e 592a: quest’ultima iscrizione è l’elenco di un gruppo di coloni 
di un possedimento di notevoli dimensioni; cfr. G. BRANCALE, «Due lamelle letterate del posa- 
no», A7, ser. 4, vol. 41 (1981), p. 7-32. 


27 Zosima Zosime: /nscr. It. 10, 1, 581 e 105; Zosimus: /bidem, 317, 372, 430; Zosimia- 
nus: /bidem, 199 e Insc. It. 10, 4, 356. 


28 L. MARGETIC, «Accenni ai confini augustei del territorio tergestino», ACRS, vol. 10 (1979- 
80), p. 89 e nota 76 a p. 97-99. 


29 Reperti più antichi sono pubblicati in /nscr. Ir. 10, 3, n 41-51; reperti nuovi: J. SASEL; 
B. MARUSIC, «Stirideset rimskih napisov iz Istre» [Quaranta iscrizioni romane dell'Istria], Arheo- 
lo$ki vestnik (in seguito AV) [Notiziario archeologico], Lubiana, vol. 35 (1984), p. 300-302; S. 
MLAKAR, «Neki novi antikni nalazi u Istri» [Alcuni nuovi reperti antichi dell'Istria], /Z, vol. 2 
(1957), p. 450-461; M. ZUPANCIÒ, «Epigrafske najdbe v Istri» [Reperti epigrafici dell'Istria], AV, 
vol. 37 (1986), p. 399-401. 


R. MaTHJASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Arti, vol. XXI, 1991, p. 317-331 329 


Nei dintorni più prossimi, solo lungo il litorale, sorgono alcune località an- 
tiche di carattere rurale:?° Catoro, la stessa Zambrattia, Bassania e Salvore. 
Nella tarda antichità e nel primo medioevo, quando si formarono gli attuali cen- 
tri di Cittanova e di Umago (Neapolis o Emonia, Humagum)}: vicino al pun- 
to in cui fu ritrovata la stele, non più di 500 m a sud di Zambrattia, esisteva il 
castello di Sipar (Sipparis o Sapparis), abbandonato verso la fine del primo me- 
dioevo.* 


Accanto agli altri dati archeologici ed epigrafici finora conosciuti e riguar- 
danti la presenza umana su questa parte della costa ocidentale istriana, la stele 
funeraria di Zambrattia viene senza dubbio a completare il repertorio di esem- 
plari dell’arte, della ritrattistica, del simbolismo, dell’epigratia, della prosopo- 
grafia e delle usanze funebri. 


30 Il concetto di architettura rurale si riferisce ai resti di complessi destinati ad abitazione o 
ad attività economiche riconducibili sotto la definizione ampia e sutficientemente chiara di «vil- 
la rustica»; cfr. J. HARMAND, «Sur le valeur archeologique du mot “villa”», Revue archeologique, 
Parigi, vol. 38 (1951), p. 155-159; R. MATUJASIC, «Ageri antiékih kolonija Pola i Parentium i 
njihova naseljenost od I. do III. st.n.e.» [Gli agri delle colonie antiche di Pola e di Parenzo e i 
loro abitanti dal I al III secolo della n.e.], tesi per il conseguimento del titolo accademico di «Ma- 
gister», Zagabria, 1985. 

3! Catoro: A. GNIRS, op. cit., p. 217-218: A. BENEDETTI, Umago d'Istria nei secoli, Trieste, 
1973, p. 47 e 50; B. MarusiC, «Neki problemi kasnoantitke i bizantske Istre u svijetlu arheo- 
lo$kih izvora» [Alcuni problemi dell'Istria tardoantica e bizantina alla luce delle fonti archeolo- 
giche], /Z, vol. 9 (1975), p. 342; Bassania: la località non è stata oggetto di una pubblicazione, 
è sita tra la strada Umago-Salvore e il mare; Salvore: A. GNIRS, op. cit., p. 216; A. DEGRASSI, 
op. cit., p. 45-46; IbEM, «Notiziario archeologico», AMSI, vol. 4 (1929), p. 401. 

3° L. PARENTIN, Cittanova d'Istria, Trieste, 1974; A. BENEDETTI, op. cit. 


3 B. MaruSiC, op. cit., p. 338-341; V. JURKIC GIRARDI, «Lo sviluppo di alcuni centri eco- 
nomici sulla costa occidentale dell’Istria dal I al IV secolo», ACRS, vol. 12 (1981-82), p. 15-16. 


330 R. MaTHasiC, Monumento funerario romano a Zambrattia. Arti, vol. XXI, 1991, p.317-331 


SAZETAK: Nalaz rimskog nadgrobnog spomenika u Zambratiji (Umag) - Medu slutaj- 
nim arheolo$kim nalazima koji svake godine obogate muzeje i zbirke Istre, svakako 
znatajno mjesto ima nalaz jedne rimske stele, do kojeg je doSlo prilikom radova na 
infrastrukturi izmedu Umaga i Savudrije. Mjesto nalaza smjeSteno je na periferiji po- 
druèja antiéke arhitekture, koje je kao arheolo$ki lokalitet i topografski podatak bilo 
od ranije poznato. U ovom sluèaju radi se o antiékoJ stambeno) ili gospodarskoj grad 
evini, koja je bila srediste jednog poljoprivrednog imanja. 

Spomenik je visine 168 cm, Sirine 100 cm, debljine 15-18 cm. Izraden je od zr- 
natog bjelkastog vapnenca i oSteéen je prilikom nalaza. Grubo je obraden sa svih stra- 
na ali je samo prednja povrSina reljefno obradena. Donju trefinu visine zauzima nat- 
pisno polje u tri reda: 

Q.TEIDIVS.DONATVS 
TEIDIA.ZOSIMAN.F. 
TEIDIO.EVLIMENO.FILIO 

U sredi$njom polju je reljef triju likova, u statiénoj impostaciji, prikazani do poja- 
sa. Glave i lica su Jako oSteceni i ne omogudavaju toènu stilsku analizu. Sudedi po 
koncepciji glave odnosno figure, lijevi i desni lik predstavIjaju muSkarce, dok je u sre- 
dini Zena. Likovi su odjeveni u tunike, èiji stilizirani nabori uokviruju vrat, a preko 
toga, je prebatena toga. 

Gentilicij Teidius nije do sada bio poznat u nafim krajevima. Sva tri pokojnika 
na naSem natpisu nose isti gentilicij, svaki sa svojim kognomenom: Donatus, Zosima 
i Eulimenus. Sva tri primjera, osim posljednjeg, relativno su festa u repertoaru ime- 
na; ima ih i u naSim krajevima. 

Nadgrobni spomenik iz Zambratije pripada skupini stela s tri portreta prikazanih 
do pojasa na jednom polju i upotpunjava repertoar primjera antitke umjetnosti, por- 
tretistike i simbolike, epigrafije, prozopografije i pogrebnih obitaja Bujstine. 


POVZETEK: Rimski nagrobni spomenik, ki je bil odkrit v Zambratiji (Umag) - Med 
arheolo$kimi najdbami, ki vsako leto prispevajo k obogatitvi istrskih muzejev in njiho- 
vih zbirk, ima pomembno mesto odkritje nekega nagrobnega spomenika v bliZini na- 
selja Zambratija med Umagom in Savudrijo. Prostor, kjer je bil omenjeni spomenik 


R. MATHJASIC, Monumento funerario romano a Zambrattia, Atti, vol. XXI, 1991, p. 317-331 331 


odkrit, se nahaja na periferiji nekega antiénega arhitektonskega podroéja. Nagrobnik, 
o katerem je govor, je spadal k zgradbi, namenjeni za bivanje ali za gospodarske dejav- 
nosti in je stal v srediséu neke kmetke posesti. 

Nagrobnik je visok 168 cm, Sirok 100 cm, njegova debelina pa ima 15-18 cm. 
Narejen je iz zrnatega belkastega apnenca, ki je bil med najdbo poskodovan. Na vseh 
straneh kaze precej grobo izdelavo, samo prednji del nagrobnika je reliefno izdelan. 
Spodnja tretjina spomenika nosi tri vrstice, zaobjemajote napis: 


Q.TEIDIVS.DONATVS 
TEIDIA.ZOSIMA.V.F. 
TEIDIO.EVLIMENO.FILIO 


Zgornji, okraseni del nagrobnika, je bil osnovan v obliki vbokline, znotraj kate- 
re stojijo v reliefu, v statiéni drZi, doprsni kipi treh umrlih. Njihovi obrazi in glave so 
dokaj poskodovani, kar predstavlja precejino oviro pri natanénem doloèanju stilskih 
znatilnosti nagrobnika. Glede na osnutke galv bi se dalo sklepati, da desna in leva 
predstavljata dve mo$ki figuri, osrednja glava pa Zensko. Vsi trije doprsni kipi so ode- 
ti v tunike, ki se jim s stiliziranimi gubami ovijajo okoli vratu, preko katerega visi to- 
ga. 

Rodbinsko ime Tedius je bilo v na$ih krajih do sedaj neznano. VSsi trije mrtveci, 
upodobljeni na nagrobniku, nosijo isto rodbinsko ime, vsak pa ima svoj »cognomen«, 
in sicer: Donatus, Zosima, Eulimenus. Ta tri imena pa so dokaj pogosta v seznamu 
imen, ki jih je zaslediti v na$ih krajih. 

Nagrobni spomenik iz Zambratije se uvr$éa med spomenike s kapelico in dopr- 
snimi kipi umrlih (v na$em primeru so trije). Seveda pomeni obogatitev umetniske, 
kiparske in epigrafske dedi$éine na podroéju Buj. 


IL RUOLO DEGLI ARCHITETTI TRIESTINI 
NELLA PROGETTAZIONE DEGLI EDIFICI MONUMENTALI 


DI FIUME 
RADMILA MATEJCIC 
Fiùme CDU 721(497.13Fiume):72(453.11)«1870/1918» 
Sintesi 


Dicembre 1989 


Riassunto - A Fiume durante il cosiddetto «mezzo secolo d’oro» (tra il 1870 e il 1918) 
l’architettura triestina ebbe un ruolo predominante. Viene descritta l’attività dell’Uffi- 
cio edile municipale e dei suoi due principali ingegneri (F. Basarig e I. Vauchnig) e si 
rivolge particolare attenzione alle opere realizzate dagli architetti triestini G. Baldini, G. 
Bianchini, G. Bruni, G. Zammattio e E. Ambrosini. Vent'anni dopo comparve nuova- 
mente a Fiume l'architettura triestina con U. Nordio che oftrì alla monumentalità fiu- 
mana un nuovo valido contributo. 


Il ruolo di Trieste e dei suoi architetti nell’evoluzione architettonica di Fiu- 
me durante «il mezzo secolo d’oro» compreso tra il 1870 e il 1918 è stato fi- 
nora trascurato. È vero che è stata rivolta attenzione all’opera fiumana dell’ar- 
chitetto Giacomo Zammattio,' ma è altrettanto vero che gli altri architetti giun- 
ti da Trieste, centro edilizio di rilievo, proprio al tempo di tale «mezzo secolo 
d’oro», a Fiume, dove hanno lasciato la maggior parte delle proprie realizza- 
zioni, sono passati inosservati fino alle nostre ricerche più recenti. All’erezione 
di edifici monumentali a Fiume hanno concorso pure quegli architetti triestini, 
ai cui progetti si devono una o due costruzioni significative; i più importanti 
sono Giuseppe Bruni? e Umberto Nordio. Oltre ad essi hanno operato a Fiu- 
me G. Bianchini, Costantini e Baldini. Tutti costoro vi hanno trasferito le espe- 
rienze, le inquietudini e i successi triestini dei decenni, che si sono conclusi con 
la «finis Austriae». 

Trieste, emporio cosmopolitico, rivela una chiara fisionomia architettonica 
impressa dalle costruzioni sorte tra la fine del XVIII secolo e il 1918. Tale ar- 
chitettura privilegiava la rappresentatività nel definire l'immagine della città; es- 


! R. AMmBROSI, «L'architetto triestino Giacomo Zammattio», tesi di Laurea in pedagogia, 
UST, Facoltà di Magistero, Anno accademico 1974-75: M. ZAMMATTIO: A. NEzi, L'architetto 
Giacomo Zammiattio, la vita e le opere, Bergamo, 1931. 


2 R. MATEJCIC, «Arhitekt Giuseppe Bruni u Rijeci» [L'architetto Giuseppe Bruni a Fiume], 
Dometi, Fiume, 1975, n. 11-12, p. 109-118. 


3? Mostra celebrativa dell’architetto Umberto Nordio, Trieste, 15-31 gennaio 1972, CCA. 
Trieste, 1972, p. 22. 


334 R. MATEICIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 


sa contraddistinse il classicismo barocco, lo stile impero e il biedermayer; fu 
ancora più accentuata al tempo dello storicismo e del liberty. L’irruzione degli 
architetti triestini a Fiume avvenne nel momento in cui le creazioni edilizie del 
neoclassicismo eclettico e del liberty a Trieste riflettevano l’afflato vitale della 
città, quando Trieste registrava la massima fioritura economica ed era divenuta 
il più importante centro commerciale dell’Adriatico settentrionale. Tutta la sua 
ascesa architettonica ha seguito un corso parabolico e avrebbe raggiunto il suo 
culmine, se non fosse scoppiata la guerra mondiale? 

Le strette relazioni politiche di Fiume con Trieste risalivano alla conces- 
sione, avvenuta nel 1715, dello status di porto franco ad ambedue le città. In 
seguito Maria Teresa le incluse politicamente, economicamente e anche cultu- 
ralmente nel Litorale austriaco, elevando Trieste a suo centro politico; da allo- 
ra ebbe inizio il flusso da Trieste a Fiume di abili, provetti specialisti, il quale 
si intensificò a partire dalla metà del XIX secolo. I capitalisti fiumani, «i quat- 
tro grandi», Gorup, Ciotta, Whitehead e Ploech, affidarono la progettazione del- 
le loro opere più importanti ai noti architetti triestini Baldini, Bianchini, Co- 
stantini e Bruni; erano in gioco il prestigio dei committenti e la fiducia riposta 
nella scuola triestina. In quel periodo gli architetti di Trieste erano soliti recar- 
si per perfezionarsi a Venezia, da dove riportavano le esperienze dell’eclettismo 
mediterraneo, oppure a Vienna o a Graz, da dove rientravano arricchiti dall’in- 
segnamento dello storicismo «mitteleuropeo». Sul ruolo di Trieste, nell’ambito 
dell’Ufficio edile comunale o in quello delle grandi associazioni, fermentarono 
i germi veneziani e mitteleuropei e si verificò la confluenza specifica di tre cor- 
renti: il Cinquecento italiano, l’alto barocco viennese e bavarese e il Settecen- 
to francese. 


Trieste, nella sua qualità di emporio, rimase aperta nel «mezzo secolo d’oro» 
agli influssi stranieri; progettisti di talento vi interpretarono originalmente i mo- 
tivi più interessanti dell’architettura moderna, creando così un proprio linguag- 
gio artistico. Nel periodo dello storicismo si trovavano a Trieste Giovanni Ber- 
lam e Giovanni Scalmarini; vi svolgevano la propria attività Teophile Hansen 
e Karl Junker, più tardi Henrich Ferstel e Franz Setz. I loro moduli architetto- 
nici non rivelano uno «spirito italiano», ma concorrono in modo siginificativo 
alla definizione della fisionomia cittadina, espressa da un equilibrio tra due cor- 
renti senza divari eccessivi. Fra i numerosi grandi nomi compaiono anche quel- 
li di due triestini di rilievo, Giuseppe Bruni e Ruggero Berlam. Ambedue in- 
trodussero nell’architettura triestina il decoro solenne e l’enfasi tipica del re- 
pertorio tardorinascimentale.® 


Lo stile liberty rappresenta il terzo momento chiave dell’architettura trie- 
stina; si trattava di nuovi canoni estetici accettabili per la borghesia, che a Trie- 


4 G. Centesi, Umberto Nordio, Architettura a Trieste 1926-1943, Milano, 1981, p. 12. 
5 M. WaLcHER-CASOTTI, «L'architettura d'Europa», in Quassà Trieste, Trieste, 1968, p. 78. 
© Ihidem, p. 114-119. 


R. MATEJCiC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Atri, vol. XXI, 1991, p. 333-357 335 


ste costituiva la forza e il limite vitali. Anche in questo caso ci furono orienta- 
menti di carattere e di intensità diversi. Fecero capolino la corrente protorazio- 
nalistica ispirata dalle teorie di Otto Wagner, quella secessionistica viennese se- 
guace degli indirizzi figurativi di Olbrich e quella del Floreale italiano. Queste 
tendenze nuove presenti nel campo dell’edilizia pubblica di Trieste non demo- 
lirono il mito della «grandiosità»; perciò il liberty si limitò a colmare i «vuo- 
ti» urbani o ad erigere ville e residenze private nella periferia; Max Fabian co- 
struì la casa dei Bartoli nel 1905-06, Giorgio Zaninovich quella di via Com- 
merciale n. 25 e il palazzo della Società «Austria-Trieste». 


Nel «mezzo secolo d’oro» si formò a Trieste una dinastia di architetti, le 
cui opere riflettono nel vero senso della parola l'umano, il nobile e il civile ca- 
ratteristici dell’architettura triestina. Pertanto non è casuale che a Fiume abbia 
fatto la sua comparsa il convincimento della validità dell’esperienza architetto- 
nica triestina e che ogni concorso riservato ad architetti dal 1872 in poi abbia 
privilegiato un artista di Trieste. Costoro trasferirono a Fiume la modernità, l’in- 
segnamento dell’architettura europea, ma anche tutti i dubbi tipici di Trieste 
all’alba del XX secolo, sfocianti in due differenti punti di vista: uno, condizio- 
nato dal «fattore economico», rivolto a Vienna, centro della Monarchia, e l’al- 
tro, accompagnato da slancio irredentistico, orientato all’«italianissima Firenze». 
In siffatta Trieste cosmopolitica si muovono Rainer Maria Rilke e James Joy- 
ce; in proporzioni uguali operano in essa intellettuali di orientamento cosmo- 
politico e «nazionale».” Situazioni simili si ripetono a Fiume, fatta eccezione 
per il fatto che la borghesia fiumana guarda a Budapest e non a Vienna. Il ri- 
stagno postbellico dell’architettura triestina, protrattosi sino agli anni trenta, non 
è stato per nulla avvertito a Fiume, che pure si era addormentata. Però, quan- 
do negli anni Trenta ci si rese conto della creatività frenetica dell’architetto Um- 
berto Nordio a Trieste, Fiume, rispettando la sua inclinazione tradizionale, of- 
frì subito al triestino l'occasione di progettare la costruzione monumentale del- 
la «casa-torre» nel punto più marcato dell’odierna piazza Palmiro Togliatti. Il 
Nordio, proprio nel medesimo momento in cui erigeva l’Università triestina, 
diede inizio nel 1938 all’erezione della torre fiumana, che oggi è impropria- 
mente detta «grande grattacielo»; questa «casa-torre», opera di potenzialità ec- 
cezionale, concluse l’apporto degli architetti triestini ad una progettazione chia- 
mata a dare a Fiume un volto monumentale. 


A Fiume, subito dopo la proclamazione del Provvisorio ungherese, il co- 
mune venne riorganizzato e fu eletta la Rappresentanza con a capo un podestà. 
Quando nel 1872 divenne primo cittadino di Fiume Giovanni Ciotta, ex uffi- 
ciale del genio, fu nominato direttore dell’Ufficio tecnico edile Giuseppe Leard, 


? G. CenTESI, 0p. cir., p. 12-13. 

8 F. pe FAROLFI, «Umberto Nordio architetto», Pagine istriane, Trieste, 1975, n. 38, p. 24. 
Ha costruito, oltre alla Casa Torre a Fiume, altre tre case a Zara (1936-1940) e l'albergo «Car- 
men» a Brioni (1939-1940): G. CONTESI. op. cit., p. 134. 


336 R. MATEICIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI 1991, p. 333-357 


colonnello del genio in pensione. Tale specialista instancabile e intraprendente 
fece parte di numerose commissioni incaricate della soluzione, in primo luogo, 
dei problemi comunali, e da abile organizzatore preparò l'Ufficio edile per i 
grandi compiti futuri connessi con la costruzione della Fiume moderna. 

Il sostegno, offerto a Giovanni Ciotta da Leard, fu assai importante, spe- 
cialmente quando la Rappresentanza cittadina il 17 marzo 1873 bandì un nuo- 
vo concorso per architetti e tecnici, che il Leard poi assunse in sevizio, e, in- 
fine, quando nel 1880, lo stesso affidò l’incombenza di ingegnere edile cittadi- 
no a Isidoro Vauchnig. Costui aveva assolto l’Istituto nautico a Trieste, aveva 
studiato al Politecnico di Vienna e più tardi al Yohaneum di Graz; dal 1862 era 
stato occupato a Trieste in qualità di ingegnere principiante presso l’Ufficio edi- 
le. Nel corso del tirocinio svolto a Trieste aveva acquisito grande esperienza e 
abilità amministrativa nella conduzione dell’Ufficio. Quale triestino autoctono 
conosceva lo sloveno, l’italiano e il tedesco e quindi si inserì assai rapidamen- 
te nel lavoro dell’Ufficio edile di Fiume. Dalla sua assunzione a Fiume, avve- 
nuta il | maggio 1873, si applicò instancabilmente ad opere comunali, orga- 
nizzò e portò ad un livello invidiabile il suo Ufficio e, dopo il Leard, continuò 
e ampliò in tutte le direzioni la sfera della sua attività.” Si trovavano alle di- 
pendenze di tale Ufficio i capimastri Gustav Mahla e Andrea Zottig, assunti in 
base ad un precedente concorso dell’aprile 1872; con il medesimo atto era sta- 
to preso in servizio come disegnatore Giovanni Zotti, dottore in architettura cd 
edilizia dell’Università di Padova; prima era stato occupato a Trieste presso l’in- 
gegnere Baldini, nonché presso l’impresa Pongraz. Due anni dopo venne no- 
minato ingegnere-architetto municipale il dottor Filiberto Basarig, giunto anche 
lui da Trieste. Lo incontreremo nel 1874 come progettista del restauro del Pa- 
lazzo del Municipio (ex convento agostiniano), sito in Piazza della rivoluzione 
fiumana. Filiberto Basarig fu architetto e pittore; era nato a Gorizia nel 1843 e 
morì a Trieste nel 1896. Studiò architettura dal 1865 al 1867 a Graz e passò 
poi all’Univesità di Padova, dove nel 1869 conseguì il dottorato in fisica. A 
Trieste sposò Amalia Abram; dopo l’arrivo a Fiume mantenne relazioni costanti 
con Trieste. Era una persona molto colta, uno dei fondatori della Filarmonica 
fiumana e pittore assai diligente con proprio atelier.!® 

L'Ufficio edile, disponendo di questo gruppo di esperti, fu in grado, con il 
sostegno del podestà Giovanni Ciotta, di far fronte alla grossa incombenza del 


? R. MATEICIC, «Povijest gradnje pokrivenih trZnica u Rijeci» |Storia della costruzione dei 
mercati coperti a Fiume], in Gradska trénica Rijeka 1881-1981 |Il mercato cittadino di Fiume, 
1881-1981], Fiume, p. 35; IbEM, «100 godina zdanja trZnice» [I cento anni dell’edificio del mer- 
cato], Nasa Rijeka (nel prosieguo NR) [La nostra Fiume], Fiume, 1981, n. 28, p. 16. 


!° IDEM, «Od inicijative do otvaranja Gradskog parka na Mlaki 1975. godine» [Dalla prima 
idea all'inaugurazione del parco cittadino di Mlaka avvenuta nell’anno 1975], in Parkovi i na- 
sadi Rijeka 1952-1977 |I parchi e le aree verdi di Fiume, 1952-1977], Fiume, 1977, p. 33-37; 
IbeM, «Basarig Filiberto», Likovna enciklopedija Jugoslavije |Enciclopedia delle arti figurative], 
vol. I, Zagabria, 1984, p. 80. 


R. MatEJdié, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI. 1991, p. 333-357 3877 


restauro delle esistenti costruzioni comunali, di erigere nuovi edifici pubblici e 
fabbriche di rilievo e di incidere in tale modo sul volto architettonico e urba- 
nistico di Fiume. Seguendo la crescita urbanistica della città sino alla fine del 
secolo, ci si imbatterà continuamente in questi instancabili costruttori, nei loro 
piani precisi, nei loro progetti e nelle loro relazioni; sembrerà quasi incredibile 
che abbiano potuto sviluppare tanta attività. 

Giovanni Ciotta ci teneva alla pompa; fissò subito come compito priorita- 
rio per l'Ufficio edile il rinnovo completo delle facciate del Palazzo municipa- 
le. I progetti furono eseguiti da F. Basarig, che fu pure controllore dei lavori. 
Furono impegnati in tale opera i migliori mastri di Fiume, quali Santo Barbie- 
ri, stuccatore, e Carlo Rossi, imbianchino. Le tre eleganti facciate del Palazzo 
del Municipio di Fiume sono una testimonianza del talento eccezionale e del 
gusto raffinato dell’architetto Basarig; egli ha risolto contemporaneamente il pro- 
blema spaziale della piazza, avendo collegato in un tutto armonico il retro, di 
fattura classicistica, dell’edificio della Sala di lettura croata con la facciata ba- 
rocca della chiesa di S. Geronimo. Sotto i propilei della Sala di lettura, da un 
passaggio chiaro-scuro emerge la parte centrale della facciata con la balaustra 
del balcone; man mano che ci si avvicina alla piazza, la prospettiva si apre, co- 
me se si entrasse nella «cour d’honneur» di una elegante residenza. Adottando 
le forme classicistiche del primo rinascimento, i pilastri, gli elementi segmen- 
tali sovrastanti le finestre, le cimase e l’attico di chiusa, Filiberto Basarig rive- 
la in modo evidente l’influsso dell’architettura del Veneto; egli non accentua la 
plasticità, lascia che la superficie piana agisca liberamente, tratta armoniosa- 
mente i rapporti modulari; in ciò sta la sua originalità di eclettico."! Nella pri- 
ma fase della sua attività egli progettò le fontane cittadine, di cui sono rimasti, 
una volta cessata la loro funzione, soltanto i disegni precisi, testimoni della cul- 
tura dell’architetto, che si avvicina ad ogni fonte come a un «Nemphreum», ri- 
marcando con scalinate, con balaustrate e con plastici litei la dignitosa potenza 
dell’acqua. Tale rapporto con questo elemento si realizzerà in modo particolar- 
mente felice nel progetto del parco di «S. Cecilia» a Mlaka (oggi Parco di 
Mlaka). Parallelamente al restauro del Municipio, venne affidato all'Ufficio edi- 
le dal Ciotta l’incarico di elaborare il progetto per il parco di S. Cecilia. Tale 
località prese il nome dall’antichissima cappella di S. Cecilia, protettrice della 
musica, eretta vicino al ruscello, che all’inizio di via Podpinjol sfociava in ma- 
re. Poco lontano sorgeva una fontana di acqua potabile, di cui abbondava l’in- 
tera zona; essa ha condizionato senza dubbio la scelta di questo posto per la si- 
stemazione del parco cittadino. In base al decreto n. 2312, dell’11 luglio 1874, 
l’Ufficio edile si assunse tale compito, però il Ciotta, ex ingegnere, non poté 
fare a meno di suggerire al medesimo la sua concezione del parco, addirittura 
anche certi particolari. Così egli stabilì che lungo i sentieri venissero poste del- 


!! IpeM, «Trg Rijeòke Rezolucije, Jedinstveni prostor» [Piazza della Risoluzione fiumana, 
Spazio urbanistico unitario], NR, 1982, n. 47, p. 16. 


338 R. MATEICIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 


le panche, che nella parte superiore si aprisse un passaggio, che all’entrata fos- 
se eretto un portale rappresentativo con recinto in ferro e fosse costruito un edi- 
ficio da adibire a caftè e trattoria. Per fortuna tali suggerimenti del podestà era- 
no subordinati alla rielaborazione di Filiberto Basarig, architetto di talento, che 
nel corso degli studi aveva avuto l'occasione di vedere nel Veneto parecchi 
esempi di parchi sistemati; da tale fonte attinse ispirazione. In questo caso la 
predisposizione pittorica del Basarig esercitò un’influenza essenziale sulla defi- 
nizione del parco di S. Ceciclia, la cui visione fantasiosa riflette il romantici- 
smo dello «storicismo» della seconda metà del XIX sccolo. Il ruolo dell’archi- 
tetto nell’esecuzione di tale compito consisteva nel migliorare il paesaggio e di 
risolvere la «scena» fiumana concependo un parco posto nel punto di cesura tra 
il centro moderno di Fiume, collegato con il porto e il Corso Deak (l’odierna 
via Kidrié), e la zona industriale. In direzione di tale cesura venne disposto, co- 
me linea di forza da Zabica a Mlaka, un viale di platani. Costruendo la stazio- 
ne ferroviaria nel Corso Deak fece fluire verso Mlaka la vita cittadina dalla Cit- 
tavecchia, lasciata dalla seconda metà del XVIII secolo in poi nello status quo, 
attraverso la Cittanuova, vicino al porto. Data la distanza dal centro, per quel 
tempo abbastanza grande, il parco di S. Cecilia non venne prefigurato come un 
parco sito alla periferia della città, ma come area verde inserita tra due zone 
urbane. Se viene immaginato come uno scenario, e tale fu il suo ruolo nei pri- 
mi tre decenni della sua esistenza, allora il parco doveva essere definito come 
una sequenza democratica dello schema urbanistico di Fiume. Osservando il 
progetto del Basarig, si comprende quanto egli sia riuscito ad adeguarsi alle esi- 
genze del suo tempo con la soluzione spettacolo-spazio, con un contenuto cir- 
condato da superfici assai ampie, dove l’individuo passeggiando non si sente 
immerso nella massa. Sfruttando l’acqua corrente di un ruscello, il Basarig re- 
golò in modo armonico la parte inferiore di un laghetto con una penisoletta, su 
cui sistemò una lanterna e una casetta per cigni. Attorno dispose aree verdi ir- 
regolari, i cul perimetri definivano la direzione dei sentieri che si snodavano 
dalla strada centrale conducente dal portale principale ad un’elevazione, su cui 
sorgevano un impianto alberghiero e una veranda per l’orchestra. In tale con- 
cezione poetica di «fine secolo» inserì l'antica cappelletta di S. Cecilia con cam- 
panile a vela sul lato occidentale e un mulino ad acqua nel punto in cui il ru- 
scello sfociava in mare su quello orientale; così integrò l'architettura con lo spa- 
zio, con la vegetazione e con l’acqua corrente in un tutto meraviglioso. Della 
veranda antistante alla trattoria ci è rimasto un disegno particolareggiato; si trat- 
tava di un padiglione eretto su colonne di ghisa decorate con piccole palme, 
con foglie stilizzate e acroteri, tipico dell’architettura dei parchi di Vienna, di 
Graz e di Trieste. Quando progettò il parco di S. Cecilia, il dott. Filiberto Ba- 
sarig non era sicuro di ottenere dall’investitore i mezzi finanziari necessari per 
la sua attuazione; però, ciononostante, l'architetto G. Leard informò il 28 apri- 
le 1875 che nel parco «provvisorio di S. Cecilia», come l’aveva definito in un 
suo preventivo il suo progettista, i lavori erano stati portati a termine. Da ciò 
si deduce che nell’aprile 1875 si era conclusa solo una parte del parco e che la 


R. MaTEICiC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 339 


sua ulteriore sistemazione continuò per tutto il 1875 e oltre. Siccome tale par- 
co era stato concepito in senso moderno da un punto di vista morfologico, al 
momento della sua nascita s’innestò in una trama conservatasi sino ai nostri 
giorni. Nel suo paesaggio, organizzato poeticamente, osservando i cigni del la- 
ghetto al suono di un’orchestra militare, l’intera Fiume ha goduto per anni da- 
vanti ad uno scenario collettivo." 

Vent'anni dopo, nel 1894, il dott. Filiberto Basarig fu incaricato dall’Uffi- 
cio edile di progettare il palazzo del Fondo pensionistico da dislocare in fondo 
al parco. Nessuno, eccetto l’autore del parco, sarebbe stato in grado di prefi- 
gurare l’enorme corpo cubico dell’edificio senza sconvolgere il paesaggio. Il 
Basarig risolse le quattro facciate nello spirito dell’architettura manieristica, ri- 
correndo a un poderoso bugnato nel registro inferiore e a strette aperture rit- 
miche nei piani superiori; collegò il volume e la forma con le chiome lussu- 
reggianti dei platani e dei tigli, i cui rami irrompevano semplicemente nello spa- 
zio della costruzione e temperavano le strutture classicistiche sovrastanti le fi- 
nestre. Il parco e questo palazzo preannunciavano al visitatore l’ingresso nel 
centro cittadino; essi costituiscono il segnale urbanistico anticipatore di Fiume." 

Filiberto Basarig ha dimostrato nel modo migliore la sua abilità nell’inse- 
rire gli elementi architettonici nella natura progettando la tomba di famiglia di 
Annibale Ploech, eretta nel cimitero di Cosala nel 1887. Secondo le informa- 
zioni fornite dalla stampa il committente «non risparmiò i propri mezzi, né con- 
dizionò gli artisti con il desiderio di proteggerli». Il Basarig optò nella conce- 
zione della tomba per le colonne romaniche e per l’arco tondo. All’interno del- 
la cappella di Ivan Rendié collocò l'Angelo del silenzio. Concorsero alla rea- 
lizzazione di tale progetto pure Giovanni Fumi, noto pittore fiumano, e Matija 
Dujmié, artigiano, che eseguì in ghisa la grata della lunetta e la ringhiera as- 
somiglianti a leggiadro merletto. L’opera, attuata in modo così scrupoloso, ha 
trovato collocazione meravigliosa con la sua mole cubica accanto al mausoleo 
della famiglia Nicolachi, dovuto a Ivan Rendié, e assieme creano con il verde 
dei cipressi e dell’edera una sequenza focale sovrastante le nicchie del «ferro 
di cavallo» cimiteriale. Il Basarig è ricorso romanticamente al romanico e nel 
farlo ha dimostrato la propria abilità eclettica, quando crea opere suc c non ese- 
gue interventi di carattere conservatorio. Infatti non soltanto nella ricostruzione 
della facciata del Municipio e delle fontane fiumane egli rivelò le sue attitudi- 
ni di restauratore; subito dopo il suo arrivo a Fiume nel 1873 progettò secon- 


!? IpEM, «Od inicijative do otvaranja», cir, p. 33-37. 

!* G. GRéic-PETROVvIC, «Povijesno-kultumi pregled groblja Kozala» |Sguardo storico-cultu- 
rale al cimitero di Cosala], in Parkovi i nasadi, cit., p. 96-100; R. MATEJSCIC, «Monumentaliza- 
cija groblja Kozala» [La costruzione dei monumenti funebri del cimitero di Cosala], in Parkovi 
i nasadi, cit., p. 100-104. 

MR. MATEJCIC, «Bogata povijest Gradskog tornja» [La ricca storia della torre civica], NR, 
1983, n. 53, p. 20. 


34() R. Matticic. Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti. vol. XXI, 1991. p. 333-357 


do i moduli dello storicismo la sistemazione del campanile accanto al duomo: 
però tale suo intervento neostilistico venne rimosso nel 1933. 


Con delibera della Rappresentanza comunale del 1890 fu stabilito che la 
Torre cittadina fosse monumento storico e che del suo restauro si occupasse 
l'Ufficio edile. Il progetto della costruzione annessa alla torre, delle quattro fac- 
ciate superiori e della cupola fu eseguito da Filiberto Basarig. Egli collegò tan- 
to armoniosamente la parte inferiore barocca della torre con quella superiore ri- 
costruita da non avvertire affatto la cesura, anzi si ricava l'impressione che sia- 
no state erette contemporaneamente. Gli si potrebbe rimproverare di aver sosti- 
tuito la cupola bulbiforme con una a spicchi; ma quella era l’epoca delle strut- 
ture in ferro, che ogni architetto desiderava adottare. 

Finché il dott. Filiberto Basarig si dedicò alle progettazioni, fu impiegato 
alquanto raramente in tale ruolo Isidoro Vauchnig; la sua architettura è rappre- 
sentata dai due padiglioni del Mercato grande, da lui eretto nel 1880 per con- 
to della Banca di Fiume, la quale aveva approvato il progetto «per dimostrare 
il proprio patriottismo nell'intento di innalzare un’opera di utilità e di abbelli- 
mento per la città; anche per il futuro essa è pronta a sostenere iniziative si- 
mili». Isidoro Vauchnig risolse la struttura del tetto ricorrendo al ferro; vetri- 
ficò le parti laterali e dispose solo sulle facciate piastre decorative contenenti 
mazzi di fiori e di verdura in rilievo e sull’armatura del tetto alcuni acroteri. | 
pesanti stipiti di ambedue 1 portali, eseguiti in ghisa, danno a tali padiglioni un 
aspetto grave e solenne. Il Vauchnig ha risolto con il mercato coperto anche la 
sistemazione del margine occidentale di Piazza Urmeny, nella quale già sorge- 
va l’edificio isolato del Teatro comunale e tra esso e il mercato un parco. Al 
margine settentrionale si protendeva sulla via in modo aggressivo il corpo enor- 
me della Banca fiumana, detta «Palazzo Modello»; tutte queste costruzioni era- 
no disarmoniche le une rispetto alle altre. Il Vauchnig tuttavia dispose in fila 1 
padiglioni del mercato coperto in modo che l’uno nascondesse l’altro e che in 
direzione della strada, dello squero, come la chiamavano prima della sistema- 
zione del teatro, rimanesse solo una facciata stretta composta con discrezione 
assai felice." 

Bisogna riconoscere a Isidoro Vauchnig il grande merito di aver eretto ope- 
re monumentali nel cimitero di Cosala. La città cresceva; l’afflusso di nuovi 
abitanti era imponente. Dopo il colera il medico condotto propose il 30 aprile 
1886 di costruire quanto prima nel cimitero delle nicchie. L'architetto Vence- 
slao Celligoi (1851-1916) presentò un progetto ideale per regolare il cimitero 
di Cosala e per la costruzione di 400 nicchie da sistemare nella parte inferiore 
a forma di ferro di cavallo. Quando tale progetto fu approvato nel 1893 dalla 
Rappresentanza cittadina, l'ingegnere Isidoro Vauchnig incaricò Filiberto Basa- 
rig di predisporre il preventivo di spesa. Ciò si protrasse fino al 1894, quando 
il Vauchnig aggiunse al progetto del Celligoi una balustrata sovrastante le nic- 


!5 Ipem, «Povijest gradnje trZnica», cir., p. 20-36. 


R. MATEJCIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti. vol. XXI, 1991, p. 333-357 34] 


chie, che contemporaneamente fungeva da recinto superiore lambente la co- 
struzione come un ferro di cavallo. Così nacque il famoso «Ferro di cavallo di 
Cosala», che rappresenta la regolazione dell’intero complesso cimiteriale grazie 
alla sua struttura più elegante composta dalle 400 nicchie. Essa definì costan- 
temente la direzione del movimento e, nella parte centrale superiore del com- 
plesso, concorse a rendere monumentale lo spazio senza sovrapporsi con la sua 
mole. Il merito va attribuito alla sua facciata classicista, al ritmo degli archi- 
travi e delle tettoie spezzate, alla divisione verticale con semicolonne rotonde e 
alla merlatura dalla forma di una balaustra continua. Questa costruzione è in- 
serita nella vegetazione; gli oscuri cipressi affusolati superano con la loro linea 
verticale più alta quella architettonica. La plasticità e il biancore della pietra nel 
contrasto con il verde scuro dei cipressi creano il chiaroscuro e così tale strut- 
tura, alla sommità del ferro di cavallo, si apre in una parte della scalinata per 
irrompere nel riquadro luminoso del cielo. Venceslao Celligoi, in collaborazio- 
ne con Isidoro Vauchnig, ha creato la scenografia cimiteriale, un’oasi di pace 
nello spirito di «fine secolo»; l’anima e l'orizzonte culturale di Fiume conflui- 
rono in questo insieme." Merita ricordare un altro progetto del Vauchnig; nel 
1855 fu costruita in base ai suoi disegni la Caserma dell’esercito ungherese di 
Scoglietto, insolitamente moderna e funzionale dal punto di vista architettoni- 
co per cui risalta con la sua specifica destinazione nella serie degli edifici. 

Isidoro Vauchnig, in qualità di primo ingegnere di Fiume, fu l’animatore, 
il promotore e il coordinatore della sua meravigliosa équipe. Però, membri di 
quest’ultima non furono soltanto gli architetti giunti da Trieste e fermatisi a Fiu- 
me. Periodicamente, per soddisfare le esigenze dei principali capitalisti, opera- 
rono a Fiume altri noti architetti triestini. Per incarico di Eugenio Ciotta l’ar- 
chitetto Giuseppe Baldini progettò nel 1873 una grande casa di abitazione suc- 
cessivamente eretta al margine del Mercato grande; in tale opera egli si limitò 
a risolvere con mezzi modesti ed elementi decorativi poverissimi il problema 
della sua pura funzionalità senza puntare su una facciata pittoresca a sé stante, 
tratto questo caratteristico di molti costruttori triestini nell’arco di tempo che va 
dal 1860 al 1875. Nel medesimo anno 1873 il Baldini progettò per Giuseppe 
Gorup una grande casa da affittare nelle immediate vicinanze della precedente. 
Così fu definito il margine meridionale di Piazza Urmeny, nel quale in seguito 
venne innalzato il Teatro comunale. Incontreremo lo stesso artista ancora una 
volta a Fiume, quando nel 1882 aggiunse due piani al Palazzo Bathyany al di 
là della via della Filarmonica." 

Un secondo architetto triestino è stato G. Bianchini; in base ad un suo rap- 
porto originale fu costruita la villa del proprietario della fabbrica «Torpedo», 


! Iptim, «Monumentalizacija», cif., p. 100-104. 


! Historijski Arhiv Rijeka [Archivio storico di Fiume], fondo Spisi Opcine Rijeka-Grade- 
vinski ured (nel prosieguo HAR-SOR GU) [Atti del Municipio di Fiume - Ufficio edile|, 7459/73, 
1171. 


342 R. MATEJCIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol XXI, 1991, p. 333-357 


Roberto Whitehead. La pianta è adeguata al terreno, il gioco altimetrico delle 
singole parti si estende a quello del tetto; a ciò si aggiungono una torre spor- 
gente in modo marcato con grandi aperture arcuate e un’altana antistante all’in- 
gresso. L'inglese Robert Whitehead con il suo gusto formatosi nelle isole bri- 
tanniche ha influenzato in modo evidente l’opera. Le tranquille, semplici su- 
perfici, le grandi finestre della veranda, le dimensioni del salone e degli altri 
ambienti secondari danno a tale edificio un’impronta vittoriana." 

Il terzo e più importante architetto triestino, che operò nella prima fase de- 
gli stili storici a Fiume, è senza dubbio Giuseppe Bruni, a cui Giuseppe Gorup 
di Trieste affidò la progettazione della propria villa a Mlaka e dell’albergo «Eu- 
rope» sulla riva del porto fiumano. Questo allievo dell’Accademia veneziana 
aveva avuto a Venezia l’occasione di conoscere il fenomeno autonomo dell’ar- 
chitettura profana contraddistinta dalla categoria della comodità. Il grande al- 
bergo «Europe», ora sede dei Servizi comunali, è l’interprete di una grande epo- 
ca della crescita urbana, di un periodo di ardite imprese finanziarie. Per il Go- 
rup la costruzione dell’albergo a Fiume rappresentava certamente un investi- 
mento, per il Bruni l’opportunità per concepire un edificio cubiforme con quat- 
tro facciate occupanti l’intera isola cittadina. Giuseppe Bruni aveva dietro alle 
spalle i grandi progetti di Trieste, il Palazzo «Modello» del 1870 e il Palazzo 
del Municipio triestino del 1873. Era tipico del Bruni risolvere contempora- 
neamente i problemi architettonici e quelli urbanistici e quindi si comportò in 
questo modo anche con l’albergo «Europe» di Fiume. Egli è il rappresentante 
dell’eclettismo veneziano della seconda metà del XIX secolo e, perciò, per il 
suo tramite arrivarono a Fiume 1 moduli architettonici veneziani. Siccome ave- 
va attinto l’ispirazione direttamente alla fonte, i suoi tratti sono più freschi e 
non si allontanano dalla concezione architettonica mediterranea vincolata alla 
natura del suolo e al piacere provocato dalla volta del cielo. Nell’albergo «Eu- 
rope» il Bruni ha elevato la qualità volumetrica degli elementi morfologici del- 
la composizione. Nel centro di Fiume il palazzo «Europe» si è fuso con il pae- 
saggio del posto; come i palazzi veneziani si specchiano nei canali, così la sua 
lussuosa facciata si riflette nel bacino portuale. Nel tempo in cui nel 1875 fu 
innalzato l’«Europe», si raggiungeva Fiume con il piroscafo; esso costituiva al- 
lora un pannello sfarzoso all’entrata della città, la sua prima immagine. I) Bru- 
ni articolò tutte e quattro le facciate con lesene, con architravi, con terrazze ba- 
laustrate e con capitelli, dando loro un aspetto trinato, trasparente, tuttavia sem- 
plice, perché emana dalla sensibilità cromatica della tradizione rinascimentale 
veneziana. La facciata rivolta al mare è sensibile alla luce, che rimbalza vi- 
brando dalle superfici sporgenti. Solo un architetto di grande levatura e cultu- 
ra poteva trasferire le esperienze dell’architettura profana veneziana sul suolo 
della Monarchia; egli seppe sfruttare l’acqua come elemento del paesaggio cit- 


!# Ibidem, 3967, 23 luglio 1878. 


R. MaTEHCiIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 343 


tadino; ad esso egli legò le strutture architettoniche collocate sulla piazza nuda, 
verso la quale si aprono gli ampi vuoti delle arcate del pianoterra. 


La seconda opera del Bruni è stata la progettazione della villa Gorup e del- 
la fattoria nell’ambito della tenuta di Mlaka, eseguita negli anni 1875-1876. Nel- 
la villa Gorup è rimasta incontaminata l’aristocraticità che il Bruni aveva por- 
tato con sé dal suo incontro con le ville del Veneto. La struttura è collocata in 
un parco, su un'altura colma di vegetazione, dove palme e cipressi raggiungo- 
no le finestre e la ringhiera della terrazza. Il Bruni, tipico rappresentante del 
tardo Ottocento, ha ridotto i modelli veneziani a simboli di nobiltà e di purez- 
za. Attraverso un fitto viale serpeggiante, dalla strada lungo la quale correva un 
alto muro di cinta in pietra, si accedeva attraverso un portale all’elegante fac- 
ciata con nel mezzo una sporgenza marcata. Sistemata entro una vegetazione 
oscura, la villa con la sua mole chiara sembrava una lanterna; accanto ad essa 
si protendeva lateralmente la fattoria con la facciata in assoluta armonia con 
l’edificio principale. Così si ricavava l'impressione che si trattasse di un’ala del- 
la villa e non di un corpo separato. Giuseppe Bruni concentrò le aperture nel- 
la parte centrale della villa, ne riprodusse altre tre dal pianterreno alla mansar- 
da; però l’accento fu posto sul primo piano, sul salone, le cui finestre presen- 
tano archi semicircolari sagomati, che creano un aspetto più fastoso. Costruita 
contemporaneamente al parco cittadino, a una distanza relativa dal centro ur- 
bano, la villa Gorup, al tempo della sua nascita, impresse all’intera zona un to- 
no di malinconia campestre. L'architettura del Bruni a Fiume rivela in modo 
definitivo una cultura che ha saputo sfruttare i moduli monumentali e la tran- 
quillità classica a seconda della posizione e della funzione della costruzione. Si 
può dire che, per il tramite del triestino Giuseppe Bruni, ha fatto irruzione a 
Fiume un’ondata potente dello storicismo europeo. Infine, per quanto concerne 
i rapporti diretti che i tre menzionati architetti triestini ebbero con i commit- 
tenti, si deve supporre che l’interesse mostrato da quest'ultimi per gli artisti trie- 
stini sia stato suscitato anche dagli architetti dell'Ufficio edile, dal momento che 
si trattava di loro colleghi provenienti dalla medesima città." Ciotta e Whi- 
tehead ebbero un ruolo importante nell’orientamento politico di Fiume; Gorup 
invece era uno sloveno triestino e quindi per lui era del tutto naturale e logico 
guardare a Trieste come a centro culturale nella prima fase dello sviluppo edi- 
lizio della città del Quarnero, quando il Provvisorio magiaro non aveva ancora 
elaborato una propria politica colonizzatrice nei suoi confronti. 

Tuttavia, quando si trattò dell’erezione degli edifici pubblici di maggior ri- 
lievo quali il Teatro comunale e la Banca fiumana, la Presidenza cittadina non 
si rivolse a Trieste, ma direttamente al centro della Monarchia, agli architetti 
viennesi Fellner e Helmer. Dopo un anno di lavoro speso per tirare su fino al 
tetto l’edificio del Teatro comunale, l’incarico di direttore-costruttore venne at- 
fidato a Giacomo Zammattio, architetto triestino, allievo del Politecnico di Vien- 


19 R. MATEJCIC, «Arhitekt Bruni», cir., p. 109-118. 


344 R. MATFICIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 


na, il cui nome sarà indissolubilmente legato, a partire dal 1 dicembre 1884, al- 
lo sviluppo dell’architettura fortemente storicistica e dell’urbanistica di Fiume. 

Giacomo Zammattio nacque a Trieste nel 1855; lì assolse la scuola media 
e quella di disegno presso il pittore Emmanuele Gallico. A_Vienna si laureò nel 
1879 presso il Politecnico nella classe del prot. Heinrich von Ferstel, la cui in- 
fluenza si fece sentire su tutta l’opera dell’allievo. A studi conclusi, lavorò a 
Trieste dal 1874 al 1884, anno in cui si trasferì a Fiume; qui operò come ar- 
chitetto progettista e come imprenditore edile autonomo fino al suo rientro a 
Trieste avvenuto nel 1903." 

Il dualismo della Monarchia procurò ai Fiumani, sul piano culturale e istrut- 
tivo, preoccupazioni impreviste; infatti essi s’imbatterono inaspettatamente nel- 
le tendenze alla magiarizzazione dell’educazione pubblica e dell’amministra- 
zione. L'orizzonte intellettuale e politico del podestà Giovanni Ciotta e di gran 
parte della Rappresentanza era ampio; le idee guida di tale gruppo di cittadini 
consistevano in un illuminismo fondato esclusivamente sulla lingua italiana. Su 
pressione del clima del compromesso dal 1870 s’installò nella città uno strato 
di burocrati e di capitalisti simili a quelli dell’europeo «tempo dei fondatori» 
(Grunderzeit); costoro furono impiegati contemporaneamente nelle banche, nel- 
le aziende economiche, nel giornalismo, nell’istruzione e nella cultura. Il pro- 
filo del pruppo era rappresentato da cittadini benestanti e colti, nella maggio- 
ranza dei casi, in rapporto familiare tra loro (Adamid-Ciotta, Ciotta-Meynier). 
Costituivano gli anelli di una catena collegati da interessi comuni; nel loro pro- 
gramma teso al mantenimento dell’autonomia di Fiume, l’istruzione in lingua 
italiana occupava un posto significativo. L’ammodernamento si avvertì senza 
dubbio nei mutamenti di carattere culturologico; vennero fondati la Biblioteca 
civica, il Museo civico e la Società di scienze naturali. Al lato opposto stava- 
no, sin dagli anni ottanta, gli Ungheresi, ossia lo stato. Il Municipio e lo Stato 
costituivano due fattori animati da finalità antitetiche. In tale guerra fredda i 
fautori dell’autonomia fiumana decisero di erigere nella parte moderna della 
città, nelle vicinanze immediate del centro storico, due scuole elementari, due 
veri monumenti che conclusero tale epoca. 

Il podestà Giovanni Ciotta e il giovane architetto Giacomo Zammattio col- 
laboravano tra loro nella tracciata politica culturale ideologizzata; ognuno di es- 
si, con il proprio stile e con il proprio comportamento personale, interpretava 
lo spirito dello storicismo, il cui orientamento programmatico puntava sulla sfe- 
ra della politica e della cultura. Non senza motivo Giacomo Zammattio fu in- 
caricato di elaborare il progetto di ambedue le scuole elementari di Dolac. Il 
Ciotta seppe reperire e sfruttare le fonti materiali necessarie, identificate spe- 
cialmente nella Banca e cassa di risparmio comunale, di cui possedeva molte 
azioni, per la costruzione dei due edifici scolastici. Il podestà e l'architetto era- 


2° Ipiim, «Kompleks zgrada i pokrivena trZnica Brajda» [Il complesso di edifici e il merca- 


to coperto di Braida], NR, 1981, n. 30-31, p. 24. 


R. MATEJCIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 345 


no influenzati dalle impressioni riportate dai loro soggiorni di Vienna e di Trie- 
ste, avevano fatte proprie le immagini delle città centroeuropee e, perciò, si pre- 
fissero di creare microrioni e di aprire nuove vie.”! Tutti gli elaborati delle nuo- 
ve strade parallele vanno attribuiti all'Ufficio edile cittadino, a capo del quale 
stava l'ingegnere Isidoro Vauchnig. Già allora si avvertì l’esigenza di un piano 
edilizio generale, perché accanto alla Dolac erano state aperte altre vie di co- 
municazione per collegare la città con Braida e con la stazione ferroviaria. Nel- 
la via Dolac, da poco inaugurata, il giovane architetto Giacomo Zammattio poté 
dimostrare il proprio enorme talento operando su un terreno appena smosso. 
Frutto della collaborazione felice tra il podestà e l'architetto furono i due edi- 
fici scolastici destinati contemporaneamente all’istruzione e alla cultura. Così lo 
Zammattio poté tradurre in realtà in via Dolac quella visione della grande città 
che si era formato nel corso degli studi a Vienna.” 

Nel 1886 lo Zammattio progettò la Scuola elementare per ragazzi secondo 
i moduli del tardo rinascimento fiorentino; si ispirò soprattutto a L.B. Alberti. 
Non disponeva di uno spazio grande e il suo compito consisteva nel porre sot- 
to il medesimo tetto la Scuola elementare, la Biblioteca civica e il Museo ci- 
vico. Egli superò tale ostacolo lasciando all'angolo delle attuali vie Dolac ed 
Erasmo Bardié la torre d'accesso, nel cui pianterreno sistemò il vestibolo e al 
piano l’auditorio ossia l’aula magna. Dal vestibolo si accedeva ad una scalina- 
ta luminosa, sfarzosa, che collegava organicamente tutti questi ambienti. Così 
si assicurò pure lo spazio per il cortile chiuso, sul quale guardavano le finestre 
dei corridoi. Il mantello esteriore dell’edificio è decorato con modesti elemen- 
ti plastici, eseguiti da Luigi Conti. 

Lo Zammattio progettò la Scuola per ragazze attenendosi ai moduli dell’al- 
to rinascimento e alla decorazione plastica del Sanmicheli e del Palladio. All’en- 
trata della sporgenza centrale collocò due portali per far risaltare in tale edifi- 
cio due contenuti, la scuola e l’Ufficio tecnico. Sistemò la scalinata nella torre 
rivolta al cortile. Dedicò particolare attenzione al secondo piano, che assunse il 
ruolo di «piano nobile»; così nella facciata esteriore sottolineò le aperture del- 
le finestre con forti colonne a tre quarti e con elementi decorativi plastici. In 
tale piano fu sistemata l’aula magna abbellita con stucchi e figure. Tutta que- 
sta ornamentazione è stata rimossa nel corso dei lavori di adattamento di tale 
edificio destinato a Galleria moderna.?* 


Dopo il 1870 Fiume registrò un’enorme crescita demografica, specialmen- 
te di impiegati, non disposti ad accontentarsi delle abitazioni poco contortevo- 
li della Cittavecchia. Con l’apertura della nuova via Dolac (via Clotilde infe- 
riore), al cui terminali erano state costruite la Scuola elementare per ragazzi e 


2 Ipim, «Dvije zgrade osnovnih skola na rijeékom Dolcu, Ukras modernog grada» [I due 
edifici scolastici di Dolac, Abbellimento della città moderna], NR, 1986, n. 87, p. 12. 


22 Ibem, «Od Dolca do Zagrada» [Da Dolac alla Barriera], NR, 1986, n. 89, p. 16. 
23 IpeM, «Dvije zgrade», cir., p. 12. 


346 R. MatEJCiC, Ii ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 


la Scuola elementare per ragazze, si presentò l’opportunità all’industriale e pos- 
sidente Robert Whitehead di investire lucrosamente i propri capitali nella co- 
struzione di case di abitazione lungo la medesima. Anche lui permise all’ar- 
chitetto Giacomo Zammattio, autore del progetto, di esprimersi liberamente in 
questo campo dell’edilizia abitativa. Lo Zammattio progettò in via Dolac (ex 
De Amicis), per conto del Whitehead, dapprima il palazzo di famiglia, detto 
«Casa veneziana», e quindi altri tre edifici monumentali. Infine la Cassa di ri- 
sparmio cittadina diede il via nel 1896, secondo i disegni dello Zammattio, 
all’erezione della propria sede all’angolo dell’odierna via Erasmo Bardié e di 
via Dolac. Così furono concentrate in un’unica strada opere di grande rilievo 
del rinomato costruttore e architetto. Non sarebbe stato possibile realizzare tut- 
to ciò senza il sostegno del podestà Ciotta, comproprietario del «Silurificio» 
(fabbrica Torpedo), di cui Robert Whitehead possedeva il maggior numero di 
azioni. Lo Whitehead fu una persona speciale, uno degli esponenti più impor- 
tanti dell’ascesa industriale di Fiume. Investendo i propri capitali nella costru- 
zione di interi blocchi abitativi in via Dolac e a Braida, egli impresse un’im- 
pronta indelebile allo sviluppo urbanistico fiumano. Ebbe la fortuna di aver scel- 
to per «proprio architetto» Giacomo Zammattio e così assicurò all’architettura 
monumentale di Fiume un posto invidiabile nella storia dell’alto storicismo. Ro- 
bert Whitehead fu in grado di seguire diligentemente tutto ciò che accadeva nel 
campo dell’architettura moderna e volle aiutare il suo socio d’affari Giovanni 
Ciotta nella realizzazione del suo intento di trasformare Fiume in un centro ur- 
bano cosmopolitico. 

Tale cosmopolitismo si avverte proprio nella scelta degli elementi tipici de- 
gli stili storici presenti nell’architettura dello Zammattio in via Dolac, dal goti- 
co veneziano al barocco viennese di Erlach attraverso i modelli altorinasci- 
mentali. Lo Zammattio optò per lo stile storico e non lo combinò mai con gli 
altri nel medesimo edificio, fu coerente nell’attuazione della sua concezione, 
dominò con abilità e sicurezza il repertorio dell’alto storicismo, dato che a Vien- 
na aveva seguito a tale proposito una buona scuola. L'architettura di via Dolac, 
gli edifici scolastici, la banca e le case di abitazione possono essere classifica- 
ti tra le opere migliori della sua prima fase di attività, quando, ispirato dall’ar- 
chitettura del viennese Ring, tentò di introdurre a Fiume lo spirito della metro- 
poli nella quale si era formato. Dalla felice collaborazione di un industriale e 
di un architetto di talento è nata una delle più belle vie fiumane.” 


Potremmo affermare che il primo microrione di Fiume, sistemato urbani- 
sticamente e completato nel pieno rispetto del rispettivo progetto, è costituito 
dal complesso di edifici e dal mercato coperto di Braida. Nell’era delle grandi 
costruzioni della Fiume dell’ultimo decennio del XIX secolo si manifestò la ne- 
cessità di erigere, attorno alla stazione ferroviaria lungo la principale arteria 
«Corsia Deak», case di abitazione di maggior rilievo, il mercato, alberghi e tut- 


2 IpeM, «Od Dolca do Zagrada», cir., p. 16. 


R. MateiCiC. Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 347 


to ciò che si addiceva ad un moderno centro urbano comsopolitico. La Banca 
comunale si fece nuovamente avanti come investitrice e acquistò a Braida i be- 
ni immobili di due possidenti fiumani, i fratelli Kohen, con l’intenzione di rin- 
novare tutti gli edifici, eretti in modo irregolare e divenuti espressione di ar- 
chitettura periferica, e di costruire in tale zona, che si estende dall’odierna via 
B. Kidrié (Corsia Deak) alla via Fiorello la Guardia (via Germania), un mo- 
derno rione cittadino con mercato coperto al suo centro. Giacomo Zammattio 
intraprese coraggiosamente tale opera elaborandola dal punto di vista urbanisti- 
co e architettonico. Si trattò di una soluzione globale, presentata come propo- 
sta nel 1890, che, però, venne realizzata gradualmente nel giro di sei anni. Un 
intero rione cittadino, eccettuato l’edificio della Fondazione dei marinai «San 
Nicolò», venne progettato dallo Zammattio. Il terreno, già proprietà dei Kohen, 
fu suddiviso in quattordici particelle catastali. La Banca comunale fece erigere 
otto case d’abitazione, due Robert Whitehead. Giacomo Zammattio prefigurò il 
rione Braida secondo l’insegnamento ricevuto dal grande maestro viennese di 
urbanistica H. Ferstel. Adeguò la mole degli edifici ad un terreno degradante 
quasi fino al livello marino; il complesso è indipendente, il nucleo è autosutti- 
ciente, ma si inserisce con uguale validità nel tessuto organico della parte mo- 
derna di Fiume. Gli edifici sono stati eretti sostanzialmente in stile neorinasci- 
mentale e quindi si è ottenuta un’atmosfera unitaria; l'architettura più semplice 
è volta verso la via Fiorello la Guardia allargata in tale occasione, quella resi- 
denziale, più ambiziosa, verso la Corsia Deak (via B. KidriC). 

Il mercato coperto, situato in mezzo a tale complesso, funge da transizio- 
ne architettonica; la costruzione presenta elementi del Quattrocento fiorentino, 
che si esprime nella facciata principale volta verso il mare; nel suo mezzo è 
collocato un portale con una grata di ghisa eccezionalmente armoniosa. Sull’ar- 
chitrave liteo del portale è scolpito in rilievo l'antico stemma di Fiume; la su- 
perficie della facciata è divisa da pilastri che raggiungono il cornicione. La po- 
licromia scaturisce dall’alternanza del piede e delle finestre in pietra con il co- 
lore dei mattoni della facciata. Lo Zammattio ha conciliato in tale edificio 1 
principi estetici degli stili storici con la rigorosa funzionalità dell’ambiente, ha 
armonizzato il pieno e il vuoto, ha purificato e semplificato la materia; perciò 
questa costruzione ha sopportato senza eccessivo dolore gli adattamenti moder- 
ni. 

Struttura architettonica imponente, edificio di enorme potenzialità estetica 
è il Palazzo Ploech, eretto nel 1888 e situato in cima a Piazza Zabica. In quel 
periodo Fiume era divenuta famosa per la sua azienda tecnica, il «Silurificio», 
in cui si produceva un’arma micidiale di enorme potenza distruttiva. Dalla fab- 
bricazione di tale strumento bellico derivavano, nella percentuale fissata dal con- 
tratto, all’inventore austriaco, Annibale Ploech, meccanico di precisione 
dell'azienda, grossi guadagni. Egli divenne rapidamente un capitalista e uno dei 


2 Ipem, «Kompleks zgrada», cit., p. 24. 


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quattro grandi fiumani: Gorup, Ciotta, Whitehead, Ploech; investì parte dei suoi 
mezzi finanziari in costruzioni imponenti. Il palazzo più significativo che fece 
erigere come residenza della propria famiglia è senza dubbio quello sito in Piaz- 
za Zabica; con esso egli si ripromise di uguagliare i capitalisti menzionati, due 
dei quali, Whitehead e Ciotta, erano suoi soci d’affari. Anche lui scelse come 
progettista ed esecutore dei lavori l'architetto Giacomo Zammattio. Il palazzo 
dei Ploech rappresenta una delle sue prime opere eseguite nel momento in cui 
subiva ancora l'influenza diretta della scuola viennese, del tardo storicismo ar- 
chitettonico. 

Dato che lo storicismo significava contemporaneamente urbanismo, lo Zam- 
mattio sfruttò la posizione disponibile in cima alla piazza Zabica, adattando in- 
gegnosamente la pianta a tale posto marcato che s'impone a chi entra nel cen- 
tro cittadino; quindi inserì nel corpo della casa disposta in forma di L irrego- 
lare un’alta torre e ricoprì il suo attico con una cupola imponente. L’architetto 
elaborò da vero esperto questo progetto, basandosi sulla sua esperienza vien- 
nese. Per tale palazzo lo Zammattio adottò pure il repertorio ornamentale vien- 
nese dell’alto storicismo coincidente con il periodo in cui la scuola di Ferstel 
aveva smesso di seguire i modelli dell’alto rinascimento e barocco romani e si 
era volta a quelli del rinascimento e del barocco austriaci, rispettivamente ger- 
manici. Così lo Zammattio si attenne per il manto della facciata di tale palaz- 
zo al barocco centroeuropeo, armonizzando i dettagli riportati in un tutto uni- 
co meraviglioso. L'imponente portale dell’ingresso con i telamoni che sosten- 
gono i capitelli e l'architrave, le colossali colonne a tre quarti con capitelli co- 
rinzi che arrivano fin sotto al cornicione dell’attico, gli elementi in rilievo sot- 
to i frontoni segmentali, tutto ciò appartiene al lessico decorativo di Fischer von 
Erlach e di Hildebrandt ed è armonicamente inserito nella facciata. Subito do- 
po l’entrata si è colpiti da una scalinata sfarzosa che riceve la luce dallo zenit; 
a produrre tale effetto imponente concorrono la ringhiera lussuosa in ghisa sti- 
listicamente risalente al tardo XVIII secolo, le finestre ovali e gli stucchi ro- 
cocò. Quest'opera del grande Giacomo Zammattio deve essere trattata anche 
come dimora dei Ploech, perché sotto questo aspetto essa simboleggia l'ascesa 
industriale di Fiume, rivela il gusto di un meccanico di precisione, che nell’in- 
vestire il proprio denaro, seppe scegliere un giovane architetto di talento per la 
progettazione della propria residenza.” Però Annibale Ploech, come i suoi com- 
pagni, investì mezzi notevoli nella costruzione di abitazioni da affittare; così nel 
1889 lo Zammattio gli progettò l’edificio assai armonioso, che da un lato guar- 
da su piazza Belgrado e dall'altro sulla via J. Kra$. Accanto a questa costru- 
zione in stile neoclassico rinascimentale lo Zammattio progettò per Ortensio Vio 
Bakardié la casa adiacente, alla quale aggiunse come ornamentazione terrazze 
barocche e parecchi elementi plastici. Ambedue gli edifici riflettono l’architet- 
tura della Corsia Deak. 


26 IpeM, «Palata Plocchovich na Zabici, Zgrada estetskog potencijala» [Il palazzo dei 
Ploech in via Zabica, Costruzione di potenzialità estetica], NR, 1985, n. 82, p. 16. 


R. MatbJcic. Il ruolo degli architetti triestini a Fiume. Arti. vol. XXI, 1991, p. 333-357 349 


Negli anni Settanta del XIX secolo il tenore di vita sociale della borghesia 
registrò una rapida ascesa. Il grande afflusso di intellettuali, impiegati negli ut- 
fici statali e nelle scuole, riattivò alcune associazioni estinte. Il tempo libero dei 
cittadini impose ai fattori sociali il compito di trovare una sistemazione per la 
direzione delle loro associazioni e di fornire ambienti adeguati per lo svolgi- 
mento di attività per lo più dilettantistiche. Nel 1872 venne rifondata la «So- 
cietà filarmonica-drammatica», guidata da Giorgio Vranyezany. Siccome una 
grande parte della borghesia fiumana aderiva a tale società, molti si accordaro- 
no di costituire un proprio consorzio, acquistarono in via del Governatore la ca- 
sa Struppi e cominciarono subito ad erigere al suo posto la propria sede socia- 
le. Grazie ad un prestito concesso dalla Banca e cassa di risparmio fiumana, 
come pure al contributo della generosa fondazione dell’industriale Annibale 
Ploech, ebbe inizio, su progetto dell’architetto Giacomo Zammattio, la costru- 
zione del grande palazzo della «Filarmonica», attualmente Casa dell’Armata iu- 
goslava. 

L'architettura di tale edificio, sito in un tratto della più importante via pe- 
donale fiumana, si distingue per le sue qualità «superiori» a quelle delle vicine 
case d’abitazione. Dal punto di vista ambientale la costruzione è stata struttu- 
rata in modo da corrispondere alle esigenze di una grande società, la cui or- 
chestra strumentale contava oltre sessanta esecutori; però Giacomo Zammattio 
la concepì in modo modernissimo, proiettandola nel futuro, con locali minori 
per le prove disposti funzionalmente secondo i modelli degli enti musicali cen- 
troeuropei. Siccome una grande parte dell’attività di detta società si svolgeva in 
campo musicale, il progettista si preoccupò di prefigurare una sala concerti che 
soddisfacesse non solo le necessità della Fiume di allora, ma anche di quella 
odierna. Ciò significa che, nel più brillante momento evolutivo della città, so- 
no stati innalzati non soltanto fabbriche e cantieri, ma anche impianti musicali 
e scenici di carattere pubblico, quali il Teatro comunale e questo edificio della 
«Filodrammatica». La sua erezione riveste particolare importanza, perché ha col- 
mato una lacuna del contenuto urbanistico di una città moderna in cui stava tra- 
sformandosi Fiume. 


Lo spazio, occupato dalla società per innalzarvi la propria sede, si proten- 
deva in lunghezza in direzione dell’odierna Biblioteca scientifica; perciò la fac- 
ciata di tale costruzione assomiglia ad una bella figliola che compaia improv- 
visamente nella sua magnificenza sulla via. Ciò dovette costituire un’ardua im- 
presa per il progettista; formatosi nell’ambiente viennese, dove gli edifici di 
questo genere venivano eretti in uno spazio, di norma libero, egli si adeguò al- 
la realtà fiumana facendo qualche compromesso, specialmente quando sacrificò 
la posizione dello scalone a favore dei locali destinati a caffè. Così il palazzo 
ebbe una scala modesta collocata al lato e un foaje assai ristretto. La mancan- 
za di tale gradinata solenne è stata compensata dal meraviglioso salone, un ve- 
ro c proprio teatrino, la cui decorazione e il cui palcoscenico sono stati eseguiti 
secondo il modello di ambienti musicali e drammatici viennesi simili. I ricchi 
stucchi rococò con i busti di musicisti nelle nicchie sono opera dello scultore 


350 R. MaTEJCiC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Atri, vol. XXI, 1991, p. 333-357 


viennese Ludvig Strichtius. Tutto è svolazzante, colmo di fiorellini, di anelli, di 
rocaille e di volute, che, intrecciati, si agitano vorticosamente sulle pareti e sul- 
la volta. Lo spazio è reso più ampio da specchi; in mezzo al soffitto sta una 
composizione pittorica con le allegorie della musica, della danza e del dram- 
ma, opera di un amico dell’architetto, il noto pittore triestino Eugenio Scom- 
parini. L'intero salone rappresenta una sintesi architettonica, scultorea e pittori- 
Ca; però, ciononostante, risaltano il forte intervento costruttivo dell’autore e la 
sua logica architettonica. Nel salone come nella facciata egli ha presentato il 
futuro, «storicamente» si è trasfuso in contenuti moderni. Tale opera è pervasa 
da un nuovo impulso vitale, da un nuovo afflato ispiratore, di modo che essa 
non perderebbe nulla, neppure se la privassimo della sua ornamentazione scul- 
torea e pittorica. 

Sulla facciata di tale costruzione lussuosa lo Zammattio dispose, tra co- 
lonne colossali che partono dal balcone del primo piano e raggiungono la pic- 
cola cornice sottostante all’attico, grandi finestre con archi sovrapposti semi- 
circolari, al cui lati stanno i plastici di figure distese. Il modello deriva dall’al- 
to rinascimento e dal manierismo italiani, però lo Zammattio in questa occa- 
sione ammorbidì la propria tavolozza. Inserì nel gioco il pittore fiumano Gio- 
vanni Fumi, che, su disegno dell’architetto, dipinse i campi intervallati tra le fi- 
nestre dell’attico e così rese «pittorica» la facciata. Impresse più slancio alla 
propria espressione, alla propria immaginazione, che in questo pittore-architet- 
to era cruciale. Tutto fu trasfuso dal repertorio classico nel suo discorso pitto- 
rico comprensibile all’ambiente fiumano e alla via su cui si affacciava la «Fi- 
lodrammatica». Tale architettura è funzionale e autentica; perciò ancor oggi con- 
serva la sua validità e fa onore a Fiume. 

Quando il 30 novembre 1890 tale edificio venne inaugurato, dal suo pal- 
coscenico echeggiò l’inno sociale composto da Giovanni Saitz. In tale salone 
Fiume celebrò il sessantesimo anniversario della nascita di Saitz con un gran- 
de spettacolo degno del suo famoso concittadino. Il progettista di questa Casa 
dell’arte innalzò il palazzo della Filodrammatica cinque anni dopo il suo arri- 
vo a Fiume; nelle sue orecchie risuonava ancora la musica dei «Musikhause» 
viennesi. La sua maturazione era avvenuta in un ambiente, in cui gli edifici di 
«pubblica utilità» costituivano un elemento essenziale e perciò portò a termine 
l'impresa con coraggio e con successo.” 

Giacomo Zammattio non fu insensibile agli orientamenti dell’architettura 
moderna; lo dimostrò subito dopo il suo rientro a Trieste, dove optò pronta- 
mente per il liberty. A Fiume eresse in tale stile il mausoleo maestoso della fa- 
miglia Whitehead verso gli anni 1900; in tale opera abbandonò il romanico con- 
venzionale e fece proprio il linearismo geometrico, la chiara tecnica costruttiva 
estremamente espressiva evidentemente sotto l’influsso delle nuove correnti ar- 


27 IpEm, «Filodrammatica, sada Dom JNA, Velebna koncertna dvorana» [La «Filodramma- 
tica», ora Casa dell’Armata jugoslava, Imponente sala concerti], NR, 1983, n. 60, p. 16. 


R. MattiCcic, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Atti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 351 


tistiche. Se la lanterna fosse priva di qualche elemento ornamentale di tipo se- 
cessionistico, la costruzione potrebbe apparire anticipatrice dell’architettura più 
moderna.’* Tale si rivela la sua concezione ardita della stazione marittima di 
Trieste, elaborata assieme a Umberto Nordio, che in seguito innalzerà a Fiume 
l’ultima opera edilizia «triestina», la «casa-torre» sita nell’odierna piazza Pal- 
miro Togliatti (1939). 

Nel medesimo tempo, in cui Giacomo Zammattio completava la sua car- 
riera di famoso architetto, operò a Fiume un altro architetto triestino, Emilio 
Ambrosini. Costui fece la sua prima comparsa nella città nel 1884 assieme a 
Carlo Conighi in qualità di rappresentante dell’impresa costruttrice del Palazzo 
del Governo marittimo. Benché proveniente da Trieste, si affermò presso 1 cir- 
coli vicini al governatore e nel medesimo anno l’arciduchessa Clotilde gli at- 
fidò la progettazione e la costruzione dell’asilo infantile «Clotilde», che egli 
portò a termine con sua grande soddisfazione. Più tardi fu attratto probabilmente 
dall’intensa attività edilizia di Fiume e così lo incontriamo nell’arco cronologi- 
co che va dal 1893 al 1912, quando morì, come architetto fecondo e spesso an- 
che come progettista e imprenditore. Prima della sua morte si avvalse della col- 
laborazione del figlio Mario dotato di grande talento, il quale ereditò l’impre- 
Sa paterna. 

Emilio Ambrosini nacque a Trieste nel 1850; in quella città frequentò la 
scuola inferiore e quindi quella navale; assoltala, fu per quattro anni assistente 
nella marina da guerra di Trieste. Dopo quella esperienza se ne andò a Graz 
per studiare in quel Politecnico. Non sappiamo nulla dell’attività da lui svolta 
a Trieste.” 

Giunto a Fiume, Emilio Ambrosini vi introdusse il tipico alto storicismo 
mitteleuropeo, sottoposto però a variazioni nell’impiego del provato arsenale 
della decorazione in rilievo prodotta per le esigenze dell’architettura. Si rico- 
nosce facilmente il suo stile artistico, perché sulle facciate e all’ingresso delle 
sue costruzioni si nota sempre qualche sua impronta inconfondibile. 

Verso il 1894 gli furono commessi lavori di grande portata; furono con- 
temporaneamente costruiti alcuni edifici all'angolo della via delle vittime del 
fascismo (ex via Gorizia). Un’opera imponente fu l’erezione della casa di Pao- 
lo Burgstaller avvenuta nel 1894 su una particella catastale acquistata dalla Ban- 
ca comunale. A proposito della «Casa Burgstaller», il giornale fiumano «La Bi- 
lancia» riportò la notizia, da cui risultava che autore del progetto era stato Emi- 
lio Ambrosini e che a tale architetto si dovevano i disegni di altre sei case si- 
tuate in quel vicinato. Ciò voleva dire che Il’ Ambrosini aveva progettato le ca- 
se disposte lungo il lato sinistro di via Slaviga Vajner Cifa fino alla via delle 
vittime del fascismo e anche quelle situate in quella medesima via e contrad- 


28 M. ZAMMATTIO; A. NEzI, op. cit., p. 70-72. 


29 R. MATFJCIC, «Ambrosini Emilio», Likovna enciklopedija Jugoslavije, cit., vol. I, 1984, 
p. 12. 


392 R. MattbJdiC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti. vol. XXI, 1991, p. 333-357 


distinte dai numeri 45 e 47; infatti esse rivelano lo stesso stile e i tratti carat- 
teristici dell’architettura metropolitana. 


La casa di Paolo Burgstaller è un'imponente costruzione angolare con de- 
corazione neobarocca; dominano 1 pilastri scannellati, i capitelli corinzi, i po- 
tenti architravi segmentati e i cornicioni orizzontali. Essa si inserisce con gran- 
de gusto tra gli edifici della via delle vittime del fascismo, su cui guarda la sua 
facciata laterale. Quest'opera testimonia il gusto raffinato degli investitori fiu- 
mani e la ricerca della qualità da parte dell'ambiente.” 

Nel medesimo anno 1894 |’ Ambrosini costruì al Gorup la casa residenzia- 
le sita all'angolo della via Podpinjol (via Kidrié, 56), quindi la casa di Ilario 
Carpasio a Cosala, la casa di Francesco Derencin pure a Cosala e, nel 1895, la 
casa di Benedetto Loibelsberger sulla Corsia Deak. Tutti questi edifici presen- 
tano le caratteristiche dell’architettura abitativa urbana, diffusa ampiamente nel- 
la Monarchia danubiana. I patos, il neoclassico e il neorinascimento, la pom- 
posità imperiale appresi dall’Ambrosini a Graz fecero breccia assai facilmente 
sul suolo fiumano tra 1 numerosi nuovi ricconi. All’alba del secolo i suoi dise- 
gni rivelano una certa purificazione della decorazione aggressiva, pesante dei 
plastici in rilievo e un’architettura che non recede ancora dalla monumentalità 
dell’alto storicismo; però la facciata si semplifica, come avviene specialmente 
in due grandi costruzioni sgombre degli elementi ornamentali di copertura at- 
torno alle finestre e alla porta. Si tratta della casa di Antonio Jug in via dello 
studente eretta nel 1902 con tre facciate e quella Zmajié in via della Marina ju- 
goslava del medesimo anno.” Su queste due opere si avverte l'influsso delle 
correnti moderne; tre anni dopo egli progettò le due facciate secessionistiche 
più belle del Corso fiumano: lo studio artistico-fotogratico di casa Schittar e lo 
studio fotografico e il negozio di accessori fotografici della casa adiacente di 
Antono Miltenic.?? Emilio Ambrosini aderì in pieno al nuovo stile, abbandonò 
l’intero arsenale stereotipico ornamentale, che appesantiva le facciate delle ca- 
se costruite verso il 1894, rifiutò l’impiego della decorazione floreale, le grate 
in ghisa, le lettere sulle medesime; tutto in lui divenne moderno e ardito, spe- 
cialmente nella successione verticale e nell’apertura di grandi finestre. In tale 
stile egli concepì i sostegni per tende antistanti agli alberghi «Europe» e «Bri- 
stol».3 

Da quel momento fino alla morte Emilio Ambrosini, in qualità di proget- 
tista, di costruttore indipendente e ingegnere responsabile, costruì febbrilmente 
case di abitazione, ville e quasi tutto il microrione Potok di via Nikola Car e 


30 Ibm. «Na prijelomu stoljeéa» |AI cambiamento del secolo], NR, 1986. n. 93, p. 12: /4AR- 


SOR GU, 2084, 11 dicembre 1900; 1408, 11 settembre 1895: 911,9 agosto 1894: 106, 27 mar- 
40 1895. 


3 HAR-SOR GU, 425, 18 marzo 1902; 1831, 16 agosto 1901. 
3 Ibidem, Magistrato n. 14797, 26 agosto 1905: 1896, 24 agosto 1905. 
3 Ibidem, 1721, 18 giugno 1912; 2583, 23 novembre 1908. 


R. MATEJCiIC. Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Atri, vol. XXI 1991, p. 333-357 353 


di via del lavoratore sul terreno Jugo.®* La grande richiesta di alloggi, l’orien- 
tamento persistente della Cooperativa edile verso questa forma di attività im- 
posero spesso all’architetto condizioni costruttive tipiche di un’architettura pu- 
ramente funzionale dal cliché sperimentato. Tuttavia, Emilio Ambrosini si ag- 
giudicò nel 1909 la progettazione dell’albergo «Bristol» da erigere nella Corsia 
Deak per conto del latifondista Giorgio Ruzié; d’altro lato si fece avanti come 
committente pure Giovanni Minach, il cui terreno sul Potok venne suddiviso 
dall’ Ambrosini in tre blocchi abitativi, la cui costruzione ebbe inizio nel 1902. 
Sul Potok comparvero come investitori la Cooperativa fiumana per la costru- 
zione di alloggi, per la quale |’ Ambrosini progettò un grande edificio nel 1908, 
Giovanni Minach, per il quale nel 1909 elaborò i disegni dei grandi condomi- 
ni sorti nel medesimo posto e contraddistinti dai numeri I, VI e iniziò nel 1912 
la progettazione di una grande casa sita in via DubravCié, portata a termine nel 
1914 dopo la sua morte dal figlio Mario. 

Le due opere più importanti dell’ Ambrosini sono l’albergo «Bristol» del 
1909 e il palazzo di Eugenio Fabich sull’innalzato Pomerio nel 1910. Ambe- 
due sono massicce costruzioni monumentali insolitamente influenzate dalla scuo- 
la di Otto Wagner; dominano le finestre a tre battenti, il geometrismo e l’im- 
piego di una decorazione plastica d’autore (Domenico Rizzo). 1 progetti sono 
stati eseguiti nei dettagli, caratteristica questa dell’architettura dell’ Ambrosini, 
dal momento che nella maggioranza dei casi egli era il costruttore e il diretto- 
re responsabile dei lavori.* 

La comparsa della secessione a Fiume non fu sempre accolta con simpa- 
tia. Sotto l’influsso delle aspirazioni irredentistiche si formò il convincimento 
che i nuovi edifici dovessero avere un’impronta di «italianità»; senza dubbio 
l’architettura secessionistica non era in grado di imprimerla all’immagine di Fiu- 
me. La stampa giornaliera riportava spesso ampie critiche rivolte ai progetti del- 
le costruzioni moderne; ciò culminò nel 1912, quando Emilio Ambrosini dise- 
gnò una grande casa d’abitazione angolare per i Ploech in piazza Giuseppe (via 
delle vittime del fascismo). L'architetto Luigi Bescocca, anche lui triestino, a 
quel tempo capo dell’Ufticio edile comunale, difese nel Consiglio le opere mo- 
derne sostenendo che l’estetica dell’edilizia pubblica non era riducibile a una 
questione di lusso, ma andava concepita come ornamento della città. La reda- 
zione del giornale «La Bilancia», però, si scandalizzò all’apparizione della nuo- 
va facciata e affermò: «Preferiamo le case modeste del Corso attorno alla Tor- 


3 Ibidem, 1370, 2 settembre 1908; 1485, 18 agosto 1909; 383, 13 marzo 1908; 59, 22 feb- 
braio 1910; 743, 11 maggio 1911; 1970, 29 ottobre 1909; 3277, 8 gennaio 1912; 750, 28 mag- 
gio 1909; 925, 28 maggio 1909. 

35 Ibidem, 995, 25 maggio 1908; 2375, 23 novembre 1909; «Hotel Bristol», Rijeéki Novi 
List [Nuovo giornale fiumano|, Fiume, 29 dicembre 1909, n. 309, p. 2. 

36 HHAR-SOR GU, 3379, 13 dicembre 1911; 690, 28 maggio 1910; 2168, 28 settembre 1912; 
2168, 28 settembre 1912. 


354 R. MATEJCIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Atri, vol. XXI, 1991, p. 333-357 


re civica a quelle secessionistiche e floreali ad esse opposte». Tanto accesa fu 
la polemica in merito all’aspetto esteriore della casa dei Ploech che l’ Ambro- 
sini, sottoposto a pressioni, dovette modificare il progetto. Fu una delle sue ul- 
time realizzazioni, perché nel 1912 morì a Vienna. Di simili condizionamenti 
esercitati dalla politica culturale funzionale ideologizzata fu vittima pure Bruno 
Slocovich all’atto della sua progettazione della Cassa di risparmio da erigersi 
nel Corso.” 

Dal primo ventennio del secolo, quando Emilio Ambrosini optò per l’espe- 
rienza architettonica moderna, le sue relazioni d’affari con Trieste e con Graz 
divennero costanti. Nella polemica menzionata, l’autore di un articolo, con cui 
si attaccava il suo primo progetto della casa Ploech in piazza Giuseppe, lo de- 
finì «l'architetto triestino» per distinguerlo in tale modo da quelli fiumani. 

L’opus di Emilio Ambrosini rappresenta per le sue qualità artistiche ed ese- 
cutive, nel quadro dell’architettura fiumana, un inconfutabile momento signifi 
cativo di modernità e di coerenza; non si tratta di un’arte provinciale, ma as- 
solutamente centroeuropea parificabile a quella delle creazioni comparse nelle 
altre metropoli della Monarchia danubiana. 

Dopo la prima guerra mondiale si avvertì un ristagno nell’edilizia ispirata 
alle concezioni architettoniche moderne. Il grande triestino, Umberto Nordio, 
portò a termine nella prima metà degli anni Trenta le sue migliori opere per 
conto della RAS (Riunione Adriatica Sicurezza). Una di esse preannunciava 
l’originalità dell’autore, che, più tardi nel 1938, su invito di Marco de Arbori, 
si affermò con la «casa-torre», costruzione detta erroneamente «grande gratta- 
cielo». Il progetto fiumano, una delle opere nordiane che chiude la fase della 
sua massima espressione artistica nel «Novecento», non contiene nulla dell’ar- 
chitettura littoria. II Nordio immise nella progettazione di tale «casa-torre» la 
propria poetica architettonica; ciò avveniva ogniqualvolta lavorava per com- 
mittenti privati (casa Zelco, villa Krizman, la propria casa; tutte a Trieste). Il 
Nordio, impiegando il mattone chiaro della facciata, impresse alla «casa-torre» 
di Fiume la freschezza della volta del cielo. Con gli elementi estetici, con gli 
etfetti del chiaro-scuro ottenuti mediante l’articolazione geometrica della fac- 
ciata rivolta verso la piazza Palmiro Togliatti, verso la «finestratura» tipica del- 
le case Zelco e RAS, Umberto Nordio riuscì, proprio a Fiume, ad inserirsi nel- 
la circolazione cittadina, a creare facciate ritmate e ad adeguarle ai moduli ar- 
chitettonici esistenti, alla piazza e alle vie, di cui tale mole entrava a far parte. 
Nel concepire il suo progetto Umberto Nordio rispettò il programma di risana- 
mento della città, le disposizioni emanate dal servizio incaricato della tutela ar- 
chitettonica, che fissavano l’altezza e i tratti estetici della nuova costruzione; gli 


3 «Per l’estetica c il decoro della città», Lu Bilancia, Fiume, 27 marzo 1912, p. li «Ar- 
chitettura ed estetica», La Bilancia, cit., 22 luglio 1912; «Si comincia a far qualcosa», La Bi- 
lancia, cit., 27 luglio 1912. 


3 G. CONTESI, 0p. cif., p. 117, 132, 139. 


R. MATEJCIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 359 


era stato imposto di non superare in altezza il palazzo «Adria», ma gli erano 
stati concessi venti metri per la torre uscente dall’edificio.” Egli vi si attenne 
scrupolosamente e a ciò si deve, se la monumentalità di questa costruzione e 
una certa severità classica ebbero ragione dei cliché stilistici internazionali e lit- 
toril. 

Con questa opera significativa, invero comparsa vent'anni dopo il «mezzo 
secolo d’oro», ancora una volta un architetto triestino offrì alla monumentalità 
di Fiume un valido contributo. 


Dopo il 1870 Fiume si barcamenò tra Vienna e Pest; dopo il 1924 diven- 
ne una città annessa alla Monarchia d’Italia. Si può affermare che, accanto all’in- 
dirizzo architettonico «statale», l’attività edilizia «municipale» e «privata» ri- 
corsero costantemente alle esperienze e agli artisti triestini, i quali introdussero 
a Fiume i dilemmi, i successi e i risultati conseguiti in quell’importante centro 
situato sulla «grande porta adriatica», nobilitarono il suo aspetto, aggiornarono 
la sua architettura con l'aggiunta assai frequente della componente mediterra- 
nea, come avvenne con le opere di due dei più grandi artisti triestini, Giusep- 
pe Bruni e Umberto Nordio. 


39 HAR-SOR GU, Deliberazione n. 541 del 27 maggio 1941: n. 3501/1958 del 16 dicem- 
bre 1938 inviata al Genio Civile; le condizioni tecniche per l'erezione della Casa Torre confor- 
memente a quanto disposto dal servizio conservatorio. Tali criteri sono stati rispettati dall’archi- 
tetto Umberto Nordio, autore del progetto. 


(9°) 
N 
D 


R. MATEJCIC, Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol. XXI, 1991, p. 333-357 


SAZETAK: Uloga tr$canskih arhitekata u monumentalizaciji Rijeke - U ovoj radnji 
autorica istite ulogu Trsta i njegovih arhitekata u arhitektonskoj evoluciji Rijcke, 0s0- 
bito za vrijeme takozvanog «pola zlatnog vijeka» izmedu 1870. i 1918. godine koji je 
dosada bio jako zanemaren. Bio jc to rezultat uvjeravanja valjanosti tr$fanskog arhi- 
tektonskog iskustva Cija su djela, u pravom smislu, odraZavala Ijudskost, plemenitost 
i ugladenost. 

Nakon zanimijivih osvrta na aktivnost rijetkog opéinskog gradevinskog ureda i 
dvojice njegovih glavnih arhitekata-inZenjera F. Basariga i L. Vauchniga, autorica se 
zaustavija na glavnim projektima i djelima koja su tr$fanski arhitekti izveli za vrije- 
me njihova djclovanja u prvoj fazi historijskih stilova u Rijeci: G. Baldini, G. Bian- 
chini i G. Bruni, 

Posebna se paZnja posvecuje G. Zammattiu, trséanskom arhitektu Èije je ime ve- 
zano uz razvoj historistitke arhitekture i uz urbanistiku Rijeke od 1884-1903. godinc, 
i E. Ambrosini-ju, takoder iz Trsta, koji je u godinama 1893-1912. uveo u Rijeku ti- 
piéni visoki miteleuropski storicizam. 

Dvadeset godina nakon «pola zlatnoga vijeka» javlja se opet u Rijeci tr$éanska 
arhitektura sa U. Nordiom koji je monumentalnosti Rijeke pruio nov vrijedan prilog. 

Moze se reci da, pored «drZavne» struje u graditeljstvu, «municipalna» i «privat- 
na» arhitektura permanentno koriste trSfanska iskustva i tr$éanske arhitekte, koji sve 
dileme, uspjche i rezultate stvorene u tom znatajnom centru unosc i primjenjuju u Rije- 
ci, oplemenjuju njen izgled, aZuriraju njenu arhitekturu, ali veoma desto dodaju medi- 
teransku komponentu. 


POVZETEK: Vloga rrîaskih arhitektov pri natrtovanju spomeniskih stavb na Reki - 
V tem Èlanku govori avtor o vlogi, ki jo je imel Trst s svojimi arhitekti pri arhitek- 
tonskem razvoju mesta Rcke, predvsem v dasu tako imenovanega »zlatega pol sto- 
letja«, ki je segalo od leta 1870 do leta 1918 in ki je bilo do sedaj nekoliko zane- 
marjeno. To izhaja iz prepritanja o pomenu, ki ga je imel poseg trZaslih arhitektov na 
arhitektonsko dejavnost na Reki - njihovo delo pa odraza v pravem pomenu besede 
vse, kar je Clovesko, plemenito in civilno. 


R. MatE:dic. Il ruolo degli architetti triestini a Fiume, Arti, vol XXI, 1991, p. 333-357 357 


Najprej avtor v skopih obrisih ornaéi dejavnost gradbenega urada na Reki in nje- 
govih poglavitnih arhitektov-inzenirjev: F. Basariga in I. Vauhinga. Nato posveta svojo 
temeljitejjo pozornost prejektom in gradbenim delom, ki so jih izvr$ili trZa$ki arhi- 
tekti in ki so delovali v prvi fazi uveljavljenja historiénih stilov na Reki: G. Baldini, 
G. Bianchini in G. Bruni. 

Posebna pozornost pa je posveéena trZa$kemu arhitektu G. Zammattiju, igar ime 
je povezano z razvojem izrazito historiéne arhitekture in re$ke urbanistike med leti 
1884 do leta 1903. Pozornosti je deleZen tudi E. Ambrosini, prav tako iz Trsta, ki je 
v letih 1893-1912 uveljavil na Reki tipiéni visoki sredjeevropski historicizem. 

Dvajset let po obdobju »zlatega pol stoletja« se na Reki znova pojavi trZaska arhi- 
tektura, tokrat z arhitektom U. Nordiom, ki je re$kim spomeniskim objektom vtisnil 
nov, pomemben pedat. 

Lahko zato refemo, da se je poleg »drZavne« arhitektonske smeri tudi mestno in 
privatno stavbarstvo dosledno naslanjalo na izkuSnje in delo trZaskih arhitektov, ki so 
iz tega pomembnega srediséa vnesli na Reko dileme, pa tudi uspehe in doseZke, ki so 
Jih bili deleZni v samem Trstu. S tem pa so seveda tudi poplemenitili zunanji videz 
tega mesta, posodobili njegovo arhitekturo in zelo pogosto vnesli vanjo tudi medite- 
ransko komponento. 


«INCOMBENZE DEL CAPITANIO GABRIEL RIVANELLI 
REGGIMENTO DI VERONA COME DIRETTORE DELLA LINEA 
DI SANITA NEL @UARNER IN ISTRIA, STESA NELL'ANNO 1783 

PER IL FATAL MORBO CHE AFFLIGEVA LA DALMAZIA» 


ANTONIO MICULIAN 


Centro di ricerche storiche CDU 614.4(497.13lstria)(093)«1783-1784» 
Rovigno Saggio scientifico originale 


Gennaio 1991 


Riassunto - Nella seconda metà del secolo XVITI, dalle terre balcaniche, la peste si era 
nuovamente estesa verso il Mare Adriatico. A tale riguardo, il provveditore generale 
del Friuli Alvise Mocenigo, nominato deputato di sanità in Istria, aveva chiamato da 
Verona a salvaguardare l’Istria e il Quarnero il capitano Gabriel Rivanelli. Questi ci la- 
sciò memoria scritta nel suo opuscolo /ncombenze..., in cui riassume il suo lavoro dal 
9 settembre 1783 al 16 novembre 1784. 


Il punto di partenza delle indagini storiche sulla comparsa della peste e sul- 
le sue caratteristiche sono i due saggi del medico Bernardo Schiavuzzi,' non- 
ché l’opera monumentale del medico, demografo e storico francese Jean Noel 
Biraben.? Testimonianze e informazioni sulla peste in Istria ci vengono fornite 
anche dai dispacci dei provveditori veneti nella Provincia, dalle relazioni dei 
podestà-capitani di Capodistria e di quelli di Raspo, pubblicati negli Atti e Me- 
morie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, nonché dalle dispo- 
sizioni governative dei secoli XV-XVII, contenute negli estratti di «Senato Se- 
creti» e «Senato Mare», riportati in gran parte nella rivista sopra menzionata. 


!* B. ScHiavuzzi, «Le epidemie di peste bubbonia in Istria», Arti e Memorie della Società 
Istriana di Archeologia e Storia Patria (nel prosieguo AMS/), Trieste, vol. IV (1888), p. 423-447; 
Ibem, «La malaria in Istria. Ricerche sulle cause che l'hanno prodotta e che la mantengono», 
AMSI, Trieste, vol. V (1889), p. 319-472: ctr. IpEm, «Le istituzioni sanitarie nei tempi passati», 
AMSI, Trieste, vol. VII (1892), p. 315-407. Notizie frammentarie si possono trovare anche 
nell'opera di G.F. TOMMASINI, «De° Commentari storici-geogratici della provincia dell'Istria», Ar- 
cheografo Triestino (nel prosieguo AT), Trieste, vol. IV (1837), p. 60-62: P. KANDLER, Notizie 
storiche di Montona, Trieste, 1875, p. 141-142; C. DE FRANCESCHI, L'/stria. Note storiche, Bo- 
logna 1981, p. 332-347; cfr. anche M. BERTOSA, M/etacka Istra u XVI i XVII stoljecu [L'Istria 
veneta nel XVI e XVII secolo], vol. I, Pola 1986, p. 45-52; IDEM, /srarsko vrijeme proslo {Il pas- 
sato dell'Istria], Pola, 1978, p. 139-186; cfr. anche L. LAGO - C. RossiT, Descriptio Histriae, 
Trieste 1981 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 5), p. 210 e nota 
I, p. 280. 


2 Cfr. M. BERTOSA, Mletacka Istra, cit., p. 46-50: il Berto$a ci presenta l’opera dello stori- 
co francese quale fonte primaria per lo studio del morbo della peste in Europa, e di conseguen- 
za anche nelle nostre regioni; 


360 A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Atti. vol. XXI, 1991. p. 359-390 


Oggi, la storiografia istriana riguardante l'argomento dovrebbe essere rive- 
duta e completata, in quanto, oltre ad offrirci dati cronologici importantissimi, 
pochissimo o nulla ci dice sulla natura clinica del morbo che causava la peste, 
ed in genere delle altre epidemie catastrofiche che hanno costantemente ac- 
compagnato il genere umano dall’evo antico, al medio evo a quello moderno. 


La peste, di solito, entrava in Europa, proveniente dall’Oriente, per via ter- 
ra e per via mare al passo con le guerre e con le conseguenti carestie. In Istria, 
in più riprese, era penetrata anche da Venezia, con la quale la regione aveva 
avuto continui rapporti di traffico, commerciali e politici. 

Particolarmente catastrofica era stata la peste del 1630-32, portata, presu- 
mibilmente, in Italia dalle truppe imperiali (il male era stato introdotto dall’ Asia 
in Europa); dalla Lombardia era passata a Venezia c, conseguentemente, in Istria. 
Capodistria veniva contaminata da una «galera di commercio proveniente da 
Venezia; vogliono che allora vi morissero, computati 3000 decessi nel territo- 
rio, 5000 individui»;® Parenzo nel 1631 era ridotta a 30 anime, accresciute nel 
1646 a 100; Cittanova, decimata come Umago, Parenzo e Pola, veniva chia- 
mata dal podestà e capitano di Capodistria, Angelo Morosini «Dea della deso- 
lazione e ricovero della stessa solitudine». 

AI calo demografico della popolazione in Istria aveva notevolmente con- 
tribuito anche la comparsa della malaria* I rettori veneti distinguono nelle lo- 
ro relazioni, a seconda della configurazione del suolo e della posizione geo- 
grafica delle cittadine, le località più o meno soggette a tale morbo; oltre a Pa- 
renzo, menzionano pure Pola, i dintorni di Umago, Cittanova e la Valle del 
Quieto.® 


3 Cfr. L. PARENTIN, «Cenni sulla peste in Istria e sulla difesa sanitaria», AT, Trieste, vol. 
XXXIV (1974), p. 8: cfr. Grande dizionario Enciclopedico, vol. XIX, Torino, 1973, p. 772-773; 
per quanto riguarda la scoperta del bacillo della peste vedi M. BERTOSA, M/eracka Istra, cit., p. 
47; L. PARENTIN, op. cit., p.8; cfr. G.V. OMODEI ZORINI, «Notizie e curiosità storiche sulla pe- 
ste», // Lanternino, Trieste, n. 6 (1985), p. 5-7. 

4 Cfr. L. PARENTIN, op. cit., p.8-11. 

3 Cfr. B. ScHIavuzzi, «Le epidemie», cit., p. 423-447: C. Di: FRANCESCHI, 0p. cit., p. 332- 
347; M. BertoSA, Mletacka Istra, cit., p. 45-52; P. KANDLER, op. cit., p. 141-142; L. PARENTIN, 
op. cit., p.9. 

f B. SCHIAVUZZI, «Le epidemie», cir., p. 445. 

? Ibidem. 

# B. ScHiavuzzi, «La malaria», cir., p. 327-335: M. BERTOSA, Mletacka Istra, cit., p. 50. 

° Ibidem. Testimonianze e informazioni sulla peste in Istria e sulla malaria, si trovano nei 
dispacci dei provveditori veneti, pubblicati negli AMS/. Nella nostra regione non mancarono nem- 
meno casi di colera e di vaiolo; nel 1855 un’ondata epidemica di colera colpì la parte centrale 
dell’Istria (Sanvicenti, Pola, Rovigno, Gimino, Canfanaro, Villa di Rovigno, Montona). Ctr. il 
saggio di S. BERTOSA, «Zapisi o koleri u jednoj istarskoj Zupi god. 1855» [Annotazioni sul cole- 
ra in una parrocchia istriana nel 1855], Histortjski Zbornik |Miscellanea storica], Zagabria, vol. 
XLI (1988), p. 245-251. In merito alle epidemie di vaiolo che colpirono il meridione dell’Istria 
agli inizi del XIX secolo, cfr. M. BERTOSA, «Valle d'Istria durante la dominazione veneziana», 


A. MICULIAN. Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 361 


La Repubblica di Venezia, per i suoi continui traffici con l'Oriente e con 
i paesi dell'Europa centrale, per prima era venuta direttamente a trovarsi coin- 
volta ai pericoli delle malattie infettive, per cui il Maggior Consiglio, nel giu- 
gno 1293, aveva intrapreso adeguate misure di sicurezza e di vigilanza sanita- 
ria. 


Sull’esempio di Venezia, le cittadine dell’Istria non avevano tardato ad or- 
ganizzare servizi sanitari anche perché le frequenti pesti bubboniche nella re- 
gione richiedevano la presenza di medici e di speciali istituzioni sanitarie." 

In tempo di peste il governo veneto, in più riprese, aveva intrapreso ade- 
guate misure di sicurezza quali «la chiusura di strade, dei passi con l’erezione 
di rastelli, bloccando inesorabilmente tutti i passaggi nonostante il danno irre- 
parabile che ne veniva al commercio, coll’appostamento di linee militari, te- 
nendo in armi cernide e mantenendo una crociera di barche armate governati- 
ve che pattugliavano il mare con la stessa cura usata contro i pirati».'? 

Lungo tutto il confine austriaco, nei punti più frequentati vennero eretti i 
cosiddetti caselli di sanità, custoditi giorno e notte da militari armati; in tal mo- 
do i caselli costituivano una linea di difesa che da «Muggia continuava verso 
Ospo, Caresana, a Popecchio, sul Carso di Pinguente, a Zumesco, e lungo il ca- 


Atti del Centro di ricerche storiche (nel prosieguo Arri CRS), Rovigno-Trieste, vol. III (1972), p. 
137-140. Delle epidemie di vaiolo sul territorio appenninico si è occupato L. DEI. PANTA, Le epi- 
demie nella storia demografica italiana (sec. XIV-XIX), Torino, 1980, p. 219-226; ctr. L. LORIA, 
«Centodieci anni dalla scoperta del parassita malarico (1880-1990)», // Lanzernino, Trieste, n. 4 
(1990), p. 3. 


!0 Cfr. B. SCHIAVUZZI, «Le istituzioni», cir., p. 367-378: L. PARENTIN, op. cit, p. 11-16: I. 
MARASS, «Provvidenze igienico-sanitarie nella Repubblica veneta», // Lanternino, Trieste, n. 5 
(1982), p. 3-4; Ibi:M, «Aspetti igienico-sociali della prostituzione nella Repubblica veneta», // 
Lanternino, Trieste, n. 3 (1982), p. 3-4; A. ABBIATI, «Le Terminazioni del Magistrato della Sa- 
nità nella Repubblica di Venezia», // Lanternino, Trieste, n. 4 (1983), p. 5, 8. 


!! B. SCHIAVUZZI, «Le istituzioni», cit, p. 367-378: nel 1290 a Pirano «operava l’arte me- 
dica» Giovanni Claudo, quindi Domenico Andreai; a Capodistria nel 1310 il medico Ser Benve- 
nuto, con il titolo di medico fisico; ad Isola nel 1444 Giacomo da Bologna; a Rovigno nel 1418 
il chirurgo Pietro Venier, mentre nel 1500 «aveva goduto fama di brava medichessa» Donna Bar- 
tola; sempre a Rovigno, nel 1680 si era distinto il medico Giuseppe Sponza; a Pinguente nel 
1544 il chirurgo Nicolò ah Helmis e certo Cosma; a Montona nel XVIII secolo operava il me- 
dico Giambattista Novello, che fu anche medico di Capodistria; a Pola nel 1374 aveva esercita- 
to Varte medica Bonaventura da Rustigello, mentre nel 1443 troviamo un maestro Andrea, bar- 
biere che svolgeva la funzione di medico. Montona aveva avuto ancora prima del 1337 un pro- 
prio medico salariato. Cfr. anche I. RUDELIC; V. TONKOVIC: V. STRMOTIC-CULIC, «Zdravstvene pri- 
like u PuljStini u XVIII i XIX stoljeéu» [Le condizioni sanitarie nel polese nel XVIII e XIX se- 
colo], Zhornik zdravstva u Istri 1947-1982 [Miscellanea sanitaria in Istria) (nel prosieguo ZZ/ 
1947-1982), Pola 1982, p. 357-363: cfr. anche Z. MARETIC; B. NEMETH, «Ples mrtvaca - freska 
iz Berma» [La danza macabra - affresco di Vermo], ZZ/ 1947-1972, Pola 1973, p. 391-395; I. 
RupELIC, «Znataj proutavanja povijesti medicine u Istri» [Importanza dello studio della medici- 
na in Istria], ZZ/ /947-/987, p. 451-453. 


!? Cfr. L. PARENTIN, op. cit., p. 11-14. 


362 A. MIcULIAN, incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 


priccioso contorno della Contea, a Montreo, Mompaderno, Sanvincenti, per fi- 
nire sul Quarnaro nel territorio d’ Albona».!* 


Particolare cura veniva prestata al controllo delle porte delle città e dei por- 
ti marittimi. Ogni comune aveva avuto il compito di intercettare e controllare i 
certificati di sanità di tutte le imbarcazioni che si avvicinavano alla costa e al 
caso decidere la contumacia. A tale riguardo, accanto ai caselli fissi dei porti 
ne erano stati eretti dei provvisori con particolari compiti di vigilanza." 

Le navi sospette, o provenienti da luoghi «appestati», venivano confinate 
in luoghi addetti della laguna e l'equipaggio rinchiuso in un'isola dove c’era la 
cappella di S. Maria di Nazareth. A tale riguardo erano stati costruiti anche ap- 
positi lazzaretti quali luoghi di cura ed isolamento delle persone infette; in Istria 
citeremo quello di Buie a S. Marcherita «con un cimiterio molto antico, ove di- 
cono fossero i lazzaretti al tempo della peste», Capodistria e Trieste." 


I provvedimenti sanitari introdotti in Istria nei secoli XVI e XVII, ed in 
modo particolare dopo la terribile peste del 1630-32, erano stati mantenuti in 
vigore anche nei secoli seguenti, a dimostrazione che i controlli marini e terre- 
stri avevano raggiunto lo scopo che il Senato veneto si era prefisso. Tuttavia, 
sebbene la peste del 1630-32 fosse stata l’ultima che avesse colpito la nostra 
regione, i dispacci dei podestà e capitani delle città istriane contengono anche 
negli anni seguenti, energiche misure contro le malattie infettive. Nel 1646 lo 
Senato aveva nominato un Provveditore alla Sanità che, servendosi della mili- 
zia, aveva avuto il compito di impedire lo sbarco nei porti della regione di qual- 
siasi tipo di merce e di persone provenienti, in modo particolare dalla Dalma- 
zia; di ispezionare tutte le imbarcazioni, e in caso di sospetto di malattie, fare 
dirottare le navi direttamente a Venezia. 

Nella seconda metà del secolo XVIII, la peste, scoppiata nuovamente in 
Dalmazia, probabilmente importata dalla penisola balcanica, aveva costretto lo 
Senato veneto ad intraprendere nuove misure di sicurezza lungo tutti i confini 
della penisola istriana. 

Nel 1783, alle dipendenze del provveditore generale del Friuli Alvise Mo- 
cenigo, primo provveditore generale di Palma e deputato straordinario di sanità 
per l’Istria, veniva chiamato da Verona con il proprio esercito, a salvaguardare 
l’Istria e il Quarnero, il capitano Gabriel Rivanelli, quale «direttore della Linea 
di sanità nel Quarner in Istria per il fatal morbo che affligeva la Dalmazia». 


13 Ibidem: ctr. anche B. ScHiavuzZI, «Le istituzioni», cir., p. 392-393: «Nel 1712 Caselli di 
controllo li troviamo a Rosariol e Lonche nel comune di Decani. Più a sud nel 1707 nel comu- 
ne di Montona presso le case Brecevaz nella villa di Montreo, e sopra la fineda vicino una grot- 
ta chiusa da circolo di pietra presso Monpaderno, nel comune di Parenzo; a Rovigno lungo la 
marina di Valdibora e l'estremo lembo dei borghi di Spirito Santo e S. Martino (1703)». 

14 L. PARENTIN, op. cit., p. 11-14. 


!5 Cfr. B. ScHIAVUZZI, «Le istituzioni», cir, p. 394. 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arrî, vol. XXI, 1991. p. 359-390 363 


Il 16 ottobre il Mocenigo lo aveva esortato «di portarsi col corpo di Mili- 
zia Italiana in Veruda allo Scoglio, per ivi distaccare, e distribuire d’apposta- 
mento nei luoghi anco di Medolin, Albona, Fianona ed altri quel numero d’Uf- 
ficiali, e Cernide che giungeranno nei luoghi medesimi che riputerà opportuno, 
secondo l’istruzioni che gli saranno date dal Sig. Collonello Ispettore, per op- 
porsi agli approdi de’ Bastimenti, e Barche che pervenissero dalla Dalmazia, o 
altri luoghi sospetti, onde tutti si dirigano a fare la prescritta contumacia alla 
Dominante. Permetterà soltanto loro, che a vista de’ Colleggetti di Sanità sia 
somministrato il loro sostentamento colle riserve e cautele dovute, vietato sem- 
pre qualunque arbitrio sempre grave nell’affare di che si tratta, e punibile nel- 
la vita. In tutto il resto dipenderà dalle commissioni del suaccennato Ispettore, 
a cui si è data una piena facoltà nel proposito. (...) da legni armati sarà poi scor- 
sa la Linea per visitare gli appostamenti, per quirir del numero di soldati, del- 
la disciplina e contegno, e dell’esecuzione degli ordini stabiliti, del che tutto ne 
sarà reso conto alla Carica per le deliberazioni che convenissero». 


Il lavoro svolto dal Rivanelli in Istria è stato documentato in forma di dia- 
rio nell’opera intitolata «Incombenze del Capitanio Gabriel Rivanelli, reggi- 
mento di Verona come direttore della Linca di Sanità nel Quarner in Istria, ste- 
sa nell’anno 1783 per il fatal morbo che affligeva la Dalmazia».!° 

La memoria, contrassegnata dal n. 52297, si conserva presso la Biblioteca 
Nazionale «Marciana» di Venezia (fig. 1), e riassume l’azione dal 9 ottobre 
1783 e il 16 novembre 1784, svolta dal governo veneto per stroncare l’ultima 
comparsa di peste nell’Adriatico «onde garantire dal morbo contagioso una Pro- 
vincia, l’Istria, che confina con la Dalmazia e fa frontiera alla Dominante». 

Il Rivanelli, aiutato dal colonnello ispettore e brigadiere Andrea Macedo- 
nia, sopraintendente della Linea di sanità in Istria, prima di iniziare la costru- 
zione di nuovi caselli di sanità nella provincia, aveva visitato gran parte del li- 
torale «per riconoscere in dettaglio gli necessari provvedimenti a tutela della 
gelosa materia de’ quali ho reso inteso lo Spettabile Collegio alla sanità di Po- 
la». 

Nella prima parte dell’opera (proemio) ci descrive il suo arrivo a Parenzo 
e, conseguentemente a Veruda nonché la sua visita e la topografia del litorale 
(fig. 2): «Dalla Punta Grossa la costa dell’Istria comincia a piegare verso Sud 
Est, e ad aprire nell’ Adriatico il nuovo Golfo del Quarnero. Di tutto il Litora- 
le questa è la più feconda di Porti, Seni, Callarelle, Valli, Punti e Scogli; essa 
è il primo rifugio di chi solca quel mare pericoloso, e dopo le sue isole il pri- 
mo asilo per le derivazioni della Dalmazia. Questa ricercata da tutti i Naviganti, 


altrettanto è abbandonata da proprj abitanti, le di cui Ville restano fra terra. 


Quelle spiagge deserte non offrono agli occhi di chi le scorre se non og- 
getti d’abbandono, e di orrore. Il mare non si frange, che sopra alti, e scoscesi 


€ Le incombenze (memorie), compilate dal capitano Gabriel Rivanelli, si conservano pres- 


so la Biblioteca Nazionale «Marciana» di Venezia. 


364 A. MicuLIAN, Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991. p. 359-390 


dirupi, tra le piante de’ folti boschi, e squarciato da lunghe punte s’interna spes- 
so a formare dell’estese valli. Que’ popoli hanno colli Schiavoni comune la lin- 
gua, i costumi ed i pregiudizj. Il fatalismo che li domina, le rende inerti, e del 
tutto indolenti sulla cura della propria salute. 


INCOMBENZE 
DEL CAPITANIO 
GABRIEL RIVANELLI 
REGGIMENTO DI PERONA 
COME 
DIRETTORE DELLA LINEA 
DI SANITA NEL QUARNER 
IN ISTRIA 
Stesa nell’ Anno 1783. 


PER IL FATAL MORBO 


CHE AFFLIGEVA 


LA DALMAZIA 





PRESSO GIULIO TRENTO 


M D CC LEX X XVI 


Fig. I. - Frontespizio dell’opera «Incombenze ...» del Cap. G. Rivanelli. 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Atti, vol XXI, 1991, p. 359-390 


DISEGNO TOPOGRAFICO 
DELLA LINEA DEL QUARNERO, 


STESA DAL CAPIT 


GABRIEL RIVANELLI 


ANIO 


L'ANNO MDCCLXXXIIT 


D'ORDINE DELL' ECCELLENTISSIMO SIGNOR 
MOCENIGO PRIMO 


PROVEDITOR GENERALE NELLA PATRIA 


ALVISE 


DEL FRIU 


[RR 


DEPUTATO ESTRAOILDINARIO DI SANITA" 


PER IL FATAL M@KBO CH'AFFLIGEVA LA DALMAZIA. 







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La 2S/evaTA MAZAC 
39 PORTO FIANONA 


de 


QUARNERO 


La Sco 

















Fig. 2. - Disegno topografico dell’autore indicante i Caselli di sanità. 


(99) 


366 A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXL. 1991, p. 359-390 


Di rincontro al Porto di Pola si troveranno li Scoglj de’ Brioni, e Minori; 
dopo la punta Grossa quello di Veruda: In seguito il Territorio di Pola, e Bar- 
bana, che l’Arsa divide da quello di Albona. Finalmente Fianona, che a Cut 
marca il confine Austriaco. 


Per ben eseguire le riverite commissioni cominciai a passare d'intelligenza 
coi Colleggeti di Pola, ed Albona, col Capitanio della Giurisdizion di Barbana, 
dai quali rilasciatimi ordini per li rispettivi Meriga, e Capi di Cento fui presto 
riconosciuto per direttore di quella Linea, ed assistito in ciò che mi abbisogna- 
va. Visitai con questi ogni angolo di quel litorale, o radendolo in barca, 0 sco- 
rendolo a cavallo; e rimarcai que” siti, che più esigevano d’una buona custodia. 
Fissai in Veruda, Medolino, e Rabaz i tre uffiziali che erano meco in allora, e 
con distinta compartita li istrussi delle particolari loro ispezioni. Ho a questi as- 
soggettato pure gli altri individui militari, disponendoli in ragione del loro ran- 
go, ed abilità ne’ luoghi della maggior importanza. A tutti furono rilasciati in 
iscritto i proprj doveri, fino a quelli delle Sentinelle». 


In tal modo tutto il Litorale era stato controllato da un esercito funzionan- 
te con i suoi quadri regolari, formati da capitani, tenenti, alfieri, sergenti, ca- 
porali, fanti italiani, corpi oltremarini (la valorosa compagnia dalmata Petrovi- 
ch), nonché numerose cernide del luogo messe a disposizione al Rivanelli. 

Molto impegnativo è stato il lavoro inerente la costruzione dei nuovi ca- 
selli di controllo, la maggior parte fabbricati di muro a secco, coperti di paglia, 
«dentro de’ quali sovra comodi tavoloni potevano sdraiarsi fino a sei persone». 
Ai 38 caselli esistenti lungo tutta la linea, ne erano stati costruiti altri 52, por- 
tandoli complessivamente a 90. 


La Linea, nel primo impianto era stata armata da 188 persone, tutte bene 
ammaestrate nei loro doveri, dipendenti da un capo che «glieli faceva esercita- 
re, ed in continua vigilanza sì di giorno che di notte, per impedire ogni appro- 
do. Solo in qualche Porto coll’assistenza d’un Deputato s’ammettevano a pra- 
tica i Bastimenti di libera provenienza». 


Complessivamente la Linea verso terra era stata rinforzata con cernide pae- 
sane in numero di 284; mentre 348 erano gli uomini posti a sorveglianza lun- 
go la spiaggia. Inoltre, due pattuglie, ognuna diretta da un caporale, controlla- 
vano le spiagge da Porto Cue fino a quelle di Carnizza e, in caso di bisogno, 
dovevano rinforzare i singoli caselli e provvedere ad ogni loro esigenza. 


Molto utili a custodia della linea erano state le sentinelle e i «picchetti vo- 
lanti della cavalleria» che tenevano i collegamenti fra i singoli caselli, come pu- 
re i «Pubblici Legni armati» destinati alla scorta dei navigli sospetti affinché 
venissero divisi da quelli di libera navigazione. 

Nei luoghi dove mancavano i «Fanti di Sanità» il Rivanelli aveva provve- 
duto alla loro elezione. A tale riguardo «i popolani di Pola si misero in litigi 
con que’ Nobili, non accordandosi sulla Tansa, che doveva esser tratta per sta- 
bilire un perpetuo salario al nuovo Fante. Io m’interposi con destre insinuazio- 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti. vol. XXI, 1991. p. 359-390 367 


ni, e fui abbastanza felice per sopire l’innoltrata contesa. Fu combinato un’ac- 
cordo, e sacrato dalla mano autorevole dell’Eccellentissima Carica». 

Arrivato a Veruda con un «corpo di milizia italiana per ivi distaccare e di- 
stribuire l’appostamento nei luoghi anco di Medolin, Albona Fianona ed altri 
(...) per opporsi agli approdi de’ Bastimenti e Barche che pervenissero dalla Dal- 
mazia, o altri Luoghi sospetti», avevano provveduto immediatamente all’im- 
pianto dei caselli. Uno di questi era stato eretto «su questo Scoglio alla bocca 
di Ponente che da ingresso all’estesa Valle, acciò le Sentinelle possano abboc- 
carsi coi Bastimenti ch’entreranno, ed ordinarle ciò che le sarà prescritto in re- 
lazione alla gelosa materia. L’altro sarà eretto alla riva opposta sul continente 
al Monte detto delle Galere (...) il terzo poi sarà situato su questo Scoglio alla 
boca del porto che guarda in Garbino, e che da ingresso ai piccioli Bastimenti, 
onde le sentinelle possano tenerli in dovere, ed osservare l’altra Valle opposta, 
nella quale approdano ne’ tempi borrascosi molti piccioli legni». Altro proble- 
ma di fondamentale importanza che il Rivanelli si era proposto di risolvere era 
strettamente connesso con il rinfornimento ai bastimenti dell’acqua potabile; a 
tale riguardo aveva ordinato il restauro di un pozzo in Val Bagnole «non lungi 
dal mare a portata di provedere i bastimenti contumacianti. Occorre perciò colà 
venga eretto un casello per la guardia, ed una Gorna incatramata della lunghezza 
di circa 60 piedi, dalla quale le Lancie de’ Bastimenti possano raccoglier l’ac- 
qua senza sbarcar a terra. Eccito pertanto il zelo delle Spettabilità loro per l’ere- 
zione del suddetto Casello, e Gorna ed alla sprovista di due Brente con suoi 
Bugioli, onde possano le Guardie trasportar l’acqua in riva al mare, e gettan- 
dola per la Gorna provvedere i Bastimenti dell’importante requisito». 


Il 31 ottobre il Rivanelli, prima di proseguire la visita del litorale verso Al- 
bona e Fianona, aveva affidato il controllo dell’appostamento di Veruda all’ Al- 
fier Giacomo Parma con compiti precisi da portare a termine e precisamente: 


L «Sarà suo dovere di far incontrare in tutti i Caselli ad esso soggetti il nu- 
mero de’ Soldati, e Cernide assegnate, esaminar le loro armi e munizio- 
ni, e rivedere i pubblici effetti, se ve ne fossero, onde non vadano per 
trascuratezza smarriti; 

II. = Farà che essi di giorno, come di notte sia scorsa dalle guardie de’ Ca- 
selli ad esso soggetti, per ogni lato la strada vicina, onde all’approdo de’ 
Bastimenti siano riconosciuti, per far passare sotto il Monte delle Galere 
quelli provenienti da luoghi sospetti. A quelli poi che derivassero da luo- 
ghi liberi permetterà di ancorarsi presso il Molo; 

III.  Accadendo alle Guardie d’incontrar nello scorrer i siti che dovranno guar- 
dare, persone che fossero sospette d’esser estranee della Provincia, e mas- 
sime Dalmatini, dovranno arrestarle, e a costodirle coi più gelosi riguar- 
di di Sanità, e tosto render avvertito l’Uffizial Direttore alla Linea; 

IV. Non permetterà lo scarico di Bastimenti sospetti, ne ancun’altra minima 
agevolezza, sotto qualunque pretesto, senza un preciso ordine iscritto 
dall’Uftizial Direttore alla Linea; 


368 A. MICULIAN. Incombenze per Sanità, Arti. vol. XXI. 1991, p. 359-390 


V. Farà che le Sentinelle siano mutate con giusto riparto, ed osservino con 
esattezza i luoghi ad essi soggetti, onde per loro mancanza non resti mai 
il posto innoservato; 

VI. Se mai (che Iddio tenga lontano il caso) presentasse o fosse fatto inteso, 
che vi fosse in qualche parte del Litorale soggetta alla sua direzione, al- 
cun benché minimo indizio di sospetto per qualche non ordinaria malat- 
tia, avrà da unir subito un corpo di gente, ed accorrere al luogo indica- 
to; onde guardar la casa sospetta, e circondarla con le Guardie ... indi 
partecipar immediato il caso al Direttore alla Linea; 

VII. Farà che i Capi-Posti de’ Caselli a lui subordinati osservino le loro com- 
partite, nelle quali sarà di dover suo istruirli con frequenza al caso che 
non sapessero leggere, come pure di far istruire le Sentinelle, tenendo 
ognuno nella debita disciplina; 

VIII. Ordinerà che alle picciole Barche de’ Bastimenti contumacianti non sia 
permesso di staccarsi dai loro bordi ...; 

IX. Farà che le Sentinelle stiano vigilanti la notte perchè le picciole barche 
de’ Bastimenti, non abbiano mai da staccarsi dai loro bordi per andar va- 
gando nel Porto con pericolo di luttuose conseguenze; 

X. All'arrivo delle Barche al Molo non sarà permesso ad alcuno di porto, 
se prima non sarà raccolta la Fede coi più stretti riguardi di sanità (...)». 

Le sentinelle, invece, avrebbero dovuto essere vigilanti, mai spostarsi dal- 
le loro postazioni senza avvisare il caporale; impedire l'approdo di qualsiasi 
barca e lo sbarco di persone, ne permettere che la gente da terra prestassero al- 
cun soccorso senza la presenza di un deputato alla sanità; se avessero notato 
persone sospette, in modo particolare dalmatini, avrebbero dovuto, con i mas- 
simi riguardi di sanità, avvisare il capoposto per l’esatta osservanza dell’artico- 
lo III della Compartita. 

Il 3 novembre il Rivanelli informava il capitano della giurisdizione di Bar- 
bana Domenico Coppe di aver visitato «Porto Badò» per eseguire l’erezione di 
nuovi caselli ed in seguito porto Longo «presso la bocca d’Arsa» e di averne 
trovati parecchi inutili perciò lo pregava «di far levare quelli di Mulin Blas, 
Bassina e Traghetto, e ne farà erigere uno in Val Loverissa in luogo delli tre 
che saranno levati (...) eccito inoltre il di Lei zelo perchè le guardie sieno ben 
provedute d’ Armi e Munizioni, e sieno vigilanti per impedire lo sbarco ad ogni 
persona interdetta, e massime al ricapito di qualche barca clandestina». Con- 
temporaneamente aveva informato il Colonnello Andrea Macedonia, Soprain- 
tendente ispettore alla linea di sanità, di avere trovato il territorio di Albona be- 
ne difeso grazie «alla benemerita vigilanza di questo illustre Rappresentante 
nell'Ordine, non chè il zelo di questi Nobili Territoriali, che con assiduità esem- 
plare si prestano di buon animo alla difesa del proprio Litorale (...) nell’inter- 
no dell’Arsa avevano cinque Caselli inutili, in luogo de’ quali feci erigere uno 
alla Punta d’Ubas, di rincontro a quello di S. Nicolò, onde chiuder l’ingresso 
del Porto, acciò i Bastimenti non possano introdursi nel canale senza il per- 
messo del Deputato destinato sulla Punta di S. Nicolò. Feci cambaire qualche 


A. MICULIAN. Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI. 1991, p. 359-390 369 


Casello mal situato; nel resto questo Territorio è assai ben difeso con la Linea 
da terra». 


Assieme alla relazione il Rivanelli aveva spedito al Colonnello Macedonia 
anche la pianta dell’Armo (fig. 3) in cui figuravano separati i due «Territorj Po- 
lesan e Albonese onde V.S. [Illustrissima possa riconoscere in dettaglio l’esten- 
sione di quello di Pola, e la necessità di impiegar in esso più di milizia. Ho 
conservato però l’ordine Topografico, cosicchè all’ultimo appostamento di S. 
Nicolò, Territorio Polesan nell’ Arsa, succede quello di Terstenizze, Territorio al- 
bonese pure nel Porto dell’Arsa, e con egual ordine và a terminar fino al Por- 
to di Fianona»; seguiva quindi la descrizione dei due territori, la presentazione 
e descrizione dei Caselli armati, il numero delle cernide, degli ufficiali, delle 
pattuglie ecc. «Nell’intiero Armo del Litorale (fig. 4), che serve di Frontiera al- 
la Dalmazia con l’estesa di circa ottanta miglia, ho arbitrato nella Leva di quat- 
tordici Cernide, ma neppur queste le destinerò nei Caselli con paga, se prima 
non avrò l'approvazione dell’Eccellentiss.a Carica; per l’altre 21 poi levate a 
tenore delle riverite sue disposizioni, si tiene un rollo col nome e cognome del- 
le cernide stesse, ed un esatto registro del giorno in cui principiarono a perce- 
pire la loro paga, onde sia tutelato il pubblico interesse». 


Il Rivanelli, prima di lasciare il territorio d’Albona, aveva raccomandato al 
tenente Clemente Terzi, direttore di quel territorio di portarsi in «Porto Rabas 
con la sua Milizia assegnatagli, per sopraintendere a quell’appostamento e a tut- 
ti gli altri di questo territorio, le unisco la copia dell’Armo acciò possa ricono- 
scere la posizione de’ Caselli, e visitarli con frequenza» nonché la compartita 
degli ordini che l’ufticiale avrebbe dovuto eseguire in tutti gli appostamenti ad 
esso soggetti. Particolarmente significative erano state le istruzioni per le sen- 
tinelle dei singoli caselli situati nel territorio di Albona, e precisamente: 


I. «Oltre ai soliti doveri delle Sentinelle prescritti nel Capitolo 82 del Codi- 
ce militare, saranno vigilanti, ne mai si scosteranno dal loro posto, se non 
che a conveniente distanza per scoprir i Legni che si avvicinassero al Por- 
to, Valle, o Seno al quale fossero destinate ed avviseranno subito il Capo- 
Posto; 

II. Impediranno l’approdo di qualunque barca, e lo sbarco di qualunque etfet- 
to, e persona, ordinando che stiano a rodolo, e gli si apposteranno di vista 
fino all’arrivo del basso Uffiziale, al quale incomberà di far eseguire gli 
ordini, della Compartita; 

III. Se vedesse persone, che loro sembrassero sospette, e massime Dalmatinc, 
dovranno farle fermare in qualunque distanza, e coi più stretti riguardi di 
Sanità, e tosto avvertire il Capo-Posto per l’esatta osservanza dell’articolo 
V. della Compartita. 

Dell’esecuzione de’ sopradetti tre capitoli le Sentinelle saranno responsa- 

bili all’Eccellentiss.a Carica con la propria vita. Albona, 5. 9bre 1783». 

Simili istruzioni, accluse alla pianta dell’Armo, erano state rilasciate al ser- 
gente Capoposto in «Porto Badò» Giuseppe Turi, al sergente Gio: Battista Si- 


370 


A. MICULIAN. Incombenze per Sanità, Arti. vol. XXI, 1991, p. 359-390 


erbre 178}. Alvona 


0ì Quarner,principiando dallo Scoglie di Bri er: 


Fano sli Agportanerto ci Pianona, 







4 Perritorio 












PEDELISTA DELLA PHUFPA RESOLATA 
DISPOSTA ALLA LINFA DEL QUARMER 











gnia Sergente Maggior Morando 
_Sonpagnin Capitanio Rivanelli 

gnia Capitanio Rinaldi 
Compagnia Capitanio Perugini pa 
Sonpagnia Capitanio Brasco 



























dii. 
TERRITORIO DI POLA, E 7 5l il fc dA TERRITORI DI ALBONA, 
GIURISDIZIONE DI BARBAS i E hi 8 DE i bi 
PIANON 
CEEBELEE î 
SI SpA 


MINORI In Ponde del Porto 





[I |2f3]ver get noni, in Porto aell'arsa 


[ei Furia d'Ubmoydiriupotto 5, Nico 








LIT 4 foapitani 
i] 
[IT E [asso orizioi 
= 


Ve) Cadens 


Molo in Porto 





Wren 
RIOT ni 









Caselli Armati 


Subalterni 
Parti Italiani 


















In Porto di Pola, alla Sanità 
Al Girolynel Porto di Veruda 



















i] 
ÈG 


In Tutti 





n 














Punta S. Andres 













Porto di Pianona 


SECONDA COLONNA. 9 U 


Sulla Funta di S, Stefano 


Valle Malagatta, al Cargador 
_Nel Porto Bado' 
In Porto di Vign 
Praticello di Vignole 


Alla Punta di Sugsali 























p_Fianona 
la Sanità 


Ma 





ssi Dffizioli 


Subalterni 











to di Fianona. 
























i 
.J 


Fig. 3. - Armo di custodia della Linca del Quarner dallo Scoglio di Brioni fino all’appostamen- 


[ebete 


A. MICULIAN. Incombenze per Sanità, Arti. vol. XXI, 1991, p. 3 


ARMO COMPLETO DELLA L 


Fodeligta della Truppa Regolata 
dioponta alla Linea del quarner 








59-390 





ADDI * 20. LUGLIO 1784. VEKUDA 


INEA DEL QUARNER, FRINCIPIANDO DA SAN POLC, TERRITORIO DI VALLE, FINC ALL' AFFOSTA- 
MENTO DI CUT,TERRITORIO DI FIANONA, AL CONFINE AUSTRIACO. 


Borganti. 






Sci aubeo-| 
chi 











Conpagn 










Diretta dal Serze 






























|Diatacanento forpagnia Ulutà, 


TERRITORI DI VALLE, 
DIGNAN, POLA E 
GIURISDIZIONE DI BARBANA 





pera 
Vul Cadene 
ia Melo, in rorto, 





jo a Fanene 

la) Bendon, sotto Pascna 
Vai Picciela,notto Posso 
o Maggi crazetto 
de Sonei notze Stignan 

Torte di Fole,ebla Supità 

unto Oregce,ai di fuori del Porto 
Ver di tuera,dertro ella pedesiza 

















Val gotine verso 2a Punta dessra 
43 Direlznel Porto di Verude 
n te delle Colere, ir Porto di Vo 









famio Antonioli 





FT era ento fpiperta ari sergente tata 

i [| _|_[_|1l 15} ri airetta dal sorgente Dico 0 

CCIE slarisis tego 

TTI] al Cal pienria sai sorpreso detesto camezioi 
I 


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Diret: 










3 9 $2).1 

À di di Pi 

4 Zi Sl el Si $ TERRITORI DI ALBONA 

j 4399 5 : 
445[5 4 PIASONA 


721 de' Poni in Forto dell'arca 


3; 


a Lover: 


colo! 






























Tunte 0 








{pui col Fa Evere ssa 
Dj 














Ircuontore 
Porte Rosco gresso, 
Dal di Lacco 0 Prosertore 

| Qrerto nedclin,talta parte di Bronontore 


lall'ingresso del suddetto Forto,ct 








Furte Goriore dirimponto e Liovale 
Tu Porto Cufe, sul sinistro leto 











. 


Vai Brrstova,zure setto Zagorie! 
Valle Cut,al Confine Austriecef! 








Nel Forto Budo', ci Cargotor 


Sulle Purta del Forto Daurar 















Seconda Colonna, Susa 








prete Tuita di 
Ir Porte di V 





QIURISDI- Porto Longo verso Caste: 
arene DI 


Sulla Spiuggia 3: Cauror,di omereme | 1 

























Pattuglia in Forto Cuje,F 
2e cpioggi 
ra situate in Porto 


SUXNI ZA: - N17 





CAFTTANIO GARRIEL RIVANELLI NTHFTTORE DEI.LA LINEA DEI QUARNER. 


Fig. 4. - Armo completo della Linea del Quarner da S. Polo fino all’appostamento di Cut. 


372 A. MICULIAN. Incombenze per Sanità. Atri. vol. XXI. 1991. p. 359-390 


chilaro, capo posto in «Porto Cuè» e luoghi ad esso soggetti, e all’alfieri Pie- 
tro Traversi, direttore dell’appostamento di Medolino. 

Terminata la visita del Litorale, 11 novembre 1783 il Rivanelli rispediva 
al Collegio di Sanità di Pola la brazzera di Padron Antonio Rodetti che lo «ave- 
va servito dodici giorni con assiduità e fatica» e raccomandava che il Rodetti 
venisse risarcito «con l’esazione di due susseguenti turni per suo compenso»; 
inoltre dal Collegio aveva richiesto 8 cernide, quattro della centuria di Fasana, 
e quattro di quella di Pola, per essere disposti stabili nei caselli del territorio. 

Due giorni dopo il suo arrivo a Veruda aveva steso la relazione della sua 
visita e l’aveva inviata al colonnello Andrea Macedonia, sopraintendente ispet- 
tore della Linea di sanità nel Quarnero in Istria «per render conto a V.S. Illu- 
striss.a del suo regresso in Veruda, e dell’intiera esecuzione prestata all’erezio- 
ne de’ Caselli ordinati lungo il Litorale sino a Fianona, a tenore dell’ Armo che 
m’onorai d’inoltrarle d’Albona»; 1’ Armo era stato eseguito come dal piano che 
gli era stato assegnato durante il suo arrivo in Istria. In allegato alla relazione 
il Rivanelli gli aveva accluso, in due fogli separati, lo stato economico della li- 
nea; dal primo foglio il Macedonia «rileverà che per saldo del corrente man- 
cano libre 920 Pan Biscotto e siamo ai 13 del mese, ne si può sempre spedir 
le barche per sovvenirli, massime quelli che trovansi disposti lungo le spiagge 
del Quarnero fino a Fianona. 


Dal foglio n. 2 rileverà l’importar mensuale del soldo spettante a cadaun 
individuo disposto a questa parte. Questo dovrebbe trovarsi in Veruda qualche 
giorno prima dello spirar del mese, onde poterlo a tempo inoltrare a rispettivi 
individui disposti lungo il Litorale a quali mancando il loro pane, e paghe, non 
sarà possibile che sussistano in quelle Spiagge poco men che deserte. (...) L’es- 
ser tutti dispersi ne vari appostamenti, mi obbliga a doverli provvedere per tem- 
po sì di pane, che di paga, e tenere un complicato conteggio per cadauna Com- 
pagnia». 

Scoppiata la peste a Spalato, il Rivanelli, onde intraprendere nuove misu- 
re di sicurezza, era stato costretto ad estendere la Linea di controllo oltre Fa- 
sana fino al porto di Peroi, aumentando così notevolmente il numero dei ca- 
selli; in tal modo «in tutta l’estesa di quel Litorale non restava quasi angolo in- 
noservato». 

Nei territori di Valle, Dignano, Pola (compreso lo scoglio de Brioni e la 
giurisdizione di Barbana) e nella giurisdizione di Albona, i caselli armati era- 
no complessivamente 59 (con due capitani, 5 subalterni, 11 bassi ufficiali, 3 
tamburi, 48 fanti italiani, 3 fanti oltremarini, 70 cernide pagate e 78 territoria- 
li) per un totale di 220 uomini armati. I territori di Albona e Fianona, invece, 
avevano 37 caselli armati (con | capitano, | subalterno, 4 bassi ufficiali, 24 
fanti italiani, 5 fanti oltremarini, 47 cernide pagate, 46 territoriali); complessi- 
vamente 128 uomini. 

La somma totale degli individui di ciascuna categoria che avevano servito 
l’armo della linea da terra era la seguente: 3 capitani, 6 subalterni, 15 bassi uf- 


A. MICULIAN. Incombenze per Sanità. Ari. vol. XXI. 1991. p. 359-390 373 


ficiali, 3 tamburi, 72 fanti italiani, 8 fanti oltremarini, 117 cernide pagate e 124 
territoriali; Complessivamente 348 individui. 
«I Pubblici Legni» che avevano servito la Linea del Quarnero, sotto la di- 
rezione del capitano Rivanelli, erano stati diretti come segue: 
— dal Capitano Zuanne Sudarovich (comandava | bergantino); 
— dall’Alfier Zuanne Scutari (comandava | galiota); 
— dall’Alfier Stefano Combati (comandava 1 bergantino); 
— dall’Alfier Gio: Morosini (comandava | sciambecco); 
— dal Sergente Iseppo Comp. Vucassinovich (comandava | pelucca); 
— dal Sergente Giacomo Galazzi (comprendeva | pelucca):; 
— dal Sergente Dimo Cocca (comandava | pelucca); 
— dal Sergente Toma Banich (comandava | pelucca); 
— dal Sergente Antonio Camarich (comandava | pelucca); 
— dal Caporale Nicco Russevich (comandava | pelucca); 
— dal Caporale Antonio Silegovich (comandava | pelucca); 
— dal Caporale Antonio Spreglian (comandava | pelucca). 


L’intero cordone sanitario, a partire da S. Polo sotto Rovigno, posto del pri- 
mo casello, fino al confine austriaco, oltre Fianona, sotto Bersez, era costante- 
mente controllato da 6 compagnie regolari (più due di Oltremarini e da un Di- 
staccamento), e precisamente: 

— dalla Compagnia del Sergente Maggior Morando (comprendeva 1 Alfiere, 
2 Caporali e 3 Fanti); 
— dalla Compagnia del Capitano Rivanelli (1 Capitano, 1 Tenente, 1 Alfiere, 

I Sergente, 1 Caporale e 8 Fanti); 

— dalla Compagnia del Capitano Rinaldi (1 Sergente, 2 Caporali, 1 Tamburo 
e 2 Fanti); 

— dalla Compagnia del Capitano Perugini (1 Capitano, Il Tenente, | Alfiere, 
2 Caporali e 7 Fanti); 

— dalla Compagnia del Capitano Brasco (1 Tenente, 1 Sergente, 1 Caporale, 

I Tamburo e 9 Fanti); 

— dalla Compagnia del Capitano Gosetti (1 Capitano, 1 Alfiere, 1 Sergente, 2 
Caporali, 1 Tamburo e 37 Fanti); 

— dal Distaccamento Compagnia Ulatà (1 Caporale e 6 Fanti); 

— dagli Oltremarini Compagnia Capitano Antonioli (6 Fanti); 

— dagli Oltremarini Compagnia Capitano Vucassinovich (6 Fanti). 


Tuttavia, con qualche integrazione alle incombenze, se osserviamo la car- 
ta di distribuzione dei caselli sanitari marini e di difesa territoriale, troviamo la 
massima concentrazione degli stessi a Pola (circondario ed isole) e nell’albo- 
nese; mentre la Linea entro terra era stata rinforzata con cernide paesane, spes- 
so svogliate e contrarie nel servizio di controllo quotidiano e incredule del pe- 
ricolo. 1 collegamenti fra queste nei diversi postamenti lungo il confine austria- 
co e lungo la zona litoranea venivano svolti da «picchetti volanti» di cavalle- 


374 A. Micutian. Incombenze per Sanità. Atti, vol. XXI. 1991. p. 359-390 


ria; non mancavano neppure le segnalazioni ottiche — fuoco e fumo — come era- 
no state usate nel secolo precedente contro i pirati uscocchi. 

A Pola e nel suo circondario il controllo dei caselli armati era stato affida- 
to agli Ufficiali. Quest’ultimi erano concentrati a Promontore (controllava 6 ca- 
selli armati con | tenente, | alfiere, I basso ufficiale, 4 fanti italiani, 5 cernide 
pagate e 9 territoriali); a Medolino (controllava 6 caselli, coadiuvato dall’aiuto 
di | tenente, | alfiere, 2 bassi ufficiali, 6 fanti italiani, 9 cernide pagate e 10 
territoriali); ad Altura (controllava 6 caselli con | tenente, | alfiere, 2 bassi uf- 
ficiali, 1 tamburo, 4 fanti italiani, 15 cernide pagate e 2 territoriali); a Carniz- 
za (controllava 10 caselli con | tenente, | alfiere, 2 bassi ufficiali, 7 fanti ita- 
liani, 1 fante oltremarino, 9 cernide pagate e 20 territoriali); a Fausana (con- 
trollava 19 caselli con | capitano, 2 bassi ufficiali, 1 tamburo, 17 fanti italiani, 
10 cernide pagate e 33 territoriali); a Veruda («Scoglio»), l'ufficiale subalterno 
controllava (12 caselli, con | capitano, | subalterno, 2 bassi ufficiali, | tambu- 
ro, 10 fanti italiani, 2 fanti oltremarini, 22 cernide pagate e 4 territoriali). 

| posti soggetti all’ufficiale situato ad A/bona erano stati in 37 caselli ar- 
mati (con | capitano, | subalterno, 4 bassi ufficiali, 24 fanti italiani, 5 fanti ol- 
tremarini, 47 cernide pagate e 46 territoriali di Muda). 

Molto impegnativo risultava invece il lavoro di vigilanza che il basso uf- 
ficiale destinato «all’appostamento del molo sopra lo Scoglio di Veruda» ave- 
va dovuto svolgere dall’erezione di questo casello fino alla seconda metà di no- 
vembre del 1784. Infatti, aveva dovuto: 


I «Incontrare il numero de’ Soldati e Cernide ad esso soggetti, de’ quali 
formerà il suo rollo, e ne farà la dovuta riferta all’uftiziale; visiterà le lo- 
ro Armi e Munizioni, e rivederà tutti i pubblici effetti, onde non vadino 
per trascuratezza smarriti; 

II. = Non permetterà che la Guardia s’allontani dal suo Casello, se non che ad 
un terzo per volta, e con giusta distributiva, onde tutti egualmente ab- 
biano il loro sollievo. Sarà inoltre suo preciso dovere di riconoscere tut- 
te le Guardie destinate a questo Scoglio, ne permetterà ad alcuno l’im- 
barco senza l’ordine del Direttore; 

III. = Farà che le Sentinelle sieno vigilanti, singolarmente di notte, onde sco- 
prire a conveniente distanza i legni che si avvicinassero, per esser subi- 
to avvertito; 

IV. Farà ricercare a tutti i Legni da dove provengano, e a quelli che deri- 
vassero da luoghi sospetti ordinerà da ridursi al Monte delle Galere. A 
quelli poi che provenissero da luoghi liberi, comanderà d’armizarsi in mo- 
do, onde resti libero il passaggio fra lo Scoglio, e il continente per gli al- 
tri Bastimenti che arriveranno; 

V. All’arrivo di qualche Barca al molo non permetterà che alcuno si sbar- 
chi sul molo stesso, ancorchè proveniente da luogo libero, se prima il 
Fante alla Sanità non avrà raccolta la Fede, esaminata dal Deputato e li- 
cenziata dall’Uffiziale; 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità. Arri. vol. XXI, 1991, p. 359-390 375 


VI. Arrivando alla stangata situata presso il Molo qualche copano, o barca 
sospetta, armarà subito una sentinella alla stangata stessa, ne permetterà 
che le genti si sbarchino a terra senza la presenza del Deputato e Fante 
alla Sanità. Staccata la barca, farà che il Fante esamini con tutta esattez- 
za se nell’interno della stangata vi sia qualche carta, o altra roba caduta 
a contumacianti; nel qual caso resterà egli col Fante alla custodia della 
roba stessa, e spedirà tosto ad avvertire l’Uftiziale per gli opportuni pro- 
vedimenti: 

VII. Farà che le Sentinelle stiano attente la notte, perchè le picciole barche 
de’ Bastimenti ancorchè di pratica, non abbiano mai a staccarsi dal loro 
bordo per andar vagando nel Porto; 

VIII. Non permetterà, che la Brazzera destinata di guardia si allontani dal Mo- 
lo sotto qualunque pretesto, senza il permesso dell’Uffiziale. Impedirà 
inoltre tanto alla barca di Guardia, quanto a qualunque altra di traghetta- 
re persone allo Scoglio, e dallo scoglio al continente, senza il permesso 
del Direttore; 

IX. Farà che le Sentinelle stiano attente, per sentire se alle rive opposte vi 
fossero persone che dassero qualche avviso, e singolarmente al Monte 
detto delle Galere, per render tosto avvertito l’Uftizial Direttore; 

X. Sarà suo dovere ogni mattina di far un trassunto in iscritto di tutte le no- 
vità che accadessero tanto nel suo appostamento, quanto negli altri ad es- 
so soggetti. Ritrovando poi qualche barca inobediente, dovrà subito av- 
vertire l’Uffiziale per il dovuto compenso; 

XI. Sarà inoltre suo preciso dovere d’istruire le Sentinelle, e far che i suoi 
subordinati non ommettano alcuna delle presenti ordinazioni, mancando 
alle quali saranno responsabili all’Eccellentissima Carica». 

Diversi, ma non meno impegnativi erano stati gli ordini che i bassi uffi- 
ciali delle due pattuglie, l’una situata in «Porto Cuje» e l’altra in «Porto Lon- 
go» di Carnizza, avevano dovuto eseguire lungo le spiagge del Quarnero, e pre- 
cisamente: «esaminare le Armi e Munizioni delle Cernide loro soggette, perchè 
ad ogni esigenza sieno sempre pronte; scorrer incessantemente le Spiagge, quel- 
lo situato in Porto Cuje da Medolino fino al Porto Badò e l’altro situato in Por- 
to Longo egualmente fino al Porto Badò fermandosi soltanto ne’ Caselli quan- 
to più richiederlo il bisogno di prender il conveniente riposo, e poscia retroce- 
dere ai loro rispettivi appostamenti; farsi riconoscere in tutti gli appostamenti 
lungo le Spiagge che dovranno scorrere, raccogliendo le novità che vi fossero, 
per riferirle al loro ritorno; occorrendo rinforzo a qualche appostamento per im- 
provise insorgenze dovranno accordarglielo; vedendo qualche barca che si ac- 
costasse alle spiagge, impediranno l’approdo, obbligandole di allontanarsi, e ri- 
dursi nei porti frequentati, e nel caso di qualche resistenza ripulseranno la for- 
za con la forza, e con li più gelosi riguardi di Sanità; accadendo nello scorrer 
le Spiagge d’incontrar persone che fossero sospette d’esser estranee della Pro- 
vincia, e massime Dalmatini, dovranno arrestarle, e custodirle coi più gelosi ri- 
guardi di Sanità, partecipando tosto all’appostamento il più vicino, onde sia sol- 


376 A. MICULIAN. Incombenze per Sanità, Arti. vol. XXI. 1991. p. 359-390 


lecitamente avvertirlo l’Uftizial Direttore alla Linea; non permetteranno che le 
Cernide a loro soggette si stacchino dalle Pattuglie, e molto meno commettano 
estorsioni, o violenze, delle quali saranno essi responsabili e severamente cor- 
retti». 


Contemporaneamente si doveva far fronte anche alle carestie dovute ad an- 
nate calamitose che spesso avevano reso più difficile il lavoro di controllo del- 
la Linea e, nello stesso tempo, paralizzato il commercio nell’ Adriatico. Così, 
alla fine del mese di novembre 1783 il Rivanelli aveva dovuto interrompere la 
visita del litorale istriano in quanto «una Caicchia Francese» che stava traspor- 
tando un carico di zucchero a Fiume, destinato alla «Regia Imperial Raffine- 
ria», era naufragata nei pressi dello «Scoglio di Fenera, che giace ultimo in ma- 
re tra le due Punte di Promontore, e Merlera». Accorso sul posto il Rivanelli 
aveva trovato l’ Alfiere Giacomo Parma, inviato dalle autorità di Pola, che ave- 
va già intrapreso adeguate misure di controllo sanitario prima dell’arrivo dei 
proprietari del bastimento, e nello stesso tempo aveva ricuperato 32 delle 117 
botti di zucchero che formavano il carico della «caicchia»; le rimanenti 85 bot- 
ti non furono recuperate in quanto lo zucchero «eransi per la maggior parte 
squagliato» per cui, onde non moltiplicare le spese, veniva sospeso il recupero. 

Contemporaneamente si era presentata nel «Quarner una grossa nave che 
con tiri di cannone chiedeva soccorso»; immediatamente era accorsa in aiuto 
una brazzera rovignese con il compito di condurla nel porto di Veruda. La na- 
ve, proveniente da «Bordò», era diretta a Fiume con un carico di zucchero de- 
stinato alla raffineria locale. 

Il 20 gennaio 1784, verso le ore undici, «un vento boreale furioso domi- 
nava questo porto fin dall’incominciar della notte, quando un improvvisa re- 
voltadura di Ostro Garbin, ch'è appunto la traversia di questo porto, balzò a 
terra la Felucca diretta da Dimo Cocca, con un pielego rovignese proveniente 
da Spalato, ambi ancorati al Monte delle Galere. Portatomi ad assistere quei in- 
felici naufragati, trovai la Felucca fondata, e tutto l’equipaggio ricovratosi nel 
Castello della guardia colà esistente». 

L’alfiere Zuanne Bersich, incaricato al recupero degli attrezzi della felucca 
naufragata, era riuscito a recuperare quanto segue: 


«Albero dil'Malstraslino;..c. ee CI n. | 
Detio.-diTranehetto: uno: ee ie n. | 
Antenne due, una di Maistra, e Valtra di Trinchetto ............... me ee2 
Vellasdi Maistrasuna. > rase Sie e ARR oa n. | 
Detta: diTrinchetto suna: eil elia i n. | 
Rampegoni di ferro da Sorger due... 0... n. 2 
Petriére-dì.'bronzoxda:serduenis ironia n. 2 
Mascoli di ferro da sei numero quattro... n. 4 
Maziola di legno manicata una... n. | 
Ponte o sia Scalla da terra fto. fto. UNO... n. | 
Bugioli:impegolati due: its iraniana elena ne 2 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti. vol. XXI. 1991, p. 359-390 377: 


Mezaruole:d'aequa”una:es-x scontati ate n. 1 
Baston.idi:Michiasuno;:<. irreali anali n. ll 
Guardamichia di rame UNO... n. | 
Pinie:diL'atazuna se sono eee ie e ne EI n. | 
GroGiere di legnose ih n. 3 
RUMORI ORMIDAUegti te A ns 2 
Arigola:d'ilepno-Uia ere rent n. | 
Remi, diyrelUeca=setlenat tosta n Mi 
Papioli:cingque arene riale n n. 5 
Uni pezzo di.remosrotto =.= orata talora ee ine No 
Cavirdà ferro, ;0-Siam jgomene due. .; ie a n. 2 
Provesisuno.- Sirtori iero n. | 
Sartie di Maistra, e Trinchetto co’ suoi cozzoli dieci. .............. n. 10 
Menali delle suddette con venti taglie L.M. dieci. ................. n. 10 
Rise dell’Antenne due con paternostri, e gagiandre ................ Non 2 
Quartiericdi:Tenda di'priso die: ole rene re: 
Due pezzi piccioli di Scandaglio con due Taglie... ................ n. 2 


Alfier Zuanne Bersich Direttore Affer.mo». 


Nuove misure di sicurezza erano state intraprese verso la fine del mese di 
marzo 1784 dall’alfiere Giacomo Parma, vicedirettore nel porto di Veruda, in 
quanto era stato informato che «nel dì 21 Febraro ultimo decorso, nel Porto di 
Cigale (Lussin picciolo) il Salamandron rovignese del Padron Antonio Tosi pro- 
cedente da Spalato, e diretto per la Dominante con carico di Merci uscite da 
quei Lazaretti, dopo i competenti espurghi successe in quattro giorni, cioè dal 
dì 23 fino a quello del 27 del mese stesso, la morte del Padrone e di due Ma- 
rinai, sopra i cadaveri dei quali fatte le necessarie osservazioni da quel Medi- 
co Professore, furono rimarcati segni di grave sospetto, e forse di contaggiosa 
malattia, per il che deliberò il Colleggetto di Cherso di ponere alla riserva di 
giorni 40 la Terra di Lussin picciolo colla contigua Villa»; inoltre, il Rivanelli 
gli aveva ordinato di non lasciare mai scoperto l’appostamento di Veruda e di 
controllare con maggiore attenzione tutte le barche provenienti dalla Dalmazia 
e dalle isole del Quarnero e di non permettere «ad esse il provvedersi di alcun 
genere senza la di Lei presenza e con le più strette cautele. Avrà inoltre l’av- 
vertenza, che il danaro de’ contumacianti sia posto nell’aceto forte per starvi 
qualche ora sotto l’occhio della Sentinella, e non già una semplice lavata come 
sogliono praticare per maggior facilità (...) onde converrà ch’ella si tenga de- 
sto in specie sopra le direzioni del Fante alla Sanità costà esistente, non meno 
che sopra quelli degli altri suoi subordinati». 

Dopo un mese di calma, non privi però di sospetti e di energici controlli 
sanitari, il provveditore generale della Dalmazia aveva avvisato il Colleggio di 
sanità di Pola «l’infausta emergenza del contagio manifestatosi nella Città di 
Spalato (...) e Castel Capogrosso, un miglio circa distante dalla Città medesi- 


378 A. Miculian, Incombenze per Sanità. Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390) 


ma (...) che servì di Lazzaretto provisionale alla sbandata Truppa de’ Colle- 
tizj». A tale riguardo, il Rivanelli, aveva avvisato il colonnello Andrea Mace- 
donia della necessità di rinforzare la Linea con nuovi soldati e bassi ufficiali, 
ed in modo particolare il territorio di Albona «onde garantire quei molteplici 
nascondigli, e tenere in dovere gli arditi pescatori Rovignesi, che in questi gior- 
ni capiteranno alla pesca delle Sardelle, le direzioni de’ quali mi tengono in 
continua apprensione (...) e per tenere in dovere una Gaetta Spalatina proce- 
dente da costà con pubblici pieghi diretti all’Eccellentissimo Proveditor Gene- 
rale di Dalmazia. Costoro, dopo essersi frammischiati con un trabaccolo Lissa- 
no, volevano sbarcarsi a terra per far legna. Feci unire la Gaetta Spalatina al 
Trabaccolo Lissano sotto la guardia della pubblica Felucca arrivata in quei mo- 
menti, ed ordinai nel modo più assoluto che per qualunque pretesto non do- 
vesse alcuna di dette Barche staccarsi dai loro Bordi. La mattina seguente, al- 
lorchè aveva disteso il vento da maistro, li feci scortare dalla Felucca stessa fi- 
no al Quarner, con ordine, che non potendo proseguire il loro viaggio avesse a 
custodirli con i più gelosi riguardi di Sanità». 


Anche il collegio sanitario di Pola era stato impegnato durante tutto il me- 
se di aprile nel lavoro di controllo delle barche pescarecce rovignesi che, in più 
riprese, avevano tentato di introdursi nel vallone di Promontore; così il 22 apri- 
le avevano approdato «nella Calanca, o sia Valestrin, detto di Pre” Michiel» ten- 
tando di introdursi clandestinamente nella Villa, senza prestazione di fede di sa- 
nità. L'ordine di arrestarli era stato affidato all’alfiere Giovanni Morosini non- 
ché al sergente Tomà Banich, direttore della felucca pubblica, incaricato di te- 
nere a freno gli «arditi» pescatori rovignesi. Veniva fermata e, conseguente- 
mente arrestata, la brazzera del padron Rocco Appolonio, rovignese, «proce- 
dente da Brioni e diretta per Promontore, la di cui fede non corrispondeva al- 
le pubbliche prescrizioni, ne alle correnti critiche circostanze». 


Disposizioni più appropriate in materia sanitaria e di controllo, atte a scon- 
giurare il pericolo della diffusione della peste, erano state intraprese lungo tut- 
ta la linea; così a Medolino veniva posto il caporale Nicolò Russevich della 
Compagnia capitano Andrea Vucassinovich, affinché «coprisse quelle acque dal- 
la punta di Promontore fino a Porto Badò e per dipendere dagli ordini che 
dall’Ufficiale direttore in Medolino le verranno impartiti a norma del bisogno». 
Da «Porto Badò» fino a porto Rabaz era stato posto l’alfiere Giovanni Moro- 
sini, direttore di un pubblico «Sciambecco» nelle acque del Quarnero; a Car- 
nizza il tenente Terzi; ad Albona il capitano Perugini; Porto Rabaz era stato as- 
segnato al caporale Niccolò Varienton ed ai soldati Manzo e Basso. Porto Fia- 
nona era stato rinforzato dall’alfiere Traversi; quest’ultimo veniva in seguito, 
per ordine del Rivanelli, spostato a Promontore con precisi ordini da portare a 
termine, e precisamente: 


«Primo: Visiterà con frequenza li appostamenti sopraindicati, e farà che le 
Sentinelle sieno vigilanti singolarmente di notte, ordinando che gridino di quan- 
do in quando, e rispondano all’erta; 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Atti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 379 


Secondo: Non sarà permesso sotto qualunque pretesto l’accesso a’ Pesca- 
tori, a’ quali saranno rigettate le Fedi, dovendo ridursi ne’ luoghi assegnati per 
la rivisione delle medesime. Alle sole Pescareccie di Promontore sarà conces- 
sa la pratica ne’ Porti appartenenti alla Villa stessa, previo però che le loro Fe- 
di sieno state reviste di giorno in giorno in una delle due Deputazioni stabili- 
te dall’autorità Eccellentissima Carica, cioè di Veruda, o Medolino, e ciò sarà 
riscontrato non solo dal Deputato, ma dall’attenzione dell’Ufficiale ancora: al 
qual oggetto dovranno i Capi Posti all’arrivo delle Barche stesse, raccogliere le 
Fedi cautamente profumate, e spedirle sotto le osservazioni del Deputato e Ut- 
ficiale, ne permetteranno lo sbarco a’ Pescatori fino che non sieno licenziate. 
Sia a lume dell’Ufficiale Direttore, che le Peschereccie dovranno esser bollate, 
e numerate sulla Prora, con la dichiarazione in Fede del numero della Barca 
stessa; e perciò sarà del dover suo farle riscontrare di quando in quando, e ri- 
trovandone alcuna che il numero non corrisponda alla Fede, la farà arrestare coi 
più stretti riguardi di Sanità, e me ne darà sollecito avviso; 


Terzo: Tutti i Legni provenienti dalla Dalmazia e isole del Quarner, che a 
motivo del tempo approdassero in quelle rive, li farà gelosamente custodire sot- 
to l'occhio delle Sentinelle, ne permetterà che a questi sia prestata alcuna os- 
servanza, ordinando che passino a Veruda, e ritrovandosi in quelle rive qualche 
pubblico Legno, lo farà avvertire, onda possa scortarli a norma delle sue com- 
missioni; 

Quarto: Sarà suo preciso dovere di frequentemente istruire tutti i Capi po- 
sti a Lei soggetti, onde per ignoranza non commettano qualche mancanza, sem- 
pre grave nel delicato argomento». 


Il 7 luglio si era sparsa la notizia «dell’approdo nel porto di Novarino del- 
la Morea di due bastimenti infetti da contagio, un Veneto, ed un Raguseo (...), 
il veneto Trabacolo, diretto dal Capitanio Alessandro Jancovich aveva al suo 
bordo una numerosa partita di Arabi imbarcati in Alessandria di Egitto, de’ qua- 
li per viaggio ne perirono sette di mal contagioso, e gli altri dopo qualche gior- 
no di stazione in quel Porto, presero nuovamente imbarco per Tunesi sopra una 
Polacca di bandiera Francese proveniente da Marsiglia, coperta da un certo 
Balne, con 12 e 15 uomini di equipaggio. Restato nel Porto di Novarino il Ve- 
neto Trabaccolo col solo equipaggio di 9 persone, e senza carico, si trovò col- 
pito anche il fratello del Capitanio, e vi morì; perlocchè atterriti li superstiti ab- 
bandonarono il Legno, e si ricovrarono in un vicino Scoglio diserto (...) e si 
ridussero alla Rada del Zante, dove furono da quel Colleggio di Sanità accolti, 
e fatti passare con le maggiori cautele al Lazzaretto. 


Vi fu altresì sotto li 18 Aprile un Bastimento Raguseo alle Sapienze, cari- 
co anch'esso di Arabi di egual provenienza, il quale senza curare la mortalità 
sofferta di circa venti di essi, riprese il suo viaggio per Tunesi». 

Nuovi provvedimenti erano stati intrapresi in alcuni punti strategici della 
costa con l’erezione di nuovi caselli di segnalazione, in aggiunta ai caselli fis- 
si dei porti di Fasana, Veruda, Medolino, Altura e Carnizza; inoltre erano sta- 


380 A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Atti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 


ti rinforzati con l’inserimento di nuovi soldati in qualità di capi posti gli appo- 
stamenti situati a porto Marischio, Val Barbariga, porto Colonne e San Polo. In 
base a tali nuove disposizioni riportiamo il dettaglio dei «Posti soggetti agli ut- 
fiziali» situati nei porti sopra accennati: 


Adì 12. Luglio 1784 Veruda. 
POSTI SOGGETTI ALL’ UFFIZIALE SITUATO IN FASANA 




































































ani CONTAR gicangga TEMO mitosi ite "TORI, TUTT 
S. Polo al Caricator | I 3 4 
Porto Collone | | 3 4 
Valle della Barbariga ] ] si 4 
Porto Marichio al Caricator ] I 3 4 
Portizuol presso Peroi l | 2 3 
Val della Madonna vicino a Peroi I 2 2. 
AI Molo di Peroi I ] 2 3 
SCOGLIO DE MINORI 
Alla Bocca del Porto | I 2 
In fondo del Porto | I I DI 4 
ScogLIO DE’ BRIONI 
Valle della Madonna | I 2 3 
Val di Laura ] | 2 3 
Sul Monte della Guardia | | I 2 4 
Val Cadena | | 2 3 
In Molo, in Porto l I I 2 
In Porto a Fasana | | ] ] 3 6 
Val Bandon sotto Fasana | 3 3 
Val Picciola sotto Pozzo I I 2 3 
Val Maggiora sotto Stignan I I 2 3 
Val de’ Sonzi sotto Stignan | I 2 3 
SUMMA 19 ] 2 H 17 10 33 64 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 381 


POSTI SOGGETTI ALL’UFFIZIAL SUBALTERNO SITUATO NEL SCOGLIO DI VERUDA 


CASELLI CAPI- SUBAL- BASSI  TAM- FANTI FANTI CERNIDE TERRI- IN 
ARMATI TANI TERNI UFFIZIALI BURI ITALIANI OLTREMARINI PAGATE TORIALI TUTTI 


In Porto di Pola alla Sanità l I 2 3 








Punta Grossa, al di fuori 





























del Porto 1 Ù ì 
ei cr l ; i o 
SERE presso la Punta I 3 3 
AI Girol, nel Porto di Veruda | ° | 2 3 
Monte delle Galere, in Porto I I 7 3 
di Veruda 

Scoglio di Veruda 6) I | I l 4 2 6 16 
Val Bagnole, nel Seno del I I 7 3 
Porto di Veruda 

Valle della Peschiera I I 2 3 
Olmo Grande l I 2 3 
SUMMA 12 l I 2 l 10 2 22 4 43 


POSTI SOGGETTI ALL’ UFFIZIALE SITUATO IN PROMONTORE 




















CASELLI TENENTI BASSI FANTI  CERNIDE TERRI IN 
ARMATI E ALFIERI UFFIZIALI ITALIANI PAGATE = TORIALI — TUTTI 
Olmo Picciolo I I 2 3 
Nel Vallon di Promontore 
7 ; | | 2 3 
d’osservazione 
Valle S. Martin di Promontore | l I l 2 -5 
Porto Rosso all’ Ingresso I I 2 3 
Val di Lacco presso Promontore I 3 3 
Porto Medolin dalla parte di I 3 3 


Promontore 
SUMMA 6 l I 4 5 9 20) 





382 A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 


POSTI SOGGETTI ALL’UFFIZIALE SITUATO IN MEDOLINO 















































CASELLI TENENTI — BASSI FANTI  CERNIDE — TERRI- IN 
ARMATI E ALFIERI UFFIZIALI ITALIANI PAGATE TORIALI — TUTTI 
Porto Medolin al Castello Il I 1 I 3 6 
Punta Marlera dirimpetto a 
SR l I 2 3 
Lievaio 
Porto Cuje sul sinistro Lato I I d 4 
Valle Calle l | 3 4 
Sulla Punta di San Stefano I | 2 3 
Valle Malagata al Cargador 1 4 
Patt. in Porto Cuje per scorrere 
si x l 3) 4 
fino a Badò 
SUMMA 6 l 2 6 9 10 28 
POSTI SOGGETTI ALL’UFFIZIALE SITUATO IN ALTURA 
CASELLI TENENTI — BASSI TAMBURI FANTI CERNIDE — TERRI- IN 
ARMATI E ALFIERI UFFIZIALI ITALIANI PAGATE TORIALI TUTTI 
Porto Badò presso Altura 1 I I l 3 6 
Sulla Punta del Porto Cavran I ] 3 4 
Sulla Spiaggia di Cavran 
$ 3 I ] 3) 4 
d’osservazione 
Sulla Punta di Cavran presso 
È | I 3 4 
Vignole 
Porto Vignole I ] 6 4 
Praticello di Vignole I ] 2 
SUMMA 6 I 2 1 4 15 2: 25 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 


POSTI SOGGETTI ALL’UFFIZIALE SITUATO IN CARNIZZA 


(9°) 
[o e) 
I°) 

































































CASELLI TENENTI = BASSI = FANTI = FANTI CERNIDE  TERRI- IN 
ARMATI E ALFIERI UFFIZIALI ITALIANI OLTRAMARINI PAGATE TORIALI TUTTI 
Sulla Punta di Cavallo Arne l l 3 4 
In Spiaggia di Sussali I I 3 4 
Alla Punta di Sussali l 1 2 3 
Porto Longo di Carnizza al 
| 1 1 3 5 
Cargador 
GIURISDIZIONE DI BARBANA 
Porto Longo verso I 3 7 
Castel Novo 
Sulla Punta di Mulas l I 2: 3 
Nella Valle Loverizza l l 3 4 
In Punta della Val I I 7 3 
Morlacca 
Sulla Punta Drignac | l 3 4 
S. Niccolò allo stretto 
dell’ Arsa I 3 di 
Patt. in Porto Longo per scorrer 
ni È I 3 4 
fino a Badò 
SUMMA 10 l 2: 7 1 9 20 40) 
POSTI SOGGETTI ALL’UFFIZIALE SITUATO IN ALBONA 
CASELLI CAPI- SUBAL- BASSI FANTI FANTI = CERNIDE TERRITORIALI IN 
ARMATI TANI TERNI UFFIZIALI ITALIANI OLTRAMARINI PAGATE DI MUDA TUTTI 
TERRITORI® DI ALBONA 
Val de’ Toni, in porto 
dell’ Arsa I ; 2 3 
Punta d’Ubas, dirimpetto I I 7 3 
a S. Nicolò È 
Val Ceresa, di rincontro 
; I 3 3 
a Loverizza 
Punta Dugher, riscontro I I 3 3 
a quello di Mulas ° 
Punta Cremen, I I 3 4 
d’osservazione 
Opadi, a mezza la I 3 3 


Spiaggia di Battiala 





A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 


CASELLI CAPI-  SUBAL- BASSI FANTI FANTI CERNIDE TERRITORIALI IN 


ARMATI TANI TERNI UFFIZIALI ITALIANI OLTRAMARINI PAGATE — DI MUDA TUTTI 


















































Nel fine della Spiaggia I l 2 3 
di Battiala 

In Porto S. Zuanne 1 1 l 2 4 
Alla Punta d’Uscocchi, I I 3 4 
detta Scosca Scoglia 6 

Valle Voschizza | È) 3 
“Punta Nera, al Meriggio I I ) 3 
nel suo mezzo 

Punta Curata, sotto I I 7 3 
il Monte Schitazza 

Valle Squaransca, sotto | | 7 3 
il Monte medesimo 

Punta Cernicova, 

: E | 3 3 

ossia Crisina 

Babina sotto le Case I I o) 3 
del Monte Lemech 

Punta Grubicchievaz I ] 2 3 
Punta sotto Raune I 3 3 
presso Santa Marina ù 

Porto S. Marina a I I o) 3 
guardia de’ Bastimenti 

In Porto Longo, per 

; b l I 3 4 
l'oggetto medesimo 

San Zorzi in Cragnizza I I 2 3 
Sulla Punta Remas I 3 3 
Nel Porto Rabaz, I I I I 3 6 


alla Sanità 
Punta S. Andrea I ] 2 s) 
Sotto le Vigne a 

Braida in Spiaggia 
Sotto Braida di Rabaz | I 3 4 


Prisgnach sotto il 


























Monte Ripenda l 1 - i 
Sotto Cossi, in I I 3 4 
Spiaggia 

Sotto le Case di I I 2 3 
Cossi 

Sotto Olivieri primi I l 2 3 
Zale Drasize alla Bocca I I 2 3 


del Canal di Fianona 





A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Atti, vol. XXI, 1991, p. 359-390) 


(9°) 
(o e) 
AN 


CASELLI CAPI. SUBAL- BASSI FANTI FANTI = CERNIDE TERRITORIALI IN 
ARMATI TANI TERNI UFFIZIALI ITALIANI OLTRAMARINI PAGATE DI MUDA TUTTI 





Punta Ossoi, a mezzo 


























detto Canale 1 l ù 3 
TERRITORIO DI FIANONA 

Porto di Fianona, I | 3 4 

alla Sanità 

Punta Mazach, in I I 3 4 

altezza 

Punta Terstena, I I 3 4 

sotto Zagorie 

Valle Babina, I 3 4 

sotto Zagorie 

Val Bristova, pure 

: | 3 4 

sotto Zagorie 

Valle Cut, al 

confine Austriaco 3 9 
SUMMA 37 l | 4 24 9 47 46 128 


Le cernide disposte negli appostamenti situati nei territori di Albona e Fia- 
nona, comandate dal caporale Antonio Silegovich, direttore di una pubblica «Fe- 
lucca» destinata a «scorrer queste acque per render conto al Direttore alla Li- 
nea situato in Veruda, della vera esistenza, o mancanza delle Cernide stesse», 
erano state complessivamente 47, e precisamente: 


«Nel Castello alla punta d’Ubas di rincontro a S. Nicolò nello stretto 


dell ATSa: Ehi Si I A RI i Lr De n. 2 
Sulla punta Cremen d’osservazion. 0... Mi .3 
In:Porto”San:Zuanne: tere io ii ee ao ra n. 2 
Punta:Neratec az OR nia Le pisa vaasnstio n. 2 
Babina:sotto Femecht want tl RITA n, 2 
BPunta:Grubichevazi i e Lo Oc n ein n. 2 
In'iporto#S: Maina verso Ri e ino ico ni 2 
Sani ZOnzI tini CRAPNIZZA e n IRIS RI n. 2 
PuntasSanbARdreano e e OO AR N... 2 
Sotto+Bralda-diRabaze. ie a nad 
Bresso Cossì.(iM:Spiapgiaz..... 0a aaa ni. 3 
Sotto«OliVeri«Phimitaste Ri e na n. 2 
Zale Dracize in bocca al canal di Fianona. 0 n. 2 
Porto: dit Blanonda:-® >= a n DO A n. 3 
unta: Mazachi. ot RR RN o rate n. 3 


386 A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Atti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 


PuntastTerstendtacz,. cara e Agia n. 3 
Babina sotto: Zapohia:-son tion air M:; D 
Val:Bristovdn= ora aio det ia a iii On n. 3 
CuttalConfmie vAMIStIT Ato: an Na n. 3 


Summa Num. 47». 


Il 4 agosto 1784 il Rivanelli, a causa delle precarie condizioni di salute, 
aveva ottenuto il permesso di abbandonare l’Istria per curarsi «dai gravissimi 
incomodi che gli affligono», ed aveva affidato il comando della Linea al capi- 
tano Michiel Antonio Gosetti. 

Tuttavia, il Rivanelli, prima di lasciare l’Istria aveva ricevuto da Alvise Mo- 
cenigo, «provveditor generale nella patria del Friuli e deputato ai riguardi di sa- 
nità nell’Istria», il seguente proclama che a sua volta aveva fatto pervenire a 
tutti gli ufficiali e direttori della linea del Quarnero: 


«Le spiacevoli circostanze in cui s’attrovano nell’annata corrente non solo 
le Venete, ma anco le Forestiere Tenute per la scarsa raccolta de’ primi Pro- 
dotti, e per l’ingrato aspetto delli secondi, hanno dato motivo alla paterna ca- 
rità dell’Eccellentissimo Senato con Decreto 24 dello scaduto Luglio d’inibire 
le estrazioni dalli Pubblici Stati per estero di qualunque Genere di Biade, ec- 
cettuati li Fagiuoli bianchi. 

Non essendo improbabile però, che prese di mira le parti suddite della T.F. 
e della Dominante, non si studj da Trafficanti ogni industria col pretesto di soc- 
correre le suddite Provincie, di tradurne clandestinamente in alieni dominj, mas- 
sime sulle frequenti permissioni del Magistrato Eccellentissimo alle Biave per 
estrazioni da quella parte, e dal Friuli per l’Istria, Dalmazia, et Isole del Quar- 
ner e fors’anche in seguito per il Levante, potendo cadere il sospetto, che o dal- 
la T.F. s’escano furtivamente, o se con Mandati del detto Eccellentissimo Ma- 
gistrato, invece di approdare in questa Provincia passino a Trieste, o a Fiume, 
o Sottovento, o in altri Esteri Porti, e siano deluse di tal modo le Pubbliche in- 
tenzioni, e le aspettazioni de’ Sudditi negli attesi suffraggi, è pubblico volere 
significato a questa carica con sovrane Ducali 12 corrente, che da legni arma- 
ti di sua dipendenza sia invigilato per impedire ne’ modi più robusti, e possi- 
bili le furtive asportazioni, che in contravvenzione al Pubblico divieto fossero 
intentate da codesta Provincia ed Esteri stati. Inerentemente però alle suaccen- 
nate Ducali, ed a riverite lettere del Magistrato Eccell. alle Biave 14 corrente, 
commettemo risolutamente a Direttori tutti de’ Pubblici legni alla Carica nostra 
soggetti, che nel scorrere il Golfo, e il Litorale dell’Istria, incontrando Basti- 
menti con Biave, debbano riconoscere le Fedi di Sanità per dove sono diretti, 
e se tengono Licenze del detto Eccellentissimo Magistrato se di questo ultimo 
requisito fossero mancanti, fermarli, e renderne partecipe la Carica; o se pure 
precisamente gli fosse stato permesso il carico per qualche Città, e Terra 
dell’Istria, Dalmazia, Isole del Quarnero, e Levante passassero in altre parti, © 
Calanche a farne Traffico, perchè poi viaggiando da un Luogo all’altro facil- 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI, 1991, p. 359-390 387 


mente le traducano in alieni Stati contro la Pubblica espressa intenzione; in quo- 
rum etc. 
Palma 19 Agosto 1784 
Alvise Mocenigo I. Prov. Deputato General. 
Il cancell. Generalizio». 
Prima di smontare la Linea difensiva — erano stati conservati i principali 
caselli eretti in muratura —, le truppe ed alcune cernide territoriali erano state 
impegnate contro una banda di morlacchi, che nel territorio di Dignano, s’era- 
no date al brigantaggio. Secondo precise informazioni la banda era stata co- 
mandata da «Zuanne, o sia Ive Carich del Territorio di Dignano» e da suo fra- 
tello. 


Il mandato di cattura firmato dal Mocenigo, veniva inviato al Rivanelli non- 
ché al capo della Villa di Pomontore, Antonio Micovilovich, in quanto il Ca- 
rich, probabilmente, era stato visto in detta Villa, a casa del piovano. 


Dalla lettera scritta il 10 ottobre dal Rivanelli al cancelliere criminale Giu- 
seppe Paleocapa, sappiamo che il «fratello del Capo di Promontore ha per mo- 
glie una sorella dell’indicato reao Carich (...) dicesi inoltre che il giorno sus- 
seguente al fermo, che fu inutilmente tentato, sia stato veduto in casa di quel 
Piovano, egualmente fratello del suddetto Capo, e che tuttavia sia colà ricovra- 
to (...) Varie e vaghe sono le voci che corrono su tal proposito; ma crederei 
che miglior soluzione fosse quella che abbiamo concertato di fa una mozione 
generale, come si fà per la caccia al Lupo». 

Secondo altre voci, invece, il Carich sarebbe stato visto in compagnia «col 
Bich da Promontore», uno dei malviventi più famosi e molesti della provincia. 


Le persone sospette facenti parte della «banda» del Carich erano le se- 
guenti: Martin Sore, Mico Sore, Matte Bucovich detto Boneco figlio di Matte, 
Matte Duchichi, Ive Zuccherich detto Moto Morichio, Jure Milos, quondam Mi- 
co bandito e Mico Divisich detto Squeraz. 


Un rastrellamento condotto dai soldati avanzanti a ventaglio, a trenta pas- 
si l’uno dall’altro «in luogo alquanto elevato, e coperto da Siepi, o Maziere, 
onde possano scoprire da lontano senza essere veduti (...) contemporaneamen- 
te inseguiti dai Comuni di San Vincenti, Barbana, Valle e Dignano con un di- 
staccamento di Truppa Oltremarina diretta dall’Alfier Scutari, quali si avanze- 
ranno dalla parte di Filippan al levar del sole», avrebbe dovuto portare alla cat- 
tura del Carich e della sua banda. 


L’arresto era avvenuto a Dignano il 28 ottobre; era stato scoperto dall’al- 
fiere Scutari «nascosto in casa di un suo fido (...), in tal occasione fu trovato 
con lui un Fratello egualmente bandito, ed anche questo è nelle mani». 


Il 16 novembre 1784, Andrea Macedonia, sopraintendente ispettore alla Li- 
nea di sanità, aveva informato, da Parenzo, il Rivanelli di un eventuale sman- 
tellamento della linea di difesa e, nello stesso tempo, gli aveva inviato un «tra- 
bacolo perchè V.S. Illustriss.a prendesse imbarco sopra lo stesso con tutti gl’in- 


388 A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Arri, vol. XXI. 1991, p. 359-390 


dividui del Reggimento di Verona che sono sotto la savia sua direzione»; inol- 
tre, lo pregava di avvisare anche il capitano Gosetti, affinché attendesse l’arri- 
vo del bastimento per l’imbarco. 

Terminava così, dopo 14 mesi di intenso lavoro, la missione del capitano 
Rivanelli in Istria; «allora l’Eccellentissimo Senato decretò lo spianto della li- 
nea (...) avvisati que’ Spettabili Colleggj, licenziate le Cernide, provvisto alla 
preservazione di alcuni Caselli, raccolsi in Pola gl’individui Militari, e con es- 
si m’imbarcai. Un mese di viaggio, nella più fredda stagione, coi maggiori di- 
sagi costò la vita ad alcuno di quegli infelici, e me ridusse cogli altri in Palma 
nelle feste di Natale a pagare con pericolosa malattia i passati stenti, e sudori». 


A. MICULIAN, Incombenze per Sanità, Atri, vol. XXI. 1991, p. 359-390 389 


SAZETAK: ZaduZenja kapetana G. Rivanelli-ja pukovnije iz Verone kao direktora sa- 
niteske linije na Kvarneru u Istri, ustrojene 1783. godine za kobnu bolest koja je mucila 
Dalmaciju - U drugoj se polovici XVIII stoljeéa kuga bila opet proSirila iz balkanskih 
zemalja prema Jadranskom moru. S obzirom na to generalni providur Furlanije, Alvi- 
se Mocenigo, imenovan sanitarnim zastupnikom, pozvao je iz Verone, da zaStiti Istru 
i Kvarner, G. Rivanelli-ja. Ovaj nam je ostavio zapisane uspomene u svojoj brosuri 
ZaduZenja..., u kojoj sazeto izlaZe svoj rad od 9. listopada 1783. do 16. studenoga 
1784. »da bi satuvao od priljepèive bolesti provinciju Istru koja graniti sa Dalmacijom 
i Prejasnom«. 

Sanitetski i obrambeno-obalni zastitni pojas je postavijen u predjelu S. Polo (na 
obali juzno od Rovinja), mjesto prve kucice, do austrijske granice. Broj sanitetskih 
kucica je od 38 porastao na 90; unutarnji dio te linije pojatavale su seoske straZe u 
broju od 284, dok je 348 Ijudi bilo razmjesteno za nadzor uzduZ obale. Veoma su bi- 
le korisne, za éuvanje linije, straZe i /ereci konjiCki odredi kao i juvni oboruZani bro- 
dovi za pratnju sumnjivih lada, da se odvoje od onih slobodne plovidbe. 

Osim toga, mala vojska sa svojim regularnim kadrovima: kapetan, poruènici, za- 
stavnici, podnarednici, kaplari, bubnjari, talijanski pjeSaci i korpus prekomoraca, bila 
Je stalno u sluZbi Rivanelli-ja. Na ta] naéin, nijedan kutak obalc nijedan cestovni pra- 
vac nije mogao izbjeci kontroli, i nijedno plovilo, bez potrebne zdravstvene potvrde, 
nije moglo pristati uz istarske obale. 


POVZETEK: Pristojnosti G. Rivanellija, kapitana regimenta iz Verone kot nadzornika 
sanitarnega kordona v Istri in Kvarneru, ki je bil postavljen leta 1783 zaradi usodne 
bolezni, ki je mucila Dalmacijo - V drudi polovici 18. stoletja se je z balkanskih dezel 
ponovno raz$irila proti Jadranskemu morju kuga. Zaradi te nevarnosti je generalni nad- 
zornik dezele Furlanije Alvise Mocenigo, imenovan za zdravniSkega nadzornika v Istri, 
poklical iz Verone kapitana G. Rivanellija, da bi obvaroval Istro pred kuZno boleznijo. 
Slednji je zapisal nekaj svojih spominov na ta éas v broSuri z naslovom: Pristojnosti 

. v njih pa je v skopih obrisih navedel potek svojega dela od 9. oktobra 1783 do 16. 
novembra 1784, »da bi obvaroval pred nalezijivo boleznijo provinco Istro, ki je meji- 
la na Dalmacijo in na vladajoto drZavo. 


390) A. MICULIAN. Incombenze per Sanità, Arti, vol. XXI. 1991, p. 359-390 


San.itami in zaSéitni kordon, ki naj bi varoval obalo, je bil postavljen v kraju S. 
Polo (na obali juZno od Rovinja), tam je stala prva trdnjava - in je tekel vse do av- 
strijske meje. Takih zdravstvenih centrov je naraslo od 38 na 90, kopna zveza pa je 
bila ojatena z 284 podezelskimi pazniki, medtem ko je bilo 348 Ijudi nameSènih vz- 
dol? obale, da bi jo tuvali. V zasèitne namene so bili zelo koristni straZarji in leteùi 
Cuvaji na konjenici kot tudi javna oboroZena plovila, katerih naloga je bila spremljati 
osumljene ladje, saj jih je bilo treba loÈiti od tistih, ki so lahko prosto plule. 

Poleg tega pa je bila Ravanelliju neprestano na razpolago stalna kopna vojska, se- 
stavljena iz kapetana, poroénikov, prapor$éakov, podnarednikov, desetnikov, itali jan- 
ske pehote in peSakov. Tako nista noben kotiéek na obali kot tudi nobena pot uila 
opreznim otéem opazovalcev. Tudi nobeno plovilo, ki ne bi imelo ustreznega zdravst- 
venega potrdila, se ni smelo zasidrati na istrski obali. 


LA DECORAZIONE MARMOREA 
DELLA BASILICA EUFRASIANA DI PARENZO 


ANTE SONJE 


Parenzo CDU 726:73(497. 13Parenzo)«653» 
Sintesi 
Febbraio 1989 


Riassunto - L'autore nella parte iniziale del saggio descrive gli elementi strutturali de- 
corati in marmo della Basilica Eufrasiana di Parenzo, nonché i resti marmorei del bat- 
tistero, le colonne dell’atrio, una colonna del palazzo vescovile e frammenti vari di plu- 
tei e di colonne. Nella parte conclusiva si sofferma, invece, sulle caratteristiche stilisti- 
che dei marmi descritti, ovvero sulla loro datazione, sulla presenza di determinati in- 
flussi stilistico-artistici e sulle aree ed officine di provenienza degli elementi importati. 


La Basilica eufrasiana di Parenzo, che risale alla metà del secolo VI, con- 
serva, come pochi altri monumenti della tarda antichità, la purezza architetto- 
nica originaria. Essa si distingue per la ricchezza della variegata ornamentazio- 
ne marmorea, degli stucchi e dei mosaici. Quasi tutti i suoi elementi struttura- 
li sono decorati in marmo: l’incorniciatura delle porte, la transenna dell’altare, 
il trono vescovile con i banchi absidali, il piedestallo della mensa dell’altare e 
le colonne delle arcate divisorie delle navate. 


L’incorniciatura delle porte 


Le soglie delle porte d’entrata della basilica sono di marmo grigiastro; 
all’esterno sono riccamente modellate. La porta principale presenta una moda- 
natura assomigliante a dei listelli; nella parte interna, come sul lato esterno di 
tutte e tre le aperture sopra l’architrave, corre una fascia assai marcata. Gli ele- 
menti raffazzonati attorno ad esse e i vecchi sottoporta dimostrano un inseri- 
mento più tardo nei varchi d’accesso alla Basilica preeufrasiana. AI centro del 
cordone della porta principale sta una croce dalla stilizzazione piatta e, sotto ad 
esso, il monogramma del vescovo Eutrasio, che permette di collocare |’ incor- 
niciatura menzionata nella metà del secolo VI. Tali soglie conservano il posto, 
in cui furono sistemate all’atto della costruzione della Basilica. 

All’estremità degli architravi e dei sottoporta si notano dei fori circolari de- 
stinati ad accogliere i cardini dei battenti di legno, che chiudevano e aprivano 
il passaggio. Nella metà delle facce laterali degli stipiti compaiono due cavità 


392 A. SONIE, La decorazione della Basilica Eufrasiana di Parenzo, Arri, vol. XXI, 1991, p. 391-409 


quadrate per l’inserimento di una spranga di legno o di metallo, con cui dal di 
dentro si fissavano i battenti. 

Del medesimo marmo è fatta l’incorniciatura della porta d’accesso alla «cel- 
la trichora» e di quella che dall’orto diocesano conduce all’atrio; la loro lavo- 
razione esterna riproduce i listelli graduati dell’entrata della Basilica. La profi- 
latura del varco che porta all’atrio è più ricca e di qualità migliore rispetto a 
quella della cella. Nessuna delle due conserva più i vecchi sottoporta di mar- 
mo, ma i loro stipiti mostrano i fori per i cardini dei battenti di legno caratte- 
ristici del periodo antico e tardo antico. Gli stipiti della cella occupano la po- 
sizione originaria; sopra il loro architrave corre un cordone marmoreo, il cui 
profilo è stato eliminato nel secolo XIII, quando, accanto alla porta, è stata mu- 
rata la volta della vecchia sacrestia. L’incorniciatura dell’entrata dell’atrio pro- 
viene dalla porta principale del fonte battesimale; da questo gli stipiti sono sta- 
ti trasferiti nella cappella della Santa Croce. Nel 1846-1847 il vescovo Peteani 
li fece spostare nuovamente sull’accesso occidentale dell’atrio, dove tuttora si 
trovano.' Di marmo grigio proconese è anche l’incorniciatura dell'apertura di 
passaggio dalla navata settentrionale alla sacrestia; essa rivela la medesima fat- 
tura degli altri stipiti della basilica; la sua modellatura è simile a quella dell’en- 
trata della cella, soltanto è un po’ più semplice. 


La transenna dell’altare e i marmi absidali 


Dell’antica transenna dell’altare della Basilica eufrasiana si sono conserva- 
ti in situ due basi di plutei sotto la scala laterale che conduce al santuario, da- 
tabili intorno alla metà del XIII secolo.” La transenna attuale è stata ricostruita 
nel 1937 impiegando plutei, di cui alcuni erano stati adibiti a lastre pavimen- 
tali o erano stati depositati nel battistero. 


Lato settentrionale 


I pluteo, all’estremità orientale; del precedente non è rimasto nulla; quello 
odierno è privo di ornamentazione. 


"A. Amoroso, «Ss. Giuliano e Demetrio martiri», Atti e Memorie della Società istriana di 
archeologia e storia patria (nel prosieguo AMS/), Parenzo, vol. XIV (1898), p. 115; F. BABUDRI, 
«Le antiche chiese di Parenzo», AMSI, vol. XXVIII (1912), p. 190. 


2 La transenna è stata fatta demolire nel 1247 dal vescovo Pagano (B. MoLAJOLI, Lu basi- 
lica Eufrasiana di Parenzo, Padova, 1943, p. 30). 

3 È difficile attribuire tutti questi plutei alla vecchia transenna dell’altare della Basilica eu- 
frasiana. Nel battistero sono stati raccolti i resti provenienti da varie chiese paleocristiane, situa- 
te sul territorio di Parenzo. Alcuni frammenti di plutei vi sono stati trasportati da Cervera, dove 
sorgeva una basilica paleocristiana (G. PESANTE, S. Mauro, protettore della città e della diocesi 
di Parenzo, Parenzo, Tip. Coana, 1891, p. 210). I plutei marmorei trasferiti a Parenzo dalla cap- 


A. SONIE, La decorazione della Basilica Eufrasiana di Parenzo, Atti, vol XXI 1991, p. 391-409 393 


II pluteo, ad ovest del varco di passaggio (fig. 1); sulla faccia esterna è sta- 
ta schematicamente stilizzata una piccola corona piatta con croce (crux coro- 
nata); dalla sua parte inferiore spuntano due nastri attorcigliati terminanti con 
delle freccette. È orlato da un ampio listello e da due fettuccine. Agli angoli 
del campo interno compaiono fiori di giglio appiattiti; al centro del lato inter- 
no sta una croce dalla modellatura bassa e dalla stilizzazione piatta, mentre ai 
suoi angoli ritornano i gigli. Il bordo di questa seconda faccia consiste in un 
ampio listello e in un nastro a una striscia. 





Fig. |. 


pella del palazzo vescovile di Orsera appartenevano indubbiamente ad una chiesa paleocristiana, 
i cut resti murari e pavimentali sono stati rinvenuti nel porto orserese. 


394 A. SONIE, La decorazione della Basilica Eufrasiana di Parenzo, Atti, vol. XXI, 1991, p. 391-409 

III pluteo. Si è conservata la maggior parte (fig. 2); al centro della faccia 
esterna sta un cantaro, da cui sporgono tralci con grappoli d’uva e foglie. Il can- 
taro è piatto, ma è modellato morbidamente come il viticcio stilizzato. L'orla- 
tura consta di un largo listello e di due fettuccine, di cui l’ultima tagliata obli- 
quamente. 





Fig. 2. 


IV pluteo. Si è conservata la parte mediana (fig. 3); la sua decorazione si 
articola in una doppia modanatura: nel quadrato superiore si riconosce un fram- 
mento di uccello, in quello inferiore un piccolo cantaro dalla stilizzazione si- 
mile a quella del III pluteo. È orlato da un largo listello e da un nastro stretto; 
il lato interno è privo di ornamentazione. 


V pluteo. Si è conservata la parte mediana; al centro della faccia esterna è 
sistemata una croce dalla modellatura bassa e dalla stilizzazione piatta (fig. 4). 
È orlato da un largo listello e da un nastro stretto; l’interno è privo di orna- 
mentazione. 


Lato anteriore 


Pluteo a destra dell’entrata. Si è conservato interamente; solo i bordi late- 
rali sono un po’ danneggiati (fig. 5). Il campo anteriore è decorato con un am- 


A. SoNIE, La decorazione della Basilica Eufrasiana di Parenzo, Arti, vol. XXI, 1991, p. 391-409 395 


pio listello e tre fettuccine, di cui la mediana è un po’ più larga. Al centro sta 
il monogramma di Cristo piattamente stilizzato entro un cordone a due strisce, 
da cui sporgono verso l’interno foglie a forma di croce. Il monogramma è fa- 
sciato da due cornucopie, che, come i cantari precedentemente descritti, man- 
tengono la classica stilizzazione. Questi due motivi simbolici avvolgono con- 
centricamente una treccia a tre strisce, di cui la mediana è un po’ più larga. Ai 
lati compaiono quattro uccelli dalla stilizzazione piatta; i due inferiori sono ap- 
poggiati su delle palle, quelli superiori su listelli a forma di freccia. L'interno 
è privo di ornamentazione. 





396 A. SonsE, La decorazione della Basilica Eufrasiana di Parenzo, Arti, vol. XXI, 1991, p. 391-409 





A. Sonik, La decorazione della Basilica Eufrasiana di Parenzo, Atti, vol. XXI, 1991, p. 391-409 397 


La faccia destra del pluteo alla sinistra dell’entrata è danneggiata; ha la me- 
desima decorazione di quello del lato destro. Agli angoli a sinistra si sono con- 
servate due colombelle appoggiate sul cordone. 


Pluteo del lato sinistro. Si è interamente conservato, fatta eccezione per il 
listello inferiore che è stato spezzato e per la faccia destra un po’ mozzata. La 
parte mediana è decorata con una croce piattamente stilizzata, circondata da una 
fascia a due strisce; dalla sua estremità inferiore spuntano due nastri ondulati 
terminanti con una freccina in direzione delle croci appiattite. Agli angoli stan- 
no quattro gigli dalla stilizzazione piatta; il bordo è costituito da un ampio li- 
stello e da tre nastri, di cui quello mediano un po’ più largo. L’interno non pre- 
senta motivi ornamentali. 

Del pluteo all’estremità del lato destro si è conservata la parte inferiore del- 
la croce; era orlato come quello precedentemente descritto con la sola diffe- 
renza che agli angoli aveva dei gigli. 





Lato destro 


I pluteo, a occidente. Si è conservata solo una piccola parte (fig. 6); ave- 
va una decorazione identica a quella del I pluteo del lato anteriore. Sono ri- 


398 A. Sonse, La decorazione della Basilica Eufrasiana di Parenzo, Arti, v