CDU 908(497.4/.5-3 Istria) ISSN 0392-9493
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO
VOLUME XXXI
UNIONE ITALIANA - FIUME
UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE
TRIESTE-ROVIGNO 2001
ATTI, Centro di Ricerche Storiche - Rovigno, vol. XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno, 2001
CDU 908(497.4/.5-3 Istria) ISSN 0392-9493
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO
VOLUME XXXI
UNIONE ITALIANA - FIUME
UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE
TRIESTE-ROVIGNO 2001
ATTI, Centro di Ricerche Storiche - Rovigno, vol. XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno, 2001
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO
UNIONE ITALIANA - FIUME
UNIVERSITA POPOLARE DI TRIESTE
REDAZIONE ED AMMINISTRAZIONE
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COMITATO DI REDAZIONE
ARDUINO AGNELLI, Trieste EGIDIO IVETIC, Rovigno
ELIO APIH, Trieste Luciano Laco, Trieste
MARINO BUDICIN, Rovigno ANTONIO PAULETICH, Rovigno
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ANITA FORLANI, Dignano FULVIO SALIMBENI, Trieste
REDATTORE
MARINO BUDICIN, Rovigno
DIRETTORI RESPONSABILI
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Recensore:
ANTONIO MICULIAN, Rovigno
©2001 - Proprietà letteraria riservata -
Edizione fuori commercio - Esce una volta all'anno
Finito di stampare in Italia nel giugno 2002
presso la Tipografia Villaggio del Fanciullo
Opicina (Trieste)
ATTI, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, voL XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno 2001
INDICE
Memorie
M. BERTOSA, Tra piaceri e guadagni: “Erba Santa” dall’uso
all’abuso. Contributo alla storia del tabacco nell’Istria del Sette-
cento
M. BUDICIN, Considerazioni sulle strutture murario-difensive dei
centri costieri dell’Istria veneta all’indomani della guerra uscoc-
ca (1619-1620)
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni economico-patrimonialidelle
confraternite istriane alla caduta della Repubblica di Venezia
E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde
(Grdoselo) (Contado di Pisino, 1680-1705)
A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane in
Friuli e in Istria nel quadro dell’organizzazione militare di terra-
ferma nel XVI secolo
G. RADOSSI, Un estremo tentativo di riforma della pubblica
amministrazione nella terra di Rovigno nel 1766
F. WIGGERMANN, Fede e nazione. Cenni sulla storia della chiesa
cattolica nell’Istria meridionale prima del 1914
Note e Documenti
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti della città di
Pola secondo i dati dei libri parrocchiali dal 1613 al 1817
M. BONIFACIO, / cognomi di Pola, Frézza e Gardèl, Gardèl,
Gardèlli, Gardèlli, Gardello
pag.
»
»
»
37
19)
137
155
189
215
229
249
6 ATTI, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, vol XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno 2001
D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova (Storia religiosa e
economica delle dinamiche sociali di una micro-città) » 259
Lauro DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani » 279
D. DEMONJA, Tradizione e innovazione nell’architettura sacra-
medievale - Alcuni esempi istriani » 307
B. LJUBOVIC, Vetri e sculture litiche di epoca romana custoditi
dal museo di Segna » 329
L. MARGETIC, Alcune note concernenti lo statuto di Dignano » 363
E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Galle-
sano (Parte 1) » 371
S. OBAD, Studenti dalmati all’università di Padova » 469
C. PERICIN, Nomi di piante nella parlata veneto-giuliana di Buie
e del territorio tra i fiumi Quieto e Dragogna » 479
MEMORIE
TRA PIACERI E GUADAGNI: “ERBA SANTA” DALL’ USO
ALL’ABUSO
Contributo alla storia del tabacco nell’Istria del Settecento
MIROSLAV BERTOSA CDU 663.97(091)(497.4/.5-3Istria)” 17”
Pola Saggio scientifico originale
Novembre 2001
Riassunto — Il tabacco aveva già dietro di sé una lunga “preistoria” non scritta e una storia
documentata, quando nel secolo XVIII cominciò a fare la sua apparizione come merce di
contrabbando sulle navi che navigavano alla volta di Trieste, Venezia e Fiume. Fuallorache fecero
la loro comparsa i primi tentativi di coltivare questa pianta sul suolo dell’ Istria. Ai Cinque Savj
alla mercanzia spettava il controllo anche dell’importazione e della produzione di tabacco nell’
Istria veneta, riuscendo così ad incamerare nelle casse statali gran parte dei loro introiti. Dalle fonti
d'archivio si evince che i buoni affari e guadagni derivanti dal controllo del tabacco di epoca
veneta vennero sfruttati successivamente anche dalle amministrazioni francese e austriaca.
Cenni introduttivi - Il tabacco nella storia economica e sociale
Il tabacco aveva già dietro a sé una lunga “preistoria” non scritta e una
storia documentata, quando, nel XVIII secolo, cominciò a fare la sua appari-
zione in quantità consistenti come merce di contrabbando sulle navi che
navigavano alla volta di Trieste, Venezia e Fiume, sostando lungo le coste
istriane. Fu allora che fecero la loro comparsa i primi tentativi di coltivare
questa pianta sul suolo dell’ Istria.
Dai suoi lontani luoghi di origine (territori del Perù, della Bolivia e del
Cile) — in cui il tabacco normale (Nicotiana tabacum, come venne denominato
in seguito dalla sistemazione scientifica di Linneo), veniva coltivato ad est
della catena montuosa delle Ande, mentre l’ arzavola (Nicotiana rustica) nella
sua parte occidentale- questa pianta si diffuse non soltanto nel continente
sudamericano, ma anche in Europa e nel resto del mondo! . Inizialmente pianta
! Relja DIMITRIJEVIC, “Duvan” /Il tabacco/, voce della Poljoprivredna eniklopedija /Enciclopedia
10 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vel XXXI, 2001, p. 9-35
un tantino misteriosa e mistica, il tabacco venne usato nei riti religiosi per
inspirare collettivamente il fumo delle sue foglie secche che ardevano sul
braciere, ma anche nella vita quotidiana, quando veniva fumato con la pipa o
quando si inspirava il suo fumo da gomitoli rotondi (chiamati tobagos nelle
isole dei Caraibi, da cui la diffusa denominazione tabac, tabacco, tobacco
ecc.), 0 si masticava o si trovava il loro piacere nel tabacco da fiuto. Trasferito
nel continente europeo dopo le scoperte di Colombo, il tabacco diventò qui una
pianta controversa: mentre alcuni mettevano in rilievo il suo potere medica-
mentoso, gli altri lo ritenevano un prodotto del diavolo?. Sotto vari nomi
(tabacco, caraibica, brasiliana), il tabacco giunse in Europa e qui divenne l’
ornamento dei parchi botanici, ma anche una pianta seguita, per così dire, dalla
fama di grandi e misteriose qualità medicamentose. Il dottore e diplomatico
Jean Nicot, per ricordare il nome del glorioso “padre della nicotina”, inviò da
Lisbona (1560) a Caterina de’ Medici un po’ di polvere di tabacco per la cura
del mal di testa, mentre un altro francese, Jacques Gahorye, una quindicina di
anni dopo, asseriva che il tabacco aveva le qualità di “medicina universale”.
Il tabacco tra le piante oppiacee occupò il primo posto come ottimo mezzo di
disinfezione, ma soprattutto come “ottimo mezzo per la disinfezione dell’aria”.
Dal XVII secolo in poi gli Europei, proprio sul fondamento di queste credenze,
accettarono coscienziosamente il fumare e neanche in seguito, con il prevalere di
teorie completamente opposte, non poterono sradicare la convinzione del potere
medicamentoso del tabacco. Ancora negli anni 1720-21, in alcuni documenti farma-
ceutici della Francia, il tabacco veniva ritenuto mezzo protettivo contro la peste”.
Ma parallelamente al consumo del tabacco appaiono anche le prime
disposizioni contro il fumo e 1 tentativi di limitarne, quanto più possibile, il suo
uso. Le ricerche che sono state condotte successivamente, sintetizzate nella
dell’agricoltura/, tomo I, Zagabria, 1967, p. 234; Frangois Joel CHICOU, /! tabacco: dalla pianta alla
sigaretta (tradotto dal francese), Milano, 1978, p. 11 e segg. Cfr. anche Ivan ALILOVIC, Duhan i Zivot naroda
u Hercegovini IIl tabacco e la vita del popolo nell’ Erzegovina/, Zagabria, 1976.
2 Joseph KULISCHER, Opca ekonomska povijest srednjega i novoga vijeka IStoria economica
generale del Medio e Nuovo Evo/, tomo II, Zagabria, 1957, p. 36.
3 Fernand BRAUDEL, Civilisation materielle, économie et capitalisme (XV - XVIII siècle): les
structures du quotidien, Parigi, 1979 (citazione tratta dalla traduzione italiana: Le strutture del quotidiano,
Torino 1981, p. 195).
4 Jean-Noél BIRABEN, Les hommes et la peste en France et dans les pays européens et méditerra-
néens, | parte: “Les hommes face à la peste”, Parigi-La Haye, 1976, p. 171.
5 Fernand SAUTE”, “Les épidémies de peste à Apt notamment en 1588 et 1720-21”, Annales de la
Société d’ Etudes provengales, HI, Aix , s.d., p. 87-101 (citazione tratta da Biraben, op. cit.)
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 9-35 Il
grande edizione sulla storia dell’economia, presentata all’ Università di Cam-
bridge, dimostrarono che queste prescrizioni sulla limitazione e sulla proibi-
zione erano molto diverse da paese a paese, mentre, per esempio, il re inglese
esprimeva la sua disapprovazione per la diffusione delle abitudini del fumo tra
i suoi sudditi, con un polemico scritto di replica (Counterblaste to Tobacco,
anno 1603), nella Russia, l’uso del fumo e delle altre forme di godimento del
tabacco venivano punite con il taglio del naso!’ Ben presto anche la Chiesa
entrò in prima linea nella battaglia contro il tabacco: in Inghilterra i sacerdoti
dichiararono che esso agiva dannosamente sulle qualità spirituali dell’ uomo,
in Germania i teologi affermarono che coloro che godevano del tabacco
perdevano la salvezza dell’anima e che il tabacco era opera del diavolo. Le
autorità a Londra cominciarono a maltrattare pubblicamente i fumatori sulle
strade, e nella Svizzera li si metteva alla berlina.
Con le pene severe tuttavia non è che si ottenne molto. Fernand Braudel
giustamente osserva che ogni “civilizzazione” ha i suoi cibi preferiti e i suoi
mezzi oppiacei: nel XII e XIII secolo si era diffusa una vera e propria euforia
per le spezie (in particolare per la paprica in primo luogo); nel XVI secolo al
primo posto si accampa l’alcol e nei secoli seguenti gli si associano il thè, il
tabacco e il caffè. Il nostro tempo è schiavizzato dalla droga. Parallelamente
con la crescita o, perlomeno, “durante i lunghi periodi” delle crisi alimentari il
genere umano sente il bisogno di certi surrogati, sostiene il Braudel nelle
pagine del suaccennato libro, nel grande capitolo dal titolo caratteristico: “Il
superfluo e il necessario: alimenti e bevande”. Il tabacco rappresenta appunto
“tale surrogato”, conclude l’ Autore nel capitolo “Gli stimolanti: le glorie del
tabacco”*. Tra il XVI e il XVII secolo il tabacco era di casa in tutto il mondo e
in quantità superiori al thé e al caffè, per quanto queste due ultime droghe
provenissero da regioni storico-culturali di vetusta e ricca civilizzazione (Cina,
Mondo islamico), mentre il tabacco giungeva a noi dai “selvaggi” ambienti
americani, come allora venivano considerati in Europa”.
Lo storico e colto antropologo, erudito e letterato Piero Camporesi ha
6 The Cambridge Economy History of Europe, vol. IV, “The Economy Expanding Europe in the
Sixteenth and Seventeenth Centuries”, Londra, 1967. Cfr. la più recente traduzione italiana Storia economica
Cambridge, vol. IV, Torino, 1975, p. 337.
? E BRAUDEL, op. cit., p. 127-197 (“Il superfluo e il necessario: alimenti e bevande”).
8 IBIDEM, p. 194-197 (“Gli stimolanti: le glorie del tabacco”).
° IBIDEM, p. 195.
2 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 935
presentato in maniera interessante lo “strano destino” del tabacco in Europa, in
un breve saggio dal titolo “Sigari e belle mulatte!®. Il Camporesi fornisce
numerosi citati del XVII e del XVIII secolo, secondo i quali il tabacco veniva
allo stesso tempo lodato come “miracolo del Mondo nuovo” ed “erba santa” e
biasimato come “immondezza” e “cattiva creanza”. Mentre gli uni parlavano
dell’ ’abusivo costume del villano tabacco” e nel fumo vedevano “il più
orribile spettacolo”, gli altri ritenevano che il tabacco ‘“stimolasse piaceri più
innocenti di tutti gli altri al corpo e all'anima”, che “conciliasse amicizie” e
costituisse una certa specie di “innocente cibo del cervello”!!. Diventò oggetto
di persecuzione nelle più alte sfere della Chiesa — di papa Urbano VIII (anno
1642) e Innocenzo X (1650) -, i quali, ricorrendo alla minaccia della scomuni-
ca, proibirono di “prendere tabacco nelle chiese e nei loro atrii e portici (...)
per l’ irriverenza e indecenza che quest’azione contiene in sé”? — il suo uso
assunse proporzioni enormi e si acquistò il suo ascendente, non solo nella storia
della socializzazione, ma anche in quella sociale in genere.
La sigaretta si è mantenuta anche nel mondo contemporaneo, tuttavia il
grande mito del piacere dato dalla pianta del tabacco, da molto tempo ormai si
è andato spegnendo. La conclusione del ciclo storico del tabacco viene identi-
ficata dal Camporesi con il momento in cui i grandi velieri cessarono di
trasportare le sue odorose foglie dalle lontane coste cubane e quando la sua
lavorazione perdette la sua virginale tecnologia".
Nonostante le proibizioni e le teorie antitabacco la sua richiesta crebbe in
maniera vertiginosa e in singoli paesi influì sulla proficua espansione coloniale
(per esempio, la fondazione della Virginia, del Maryland e dell’ India orienta-
le). I paesi produttori di tabacco realizzarono con l’esportazione enormi extra-
profitti, mentre, d’ altra parte, nei gabinetti ministeriali degli stati importatori,
spesso si sentivano energiche proteste per tali uscite. Così, per esempio,
nell’anno 1620, nel Parlamento inglese ci furono parole di fuoco nei confronti
del Governo per il fatto che per l'importazione del tabacco dalla Spagna, erano
state spese enormi quantità di denaro, pari a 120.000 lire sterline! L’aspirazio-
10 Piero CAMPORESI, I! governo del corpo. Saggi in miniatura, Milano,1995, p. 80-84.
!! IBIDEM, p. 81-82.
!? IBIDEM, p. 82.
13 /BIDEM, p. 84. Il CAMPORESI nell’ultima proposizione del saggio scrive letteralmente così: “E
poi, accantonando i fumi sacri, dove trovare ormai quei sigari cubani la cui eccellenza, secondo un
viaggiatore francese ricordato dall’ultimo adoratore del tabacco, Fernando Ortiz, dipendeva dal fatto che le
belle mulatte li andavano manipolando sulle proprie cosce nude?”
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 9-35 13
ne dello stato di tenere nelle proprie mani il commercio del tabacco e i grandi
profitti che ne derivavano, portò alla stipulazione di contratti particolari con le
compagnie per lo sfruttamento del tabacco nelle colonie (per esempio, con la
Virginia Company) e alla proibizione della piantagione del tabacco sul suolo
inglese. La legge, confermata dal Parlamento, non si poteva applicare in senso
stretto poiché la congiuntura del tabacco era talmente grande al punto che molti
coltivatori (stando a certi dati ce n° erano 6.000!) infrangevano apertamente le
prescrizioni di legge. Negli anni Sessanta del XVII secolo, il Governo dovette
impiegare l’esercito per distruggere i seminati di tabacco in lungo e in largo per
tutta l’ Inghilterra. In seguito le autorità impedirono i tentativi illegali di semina
del tabacco con grosse multe e appiccarono pubblicamente il fuoco alle giacen-
ze che venivano scoperte. Il commercio del tabacco in Inghilterra divenne
monopolio reale, e di conseguenza anche i commercianti di questo articolo
dovettero esigere il benestare reale per l’espletazione della loro attività.
Nella Francia il commercio del tabacco divenne anch’esso monopolio di
stato (dall’anno 1674) che, come per tutti gli altri affari, si dava in appalto. Agli
inizi la coltivazione del tabacco nazionale venne incoraggiata, ma sotto il
severo controllo delle autorità. Tuttavia dall’anno 1719 cominciò ad applicarsi
la politica di favoreggiamento dell’ industria del tabacco nel possedimento
francese d’ Oltremare della Luisiana, mentre sul territorio metropolitano veni-
va proibita la piantagione del tabacco, fatta eccezione per tre regioni (Franche-
Compté, Alsazia e Fiandre). Le pene per i trasgressori erano ancora più severe
di quelle inglesi: chi piantava illegalmente il tabacco poteva essere condannato
alle galera, ai lavori forzarti e addirittura condannato a morte. Soltanto l’ As-
semblea rivoluzionaria, nell’anno 1791, avrebbe soppresso queste leggi e
avrebbe proclamato la libertà di coltivare e di vendere il tabacco.
Il Portogallo e la Spagna, possessori di enormi territori tropicali, non
favorirono affatto i tentativi nazionali di piantare il tabacco. Nella Spagna la
produzione di tabacco si sarebbe sviluppata soltanto dopo la perdita dei posse-
dimenti d’Oltremare.
Nel XVIII secolo, per le esigenze locali, il tabacco veniva coltivato in alcune
regioni dell’ Europa sotto il dominio turco, in particolare nelle valli della Tessa-
glia. Tuttavia, soltanto molto più tardi, quando nell’ Europa occidentale l’entusia-
smo per il tabacco “turco” divenne una moda, questa produzione avrebbe raggiun-
to proporzioni maggiori e si sarebbe orientata verso l’ esportazione!“.
!4 Storia economica Cambridge, cit., p. 338-339.
14 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vol XXXI, 2001, p. 935
In tutti i paesi europei sunnominati esisteva una comune linea di sviluppo:
le autorità tentarono di sfruttare a scopi finanziari la grande richiesta e la buona
vendita del tabacco. Vennero introdotti i monopoli di stato, inizialmente come
una forma di proibizionismo, indi come procedimento tipicamente fiscale,
rispettivamente come una forma di tassazione!.
Nel 1574 si effettuarono i primi tentativi di coltivazione del tabacco in
Italia, nel 1620 in Germania (Baden) e successivamente in Austria, in Ungheria
e in Russia. Negli anni 1601-1603, il tabacco venne trasferito nei Balcani
(Grecia, Bulgaria, Macedonia). Dai documenti dell’ Archivio di Stato di Ragu-
sa (Dubrovnik) si può desumere che il tabacco venne trasferito in Dalmazia e
nell’ Erzegovina da Venezia'?. Nella città lagunare il tabacco era approdato
relativamente tardi, appena nel XVII secolo. Poiché veniva considerato come
medicamento lo si vendeva solamente nelle botteghe degli speziali, che aveva-
no il diritto dell’ esclusività di vendita. Anche qui, infatti, come, per esempio,
in Francia, al tabacco si ascrivevano qualità miracolose nella cura della cancre-
na, della peste e di tutti i tipi di ferite (fino ai giorni nostri si è conservata la
convinzione che la parte lesa deve essere coperta dal tabacco!).
Agli inizi degli anni Settanta del XVII secolo, le autorità veneziane
iniziarono a dare in appalto la vendita del tabacco e la prima licenza per
l’apertura di un’attività commerciale legata al tabacco in Piazza San Marco e
nel Ghetto venne concessa a Davide Daniele di Pisa, previo esborso alle casse
dello stato di 10.000 ducati. I primi appaltatori realizzarono profitti enormi, il
!5 Aspirando ad accumulare profitti sempre maggiori, gli stati non solosi astennero dalla persecuzione
e dalla punizione dei fumatori, ma elevarono il piacere del tabacco a livelli di cultura sociale delle singole
nazioni. Si aveva l’impressione che l’accettazione dell’individuo in ambienti sociali e la sua completa
“socializzazione” non fossero possibili senza la sigaretta accesa e il fumo del tabacco. La situazione da un
punto di vista storico-sociologico è davvero paradossale: “il tabagismo” da una parte contribuisce a una più
veloce e onnilaterale socializzazione”, il che è positivo, ma, d’altra parte, è negativo per il fatto che la società
“obbliga” il singolo ad accettare il fumo come una norma di un comportamento “socializzato” (alle volte
addirittura come una forma di affermazione personale!). L’“individuum” è, dunque, sottoposto a un certo
tipo di ’repressione”’, poiché l'accettazione del fumo è una condizione di appartenenza "alla maggioranza”.
Stando a certe statistiche, oggi nel mondo circa il 75% della popolazione adulta fuma. Cfr. su tale materia:
E. J. CHICOU, op. cit., p. 70-71 e passim. Le cifre relative al prezzo di vendita del tabacco sono vertiginose
e in relazione a ciò anche i ricavi statali che ne derivano. La statistica italiana del 1980 rilevava che 19 milioni
di fumatori in Italia spendevano per le sigarette annualmente tremila miliardi di lire, ossia otto miliardi di
lire giornalmente! (// Piccolo, Trieste, num. 10292, n.s., 22 agosto 1980, p. 10). Valentin PUTANEC ha
riportato interessanti notizie sulla presa in giro del fumo nella cosiddetta verseggiatura maccheronica del
periodo illirico, “Na duhand2ije salna pesem” /Versi scherzosi sui fumatori/, Vjesnik, Zagabria, 20 aprile
1980, p. 10)
!6 DIMITRIJEVIC, op. cit., p. 234.
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ani, vol. XXXI, 2001, p. 935 15
che dette il via a una vera e propria corsa nell’apertura di nuove rivendite di
tabacco in varie zone della città. In parallelo aumentava anche l’importo
dell’affitto, che raggiunse cifre da capogiro”.
L’ esistenza del tabacco nella metropoli della Serenissima Repubblica
indubbiamente stimolò anche la sua circolazione in quella parte dell’ Istria che
si trovava sotto la dominazione veneta, benché la foglia del tabacco e la sua
profumata polvere oppiacea fossero giunte in questo territorio, seguendo un’
opposta direzione. Anche nell’ Istria gli avvenimenti legati al tabacco seguiro-
no parecchie linee evolutive che erano state tipiche anche nei paesi europei fin
qui nominati in queste righe; proprio per codesto motivo questa esposizione
introduttiva ha dovuto essere un tantino più ampia.
Notizie archivistiche sul tabacco in Istria
Le ricerche fin qui condotte sulla struttura economica dell’ Istria hanno
tralasciato la problematica del commercio e della piantagione del tabacco, sia
nella parte sotto la dominazione veneta che in quella austriaca della Penisola.
Il motivo di questo stato di cose è da ricercarsi nella accentuata scarsità del
materiale originale relativo alle questioni economico-fiscali, legate al traffico
e alla vendita ed anche ai timidi tentativi di piantare il tabacco sul suolo
dell’Istria'8. Del resto Venezia non intendeva coltivare questa pianta-droga
nell’Istria. Sembra che l’ amministrazione centrale non presupponesse che nel
suo possedimento istriano non si rispettassero le prescrizioni di legge relative
al tabacco e pertanto non attirò l’attenzione dei propri rappresentanti — rettori
dei centri comunali, i Provveditori di Sanità gli altri provveditori e i verifica-
tori della vita economica e pubblica — di difendere gli interessi del fisco statale.
Per questa ragione le prime notizie riguardanti il tabacco, come articolo del
commercio di contrabbando e dell’illegale piantagione in alcuni feudi privati
sul territorio della veneta Provincia dell’ Istria, fanno la loro comparsa appena
nei documenti risalenti al XVIII secolo. Ho trovato questi non sistematici,
!? Giovanni MARANGONI, Le associazioni di mestiere nella Repubblica veneta, Venezia, 1974, p.
171. Cfr. pure Furio BIANCO, “La frontiera come risorsa: contrabbando di tabacco nella Repubblica di
Venezia in età moderna”, nella miscellanea Mobilité spatiale et frontières/Raumliche Mobilitat und Grenzen,
Zurigo, 1998, p. 213-225 e IDEM, “Tumulti, agitazioni sociali e istituzioni comunitarie nel Cadore di fine
Settecento”, nella miscellanea // Piave, Sommacampagna (Vr), 2000, p. 228-244.
!8 DIMITRIJEVIC, op. cit., p. 234
16 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, vol XXXI, 2001, p. 435
frammentari e sporadici dati in alcune serie nei materiali dell’ Archivio di Stato
di Venezia: relazioni e dispacci'?, dei rettori veneti, Provveditori sopra la
Sanità?® e nel fondo Cinque Savj alla Mercanzia *'. Il maggior numero di dati
si trova proprio nei documenti di quest’ ultimo magistrato, che era un organo
amministrativo del Senato. I Cinque Savj alla Mercanzia esercitarono già, a
partire dal 1506, l intero controllo del commercio marittimo e terrestre sul
territorio della Repubblica di San Marco. Dal 1682 entrarono a far parte della
sfera delle competenze dei Cinque Savj anche le inchieste penali sul contrab-
bando di merci varie, e venne loro conferito nel 1723 anche il controllo del
commercio illecito del tabacco. Da allora uno dei Savj ebbe il titolo di Inquisi-
tore, con il compito di condurre le inchieste sulle trasgressioni compiute??, Nel
1778 i Cinque Savj e il loro Inquistore si occuparono delle inchieste sulle
trasgressioni compiute a danno delle prescrizioni sul tabacco nella parte veneta
dell’ Istria. In questo contributo si presentano i dati raccolti nei citati fondi dell’
Archivio di Stato di Venezia.
Sebbene fino ad oggi non sia stato possibile datare con maggior precisione
la comparsa del tabacco in Istria, e pertanto neanche nella parte sotto la
dominazione di Venezia, si può presupporre con certezza che esso cominciò
anche qui a diffondersi nella prima metà del XVII secolo. Tuttavia soltanto
molto più tardi, negli anni Venti del XVIII secolo e oltre, il tabacco viene
menzionato nelle fonti archivistiche come articolo che rientrava nel commer-
cio di contrabbando. Da questi documenti si può evincere che il tabacco già da
prima rappresentava un’importante posizione nelle entrate dello stato nella
Provincia dell’ Istria. Soltanto dopo diversificati tentativi, che ne permisero la
coltivazione e la vendita al di fuori dal contesto del controllo del potere locale,
rispettivamente in opposizione alle allora vigenti disposizioni, della questione
cominciarono adoccuparsi maggiormente i rappresentanti delle autorità e della
vita economica.
! Archivio di Stato di Venezia (in seguito: ASV), Dispacci Rettori d’ Istria (in seguito: DRI). Vedi
anche le “Relazioni dei podestà e capitani di Capodistria” pubblicate nella prima serie degli Atti e Memorie
della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria (= AMS/).
20 “Raccolta di atti pubblici riguardanti la Provincia dell’ Istria e le isole del Quarnero, fatta da S.E. il
signor Pietro Girolamo Capello Provveditore sopra la Sanità in detta Provincia e isolenegli anni 1731-1732-
1738”, AMSI, vol. XVI, fasc. 3-4 (1900).
2! ASV: Cinque Savj alla Mercanzia (in seguito: CSM). Serie: Diversorum.
22 Andrea Da MOSTO, L'Archivio di Stato di Venezia. Indice generale, storico, descrittivo ed
analitico, tomo I, Venezia, 1937, p. 196. Anche M. BORGHERINI SCARABELLIN, “li Magistrato dei
Cinque Savi alla Mercanzia”, Miscellanea di Storia veneto-tridentina, Venezia, vol. 111 (1926).
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 9-35 17
Nel suo dispaccio al governo veneto, agli inizi del dicembre del 1721, il
Podestà e Capitanio di Capod'’ Istria scrive che i contrabbandieri di tabacco
seguivano le stesse rotte marittime lungo le quali si erano mossi i contrabban-
dieri del sale: vendevano il pesce nelle località dell’Istria occidentale, ma
tentavano anche di farlo pervenire a Trieste, aggirando le guardie della polizia
marittima veneta attorno a Punta Grossa, non lontano da Muggia, all’entrata
del Golfo di Trieste?}. Si è conservato il dato in riferimento al fatto che una
“feluca armata che guarda l’Acque di Muggia”, che colà sì trovava in agguato,
avesse intercettato una brazzera di contrabbandieri con dieci sacchi di tabacco
in foglia. L'equipaggio era fuggito davanti alla polizia marittima veneta,
abbandonando la nave e la merce di contrabbando e si era nascosto in parte
sulla terraferma, e in parte aveva cercato la salvezza su una scialuppa che,
stando alle dichiarazioni dei testimoni, spinta da due vogatori, si era mossa alla
volta di Pirano.
Il contrabbando di tabacco già allora aveva preso notevole piede. Del fatto
in questione non si fa diretta menzione nelle fonti, ma lo si può dedurre per via
mediata. Fino a noi sono giunti soltanto quei casi che per qualche aspetto erano
fuori del normale e che, come tali, richiedevano un’attenzione particolare e un
carteggio con gli organi del potere centrale. Infatti la scoperta delle su accen-
nate brazzere dei contrabbandieri non avrebbe avuto una maggiore risonanza,
né il rettore veneto avrebbe inviato un dispaccio particolare a Venezia, se il
giorno dopo non si fossero presentati “due Turchi da Scutari” e se non avessero
dichiarato al podestà che il tabacco era di loro proprietà, esigendo che fossero
immediatamente loro restituiti i due sacchi confiscati. Il tabacco, stando alle
loro parole, era destinato alla vendita nelle località friulane sotto il potere
dell’ Arciduca austriaco, e non al territorio veneto, e pertanto l’intervento della
polizia marittima era stato in realtà illegittimo. I commercianti turchi esibirono
il documento della polizza di carico, e dopo che la merce fu loro restituita si
misero in mare alla volta di Trieste “sopra Legni Dulcingoti”**. Tuttavia,
questo caso atipico dimostra in qual modo si effettuava il contrabbando del
tabacco e con quale attenzione le autorità locali di Capodistria e Muggia
avevano cominciato a seguire il movimento delle navi contrabbandiere, sebbe-
23 Sulle vic lungo le quali si contrabbandava il sale e sulla maniera come lo facevano gli esperti marinai
e marittimi del luogo, vedi il saggio di Miroslav BERTOSA, “Leta od morije, leta od karestije” /Anni
di morie e di carestie/, in Uskocki rat i slom istarskoga gospodarstva /La guerra uscocca e la rovina
dell'economia istriana/, nell’ opera /starsko vrijeme proslo III passato dell’ Istria/, Pola, 1978, p. 143 e passim.
24 ASV. DRI, filza 98. Capod'Istria, 6.X.bre 1721.
18 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. 9-35
ne il controllo del traffico, dopo la pubblicazione della patente sulla libera
navigazione nell’ Adriatico, sempre più sfuggiva dalle mani della indebolita
Serenissima. In quello che un tempo era il Golfo Veneziano ora la voce grossa
la facevano quei paesi stranieri nemici di Venezia.
Dagli inizi del terzo decennio del XVIII secolo, il commercio con la costa
orientale dell’ Adriatico e con il Levante ricevette nuovo impulso: sul mercato
triestino confluivano varie merci tra le quali un posto significativo spettava al
tabacco. Gradatamente i commercianti triestini avrebbero tentato di dirottare il
tabacco dei loro depositi verso i compratori istriani, favoriti in questa campa-
gna dagli impiegati veneziani. Su questo problema fa fede un dispaccio che il
Provveditore della Sanità, Girolamo Capello, inviò a Venezia da Pirano, nel
dicembre del 1732, in cui lui con stupore relazionava che, per conto del
subapaltadore, erano stati importati a Capodistria da Trieste trenta coli di
Tabacco, proveniente da Cattaro. I Provveditori precedenti, fa notare il Capel-
lo, avevano proibito l’importazione del tabacco e punivano i trasgressori”.
Agli inizi degli Anni Trenta il commercio del tabacco era diventato sempre più
redditizio, e per tale metivo anche gli impiegati veneti (addirittura anche il
subappaltatore della Provincia dell’ Istria a Capodistria!) trasgredivano le
disposizioni relative all’ importazione e al commercio del tabacco. Tuttavia in
questo caso si intromise il magistrato dei Cinque Savj e 1'8 maggio abrogò la
decisione sull’importazione del tabacco proveniente da Cattaro via Trieste, ma
stando a quanto scrisse il Capello si dovettero addurre “ragioni assai efficaci
onde assolverlo dal contrabando ”. Giudicando dall’espressa affermazione del
Provveditore della Sanità, questo era stato il primo caso di importazione del
tabacco da un paese straniero, fino allora i subapaltadori potevano comperare
il tabacco unicamente all’interno del territorio dello stato veneto??.
Il governo veneto, nel tentativo di infrangere le transazioni con il tabacco
triestino nel suo possedimento istriano, non sarebbe stato coerente: sebbene nel
mese di maggio del 1732 fossero state rimandate a Trieste delle balle di
tabacco, alcuni mesi dopo i Partitanti generali riuscirono ad ottenere una
speciale autorizzazione scritta (cedola) che permetteva loro di rifornirsi di
foglie e polvere di tabacco sul mercato triestino. E’ sintomatico il fatto che la
stessa deroga veniva contemporaneamente concessa anche al rappresentante
25 “Raccolta di atti pubblici”, cit., p. 320-321.
26 IBIDEM, p. 321. ("Prima di quel momento però non fu mai lecito, né a questo, né agl’altri
subapaltadori provedersi di Tabacco, che nella sola Dominante”)
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 935 19
veneto con sede a Udine: si autorizzava anche lui di acquistare tabacco a
Trieste per le esigenze della Patria del Friuli. In tal modo il commercio del
tabacco passò nelle mani private di singoli appaltatori, pertanto le casse dello
stato a Capodistria dall’ importazione di questo articolo talmente richiesto.
realizzavano entrate costantemente in calo. L’Istria non fu unicamente un
territorio di transito per le merci straniere, ma, a detrimento della sua stessa
economia, si trasformò sempre più in un paese importatore di merci provenienti
da Trieste e dalle altre località austriache. Nel settembre del 1732, P. G.
Capello, scrisse una nuova relazione al Governo di Venezia, allegandovi
numerose tabelle sulla provenienza e sulla qualità delle merci che erano giunte
alla fiera di Trieste nel 1732?”. Nella distinta della merce destinata al mercato
istriano, fattavi pervenire dalle terre arciducali e imperiali, indi dalla Puglia, da
Goro e Ancona, figurava anche il tabacco. Dal listino prezzi risultava che il
prezzo del tabacco era identico in tutti i territori menzionati e che per “tabacchi
al cento” si pagavano 40 lire (l’altra merce era notevolmente meno cara nella
Puglia, a Goro e ad Ancona, che non nell’Istria)?. L’approvvigionamento del
mercato istriano avveniva attraverso Segna?”, mentre nella veneta Fianona
esisteva lo scalo per il tabacco che dalle terre austriache veniva trasferito alla
Contea di Pisino e nelle piccole signorie e baronie sotto il potere arciducale®°.
L’allentamento del controllo sull’importazione e sulla vendita del tabacco
in Istria, portò, come si ebbe occasione di rilevare in precedenza, al rafforza-
mento dell’ iniziativa privata degli appaltatori e subappaltatori, ma in queste
condizioni anche questi ultimi ben presto dovettero affrontare pericolosi con-
correnti negli astuti marittimi che introducevano furtivamente in Istria il
tabacco tra le merci dichiarate. Già nel luglio del 1741, il Podestà e Capitanio
di Capodistria, Paolo Condulmier, al rientro dall’Istria, attirò l’attenzione del
governo veneto sul fatto che lungo le coste dell’Istria si svolgeva il contrabban-
27 IBIDEM, p. 328.
28 IBIDEM. Cfr, la tabella “B”: “Merci e prodotti che derivano in Trieste dalli Stati Austriaci,
dall'Imperio, dalla Puglia, Goro e Ancona, con li prezzi che si vendono nella Provintia, et Isole, da Puglia,
Goro et Ancona senza far scalo a Trieste”.
29 IBIDEM. Tabella: “Merci e prodotti che si conducono da Luochi Austriaci infrascritti, e sbarcano
nel Porto di Fianona per uso del Contado di Pisino, Signorie d’ Ausperch, e Baronie Rampel e Brigido”.
30 IBIDEM: “Altri prodotti, che da’ luochi Austriaci infrascritti si conducono, et esitano nell’Istria,
imbarcandosene poi molti degli stessi per la Dominante. In fondo alla lista si trova l'elenco dei prodotti (olio,
vino, pietra lavorata e grezza, calcare, legname, olive verdi, pesce fresco e sardine salate) che si esportavano
dall'Istria nelle terre austriache, nella Puglia, a Goro e ad Ancona”.
2 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 935
do di tabacco, in particolare nei porti di Orsera e Daila}!. Contemporaneamente
si rafforzò, oltre alle importazioni permesse dalla legge, anche il contrabbando
del tabacco proveniente da Trieste, come testimonia il rapporto presentato al
Gran Consiglio, dopo il rientro di uno dei successivi Podestà e Capitanio di
Capod' Istria, Zuanne Gabriele Badoer, il 1 agosto 1748”.
Contrabbandieri e rivenditori. Le disgrazie di un appaltatore
Il maggior numero di documenti inviati dai Cinque Savj alla mercanzia
ebbe luogo in Istria negli anni 1778-79*, come eco della relazione concernente
il commercio del tabacco, dovuta alla penna del subappaltatore Carlo Bernar-
delli. Il Bernardelli nel 1776 divenne subappaltatore delle imposte derivanti
dalla vendita del tabacco, dopo aver versato nelle casse dello stato un importo
forfetario, ottenendo in tal modo il diritto di riscuotere la sunnominata imposta.
nella Provincia Istria. Nel suo Memoriale* inviato da Capodistria a Venezia,
1°8 agosto 1778, egli attirava l’attenzione delle autorità centrali sui procedi-
menti illegali dei fornitori, dei venditori e degli incettatori del tabacco, contrari
alle prescrizioni sull’ appalto (Partito de’ Tabacchi). Il subappaltatore Ber-
nardelli fa risaltare nella sua lettera che esiste il pericolo del totale prosciuga-
mento delle entrate derivanti dal commercio del tabacco in Istria ed esprime la
sua preoccupazione per il denaro investito in questo affare; tanto più ritiene che
senza l'intervento degli organi statali non potrà sostenere l’incarico di subap-
paltatore delle imposte. Descrive come egli stesso si sia accollato l’inchiesta e
come abbia scoperto i canali del contrabbando nella Provincia Istria, che ‘è
3I “Relazioni”, cit., AMSI, vol. X (1895), p. 59. Cfr. “Relazione del N. H. Paulo Condulmier ritornato
di Podestà e Capitanio di Capodistria 1741, 26 Luglio”.
32 “Relazione del N. H. Zuan Gabriele Badoer ritornato di Podestà e Capitanio di Capodistria 1748, |
Agosto”, in “Relazioni”, cit, p. 73. Cfr. anche il lucido articolo di Luigi MORTEANI, “Condizioni
economiche di Trieste e Istria nel secolo XVIII studiate dalle relazioni de’ Podestà Capitani di Capodistria”,
pubblicato nel Programma del Ginnasio communale Superiore di Trieste. Anno scolastico 1887-88, Trieste,
1888, p. 74. Il Morteani ha soltanto fatto uso del materiale pubblicato negli AMSI.
8 ASV. DRI. Diversorum, busta 390 e 391.
34 IBIDEM, busta 390. n.6. Capodistria lì 8 Agosto 1778.
35 La parola partito si usava nell’antica terminologia amministrativa per denotare un affitto, specie di
tributi pubblici. Partito ha, dunque lo stesso significato di appalto, compare nei materiali del XVI - XVIII
secolo. Cfr. Giulio REZASCO, Dizionario dellinguaggio italiano storico ed amministrativo, Firenze, 1881,
p. 768.
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 9-35 21
molto copiosa di Porti marittimi”, adatti a codeste imprese. Prima di tutto
aveva visitato Albona, dove, nonostante la scarsa densità della popolazione,
non ci sono quasi negozi nei quali non si venda il tabacco, per di più a bassi
prezzi. Il tipo migliore (soprafino) costa per oncia quattro soldi. Secondo il
Bernardelli la ragione principale di “tale scandalosa libertà di vendita” sta nel
fatto che il Comune di Albona fin dalla sua dedizione alla Repubblica di San
Marco era stato esentato da quasi ogni tributo*’, e la cosa, sebbene molto più
tardi, cominciò ad applicarsi anche al tabacco. Il subappaltatore delle imposte
tuttavia è del parere che questo privilegio non abbia senso e sia insostenibile,
perlomeno a quanto si riferisce all’articolo al quale lui è interessato, per il fatto
che era stata concessa al Comune di Albona quando il tabacco era — sconosciu-
to! Il Bernardelli, altresì. poneva l’accento sul fatto che venivano infrante le
disposizioni del decreto del 2 febbraio 1702, nonché di tutta un’ altra serie che
le seguirono, sulla proibizione della piantagione del tabacco in Istria. Egli si
meraviglia che le autorità non avessero proibito “L’ intollerabile consuetudi-
ne” di permettere l’attracco in ottobre, novembre e dicembre, di “certe tarta-
nelle Bocchesi” nel Porto di Rabaz, ai piedi di Albona dalle quali si scaricava-
no, in opposizione alle prescrizioni sanitarie, le foglie di tabacco. I coli del
tabacco da qui vengono trasferiti direttamente negli alloggi e nei negozi dei
commercianti, senza previamente effettuare la disinfezione della merce come
previsto dalla legge. Nella restante parte dell’ anno (da gennaio alla fine di
settembre) questi sudditi fanno le loro provviste di foglie e di polvere di
tabacco dalle navi provenienti da Fiume e da Segna, che “quasi giornalmente
si accostano alle Rive del Porto sudetto e quindi girano tutto il litorale di
questa Provincia.”
L’altra località visitata dal subappaltatore delle imposte fu Barbana, allora
feudo della Casa Loredan?”, dove costatò che anche qui il tabacco veniva
coltivato e venduto. Barbana e i suoi dintorni si approvvigionavano grazie alle
spedizioni di tabacco fatte pervenire attraverso il suo porto comunale (Porto di
Pesacco)**, distante circa tre miglia venete dal centro del feudo.
36 I privilegi di cui godeva il comune di Albona vengono menzionati anche nell’atto di dedizione alla
Repubblica Veneta, approvato dal Senato in data 3 giugno 1420, in cui sta scritto che tutti gli abitanti del
luogo e i forestieri potevano liberamente, senza dazio alcuno, importare e vendere merci in Albona (Che tutti
li Forensi, e Terrieri possino condur, Mercantie, vender et comprar francamente senza alcun Datio come fu
sempre, e la consuetudine d' Albona). Ctr. Carlo BUTTAZZONI, “Albona. Cenni storici”, Archeografo
Triestino, Trieste, n.s., vol. 1 (1869-70), p. XIII e 3.
37 Cfr. su questo aspetto: Gregorio DE TOTTO, op. cit., p. 66, 83. 94.
38 Sul porto di Pesacco vedi il saggio di Danilo KLEN, “Solane i rizitta na istoénoj obali Istre
2 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 935
Successivamente le località che il Bernardelli visitò — Sanvicenti, Visina-
da e Castellier — si trovavano nel feudo privato della famiglia Grimani?”.
Da qui passò a Piemonte e Castagna, che erano parte integrante del
possedimento feudale di Carlo Costantini del Zaffo‘°.
Ovunque il subappaltatore si imbatté nella vendita libera e a basso costo
del tabacco, che attirava i compratori non solo dai sunnominati feudi privati,
ma anche dai circostanti possedimenti statali. Tuttavia la maggior parte del
denaro proveniente dalla vendita del tabacco finiva nelle mani dei proprietari
delle brazzere che da Rovigno si portavano nel Porto di Bastia sul Quieto‘',
abituale punto d’incontro dei compratori e dei rivenditori di tabacco dei
territori vicini e lontani della parte veneta dell’ Istria. Gli appaltatori dell’im-
posta sul tabacco perdevano in tal maniera le loro entrate; il tabacco veniva
contrabbandato anche dalle regioni più lontane e veniva venduto illegalmente,
senza il permesso delle autorità e il pagamento delle tasse. Il Bernardelli
definisce questa infrazione delle leggi come uno “scandaloso abuso” e invita
il governo a protestare nei confronti delle autorità feudali, allo scopo di
impedire l’ introduzione illegale, la coltivazione e la vendita del tabacco. Se
fosse venuto a mancare l’ intervento delle autorità centrali lo stesso Bernardelli
avrebbe subito il crac finanziario: egli aveva appaltato i tributi per una somma
così alta che, nelle condizioni di una vendita irregolare del tabacco, non
sarebbe stato nella possibilità di riscuotere. La lamentazione si concludeva con
l’avvertimento che anche la sua innocente famiglia avrebbe vissuto il crollo
definitivo (“estremo eccidio della mia innocente Famiglia”). Dal testo che
segue si può arguire che il Bernardelli aveva contrattato un appalto annuale con
la cassa di Capodistria per un importo di 32.000 piccole libre, ma che avrebbe,
a causa del deprezzamento del denaro e della “colà sensibile inflazione” (“il
(XVIE-XVIII st.” /Saline e risaie della costa orientale dell’ Istria (XVII-XVIII secolo)/, Jadranski zbornik
IMiscellanea adriatica/, Fiume-Pola, tomo VI (1966), p. 237-252.
39 De TOTTO, op. cit., p. 65-66, 93. Qui però non viene menzionato il fatto che Castellier era feudo
della famiglia Grimani, come risulta dalla citazione del Bemardelli.
40 IBIDEM, p. 64,92
4! L'ampia foce e il letto del Quieto nel suo corso inferiore erano navigabili anche per navi di una certa
stazza che entravano dalla parte del mare e a Bastia imbarcavano tronchi di querce e remi finiti per l’arsenale
di Venezia. Cfr. Danilo KLEN, “Mletacka eksploatacija istarskih uma i obavezan prijevoz drva do luke kao
specifiéan drzavni porez u Istri od 15. do 18. stoljeéa” /Sfruttamento veneto dei boschi istriani e trasporto
obbligato fino al porto come speciale imposta statale in Istria dal XV al XVIII secolo/, Problemi Sjevernog
Jadrana /Problemi dell’ Adriatico settentrionale/, Fiume, tomo |, (1963), p. 199-280; Miroslav BERTOSA,
op. cit., p. 175.
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Affi, vol XXXI, 2001, p. 9-35 B
troppo sensibile discapito della valuta che qui corre”) dell’ 8% il suo indebi-
tamento finale avrebbe segnato le 34.560 libre, non calcolando le altre spese
collaterali. Mentre la vendita di tabacco si sarebbe trovata nelle mani dei privati
e al di fuori del controllo e dell’ evidenza, l’ appaltatore non avrebbe potuto
ricuperare la somma versata”. E
Un significativo luogo di incontro dei contrabbandieri di tabacco si trova-
va anche a Carigador, antico luogo di imbarco di legname non lontano da
Fontane, (“entro il feudo dei conti Borisi”)* nel quale confluivano Bocchesi e
Rovignesi con le loro imbarcazioni. I venditori e gli incettatori di tabacco non
aggirarono neanche Momiano, possedimento della nobile famiglia dei Rota“.
Tuttavia, stando alla testimonianza del Bernardelli, il maggior nido della
vendita illegale del tabacco si trovava a Rovigno. “La Terra di Rovigno pure
copiosissima di abitanti abbenché non vanti Privilegi nella sua dedizione”,
rilevava il Bernardelli, alludendo alle condizioni di Albona; non si trovava in
una giurisdizione privata, costatava più oltre il subappaltatore, puntando questa
volta la punta della sua spada sui feudi della parte veneta dell’ Istria, ma in essa
brulicavano la vita e il traffico navale, e non solo delle brazzere, dei patroni
rovignesi, ma anche dei bastimenti provenienti dall’ Albania e dal Levante,
trasportando nei loro carichi le foglie di tabacco. Non si trattava qui di un
commercio di contrabbando di piccola entità, ma di un traffico di tabacco —
“all’ingrosso”.1 Rovignesi prendono nelle loro mani il tabacco e senza alcuna
disinfezione lo trasportano e lo vendono per |’ Istria, il Friuli e nel Dogado
(Terraferma veneta). Con le loro brazzere segretamente riparano nelle cale nei
porticcioli nascosti della costa istriana e appenninica, infiltrandosi addirittura
anche in alcuni fiumi e fiumiciattoli (fiumare) per vendervi le foglie e la
polvere di tabacco a prezzi bassissimi. Come appaltatore e incettatore delle
imposte sulla vendita del tabacco, il Bernardelli fu particolarmente colpito dal
fatto che in questa parte dell’ Adriatico settentrionale non incrociava nemmeno
una nave della polizia marittima di stato per impedire il già ramificato com-
42 ASV. CSM. Diversorum, busta 390, n. 6, Capodistria lì 8 Agosto 1778.
43 De TOTTO, op. cit., p.66,84,91.
4 IBIDEM, p. 64, 86, 96: Miljan SAMSALOVIC, “Momjanski katastik” /Il catastico di Momiano/,
Vjesnik historijskog arhiva u Rijeci /= VHARI, Fiume, vol. V (1959), p. 121-254; Marino BUDICIN,
“Commissione o’ uero Capitoli del Castellan di Momian”, Arti del Centro di ricerche storiche di Rovigno
(=ACRSR), Trieste-Rovigno, vol. XII (1981-82), p. 83-98; Jakov JELINCIC, “Jedan opis Momjana i njegova
kastela” /Una descrizione di Momiano e del suo castello/, Vjesnik historijskih arhiva u Rijeci i Pazinu,
Fiume-Pisino, vol. XXV (1982), p. 45-57.
24 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vol XXXI, 2001, p. 935
mercio del tabacco. Di pari passo nella sua ampia relazione rileva che l’intro-
duzione illegale del tabacco minaccia anche lo stato sanitario nella Provincia,
poiché le foglie non sottoposte alla disinfezione possono nascondere in sé i
germi di malattie infettive”.
Il subappaltatore aveva assodato che la vendita del tabacco si effettuava
anche sui “bastimenti de' Schiavoni” che provenivano per lo più dalle “coste
dell’ Albania”*°, trasportando merci varie a Venezia e a Trieste. Lungo questa
rotta toccano la costa istriana e vi si trattengono per breve tempo in alcuni dei
suoi porti, soprattutto a Rovigno e a Parenzo. Il Bernardelli aveva spiegato
come si effettuava il contrabbando e i motivi per i quali esso sfuggiva ai
controlli. I coli del tabacco non figuravano nell’elenco delle merci, ma si
nascondevano nelle stive dell’imbarcazione. In questa maniera i patroni
evitavano di pagare le Polizze di carico alle autorità portuali, e la merce non
dichiarata arrivava sui mercati. Ripeteva la sua asserzione che per lo più erano
i marinai a praticare il contrabbando sulle “piccole Tartanelle de’ Bocchesi ed
Albanesi”, ma aggiunse che essi lo fanno per non perdere tempo, esponendosi
alle spese della perquisizione e della disinfezione nei lazzaretti. I patroni e i
marinai vendevano il tabacco agli incettatori che successivamente l'avrebbero
fatto pervenire in tutta l’ Istria veneta. Il Bernardelli consiglia di costruire
quanto prima un piccolo lazzaretto nelle vicinanze di Orsera o di Parenzo nel
quale si sarebbero raccolte e disinfettate le foglie del tabacco. Inoltre il
subappaltatore offriva al governo di Venezia di acquistare lui stesso tutto il
tabacco di tale lazzaretto per finirla — come dice lui — con il contrabbando ed
assolvere a tutte le cautelari misure sanitarie prescritte. Nonostante il fatto che
il Bernardelli avesse fatto osservare che l° ammasso del tabacco avrebbe
diminuito le sue entrate, in sostanza il subappaltatore da questo tipo di transa-
zione avrebbe ricavato il massimo profitto per il fatto che quasi tutte le quantità
disponibili di questo articolo che si vendeva a prezzi estremamente favorevoli,
venivano a trovarsi nelle sue mani e in tal modo, per un certo verso, si sarebbe
assicurato il monopolio e la facoltà di imporre i suoi prezzi.
AI fine di accelerare la realizzazione dei suoi intendimenti, il Bernardelli
avanzò la proposta di riparare e di adattare per il lazzaretto uno spazio nel porto
45 ASV. CSM. Diversorum, busta 390, n. 6. Capodistria lì 8 Agosto 1778.
46 IBIDEM. Poiché vengono menzionati i “Bastimenti de’ Schiavoni”, bisogna supporre che essi
giungevano dal litorale montenegrino, che spesso nelle fonti venete viene denominato Albania. In altri scritti
di questa documentazione erano chiamati Bocchesi, il che con maggiore precisione determina la loro
provenienza.
M. BERTOSA, “Frba santa” dall'uso all'abuso, Att, voL XXXI, 2001, p. 9-35 25
di Orsera dove attraccavano le navi dalmate e albanesi, o di rinnovare il Luogo
di Sanità a Parenzo.
Entrambe le istituzioni sanitarie sarebbero, secondo il Bernardelli, rientra-
te nella locale sfera di competenza del podestà di Parenzo, mentre su di esse
l’autorità suprema sarebbe stata esercitata dal Magistrato alla Sanità. Per
quello che si riferiva ai rivenditori di tabacco, — per lo più questi erano -, come
si ebbe già a dire -, i marittimi rovignesi che con le loro piccole imbarcazioni
penetravano in tutte le località costiere e nel fiume Quieto — la loro attività si
poteva imbrigliare unicamente con il controllo su tutta la costa istriana, ricor-
rendo al Felucone armato di Milizia, che avrebbe incrociato lungo le coste dell’
Istria dall’ autunno alla primavera (più precisamente dal | ottobre fino al 31
marzo). Il Bernardelli avrebbe mantenuto per sé il diritto di dare istruzioni ai
comandanti degli equipaggi militari. L'intero suo progetto era intonato al
modello del sistema delle misure adottate contro i contrabbandieri del sale. Il
Bernardelli, nella sua qualità di subappaltatore del tributo sul tabacco, per sé
esigeva in effetti il sanzionamento delle competenze e lo status giuridico che
aveva il subappaltatore del tributo sul sale venduto, il cui centro era, anche in
questo caso, a Capodistria (Partitante de' Sali in Capod’Istria)!.
Procedimenti proibitivi
Il subappaltatore Bernardelli aveva aggiunto al suo carteggio alcuni alle-
gati che completavano la sua relazione e corroboravano con esempi la vendita
di contrabbando del tabacco e i tentativi compiuti per la sua coltivazione sul
suolo dell’ Istria.
Il primo documento allegato, dal titolo “Proposta del Partitante dell’
Istria per le Giurisdizioni”* riporta in forma concisa le proposte che il
subappaltatore aveva inoltrato ai signori dei feudi privati, nei quali il tabacco
sì vendeva o piantava illegalmente. Il Partitante chiede ai nobili e ai signori -
titolari dei diritti feudali — di obbligare i loro sudditi di acquistare il tabacco
esclusivamente dal subappaltatore di Capodistria al prezzo che da lui sarebbe
47 ASV. CSM. Diversorum, busta 390, n. 6. Capodistria lì 8 Agosto 1778.
48 Questo allegato è scritto senza riportare la località e la data da cui è stato spedito, ma dal contesto
si può arguire che è stato redatto a Capodistria quando il Bernardelli, assieme ai rappresentanti dei Cinque
savi per gli affari commerciali aveva tentato di risolvere il “caos del tabacco” in Istria.
26 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, voL XXXI, 2001, p. 935
stato stabilito. Questo insistente volere del subappaltatore di unificare il prezzo
del tabacco su tutto il territorio della parte veneta della Provincia dell’ Istria è
facilmente spiegabile: se i prezzi nelle signorie private fossero stati inferiori, i
compratori si sarebbero orientati verso i loro mercati e pertanto nella parte
“statale” la vendita sarebbe diminuita, e conseguentemente anche i profitti del
subappaltatore. Sarebbe infatti venuta a mancare la possibilità di incamerare le
imposte che in antecedenza il subappaltatore aveva versato all’ erario statale.
Dai proprietari feudali si richiedeva inoltre l’ espressa proibizione: “Che
sia vietato espressamente, sempre però dalli sudetti Nobili Huomini Padroni
di pistare, macinare, e molto più di piantare la minima qualità e quantità delle
Foglie, nemeno sotto pretesto di uso proprio delli Sudditi sudetti”.
Da parte sua il subappaltatore si impegnava a procurare il tabacco ai
venditori sul territorio delle accennate signorie, foglie e polvere della stessa
qualità come i rivenditori precedenti avevano fatto fino allora; inoltre i prezzi
sarebbero stati inferiori del dieci per cento di quelli praticati fino allora. I
proprietari delle signorie, domiciliati per lo più a Venezia, risposero all’invito
del subappaltatore ed emisero i proclami sulla proibizione della vendita e della
piantagione del tabacco. Alvise Contarini pubblicò un proclama a Piemonte e
a Castagna; fece letteralmente propri i suggerimenti del subappaltatore e li
trasformò in legge‘. La stessa cosa fu fatta anche dal nobile Girolamo Grimani
quando, verso la metà del dicembre 1778, a Venezia, emanò le proprie dispo-
sizioni per la sua giurisdizione feudale e le fece pubblicare a Sanvicenti e a
Visinada?°. Anche la Nobil Donna Cattarina Loredan Kavagliera Mocenigo,
signora di Barbana e di Castelnuovo, pure essa nel suo palazzo di Venezia,
ordinò la compilazione della terminazione sul commercio del tabacco e sulle
proibizioni ad esso relative”. Il capitano di Barbana era in dovere di rendere
note le disposizioni del proclama a Barbana, a Castelnuovo, al Porto di Pesacco
e nei singoli villaggi minori della giurisdizione. Sebbene Caterina Loredan -
Mocenigo avesse descritto molto ampiamente le sue misure proibitive, in
sostanza anch’ essa ripeteva le proposte del subappaltatore. Tuttavia aveva
suffragato la sua terminazione con le pene alle quali sarebbero stati sottoposti
i trasgressori delle prescrizioni e i contrabbandieri di tabacco; per i marittimi
era previsto il sequestro della nave. Anche qui doveva circolare unicamente il
tabacco acquistato dal subappaltatore statale di Capodistria. Nella parte con-
49 ASV. CSM. Diversorum, busta 390. n. 6 (s.d.).
50 IBIDEM. Data in Venezia 15 Xbre 1778.
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. #35 21
clusiva della terminazione si rileva: “Sarà dunque in libertà di chiunque de
Sudditi di far proviste di Tabaccho, così in polvere, come in Foglia per esitarlo
poi all’ ingrosso, e a minuto, ed anche per proprio uso. Le proviste poi, ossian
le compere si faranno unicamente al pubblico Partito de’ Capod'’Istria, da coi
saranno acquistati i Tabacchi al più equo, e discretto prezzo, e col dibatimento
d’ un dieciotto per cento sopra ciascheduna qualità di Tabacco, la di cui
vendita così al minuto, come all’ ingrosso, non dovrà punto eccedere i mede-
simi prezzi che verranno fissati dal Partitante di Capod’Istria, in pena a chi
abasase (!), oltre il risarcimento verro di chi venisse deffraudato di Ducati 10,
da esser applicata alla Cassa Condanne”””.
Il potere privato, dunque, per primo ritirò le mosse repressive nei confronti
dei contrabbandieri e dei coltivatori di tabacco nel possedimento veneto istria-
no. Il potere pubblico ancora per qualche tempo era indeciso se lasciare ai
subappaltatori — che nei documenti figuravano sotto vari nomi insufficiente-
mente chiari da un punto di vista giuridico (apaltador, partitante, impressa-
rio) di organizzare da soli (e finanziare!) le misure per la regolamentazione
della situazione sul mercato del tabacco in Istria. Verso la fine del gennaio
1779 uno degli appaltatori, di nome Girolamo Manfrin, che portava il titolo di
Impressario generale de’ Tabacchi®* inviò una protesta ai “Cinque Savj alla
Mercanzia, ossia Inquisitor ai Tabacchi”, per “dei sommi disordini / ... / dagli
arbitrarj impianti / ... / dalle clandestine introduzioni” il che non gli impedì
di pagare il debito e di ottenere il decreto di rescissione del contratto.
5l IBIDEM. Data dal Nostro Palazzo di Venezia lì 22 Xbre 1778.
5? IBIDEM. La terminazione di Caterina Loredan Mocenigo venne pubblicata nell’ambito dell’ampio
materiale a cura di Danilo KLEN, “Dopune objavljenim kodeksima Loredanskih terminacija za Barban i
Rakalj. Neka razmatranja u vezi s njima — kao uvod” /Aggiunte ai codici delle terminazioni dei Loredan
pubblicate per Barbana e Castelnuovo. Alcune considerazioni a loro riguardo — a mo’ di introduzione/, VHAR,
tomo VI-VII (1961-62), p. 419-420.
53 Stando al BOERIO (op. cit.) e al REZASCO (op. cit.) — ad vocem - deriva che tutte queste
denominazioni erano sinonimi e che stavano a significare l’appaltatore del tributo il cittadino o il nobile che
nel corso di unalicitazione pubblica avevano pagato la cifra più alta per l'appalto (in questo caso il tabacco).
Tuttavia poiché nei documenti della seconda metà del XVIII si differenziano chiaramente queste tre
denominazioni, ritengo che esistesse una certa distinzione e gradazione nella loro posizione giuridica.
54 ASV. CSM. Diversorum, busta 391, n. 163. Come si ebbe già modo di dire questa denominazione
nel BOERIO (op. cit., p.331) è stata interpretata come sinonimo con quella di apaltador; rispettivamente di
Fermiere del tabacco (0 dei dazii), vale a dire di appaltatore che mediante la licitazione aveva ottenuto il
diritto di rastrellare il tributo proveniente dalla vendita del tabacco, ma dopo averne pagato il canone d’
appalto.
55 ASV.CSM. Diversorum, busta 390, n. 6 Allegato.
28 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vol XXXI, 2001, p. 9:35
Il giudice delegato, infatti, non volle ‘“concluder l’ appalto” finché l’ appal-
tatore non avesse regolato i suoi conti e fatto fronte ai suoi indebitamenti.
Il Manfrin ancora una volta attira l’attenzione sulla severità delle leggi sul
sale e la completa liberalizzazione del commercio del tabacco che sfugge al
controllo dello stato e danneggia le entrate pubbliche. Poiché i proprietari delle
giurisdizioni feudali avevano emanato le prescrizioni contro gli affari irrego-
lari con il tabacco, il Manfrin, nella lettera all’ “Inquisitor”, pone l'accento sul
fatto che era estremamente necessario che ciò venisse fatto dal potere centrale
e che quanto prima emanasse “pubbliche Statutarie Leggi all'interesse del
Principato”.
L’amministrazione veneta anche in questo caso si dimostrò molto lenta:
nemmeno dopo un mese non aveva intrapreso alcunché. Il Manfrin, agli inizi
del febbraio 1779, riprese la sua richiesta, dopo essersi ritenuto d'accordo con
le proposte avanzate dal Bernardelli5?. Soltanto allora si incontrarono i Cinque
Savj (Girolamo Gradenigo, Vicenzo Barziza, Gabriel Manolesso, Zan Alvise
Mocenigo, e il quinto Savio alla Mercanzia la cui tremolante firma riesce
illeggibile) e inviarono una lettera al Senato con la nota che per l’importanza
del commercio del tabacco e della tutela degli interessi dello Stato era neces-
sario intraprendere delle misure legali contro la piantagione e la vendita
incontrollata di questo articolo in Istria. Si attira l’attenzione sul fatto che Carlo
Bernardelli aveva investito nell’affare del subaffitto “grandiosa Summa di
Ducati 378.875” e che il fisco provinciale di Capodistria ne avrebbe avuto un
profitto di 84.785 lire, superiore a quello dell’anno precedente. Per queste
ragioni era necessario, ritengono i Savj, di applicare anche sul commercio del
tabacco “pubbliche robuste Leggi saliche”, e che le autorità statali seguano
l’esempio dei signori delle giurisdizioni feudali che avevano già emesso cotali
terminazioni”.
Nelle note originali, ma anche in questo contributo, si può seguire l’iter
delle proposte che nel suo interesse aveva formulato il subappaltatore Bernar-
delli, proposte che, con tutta probabilità, sembra fossero state approvate dal
Senato. Sostenuta dal generale impressario Manfrin e in particolare dal com-
56 IBIDEM.
57 ASV. CSM. Diversorum, busta 391, n. 163.
58 IBIDEM. I Cinque Savj rilevano essi pure che per regolare il commercio del tabacco nella parte
“statale” della veneta Provincia dell’ Istria, occorrerebbe introdurre proprio quelle misure proposte dal
“Subappaltadore della Provincia dell'Istria” Bernardelli, e riprese dall’ “/mpressario Generale di Tabacchi
Manfrin”.
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, vol XXXI, 2001, p. 9-35 29
petente e autorevole magistrato dei Cinque Savj, l’ iniziativa dell’appaltatore
provinciale dei tributi riuscì a raggiungere livelli giuridici per quanto atteneva
alla parte veneta dell’ Istria. Sebbene manchi la documentazione completa,
alcuni indizi inducono a concludere che le autorità avessero effettivamente
messo in vita le misure proposte dai Cinque Savj e dal loro Inquisitor, e che il
contrabbando del tabacco fosse stato imbrigliato e che la sua vendita fosse stata
messa sotto il controllo dell’ appaltatore di Capodistria.
La repressione fiscale e la “socializzazione negativa” (a mo‘ di conclu-
sione)
Con quasi assoluta certezza è da supporre che il tabacco sia stato introdotto
nella veneta Provincia dell’Istria, nella seconda metà del X VII secolo e che qui
sia riuscito a conquistarsi il mercato e ad assicurarsi una buona vendita,
sottraendosi contemporaneamente al controllo delle autorità centrali e locali.
Come centri principali dello sbarco del tabacco di contrabbando in Istria,
vengono menzionate Rovigno, Orsera, Fianona, Porto Albona e come località
di smistamento (e coltivazione), le signorie feudali di Barbana, Castelnuovo,
Sanvicenti, Visinada, Castellier, Piemonte, Castagna, Momiano e Fontane. Da
questi territori veniva rifornita tutta la Provincia dell’Istria, e non è escluso che
il tabacco oltrepassasse il confine veneto-austriaco, quantunque questo fatto
non venga menzionato nelle fonti.
Sin dall’inizio del XVIII, le autorità centrali e locali tentarono di imbri-
gliare e controllare l'importazione del tabacco dall’ Albania, da Cattaro e dalla
Dalmazia, di primo acchito irrilevante, ma che, da un punto di vista finanziario,
risultava essere un commercio di contrabbando molto redditizio e saltuario, che
metteva a repentaglio le entrate degli appaltatori dei tributi. Le prime prescri-
zioni sulla proibizione della vendita e della piantagione del tabacco sul suolo
della parte veneta dell’ Istria, vennero emanate, da quanto si può evincere dalle
fonti archivistiche fino ad ora trovate, il 2 febbraio 1702, ma nemmeno questo
decreto, né quelli seguenti, riuscirono a mettere un freno al contrabbando, anzi,
esso riuscì a raggiungere proporzioni sempre maggiori, tanto più che, sotto
sotto, il tabacco che veniva introdotto sfuggiva a tutte le tassazioni di trasporto,
al pagamento della disinfezione nei lazzaretti e via dicendo. Proprio per questo
motivo, per lungo tempo, si poterono mantenere prezzi molto bassi. I contrab-
bandieri e i rivenditori di tabacco realizzavano grandi profitti, mentre gli
30 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. 9-35
appaltatori dei tributi del tabacco a Capodistria rimanevano senza entrate e
inviavano proteste e lamentazioni alle autorità centrali e al loro organo: Cinque
Savj alla Mercanzia.
Quando verso la fine degli Anni Settanta del XVIII secolo, si dette l’avvio
a un nuovo tentativo di sistemare i problemi giuridico-fiscali inerenti all’im-
portazione, al contrabbando e alla vendita del tabacco, la popolazione istriana
aveva già completamente accettato il piacere offerto da questa pianta oppiacea.
Proprio ad allora risalgono le notizie sulla diffusione dell’ uso del tabacco nella
parte meridionale dell' Istria. Nel corso di un processo contro un gruppo di
malfattori che aveva attaccato i contadini di Castelnuovo, di Carnizza, di
Momorano, di Marzana e dintorni, molti testimoni affermarono che nel corso
dell’aggressione dovettero consegnare ai membri della banda il tabacco che
avevano con sé. Così, per fare un esempio, Grgo Kostesié, “giudice di Momo-
rano, domiciliato a Cavrano”, descrisse il suo incontro con i malfattori all’en-
trata del villaggio. Nel verbale è rimasta la dichiarazione del Kostesic, il quale
aveva sostenuto che i malviventi avevano richiesto da lui “una presa di
Tabacco”, ma che si era scusato, dicendo che lo aveva proprio finito e, a
dimostrazione di quanto asseriva, aveva tolto di tasca la scatola vuota nella
quale riponeva il tabacco”. Due giorni dopo venne sottoposto a interrogatorio
il dottore Filip Lazarié di Medolino, cappellano a Marzana”, il quale dichiarò,
egli pure, che verso la fine del mese di maggio 1776, dei malfattori lo avevano
fermato nel bosco di Marzana e, tra l’altro, gli avevano intimato di dar loro del
tabacco. Citò le parole “in lingua Illirica”, pronunciate dal capobanda: “Pope,
daimi Tabacca” (Prete, dammi del tabacco) e le altre che in seguito aggiunse
un membro della banda: “Spraznimi Tabacca“ (Tira fuori il tabacco che hai).
Il prete, come il sunnominato Kostesié, teneva il tabacco in una scatola, mentre
i malfattori avevano una “Tabacchiera di corno”.
Fumare, masticare, inspirare con il naso il tabacco erano diventati un
fenomeno giornaliero tipico risvolto della “socializzazione negativa” che ave-
va preso piede in ogni angolo dell’ Europa e del mondo, in cui l’Istria, anche
se lo avesse voluto, non avrebbe potuto evitarlo. La polvere e la foglia del
tabacco già allora avevano diffusamente eccitato le mucose della bocca e del
naso della maggior parte degli Istriani adulti, e il fumo riempiva di sé gli
59 ASV. Consiglio dei X: Processi criminali. Pola, busta I. Adì 15 Giugno 1777. Costituto di Gregorio
Costessich attual Giudice di Momorano abitante a Cavran.
60 IBIDEM. Adì, 17 Giugno 1777. Costituto del Reverendo Dottor Filippo Lazzarich da Medolin
attual Capellano di Marzana.
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ari, vol XXXI, 2001, p. 9-35 31
ambienti delle numerose betule (osteria, bettola) e delle case private. Si fumava
dappertutto, il tabacco era diventato un veicolo che avvicinava la gente,
sparirono le proibizioni e, addirittura anche la Chiesa, attenua la sua presa di
posizione, un tempo intransigente, nei confronti del tabacco (nel XVIII secolo
alcuni sacerdoti istriani godevano dei piaceri del fumo che non consideravano
affatto “un peccato”); i contadini e i cittadini si portavano dietro le “scatole” e
le “tabacchiere di corno”, colme di tabacco.
Lo scontro attinente ai tributi fiscali, al controllo del commercio e delle
vie istriane del tabacco, non ebbe quasi riflesso alcuno sulla vendita del tabacco
in città e nelle campagne. L’oppiacea fragranza del fumo del tabacco aveva già
conquistato la gente dell’ Istria, entrando a far parte del suo quotidiano. Per
contro l’energica richiesta dei Cinque Savj di accedere alla “immediata estir-
pazione de’ disordini”! negli affari commerciali relativi al tabacco, ebbe,
finalmente, una risonanza nel Senato. Venivano così esaudite le annose, lamen-
tevoli proteste degli appaltatori dei tributi capodistriani sul tabacco, ai quali la
vendita privata del tabacco importato e la sua coltivazione in Istria, avevano
tolto ogni possibilità di guadagno. Dietro a tutti questi tentativi stava in realtà
il desiderio del potere statale di spianare la strada per l’imposizione del
monopolio sulla vendita del tabacco. Anche sul suolo istriano dovette una
buona volta capitare quello che era ormai un processo paneuropeo. All’impor-
tazione segreta del tabacco venne inferto un durissimo colpo. Logicamente il
contrabbando continuò anche in seguito, ma le sue proporzioni subirono una
netta decurtazione. A differenza delle altre attività economiche che verso la
fine del dominio della Repubblica di San Marco, navigavano in grosse difficol-
tà, le autorità riuscirono a mantenere nelle proprie mani il traffico del tabacco.
Lo confermano anche i dati raccolti e sistemati, nove anni dopo la caduta di
Venezia, dal consigliere di stato di Napoleone G. C. Bargnani, al quale era stato
affidato il compito di condurre ricerche onnilaterali sulle condizioni nell’ ex
parte veneta dell’ Istria e di proporre delle misure per la ripresa economica”.
Nel suo ampio rapporto si trovano anche i dati sul tabacco in Istria. Dallo
specchietto che offrono le tabelle sulla vendita del tabacco si può calcolare che
6! ASV. CSM. Diversorum, busta 391, n. 183. Datum dal Magistrato de’ V. Savj alla Mercanzia lì 4
Febraro 1778. More Veneto (vale a dire 1779).
62 Elio APIH, “Il rapporto sull’Istria del consigliere di Stato Giulio Cesare Bargnani (1806)”, ACRSR,
vol. XII (1981-82), p. 203-335 (il testo originale del rapporto è custodito nell’ Archivio di Stato di Milano,
Fondo studi, parte moderna, cartella 1158).
63 IBIDEM. Cfr. il testo a p. 254 e le tabelle a p. 305 e 306.
32 M. BERTOSA, “Frba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. 935
il ricavo netto dalla fine del marzo 1803, alla fine del febbraio 1804 (che
corrisponde al calcolo veneto di un anno — more veneto) ammontava a 44.856,2
lire, mentre nello stesso periodo 1804-1805 a 61.334,5 lire”. I dati dimostrano
anche che l’attività commerciale di contrabbando era sensibilmente diminuita,
per il fatto che nel primo periodo dell’ anno le multe ammontarono a 1.210lire,
mentre nel secondo soltanto a 450 lire. A dire il vero la polizia marittima non
era riuscita a catturare tutti i contrabbandieri e i dati di per sé hanno un valore
relativo. Nel periodo 1804-1805 le multe a carico dei contrabbandieri presi,
ammontavano soltanto allo 0,7% del totale delle entrate.
Riferendosi all’ ex parte veneta dell’ Istria, il Bargnani poté stabilire che
“La privativa del tabacco si amministrava nell’ Istria perfettamente come nelle
altre provincie venete. Quindi sarebbe superfluo l’innovarvi ...”°.
I dati del consigliere Bargnani mostrano chiaramente che la Serenissima
aveva lasciato in eredità alle amministrazioni austriaca, francese e nuovamente
a quella austriaca, affari ben avviati e redditizi sul fronte del tabacco. Si era
trattato di un'eccezione nella sua attività finanziario-economica in Istria.
Il ruolo che il tabacco ebbe nella vita quotidiana della popolazione istriana
era venuto formandosi sin dal tempo della Repubblica di Venezia, mentre la
sua “lunga durata”, tra alti e bassi, si mantenne anche nel XIX secolo e nei
primi decenni del XX. Tuttavia resta ancora da scrivere la storia socio-econo-
mica del tabacco sul suolo istriano.
64 IBIDEM, p. 305-306.
65 IBIDEM.
66 JBIDEM, p. 254
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 935 33
SAZETAK: IZMEDU UZITAKA I DOBITAKA: "SVETA TRAVA" OD
KORISTENIA DO ZLORABE. DOPRINOS POVIJESTI DUHANA U
ISTRI U 18-ST.
- Duhan je iza sebe veé imao dugu i bogatu nenapisanu
“prapovijest” i dokumentiranu povijest kada se u 18. st. u veéim
koliéinama poteo pojavijivati kao krijuméarski teret na brodovima
koji su plovili prema Trstu, Veneciji i Rijeci i zaustavijali se na
istarskim obalama, odnosno kada su se pojavili prvi pokuSaji sadnje
te biljfke na tlu Istre. Povijest duhana u Istri najuZe je povezana s
fiskalnom politikom Venecije: sredi$nja je vlast nastojala sprijediti
odljev kapitala u privatne ruke, jer su prihodi od duhana —- vrlo
trazenog artikla u svim slojevima stanovnistva — predstavijali vaZnu
stavku drZavnih prihoda. Ne zaéuduje, stoga, Cinjenica da su “Cinque
Savj alla mercanzia” — jedna od najvaZnijih magistratura mletatke
vlade preuzeli nadzor nad uvozom (djelomiéno i proizvodnjom)
duhana u istarskome mletaékome posjedu i nizom prohibicijskih
mjera glavninu prihoda uspjeli skrenuti u drZavni fisk.
Najopsezniji fond dokumentacijske grade o trgovini duhanom -
uputen iz mletaèkoga dijela Istre ovoj sredi$njoj ustanovi —
predstavljaju izvjeséa podzakupnika poreza iz godine 1778.-1779. U
njima se donose podaci o otvorenome krsenju propisa u Istri, napose
u manjim mjestima kao sto su Rabac (luka Labina), pristaniste Pisak
(u feudu Barban-Rakalj, plemiéke kuée Loredan), Bastija (luka na
Mirni), “karigador” (ukrcavali$te drva) kod Funtane (na feudu
grofova Borisi) i druga skorovita mjesta na morskoj obali. Kao glavni
krijuméari i preprodavati “neraskuZenih” duhanskih listova spominju
se Bokelji sa svojim “tartanicama”, a napose posjednici “bracera” iz
Rovinja. Spominju se glavna mjesta u unutra$njosti poluotoka preko
kojih se raévaju duhanski krijuméarski putovi: Savitenta, ViZinada i
Kastelir (u posjedu grofova Grimani), Zavr$je i Kostanjica (na
feudalnom imanju obitelji Contarini i Zaffo). Ipak je kao glavno
krijuméarsko gnjiezdo oznaten Rovinj, grad “koji ne uZiva nikakve
povlastice”, no zbog Zivota prometa i krijuméarske trgovine,
gospodarski napreduje i dobro je napuden.
Upozorava se takoder i na uzgajanje duhana u Istri i njegovu
nezakonitu prodaju, sto takoder pridonosi smanjivanju prihoda od
zakupa duhanske dafée. Unatoè propisima protiv neregularnih poslova
A M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 9-35
duhanom, oni su i dalje izmicali nadzoru sredisnje vlasti. Velike
svote novca odlijevale su se u privatne ruke.
Mnogobrojni arhivski podaci svjedoèe da su dobro uhodane i
probitaéne poslove. s duhanom, ostvarene u doba Mletaèke
Republike, preuzele i iskoristile njezine nasljednice — prva austrijska,
francuska, i druga austrijska uprava (sve do godine 1918.)
POVZETEK: UZITKI IN DOBICKI: “SVETA TRAVA” IZ RABE V
ZLORABO PRISPEVEK O ZGODOVINI TOBAKA V ISTRI V_ 18.
STOLETJÙ
— V 18. stoletju se je tobak zatel pojavijati v veòjih koliéinah kot
tihotapski tovor na ladjah, ki so plule proti Trstu, Benetkam in
Reki in so pristajale na Istrskih obalah, oziroma ko so ga prviè
poskuSali gojiti na Istrski zemlji. Takrat je imel tobak Ze dolgo in
bogato nezapisano ”prazgodovino“, obenem pa tudi dokumentirano
zgodovino. Zgodovina tobaka v Istri je tesno povezana z benesko
davéno politiko; centralna vlada je skuSala preprediti, da bi se kapital
stekal v roke zasebnikov, ker so bili dohodki od tobaka — izredno
cenjenega blaga pri vseh druZbenih slojih - zelo pomembni del
drzavne bilance. Zato ne Cudi, da je eden izmed najpomembnejsih
upravnih organov beneske vlade, to je “Pet Modrih Trgovanja”,
prevzel nadzor nad uvazanjem (in delno tudi nad gojenjem) tobaka
v istrskih posestvih Benetk in je z vrsto omejevalnih ukrepov uspel
speljati. vetino dohodkov v drzavno blagajno. NajobSirnej$i viri
dokumentacijskega materiala v zvezi s trgovanjem s tobakom —- ki
so jih odposlali iz beneske Istre v prej omenjeni beneski zavod —
so tisti v zvezi s porodili davkarja iz let 1778-1779. Porotila navajajo
podatke o krSitvah pravil v Istri, predvsem v majhnih naseljih kot
so Rabac (pri Labinu), pristanisée v Pisaku (v fevdu Barban-Rakalj
plemiéev Loredan), Bastija (pristanisée pri Mirni), “carigador” (tovor
lesa) pri Fontani (v fevdu grofov Borisi) in drugih skritih krajih ob
obali. Med glavnimi tihotapci ’okuZenih“ listov tobaka so omenjeni
Kotoréani s svoffff “tartanicami” in predvsem Rovinjéani z
“brazerami” (to so tovorne jadrnice), Omenjena so tudi glavna
naselja v zaledju polotoka, preko katerih so s Sirile poti tihotapstva
tobaka: Svetvinéenat, Vizinada in Kastelir (v fevdu druzin Contarini
in Zaffo). Vendar je kot glavna postojanka tihotapstva naveden
M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 9-35 35
Rovinj, mesto “ki ne uziva nobenih privilegijev”, se pa je razvilo
na gospodarski ravni in je bilo gosto naseljeno prav zaradi Zivahnega
trgovanja in tihotapstva.
Omenjeno je tudi gojenje tobaka v Istri ter nezakonita prodaja,
ki je prav tako prispevala k zmanj$evanju davénih dohodkov pri
trgovanju tobaka. Kljub predpisom proti nezakonitemu trgovanju s
tobakom, je bilo vsekakor mogoéte se izogibati nadzoru centralnih
oblasti. Velike vsote denarja so se stekale v roke zasebnikov.
Veliko Stevilo arhivskih podatkov nam priéa, da so bili posli s
tobakom dobro uteéeni in donosni. Te posle, ki jih je takrat
vzpostavila Beneska republika, so potem prevzeli in izkoristili tisti,
ki so sledili propadu Benetk, in sicer prva avstrijfska in francoska
uprava ter druga avstrijfska uprava (do leta 1918).
CONSIDERAZIONI SULLE STRUTTURE
MURARIO-DIFENSIVE DEI CENTRI COSTIERI
DELL’ISTRIA VENETA ALL’INDOMANI DELLA GUERRA
USCOCCA (1619-1620)
MARINO BUDICIN CDU 623+711+72(497.4/.5-3Istria) "1619/1620"
Centro di ricerche storiche Saggio scientifico originale
Rovigno Gennaio 2002
Riassunto — Nel presente saggio si mettono in evidenza i progetti avviati e portati a termine per
il rafforzamento delle strutture fortificatorio-difensive dei centri costieri dell’ Istria veneta
all'indomani della guerra uscocca (1619-1620). La documentazione archivistica (con le splen-
dide raffigurazioni di Rovigno e di Capodistria, rispettivamente del Tensini, del Fino e del
Rubertini) che ci sta a disposizione nell'Archivio di stato di Venezia documenta i propositi di
rinnovo di Antonio Barbaro (eletto alla fine del 1618 a provveditore sopra le ordinanze di
Terraferma e dell’Istria con importanti compiti in materia di difesa del territorio e della costa
istriani), del podestà e capitanio di Capodistria Bernardo Malipiero, di tutti gli altri rettori e
provveditori istriani di quel periodo, nonché quegli anni difficili che venivano a chiudere
un'epoca complessa e cruciale per la storia istriana.
Nei decenni a cavallo dei secoli XVI e XVII l’ Istria veneta, che nell’as-
setto amministrativo-territoriale era andata profilandosi quale entità provincia-
le con una rete di 18 podestarie di chiara impronta veneziana', presentava un
sistema fortificatorio-difensivo del suo territorio e dei suoi centri abitati che
andava essenzialmente ricondotto ad epoche precedenti”. Esso, pertanto, pre-
! M. BUDICIN (a cura di), Aspetti storico-urbani nell’Istria veneta, dai disegni dell’ Archivio di Stato
di Venezia, Trieste-Rovigno, 1998 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 16)
(=Collana ACRSR), p. 40-49; E. IVETIC, L'Istria moderna, Trieste-Rovigno, 1999 (Collana ACRSR, n. 17),
in particolare il capitolo “La provincia veneta”, p. 41-48; e IDEM, Oltremare. L’ Istria nell'ultimo dominio
veneto, Venezia, 2000 (Memorie dell’ Istituto veneto di scienze, lettere ed arti - Classe di scienze morali,
lettere ed arti, vol. LXXXIX) in particolare il capitolo “I-Lo scudo della dominante”, p. 21-86.
2 Cfr. su questo argomento il saggio di E. IVETIC, “Funzione strategica e strutture difensive dell’Istria
veneta nel sei-settecento”, Archivio veneto, Venezia, s. V, vol. CLIV (2000), p. 77-102, che interessa,
principalmente, proprio il periodo oggetto della nostra trattazione.
38 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73
sentava parecchie carenze, non tanto sul piano del suo inquadramento strategi-
co-territoriale generale quanto su quello dell’efficacia delle singole strutture
murario-fortificatorie e non dava le dovute garanzie agli organi preposti a
questa materia in un epoca ed in uno scacchiere geopolitico resi sempre più
malsicuri dalle incursioni uscocche e delle forze imperiali, dalle apprensioni
suscitate dall’entrata della squadra napoletana nell’ Adriatico, dal pericolo
turco quanto mai incombente sullo stato da mar benché la potenza ottomana al
massimo della sua ascesa non avesse in quel periodo di pace ufficiale intrapre-
so grandi campagne navali*, ma soprattutto dalla nuova collocazione politica
militare degli Asburgo con rivendicazioni sempre più palesi di libertà di
navigazione nell’ Adriatico*, tese a controbattere la supremazia veneziana frut-
to tra l’altro di un rapporto e processo secolare proprio con le città costiere
istriane e, ovviamente, anche con quelle dalmate.
Se sul piano diplomatico Venezia fronteggiò questa complessa situazione
cercando di assicurare, per tutto il Cinquecento e con alterne fortune, una certa
neutralità e un certo equilibrio, sul piano operativo-militare si orientò, comun-
que, e essenzialmente alla difesa, che per l’area medio e alto adriatica significò
prima di tutto rafforzamento del principale centro marittimo veneto in Dalma-
zia (Zara) e, soprattutto, costruzione della fortezza di Palmanova? per difen-
dere meglio, già sul confine veneto-goriziano, la Terraferma da eventuali
penetrazioni nemiche da nord-est. L’Istria, per motivi che spiegheremo più
avanti, nei decenni che precedettero la guerra uscocca rimase, praticamente,
fuori da questa politica di rinnovo e di rafforzamento militare-fortificatoria e
nel conflitto uscocco, pur non essendo teatro principale delle operazioni mili-
tari, vide venire messo a dura prova non solo il suo assetto economico-produt-
tivo e il suo commercio marittimo, ma in primo luogo anche tutto il suo sistema
3 Cfr. A.TENENTI, “Profilo di un conflitto secolare”, in Venezia e i Turchi. Scontri e confronti di due
civiltà, vol. II, Milano, 1985, p. 32-34.
4 D. MOSCARDA, “Tra diritto e politica: una rapida indagine sulla libertà di navigazione nell’ Adria-
tico tra il XIV e il XVI secolo”, Arti del Centro di ricerche storiche di Rovigno (=ACRSR), Trieste-Rovigno,
vol. XXIX (1999), p. 227-256.
5 Cfr. A.MANNO, “Politica e architettura militare: le difese di Venezia (1557-1573)”, Studi Veneziani,
Venezia, n.s. vol. XI (1986), p. 129-30 e M. DOMLJAN, “Zara fortezza adriatica. Dal Medioevo all’ultimo
periodo veneziano”, relazione presentata al 1° Convegno di studio del progetto Cultucadses — Fortificazioni
e sistemi difensivi dell’ Alto Adriatico, Pirano, 15 novembre 200.
6p, MARCHESI, La fortezza veneziana di Palma La Nuova, Udine, 1986; S. GHIRONI-A. MANNO,
Palmanova. Storia, progetti e cartografia urbana (1593-1866), Padova, 1993.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 39
difensivo”, specialmente quello lungo il confine interno e quello delle sue
singole cittadine. Una situazione precaria che le massime cariche provinciali e
capitanali istriane fronteggiarono, come vedremo, con interventi e rimedi
temporanei, palliativi e proporzionati alla non elevata disponibilità di mezzi
finanziari.
Lo si può dedurre molto bene da un’attenta lettura, ad esempio, delle
relazioni e dei dispacci dei podestà e capitani di Capodistria e degli altri rettori
istriani di quegli anni e, specialmente, da quelli dei provveditori mandati in
Istria con incarichi speciali durante la guerra uscocca, che riportano numerosi
ed interessantissimi dati e note sui combattimenti, sugli assalti, sullo stato
d’animo della popolazione, sulle devastazioni, sulle rapine e su altri risvolti
socio-economici tipici delle situazioni particolari di guerra come lo furono
quelle del conflitto uscocco, ma altresì sulla situazione fortificatorio-difensivo
delle città, dei centri rurali e dei singoli castelli, nonché sulle iniziative avviate
a loro difesa.
La precarietà delle difese di Capodistria, quale caposaldo strategico prin-
cipale, destò preoccupazione anche prima dell’inizio della guerra uscocca,
come ebbe a rimarcare il capitano e podestà Scipione Minio al ritorno dal suo
reggimento capodistriano nella relazione del 3 ottobre 1614 inviata al Senato:
“Tralascio di attediarla — scriveva allora quel rettore - con rappresentarli quello
che gli è tanto noto del sito della Città, ma bene dirole la poca sicurezza di
quella rispetto alla debolezza delle muraglie in molti luochi rotte, le quali però
ho procurato di restaurare al meglio che ho potuto, et per esservi attaccato a
quelle molte case et magazeni che con facilità le persone possono andar dentro,
e fuori a loro beneplacido, oltra esservi delle porte superflue, et il castello S.
Leone in malissimo stato che sta per cadere, et pur quello è la sicurezza di
quella parte da terra”*
Stessi toni e stesse apprensioni affiorano anche dagli scritti successivi, in
particolare dalle tre corpose relazioni di Bernardo Tiepolo che documentano i
suoi 35 mesi trascorsi in Istria, ricoprendo la carica di Capitano di Raspo (dal
? Perquanto conceme l’incidenza della guerra sull’economia e sul contesto sociale della regione vedi
M. BERTOSA, Jedna zemlja, jedan rat. Istra 1615-1618 [Una terra, una guerra. L’Istria 1615-1618/, Pola,
1986.
8 Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria (=AMS/), Parenzo, vol. VII, fasc.
1-2 (1891), p. 284.
4) M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atî, voL XXXI, 2001, p. 37-73
28 settembre 1615 ai primi di maggio 1618), nonché quella di Vice-Provvedi-
tore generale (dal marzo 1617 fino all’agosto del 1618); essi abbracciano
praticamente tutto l’arco del conflitto nonché i dieci mesi ad esso successivi.
Infatti, il suo racconto parte dal 1615 ed arriva al settembre del 1618 con una
gran copia di annotazioni, tra l’altro, sul sistema difensivo della Provincia
dell’Istria, del Capitanato di Raspo e dei loro centri murati-fortificati peri quali
rilevava complessivamente che “la lunghezza della quiete (riferendosi ai de-
cenni precedenti il conflitto uscocco, nda) havea partorito che le Castella
dell’Istria fossero in malissima fede, senza munitioni, vettovaglie, militie, et
altre cose necessarie”.
Da quanto si evince dalla lettura del suo racconto, i provvedimenti propo-
sti e portati a termine sul territorio e nelle sfere di sua competenza ebbero una
logica strategico-difensiva che tenne conto soprattutto delle condizioni contin-
genti particolari di ogni singola zona e centro abitato, cosciente che in un
settore che esigeva l’impiego di enormi mezzi finanziari miracoli non se ne
potevano fare. Infatti, prima di tutto si premurò di far presidiare tutte le
postazioni strategiche sia lungo i confini del Capitanato che all’interno e lungo
la costa della Provincia dell’Istria!, di mandare “la cavalleria con fanteria a
scorrere li confini de nemici”!' e di coordinare l’arrivo, lo smistamento ed il
vettovagliamento di soldati albanesi, olandesi, corsi e croati che Venezia inviò
allora in Istria'?. Nel contempo, in armonia con le competenze affidategli con
la sua nomina a vice-provveditore, avviò concrete iniziative anche per il
rafforzamento delle strutture edilizio-fortificatorie, sia nel territorio di sua
precipua competenza capitanale che nei centri strategici della costa. Questo
duplice aspetto, costantemente presente nell’operato del Tiepolo, rappresenta-
va anche agli inizi del secolo XVII la prerogativa topografica essenziale del
sistema difensivo dell'Istria veneta, nel quale il controllo del capitanato era
stato concepito anche e soprattutto in funzione della difesa della fascia costiera,
da sempre di precipuo interesse economico e strategico per Venezia.
? “Relation dell’ Illustrissimo Signor Bernardo Thiepolo ritornato da Vice Provveditor General in Istria
- letta nell’ Eccellentissimo Collegio a’ di 4 settembre 1618” (=Tiepolo, 4 sett. 1618), AMSI, vol. II, fasc. 3-4
(1886), p. 100.
!0 /BIDEM, p. 100-101.
!! IBIDEM, p. 101.
1? Ne troviamo notizia in più passi della “Relatione di Bernardo Tiepolo, Capitano di Raspo, di quanto
ha operato in Istria nella sua speciale qualità di Vice Generale durante l’anno 1617” (=Tiepolo, 1617), AMSI,
vol. II, fasc. 3-4 (1886), p. 70-99.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXL 2001, p. 37-73 4l
AI suo arrivo a Pinguente il Tiepolo trovò “il castello con tutti li altri
malissimo sicuri, mancante delle debite difese”. Dal suo racconto veniamo a
conoscenza delle iniziative subitanee intraprese nel capoluogo capitanale:
“Attesi alla reparatione di questo, feci otturar molti fori et fenestre nella
muraglia, fabricai caselli nei luoghi opportuni, raddoppiai le guardie con
cernide paesane, formai due nuove piazzette, feci la spianata d’intorno distru-
gendo alcuni horti attaccati alla muraglia che con le loro masiere haverebbero
servito a’ nemici di parapetto et di difesa. Tirai anco dentro un muro con alcune
feridore, et un pozzo che restava all’ arbitrio altrui””!*.
Muggia, perla sua posizione delicatissima a ridosso del territorio triestino,
Capodistria, in qualità di capoluogo sempre nel mirino delle operazioni nemi-
che, e Pola per la precarietà delle sue difese verso il mare, erano i centri costieri
che destarono le maggiori preoccupazioni presso il Tiepolo. Trovando “in mal
stato la terra di Muggia con tanti difetti e mancamenti che restava in grandis-
simo pericolo a quel confine congionto a Triestini”, il provveditore ordinò,
dietro anche parere di esperti in materia edilizio-militare, la riparazione delle
mura e di tutte le altre strutture difensive muggesane!*. Ugualmente ordinò a
Capodistria, riuscendo tra l’altro a “terrapianar et armar di artiglierie il belloar-
do su la muraglia che serve per difesa del porto, et di tutta la valle””!5. Per il
centro polese la questione si presentava molto più complessa se è vero che per
la sua difesa egli, certo che le strutture fortificatorie di quell’abitato e del suo
antico castello fossero alquanto precarie, propose, per primo, l’erezione di un
fortino con trinceroni, munito di pezzi di artiglieria e vigilato da archibugieri,
sullo scoglio di S. Andrea, nel mezzo dell’ampia imboccatura che da accesso
al porto polese'’. Non ricevendo alcuna risposta, non gli rimase altro che
annotare di aver rinforzato con “presidij di marina con soldatesca levata da
luochi fra terra” il controllo di quel tratto di costa, già assicurato da “una grossa
armata”!.
13 “Relazione di Bernardo Tiepolo ritornato dall’Istria dopo 35 mesi di governo come Capitano di
Raspo e come Vice Generale in Istria - 1618” (=Tiepolo 1618), AMSI, vol. II, fasc. 3-4 (1886), p. 107.
14 “Tiepolo, 1617”, p.71.
15 “Tiepolo, 4 sett. 1618”, p. 104. Vedi pure “Tiepolo 1617”, p. 81-82.
!6 “Tiepolo, 4 sett. 1618”, p. 104.
!7 “Tiepolo, 1617”, p. 82.
42 M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Atti, vol XXXL 2001, p. 37-73
Dai brevi passi qui citati, come del resto dalla lettura di tutte quelle
relazioni, traspaiono evidenti due aspetti della problematica legata al sistema
difensivo dell’ Istria veneta nei due primi decenni del Seicento: uno, di primaria
importanza per l’argomento che trattiamo e dal quale si evincono chiari il
sistema e la strategia difensivi mantenuti per lunghi decenni da Venezia nella
penisola istriana; l’altro, di rilevanza secondaria rispetto al primo in quanto
circoscritto espressamente alle condizioni difensive di un contingente evento
militare, quello della guerra uscocca. A proposito di quest’ultimo aspetto va
detto che malgrado le buone intenzioni e l’operato fervido del Tiepolo i sistemi
difensivi delle singole cittadine costiere durante il conflitto uscocco manifesta-
rono numerose lacune, sebbene non avessero conosciuto azioni militari e assalti
veri e propri. Va rilevato, poi, che gli armamenti in dotazione alle singole città
erano alquanto logori e insufficienti, le mura e le loro torri non avrebbero
potuto resistere a consistenti attacchi di artiglierie, mentre in alcuni abitati
peninsulari e insulari era perfino facile lo sbarco sulla costa a ridosso delle
mura e dell'abitato, come ad esempio a Rovigno, Pola e Parenzo. Gran parte
dei centri minori aveva le mura troppo basse e le porte mal difese. Ed infatti,
sempre il suddetto Tiepolo, nella relazione sull’anno 1617, rilevava con preoc-
cupazione che “siccome da terra si sono convenientemente fortificati et repa-
rati tutti i posti più necessari], così da mare continuando i suspetti hanno
bisogno di buone fortificazioni et di persone di molta esperienza che dispon-
ghino la difesa de porti in particolare”'8. Ancor più indicativi i giudizi di
Francesco Basadonna espressi nel 1625, al termine del suo mandato di Prov-
veditor generale, circa la situazione militare generale dell’Istria veneta e le
debolezze del periodo precedente nel sistema difensivo dell’ Istria “provincia
di tanta gelosia, e che per tante importanti conseguenze deve esser stimata al
pari d’ogni altra parte del Senato della serenità vostra, tuttavia nella sua
sicurezza estrinseca, che consiste in fortezze e soldatesca, si ritrova in malissi-
mo stato, perché sebbene la maggior parte delle Terre sono murate, hanno però
bisogno quelle muraglie in molti lochi d’esser acconciate et restaurate, né vi è
alcuna Fortezza che possa resistere al cannone, poche armi, mal’in ordine,
l’artiglieria non è ben cavalcata...”!° . Considerazioni queste che preannuncia-
vano chiaramente un nuovo indirizzo nel sistema difensivo istriano, che da lì a
& IBIDEM, p. 98.
!9 “Relazioni di provveditori veneti in Istria”, AMSI, vol. V, fasc. 1-2 (1889), vedi “Relatione dell’
Illustrissimo Signor Francesco Basadonna ritornato di provveditor in Istria, 1625”, p. 99.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istia veneta (1619-1620), Atti, vol. XXXI, 2001, p. 37-73 43
poco avrebbe trovato a Pola la sua realizzazione pratica più logica, ma che nel
contempo e al pari di quelle del Tiepolo rivelano quanto fosse importante la
problematica legata al primo aspetto cui si accenna sopra.
Il sistema difensivo-fortificatorio dell’Istria veneta rispecchiava quelli che
erano stati i fondamenti del rapporto plurisecolare tra la metropoli veneziana e
la sua “provincia” Istriana quale punto d'appoggio imprescindibile, soprattutto
la fascia costiera, della politica e dell’orientamento economico-commerciali
marittimi adriatico-mediterranei della Serenissima. Sistema improntato da una
parte al controllo della costa, guardata da barche armate, e ai sistemi poliorce-
tici più o meno efficienti delle singole cittadine della Provincia dell’ Istria, sia
di quelle costiere che di quelle dell’interno; dall’altro canto, alla difesa del
confine verso gli Imperiali, vigilato dal castello pinguentino e da un cordone
di altri cinque castelli fortificati minori (Rozzo, Colmo, Draguccio, Vetta e
Sovignacco), percorso e presidiato da truppe a cavallo e dalle milizie di
ordinanza che praticamente assicuravano i necessari collegamenti tra i centri
fortificati conferendo a quella barriera confinaria anche una certa e, alle volte,
decisiva mobilità ed elasticità, soprattutto nella difesa della valle superiore del
Quieto, ovvero della comunicazione principale verso la fascia costiera e i suoi
centri marittimo-commerciali. Già nel 1617 il provveditore Tiepolo, trattando
del dispiegamento di soldatesche nell’Istria veneta, rilevava il seguente assem-
bramento topografico dei principali centri urbani, semiurbani e rurali, che
corrispondeva in qualche modo alle principali aree territoriali-difensive
dell’Istria veneta: Capodistria e il suo territorio; Muggia e il suo territorio più
prossimo; Pinguente, Rozzo, Colmo, Draguccio, Montona, Portole, San Loren-
zo; Gimino, Antignana, Sovignacco e Vetta centri conquistati dalle truppe
veneziane; San Vincenti, “Piazza d’ arme luoco degno d’essere serrato et ben
fortificato”; Dignano “medesimamente luoco aperto e grande”, Barbana, Al-
bona, Fianona e Duecastelli; Pola, Rovigno e Parenzo, “dei luochi di mare” che
si presidiarono “per i suspetti dell’ Armata”?® Queste annotazioni del Tiepolo
ci consentono un rimando indiretto ma di assoluta rilevanza all’interessante
saggio di E. Ivetic “Funzione strategica e strutture difensive dell’Istria veneta
nel Sei-Settecento”, in particolare ad una sua considerazione circa il carattere
dell’assetto territoriale dell’Istria veneta che l’autore rapporta al sistema della
sua topografia militare-difensiva?!. Essa è servito all’autore per suffragare la
20 “Tiepolo, 1617”, p. 98.
2! E. IVETIC, “Funzione strategica”, cit, p. 78-82.
4 M. BUDICIN, Strutre difensive dell'Istria veneta (16191620), Att, voL XXXI, 2001, p. 37-73
tesi che “il punto di forza del dominio istriano era infatti determinato non tanto
dalle potenzialità in risorse umane o dalle strutture fortificate, quanto dalla
distribuzione e dal tipo degli insediamenti””?. Certamente si tratta di una
valutazione che rispecchia la particolare situazione dei possedimenti veneziani
in Istria non solo del periodo trattato dall’Ivetic, ma anche del secolo preceden-
te, allorquando essi si trovavano praticamente lontani dalle aree di maggior
pericolo marittimo turco, con gli Asburgo ancora disinteressati a conquiste
militari di ampio raggio in Istria e con la possibilità di un pronto ed efficace
intervento di una squadra navale veneziana a difesa della costa istriana. Forse
anche per questi motivi, che mettevano in risalto il fattore strategico di un
territorio disseminato da tanti piccoli capisaldi difensivi, facendo passare in
secondo ordine tutte le lacune dei sistemi murati-fortificati delle singole città
con strutture edilizie che andavano ricondotte a periodi alle volte anche lonta-
nissimi, che abbisognavano di numerosissimi interventi e restauri, che erano
già intaccate dall’edilizia abitativa e che sicuramente non sarebbero state
capaci di resistere a classici e forti assedi, l’Istria rimase fuori del giro delle
grandi opere di rafforzamento del sistema difensivo dello stato veneziano.
Incise, poi, ovviamente anche il fatto che tra Cinquecento e Seicento l’ Istria
venne a trovarsi in piena fase di recessione economica e lo confermano
chiaramente le relazioni e i dispacci di tutti i rettori istriani che rimarcano per
tutti i centri di podestaria e per quelli rurali cali nella produzione agricola e
nell’attività commerciale, mettendo a nudo i problemi dell’annona, del riforni-
mento idrico, dell’insufficienza degli armamenti e dei mancati investimenti nel
settore edilizio. Erano queste, in parte, le conseguenze dirette dell’inasprimen-
to sempre più evidente del conflitto tra gli Asburgo e Venezia che colpì
duramente il settore della produzione di sale e del commercio marittimo. Nel
1609-1610, ad esempio, Venezia con il blocco commerciale del golfo triestino,
controllato costantemente da due barche armate, cercò di mettere in ginocchio
l'economia di quel centro così importante per gli Imperiali, sia economicamen-
te che strategicamente. Di certo, oltre che Trieste anche i possedimenti impe-
riali dell’ Istria stavano già da lungo tempo vivendo una situazione economica
ancora più grave di quella del contiguo territorio veneziano.
Un sistema difensivo che, pur traballando in diversi frangenti e in qualche
settore, resse bene, possiamo concludere, anche l’urto della guerra uscocca, ma
solo se teniamo in debita considerazione le contingenti e peculiari caratteristi-
22 IBIDEM, p. 80.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ari, vol XXXI, 2001, p. 37-73 45
che di quel conflitto, combattuto, come ebbe a rilevare M. Berto$a?*, non con
le tradizionali strategie militari dell’epoca, ma tutto incentrato su saccheggi,
razzie, incursioni repentine oltre confine, senza grossi assedi e impiego di
ingenti truppe militari e senza precisi scopi di conquista di importanti centri 0
aree venete da parte arciducale. Basti dire che non poche volte truppe imperiali
riuscirono a penetrare, anche a fondo e alle volte indisturbate, nel territorio
veneto. Se Venezia non era “da guerra” come è rimarcato in una fonte venezia-
na del febbraio del 161724, non lo erano, se ponderiamo la situazione economi-
ca e il complessivo impianto militare, nemmeno i centri dell’ Istria veneta ed i
loro sistemi difensivi. Pur tenendo in debita considerazione quanto afferma
l’Ivetic, allora gli Istriani e le autorità preposte alla materia militare-fortifica-
toria fecero di necessità virtù. E non poteva essere altrimenti visto che il grosso
delle rispettive truppe e, ovviamente, lo sforzo finanziario maggiore di questa
guerra venne impiegato altrove.
La firma degli accordi di pace madrileni e parigini del settembre del 1617
non significò ancora la completa sospensione degli scontri e delle scorrerie sul
suolo istriano, che proseguirono praticamente fino all’estate del 1618°5. Già a
partire, però, dalla fine di quell’anno il Senato veneto, preso atto del persistere
del pericolo militare, quale riflesso diretto della chiara presa di posizione
veneziana antispagnola, antiasburgica e ostile alla sede Apostolica e del nuovo
conflitto che proprio allora stava coinvolgendo tutte le principali potenze
compresa quella degli Asburgo?5, e resosi conto dello stato precario del sistema
fortificatorio-difensivo della Provincia istriana, soprattutto di quello dei suoi
porti principali, rispettivamente dell’intera fascia costiera occidentale, come
risultava chiaro dalla relazioni del provveditore Bernardo Tiepolo, ma altresì
dalla corrispondenza tra i reggimenti istriani e le cancellerie centrali a Vene-
zia”, intraprese tutta una serie di iniziative mirate principalmente al controllo
23 M. BERTOSA, op. cit., p. 94-97.
24 Vedi G. COZZI, “Venezia dal Rinascimento all’Età barocca”, in Storia di Venezia, vol. VI “Dal
Rinascimento al Barocco” (a cura di G. COZZI e P. PRODI), Roma, 1994, p. 95
25 M. BERTOSA, op. cit., p.77
26 G. COZZI, op. cit., p. 99-104
27 Non essendo pubblicati ancora i dispacci che interessano gli anni oggetto della nostra trattazione,
per avere una visione di alcuni aspetti di questa problematica si possono confrontare i regesti “Senato Secreti”
(vol. CXII e CXIII —-1618) e “Senato Mare” (Registro 76 — 1618), pubblicati negli AMSI, rispettivamente nei
volumi VII (1891), p. 36-43 e XII (1897), p. 442-446.
46 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73
della situazione militare lungo la costa istriana e al miglioramento delle difese
delle città dell’Istria veneta.
Alla fine di ottobre del 1618, ad esempio, si raccomandava alle massime
autorità venete in Istria, al podestà e capitano di Capodistria ed al capitano di
Raspo, di completare sia l'armamento che l’inquadramento delle ordinanze
istriane, inviando nel contempo alla carica delegata capodistriana 260 ducati
per il restauro delle mura di Muggia”3. Da altro documento del 22 dicembre
1618 si evince che per il controllo delle coste istriane e quarnerine era ancora
in attività un corpo di guardia al comando di un capitano”.
Ben più importante il decreto del 13 novembre 1618 con il quale il Senato
eleggeva Antonio Barbaro, procuratore di S. Marco, a provveditore sopra le
ordinanze di Terraferma e dell’Istria?° incaricandolo di provvedere non sola-
mente alla riorganizzazione delle ordinanze, cioè della milizia civile territoria-
le dell’Istria veneta, che si era mostrata alquanto disorganizzata durante la
guerra uscocca, ma altresì ad altri importanti compiti in materia di difesa del
territorio e della costa istriani. Se il 4 gennaio 1619 il Senato gli ordinava “di
far l’uso che crederà opportuno di tutte le armi e munizioni raccolte in
Capodistria, e per l’acconciamento delle stesse tenga sempre seco un armajuo-
lo”?', un mese più tardi, il 5 febbraio, gli commissionava l’ordine di recarsi
quanto prima in Istria per ‘“esequirvi non solamente il carico delle ordinanze,
ma insieme gli ordini che li furono ingionti in proposito di assicurar la città e
porto di Puola, et altri porti e luoghi di quelle rive, et far che siano restaurate
le mura di Muglia, et quello anco che precedentemente li fu commesso per le
armi, munitioni et artiglierie che sono in Capodistria: affari tutti importantissi-
mi nella congiuntura de sospetti che passano ben noti”? Gli si metteva a
disposizione una galea, un notaio della cancelleria ducale, un ragioniere ed un
corpo di 6 alabardieri, gli si assegnavano 500 ducati al mese e altri 500
28 “Senato Secreti”, cit., p. 444.
29 IBIDEM, p. 445.
30 Per l'atto di elezione vedi Archivio di stato di Venezia (=ASV), “Segretario alle voci, Elezioni in
Pregadi”, reg. 9, c. 148. Va rilevato che il Barbaro nel periodo del secondo vice-provveditorato di Bernardo
Tiepolo ricoprì anche lui per la seconda volta la carica di Provveditore generale in Istria, operando però nel
Friuli, lasciando così il governo militare dell’ Istria al suo vice (Cfr. “Senato Secreti”, cit., p. 441-442. ). Nel
1618 per un certo periodo il Barbaro ricoprì, verosimilmente, anche l’incarico di vice provveditore generale
delle armi in Terraferma e in Istria, che aveva sede a Palmanova (“Senato Mare”, cit., p. 39).
3! “Senato Mare”, cit., p.445.
32 ASV, “Senato Secreti”, reg. 113, cc. 213v-214r.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73 47
aggiuntivi per le spese di allestimento, ma soprattutto, per quanto interessa il
nostro argomento, gli si dava la possibilità, come è annotato, “di condurre seco,
oltre uno o due ingegneri, il Cavalier Camillo Cattaneo per consultarlo sui lavori
di difesa della Provincia e segnatamente dei porti, specialmente di quelli di Pola
e di Rose presso Pirano”. Nel mentre si stava allestendo la partenza, il 16
febbraio il Senato, inoltre, con particolare patente, raccomandava ai rappresen-
tanti e ufficiali veneti in Istria a mettersi a disposizione del provveditore Antonio
Barbaro per tutte le occorrenze necessarie in merito all’incarico affidatogli**.
Verosimilmente, tra gli “ingegneri” che accompagnarono il Barbaro nella
sua missione polese figurava pure l'esperto militare Pietro Matteacci, come lo
testimonia Egidio Ivetic in un suo saggio sulle prospettive di sviluppo di Pola
agli inizi del secolo XVII, attingendo dati e notizie su questo episodio dal
manoscritto Racordo novissimo dell'Istria, compilato dal suddetto Matteacci
con ogni probabilità nel 1620 in base a quanto aveva operato in Istria e a Pola
nell’aprile del 1619**.
La missione istriana di Antonio Barbaro è documentata sia dalle carte dei
registri dei fondi archivistici veneziani dell’ Archivio di stato di Venezia “Se-
nato Mare” e “Senato secreti””, relative all’anno 1619, che da una decina di
suoi dispacci inviati dalle cittadine costiere istriane che si conservano nel fondo
“Provveditori da Terra e da Mar*° e che noi pubblichiamo in appendice a questo
saggio. Esso, sebbene mancante come vedremo di alcuni documenti e disegni,
riveste particolare rilevanza per il periodo che noi trattiamo, sia per il suo
contributo storico-documentaristico che per quello iconografico.
Che il compito del Barbaro non avrebbe trovato il necessario sostentamen-
to finanziario lo si può dedurre dalla commissione inviatagli dal Senato il 16
marzo del 1619, nel mentre egli aspettava il placarsi del maltempo per recarsi
in Istria. Gli si commetteva, infatti, appena fosse arrivato a Capodistria, di
riscuotere i debiti della Comunità Capodistria, ammontanti a 3000 ducati per
prestiti vari e a lire 8806 lire per usufrutto di farine e cibarie, e quelli della
33 “Senato Secreti”, cit., p.43.
34 Cfr. E. IVETIC, “La classe dirigente veneta e i piani di risanamento dell’Istria — Ruoli e prospettive
di sviluppo per Pola in un discorso del primo Seicento”, ACRSR, vol. XXII (1992), p. 287-317. Come rimarca
l’Ivetic il manoscritto si conserva presso l’ Archivio di stato di Venezia, fondo “Consultori in jure”, filza 21.
35 Come già accennato i regesti delle carte di questi due fondi sono stati pubblicati negli AMSI (vedi
la precedente nota 24). Per l’anno 1619 cfr. rispettivamente vol. VII, p. 42-45 e vol. XII, p. 445-449.
36 ASV, “Provveditori da terra e da Mar” (=PTM), busta 340 bis.
98 M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Ami, voL XXXI, 2001, p. 37-73
comunità di Muggia che assommavano a 1 138 ducati?”. Problemi che riguarda-
vano solo indirettamente la materia difensiva, ma che comunque distolsero in
più frangenti l’attenzione del Barbaro, che giunse in Istria con qualche ritardo
in quanto per il maltempo dovette attendere alcuni giorni sulla galea al Lido
prima di poter intraprendere il viaggio verso l’altra sponda adriatica (App. D°*.
Nonci è nota la data del suo arrivo in Istria, pur tuttavia dalla spoglio della
documentazione sopracitata si evince che 1°8 aprile inviava il suo primo
dispaccio da Rovigno, dopo aver trascorso alcuni giorni a Pola da dove inviò a
Venezia le sue prime informazioni. In questo contesto il suddetto dispaccio
dell’8 aprile (App. I7 ) assume particolare rilevanza in quanto ci conferma che
in esecuzione delle rispettive sue commissioni egli da Pola aveva inviato al
Senato precise informazioni “sopra il fortificarsi in quei porti; ne diedi esatta
contezza con le mie lettere accompagnate dai disegni, e scritture consegnatemi
da questi Ingegneri”?°. Si tratta dell’unica testimonianza, assieme a quella del
dispaccio inviato un mese più tardi da Capodistria (App. VITI), come vedremo
più avanti, che comprova la stesura, verosimilmente databile agli inizi di aprile
del 1619, di documenti e di disegni delle mura e delle fortificazioni di Pola.
Non vi sono registrati i nomi degli ingegneri ma da altra documentazione
sull’argomento si evince con certezza che gli autori degli scritti e dei disegni
ricordati dal Barbaro fossero Antonio Candido e Francesco Tensini, gli inge-
gneri che assieme al cavalier Camillo Cattaneo il Barbaro portò in Istria, come
gli era stato consigliato nella commissione del 5 febbraio. Ne è una conferma
diretta la parte che il Senato inviò al provveditore il 13 aprile informandolo che
le proposte del Candido e del Tensini circa il modo di assicurare il porto di Pola
erano state date in disamina e siccome erano “assai discordi”, come ebbe a
rimarcare, suggeriva al Barbaro di considerare l’opportunità di avanzare in
alternativa altre proposte da poter portare a termine in breve tempo e con poca
spesa. Si riproponeva, inoltre, di ripensare all’idea di fortificare lo scoglio di
S. Andrea”. A tal scopo si richiedeva, in effetti, dal Barbaro l’invio di un
preventivo delle spese per i lavori edilizi, per l'armamento, per le munizioni,
per il presidio e per i provvedimenti da adottare per il controllo sanitario.
Va rilevato, inoltre, che nemmeno il Matteacci nel suo testo del 1620, né
37 “Senato Secreti”, cit., p. 446.
38 ASV-PTM, dispaccio, n. I, da “Galea al Lido”, 19 marzo 1619.
3° IBIDEM, dispaccio, n. 4.
40 «Senato Mare”, cit., p.43.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 49
in quello successivo del 1625, molto più dettagliato del primo e anch’esso
incentrato sulla descrizione dei problemi che condizionavano lo sviluppo
dell’abitato ed il porto polesi*', accenna ai suddetti disegni.
Da tutto ciò si deduce che i progetti e i disegni del Candido e del Tensini
interessavano espressamente le strutture difensive dell’abitato e del porto polese
e che al Senato, per motivi connessi soprattutto alla mancanza di mezzi finan-
ziari, non rimase altro che riproporre al Barbaro l’idea del fortino sullo scoglio
di S. Andrea, avanzata un anno prima dal provveditore generale in Istria
Bernardo Tiepolo, ma prontamente bocciata dai competenti organi centrali.
E° fuor di dubbio che il dispaccio del Barbaro, con in allegato gli scritti ed
i disegni del Candido e del Tensini, fosse stato inviato da Pola e fosse giunto a
destinazione alla cancelleria veneziana di competenza. Ciò nonostante, nel
fondo succitato dei Provveditori da Terra e da Mar e in altre raccolte da noi
consultate presso l’ Archivio di stato veneziano non abbiamo finora trovato
alcuna traccia di questa documentazione“; il suo ritrovamento costituirebbe
una testimonianza preziosissima per la conoscenza della materia poliorcetica
polese di quegli anni.
Da Pola Antonio Barbaro si trasferì a Rovigno, dove arrivò sicuramente
prima dell’8 aprile e vi rimase fino al giorno 24 dello stesso mese. I giorni
trascorsi a Rovigno diedero al Barbaro l’ opportunità non solamente di rivedere
le ordinanze di quella “terra” e delle giurisdizioni vicine, ma soprattutto di
visitare e considerare le difese dell’abitato di Rovigno, le sue mura, torri e
porte, e di concertare con gli ingegneri Candido e Tensini gli interventi per
rendere l’abitato più difeso e più sicuro. Infatti, l'abitato rovignese allora era
ancora tutto racchiuso sull’isola (entro la cinta medievale), divisa dalla terra-
ferma da uno stretto canale oltrepassato nella sua parte mediana da un ponte in
pietra che dava accesso attraverso il cosiddetto portone della torre del ponte ad
un ampio spiazzo di pianta quadrangolare-trapezoidale chiamato allora il
“borgo”, non comunque nell’accezione classica del suo significato avuto nel
contesto storico italiano medievale, che diventerà in seguito la Piazza della
4 Questo secondo manoscritto del Matteacci intitolato “Discorso su Pola” (si conserva a Padova
presso la Biblioteca del Museo civico, c.m. 443/11) è stato pubblicato integralmente da E. IVETIC nel saggio
“La classe dirigente”, cir., p. 306-315.
4 Nella busta succitata del fondo dei PTM non si conserva nemmeno la parte inviata al Barbaro il 13
aprile, che comunque gli venne consegnata nel mentre si trovava a Rovigno, come lo conferma il suo
dispaccio datato 12 aprile (vedi ASV-PTM, dispaccio n.5-6). Per questo motivo la numerazione progressiva
dei dispacci di questa busta registra due salti. Mancano infatti i dispacci numero 2, 3 (quelli con la
documentazione inviata da Pola) e 7 (verosimilmente inviato da Rovigno).
So M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), At, voL XXXI, 2001, p. 37-73
Riva Grande, oggi piazza Tito‘. Da questo borgo, attraverso il complesso della
Porta della pescheria vecchia (trasformata nel 1678-79 nello splendido Arco
dei Balbi) e della Porta di S. Damiano, si entrava nel nucleo abitativo insulare.
Distanziate dal borgo, lungo gli altri versanti della cinta muraria si trovavano
altre cinque porte d’accesso, anch'esse comunque difese.
Proprio a cavallo del secolo XVII, con la crescita del pericolo uscocco, lo
spazio del “borgo” era divenuto il primodispositivo di sicurezza della città, una
specie di piazza d’armi in quanto era protetto, dalla parte del canale, da una
muraglia munita di torre centrale e di due torrette laterali e, dal lato opposto,
dalle mura cittadine medievali-rinascimentali. Esso era, invece, completamen-
te indifeso sia nel tratto a nord, verso Valdibora, che nel tratto a sud, verso il
porto di S. Caterina, dove erano all’ormeggio i pescherecci e le barche da
commercio. Pur cinto da due cortine murarie l’abitato poteva, pertanto, essere
facilmente attaccato dal mare, come lo avevano dimostrato le incursioni uscoc-
che che avevano avuto ampio spazio di manovra offensiva proprio a contatto
diretto con le mura.
Ecco perché gli ingegneri Candido e Tensini, incaricati di presentare un
progetto di rafforzamento delle difese rovignesi concentrarono le proprie atten-
zioni proprio sullo spazio del “borgo” sopraccennato in quanto le restanti parti
del sistema murario-difensivo non presentavano grossi problemi. Sicuramente
raccolsero impressioni anche dagli anziani Rovignesi, ancora memori degli
assalti del 1597 e, soprattutto, di quello del 1599 allorquando gli Uscocchi
saccheggiarono il territorio rovignese, il porto e la città, facilitati dal passaggio
indisturbato attraverso il “borgo” descritto sopra‘. Frutto del loro operato sono
i tre disegni a colori che si conservano nella busta 340 bis dei “Provveditori da
terra e da Mar” che rientrano nel novero delle raffigurazioni più antiche e
meglio documentate dell’abitato di Rovigno e di alcune sue parti. Sebbene il
Barbaro nei suoi dispacci inviati da Rovigno menzioni ambedue gli ingegneri,
i suddetti tre disegni, però, sono firmati solamente da Francesco Tensini®.
4 Per lo sviluppo e le peculiarità storico-urbane dell'abitato rovignese medievale e di epoca veneta
rimandiamo ai seguenti saggi: B. TADIC, Rovinj-Razvoj naselja /Rovigno - Sviluppo dell’ abitato/, Zagabria,
1982; M. BUDICIN, “Lo sviluppo dell’abitato oltre il canale sulla terraferma (i secoli XVII e XVIII)”,
ACRSR, vol. XXII (1992), p. 107-145; IDEM, “Sviluppo urbano” e “Itinerari storico-artistici” in Rovigno d*
Istria, Trieste, 1997, p. 190-203 e 204-249. Cfr. pure in quest'ultima opera le tavole “Rovigno - Imonumenti
e le testimonianze storico-architettoniche” (p. 250) e “Rovigno - Sviluppo dell’abitato” (p. 432).
4 B, BENUSSI, Storia documentata di Rovigno, Trieste, 1888, p. 65-66.
45 | tre disegni raffiguranti Rovigno sono stati pubblicati in bianco e nero nel saggio di M. BUDICIN,
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atî, voL XXXI, 2001, p. 37-73 Sl
Dei tre il più grande raffigura l’ampia terraferma rovignese, il suo acqua-
torio e l’abitato insulare con tracciati, seppure approssimativamente, sia l’an-
temurale sul canale e le mura cittadine che le due muraglie previste dal Tensini
lungo i lati settentrionale e meridionale del “borgo”. Nella legenda leggiamo
che “per rendere questa terra di Rouigno sicuro contro batteria de mano
bisognia prima serare la Piazza del Porto ‘A’ con farvi la muraglia ‘B’ quale e
longa da 120 passa /.../ un’altra muralia similmente longa da 50 passi and.i
bisognia fare nella parte ‘C’ /.../ et per assicurare la parte ‘D’ de petardi, et
fianchegiare la muraglia da quella parte saria ben fatto di alzare 6 piedi il muro
de ambe le parti del ponte con farui delle feritoie, et fare una altra porta deuanti
a esso ponte /.../”°. L’autore in questa raffigurazione ha voluto semplicemente
illustrare l’ampia situazione topografica dell’abitato insulare rovignese per
inquadrare meglio con gli altri due disegni quella specifica microarea. I due
disegni più piccoli, infatti, raffigurano molto bene e specificatamente l’area
attorno al canale e al “borgo”; in particolare quello corredato da un’ampia
legenda che illustra ulteriormente il progetto del Tensini, riportando altri
dettagli e misure delle strutture murarie proposte. Egli prevedeva di rialzare
l’antemurale sul canale, di difendere meglio con mura pure il suo ponte e
soprattutto di chiudere con nuove muraglie i due lati indifesi di quello spazio:
“VI voria fare — scriveva tra l’altro il Tensini — deuanti al Porto la muraglia ‘A’
grossa dui Piedi et 15 alta con farui la Porta ‘B’ nel mezzo qual seruiria per
fiancho con farui tutto allintorno delle tronere, alte da terra 8 piedi /.../ et per
serarlo de l’altra parte ui faria la muraglia ‘C’ con la sua Porta nel mezzo ‘D’
della istessa groseza e altezza della ‘A’ qual viene fiancheggiata delle Tore ‘E°
/...l voria alzare le due muraglie del Ponte ‘G’ 6 piedi, con farui alla altezza di
quatro delle feritoie et deuanti al d.to Ponte la porta ‘H’ si puotria ancora serare
la parte del Porto deuanti con farui mezi Balouardeti della forma assegniata con
ponti pero dandoli questa forma si faria più spesa oltra che si strengeria
deuentagio la pasa de mezo”.
Il Tensini vi annotava anche la spesa complessiva di 1000 scudi necessaria
perla realizzazione del progetto, che avrebbe potuto ridursi a soli 300 scudi nel
caso i Rovignesi avessero da soli prodotto la calcina necessaria all’opera. II
Barbaro come aveva inviato al Senato i disegni di Pola così vi mandò anche
“Lo sviluppo dell’ abitato”, cit., e a colori nell’opera curata dallo stesso autore Aspetti storico-urbani, cit.,
“Repertorio iconografico-descrittivo”, n. 105-107, con un’esaustiva descrizione archivistica e con la trascri-
zione delle loro legende.
52 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Att, voL XXXI 2001, p. 37-73
quelli di Rovigno, allegati al dispaccio del 12 aprile‘ (App. IV). A differenza
dei primi questi rovignesi, come detto, si sono conservati fino ad oggi presso
I’ Archivio di stato veneziano.
Va rilevato che Bernardo Benussi, profondo conoscitore delle vicende stori-
che rovignesi, nel descrivere lo sviluppo urbano dell’abitato non fa alcun accenno
al progetto del Tensini, né alla relativa documentazione‘”. Certamente, ai suoi
tempi, non avrà avuto modo di consultare i dispacci della busta 340bis dei
“Provveditori da terra e da Mar”, che noi abbiamo avuto modo di spogliare grazie
anche all’opera di riassetto di questo fondo portata a termine in tempi recenti”.
Se le proposte del Barbaro e dei suoi ingegneri erano concrete, le risposte
del Senato lasciavano presumere tempi non brevi per la loro realizzazione. Infatti,
il senato gli rispose una prima volta il 16 aprile di voler decidere valutando
complessivamente le esigenze di tutte le città della costa‘, quindi il 26 dello stesso
mese di rinviare ogni decisione in attesa di ulteriori informazioni”,
Terminata la missione rovignese Antonio Barbaro giungeva a Capodistria
il 24 aprile dove si intrattenne, verosimilmente, fino ai primi di maggio. Dal
capoluogo inviò al Senato, stando alla documentazione che ci sta a disposizio-
ne, quattro dispacci, due datati 26 aprile (App. VI-VI) e due 2 maggio (App.
VIII-IX). Sulla falsariga dei soggiorni polese e rovignese vi passò in rassegna
le ordinanze capodistriane, quelle del suo territorio podestarile e quelle del
Capitanato di Raspo, controllò lo stato dei magazzini delle armi e quello delle
munizioni. Prestò attenzione anche al problema della restituzione dei vari
prestiti, come gli era stato commissionato prima della partenza per l’ Istria. Di
particolare interesse per la nostra ricerca il dispaccio del 26 aprile (App. V2) che
tratta tra l’altro, anche se sommariamente, del sistema difensivo capodistriano,
ma soprattutto di quello di Muggia, la cui posizione era alquanto delicata visto
che la sua podestaria si trovava a ridosso del confine imperiale. Per Capodi-
stria, dove il Barbaro controllò la cinta muraria le sue porte ed i suoi baluardi,
non esistono dati su eventuali interventi e progetti particolari per il migliora-
46 ASV-PTM, dispaccio n. 6.
4 B. BENUSSI, op. cit., p. 6-7 e 125-127.
48 Ringraziamo anche in questa occasione l’ Archivio di Stato per la collaborazione offertaci, in
particolare Eurigio Tonetti, responsabile della Sezione di fotoriproduzione, legatoria e restauro dell’ Archivio
veneziano.
4 ASV, “Senato Secreti”, reg. 114, cc. 87 r-v.
50 IBIDEM, cc. 99 v-100r.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, vol XXXI, 2001, p. 37-73 53
mento delle sue difese. Per Muggia, invece, veniamo informati della consegna
al Barbaro da parte del podestà capodistriano Barnardo Malipiero di un disegno
che illustrava “l’opera della muraglia di Muggia”, che a parere del provveditore
andava riparata “nel baluardo che s’è principiato a fabbricare non essendo di
quella perfettione che si conuiene per ben difendere la porta”. AI pari dei
disegni di Pola anche quello muggesano citato dal Barbaro non si è conservato;
va rilevato, però, che nel dispaccio in questione non si fa alcun accenno al suo
eventuale invio a Venezia.
Interessante anche il penultimo dispaccio, quello del 2 maggio?” (App.
VID, con il quale il Barbaro ci informa che in armonia con le commissioni che
aveva ricevuto con la ducale del 26 aprile5* aveva procurato nuove informazio-
ni su Pola, avanzando l’eventualità di visitare nuovamente quel centro. Co-
munque sia, il 3 maggio il Senato faceva sapere al provveditore che approvava
quanto proposto per le artiglierie e per le munizioni di Capodistria, nonché per
la “fabrica di Muglia””, portata a termine, come ci informano altri scritti del
Senato, del podestà e capitano capodistriano Malipiero e i cenni corografici di
Prospero Petronio, negli anni successivi quando vennero restaurati anche altri
tratti delle mura muggesane?”.
5! ASV-PTM, dispaccio n. 9-10.
5? IBIDEM, n. 11-12.
53 ASV, “Senato Secreti”, reg. 114, cc. 99v-100r. Il Senato aveva inviato lettere al Barbaro anche il 23
aprile, rilevando nuovamente la necessità di fortificare il porto di Pola e le difficoltà di farlo con prontezza.
Al provveditore, inoltre venivano posti alcuni quesiti circa la fortificazione di singoli importanti punti lungo
la costa (“Senato Secreti”, cit., p.43-44).
54 “Senato Secreti”, cir., p. 44. Si tratta dell’attuale bastione terrapianato di Via Roma.
55 Cfr. ASV, “Senato mare”, reg. 78, 7 marzo 1620 e reg. 79 17 marzo 1623; rispettivamente “Relation
del N. H. Ser Bernardo Malipiero ritornato di Podestà e Capitano di Capo d'’ Istria, letta e presentata nell’
Eccell. mo Collegio, 24 luglio 1620”, AMSI, vol. VII (1891), p. 288; e P. PETRONIO, Memorie sacre e
profane dell'Istria, Trieste, 1968, p. 199-200. Per il restauro delle mura di Muggia il Mali pero impiegò i 200
ducati, ricevuti su approvazione del Senato, e le 193 lire e 12 soldi prelevati nella Camera fiscale dalla somma
delle 1500 lire che il provveditore Barbaro aveva depositato per lavori di restauro delle strutture difensivo-
fortificatorie dei centri istriani.
Per la vicenda legata a questa struttura delle mura muggesane ctr. pure F COLOMBO, “Le mura ed
il castello di Muggia”, AMSI, vol. XXXII (1984), p. 284-289, che riporta pure l’interessante notizia
riguardante la lapide (con la data del 1619) che fino al 1853 abbelliva il bastione e che ricordava, oltre ai
promotori dell’opera il podestà e capitano di Capodistria Malipiero ed il podestà di Muggia Giacomo
Loredan, anche l’architetto Giacomo Fino. Rilevava inoltre, attingendo dati dal Petronio, che nel 1623 per
perfezionare quell’opera il provveditore Basadonna aveva inviato a Muggia “un ingegnere veneziano
d’origine greca” assieme al provveditore alla sanità Giacomo Grisoni (F COLOMBO, op. cit., p. 289) . II
Colombo riporta, comunque anche il nome dell’ingegnere, Costantino Capi, che però non è ricordato nelle
Memorie del Petronio.
SA M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXI, 2001, p. 37-73
Sono queste le ultime informazioni sull’operato del Barbaro al fine del
miglioramento dei sistemi fortificatori delle cittadine costiere istriane. Come
ricordato sopra, il 3 maggio il Senato approvava le ultime iniziative intraprese
dal provveditore, poi nessun’altra notizia sulla sua missione istriana. Verosi-
milmente nei giorni successivi, come gli era stato richiesto espressamente già
con la parte del 23 aprile, “adempiute le sue incombenze” rientrò a Venezia per
dare “consultata la materia delle fortificazioni da competente consesso”.
Con ciò, comunque, il problema delle strutture difensive dell’Istria ed in
particolare di Capodistria non venne accantonato, anzi durante i restanti mesi
del 1619 e durante la prima metà dell’anno successivo più volte le strutture
poliorcetiche capodistriane si trovarono al centro delle attenzioni dei compe-
tenti organi statali e provinciali. C'è da rimarcare che dalla documentazione su
Capodistria traspare una cosa indicativa: il problema delle strutture poliorceti-
che del capoluogo dell'Istria veneta non stava tanto nella necessità di costruire
un nuovo sistema e una nuova strategia di difesa quanto nel restauro e nel
miglioramento delle strutture esistenti, logorate dal tempo e dai mancati inter-
venti di manutenzione e di riparazione. Cera poi il problema dei castelli del
capitanato di Raspo/Pinguente che, come ebbe a rilevare il Malipiero al termi-
ne del suo reggimento nel luglio del 1620 “hanno bisogno di esser accomodati
di molte cose per loro reparatione et sustentamento”?”. Sebbene il provveditore
Barbaro non avesse annotato nei suoi dispacci particolari problemi per le mura
capodistriane, pur tuttavia nella prima metà del 1619 il podestà e capitano di
Capodistria Bernardo Mali piero aveva segnalato al Senato la situazione diffi-
cile degli armamenti e delle munizioni in dotazione al capoluogo, nonché delle
strutture difensive in generale, con le mura che in più punti presentavano
aperture di vario tipo e minacciavano perfino di cadere. Gli risposero da
56 “Senato Secreti”, cit., p. 43-44,
57 “Relation del N. H. Ser Bernardo Malipiero”, cit., p. 289.
58 Dalla sua relazione citata alla nota 50, p. 286-287 si evincono i problemi che anche il Malipiero
dovette affrontare in questo settore prendendo possesso del suo reggimento capodistriano-istriano: munizioni
ed armamenti in cattivo stato; la ‘“(..) torricella (delle munizioni, n.d.a) per lo sito dove si trova - come
scriveva - annessa alla muraglia della città e sottoposta a molti pericoli di fuochi di case circonvicine, et vicina
al castello di quella città, onde stimo io migliore et più sicuro sito entro della muraglia ad un capodella città
dietro il Convento di S. Anna (...)”; il luogo del “bersaglio”, dove si esercitava la Compagnia dei Bombardieri
di Capodistria (nell’area fuori le mura ad oriente della porta della Muda) che abbisognava pure di un’ampia
opera di restauro; il ponte ed il Castello S. Leone che minacciavano rovina.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Attî, vol XXXI 2001, p. 37-73 55
Venezia in data 25 maggio concedendo l’impiego di 150 ducati per le ripara-
zioni murarie, che però il podestà doveva assicurare dai crediti non ancora
riscossi”.
Si arrivò così al 27 luglio quando, come ci informa il Malipiero nel suo
dispaccio del 1 agosto, accadeva quanto egli aveva precedentemente previsto,
ovvero cade “un pezzo di muraglia di questa città dalla parte di Tramontana,
che è dalla parte che si va a Trieste, per longezza de passa venticinque et altezza
passa tre e mezo, essendo cascata verso marina, et anco, per quanto si vede, la
fondamenta si è alargata verso quella parte”. Se per la riparazione di questo
tratto di mura occorrevano 3.600 lire, ben maggiore si rivelò invece il preven-
tivo per la riparazione delle parti malandate, come risultò dal sopraluogo
effettuato dallo stesso podestà lungo tutta la cortina muraria assieme a esperti
periti ingaggiati per il controllo tecnico-edilizio. Raccolto pareri e preventivi,
il 1 agosto il Malipiero inviava un’ampio dispaccio al Senato in merito alla
nuova situazione venutasi a delineare dopo il crollo del 27 luglio. Nello scritto
sono rimarcati tutti i principali lavori che andavano intrapresi per il risanamen-
to delle mura e dei suoi annessi: “... mi viene da’ periti rifferto li fori et fissure
farsi maggiori, et che in alcuni luoci non si possono accomodar, se non con
gettar quella parte a terra et redifficarla da’ fondamenti, come anco bisogne-
rebbe far ad alcune torricelle che sono anesse nelle mura, quali sono tutte
rovinose, è ben vero che alcune si potrebbero levar et tirar la muraglia al dretto,
rinovando poi le torricelle vicine, perché possino esser alla difesa delle mura.
VI è anco in altra parte, appresso la porta detta San Piero, che per il batter che
fa il mare, le piede della fondamenta se ne vano uscendo, siché resta la muraglia
con gran pericolo, al che saria necessario provederli quanto prima, col riffar le
fondamenta et metterli inanti delli sassi grandi per romper l’onde del mare,
over far speroni nella fondamenta, che faranno l’istesso effetto”. Per realizzare
tutti questi interventi dalle 3.600 lire citate sopra si arrivò ad un preventivo
complessivo di ben 6.600 lire, quasi il doppio.
In allegato al dispaccio ed al preventivo il podestà capodistriano inviava a
Venezia anche il disegno che in quei giorni aveva commissionato al proto
Giacomo Fino onde supportare la sua richiesta di finanziamenti con una
planimetria della città che mettesse in risalto il suo perimetro murario, le sue
strutture poliorcetiche ed i suoi punti più problematici. Il risultato sotto il
59 “Senato mare”, cif., p.446.
60 ASV, “Senato mar”, b, 223.
6 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, vol XXXI 2001, p. 37-73
profilo storico-documentaristico e iconografico è stato ragguardevole. La
splendida “Pianta di Capodistria” disegnata dal Fino, datata 1 agosto 16199", è
uno dei documenti iconografico-urbani capodistriani, e nel contempo pure
istriani, più antichi e più significativi in quanto mette bene in risalto la
topografia sacra e profana della città. Infatti, sono di particolare interesse, per
la gran copia di dati e notizie che riportano, sia l'ampia legenda (in basso a
sinistra) con 6 punti esplicativi, che i testi inseriti nella stessa pianta per
indicare porte, chiese, piazze, torri, “fondamenta”, “baluardi” ed altri contenuti
entro e fuori le mura, nonché lungo la marina®?, La “pianta” del Fino testimonia
in modo inequivocabile che l’ordito urbano capodistriano, risponde pienamen-
te allo schema veneto caratterizzato dalla centralità della “platea magna-com-
munis”, dalla mole del duomo, dallo slancio del suo campanile, e dalla dispo-
sizione attorno a questo insieme degli edifici più importanti destinati a pubbli-
che funzioni. E non poteva essere altrimenti per il capoluogo dell’Istria veneta,
che qualche decennio prima con l’istituzione nel 1584 del Magistrato aveva
visto assicurare il ruolo guida nella direzione civile, militare e politica della
Provincia dell’Istria al suo ceto forense ed alla sua carica delegata, il podestà e
capitano*3. Un ordito, quello capodistriano di epoca veneta, che definì l’iden-
tità di uno dei più rilevanti centri storci istriani, ma che nel contempo testimo-
nia che la Serenissima anche a Capodistria riuscì ad imporre nel giro di due-tre
secoli chiaramente i propri connotati urbani e il proprio linguaggio artistico a
sostrati tardonatichi e medievali, anche perché erano proprio le forme e le
immagini urbano-architettoniche, in particolare poi quelle delle sedi e delle
strutture pubbliche e istituzionali, il settore più consono alla manifestazione
diretta e più appariscente del nesso tra ambiente veneziano e veneto-istriano e,
6 La riproduzione a colori del disegno con la descrizione archivistica sono pubblicati in M. BUDICIN,
Aspetti storico-urbani, cit., “Repertorio descrittivo-iconografico”, n. 12. Dalla lettura e dalla datazione del
dispaccio si evince chiaramente che il disegno del Fino pur portando la medesima data è stato sicuramente
eseguito qualche giorno prima.
62 Per la trascrizione dei testi inserti nella planimetria e dei 6 punti (A-F) della legenda rimandiamo al
lavoro citato alla nota precedente. La pianta del Fino è commentata anche nel saggio di S. ZITKO, “Koprski
obzidni pas in mesni tloris na karti Giacoma Fina iz Ieta 1619” /La cinta muraria capodistriana e la pianta
della città nel disegno di Giacomo Fino del 1619/, Kronika, Lubiana, 1989, n. 1-2, p. 37-45. Per i due disegni
cfr. pure S. BERNIK, Organizem slovenskih obmorskih mest: Koper, Izola, Piran /L’organismo delle città
litoranee slovene: Capodistria, Isola, Pirano/, Lubiana-Pirano, 1968.
3 Cfr. M. ROLAN, “L’ istituzione del Magistrato di Capodistria nel 1584. Contributo allo studio dei
rapporti tra l’ Istria e la Repubblica di Venezia nel secoli XVI e XVII”, Acta Histriae (=AH), Capodistria,
vol. Ill (1994), p. 117-122 e C. POVOLO, “Particolarismo istituzionale e pluralismo giuridico nella
Repubblica di Venezia: il Friuli e 1’ Istria nel ‘600-700”, AH, vol. 111 (1994), p. 21-36.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Att, voL XXXI 2001, p. 37-73 57
soprattutto, del rispetto della gerarchia istituzionale del capitano e podestà di
Capodistria**. E il discorso vale per tutti gli altri centri di podestaria e rettori
istriani che ripetutamente richiedevano interventi molto articolati a livello
locale e, visti i pericoli militari ancora incidenti, maggiori attenzioni verso
baluardi, castelli e fortezze.
Come in occasione delle richieste per Pola e Rovigno il Senato tergiversò
sull'argomento e con parte del 29 settembre 1619 fece sapere al podestà
capodistriano che “la restauratione di quelle muraglie deve essere esseguita
con molto avvertimento, perché forse occorrerà darle forma migliore col parere
di persone perite, et anco farsi in miglior stagione, perché sia più durabile”
ordinando, inoltre, allo stesso di “far con muro secco serrar quella parte, che
per la caduta resta apperta, siché resti serrato 1° ingresso”5 e di attingere il
denaro necessario, come aveva suggerito anche in altre occasioni, alle casse
cittadine. Erano soluzioni di ripiego che non potevano risolvere il problema ed
infatti il podestà capodistriano non mancò di inoltrare anche in seguito pres-
santi richieste in merito, tanto che il Senato con ducale 8 gennaio 1620 ritenne
opportuno, questa volta, incaricare la cancelleria dei Provveditori alle fortezze
di mandare a Capodistria un loro proto per studiare le possibilità reali di
interventi alla cinta muraria9°. L’incarico trovò realizzazione pratica appena
nel giugno del 1620 grazie all’impegno del proto Zuan Battista Rubertini che,
dopo aver ispezionato, controllato e misurato con l’aiuto del podestà Malipiero
il tessuto urbano, le sue strutture murario-difensive, il suo porto, il ponte ed il
Castel Leone, il 15 giugno 1620 presentò al podestà una dettagliata perizia di
spesa con in allegato il disegno della pianta della città, datato 12 giugno®”. Il
complesso degli interventi preventivati dal Rubertini ammontava a complessi-
ve 16.778 lire, pari a 2.740 ducati.
Per bellezza ed importanza il disegno del Rubertini va affiancato a quello
del Fino. Non vi è raffigurata, però, la rete della maglia urbana ma solamente
64 Cfr. S. BERNIK, op. cir., il capitolo dedicato a Capodistria e M. BUDICIN, Aspetti storico-urbani,
cit., p.49 e 92.
65 “Senato Mare”, cir., p. 448.
66 ASV, “Senato Mare”, reg. 77, c. 221.
07 IBIDEM, b. 228, vi si trova il processo archivistico con il relativo disegno (n. 1) del Rubertini. Per
la sua descrizione completa (compresa la trascrizione della legenda) vedi M. BUDICIN, Aspetti storico-ur-
bani, cit., “Repertorio descrittivo-iconografico”, n. 13. Il commento di E. TONETTI riporta in pratica i punti
principali della perizia del Rubertini. Strana la datazione del disegno del Rubertini in S. ZITKO, op. cit., p.
39, che vi annota la data del 3 gennaio 1619, anticipandola quindi a quella del Fino.
58 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Agi, vol XXXI, 2001, p. 37-73
il tracciato delle mura con segnate in apposita legenda, le sue parti crollate ed
i suoi manufatti più importanti (torri, porte, terrapieni, fondamenta, il ponte e
il Castel S. Leone ed altro).
Come da prassi il podestà e capitanio Malipiero con proprio dispaccio
inviò a Venezia la documentazione del Rubertini. Purtroppo non ne abbiamo
trovato traccia scritta nei fondi dell’ Archivio veneziano, ma lo si può dedurre
dalla lettera inviata al Senato il 26 agosto dai Provveditori alle fortezze per
l’approvazione del progetto del Rubertini®8. Questa volta la risposta da Venezia
non si fece attendere molto e già il 9 settembre il Senato ordinava ai Provvedi-
tori alle fortezze di porre all’incanto i lavori descritti nella perizia del Rubertini
per il restauro delle mura, del ponte e del castello S. Leone. Al podestà e
capitanio Marin Barbaro, che nel frattempo era subentrato al Malipiero, com-
missionava la sovraintendenza del lavori raccomandandogli, come era ormai
abitudine, il massimo risparmio®’. Si approvava, inoltre il taglio di roveri non
utili per l’arsenale veneziano nei boschi di Capodistria per le necessità di
riparazione del ponte e delle prigioni del castello S. Leone.
Per l’effettivo restauro delle mura, del ponte e del Castello S. Leone si
dovette attendere ancora qualche mese; esso, infatti, fu portato a termine
durante la reggenza del podestà e capitanio di Capodistria Marin Barbaro,
come si evince dalla lettura dalla sua relazione del 14 febbraio 1622: “(...) il
tutto è stato da me essequito con ogni diligenza et con maggior risparmio et
buon impiego della spesa, et avvantaggio del pubblico denaro, che dopo
perfetionato tutte esse opere ho avanzato ducati 62, lire 2 soldi 10 (...) onde al
presente la città tutta s’attroua benissimo sarata di muraglie et ponte dalla
mauda al castello, tutto restaurato et il castello alquanto risarcito, né resta far
latra opera, et è necessariamente che il Ponte fuori del castello che va in terra
ferma, qual non fu compreso nella parte dell’ Eccellentissimo Senato, ma dopo
a suplicatione mia fu preso di dar 400 passa di maggieri che per non haver
quelli potuti havere dalla casa dell’ Arsenale è restata quest'opera imperfet-
ta”?°. Non furono compresi, però, in quest'opera di restauro né la parte del
ponte tra il castello e la terraferma né lo stesso castello che per la mole delle
68 ASV, “Senato Mar”, busta 223.
5 IBIDEM, reg. 78, c. 154.
70 “Relatione del N.H. ser Marin Barbaro tornato di Podestà et Capitano di Capo d'’ Istria. Letta in
Collegio, 14 febbrajo 1621”, AMSI, vol. VII (1891), 291-295.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (16191620), Ani, vol XXXI, 2001, p. 37-73 9
sue strutture, sia interne che esterne, avrebbe necessitato di un investimento
ben più elevato. Non se ne rammaricòtroppoil podestà, conscio che non poteva
attingere ulteriori mezzi né alle casse veneziane né a quelle della sua Provincia;
era invece ben più preoccupato per la sottigliezza numerica del presidio di
stanza nel castello e per la difficile situazione economica in cui versava la
popolazione capodistriana”'.
Certamente gli interventi maggiori e più importanti portati a termine nel
biennio che seguì alla guerra uscocca, anche perché hanno lasciato rilevanti
tracce manoscritte e iconografiche, vanno ricondotti ai centri maggiori: Capo-
distria, quale capoluogo politico-amministrativo; Rovigno quale centro abitato
ed economico di particolare rilevanza; Pola per la posizione strategica del suo
territorio e del suo ampio porto. All’ indomani, però, della guerra uscocca anche
in altre cittadine dell’ Istria veneta si registrarono interventi a sostegno delle
loro difese.
L’11 maggio 1619 il Senato informava il podestà di Albona dell'invio da
Venezia di 300 ducati per le riparazioni della mura di Fianona che avevano
subito danni durante le incursioni uscocche degli ultimi due decenni; del
controllo dei lavori si incaricava il Capitano alla guardia delle rive dell’ Istria
e delle isole del Quarnero Giovanni Mocenigo”. Nel settembre dello stesso
anno si ordinava poi a quel rettore di provvedere al restauro delle mura di
Albona che in più parti presentavano squarci”.
Ne fu coinvolta la stessa Muggia, grazie agli interventi del provveditore
Antonio Barbaro del podestà e capitano di Capodistria Malipiero, del podestà
di Muggia Giacomo Loredan ed all’operato di Giacomo Fino che progettò
l’opera, portata a termine, come abbiamo ricordato sopra, in un secondo tempo
negli anni 1620-1623”*.
Vanno segnalati in questo contesto, anche se non riguardano strutture
murario-difensive, i mezzi assegnati dal Senato per le riparazioni dei palazzi
7 IBIDEM, p. 292.
7 “Senato Mare”, cit., p. 446. Il Mocenigo era stato eletto a questo incarico il 7 marzo 1619 con
commissione del Senato (cfr. “Senato secreti”, cit, p. 43) che gli ordinava espressamente di “procurare che
sia sempre sicura la navigatione ad ogni sorta di vasselli; di non tollerrare il passaggio o la permanenza in
quelle acque di ladri e corsari, castigando quelli che trovasse”
th, ASV, “Senato Mare”, reg. 78, c. 152.
74 Vedi nota 55.
(CO) M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istria veneta (1619-1620), Az, voL XXI 2001, p. 37-73
pretorili di Grisignana”’ e S. Lorenzo”, due centri di particolare rilevanza
strategica per il sistema difensivo istriano.
In armonia con quella che era la strategia della difesa dei centri cittadini
costieri anche durante il 1619 fu sempre attivo il servizio di sorveglianza delle
coste istriane, come è bene rilevato nella commissione del Senato del 7 marzo
che eleggeva a Capitano alla guardia delle rive dell’Istria e delle isole del
Quarnero Giovanni Mocenigo””, e nell’ordine impartito il 5 luglio ad esso
capitano di sostentamento delle spese per la sua barca armata”8.
Lo stato di apprensione e di insicurezza, i progetti e gli interventi che
accompagnarono la materia e la problematica fortificatorio-difensiva durante
il biennio successivo alla guerra uscocca da noi preso in esame erano stati
dettati principalmente dalle conseguenze e dagli strascichi delle vicende e dei
risvolti drammatici della guerra. Le potenzialità, però, di grossi investimenti
nelle difese dell’Istria veneta di quegli anni, sia a livello statale che a livello
provinciale e locale, erano obiettivamente e comprensibilmente limitate. Di
conseguenza, l’esito dei propositi di rinnovo del Barbaro, del Malipiero, e di
tutti gli altri rettori e provveditori istriani di quegli anni, diede risultati parziali.
Ed anche il Senato veneto, che all’indomani della guerra si era sincerato della
necessità di un progetto di risanamento delle strutture poliorcetiche dell’ Istria,
fu costretto, per mancanza di mezzi finanziari, a rivedere un po’ ovunque le
iniziative intraprese. Per questo motivo gli interventi a Capodistria e a Muggia
andarono a rilento, l’idea di un rilevante piano per Pola venne rinviata di un
decennio, mentre il progetto per il rafforzamento delle difese di Rovigno fu
quasi subito abbandonato definitivamente. Certamente la documentazione e gli
esempi che abbiamo trattato evidenziano una notevole lentezza nella presa di
delibere operative e nella loro realizzazione pratica, l'impossibilità finanziaria
di intraprendere interventi radicali e confermano altresì il travaglio storico-ur-
bano e lo scontro di interessi tra rappresentanti del potere centrale, protesi a
confermare la propria autorità, e le forze locali impegnate a proteggere e a
sviluppare l’identità municipale, anche sul piano fortificatorio-edilizio.
75 ASV, “Senato Mare”, reg. 76, c. 108 v., 17 agosto 1618.
76 IBIDEM, reg. 77, c. 149 v., 21 settembre 1619 e c. 228, 18 gennaio 1620.
7? ASV, “Senato secreti”, vol. CXIV. A questa carica incombevano, come si rileva nel documento, i
seguenti compiti: “procurare che sia sempre sicura la navigatione ad ogni sorta di vasselli; di non tollerare il
passaggio o la permanenza in quelle acque di ladri corsari, castigando quelli che trovasse”.
78 ASV, “Senato Mare”, reg. 77, c. 99.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXI, 2001, p. 37-73 6l
Pur tuttavia va rilevato che i suddetti progetti, la documentazione archivi-
stica ricordata sopra, nonché le bellissime raffigurazioni del Tensini, del Fino
e del Rubertini documentano splendidamente quegli anni difficili che venivano
a chiudere un’epoca complessa e cruciale per la storia istriana. Infatti non solo
l’Istria fino alla fine del governo veneto non conobbe più guerre sul proprio
territorio, ma proprio in quegli anni andò maturando lentamente presso le
autorità preposte al suo sistema fortificatorio il convincimento dell’impossibi-
lità e dell’inutilità di cambiamenti radicali nei sistemi difensivi delle singole
cittadine e che sull'esempio di altre aree e possedimenti strategici andava
creato un forte caposaldo militare, anche perché il Castel Leone si era rivelato
fortezza di assoluta rilevanza per il capoluogo, ma non era riuscito ad assumere
la funzione di difesa strategica dell’ intera Provincia dell’ Istria. Lo rilevava
molto bene il provveditore Francesco Basadonna annotando nella relazione del
1625 che il castello S. Leone “non serve per alcuna difesa et è in stato di
rovinare, dà spesa inutile a Vostra serenità di Capit.o et sei soldati, che
assistono a quella custodia”.
Lo stava determinando e condizionando anche l’ampio contesto politico-mi-
litare strategico che era andato a delinearsi nell’ Alto Adriatico a partire dagli inizi
degli anni Venti dei Seicento con le notizie preoccupanti che arrivavano dal
Quarnero anche dopo la pace di Parigi e Madrid circa i movimenti di unità
uscocche e l’eventualità di nuovi loro attacchi, con la presenza della squadra
spagnola nell’ Adriatico, con le tensioni scatenate dalla nuova guerra dei
trent'anni, con l’attività della diplomazia degli Asburgo ed il loro ulteriore raffor-
zamento grazie anche ai loro rapporti politici e commerciali con alcuni stati
appenninici e, perfino, con le voci che parlavano di cessioni di Gorizia, Trieste e
Pisino o alla Spagna o al Granducato di Toscana®°. Non solo, ma la costruzione di
saline e di fortini in territorio triestino, a ridosso del confine con la podestaria di
Muggia, e le controversie che questi progetti scatenarono lungo la fascia confinaria
causarono non poche apprensioni a Venezia e a Capodistria".
79 “Relazione Francesco Basadonna”, op. cit., p. 102-104.
80 “Senato Secreti”, cir., p. 45-46 (6 giugno 1620) e 47 (9 gennaio 1621)
8! Cfr. su questa problematica G. BORRI, “Le saline di Zaule e la vertenza austro-veneta per i confini
(sec. XVI-XVIII)”, AMSI, vol. XVIII (1970), p. 115-172; M. BERTOSA, “Alcuni dati sulla costruzione della
fortezza di Zaule”, ACRSR, vol. VI (1975-76), p. 139-156; F COLOMBO, op. cit., p. 233-302; O. SELVA,
“Note e documenti cartografici sull'attività salinara in Istria”, ACRSR, vol. XXIV (1994), p. 455-502; M.
BUDICIN, Aspetti storico-urbani, cit., “Repertorio iconografico-descrittivo”, numeri 14-15, 51-53. Vedi
pure ASV, “Senato Secreti”, vol. CXVII, c. 90 v.
62 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Az, vol XXXI, 2001, p. 37-73
La risposta di Venezia ad un tale evolversi della situazione arrivò appena
a cavaliere degli anni venti e trenta, dopo lunghe dispute, controversie e
aspettative che si conclusero con l'erezione a Pola di una “potente fortezza da
mar”, la più importante dell’area istro-quarnerina. A questa variante di raffor-
zamento delle difese di Pola e del suo porto avevano dato la preferenza anche
il più volte citato provveditore Francesco Basadonna che era stato incaricato
dal Senato ad esprimersi in merito al suddetto progetto, nonché l’esperto
militare Pietro Matteacci. Le proposte del Basadonna sono tutte sintetizzate
nella relazione stesa al termine del suo mandato nel luglio del 1625*. In essa
descrive e inquadra molto bene la rilevanza strategica del porto polesano “nel
quale — come annotava — si può fortificare e mantenere senza poter essere
astretta a combattere, et che può essere da altro Principe grande confederato
rinforzata di gente, vettovagliata, et fornita d’ogni altra cosa necessaria”. Per
quanto riguardava l’ubicazione di una grossa e potente struttura difensivo-for-
tificatoria la posizione del provveditore era quasi innovativa. A differenza dei
suoi predecessori, all’ipotesi di costruzione di un fortino sullo scoglio di S.
Andrea vi preferiva l’erezione di una possente struttura sulla terraferma “su un
colle dentro la Città, dove anticamente era il Castello, sopra la qual eminenza
è pure di necessità formare un altro forte che abbia a servire a difesa della città,
et del medesimo porto, perché occorrendo che il nemico se ne impatronisse per
la parte di terra, stando detta eminenza a cavalliero del porto, potrebbe offen-
dere li vascelli di Vostra serenità che si ricoverassero in esso”. Dello stesso
tenore erano anche i suggerimenti del Matteacci che rimarcava la necessità “si
fabricasse per l’ habitatione d’ un Illustrissimo Senatore un recinto al Castello
della Città, che rileva dal suo interno un colle, dove fabbricare si potrebbe un
Palazzo, con li alloggiamenti di cento altri soladati...”*. Il Basadonna ed il
Matteacci erano certi che la realizzazione di tale progetto avrebbe favorito
l’avvio della ripresa socio-economica della città. Ma, guarda caso, come gli
interventi effettuati nei centri podestarili istriani negli anni 1619-20 non servi-
rono in pratica ai loro scopi militari precipui, similmente anche la funzione
primaria della fortezza di Pola, che comunque segnò una tappa rilevante non
solo per le opere fortificatorie dell’ Istria ma in genere per l’ingegneria militare
di quell’epoca, grazie all’apporto qualificato dei suoi architetti e specialmente
82 “Relatione Francesco Basadonna”, op. cit., p. 102-104.
83 E, IVETIC, “Laclasse dirigente veneta”, cit., “Discorso su Pola”, p. 312.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, vol. XXXI, 2001, p. 37-73 GB
dell'ingegnere francese Antoine De Ville, ebbe praticamente termine con la
sua erezione. In armonia con condizioni generali più tranquille non solo il forte
polese non venne del tutto ultimato, ma in quasi tutti gli altri centri dell’ Istria
veneta, a partire dalla metà del Seicento, i progetti fortificatori lasciarono
definitivamente il posto ad un sempre più intenso sviluppo edilizio.
La costruzione della fortezza del De Ville, non segnò, al contrario di
quanto aveva ipotizzato il Basadonna, la ripresa della città. Pur tuttavia, due
secoli più tardi, nelle mutate condizioni dell’ Istria asburgica di metà Ottocen-
to, il rilancio e lo sviluppo repentino dell’abitato polese e del suo ampio e
sicuro porto avvenne grazie per l'appunto ad una scelta strategico-militare.
64 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, vol XXXI, 2001, p. 37-73
APPENDICI
ARCHIVIO DI STATO VENEZIA
Fondo dei “Provveditori Da terra e da Mar”, F. 340 bis
Prou.r S.a le Ord.ze
S. Antonio Barbaro
1619 . 8 Aprile 2 Marzo
/V. Indice Secreta 1669, c, 59, n. 12/
App. I
Nro |
Ser:mo Prencipe
Nel desiderio che tengo di obedire alle commissioni con quali sono espedito da V.
Ser.tà mi conuien prouar con sommo dispiacere, per l’incomodo de tempi guasti, è rotti,
che m’impediscono il passar nell’ Istria. Entrai già alcuni giorni nella Galea del G:e
Sopracomito Foscarini, e con la speranza di leuarmi da queste parti mi conferii qui al Lido,
poiché il tempo mostraua d’accomodarsi. La passata notte finalm:te si siamo tirati fuori con
la forza de remi, e condotti per 30 miglia in mare siamo stati renfacciati nel far del giorno
da Vento contrario, che impedendo il prosseguir auanti si da constretti a ritornarsene.
Staremo attendendone la mutat:ne, la ual sarà incontrata subitam:ite da me con quel
contento, et ardore, con che fu sempre mio solito nel seruire à gl’ordini della Ser:tà V. et
alle SS. Vostre Ecc:me. Grazie.
Di Galea al Lido à 19 Marzo 1619
Ant.o Barb.o Prou. s.ale O:
App. II
N:ro 4
Ser:mo Prencipe
Di quanto operai à Puola in essecut:ne delle commissioni de V. Ser:tà, sopra il
fortificarsi in quei posti; ne diedi esatta contezza con le mie lettere accompagnate dai
dissegni, e scritture consegnatemi da questi Ingeg:ri; che tutto feci uedere all’ Ecc:ze Vostre
Ill:me, perche degnassero hauerci sopra quella consideratione, che è propria della singolar
loro prudenza et ordinarmi quanto hauessero deliberato per il seruitio, et commodo pubi:co.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI 2001, p. 37-73 65
Mentre adunque mi fermauo in questa aspetatione attesi nella reuisione, e regola delle
Ordinanze da quella parte di sopra, à che suplito in pochi giorni, né uedendomi auisato altro
commandamito della Ser:tà Vostra, forse per l’impedim:to de tempi contarij, ho stimato per
non mi trattener infruttuoso di tirar giù per la riua, e continuar a riueder le Ordinanze, che
pure questa matino mi son espedito da quelle di questo luoco.
Osseruo in oltre il recinto della Terra, et se ui scoprissi alcun deffetto o mancamito,
ne procurerò il riparo per la sua miglior sicurezza.
Nel rimanente di quanto m’aspetta andrò sodisfacendo, fino che receua noua com-
miss:ne dalle SS:rie Vostre Ecc:me, in conformità della quale mi disponerò con ardente
zello per la sua intiera obedienza. Hoggi è capitata qui la Galea del S:re Aluise Corner V.
Sopracomito espedita dal S:re Cap:n del Golfo per incontrar I’ Ecc:mo S:re Cap:n General
da mare, la qual portando lettere per V. Ser:tà, non ho uoluto lasciar l’occ:ne de rapresen-
tarle anch'io questo tanto per suolim:to del mio debito. Grazie.
Di Rouigno à 8 Aprile 1619
Ant.Barb.o Prou.r s.a le O:
App. II
N:ro 5 fin 6
Ser:mo Prencipe
All’arriuo hoggi qui in Porto diuna Peotta leuatassi da quelle riue receuo le due Ducali
di V. Ser:tà delli sei; con una sono auisato della mossa, che douea farsi da Napoli delle 12
Galee col Marchese S:ta Croce per impresa non penetrata, che mi seruirà di cauta auertenza
in quello potrò per ogni degno rispetto; in altra intendo il recapito delle mie lettre con li
dissegni e scritture formatesi per assicurarsi à Puola quel Porto, sopra le quali hauerian
Vostre Ecc:ze Ill:me tenuta considerat:ne ordinarmi poi la lor uolontà. In questo mentre che
l’attendo sto impiegato nel seruitio delle Ordinanze, hauendole riuedute fin hora nella mag:r
parte; e qui deuo far riuerente motto, è hauerà partorito assai buon frutto questa reuisione,
perche oltre l’hauerli suegliati à douersi essercitar nell’ Armi se ne sono remessi diuersi in
loco de gl’impossenti, et molti notati de rispetto, hauendoli conosciuti inesperti, et bisogno-
si perciò di soggetti d’esperienza militare, che li adoperi, et insegni il termine. Di che ne
darò un’esata contezza poi a gl’ Ecc:mi SS:ri P:ri delegati sopra tal materia. Continuo nel
compim:to della rassegna, douendo dimani uisitar altri luoghi più a basso per la med:ma
causa, à che hauerò sodisfatto in breue, et col suplim:to di ueder i debiti col pub:co in
Capodistria, et quello à Muggia con la restaurat:ne della muraglia in quel luoco, hauerò
obedito intieram:te alle commissi:ni della Ser:tà V.
Heri scopersi 1’ Ecc:mo S:re Cap:n General nauigar con Vento molto prospero uerso
Armata, che per non perder il beneff:0 del tempo non hà uoluto tocar questo Porto, et io
le ho epedito il S:r Cau:r Cattaneo destinato à quell’ obed:a. Grazie.
Di Rouigno à 12 Aprile 1619
Ant.o Barb.o Prou.r S.1° O.
66 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73
App. IV
N.ro 6
Ser:mo Prencipe
Nelli giorni, che mi son trattenuto qui son andato considerando con gl’ingeg.ri
Candido, c Tensini il bisogno di questo luoco per renderlo più diffeso, e sicuro — ho detto
ad essi Ing.ri, che mi mostrino con dissegni quello si potria operare, et hoggi mi han portato
li fogli, che mando qui inserti alla Ser.tà V. Nella spesa de mille scudi che mostrano douerci
andare sene diffalcano due parti col commodo che s’ha in questi scogli uicini di farsi la
Calcina, e ualersene senza dispendio, à che se ne trouria pronta la Com.tà che ne fabrica-
rebbe à bastanza, com'è seguito in altre occorrenze, si che resteria in soli 300 scudi, come
intenderà la Ser.tà V. et le S.rie Vostre Ecc.me nel discorso notato sopra li dissegni nel quale
ui concorre l’opinione di tutti due gl’ingeg.ri, che circumcirca non si discosta l’una
dall’altra, et uenivano in quella ressolut.ne, che le parerà più gioueuole; hauendo io
stiumato di notificarle questa parte per sodisfatione del mio debito. Grazie.
Di Rouigno à XII Aprile 1619
Ant.o Barb.o Prou.r Gen.l S.l’o.
App.V
N:ro 8
Ser:mo Prencipe
Ho ueduti gl’auisi, che si son compiacciute darmi Vostre Ecc:ze con le Ducali de 13
delle accoglienze che si faceuano al .... , et altri Uscochi à Napoli, con li pensieri, che
s’intendeua essersi disseminati nell’imprese, che douean far le Galee, che in pronto stauano
in quel Porto per douersi espedire, et altro d’auantaggio; che mi seruirà d’informat:ne,
ringratiandone la loro benigna munificienza. Nella parte della notitia datami dell’ esped:ne,
che s’è fatta dalle maestà de Cesare, e Ferd:o de Commissarij per uenir a Segna, et quelle
marine con ord.ni di penetrare chi habbi fauoriti gl’ Uscochi, che rubarono la Marciliana
Albanese, et farne rigorose dimostrat:ni, si come mi prometto, che l’intentione de quei
Prencipi sia di sodisfar alle ragioni della Rep:ca, cosi conuengo dire con uerità scoprirsi in
tutto contrari] gl’effetti de Ministri. Perche arriuati essi Commissarij in quei luoghi, cue
douean obedir le lor commissioni; han retenuto allogi nelle proprie case di chi protege quei
ladri, et se pur han fatto qualche segno coll’ inquisir, et esaminar quei Popoli sopra il caso
sud:0, son però, riuscite delle proprie apparenze praticate altre uolte, né s' ueduto alcun
esempio di castigo, ben che li med:mi Uscochi le passassero sopra la facia, et habbino
procurato di rubar barche per scorrere alle incursioni dei mari di V. Ser:tà, uenendo essi non
meno protteti dal Vescouo di Segna, che sostentati dal stesso Com:rio dalla rouere Cap:no
di Fiume, per l’interesse, c'ha sempre hauuto nelle rapine, che si son fatte da quei scelerati.
Ogni dilig:a pertanto sarà sempre di niun profitto quando à quei Pressidij non si tenga gente
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Anî, vol XXXI, 2001, p. 37-73 67
pagata et Cap:no di buona uolontà nell’ess:ne di quegl’ordini, che son dati da Prencipi.
Procuro di douer intelligenza di quello uan operando essi Comirii, degl’ andamiti di quei
paesi, et loro stato, come à punto m’ordina V.Ser:tà, ma l’esser io a queste marine tanto
lontane da quelle parti, non ho tutto il commodo di poterlo; tenirò tutt:a quella miglior
pratica, che sarà possibile, e di tutto che sarò auisato lo porterò all'orecchio di Vostre Ecc.ze
Ill:me. Dicendoli intanto, che in cambio del liog:te passato di Pisino s’intend:be succedere
il fig.lo del S:re Giosef Rabata; che fu trucidato da Uscochi, che sarà credo buon ministro
per quanto s’aspettarà alla sua gerenza. Il Rè Ferd:o ha deliberato de souenir li sudditi del
d.o Contado con darli à ciascun uicino un Manzo per coltiuar li Terreni, ma ancor non era
era comparso cosa alcuna. Quei popoli erano molto afflitti, mangiauano il pane negriss:mo,
et à cariss:mo prezzo, cioè onze sei per due soldi; et à pena, che se ne trouio, sendo il
Contado distrutto. Si ragiona da quella parte, che 1’ Armata Spag:a douea di giorno capitar
a Fiume per far iui sbarco di gente, et questo partire l’hò sentito da molte bande. Che è
quello di degno hò da portar alla Ser:tà V. Grazie.
Rouigno à 21 aprile 1619.
Ant.o Barb.o Prou.r S. 1’ O.
App. VI
N:ro 9 fin 10.
Ser:mo Prencipe
Capitato che fui quà l’altr’heri hò subito dati buoni ordini, perché da questa commu-
nità, et da quella di Muggia si sodisfaci al debito, che tengono con la Ser:tà Vostra per li
suffraggi di formento, et altri commodi sumministratili dalla pub:ca carità ne tempi de loro
bisogni. Con quelli di Muggia son arrivato à termine che spero hauerne la renfrancatione
p:ma del mio partir da questa Prouintia, et il danaro lo trattenirò presso di me per farne la
restitutione al mio ripatriare, oue sarò commandato.
A quello di questa Città uedran Vostre Ecc:ze Ill:me dalle copie de conti, che mando
qui inserti, il tratto, che s’è hauuto in tanto sale delle farine, e formenti pubblici, mandati in
questo Fontico, intenderanno quello, s’è inuiato all’Offitio Ill:mo sopra li sali, quello, che
è in pronto per espedirsi tuttauia, et quanto ne rimane; la spesa andata nell’incaneuarli, et
il resto dell’obligo, che uiue a questi; che maneggiano il Fontico; di che ne sarò pur solecito,
acciò resti redintegrata del tutto la Ser:ma Sig:ria.
Delli Risi in uno d’essi conti appar nota esserne stata fatta consegna d’ordine del S:re
General Loredano à questo munitionero, il qual fatto chiamar à me, perche me ne dij
informatione, m’ha detto d’hauerne dispensati qui à Ss:ri capi da mare, et sopracomiti, et
qualche summa andata di male, guastatasi nella condition cattiua munitioni. Egli deue
passarsene costi pe render conto d’altri affari à gl’Ill:mi Sig:ri Esecutori delle deliberation
del Senato, et perciò gli ho commesso di portar seco le sue chiarezze per mostrarle à SS.
SS:rie Ill:me, acciò possino uenir poi à quella che si ricerca.
Ho voluto riuedere li Magazzini dell’ Armi; ne quali hò lasciati buoni ordeni per la loro
68 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Att, voL XXI, 2001, p. 37-73
conseruatione, commandato, che s’accomodino subit:te le quaste, et che s’usi dilig:a per
tenerle pronte ad’ ogni occorrenza.
Molta Art:ria ui si troua, e di qualche qualità, la qual tenendosi infruttuosam:te, et per
ogn’altro considerabile respetto, rissoluo di farne leuar quella, che non stimerò necessaria,
e restituirla in cotesti Arsenali.
Di questo S:re Podestà hò hauuto in dise l’opera della muraglia di Muggia, la qual nel
Balouardo, che s'’ prencipiato à fabricare non essendo di quella perfettione che si conuiene
per ben diffendere la Porta, sarà riparata, e riposta à miglior termine, quando mi conferisca
collà che lo farò uno de giorni à uenire; et perciò conuengo raccordar riuerentem:te la
prouision di denaro all’offitio A:a le Fortezze per poterlo corrispondere à tal seruitio. Heri
prencipiai à riueder delle Ordinanze da questa parte, giornalm:te ne arriueran qui da
Pinguente, et da questi altri luochi uicini, hauendole fatte chiamar à rasssegnarsi in questa
Città. Questo è il compim:to delle com:ni datemi dalla Ss. Vostre dalle quali mi sarò liberato
quanto prima, né mi restara, che più fare; l’intelig:a di che hò giudicato rappresentargliela
per suplim:to di quanto detto, et perché sappino quanto uado operando. Grazie.
Di Capodistria à 26 Aprile 1619
1619 à 2 Maggio
Li onti de Biaue et Sal furono mandati alli S. (...) Alle Biaue per che li uedano et
s’informino in persona.
Ant.o Barb.o Prou.
App. VII
N:ro 10
Ser:mo Prencipe
Mentre si trouaua al commando dell’ Armi in Friuli la buona memoria dell’ Ecc:mo
S:r Procurator Lando le occorse di bandire capitam:te per eccessi di mala consequenza
Zuane Vittelli fig:lo di D. Giulio Vittelli hora Gou.e a Traù. Questo s’in qua s’è andato
trattenendo nel Paese Arciducale, et per lo più habita a Fiume, da doue molte uolte si parte,
e ua à capitare à veglia, iui soggiornandosi con certa Gentildonna di quella Città, et al
presente intendo da buona banda esser uenuto à Trieste. M° ha dato causa di formar qualche
sospetto un simil proceder di costui, massime essendo egli fig:lo di chi si trattiene in
gouerno d’una delle Città della Ser:tà V., e perciò m’ha suegliato spirito di procurarne la
sua retentione con qualche desterità, che se bene m’era uenuto in pensiero di farlo
adimandar à Trieste, come bandito della rep.ca, per leuarsi questa gelosia, nullad:no
sendomi offerto da Persona confidente di tentar la uia per hauerlo nelle mani, quando da
nouo volesse continuar la pratica di Veglia, hò rissolto di tenermi à questo mezzo, et con
maniera segretta leuar una tal ombra col castigo, che se le deue, et per scoprir anco, se ui
fosse qualche tratatione pregiuditiuale alle cose di V. Ser.tà.
Mi uiene refferto in auantaggio, che sendosi li giorni passati partito da Puola quel
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 69
Mons:r Vescouo per far la solita uisitat:ne nella sua Diocese, arriuato che fù in Albona le
parue di far intendere à Fiume à quel Cap:nio, che desideraua conferirsi à quella Città per
la causa sud:a et che in resposta le fosse detto di contentarsi nel restando per qualche giorno
ancora, poiche al presente non è tempo di simili uisite.
La causa mi pare degna di considerat:ne, et perciò quali si sian gl’auisi li porto alla
notitia delle SS. Vostre Ecc:e, acciò li tenghino in quella parte, che le pare, cosi conuenienti
à quanto io deuo. Grazie.
Di Capodistria à 26 Aprile 1619.
Ant.o Barb.o Prou. S. lO.
App. VIII
N:ro Il fin 12.
Ser:mo Prencipe
Hò procurato nelli passati giorni, che fui à Puola di cauar tutto quel più d’informatio-
ne, che fù possibile sopra il stato, e qualità di quei scogli, e posti con uisione di lig:te, cue
con maggior commodo, e uantaggio si potesse assicurar quel Porto, e sodisfarsi all’intention
pub:ca, che m'è stata commandata; et con le mie lettere, dissegni, e scritture di questi
Ingegnerilo portai à notitia della Ser:tà Vostra; in modo che le Ducali di 26. Del passato,
non mi dano causa d’altra alterazione per obbedire à quegl’ordini, che riceuo in esse.
Nulladimeno, spinto più dall’ardenza del proprio desiderio di fruttuosam:te seruire,
che da bisogno, che stimi poterui essere, rissoluo di uoler far noua uisitatione à quel luoco
per osseruar con occhio ben aperto tutti quei punti, che mi son discorsi dalle suddette
Ducali, et fattane con gl’ Ingegneri ogni più fondata consideratione poterlo poi refferire così
alle SS:rie Vostre Ecc:me, come mi commettono.
L’urgenza di repararsi à quella parte per impedire à gli respetti, che molto importanti
son noti a cotesto Ecc:mo Senato, m’è stata sempre di prencipaliss:mo oggetto, ne manten-
go tuttauia il med:mo spirito, e perciò non saran manco contrapesati li particolari auertitimi
dalla sapienza di Vostre Ecc:ze Ill:me nelle gelosie, che pur uiuono nel presente tempo, di
quello, è ho fatto nei contrarij retrouatissi à tal opera, et rappresentati da me con quella
pouertà di talento, che mi trouo drecciati tutti al solo seruitio pub:co.
Non ritarderà punto questa essecutione, acciò tosto sia supplito à tanta occorrenza, né
però lascierò abandonato il restante delle mie commissioni, à che pur u’attendo di quel
modo, che possi riuscire à miglior beneffitio delle cose di V. Ser:tà. Grazie
Di Capodistria à 2 Maggio 1619
Ant.o Barb. Prou.r
#0) M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ami, voL XXXI, 2001, p. 37-73
App.IX
N:ro 12
Ser:mo Prencipe
All’arriuo degl’ordini speditimi da V. Sr:tà, per ch'io penetrassi nelle operationi delli
Commissari) del Rè Ferd:o, che si trouano à Segna ho procurato ogni miglior mezo per
hauerne gl’auisi; et hoggi mi uiene riportato, che nelle inquisitioni, che andauano facendo
per lasciar esempio di castigo à quegl’Uscochi, che furono nel latrocinio della Marciliana
alli scogli di Zarra, et à chi li hauesse fomentati, et fauoriti di agiuto, fattissi quattro d’essi
preggioni fossero condannati alla morte; nel qual tempo arriuati due delli ladri della
compagnia del Ferletih nel Vinadolo partiti da Napoli con danari per souenir le famiglie di
quelli, che eran rimasti, siano stati anch’essi retinti, et in un med:mo giorno appicati tutti
sei nella med.ma Città di Segna con sommo terrore.
Chè s'era fatto intendere per quei luochi à marina con pub:co edito, che tutti li banditi
della ser:ma Rep:ca in termine di 3 giorni douessero leuarsi da quel stato inn pena della
Vita, il che pur hauea redotto in disperatione gl’animi de simigli scelerati. Ragionauassi che
li Ss:ri del Cragno, non habbino uoluto dar, le solite contributioni al Rè Ferd:0 se prima non
hà disciolti tutti li appalti de Sali, form:ti, e fram:tà in preg:r dell’ antica libertà de loro
sudditi; hora il Rè hauendoli gratificati di quanto chiedeuano si son loro contentati di
contribuire quanto sogliono, cioè per la restoratione di Petrina fiorini m/15, per Carlistat
altri m/15, et per la cucina, di sua maestà m/100, et di più pagare il Pressidio d’ Alemani
destinato per Segna. Che è quanto di relatione hora tengo da portare all'intelligenza dell’
E.E. V.V. Ill:me. Grazie.
Di Capodistria à 2 Maggio 1619
Ant.o Barb.o Prou.
M. BUDICIN, Struttuwe difensive dell'Istria veneta (16191620), Ami, voL XXXI, 2001, p. 37-73 71
SAZETAK: PRILOG POZNAVANIU FORTIFIKACIJSKO-OBRAM-
BENIH STRUKTURA OBALNIH GRADOVA MLETACKE ISTRE
NAKON USKOCKOG RATA (1619-1620.) — Predmetom ovog ogleda
su zapoCeti i dovrSeni projekti za jatanje fortifikacijsko-obrambenih
gradevina obalnih gradova Istre nakon uskotkog rata (1619-1620.),
u okviru odnosa izmedu Habsburskog carstva i Mletaéke republike,
a posebno rjesavanja pitanja slobode plovidbe Jadranskim morem.
Sustav obrambenih utvrda mletatke Istre odrazavao je temelje
visestoljetnog odnosa izmedu Venecije kao metropole i njezine
istarske pokrajine, narotito njenog primorja, kao nezaobilaznog
oslonca jadransko-mediteranske gospodarske i trgovatke pomorske
politike i orijentacije Prejasne. Sistem je postavljen tako da, s jedne
strane, kontrolira obalu i vise ili manje uCinkovite obrambene sustave
pojedinih gradiéa mletaîtke Istre, kako obalnih tako i onih u
unutra$njosti, s druge pak strane, omoguti obranu granice prema
Carstvu, a koju je nadzirao buzetski kastel i niz od pet manjih
utvrdenih kastela (Roé, Hum, Dragué, Vrh i Sovinjak).
Arhivska grada (sa sjajnim prikazima Rovinja i Kopra F.
Tensinija, G. Fina i G.B. Rubertinija) koja nam je na raspolaganju
u Drzavnom arhivu u Veneciji dokumentira prijedloge za obnovu
Antonija Barbara, koji je krajem 1618. godine izabran za providura
“Terraferme” i Istre sa vaznim zadaéama u obrani istarskog kopna
i obale, natelnika i kapetana Kopra Bernarda Malipiera, svih ostalih
istarskih rektora i upravitelja onog doba, te njedno i one teske
godine kojima je zavrsilo jedno kompleksno i vaZno razdoblje istarske
povijesti.
Svakako najopseZniji i najznadajniji pothvati ostvareni u dva
desetljeéa nakon uskotkog rata (i zato Sto su o njima saéuvani vaZni
tragovi u vidu rukopisa i nacrta) bili su oni u vecim centrima:
Kopru, kao polititkom i upravnom sjedistu, Rovinju, kao iznimno
vaznom naselju i gospodarskom centru, Puli zbog strateskog polozZaja
i velike luke.
Obzirom na to da su prijedlozi za obranu i jaéanje obrambenih
utvrda dali djelomiène rezultate, kod vlasti zaduzenih za tu oblast
baî u to vrijeme prevladalo je uvjerenje da je nemogude i
nepotrebno vrsiti radikalne izmjene obrambenih sustava pojedinih
gradiéa te da, po uzoru na druga podruèja i strate$ke posjede treba
72 M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istîa veneta (1619-1620), Ami, vol XXX], 2001, p. 37-73
stvoriti jaki vojni postav. Odgovor Venecije takvom razvoju situacije,
dovest ée do toga da ée Pula, izmedu dvadesetih i tridesetih godina
17. stoljeéa, biti odabrana za smjeStaj snazne “pomorske utvrde”,
najvaZnije na prostoru Istre i Kvarnera.
POVZETEK: PRISPEVEK K SPOZNAVANIU OBRAMBNIH
TRDNIAV V OBALNIH SREDISCIH V BENESKI ISTRI PO VOINI
Z USKOKI (1619-1620) - V pritujoîéem eseju se navajajo projekti,
ki so bili izvedeni za okrepitev obrambnih trdnjav v srediséih na
obali beneske Istre po vojni z Uskoki (1619-1620), v okviru odnosov
med habsburskim cesarstvom in Benesko republiko, predvsem pa v
okviru resevanja problema svobodnega plutja na Jadranu.
Obrambni sistem beneske Istre je ohranjal temelje stoletnih
odnosov med beneskim velemestom in njenim istrskim ’podezeljem“
(predvsem na obalnem pasu), ki je predstavijalo neko neloÈljivo
oporno toéko za politiko in pomorsko gospodarsko-trgovsko
usmeritev Beneske republike na Jadranu in v Sredozemlju. Ta sistem
je po eni strani nadzoroval obalo in poskuse obleganja mest
posameznih vasi (obalnih in notranjih) v istrski Provinci, po drugi
strani je skrbel za obrambo meje s Cesarstvom, katero je nadzoroval
grad v Buzetu in drugih pet manjsih trdnjav (Roè, Hum, Dragué,
Vrh in Sovinjak).
Arhivsko gradivo (s èudovitimi sliktami Rovinja in Kopra, ki so
jih naslikali Tensini, Fino in Rubertini), hranjeno v DrZavnem arhivu
v Benetkah, dokumentira projekt Antonia Barbara, ki so ga leta
1618 izvolili za nadzornika predpisov na kopnem in v Istri in ki je
tako pridobil pomembne naloge v obrambi istrskega obmoèja in
obale, pa tudi projekte Koprskega nadelnika komune in kapetana
Bernarda Malipiera ter vseh takratnih istrskih upraviteljev in
nadzornikov. Dokumentirana so tudi tezavna leta, ki so zakljutevala
zapleteno in kljuéno obdobje za istrsko zgodovino.
Seveda je do najpomembnejsih in najveGjih sprememb pri$lo v
dveh letih po vojni z Uskoki v veéjih sredisèih: v Kopru, ki je bilo
glavno politiéno in upravno mesto, v Rovinju, pomembnemu
ekonomskemu sredistu, ter v Puli, zaradi svojega strateSkega poloZaja
in velikega pristaniséa. To nam je znano iz pomembnih rokopisnih
in ikonografskih podatkov.
M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 73
Ker pa so projekti v zvezi z obnovitvami in okrepitvami trdnjav
le delno uspeli, so oblasti, ki so se ubadale s takimi zadevami,
takrat razumele, da je bilo nemogoèe in nepotrebno korenito
spreminjati obrambne sisteme posameznih vasi, temveé da je bilo
treba ustvariti moéne vojaske utrjene postojanke po zgledu drugih
obmoèji in strate$kih posestev. Benetke so zaradi tega na prehodu
iz dvajsetih v trideseta leta 17. stoletja izbrale Pulo, da bi tam
postavile moéno “morsko utrdbo”, najvaznej$o v istro-kvarnerskem
obmobju.
CONDIZIONI ECONOMICO-PATRIMONIALI DELLE
CONFRATERNITE ISTRIANE ALLA CADUTA DELLA
REPUBBLICA DI VENEZIA
RINO CIGUI CDU: 271+338(497.4/.5-3lstria)”17/18”
Verteneglio Sintesi
Dicembre 2001
DENIS VISINTIN
Buie
Riassunto — In questo saggio sulle condizioni economico-patrimoniali delle confraternite laiche
istriane negli anni antecedenti la caduta della Repubblica di Venezia (1797), gli autori tracciano
una breve cronistoria delle varie fraternitates, societates, regulae e compagnie istituite in Istria
fin dal medioevo, per poi analizzare più da vicino i loro atti di carattere normativo e statutario e,
soprattutto, i loro beni, proprietà, rendite e spese.
In appendice, inoltre, viene riportato un’ampio specchietto con i dati riguardanti la rendita
e la spesa di ben 648 confraternite istriane
Cenni storici
Tra l'XI e il XII secolo si svolsero varie esperienze vitali di ascesi
eremitica e di pratiche religiose del laicato che diedero luogo a fraternitates,
societates, regulae, compagnie, istituite a titolo devozionale, caratterizzate da
impegni liturgici, penitenziali e di edificazione che vedevano associati laici,
ecclesiastici, uomini e donne, tra esse aggregate e coordinate a chiese, congre-
gazioni e ordini religiosi. Tracce di simili associazionismi laici si ebbero
comunque fin dall’età tardoantica?. Lo storico istriano Bernardo Benussi le
! P.CAMMAROSANO, /ralia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma, 1996, p. 87.
? B. MIGOTTI, Anticki kolegij i srednjovjekovne bratovstine. Prilog proutavanju kontinuiteta dalma-
tinskih ranosrednjovjekovnih gradova A collegi antichi e le confraternite medievali. Contributo allo studio
sulla continuità delle città altomedievali dalmate/, Starohrvatska prosvjeta /Cultura paleocroata/, n. 16
(1996), p. 179 e seg.
76 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
voleva derivate dagli antichi collegi romani*; pure in età carolingia si potevano
riscontrare associazioni laiche. In età medievale il termine indicava pure
associazioni di arti e di mestieri‘. E la vita di tutte era fin dalle origini regolata
dagli statuti°. Altresì i vari statuti regolanti la vita interna delle singole comu-
nità d’abitato contengono pure varie disposizioni normative con riferimento ad
enti del territorio soggetto e quindi anche alle confraternite religiose, attiva-
mente inserite nel contesto sociale e con tali disposizioni giuridicamente
riconosciute.
Nei secoli XIV e XV tali istituzioni verranno costituite essenzialmente da
preti (in Germania ad esempio), o esclusivamente da laici, con l’assistenza
ecclesiastica e religiosa (Italia). Numerose fondazioni risalgono al XV e al XVI
secolo”.
Contrariamente alle altre strutture comunitarie medievali le quali dimo-
stravano scarsa attinenza alla custodia delle fonti e delle testimonianze scritte,
le confraternite, gli ospedali, gli enti caritativi ed assistenziali ed i comuni
hanno creato strutture archivistiche tipiche delle associazioni aventi una stabile
fisionomia territoriale ed istituzionale. Affinché si realizzasse tale attitudine,
erano necessarie due condizioni: la ricchezza economica e la persistenza di uno
stretto legame con una consolidata struttura territoriale. E le confraternite, se
da un lato vedranno la proliferazione di consistenti patrimoni, dall’altro si
trovarono fin dalla loro costituzione legate ad un ente ecclesiastico, istituito da
ciascuna di esse. In tale contesto, l’aggancio alla chiesa regolare (benedettini,
cistercensi, altri ordini monastici, canonici regolari e agostiniani, domenicani,
francescani), rappresentava una garanzia ben più robusta rispetto all’aggrega-
zione alle chiese secolari, vista la debolezza della tradizione archivistica di
quelle non vescovili fino alla fine dell’età medievale. Lo studio storico va
3 B. BENUSSI, ” Nel Medio evo. Pagine di storia istriana“, Atti e Memorie della Società istriana di
archeologia e storia patria (=AMS?/), Parenzo, vol. XIV (1897), p. 63.
4R. CIGUI, “Le confraternite di Buie e del suo territorio. Una manifestazione della religiosità popolare
in Istria“, Acta Bullearum (=AB), Buie, vol. I (1999), p. 161.
5 P. CAMMAROSANO, op. cit., p. 152; R. CIGUI, op. cit., p 165-167.
6 Si veda ad esempio lo Statuto di Buie.
? Tali riferimenti sono da affiancare soprattutto alle confraternite del SS Sacramento, diffusesi in
Occidente a partire dal XIII sec. Cfr. R. CIGUI, “Lo statuto della confraternita del SS.mo Sacramento di
Umago”, La Batana, Fiume, 1991, n. 111, p. 100-101.
8 P.CAMMAROSANO, op. cit., p. 250-251.
R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Att, voL XXXI, 2001, p. 75-135 n
rivolto pure alle fonti private, agli atti ed ai protocolli notarili ad esempio, che
tramandano numerosi contratti di discepolato, inventari di beni ed altri testi.
Finora gli studi relativi alle confraternite si sono concentrati in linea di
massima agli statuti associativi, i quali forniscono numerosissime ed articolate
informazioni utili alla ricostruzione storica: statuta, regulae, ordinamenta,
capitula, ecc., alcuni dei quali redatti in volgare, e perciò soggetti pure all’at-
tenzione di studiosi di lingua e letteratura italiana delle origini”.
Importanti pure le matricole, elenchi dei singoli affratellati, o di coloro
soltanto che ricoprivano singoli incarichi all’interno della confraternita, i diari
ed i memoriali, le bolle di conferma ed i testi liturgici e devozionali: libri di
preghiera, sermonari, catechismi, laudari. Quindi le pergamene, i testi ammi-
nistrativi patrimoniali e contabili.
Altresì è meritevole d’esame l’attività organizzata dei confratelli nel
settore assistenziale e scolastico, anche se le vere e proprie scholae si diffon-
deranno appena in età moderna.
Allo studio di queste forme associative, note in Istria, anche sotto i nomi
di fraglia o fradaia, le varie storiografie sull’ Istria hanno prestato scarsissima
attenzione. Tale lacuna è stata soltanto parzialmente colmata in tempi recenti,
riversandosi gli studiosi negli archivi parrocchiali, vescovili e statali, portando
alla luce esaurienti fonti consistenti in statuti, quaderni, catastici, atti notarili,
scritture private, ecc. il cui esame e conseguente pubblicazione ci ha consentito
di allargare le cognizioni su tutta una serie di problematiche sociali, economi-
che e religiose per nulla marginali nelle vicende storiche istriane!°.
In Istria esse sono documentate a partire dalla seconda metà dell'XI secolo
° IBIDEM, p. 252-253.
!0 R. CIGUI, op. cit., p. 161, 170; IDEM, “Catastici, rendite e livelli annui delle confraternite di
Momiano (1782-1788)”, Arti del Centro di ricerche storiche di Rovigno (=ACRSR) , Trieste-Rovigno, vol.
XXVII (1997), p.423-470; IDEM, “Lo statuto”, cif., p.98-108; A. MICULIAN, “Dimostrazione degli stabili
pell’infrascritte scuole laiche del castello di Valle che vennero affittati per conto d’interesse delle scuole
stesse... ( sec.XVII-XVIII )”, ACRSR, vol. XXVI (1996), p. 371-428; IDEM, “Lo Statuto e ‘Il libro delli
confratelli e consorelle della veneranda Scuola del Carmine’ di Valle - 1760 “, ACRSR, vol. XXVII (1997),
p. 483-516; V. STOKOVIG, “Odnos Venecije prema bratovstinama u Istri od XV. do XVIII. stoljeéa“*
lL’atteggiamento di Venezia nei confronti delle confraternite istriane dal XV al XVIII secolo/, Problemi
sjevernog Jadrana /Problemi dell’ Adriatico settentrionale/, Zagabria, fasc. 4 (1982), p. 163-180; IDEM,
“Nekoliko primjera drustvenih i gospodarskih aktivnosti laiékih organizacija na Buzestini u razdoblju od XV.
do XVIII. stoljeca“/Alcuni esempi di attività economico-sociali delle organizzazioni laiche del Pinguentino
dal XV al XVIII secolo/, Buzetski zbornik (=BZ) /Miscellanea pinguentina/, Pinguente, vol. XII (1988 ), p.
85; IDEM, “ Poslovne knjige istarskih bratovstina, znadajni izvori za proutavanje drustvene i gospodarske
povijesti (jedan primjer iz Tara na Porestini)* /I quaderni delle confraternite istriane, fonti ragguardevoli per
B R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135
e le attestazioni a proposito registrate si riferiscono alle donazioni fatte dal
vescovo triestino Adalgero, datate 1072, e dal suo omologo giustinopolitano
Eriberto, del 1086, rispettivamente alle confraternite di S. Giusto e di S.
Maria". Numericamente poco consistenti alla fine del X V secolo, nei trecento
anni successivi esse vivranno una vera e propria stagione espansionistica, in
periodi di guerre — nel ‘500 e ‘600 — epidemie, carestie, devastazioni, fame,
pestilenze, brigantaggi, colonizzazioni, con il favorevole concorso pure del
Concilio tridentino che vedrà con favore la loro diffusione, esortando i fedeli
di tutte le parrocchie ad unirsi al fine di diffondere ed intensificare il culto
cristiano riusciranno a dar vita a varie forme di socializzazione, interventi
sociali, attività economiche e mercantili.
Nel 1580 il legato apostolico mons. Agostino Valier indicava le già
numerose confraternite, ormai ben radicate e consolidate in Istria, provviste o
meno di statuti, altre sorrette da norme consuetudinarie, ciascuna intitolata ad
un altare o a una chiesa filiale, ognuna con proprio gastaldo, i fratelli della
banca, ed alcune in possesso di consistenti patrimoni fondiari '?. Esse tenderan-
no ad aumentare ed a moltiplicarsi tra il 1650 e il 1730: nelle campagne si era
ormai superato da tempo il processo di colonizzazione e di ripopolamento, ci
si avviava alla stabilizzazione degli insediamenti ed alla ripresa generale, si
rafforzavano le istituzioni religiose —, d’altro canto continuavano a persistere i
culti e le magie pagane e credenti che continuavano a praticare altre religioni
— edin tutti questi processi il ruolo delle confraternite, in qualità di associazioni
laiche, assistenziali, economiche e religiose non era di certo secondario. Della
loro aumentata presenza sono tuttora testimoni le chiese urbane e campestri.
Ma le fortune verranno meno qualche decennio più tardi.
lo studio della storia sociale ed economica. L’esempio di Torre nel Parentino/, Vjesnik Istarskog Arhiva (=
VIA) /Bollettino dell’ Archivio istriano/, Pisino, a. 1, fasc. 1, n. 32 (1991), p. 85-87; Z. BALOG, “Kvaderna
bratovstine sv. Bartula i knjiga ratuna opéine u Roéu kao vazan izvor za roéku povijest 16 st.“ /I quaderni
della confraternita di S. Bortolo e i libri contabili comunali a Rozzo quale importante fonte per la storia della
località nel XVI sec./, BZ, vol. XI (1987), p. 141 — 160; IL. ERCEG, “ Broj i financijsko stanje bratovstina u
Istri (1741) /Situazione finanziaria e numero delle confraternite in Istria nel 1741/, Vjesnik historijskih
arhiva Rijeke i Pazina (=VHARP) /Bollettino degli archivi storici di Fiume e di Pisino/; T. LUCIANI,
“Prospetto delle scuole laiche dell’Istria e delle loro rendite nel 1741“, La Provincia dell'Istria, Capodistria,
1872, n. 18-23, settembre-dicembre; A. STOKOVIC, “Bratovstine u srednjem dijelu Istre. Osvrt na sadrzaj,
i strukturu arhivske grade” /Le confraternite nell’Istria centrale. Con riferrimento al contenuto e struttura del
materiale d’archivio/, VIA, fasc. 2-3 (1992-93), p. 49-63.
!! v. STOKOVIC, “Poslovne knjige”, cit., p. 88, nota 15.
!2 R. CIGUI, “Catastici”, cit., p. 430; A. MICULIAN, “Agostino Valier. Chiese e confraternite di Buie
nella seconda metà del XVI secolo“, AB, vol. I, p. 157-158.
R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 79
Infatti, verso la fine del XVIII secolo, in epoca “giuseppina”, ossia di
Giuseppe I imperatore d’ Austria, seguirà la soppressione di alcune confrater-
nite, ordinando il Podestà e Capitano di Capodistria Galeazzo Antelmi, preci-
pitando la loro situazione patrimoniale e finanziaria, l’accorpamento delle
confraternite momianesi, venendo di conseguenza ridotto il loro numero da
dodici a tre. Rimasero così in piedi la Scuola di S. Martino, a cui venne
affiancata l’amministrazione delle confraternite di S. Niccolò, S. Mauro, S.
Pietro, S. Girolamo e S. Ruffo; l'amministratore della Scuola della Beata
Vergine degl’Angeli si occupava pure delle associazioni di S. Rocco, mentre
alla scuola di S. Giacomo di Berda vennero abbinate quelle di S. Maria
Maddalena, SS. Trinità e Santi Giovanni e Paolo}. Contemporaneamente, a
Valle si proporrà l'accorpamento delle ventisette scuole e la loro riduzione a
sole cinque: la prima comprendente le confraternite del SS. Rosario, Beata
Vergine del Carmine, S. Antonio da Padova, S. Mattio, Beato Giuliano, S.
Giacomo e Chiesa Matrice; la seconda quelle di S. Mauro, S. Salvator, Madona
Picola, S. Martin, S. Elena, S. Vido, S. Michiel, S. Maria Madalena, S. Andrea,
S. Antonio Abbate, Madona Grande; la terza abbracciava i confratelli di S.
Elia, S. Pietro, S. Gervasio, S. Nicolò, S. Benedetto, Spirito Santo, SS. Sacra-
mento. Mentre costituivano confraternite a parte quella di S. Francesco Eliseo
a Carmedo e S. Croce nella villa di Moncalvo!*. Ad Orsera, con la “sistema-
zione Contarini“ del 1793 le confraternite vennero riunite in una sola entità
amministrativa “ per minor dispendio“ *. A San Lorenzo del Pasenatico
risultando impossibile riunire l’ amministrazione in un’unica entità, vista la
distanza tra le varie località sedi di confraternite, ”’che renderebbe difficile la
buona amministrazione in una unica figura”, si propose l’eventuale istituzione
di due cariche rifondate con una retribuzione pari al sei per cento delle
rispettive rendite annue, a cui affidare l’ amministrazione delle vicine scuole
della beata Vergine del Santissimo Rosario, di S. Lucia e di S. Leonardo, e le
rimanenti cinque nella villa di Mompaderno!?. A Pinguente si pensava all’abo-
lizione di tutti i gastaldi, visto che la molteplice presenza di questi amministra-
13 {BIDEM, p. 431-432.
14 Archivio di stato di Trieste (=AST), “AAI.1797-1813. Fondo confraternite” b. 3, f. 398.
!5 JBIDEM, f. 515.
I
ù IBIDEM, £. 513.
80 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
tori risultava improduttiva, ragion per cui si propose l'istituzione di un'esattore
riservato all’amministrazione delle sole scuole del Castello e del territorio, un
altro a cui riservare la cura della confraternita dell'Oratorio, “uno da quella di
Strana”, ed altri per ogni località del territorio "da elegersi dalle rispetive
vicinie”!. A Montona si propose l’istituzione di un’unica amministrazione
associativa per parrocchia, visto lo stato miserabile“ in cui esse vennero a
trovarsi, “per levare ogni Abuso e arbitrio praticati dalla molteplicità degli
amministratori" e, viste la numerose scuole di Visignano, la riduzione del
numero degli amministratori: uno per la Scuola del SS. Sacramento, un altro
riservato alle Scuole del Rosario, Ogni Santi e S. Simon, un terzo a quelle di S.
Marco, S. Antonio e S. Vito, nonché S. Margherita, ed infine l’addetto a
Madonna di Subiente, Madonna delle Porte, S. Ciprian e S. Bortolamio"*. Gli
amministratori delle Scuole Laiche dignanesi, Giannandrea della Zonca e
Francesco Bradamante giudicavano che ”non solo inutile si rende la moltipli-
cazione di tante scuole e fraterne (quali abusi e lapidazioni di tali Pie fonda-
zioni siano state fatte inadietro è cosa notoria...), ma che senza pregiudicare
le disposizioni de fondatori, si potrebbe semplificare l’amministrazione loro
col ridurle in una sola o al più due scuole, operazione che diminuendo gli
amministratori, diminuirebbe pure la spesa sotto diversi rapporti, e rendereb-
be più cauta, e più facile la sopraintendenza e direzione della rispettiva
Superiorità Locale, quale dovrebbe auere sennon la scelta, almeno una effica-
ce influenza nella elezione dei rispettivi ministri o Gastaldi, che per difetto di
probità, o di sufficienza finora mal versavano le depauperate rendite surifferi-
te“ !. Esempi eloquenti di diffuso malcontento e di una situazione economica
e patrimoniale complessivamente non brillante. Degenerazione che proseguirà
in epoca napoleonica. I decreti napoleonici del 26 maggio 1805 e del 26 aprile
1806 (‘sopra le Confraternite e le Fabbricerie‘*) e la risoluzione della Direzione
delle Province Illiriche del 15 aprile 1811 decreteranno l’abolizione di tutte le
confraternite, ad eccezione di quelle dedicate al SS. Sacramento e alla Congre-
gazione delle anime del Purgatorio, le cui “rendite potessero essere sufficienti
al mantenimento del divin culto nelle chiese“, erronea supposizione denun-
!? IBIDEM, f. 527-531.
18 IBIDEM, f. 559.
!9 IBIDEM, f.r 6, Dignano.
20 AST “LR. Governo del Litorale 81814-1 850) - Atti generali, Fondo di confraternite”, b. 680.
R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 81
ciata nel 1814 dall'allora vescovo parentino mons. Francesco Polesini. La sua
amministrazione fu affidata a rispettivi laici fabbricieri?!.
Con la successiva restaurazione austriaca, la diffusione di queste forme
associative riprese con nuovo vigore”, Tuttavia, solo quella del SS. Sacramen-
to resisteva con una sua dignità, le altre si erano arenate “nel devozionismo
estrinseco e rituale trovando nelle processioni folcloristiche o nelle esequie
solenni di un confratello una giustificazione di sopravvivenza”” .
Agli inizi del XX secolo se ne rilevava ancora un numero notevole, ed anzi
si registrava pure qualche nuova fondazione”*.
Gli statuti”
Nello studio delle confraternite, come si è già accennato l’interesse degli
studiosi è stato finora indirizzato per lo più agli atti di carattere normativo e
statutario: testi di carattere generale, regole papali, statuti e capitoli regolanti
la disciplina interna alle associazioni, che si diffondono fin dall’età medievale.
Ed è dunque fin dalla loro nascita che vengono definite le regole generali a cui
i confratelli dovevano attenersi: libera facoltà di associazione, svincolata
dunque da qualsivoglia patto o condizione, partecipazione alle festività dome-
2! IBIDEM, b. 680
22 Qualche esempio soltanto, con riferimento al Buiese, che vide la costituzione dei sodalizi della
Beata Vergine Maria a S. Lorenzo di Daila nel 1825, dell’ Immacolata B.V.M. di Momiano, del Sacro Cuore
di Gesù a Umago nel 1879, e della Madonna del Carmine, nel 1919, ancora a Umago. Si veda a proposito R.
CIGUI, “ Nomi e luoghi di San Lorenzo di Daila“, ACRSR, vol XXVI (1996), p. 289; IDEM, “Lo statuto”,
cit., p. 100; Archivio parrocchiale di Momiano, “Statuti della Pia Confraternita dell’Immacolata B.V.M. che
si venera presso Momiano“. Si ringrazia a proposito il parroco don Antonio Prodan per la gentile collabora-
zione.
23 P_ZOVATTO, “Cattolici e cristianesimo in Istria tra ‘800 e ‘900%, Istria religiosa, Trieste, 1989, p. 46.
24 Si veda a proposito la nota 12.
25 Accenniamo in questa sede a d alcuni Statuti consultati: Archivio parrocchiale di Momiano (APM),
“Statuti della Pia Confraternita dell’Immacolata B.M.V.; Archivio parrocchiale di Umago (APU), “Statuto
normale per la Confraternita di S. Andrea nella Chiesa parrocchiale di Umago compilato nell’anno 1908“;
APU, “Libro della Regola della Confraternita del SS. Sacramento ‘“ (1555); Archivio diplomatico di Trieste
(ADT), “Mariegola della Confraternita di Sant'Andrea di Capodistria“ (1574); AST, “Statuto della Confra-
terna in Onore di S. Giorgio nella Parrochia di Pinguente “ AST, “Statuto normale per la Confraternita del
Santissimo sacramento in Isola‘. Si ringraziano perciò i parroci di Momiano e di Umago, don Antonio Prodan
e don Sergije Jelenic, il sig. Renzo Arcon della Biblioteca civica di Trieste ed il personale addetto alla sala
di lettura dell'Archivio di stato triestino per la gentile collaborazione.
82 R. CIGUI - D. VISINTIN, Congizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
nicali ed apostoliche, alle processioni, alle esequie di un confratello, versamen-
ti a favore dei poveri, visitare e vegliare i confratelli infermi, pregare ed onorare
i Santi, comunicarsi una volta all’anno almeno, vivere in pace e comunanza
d’intenti9, dotare le confraternite con i lasciti testamentari?”, il periodico
ricordo dei confratelli defunti, l'esclusione di talune categorie di peccatori”, di
soldati e talvolta di famigli o servi di signori locali nonché delle donne e del
clero usuraio e concubinario, i requisiti necessari all’associazione (età, profes-
sione, ecc.)??. Alcuni statuti quattrocenteschi stabiliscono il condono dei con-
tribuenti pecuniari e non abbienti, ed allo stesso tempo assistiamo all’inclusio-
ne di norme che prevedono l’adesione di nuove categorie di soci; i nobili, esenti
dalle normali “facion‘, salvo alcuni limitati obblighi di pietà personale e
sociale, in cambio del versamento di una quota d’ingresso e di oneri finanziari
superiori a quelli degli altri confratelli, mentre anche l’ingresso dei sacerdoti
poteva avvenire a condizioni speciali, la celebrazione delle messe in suffragio.
Se da un lato si afferma il principio francescano di uguaglianza, percui nessuno
doveva essere escluso, d’altra parte le confraternite continueranno ad essere
arrocate internamente ad un rigido differenziazionismo e gerarchizzate?.
Il già citato Agostino Valier, nel corso della sua visita apostolica, annotava
nel 1580 alcune confraternite in possesso di vari documenti e norme statuta-
rie?!. Possiamo perciò supporre che le altre o erano rette da antiche norme
consuetudinarie, oppure era venuta meno la conservazione archivistica.
Generalmente, pure le confraternite istriane dovevano sottostare a delle
normative interne comuni: ciascuna di esse doveva risiedere in una chiesa o
presso un oratorio pubblico o semipubblico, disponeva di un altare, una
cappella, un edificio di culto in cui svolgere le funzioni religiose, dell’assisten-
za spirituale di un prete secolare o spirituale, la denominazione veniva desunta
26 Si veda ad esempio lo statuto dei Battuti di Cividale del Friuli, uno dei più antichi tra i cosiddetti
Disciplinati, risalente al 1290, in P.CAMMAROSANO, op. cit., p. 252-253.
27 Così ad esempio lo statuto dei Disciplini di S. Maria Maddalena di Bergamo, del 1336, in P.
CAMMAROSANO, op. cit., p. 253.
28 Giuseppina DE SANDRE GASPARINI ( a cura di ), “Statuti e confraternite religiose di Padova nel
Medio evo”, Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, Padova, vol. VI (1971), p. 27.
2° IBIDEM, p. 30.
30 JBIDEM, p. 44-48.
3! R. CIGUI, “Le confraternite”, cir., p. 164; A MICULIAN, “ Agostino Valier”, cit., p. 157-158.
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 8
dagli attributi di Cristo, le festività legate al culto dei Santi e della Madonna, e
dalle finalità che la confraternita si prefigurava. Si vietava la costituzione di più
confraternite aventi lo stesso titolo o finalità in una medesima località, vi
partecipavano tutti i cattolici incensurati o non iscritti a sette proibite e condan-
nate dalla Chiesa, potevano tenere assemblee, attribuire cariche ed amministra-
re beni immobili. A tale amministrazione erano obbligati i gastaldi, di regola
eletti annualmente internamente tra gli affiliati, e retribuiti con le rendite, i
canoni, le decime in natura”. Doveva trattarsi di persona onesta di “buona
fama et coscientia‘“, operosa ed incline ad opere “che siano et riescono in
laude et gloria della diuina Magiestà, pieno di carità et buono esempio uerso
il prossimo “, capace di rispettare “con ogni diligentia quello che a detto officio
si appartiene “ e godere del rispetto dei confratelli”.
Questi dovevano vivere un’esemplare vita cristiana, non trascurando i
sacramenti della confessione e della comunione, recitare le preghiere nei giorni
prestabiliti, conseguendo talvolta le indulgenze, e vivere una vita di tutto
rispetto e moralmente dignitosa, portare il viatico e visitare periodicamente
infermi, lavorare gratuitamente 1 fondi agricoli del sodalizio, pena le sanzioni
pecuniarie, accompagnare all’eterna dimora i confratelli, obbedire ai superiori,
ecc.** Per entrare a far parte della Confraternita, si necessitava dell’ assenso dei
genitori o tutori, o bisognava avere per lo meno vent'anni di età. Talvolta la
stessa attività lavorativa era condizionata dall’adesione alla Confraternita. S.
Andrea, come si sa, è il santo patrono dei pescatori, per cui l'omonima
confraternita capodistriana sosteneva che “ciascheduno, Terriero e forestiero
che uorrà habitare in questa città con alcuna arte di pescare” era obbligato ad
iscriversi alla stessa, o contrariamente a versare alla stessa “soldi 24 all’anno”,
pena la confisca dei beni”.
A presiedere le confraternite era di solito il parroco locale, affiancato o
sostituito nelle funzioni presidenziali, rappresentative e gestionali della società, da
altri funzionari: il già citato gastaldo, il direttore, il cassiere, il segretario, ecc.*, di
3? AST, “AAI 1797-1813. Fondo confraternite”, b. 3, f. 540.
33 R. CIGUI, “ Lo statuto”, cir., p. 102.
3 IBIDEM, p. 102, 105 e seg., cap. II-XTII; A. MICULIAN, “ Lo statuto”, cit., p. 487-489, cap. III- VI.
35 “ Mariegola”, cit, cap. IX.
36 R. CIGUI, “Lo statuto”, cif., p. 101 e 105. IDEM, “Le confraternite”, cit.”, p. 165 e 167; A.
MICULIAN, “ Lo statuto”, cit., p. 487.
(isa R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI 2001, p. 75-135
solito appartenenti a famiglie agiate”’, che in questo modo controllavano
l’assetto societario, l’attività, i fondi e gli introiti che potevano così venire
incanalati secondo i loro interessi. Ed il parroco stesso apparteneva a una
famiglia dell’alta società locale, la quale in questo modo si assicurava pure il
controllo del patrimonio ecclesiastico e delle confraternite.
Dette scuole o confraternite erano soggette all’autofinanziamento, al ver-
samento delle quote annuali sociali — rateali per i meno abbienti —, alle
elemosine, alle prestazioni lavorative gratuite ed a dotazioni in natura e di
immobili da parte degli aderenti, dalla gestione dei fondi ad esse pervenute,
prestiti e mutui. Così lo statuto della Confraternita di S. Andrea ad Umago:
“La confraternita farà fronte alle spese per funerali, funzioni, l'acquisto
di cere, attrezzi, ec.c, cogl’introiti derivanti dall’annuale contribuzione degli
iscritti, cogl’interessi dei capitali confraternali, nonché col reddito dei fondi
che le venissero lasciati dai fedeli”? .
Sempre ad Umago, così si esprimeva la regola della Confraternita del SS.
Sacramento:
“La manutenzione di detta scuola dipende dal diligente governo delle sue
vigne”. Ed all’annuale contributo dei soci l’omonima confraternita di Isola
affiancava “propij beni — fondi i quali le daranno annualmente il reddito di
oltre 200 fiorini ‘°°,
A Capodistria, presso la confraternita di S. Andrea, il confratello
‘
‘era
tenuto ed obbligato a conferire annualmente una lira di olio all’anno, et questo
per far che tutto il tempo dell’anno sia un luminare davanti l’altare de M. santo
Andrea à laude e riuerenza del quale habbia sempre di ardere” .
Tutte le entrate e gli introiti associativi venivano registrati negli appositi
libri contabili, ed il tutto veniva annualmente rendicontato ed i beni inventaria-
ti, di modo che, se le Confraternite cessavano di esistere, gli immobili ed i
mobili diventavano di proprietà della Chiesa parrocchiale, e gli amministratori
autorizzati a spendere quote minime, per il resto si necessitava del consenso
dei vari Capitoli o assemblee.
37 A. APOLLONIO, L'Istria veneta dal 1797 al 1813, Istituto Regionale per la Cultura Istriana,
Trieste, 1998, p. 106.
38 APU, “Statuto di S. Andrea”, cit., cap. III.
39 APU, “Statuto del SS Sacramento”, cit., cap. VIII.
4 AST, “Statuto normale per la confraternita...”, cit., cap. VI.
4LAST; “ Mariegola“, cit., cap. Il.
R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ani, vol XXX, 2001, p. 75-135 85
Eventuali debiti a carico dei confratelli venivano restituiti entro un mese,
con possibili proroghe*?.
Proprietà, rendite e spese
Fin dall'età medievale i beni di proprietà privata, delle chiese, dei mona-
steri, delle comunità, delle confraternite, ecc., venivano registrati in apposite
pergamene a cartolari vari, registri notarili, libri censuari, catastici e simili che
danno un’idea circa il loro assetto patrimoniale e territoriale, presentando
molteplici notizie circa la loro posizione territoriale, descrizioni geografiche e
toponomastiche, generalità dei proprietari, livellari o affittuari vari.
Un'importante fonte di reddito era rappresentata dalla proprietà dovuta ai
lasciti testamentari, per alcuni studiosi forse la fonte d’entrata più importante.
I lasciti contemplavano una clausola in base alla quale le confraternite erano
obbligate a officiare un determinato numero di messe per la salvezza dell’ ani-
ma del defunto, riscuotendo così redditi in denaro e beni stabili‘. Gli studi ed
i riferimenti a disposizione testimoniano di proprietà fondiarie in mano alle
confraternite istriane a partire dal XVI secolo, non escludendo precedenti
possessi finora non riscontrati‘. Si diffondono vari quinternetti, libri, catastici,
carte e fogli sparsi, documenti, fascicoli ed indicazioni varie relative alle
proprietà ecclesiastiche e delle confraternite, la loro disponibilità di capitali e
le transazioni a cui essi erano soggetti (affitti, livelli, praude, ecc.), il tutto
conservato e raccolto agli inizi della cosiddetta seconda dominazione austria-
ca; materiale che può fornirci una completa e straordinaria visione della
ricchezza patrimoniale che circolava nelle mani della chiesa e delle associazio-
ni laiche qui considerate”.
42 IBIDEM, cap.V.
4 D. MILOTTI, “Le campagne del Buiese nella prima metà del ‘600%, ACRSR, vol. XI (1980-81),
258-259.
4 IBIDEM, p. 258-259 e 292; R. CIGUI, “Catastici”, cit., p.430-452; IDEM, ” Le confraternite”, cit.,
p. 163; R. CIGUI-D.VISINTIN, “Nota di quelli che tengono beni stabelli in raggion della Mag.ca città di
Buie e della Chiesa di S. Servolo“*, ACRSR, vol. XXIX (1999), p 452; A. MICULIAN, “Agostino Valier”,
cit., p. 157-158. Per un’esame circa le proprietà e le rendite delle confraternite istriane, si consiglia pure di
consultare La Provincia dell’Istria, cit., a. X, 1876, n. 8, p.9, edi titoli citati nella nota 2.
4 AST, “Archivio della commissione provinciale dell’Istria . Inventario dei Libri e Carteesistenti nella
Casa di abitazione dell’ex sub Delegato Si. Gio: Vincenzo Benini, che viene assunto da me Sotto Scritto
86 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, At, vol XXX), 2001, p. 75-135
Si tratta di tutta una serie di arativi nudi, case, edifici vari, mulini, vigne
semplici, vigne olivate, baredi, pascoli, prati, boschi, pastini, ecc., che dette
confraternite affittavano o cedevano a livello affrancabile, talvolta pluridecen-
nale, ricavando consistenti somme di denaro. Diffuso soprattutto quest’ultimo:
infatti se affiancato a compravendita, esso stava ad indicare in effetti un mutuo
ad interesse, pari di solito al 6 %‘°. Alla fine del XVIII secolo la famiglia del
q. Bernardin d’Ambrosi doveva “capitale di livello verso la Scuola del SS.
Sacramento I. 70. Pro’ dell’anno corrente 1.10” ed ancora “capital di livello
verso la Scola del SS. Sacramento sopra il prato in Varlon l. 170. Pro’ corsi I.
40‘. Le confraternite si configuravano sempre più come associazioni dalle
finalità spirituali ed assistenziali, ma anche quali importanti organismi econo-
mici dalle funzioni creditizie, con cospicui capitali erogati, con le dovute
garanzie ed assicurazioni varie, ai soci economicamente più attivi ed impegnati
nell’espansione della loro ricchezza patrimoniale e della loro ascesa sociale
all’interno delle varie comunità.
I libri contabili evidenziano la vasta gamma di interventi economici e
sociali, di verbali elettorali, di resoconti dell’annuale attività, di affittanze, di
compravendite e dell’ attività creditizia. Le confraternite dunque praticavano
tutta una serie di attività economiche e transazioni, talvolta accompagnate da
malversazioni, in cui le autorità preposte cercarono di mettere ordine e vari
controlli, imponendo l’elaborazione dei catastici per disporre in tal modo di
relazioni ed esami dettagliati circa la situazione economica e patrimoniale delle
confraternite*. Chiaramente la Serenissima tendeva a controllare in ogni modo
la forza economica da esse rappresentata e dai rispettivi iscritti ed a conoscerne
l’attività complessiva, il volume degli affari e delle transazioni, la consistenza
patrimoniale: ancora nel 1659 “li Gastaldi erano in dovere di render conto alla
relativamente agli Inviti 22 e 26 novembre 1813, avuti dal Sig.° Stefano de’ Rin, Direttore del Regio Demanio
conservato in questa provincia dell’Istria che furono assentiti dall’Imperial Regia provisoria Commissione
Provinciale come segue“, f. 5-45.
4 D. VISINTIN, “Paesaggio agrario e organizzazione produttiva nellecampagnedel Buiese nel primo
Ottocento”, ACRSR, vol. XXVII (1997), p. 615-616; IDEM, “Alcuni modi di circolazione della ricchezza a
Buie nel XVIII sec.”, AB, vol. I (1999), p. 255.
47 Archivio storico di Pisino (ASP), “Protocolli Notarili Domino Sebastian Barbo,, b. 55, fasc. 206.
Processetto di carte scritte n, ventidue nel quale si contiene un inventario della Faccoltà tutta di ragione del
q. D.no Bernardin d’ Ambrosi, con notte distinte delle debiti e crediti, nonche la divisione seguitta, e come
meglio dalle carte in questo esistenti il tutto agl’anni 1788-1787”, c.10 e 12.
48 Si veda l'esempio di Torre in V. STOKOVIC, “Poslovne knjige”, cir., p. 93-94.
R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, At, voL XXXI, 2001, p. 75-135 HE
fine dell’anno di ogni rendita appartenente alle scuole, scosse o non scosse”,
contrariamente erano costretti “di riffonder in proprio“. Un primo esame
delle entrate e delle uscite delle confraternite istriane, il censimento delle
“Scuole et confraterne della Provincia per commissione dell’Ecc.mo Senato “
con relative entrate ed uscite, era stato ordinato ancora nel 1675 dall’allora
podestà e capitano di Capodistria Lorenzo Donato”.
Nel 1872 l’albonese Tomaso Luciani pubblicava il “Prospetto delle scuole
laiche ed ecclesiastiche dell’Istria e delle loro rendite nel 1741””", con riferi-
mento però alla sola Istria veneta e rifacendosi all’indagine ordinata dal
Podestà e Capitano di Capodistria Paolo Condulmer. Vennero allora notificate
604 confraternite attive nell’Istria veneta”. Risulta che alla metà del secolo le
rendite annue ammontassero a 127079 lire e 7 soldi, di cui 43759 lire e 17 soldi
a titolo di livelli affrancabili annui dovuti agli interessi ricavati su di una somma
pari a 709320 lire”.
Allo stato attuale della ricerca disponiamo di tutta una serie di documenti
attraverso i quali si è in grado di presentare l’entità delle rendite e conseguenti
uscite relative a 648 confraternite istriane’*, considerando sia la parte veneta
49 AST, "Atti amministrativi dell’Istria 1797-1813.Fondo confraternite. Scuole nella Terra e Distretto
di Grisignana”, b.9, f. 485.
50 La Provincia dell'Istria, cit., a. X, 1 febbraio 1876, n.. 3, p. 1875.
5! IBIDEM, 1872, n. 18-23, settembre-dicembre. Tale studio è stato ripreso da 1. ERCEG, "Broj i
financijsko stanje bratovStina u Istri (1741)*, VHARA vol. XXVI, p. 103-123. Gli autori hanno considerato
un documento rinvenuto all’ Archivio di stato di Venezia ( Frari ), Senato I ( Secreta ) FA, 259 ( Fte.
Deliberatione del Senato da Settemb. sino tutto Febbraio 1741 — Rettori : ‘“ Scuole della Provincia dell'Istria
— Nota della Rendita Annua delle venerande Scuole di questa Città, Prouincia, e suoi Territori], diuisa dà
quella dipendente dà Capitali di Soldo concesso a Liuello francabile, con la corrisponsione del sei per cento,
giusto al praticato in questa Prouincia. Il tutto raccolto dall’Illustrissimo, et Eccellentissimo signore Paolo
Condulmer Podestà, e Capitanio ‘“).
52 IBIDEM, p. 603.
53 IBIDEM, p. 104.
54 AST, “AAI. 1797-1813. Rendite e spese annue di confraternite istriane”, b. 3: i f. 398, documento
datato Valle 19 luglio 1797, 533, “Foglio che dimostra la Rendita, Spesa, Avanzo e Discapito delle Scuole
del Castello, e territorio di Pinguente, come risulta da rispettivi Libri, e resa de’ Conti degli esattori dell’anno
1796"; f. 450, “Foglio dimostrativo l’annual Entrata certa, ed incerta ad un diprezzo, nonché l’annua spesa
ordinaria di tutte le scuole Laiche esistenti nel Castello, e Territorio di Muggia, conformato colla scorta de
Libri di esse scoleda me infrascritto Pub.co Scrivano della Med.ma"; f. 454, “Specifica di tutte le Scuole di
Valle con rendita “; f. 456, “ Foglio dimostrativo il. N. de’ Luoghi Pij esistenti in gta. Terra (Grisignana, n.d.a.)
e sua Giurisdizione con la Rendita, uscita e cassa rispetivi de” medesimi come segue”; f. 459, “Le Scuole
della Terra di Albona, e delle quattro soggette Parrocchie del Territorio ascendono al numero di 28”; f. 464,
“Note esate delle Scuole Laiche di questa Città e territorio di Parenzo“; f. 478-481, “Scuole di Portole“; f.
483-489, “Nota Specifica di tutti gli Ospitali e di tutte le Scuole Laiche di questa Città e suo Territorio nonche
88 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
che quella austriaca, alla fine del XVIII secolo. In appendice presentiamo i
risultati finali, limitandoci qui ad alcune considerazioni e conclusioni soltanto.
Innanzitutto le cifre complessive: 202185:19 lire di rendita e 180145:5 lire di
spese; un’attività dunque attiva pari ad una somma che si aggira sul valore
approssimativo di 22000 lire. Confrontate tali rendite con quelle di mezzo
secolo prima — si conteggiavano allora 44 confraternite in meno- le cifre di fine
secolo sono superiori per un valore pari al 37 %, e del 12 per cento rispetto alla
successiva disamina asburgica, interessata pure all’entità patrimoniale delle
confraternite istriane ed alla loro situazione finanziaria. L’ Austria, nel registrare
l’attività finanziaria delle confraternite, annoterà nel 1804 una loro rendita annua
ammontante a 178636 lire venete e 5 soldi, con un aumento pari al 28,86 %
superiore alla somma di sei decenni addietro, ed un guadagno netto, regolate le
uscite, di 55975 lire e 5 soldi”. Alcune istituzioni indicavano dei passivi, altre però
presentavano uno status economico tutto sommato positivo. In quello stesso anno,
con decreto del 28 agosto’, la Monarchia asburgica prescrisse, perseguendo la
strada veneziana, la necessaria tenuta dei registri ed aggravi delle Scuole laiche e
delle Chiese con il supporto di formulari prescritti dalle autorità.
un Sumario ristretto delle Loro rendite ed un Stato esato della loro respettiva Cassa dell’epoca del di primo
luglio anno corrente come prescrive rispettabile Ordine di detta Ces. Reg. direzione Politica e Comando
Provisorio esecutivamente et ossequiendo comando del ces. reg. Gpverno Provisorio dell'Istria”; f. 493-504,
“Foglio Dimostrativo Le Rendite tutte di queste Scole laiche di Isola suoi Beni Stabili, Nomi degli affittuali,
e respettive scadenze delle Affittanze e come entro In ordine Ad Ossequiato Comandamento di questa
Cesarea Ragion Superiorità Locale di Prima instanza Relativamente Ad espresso sovrano Comando dell’In-
clito Cesareo regio Governo Provisorio dela Provincia del’Istria‘; f. 506, “Confraternite di Dignano”; f. 513,
“Confraternite di S. Lorenzo del Pasenatico‘ con annessi f. 516 e 517; f. 515, “Scuole di Orsera“; f. 522 —
525, “Scuole di Cittanova, Torre e Verteneglio“; f. 527-531, “Scuole di disciplina e Regolamento per il buon
andamento avvenire delle Scuole di Pinguente, territorio e capitaniato*; f. 535, “Foglio che dimostra la
Rendita,, Spesa, Consegna à Sucessori, Avanzo netto e discapito delle Scuole delli Castelli, e Ville di Raspo
trato da Libri manegi degl’esatori dell’anno 1796*“; f. 536, “Scuole di Buie“*; f. 540, “Scuole di Umago*“; f.
545-558, “Scuole di Rovigno“; f. 559, “Scuole di Montona “; f. 580, “ Scuole di Capodistria e territorio“; f.
596, “Confraternite di Visignano“*; f. 599, “Scuole della villa di Mondellebotte“; f. 601, “Scuola di S. Michele
sotto Terra‘; f. 603 Scuole della villa di Bercaz, Distretto di Montona“; f. 607, “Scuole di S. Domenica “;
f. 610, “Scuole di Caldier*; f. 611, “Scuole di Novacco“, f. 613, “Scuole di Montreo“; f. 615, “Scuole di S.
Vidal (Distretto del Castel di Montona )‘; f. 616, “Scuole della contrada Cerion ( Distretto di Montona ){‘; f.
618, “Scuole di S. Zuanne di Sterna”; f. 619, “Scuole di Rappanel ( Rappavel )*; b. 9, f. 497, “Foglio che
dimostra anche in Summazrio lo stato attivo e passivo, cioè Rendite certe, incerte e le spese di cadauna delle
tre Scuole Laiche di Pirano"; f. 621, “Nota del fedel Ragionato Sr. Antonio Salveni tratta dai Pubb.i Registri
di quanto deve annualmente riscuotere il Coll.° delle Scuole Laiche di Tutta la provincia e delle Somme che
salvo errore di Consiglio rimane in credito il Coll.° stesso”; f. 698, “Scuole di Canfanaro”; f. 721, “Luoghi
Pii di Pirano e del suo Territorio”.
55 IBIDEM, p. 104. Si veda pure A. APOLLONIO, op. cit., p. 107.
56 AST, “Atti amministrativi dell’Istria (A AI), 1797-1813. Fondo confraternite”, b. 164.
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 89
A fine secolo la situazione finanziaria appariva tutto sommato positiva. In
realtà, esaminando le singole aree geografiche, non era del tutto così. A Valle,
ad esempio le scuole non presentavano perdite, le entrate ammontavano a
3564.10 lire, le uscite a 1310 lire; avanzavano 2254 lire impegnate negli
interventi di restauro alle chiese del territorio, ”/a maggior parte ridotte già
indecenti e che minaciano di rouesciare se solecito non ui si presta il ristauro,
al prouedimento di suppeletili, ed arredi sacri de quali molto abbisogna la
Chiesa Matrice”. Così a Dignano: all’epoca i disavanzi della confraternita
servivano alla manutenzione della Chiesa della Beata Vergine del Carmine,
che fungeva provvisoriamente da Parrocchiale, funzione “che cesserà con la
costruzione del nuovo Duomo, per cui non saranno più sufficienti le rendite”**.
Nel territorio di Pola entrate ed uscite si equivalevano, ed all’atto della rendi-
contazione soltanto all’Ospitale risultava esserci in cassa un utile pari a 200
lire. Qui le cause vanno ricercate nel fatto che “diverse scuole possiedono
piante olivarie. Sono dieci e più anni che il raccolto di tale prodotto in queste
parti è scarsissimo con un doppio discapito alle scuole, perdita dell’entrata, e
spesa certa per dover comprare l’oglio per consumo delle lampade. Il prezzo
dell’oglio, che pochi anni sono valeva soldi venti alla Libra, presentemente è
duplicato a lire due alla libra. Anche la cera è molto accresciuta di prezzo.
Ogni Scuola consuma il solito quantitativo di peso di cera, ma molto più del
solito ammonta la spesa, per il suo maggiore importo.- Queste sono le vere
ragioni in forza delle quali le Casse delle scuole sono esauste, senza poter fare
ci vanzi perciò le spese sono sempre uguali all’entrate e alle volte maggiori”.
Scriveva così Tiziano Vareton nel “Reg.to delle Scole Laiche di Pola e Suo
territorio”. Situazione identica a Rovigno, dove quasi tutte le confraternite
possedevano “alcuni pochi olivari sparsi per la Campagna da quali sogliono
ritrare poco oglio per lo più non sufficiente ad illuminar le rispettive chiese in
tutto il corso dell’anno”. A Momiano fra gli anni 1782 e 1788 si continuava
ad incamerare sempre le stesse quantità di olio d’oliva, il cui valore si aggirava
attorno alle 2 lire, toccando il minimo di una lira al cuplenico ed arrivando ad
57 IBIDEM, p. 104. Non è chiaro comunque se l’autore consideri la sola Istria all’epoca ex veneta, 0
faccia riferimento alle confraternite di tutta la penisola.
58 AST, “ AAI 1797-1813. Rendite e spese di confraternite istriane.”, b. 3, f. 398, foglio datato Valle
19 luglio 1797.
59 IBIDEM, [. 36.
60 /BIDEM, ”AAI 1797-1813. Rendite e spese delle confraternite istriane”, b. 3, f. 483-489.
LI) R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
un massimo di 8 lire all’orna’'. In quegli stessi anni tanto il Pio ospitale quanto
le confraternite piranesi indicavano notevoli rendite di olio d’oliva: il valore
delle entrate per una somma complessiva era pari a L. 13757:4. Entrate che,
escludendo il Pio ospitale, venivano annotate sotto la voce delle spese ed il cui
valore corrispondeva a quello della somma riscossa. Le confraternite di Pola,
Momiano e Pirano, appartenevano a territori oleari per eccellenza. Nel XVIII
secolo la produzione olearia istriana, in conseguenza degli eventi climatici
(gelate del 1709, 1715, 1755, 1782 e a cavallo tra il 1788-1789), subì notevoli
flessioni; anni che ci interessano da vicino, ed in conseguenza dei quali disastri
— nel 1794 si ebbe anche l’attacco della mosca olearia —, ci fu di riflesso una
ricaduta negativa sulla situazione finanziaria delle confraternite istriane. Le
confraternite di città risultavano disporre di introiti superiori a quelle di cam-
pagna. A Isola tutte le confraternite presentavano qualche soldo in cassa, e le
entrate dovute agli affitti ed ai livelli erano superiori all’importo delle spese
annue da sostenere. L'andamento agricolo complessivo aveva nel bene e nel
male un peso notevole nella gestione economica delle confraternite. Bastava
una gelata o la siccità per rovinare il raccolto e le entrate delle confraternite,
dei livellari ed affittuari o debitori vari, e di conseguenza le rispettive rendite.
Nell’albonese erano ben poche le Scuole che potevano dimostrare una rendi-
contazione positiva. ”Si noti bene, che colle carità de’ Divoti, e colle Fraterne,
che vengono ascritte di anno in anno alle dette Scuole si viene a coprire il
dippiù della Spesa...Introdotte poi erano da pocchi anni dall’Officio dell’ex
Giud.e deleg.to sudd.o Le Decretazioni da tali Revisori colla contribuzione di
I. 6:-4 per cadauna Scuola, dove oltre spese di Commandatore, di tansatione.
Tali Decretazioni sembrano superflue ed aggravano molto la Cassa delle
Scuole senza bisogno, e questa spesa superflua potrebbe esser diminuita”?
Complessivamente, le entrate ed uscite maggiori si registravano nel Pinguen-
tino con una sola confraternita operante in passivo. Soddisfacente pure lo stato
delle cose nel territorio di Raspo, nonostante fossero venticinque le confrater-
nite con le casse vuote al momento del passaggio d’amministrazione, e dodici
©! IBIDEM, “AA1 1797-1813. Nota estesa di tutte le scuole Laiche ed Ospitali esistenti in questa Città
e Terr.o col calcolo ristretto delle loro annue rendite e spese”, f. 545-558. Il valore del coplenico è pari a 56
kg cfr. D. VISINTIN, “Paesaggio agrario”, cit., p. 603; Z. HERKOV, “K upljenik — stara hrvatska mjera” /Il
coplenico — antica misura croata/, VHARP, vol. XX VI (1971), p. 215-260. Con riferimento alle misure di
capacità momianesi per l’olio d'oliva cfr. D. VISINTIN, "Contributo all'antica metrologia del Buiese“,
ACRSR, vol. XXVIII (1998).
62 R. CIGUI, “Catastici” cir., p.452-466; D. VISINTIN, “Paesaggio agrario”, cir., p. 588-589.
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 91
quelle con entrate inferiori alle uscite. Nel Grisignanese, tutte le associazioni
dimostravano contanti in deposito all’atto del passaggio delle consegne ammi-
nistrative, nove quelle con rendita annua positiva. Non brillava la situazione
delle confraternite umaghesi: le facoltà erano “disposte in perpetuo dalli qualli
i Gastaldi erigono le rendite o i canoni e in Decima de grani et una i livelli
sono ad quinquennium” 3. Generalmente le entrate maggiori venivano riscosse
nella seconda parte dell’anno.
Le entrate erano dovute a beni in natura, elemosine, affitti, livelli, decime
in natura. Con le uscite si sopperiva alla manutenzione degli edifici sacri, alle
sante messe e spese varie per il culto. Si provvedeva a retribuire il predicatore
e gli amministratori, il sagrestano, il campanaro, l’organista, il capitolo, i
“torchieri”, alle decime del clero, all’assistenza ai poveri ed al medico loro
riservato. Si dotavano gli ospedali, il Ragionato revisore ed il Collegio delle
scuole pie di Capodistria. Tutte queste provvidenze amministrative ed onorarie
gravavano le casse delle confraternite, talvolta peggiorando la loro situazione
finanziaria. A proposito del citato Collegio delle scuole pie di Capodistria, anzi
Collegio dei nobili di Capodistria, esso venne fondato nel 1675. Affidato ai PP.
Pieristi fu riservato all'educazione ed istruzione della gioventù istriana, friula-
na e dalmata, nonché di altre nazioni. I mezzi furono garantiti dalla Cassa
Regia, dal Fondaco e dal Monte di Pietà; non bastando questi, si ricorse alla
tassazione di tutte le scuole laiche capodistriane e della provincia. A Grisigna-
na le confraternite disponevano di tre case lasciate con pubblico testamento fin
dal 1646 da tale Arviano a beneficio delle famiglie povere, mentre la capodi-
striana confraternita di S. Antonio Abbate dotava annualmente quattro povere
fanciulle con trenta fiorini circa a testa”.
A fine secolo dunque la situazione non era delle migliori. Quali i motivi?
Proviamo a ipotizzarne qualcuno. C'era una deficienza finanziaria, le rendite
si assottigliavano, vi erano malversazioni e malgoverni da parte degli ammini-
stratori, debiti da riscuotere, taluni affittuari non onoravano i loro obblighi e
s’impossessavano dei fondi delle associazioni. Aumentavano gli obblighi e gli
oneri finanziari, gli edifici di culto da esse amministrati necessitavano di
interventi; si notavano loro proprietà incolte ed in stato di abbandono. I soci
cominciavano a defilarsi. A Buie”molte scuole si ritrovano con uno, due o tre
63 AST, “AAI 1797-1813: Le Scuole della terra di Albona, e delle quattro soggette Parrocchie del
Territorio ascendono al numero di 28”, b. 3, f. 459.
64 AAI, 1797-1813, Scuole di Umago, p. 545-558.
92 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
fratelli e altre addirittura senza confratelli”. Logica conseguenza la fusione di
queste in “dodici al più, toltene le principali della Collegiata, del Santissimo
Sacramento, e del Suffragio, demolindo quelle poche chiese che sono rese per
il tempo e per mancanza d’utile indecenti, e cadenti, ed incapaci d’Officiatu-
re”. Rendite e capitali venivano spesi, sovente, in feste e pranzi, spese queste
vietate dalle Terminazioni venete. Ci sembra di cogliere un atteggiamento di
sfiducia verso queste associazioni che all’epoca manifestavano un’interesse
maggiore verso attività tutt'altro che religiose ed assistenziali.
L'Austria si accorse che le rendite delle Scuole possidenti venivano
consumate nella provvista degli “apprestamenti per il culto‘ o nei lavori delle
terre redditizie, dalle quali si ricavavano notevoli guadagni. Perciò, tutte le
rendite delle Scuole possidenti venivano “insensibilmente consumate senza
costrutto, 0 per pagar il lusso, e l'emulazione, o per mala amministrazione “
per cui si pensava se non sarebbe forse stato meglio che le facoltà fondiarie di
queste scuole venissero incamerate e vendute al pubblico incanto, con l’evi-
dente speranza di ricavare da ciò notevoli somme d'’utile impiego’. Nel 1805,
IR. Capitanato Provinciale dell'Istria, pronunciandosi in merito all’assenza
in Istria di un’istituto “a solievo de’ poveri“, riportava una nota dettagliata
relativa alle Scuole laiche ed alla loro amministrazione. Veniamo così a
conoscenza che ‘“/e Scuole laiche di tutta la Provincia comprese quelle nei
Distretti delle dodeci giurisdizioni private sono complessivamente in numero
di 673”. Di queste, più della metà risultavano essere proprietarie di fondi
agricoli, “ quanto fabriche e Capitoli censuarj”. Le altre, nullatenenti, si
mantenevano in vita solamente con il sostegno dei confratelli e della carità dei
devoti”. Nelle località maggiori, nei centri urbani per intenderci, a capo
dell’amministrazione si trovavano i praticanti le varie arti e mestieri, o espo-
nenti del ceto mercantile, in parole povere i cosiddetti “nuovi ricchi“, le
persone che si erano fatte da sé, e che aspiravano ad un posto al sole nella
gerarchia sociale locale. Diversa la realtà del contado, in cui all’amministra-
zione delle confraternite erano chiamati gli stessi villici, “ignari dal saper
leggere, e scrivere”®.
65 AST, ”AAI 1797-1813. Luoghi Pij...”, b. 3, f. 458; /B/DEM, “I.R. Governo del Litorale. Atti
generali ( 1814-1850 ). All’eccelso Imp. Reg. Governo del Litorale Austriaco residente a Trieste”, b. 696.
96 AST, ” AAI 1795-1813.Rendite e spese delle confraternite istriane “, b. 3, f. 536.
67 IBIDEM, b. 164.
68 /BIDEM, b. 164, f. 339-342.
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 BV
Fu in questa situazione che si arrivò al decreto napoleonico di scioglimen-
to delle confraternite istriane e di incameramento dei rispettivi beni da parte del
Demanio. Si intaccava così una serie di organismi costituenti una fitta rete di
relazioni economiche e sociali che disponevano di capitali ingenti e vaste entità
patrimoniali, le quali assicuravano sostegni economici, ascese sociali e presti-
gio a singole famiglie aderenti. La loro abolizione colpiva tutta questa rete di
interessi tradizionali, ed il malcapitato provvedimento napoleonico genererà
una serie di malcontenti e persino sommosse popolari. A tale stato di cose si
cercherà di ovviare mantenendo in vita o creando ex novo le confraternite del
SS. Sacramento, celebrando con rinnovato vigore le feste religiose e le ricor-
renze ecclesiastiche locali’. L’intento dunque non era di colpire il carattere
culturale tradizionale e religioso locale, bensì di sconvolgere il tessuto tradizio-
nale della società istriana incamerando i capitali ed i beni delle confraternite.
Gli Uffici Demaniali si trovarono allora a dover riscuotere affitti, decime,
livelli, crediti e debiti vari che in precedenza spettavano alla confraternite,
dovendo esigere per legge la riscossione immediata dei capitali concessi in
prestito, per indirizzarli ed investirli al Monte Napoleone di Milano. Per questo
motivo si avranno delle ribellioni, trattandosi di operazioni di mutuo spesso
originate in tempi lontanissimi. Per placare gli animi, si decise la sospensione
del provvedimento”. E nei vani incamerati sapevano ritrovarsi gli appartenenti
alle Società segrete. Così a Capodistria, dove venne ridotto a proposito il locale
della confraternita di S. Antonio Abbate”'.
Lentamente, il ruolo delle confraternite veniva meno, soccombendo così
di fronte al nuovo vento che soffiava dalla Francia, e che smantellava tutto ciò
che apparteneva alla società dell’ antico regime. Ripristinata l’autorità austria-
ca nella penisola i poteri politici locali inviarono alle autorità ecclesiastiche una
serie di questionari con cui si voleva sapere dell’esistenza nelle varie parroc-
chie di Confraternite o Scuole laiche non soppresse, né tantomeno avocate al
Demanio. Queste, come appare chiaramente dal nostro testo, non avevano
alcuna ingerenza diretta nella gestione economico-finanziaria delle confrater-
nite, riservata ai gastaldi, quindi, ed il vescovo Polesini lo sottolinea decisa-
mente: “i! Clero di ogni grado, limitato all’esercizio delle sacre funzioni non
6° 1BIDEM, b. 164, f. 44°.
70 A. APOLLONIO, op. cit., p. 215.
7? IBIDEM, p.215.
d R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
aveva, come non ha ingerenza nella economia delle Chiese, né possede li titoli,
li documenti, e li registri del fattosi impiego delle rendite delle quali si
tratta”. Ciononostante, sia l’alto che il basso clero si impegneranno nell’as-
sicurare qualsiasi notizia utile alle autorità civili in relazione ai quesiti di loro
interesse. Ben poco comunque si riuscì a ricavare con tali questionari. Tra le
soppresse scuole capodistriane, i cui beni vennero incamerati, la confraternita
di S. Antonio Abate si vide incamerare dal Demanio vari proventi livellari ed
i mezzi ricavati dall’affitto di tre case abitate, nonché l’annua rendita di 1000
fiorini. Alla confraternita di S. Nicolò, detta “dei Marineri“ era stato tolto il
ricavato dall’affitto dello squero, vari livelli censuari e l’annua rendita pari a
40 fiorini. Tra affittanze e livelli, il Demanio incassava pure i 120 fiorini annui
spettanti alla Scuola della Beata vergine dei Servi, i proventi livellari della
Scuola di S. Barbara, nonché affitti e livelli della Scuola di S. Andrea Aposto-
lo”?. Delle confraternite di Cittanova, quella della Beata vergine del Rosario
non possedeva alcun immobile; vennero però incamerati i suoi livelli. Passa-
rono al Demanio otto giornate di arativi, olivi compresi, un orto sito in
prossimità della cappella di S. Pietro, un fondo incolto ”in loco detto Carbo-
nera“, appartenenti alle accorpate confraternite di S. Lucia, S. Pietro e S.
Antonio Abate. Identica la sorte dei beni appartenenti all’Ospizio amministrato
dai Padri Predicatori: due orti contigui all'edificio, un campo a fianco della
Chiesa ospitale, altri sette campi fruttiferi, olivati e vitati, un arativo vitato pari
ad una giornata d’aratura, un fondo boschivo ed incolto. Incamerate pure le
rendite ricavate sopra tali beni, edificio escluso, che ammontavano alla somma
di 552 franchi all’anno, ossia 223 fiorini”*. All'epoca l’edificio versava in gravi
condizioni e necessitava di interventi di restauro.
Varie saranno le suppliche con cui i diversi capi contrada locali e le
cittadinanze si rivolgeranno alle autorità austriache per ripristinare le confrater-
nite soppresse, intendendo sia quelle represse con il decreto napoleonico che
quelle discioltesi per mancanza di soci. Tali manifestazioni popolari di fede e di
72 AST, “I. R. Governo del Litorale (1814-1850). Atti generali. All’eccelso Imp. Reg. Governo del
Litorale Austriaco residente a Trieste", b. 696.
73 AST, “LR. Governo del Litorale (1814-1850). Atti generali- Affari di culto”, b.680. Nota del vescovo
di Parenzo Francesco Marchese Polesini: “Rapporto poi alle Congregazioni o Confrateme soppresse” (Isola);
“Quesiti sopra le Congregazioni e Confraterne soppresse” (Capodistria ); “Quadro Indi viduante le Confra-
temite, Loro Beni, Ospizio, Rendite annue di detti beni, natura, ed attuale impiego dell’Ospizio, il tutto di
questo Capo Comune di Cittanova, stato Avocato a’ Demanio sotto i l cessato Governo Francese”, b. 696.
74 AST, "I. R. Govemo (1814-1850). Atti generali. Quesiti sopra le congregazioni e confraterne
soppresse“.
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 95
devozione saranno considerate ancora utili e necessarie alle finalità religiose.
I beni delle confraternite verranno riuniti in un Fondo ed utilizzati dagli
Austriaci per la manutenzione degli edifici di culto, per opere di assistenza e di
beneficenza, per il sostegno dell’istruzione pubblica, per varie necessità socia-
li. Gli immobili verranno venduti, si riscuoteranno i crediti, apportando così
un’utilità pubblica di gran lunga superiore a quella ottenuta nel periodo prece-
dente. Il 31 maggio 1845 l’I.R. Governo del Litorale ordinava lo scioglimento
del Fondo delle confraternite del Litorale, stabilendo che la sostanza fosse
assegnata in parti uguali alle chiese, alle scuole ed ai poveri dei comuni nei
quali in precedenza erano esistite le confraternite. I beni furono presi in
amministrazione dai rappresentanti delle autorità comunali ed ecclesiastiche”.
Spirava un vento nuovo anche nella Monarchia asburgica: con le “Leggi
sull’esonero del suolo“ vennero aboliti, dietro indennizzo, i residui gravami
feudali, si diffondeva e consolidava il capitalismo agrario. Il sentimento reli-
gioso della popolazione non venne meno, sapendosi conservare le cerimonie
religiose tradizionali, accentuando il culto dei Santi Patroni, continuando la
cura e la manutenzione degli edifici di culto gestiti in precedenza dalle confra-
ternite La pluricentenaria stagione delle confraternite, salvo qualche sporadica
eccezione, era giunta al capolinea, conservandosi soltanto la memoria delle
antiche tradizioni religiose da esse gelosamente custodite e passate ai posteri,
dimenticando gli intrecci e gli interessi materiali da esse gestiti per lungo
tempo, diventati successivamente patrimonio di altre istituzioni sociali.
Quanto presentato ci consente di avere almeno un’idea del ruolo e dell’at-
tività assistenziale, religiosa, pubblica ed economico-finanziaria di tali asso-
ciazioni laiche che in taluni periodi storici inglobavano, praticamente, tutta o
quasi la popolazione istriana, controllandone i vari aspetti di vita. Ed, indub-
biamente, fondamentale è stato il loro ruolo nell’ascesa e nell’affermazione
economica e sociale di singole famiglie a livello locale. Inoltre, è stato decisivo
il sostegno dato allo sviluppo sociale ed economico delle singole realtà locali
e dell’area istriana nel suo complesso, talvolta sostituendosi allo stesso potere
politico-amministrativo.
75 IBIDEM, ”L.R. Governo. Atti generali (1814-1850). Fondi di confraternite”: “Quadro Indivi duante
le Confraternite, Loro beni, Ospizio, Rendite annue di detti Beni, natura, ed attuale impiego dell’Ospizio, il
tutto di questo Capo Comune di Cittanova, stato Avocato a’ Demanio sotto il cessato Governo Francese”, b.
696.
% R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Attî, vol XXXI, 2001, p. 75-135
CASTELLI E VILLE DI RASPO
ROZZO
SCUOLA RENDITA SPESA CONSEGNA A
SUCCESSORI
Sn. Bortolamio 529: 18 471: 11 58:7
S.a Lucia 555:2 141:18 -
B.V. del Rosario 148:12 129:1 19:11
SS.mo Sacramento 199:13 86:2 50: -
Sn. Anto Abbe 272. 192: 8 78:14
B.V. Natta 287: 8 224:15 62:13
Sn. Toma 350: 9 ZTS:1 7522
Sn. Mauro 430: - 290:4 80: -
S.a Ellena 74:18 58:3 16:15
Sn. Clemente 121:4 56:8 64:16
Sn. Zuane 83:18 1973 4: 15
Sn. Andrea 37847 232: 7 60: -
Sn. Rocco 23: 15 13:4 10: 11
Sn. Bastian 176: 10 120: 14 IDO
S.a Marina 162:8 118: 16 43: 12
Sn. Zorzi 301: 6 159: 2 60: -
Sn. Pietro 231:7 137: 1 94: 6
Carita’ IZ: 17 84: 10 -
Ospitale 93:5 83:15 9:10
No 19 L. 4486: 19 / 2954: 19 843: 18
R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135
DRAGUCH
S.a Croce 120:3 99:16 4:
SS.Lucia e Catta 73:5 52:16 4:
L’anime del Purgato- 52518 21:15 -
rio
SS. Fabian e Seba- 410:10 254:13 -
stian
Sn. Anto: Abbe 227:14 79:17 14:
Sn. Silvestro 41:15 37:4 4:11
Sn. Eliseo 92:6 56:13 5
Sn. Rocco 69:16 SZ 11:13
B. Vergine 210:13 210:13 -
Sn. Marco 73:4 69:11 -
B.V. Rosario 110:1 78:- 32:-
N.011 1482:- 1013:15 69:5
VERCH
B.Vergine 965:11 948:18 -
SS.o Sacramento 273:18 L59519: -
Sn. Ciriaco 64:- 181:16 -
Sn.Ant.o Abbe 197:2 162:15 S
N.04 1790:11 1449:8 -
COLMO
Sn.Girolamo 424:6 184:16 239:10
Sn. Clemente 268:1 200: 1 68:-
Sn.Anto: Abbe Sil. 49:14 -
Sn. Anto:di Padua 102:- 55:6 30:-
B. Vergine 392:8 182:1 50:-
Sn. Mattio 25:19 252 -
SS.mo Sacramento 126:4 44:3 40:-
Sn. Rocco 48:5 40:4 -
N.08 1438:5 781:7 427:10
I] R. CIGUI - D.
VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Ati, voll XXX], 2001, p. 75-135
SOVIGNACO
B.V. del Rosario 492:8 295:19 228:6
SS.mo Sacramento 275:4 210:10 84:2
Sn. Zorzi 295:12 314:6 -
Sn. Steffano 148:18 96:14 -
S.a Ellena 159:14 173:15 -
N.0 5 1371:16 1091:4 312:8
VILLE DEL CARSO
LANISCHIE
Sn. Cancian 689:14 438:11 24:-
B.V. del Rosario 104:19 104:19 Te
PODGACHIE
SS. Rocco e Ana 117:1 76:6 40:16
Sn. Nicolo’ 152 100:17 -
PRAPORCHIE
S.a Croce 268:2 171:7 120:-
Sn. Anto: di Padua 49:9 61:3 -
RACICUAS
S.a Ellena 63:12 62:13 - |
B. Vergine 4l:- 69:5 - |
SLUM
Sn. Stefano 65:14 65:3 -
| Sn.Mattio 90:2 87:13 - 5
BREST
fissa Trinita” l 562:15 246:18 48:-
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemnite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 9
UENOSCHIACH
| S.a Catterina 27:18 63:15 - |
SOTTO RASPO
| Sn. Nicolo” 199:19 130:6 50:- |
TERSTENICO
S.a Lucia 80:12 128:17 - |
BERGODAZ
Sn. Luca 326:7 196:1 130:6
N.0 15 2762:6 2003:12 420:2
VALLE
SCUOLA ANNUO INTROITO | ANNUA USCITA |N.o CONFRATELLI
SS.mo Sacramento 246:11 94:17 16
S. Mattio 109:9 86:7 -
S. Antonio 224 46:12 10
Chiesa Maggior 390:17 74:1 -
Beato Giuliano 291:14 100:- 10
SS.mo Rosario 81:7 30:10 10
|_B.a Vergine del Carmine 30:12 1355 4
Maddona Piccola 64:12 34:2 2
S. Elia 41:7 19:3 9
S. Elena 34:18 24:18 3
S. Maria Madalena 46:7 38:7 9
S. Martino 29:4 16:10 2
S. Croce 67:19 27:16 |
S. Michiel 19:12 11:- ]
S. Vido 1:16 ueruna Il
S. Nicolo’ di Tolentino 29:9 22:13 2
S. Andrea 24:12 21:19 l
S. Pietro 64:14 34:1 ]
100 R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
S. Benedetto 467:9 104:2 13
S. Antonio Abate 174:11 87: 30
Maddona Grande 340 81:11 9
S. Mauro 263:19 78:8 13
S. Franco: Basilio 208:19 58:14 n)
S. Saluador 126:5 40:16 7
S. Giaccomo 170:6 99:18 -
S. Giorgio 12: ueruna l
S. Geruasio 203:9 62:17 9
In tutte N.0 27 3564:10 1310:1
PINGUENTE
SCUOLA RENDITA SPESA AVVANZO
Chiesa Maggiore 1189:13 1189:13 È
B. V. del Rosario 331:14 320:18 10:16
S. Zuanne 542:18 540:1 Ze1:7
S. Spirito 462:10 392:8 70:2
SS.mo Sacramento 373:4 370:9 2:15
SS.ma Trinita’ 238:1 310:13 -
SS.mi Vito e Biasio 310:19 310:19 -
S. Martino 214:3 192:5 21:18
S. Pietro e Carita’ 538: 247:12 290:8
S. Ulderico e Ognissanti 92:3 92:3 -
S. Donato di 208: 11 158:18 : 49:13
S. Andrea 213:7 185:6 28:1
B.V. di Strana 559:17 536:12 235
Oratorio e S. Alo” 1486:4 1428:12 57:12
Ospitale 40:15 34: 6:15
Summa N.0 15 608 1:19 6310:9 564:2
R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle anfraternite istriane, Atti, voL XXXI 2001, p. 75-135
GRISIGNANA E TERRITORIO
101
SCUOLA ENTRATA USCITA CASSA PNTE
S. Niccolo” 109:15 113:10 53:3:6
B.V. Domo e Bastian 331:13:6 224:-:- 270:14:-
S. Marco 34:13:6 35: 14:8:-
S. Florian 141:3:- 141:14:- 53:2:-
SS.mo 30:16:- 172:8:- 30:4:-
S. Martin 103:13:- 94:-:- 39:18:6
Carita” 156:12:6 226:15:- 56:14:-
SS.Cosmo e Damian 157:12:- 231:7:6 27:6:-
S. Biasio 244:18:- 256:9 265:7
S. Zuanne 32:13:6 3lili- 15:18:6
SS. Vito e Modesto | 103:12:- 88:6:- 47:71:
S. Rocco 58:12:6 57:18:- 29:2:6
Fattoria 166:13:6 155:14:- 61:3:6
Nome di Dio e Rosa- 58:10 110:2:- 33:7:6
rio
S. Zorzi da Villanova 26:18:- 32:14: 2:16:-
SS.mo 12:16:6 Ali -:19:6
Beata Vergine 274:19:- 261:8:6 161:16:-
N.0 17 2045:8:6 2273:6:6 1163:8:6
POLA E TERRITORIO
POLA
SCUOLA RENDITA ANNUA SPESA ANNUA
Un Ospital 981 900:1
Sn. Tomaso 836 836:-
Sn. Steffano 202 202:-
Sn. Ant. Abbate 430 430:-
SS.mo Sacramento 1300 1300:-
Sn. Ant. Da Padoua 497 497:-
B.V. della Carita” 382 382:-
B.V. della Misericordia 402 402:-
102 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni elle confraternite istriane, Att, vol XXXI, 2001, p. 75-135
Sn. Rocco 89 89:-
B.V. del Rosario 608 608:-
Sn. Niccolo’ 60 60:-
N.0 11 5787 5706:1
STIGNAN
Sn. Ant.o0 da Padoua SZI 521:
S.ta Margarita 285 285:-
N.0 2 806 806:-
FASAN
Sn. Zuane 176 176:-
Crocefisso 202 202:-
SS.mo Sacramento 332 332:-
B.V. del Carmine 136 136:-
SS.ti Cosma e Damiano 56 56:-
B.V. del Rosario 1100 1100:-
Sn. Andrea 43 43:-
N.0 7 2045 2045:-
BRIONI
SS.mo Sacramento x 7:-
Sn. Rocco 3 3:-
N.0 2 10 10:-
PEROI
Sn. Girolamo Dl 71
N.0 1 71 71
GALESSAN
Sagrestia 40 40:-
Sn. Ant.o Ab.te 233 233:-
Sn. Rocco 510 510:
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 108
B.V. del Rosario 273 273:
S.ta Croce 96 96:-
Sn. Mauro 105 105:-
B.V. del Carso 57 57:-
N.0 7 1314 1314:-
LAVARIGO
SS.mo Sacramento 80 80:-
S. Fior 376 376:-
N.0 2 456 456:-
MONTICHIO
Sn. Girolamo 48 48:
B.V. di Castagne 141 141:-
N.0 2 189 189:-
ALTURA
Sn. Zuanne 137 137:
Sn. Ant.o da Padoua 252 252:
B.V. del Carmine 46 46:-
B.V. del Rosario 82 82:-
N.0 4 517 517:
MARZANA
Sn. Zuane 156 156:-
SS.mo Sacramento 160 160:-
B.V. del Carmine 330 330:-
Sn. Ant.o da Padoua 309 309:-
SS.ti Pietro e Paolo | ISI 151:
N.0 5 1106 1106:-
104 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle cunfratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
MORMORAN
Sn. Ant.o Abate 182 182:
Sagrestia 221 221:
SS.mo Sacramento 50 50:
Sn. Zuanne 53 53:
Sn. Elia 152 152:
S.ta M.a Madalena 10 10:-
Sn. Michiel 132 132:-
B.V. del Rosario 128 128:-
Sn. Dionisio 35. 35:-
N.09 963 963:-
CARNIZZA
SS.mo Sacramento 353 353:
Sn. Ant.o da Padoua 197 197:
Sn. Pietro 160 160:-
B.V. del Carmine 845 845:
Sn. Rocco 222: 222:
Sn. Teodoro 95 95:
N.0 6 1872 1872:-
CAURAN
Sn. Girolamo 36 36:-
N.0 1 36 36:-
SISSAN
Sagrestia 371 371:
SS.mo Sacramento 552 552:
S.ta Monica 635 635
B.V. del Rosario 392 352:-
N.04 1910 1910:-
R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Am, vol XXX], 2001, p. 75-135
105
LISSIGNAN
Sn. Lorenzo 258 258
Sn. Martino 282 282:
B.V. del Monte 388 388:-
N.0 3 928 928:-
MEDOLIN
B.V. di Piazza 132 132:-
B.V. di Pompignan 172 172:
S.ta Agnese 160 160:-
Sn. Ant.o Ab.te 106 106:-
N.04 570 570:-
POMER
Sn. Niccol’o 360 360:-
SS.mo Sacramento 788 7188:-
B.V. d’ Olmi 533 533:
Sn. Fior 139 139:-
N.0 4 1820 1820:-
PROMONTORE
Sn. Lorenzo 401 401:-
B.V. del Rosario 307 307:
N.0 2 708 708:-
106 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
ALBONA E TERRITORIO
ALBONA
SCUOLA RENDITA ANNUA SPESA ANNUA
Scuola della B. Verg. 1967: c.a. 1870: c.a.
Di Consolazione
Scuola di Sant Andrea 372: c.a. 356: c.a.
Scuola di San Zuanne 381: c.a. 374:c.a.
Scuola di Sant’ Antonio 318: c.a 336: c.a
da Padova
Scuola del SS.mo Sacramento 606: c.a 793: c.a
di g.sta Terra
Scuola di San Giusto 93: c.a 137:c.a
| Scuola del SS.mo Rosario 400: c.a . __540:c.a
Scuola di San Sebastiano 37: c.a 110: c.a
Scuola di San Biaggio 32: c.a 90: c.a
Scuola della B.V. del 67: c.a 90: c.a
| Carmine di q.sta Terra _
Scuola dello Spiritossanto me ca ee 130: c.a
Scuola di San Rocco 37: c.a 110: c.a
Scuola di Sant Agnese 159: c.a 180: c.a
Scuola di San Salvador 80: c.a 120: c.a
Scuola di Sant° Antonio 86: c.a 106: c.a
in Domo
Scuola di San Stefano 142: c.a 18l:c.a
Scuola di Sant’ Angelo 135: c.a 154: c.a
Custode
Scuola di Sant° Antonio 118:c.a 148: c.a
al Monte
SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SAN MARTINO
Scuola della B.V. della Salute 137: c.a 138: c.a
Scuola del SS.mo Sacramen- 100: c.a 157: c.a
to della d.ta Paroch.a
Scuola di San Marco 97: c.a 90: c.a
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Amì, voL XXXL 201, p. 75-135 107
SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SANTA DOMENICA
Scuola della SS.ma Trinita’ 174: c.a 180: c.a
Scuola del SS.mo Sacram.to 118: c.a 150: c.a
di detta Paroch.a
SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SAN LORENZO
Scuola della B. Vergine Nun- 210: c.a 154: c.a
ziata
Scuola del SS.mo Sacram.to 80: c.a 108: c.a
di d.ta Parochia
Scuola di Sant’ Antonio 63: c.a 86: c.a
SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SCHITAZZA
Scuola della B. Vergine del 88: c.a 137: c.a
Carmine
Scuola di Santa Lucia 0: __ I _ 112: c.a
_N.0 28 6204: c.a 7137: c.a
UMAGO E TERRITORIO
Scuole: S. Pelegrin, S. Cattarina, S. Stefano, S. Antonio di Padoua, SS.mo Sacramento, SS.
mo Rosario, S. Michiel, S. Andrea, S. Benedetto, S. Nicolò, S. Bortolamio, S. Stefano di Re-
trovia, S. Zuane Battista, Corpi Santi, S. Lorenzo in Daila, la Beata Vergine di Matterada, S.
Rocco.
Rendite certe 1673:17:6
Rendite incerte 677:8
Spese certe 1002:14
Spese incerte | 947:10
Nella visita di M.r Vescovo ogni tre anni in spesa certa 164:-
In cassa sino li 7 corrente 1500:12
Rendite del Pio Ospitale:
Rendita certa annua 15:-
Simile ad quinquenium l:-
108 R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135
Rendite della Chiesa Parrocchiale Collegiata intitolata a S. Maria Maggior:
Rendita certa annua: 547:17
Simile ad quinquenium 1371:13
Simile incerta dell’ anno 1795
Primo feb.ro sino 31 Gennaro 1796
di ragion Carità 367:11:6
Simile incerta di ragion civanzi delle
Scuole Laiche di q.sta Terra ed in parte
del territorio dello ultimo anno spirato
li 31 G.ro 1797 3173:2
Totale: 2660:5:6
Spese certe 522.11
Simili ogni 3 anni per la visita di
Monsignor Vescovo 96:-
Simili incerte dell’ anno 1795
p.mo feb. sino li 31 Genaro 1797 553:8
Gg »|»;jw
BUIE E TERRITORIO
SCUOLA RENDITA SPESA ANNUA
Chiesa Collegiata Parroc- 3420: c.a 2500: c.a
chiale di S. Servolo della
Terra di RI
Scuola del Suffragio de’ 1036: c.a 900:c.a
morti
Scuola del SS.mo Sacramen- 800: c.a 790: c.a
to nella Collegiata Chiesa
Scuola di San Pietro 190: c.a 80: c.a
Scuola di San Paolo 226: c.a 86: c.a
Scuola di S. Giovanni Batti- 107: c.a 53: c.a
sta
Scuola di San Rocco 28: c.a 2l:c.a
Scuola della B. Vergine del 2257: Csa: 202: c.a
Rosario
Scuola Santa Croce 259: c.a 23l:c.a
Scuola S. Trinità 12l:c.a 78: c.a
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle anfratemite istriane, Atti, vol XXXI 2001, p. 75-135
109
Scuola della B. Vergine del- 1100: c.a 1008: c.a
la Povaz
Scuola San Martino 24l:c.a 143:c.a
Scuola S. Mar gharitta 190: c.a 112:c.a
Scuola San Giacomo 2l:c.a 20: c.a
Scuola San Sebastiano Tl:c.a 64: c.a
Scuola di San Pelegrino 29: c.a 30:c.a
Scuola San Eliseo 228: c.a 16l:c.a
Scuola S. Lucia 82: c.a 58: c.a
Scuola San Pietro 147: c.a 153: c.a
Scuola Santa Maddalena 60: c.a 52:c.a
Scuola S. Andrea 45: c.a 34: c.a
Scuola S. Antonio 157: c.a 133: c.a
Scuola S. Cattarina 122: c.a 70:c.a
Scuola della B. Vergine del- 324: c.a 157: c.a
le Vigne
Scuola San Michiel 90: c.a 84: c.a
Scuola S. Eufemia 73: c.a 56: c.a
Scuola S. Cancian 200: c.a 106: c.a
Scuola S. Maria Madallena 99: c.a 96: c.a
Scuola S. Elena 261: c.a IO 7a
Scuola S. Pelaggio 69: c.a T4: c.a
Scuola della B. Vergine del- T6: c.a 65: c.a
la Gradesca
Scuola S. Stefano di Crasiza 300: c.a 144: c.a
Scuola San Zorzi di Triban 160: c.a 179: c.a
Scuole abbinate del SS.mo 192: c.a 189: c.a
Sacramento
Scuola S. Rocco di Triban 73: c.a 6l:c.a
Scuola San Bortolamio 179: c.a 88: c.a
Scuola San Niccolò 30: c.a 62: c.a
Il Pio Ospitale esistente in 100: c.a 84:c.a
Buje
N.0 38 11.133: c.a 8551: c.a
110 R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135
MONTONA E TERRITORIO
SCUOLE
ENTRATE
SPESE
Scuola della Beata Vergine
delle Porte di Montona
1176:1:6
852:14
Scuola del SS.mo Rosario di
Montona
491:9
402:10
Scuola del SS.mo Sacramen-
to alla quale furono abbinate
quelle della SS.ma Concezio-
ne, S. Rocco, la Carita”, S.
Francesco da Paola.
2928:16
2742:15
Scuola del Pio Ospitale del
Castello di Montona
880:3
17325112
Scuola di S. Ciprian e S.
| Bortolamio del Castello di
Montona
666:11
386:15
Scuola dei SS. Antonio e
Vito del Castello di Montona
276:1
185:5
Scuola della Beata V. di Su-
bente del Castello di Monto-
na
192:18
174:15
Scuola di S.ta Margherita
del Castello di Montona
Scuola di S. Simon e Ognis-
santi di Montona
Scuola delli SS.mi Marco e
Niccolo’ di Montona
Scuola di S. Andrea della
Villa di Caroiba
Scuola di Tutti i Santi della
Villa di Caroiba
221:3
333:9
Scuola della Beata Vergine
di Bado” distretto del territo-
rio di Montona
Scuola di S. Rocco di Raco-
tole
271:
252:18
N.0 19
9156:14
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 11l
DIGNANO E TERRITORIO
SCUOLA ENTRATE USCITE
Scuola del SS.mo Sacramen- 337:6 6990:-
to
SS.mo Rosario 371:1 284:10
S. Lucia 17:6 -
S. Rocco 20:10 28:17
S. Francesco 31:3 21:4
S. Croce 18:- 13:11
S. Giacomo delle Tresiere 38:6 29:4
S. Michiel di Panzago ___39:16 38:2
S. Girolamo 66:16 1952
S. Simon 30:18 15:11
S. Martino 84:3 MOD:
S. Pietro 32:12 26:3
S.ta Domenica 37:17 24:2
S. Giacomo del Monte 19: 19:
S. Querino 200:17 166:6
SS.mo Crocefisso 162:4 158:5
S. Tomaso 19:6 22:14
S. Antonio Abbate 167:5 79:15
B. Vergine della Carita” 240:17 105:18
B. Vergine della Trauersa 247:17 267:7
S. Carlo 50:6 38:12
S. Margarita 7:16 7:16
Scuola di S. Giovanni Batti- 13267 329:-
sta detta volgarmente dei
Battudi in Dignano
Beata Vergine del Carmine 709:7 S71:-
S.Michiel di Bagnole 22:18 212
S. Fosca 119:18 63:15
La B. Vergine di Gosan 54:10 47:
Le n.4 Scuola di Filippano 426:19 370:11
di q.sto territorio
112 R_CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Amii, voL XXXI, 2001, p. 75-135
Un Ospitale il quale non ha
entrata di sorte alcuna
N.0 32 3707:2 2844:11 (1)
1) non compresa la sopra dichiarata somma L. 6990
ROVIGNO E TERRITORIO
SCUOLE RENDITE SPESE
Scuola della B.V. di pieta’, 10.058:9 4200:-
con annessi 2 Ospitali, uno
per gli uomini e |’ altro per
le donne
Scuola della B. V. del Carmi- 506:- 900:-
ne
| Scuola di S. Benedetto 48:6 69:-
Scuola dei S.S. Francesco e 910:6 900:-
Tommaso
Scuola di S. Michiel Arcan- 197:12 200:-
gelo
Scuola di S. Pietro Appostolo 166:- 200:-
Scuola di S. Euffemia di Sa- 120:- 120:-
line
Scuola del SS.mo Sacramen- 3121:12 3000:-
to
Scuola di S. Antonio Abbate 291:13 270:-
Scuola di S. Rocco 120:- 150:-
Scuola di S. Sebastiano 127:16 100:-
Scuola della B.V. del Rosa- 491:7 420:-
rio
Scuola di S. Martino 92:- 100:-
Scuola di S. Cristoforo 26:13:6 30:-
Scuola dell’ Immacolata 139:1 150:-
Concezione
Scuola della Beata Vergine 977:3 927:10
della Torre
Scuola della B.V. della Neve 130:13 124:
Scuola di S. Nicolo” de Mari- 264:4 300:-
nari
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, At, voL XXXI, 2001, p. 75-135
133
Scuola di S. Cipriano
109:-
80:-
Scuola di S. Bortolamio
12:
30:-
Scuola di S. Brigida
90:-
72:-
IN VILLA DI ROVIGNO
sario
Scuola della Beata V. del Ro-
310:-
240:-
Scuola di S. Antonio Abbate
350:-
340:-
Scuola di S. Cecilia
92:-
84:-
to
Scuola del SS.mo Sacramen-
124:-
150:-
N.0 27
18.875:15
13.156:-
CAPODISTRIA E TERRITORIO
CAPODISTRIA
SCUOLE
RENDITE
AGGRAVI
RESTANO
Pio Ospitale di S.
Nazario calcolate in
triennio
13.401:2
13.288:16:6
112:15:6
Sant Antonio Abate
4233:11:6
3839:12:6
393:19:-
Scuole abbinate San-
ta Croce, SS.mo Sa-
cramento, S. Giaco-
mo, S. Sebastiano, S.
Nazario, S. France-
sco e SS.mo Nome
di Giesu”
4043:43
228:9
814:15
Scuola di S. Andrea
753:1:6
799:10:6
- 46:9
Scuola di Santa Ma-
ria Noua e Beata
Vergine dei Servi
1099:17:6
1210:17:6
Scuola di S. Niccolo’
973:12:6
942:15
30:17:6
Scuola di S. Cristofo-
ro e Santa Barbara
940:13
1099:13
-159:-
Scuola della B.V.
della Rottonda
188:15
194:3
N.0 16
25.633:15
24.603:15
1031:6
114 R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istrane, Atti, voL XXXI, 2801, p. 75-135
VILLA DE CANI
Scuola del SS.mo Sa- 619:17 578:- 41:17
cramento
San Sebastiano 162:15 186:10 -23:15
San Rocco 133:8 139:5 - 5:17
Scuola del Comun 194:19 181:14 13:5
Scuola B.V. della 294:6:6 299:9 9256
Concezione
Scuola di S. Leonar- 158:18 153:17 S:l
do
(N07 1564:3 1538:15 26:-:6
VILLA DI OSPO
Scuole di S. Pietro, S. 315:10 341:11:6 -26:1:6
Luca e San Steffano
Scuole di S. Tomaso, 288:19 305:12 - 16:13
S. Rocco, B. Vergine
N.0 6 604:9 647:3:6 40:14:6
VILLA DI MONTE
Scuola della B.V. 130:9 130:9 -
della Concezione
Scuola del SS.mo Sa- 140:17 138:5 Zal2:
cramento e della
B.V. del Rosario
Scuola di Sant” Anto- 135:18 130:7 Dal
nio
Scuola di S. Biasio 175:18 159:12 16:6
N.0 5 583:2 558:13 23:19
VILLA DI CUCIBRECH
Santa Giustina 141:18:6 143:5:6 SZ
N.0 1 141:18:6 143:5:6 - 1:7
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
VILLA DI ANTIGNAN
115
Scuola del SS.mo Sa- 275:11 277:3 - 1:12
cramento abbinata a
quella di S. Michiel
Scuole di S. Biasio e 308:5 319:7 - 11:2
S. Maria Madalenna
| N04. i 583:16 596:10 12:14
VILLA DI CUBERTON
Scuola di San Loren- 321:2 186:16 134:6
zo
N.0 1 321:2 186:16 134:6
VILLA DI GRADIGNA
Scuola di S. Croce 261:17 262:9 -:12
N.0 1 261:17 262:9 -:12
VILLA DI TOPOLOVAZ
Scuola di S. Girola- 256:19:6 258:16: 6- 1:17
mo
N.01 256:19:6 258:16:6 - 1:17
VILLA S. PIETRO DELLA MATTA
Scuola di S. Pietro 187:4 164:19 2255.
N.0 1 187:4 164:19 22:5
VILLA NOVA
Scuola della B.V. 269:18 280:9 - 10:12
del Rosario
N.0 1 269:18 280:9 - 10:12
VILLA DI GRACISCHIE
Scuola di S. Niccolo’ 166:15 172:14 - 5:19
N.0 1 166:15 172:14 - 5:19
116 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istrane, Aftî, voL XXXI, 2001, p. 75-135
VILLA DI GASON
Scuola di S. Pietro 197:10:6 21252 - 14:11:6
N.01 197:10:6 212:2 - 14:11:6
VILLA DI TERSECCO
Santa Re 108:9:6 108:9:6 E
N.0 1 108:9:6 108:9:6 -
VILLA DI PEDENA
Scuola di S. Cattarina 323:1 208:10 114:11
N.01 323:1 208:10 114:11
VILLA DI SORBARO
Scuola di S. Lucia 123:3 1 13:19 9:4
Scuola di S. Sebastia- 1 14:15 1 13:3 1:12
no
N.0 2 237:18 227:2 10:16
VILLA DI FIGARIOLA
Scuole di S.M. Mada- 131:7 152:2 - 20:15
lena e Sant” Antonio
N.0 2 131:7 152:2 - 20:15
VILLA DI DOL
Scuola di S. Zuanne 66:4 66:4 -
N.0 1 66:4 66:4 -
VILLA DI TREBESSE
Scuola di S. Martin 74:16 76:3 - 1:7
N.01 74:16 76:3 - 1:7
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
117
VILLA DIVALMOURASA
Scuola della Beata 238:18 249:-:6 - 10:2:6
Vergine
S. Rocco 62:17 62:18 --i1
Scuola S. Zorzi 72:19:6 73:-:1 - -:1:6
Scuola di S. Pietro 90:10 88:18 1:12
N.04 465:3:6 473:16 8:13
VILLA DI MERISCHIE
Scuola di S. Zuanne 134:6 74:9 59:17
N.0 1 134:6 74:9 59:17
VILLA DI CARCAUZE
Scuole di S. Michiel, 948:19 741:4:6 207:15
San Moro, S. Steffa-
no e SS.mo Sacra-
mento
N.0 4 948:19 741:4:6 207:15
VILLA DI SUANIGRAD
Scuoledi S. Lucia e 222:17 218:1 4:16
S. Steffano
N.0 2 222:17 218:1 4:16
VILLA DIMARESEGO
Scuole di S. Croce, 216:11 221:11 - 5:
Sant’ Antonio e del
SS. Sacramento
Scuole di S. Rocco, 169:1:6 179:3:6 -10:2
SS.ti Giovanni e Pao-
lo e Beata Vergine
N.0 6 385:12:6 400:14:6 - 15:2
118 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
VILLA DI SANT’ ANTONIO
Scuole di S. Rocco e 235:11 202:13 32:18
S. Zuanne
Scuole del SS.mo Sa- 457:6:- 412:10:6 44:15:6
cramento e di Sant”
Antonio
N.0 4 692:17 615:3:6 77:13
VILLA DIRACHITOVICH
Scuola di Santa Cro- 195:12 176:11 19:1
ce
Scuola della Beata 64:6:6 62:2 2:4:6
Vergine
N.0 2 259:18:6 238:13 21:5:6
VILLA DI BOSTE
| Scuola di S. Nazario 190:15:6 201:16 - 11:-:6
Scuola della B. Ver- 99:1 100:12 - 1:11
| gine
N.0 2 199:16:6 302:8 - 11:16
VILLA DI COVEDO
Scuola di S. Florian 297:9 379:16 -82
Scuole della B. Ver- 131:17 113:] 18:16
| gine e S. Sebastiano
Scuola di S. Michiel 135:7 130:1 5:6
N.04 564:13 622:18 58:9
VILLA DI OSCURUS
Scuola di S. Zorzi 91:3 91:6 - -:3
N.0 1 91:3 91:6 - -:3
VILLA DI XADIS
Scuola di S. Martino 331:16 322:18 D
N.0 1 331:16 322:18 9:2
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni «elle confraternite istriane, Atti, voL XXXI 2001, p. 75-135
119
VILLA DI LONCHE
Scuola del SS.mo Sa- 137:6 135:12 1:14
cramento
Scuola della B. Ver- IT9 ST:11 - -:8
| gine
Scuola di S. Cecilia 247:8 205:14 41:14
N.03 441:17 398:17 42:-
VILLA DI GABROVIZZA
Scuola di S. Niccolo’ 119:13 119:10 -:3
N.0 1 119:13 119:10 -:3
VILLA DI BASOVIZZA
Scuola di S. Appolo- 89:6 89:8 - -:2
nio
Scuola della B. Ver- 256:12 251:19:6 4:12:6
gine i
N.0 2 345:18 341:7:6 4:14:6
VILLA DI POPETRA
Scuole della SS.ma 144:11 145:1 - -:10
Trinita’ e di Sant’
Andrea
N.0 2 144:11 145:1 - -:10
VILLA DI POPECHIO
Scuola di S. Rocco 74:2 72:- 2:2
Scuola della B. Ver- 108:17 108:18 -:l
gine
Scuola dei SS.mi 98:8 97:4:6 1:3:6
Giovanni e Paolo
Scuola di Sant’ Elena 179:13 163:17 15:16
N.04 461:- 442:1 19:5
1% R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle cnfratemite strane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
VILLA DI CRISTOGLIA
Scuola di S. Cattarina 99:18 91:14 8:4
Scuola della SS:ma 153:5 127:19 25:6
Trinita”
Scuola di S. Sebastia- 87:3 85:7 1:16
no
Scuola di S. Marina 152:17 157:19 - 5:2
Scuola di S. Marco 60:5 60:- -:5
N.0 5 553:8 522:19 30:9
VILLA DI PAUGNAN
Scuola del SS.mo Sa- 72:16 73:16 l:-
cramento
Scuola della Beata 102:10 102:16 - -:6
Vergine
Scuola di S. Steffano 80:7:6 80:12:6 -:5
Scuola di S. Zorzi 113:10:6 110:10:6 dea
N.04 369:3:6 367:14:6 2:11
VILLA DI COSTABONA
Scuole del SS.mo Sa- 407:14:6 402:16:6 4:18
cramento, Sant’ An-
drea e San Leonardo
Scuola de’ SS.ti Co- 290:5 DITE 12:8
sma e Damiano
N.04 697:19:6 680:13:6 17:6
VILLA DI PUZZOLE
Scuola della Beata 118:2:- 133:3 - 15:1
Vergine
N.0 1 118:2:- 133:3 - 15:1
R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle comfratemnite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
221
VILLA DI STERNA
Scuola di S. Rocco 125:9 116:16 8:13
Scuola di S. Cancian 242:11 207:7 35:4
Scuola di S. Michiel 807:1 822:17 - 15:10
N.0 3 1175:1 1147: 28:7
VILLA DILAZARETTO
Scuola della Beata 309:16 354:18 - 45:2
Vergine
Scuola di Santa Croce 256:14 274:8 - 17:14
Scuola della Beata 127:2:6 148:7 - 21:4:6
Vergine della Ruota
N.0 3 693:12:6 777:13 - 84:-:6
VILLA DI SCOFFIA
Scuola di S. Mattio 125:11 140:17 - 15:6
N.0 1 125:11 140:17 - 15:6
VILLA DI ROSARIOL
Scuole di San Seba- 117:-:6 117:2:- - -:1:6
stiano e San Rocco
Scuola di San Zorzi 86:- 86:6 - -:6
Scuola di San Giaco- 126:3:6 126:10:- - -:6:6
mo
Scuola di San Grego- 132:10:6 132:16:6 - -:6
rio
N.0 5 461:13: 6462:14:6 - -:19:6
VILLA DILAVERA
Scuola di San Valen- 46:11 48:7 - 1:16
tino che fu abbando-
nata nell’ anno 1784
N.01 46:11 48:7 - 1:16
122 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istiane, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 75-135
VILLA DI LUPAR
Scuola di San Zorzi
che fu abbandonata
nel 1787
44:18
44:18
Scuola di San Ruffo
che fu abbandonata
nel 1787
79:6
79:8
N.0 2
124:4
124:6
VILLA DI TRUSCHE
Scuola della Beata
Vergine che fu ab-
bandonata nel 1781
60:16
60:16
N.0 1
60:16
60:16
CITTANOVA E TERRITORIO
CITTANOVA
Scuola del SS.mo Sacramen-
to
1100:-
1000:- c.a
Scuola di S. Pietro
188:-
235:
Scuola della Beata Vergine
del Rosario
205:-
179:-
Scuola di S.ta Lucia, S. An-
tonio da Padoua e S. Carlo
di Cittanoua
410:4
270:- c.a
N.0 6
1903:4
1684:- c.a
SCUOLE DELLA VILLA DI TORRE GIURISDIZIONE DI CITTANOVA
Scuola di S. Rocco di Torre
81:18:6
63:-
Scuola della Beata Vergine
del Carmine de Torre
218:- c.a
163:- c.a
Scuola di S. Martino
250:-
210:- c.a
Scuola di S. Croce
100:- c.a
71:- c.a
Scuola di S. Pietro
180:15
66:9 c.a
Scuola di S. Donato
25:6
28:10 c.a
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle cunfratemite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135
123
Scuola del SS.mo Sacramen- 260:- c.a 260:- c.a
to
N.0 8 1115:19 867:19
SCUOLE DELLA VILLA DI VERTENEGLIO GIURISDIZIONE DI CITTANOVA
Scuola di San Rocco 70:6 70:- c.a
Scuola di San Zenon È 415:15 426:-
Scuola di Sant’ Antonio 114:15 117:- c.a
Scuola del Nome di Dio 100:- c.a lll:-c.a
Scuola di Santo Spirito 55:10 - 63:- c.a
Scuola dei Santi Ermagora e 45:- c.a 44:-c.a
Fortunato _
Scuola di San Giovanni Bat- 52:17 c.a 47:- c.a
tista L
Scuola della Beata Vergine 83:15 c.a 84:- c.a
di Nogaredo
Scuola della Beata Vergine 123:- 133:- c.a
del Rosario
N.09 1060:18 1095:- c.a
MUGGIA E TERRITORIO
MUGGIA
SCUOLA ENTRATA CERTA | ENTRATA INCERTA ANNUA SPESA
ANNUA ANNUA ORDINARIA
Scola Beata Vergine 640:5 200: c.a 700: c.a
della Carita’
Scola SS.ti Giovanni 290:3 100: c.a 400: c.a
e Paolo
Scola Beata Vergine 223:5 200: c.a 400: c.a
del Rosario
Scola SS.mo Sacra- 274:6 274: c.a 600: c.a
mento
Scola SS.mo Croce- 247:18 122: c.a 300: c.a
fisso
Scola Beata Vergine 220:3 14:c.a 200: c.a
della Concessione
Scola S.n Francesco 108:10 30:10 120: c.a
124 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI 2001, p. 75-135
SCOLE TERRITORIO
Scola Ogni Santi 137:3 42: 170: c.a
Scola S.n Rocco 102:16 12:- 115:c.a
Scola S.ma Lucia di 83:1 45: c.a 100: c.a
Plavia
Scola S.n Bortola- 62:6 19:4 80: c.a
mio di Caretana
Scola S.ta Catarina 304:10 51:143 Ti c.a
Scola S.n Ruffo 242.11 48: c.a 183: c.a
Scola S.n Sebastian 23:4 - 24: c.a
Scola Beata Vergine l'I5:5 2 120: c.a
di Muggia Vecchia
Scola di S.n Giaco- 55:17 - 56: c.a
mo
Scola S.n Michiel 61:2 - 59: c.a
Scola S.ta Fosca 4:12 - Si c.a
Scola S.n Andrea 9:10 - 10: c.a
Scola S.n Nicolo” 8:12 - 9: c.a
Scola S.ta Brigida 26:10 - 217: c.a
Scola S.n Bortola- 27:10 - 27: c.a
mio di Valle
N.0 22 3268:10 1158:8 3742:-
R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
125
PARENZO E TERRITORIO
SCUOLA RENDITE ANNUE SPESE ANNUE
Ospitale de Poueri 1933:8 1824:-
Chiesa Cattedrale e Scuola 977:- 955:14
di Sant’ Antonio Abbate
Scuola SS.mo Sacramento 484:3 1380:8
che ha annesse le Scuole del-
li SS: Catarina e Sebbastiano
nella Chiesa Cattedrale
Scuola del SS.mo Rosario 126:- 413:14
nella Chiesa Cattedrale
Scuole de SS: Francesco e 377:6 363:2
Girolamo nella Chiesa de Pa-
dri Francescani de Minori
Conventuali
Scuola di S. Michiel della 125:3 132:6
Villa di Monghebbo
Scuola di S. Nicolo” di Mon- 116:3 100:8
salege
Scuola della B.V. del Rosa- 221:16 127:18
rio di Dracevaz
Scuola di S. Rocco di Fosco- 391:1 320:2
lino che ha annessa la Scuo-
la di Sant’ Anna
Scuola della B.V. del Carmi- 264:2 144:6
ne di Foscolino
Scuola di S. Michiel della 344:- 301:18
Villa di Fratta
Scuola de SS.mi Pietro e 341:1:6 207:18
Paolo della Parrocchiale di
Sbandati
Scuola della B. V. del Carmi- 165:- 99:6
ne di Sbandati
Scuola del SS.mo di Abrega 87:- 79:14
Scuola di Sant” Antonio Ab- 165:10 104:4
bate della Villa di Abrega
Scuola della B.V. degl’ An- 206:12 183:18
geli della Parrocchiale di
Abrega
126 R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Am, vol XXXI, 2001, p. 75-135
Scuola di S. Girolamo della 190:14:6 119:18
Chiesa Parrocchiale di Villa-
nova
Scuola della B.V. del Carmi- 175:18 174:18
ne di Villanova
Scuola di S. Rocco della Par- 17551 170:18
rocchiale di Villanova
Scuola di Sant’ Antonio Ab- PIET 81:1
bate di Villanova
Scuola del SS.mo della Par- 1269:12 123:15
rocchiale di Villanova
N.0 24 8214:6 7409:6
Vi e’ poi la Confraternita del Sufraggio e quella di S. Nicolo” de Marinari che si mantengono
con la semplice carita’ de Confratelli. Il Capitale che rimane viene investito nel ripristino e
rinnovo delle chiese.
PORTOLE
SCUOLE ENTRATE SPESA ANNUA
SS.mo Sacramento 300:15 280:9
San Zorzi 200<<.- 187:-
Santa Cecilia 354:19 300:-
San Leonardo 117:3 106:8
San Rocco 320:11 300:-
San Grisogono 124:6 108:2
Spirito Santo 111:9 107:-
Sant’ Antonio da Padova 183:- 114:]
Madona Noua 205:- 160:-
SS.mo Rosario 120:- 104:10
Santa Lucia 121:12 100:19
B.V. degli Angeli 107:- 92:8
N.0 12 2265:15 1960:17
R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 127
SAN LORENZO DEL PASENATICO
SCUOLE RENDITE ANNUE SPESE ANNUE
Scuola Veneranda procuratia 1708:16 1600:-
con annesse 16 scuole
Scuola Beata Vergine e 391:- 340:
SS.mo Rosario
Scuola detta S. Lucia 374:12 c.a 297: c.a
Scuola di S. Leonardo 497: 273: c.a
N.0 21 2971:8 2510:-
MOMPADERNO
Scuola Beata Vergine della- 221:1 220:- c.a
Mad.na Grande
Scuola B. Vergine SS.mo 228:9 210:-
Rosario
Scuola SS.mo Sacramento 264:14 450:- c.a
Scuola di S.to Antonio 466:- 500:- c.a
di Padoua
Scuola S.n Silvestro 328: 370:- c.a
N.0 5 1508:4 1750:-
ORSERA
ANNO ENTRATE USCITE STATO DI CASSA
1794-1795-1796 18.532:11 16.296:10 2236
TOTALE 18.532:11 16.296:10 2236
VISIGNANO
SCUOLE ENTRATE SPESE
Scuola di Santa Maria Mad- 145:5 122:11
dalena
Scuola di Sant' Elena 401:3 266:18
Scuola di S.n Francesco 110:12 126:-
Scuola di St. Antonio Abbate 192:15 21572
Scuola di Sn. Rocco 139:7 119:7
Scuola di Sn. Maurizio 259:6 204:15
18 R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135
Scuola del SS.mo Sacramen- 186:8 17353
to
Scuola del SS.mo Rosario 369:12 349:4
N.0 8 1804:8 1577:-
MONDELLEBOTTE
Scuola di Sn. Giacomo 187:4 132:18
Scuola di Sn. Zorzi 292:12 158:6
Scuola del SS.mo Sacramento 102:8 87:
Scuola della Beata Vergine 186:13 177:
di Mondellebotte
N.04 768:17 555:4
SAN MICHELE SOTTO TERRA
Scuola di Sn. Michiel Sotto 461:2 324:1
Terra
N.0 1 461:2 324:1
VILLA DI BERCAZ (DISTRETTO DI MONTONA)
Scuola del SS.mo Sacramen- 65:1 62:14
to
Scuola di S. Pangracio by: = iL 108:7
N.0 2 202:8 171:1
SANTA DOMENICA
Scuola del SS.mo Sacramen- 282:2 307:6
to
Scuola della SS.ma Trinita” 143:12 122:3
Scuola di San Zuane 198:18 176:8
Scuola di Sant’ Antonio 262:15 208:6
N.04 887:7 814:3
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istnane, Ati, vol XXX), 2001, p. 75-135
129
ZUMESCO
Scuola di Sn. Michiel di Zu- 336:2 434:16
mesco
N.0 1 336:2 434:16
CALDIER
Scuola di Sn. Giovanni Batti- 360:16 937:5
sta
Scuola del SS.mo Sacramen- 385:16 479:-
to abbinata a quella della
SS.ma Trinita’
_N.03 n 746:12- 1016:5_ B
NOVACO
Scuola di Santa Marina 553:9 933:14
Scuola di San Rocco 299:17 453:12
N.0 2 853:6 1387:6
MONTREO
Scuola di Sn. Rocco 269:17 _399:14.
N.01 269:17 399:14
SAN VIDAL (DISTRETTO DI MONTONA)
Scuola del SS.mo Sacramen- 196:9 173:18
to
N.0 1 196:9 173:18
CONTRADA CERION (DISTRETTO DI MONTONA)
Scuola di S. Mattio | 102:19 127:8-
N.0 1 | 102:19 127:8
130 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135
SAN ZUANNE DI STERNA
Scuola di Sn. Giovanni Batti- 104:4 190:4
sta
Scuola della Beata Vergine 82:15 156:16
del Carmine
Scuola del SS.mo Sacramen- 80:7 155:16
to
N.03 267:6 502:16
RAPPAVEL
Scuola di Sn. Spirito 193:18 195:9
N.0 1 193:18 195:9
PIRANO
SCUOLE RENDITE SPESE
Pio Ospitale di Pirano 1115:8 1115:8
Scuola di San Zorzi 853:1 853:1
Arciconfraternita del SS.mo 5624:3 5624:3
Sacramento
N.0 3 7592:12 7592:12
Rendite olio delle tre scuole: 13.757:4
ISOLA
NUMERO DI NOMI DE PREZZI DI SPESE ANNUE | IMPORTO DE
SCOLE GASTALDI AFFITTI E BENI STABILI
LIVELLI
SS.mo Sagra- Bortolo Pugliese 1688:10:6 1540:10:6 7509:4
mento
Santo Donato Dom. co Civran 276:5 128:10 2414:17
Beata V.e de Zuanne Felluga 481:13 266:15 4977:10
Battudi
Santo Andrea Antonio 140:- 139:18 900:-
Benvenuti
Santo Giuseppe | Zuanne d’ 355:10 123:5 3279:-
Udene
Cameraria Mattio Lessi e 727:2 699:9 3827:-
Zne Russignan
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135
131
SS.mo Nome di | Pietro Bettoso 170:10 145:9 2055:-
Dio
Santo Mauro Pietro de Lise 224:13 176:15 2366:-
Santo Giovanni | Marco Vascotto 123:- 159:8 875:
Beata Vergine Francesca 286:11 156:15 2951:
di Alieto Lorenzuti
Santo Michaele | Vincenzo Chico 171:19 119:2 1617:-
Santo Rocco Marco dell’ 286:6 106:4 2812:10
Hore
Beata Vergine Marco Trojan 108:13 96:19 1785:-
del Carmine
Beata Vergine | Gasparo 138:- 119:13 2000:-
del Rosario d’ Udene
S.aM.a Giacomo 52:4:6 45:13 582:
Elisabetta Bologna
S.o Ant.o Giacomo 200:5 191:15 3467:16
Abbatte Crevatin
N.0 16 5431:2 4215:4:6 43.418:17
Nota del fedel Ragionato Sr. Antonio Salveni tratta dai Pubb.i Registri di quanto deve annual-
mente riscuotere il Coll.o dalle Scuole Laiche di tutta la Provincia e delle somme che salvo
errore di Conteggio rimane in Credito il Coll.o stesso
SCUOLE ANNUA TASSA CREDITO TOTALE
Scuole di Capodistria e terri- 485:1 8654:3
torio
d.te del Marchesato di Pietra 158:2 8112:14
Pelosa
d.te di Pola e territorio 258:5 258:5
d.te di Filipan Villa di Digna- 11:9 25:6
no = le
d.te di Albonae territorio 1279 | 3066:8
d.te di Fianona 33:2 145:6
d..te di Valle 32:18 -
d.te di Parenzo e territorio 87: 1020:11
d.te di S. Lorenzo del Pase- 18:12 1413:3
natico
d.te di Umago e territorio 19:13 20:13
132 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135
d.te de Due Castelli e territo- 47:17 -
rio
d.te di Citta’ Nuova e territo- 15:16 271:1
rio
d.te di Montona e territorio 350:- 3990: 11
d.te di Buje e territorio 56:3 62:19
d.te di Grisignana e territorio |_ 49:17 Les
d.te di Portole e territorio 77:15 331:7
d.te di Muggia e territorio 124:46 187:12
d.te di Isola e territorio 58:18 423:
SOMMA 2015:2 32.983:3
RENDITE E SPESE DELLE SCUOLE LAICHE DELL’ ISTRIA ALLA
FINE DEL ‘ 700
LOCALITA’ NUMERO DELLE RENDITA SPESA
SCUOLE
Castelli e Ville 47 10.569:11 7290:13
di Raspo
Ville del Carso 15 2762:6 2003:12
Valle 27 3564:10 1310:1
Pinguente L 15 608 1:19 6310:9
Grisignana e territorio 17 2045:8:6 2273:6:6
Pola e territorio 76 21.108 21.022:1
Albona e territorio 28 6204: c.a 7137:c.a
Umago e territorio 19 2915:2:6 3472:15
Buie e territorio 38 11.133 8551:c.a
Montona e territorio 19 9156:14 7492:2
Dignano e territorio 32 3707:2 2844:1]
Rovigno e territorio 27 18.875:15 _____13.156:-
| Capodistria e territorio | _—127 41.949:4:6 40.479:4:6
Cittanova e territorio 23 4080:1 3646:19
Muggia e territorio 22 4426:18 3742:-
Parenzo e territorio 26 8214:6 7409:6
Portole 12: 2265:15 1960:17
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135
133
S. Lorenzo del Pase- 21 2971:8 2510:
| natico
Mompaderno 5 1508:4 1750:-
Visignano 8 1804:8 1577:-
Mondellebotte 4 768:17 555:4
S. Michele sotto Terra ] 461:2 324:1
Villa di Bercaz 2 202:8 171:1
Santa Domenica 4 887:7 814:3
Zumesco I 336:2 434:16
Caldier 3 746:12 1016:5
Novaco 2 853:6 1387:6
Montreo I 269:17 399:14
San Vidal ] 196:9 173:18
Contrada Cerion I 102:19 127:8
San Zuanne di Sterna 3 267:6 502:16
Rappanel Di 193:18 195:9
Orsera I 18.532:11 16.296 :10
Pirano 3 7592:12 7592:12
Isola 16 5431:2 4215:4:6
SOMMA 648 202.185:19 180.145:5
134 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Att, voL XXXI, 2001, p. 75-135
SAZETAK: EKONOMSKO-IMOVINSKO STANJE ISTARSKIH BRA-
TOVSTINA U GODINAMA NEPOSREDNO PRIJE PADA MLE-
TACKE REPUBLIKE - Autori eseja o ekonomsko-imovinskom stanju
istarskih laiékih bratovstina u godinama koje su prethodile padu
Mletatke Republike (1797.g.) ukratko predstavljaju kroniku ©
fraternitates, societates, regulae i compagnie koje su postojale u Istri
veé od srednjeg vijeka, da bi zatim dublje analizirali njihove
normativne i statutarne akte, a narocito njihovu imovinu, posjede,
prihode i troskove.
Osim toga, dodatak sadrZi veoma opSirnu tablicu s podacima o
prihodima i rashodima dak 648 istarskih bratov$tina.
Prikaz koji nam autori predstavijaju ukazuje na ulogu i skrbniéke,
vjerske, javne i ekonomsko-financijske djelatnosti navedenih laiékih
udruga koje su u odredenim povijesnim razdobljima praktiéno
obuhvafale svo ili gotovo svo stanovnistvo Istre te utjecale na razne
Zivotne aspekte. A nesumnjivo, imale su vaZnu ulogu u usponu i
ekonomskoj i drustvenoj afirmaciji pojedinih obitelji na lokalnoj
razini. Povrh toga, od presudne vaZnosti je bila i potpora koju su
dale drustvenom i ekonomskom razvoju pojedinih mjesnih i opéenito
istarskih zajednica, katkad zamijenjujuéi politiétko-upravne vasti.
POVZETEK: GOSPODARSKO IN PREMOZENISKO STANJE ISTR-
SKIH BRATOVSCIN OB RAZPADU BENESKE REBUPLIKE - V
eseju o gospodarskih in premoZenjskih razmerah istrskih bratov$éin
v letih pred propadom Beneske republike (1797), sta avtorja zadrtala
krajje porocilo o raznih fraternitates, societates, regulae in compagnie,
ki so bile ustanovIjene v Istri od srednjega veka dalje. Podrobneje
sta raziskala akte zakonskega in statutnega znadaja in zlasti njihova
premoZenja, posesti, rente in stroSke.
V dostavku je poleg tega tudi obSirna preglednica s podatki, ki
zadevajo rento in odnosne stros$ke preko 648 istrskih bratov$éèin.
Slika, ki jo predstavljata avtorja, pojasnjuje vlogo in obenem
skrbstveno, versko, javno, gospodarsko in finanèéno dejavnost teh
posvetnih ustanov. Te so v doloéenih’ zgodovinskih trenutkih
vkljutevale v bistvu celotno ali skoraj celotno istrsko prebivalstvo in
so nadzorovale razne vidike Zivljenja. Nedvomnega pomena je bila
njihova vloga pri vzponu in pri gospodarski ter druZbeni uveljavitvi
R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istrane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 135
posameznih druzin na krajevni ravni. Poleg tega je bila njihova
podpora druZbenemu in gospodarskemu razvoju krajevnih stvarnosti
in celotnega istrskega obmoéja bistvena, sa] so véasih nadomebéale
celo politiéno in upravno oblast.
SPUNTI DALLA CRONACA DI GHERDOSELLA,
CASTELVERDE (GRDOSELO)
(CONTADO DI PISINO, 1680-1705)
EGIDIO IVETIC CDU 282+94(497.5Gherdosella)” 1680/1705”
Centro di ricerche storiche Saggio scientifico originale
Rovigno Gennaio, 2002
Riassunto — Una cronaca, composta sullo scorcio del Seicento dal sacerdote Vincenzo Picot
relativa alla chiesa e ai beni parrocchiali di Gherdosella, Castelverde (Grdoselo) nel contado
pisinese, ci permette di riflettere sull’ottica materiale, culturale e sociale di un parroco intrapren-
dente: un tratto minore ma non marginale dell’antico regime nell’Istria arciducale.
La cosiddetta dicotomia politica dell’antico regime istriano (Istria vene-
ta/Istria arciducale tra XVI e XVIII secolo) di fatto si riflette sul piano
storiografico evidenziando a fronte di una costante crescita di studi per la parte
veneta della penisola lo stallo ormai decennale nelle ricerche sui territori
asburgici, l’insieme di domini che per consuetudine — ma impropriamente —
viene chiamato contea di Pisino". Se con Eva Faber edi suoi lavori sul Litorale
austriaco e sull’amministrazione delle parti adriatiche della Casa d’Austria nel
Settecento si sono segnati importanti passi in avanti nella comprensione del
significato che ebbero tali domini istriani per la corte viennese”, un’indagine
con l’ambizione di affrontare gli aspetti della società dell'Istria centrale arci-
ducale non è mai partita, per quanto ci sarebbero parecchie fonti reperibili in
regione, presso l’archivio di Stato di Pisino, e spunti da confrontare con l’Istria
veneta”. Intanto, il livello di conoscenza riguardo le due Istrie appare decisa-
! Sulla questione vedi E. IVETIC, L'/stria moderna. Un'introduzione ai secoli XVI-XVIII, Trieste-Ro-
vigno, 1999 (Collana degli Atti, n. 15), p. 15-61 e 145-177.
2 E FABER, Litorale austriaco. Das òsterreichische und kroatische Kistenland 1700-1780, Tron-
dheim — Graz, 1995; ID., “Vom Schikssalverlauf einer Grenzregion in der Neuzeit am Beispiel Istriens”,
Carinthia, 187 (1997), p. 283-317.
3 Un punto di riferimento insostituibile per la storia dei domini asburgici in Istria rimane Camillo DE
138 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdesella, Castelverde, Atti, voL XXXI, 2001, p. 137-153
mente sbilanciato sul versante veneto, vista la ricorrenza di fonti pubblicate e
di indagini che privilegiano i comuni marittimi, la feudalità in ambito veneto,
le comunità di coloni gestiti da magistrature venete*.
Con questo breve contributo si vuole andare contro tale tendenza. Un
tassello utile per comprendere la comunità rurale e la figura del parroco nei
territori arciducali ci viene da una cronaca di fine Seicento relativa al villaggio
di Gherdosella, Castelverde (Grdoselo), località posta a circa sei chilometri a
nord di Pisino, signoria a sé (dall’esiguo territorio), almeno nominalmente, nel
sistema dei domini istriani degli Asburgo, benché del castello medievale (sede
signorile tra XIII e XV sec.) avesse conservato unicamente il nome?. La
cronaca — più che altro una memoria — è stata scritta dal parroco Vincenzo Picot
tra il 1688 ed il 1705 e poi aggiornata in alcuni aspetti dai suoi successori nel
corso del Settecento. Sembra una di quelle testimonianze che giungono “dal
basso”, dal mondo dei contadini (ai quali si accenna ampiamente), ma in verità
è il prodotto di un ceto ben definito, il clero secolare, e della cultura che
esprimeva. Oggetto della memoria sono la vicenda della costruzione della
nuova sede parrocchiale nel 1680 e la consistenza dei beni del parroco Picot e
della relativa mansionaria nel 1702-05 e nei decenni seguenti. Il documento
originale si trova nell’archivio parrocchiale di Gherdosella, con la dicitura
Quaderno della Madonna di Salute ed è stato pubblicato da Branko Fuéié noto
studioso delle iscrizioni glagolitiche, appunto con denominazione cronaca
(kronika), nel Vjesnik Istarskog Arhiva del 19949.
La cronaca si apre con la narrazione molto dettagliata di come nel 1680
l’allora cappellano Vincenzo Picot fosse riuscito a convincere lo zuppano del
villaggio Giovanni Mogorovich a far costruire una nuova chiesa parrocchiale,
la Madonna della Salute, dentro il villaggio di Gherdosella; l’edificio rendeva
più pratico il culto quotidiano e settimanale nella comunità, in quanto la
vecchia e tradizionale sede di San Giacomo si trovava a quasi due chilometri
di distanza, presso il sito di Gherdosella castello, insediamento abbandonato
agli inizi del Cinquecento. In seguito il Picot racconta come da cappellano
FRANCESCHI, “Storia documentata della contea di Pisino”, Atti e Memorie della Società Istriana di
archeologia e Storia Patria”, Venezia, n. s., vol. XI-XII ( 1963).
4 La bibliografia è ormai imponente, benché frastagliata.
5 Sulla formazione delle signorie nel Pisinese cfr. DE FRANCESCHI, op. cit., p. 35-42. Su Gherdo-
sella cfr. IBIDEM, p. 245-246.
© B. FUCIC, “Grdoselska kronika” [Cronaca di Gherdosella], Vjesnik Istarskog Arhiva (=VIA)
[Bollettino dell’ Archivio istriano/ , Pisino, n. 2-3 (1992-93), p. 137-164.
E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Ati, vol XXXI, 2001, p. 137-153 139
giunse a diventare parroco di Gherdosella e di come abbia edificato con mezzi
propri la canonica. Una seconda parte della cronaca è stata compilata da
Girolamo de Zorzi, uno dei successori del Picot, il quale ripercorre la realizza-
zione e lo sviluppo della mansionaria ovvero del beneficio Picot lasciato in
eredità ai parroci di Gherdosella. La terza parte riguarda il testamento di
Vincenzo Picot steso nel 1702 e corretto nel 1705 e tratta dei beni materiali e
delle disposizioni per ricordarlo con celebrazioni religiose. Una quarta parte,
scritta nel 1774 (con note del 1796), fa il punto sullo stato del lascito di
derivazione Picot”.
Branko Futié rimase colpito dall’immediatezza della struttura narrativa
nella prima sezione dello scritto®. In effetti, il parroco Picot traccia ricordi ben
precisi e per qualche pagina la storia della costruzione della chiesa nuova si
anima di personaggi e fatti che hanno come sfondo la comunità del villaggio.
Il testamento del Picot e le note dei suoi successori presentano invece gli
interessi materiali dell’individuo Picot nel villaggio. Il documento ci appare
interessante per due aspetti:
a) la percezione della comunità di villaggio all’interno dell’orizzonte
individuale e soprattutto culturale del parroco (in questo caso il parroco Picot),
tenendo conto che si trattava di una di quelle comunità slave-croate dell’Istria
arciducale finora poco analizzate dalla ricerca;
b) il parroco di per sé, con la sua base economica e la sua cultura.
Lo sfondo ovviamente è l’Istria arciducale, il contado pisinese a cavallo
del Sei-Settecento.
? In sostanza, la struttura del documento è la seguente:
I. Parte scritta da Vincenzo Picot (p. 14):
a)racconto della costruzione e fondazione della chiesa Madonna della Salute a Gherdosella nel 1680
su iniziativa di Vincenzo Picot (p. 1-10).
b)racconto dell’incarico di parroco a Gherdosella e della costruzione della casa parrocchiale (pp.
10-13).
2. Parte scritta da Girolamo de Zorzi nel 1732 (p. 14-22) riguardante la parrocchia di Gherdosella tra
Sei e Settecento ed i beni della mansionaria Picot.
3. Testamento di Vincenzo Picot del 1702-05 (p. 22-30).
4. Nota del 1774 di Giacomo Antonio Blazinich (rivista nel 1796 da Giuseppe Facchinetti), sui beni
della mansionaria Picot (pp. 31-44, mancano pp. 34-39). Cfr. /BIDEM, p. 143-163.
8 IBIDEM, p. 137-142.
140 E IVETIC Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, vol XXXI, 2001, p. 137-153
I parrocchiani
Nel racconto del Picot relativo alla chiesa emerge la figura di Giovanni
Mogorovich, zuppano di Gherdosella, l’uomo più facoltoso della comunità, il
quale non avendo altri eredi che una figlia, Lucia, andata in sposa a Giovanni
Misson, appartenente ad altra benestante famiglia del paese o della zona
(contrada Missoni, presso Ceresgnevizza/ Cerisnjevica), decise di disporre ad
pias causas parte dei suoi beni per erigere un nuovo altare nella chiesa
parrocchiale di san Giacomo. Siamo nel 1680 e Vincenzo Picot non è altro che
un cappellano alle dipendenze di Valerio Ivich, parroco di Gherdosella, ma è
già tanto intraprendente da convincere lo zuppano a fare un’opera più impor-
tante e cioè costruire una nuova chiesa parrocchiale dentro il villaggio.
Gherdosella, in quanto villaggio, era un insediamento di recente origine:
vi si erano stabiliti vecchi e nuovi abitanti a partire dalla prima metà del
Cinquecento (in località chiamata Brdo); come detto, dista un paio di chilome-
tri dal castello medievale, da cui traeva nome, castello completamente abban-
donato e in rovina nel 1680 se non per la chiesa di San Giacomo, alla quale
giornalmente si spostavano lungo un percorso tortuoso i villici ed il cappellano
per le funzioni religiose. Altre due chiese minori della comunità, San Giovanni
Battista e Sant’ Anna, si trovavano anch’esse presso il vecchio borgo nella valle
del Bottenega”. Un altare nuovo nella lontana e poco pratica chiesa non aveva
senso per il Picot; infatti (lo veniamo a sapere dalla visita pastorale del 1658)
accanto all’altare maggiore, della comunità (comun), c'erano già altri tre altari
consacrati, di San Nicolò, di San Rocco e di Sant’ Antonio nonché uno sconsa-
crato, del Corpus Domini, ai quali facevano riferimento le omonime confrater-
nite'°. Lo stato degli altari e in genere della chiesa era pessimo attorno al 1660,
e ciò invogliava ben poco il parroco lvich a risiedere in parrocchia, di cui si
lamentavano i villici". Il villaggio aveva quindi sei confraternite'? su una
? Di esse oggi rimangono solo rovine coperte da rovi. Cfr. /BIDEM, p. 139.
!0 A. MICULIAN, “La visita generale del vescovo di Parenzo Giovanbattista Del Giudice nel contado
di Pisino — 1658”, Arti del Centro di ricerche storiche, Trieste-Rovigno”, vol. XXX (2000), p. 645-646.
!! JBIDEM, p. 685-686.
la Confraternite a Gherdosella nel secondo Seicento (rilevato nel 1658):
Confraternita Sito Entrate — si Ì I
San Giovanni Battista Chiesa omonima Scuola povera
Sant'Anna E Chiesa omonima î 20 ducati pena = |
San Nicolò Altare della chiesa parrocchiale | Scuola povera
E IVETTC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atî, voL XXXI 2001, p. 137-153 141
popolazione da stimare tra le 100 e le 150 anime, ovvero si attesta anche qui
quell’alta concentrazione in fatto di organizzazioni confraternali sul totale
degli abitanti attivi, un fenomeno tipico dell’antico regime istriano sia nella
parte veneta sia in quella arciducale'"?.
La stessa proposta dello zuppano, di creare un altro altare, entrava nella
logica della costruzione del prestigio in seno alla comunità: probabilmente
sull’onda di una ripresa demografica ed economica in atto dagli anni ‘60-’70
del Seicento, e attestata un po’ in tutta la regione, anche a Gherdosella qualcosa
era cambiato in meglio e si era creato qualche surplus tra i più benestanti che
conveniva investire nel rafforzamento del ruolo della famiglia leader dentro la
comunità-villaggio. Lo zuppano Mogorovich aveva interesse a consolidare il
prestigio proprio e della sua casa: da un lato c'erano i fratelli e germani
(cugini), ai quali dovette chiedere parere prima di lanciarsi nella costruzione
della chiesa (lasciandoci scorgere un forte legame parentale); dall’altro c’era
la figlia andata in sposa ai Misson, probabilmente per sancire un’alleanza
matrimoniale tra famiglie leader; infatti, i Misson nel 1687 potevano vantare
lo zuppano Miho"*.
La chiesa con i suoi altari era il luogo della socializzazione organizzata
della comunità che nelle confraternite trovava non solo un modo formale di vita
collettiva, ma pure una cassa comune, beni terrieri comuni (pascoli) e mezzi
monetari indispensabili ma difficilmente raggiungibili per i più in un’econo-
mia rurale. L’edificio stesso, come luogo di ritrovo degli appartenenti alle
scuole laiche — e molti erano associati in più d’una —, e soprattutto la sua
gestione, magari tramite benefici (ovvero il sogno di Giovanni Mogorovich),
diventava il punto centrale nella rete dei clientelismi che veniva determinan-
dosi attorno al sistema delle confraternite, sistema che spesso era in concorren-
za, sul piano dei piccoli poteri, con i ruoli esercitati dal clero. L'operazione
dell’altare o della chiesa copriva le aspirazioni tanto spirituali che terrene: il
beneficio garantiva le messe, quindi l’aldilà più sereno, assieme ad un prolun-
gato ricordo interra; l’edificio era invece un buon investimento nella conferma
San Rocco Altare della chiesa parrocchiale | Scuola povera
Corpus Domini Altare della chiesa parrocchiale | 20 ducati
Sant'Antonio Altare della chiesa parrocchiale | 15 ducati
8 E. IVETIC, “Religione ed economia. La diffusione delle confraternite laicali nell’Istria dell'ultimo
dominio veneto”, in L'area alto-adriatica dal riformismo veneziano all’età napoleonica, a cura di Filiberto
Agostini, Venezia, 1998, p. 449-471.
14 FUCTÒ, op. cit., p. 149 (nominato).
142 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 137-153
del prestigio della famiglia, del cognome. Dentro e fuori la comunità, l’opera-
zione ovviamente esprimeva il potere economico e sociale.
L'interesse di tale potere laico poteva saldarsi con l’interesse del potere
religioso e ciò era successo a Gherdosella nel 1680. Se il parroco Ivich, poco
affezionato alla propria parrocchia, poteva rimanere indifferente all’iniziativa
del Mogorovich e del Picot, quest’ultimo, lo affermava esplicitamente, ci
guadagnava in comodità, evitando di dover spostarsi quotidianamente alla
vecchia chiesa. Ma non era solo questo, come vedremo. Ottenuta (su incita-
mento del Picot) la terra per l’edificazione da mali Matte Mogorovich, lo
zuppano Giovanni ricevette il decreto di concessione dal barone Giacomo
Rampelli, vicario foraneo, abate e preposito di Pisino (dopo aver siglato
assieme all’Ivich un atto notarile a Pisino). Per la posa della prima pietra lo
zuppano dovette fare un solenne banchetto per molti invitati “tanto di Pisino
che di circumvicini”, dove si festeggiò “molto bene abagniati con liquore della
vita”! I lavori però non partirono subito e occorse un atto dimostrativo del
Picot, che dopo la messa domenicale di persona portò una grande pietra sul
luogo della costruzione, incitando così una ventina di parrocchiani a darsi da
fare. Raccolto il materiale, pietre in disuso, il Picot andò a Pas (Passo, Paz),
ovvero al suo borgo natio, a ingaggiare non un muratore qualsiasi bensì lo
zermano (cugino) Giovanni Bacich muratore, al quale si aggiunsero altri due
di Bottenega e Novachi di Montona. La spesa iniziale di 15 lire per una decina
di giorni di lavoro venne coperta dallo zuppano, come pure i costi delle cene e
del molto vino bevuto ogni sera. Il Picot dovette aggiungere vino suo, quello
del parroco e attingere da elargizioni di vedove benestanti per poter far fronte
al fabbisogno crescente. La costruzione appare a un certo punto come una festa
prolungata, con bevute e balli, un’occasione rara (del resto raramente succede-
va in campagna che qualcuno fosse disposto a spendere) e perciò vissuta
intensamente un po” da tutti. Il 20 luglio del 1680 l’edificio risultava terminato,
per cui si diede il licofo (likuf, in ciakavo) cioè la liquidazione ai muratori (altro
banchetto). Il 10 agosto, giorno di san Lorenzo, la chiesa intitolata alla Santis-
sima Vergine Maria della Salute (Madonna della Salute) venne inaugurata con
la celebrazione delle prime due messe, una fatta dall’abate Rampelli e l’altra
dal Picot (l’Ivich, probabilmente si era messo in disparte). Il Rampelli era
giunto con quattro preti, due frati, sei chierici e altri servi; ci furono molti altri
ospiti, “una gran fiera de giente venuti da tutti circumvicini logi”, mentre “fu
5 IBIDEM, p. 144-145.
E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdogella, Castelverde, Atti, voL XXXI, 2001, p. 137-153 143
parechiato un suntuossissimo bancheto da Suppano Giovanni Mogorovich
fondatore di questa pia et santa opera”’'9. C’erano parroci e cappellani di Pisino,
Chersicla, Bogliuno, Caschierga, Terviso, Grimalda (feudo veneto). Nel pome-
riggio, “essendovi stati ancora piffari di Galligniana (...) si fece un ballo da
morlachi”’; ‘et perché io vedendo balare tanti murlachi et murlache essendo
tanto allegro fuori di modo, feci ancora io un ballo di catena longa tenendosi
tutti per mano di suo compagnio facendo io diretore”. Lo zuppano volle
celebrare il tutto con scariche da “un bon e grande Archebugio”, il quale “per
esser stato più dell’ordinario caricato, mi fece sonare per un bon pezo di tempo
l’orecchia, non so però se dal bichiero o vero schiopo”!”. Insomma la festa fu
grande e memorabile, certamente (visto l’evento) la maggiore del Seicento.
La descrizione di una commossa partecipazione, il compiacimento per
l’impresa, il tratto bucolico che balena quando si accenna al cordone dei
morlacchi che ballano (il kolo) non ci devono trarre in inganno. In verità, nella
sequenza sulla costruzione, lo zuppano, i contadini, l’uomo di chiesa rimango-
no ben separati pur condividendo la stessa vicenda: il cappellano lotta con una
comunità che malvolentieri lo aiuta a spostare un cumulo di pietre, una
comunità che partecipa in massa solo quando c’è la festa; la chiesa e la festa ci
sono perché Mogorovich paga, per accrescere il suo prestigio; il Picot, sempli-
ce cappellano, ha l’invidiabile opportunità di celebrare una messa accanto al
primo uomo della chiesa pisinese nonché padrone della contea, ovvero altro
prestigio. A stare attenti, si percepisce una certa distanza con cui il Picot parla
dei suoi parrocchiani, li osserva con distacco, pur conversando con loro nella
lingua che deve essere stata anche la sua, il croato ciakavo dell’Istria centrale.
Non è solo distanza sociale e culturale, tra clero e popolo, su cui torneremo. Il
Picot è originario da Pas, un piccolo castello a nord-est di Pisino (verso Monte
Maggiore), ove pur non avendo molti parenti mantenne i contatti per tutta la
vita; essere castellano era un'altra cosa ed egli non si sente simile agli abitanti
di Gherdosella, un villaggio; e poi gli abitanti non solo ballano “alla morlacca”,
ma a un certo punto li chiama (sono) morlacchi. Il suo successore, Girolamo
de Zorzi, scriverà esplicitamente sotto forma di memento ancora nel 1732:
“Osservi bene il Monsignor Pievano di Gherdosella che con questa gente
Morlacca non tenga troppa amicitia ne confidenza, mentre perdono ogni
rispetto verso il loro Paroco e tenendo troppa confidenza con loro sono capaci
16 IBIDEM, p. 146.
! IBIDEM, p. 147.
144 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gheraosella, Castelverde, Atti, vol XXXI, 2001, p. 137-153
di farsi patroni della Casa”!*. Questa tendenza alla separazione tra parroco e
comunità di villaggio, che non è dunque occasionale né individuale perché si
rinnova e perdura, merita una riflessione più generale.
Non c’è accenno nel testo scritto in italiano (con costruzioni sintattiche ed
imprecisioni ortografiche tipiche della parlata veneta) riguardo alla lingua e
all’appartenza etnica dei parrocchiani se non quel “murlachi”. L'ambiente è
comunque quello dei contadini slavi del Pisinese: lo si desume dai cognomi che
appaiono oggi (come trecento anni fa) tipici della zona (Mogorovich, Misson,
Ladavaz, Derndich), dai soprannomi e certi nomi (benché il Picot li rende per
lo più all’italiana e non alla veneta o ciakava) che ricorrono come mali Matte,
Ulika, Stanissa, Miho, Pave, dalla lingua veicolare che emerge nella denomi-
nazione dei riti (Opomeni per commemorazioni), dall’origine dei cappellani
che vi prestano servizio e che sono capaci di parlare in i/lirico: prima del Picot
c'era Giacomo da Moschienizze, mentre nel 1687 dovette venire Giorgio
Braisa da Buccari, cioè da contesti eminentemente croati (anche se nel Sette-
cento non sarà sempre così"). Il fatto che non vengano mai definiti esplicita-
mente slavi o illirici ci rivela che il Picot presumibilmente considerava se
stesso ed i murlachi di Grdoselo appartenenti ad una popolazione dalla stessa
lingua comune, il croato ciakavo, benché il nostro parroco fosse bilingue e sul
finire della vita si sottoscrivesse Picotti. Ci sono differenze tra i vari illirici.
Il termine morlacchi aveva un significato specifico relativo a popolazioni
immigrate in Istria nel corso del Cinque e Seicento sia nella parte veneta sia in
quella asburgica, e certe comunità si proclamavano del resto così, sottolinean-
do una particolare identità (ancora da studiare); poteva avere altresì un senso
più generico per definire gli immigrati tout court. Il morlacco era colui che
risiedeva da poco, l’ ’’habitante novo”, genericamente slavo (i/lirico) originario
dalla Dalmazia interna e spesso tale denominazione perdurava nel tempo, nel
Sette-Ottocento; era chiamato così dagli autoctoni della regione, a prescindere
se di matrice romanza o slava. Nell’Istria centro-orientale, dal Pisinese all’ Al-
!8 IBIDEM, p. 151.
191 parroci di Gherdosella:
1657-1687: Valerio Ivich (nativo di Pisino)
1687-1705: Vincenzo Picot (nativo di Pas)
1705-1722: Giovanni Battista Carlovich (nativo di Gallignana)
1722- ? : Girolamo de Zorzi (Bogliuno °?)
1768, 1774: Giacomo Antonio Blazinich
1796 :Giuseppe Facchinetti (Pisino ?)
E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Arti, vol XXXI, 2001, p. 137-153 145
bonese, agli autoctoni slavi apparivano differenti - e perciò morlacchi - i nuovi
arrivati, benché anch'essi “illirici” nella parlata. Questa ripartizione era perce-
pibile fino alla metà del Novecento: per gli abitanti di Vermo e Gherdosella i
contadini di Antignana e del Parentino erano v/ahi, morlacchi; i contadini di
Barbana erano vlahi per quelli dell’ Albonese; e sì che sia quelli di Gherdosella
sia molti dell’ Albonese erano stati a loro volta morlacchi nel Sei-Settecento per
gli appartenenti a comunità più remote della stessa area.
Spesso si sottovalutano o non si valutano per nulla le differenziazioni
esistenti tra la popolazione slava, soprattutto dell’Istria interna, nell’età pre-na-
zionale, anzi in genere si ha un’idea di omogeneità della campagna slava (in
contrapposizione ai borghi e alle città romanze), dimenticando l’importanza
che aveva la logica dell’appartenenza alla comunità e a contesti sub-regionali
(bisiacchi, morlacchi, cicci, savrini) con le annesse gerarchie di significati.
Inoltre si trascura di considerare l’apporto dell’immigrazione nell’ambito
dell’Istria arciducale, intendendola di minimo impatto. Una delle spiegazioni
rimane il fatto che in tale area si è conservata la variante più arcaica del dialetto
ciacavo, aspetto che proverebbe lo scarso apporto delle genti nuove nella
trasformazione della lingua d’uso e delle tradizioni (più morlacche), processi
che invece si riscontrano nell’Istria occidentale, veneta, a ridosso della fascia
costiera delle prevalenti parlate romanze (venete e istriote). In verità, nel
Pisinese, come del resto nell’ Albonese veneto, abbiamo avuto una cospicua
immigrazione morlacca (1520-1560; 1618-1650) contraddistinta da parlate
(forse stocave), poco congruenti con le autoctone (ciacave), parlate però andate
perse tra XVIII e XIX secolo, essendosi assimilate nel tessuto linguistico
preesistente. Il fatto che gli abitanti di Gherdosella fossero denominati morlac-
chi ancora nel Settecento comproverebbe questa iniziale differenza.
La distanza che c’è tra il Picot ed i morlacchi ormai residenti da tempo
(forse da generazioni), ma anche il rapporto che si era instaurato tra le due parti,
ovvero l’influsso degli autoctoni sui nuovi venuti (e considerati diversi per
parecchi decenni) in ambito arciducale, rappresenta una delle questioni più
interessanti all’interno della complessa problematica dell’ethnos nell’Istria
d’antico regime. Come mai un tessuto sociale provato da due catastrofiche
guerre, cioè del 1508-15 e del 1615-18, e quindi espressione di una popolazio-
ne in minoranza, riesce ad imporre la parlata e le tradizioni ai propri morlacchi?
Perché ciò non succede nell’Istria occidentale (non nell’ Albonese, seppur
veneto), dove i morlacchi mantengono un’identità specifica, non sommersa
fino all’età dell’avvento delle nazioni (1800-1850) ?
146 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdesella, Castelverde, Attî, vol XXXI, 2001, p. 137-153
Conta, ma non basta, il discorso sullo spopolamento, la differente consi-
stenza degli slavi autoctoni nel centro rispetto alla parte occidentale della
penisola (dove più diffusa era la presenza di elementi romanzi), la diversa
colonizzazione, ovvero una fatta di famiglie, l’altra di interi villaggi, come non
basta il discorso sul diverso modello di governo, ciò che distingue l’Istria
veneta da quella arciducale, soprattutto comunale-podestarile la prima, quindi
attenta alle autonomie locali, prettamente feudale la seconda?. Ci sono ovvia-
mente molti aspetti da valutare, non ce n’è uno decisivo. Tuttavia un punto che
merita approfondire in ulteriori ricerche sarà proprio la figura dei parroci quali
il Picot, il ruolo che essi ebbero in quanto mediatori di modelli culturali
autoctoni (tradizione e lingua), imponendo la loro alterità ai nuovi venuti e
continuando a rimarcarne la diversità. Questa tendenza era rivolta anche verso
la capillare immigrazione nei contadi di individui e famiglie friulane e carnielle
(furlani e carnielli), di cui rimane traccia nella toponomastica, anch’esse
croatizzate nel tempo in chiave dialettale pisinese.
Il ruolo del clero appare incisivo. Merita altresì approfondire i tratti della
cultura bassa, rurale, in appannaggio della chiesa (riti, rogazioni, mediazioni).
Il legame che si osserva tra il Pisinese, il Castuano ed il Quarnero (Moschie-
nizze, Veglia, Fiume, Buccari) all’interno dell’assetto dei domini arciducali,
soprattutto attraverso la circolazione degli uomini di chiesa, dei più dotti,
sostanzialmente di lingua croata, esprime infatti i contorni di un’area culturale
dove non a caso si sono conservate certe parlate ciacave più arcaiche e più
diffusa risulta la circolazione del glagolitico. Tuttavia il quadro sociale ed
etnico dell’Istria centrale che spesso si raffigura monocromo risulta piuttosto
articolato; lo si intuisce tra le righe dello scritto del Picot. E’ un’area culturale
sì d’espressione croata, ma non esclusivamente, almeno nell’ambito del Pisi-
nese e in certe cittadine marittime del Quarnero (diversa era la situazione nel
Castuano), dove era viva la sovrapposizione e la contaminazione con i modelli
romanzi locali e generali nonché con le influenze venete: lo si vede nel profilo
culturale dello stesso Picot. L'elemento culturale romanzo (parlate, tradizioni)
contraddistingueva ancora non poche élites dei borghi e dei feudi, se non altro
come elemento distintivo, di ceto, rispetto alla dimensione culturale e sociale
del contado. Élite, certo, ristretta dal punto di vista quantitativo, ma rilevante e
in costante rinnovo.
20 Rimando ad alcune mie considerazioni: IVETIC, L’Istria moderna, cit., p. 131-144; IDEM,
Oltremare. L’Istria nell’ultimo dominio veneto, Venezia, 2000, p. 288-306.
E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, vol XXXI, 2001, p. 137-153 147
Il clero del contado, clero illirico per fedeli i/lirici, era bilingue o plurilin-
gue e naturalmente si rapportava con i dignitari e i rari proto-borghesi dei
borghi, facendo da tramite tra questi e i vertici delle comunità del contado. In
tale funzione sta uno dei pilastri del potere e del prestigio che aveva l’uomo di
chiesa nell’ambito della comunità rurale. Al clero (come agli zuppani), in età
pre-nazionale, probabilmente andava bene tale partizione, conveniva (non era
solo espressione di necessità) la funzione intermediatrice tra élites di rango e
parlate diverse, tra borgo e campagna. Il clero faceva parte del sistema, anzi ne
era l'elemento più attivo, in quanto rete di relazioni che poteva congiungere le
élites vecchie e nuove, le élites del villaggio e quelle dei borghi-castelli, il
singolo zuppano con il barone Rampelli. La festa di Gherdosella del 10 agosto
1680, suggello del prestigio di Giovanni Mogorovich e Vincenzo Picot, evi-
denzia proprio questa funzione.
L'orizzonte del parroco
Vincenzo Picot due anni dopo aver contribuito alla realizzazione della
nuova chiesa viene chiamato a Pisino a prendere l’incarico di precettore
pubblico e di cappellano della compagnia militare; vi è invitato dai signori
della contea, i baroni Rampelli, i fratelli Giacomo, che era abate e preposito di
Pisino, Cristoforo, capitano del contado di Pisino, e Gasparo. L’offerta è
allettante: cento ducati all’anno, ovvero siamo a livello di un canonicato ricco,
per non parlare di quanto percepiva il Picot come cappellano in un villaggio
minore. Non sappiamo se avesse appoggi o conoscenze; di certo si era dimo-
strato intraprendente nel far costruire una chiesa parrocchiale nuova. Il parroco
Valerio Ivich fu inizialmente contrario a tale nuova opportunità per il suo
subordinato, ma poi cedette dandogli il placet nell’ottobre del 1682.
Il Picot dunque ebbe modo di frequentare per qualche anno i maggiori
dignitari dell’Istria asburgica, i Rampelli che ebbero il diritto di governo sulla
contea da parte del titolare, il principe di Auerspergh, ma fu in contatto anche
con i religiosi più colti, come il padre Domenico da Fiume, predicatore
cappuccino?'. Nel frattempo, l’Ivich che dubitava della fede di Giorgio Braisa,
originario da Buccari, nuovo assegnato alla sua parrocchia, tornò a chiamare il
2! Su questo periodo, trai migliori per la contea, cfr. DE FRANCESCHI, op. cit., p. 115-118.
148 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Ati, voL XXXI, 2001, p. 137-153
Picot nel 1687, offrendogli il posto di parrocco con tutte le entrate. AI Picot
non conveniva: “la pieve doveva pagare all’Eccelsa Provincia di Cragnio Lire
350, non havere la casa di habitare, essere cadente la Parochial Chiesa [si
riferisce a san Giacomo, n.d.a.] etogni cosa essere in mal governo”. Alla fine,
anche per intercessione del barone capitano Rampelli, il nostro accettò e quindi
si portò prima a Lubiana, direttamente dal principe di Auerspergh, per ottenere
le bolle temporali, poi a Parenzo, al vescovato, per quelle spirituali. Nel maggio
1687, deceduto l’lvich, Vincenzo Picot divenne parroco di Grdoselo, incarico
che avrebbe mantenuto sino alla morte avvenuta nel 1705.
Già dal 1688 si faceva costruire, a propria spese, la canonica (cucina, sala,
due camere, poggiolo, stalla, orto); fece riparare il tetto cadente della chiesa di
San Giacomo, sistemò la chiesa di Sant’ Anna, la chiesetta di San Giovanni
Battista, la chiesa di Santa Croce a Bottenega, fece cedere lo jus patronatus dei
Mogorovich alla parrocchia; racimolò un dignitoso capitale mansionario in
terreni del valore di circa 110 ducati (stima del 1774), mentre gli unici beni
parrocchiali fino al suo incarico furono “un boschetto (...) di pocca valuta”?;
lasciò molti beni in eredità alla parrocchia in cambio di messe in sua memoria;
“il tutto fatto a sue spese senza alcuna agiunta della Comunità di modo che fece
di più il quondam Monsignor Pievano per beneficio di questa parochiale che
nesuno degli antecessori Pievani tanto in Beneficio della Chiesa quanto in
augmento e contenimento honesta del Parocho”?. Insomma, tutt'altra cosa
rispetto a come viveva l’lvich, che stava in affitto in una stanza e per trent'anni
non seppe fare nulla di più opportuno né per sé né per i parrocchiani.
Il Picot fu uomo colto e di gusto, molto amico dei baroni Rampelli ai quali
lasciò i pezzi migliori dei suoi beni: “il mio cavallo giovane tutto fornito,
cos’anco l’Artiglieria et la canna d’India (...), un Tabaro di seda novo, la
chitara (...), una possata d’argento (...) et il di oro anello”. Il suo lusso
doveva esser stato il lusso per eccellenza a Gherdosella. Il parroco amava le
letture (non abbiamo purtroppo la lista dei libri), la musica (chitarra), l’arte
figurativa: ordinò una croce in argento per la chiesa di Santa Croce di Bottene-
ga, coprì le pareti della canonica con dipinti, tra cui un suo ritratto’. Di lui volle
22 FUCICG, op. cit., p. 148.
23 IBIDEM, p. 150 e 160.
24 IBIDEM, p. 150.
25 IBIDEM, p. 156.
26 ]BIDEM, p. 157: “Item lascio all’Erede mio in Gardosella il medesimo Piovano nella casa mia tutti
E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, voL XXX], 2001, p. 137-153 149
che rimanesse memoria e non solo per passare sereno a miglior vita; il Picot
era in fondo un materialista che fece giusti i calcoli: anche se il regno dei cieli
e tutta la schiera dei santi furono ufficialmente al primo posto tra le aspirazioni
nella sua Weltanschauung testamentaria, in fondo si deve alla mansionaria se
i suoi successori cantarono le messe in suo onore a più di novant'anni di
distanza (1796); di ciò lui fu probabilmente conscio. Questo avveniva a Gher-
dosella: lì lasciava un patrimonio ai suoi successori, al suo ceto, alla parrocchia
e ai parroci in quanto istituzioni, nulla ai parrocchiani, se non la remissione dei
debiti (piccoli crediti). A Pas, invece, si ricorda della sua gente. I mobili poteva
prenderseli un cugino, il prete Martino Miculich, altre piccole rendite andarono
a conoscenti. Si ricorda inoltre dei padri cappuccini di Fiume e di Pisino,
evidentemente i compagni di cultura più vicini.
Ma chi è in fondo Vincenzo Picot? Che clero esprime? La fluidità sintat-
tica del suo italiano scritto denota che in testa c’era un monologo italiano, una
parlata coltivata. Non era solamente la lingua di formazione, lingua da lasciare
agli atti. Quanto fosse attaccato a tale lingua, che non era quella dei suoi
parrocchiani né probabilmente della sua famiglia e del castello d’origine,
tuttavia è difficile valutare, benché il Picot ad un certo punto diventi Picotti. Il
nostro parroco non ha osservato puntualmente le disposizioni del Rituale
Romanum, non risulta infatti la presenza a Gherdosella di libri parrocchiali
prima del 1713, quando inizia il primo Liber baptizatorum (i decessi ed i
matrimoni verranno registrati appena dal 1784)?”, e quindi non abbiamo ele-
menti per valutare meglio il suo operato. La stessa memoria, la cronaca, che ci
ha lasciato, ha una funzione dimostrativa ben precisa ed è rivolta ai suoi
successori (gli unici alfabetizzati) che così l'avrebbero conosciuto, soprattutto
avrebbero conosciuto la sua impresa, l’evento del 1680, una sorte di rifonda-
zione della parrocchia, e l’avrebbero onorato. Lo scritto ed il testamento
avrebbero obbligato moralmente tutti i successori; e in effetti così è successo.
Il de Zorzi gli farà tutti gli elogi, come uno dei massimi parroci che Grdoselo
abbia mai avuto.
Il Picot comunica con i potenziali successori, con quello che era dunque il
futuro, in italiano e probabilmente esprime, quanto a questa lingua veicolare,
sì una tendenza in qualche modo obbligata, d’ufficio, ma altrettanto una cultura
li quadri che si ritrovano in mezzo, in particolarmente il mio Ritratto, acciò con quello venghi ricordato far
bene per anima mia”. In /bidem, p. 157.
27 J. JELINCIÒ, Matiéne knjige s podrucja Pazinstine do 1945 (1949) godine |\ libri parrocchiali del
Pisinese fino al 1945 (1949)], VIA, n. 2-3 (1992-93), p. 263.
150 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Arti, voL XXXI, 2001, p. 137-153
interna al ceto ecclesiastico, un linguaggio inaccessibile per i più. Forse era
anche in parte il riflesso di un clima culturale creatosi attorno alla cerchia degli
amici dei baroni Rampelli, una specie di cenacolo pisinese di fine Seicento, a
cui non erano estranei religiosi e uomini di chiesa (forse croati), come quel
padre Domenico da Fiume predicatore. Difficile ipotizzare nei dettagli i nessi
tratale Pisino e Gherdosella, la crescita delle fortune del Picot, le reti clientelari
che si intessevano e che rafforzavano la sua posizione in seno al villaggio, in
quanto mediatore, come si diceva, degli interessi delle famiglie elitarie deten-
trici della carica di zuppano, ed il centro del potere, dove c'erano le relazioni
che contavano. Il Picot è bilingue, traduce infatti abilmente nella cronaca il
discorso diretto fatto in ciacavo col compare Mogorovich, anzi riesce a coniu-
gare benissimo e a rendere le due dimensioni culturali (non solo linguistiche)
in cui vive, quella del popolo, dei muratori che si divertono alticci a saltare le
fiamme di un falò, quella della sua missione in quanto pastore di anime e quella
della cultura “alta” del suo ceto e dei dignitari. Egli è pienamente inserito nel
contesto sociale in cui opera, il suo bilinguismo non è una necessità, è l’espres-
sione delle società che frequenta.
Nel testamento cogliamo riprodotti i tre ambienti in cui si articola la sua
esistenza, cioè la parrocchia- Gherdosella, la corte della contea-Pisino, la patria
d’origine-Pas; ciascun ambiente ha un proprio significato per la vita del Picot,
in riferimento all’agire quotidiano, alle aspirazioni per il futuro, ai ricordi del
passato. Il tutto riassumiamo nel seguente schema:
| Contesto Parrocchia/ Gherdosella | Corte/Pisino Patria/Pas x
Tipo di insediamento |Villaggio Castello-Borgo | Castello
Tipo di società Comunità di contadini Dignitari e seguito, Popolani-contadini,
nobili,addetti vari,
mercerie, artigiani,
religiosi, militari, popolo
Significati per il Picot | Risorsa esistenziale Potere giudiziario, Rifugio
religioso, tributario
Referenti Parrocchiani-villici, Baroni Rampelli, Parenti, amici
zuppano cappuccini, notabili
a a n (notai, artigiani) À Da EA
Lingua Ciacavo (morlacco) Italiano (veneto), Ciacavo del luogo natio
ati 5 | Ciacavo di Pisino
Motivazioni Servizio Cultura, conoscenze Affetti
parrocchiale,esistenza |importanti
Investimenti materiali Sì No In minima parte
Proiezione di significati |Oggi e futuro Oggi leri, origine
esistenziali
E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Ari, vol. XXXI, 2001, p. 137-153 151
L’origine sociale del Picot appare chiara. Nacque in un castello, piccolo
ma sempre un castello. Una dimensione di vita sociale più articolata e più
prestigiosa di un villaggio come Grdoselo. Ha avuto parenti sacerdoti, dunque
una famiglia di rango medio-alto, benché sia stato aiutato nel percorso forma-
tivo dal prete Ivich. Da notare che tutti i parroci di Gherdosella hanno origine
castellana: l’Ivichera di Pisino, il Picot di Pas, il Carlovich di Gallignana, il de
Zorzi forse da Bogliuno, il Facchinetti forse da Pisino. La carriera ecclesiastica
appare come risorsa per i figli cadetti di un preciso strato sociale. Il Picot fa
parte di tale ceto castellano fatto di famiglie legate trasversalmente nei vari
castelli-borghi, con ramificazioni un po’ in tutti gli ambienti dell’Istria arcidu-
cale; il contado con i suoi villaggi slavi rappresentava il contesto in cui tale ceto
espletava poteri laici come prestiti (attività creditizia in concorrenza con le
confraternite), riscossione dei tributi, notariato (i parroci di Gherdosella face-
vano la funzione di notaio) e poteri ecclesiastici nelle figure di cappellani, preti
ed arcipreti, ovvero costituiva una fonte di rendite.
Di quali legami, a sfondo parentale, si trattasse ce lo illustra l’esempio di
Giovanni Battista Carlovich, il cui fratello, Bernardo, altrettanto prete, si prese
alcuni beni e mobili della casa parrocchiale dopo la sua morte. Il de Zorzi
scrisse che non gli conveniva chiedere la restituzione, in quanto i Carlovich non
erano da poco: il nipote dei due parroci, Giuseppe, era cancelliere comitale a
Gimino per cui era meglio lasciare ‘il tutto per non incorrer in qualchuna gran
disgratia e pericolo di mia stessa vita”. I parroci costituivano, come detto, una
rete di conoscenze, una categoria chiusa dove si entrava per cooptazione, in
stretto legame con il centro del potere ecclesiastico che aveva sede a Pisino e
che era controllata dai dignitari di turno; una categoria che alimentava le
proprie fila attingendo dunque a precisi ambienti sociali. Il Picot scriveva la
memoria per i parroci successori, perché il suo punto di riferimento era in
fondo il suo ceto, i suoi consimili con i quali si era confrontato in vita (si osservi
gli invitati della festa del 1680) e con i quali ha condiviso una scala di valori,
di significati.
La parrocchia, il villaggio, secondo quest'ottica, costituivano il luogo
dove realizzare la propria posizione sociale, dove si dava sfogo a qualche
piccolo lusso, si aveva una garanzia per la vita, si imponeva una certa cultura
che nonera cultura del proprio ceto, si rappresentava un potere necessario. Non
è scontato dirlo. A fronte di interpretazioni che idealizzano il parroco slavo del
28 FUCIG, op. cit., p. 151.
152 E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, voL XXXI, 2001, p. 137-153
contado, come un tutt'uno con il proprio gregge, custode dell’identità etnica e
linguistica del popolo, l’artefice di una cultura proto-nazionale densa di signi-
ficati (il glagolitico), occorrerebbe piuttosto indagare sulla stratificazione so-
ciale nelle campagne, sull’origine sociale dei religiosi, sul controllo sociale che
determinati strati esercitavano tramite poteri laici e religiosi nei villaggi, sulla
gerarchia dei valori e del prestigio in riferimento all’assetto insediativo e alla
dimensione comunitaria. Insomma, tra zuppano e cappellano, chi fu strumento
di chi, in quell’estate del 1680?
E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Attì, vol XXXI, 2001, p. 137-153 153
SAZETAK: SUGESTIJE IZ KRONIKE GRDOSELA (OKOLICA
PAZINA, 1680.-1705.) - Kronika o crkvi i Zupnim dobrima u
Grdoselu u okolici Pazina, Sto ju je krajem 17. stoljeéa sastavio
zupnik Vincenzo Picot, omogutava nam da promotrimo materijalnu,
kulturnu i socijalnu optiku seoskog Zupnika.
Izvorni dokument nalazi se u Zupnom arhivu Grdosela pod
nazivom Quademo della Madonna di Salute (Zapis o crkvi Gospe od
Zdravlja), a objavio ga je Branko Fucié, uvazeni struénjak za
glagoljske natpise, upravo pod nazivom “kronika”, u Vjesniku
Istarskog Arhiva 1994. godine. Kronika prati izgradnju novog Zupnog
dvora 1680. godine te daje pregled imovine Zupnika Picota i njegove
zupe (mansionaria) 1702-05. g. te u narednim desetljeéima. Zanimljiva
Je iz dva razloga: prvo, zbog nafina na koji Zupnik (u ovom sluèaju
zupnik Picot), unutar svog individualnog i narotito kulturnog
horizonta, percipira seosku zajednicu, posebno ako znamo da se radi
o jednoj od onih do danas slabo istrazenih slavenskih hrvatskih
zajednica u nadvojvodskoj Istri, i drugo, zbog same liènosti Zupnika,
sa njegovom gospodarskom osnovom i njegovom kulturom.
POVZETEK: NAMIGI IZ GRDOSELSKE KRONIKE (OKRAJ
PAZIN, 1680-1705) — Kronika, ki jo je izdelal ob koncu 17. stoletja
duhovnik Vincenzo Picot v zvezi s cerkvijo in s premoZenjem Zupnije
Grdosela (Gherdosella, Castelverde) v okraju Pazin, nam daje
razmisljati o materialnmem, kulturnem fn drufbenem pogledu
podezeljskega Zupnika.
Izvirni dokument je shranjen v grdoselskem Zupnijskem arhivu,
z nazivom Zvezek Matere Bozje Zdravja, objavil ga je znani utenjak
glagolitskih zapisov Branko Fudié z naslovom kronika v ”Vjesniku
Istarskoga Arhiva“ iz leta 1994. Spomini se nanasajo na gradnjo
novega Zupnjiskega sedeza, leta 1680, in na znesek premozenja
zupnika Picota ter kaplanijJje med leti 1702-1705 in v naslednjih
desetletjih. Kronika je zanimiva tako za dojemanje vaske skupnosti
iz osebnega in zlasti kulturnega pogleda Zupnika (v tem primeru
zupnika Picota), upostevajoé dejstvo, da gre za neko slovansko-
hrvasko skupnost nadvojvodske Istre, ki je bila doslej malo proudena;
zanimiva pa je tudi zaradi samega lika Zupnika, s svojo gospodarsko
podlago in kulturo.
LE INCURSIONI DEI TURCHI E LE FORTEZZE
VENEZIANE IN FRIULI E IN ISTRIA NEL QUADRO
DELL’ORGANIZZAZIONE MILITARE DI TERRAFERMA
NEL XVI SECOLO
ANTONIO MICULIAN CDU: 623+945+949.4/.5-3.Istria”15”
Centro di ricerche storiche Sintesi
Rovigno Dicembre 2001
Riassunto — L’autore presenta la situazione vigente in Friuli e nella penisola istriana nel corso
del XVI secolo. Vengono messi in rilievo i continui conflitti con gli Asburgo e le incursioni dei
Turchi nelle nostre regioni e in quelle confinanti nonché il tentativo effettuato dalla Serenissima
nel difendere i suoi domini con un sistema di fortificazioni lungo i punti strategici della penisola.
Vengono prese in considerazione le fortezze di Gradisca, Palmanova, Monfalcone, Marano, la
Chiusa di Venzone e Osoppo nell’area friulana; in Istria, invece, i borghi fortificati lungo le
postazioni strategiche con il limes asburgico. Tale sistema difensivo aveva creato numerosi
disagi per la popolazione locale in quanto i borghi fortificati e la frontiera che divideva il mondo
veneto e quello asburgico, in primo luogo, ostacolavano sia la libera circolazione dei commer-
cianti, sia il flusso delle merci.
I rapporti tradizionali con il mare e gli interessi molteplici che legavano il
popolo veneziano alla via mediterranea e del vicino Oriente delle spezie alla nuova
via oceanica aperta dai Portoghesi non bastano a spiegare la viva attenzione con
cui venivano seguite nella Repubblica di Venezia le imprese dei navigatori che nel
corso di tutto il XV e XVI secolo allargarono i confini del mondo conosciuto o il
favore che i loro racconti incontravano tra i lettori del tempo. Si può presumere
che ogni commerciante sognasse pure di illustrare il proprio nome aprendo, sulla
scia di Marco Polo, nuove vie ai “patrii commerci” ma anche di rivelare per primo
prodigi mai visti della natura, tesori di civiltà intatte, ecc.' Tali aspirazioni furono
! Cfr. G. LUCCHETTA, “Viaggiatori e racconti di viaggi nel Cinquecento”, in Storia della cultura
veneta dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, Vicenza, vol. 3/II (1980), p. 433-440. Le pagine seguenti
contengono i capitoli “Notizie sui viaggi verso il nuovo mondo”, “Relazioni di mercanti in Medio ed Estremo
Oriente” e “Racconti di pellegrini in Terrasanta” p. 440-489.
156 A. MICULIAN, Le inaurioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol. XXX], 2001, p. 155-188
tuttavia interrotte dalle mire espansionistiche dei Turchi che, a partire dalla prima
metà del XIV secolo, dopo aver consolidato l'impero degli Osmani — (Ulrich I) —
ed istituito l’esercito regolare dei giannizzeri, avevano dato inizio ad una vasta
compagna di conquiste estendendo la Signoria fino al Bosforo? e conseguentemente
— (Suleiman) — dopo essersi impadroniti di Tsympe si erano avvicinati sempre più
verso il territorio europeo. Infatti, poco dopo caddero in potere degli Ottomani
Gallipoli (1357) e la costa fino al fiume Marica in Macedonia e all’Ergene. Sotto il
figlio e successore di Urchan, Murad I, caddero Demotica (1361), Filippoli (1362),
e nel 1363 Adrianopoli, scelta da Murad quale propria residenza.
Quindi, le conquiste furono indirizzate verso settentrione e il nord-ovest,
occupando Ni3 (1375), Sofia (1382) e nel 1389 annientando la potenza dei serbi
nella battaglia di Kosovo. Baiazid I, dopo aver sconfitto il principe dei bulgari,
nel 1391 occupò tutto il suo territorio compresa la Valacchia, mentre iniziarono
contemporaneamente le prime scorrerie verso i territori ungheresi.
L'imperatore Sigismondo, che cingeva pure la corona di S. Stefano, vide
il pericolo, e, acapodi un esercito composto da 60.000 uomini, nella primavera
del 1396, affrontò gli infedeli. Tuttavia, con la sconfitta subita nei pressi di
Nikopolje, l'Ungheria venne completamente saccheggiata fino a Buda-Pest e
da allora iniziarono “quelle barbare incursioni che per tanto tempo riempirono
di desolazione e di terrore la Stiria, la Carinzia, la Carniola, l’Istria e i paesi
con esse confinanti” }.
Le prime incursioni dei Turchi nella Carniola risalgono agli inizi del XV
secolo; infatti nel 1408 devastarono Mottling e Tschernembl, e “numerosi
cristiani (furono) uccisi o condotti in schiavitù.”. Probabilmente, una decina
d’anni dopo, un’altra incursioine ottomana devastò la Stiria (1418) che, quanto
sembra, stando alle fonti storiche dell’epoca, sarebbe stata terminata con una
completa sconfitta dei turchi*.
Il minorita croato Giovanni Tomasic, nel suo “Chronicon breve regni
Croatie”, narra che i Turchi nel 1425, attraverso la Bosnia e la Croazia, si
sarebbero spinti “usque ad aquas gradatas, quae vul go — bile vode — dicuntur”
traendo con se numerosi cristiani’.
2 Nel 1396 conquistò Nicomedia, quindi Nicea 1330 e tutta la Bitinia.
3 Vedi G. LOSCHI, “Le incursioni dei Turchi nella Carniola e nell’Istria”, Archeografo Triestino
(= AT), Trieste, vol. XVIII (1892), p. 488.
4 IBIDEM, p. 489.
5 Arhiv za povjestnicu jugoslavensku /Archivio per la storia jugoslava/, Zagabria, vol. IX (1868), p.
A. MICULIAN, Le inaursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 157
Il Valvasor, che consultò tale cronaca, non fa cenno di tale scorreria,
mentre le cronache di allora menzionano un’incursione avvenuta nel 1431,
quando più di 8000 ottomani, penetrati in territorio croato e oltrepassata la
Kupa, avrebbero preso la città di Mottling giungendo fino a Rudolfswert dove,
però avrebbero subito una grave sconfitta dall’esercito guidato dal capitano
della Carniola Ulrico Schenk e dal conte Stefano di Monfort. Stando al Levec®
una incursione ottomana nella Carniola sarebbe avvenuta probabilmente nel
1425, oppure nel 1429; quanto alle parole “aquae gradatae” o “bile vode” lo
Czoernig vede indicato un canale marino presso il villaggio di San Canziano
fra Monfalcone ed Aquileia, ovvero l’Isonzo”.
A partire dalla metà del XVI secolo, Maometto II “il conquistatore” nel
1453 decretò la caduta dell’Impero Romano d’Oriente — o Bisanzio — e,
conseguentemente gli ottomani conquistarono il Peloponneso (1458), la Serbia
(1459), occuparono Lesbo (1462), la Bosnia (1463), l’Erzegovina (1466), e
Maometto, come Annibale “ante portas”, venne a trovarsi indisturbato nei
pressi dei confini dell'Ungheria e della monarchia asburgica®.
Il governo veneziano, già allora era pronto a compiere il suo dovere di
16-17. Per quanto riguarda le incursioni in Dalmazia nel XVII secolo, vedi M. JACOV, "Le guerre
veneto-Turche del XVII secolo in Dalmazia”, Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria
(=AMSDSP), Venezia, vol. XX (1991), p.225-269.
6 Francesco LEVEC della Scuola Superiore di Lubiana stampò nella relazione annua di quell’Istituto
(1890-91) un importante saggio storico nel quale vengono narrate le scorrerie dei turchi nella Carniola e
nell’Istria fino alla morte dell’imperatore Federico III (1493). Cfr. G. LOSCHI, “Le incursioni dei Turchi”,
cit. p. 488-489; IDEM “Incursione dei Turchi nelle parti vicine di Trieste”, L'/stria, Trieste, an. Il, agosto
1847, p. 50-51; IDEM, “Luoghi per li quali passarono già li Turchi partendosi dalla Bossina per la Patria del
Friuli”, L’/stria, cit., an. VI, 8 marzo 1851, n. 10; S. JUG, “Turski napadi na Kranjsko in Primorsko do prve
tretjine 16. stoletja” /Le incursioni dei Turchi in Carinzia e nel Litorale fino al primo trentennio del XVI
secolo/, Glasnik Muzejskega drustva za Slovenijo /Bollettino della Società dei musei della Slovenia/ ,
Lubiana, vol. XXIV (1934), p. 2-60; A. CREMONESI, “Zadnji turski upad v Furlanijo (1499)”, /L’ultima
incursione dei Turchi in Friuli/, Goriski letnik /Annuario goriziano/, 1976, n. 3, p. 124-129; F. CUSIN, “Le
vie d’incursione dei Turchi in Italia nel secolo XV”, AT, vol. XLVII (1934), p. 143-156; M. BERTOSA,
Mletacka Istra u XVI i XVII stoljecu /L’Istria veneta nel XVI e XVII secolo/, vol. I, Pola, 1976, p. 46.
? IBIDEM: “Narrasi infatti che nel 1478, nella stretta valle di questo fiume presso l’odierna ‘Turski
Kr°, tra Ronzina e Dolegna Sela, una schiera di Turchi sia stata distrutta colle pietre gettate loro addosso
dalle sovrastanti rupi; solo il loro condottiero salvossi e giurò ‘Pri tem znamenji prisegam da ne bodemo ne
ja ne moji nasledniki nic veé hodili, koder bela voda teée in kjer take gore v nebo kipe' — Giuro per questo
segno che ne io ne i miei successori passeremo mai più dove scorre l’acqua bianca ne dove tali monti s’alzano
al cielo”, p.490.
8 Per quanto riguarda la conquista ottomana nei Balcani fino alla caduta della Bosnia Erzegovina, vedi
Vj. KLAIG, Povijest Hrvata /Storia dei Croati/, lib. IV, Zagabria, 1985, p. 7-87. Cfr. A. BATTISTELLA, La
Repubblica di Venezia ne’ suoi undici secoli di storia, , Venezia, 1921, cap. XIII, p.321-352; R. CESSI, Storia
della repubblica di Venezia, Firenze, 1981, p. 332-361.
158 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Am, vol XXXI 2001, p. 155-188
stato cristiano, conforme, del resto, al suo interesse aveva perciò attivamente
operato con gli stati cristiani, specialmente della penisola Ellenica, per riunirli
in una comune difesa, cercando di stabilire una linea di difesa innanzitutto
lungo “l’Examilion”; tuttavia, la discordia e la reciproca ostilità delle signorie
greche, disposte a subire la servitù musulmana a prezzo di tributo piuttosto che
cooperare a reciproca difesa, avevano agevolato e, nello stesso tempo, contri-
buito all’ ampiamento dell’espansione ottomana nella penisola balcanica.
Man mano che i despotati greci erano stati travolti dalla prepotenza turca
—ultimo il ducato di Atene — e le colonie genovesi dell'Egeo, Focea, Chio,
Lesbo, Paros, Lemnos e la stessa Rodi erano state costrette a capitolare o a
sottomettersi a tributo, mentre Venezia era rimasta sola alla difesa del Pelopon-
neso con i minuscoli ma importanti possessi di Ftelion, Argo, Nauplia, Modo-
ne, Corone e Monembasia-Malvasia, solamente allora il mondo cristiano
occidentale s’era spaventato al vedere l’opera distruttrice dei barbari e Nicolò
V, poi Calisto III e Pio Il avevano promosso una “crociata” che, per l’indiffe-
renza dei principi risultò vana anche perché allora Federico III si trovava
impegnato in una lunga guerra contro Mattia Corvino ed il fratello Alberto.
Contemporaneamente nella penisola balcanica, e specialmente da Banja
Luka, “/e bande turche puntarono a nord, seguendo il corso del fiume Una;
superavano poi le balze della Kapela e raggiungevano le sponde adriatiche
davanti all’isola di Veglia; sfilavano quindi sopra Fiume e, attraverso Clana,
Castelnuovo del Carso e Prosecco, si radunavano ancora, e di solito, sulla riva
sinistra dell’Isonzo per riorganizzarsi prima di gettarsi sulla pianura friulana.
Per portarsi invece nei territori dell'Impero, Carniola, Stiria e Carinzia,
puntavano su Metlika, passavano sotto Lubiana, proseguendo poi verso nord,
non disdegnando talvolta, toccando Postumia e marciando lungo la valle del
Vipacco, di calare in F riuli”°.
Nella seconda metà del XV secolo, l’Istria e le regioni contermini furono
in più riprese saccheggiate dai Turchi; infatti, nel 1469 gli ottomani comparve-
ro nella Carniola; a Lubiana incendiarono il duomo fuori dalle mura, nel
Goriziano effettuarono numerose scorrerie e, nell’autunno dello stesso anno,
Skander pascià “dux et princeps imperatoris turcarum” era entrato nel Friuli
con un grosso esercito e si era spinto fino al Piave “devastando sul suo
cammino col fuoco e coll’armi”. Durante tale incursione, Antonio da Marliano
*G.G. CORBANESE, /? Friuli, Trieste e l’Istria nel periodo veneziano. Grande atlante storico —
cronologico comparato, v. 2, Bologna, 1987, p. 51-72
A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 159
scriveva al duca di Milano di aver appreso che i Turchi si erano spinti a 40
miglia da Trieste e “(...) che tutto quel paixe fuge e reduxese a la marina. E
hanno tolto i castelj che queli de li imperio, et pare che siano de cercha
30000”!°, mentre alcune bande si erano staccate dal grosso ed avevano effet-
tuato la prima missione esplorativa nell’Istria, spingendosi fino sotto le mura
di Castelnuovo del Carso.
Un anno dopo, 8000 turchi, condotti da Asabek o Marberg si spinsero fino
a Basovizza e attraverso Prosecco, Duino e Monfalcone, passarono nel Friuli
per far quindi ritorno in Bosnia!".
Nella primavera del 1471 Beglerbeg Isaac — pascià con 15.000 uomini,
dopo aver devastato la Carniola, Lubiana, comparve nuovamente in Istria e nei
pressi del Castello “Moccò - Montecavo”- fece prigionieri 350 cristiani; un
anno dopo, anche il territorio di Aquileia venne saccheggiato come pure il
castello di San Daniele, Gorizia e gran parte della penisola istriana.
A dire il vero, nel momento in cui la lotta per ottenere l'egemonia nel
Levante e nel mondo dell’area ellenica aveva preso una nuova dimensione di
sviluppo, le regioni confinanti alla nostra penisola, Friuli e Veneto, vennero
direttamente coinvolte nelle operazioni terrestri dell’esercito ottomano. Infatti,
nel 1472 i Turchi arrivarono nella pianura friulana con l’intenzione non di
occupare la regione ma di distrarre le forze veneziane dal fronte principale
delle operazioni costringendole ad impegnarsi su un raggio estremamente
ampio; a tale riguardo, la situazione ci viene descritta dal senatore Domenico
Malipiero: ” fin tanto che’! general ha ateso a depredar le marine della
Turchia, i Turchi ha danizà da più bande i luoghi della Signoria, no solamente
in la Morea, in Albania e in Dalmazia, ma anche in Italia (...). A questi tempi
le cose della Signoria seria passade felicemente, se no se havesse havudo da
!0 /BIDEM, p. 51; cfr. pure V. SIMONITI, “Slovenska historiografija o tur&kih vpadih in obrambi pred
njimi” /La storiografia slovena inerente le incursioni dei Turchi e i sistemi di difesa/, Zgodovinski casopis
/Rivista storica/, Lubiana, a. 42, 1988, p. 505-516.
!! Cfr. F. CUSIN, “Le vie d’invasione dei turchi in Italia nel XV secolo”, A7, vol. XIX (1934),
p.145-152; vedi pure il Discorso del 1475 al Serenissimo Principe de Venezia de le vie per le quali ponno
venir Turchi in Italia, di autore ignoto — Ambrosiana D. 216, inf., carte 185-186 —copia del secolo XVII
(IBIDEM, p. 154-155). Per quanto riguarda le ulteriori escursioni e conquiste dei Turchi in Europa vedi D.
VENTURINI, “Tomaso Tarsia dragomanno grande della Repubblica veneta, al secondo assedio di Vienna
per opera dei Turchi — da una relazione inedita”, Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologiae Storia
Patria (=AMSI), vol. XXII (1906), p. 45-65 e a p. 66-136 la “Relazione di me Tomaso Tarsia Cavaliere
Dragomanno Grande della Serenissima Repubblica di Venezia alla Porta Ottomana, con la descritione del
compenbdio delli successi più essentiali accaduti nella guerra intrapresa dai Turchi contro l'Ungheria l’anno
1683 (...)”.
10 A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 155-188
guerreggiar anche in Italia.(...); ma le so forze divise non ha possuto far
quell’opera che le haveria fatto unite”!”.
Nel mese di aprile del 1478, la penisola istriana venne nuovamente
saccheggiata dai Turchi; questi ultimi, provenienti dalla Bosnia, passando da
Castelnuovo si erano accampati nei pressi di Trieste, da dove, una nutrita
schiera “si preoccupò di predare i dintorni inoltrandosi fino a Pirano”, mentre
una formazione di 8000 cavalieri avevano raggiunto l’Isonzo. Il fiume in piena
e le truppe venete attestate in quella postazione rappresentavano un’insormon-
tabile baluardo; per questo motivo, dopo aver razziato e messo a fuoco il
comprensorio tra Monfalcone e Gorizia, i Turchi si avviarono sulla via del
ritorno verso i Balcani.
La prima incursione ottomana che coinvolse direttamente il Friuli orientale
a la Carnia aveva avuto lo scopo di mettere alla prova la resistenza veneziana,
relativamente efficace all’inizio, ma inutile poi, dal momento che i Turchi
poterono muoversi liberamente in ogni direzione. Di fronte a tale pericolo il
governo veneziano decise di rafforzare le “cernide” lungo i valichi montani.
Il sistema di fortificazione, che nel Medio Evo aveva giovato alla difesa
dei centri urbani con fossati, torri e muraglie merlate, allora era stato superato
dalla cresciuta potenza dell’artiglieria e dal perfezionamento delle armi da
combattimento in genere. Venezia pensò di munire la cerchia di grossi bastioni
o baluardi a difesa delle cortine ovvero il muro tra un bastione e l’altro. Sorsero
così le cinte bastionate, frutto della Scuola italiana di fortificazione del Rina-
scimento. A tale riguardo, gli architetti militari si dedicarono anche alle
planimetrie degli abitati in funzione strategica, da gareggiare per creare sulla
carta la fortezza ideale. I principali esponenti di questa scuola furono Bonaiuto
Lorini e Vincenzo Scamozzin, ambedue addetti all'Ufficio delle Fortificazioni
della Serenissima Repubblica di Venezia.
Da tenere presente che nella storia militare di Venezia non si registra la
costruzione di vere fortezze prima del XV secolo; appena dopo la caduta del
Patriarcato di Aquileia, 1420, e dopo la sua espansione nel retroterra veneto —
lombardo fino all’ Adda, si manifestò la necessità di erigere fortezze per la
concomitanza di due minacce esterne ugualmente gravi: l’ossessiva pressione
dei Turchi e l’implacabile ostilità delle altre potenze europee, in modo partico-
lare gli Asburgo nel settore isontino e nella penisola istriana.
12 Cfr. FE SALIMBENI, “I Turchi in terraferma”, in Venezia e i Turchi. Scontri e confronti di due civiltà,
Milano, 1985, p. 232-233.
A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atî, voL XXXI, 2001, p. 155-188 161
A dire il vero, alcuni provvedimenti intrapresi da Venezia per difendere i
loro domini in Friuli ed in Istria dalle scorrerie ottomane risalgono alla fine del
1478, quando, il Senato, su proposta della commissione inviata in Friuli, aveva
deciso di eseguire i seguenti lavori di potenziamento del sistema di “opere fisse
di difesa” contro i Turchi:
— costruzione di una doppia strada protetta tra gli apprestamenti militari di
Gradisca d’Isonzo e di Fogliano;
— costruzione di una bastia e di due torri aggiuntive a Gradisca, di altre
bastie a Lucinico, a Farra, al ponte di Gorizia (di coperto con il conte) e di altre
due tra le località fortificate di Farra e di Lucinico;
— di riescavare il fossato di difesa e di rafforzare le mura di Udine con una
controscarpa;
— di scavare nuove fosse intorno alle mura di Cividale;
— di apprestare nuovi quartieri militari in vista dell’aumento del numero di
difensori a Fogliano e a Gradisca, che già erano in grado di dare ricetto a circa
5000 uomini e a 2400 cavalli;
— di rinforzare tutte le cortine!
Le “fortezze da terra e da mar”, sorte nel Veneto, nel Friuli, sulla
Terraferma e ai Lidi, come nei più lontani possedimenti (Cipro Candia, Corfù,
la Morea, la Dalmazia e l’ Albania veneta), diventarono l’indispensabile stru-
mento per salvaguardare la Serenissima, che chiamò alla loro progettazione i
migliori ingegni dell’epoca: dai Savorgnan ai Sanmicheli, dal Baglioni al della
Rovere, dal Lorini al Malacreda e Girolamo Martinengo e tanti altri tecnici,
seguiti nelle loro attività, a partire dalla metà del XVI secolo, dalla nuova
magistratura dei “Provveditori alle Fortezze”!*
procurar et proveder che tutte le fortezze nostre et terre che a loro ( i
con l’incarico di ‘‘aricordar,
provveditori) paresse esser de importantia siano fornite delle cose opportune
et necessarie alla conservation di esse”.
3 G.G. CORBANESE, op. cit., p. 64.
!4 La realizzazione poliorcetica condizionò lo stesso sviluppo urbanistico dei centri interessati; fossero
perfezionate o costruite ex novo, le fortezze lasciarono sul territorio segni indelebili e oggi, anche nei casi di
maggior alterazione della morfologia della città, restano evidenti le tracce degli interventi difensivi nei secoli
più difficili della storia di Venezia, con la progressiva disgregazione dei suoi domini fino alla caduta della
Repubblica, nel 1797. Cfr. P MARCHESI, Fortezze veneziane 1508-1797, Milano, 1984, p. 25-36. Vedi pure
E. CONCINA, La macchina territoriale, la progettazione della difesa nel Cinquecento veneto, Bari, 1983.
Cfr. pure “Fortificazioni e strategie difensive veneziane nella guerra contro il Turco”, in Venezia e i Turchi,
cit., p. 244-249.
55 “Fortificazioni e strategie difensive veneziane nella guerra contro il Turco”, cit., p. 244.
162 A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188
Ai Provveditori, oltre ad obblighi d’ordine logistico e amministrativo,
venne affidato il compito si salvaguardare la sicurezza dei possedimenti e delle
città attuando nuovi interventi progettuali e costruendo nuove opere difensive
in modo particolare nei punti strategici lungo i “/imes” dei suoi domini. Nelle
lunghe guerre che vedranno coinvolte la maggior parte delle “ fortificazioni da
mar “, sottoposte a continui attacchi ed assedi, la Serenissima Repubblica si
trovò costretta ad intervenire ripetutamente negli stessi possedimenti ed inve-
stire ingenti somme di denaro e personale umano per difendere i suoi territori
dalle continue scorrerie degli avversari; ed infatti, i numerosi disegni, che si
conservano presso il Museo Civico Correr di Venezia, con le eventuali modi-
fiche, ci consentono oggi di analizzare l’evolversi e il modificarsi della politica
difensiva e militare della Repubblica di San Marco, ma, nello stesso tempo,
queste carte rappresentano preziosa testimonianza della politica difensivistica
veneziana!’.
Le scorrerie ottomane del 1472 avevano spinto la Serenissima a fortificare
il “collisello” e nel corso dell’ulteriore incursione del 1477, ad affidare al
Luogotenente Giovanni Emo ed agli architetti militari Enrico Gallo e Giovanni
Borella la costruzione di una fortezza, atta a contenere la minaccia degli
infedeli.
Nel 1479, nei pressi di San Michele, sulla riva destra dell’Isonzo a valle
della confluenza con il Vipacco, in una posizione strategica, i veneziani fecero
riorganizzare e completare il tessuto edilizio dando origine alla fortezza di
Gradisca, protetta da alti bastioni e da ampi fossati riempiti d’acqua, costituita
da un possente quadrilatero di mura e torrioni con un Castello in un quinto
angolo accessibile solamente dalla parte del fiume che doveva rappresentare
un valico insuperabile per il nemico”.
Tuttavia, agli inizi del XVI secolo, l’accanimento improvviso contro la
Serenissima Repubblica di San Marco, delineatosi nel 1508 con la famosa Lega
!6 /BIDEM, p. 244.
!? Cfr. F MORTEANI, “Fortezze veneziane in Friuli e in Istria”, Pagine Istriane (=P1), Trieste, an.
VIII, 1957, n. 30-31, p. 21-22: “Là... il genio di Leonardo da Vinci si esplicò per la protezione di ambe le
rive dell’Isonzo, come ci rivelano le tre iscrizioni dell’Erma, eretta presso la fortificata porta del Mercaduzzo.
Il ricordo marmoreo, in onore del barbuto ingegnere toscano, è opera dello scultore gradiscano Giovanni
Novelli e presenta, in centro, le seguenti espressioni: Nell'anno M.D. / LEONARDO DA VINCI/ Qui
apprestò opera ed armi / Alla difesa dell'Isonzo/ e della fortezza veneziana di Gradisca / propugnacolo della
Cristianità / contro gli Infedeli / testimoni / del Genio costruttivo latino / contro la barbarie sterminatrice. A
Sinistra: Bombarde col modo che io detti a Gradisca (Codice Atlantico). A Destra: Avendo io conosciuto
che per qualunque parte di terraferma e Turchi pervenire possino alle nostre parti italiche, alfin conviene a
quelli capitare al fiume Isonzo. (Codice Atlantico)”, p. 21.
A. MICULIAN, Le inaursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXX], 2001, p. 155-188 163
di Cambray, nella quale si unirono per la spartizione dello Stato Veneziano, il
Papa, il Sacro Romano Impero, la Francia, Napoli, i Duchi di Ferrara, di
Mantova e i Savoia, lega ideata dai francesi, condusse, durante la guerra
1508-1511, alla perdita della cittadina isontina e nemmeno un secolo dopo,
nella famosa Guerra degli Uscocchi o di Gradisca (1615-1618) l’esito delle
operazioni venete di assedio alla fortezza risultarono favorevoli!*.
Nella prima metà del Cinquecento la fortezza di Gradisca, “minuscola
capitale di un minuscolo principato” con il rispettivo castello — fortezza,
divenne possesso diretto degli Asburgo, che l’assegnarono alla potente fami-
glia della dinastia asburgica degli Eggenberg (1647-1717).
Dopo la perdita della fortezza di Gradisca, i confini orientali della Repub-
blica Veneta vennero a trovarsi quasi sguarniti mentre la dieta di Worms
(1521), confermando all’Austria i territori occupati, sanzionava un confine
innaturale e precario. Era indispensabile, per la Serenissima Repubblica prov-
vedere sollecitamente alla difesa di quel fianco del territorio sia dalle pressioni
Asburgiche che dalle incursioni dei Turchi i quali, dopo i duri colpi inferti al
Friuli, ne minacciavano di nuovi e persino a danno della stessa capitale
lagunare.
Nel 1556 re Ferdinando aveva creato un Consiglio di guerra, come aveva
precedentemente effettuato il Pontefice dopo l’esperienza del 1527, composto
di autorità militari e civili, che avrebbe dovuto provvedere all'ordinamento
difensivo dello Stato. In effetti, dopo la battaglia di Mohàcs - il sultano turco
Solimano annientò l’esercito ungherese e completò la conquista degli stati
balcanici — ebbe inizio un nuovo periodo di vita per il Sacro Romano Impero e
per la Casa d’Austria. La difesa dell'Europa cristiana contro i Turchi, che
avrebbe potuto essere diretta dalla nazione ungherese, toccò ora necessaria-
mente agli arciduchi austriaci. Il loro impero, creato da una serie di matrimoni
fortunati, trovò la propria giustificazione di fronte all’ Europa cristiana nel fatto
che, dopo la caduta dell'Ungheria, era ormai l’unico e necessario baluardo
valido contro un impero mussulmano grande e aggressivo; e nei secoli seguen-
ti, la sua base plurinazionale non era elemento sufficiente a infirmarne la
validità. Comunque, il Consiglio aveva intensificato la sua attività soprattutto
!8 Cfr. D. VENTURINI, La guerra di Gradisca — Pagine di storia patria del XVII secolo, Capodistria,
1905; vedi pure G.G. CORBANESE, op. cit., vol. 2, p. 112-116 (Guerra contro l’Impero: I fase, febbraio-
giugno 1508), p. 117-125 (Venezia contro l'Impero: Il fase, maggio 1509/fine 1510); p. 129-139 (Venezia
contro l'Impero: II fase; la Lega Santa, 4 ottobre 1511; La Lega di Blois, 23 marzo 1513; Il Trattato di
Noyon, 13 agosto 1516); p. 185-217 ( La guerra di Gradisca).
164 A. MICULIAN, Le inavsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2901, p. 155-188
nel 1565, quando si decise un piano d’urgenza per fortificare la parte meridio-
nale dell’ Ungheria, tra il lago Balaton e la Drava, una zona ritenuta la via più
probabile per i Turchi, diretti verso il cuore dell’ Austria!”.
Il problema di difendere l’accesso orientale del Friuli aveva preoccupato
il mondo occidentale dal tempo dei Romani. La fortezza di Aquileia, costruita
da questi ultimi attorno al 150 a.C., presso le rive dell’ Adriatico, aveva perso
la sua importanza strategico militare dopo la caduta dell’Impero Romano
d’occidente. Comunque, quando Venezia nel 1420, dopo la caduta del Patriar-
cato di Aquileia, aveva conquistato il Friuli, non si era preoccupata di fortifi-
care la frontiera appena conquistata perciò, tra il 1470 ed il 1500, i Turchi
effettuarono sette incursioni distruttrici nel Friuli, incendiando e derubando più
di cento tra villaggi e città. Solamente verso la fine del XV secolo Venezia
aveva iniziato a costruire un terrapieno lungo tutto l’Isonzo, fortificando con
rinforzi in muratura, quartieri per insediarvi distaccamenti permanenti di sol-
dati. Nel 1511, Venezia, come risultato della disastrosa guerra con la Lega di
Cambrai, aveva perso questa linea fortificata assieme a grosse postazioni
territoriali in Friuli, e vi era rimasta, ancora una volta, senza una linea di
protezione dei suoi confini.
Per questo motivo la Serenissima aveva intensificato la sua attività per la
salvaguardia dei suoi confini orientali contro la minaccia di un’invasione turca.
La decisione di costruire una nuova fortezza in Friuli fu lunga e ricca di
contraddizioni. Il Senato doveva vincere non solo l’opposizione dell'Impero suo
vicino a Nord, ma anche obiezioni nel suo interno, poiché alcuni suoi membri
ritenevano che questo progetto sarebbe stato troppo costoso. Anche la città di
Udine si era opposta energicamente a questo progetto, temendo di perdere gran
parte dei suoi commerci e del suo movimento a favore della nuova città fortificata.
Nell’estate del 1592, una speciale commissione formata da tre nobili
veneziani venne incaricata dal Senato ad esaminare dettagliatamente la fron-
tiera friulana e di scegliere il luogo opportuno per una nuova fortezza. La
commissione aveva effettuato un primo sondaggio nel mese di novembre, e
tornata a Venezia nel gennaio dell’anno successivo, aveva immediatamente
raccomandato che una fortificazione fosse quanto prima costruita nell’area tra
San Lorenzo e Palmada””,
! Cfr. Vj. KLAIC, op. cit., p. 315-399; G.G. CORBANESE, op. cit., p. 178-184.
20 Per la ricostruzione della fortezza di Palmanova e della sua storia cfr. il materiale archivistico
custodito presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, presso La Libreria del Museo Correr di
Venezia e presso l'Archivio di Stato di Venezia. Quest'ultimo contiene le collezioni della documentazione,
A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 165
Nel frattempo il Senato aveva anche incaricato alcuni dei migliori esperti
di ingegneria e scienze militari di fare indagini indipendenti; così nel novembre
1592 sia Giulio Savorgnano che Bonaiuto Lorini presentarono i loro consigli,
affermando che la nuova fortezza avrebbe dovuto sorgere tra Strassoldo e
Palmada, mentre il Lorini aveva pure specificato che essa avrebbe dovuto
comprendere almeno nove bastioni?'.
Il Senato, nella delibera del 17 settembre 1593, aveva chiaramente
espresso la volontà di costruire in Friuli una fortezza munita di bastioni reali in
quanto bisognava salvaguardare anche il confine occidentale, a causa della
presenza in Milano degli Spagnoli, che non dimostravano certamente senti-
menti amichevoli, e la Terminazione dei 5 Provveditori generali, sottoscritta a
Strassoldo il 16 ottobre, diceva espressamente che,” veduti e riconosciuti
diversi disegni della pianta della fortezza fatti fare da Sua Ser.tà e proposti allo
studio delli capi di guerra e ingegneri”, era stata scelta la pianta con nove
baluardi reali”.
Intenzione di Venezia era di costruire una fortezza più moderna e potente
del mondo, situata a circa 20 miglia a Sud-Est di Udine nei pressi del fiume
Isonzo in Friuli, la città — fortificazione, che a sua volta divenne l’orgoglio della
Serenissima, rappresentò una delle più significative manifestazioni dell’urba-
nistica del Rinascimento.
Tale fortezza stellata denominata Palmanova, “Forijulii — Italiae et Chri-
stianae Fidei Propugnaculum”, non tardò a suscitare la reazione dell’ Austria
in quanto gli asburgo consideravano la fortificazione non tanto per la difesa
contro le incursioni dei turchi, ad arrestare i quali bastavano i castelli sull’ Ison-
tra le quali gli Annali, le Relazioni e le Deliberazioni della Saegreta del Senato, 1’ Archivio dei Provveditori
alle Fortezze e i Dispacci di varie cariche, Terra Ferma e del Senato, sec. XVI-XVIII. Cfr. P. MARCHESI,
La fortezza veneziana di Palma La Nuova, Udine, 1980, p. 30-32.
2! IBIDEM, nota 29, p. 34: “(...) Da notare che la forma della nuova fortezza è stata ridotta a nove
bastioni, invece dei dieci che erano stati progettati in gennaio. In relazione a questo bisogna rilevare che non
solo è futile, ma ingannevole cercare un significato simbolico per ilnumero nove (...) Il proposito di Venezia
era di costruire una fortezza tanto più grande quanto fosse economicamente possibile. Quando Lorini
raccomandò che la fortezza fosse di almeno nove bastioni egli voleva dire che se fosse stata più piccola
sarebbe stata insufficiente in robustezza, in forma e capacità. Ma è sottinteso in questa affermazione che un
numero maggiore di bastioni sarebbe stato preferibile. (...)”.
22 P. DAMIANI, Palmanova, la storia, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, 1982, p.
6-7. Il progetto della fortezza di Palma venne affidato all'Ufficio delle Fortificazioni competente in materia
e precisamente al conte Giulio Savorgnan, generale delle artiglierie della Serenissima. Tuttavia, protagonista
della realizzazione in loco della cerchia di Palma fu il conte bresciano Marc’ Antonio Martinengo di
Villachiara, nominato dal Senato Governatore delle Armi il 10 ottobre 1593. Vi operarono pure gli architetti
militari Lorini, Guberna, Boldi, Francesco Berlenghi, Girolamo Fontana ed altri.
166 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188
zo, ma punto di partenza per l’occupazione della Contea di Gorizia e la cacciata
dall’Italia della Casa d’ Austria. Inoltre, l’impresa veneziana era pure in contra-
sto con gli accordi di Worms e, in tal senso, l’Austria aveva informato i
firmatari con un esteso memoriale”.
Venezia ripetutamente aveva assicurato |’ Impero che la sua nuova fortezza
non era stata intesa come minaccia diretta per i suoi vicini di Nord, ma piuttosto
come baluardo contro gli Ottomani. Avrebbe dovuto proteggere non solamente
la Serenissima Repubblica ma tutta la Cristianità contro gli infedeli”
La controversia, dopo le lettere minatorie da parte dell’imperatore Rodol-
fo II e di Filippo II, re di Spagna, fu rimessa al giudizio del Papa; Clemente VII
che, in più riprese aveva cercato di unire i sovrani d'Europa contro i Turchi,
non considerò negativa l’idea di Venezia cosicché quest’ultima poté ultimare
la costruzione.
Il nuovo insediamento aveva trovato valida motivazione nella necessità
per la Serenissima di contrapporre una piazzaforte di frontiera a possibili
incursioni ottomane e, soprattutto, alla Casa d’ Austria, che nel 1511 era entrata
in possesso della fortezza di Gradisca.
Posta in una zona pianeggiante, a circa 18 km dal fiume Isonzo, la
fortificazione di Palmanova , nelle varie vicende belliche successive, non
aveva avuto mai l'opportunità di rendersi utile sebbene fosse stata eretta per
chiudere “la fatale breccia orientale dei confini italiani”.
Anche nella Venezia Tridentina la Repubblica di San Marco dovette
impegnarsi a lungo per salvaguardare i suoi domini dagli infedeli e dalle
pretese arciducali. Nella valle dell’Adige, Venezia, dopo aver perso varie
postazioni ovvero i quattro Vicariati di Ala, Avio, Mori e Brentonico, perdita
avvenuta nel 1516 al tempo di Massimiliano I°, dovette rinunciare anche il
possesso di Rovereto, Torbole, Nago e Riva. In tal modo gli Absburgo,
padroni di Gorizia e di Gradisca, della zona alpina, da Nord e da Est, e del
centro dell’Istria, dove nel 1374 avevano ottenuto dai Signori di Gorizia la
Contea di Pisino, minacciavano direttamente i territori veneziani, specialmen-
te dal 1526 in poi, dopo aver acquistato i regni di Boemia e di Ungheria,
mentre l’efficienza della Repubblica Veneta, duramente colpita dalla caduta di
Bisanzio-Costantinopoli, “chiave dell'Europa”, in mano dei Turchi dal 1453,
23. Cfr. IBIDEM, note 2, 3, p. 21.
24 Per quanto riguarda le milizie e l'armamento usato dalla Repubblica di Venezia nella fortezza di
Palmanova dal 1593 al 1797, ctr. A. PRELLI, Le milizie venete in Palma 1593-1797, Udine, 1988, p. 9-35,
cfr. pure il capitolo seguente.
A. MICULIAN, Le inassoni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXI, 2001, p. 155-188 167
declinava rapidamente, anche a causa dello spostamento dell’attività economi-
ca dal Mediterraneo all’ Adriatico quale conseguenza delle scoperte geografi-
che”).
Anche la rocca veneziana di Monfalcone, su “Monte Falcone”, fortilizio
eretto con mastio possente centrale, quadrato, munito di “strada coperta” alla
periferia, rivestì una certa importanza, specialmente tra il 1517 e il 1543, anno
in cui la fortezza di Marano era ritornata in possesso veneziano. Prima di
questo recupero sulle rive dell’ Adriatico, la sua funzione oltre che di “battere
la terra sottostante” e con essa il traffico commerciale che sfociava alla
“muta”, era soprattutto quella di stazione di collegamento con il mare per un
eventuale soccorso alle forze venete impegnate, in più riprese, nella penisola
istriana a fermare le scorrerie asburgiche ed ottomane.
Ed è proprio per la sua posizione geografica che, la roccaforte, dopo la
definizione della contesa di Cambrai, distrutta dagli attacchi imperiali, venne
restaurata ed ampliata con muraglia circolare “da tre a dieci piedi di grossezza
interrotta da arcobusiere, fossa cavata nel sasso vivo larga otto passi, torre
centrale merlata di sette passi per abitazione, deposito di munizioni e cisterne
per l’acqua”.
Tuttavia, nel corso del XVI secolo, la roccaforte venne più volte rinforzata
in quanto il Provveditore Generale in Terraferma Mocenigo l’aveva conside-
rata come “Rocca fatta senza fianco, battuta facilmente, non si tiene per forte”
anche se fino al 1593 assieme a Marano, era in grado di difendere il “basso
Friuli e l’entrata del mare” dagli arciducali situati nelle vicinanze, ovvero a
circa tre miglia da Duino.
Dopo la costruzione della fortezza di Palma, Monfalcone e la sua rocca
divennero “posto satellite” dipendente dalla piazza primaria sia per i frequenti
restauri sia per il cambio mensile del presidio militare. Dopo essere stata
distrutta due volte, al tempo della Lega di Cambray e durante la guerra di
Gradisca, negli anni successivi mantenne intatto il suo modesto potenziale
difensivistico, specialmente nel periodo compreso tra gli anni ’20 e ’30 che
esprime una delle fasi più oscure della sua storia a causa degli eventi bellici ed
epidemici, nonché dall’impoverimento dei traffici commerciali alla stazione
25 Per quanto riguarda la Contea di Pisino, vedi C. De FRANCESCHI, L'/stria, note storiche, 1981,
p. 371-428; L. FOSCAN, / Castelli medioevali dell'Istria, Trieste, 1992, p. 153-162.
26 A. TAGLIAFERRI, “Struttura delle fortezze e delle milizie venete nel quadro dell’organizzazione
militare di Terraferma”, in T. MIOTTI, Castelli del Friuli. Storia ed evoluzione dell'arte delle fortificazioni
in Friuli, vol. 5, Bologna 1981, p. 252.
168 A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 155-188
doganale per la concorrenza specialmente di Gorizia e del nuovo percorso che
dall’alto Isonzo raggiungeva le marine di Duino.
Tra le altre fortezze e i presidi militari che rappresentavano i cardini della
struttura difensiva veneta nel corso del ‘500 non possiamo fare a meno di non
menzionare Marano, la Chiusa di Venzone e Osoppo, mentre, per quanto
riguarda Udine e Cividale, non furono mai prese in considerazione dai rappre-
sentanti della Serenissima Repubblica”.
Marano, “(...) Terra et comunità sopra la marina verso mezo dì, è lontana
da Udine miglia XVIII, dove va un Magnifico Proveditore venetiano. Il terri-
torio è occupato da Regij, mediante un bastioncello detto Maranuto, le ville
sono VI.” La fortezza di Marano, a poche centinaia di metri dalla rocca di
Maranutto in mano agli arciducali, aveva assunto notevole importanza dopo la
costruzione della fortezza di Palma. Nel novembre 1543 la fortezza, proprietà
dello Strozzi — l’aveva ottenuta dai francesi per i servigi prestati al re di Francia
— aveva offerto la fortezza per 35.000 ducati a Venezia, minacciando, qualora
la sua proposta non venisse accolta, di essere disposto a venderla ai Turchi.
Venezia aveva accettato e il 29 novembre le truppe venete rientrarono in
Marano, ripresero il porto di Lignano e quelli di S. Andrea, dell’ Anfora e di
Buso nella laguna maranese e lentamente iniziarono ad infiltrarsi e ad usurpare
le terre paludose ed i canali della bassa”.
Infatti, con un presidio ordinario composto da fanti di non più di 100
uomini e straordinario di 210, serviva ai veneziani per salvaguardare un tratto
dell’Adriatico e il collegamento tra il mare, la laguna maranese e la nuova
piazza. Per la sua posizione strategica, il Provveditore Generale di Palma era
27 Cfr. A. TAGLIAFERRI, op. cit., p. 254-256: “Udine, ha il suo recinto (di passi 2607 esterni e 1358
interni), d'una muraglia antichissima et molto debole, non terrapienata, et con fossa poco profonda. Per le
quali imperfettioni, et per trovarsi assai vicina a confini, fu già stimato bene, che dovesse essere ridotta in
qualche stato di fortificazione, et di difesa, la qual opera, come sommamente necessaria, con grand'ardore
incominciata, et con spesa di qualche rilievo, non fu però molto innanzi proseguita, essendo poco dopo che
seguì la deliberazione di costruire la fortezza di Palma, restata interrotta et sospesa; onde trovandosi tuttavia
nel medesimo essere, inhabile in tutto, quando il bisogno lo ricercasse, a mantenersi, o far alcuna resistenza,
è concetto e parer universale, ch'al primo strepito d’arme, che si facesse sentire, fosse ciascuno per
abbandonarla, et ritirarsi in luogo di maggiore sicurezza.”, p. 255; “Cividal, non è forte né si pol fortire, qual
è vicino a regi) (...) non può essere ridotta ad alcuna fortificatione per il mancamento delle cose che si
ricercano ad una real fortezza, et per haver li monti vicini, da quali può esser facilmente battuta, con tutto
ciò essa è circondata da due mani di muraglie antiche, con doi belloardi, atti quando dentro vi fossero soldati
da sostennere ogni incorsione de nemici... tuttavia la Serenità Vostra la può tenere per sicurissima come anco
la città di Udene, et tutta la sua Patria da ogni forza nemica, havendo ivi distante solo dieci miglia la sua
nuova fortezza di Palma.”, p. 256.
28 G.G. CORBANESE, op. cit., p. 149.
A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 169
stato investito anche di vigilare direttamente della custodia della fortezza,
sull’esecuzione dei restauri e sull’invio, in caso di necessità, di rinforzi al
presidio militare.
La fortezza, munita da “mura in buon stato, et tale che può scorrer
lungamente, senza che vi si facia a torno spesa di molta importanza- afferma
Antonio Giustinian —; è vero, che chi volesse ridurla a quella perfettione,
ch’oggi da soffistichi vien rittrovata, besognerebbe rifformarla dalle piante
(...) concludo che il suo stato presente soij a sufficientia.(...).° I restauri
effettuati dal 1611 al 1620 su proposta di Alvise Giustinian, avevano reso la
fortezza “del tutto assicurata dalle sorprese (...) et sebene la fortezza nel resto
ha membri deboli, nulla di meno può dirsi (...) ella sia insuperabile””.
La Chiusa di Venzone, era stata ritenuta dal responsabile in ordine alle
visite e alle revisioni periodiche Luogotenente Vito Morosini, assieme ad
Osoppo, Monfalcone e Marano, “una delle quattro fortezze della Patria e
luogo veramente di importanza”.
Il passo della chiusa, tra il fiume Fella e la montagna sulla strada imperiale
pontebbana, rappresentava un punto strategico non solamente per l’organizza-
zione della difesa del territorio, ma, soprattutto, per ragioni sanitarie e commer-
ciali. Per questo motivo Venezia non aveva mai pensato a fortificarlo anche
perché per la sua posizione geografica era direttamente esposto agli attacchi
esterni. La fortezza era composta da tre parti addossati alla montagna; uno
detto la guardiola o castello, esposto sul Fella con torri laterali, fossato, ponti
e rastelli sulla strada maestra che l’attraversa; il secondo ad uso di abitazione
ed il terzo superiore accessibile con scale dal tetto sottostante. Poco distante
dal castello era situata la dogana (qui se paga la muda de le mercancie) ed un
piccolo forte nei pressi del fiume dove, “una rosta di legno tratteneva l’acqua
e provocava una gran caduta ad impedire il guazzo di cavalleria e l’assalto al
castello via fiume”.
Il presidio era formato da un castellano veneto, da un capitano e da un corpo
di fanti locali o casalini che di solito non superavano una decina d’uomini; in
caso di pericolo il Generale di Palma era in dovere di provvedere in merito.
La fortezza di Osoppo, per la sua posizione strategica e per la sua struttura
naturale, nel 1525 venne definita dal Luogotenente Andrea Foscolo “Rocca e
cuore della Patria”, mentre una trentina d’anni dopo, Francesco Michiel ne
2° IBIDEM, p. 251.
30 IBIDEM, p. 252.
170 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ami, voL XXXI, 2001, p. 155-188
sottolineava l’importanza soprattutto per la debolezza di Cividale “non forte né
fortificabile” e di Udine “non forte e forse malamente fortificabile”.
“L’esser formata da un alto monte di vivo sasso che s’innalza in mezzo ad
una vasta campagna; l’esser circondata da un lato dal Tagliamento e dagli
altri lati da terreno giaroso ed acquoso; l’esser posta in faccia della strada
imperiale che porta in Alemagna per il passo della Chiusa e di Pontebba;
l’aver copia d’acque risorgive facilmente raggiungibili con pozzi e cisterne; il
disporre in sommità di un piano collegato al basso con 3 strade capace di
contenere uomini e mezzi in grandi quantità ”, costituivano per i veneziani
elementi importantissimi di valutazione per poter predisporre il sito per una
lunga e attiva difesa contro qualsiasi nemico".
La località e la fortezza rientravano nella giurisdizione dei Savorgnani dal
Monte che dovevano provvedere alla custodia, al restauro in caso di necessità,
nonché al mantenimento del presidio militare, mentre il Luogotenente di Udine
aveva avuto l’ordine di provvedere, periodicamente, alla visita.
Nel 1566 i Savorgnani fecero costruire, a loro spese, una grande cisterna
che poteva contenere “tremila botti d’acqua”, e nel 1629, sempre a loro spese,
furono costruiti numerosi alloggiamenti per i soldati, corpi di guardia e senti-
nelle, una torre per il deposito di munizioni e “diverse operationi, che riguar-
dano la sicurtà della medesima piazza, e che ben dimostrano la pronta
dispositione dei medesimi signori Savorgnani verso il publico servicio.”
Anche nella penisola istriana la Repubblica di San Marco aveva dovuto
impegnarsi a lungo per mantenere l’integrità territoriale dei suoi domini sia
dalle pretese arciducali che dalle scorrerie dei Turchi. A dire il vero, man mano
che le cittadine costiere dell'Istria si erano date alla Serenissima, quest’ultima,
specialmente nei luoghi strategici e lungo il limes con i possedimenti austriaci,
aveva fatto costruire fortificazioni con lo scopo di controllare la situazione
militare e l’espansionismo asburgico, ma anche migliorare le difese delle
cittadine marittime lungo tutta la costa istriana da Muggia fino ad Albona e
Fianona””.
3! IBIDEM, p. 253.
3? Per quantoriguarda le fortificazioni e i sistemi difensivi dei centri costieri dell'Istria veneta nel XVII
secolo, Cfr. M. BUDICIN, “Fortificazioni e sistemi difensivi dei centri costieri dell'Istria veneta (1619-
A. MICULIAN, Le inavsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 155-188 171
Capodistria, Parenzo e dopo il 1269, San Lorenzo del Pasenatico divenne
“Clavis totius Istriae”*3, ma furono fortificati anche tutti i borghi veneti situati
all’interno della penisola come Grisignana, Sanvincenti, Valle, Dignano e le
altre località istriane.
Parallelamente aveva collocato capitani e podestà veneti nei centri minori
lungo il limes dei possedimenti appartenenti ai conti di Gorizia e ai patriarchi
di Aquileia**. Altrettanto rilevante fu il controllo della valle del Quieto, come
pure il possesso di Montona, Grisignana, Buie, Portole ed altre località limitro-
fe. Solamente nel 1420, con la caduta del patriarcato d’ Aquileia, l'organizza-
zione territoriale dei domini veneti in Istria assunse una certa configurazione;
bisognerà, comunque, attendere fino alla prima metà del XVI secolo per avere
una definitiva ripartizione della regione tra i possedimenti veneziani e quelli
asburgici””.
Infatti, nel corso di un ennesimo conflitto con |’ Austria (1513 -1516 ) i
veneziani riuscirono a recuperare gran parte del Friuli ad eccezione di Gradisca
che era rimasta in potere agli imperiali. Nel corso di tale conflitto, estese
regioni dell’Istria furono “perdute e riconquistate, quindi depredazioni, incen-
di e guasti di luoghi e di campagne accompagnarono questa guerra guerreg-
giata, condotta piuttosto contro gl’infelici abitanti che contro i soldati”.
Nel 1519, dopo la morte di Massimiliano I, i Veneziani, al congresso di
Worms, in accordo con Carlo V erano riusciti a riconquistare in Istria alcune
importanti postazioni strategiche lungo i confini con gli asburgo quali Piemon-
te, Bercenegla, Castagna, Visinada, Medolino, Momiano, Racizze, Sovignac-
co, Marcenigla, Draguch e Verch, e così Montona venne liberata dal cerchio di
1620)”, La Ricerca - Bollettino del Centro di ricerche storiche di Rovigno, 2001, ,n. 29-30, p. 12-14. Vedi
pure Aspetti storico-urbani nell'Istria veneta, dai disegni dell'Archivio di Stato di Venezia (a cura di M.
Budicin), Trieste-Rovigno, 1998 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 16).
33 Per quanto riguarda i rapporti di fidelitas delle cittadine istriane con Venezia e le dedizioni fino alla
caduta del Patriarcato d’ Aquileia cfr. L'Istria. Storia di una regione di frontiera (a cura di FSALIMBENI),
Brescia, 1994.
3 Cfr. C. De FRANCESCHI, I! comune polese e la signoria dei Castropola, Parenzo, 1905; De
VERGOTTINI, “La costituzione provinciale dell’Istria nel tardo Medio Evo”, AMSI, vol. XXXVIII (1926)
e vol. XXXIX (1927).
35 Dal punto di vista politico-istituzionale, l’Istria ricevette una definitiva sistemazione con gli accordi
di Worms firmati tra Carlo V e il Senato veneto. La parte veneta comprendeva la fascia costiera che si
protraeva da Muggia fino ad Albona e Fianona con importanti borghi fortificati all’interno, Valle, Dignano,
ece., mentre la parte austriaca della penisola comprendeva l’interno, ovvero la contea di Pisino, cfr. M.
BERTOSA, Istra: Doba Venecije (XVI.-XVIII. stoljece) Istria: periodo veneto (XVI-XVIII secolo)/, Pola,
1995, p. 17-42.
172 A. MICULIAN, Le inousioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188
ferro che la stringeva da ogni lato. D'altro canto Venezia aveva dovuto cedere
all’ Austria Aquileia, Gradisca, la “chiusa di Plezzo — (Flitsch), Tolmino,
Castelnuovo, San Servolo Moccò ed altre postazioni nella regione carsica. Il
Senato infeudò la maggior parte delle terre acquistate a nobili famiglie vene-
ziane; così il castello di Piemonte con le sue ville dipendenti quali Bercenegla,
Castagna e Piemonte, le contrade di S. Maria di campo, Medolino e Rosara
furono vendute nel luglio 1530 per 7500 ducati ai veneziani G. Contarini.
Barbana e Rachele — Castelnuovo all’ Arsa — furono cedute, nel dicembre 1535,
per 14.760 ducati ai fratelli Loredan; S. Vincenti rimase ai Morosini che
l’avevano ereditato dai Sergi di Pola, e da questi passò poi ai Grimani di S.
Lucia. A Momiano furono rimessi i Raunicher — (Ravagnani); Racizze, invece,
fu lasciata ai Walderstein®°.
L'Austria, invece, aveva subordinato le postazioni territoriali ottenute a
Worms alla Carniola nonostante le ripetute lagnanze dei triestini che per
legittimo diritto le sarebbero spettate. Siccome i capitoli di Vorms avevano
lasciato irrisolta la questione dei confini tra Venezia e i possedimenti asburgici,
con la sentenza di Trento del 17 giugno 1535, vennero assegnati ai veneziani i
feudi di Barbana, Visinada, Piemonte, Castel Racizze, Pietrapelosa e determi-
nati pure i confini con la parte montana, ovvero con la contea di Pisino, che
rimarranno stabili fino alla caduta della repubblica di San Marco.
La sentenza tridentina non aveva risolto definitivamente le discordie dei
confini in Istria; nuovi conflitti tra Venezia e | Austria scoppiarono con la
creazione delle cosidette “differenze”. Infatti, la sentenza di Trento aveva
lasciato “incolti e promiscui alcuni spazi di terreno tra i contendenti, con
eguale facoltà di pascolo agli uni ed agli altri, e colla riserva alle parti stesse
di farne in un prossimo avvenire la definitiva divisione, divisione che però non
ebbe mai luogo. Questi terreni, costituirono le differenze, nome infausto
nell’Istria, scrivevano i provveditori al Senato, essendo esse le più feraci di
discordie e di risse”.
Riguardo alle “differenze”, nel 1717 il Provveditore veneto Fini aveva
segnalato che la differenza di San Lorenzo “che si estende per 5 miglia in
lunghezza e per oltre mezzo miglio in larghezza, feconda di sua natura ed atta
non solo a pascoli ed a boschi, ma anche a semina, è riservata soltanto ad uso
di pascolo reciproco, e produce null’altro che spine d’infestazioni a questi
sudditi”.
36 B. BENUSSI, L’/stria, cit., p. 306-307 e nota 1.
A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 173
Nel corso di tutto il Cinque e Seicento, lungo queste differenze gli scontri
tra veneti ed arciducali furono all’ordine del giorno; questi ultimi, aiutati
materialmente dal capitano di Pisino, spesso si erano spinti all’interno
dell’Istria, derubando e devastando le ville venete che “lentamente si spopola-
rono, mentre s’accrescevasi di altrettanto la popolazione delle circostanti ville
arciducali.”
Tuttavia, già nel 1519, Carlo e il fratello Ferdinando avevano concluso un
accordo in base al quale i “confini italiani”, ovvero i possedimenti austriaci “al
di qua delle Alpi”, la contea di Gorizia, d’Istria e la città di Fiume, sarebbero
rimasti in possesso a Carlo V il quale, stando al suo progetto, avrebbe riunite
queste provincie con la Lombardia e col il reame di Napoli per attanagliare in
un cerchio di ferro i possedimenti veneziani e lasciare libera la navigazione
nell’ Adriatico superiore.
A tale riguardo i Triestini avevano chiesto ed ottenuto da Carlo V tutta
una serie di privilegi commerciali con il reame di Napoli e di Sicilia e la facoltà
di navigare liberamente lungo tutto l’ Adriatico “ed arsenale e flotta per
mantenere la libertà di navigazione dirimpetto a Venezia.” Tale disegno
politico non venne però attuato in quanto il fratello Ferdinando era stato
contrario e gli stessi Carniolici ‘se n’erano mostrati decisamente contrari, al
punto di rifiutare i soccorsi contro il minaccioso avanzarsi dei Turchi ove
questo distacco si effettuasse”. Con un nuovo trattato, marzo 1 522, le provincie
cisalpine rimasero a Ferdinando, mentre Trieste dovette momentaneamente
rinunciare alle sue mire espansionistiche nei confronti di Venezia nell’ Adria-
tico”:
Dal punto di vista politico, amministrativo ed istituzionale, l’ Istria veneta,
nella prima metà del Cinquecento, aveva assunto una nuova sistemazione di
tipo “provinciale” in quanto, il podestà e capitano di Capodistria da un lato, ed
il capitano di Raspo dall’altro, risulteranno possedere un sistema territoriale
diviso in quattro podesterie dotate da insediamenti urbani e piccoli castelli
fortificati: due a nord, ovvero Capodistria ed il capitanato di Raspo; due a sud,
cioè Pola e Albona.
37 Dopo l’abdicazione di Carlo V, suo fratello Ferdinando | aveva ottenuto anche la corona imperiale
(1556-64), e prima di morire aveva diviso le provincie austriache frai suoi tre figli: Massimiliano, Ferdinando
e Carlo; quest’ultimo ottenne le provincie dell’ Austria interiore, cioè la Stiria, Carinzia, Carniola, Gorizia,
Trieste e la contea d'Istria con residenza a Graz. Nel 1590, dopo la morte dell’arciduca Carlo le sopra
menzionate provincie passarono a Ferdinando II che nel 1619 era succeduto al cugino Mattia nelle altre
provincie austriache come pure sul trono di Germania (1619-1637).
174 A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188
Sotto il profilo amministrativo-territoriale, invece, nei secoli XVI-XVII
andò consolidandosi l’ordinamento provinciale dei possedimenti istriani della
Serenissima, organizzati in quella che comunemente era definita l’Istria veneta
che comprendeva più di due terzi della penisola e che si suddivideva in
Provincia dell’Istria propriamente detta e Capitaniato di Raspo*.
La prima aveva assunto una peculiare organicità nel 1584 quando venne
istituito il Magistrato di Capodistria, carica delegata dal Senato alla discussio-
ne delle cause d’appello di prima istanza di tutto il possedimento veneto in
Istria, il cui ruolo preminente venne attestato dal codice di “Leggi, Decreti e
Terminazioni del Ser.mo Magg.r Cons.o dell’Ecc.mo Pregadi (...) concernenti
il buon gouerno dell'Istria (...)", stampato nel 1683 per commando del podestà
e capitanio Valerio Da Riva”.
Il Capitaniato di Raspo, assieme ai circumvicini castelli fortificati diven-
ne, a partire dal 1394 fino al 1511, “c/avis totius Istriae”, continuando però a
svolgere quella funzione politico-militare dei precedenti capitanati dei pasena-
tici menzionati.
Nella parte centrale della penisola Montona e circondario assieme a San
Lorenzo costituivano una barriera invalicabile lungo il confine della contea
asburgica di Pisino, mentre i feudi di Due Castelli, Sanvincenti, Barbana,
formavano una linea continua feudale attraverso la penisola da est ad ovest,
dall’ Arsa al Leme, Orsera e Fontane e, facevano da barriera agli Asburgo ed il
territorio di Rovigno, di Valle , di Dignano e della Polesana‘.
Nel corso delle ostilità belliche tra |’ Austria e la Serenissima avvenute nel
XVI e XVII secolo, questo sistema di fortificazioni non aveva mai permesso
agli asburgo di arrivare fino alla costa nella parte veneta della penisola.
Da tenere presente, inoltre, che le fortificazioni venete in Istria erano state,
specialmente nel corso della guerra di Gradisca, notevolmente rafforzate da
Venezia con la mobilitazione della milizia territoriale — “cernide” — che si
38 Aspetti storico-urbani, cit., p.41.
39 IBIDEM, p.41: “ A Settecento inoltrato, l'edizione del 1757 delle corpose Leggi statutarie per il
buon gouerno della provincia dell'Istria, delle Comunità, Fontici, Monti di Pietà, Scuole, ed altri luochi Pii,
ed Offizj della medesima (...), raccolte in quattro libri dal podestà e capitanio di Capodistria Lorenzo Paruta,
confermava in pieno i due secoli di primato del massimo ufficio provinciale”, p. 41 e note 7, 8.
40 Cfr. E. IVETIC, “Funzione strategica e strutture difensive dell'Istria veneta nel Sci e Settecento”,
Archivio Veneto, Venezia, Serie V, vol. CLIV (2000), p. 82-83. Periodi di attrito lungo i confini tra l’Istria
Veneta ed Asburgica ci furono soprattutto negli anni della guerra uscocca e lungo il settore nord-orientale
con strascichi che si protrassero fino al 1797. Controversie che comunque non modificarono la linea
confinaria andatasi a delineare nel corso dei sec. XIX e XV e stabilizzatasi in quelli successivi.
A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 175
erano distinte nei combattimenti. A tale riguardo, nella relazione del Tiepolo,
si legge che ‘“(...) le cernide paesane in Istria durante la guerra di Gradisca
(1615/1617) prestarono ottimo servizio e i più atti si mostrarono quelli di
nazione croata — i Morlacchi — ma essendo soliti viver di rapina, hanno poco
meno danneggiato il suddito di quello che si abbia fatto il nemico.”
Le cernide erano reclutate nei villaggi dell’interno della penisola, mentre
dai centri della costa, da Muggia ad Albona e Fianona, venivano arruolati gli
equipaggi della flotta. Come in Friuli, così anche in Istria, venivano circoscritti
tutti gli “uomini da fatti” dai 18 ai 36 anni, i quali, in tempo di pace, dovevano
periodicamente radunarsi per l’ addestramento.
L’organico delle cernide istriane, fine ‘500 ed inizi del ‘600, comprendeva
6 compagnie, comandate da altrettanti capitani agli ordini di un governatore:
— l.a compagnia: comprendeva 500 uomini del territorio di Capodistria;
— 2.a compagnia: 400 uomini dei territori di Pietrapelosa, Momiano, Buie,
Grisignana, Piemonte, Portole e Visinada, mentre il centro di mobilitazione,
alternativamente, si trovava a Buie e a Visinada;
— 3.a compagnia: 400 uomini reclutati nei territori di Dignano, Pola,
Barbana, Castelnuovo, S. Lorenzo, Duecastelli e Valle. Centro di mobilitazio-
ne a Dignano;
— 4.a compagnia: 400 uomini coscritti nel territorio di Pinguente e 50
uomini di cavalleria;
— 5.a compagnia: 300 uomini nel territorio di Albona;
— 6.a compagnia: 400 uomini nel territorio di Montona.
Capodistria, inoltre, forniva una compagnia di bombardieri, 100-150 uo-
mini, mentre Pirano ne dava altri 30°".
Le ordinanze paesane venivano pure mobilitate non solamente in caso di
guerre, ma anche di calamità naturali e, soprattutto, per “l’occorrenza di
salute”, al fine di creare un cordone sanitario lungo i confini con i territori
asburgici — contea di Pisino —, per difendersi dalla diffusione della peste
bubbonica, malaria ed altre malattie contagiose che in più riprese, nel corso dei
secoli, avevano devastato e decimato la penisola istriana””.
4! Cfr. G.G.CORBANESE, op. cit., p. 156.
4. Cfr. B. SCHIAVUZZI, “Le epidemie di peste bubbonica in Istria”, AMSI, vol. IV, f. 3-4 (1888), p.
423-447, alla fine del saggio vedi “Prospetto cronologico di peste bubbonica nell’Istria e Trieste (dall'anno
192 al 1632)", p. 447; IDEM, “La malaria in Istria. Ricerche sulle cause che l'hanno prodotta e che la
mantengono”, AMSI, vol. V, f. 3-4, (1889), p. 319-472; L. PARENTIN,"Cenni sulla peste in Istria e sulla
difesa sanitaria”, AT, s. IV, vol. XXXIV (1974), p.7-18; M. BERTOSA, /starsko vrijeme pro$lo II passato
176 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188
Anche i feudi e i castelli disposti lungo la valle del Quieto, da Visinada a
Grisignana, Portole, Piemonte, Montona e praticamente fino a Raspo, coadiu-
vati da numerosissimi insediamenti quali Sovignacco, Colmo, Castel Racizze,
Draguch ed altri della zona, in più riprese, avevano dato dimostrazione di un
valido limite difensivo. Un altro limes difensivistico si estendeva a settentrione
da Capodistria per scendere fino a Pinguente che, tuttavia, nel corso della
guerra di Gradisca, venne, in parte saccheggiato e distrutto. Il resto del territo-
rio, comprendente le cittadine costiere del litorale occidentale, venne coinvolto
dal costante problema dello spopolamento dovuto non solamente, quale conse-
guenza di lunghi conflitti tra la Serenissima e gli Asburgo, ma anche da
calamità naturali, in primo luogo, la malaria e peste bubbonica che ne decimò
la popolazione costringendo Venezia ad intraprendere urgenti provvedimenti
onde colonizzare la regione con nuove popolazioni che, nel corso del XVI e
XVII secolo, mutarono la componente etnica della penisola istriana*.
Tali strutture difensive e la divisione della regione tra i due grandi imperi,
veneto ed asburgico, aveva creato diversi disagi specialmente per la popolazio-
ne locale, in quanto, le vie interne che avrebbero dovuto convergere verso
Pisino e unire le due regioni erano state bloccate dalle frontiere ‘“(...) era tutto
sconvolto da quel confine che senza subordinarsi ai rilievi scavalcava irrazio-
nalmente monti e valli, prati e boschi, fiumi e strade, ed arrestavano come una
diga, da oriente ad occidente e da settentrione a mezzogiorno il flusso e il
riflusso degli uomini e delle merci”*.
Tale conformazione politico amministrativa rappresentava anche per la
Contea parecchie difficoltà in quanto veniva a trovarsi accerchiata dai territori
veneti mentre, a settentrione, le vie di comunicazione verso le regioni della
Carniola, Stiria e Carinzia erano ostacolate dalla configurazione geografica
della regione, ovvero dalla catena montuosa del Monte Maggiore e dal Carso
istriano.
Identica politica era stata condotta nella Contea di Pisino dagli Asburgo,
cosicché la maggior parte delle cittadine e maggiori borgate della penisola
dell’Istria/, Pola, 1978, p. 111-124; R. M. COSSAR, “L'epidemia di peste bubbonica a Capodistria”, AT
(1928), p. 180-190; S. PLESNICAR, “Kuga v Istri” /La peste in Istria/, Zdravstveni vestnik /Bollettino
sanitario/, Lubiana, vol. 8 (1962), p. 345-350; J. KRAMAR, “Epidemije v slovenski Istri” /Le epidemie nell”
Istria slovena/, Zgodovinski Casopis /Rivista storica/, cit., an. 49, 1995, p.99-111.
43 A tale riguardo cfr. M. BERTOSA, Istarsko vrijeme proîlo, cit. p. 111-123.
44 Cfr. E. IVETIC, “Funzione strategica”, cit., p.83 e nota 17; e B. ZILIOTTO, “Aspetti di vita politica
ed economica nell’ Istria del Settecento”, P/, s. IV, n.14 (1965), p. 8.
A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ani, voL XXXL 2001, p. 155-188 177
avevano avuto l’aspetto, e lo hanno tutt'ora, di roccaforti atte alla difesa dalle
continue scorrerie nemiche.
L’ Austria, in più riprese, sebbene avesse tentennato d’intraprendere misu-
re precauzionarie di difesa dei suoi domini, specialmente nella penisola balca-
nica, contro gli ottomani, tuttavia, aveva costituito i “Confini militari” che
dovevano rappresentare una muraglia invalicabile per il nemico; a dir il vero,
l’origine della fortificazione risale al tempo del re Sigismondo e Mattia Corvi-
no che avevano concentrato nei borghi fortificati di Knin, Obrovac e Benkovac
un forte contingente militare formato prevalentemente da “personale umano”
fuggito dalle regioni balcaniche cadute sotto le conquiste ottomane.
I Confini militari comprendevano territorialmente una buona parte del
territorio croato, ed erano stati direttamente subordinati a Vienna. In tal modo
avevano diviso in due parti l’intero territorio mentre, in questa regione, il
Parlamento e il bano croato non avevano avuto nessuna funzione, ne alcuna
autorità politica fino alla seconda metà del XIX secolo, quando l’integrazione
venne effettuata, grazie alla situazione politico-militare di allora e grazie
all’abilità politico-diplomatica del bano Ivan MaZuranié**.
Venezia, nel corso del Cinquecento, aveva costruito nei suoi possedimen-
ti, nella parte montana della penisola, il forte Castello di Raspo, sede del
Comandante -Capitano militare dell’ Istria, dopo la soppressione dei due Capi-
tanati militari minori di San Lorenzo del Pasenatico e di Grisignana, rispetti-
vamente a Sud e a Nord della linea del Quieto*°,
Il “Capitaniato di Raspo”, sorto nel 1394 con la riunione dei due preceden-
4 Cfr. A. MICULIAN, “L'evoluzione politica in Dalmazia dai moti del 1848 all’unificazione
nazionale”, ACRSR, vol. IX (1978-79), p. 523-545; IDEM, “La lotta politica in Dalmazia tra partito
autonomista e annessionista dall'inizio degli anni ’60 alla fine degli anni "80 del XIX secolo”, AMSDSP, vol.
XXX (2001), p. 21-44. Cfr. anche G. NOVAK, “Politiéke prilike u Dalmaciji godine 1866-76” /Le condizioni
politiche in Dalmazia negli anni 1866-76/, Radovi Instituta JAZU u Zadru /Lavori dell'Istituto dell’ Accade-
mia Jugoslava delle Scienze e delle Arti di Zara), Zara, vol. VI-VII(1960), p. 37. Vedi pure D. ROKSANDICG,
“Stojan Jankovié nella guerra di Morea ovvero degli Uscocchi, degli schiavi e dei sudditi”, ACRSR, vol.
XXX (2000), p. 315-388; AA.VV., Dalmacija 1870 ILa Dalmazia nel 1870/, Zara, 1972; I. PERIC,
Dalmatinski Sabor 1861-1912 (1918.) god. /Il Parlamento dalmata 1861-1912 (1918)/, Zara, 1978.
46 Il Capitaniato di Raspo, sorto nel 1394 conla riunione dei due precedenti “Capitanati del pasenatico”
di S. Lorenzo e di Grisignana, divenne Capitaniato di Pinguente. Esso, fin dalla sua costituzione, si
identificava con l’area dell'alto Quieto racchiusa ad nord-est e a sud-est di Pinguente dal tratto di confine
con i possedimenti austriaci. Il ruolo strategico difensivo del Capitaniato di Raspo-Pinguente era assicurato
dai castelli fortificati circostanti che formando un quadrilatero ben concepito territorialmente difendevano
quella che era la comunicazione principale che dalla fascia costiera entrava attraverso la valle del Quieto
nelle parti interne più lontane della Provincia dell'Istria e nel contempoera passaggio obbligato per i traffici
del territorio imperiale verso i centri e i porti della costa occidentale istriana. Cfr. Aspetti storico—urbani,
cit., p.48.
178 A. MICULIAN, Le inaursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, voL XXX], 2001, p. 155-188
ti capitanati del pasenatico sopra menzionati, divenne Capitaniato di Pinguen-
te. Esso, sin dalla sua costituzione, si identificava con l’area dell’alto Quieto
racchiusa a nord-est e a sud-est di Pinguente dal tratto di confine con i
possedimenti asburgici. Il ruolo strategico-difensivo del Capitaniato di Raspo
era assicurato dai castelli fortificati di Pinguente, Colmo, Draguccio, Vetta e
Sovignacco che, formando un quadrilatero ben concepito territorialmente,
difendevano quella che era la comunicazione principale che, dalla fascia
costiera entrava attraverso la valle del Quieto nelle parti interne della Provincia
dell’Istria e, nel contempo, era passaggio obbligato per i traffici dal territorio
imperiale verso i centri ed i porti della costa occidentale dell’Istria. Oltre al
controllo di tutto il Pasenatico, ovvero del territorio veneto escluse le città, e
del territorio lungo i confini nella parte montana dell’Istria, il capitanio di
Raspo aveva pure la carica di podestà di Pinguente.
La costruzione del Castello non era dovuta soltanto a necessità belliche:
dall’Alto Carso istriano, la fortificazione venne eretta innanzitutto contro
l’impero absburgico del Pisinotto, ma anche in riferimento alle indispensabili
forniture di legname per la marina da guerra e di commercio veneta. A tale
riguardo, in quell’epoca, la vasta foresta demaniale di Montona nella piana
alluvionale del Quieto, si estendeva dalle “Porte di ferro” e dal corso della
Brazzana, ove esistevano ancora i ruderi del Castello di Pietrapelosa dei
marchesi Gravisi — Barbabianca, fino a Gradole nei pressi di Villanova del
Quieto, e perciò il Castello di Raspo poteva, almeno in parte, con facilità
controllare il trasporto delle grosse navi che si svolgeva in due direzioni
opposte: per via fluviale dalla Bastia in poi, e per via terrestre, attraverso le note
“carratade”, da Pinguente al mare, in rotta adriatica Cittanova - Umago —
Lido, da dove il legname arrivava a destinazione nei porti dell’ Arsenale”.
Il Castello di Raspo, la cui eminente posizione strategica fu subito valo-
rizzata dalla Repubblica Marciana, aveva alle sue dipendenze i punti strategici
più importanti del circondario, ovvero i castelli minori di Colmo, Draguch-
47 Per quanto riguarda i boschi di Montana — il famosoboscodi S. Marco- sul quale Venezia esercitava,
a mezzo di un “Capitanio della Valle di Montona”, il monopolio del legname da costruire, in gran parte
riservato all’ Arsenale, ed in genere anche gli altri dell'Istria vedi V. BRATULIC (a cura di), Catastico
generale dei boschi della Provincia dell'Istria (1775-1776) — Terminazione del C. E. Sopra Boschi —
Naredjenje P. K. Varh Dubravah (1777) - CATASTICO GENERALE DEI BOSCHI DELLA PROUINCIA
DELL'ISTRIA FORMATO DALL'ILLIMO ED ECC.MO SIG. BARBON VIC. MOROSINI IV PATRON
ALL'ARSENAL E DEPUTATO Al BOSCHI NEGL'ANNI MDCCLXXV-LXXVI DELLA STESSA PROUIN-
CIA, Trieste-Rovigno, 1980 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 4, 1980), p.
4-474.
A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 179
Draguccio, Sovignacco, Verch, Rozzo e le undici ville, ovvero i casali di Brest,
Bergodez, Lanischie, Podgachie, Prapurch, Danne, Clenuschia, Cropignacco,
Seura, Terstenicco, Racievaz; in tal modo la fortezza aveva continuato a
svolgere la sua funzione di ‘“Clavis totius Istriae” fino all’anno 1511, quando
venne distrutto dagli Imperiali con conseguente trasferimento del Comando
militare veneto a Pinguente.
Pinguente, quale centro amministrativo ed economico più importante
dell’area, divenne sede del Capitanio, massima autorità militare dell’Istria
veneta la cui giurisdizione si estendeva anche alle 12 ville del carso pinguentino.
Le conquiste e i successi conseguiti dagli Ottomani nella seconda metà
del XVI secolo avevano destato ulteriori preoccupazioni per le diplomazie
europee anche perché l’Occidente, e in modo particolare Venezia, pur attente
ad ogni variazione dell’equilibrio politico in Levante e nei Balcani, avevano
assistito quasi impassibili ai rapidi progressi dei Turchi, sperando, forse, che
quel popolo si sarebbe tenuto alquanto lontano dall’ Adriatico. Comunque, i
tormentati rapporti con il Turco che, nella seconda metà del secolo, esplosero
prima nella crisi di Cipro ed in seguito nella battaglia di Lepanto, divennero
l’argomento preponderante non solamente della politica governativa di allora,
ma anche della produzione storico-politica e letteraria, latina, volgare e dialet-
tale veneta**.
La perdita di Cipro non rappresentava per Venezia solamente la perdita di
uno “scoglio”, ma del più ricco possedimento nel Mediterraneo, in posizione
ideale per i suoi traffici con il Levante. D'altro canto, la situazione si presen-
tava difficile per l’ Occidente; l’armata della Lega si era sciolta, Filippo II non
aveva avuto più alcun interesse a continuare la guerra in quel settore nel
Mediterraneo; Venezia venne a trovarsi ancora una volta sola di fronte al
Turco, che si stava nuovamente riarmando. Inevitabile è stata un’altra dolorosa
4 AA.VV. Storia della cultura veneta dal primo Quattrocento al concilio di Trento, cit: Lettere,
relazioni, orazioni, trattarelli storici, cronologie elenchi dei cittadini e delle navi partecipanti a questo o quel
fatto d'arme, incisioni raffiguranti le flotte schierate a battaglia o le piazzeforti assediate o i costumi dei
combattenti, progetti di alleanze contro il Turco, biografie di eroi oltre agli avvisi delle notizie varie che
venivano stampati sotto forma di opuscoli o di fogli volanti. La prima notizia sulla battaglia la si ebbe nella
“Lettera” di Girolamo Diedo, consigliere a Corfù, al bailo di Costantinopoli, Marcantonio Barbaro, ma una
più ampia narrativa la troviamo nella "Historia" di Gian Pietro Contarini. Di particolare interesse sono i
racconti di alcuni protagonisti delle vicende, come Nestore, Martinengo, fratello di uno dei comandanti
veneziani giustiziati da Mustafà Pascià , mentre R. BENEDETTI nel suo “Ragguaglio delle rallegrezze,
solennità e feste fatte in Venetia per la felice vittoria” ci descrive l’esultanza popolare quando la galea di
Onfrè Giustiniano annunciò la vittoria. Indicativa del tripudio letterario patriottico-religioso è la canzone
“Alla prima novella giunta in Vinegia di questa felice vittoria di Celio Magno, segretario del Consiglio dei
X, poi segretario del Senato” (v. 3/I1, Vicenza 1980, p. 393-406).
180 A. MICULIAN, Le inarrsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 155-188
rinuncia, la rinuncia a Cipro, in cambio dei traffici e di quella “signoria del
mare” che il Turco aveva definitivamente perduto, e Venezia e l’Occidente
avevano riconquistato grazie all’apporto determinante, anche se duramente
pagato, alla vittoria di Lepanto”.
In realtà, la battaglia di Lepanto sanzionò momentaneamente il declino
ottomano e permise, per altri due secoli, la sopravvivenza politica e militare di
quella stupenda ed incredibile entità chiamata Venezia.
Venezia dopo il 1571 era uscita dalla battaglia di Lepanto, vincente sul
campo militare, ma sconfitta su quello economico, politico e morale. Le ragioni
che resero pressoché vana la vittoria di Lepanto furono: la lega cristiana mancò
di coesione e d’unità d’indirizzo e la Spagna non aveva desiderato indebolire
l’impero ottomano affinché Venezia non traesse troppi vantaggi. Pertanto, la
Repubblica di San Marco, per salvaguardare i propri interessi e continuare a
svolgere la sua funzione prettamente marinara nell’ Adriatico e nel Mediterra-
neo e mantenere indisturbata dalle scorrerie degli infedeli le sue postazioni,
dovette accordarsi con gli ottomani pagando pure grossi tributi in denaro al
sultano.
Il suo esercito, assieme a quello della Lega, era uscito vittorioso dal
conflitto; tuttavia, aveva subito ingenti perdite umane e demoralizzato i prota-
gonisti diretti a tal punto che un diretto protagonista veneziano, Sebastiano
Venier, così si era espresso dopo aver fatto ritorno a Venezia: ‘“(...). Ha noi ha
toccato el combatter, le morti et ferite, et ad altri torsero la preda, che io,
Signori, de tanta Vittoria ho guadagnato ducati 505, lire 2, pizoli 6, alcuni
cortelli, una filza de coralli, etdo negri non boni apena da vogar in mezo d’una
gondola (...)?"®.
49 Le perdite in campo cristiano furono: su 7656 morti, 4856 erano veneziani; su 7784 feriti,, 4584
veneziani. Si aggiunga il contributo decisivo dato alla disfatta della flotta turca dalle sei galeazze veneziane,
le supergalere dotate di potenza e volume di fuoco eccezionale per quell'epoca mai precedentemente
esperimentate. Cfr. Storia della cultura veneta, cit., nota 135, p. 406; A. MICULIAN, “Le incursioni dei
Turchi in Europa e l’importanza delle fortificazioni venete in Istria e nelle regioni contermini nel XVI
secolo”, relazione presentata al simposio scientifico La battaglia di Lepanto e l’Istria, Pirano, 6 ottobre 2001.
50M. MORIN, “La battaglia di Lepanto”, in Venezia e i Turchi, cit. p. 231 e nota 36; Cîr. pure R. CESSI,
Storia della Repubblica di Venezia, cit. p. 549-570: “Venezia dovette rassegnarsi alla perdita di preziosi
possessi, che non aveva saputo difendere: a quella del regno di Cipro, di Antivari, di Dulcigno e di altri luoghi
occupati dai Turchi; alla rinuncia delle effimere conquiste greche di Soporto e Margariti, all’aggravio di
onerose indennità e di maggiori tributi, se voleva salvare Candia, le basi ioniche, quelle dalmate e quelle
albanesi, e preservare ancora la superstite residua attività di traffico mediterraneo, che alimentava il mercato
realtino. Tale fu la pace del 7 marzo 1573, che non placò i nemici di Venezia, ma non guadagnò a questa
migliori amici.”, p. 570. Cfr. anche G. STANOJEVIC, Jugoslavenske zemlje u mletacko-turskim ratovima
A. MICULIAN, Le incursoni dei Turchi e le fortezze veneziane, Anti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 181
L'apporto navale veneto a Lepanto aveva contribuito a colpire ed arginare
la potenza ottomana". Venezia amareggiata del contrasto con l’alto comando
e con il governo spagnolo, nonché della sua intensa attività di spionaggio a
danno della Serenissima sia a Venezia che nei possedimenti veneti nel Levan-
te’, aveva preferito perseguire i frutti della vittoria ritraendosi in se stessa a
rimediare le ferite inferte della guerra, ovvero, la grave crisi finanziaria ed
economica che si era rivelata nella seconda metà del Seicento.
L’accordo firmato da Venezia con il sultano il 7 marzo 1573, aveva destato
grande scalpore fra i principi d'Europa, e la stessa Chiesa cattolica ne era
rimasta profondamente delusa. Il popolo veneziano “che non conosceva la
condizione della cosa pubblica mostravasene scontento, ma gli uomini di più
sano e più maturo giudizio — osservava il Paruta — li quali con l’esperienza
delle cose passate andavano i futuri successi misurando, affermavano costan-
temente meritate quest’operazione laude o almeno giusta scusa, così consi-
gliando la ragione di stato e la prudenza civile per la conservazione del
dominio della Repubblica, il quale si conosceva senza questo unico rimedio
della pace restare soggetto a gravissimi incomodi e pericoli)”
Mentre la Repubblica di San Marco stava cercando di convincere i principi
europei che tale accordo era stato allora necessario per il bene comune di tutto
XVI-XVII! vijeka /Le terre jugoslave durante i conflitti veneto-ottomani XVI-XVII] secolo/, Belgrado, 1970.
Cfr pure E. MUSATTI, Storia di Venezia, vol. 1, Venezia, 1968, p. 359-378: “ Col trattato di Costantinopoli
7 marzo 1 573 si stabilì che, confermate le precedenti convenzioni, restituirebbero i Veneziani al Gran Signore
de’ Turchi (Selim Il) il castello di Sopotò — nell’Epiro, era stato conquistato da Sebastiano Venier nel 1570
— rinuncierebbero, in favore del Sultano, i loro diritti sul reame di Cipro e sarebbero quindi esonerati dal
pagamento dell’annuo tributo di ottomila zecchini d’oro: pagherebbero alla Sublime Porta trecentomila
ducati in tre anni; il tributo per l'isola di Zante, ch'era di cinquecento, sarebbe portato a millecinquecento
zecchini.”, p. 376 e nota 63; cfr. anche S. ROMANIN, Storia documentata di Venezia, tomo VI, Venezia,
1974, p. 236-237.
5 Cfr. G. GATTERI, La storia veneta illustrata da G. Gatteri (1438-1787), vedi il capitolo “Vittoria
alle Curzolari” conseguita dalle armi cristiane contro i Turchi (7 ottobre 1571): “Dugento ventiquattro navi
turche perdute, novantaquattro respinte alla costa e incendiate, cento trenta divise fra gli alleati, del par che
cento diciasette cannoni maggiori, dugento cinquantasei di minor calibro, e tremila quattrocento sessant’otto
prigioni. Quindicimila cristiani furono liberati dalle catene. Il total danno degli infedeli salì ad oltre trenta
mila uomini, i collegati perderono quindici galee e ottomila prodi marinai, soldati e capitani valorosissimi,
fra quali ultimi Agostino Barbarigo, che morì dalle ferite (...). 1 fanali d’oro, le bandiere purpuree con
iscrizioni dorate, le code del serraschiere furono i trofei della battaglia di Lepanto, la quale fu la più distinta
fra quelle date sul mare fin dal combattimento accaduto nelle vicine acque di Azio, fra Antonio ed Augusto,
e nessun'altra fu tanto magnificata, secondo il costume degli antichi, col trionfo de’ vincitori, collo sfoggio
dell’arte, colle feste popolari ed ecclesiastiche, (...).”
52 Cfr. G. K. HASSIOTIS, “Venezia e i domini veneziani tramite di informazioni sui Turchi per gli
spagnoli nel sec. XVI”, in Venezia centro di mediazione tra Oriente e Occidente (secoli XV-XVI): aspetti e
problemi, Fondazione G.Cini, vol. I, Firenze, 1977, p. 117-136.
182 A. MICULIAN, Le inausioni dei Tiuchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188
l'Occidente cattolico, aveva inviato Andrea Badoer, come ambasciatore straor-
dinario, a congratularsi con Selim della pace conclusa, e dopo quattro anni “di
tanti sì gravi avvenimenti poté alfine respirare e volgere la sua attenzione al
riordinamento, tanto necessario, delle cose interne”.
Per almeno un secolo, l’esercito veneziano non aveva più rivolto le armi
contro il mortale nemico ma si era occupato di altri problemi, non meno gravi,
e a combattere avversari ugualmente temibili: le pretese giurisdizionalistiche
della Chiesa cattolica romana, culminate nell’interdetto del 1600-1607°%, la
lunga lotta contro i temibili pirati dell'Adriatico — gli Uscocchi”, sostenuti
direttamente dagli Asburgo, l’insidiosa politica della Spagna e la congiura
ispirata dal suo ambasciatore, marchese di Bedmar del 1619°,
53 S. ROMANIN, op. cit., p. 237.
54 IBIDEM, cfr. Fra Paolo Sarpi (27 ottobre 1607): “Le controversie accadute fra Paolo V e la
Repubblica di Venezia, aggirantesi intorno a’ pretesi diritti di quel pontefice e principalmente sul giudicare
gli ecclesiastici a tribunali laici, che nebbero inizio nell’anno 1605, in occasione che il podestà di Vicenza
carcerar fece il canonico Scipione Saraceno,, incolpato di avere con isporca insidia fatto oltraggio alla moglie
di un patrizio, e di avere spezzati i sigilli della cancelleria vescovile, in tempo di sede vacante; quelle
controversie dicevasi, sono note anche troppo; son troppodolorose, non tanto per chi le sostenne, quanto per
chi le promnosse; e noi vorremmo per onore del nome di Paolo non fossero mai avvenute; mentre in quelle
non ebbe parte la Chiesa (...). Tacendo adunque le vie perle quali Paolo si condusse in quel malauguratis simo
affare, nel quale contro le solite discipline, nonprese egli il voto del sacro collegio, cosa che molto dispiacque
a’ cardinali che lo componevano, diremo che alla fine fulminava il dì 17 aprile 1606 l’Interdetto contro lo
stato Veneziano. La repubblica però non ismarrì d'animo sapendo quanto era nota al mondo la sua religione,
la obbedienza nelle cose spirituali alla Santa Sede, ed il sangue tante volte sparso da lei per difenderla, e
raccolto il voto de’ principi teologhi s'oppose alla promulgazione del Breve che recava l’interdetto medesi-
mo; e colla sua costanza, e dimostrata pietà ad un tempo, riescì a vincere l'animo del Pontetice, e si che
furono le differenze appianate e tolte le fulminate censure. Uno de’ teologhi che più degli altri sostenne le
ragioni della repubblica, anzi che fu il suo principal consultore, è annoverato Paolo Sarpi.(...)."; vedi pure
E. MUSATTI, op. cit, vol. II, p. 11-35.
55M. BERTOSA, Istra: doba Venecije, cit. p. 304-413; C. De FRANCESCHI, L'Istria — Note storiche,
Parenzo 1879; S. GIGANTE, “Venezia e gli Uscocchi"”, Rivista della Società di Studi Fiumani, Fiume, vol.
VIII (1931), p. 3-87; A. PUSCHI, “Cenni intorno alla guerra tra |’ Austria e la Repubblica di Venezia negli
anni 1616 c alzi AT, vol. VII (1880-81) e vol. VIII (1881-82).
56 ]BIDEM, Scoperta della “congiura di Bedmar” (2 giugno 1618): * Il duca di Ossuna, vicerè di
Napoli, don Pedro di Toledo, governatore di Milano, ed il marchese di Bedmar, ambasciatore di Spagna
presso la veneziana repubblica; desiderosi di vedere stabilito in Italia con solidità la padronanza di Spagna,
e suasi d'altronde di potersi raggiungere il loro scopo finché la repubblica veneziana avesse avuto esistenza,
per cooperare trionfalmente all’ingrandimento di quella monarchia. L’inefficacia de’ modi, da loro usati
palesemente, li convinse dell’impossibilità di venire a capo con le armi, e quindi si diedero a tentarlo con le
insidie occulte e col tradimento. Il marchese di Bedmar era come il centro da cui partivano tutte le fila della
tenebrosa orditura, la quale in fine doveva ridursi ad incencrire in un solo e medesimo giorno | Arsenale di
Venezia, cd il Palazzo ducale e far macello di tutti i nobili veneziani, ad usurpare il dominio della città. (...).
Permeglio conseguire il suo fine, trasse da Napoli al cuni fidi ed audaci (...) e nel giorno medesimo doveano,
dietro avviso trovarsi in Venezia oltre 300 nemici tra capitani ed altri bassi ufficiali, di nazioni straniere, i
A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e E fortezze veneziane, Affi, vol. XXX], 2001, p. 155-188 18
Pur rimanendo neutrale nei vari conflitti nel nuovo secolo, Venezia era
intervenuta direttamente nei maggiori congressi accanto alle grandi potenze
europee di allora, come in quello di Westfalia, per non rimanere esclusa alle
vicende europee, anche se il suo interesse sarà rivolto soprattutto, verso la
soluzione dei problemi italiani, quali le contese di Valtellina, le guerre di
successione di Mantova, del Monferrato ecc. senza mai dimenticare l’Egeo,
dove le sue colonie continuarono a lottare per la loro sopravvivenza — come a
Candia, chiave di volta del suo impero fin dal 1211 - fino alla sua definitiva
perdita nel 1669, compensata però dal riacquisto della Morea, precedentemente
ceduta nel 1540”,
Quindi, la brillante vittoria di Lepanto, nonostante l'entusiasmo con cui fu
salutata la notizia in tutta l’ Europa Cattolica, per la Serenissima repubblica non
ebbe un’importanza duratura, anzi figurò come un episodio particolarmente
drammatico e segnò una importantissima svolta nella storia del Mediterraneo.
Nel 1574, quando i Turchi erano riusciti a riconquistare Tunisi, che era stata
persa a favore degli Spagnoli appena l’anno precedente, si assistette all’ ultima
impresa veramente importante, compiuta da una grossa forza di spedizione
navale, costituita in prevalenza da galee.
Da allora in poi, Venezia si era ridotta a combattere solo contro i pirati e
a proteggere il suo decadente commercio. Era rimasta, in genere, ai margini di
tutte le guerre di successione e di tutte le competizioni politiche che coinvol-
sero l’intera Europa dell’età moderna, in omaggio alla sua costante neutralità
disarmata, ritenuta dal suo governo la soluzione più idonea per i suoi presunti
interessi.
Questo atteggiamento fu assunto da Venezia in diverse circostanze, ad
esempio quando aveva respinto l’invito di Carlo Emanuele I di Savoia ad unirsi
alla Confederazione degli Stati italiani per combattere il comune straniero e
preparare, quindi, il terreno che in seguito avrebbe portato all’unificazione
della penisola appenninica.
La prima grande battuta d’arresto che aveva colpito l’economia veneziana
fu il decadimento della marina mercantile. A partire dagli anni novanta del XVI
secolo, le navi inglesi ed olandesi iniziarono ad apparire nelle acque del
quali contribuissero al miglior esito dell'impresa...) Scoperta per tal guisa la trama, furono tratti a morte
oltre duecento settanta complici; e con alta politica operò la repubblica che rimosso venisse dal posto di
ambasciatore l’iniquo Bedmar, riuscendo per solo favore del Cielo a salvare la Patria dall’estremo periglio.”
57 W. H. McNEILL, Venezia il cardine d'Europa 1081-1797, Roma, 1979, p. 197-233.
184 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, vol XXXI 2001, p. 155-188
Mediterraneo e, gradatamente, sostituirono quelle veneziane, assumendo così
sotto il proprio controllo gran parte del commercio con il mare interno. Venezia
aveva risposto a questa nuova concorrenza permettendo agli armatori venezia-
ni di acquistare navigli meno costosi costruiti soprattutto all’estero. Il governo,
inoltre, aveva tentato di rimediare tale situazione agendo sulle tasse di anco-
raggio allo scopo di rendere vantaggioso per le navi di costruzione nordica
viaggiare sotto bandiera veneziana. Tuttavia, questi provvedimenti non aveva-
no impedito alle navi olandesi ed inglesi di assumere la parte del leone nei
viaggi a lunga distanza nel Mediterraneo. E
Un’altra delle antiche fonti di profitto commerciale della Serenissima era
diminuita anch’essa a partire dalla metà del XVI secolo, per scomparire
completamente con la guerra dei Trent'anni nel 1618, poiché il prodotto delle
miniere d’oro e d’argento dell’ Europa centrale, dopo l’anno 1 550, aveva subito
una notevole riduzione. L’esaurimento dei metalli preziosi dal Nuovo Mondo
furono responsabili di questo fenomeno. Venezia non era riuscita a colmare
questo vuoto con lo sfruttamento delle miniere nella Bosnia, in quanto,
quest'ultime, nel corso del XV secolo, erano gestite direttamente dai commer-
cianti di Ragusa che, mantenendo buoni rapporti con il Sultano, si apprestava
a divenire primo concorrente diretto nel Mediterraneo e nell’ Adriatico”.
Altre cause che contribuirono alla decadenza politico-economica di Vene-
zia vanno ricercate sia nella massiccia catastrofe demografica causata della
peste (1575-77) che aveva paralizzato per lunghi mesi i rapporti Dominante-
Terraferma, scosso l’equilibrio finanziario e politico dello stato ed inciso con
forza su una sensibilità religiosa profondamente segnata dal Concilio di Trento,
sia nelle due crisi parallele e connesse di dimensione mediterranea che diven-
nero frustranti fra il 1575 ed il 1635. Il cibo ed il combustibile, fondamentali
per ogni società, divennero carenti nelle terre mediterranee con lo spopolamen-
to dell’equilibrio fra le terre coltivate e quelle boschive — fenomeno che si era
manifestato anche nei secoli precedenti —, in quanto lo sfruttamento del legna-
58 A. DI VITTORIO, Finanze e moneta a Ragusa nell'età delle crisi, Napoli, Officine grafiche
napoletane F.Giannini e Figli, 1983; A. NICETIC, Povijest dubrovatke luke La storia del porto di Ragusa/,
Ragusa, 1996, p. 157-178; I MITIC, Dubrovatka drZava u medunarodnoj zajednici (od 1358 do 1815) /Lo
stato di Ragusa nella comunità intemazionale (dal 1358 al 1815)/, Zagabria, 1988; S. ANSELMI, Venezia,
Ragusa, Ancona tra Cinque e Seicento. Un momento della storia mercantile del Medio Adriatico, Ancona,
1969; M. RESETAR, Dubrovaéka numizmatika [Numismatica ragusea/, vol. I, Sremski Karlovci, 1924, vol.
II, Belgrado, 1925; V. VINAVER, “Turska i Dubrovnik u doba spanske invazije Jadranskog mora (1617-
1619)” /La Turchia e Ragusa nel periodo dell’invasione spagnolg del mare adriatico (1617-1619), /storijski
Glasnik, /Bollettino storico/, 1952, n. 1-4; V. FORETIC, Povijest Dubrovnika do 1808 /Storia di Ragusa fino
al 1808/, vol. II, Zagabria, 1980.
A. MICULIAN, Le navsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Attî, vol XXXI, 2001, p. 155-188 185
me da costruzione aveva assunto una tale dimensione di sviluppo che la
rigenerazione naturale delle foreste non era riuscita a mantenere lo stesso ritmo
della distruzione dei boschi?°.
Anche i cambiamenti sociologici di vasta portata incisero sul collasso
economico di Venezia specialmente, quando le misure amministrative e legali
adottate per evitare il disastro fallirono completamente. Agli inizi del 1600 la
Repubblica venne governata da una ristretta cerchia di persone che vivevano
esclusivamente di rendita, mentre la gestione attiva dell’industria e del com-
mercio era passata nelle mani di stranieri residenti, ben tollerati dalle autorità
veneziane, ma i cui interessi non erano presi abbastanza in considerazione nelle
deliberazioni dei comitati ufficiali e dei corpi di governo. Tuttavia, erano
consapevoli che la loro posizione avrebbe potuto rimanere sicura solamente se
sarebbero stati capaci di difendere la libertà e la virtù repubblicana, il plurali-
smo etnico che già allora rappresentava una delle caratteristiche di primo piano
della società veneziana e se le masse popolari, avrebbero sostenuto la loro
politica”.
D'altro canto, la saggezza e l’astuzia della classe dominante e della nobiltà
veneziana non erano mai state così evidenti come nel successo che ottenne
questa politica nel mantenimento della pace e dell’ordine interno nella città
anche di fronte alla crisi economica fino al decadimento finale.
Il modello tollerante e pluralistico della società veneziana divenne di
importanza sempre maggiore nel momento culminante della Riforma Cattolica
in Italia. Infatti, la contesa scoppiata fra il papato ed il governo veneziano agli
inizi del XVII secolo e l'accerchiamento dei territori veneziani da parte degli
Asburgo — Ferdinando d’ Asburgo aveva preso possesso diretto della Stiria,
Carniola e Carinzia venendo così a trovarsi con una frontiera in comune con i
possedimenti veneziani della terraferma — come pure la guerra contro i Turchi
del 1645-69, non avevano fatto altro che favorire il decadimento totale della
Serenissima.
Ormai il prestigio europeo che la repubblica aveva goduto per tanti secoli,
non rappresentava altro che un ricordo del passato, anche se l’aspirazione del
suo governo era pur sempre rimasto, fino a quando Napoleone non sconvolse
59. Cfr. A. STELLA, “La crisi economica veneziana della seconda metà del XVI secolo”, Archivio
Veneto, Venezia, s. V, 1956, p. 57-58. Per quanto riguarda la crisi delle strutture dello Stato, ovvero aspetti
demografici e rispettive ripercussioni economiche e finanziarie, vedi P. PRETO, Peste e società a Venezia,
1576, Vicenza, 1978.
60 Cfr. W. H. McNEILL, op. cit., p. 225-230.
186 A. MICULIAN, Le incursoni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ami, voL XXXI, 2001, p. 155-188
il regime vigente in Italia nel 17979, quello di tornare alla “vita de mar” che,
sin dalla sua fondazione fino al trattato di Campoformido, aveva rappresentato
l’unico momento significativo della sua fortuna, del suo sviluppo e della sua
esistenza.
©! Cfr. A. GEATTI, Napoleone Bonaparte e il Trattato di Campoformido del 1797. La verità sul luogo
della firma e sul monumento della pace, Udine, 1989: “La voce Campoformio, tramandata dalla storiografia
veneziana, secondo l'opinione del Prof. Angelo Filipuzzi, autore del volume Trieste e gli Asburgo, Editore
Del Bianco, Udine 1988, sarebbe errata. La caduta della “d’’ fra le due vocali finali della parola Campofor-
mido è una caratteristica ortografica del dialetto veneto. Questa versione pare trovi conferma nel fatto che la
parola Campoformido comincia ad apparire, sia nelle scritture pubbliche che in quelle private, soltanto verso
la fine del secolo XVIII, ossia all'epoca in cui Venezia, dopo il trattato di Campoformido, perdette la sua
influenza nella Provincia del Friuli.” Cfr. pure G. ELLERO, Storia di Campoformido, Bressa e Basaldella
del Cormor, Udine, 1984.
A. MICULIAN, Le mansioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Attî, voL XXXI, 2001, p. 155-188 187
SAZETAK: PROVALE TURAKA I UTVRDE U FURLANIJI I ISTRI
U SKLOPU VOINE ORGANIZACIJE MLETACKE “TERRAFERME”
U 16. ST. - Autor prikazuje stanje u Furlaniji i na istarskom
poluotoku tijekom 16. stoljeéa. Istite brojne sukobe Venecije i
Habsburske dinastije i njihove posljedice na ekonomskom, polititkom
i demografskom planu, kao i turske napade te pokuSaji Prejasne da
obrani svoje posjede sustavom utvrda na strateSkim toékama u Istri
i susjednim joj regijama.
U Furlaniji, duZ pograniéne certe sa Habsburzima, Venecija je
posvetila posebnu paZnju obrani strate$kih zona tako da je izgradila
obrambene objekte u mjestima Gradisca, Monfalcone, Palmanova,
Marano, La Chiusa di Venzone i Osoppo — koji su predmetom
ovog rada — dok su u Istri to utvrdena mjesta duZ strate$ki vaZnih
polozaja prema Austriji.
No takav je obrambeni sustav donio brojne teskote lokalnom
stanovnistvu, jer je predstavljao prepreku slobodnoj trgovini izmedu
primorja pod Venecijom i austrijskog gorja, kao i protoku roba.
U drugom dijelu, medutim, autor navodi ratove protiv otomanske
vojske, s posebnim osvrtom na sukob 1571. godine, kada je Venecija
izgubila veti dio svojih egejskih posjeda. Nakon toga, najmanje jedno
stoljeée, mletatka vojska bit ée prisiljlena ratovati protiv drugih,
podjednako opasnih neprijatelja. Od vaznijih dogadaja spomenut
éemo jurisdikcijske pretenzije Rimsko-katoliétke crkve, koje su
kulminirale interdiktom iz 1600-1607. godine, zatim dugu borbu protiv
jadranskih Uskoka, koje su neposredno potpomagali Habsburzi, te
urotniéku politiku Spanjolske i zavjeru njezina ambasadora, markiza
od Bedmara 1619. godine.
Iako je ostala neutralna u raznim sukobima u novom stoljecu,
Venecija je neposredni utesnik, uz bok tadasnjim velikim europskim
silama, svih tadasnjih najveéih kongresa, poput onog u Westfaliji.
Usprkos tome ìto je bila zainteresirana prije svega za probleme
talijanskog prostora, ona nije medutim nikad zapostavila egejske
kolonije.
Pa ipak, najveca teZnja njenih vladara, sve do kraja XVIII.
stoljeéa, ostati ée ona za povratkom pomorskoj orijentaciji (‘alla vita
da mar”), jedinom znatajnom razdoblju njezina bogatsva, razvoja i
postojanja.
188 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188
POVZETEK: TURSKI UPADI IN BENESKE TRDNJAVE V
FURLANIJI IN ISTRI V OKVIRU VOJASKIH SIL NA KOPNEM V
16. STOLETIU - Avtor nam predstavlja poloza) v Furlaniji in na
istrskem polotoku v 16. stoletju. Opisuje Stevilne spopade med
Benetkami in avstrijsko vladarsko rodbino ter posledice, ki so jih ti
imeli na gospodarski, politièéni in demografski ravni. Avtor navaja
tudi tur$ke upade in poskuse Beneske republike, da bi branila svoje
posesti s trdnjavami, ki so jih zgradili na strate$kih toèkah v Istri
in v sosednjih regijah.
V Furlaniji, vzdolZ meje z Avstrijo, so Benetke posebno skrbele
za obrambo strateskih obmoòji tako, da so zgradile obrambne
zgradbe v Gradisèu ob Soci, Trziéu, Palmanovi, Maranu, pri Jezovih
v Venzonu in Osoppu — ki smo jih obravnavali - medtem ko so v
Istri branili utrfena naselja vzdolZ strateskih toèk ob Avstriji.
Ta obrambni sistem pa je povzrocil Stevilne tezave krajevnemu
prebivalstvu, sa) je oviralo prosto trgovanje med benesko obalo in
avstrijsko gornato obmodje, pa tudi tok in pretok blaga.
V drugem delu avtor opisuje vojni proti turski vojski, zlasti
spopad leta 1571, ki je privedel do izgube veline beneskih posesti
v Egeju. Odslej se je morala beneska vojska vsaj za sto let bojevati
proti novim, prav tako nevarnim sovraznikom, kot so bile zahteve
rimske katoliske cerkve po sodni oblasti, ki so dosegle vrhunec s
prepovedjo v letih 1600-1607; dolgoletni boj proti jadranskim
gusarfem — Uskokom, ki so jih neposredno podpirali Habsburzani;
zahrbtna politika Spanije in zarota, ki jo je nacrtoval beneski
veleposlanik, grof Bedmar, leta 1619.
Ceprav so Benetke ostale nevtralne pri raznih spopadih novega
stoletja, so se kljub temu udelezile najpomembnejsih kongresov s
takratnimi evropskimi velesilami, kot na primer Westfalskega
kongresa, niso pa nikoli pozabile na Egejsko morje s svojimi
kolonijami.
Vendar je ostala najveéja Zelja beneske vlade do konca 18.
stoletja povratek k “vita da mar”, to je k “morskemu zivljenju”, ki
je predstavljalo edini pomembni trenutek njene sreée, njenega razvoja
in obstoja.
UN ESTREMO TENTATIVO DI RIFORMA DELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA TERRA DI
ROVIGNO NEL 1766
GIOVANNI RADOSSI CDU: 352(497.5Rovigno)”1766”
Centro di ricerche storiche Sintesi
Rovigno Dicembre 2001
Riassunto — Nel corso della visita compiuta nella Terra di Rovigno il Podestà e Capitano di
Capodistria /seppo Michiel il 13 marzo 1766, individuava una serie di manchevolezze nella
pubblica amministrazione: la situazione dell’archivio, l'assenza di un Ufficio di Notifica e varie
irregolarità nel procedimento di votazione (ballottazione) in seno al Consiglio. Onde porre
rimedio a siffatto disordine, la Carica capodistriana emanava la Terminazione che qui si
pubblica, integrata dei decreti che accompagnarono la sua definitiva e pratica applicazione.
L’ Autore individua in questa attività un tentativo — anche se tardivo — di riforma della gestione
pubblica, sull'esempio di quanto stava avvenendo da qualche decennio su quasi tutto il territorio
della Serenissima.
Nel secondo Settecento il sistema sociale, politico ed amministrativo dello
stato veneto era ancora, sostanzialmente, il medesimo che aveva consolidato le
proprie strutture nei secoli XIV-XV, che era entrato nell’arsenale dell’imma-
gine di Venezia nel Cinquecento e che aveva affrontato positivamente le
turbolenze del Seicento per approdare alla lenta e muta agonia, quasi un sonno
che l’avrebbe sorretto sino quasi alla fine del nuovo secolo dei lumi, del
Settecento appunto.
La società della metropoli, la città capitale e dominante, continuava ad
essere articolata nel gruppo patrizio veneziano che deteneva tutto il potere
politico; nel gruppo dei “cittadini originari” cui era riservata la grande burocra-
zia, nei gruppi popolari diversificati dalle possibilità economiche e dalle
attività svolte e funzioni esplicate (commerci, marina, professioni, artigianato,
addetti ai servizi amministrativi, salariati, servitori, ecc.).
Nei territori “da mar” e “da terra”, fuori di Venezia, i “sudditi fedeli e
diletti” continuavano a vivere considerevolmente lontani e staccati dall’im-
190 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voL XXXI, 2001, p. 189-214
pianto socio-politico della città dominante, privi di una sia pur soltanto appa-
rente forma istituzionalizzata di rappresentanza nel governo centrale. “A loro
volta, essi apparivano distribuiti in locali scale sociali che, all'incirca, registra-
vano alla sommità i nobili e i notabili spesso grandi proprietari, indi disomo-
genei strati borghesi (commerci, possidenza, professioni), indi certe fasce
popolari delle città e cittadine (artigianati, addetti alle manifatture), ed indi
ancora, per lo più diseredati, i contadini. Dappertutto, inoltre, la consueta
presenza trasversale del clero e la massiccia presenza di inabili e mendicanti”.
Nei primi decenni del secolo XVIII erano stati riassorbiti in buona parte i
dissesti finanziari pubblici prodotti dalle guerre. Anche se non si notavano
segnali significativi di sviluppi economici, tuttavia le strutture produttive,
specie in determinate zone della Terraferma veneta, riuscivano a tirare avanti
e ad immettere sul mercato l’essenziale. “Certo, arretratezze e contraddizioni
di ogni tipo, facevano dura la vita di una parte cospicua della popolazione delle
zone più povere della Repubblica (si pensi a certi contadi della Terraferma e,
soprattutto, all’Istria e alla Dalmazia)””, per cui il Settecento è stato pensato
dalla storiografia come il secolo della sostanziale stagnazione.
Già nella prima metà di questi cent'anni, l’attenzione delle strutture dello
stato veniva attratta dalla constatazione di una serie di “logoramenti” di vitali
settori dell’economia ed in particolare dell’amministrazione pubblica. Infatti,
su taluni problemi che più travagliavano questi settori si erano aperti dibattiti
e promosse le prime iniziative. Ma soprattutto a partire dagli anni Cinquanta si
fecero insistenti e determinate le denuncie delle difficoltà economiche, delle
arretratezze di molti dei segmenti portanti della vita dello stato e dell’insuffi-
cienza ed inadeguatezza dell’amministrazione. Le discussioni e le proposte
riformatrici, talora decise e coraggiose, ebbero tuttavia, per molteplici e com-
plesse ragioni, esiti piuttosto modesti sul piano della quotidianità e della tenuta
nel tempo.
Lo schema delle iniziative che in tale contesto si perseguivano a diversi
livelli era abbastanza fisso: constatazione delle disfunzioni da superare; crea-
zione nei singoli settori di organismi a carattere innovativo e/o straordinario,
affiancando quelli ordinari esistenti; inchieste conoscitive ed analisi delle
situazioni (di regola con visite di governanti/rettori, accompagnati da speciali-
sti e responsabili) che portavano alla denuncia di distorsioni, anacronismi, atti
! COZZI-KNAPTON-SCARABELLO, 594.
? COZZI-KNAPTON-SCARABELLO, 595.
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voll XXXI, 2001, p. 189-214 191
illegittimi, trascuratezze; eventuali decreti dispositivi di riforma e possibili
concrete applicazioni di quanto “terminato ed ordinato” nei decreti medesimi.
Si trattava di una tendenza generale che bene si conformava anche all’intento
dell’accentramento dei poteri, come analogamente avveniva nei più avanzati
Stati europei; “ma nel piccolo dell’Istria veneta fu anche una risposta diretta
per placare le disfunzioni, i soprusi, le ingiustizie, come per disinnescare
tensioni latenti e pericolose tipiche delle società minime”.
Nelle pagine che seguono è pubblicata ed esaminata una Terminazione che
offre l’ opportunità di illustrare l'itinerario che veniva seguito nell’indicare una
possibile riforma o rimedio a gravi manchevolezze rilevate nella vita di una
comunità. L'iniziativa, almeno come andarono a finire le cose, conobbe anda-
menti incerti, lenti e contraddittori: tuttavia, strada facendo, si consolidarono
talune prese di coscienza sugli aspetti specifici e non più dilazionabili dei
problemi rilevati dal Podestà e Capitano giustinopolitano nella Terra di Rovi-
gno (in particolare per quanto attiene la cura della documentazione d’archivio,
l’istituzione dell'Ufficio di Notifica, la gestione del “giro delle rendite di S.
Eufemia” e la “ballottazione alla scoperta”); comunque, le proposte veramente
riformatrici della Carica capodistriana sembrano non aver prodotto turbative
sugli equilibri di potere tra gruppi e singoli, protagonisti della vita pubblica
rovignese negli ultimi decenni del secolo XVIII.
La relativa vivacità del contesto civile e politico rovignese qui osservata è
quella tipica del Settecento: si tratta, in effetti, di decenni particolari, senza
precedenti ma anche senza una continuità. In sostanza, nel contesto veneto
dell’epoca si parla di stasi economica e demografica nelle città* (vedi Capodi-
stria); ma Rovigno registra un processo di crescita e di trasformazione econo-
mica e sociale, oltre che demografica’, unico su tutto il territorio istriano?.
3 IVETIC, L'Istria, 112.
4 Verso il 1750, quasi metà (48%) dalla popolazione viveva in centri di carattere urbano e semi-urbano
(terre e castelli, pur dominati dall’agricoltura); ctr. IVETIC, L'/stria, 70.
5 Grazie alla sua continua espansione demografica, Rovigno finì, tra il secolo XVIII ed il XIX, per
distribuire parte della sua popolazione nelle altre località istriane litoranee semideserte — a Parenzo, a
Cittanova, a Umago “almeno la metà dei pescatori e dei marinai, ma anche qualche bottegaio ed artigiano è
di origine rovignese”. (IVETIC, La popolazione, 230).
6 Basti qui ricordare che in tutta la penisola si contavano nel secondo Settecento quattro monti di pietà
che potevano offrire denaro liquido: i due più antichi (Capodistria e Pirano - legati alle saline) risalivano al
Cinque-Seicento, mentre dei due più recenti, quello di Rovigno (sorto nel 1772) fu fondato dalla comunità
medesima per le esigenze piuttosto dinamiche dell’economia locale; sua sede primitiva fu il Fondaco in Riva
Grande, trasferito nel 1816 (perdare spazio al nuovo Tribunale) “nell’odierno locale in Piazza grande, ov'era
192 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, vol XXXI 2001, p. 189-214
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Fig. 1 — Pagina iniziale della terminazione del podestà Iseppo Michiel.
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 193
Infatti, la cittadina poteva essere considerata allora il vero centro propriamente
mercantile della provincia, ‘“dove una certa saturazione del mercato creditizio
dei privati e delle scuole, la mancanza di aree agricole’, aveva costretto molti
a reinvestire nel settore della pesca e soprattutto delle marineria, che appariva
come un’attività conseguente all’iniziale accumulo di capitali mediante l’indu-
stria del pesce salato; da qui anche la fortuna del monte di pietà, l’istituzione
con i più cospicui capitali di tutta la regione”*.
Va qui precisato che l’iniziativa economica nella cittadina non partiva da
un forte e ricco patriziato, possessore di privilegi e censi nel contado, bensì da
una moltitudine di soggetti spesso indipendenti” (anche confraternite), singoli
contadini, piccoli proprietari, gente di mare che, se poteva, investiva nella terra.
Ovviamente, qui si potrebbero discernere sistemi e sottosistemi economici che
variavano da un contesto all’altro della regione, a seconda delle potenzialità
strutturali, ovvero delle “risorse e dell’interscambio” con altre realtà viciniori
che avevano fatto le “fortune” materiali e demografiche della cittadina: tutta-
via, Rovigno, “benché due volte più abitata di Capodistria, era una semplice
terra di popolani, nonostante il suo consiglio comunale si fosse proclamato
nobile”, in fatto di rilevanza — che derivava dall’importanza del ceto dominan-
te, dagli antichi privilegi e dal tipo di nobiltà piuttosto che dal rilievo patrimo-
il pubblico Archivio” (l'ufficio a ciò designato dalla presente Terminazione). Per la consistenza dei suoi
capitali, si poneva al vertice della classifica provinciale; sulla sua attività cfr. RADOSSI-PAULETICH,
“Repertorio”, 338-340; RADOSSI-PAULETICH, “Un gruppo”, 295-300 [‘(...) I Presidenti esercitavano il
loro offizio puramente ad honorem: ma gli altri impiegati avevano salario dagli utili del Monte. Del resto il
Cassiere del danaro, ed il Massaro, davano cauzione fondata sopra beni liberi; l'uno di D.ti 1.000, l’altro di
D.ti 5.000”]; RADOSSI, “L’inventario”, 259-260.
? Il territorio rovignese era tra i meno estesi dell’area veneta: 76 kmq, pari al 3% dell'intera provincia,
con un solo centro rurale (Villa di Rovigno).
8 IVETIC, L'/stria, 99; vista l’esiguità del contado comunale, si osserva un’estensione degli investi-
menti in direzione di Valle.
9 “Leolive da chilometri di distanza venivano portate nelle case e negli scantinati per essere spremute
in clandestinità; (...) i Rovignesi trasportano prodotti e materie prime istriane verso la Dominante; (...)le
operazioni di insalatura (delle sardelle, n.d.a.) venivano eseguite nel contesto famigliare: se gli uomini
prendevano il mare, la popolazione femminile ed i bambini preparavano i barili con il pesce conservato”.
(IVETIC, Lu popolazione, 224). Era naturale che “il pesce non poteva venir insalato che nel sito istesso in
cui veniva tratto dal mare, né si poteva adoperarvi altro sale che quello dell’Istria. Posto in appositi barili,
tutto il pesce salto doveva essere portato a Venezia. Qui pagava il dazio del 26% sul valore e non poteva essere
venduto che a quelle persone che avevano il diritto di compera e rivendita. Da ciò notifiche, quadri, mandati,
controlli ecc. ecc. una massa di azioni fiscali. Il pesce salato era uno dei più lucrosi articoli di esportazione
della città di Rovigno. Nella prima metà del secolo XVIII ne aveva un utile di oltre 50.000 ducati”.
(BIANCINI, 10).
194 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214
niale ed economico — si collocava, nell’Istria veneta settecentesca, dopo
Capodistria, Pirano, Pola e Cittanova, malgrado la sua floridezza economica!°.
La straordinaria espansione di Rovigno tra il 1740 ed il 1780, che aveva
creato una società locale per molti versi altamente competitiva, “colma, forse
stracolma, con gente che cerca spazi, che li crea e ricrea all’interno dell’edilizia
esistente”!!, accompagnava questo eccezionale fermento cittadino contrasse-
gnato da un lato dalla costruzione della collegiata e dall’altro dalla fondazione
appunto del monte di pietà'”; un quarantennio tra i più significativi della storia
locale che, tuttavia, come richiamato da questa Terminazione, non conferma né
un miglioramento del “monitoraggio da parte della capitale”, né quello della
“levatura morale dei rettori minori, bensì avviene una complessiva trasforma-
zione della vita sociale della comunità, un processo che vedrà ingrossarsi di
molto il corpo dei popolani, grazie ad una nuova distribuzione dei profitti (...),
che vede una nuova stratificazione sociale proprio in seno al popolo che
annovera ormai esponenti in nulla inferiori ai notabili (...), per cui diventava
difficile manipolare sui prezzi e sulle scorte dei fontici, sull’esazione fiscale,
sulla gestione dei beni immobili”!?.
E proprio nell’ultimo trentennio del dominio veneto si moltiplicarono,
infatti, le “lotte fra il corpo dei cittadini, nelle cui mani stava allora il potere, ed
il corpo dei popolani, che, capitanato dai suoi sindici, reagiva violentemente
contro tale privilegio molto spesso degenerato in abuso di potere. Assistiamo ad
una lotta accanita, di frequente seguita da violenze, fra le fazioni che dividevano
a lor volta il copro stesso dei cittadini, o quello dei popolani, fazioni capitanate
da ambiziose famiglie avide di predominio. (...) E in questo agitarsi di violenti
passioni, seguite non di rado da reati di sangue, da uccisioni e tumulti, immagini
il lettore un governo senza autorità, senza energia, timido, incapace o non
curante di mettere ordine, rappresentato da un podestà che si mutava ogni sedici
mesi, e che troppo spesso, pur di vivere tranquillo, o s’accordava col più potente,
!0 Si veda IVETICI, L'/stria, 108-110.
!! Per notizie sullo sviluppo demografico ed urbanistico, cfr. BIANCINI, VII; RADOSSI-PAULE-
TICH, “Repertorio”, 382; IVETIC, La popolazione, 223-230; BUDICIN, 156-166.
12 «1772. Creazione del Santo Monte di Pietà in Rovigno, ove per primo Capitale fu posta la Summa
di L. 70.000 estratte dal Capital del fontico con decreto di Senato, ed il giorno dietro fu tentatto lo svaligio
per il colmo ossia tetto. (...) 10 settembre 1772: il Senato approva i capitoli relativi all'istituzione di un nuovo
Monte di Pietà a Rovigno. All’incremento del suo fondo dovevano concorrere oltre gli utili annui del monte
stesso anche la metà del civanzo del fondaco. (...)”. (BIANCINI, 12).
3 IVETIC, L'Istria, 113.
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ani, voL DO, 2001, p. 189-214 195
o lasciava andare, lasciava correre; tanto più che la longanimità o meglio la
19914
remissività della Dominante verso i prepotenti non aveva limiti
Siffatto notevole sviluppo dei popolani, ora numerosi, colti e benestanti (si
pensi ai paroni di barca, a vari profili di professionisti, ecc.), sempre più
insofferenti del “potere detenuto da un numero sì esiguo di famiglie notabili,
portò alla crisi del modello sociale” che si percepisce nettamente proprio in
quest’arco di tempo!. Occorre chiarire subito che nonsi trattava di un fenome-
no volto a cambiare radicalmente la società, bensì soltanto di proteste, ovvero
di ‘“escandescenze del popolo contro gli sbirri”, uno strumento con il quale
Venezia tentava di arginare il diffusissimo fenomeno del contrabbando!° delle
sardelle e del sale! in città. L'espansione delle attività sul mare trovò un
ostacolo insormontabile nelle numerose “restrinzioni e proibizioni che Vene-
zia aveva imposte ad esclusivo vantaggio della Dominante. Ne derivò una lotta
sorda, ma continua ed insistente fra gli abitanti ed il governo, o piuttosto contro
le autorità che lo rappresentavano, un tentativo costante nei Rovignesi di
deludere le leggi, d’infrangere le catene che inceppavano la libera espansione
dei loro commerci”"8,
!4 E' Ja lucida riflessione di B. Benussi, in BIANCINI, IV-V.
15 Soltanto qualche anno dopo la visita del Michiel, il podestà e capitano di Capodistria Girolamo
Marcello, probabile successore del secondo reggimento di Orazio Dolce, veniva a Rovigno (agosto 1769)
“per pubbliche commissioni e a far visita (...); fece bollar lo scrigno del Fondaco” - vi era stato uno
“svaleggio” — e ritornatovi nel settembre successivo, aveva fatto “bollar tutti li magazeni di sardelle (...);
pubblicò un decreto, col quale creò fonticari delle farine” e nell’ottobre mandò “la galeotta coi sbirri e
facchini ad imbarcar le sardelle che si trovavano nei magazeni di P. Franc. Maraspin, di P. Antonio Rocco e
di P. Franc. Gangola e bollò quelle che si ritrovavano nel magazen di P. Nicolò Gangola perché sua moglie
Giacomina sussurrò i vicini, e non permise che fossero portate via (...)”. Questo ennesimo incidente destò
tanta impressione che ‘da quel momento le donne di Rovigno sono considerate onnipotenti, e la loro
iniziativa congiunta a mirabile tenacità di propositi muta l'opposizione contro le deboli autorità costituite in
vera ribellione”. (BIANCINI, 9-11). Per un altro episodio del genere ( 22 giugno 1780), vedi IBIDEM, 23.
6 11 fenomeno, molto tipico di quest'area e di quest'epoca, faceva asserire al Benussi (BIANCINI, V):
“E prepotente contro il governo era anche quella parte pur numerosa della popolazione, che nutriva un odio
indomabile contro il regime daziario allora vigente e contro chi lo personificava. (...) Né a sua volta bastava
al governo qualche raro atto di energia e di severa repressione per rialzare il suo prestigio ormai troppo
decaduto”.
!7 Il volume del pesce azzurro pescato era tale da poter parlare di una vera e propria industria
domiciliare nella preparazione del pesce salato che coinvolgeva buona parte dei nuclei familiari rovignesi,
al punto che la cittadina si fece conoscere come uno dei più grossi produttori di pesce azzurro salato di tutto
l'Adriatico; il prodotto veniva prevalentemente contrabbandato (navi di passaggio, foci del Tagliamento e
del Po, Marche, retroterra veneto, ecc.).
!# B. Benussi, in BIANCINI, VII; infatti, “a questa gente, nata per così dire e cresciuta sul mare, attiva
ed intraprendente, avida di lavoro e di guadagno, sorrideva l'esempio di Trieste, alla quale il governo
1% G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vel XXXI, 2001, p. 189-214
Comunque sia, “il potere economico del gruppo escluso, utile per accatti-
varsi le simpatie di più d’un podestà, e la costante pressione sui notabili
avevano di fatto partorito a Rovigno, nel 1766, tramite la mediazione della
capitale, la possibilità di eleggere una specie di tribuno del popolo — in genere
una persona non da meno dei notabili in fatto d’istruzione e facoltà — che
controllava il lavoro dell’amministrazione comunale”! In pratica, il “caso
Rovigno” inteso in senso lato e nel suo insieme, un esperimento nato sponta-
neamente, non ispirato né guidato dalle politiche economiche della metropoli,
veniva a collocarsi come una delle esperienze più singolari ed interessanti
dell’area adriatica nord-orientale alla fine del secolo XVII, costituendo il
motore trainante dell’economia costiera occidentale.
La visita del Podestà e Capitano /seppo Michiel (13 marzo 1766), la
relativa rapida approvazione del documento da parte della “sovrana autorità
dell’Eccellentissimo Senato” — sentito il positivo parere del “Magistrato dei
Revisori, e Regolatori dell’Entrade Pubbliche” con la necessaria conferma
ducale (19 luglio 1766), ovvero il conseguente Decreto del nuovo Rettore
giustinopolitano Nicola Beregan (5 dicembre 1767) il quale imponeva “senza
maggior dilazione [che si] riportino l’utilissimo effetto loro le provvidenze
comprese nei dieci Capitoli della Terminazione del N. U. Precessor Michiel”,
stanno ad indicare quanto intensi e continui fossero il dibattito e le attività volte
alla riforma delle magistrature finanziarie e della pubblica amministrazione
nella Dominante, per l'individuazione delle reali capacità contributive dei vari
soggetti, per una più giusta ripartizione dei pesi fiscali e per un oculato
controllo dei beni e del denaro pubblico. Il disagio di molti istituti giuridico-
amministrativi del passato rovignese, mostrò certamente segni di miglioramen-
to nei tre decenni successivi, gli ultimi della storia veneta dell'Istria.
Lo sforzo di discussione ed i tentativi di applicazione delle riforme rivelò,
austriaco aveva concesso piena libertà nel commercio marittimo”. Ed il predecessore di /seppo Michiel, il
podestà e capitano Vincenzo Balbi nonsi peritava di scrivere al Senato nel 1764: “La fama vuole distinta fra
tutti gli altri quelli di Rovigno, terra sovverchiamente popolata, e quasi tutta di gente marinaresca. In quella
terra la causa dei contrabandieri viene considerata causa comune di tutti riguardandosi da Rovignesi il
contrabando come una pura, benché più raffinata industria di traffico, tanto più lecita adessi in quanto che
dal traffico principalmente dipende il sostentamento loro”. (IBIDEM, VIII).
!9 IVETIC, L'Istria, 117.
20 Ovviamente la crisi economica, e quindi anche politica, che colpirà l’Istria tra il 1782 ed il 1790,
determinerà un brusco calo demografico a Rovigno, con conseguente ridimensionamento di tutti i valori;
unicamente continuarono a progredire la marineria e la cantieristica, con l'introduzione di navi sempre più
grosse, sino alla metà dell'Ottocento.
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Am, vol XXXI, 2001, p. 189-214 197
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Fig. 2- Pagina finale del documento.
198 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ami, voL XXXI, 2001, p. 189-214
tuttavia, anche la stanchezza di un intero sistema; “in realtà il vecchio stato
veneziano non era riformabile. Poteva solo essere portato a conclusione.
Mancavano forze sociali nuove, cioè forze borghesi, che fossero abbastanza
forti, abbastanza omogenee, abbastanza attrezzate ideologicamente e politica-
mente, abbastanza organizzate, per proporsi come classe dirigente alternativa
in grado di chiedere, ottenere, tenere, il potere in uno stato da rifondarsi
radicalmente. Forze borghesi di tal fatta non esistevano a Venezia e non
esistevano nei territori sudditi”? Ovviamente, Istria e Rovigno, compresi.
Per i contenuti dettagliati della Terminazione, rimandiamo alla sua lettura
con le relative note esplicative che vi sono state aggiunte; il documento (“copia
conforme all’originale esistente presso l’Ufficio Notifiche”), di proprietà del
Centro di ricerche storiche di Rovigno (nro inv. 562/DB-1988) è stato acquisito
nel 1988, e consta di sei fogli (numerati soltanto |’ | ed il 2, filigranati — corno
postale e lettere L.V. ed M. B), rilegati con filo unito dal sigillo a secco
dell’ Ufficio Notifiche di Rovigno, a firma di “Pier Francesco Dr. Costantini
Pub.o Nod.o Custode”, come “terminato ed ordinato”.
2! COZZI-KNAPTON-SCARABELLO, 647-648.
22 La pubblicazione ufficiale della Terminazione avveniva il 21 aprile 1767 nella Parrocchiale e
Collegiata di S. Eufemia, “inter missarum Solemnia in concorso di moltissimo Popolo”, cerimonia officiata
da Don Francesco Piccoli.
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ani, voll XXXL 2001, p. 189-214 199
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20 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ari, voL XXXI, 2001, p. 189-214
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G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, vol XXXI, 2001, p. 189-214
201
SETTI TENTENSTI NA SIRENE inerte
Fig. 3 — Pianta della
porta e del sottoportico di S. Damiano.
(Da G. Natorre “Raccolta” ms -
Archivio diplomatico della Biblioteca Civica di Trieste)
22 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ami, vol XXXI, 2001, p. 189-214
APPENDICE
Noi
Iseppo Michiel?3
Per la Serenissima Repubblica di Venezia
Podestà e Capitanio
Di Capodistria, e sua Giurisdizione
Tre cose principalmente ci sono cadute in vista nell’occasione della presente Visita di
questa terra di Rovigno, cioè la situazione infelice della Cancellaria del Comune, e
dell’Archivio?4 degli atti pubblici, la mancanza di un’Uff.o delle notifiche solito esservi in
23 Iseppo Michiel, podestà e capitano di Capodistria, entrò in carica il 26 gennaio1765, succedendo a
Vincenzo Balbi che cera stato rettore giustinopolitano dal 17 settembre 1763; al Michiel seguì Nicola
Berengan [28 maggio 1766 — 30 settembre (?) 1767]. (NETTO, 166). Il KANDLER, Indicazioni, 20, lo pone
soltanto nel 1765, con il nominativo di Giuseppe Micheli. Reggeva allora la diocesi capodistriana, quale
penultimo vescovo, Carlo conte Camuzi, da Tolmezo (1756-1776). Ha lasciato memoria di sé a Capodistria
“per la cura dedicata alla Piazza da Ponte, ripulendola con lo spostamento in altro luogo dello stazionamento
del bestiame” (...QU/ PLATEAM HANC // SUMMO STUDIO ET LIBERALITATE PERFECIT // ALIBIO.
TRANSLATA IUMENTORUM STATIONE ORNAVIT...). Sull'origine del casato, vedi ANONIMO, “Croni-
ca”, 61 v: “Questi vennero da Roma, et si chiamavano Frangipani, furono Tribuni antichi, huomini splendidi,
et da uno di questa famiglia nominato Angelo fù fatto edificar il Castel s. Angelo in Roma, è così chiamarlo
dal suo nome, questo poi venne a Venetia, con molte ricchezze e co' li suoi vicini fece edificar le Chiese
vecchie di S. Cassano, et di s. Giovanni Novo, et i Michieli solevano portar l'arma con li leoni nel mezo,
come portano hora li Frangipani ma ms. Dominico Michiel Duce di Venetia, Capitano General dell'impresa
contra il Turco, mancandoli la moneta fece, certi denari di cuoio, che si chiamavano Michieletti, con ordine
che corressero come ducati buoni, da ricambiar poi à Venetia in buona valuta come seguì, et con questa
inventione soccorse l’armata, et così mutò l'arma co’ li danari sopra, come hora portano tutti i Michieli, e
dopo elessero il detto Duce Re di Sicilia, ma lui non vuolse, et si contentò piutosto esser Duce di Venetia.”
Ben diversa la storia in CROLLALANZA, II, 136: “Originaria di Roma, trovasi già trapiantata nelle lagune
venete fin dal 697, nel qual anno fu una delle dodici che elessero il primo doge. Vitale, nell'869, era uno dei
primi tribuni. Fu ritenuta patrizia alla serrata del Maggior Consiglio. Ebbe questa casa tre dogi, Vitale nel
1096, Domenico nel 1118 e Vitale 12 nel 1156, nove capitani generali, undici procuratori di S. Marco, un
cardinale, c molti prelati, cavalieri e senatori. (...).” Cfr. ancora DE TOTT®,349: “(...) Iscritta nell’Elenco
Ufficiale della Nobiltà Italiana coi titoli Contessa dell’I.A. (1818). (...) A Capodistria diede sei Podestà e
Capitani: Pietro 1308; Simone 1392; Antonio 1407 e 1423; Domenico 1659-1660; Bernardino 1687 e
Giuseppe 1756 e 1765 [presumibilmente la medesima persona, n.d.a.]. Pietro Michiel era nel 1540 Vice
Podestà e Capitano di Capodistria. Francesco Michiel Podestà di Albona e Fianona nel 1465.” La loro arrma
gentilizia: inquartato; nel 1° d’azzurro, ad una cometa d’oro, posta in banda; nel 2° fasciato d'azzurro c
d’argento; nel 3° fasciato d'azzurro e d’argento, a dodici bisanti d’oro sulle fasce d'azzurro 6, 4 e 2, e nove
torte d'azzurro sulle fasce d'argento, 5, 3 e 1; nel 4° d’azzurro, a due leoni affrontati d'oro, coronati dello
stesso.
24 Si legga in proposito questa curiosa nota di A. Angelini (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”,
219): “L'antico (Archivio, n.d.a.) incendiato, 1500 c.a. Il posteriore in S. Damiano, Casa n.0. s., 1738. Poi in
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voll XXXI, 2001, p. 189-214 243
ogni luogo ben regolato?5 dello Stato, e l’uso da qualche tempo invalso, che i Cittadini del
Consiglio ballottino alla scoperta, punti tutti, e tre, che per quanto si rileva producano gravi
confusioni e conseguenze di discordie inimicizie, ed infiniti litig).
Nel debito di provedere adequatamente per l’Uffizio nostro siffatti disordini, abbiamo
prima di tutto prestato riflesso alla parte di questo Consiglio 25 Agosto prossimo passato
prodottaci degli attuali spettabili Signori Sindici, con la quale fù preso di separare dal
Cancelliere di Comune troppo carico d’incombenze la custodia degli atti Notariali, ed il
giro ossia amministrazione delle rendite di Santa Eufemia, destinando uno, che sia cittadino
e Nodaro fare a sostener tal impiego. E poiché colla parte sesta restò, già eletto per custode,
ed Ammnistratore l’Eccellente Dottore e Nodaro Pier Francesco Costantini?? dell’ordine
dello stesso Consiglio, non restando, che di disporre i mezzi all'esecuzione siamo passati a
riconoscere sopra luogo l’archivio, e la Cancelleria sudetta, dove con oculari?” osservazioni
si è facilmente rimarcato essere ambedue umidi e oscuri?8, ed angusti per modo, che non
sono capaci di ammettere alcun’altro monumento nel loro ristrettissimo spazio, essendo
pure li Volumi che vi esistono mezzi fracidi, e logori dai topi.
Indispensabile perciò qualche espediente a riparo di maggiori pregiudizj, poiché
Piazza grande sopra il Fondaco, 1767. In fine unito al tribunale in Piazza della Riva, 1816. Tutti gli archivi
pubblici, e le pubbliche Iscrizioni lapidarie dell'Istria furono in una sola notte, com'è tradizione incendiati
e scarpellate nell’indicato 1500 c.a. per ordine del Governo Veneto”. In altra annotazione (IBIDEM, 385)
asserisce che “(...) fu colà traslato il pubblico Archivio nel 1707 [recte: 1767, n.d.a.]; dove di poi, non si
hanno traccie”.
25 E’ un concetto, questo, che certamente stava molto a cuore al Michiel, visto che lo riprende più avanti
nel documento; ovviamente, il fatto che proprio Rovigno, un centro così vitale ed “influente” non fosse tra i
“luoghi ben regolati dello Stato”, doveva preoccupare non poco la Carica di Capodistria.
26 Per notizie sul casato dci Costantini, cir. RADOSSI, “Stemmi di Rovigno”, 218-220. P_F
Costantini, “avvocato, dotto giuriconsulto, e cultore delle belle lettere: dotato di bello spirito e di buon umore.
Morto qualche anno dopo 1789”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 282).
27 Sta per “sopralluogo”.
28 La cosidetta Casa Comunale, in San Damiano, “ch'era marcata col civico N.° 1”, e praticamente
“dirimpettaia” del Palazzo Pretorio, venne demolita nel 1856 ed un anno più tardi “ricostruita in altra forma,
per ingrandimento del contiguo Tribunale”. In effetti, dalla porta ad arco di S. Damiano, per il tramite di un
sottoportico (sostenuto da due colonne di legno), si entrava nell'omonima piazzetta (con al centro la cappella
ettagonale dei SS. Cosma e Damiano); sopra il sottoportico si estendeva anche parte della Sala del Vecchio
Consiglio (con l'adiacente Camera delle Udienze) del Palazzo Pretorio, il cui pianterreno interno era adibito
a prigione oscura, mentre verso la piazzetta si apriva la Loggia Piccola “ove teneasi pubblica ragione in
antico”, e ridotta “in due locali: uno per uso di Cancelleria del Comune, l’altro del pubblico Archivio, 1738.
Ristaurata la Casa (comunale, n.d.a.) dal podestà Veneto Daniel Balbi di Francesco, e iscrizione 1752. Tutta
la Casa serviva prima di alloggio ai Podestà Veneti; e quando passarono ad alloggiare nel Palazzo Pretorio,
servì di abitazione ai loro Cancellieri. Trasportato l'Archivio altrove (nella Sala dell’Armamento in Piasa
Granda, come sarà predisposto, n.d.a.) 1767, serviva quel locale di riunione alle cariche del Comune, e di
altri Cittadini per conferire sopra gli affari economici del comune e per trattenersi eziandio in amichevole
Società, dietro Superior concessione, 1771. Dopo la Caduta della Repubblica servì di deposito dei terratici,
e ad altri usi. Passata altrove la Cancelleria, in quel locale fu trasferita la Cassa del Comune sino al 1851”.
(RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 258 e PAULETICH-RADOSSI, “Stemmi”, 54). Vale la pena
ricordare ancora che “in una colonna della Loggia piccola (...) eravi rilevata la Pertica, ed escavato il Passo
veneti; le quali misure avranno servito di saggio alle Pratiche per uso degli Agrimensori, e ai cosidetti Passetti
per uso degli Artieri”. (Ibidem, 356). Cfr. anche AA. VV., Rovigno, 1, 206-208.
24 G. RADOSSI, La pubblica amwnmistrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214
abbiamo trovato restar inutile con pochi, e vechj utensili la Sala spaziosa detta dell’arma-
mento?9, crediamo opportuno di fissare li seguenti provvedimenti tanto sopra questo
articolo, quanto sopra gli altri due surrifferiti per quiete, e vantaggio di questa Popolazione,
e però terminiamo, statuimo e comandiamo.
I. Atteso lo Stato in cui trovasi l’ Archivio sudetto cioè con armaj senza chiave, in luogo
oscuro, ristretto, ed umido per la vicinanza di sotterranee prigioni, dove le carte mal
si conservano in riguardo all'umidità che le infracidisce, ed ai topi, che le divorano,
locchè spicca anco da comparsa notata li 2 decembre passato a questo Archivista e
coadjutor ordinario3°, si ordina espressamente?! il traslato dell’ Archivio stesso in una
parte della suddetta Sala dell’armamento posta in solaro3°, asciuta, e lucida, dovendo
29 Si tratta dello stabile d’angolo tra l'odierna “Piasa Granda” e via dei Fontici (già v. Matteotti), con
entrata da quest'ultima, al nro 6; al pianterreno ospitò (secoli XIX-XX) la farmacia “Marocco”, successiva-
mente “cittadina” (sino agli anni Sessanta del XX ?), quindi un negozio di alimentari (primi anni Novanta);
il primoe il secondo piano furono adibiti ad abitazione nel secondo dopoguerra, e successivamente vi furono
sistemati pubblici uffici (avvocatura d'autogoverno sociale, autodifesa sociale): attualmente è sede di sezioni
cittadine di vari partiti politici, mentre al pianoterra ha trovato posto una trattoria. “L’edificio sul lato
orientale della piazza (Piasa Granda, n.d.a.) conserva solamente in parte le sue strutture primitive, in quanto
ha subito notevoli interventi in epoche recenti. Esso fu sede della polveriera comunale (fino al 1719), del
Fondaco (dal 1737), della Sala dell’armamento (secoli XVI-XVII), dell’ Archivio comunale (dal 1767) e
del Monte di Pietà (1816-1936). Mirabile è la ringhiera in ferro battuto della sua scalinata (sconosciuta la
sorte della ringhiera, mentre è ancora visibile nell'ultima mappa catastale austriaca la scalinata, incorpo-
rata nell'edificio ampliato ed ancor oggi in buona parte conservata, n.d.a.). Sulla facciata si trovava
immurato il leone veneto che poi, nel 1935, venne apposto sul Palazzo pretorio (rimpiazzato da uno stemma
comunale in chiave di volta di un archetto) (...)”. (AA. VV., Rovigno, 1, 209). AI suo interno la lapide che
ricorda il restauro del 1767 connesso alla presente Terminazione (cfr. più avanti la Nora relativa al Podestà
e Capitano N. Beregan). Per il leone marciano, vedi RIZZI, 129-130. Sarà utile ricordare quanto A. Angelini
(RADOSSI-PAULETICHI, “Repertorio”, 302 e 364) annota circa il Fondaco in Piazza Grande: “Fu
fabbricato l’anno 1747 (?), su la cui porta si vede ancora il Leone di S. Marco. Sopra a questo Fondaco si
fabbricò di poi altro locale per deposito delle armi (Vedi SALA DELL'ARMAMENTO). In questo edifizio evvi
la torretta del pubblico Orologio. Nel pianterra di questa torretta tenevasi il deposito delle polveri il 1729”.
30 “Esisteva questa carica, sebben non compresa nello Statuto Municipale, e sembra fosse inerente alla
Cancelleria del Comune. Di archivista se ne parla nella Terminazione Michiel 13 marzo 1766. nella quale è
ritenuto nella sud.a qualità il sig.r Giovanni Costantini, eletto dal Consig.o Municip.e l'an. 1763, confermato
dalla Carica di Capod.a li 26 sett.e dell’an. stesso. Durava quattro anni. Non potei però rilevare il suo salario.
Questo Archivista dei pub.ci Volumi, chiamato anche Coadjutore Ordinario, era in ajuto dal sud.o 1766 al
Custode degli Atti Notarili”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 220). E' noto comunque che il
Cancelliere veniva eletto fra i notai della città, ed amministrava il Fondaco, la Collegiata di S. Eufemia, gli
archivi, ecc.: “Un Cancelliere per un anno con salario di L. 434, oltre gli utili incerti anche per due anni e
con annui D.ti 22”. (PAULETICH-RADOSSI, “Stemmi”, 161). Cfr. BENUSSI, 86-87.
31 Sta per “in modo fermo, risoluto, severamente, a ragion veduta”. (BATTAGLIA).
32 Essendo il pianoterra adibito a magazzino delle granaglie sin dal 1737, in sostituzione del precedente
ed adiacente edificio in stato di avanzata decadenza [(sull’ultima mappa catastale austriaca è ancora visibile
la sua scalinata esterna!) e quindi abbandonato (oggi sede ristrutturata e restaurata del Centro di ricerche
storiche)], il “solaro” del nuovo Fondaco doveva essere spazioso ed “alto”, anche perché “sopra il tetto si
ergeva la torretta dell’orologio (risalente all’epoca dell'erezione del Fondaco), restaurato nel 1779 (ORO-
LOGIO A VETUSTATE CONFECTO NOVVUM EST COMTIS AERE REPOSITUM ANNO DOM.
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol XXXI, 2001, p. 189-214 205
li pochi effetti vecchj che la ingombrano esser trasportati nel luogo presente dell’ Ar-
chivio per rimanervi sempre a disposizione della Comunità.
II. Nell’altra parte poi di detta sala, cioè in quell’angolo che viene abbraciato dalle
fenestre33, dovranno esser trasportati34, e riposti gli atti Notariali, e tutti li Libri di
Santa Eufemia35 che ora esistono nella Cancellaria di detta Comunità con tutte le
altre carte relative, cioè Protocolli dei Nodari deffonti39, le Casse dei depositi degli
MDCCLXXIX); nell'Ottocento venne trasferito sulla torretta in piazza della Riva”. (AA. VV. Rovigno, I,
209). Va ricordato che la “Sala dell'Armamento era prima il locale Sottomuro, annesso al Palazzo Pretorio,
ov’è in oggi l’Offizio del Censimento: ristaurata 1704”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 385). Si
veda ancora BENUSSI, 158: “(...) Nel 1747 (?) si dovette fabbricare un altro Fondaco in Piazza grande,
essendo che il primo più non bastava all’accresciuta popolazione. La porta di questo Fondaco è ancora ornata
del veneto leone (anno /888, n.d.a.). Sopra il Fondaco venne fabbricato poi altro locale per deposito d'armi
(Sala dell’armeria), che, dal 1767, servì quale archivio per le notifiche, e dopo il 1816 per il Monte di Pietà.
(...) Quando poi nel 1772 il pubblico Granaio fu convertito in Monte di Pietà, il deposito di frumento fu
traslocato in piazza S. Damiano di fianco al Palazzo Pretorio”. Sul ruolo del fondaco nella vita economica
rovignese del secondo Settecento, ctr. B. Benussi, in BIANCINI, IX.
33 Voce arcaica e tipica del dialetto veneto; cfr. BOERIO. E’, praticamente, la parte d'angolo
dell’edificio odierno tra v. dei Fontici e Piasa Granda.
34 Cfr: “(...) Segue l’asporto dell'Archivio, degli atti notarili, e dei libri di s.a Euffemia nel nuovo
locale”. (RADOSSI-PAULETICH, “Compendio”, 307).
35 “Siccome il Comune è il patrono di questa Chiesa di S.a Eufemia, così l’amministrazione de’ suoi
beni era composta, secondo il patrio Statuto, di tre Cittadini laici con nome di Sagrestani, quattro mesi per
ciascuno, ed eletti dallo stesso Comune: i quali rendevano il Conte e le ragioni al Reggimento, ch'era
composto dal podestà e dei tre Giudici del Comune. Ai Sagrestani fu aggiunta in un tempo che non saprei
precisare, il Cancelliere del Comune per la tenuta dei Registri e formazione del Conto annuale: il quale durò
sino il 1765, cui dal Consiglio dei Cittadini con Parte 25 agosto anno suddetto fu surrogato il Custode degli
Atti Notarili (il quale doveva essere un Notajo), che colla Parte stessa veniva allora per la prima volta istituito:
il che fu tutto di poi confermato dalla Carica di Capodistria (ch’era la primaria politica della provincia),
Iseppo Michielcon Terminazione 13 Marzo 1766, posta inattività dal di lui successore Nicola Beregan colla
Terminazione di possesso 27 maggio 1767 [data definitiva di entrata in vigore, n.d.a.). Questa Chiesa
peraltro era sotto l'immediata protezione del Consiglio dei X, ch'equivaleva alla suprema avvocazia della
medesima. (...) L'amministrazione dei S.a Euffemia incomincia a fornire l’ostie ed il vino per le messe, dietro
Ordine della Carica di Capodistria Nicola Beregan 28 luglio 1767, in seguito ad istanza dei Sacerdoti, i quali
fin allora dovevansi provvedere e delle une e dell'altro”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 384;
RADOSSI-PAULETICH, “Compendio”, 308).
36 A Rovigno, nel 1757, ve ne erano nove, ridotti ad otto già nel 1758. Ai notai era proibito abbinare
il notariato all’avvocatura: fu derogata questa norma soltanto a favore di Giovanni Domenico Piccoli e
Domenico Costantini, nel 1759. Questi gli otto notai rovignesi nel 1758: Carlo Basilisco qm. Basilisco, dr.
Domenico Costantini qm. Giuseppe, dr. Basilisco Basilisco qm. Carlo, dr. Giuseppe Costantini qm. France-
sco, Florio Spongia qm. Domenico, Giovanni Domenico Piccoli qm. dr. Giacomo, Francesco Costantini qm.
Oliviero e Gabriele Piccoli qm. dr. Giacomo. “In antico eravi qui un Collegio Notarile”: a seguito di
Memoriale fu ripristinato nel 1773; lo formavano notai, giudici e sindaco del comune”. Cfr. RADOSSI-PAU-
LETICH, “Repertorio”, 344-345. Si ricorderà che Rovigno aveva tre giudici in carica per tre mesi, nominati
dal Consiglio dei Cittadini: assieme al podestà, essi costituivano il Reggimento; il Sindaco, eletto per la
durata di un anno, era tenuto a rinnovare il giuramento ogni tre mesi. L'istituzione di questa carica è
precedente alla sottomissione a Venezia, e per tale motivo essa fu mal sopportata dal podestà, dai giudici e
da Venezia che nel tempo tentò di limitarne le competenze.
206 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 189-214
autentici testamenti, 1 Volumi dei registrati, e da registrarsi in seguito in ordine alle
Pubbliche Terminazioni.
III. Tanto l’archivista che il Custode degli atti notariali, e delle carte di Santa Eufemia
dovranno nei rispettivi riparti di essa sala esercitare attentamente li propri impieghi
e perché i Volumi tanto dell’uno, che dell’altro siano ben conservati, dovrà la
Comunità far tavellare?7, e soffittare la sala in buona forma, e non essendo sufficienti
o fracidi i vechj armaj?*, provederne degli altri con chiavi, onde tutto si tenga ben
custodito, e sicuro; a ricambio della qual spesa, e del mantenimento che abbisognas-
se, avranno debito amendue li detti Ministri di darle sempre le copie gratis di guanto
alla medesima appartenesse, e che fosse di pubblico servizio, e ciò a norma dell’of-
ferta già fatta dalla Comunità stessa in suo memoriale primo luglio 1737 e susseguen-
te relativo Decreto del N. U. Predecessore. S. Zorzi Bembo39 16 del mese stesso.
IV. Inrelazione al Decreto medesimo, ed in coerenza del più recente del N. U. Predeces-
sore S. Orazio Dolce 26. settembre 1763, chè approvò l’elezione di D. Giovanni
Costantin Costantini q. Biaggio, continuerà il Consiglio di questa Terra ad eleggere
dei suoi Cittadini il coadjutor ordinario, ed archivista dei Pubblici volumi con la
pluralità dei voti, e con la nomina per scrutinio di soggetti della maggior probità,
fedeltà, e sufficienza, c ciò ogni quattro anni, potendo restar confermato in detto
carico l’attuale, quando abbia reso buon servizio, con condizione però che abbia a
prestar sempre nuova Pieggiarie4! di buona Amministrazione, come spiega il Decre-
to predetto 1737.
37 “Tavèlar — lastricare di mezzane; tuvèla —mezzana; pietra cotta di figura quadrilunga con cui si
ammattonano i pavimenti; pianella è quella più sottile che adoprasi nei coperti”. (BOERIO).
38 La voce non risulta nel BOERIO, che invece riporta Armeron per “grande armario”; nell'uso antico
“armadio” indica la libreria, l'insieme degli scaffali, ma anche mobile a più ripiani, chiuso da sportelli, per
contenere abiti, libri, ecc. (BATTAGLIA).
39 Fu rettore giustinopolitano dal 12 novembre 1736 al 19 marzo 1738 (?); cfr. NETTO, 158. Il
KANDLER, Indicazioni, 152, lo pone soltanto nel 1737.
40 Secondo NETTO (166) Oracio Dolce resse la Carica di Capodistria dal 28 maggio 1762 al 16
settembre 1763 (sic/); quindi o errato il nome, ovvero l’anno. Il KANDLER, Indicazioni, 153, gli assegna il
triennio 1761-1763 e, nuovamente, il 1767. Era stato proprio sotto la reggenza di O. Dolce che il Fosso che
divideva Rovigno dalla terraferma venne imbonito ed il ponte in pietra che lo attraversava demolito e tolto,
poiché il canale “per la trascurata manutenzione, s'era convertito in un fosso limaccioso e pestifero, con
danno sensibile alla pubblica igiene”. (BENUSSI, 127). “Anticamente un Canale lungo le mura dell’antico
Castello verso levante, (...). Ingranditosi questo colle fabbriche dei borghi fuori delle mura, al Ponte levatojo
fu sostituito un Ponte di pietra stabile, ch’esisteva peraltro intorno il 1650; sotto i cui archi passavano le
barche. Questo pente di pietra fu demolito, quando l’anno 1763 si turòper ordine della Carica di Capodistria
in Visita Orazio Dolce il Canale ossia Fossa per oggetto di pubblica salute; poiché coll’andar del tempo, e
trascurati eziandio i debiti escavi, l’acqua della Fossa erasi fatta melmosa, stagnante, puzzolente”. (RADOS-
SI- PAULETICH, “Repertorio”, 304). L'arco e la sovrastante torretta che costituivano il “portone” d’ingresso
nel Castello, “furono demoliti e distrutti vandalicamente, sotto il podestà Giuseppe Blessich l’anno 1843”.
(Ibidem, 366).
4 “Piegieria, pieggiaria, pieggieria: garanzia prestata a favore di una persona; malleveria; anche
cauzione data come garanzia” (BATTAGLIA).
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 189-214 207
V. Quanto al custode degli atti notariali, e Deputato al giro dell’ Amministrazione di
Santa Eufemia, confermandosi in ciò la citata parte del Consiglio 25 Agosto
passato, e per conseguenza l’elezione del Nodaro Dottor Pier Francesco Costantini43,
che si rileva scortato di merito, e fornito di abilità, si provede, che ancor questo
Custode di tre in tre anni sia soggetto alla riballottazione, colla libertà della conferma
in caso di buon servizio, come si è detto dell’ Archivista, e perché colla parte suddetta
la Comunità ha rimesso a questa Carica Delegata il fissarli un adeguatta mercede,
sull'esempio di quanto restò decretato in simili circostanze dal N.U. S. Zambattista
Zen** Predecessore li 22 agosto 1723 gli restano per mezzo della presente assegnati
Ducati cinque al mese dei danari della Comunità medesima per la buona custodia di
detti Libri, e Carte, e per l’esatto giro dell’amministrazione di Santa Eufemia,
dandogli l'obbligo di formare li dovuti catastici e, far quel più, che venisse ingionto
per buona regola e disciplina.
VI. Manca in questa Terra di Rovigno un requisito di somma importanza, massime in
riguardo al commercio, e questo è il Libro delle notificazioni, istituito, ed usato
negli altri luoghi ben regolati dello Stato, ond’è che facendosi quasi alla cieca li
contratti, nascono poi gravi danni per mancanza di cauzioni, ed infiniti litigj, che non
di raro per l’indole suscetibile della nazione si convertono in funesti accidenti‘,
42 La chiesa collegiata di S. Eufemia stava sotto il patronato del Comune, il quale con il Capitolo ne
divideva il dominio, ed aveva in custodia una delle chiavi dell'arca di S. Eufemia; perciò l’amministrazione
dei beni della Collegiata era affidata a tre cittadini. “Il Consiglio dei Cittadini li 25 ag.o 1765 istituiva un
Custode degli Atti Notarili e un Amministratore dei beni di S.a Eufemia, il quale però dovea essere Cittadino
e Notajo, c pertre anni, e con quel salario, che fosse creduto conveniente dalla Carica di Capodistria /seppo
Michiel, che poi lo stabiliva in D.ti 5 de’ piccoli al mese con Terminazione qui in Visita 13 marzo 1766. 1
quali due incarichi erano prima disimpegnati dal Cancelliere del Comune. Il primo Custode degli Atti notarili
fu il Notajo Pier-Francesco dott. Costantini”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 345).
43 “Nomina del dott. Giov.i Costantini in Archivista, e del Notajo dott. Pier Franc.o Costantini in
Custode degli Atti Notarili e Deputato al giro dell'Amministraz.e di s.a Euffemia”. (RADOSSI-PAULE-
TICH, “Compendio”, 307).
44 Resse la Carica di Capodistria dal 23 febbraio 1723 al | luglio 1724. Cfr. NETTO, 158.
4 “Fu istituito in Rovigno dalla carica di Capodistria /seppo Michiele Terminazione 13 marzo 1766,
approvata con Ducale Alvise Mocenigo 19 susseguito luglio, l’Offizio delle Notifiche dei Contratti di
qualunque genere sì privati che notarili, per lo privilegio della prelazione; Offizio appoggiato al Custode degli
Atti notarili, ch'era in allora il dott. Pier-Francesco Costantini, con titolo di deputato alle Notifiche, e col
beneficio di soldi 4 per ogni notificazione”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 345).
4° Infatti, “(...) Il disordine ad onta di numerosi provvedimenti presi dal governo di Venezia, era giunto
a tale punto che la Carica di Capodistria (/seppo Michiel, n.d.a.), per ordine ducale, dovette ordinare il 29
aprile 1766 (un mese e mezzo dopo la sua Visita a Rovigno, che produsse la presente Terminazione, n.d.a.)
al podestà di Rovigno di non convocare il Consiglio della comunità sino a che durassero tali discordie. Ed il
Consiglio rimase chiuso per ben sette mesi. Nel riconvocarlo, il Podestà-Capitano emanava il seguente
proclama: * (...) E come poi l'indole feroce e mal rassegnata di questo popolo rese per le occorse prove
inefficaci alla quiete, alla disciplina e al buon ordine de’ Consigli le pubbliche provvidenze, così perché in
seguito serva di emenda alla correggibile audacia l'esempio di chiunque contraff'acesse de più severi risoluti
espedienti, ordiniamo che sia istituito come s'istituisce Processo d’inquisizione che tenuto sarà sempre
aperto, in cui s’invitano a denonciare anche per via secreta tutti quelli ai quali fosse nota qualsivoglia
trasgressione in tale proposito”. (BENUSSI, 96).
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ari, voL XXXI, 2001, p. 189-214
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Fig. 4- Prospetto delle facciate del Palazzo Pretorio (destra) e della casa dei Podestà (sinistra),
da P.zza S. Damiano (oggi P.zza Matteotti). (Da G. Natorre, cit.)
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol XXXI, 2001, p. 189-214 209
Pensando perciò di provvedere anche a questo punto, si stabilisce in ordine alla
Legge del Serenissimo Maggior Consiglio 12 Maggio 1523. alla Terminazione degli
Eccellentissimi Signori Revisori e Regolatori dell’Entrade pubbliche 8 Gennaro
1713, e Decreti dell’Eccellentissimo Senato primo febbrajo e 10 Agosto pur 1713, e
31. Luglio 1745, che anco in Rovigno debba introdursi la buona pratica delle
notificazioni di contratti tanto necessaria, e giovevole, onde per mezzo d’esse per
l’avvenire si tolga il motivo delle liti e danni predetti.
VII. Dovrà dunque il predetto Custode degli atti notariali istituire un pubblico Libro
cartato”, e bollato48 col Suo Indice ed Alfabetto doppio, nel quale tutti li contraenti
di qualunque Stato e condizione volendo goder il benefizio della prelazione debbano
notificare tutti li contratti di qualsisia natura, tanto quelli dipendenti da scritture
private quanto gli altri stabiliti con Pubblici Instrumenti in atti di Nodaro, la qual
notificazione porterà appunto il Privilegio della prelazione agli atti non notificati,
benchè fossero anteriori di tempo, dichiarino inoltre che dovranno stessamente
notificarsi le ipoteche, permute, vendite, donazioni, crediti, obbligazioni e contratti
d’ogni genere che si facessero in Rovigno, e suo distretto, in modo che la legale loro
anzianità abbia a considerarsi e calcolarsi dal giorno della prescritta notificazione,
come vogliano le suddette Leggi disponenti nel proposito, e come vuole ogni
riguardo di buona massima specialmente in vista dei fallimenti che succedono ed
altri disordini’.
VIII. Il notificante non dovrà aver altro aggravio per cadauna di dette notificazioni sia di
qualsivoglia somma che di soldi quattro al Nod.o Custode, che viene destinato anche
a tal registro, né possa ricever di più sotto qualunque pretesto in pena della privazione
del Carico, ed altre ad arbitrio di questa Carica delegata, alla qual sola dovranno esser
portati i ricorsi, e ciò a norma di quanto rileviamo praticarsi in molte Città, ed altri
luoghi del Serenissimo Dominio.
IX. Il sudetto Custode, e Nodaro deputato avrà debito di trovarsi pronto in archivio in
tutti li giorni non festivi perregistrare quelle notificazioni, delle quali fosse ricercato,
47 Sta per “porre i numeri alle carte dei Libri”. (BOERIO).
48 Indica “suggellare e sigillare”. (BOERIO).
49 Pochi mesi dopo che “fù pub.a la presente Terminazione nella chiesa Parrocchiale, e Collegiata di
S.ta Eufemia”, ed onde “invigilare sui contrabbandi di sardelle salate e di sale, che si commettevano di
frequente nellacittà, erano giunti ai 12 di agosto [/767] in Rovigno, al servizio dei dazieri, cinque spadaccini,
volgarmente detti sgarafoni, i quali portatisi alla Cancelleria, chiesero la lista delle notificazioni delle
sardelle. Il Cancelliere rispose che ci voleva oltre un'ora a trovarla. (...)”. (BENUSSI, 99-100). “Presentate
le loro credenziali, si fermarono sotto il Volto del palazzo pretorio. Il popolo, a tal veduta, cominciò a
sussurrare, ad unirsi ed a mormorare. Se gli affollarono attorno, e senza accorgersene ferirono uno con una
stilletata. Si scossero a tal fatto i spadacini, e messi in timore spararono una pistolletata verso il popolo, e
ferirono uno. Questo fu il segnale dell’allarmi. Il popolo incominciò ad incalzarli con i sassi. Essi si misero
a rinculare fuggendo per la Piazza (...). Fuggirono per il Borgo di Carrera (...). Insomma uno ferito a morte
si salvò in un orto vicino al Forno novo, indi arrampicandosi in una caneva fu scoperto, e strascinato in
Carrera dirimpetto alla Chiesa di S. Carlo fu trucidato, ed anco dopo morto e da uomini e da donne fu ferito
e coperto di sassi. Il capitano d’essi, fuggendo per la strada della Trinità, con una sassata nelle tempie fu
gettato a terra, indi ucciso. Un terzo ferito a morte, per compassione di alcuni buoni cristiani fu ricevuto in
una casa e salvato dal furor popolare, e gli altri due furono salvati mercè le loro gambe cervine e veloci. (...)”.
(BIANCINI, 7-8).
210 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214
ponendo di giorno in giorno così il nome del notificante, come del notificato in
Alfabeto, acciò restino sempre a comun cognizione le notificazioni sudette.
X. Scoprendo per fine che nel ballottare5® e prender le Parti, Suppliche, ed altre
deliberazioni nel Consiglio della Comunità corra l’uso di votare alla scopertaî!,
portando le balle al Tribunale, o consegnandole in mano di qualche Cittadino, perché
le ballotti nel Bossolo bianco??, e le porti nel bianco al Tribunale sudetto, poiché da
ciò nascer possono gravi sconcerti, e nasce spezialmente l’assurdo, che i voti non
passino liberi, e segreti, resta per l’avvenire assolutamente inibito questo modo di
ballottar in Consiglio qualunque fosse l’argomento, e l’esigenza, ordinando, che
ogn’uno debba ballottare segretamente col proprio Voto, in pena a chi contravvenis-
se di Ducati 25. da applicarsi alla Sagrestia di Santa Eufemia, e di esser escluso per
un’anno dal Consiglio.
La presente qualora sia approvata dalla sovrana autorità dell’Eccellentissimo Senato,
dovrà essere stampata??, e fatta tenere al N. U. Rettore di questa Terra, perché abbia
a riportare in ogni tempo la sua inviolabile esecuzione. In quorum fidem.
Rovigno in visita 13 marzo 1766.
Iseppo Michiel Podestà e Capitanio G.D.54
Il Cancellier Pretorio Prefettizio
ETTETTTT TETI tro
Aloijsius Mocenico?5
50 “Nel Consiglio dei Cittadini adoperavansi per ballottare Palle di ottone, e il Bozzolo bino, verde e
bianco: il verde pel no, ed il bianco pel sì. Smarrite molte Palle di ottone e di oro ne furono provvedute in
Venezia l'anno 1709: 28 di oro, e 200 di ottone. |Le Palle d’oro] davano soltanto il diritto di proposizione
agl’impieghi, cui toccavano”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 354).
5! Cioè quasi con “voto palese”, non segreto.
52 “Arnese di legno ch'era specialmente in uso sotto la Repubblica Veneta, per raccorre i partiti nelle
ballottazioni. Questo arnese riuniva tre differenti urne 0 bossoli, dove si ponevano i voti, cioè |’ Affermativo
che dicevasi ‘Bossolo del si’, ed era di color bianco; il Negativo colorito di verde, che dicevasi ‘ Bossolo del
no”, e l’Indifferente colorito di rosso, che dicevasi ‘Bossolo non sincero”, perché non affermava né rifiutava".
(BOERIO).
53 Non ci è stato possibile reperire l’eventuale Decreto a stampa.
54 Sta per “Giudice Delegato”.
55 Vedi Nota sull’istituzione dell’ Ufficio delle Notifiche dei Contratti. Alvise IV Mocenigo, terzultimo
doge, “era l’ultimo nato di quattro maschi della famiglia, che contava anche due femmine monache. Prese
in moglie Pisana Corner. (...) Ella o il marito dovevano avere la debolezza di voler essere sempre e dovunque
a giorno dei cambiamenti atmosferici come ce lo dimostra la presenza di ben sei barometri nell’ appartamento
in Palazzo Ducale. (...) Alvise /V entrò nella vita pubblica prime del consueto avendo estratto balla d'oro.
L’incesso e l'aspetto maestosi e solenni e così pieni di dignità da farlo sembrare nato per comandare, le gentili
maniere, lo zelo, la rettitudine e l'abilità dimostrati specialmente nella trattazione degli affari diplomatici,
una certa cultura e facilità di parola, la liberalità nel soccorrere i poveri, gli orfani, le vedove, le ragazze da
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 211
Dei Gratia
Dux Venetiarum,
Nobili et Sapienti Viro Nicolao Bereganî® de suo mandato Potestati et Capitaneo
Justinopolis Fidelibus Dilectis salutem, et dilectionis affectum. Sulla estesa della Termina-
zione che per la Comunità di Rovigno hà segnata in Visita il Precessor vostro Michiel sotto
lì 13 Marzo decorso, versò di Pubblica commissione l’esperienza di questo Magistrato dei
Revisori, e Regolatori dell’Entrade Pubbliche, e nelli X Capitoti della medesima ritrova
provide ordinazioni.
Per questo motivo il Senato in cadauna sua parte anche l’approva, onde abbia da essere
esattamente eseguita.
Datae in nostro Ducali Palatio die XTX.
Julij Indictione XIV. M.D.CCLXVI.
Gio. Berlendis Segr.
ECTETETEELIAE EI)
Addì 5. Decembre 1766.
Capodistria
L’Illustrissimo, ed Eccellentissimo Signor
Podestà, e Capitanio.
Volendo che senza maggior dilazione riportino l’utilissimo effetto loro le provvidenze
comprese nei dieci Capitoli della Terminazione del N. U. Precessor Michiel avvalorata
dalla pubblica approvazione, hà ordinato, che la Terminazione medesima sia stampata a
spese della Comunità di Rovigno, ed indi spedita con lettere a quella Pubblica Rappresen-
tanza perché seguir ne faccia l’inviolabile, ed intiera sua esecuzione; In quorum
(Nicola Beregan5? Podestà, e Capitanio G. D.)
marito bisognose, le comunità religiose povere gli conciliarono ben presto gli animi del Senato, che ad
appena trent'anni lo mandò ambasciatore in Francia”. Fu quindi ambasciatore a Roma, procuratore di S.
Marco, ambasciatore presso Benedetto XIV e Clemente XIII e presso i re di Napoli, Savio del Consiglio,
membro della Signoria, decemviro, recensore, riformatore dello studio di Padova, pubblico bibliotecario:
venne eletto doge nel 1763. Le feste per l'incoronazione durarono due giorni e furono sontuose. Il Doge e la
Dogaressa avevano a disposizione in Palazzo Ducale diciannove ambienti. La famiglia si riuniva la sera nella
Sala del cembalo e si giocava anche al tressette. L'appartamento e l'arredamento erano sontuosissimi. Il suo
dogado si distinse per le riforme, tante furono esse in tutti i rami della pubblica amministrazione, e vennero
aggregate alcune famiglie nobili della terraferma al patriziato veneto; vennero conclusi un trattato postale
con l’Austria e commerciali con vari paesi europei e le Americhe. Morì nel 1778. Cfr. DA MOSTO, 627-636.
56 Si veda infatti la lapide epigrafica collocata nell'interno del secondo fondaco, e che ricorda l'ampio
restauro intrapreso nel 1767 sotto gli auspici del podestà di Rovigno, Giovanni Battista Corner, in esecuzione
della “presente Terminazione pub.a nella Chiesa parrocchiale, e Collegiata di S.ta Eufemia (...) Addì 21
Aprile 1767”: NICOLAO BEREGAN// PRAETORI PRAEFECTOQ: JUSTINOP. // ATQ. HUIUS PRO-
VINCIAE PRAESIDI // VIRO QUIDEM SINGULARI // QUI LOCUM ISTUM, VETERI FORMA
RENOV.TA // IN MELIOREM REDIGI, ET IN PRAESENTEM // USUM CONVERTI OPTIME JUSSIT
SUB AUSPICIIS // IO. BAP.TAE CORNELLI PRAETORIS.
57 “E il successore del Michiel, Nicola Beregan (in NETTO, 166, e CROLLALANZA, 1, 119, la
variante: Berengan, n.d.a.), con Decreto 5 decemb. di quell’anno notiziava, che si presterebbe onde i Contratti
212 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol XXXI, 2001, p. 189214
Fig. S - Pilo con misure venete che si trovava immurato sull'angolo della casa dei Podestà.
(Da G. Natorre, cit.)
G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voL XXX), 2001, p. 189-214 213
ERTETTTTT TTT Er1
AI Cancellier Prettorio Prefettizio
Addì 21 Aprile 1767 - Rovigno
Nella Chiesa Parrocchiale, e Collegiata di S.nta Eufemia fù pub.a la presente Termi-
nazione dal Rmo Sig.r Don Francesco Piccoli58 Can.co Prep.o inter missarum solemnia59,
ed in concorso di moltissimo Popolo.
Pier Francesco D.r Costantini Pub.o Nod.o Custode
Per copia conforme
all’originale esistente
appresso questo
Uff.o Notifiche
[sigillo a secco: leone marciano (in moleca),
testo: ARCHIVUM RUBINI]
viventi venissero legittimati colla notifica, né posposti ai succedenti e notificati, per togliere ogni pericolo,
sconcerto, litigio. Non si conosce emanata alcuna norma in proposito; ma questo avviso del Beregan, consono
all’assioma legale, che cioè le leggi non fanno mai affetto reatroattivo, ove non è espressamente indicato,
convalida l'opinione di molti (checché fu detto, discusso e variamente preso finora) della prelazione dci
Contratti anteriori alla istituzione qui dell’Offizio Notifiche e non notificati, in confronto ai posteriori e
notificati. Quest offizio Notifiche fu attivato dal suddetto Beregan li 27 maggio 1767, e diede anche
personalmente possesso al Costantini della nuova sua Carica. Il locale primitivo fu il nuovo Archivio eretto
nella Sala detta dell’ Armamento, ove in oggi è il Monte di Pietà”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”,
345-346). I Bere(n)gan(i), originari di Vicenza, furono nel 1649 aggregati al patriziato veneto. “Un individuo
di questa famiglia, di nome Nicolò, morto nel 1713, ottenne dal Re di Francia Luigi XIII le insegne
dell'Ordine di S. Michele”. (SCHRODER, 1, 111).
58 Discendente di un'antica famiglia giunta a Rovigno nel 1589, proveniente da Venezia (“l’agnome
Piccoli divenne cognome”); i Piccoli avevanocura ed assistenza della chiesetta urbana di S. Carlo Borromeo,
dove hanno due arche sepolcrali epigrafe e stemmate. “(...) Era famiglia numerosa, potente, e facinorosa,
però praticava il bene di una quotidiana limosina di brodo e carne (era al fuoco ogni dì una grande caldaja di
carne) a chiunque bisognoso si presentava a quella Casa a dimandarla. Erano in quella famiglia contempo-
raneamente Notaj ed Avvocati, e Preti e Parrochi, e uomini di mare, e pubblici e comunali impiegati: tutti
uomini di sapere e di azione. (...) Arma dei Piccoli di Vestre: di ... al destrocherio vestito di ... alla mano
chiusa di carnagione, sostenente un tappeto multicolore munito di Francia; atre stelle (8) in capo. Arma dei
Piccoli di Rovigno: troncato (sbarra a semitondo) con tappetino policromo dal I cadente nel Il campo”.
(RADOSSI, “Stemmi di Rovigno”, 234-235). Cfr. ancora RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 361-362).
5° Cfr: “Si pubblica inter missarum solemnia la Terminazione Michiel relativa alla instituzione
dell’Off.o Notificazioni, e ne segue l’istallazione del dott. Pier Franc.oCostantini in detto offizio”. (RADOS-
SI-PAULETICH, “Compendio”, 397).
214 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214
SAZETAK: POSLJEDNJI POKUSAJ REFORME JAVNE UPRAVE U
ROVINJU GODINE 1766. — Tijekom svog posjeta Rovinju Naédelnik
i Kapetan Kopra Iseppo Michiel dana 13. ozujka 1766., utvrdio je
niz manjkavosti u jJavnoj upravi, lo$e stanje arhive, nepostojanje
Prijavnog ureda, te razne nepravilnosti u provodenju glasovanja
(drugi krug glasovanja) u Vijeéu. U svrhu popravljanja nastalog
nereda, Koparska sluzba izdaje Zakljutak koji ovdje objavljujemo,
zajedno sa odlukama za njegovu konaénu i praktiénu primjenu. Autor
u ovome vidi pokusa] — iako zakaSnjeli — reforme javne uprave, po
uzoru na once koje su se unazad nekoliko desetljeéa provodile gotovo
na Citavom prostoru Prejasne.
POVZETEK: POSLEDNJI POSKUS REFORME JAVNE UPRAVE
ROVINJISKEGA OZEMLJA LETA 1766 - Ob priliki svojega obiska
na rovinjskem ozemlju dne 13. marca 1766, je koprski nadelnik in
kapitan Iseppo Michiel ugotavljal celo vrsto pomanjkljivosti pri javni
upravi: stanje arhiva, pomanjkanje Urada za vroCitve ter Stevilne
netoénosti pri volilnem postopku (balotaza) v okviru Sveta. Da bi
uredili vso zadevo, je koprski drZavnik izdal Terminacijo, ki jo tu
objavljamo vkljuèno z odloki, ki so sledili njeni dokonèni in praktièni
izvedbi. Avtor ugotavlja v tej dejavnosti poskus — èetudi pozni -
refome javne uprave po zgledu tega, kar se je dogajalo v zadnjih
desetletjih na celotnem obmotju Beneske republike.
FEDE E NAZIONE.
CENNI SULLA STORIA DELLA CHIESA CATTOLICA
NELL’ISTRIA MERIDIONALE PRIMA DEL 1914
FRANK WIGGERMANN CDU 282(091)(497.5-3Istria)" 19/20"
Miinster (Germania) Sintesi
Gennaio 2002-04-03
Riassunto — Nel presente saggio l‘autore riporta interessanti cenni sulla storia della chiesa
cattolica nell’Istria meridionale nel periodo che precedette lo scoppio del primo conflitto
mondiale. In considerazione della diversità delle nazionalità austriache accanto alla casa asbur-
gica funzionò da vincolo soltanto la religione cattolica cui apparteneva la quasi totalità della
popolazione istriana. Benchè Italiani e Slavi fossero di fede cattolica il conflitto nazionale in Istria
a cavaliere dei secoli XIX e XX interessò direttamente anche la chiesa istriana le sue diocesi e le
sue istituzioni e s’inasprì pure negli ambiti dell’ istruzione scolastica e di quella religiosa.
In Istria, in considerazione della diversità delle nazionalità austriache,
funzionò da vincolo di collegamento accanto alla casa asburgica soltanto la
religione: da una parte l’austro-cattolicesimo formatosi durante la controrifor-
ma, dall’altra il cattolicesimo romano dei territori già veneziani’. La quasi
totalità della popolazione istriana era di professione cattolica?. È da ricordare
che la diocesi di Trieste-Capodistria comprendeva una vasta parte dell’Istria
interna fino a Castua orientale e la parte centrale del territorio di Pisino, mentre
! ZOVATTO, Pietro /PASSOLUNGHI, Pier Angelo, Bibliografia storico-religiosa su Trieste e l’Istria
1864-1974, Roma, 1978.
2 Istrien. Historische, geographische und statistische Darstellung der istrischen Halbinsel nebst den
quarnerischen Inseln, Trieste, 1863, p. 157, 175-182; BENUSSI, Bernardo, Manuale di geografia dell'Istria,
Trieste, 1877, p. 59-62; LOESCHE, Georg, ,Osterreich", in: Realencyklopdidie fiir protestantische Theologie
und Kirche, vol. 14 (1904), p.311-332 (318-319); Hof- und Staats-Handbuch der òsterreichisch-ungarischen
Monarchie, vol. 40 (1914), p. 715-719; SAURER, Edith, Die politischen Aspekte der sterreichischen
Bischofsernennungen 1867-1903, Vienna, 1968, 65-99; TROGRLIC, Stipan, ,,Katoliéka crkva u Istri u
nacionalno-politiékim i idejnim previranjima 1900-1914" /La chiesa cattolica in Istria nei movimenti
politico-nazionali e ideologici/, Casopis za suvremenu povijest /Rivista di storia contemporanea/, vol. 28
(1996), p. 283-302.
216 F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 215-225
la doppia diocesi di Parenzo-Pola, istituita nel 1830, comprendeva pure le
diocesi di Rovigno, Montona, Dignano ed Albona?. Il vescovo risiedeva a
Parenzo ma visitava regolarmente Pola ed il suo duomo. La terza diocesi,
quella di Veglia-Arbe, si estendeva particolarmente sulle isole di Veglia,
Cherso ed Arbe.
Prescindendo dalle 491 persone di altra religione, nel 1869 254.414 istria-
ni si professarono cattolici, uniformità che non mutò nel corso degli ultimi
decenni austriaci. Secondo il censimento del 1900 si contarono 345.052 istriani
dei quali 343.815 aderirono al cattolicesimo romano, 61 all’unione greca con
Roma, 389 alla chiesa greco-orientale indipendente, 290 al protestantismo
luterano, 187 a quello calvinista; 285 erano gli Ebrei.
Purnon essendo Italiani e Slavi divisi da questioni religiose, purtuttavia in
Istria il conflitto nazionale si riflettè anche nella chiesa cattolica”. Nel 1910
accanto alla professione cattolica maggioritaria ci furono nel Litorale austriaco
solo cinque chiese protestanti®, tre greco-orientali, una filiale conventuale
armeno-cattolica e due congregazioni israelitiche a Gorizia e Trieste”, dove gli
Ebrei costituivano un fattore economico e politico di prima importanza nelle
file degli Italiani liberali-nazionali*. Anche gli Ebrei istriani, emigranti all’ini-
3 CORBANESE, Girolamo, /! Friuli, Trieste e l'Istria tra la fine dell'Ottocento e l’inizio del
Novecento. Grande atlante storico-cronologico comparato, Udine, 1999, p. 436, 438, 449.
4 Juraj Dobrila 2-5-1858 — 5-7-1875; Giovanni Nep. Glavina 6-10-1878 — 3-7-1882; Luigi Zorn
14-1-1883 — 9-8-1883; Giovanni Battista Flapp 4-1-1885-27 — 12-1912. BABUDRI, Francesco, ,,I vescovi
di Parenzo e la loro cronologia", Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria (=AMSI),
vol. 25 (1909), p. 170-284 (275).
5 Si veda ad esempio il conflitto polacco-ruteno in Galizia dove la chiesa romano-cattolica era
avversata da quella greca. BRIX Emil, ,,Die Erhebungen der Umgangssprache im zisleithanischen Osterreich
(1880-1910)*, Mizreilungen des Instituts fiir Osterreichische Geschichtsforschung, vol. 87 (1979), p. 363-439
(390).
6 Fra i membri contribuenti della parrocchia protestante di Pola figuravano principalmente ufficiali,
impiegati statali e commercianti tedeschi con le loro famiglie, tranne una minoranza ungherese e fra questa nel
1896 anche il futuro ultimo comandante della flotta navale Nikolaus Horthy von Nagybanya. Kurzer Bericht
liber die evangelische Gemeinde in Pola pro 1896, Trieste, 1897. Allora la parrocchia luterana polese, fondata
nel 1872, contava 302 anime. Prima di stabilirsi a Pola nel 1909, il pastore evangelico Richard Hollerung
dovette predicare a titolo di prova in lingua ungherese. PATZELT, Herbert, Evangelisches Leben am Golf von
Triest. Geschichte der evangelischen Gemeinde in Triest mit Abbazia, Gòrz, Fiume und Pola, Monaco, 1999,
p. 241-246 (246). Nel 1908 il supremo consiglio ecclesiastico protestante di Vienna dichiarò indipendente la
parrocchia di Abbazia, luogo di cura in crescita, da quella polese. PATZELT, op. cit., p. 220-227.
? HOF- UND STAATS-HANDBUCH der òsterreichisch-ungarischen Monarchie, vol. 41 (1915), 699.
8 ARA, Angelo, ,,Gli ebrei a Trieste, 1850-1918“, Rivista storica italiana, n. 102 (1990), p. 53-86. —
CATALAN, Tullia, ,,La comunità ebraica di Trieste ed i suoi rapporti con il governo centrale austriaco e le
F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ati, voll XXXI, 2001, p. 215-225 217
zio dell’ottocento, non si erano sottratti alla forza d’attrazione del primo porto
commerciale della Monarchia?.
Le condizioni romano-cattoliche a Pola furono chiarissime, con prediche,
conferenze religiose e corsi d’istruzione tenuti esclusivamente in italiano. Nei
casi di richieste dal differente carattere nazionale il vescovo di Parenzo-Pola,
Giovanni Battista Flapp, ordinò sempre messa latino-italiana ed istruzione
italiana!°. Il Flapp, di origine friulana e decisamente antimodernista, era stato
insediato nel 1885"! e nel primo anteguerra occupò, per anzianità, il primo
posto fra i principi ecclesiastici dell’ Austria. A causa della scelta linguistica
filoitaliana, il Flapp figurò definitivamente fra i nemici dei capi slavi a Pola che
gli imputarono simpatie liberali-italiane"?.
Quando nel maggio del 1912, in occasione della cresima, il vescovo Flapp
si recò a Pola, gli Slavi della città e del distretto polese inviarono una deputa-
zione al prelato pregandolo di accordare loro la parificazione linguistica nel
duomo di Pola. Il Flapp, respingendo i cinque deputati slavi, rifiutò ovviamente
d’accogliere la loro richiesta".
Siccome non erano riusciti a ottenere la predica e la confessione in lingua
slava nel porto di guerra austriaco, i rappresentanti slavi, fra cui i croati
Vjekoslav Pelc!*e Josip Stihovié!5 e lo sloveno Ivo Sorli, primo notaio slavo a
Pola dal 1911, si distanziarono dal vescovo e dalla cattedrale di Pola, adope-
randosi per la fondazione di un’associazione ecclesiastica slava destinata a
raccogliere mezzi finanziari al fine di costruire una seconda chiesa cattolica a
autorità locali (1781-1918)"*, in MAZOHL-WALLNIG, Brigitte / MERIGGI, Marco (ed.), Osterreichisches
Italien — Italienisches Osterreich? Interkulturelle Gemeinsamkeiten und nationale Differenzen vom 18.
Jahrhundert bis zum Ende des Ersten Weltkrieges, Vienna, 1999, p. 167-196.
9 ISTRIEN. Historische, geographische und statistische Darstellung, p. 157. MILANO, Attilio, Storia
degli ebrei in Italia, Torino, 1963, p. 120, 132-133, 347, 426.
!0 /L GIORNALETTO DI POLA, del 23-5-1909 (n. 3239). APOLLONIO, Almerigo, Autunno istriano.
La rivolta di Pirano del 1894 e i dilemmi dell’irredentismo, Trieste, 1992, p. 41-42.
!! SAURER, Die politischen Aspekte der òsterreichischen Bischofsernennungen, p. 81-84, 88-89,
94-96.
!? ZOVATTO, Pietro, «Cattolici e cattolicesimo in Istria tra ‘800 e ‘900%, /stria religiosa, Trieste, 1989,
p. 7-65 (18).
13 POLAER TAGBLATT del 31-5-1912 (n. 2184).
14 Direttore dell’associazione economica (Gospodarska sveza).
5 Deputato alla Dieta provinciale dell'Istria, direttore della cassa di risparmio slava di Pola e
rappresentante croato nella Giunta consultiva del gerente comunale d’allora Rudolf Baron Gorizzutti.
218 F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ari, vol XXXI, 2001, p. 215-225
Pola con predica e confessione in lingua slava, nonché in italiano e tedesco.
L’i.r. ammiraglio di porto Julius von Ripper (ricoprì questa carica dal 1905 al
1913), intervenendo fra l’altro anche sul piano ecclesiastico, fu partigiano
dell’idea slava'’, accusato indistintamente d’irredentismo, favorendo a Pola
l’elemento antitaliano. Secondo il suo parere, il partito italiano-liberale si
sarebbe immischiato in affari ecclesiastici senza alcun interesse religioso e,
coronato da successo, si sarebbe opposto alla parificazione linguistica nel
duomo di Pola. Al fine di sottrarsi all’influenza della diocesi prettamente
italiana del vescovo Flapp, gli Slavi polesi ebbero l’intenzione d’assumere frati
di una congregazione che sarebbero stati sottomessi alla giurisdizione vesco-
vile soltanto riguardo ai diritti parrocchiali.
Mentre gli Slavi progettavano la costruzione di una chiesa e di un mona-
stero sul monte Castagner, abitato prevalentemente da piccoli proprietari di
nazionalità slava, la Sezione di marina a Vienna si mostrò contraria all’ appog-
gio all'associazione slava. Infatti l’i. e r. Ministero di guerra nel progetto
ecclesiastico suddetto vide un’agitazione nazionale slava che sotto il manto
religioso si sarebbe rivolta contro la colonia tedesca a Pola. Questa rinuncia
alla collaborazione coll’elemento slavo nel porto di guerra (alleanza sostenuta
dall’ammiraglio Ripper fino alla sospensione dell’autonomia comunale polese
nel 1912) non collimava con il punto di vista di uno dei personaggi più
antitaliani della monarchia austro-ungarica, cioè dell’i. e r. capo di stato
maggiore Franz Conrad von Hòtzendorf. Egli favorì ogni azione slava nelle
regioni di confine a condizione che danneggiasse l'interesse italiano. Le ten-
denze politiche degli Slavi, secondo il suo parere, si potevano realizzare nel
quadro politico austriaco, mentre quelle italiane aspiravano all'abbattimento
della dominazione austriaca nel Litorale: ,,Der Irredentismus der letzteren
[Italiener] ist unabinderlich und muB bekimpft werden.“ L’i. r. Luogotenen-
za di Trieste approvò gli statuti sociali dell’associazione ecclesiastica slava.
Solo lo scoppio della guerra mondiale impedì la costruzione della chiesa slava.
D'altra parte il numero di giovani preti italiani calò continuamente cosic-
ché prete e slavo divennero talvolta sinonimi persino in regioni prevalentemen-
!6 Archivio di Guerra di Vienna (AGV), Sezione di Marina (SM), Cancelleria Presidiale (CP) XV-3/1,
n. 5048: Ripper [i. e r. ammiragliato di porto di Pola] all’i. e r. Ministero di guerra, Sezione di marina,
18-11-1912.
! ..L'irredentismo degli ultimi [italiani] è immutabile e dev'essere combattuto. AGV/SM/CP
XV-9/27, n. 682: |. e r. Ministero di guerra, febbraio 1913.
F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L’Istria prima del 1914, Atti, voL XXXI, 2001, p. 215-225 219
te italiane e la parrocchia apparì nell’ottica del conflitto nazionale come fattore
di slavizzazione'*. Oltre l’uso dell’idioma popolare croato-sloveno in chiesa,
molti preti slavi provarono a reintrodurre, rispettivamente ad imporre, la lingua
vetero-slava in caratteri glagolitici — atto eminentemente religioso-politico che
provocò non poco l’élite politica liberale italiana. D’altro canto moltissimi
fedeli slavi non comprendevano affatto questo idioma vetero-slavo!?. Ma, da
questo punto di vista, latinità ed italianità significavano egemonia italiana in
Istria. Un primo decreto della congregazione dei riti di Roma riconobbe nel
1892 la pratica predominante della liturgia vetero-slava soltanto con restrizioni
e proibì nello stesso tempo l’uso delle lingue popolari moderne??.
In Istria la questione liturgica favorì il dissidio fra il vescovo italiano Flapp
da una parte e Antun Mahniè”!, vescovo di Veglia (dal 1896°°), dall’altra. Nel
dicembre 1896, il Flapp rimproverò a molti preti slavi della sua diocesi
parentino-polese di essersi posti a capo del nazionalismo a danno dei fedeli
contadini. Lo sloveno Mahniè invece, nel propugnare un cattolicesimo orto-
dosso dissociandosi dalla liturgia latina, celebrò messe solenni sulle isole del
Quarnero in lingua vetero-slava. Fondò, poi, a Veglia un’accademia slava che
pubblicò vari testi in caratteri glagolitici”?. Il vescovo di Veglia, inoltre, si
appellò al decreto di Leone XIII, circa i riti religiosi, che acconsentivano la messa
slava là dove si era radicata tradizionalmente, cosicché essa divenne ufficiale in
alcune parrocchie della diocesi di Veglia.
Il decreto De usu linguae slavicae in Sacra liturgia, emanato il 5 agosto
1898 per le province ecclesiastiche di Gorizia, Zara e Zagabria, permise l’uso
I BLASINA, Paolo, ,,Die Kirche und die nationale Frage in den adriatischen Gebieten 1870-1914“,
in: ARA, Angelo/ KOLB, Eberhard (ed.), Grenzregionen im Zeitalter der Nationalismen. ElsaB-Lothringen-
Trient-Triest, 1870-1914, Berlino, 1998, p. 177-199.
!) BENUSSI, Bernardo, ,,La liturgia slava nell’Istria*, AMSI, vol. 9 (1893), 153-283. MURKO,
Matthias, ,,Die slawische Liturgie an der Adria“, Osterreichische Rundschau, vol. 2 (1905), p. 163-177.
KLUGE, Friedemann, ,,Slawen III. Kirchensprache“, in: Lexikon fiir Theologie und Kirche, vol. 9 (2000), p.
664-665.
20 JUST, Harald, ,,Bischof StroBmayer und die Kroaten*, Osterreichische Osthefte, vol.15 (1973),
p.27-49 (46).
2! PRASELI, Nada, ,,Anton Mahnié“, in: Osterreichisches Biographisches Lexikon, vol. 5 (1972), p.
413-414.
2? BARBALIC, Fran, Narodna borba u Istri. Od 1870. Do 1915. Godine /La lotta nazionale in Istria.
Dal 1870 al 1915/, Zagabria, 1952, p.75 (n. 328).
23 Glagolitica. Publicationes Palaeoslavicae Academiae Veglensis. MURKO, op. cit., p.176. BARBALIG,
op. cit., p. 86 (n. 403).
20 F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istia prima del 1914, Ati, vol XXXL 2001, p. 215-225
della liturgia vecchio-slava solo in quelle chiese che se n'erano servite ininter-
rottamente negli ultimi 30 anni, cosicché la liturgia slava legittima costituì
secondo il diritto ecclesiastico un privilegio reale legato a determinate chiese
e in nessun caso un privilegio personale di singoli preti’. Fu lecito infine
cantare le letture ed il Vangelo dopo una prima esecuzione in latino anche nella
lingua popolare. Il vescovo di Parenzo-Pola e l'arcivescovo di Zara” difesero
evidentemente d’allora in poi la lingua liturgica latina e seguirono le istruzioni
romane dichiarando spento il privilegio vetero-slavo nelle loro diocesi contro
la resistenza di preti e laici slavi, mentre i prelati slavi? di Trieste e Veglia
seguirono le strette disposizioni riguardanti l’uso del glagolitico in favore della
liturgia vetero-slava, secondo una relazione della nunziatura del 1899.
Papa Leone XIII spiazzò però nell’agosto 1900 l’arcivescovo zaratino
prevedendo il privilegio vetero-slavo anche nei casi ove esso avesse cessato di
esistere involontariamente negli ultimi 30 anni, cioè a dire, a causa di motivi
esterni, per mancanza di libri ecclesiastici o di preti che conoscessero il
glagolitico?”. L’anarchia linguistica sulle sponde dell’ Adriatico si rianimò di
nuovo coinvolgendo anche la Dieta provinciale dell’Istria8. La liturgia vetero-
slava, vivamente discussa fra Italiani e Slavi”°, riuscì ad affermarsi pienamente
solo nella Liburnia storica, cioè lungo la costa orientale dell’Istria e nel
Quarnero”,
Quando il 27 dicembre 1912*' morì il vescovo parentino-polese Flapp, la
proposta di un suo successore spettò dapprima all’i.r. Luogotenente, Konrad
Prinz Hohenlohe (1904-1915), che si vide costretto a bilanciare le varie pretese
24 BLASINA, op. cit., p. 194.
25 MANUSSI MONTESOLE, Alfred, ,,Die Adrialinder, B.Dalmatien*, in: Hugelmann, Karl Gotttri-
ed (ed.), Das Nationalittitenrecht des alten Osterreich, Vienna, 1934, p. 632-684 (681).
26 LIPOTT, Ezio, /! Piccolo ieri 1881-1899. Origini e diffusione di un quotidiano popolare nella
Trieste di fine Ottocento, Trieste, 1981, p. 213-214.
27 MURKO, op. cit., p.175.
28 ATTI DELLA DIETA PROVINCIALE dell'Istria, vol. 3. Resoconti stenografici delle sedute [9.
periodo elettorale / 1. sessione / 4. seduta del 5-7-1902], Parenzo 1902, p. 37-39. — ATTI, vol. 3. Resoconti
stenografici [8. seduta del 12-7-1902], Parenzo 1902, p. 165.— ATTI, vol. 3. Resoconti stenografici [9. seduta
del 15-7-1902], Parenzo 1902, p. 217-230.
29 BENUSSI, op. cit., p. 153-283. Osterreichisches Biographisches Lexikon, vol. 3 (1965), p. 337
[Luka Kirac].
30 MANUSSI MONTESOLE, Altred, op. cit., p. 569-631 (628-629).
3! Brioni Insel-Zeitung del 31-1-1913 (n. 1).
F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L’Istria prima del 1914, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 215-225 ZI
nazionali e politiche**. Eccettuate le province ecclesiastiche di Salisburgo ed
Olmiitz, tutti i vescovi venivano nominati in Austria dall’Imperatore. Slavi
erano stati tanto l'arcivescovo di Gorizia quanto i vescovi di Lubiana, Trieste
(Andrej Karlin?*) e Veglia (Antun Mahniè). Gli Italiani li ritenevano responsabili
dell’orientamento decisamente sloveno-croato di una parte del clero uscito dai
seminari e nello stesso tempo i nazionalisti italiani rimproverarono al clero slavo
la slavizzazione di nomi italiani nei registri di stato civile**. Se l’i.r. Luogotenente
del Litorale austriaco avesse scelto un quinto vescovo slavo, gli Italiani della
diocesi di Parenzo-Pola si sarebbero sentiti umiliati, ritenendo provocatoria una
tale nomina.
Allorché il preposto italiano di Gorizia, Luigi Faidutti, aspirò apertamente
al seggio vescovile vacante di Pola, Hohenlohe sostenne nel gennaio 1913, la
sua candidatura presso la nunziatura a Vienna, tanto più che il Faidutti,
deputato al Consiglio dell'Impero dal 1907*°, era a capo del gruppo clericale
filoaustriaco avversato duramente dal partito liberale nazionale.
Le proposte inviate dai vescovi slavi della provincia di Gorizia all’i.r.
Luogotenenza di Trieste individuarono il cappuccino provinciale Bernardinus
Skrivanié di Fiume, il decano parrocchiale Quirinus Bonefatié di Lussinpicco-
lo, tutti e due noti rappresentanti dell’idea nazionale slava?”, infine Trifone
Pederzolli, prete italiano di Trieste. Le proposte significarono quindi un chiaro
rifiuto della candidatura faiduttiana, verso la quale anche l’arciduca ereditario,
32 Archivio di Stato di Trieste (AST), I. r. Luogotenenza del Litorale (LL), Atti Presidiali (AP) 8, n. 1:
Hussarek [i.r. Ministero di culto e pubblica istruzione] a Hohenlohe [ i.r. Luogotenenza di Trieste], 25-1-1913;
Karlin [Vescovo di Trieste] a Hohenlohe, 2-2-1913; Hohenlohe a Hussarek, 8-2-1913; Hussarek a Hohenlo-
he, 12-2-1913.
33 Lo sloveno Karlin, affermandosi contro la candidatura di un italiano goriziano, era successo nel 1910
al vescovo tedesco-austriaco Franz Nagl, che aveva cercato di rimanere su posizioni sovranazionali.
LASCIAC, Alois, Erinnerungen aus meiner Beamtencarrière in Osterreich in den Jahren 1881-1918, Trieste,
1939, p. 179-180. Osterreichisches Biographisches Lexikon, vol. 3 (1965), p. 242 [Andrej Karlin]}. HART-
MANN, Gerhard, ,,Franz Xaver Nagl (1855-1913)*, in GATZ, Erwin (ed.), Die Bischòfe der deutschspra-
chigen Lander 1785/1803 bis 1945, Berlino, 1983, p. 526-528.
3 TAMARO, Attilio, Le condizioni degli Italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella
Dalmazia, Roma, 1915, p. 39.
35 Archivio di Parlamento di Vienna: Fragebogen (questionario) Faidutti nell’anno 1907. - CAUCIG,
Paolo, Attività sociale e politica di Luigi Faidutti (1861-1931), Roma 1977, p. 151-225.
36 _Heute ist er [Faidutti] der Mittelpunkt der Schwarzgelben in Friaul* / ,Oggi il Faidutti è il centro
dei giallo-neri friulani“ /, Hohenlohe, cit.X8-2-1913, p. 6-7.
37 Bonefatié, sostenitore dell’associazione scolastica slava dei Santi Cirillo e Metodio, era stato
temporaneamente boicottato dagli Italiani locali. IBIDEM, 2-3.
pis F. WIGGERMANN, Fede e ‘nazione. L'’Istria prima del 1914, Ati, voL XXXL 2001, p. 215-225
Francesco Ferdinando manifestò qualche riserva. Preferì, tenendo presente la
composizione nazionale della diocesi parentino-polese, la nomina di un aspi-
rante nazionalmente neutrale, senza alcun colore politico (,,politisch und be-
sonders national neutralen, farblosen Anwéirters”8). Siccome Hohenlohe cercò
di attenersi all’equilibrio etnico, rinunciò tanto alla scelta di uno slavo quanto
alla nomina del Faidutti, preferendo a quest’ultimo il candidato Pederzolli.
L’i.r. Luogotenente propose quindi all’i.r. Ministro al culto e alla pubblica
istruzione e all'Imperatore la nomina del Pederzolli. Francesco Giuseppe I
accettò la candidatura del prete triestino, di provati sentimenti filo-austriaci
(,,erprobter ausgezeichnet òsterr. Gesinnung‘*°), sebbene di buona mediocrità
secondo il parere del nunzio‘. Tale nomina dell’aprile 1913 placò l’atteggia-
mento degli Italiani dell'Istria. A compenso ed a riconoscimento dei meriti
patriottici, l’ Imperatore conferì al Faidutti il Komturkreuz dell'ordine di Fran-
cesco Giuseppe. Già nel 1910 l’i. e r. Ministero alla guerra aveva preso
l’iniziativa di consegnargli una decorazione.
Il conflitto originariamente etnico-politico ben presto si estese alla chiesa
cattolica e s’inasprì anche negli ambiti dell’istruzione scolastica e del battesi-
mo, sfere queste che incidevano direttamente la vita di tutti i giorni. L’istruzio-
ne religiosa fu materia regolare nelle scuole elementari pubbliche e venne
insegnata di solito da preti nella lingua d'istruzione della relativa scuola ‘'. Pur
essendo questa regolazione sufficientemente chiara, la questione religiosa
portò nel 1907 ad un’aspra disputa fra il vescovo di Veglia, Mahniè, da un lato,
e le autorità scolastiche dall’altro'?. Siccome molti luoghi con maggioranza
slava, per esempio Cherso e Lussingrande, mancavano di scuole primarie“,
molti genitori scelsero per i loro bambini l’istruzione elementare italiana,
compresa la materia religiosa nella stessa lingua d’istruzione. Naturalmente i
38 HUSSAREK, cit., 25-1-1913, 2.
39 HOHENLOHE, cit., 8-2-1913, 4.
40 BLASINA, op. cit., p. 198.
*! Vita autonoma del 1-4-1906 (n. 7), 128.
4 Interpellanza dei deputati Spinéié, Laginja e Mandié [18. sessione / 15. seduta del 18-7-1907],
Allegato 2 (457/I), p. 557-561 (16-7-1907); DE ROSA, Diana, Maestri, scolari e bandiere. Lu scuola
elementare in Istria dal 1814 al 1918, Udine, 1998, p. 329-330.
43 Interpellanza del deputato SpinGié [20. sessione / 63. seduta del 23-6-1910], Allegato 3 (1737/1), p.
8746-8747 (23-6-1910). — Interpellanza del deputato Spincié [90. seduta del 9-2-1911], Allegato 3 (2504/1),
11551-11552 (9-2-1911).
F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ani, vol. XXXI, 2001, p. 215-225 22
bambini slavi non poterono seguire gli argomenti dei preti italiani cosicché
intervenne il Mahniè richiedendo, però invano, alle i.r. autorità scolastiche,
all’i.r. Luogotenenza del Litorale e all’i.r. Ministero al culto e pubblica istru-
zione di tener conto della lingua materna dei bambini nell’istruzione religio-
sa". Il vescovo di Veglia si appoggiò al par. 5 della Legge imperiale sulle
scuole popolari secondo il quale l'insegnamento della religione nelle scuole
pubbliche spettava alle chiese*. Ma le autorità scolastiche nell’insistere
sull’uniformità della lingua d’istruzione, tolsero l'insegnamento della religio-
ne ad alcuni preti chiamati al servizio scolastico dal Mahniè e ne incaricarono,
invece, maestri pubblici che, d’altra parte, non erano in grado di portare avanti
la missione canonica richiesta dalla chiesa. Il Mahnié ordinò quindi di radunare
i bambini nelle chiese per far impartire loro l’istruzione religiosa nella lingua
madre.
Nel corso del decennio prebellico abusi ci furono pure nell’amministrazio-
ne dei sacramenti divenuti espressione di fede nazionale“. Alla vigilia del
capodanno 1912, un operaio dell’i. e r. arsenale di marina, presentò nel duomo
di Pola il suo bambino al prete Ante Janko per battezzarlo con il nome di
Garibaldi. Ritenendo il Janko inaccettabile un nome che non figurasse
nell'elenco dei santi cattolici, il padrino, un droghiere che da poco si era
stabilito a Pola, accusò il prete di comportamento arbitrario, e che di certo,
essendo di origine slava, avrebbe sicuramente permesso il nome di Laginja. Il
prete insistè sul rifiuto mentre l’operaio dell’arsenale, un noto anarchico
secondo i referti della polizia, venne licenziato a causa della sua manifesta
“confessione” d’irredentista”.
I nomi di battezzandi nel duomo di Pola costituiscono atti di fede politica.
Nel gennaio 1914 un cappellano italiano accettò la proposta del nome Italo,
44 Ristampa della corrispondenza vescovile dal 1904 al 1906 in: Interpellanza del deputato Spintié
(16-7-1907), 557-559.
45 $ 6 della Legge imperiale del 14-5-1869 (Bollettino delle leggi imperiali, n. 62).
4 ZOVATTO, Pietro / RADOLE, Giuseppe, Trieste e l'Istria tra religiosità popolare e folclore, Trieste,
1991, p. 90-92.
#7 AGV/SM/CP XV-3/16, n. 1265: 1. e r. Ministero di guerra, Sezione di marina, all’i.r. Ministero
dell’interno, 27-3-1912 (Allegati: Ripper [i. e r. ammiragliato di porto di Pola] alli. e r. Ministero di guerra,
Sezione di marina, 13-1-1912; Comandante di polizia di Fiume al r. governo ungherese, 8-2-1912; Khuen-
Héderviry [r. Ministero dell’interno ungherese] all’i. e r. Ministero di guerra, 15-3-1912; Ripper all’i. e r.
Ministero di guerra, Sezione di marina, 2-4-1912).
se Dopo essersi recato a Fiume, ritornò quasi subito a Pola aiutando la suocera nella pescheria locale.
2A F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Atti, voL XXXI, 2001, p. 215-225
dopo il rifiuto da parte di un altro prete d’ammettere questo battesimo”. L’i.r.
capitanato distrettuale di Pola ed il vescovo Pederzolli dichiararono apolitico
questo battesimo tanto più che il cappellano, stando al loro parere, era uomo
calmo e politicamente passivo”. I battesimi congiunti a nomi quali Zalo,
Italico, Garibaldi e Roma erano incontestati e testimoniavano i dilemmi del
clero cattolico abbandonato a sé stesso per mancanza di ordinanze statali e di
decisioni dei tribunali riguardanti questa materia. Presumibilmente tali atti
individuali di espressione di fede nazionale italiana erano caratteristici sia per
Pola che per altre località del Litorale austriaco”.
49 Povijesni arhiv, Pazin (Archivio storico di Pisino), I. r. Capitanato distrettuale di Pola, Presidiali, n.
33: Hussarek [i.r. Ministero di culto e pubblica istruzione] a Hohenlohe [i.r. Luogotenenza di Trieste],
6-3-1914.
50 AST/LL/AP 388, n. 696: Hohenlohe [i.r. Luogotenenza di Trieste] all’i.r. Ministero di culto e
pubblica istruzione, 18-10-1914.
5! MITOCCHI, Alberto, Triest, der Irredentismus und die Zukunft Triests, Graz,1917, p.85,n.51.
F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Atti, voL XXXI, 2001, p. 215-225 225
SAZETAK: VJERA I NACIJA. BILJESKE O POVIJESTI KATOLICKE
CRKVE U JUZNOJ ISTRI PRIJE 1914. - U ovom eseju autor iznosi
zanimljive biljeske o povijesti katolitke crkve u juZnoj Istri u
razdoblju prije izbijanja prvog svjetskog rata.
Obzirom na raznovrsnost narodnosti pod austrijskom vlaséu,
pored kuée Habsburgovaca spajala ih je samo katolicka religija kojoj
Je istarsko stanovnistvo gotovo u cijelosti pripadalo.
Usprkos cinjenici da su Talijani i Slaveni pripadali katoliékoj
vjeri, sukob medu nacijama u Istri na prijelazu iz 19. u 20. stoljeée
utjecao je neposredno i na istarsku katoliéku crkvu, njezine biskupije
i institucije te se zaostrio tak i u oblasti javnog i vjerskog
obrazovanja.
POVZETEK: VERA IN NACIJA. NAMIGI O ZGODOVINI KATO-
LISKE CERKVE V JUZNI ISTRI PRED LETOM 1914 - V tem
eseju avtor navaja zanimive podatke o zgodovini katoliske cerkve v
Juzni Istri, v dobi pred izbruhom prve svetovne vojne.
Glede na raznolikost avstrijskih narodnosti, je poleg habsburske
hise sluzila kot vez le katoliska cerkev, kateri je pripadala skoraj
celota istrskega prebivalstva.
Ceprav so Italijani in Slovenci katolifani, je narodni konflikt v
Istri na prehodu med 19. in 20. stoletfem neposredno zavzel tudi
istrsko katolisko cerkev, njene $Skofije ter ustanove in se zaostrila
tudi na podroèju Solske in verske izobrazbe.
NOTE E DOCUMENTI
ANDAMENTO DEL NUMERO DEGLI ABITANTI DELLA
CITTÀ DI POLA SECONDO I DATI DEI LIBRI
PARROCCHIALI DAL 1613 AL 1817
SLAVEN BERTOSA CDU 314(497.SPola)”1613/1817”
Filozofski fakultet Saggio scientifico originale
(Facoltà di Filosofia) Novembre 2001
Pola
Riassunto — L'autore in questo contributo analizza l'andamento del numero degli abitanti di Pola
secondo i libri parrocchiali di quella città e riporta in merito preziosi dati. Le crisi demografiche
hanno colpito Pola più che le altre città istriane sotto il dominio di Venezia. Le cause vengono
ascritte anche dai contemporanei alle guerre, alle epidemie e, in genere, alle insalubri condizioni
ambientali di vita, che avevano provocato la decadenza economica e demografica della città.
I
Dello studio del movimento relativo agli abitanti di Pola, finora si sono
occupati alcuni storici. I risultati della storiografia italiana (Benussi e Bossi)
sono stati commentati da M. Bertosa, che per primo, tra gli storici croati, ha
svolto delle ricerche sulla popolazione di Pola. Stando agli esiti dei suoi studi,
le crisi demografiche, dal XVI fino al XVIII secolo, hanno colpito molto più
duramente Pola che non le altre città istriane sotto il dominio di Venezia'. Pola
! Riferimenti della bibliografia generale: Bernardo BENUSSI, Manuale di Geografia, Storia e
Statistica della regione Giulia (Litorale), ossia della città immediata di Trieste, della contea principesca di
Gorizia e Gradisca e del margraviato dell' Istria, Parenzo 1903; IDEM, “Spigolature polesane”, Atti e
Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria (=AMSI/), Parenzo, vol. XXIII (1908), p.
362-447; IDEM, “Statuto del Comune di Pola”, AMSI, vol. XXVII (1911), p. 129-310; IDEM, “Pola nelle
sue istituzioni municipali dal 1797 al 1918”, AMSI, vol. XXXV (1923), p. 3-54; IDEM, L' Istria nei suoi due
millenni di storia, Trieste, 1924; IDEM, “Pola nelle sue istituzioni municipali sino al 1797”, Miscellanea di
storia veneto-tridentina della R. Deputazione veneto-tridentina di storia patria, Venezia, vol. (1925), p.
426-472; di Miroslav BERTOSA, ricorderemo in particolare “Istarski fragment itinerara mletakih sindika
iz 1554. godine” /Il frammento istriano dell'itinerario dei 'sindaci' veneziani del 1554/, Vjesnik historijskih
arhiva u Rijeci i Pazinu (=VHARP) /Bollettino degli archivi storici di Fiume e Pisino/, Fiume, vol. XVII
(1972), p. 39-44; IDEM, “La guerra degli Uscocchi e la rovina dell' economia istriana”, Atti del Centro di
20 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, At, vol XXXI, 2001, p. 229-248
era una città dal prosperoso passato, una città che con i suoi monumenti
suscitava la meraviglia di molti viaggiatori di passaggio e di molti ospiti
ricerche storiche di Rovigno (=ACRSR), Trieste-Rovigno, vol. V (1974), p. 35-127; IDEM, “Istra u plamenu
Uskockog rata” /L' Istria nel vortice della guerra uscocca/, /stra /Istria/, Pola, 1975, n. 3, p. 49-65; IDEM,
“Osvrt na etnicke i demografskc prilike u Istriu XV. i XVI. stoljecu” /Considerazioni sulle condizioni etniche
e demografiche dell' Istria nei secoli XV e XVI/, Bulletin Razreda za likovne umjetnosti JAZU /Bollettino
della Classe di arti figurative dell'Accademia jugoslava delle arti e delle scienze/, Zagabria, serie III, vol. I
(1977), p. 89-99; IDEM, “La crisi economica di Venezia nei secoli XVI e XVII alla luce della recente
storiografia italiana”, ACRSR, vol. VIII (1977-78), p. 187-219; IDEM, “Neki povijesni i statistiéki podaci o
demografskom kretanju u Istriu XVI. i XVII. st” /Alcuni dati storici e statistici sull'andamento demografico
in Istria nei secoli XVI e XVII/, Radovi Instituta za hrvatsku povijest [Lavori dell'Istituto di storia croata/,
Zagabria, vol. 11 (1978), p. 103-129; IDEM, “Provveditori sopra beni inculti. Un tentativo di insediamento
di Bolognesi nella Polesana (1560-1567)"”, ACRSR, vol. X (1979-1980), p. 157-213; IDEM, “Arhivski
fragmenti o postanku i razvitku jedne kolonizacijske ruralne aglomeracije u juznoj Istri: selo Premantura
(1585.-1797.)" /Frammenti archivistici sulla nascita e sullo sviluppo di un insediamento rurale di coloni nell'
Istria meridionale: il villaggio di Promontore (1585-1797)/, Problemi sjevernog Jadrana (=PSJ) [Problemi
dell'Adriatico settentrionale/, Fiume, vol. III (1981), p. 1-113; IDEM, “Drustvene strukture u Istri XVI.-
XVIII. stoljeéa”, /Strutture sociali in Istria nei sec. XVI-XVIII, in DruStveni razvoj u Hrvatskoj (od 16. do
poéetka 20. stoljeca), /Sviluppo sociale in Croazia dal XVI al XX secolo/, Zagabria, 1981, p. 127-152; Isti,
“Un episodio della colonizzazione organizzata dell' Istria veneta: gli aiduchi a Pola e nel Polese”, ACRSR,
vol. XI (1981), p. 295-359; IDEM, “l ‘travagli’ di una convivenza difficile: ‘habitanti vecchi’ e ‘habitanti
novi” nell' Istria veneta dal XVI al XVIII secolo”, in Popoli e culture in Istria: interazioni e scambi, Atti del
Convegno di Muggia, 20-21 novembre 1987, Trieste, 1989 (Quaderni del Circolo di Cultura Istro-Veneto
“Istria”, vol. V), p. 25-36; IDEM, “Migrazioni e mutamenti sociali nell' Istria veneta (secoli XV - XVII)", in
Lo spazio alpino: area di civiltà, regione cerniera, Europa Mediterranea, Napoli 1991 (Quaderni, n. 5), p.
221-231; IDEM, “Istarski pabirci o kolonizaciji, etnocentrizmu, integraciji i dezintegraciji (XVI.-XVHI.
stoljece)”, Gazophylacium - Casopis za znanost, umjetnost, gospodarstvo i politiku /Rivista di scenza, arte,
economia e politica/, Zagabria, I, 1994, n. 3-4, p. 195-202.
Cfr. pure: Slaven BERTOSA, ‘“Gospodarska povijest u notarskim knjigama Puljstine u prvoj polovici
XVII. stoljeta” /Storia economica dai libri notarili del Polese nella prima metà del secolo XVII/, Povijesni
prilozi, Contributi storici/, Zagabria, n. 17 (1998), p. 177-220; IDEM, “Nezakonita djeca u puljskim
matiénim kn jigama krstenih od 1613. do 1678." /Illegittimi nei libri di stato civile dei battezzati di Pola dal
1613 al 11678/, Croatica Christiana Periodica (=CCP), Zagabria, n. 42 (1998), p. 37-48; IDEM, “Doselje-
nici iz Rijeke, Trsata i Susaka u puljskim matiénim knjigama od 1613. do 1815." /Immigrati da Fiume,
Tersatto e Sussak nei registri di stato civile di Pola dal 1613 al 1815/, PSJ, vol. 7 (2000), p. 121-142: IDEM,
“Doseljenici s Kvarnerskih otoka u puljskim matiénim knjigama kr$tenih tijekom XVII. stoljeta” /Immigrati
dalle Isole del Quarnero nei libri di stato civile dei battezzati di Pola nel corso del secolo XVII/, CCP, vol.
45 (2000), p. 117-126; IDEM, “Neki juZnoistarski toponimi u notarskim zapisima iz XVII. stoljeéa” /Alcuni
toponimi dell' Istria meridionale nei documenti notarili del sec. XVII, Vjesnik DrZavnog arhiva u Rijeci,
/Bollettino dell' Archivio di stato di Fiume/, Fiume, vol. XLI.-XLII (2000), p. 115-125: IDEM, “Soldati,
fuggiaschi e altri forestieri giunti a Pola dall'Emilia Romagna, Marche, Umbria e Abruzzi (1613-1817)",
Proposte e ricerche, Ancona, vol. 46 (2001), p. 188-216; IDEM, “I rovignesi nei registri di stato civile di
Pola dal 1613 al 1817”, ACRSR, vol. XXX (2000), p. 433-486; IDEM, “Prilog poznavanju crkvene povijesti
grada Pule (XVII.-XIX. stoljeée)” /Contributo alla conoscenza della storia ecclesiastica di Pola (secoli
XVII-X1X)/, CCP, vol. 47 (2001), p. 103-148; IDEM, “Etnicka struktura Pule i njezinih sela u prvo) polovici
XVII. stoljeéa” /Struttura etnica di Pola e dei suoi villaggi nella prima metà del secolo XVII/, Vjesnik
Istarskog arhiva /Bollettino dell' Archivio istriano/, Pisino, vol. 6-7 (2001), p. 253-296.
Sull'Istria e su Pola cfr. anche: Sergio CELLA, “I Reggitori di Pola”, AMSI, Venezia, vol. 1X (1961),
p. 43-70; Giulio CERVANI - Ettore DE FRANCESCHI, “Fattori di spopolamento nell' Istria veneta nei
secoli XVI - X VIII”, ACRSR, vol. IV (1973), p. 7-118; Camillo DE FRANCESCHI, “Una descrizione inedita
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, At, voll XXXI, 2001, p. 229248 231
occasionali, ma era anche ricettacolo di potenti contrasti nel confronto con la
situazione nella quale venne a trovarsi nella prima metà del XV secolo. I
contemporanei, già allora, ascrivevano la crisi nello sviluppo di Pola alle
distruzioni belliche, alle scorrerie, alle epidemie e, in genere, alle malsane
condizioni ambientali di vita. Da ciò, conseguentemente, derivava anche la
decadenza demografica di questa città dell’ Istria meridionale. Pola a partire
dal XVI secolo non era più il mercato di smaltimento dei prodotti del suo
entroterra, e, ancor meno, porto di esportazione. Da allora la città del meridione
istriano per le navi veneziane fu soltanto una punto di sosta, in attesa che
diminuisse la bora nel Quarnero, per poter riprendere la navigazione verso la
costa dell’ Adriatico orientale?.
L’arretratezza generale si è manifestata logicamente anche nelle altre città
istriane, tuttavia Pola venne maggiormente colpita. In questo senso sono molto
eloquenti le percentuali che il Berto$a ha calcolato, valutando il movimento
della popolazione di alcune città venete nel XVI e XVII secolo (Tabella num.
1: “Andamento numerico della popolazione di alcune città istriane sotto il
dominio di Venezia”).
della città di Pola”, Pagine Istriane (=P!), 1/7-8, Capodistria, 1903, n. 7-8, p. 223-229; IDEM, “La
popolazione di Pola nel secolo XV e nei seguenti”, Archeografo Triestino, Trieste, vol. III (1907), p. 221-315;
IDEM, “L' antica Abbazia di Santa Maria del Canneto di Pola e un suo registro censuario del secolo XII”,
AMSI, Pola, vol. XXXIX (1927), p. 318-345; IDEM, “La toponomastica dell' antico agro polese desunta dai
documenti”, AMSI, Venezia, vol. XLI-XLII (1942), p. 119-198; Pietro KANDLER, Notizie storiche di Pola,
Parenzo, 1876; Bernardo SCHIAVUZZI, “Le epidemie di peste bubbonica in Istria”, AMSI, Parenzo, vol.
IV (1888), p. 423-447; IDEM, “La malaria in Istria: ricerche sulle cause che l'hanno prodotta e che la
mantengono”, AMSI, Parenzo vol. V (1889), p. 319-472; IDEM, “Le istituzioni sanitarie istriane nei tempi
passati”, AMSI, Parenzo, vol. VIII (1892), p. 315-407; IDEM, Cenni storici sull' etnografia dell' Istria,
Parenzo, 1902; IDEM, “Il Palazzo del Comune di Pola”, P/, Capodistria, vol. I (1904), p. 129-136; IDEM,
“Il Prato Maggiore di Pola e i suoi impaludamenti”, P/, vol. II (1904), p. 60-67; IDEM, “Due Castelli - notizie
storiche”, AMSI, Parenzo, vol. XXXI (1919), p. 81-118; IDEM, Il Duomo di Pola, Pola, 1924; IDEM, “L'
Abbazia di S. Michele in Monte di Pola”, Archivio Veneto, Venezia, vol. IV (1928), p. 81-91.
2 Miroslav BERTOSA, “ Etniéka struktura Pule od 1613. do 1797. s posebnim osvrtom na smjer
doseljivanja njezina stanovnistva” /Struttura etnica di Pola dal 1613 al 1797, con particolare riguardo alle
direttrici immigratorie dei suoi abitanti/, Vjesnik historijskih arhiva u Rijeci i Pazinu /Bollettino degli archivi
storici di Fiume e Pisino/, Fiume-Pisino, vol. XV (1970), p. 53 - 57 ; IDEM, Istarsko vrijeme proslo /Il passato
dell’ Istria/, Pola, 1978, p. 187 — 216; IDEM, Istra: Doba Venecije (XVI. — XVIII. stoljece) /Istria: il periodo
veneto (XVI-XVIII secolo)/, Pola, 1955, II edizione intergrata e ampliata, p. 290 — 303. L’Autore si è servito
anche del materiale che è stato pubblicato da Giovanni BOSSI, “Cenni sulla popolazione della città di Pola
nel secolo XVI e successivi”, AMS/, Parenzo, vol. XXII (1907), p. 463 — 470 e da Bernardo BENUSSI,
“Spigolature polesane”, AMS/, Parenzo, vol. XXIII (1908), p. 388 — 391, 424.
3 BERTOSA, Istarsko vrijeme, cit., p.211 — 213. Cfr. anche Ivan ERCEG,"Dva i pol stoljeéa kretanja
stanovnistva Istre (1554 - 1807)” /Due secoli e mezzo di moti demografici dell'Istria (1554 — 1807)/,
Gunjacin zbornik [Miscellanea dedicata a Gunjaca/, Zagabria, 1980, p. 229 — 250.
22 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Amî, vol. XXXI, 2001, p. 229-248
M. Bertosa studia i movimenti della popolazione polesana come parte
integrante delle migrazioni nella parte veneta dell’ Istria, dalla fine del XV alla
fine del XVII secolo. La sua conclusione è che, da un punto di vista teorico,
Pola avrebbe cessato di esistere se i suoi abitanti fossero stati abbandonati
unicamente ai movimenti meccanici. Il Berto$a cita anche le parole di un
provveditore veneziano, secondo le quali Pola era un hospital infelicissimo di
melancolia, malattia e morte*. Compulsando i dispacci e i messaggi dei rettori
istriani al governo veneto, cita una serie di drammatiche dichiarazioni che
testimoniano delle difficili condizioni di Pola. Viene qui riportato soltanto un
esempio:
Di Pola l’ultimo ottobrio 1611. Veramente le miserie di questa Città, nella quale
si uede chiese, habitationi, et altri edifici] nobilissimi, hora affatto quasi dishabitata, fa
compassione, et si può dir ogni giorno uà di mal in peggio; attribuendosi la colpa al
cattivo aere, che regna così in essa, come in buona parte di questo territorio, et
essendomi capitato per le mani una descrition generale fatta l’anno 1563 di ordene
degl’ Illustrissimi signori Prouditori sopra li Beni Inculti dal 9 (marzo?) di ms Seba-
stian di Braui Dottor loro Auocato fiscale con Zan’ Antonio Alocca ingegnere, di
questa Città, et territorio, col disegno di esso, distinguendo li beni Inculti da quelli
messi à coltura fin all’ hora, con la quantità delle anime, animali così grossi, come
menuti, che si ritrouano in tutto questo territorio, con altri molti particolari. HÒ ueduto,
che à quel tempo in questa Città ui erano fuoghi 200, con anime mille. Et poi del 1580
fù aggionto in essa Città di ordene di Vostra Serenità 40 fameglie de Maluasiotti, et
altretante de Ciprioti; et hauendo uoluto uedere quanti fuoghi, et anime ui si ritrouano
al presente, hò ritrouato solo fuoghi 165 con anime 538 comprese 47 persone religiose.
Doue si uede, che dal 1563 in quà la detta Città è peggiorata per più della mittà, et
993
questa poca gente anco per il più se ritroua con poca buona salute”.
Il Bertosa ha dimostrato in maniera documentata che la colonizzazione ha
salvato l’esistenza della città di Pola, permettendo così che la vita in essa
avesse una continuazione®.
* M. BERTOSA, “Prebivaliste melankolije, bolesti i smrti” /Domicilio di malinconie, di malattie e di
morte/, /stra /Istria/, Pola, 1979, tomo 4, p. 33 — 45.
5 Miroslav BERTOSA cita le parole del Capitano di Raspo Pietro Bondumier, tratte dal suo messaggio
al Senato del 31 ottobre 1611. Cfr. IDEM, “Prebivaliste”, cit., p. 40 - 41 e IDEM, Pisma i poruke istarskih
rektora, sv. l: od 1607. do 1616. /Dispacci e messaggi dei rettori istriani, tomo 1: dal 1607 al 1616/, Zagabria,
1979 (Monumenta Spectantia Historiam Slavorum Meridionalium, JAZU, vol. 52), p. 104 — 105.
6 IDEM, Istra: Doba Venecije, cit., p.620, 645.
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Atti, voL XMKI, 2001, p. 229248 233
Poco tempo fa Egidio Ivetic ha dato alle stampe le sue ricerche sulla
popolazione istriana al tempo di Venezia, incentrando la sua particolare atten-
zione sulle condizioni demografiche nella Parenzo del XVIII secolo. L’opera
è una continuazione di quella del Berto$a e preannuncia ulteriori risultati”.
Il.
I dati relativi al numero degli abitanti di Pola si trovano in più parti nei
libri parrocchiali e si possono includere molto bene nelle conoscenze esistenti
sulla popolazione di Pola (e dell’ Istria in genere).
Del XVII secolo esistono sei elenchi: cinque si trovano negli elenchi dei
cresimati e uno in quello dei battezzati.
I. Nei libri parrocchiali, il più volte nominato canonico e parroco Giacomo
Bonarelli, il 20 aprile 1641, ha elencato tutta la popolazione cittadina. Ha
diviso gli abitanti in determinate categorie:
a) maschi (huomeni),
b) femmine (donne);
c) fanciulli (putti)
d) fanciulle (putte).
L’elenco non ha tenuto conto, come sta espressamente scritto, delle case
dei rappresentanti veneti in Città (case delli Illustrisssimi rappresentanti ),
degli appartenenti alle forze per il mantenimento dell’ ordine e delle loro
famiglie (tutta la mellitia con sue famiglie), degli altri membri della corte del
conte-provveditore (altri curiali), nonché dei membri dei due conventi maschi-
li (li due Conventi de frati) e di uno femminile (Monasterio di Moniche). Così,
a Pola, vivevano 347 persone, rispettivamente: | 1 canonici (canonici-numero
11), 83 persone di sesso maschile inclusi i cittadini (Huomeni compreso li
cittadini- numero 83), 102 persone di sesso femminile (Donne-numero 102),
78 fanciulli (Purti-numero 78), e 73 fanciulle (Putte-numero 73). Il Bonarelli
annota anche che c'erano 216 persone di comunione (Da Comunione- numero
216) e 131 persone già comunicate (Non da Comunione-numero 131). Stando
all’ elenco del canonico vivevano allora a Pola 347 abitanti?.
? Egidio IVETIC, La popolazione dell’ Istria nell’età moderna. Lineamenti evolutivi, Trieste-Rovigno,
1997 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, vol. 15).
8 Drzavni arhiv u Pazinu /Archivio di Stato di Pisino/ (in seguito: DAP), Scatola 28,. “Elenco
Cresimati” (in seguito: EC), IX. 1.9., 20 aprile 1641.
234 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Att, voL XXXI, 2001, p. 229-248
2. Poco più di due anni dopo, il 12 maggio 1643, lo stesso canonico con
gli stessi criteri e con la stessa divisione, nuovamente procedette a censire gli
abitanti della città. Constatò che allora vivevano a Pola: 11 canonici, 76
maschi, 95 femmine, 104 fanciulli e 82 fanciulle. Da comunicare c'erano 225
persone e 143 erano quelli che non ne avevano il bisogno. Dunque il numero
degli abitanti maschi e femmine era diminuito un po’, mentre il numero dei
minorenni (specie dei fanciulli e degli adulti) era aumentato. Complessivamen-
te Pola, allora, aveva 368 abitanti”.
3. Il 12 marzo del 1645 il medesimo canonico procedette a un nuovo
elenco, secondo il quale a Pola c'erano: 11 canonici, 81 persone di sesso
maschile, 96 di sesso femminile, 102 fanciulli e 71 fanciulle. Stando a questo
elenco Pola aveva meno abitanti di quello precedente. Il numero dei canonici
era rimasto lo stesso, quello degli adulti, maschi e femmine, era aumentato di
poco, ma era diminuito il numero dei fanciulli. Dei totali 361 abitanti, 223 non
erano da comunicare, mentre altri 138, sì!°.
4. Significativo I’ elenco del Bonarelli dell’ 11 maggio 1664. Dai risultati
da esso emersi a Pola vivevano: 11 canonici, 123 persone di sesso maschile e
149 di sesso femminile, 155 fanciulli e 95 fanciulle. Il numero dei canonici era
rimasto uguale, mentre era notevolmente aumentato quello degli adulti, maschi
e femmine, e quello dei fanciulli. Dei totali 533 abitanti, 342 erano quelli che
non dovevano comunicarsi, mentre i comunicati erano 191"!.
S. Nel libro dei battezzati si trova inoltre l’elenco degli abitanti di Pola che
era stato compilato dal canonico Domenico de Piazza. Per quanto non sia,
purtroppo, completamente leggibile, esso dimostra e testimonia dell’ulteriore
leggero aumento del numero dei Polesani. Allora vivevano a Pola 541 persone.
Le categorie che vi vengono menzionate sono: il conte-provveditore + il
numero delle persone nei monasteri + il numero delle famiglie (L’Ilustrissimo
et Eccellentissimo signor Provveditor et li Monasterij e sono famiglie numero
...), persone comunicate (Anime di Comunione), indi fanciulli e fanciulle (Putti
e Putte)"?.
9 IBIDEM, 12 maggio 1643.
!0 JBIDEM, 12 marzo 1645.
!! IBIDEM, 11 maggio 1664.
1? JBIDEM, Scatola 25, “Liber Baptizatorum" (in seguito: LB), IX, 1.1, I aprile 1674.
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 229-248 235
6. Il canonico e parroco polesano Liberal Vio, compilò 18 anni dopo il
nuovo elenco della popolazione cittadina. Prese in considerazione tutte le
persone che vi abitavano, fatta eccezione per tutti i sacerdoti (Ecclesiastico
reggimento), per il cancelliere (Cancelliere), e per gli impiegati (ministri). A
parte censì i padri di famiglia (Capi di Casa). Allora a Pola c’ erano 165 padri
di famiglia, 209 maschi, 214 femmnine, 129 fanciulli e 144 fanciulle. In questo
elenco i canonici vengono separati e inseriti in una categoria a parte. In
raffronto all’ elenco precedente il numero dei fanciulli era diminuito, mentre
invece era aumentato quello dei maschi, delle femmine e delle fanciulle. Dei
complessivi 696 abitanti, 423 non dovevano comunicarsi, mentre 273, sì!
7. AI XVIII secolo risale solamente un elenco degli abitanti di Pola. Lo si
trova nel libro dei morti, e fu compilato il 15 aprile 1732 dal parroco polesano
Niccolò Pianella, con l’ assistenza del chierico Antonio Cipriotto. Vennero
riportate 178 famiglie (famelgie) (!), vale a dire 800 “anime” e, inoltre, anche
475 persone comunicate (di comunione) e 325 cresimate (di cresima) :
15 Aprile 1732
Da me Don Niccolò Pianella Curato con l’assistenza del Chierico Don
Antonio Cipriotto furono fatte le discrioni delli Vicinij che si ritrovano a
presente in questa Città furono al numero di 178 famelgie fanno in tutto il
numero di 800 anime di comunione quattrocento e settantacinque, di cresima
trecentovinticinque. - 1600 —
Pola aveva, dunque, nel 1732, 1600 anime. In rapporto al secolo precedente,
contava un numero di abitanti che già allora era aumentato considerevolmente!4.
8. Dagli inizi del XIX secolo al 1815 esistono tre elenchi: due si trovano
nell’ elenco dei cresimati e il terzo nel libro dei morti. Nell'elenco dei cresimati
prima di tutto si fa il nome dei membri di alcune famiglie, del numero dei
fanciulli e delle fanciulle, in periodi determinati, indi di 96 maschi (si riporta
anche il luogo di provenienza dal quale sono giunti a Pola, lo stato di famiglia
e la loro età). Non si riporta, tuttavia, il numero delle persone che vivevano
allora a Pola. Questi elenchi vennero fatti dopo l’iscrizione dei cresimandi del
19 aprile 1803, ma si riferiscono a un lasso di tempo di alcuni anni più tardi.
3 IBIDEM, Scatola 28, EC, IX, 1.10., 17 settembre 1689.
14 IBIDEM, Liber Mortuorum (in seguito: LM), IX, 1.10., 15 aprile 1732.
2%6 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 29248
Innanzitutto vengono riportati i nomi dei membri della famiglia polesana
dei Bentivoglia, poi l’ età di alcuni di essi:
Bentivoglia Giaccomo di Domenico da Dignano — anni 40 Amogliato
Domenico di Giaccomo 12
Mattio di Giaccomo 10
Giaccomo di Giaccomo 7
Antonia di Giaccomo 4
Antonio di Giaccomo 2
Antonio di Biasio (spazio vuoto)
Viene riportata anche la famiglia Fabbro, ma si menzionano soltanto i coniugi:
Fabbro Giuseppe di Zuanne
Maria sua moglie.
Di seguito si fa menzione del numero dei fanciulli e delle fanciulle, dal
1804 al 1806, dal 1807 al 1809, e infine nell’ anno 1810:
1804, 1805, 1806 Putte numero 24 - putti numero 30
(180)7, (180)8, (180)9 e 30 _ x 39
(18)10 sala: 16 pai: 8
70 73
Si rileva poi che l’ elenco di tutte le persone, maschi e femmine, residenti
in città è stato estrapolato dal libro dei battezzati per il periodo che va dal 1804
al 1810, e che in totale, come del resto figura negli elenchi su riportati, ci sono
73 fanciulli e 70 fanciulle!?.
9. Infine segue un elenco di 96 maschi a Pola (si fa notare però che dal
nome, dal cognome o dal nome del padre, non possono essere tutti identifica-
ti!), con la nota relativa al luogo di provenienza dal quale sono giunti a Pola, la
loro età e lo stato di famiglia (vedere l’elenco in allegato che per una più facile
comprensione è sotto forma di tabella). Dal contesto si capisce che tale elenco
risale al 1814, ma, evidentemente, non è completo, e, in riferimento a quanto è
annotato, alcuni dati sono mancanti, ossia non sono riportati!°.
10. Nel libro dei morti si trova l’elenco degli abitanti di Pola dal seguente
contenuto:
!5 IBIDEM.
!6 /BIDEM, Scatola 26, EC, IX. 1..4., dietro il documento datato 19 aprile 1803.
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 229-248 237
Provincie Illiriche
Pola lì 5 settembre 1811
Anagrafi
Di tutte le Anime, che compone questa Comune, e Suburbio tra Maschi e Femmine,
Piccioli, e Grandi come segue:
Maschi numero 379 Femmine numero 407
Stanze Chersevani numero 6 numero 2
Marinoni 3 2
Demori 3 2
Artusi 6
Summa 395 Summa 419
Si tratta di un elenco compilato durante l’esistenza delle Province Illiriche
di Napoleone. Esso comprendeva il numero totale delle anime in città e nei
sobborghi, i maschi, le femmine, gli adulti e i minorenni. C’erano complessi-
vamente 395 persone di sesso maschile: da questo numero occorre separare 6
maschi che vivevano nei possedimenti della famiglia Chersevani, 3 nei posse-
dimenti dove vivevano i coloni delle famiglie Marinoni e Demori, 4 nei
possedimenti in cui vivevano i coloni della famiglia Artusi. Il resto di 363 si
riferiva ai maschi in città e nei suoi sobborghi.
C'erano in totale 419 persone di sesso femminile: di cui 2 nei possedimenti
dove vivevano i coloni delle famiglie Chersevani, Marinoni e Demori, 6 nei
possedimenti dove vivevano i coloni della famiglia Artusi. Il resto di 395 si
riferiva alle donne che vivevano in città e nei suoi sobborghi.
Pola, dunque, stando all’ elenco del suaccennato anno, aveva complessi-
vamente 814 abitanti. L’elenco riesce interessante anche per il fatto che
esplicitamente riporta quali famiglie allora avevano i coloni e quanti di essi
vivevano nei loro possedimenti!”.
II.
La seguente tabella indica quale è stato il movimento della popolazione
della città di Pola, tra il 1613 e il 1815, sulla base dei dati forniti dai libri
parrocchiali:
!? IBIDEM, Scatola 29, LM, IX.1.12., 5 settembre 1811.
238 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Afti, voL XXXI, 2001, p. 229-248
Fonte Data Numero Aumento Mutamenti% |Mutamenti /
censimento abitanti Annuali %
Elenco 20 aprile 1641 |347 - - _
Cresimati = fran ne : suna sn
Elenco 12 maggio 1643 | 368 +21 + 6,05 + 3,02
Cresimati
Elenco 12 marzo 1645 |361 -7 -1,91 -0,95
Cresimati — | Lr : _
Elenco Il maggio 1664 |533 +172 +47,64 +2,50
Cresimati
Liber l aprile 1674 541 +8 +1,50 +0,15
Baptizatorum | : — | -
Elenco 17 settembre 696 +155 +28,65 +3,58
Cresimati 1682 |
T
Liber 15 aprile 1732 |1600 |+904 +129,88 +2,59
Mortuorum
Liber 5 settembre 814 |-786 -49,13 -0,62
Mortuorum 1811 |
Elenco 1814 Non si riporta il |- _ -
Cresimati numero totale
Ci |delle persone E
Totale 1641-1811 ---- +467 +134,58 +0,79
La popolazione di Pola ha registrato il massimo aumento tra il 1682 e il 1732.
Se il dato suaccennato può considerarsi veritiero, l'incremento è stato quasi del
130 %! È opportuno rimarcare che la popolazione, dal primo elenco del 1641 all’
ultimo del 1811, è aumentata di 467 anime, vale a dire del 134,58 %. Imutamenti
annuali si aggiravano entro valori molto modesti, inferiori al 4%!
La colonizzazione dell'Istria dal XV alla prima metà del secolo XIX
rappresenta parte di quell’ampio flusso migratorio generale che allora interessò
sia l’ Adriatico che il Mediterraneo. Gli immigrati si stabilirono prevalentemente
nella parte veneziana dell’Istria, perché la Repubblica incoraggiava l’immigra-
zione, organizzava la venuta (talvolta anche pericolose fughe dal territorio
turco), pagava il viaggio fino ai porti istriani, assegnava terra in “locazione
perpetua” (cioè finché la terra fosse stata coltivata), assicurava mutui per
l’acquisto di bestiame, di attrezzi agricoli, di sementi, per la riparazione o la
costruzione di case ed inoltre, per i primi cinque anni, esonerava gli immigrati
dalle tasse e dagli obblighi di lavoro. Gli immigrati, incitati dal governo
austriaco e dalla nobiltà locale, si stabilivano anche nella Contea di Pisino,
possedimento della Casa d’ Austria, nel centro della penisola.
S. BERTOSA, Aneamento del numero degli abitanti di Pola, Aftî, vol. XMKI, 2001, p. 229-248 239
Gli immigrati erano in primo luogo agricoltori e allevatori provenienti
dalla Dalmazia e dal suo entroterra fino dentro alla Bosnia occidentale, Boc-
chesi e genti della costa albanese, ma anche artigiani oriundi, specialmente,
dalle regioni greche del Levante governate da Venezia, nonché immigrati dal
Friuli nord-occidentale, dalla Carnia e dal Veneto. Si trattò di flussi etnicamen-
te eterogenei, ma allo stesso tempo diversi per mentalità. Erano differenti
anche i motivi che avevano portato gruppi e individui a decidere di abbando-
nare la terra d’origine e di cercare asilo in Istria. Spesso, il principale movente
era la fuga dal pericolo bellico, ma anche le pressioni religiose, soprattutto nei
territori esposti alle incursioni ottomane. Talvolta, per ragioni politiche e
diplomatiche, il governo veneziano trasferiva in Istria gruppi pericolosi che
guastavano i suoi rapporti con la Porta (ad esempio gli Aiduchi di Risano,
1671-1675). Il motivo principale è regolarmente di natura economica: la
sopravvivenza messa a repentaglio, la carenza di spazio, la fame e la dispera-
zione. Alla Repubblica di Venezia conveniva trasferire questi fuggiaschi in
Istria, tanto che spesso li imbarcava sulle navi a Zara, Spalato, Macarsca,
Cattaro, Antivari, ma anche nei porti levantini.
In queste correnti migratorie s’includono anche quelle orientate verso i
villaggi dell’ Istria meridionale e verso Pola. Alle migrazioni dall’esterno si
aggiunsero anche dei movimenti interni alla pensiola che sempre di nuovo
andavano a colmare i vuoti demografici dovuti alla mortalità, alla decadenza
economica, alle pessime condizioni sanitarie nella città di Pola.
I movimenti demografici menzionati si possono notare nelle tabelle alle-
gate.
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Atti, voL XXXI, 2001, p. 229-248
ALLEGATI
Tabella 1:
Andamento numerico della popolazione di alcune città istriane
sotto il dominio di Venezia
MUGGIA
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in
percentuale
1554 1411
1596 1600 +13,39 + 0,20
1666 910 - 56,87 - 0,82
1672 968 + 6,37 + 1,06
1673 990 + 2,27 + 2,27
1674 968 - 2,23 - 2,23
1675 985 + 1,75 + 1,75
1681 1119 + 13,60 + 2,26
1682 1132 + 1,16 + 1,16
1683 1137 + 0,44 + 0,44
1684 1120 - 1,50 - 1,50
1685 1124 + 0,35 + 0,35
1686 _| 1158 + 3,02 +3,02
1687 1178 + 1,72 + 1,72
1688 1186 + 0,67 + 0,67
1689 1245 +4,97 + 4,97
1690 1145 - 8,04 - 8,04
1691 1169 + 2,09 + 2,09
1692 1147 - 1,90 - 1,90
1693 1160 + 1,13 + 1,13
1694 1133 - 2,33 - 2,33
1695 11,33 0,00 0,00
1696 1205 + 6,35 + 6,35
1697 1217 + 0,99 0,99
1698 1240 + 1,80 + 1,80
1699 1245 + 0,40 + 0,40
1700 1231 - 1,29 - 1,29
1741 1149 - 7,40 -0,18
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, At, voL XXXI, 2001, p. 229-248 241
CAPODISTRIA
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in
percentuale
1533 8000
1548 10000 + 25,00 + 1,66
1553 2300 - 77,00 - 15,40
1560 3500 + 55,17 + 7,45
1577 4000 + 14,28 + 0,84
1579 3500 - 12,50 - 6,25
1580 5280 + 50,85 + 50,85
1581 4252 - 19,32 - 19,32
1596 5000 + 17,59 + 01,17
1606 3905 - 21,90 - 2,19
1620 6000 + 53,64 + 03,83
1627 5000 - 16,67 -_2,37
1629 5000 00,00 00,00
1630 5000 00,00 00,00
1631 3000 - 40,00 - 40,00
1632 2000 - 33,34 - 33,34
1633 1800 - 10,00 - 10,00
1652 5000 + 177,59 + 9,36
1669 5000 00,00 00,00
1709 4650 - 07,00 - 0,17
1741 4808 + 340 - 0,11
PARENZO
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in
percentuale
1554 780
1580 698 - 10,52 - 0,40
1601 300 - 57,03 -_2,71
1630 30 m 90,00 - 3,10
1646 150 + 400,00 + 25,00
1669 500 + 233,33 + 11,67
1675 700 + 40,00 + 6,67
1696 300 - 57,14 - 2,75
1741 3216 + 972,00 + 21,60
22 S. BERTOSA, Anelamento del numero degi abitanti di Pola, Atî, vol XXXI, 2001, p. 229-248
POLA
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in
percentuale
1554 594
1585 822 + 38,38 + 01,24
1588 600 - 27,00 - 9,00
1590 964 a 6
1611 538 - 10,34 - 0,45
1613 579 + 7,62 + 381
1631 300 - 48,19 - 2,68
Di 1641 347 I + 15,67 + 1,57
1643 386 + 11,24 + 5,62
1645 361 - 0,48 - 3,24
1664 . 533 + 47,64 + 2,51
1669 500 - 6,19 - 1,24
1674 S4I + 08,20 + 1,64
1677 562 + 03,88 + 1,29
1681 350 -37,72 - 9,43
1682 696 + 98,86 + 98,86
1683 693 - 0,43 - 0,43
1690 669 - 3,46 - 0,49 |
1693 590 -11,81 = N94
1694 705 + 19,49 + 19,49
1697 664 - 5,82 - 1,94
1730 800 + 20,48 + 0,62
1735 705 - 11,86 - 2,37
1738 660 + 6,38 + 2,13
1741 661 + 0,15 + (10,05
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Attî, vol. XXXI, 2001, p. 229-248 243
Tabella 2:
Censimento della popolazione di Pola nell’anno 1814 !*
Nome e cognome
Nome del padre Località Età Stato coniugale
Niccolò Scocco quondam Tomaso _|Promontore 39 anni Amogliato
Pasqualin Zancanar | quondam ? 38 anni Libero
Alessandro ili
Giacomo Samassa |di Pietro Sigilatto'° 45 anni Amogliato
Giacomo Demori |quondam Galesano 40 anni Amogliato
Domenico
Ignazio de Prato quondam Giacomo |? - _ | Amogliato
Antonio de Marchi |di Paolo Raveo?” ____ |42 anni Amogliato
Dorligo de Marchi |di Paolo Raveo 31 anni Libero
Michiel de Marchi |di Paolo Raveo 38 anni Libero cieco di un
occhio
Pietro de Marchi di Paolo Raveo 36 anni Amogliato
Giuseppe de Giusti |quondam Dignano 29 anni Libero
Domenico
Niccolò del Zotto _|quondam Pietro Dignano 41 anni | Amogliato
Micchiel quondamTomaso |Filipano 49 anni Amogliato
Jurossevich
Antonio Artusi quondam Giovanni |Galesano 22 anni Libero
Domenico
|Mattio Furlanic.—|quondam Gregorio |Dignano _|45 anni Amogliato
Zuanne Tesser —|quondam Dignano 45 anni Amogliato
Antoni Pavan quondam Zuanne |Rovigno 50 anni Amogliato
Pietro Brussiani quondam Andrea |Barbana = Amogliato
Antonio Smarelia |quondam Mattio |Dignano |35 anni. Amogliato
Domenico Boletin |quondam Zuanne _|Gallesano 40 anni | Amogliato |
Zuanne Floria de Zuanne __|Muschienizza 45 anni _| Amogliato
Zuanne Damianis |quondam Zuanne |Dignano 21 anni Libero Zotto
Antonio Damianis _|quondam Zuanne _|Dignano 25 anni Libero
Domenico da quondam Zuanne |Dignano 45 anni Amogliato
Fiume RA e A
|Luca Mienzo |? Promotore 25 anni Amogliato
Filippo Boletin quondam Zuanne |Galesano 42 anni Amogliato
!8 Il punto interrogativo sta a indicare il dato illeggibile o incerto, mentre la linetta il dato mancante
19 Correttamente: Sigilletto, località posta a nord-ovest di Tolmezzo
2)
Anche questo un villaggio a nord-ovest di Tolmezzo nella Carnia
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Atti, vol XXXI, 2001, p. 229-248
Zuanne Luziani di Giuseppe Albona 31 anni Amogliato
Domenico quondam Albona SO anni Amogliato
Martinovich Domenico
Giuseppe quondam Albona 42 anni Amogliato
Zustovich Domenico
Francesco Pursich_|quondam Andrea _|Prosecco 40 anni Amogliato
Giuuseppe Zanetti |quondam Andrea |Parenzo 41 anni Amogliato
Mattio quondam Giacomo |Pinguente 42 anni Amogliato
Carbovcichio
Francesco Rubini |quondam Giovanni |Padova 34 anni Amogliato
Battista
Pietro del Zotto | quondam Pietro Dignano 45 anni Amogliato
Antonio del Zotto |quondam Pietro Dignano 48 anni Amogliato |
Domenico Pelisser | quondam Antonio |Rovigno 31 anni Amogliato
Marco Lavinich quondam Simon Dignano 45 anni Amogliato
Giovanni Roditti |quondam Anastasio | Dignano 24 anni Libero
Michiel Stocovich_|quondam Gregorio |San Vincenti 34 anni Amogliato
Mattio Faraguna quondam Mattio Albona 40 anni Amogliato
Mattio de Caneva _|quondam Lorenzo |Dignano 38 anni Amogliato
Antonio Zanetti |quondam Andrea |Parenzo 30 anni Amogliato
Zorzi Scocco \quondam Tomaso |Promontore 37 anni Amogliato
Martin Scocco quondam Tomaso |Promontore 38 anni Amogliato
Pasqualin Demori |di Domenico Galesano 19 anni Libero
Martin Scattaro | quondam Tomaso |Sichichi 38 anni Amogliato
Antonio Piccoli _ Rovigo 36 anni Libero
Girolamo Negri |quondam Antonio |Zara (?) 42 anni | Amogliato _|
Antonio Flora | quondam Pasqualin | Galesano 40 anni Amogliato —
Gregorio Petrovich |quondam Pietro Filippano 50 anni Amogliato
Zuanne detto = Marzana 37 anni Amogliato
Maneton
Zuanne Lampal quondam Pago 37 anni Amogliato
Domenico
Pietro Marinoni quondam Venezia 52 anni Amogliato
Francesco
Bortolo Marinoni |quondam Venezia 62 anni Amogliato
Francesco
Donato de Cal | quondam Osgualdo |Pago 40 anni Amogliato
Antonio Poppazzi |quondam Simon Sissano ? ?
? d ? 59 anni Amogliato
Giacomo quondam Mattio San Vincenti SO anni Amogliato
Pliscovich
Giacomo quondam Galesano 40 anni Amogliato
Capolicchio Domenico
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 229-248
245
SI
Pietro Lombardo |quondam Giorgio |Galesano - Amogliato
Martin quondam Antonio |Filippano 50 anni Amogliato
Rapanecchia
Giuseppe quondam Antonio |Filippano 53 anni Amogliato
Rapanecchia
Zorzi Septich \quondam Lorenzo |Castova SO anni Amogliato
Giuseppe quondam Delarin”! 32 anni Amogliato
Sancanar Alessandro |
Zuanne quondam Delarin 38 anni Amogliato
Sancanar Alessandro
Mattio Fornasar _|quondam Antonio |Galignana 46 anni Amogliato
Giuseppe Nonessi |quondam Antonio |? 50 anni Amogliato
Lermardo Pelisser |quondam Antonio |Rovigno 34 anni Libero
Francesco Bonaldi |quondam Zuanne |Bergamo - Amogliato
Lorenzo Floria |quondam Leonardo |? 2 dle __|Amogliato
Giacomo di Domenico Dignano 40 anni Amogliato
Bentivoglio
Giuseppe Fabro di Zuanne Dignano 45 anni Amogliato
? o _ |quondam Antonio |? __|53 anni — n Amogliato
Francesco de quondam Michiel |Pomer 43 anni Amogliato
Franceschi
Simone (?) quondam Antonio |Albona 2 Amogliato
Zuliani (?)
? Dovolich _|quondam Vido |Marzana 37 anni Amogliato
Niccolò ? quondam Giuseppe |Albona 23 anni Libero
? de Prato |quondam ? - IN | Amogliato n
Pietro Lombardo |quondam Giorgio |Galesano 2 | Amogliato
Francesco Bonaldi |di? | Bergamo _ i Amogliato _
Zorzi de Flora quondam Leonardo |? d Amogliato
& ? ? ? Amogliato
ÈS se AREA Ale si Ae _ Amogliato
Francesco quondam Pietro - Aprile 1765 Amogliato
Crescevani
Antonio di Giacomo - 20 Marzo 1764 Amogliato
Miccalevich
Tomaso della Zuan- |quondam Zuanne |- 7 Marzo 1764 Amogliato
na SO
Zuanne Bra- |quondam Michiel |—- 29 Gennaro 1764 |Libero
damante 1 50 Pescatore
Filippo Fragiacomo |quondam Giovanni |- 24 Novembre 1764 |Amogliato
2! Probabilmente: Zelarino, località a nord-ovest di Mestre.
ehi] S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Att, vol. XXXI, 2001, p. 229-248
Giovanni di Giacomo - 17 Aprile 1760 Amogliato
Miccalevich 54
Antonio quondam Giacomo |- Gennaro 1760 Amogliato
Milosovich 54
Andrea Beltrame |quondam Giovanni |- 29 Dicembre 1759 | Amogliato
Battista 55 Pescatore
Girolamo Pozo quondam Antonio |- 9 Marzo 1758 Amogliato
56 Pescatore
Pietro Vio quondam Antonio |- 12 Gennaro 1755 |Amogliato
59
Domenico Neri quondam Antonio |- 2 Agosto 1778 Libero
36
Niccolò Dobrovich | quondam Niccolò |- 26 Decembre 1777 |Amogliato
37
Domenico Sponza |quondam Portolo |- - Amogliato
(1)
Mattio Sbisà quondam Giuseppe |- - Amogliato
S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pela, Att, vol XXXI, 2001, p. 229-248 247
SAZETAK: KRETANJIE BROIA STANOVNIKA GRADA PULE
PREMA PODACIMA U MATICNIM KNJIGAMA OD 1613. DO 1817.
- U puljskim se matiènim knjigama nalazi nekoliko dragocjenih
podataka o broju stanovnika u gradu. Demografske su krize Pulu
pogodile vise nego li ostale istarske gradove pod Venecijom. Njihove
su uzroke i suvremenici pripisivali ratovima, epidemijama i opéenito
nezdravim Zivotnim i ambijentalnim priliktama, koje su izazvale
gospodarsko i populacijsko propadanje grada. Podaci o broju
stanovnika u Puli nalaze se na nekoliko mjesta i vrlo se dobro
mogu uklopiti u veé postojeée spoznaje o Ziteljstvu Pule (pa i Istre
uopée). Iz 17. stoljeéa postoji Sest popisa: pet ih se nalazi u popisima
krizmanika, a jedan u knjizi kr$tenih. Iz 18. stoljeéa postoji samo
jedan popis i to u matiénoj knjizi umrlih. Od podetka 19. stoljeéa
do godine 1815. postoje tri popisa: dva se nalaze u popisu
krizmanika, a drugi u knjizi umrlih. Ziteljstvo Pule najvife se
povecalo izmedu 1682. i 1732. Ako se navedeni podatak moze
smatrati vjerodostojnim bilo je to za gotovo 130 %! Valja naglasiti
da se stanovniîtvo od prvog popisa 1641. do posljednjeg 1811.
povecalo za 467 dusa, tj. 134,58 %. Godisnje promjene kretale su
se unutar vrlo skromnih vrijednosti manjih od 4 %!
POVZETEK: TEZNIE GLEDE STEVILA PREBIVALCEV V PULI
NA PODLAGI PODATKOV IZ REGISTROV ZAKONSKEGA STANA
MED LETI 1613 IN 1817 — V registrih zakonskega stana Pule
sreéamo nekaj izredno dragocenih podatkov v zvezi s $tevilom njenih
prebivalcev. Demografske krize so prizadele Pulo bolj kakor druga
mesta pod oblastjo Beneske republike. Tudi sodobniki so pripisovali
razloge raznim vojnam, epidemijam in na splo$no nezdravim
okolijskim razmeram Zivljenja, kar je pripomoglo k gospodarskemu
in demografskemu propadanju mesta. Podatke o $tevilu prebivalcev
v Puli sreéamo v razliénih krajih in jih lahko primerno v$tejemo
med Ze pridobljena spoznanja glede prebivalstva mesta (ter Istre na
splo$no). Od 17. stoletja dalje imamo na razpolago $est popisov
prebivalstva: pet je vsebovanih v seznamu birmancev in eden v
registru krSfenih. Kar zadeva 18. stoletje, razpolagamo le z enim
popisom prebivalstva, ki ga najdemo v registru zakonskega stana
umrlih. Od zatetkov 19. stoletja do leta 1815 razpolagamo s tremi
248 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, voL XXXI, 2001, p. 229-248
popisi: dva sta v seznamu birmancev, eden v registru zakonskega
stana umrlih.
Prebivalstvo Pule je dozivelo najvisji porast med leti 1682 in
1732. Ce je navedeni podatek verodostojen, potem je prebivalstvo
naraslo za 130 %. Na) pripomnimo Se, da se je Stevilo prebivalstva,
od prvega popisa leta 1641 do zadnjega leta 1811, povetalo za 467
dus, to je za 134,58 %. Letne spremembe kazejo na izredno skromne
vrednosti rasti in sicer pod 4 %!
I COGNOMI DI POLA, FRÉZZA E GARDÈL, GARDÈL,
GARDÈELLI, GARDELLI, GARDELLO
MARINO BONIFACIO CDU 81'373.2(497.5Pola)
Pirano-Trieste Sintesi
Novembre 2001
Riassunto — L'autore tratta di due antichi casati di Pola, dei quali Frézza, documentato dal 1150,
risale al mestiere del capostipite fabbricante di freze cioè frecce, mentre Gardèl / Gardblli
/Gardèllo,comprovato dal 1289, deriva dall’antico soprannome gard! “cardellino” del caposti-
pite.
Frézza
Frézza è antico cognome di Pola documentato fin dal 1150 con un /ohan-
nes Freca, nel quale strumento certo Puliano figlio di Oderico oltre a pagare al
comune di Pola una dazione intera per le terre in località Ubiano (è l’odierna
Foibàn presso Valdibecco poco fuori Pola) che furono di suo fratello Acilo,
versa pure un moggio di frumento per casam [ohannis Frege que est in Clauca
cioè per la casa di Giovanni Freza che si trova alla Cloaca ovvero presso la
Fogna di Pola!.
Tra i discendenti del detto Giovanni Freza ossia Giovanni Freccia del
1150, nel 1403 viveva a Pola in Porta San Giovanni un Natal ser lohannis Frita?,
il cui figlio Johannes Frita f.q. Natalis comprovato nel 1453-57, lo ritroviamo
poi nel 1471 a Sissano come Petrus Frezza e quale Giovanni Pietro Frezza nel
1473 anno in cui vediamo infatti a Sissano il di lui figlio Januarius Frezza f.
Joannis Petri Frezza*, cioè Gennaro Frezza figlio di Giovanni Pietro Frezza.
! DE FRANCESCHI, 1927, p. 326, ove invece di Frece c’è scritto erroneamente Fece senza r e senza
cediglia sotto la c.
? BENUSSI, 1908, p. 362, ove Frita sta per Friza.
3 DE FRANCESCHI, 1906, p. 291.
4 IBIDEM, p. 291.
2%) M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Amm, vol XXXI, 2901, p. 249-258
A conferma della continuazione nel corso dei secoli del casato sia a Pola
che a Sissano, il 18 aprile 1772 Pietro Frezza della villa di Sissano nel territorio
di Pola venne dispensato dalle cariche dei luoghi pii e di altre incombenze per
la sua salute malferma?. Inoltre, tra gli 815 abitanti che esistevano a Pola nel
1779 vi era anche un F. Pio Frezza®.
Nel 1945 vi erano 12 famiglie Frezza a Sissano, 2 a Montessori di Sissano”
e 2 famiglie Frezza a Pola?.
Oggi vi sono ancora 3 famiglie Frezza a Sissano e altre 2 a Pola (una delle
quali ha il capofamiglia di nome Pio, omonimo del già citato Pio Frezza
vivente a Pola nel 1779), mentre la maggior parte dei Frezza istriani prosegue
a Trieste ove contiamo 19 famiglie Frezza più 1 a Monrupino tra le quali però
taluna è anche di origine friulana, essendo Frezza non solo cognome istriano
ma pure friulano e altresì veneto.
Tra i Frezza istriani va ricordato il professor Mario Frezza, nato a Pola, da
dove è esodato nel 1947, laureatosi a Padova nel 1961 in Medicina e Chirurgia,
residente dal 1971 a Trieste ove oggi è primario gastroenterologo. Autore di
saggi medici scientifici e pure scrittore in prosa, ha pubblicato nel 1995 a
Trieste il libro Asini e balilla in cui descrive il primo decennio della sua vita
trascorso a Pola tra la fine della seconda guerra mondiale e l’esodo dall’ Istria,
ed è anche uno dei 14 autori presenti nel volume sulla letteratura dell’esodo,
dal titolo Dai lunghi inverni?, dal quale sono tratte le presenti note biografiche
(pil)
A questo punto bisogna segnalare come anche a Capodistria sia esistito
anticamente un casato locale Frezza detto in origine Frissa, il cui capostipite è
appunto un Mattheus de Frissa il quale appare in un documento capodistriano
del novembre 1210", ove viene menzionata una vigna un tempo da lui posse-
duta situata presso il monastero di San Nicolò e San Apollinare d’ Oltra fuori
Capodistria.
5 «Senato Mare — Cose dell’ Istria”, AMSI, vol. XVII, fasc. 3-4 (1901), registro 235, p. 233-234.
6 Pola, 1779, p. 3.
? Cadastre, p. 150.
8 Brat-Sim, 1985, I, p. 263, ove però una delle dette due famiglie Frezza appare scritta Freca con grafia
croata.
° Pubblicato a Trieste nel 1996, a cura dell’ Unione degli Istriani. In esso vi è pubblicato pure il suo
racconto ‘Odore di cenere”, ambientato nella Pola e dintorni dell’ ultimo periodo.
!0 CDI e BABUDRI, 1910, p. 340-341.
M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Ari, voL XXXI, 2001, p. 249-258 251
Il casato Frezza fioriva ancora a Capodistria nel ‘500!' , per cui dev’essersi
estinto presumibilmente nel ‘600 o nel ‘700.
Come rileva Rapelli'? il cognome veronese Frézza deriva da un antico
soprannome Fréza formato dalla voce italiana settentrionale fréza “freccia” in
qualche particolare motivazione e significato, mentre l’altro cognome verone-
se Frezzàto, presente anche a Padova, è patronimico di Frézza oppure equivale
al veneto frèzato “fabbricante di frecce” ossia corrisponde all’antico vicentino
frizàro di uguale significato e al veneziano frezèr originatore sin dal sec. XIV
del cognome veneziano Frezèr!, che oggi prosegue come Frizziero.
Ne consegue quindi che anche il cognome istriano di Pola e Capodistria
(quivi estinto come già rimarcato) Frezza, similmente all’analogo cognome
veneto, friulano e italiano settentrionale in genere (si veda ad esempio a Milano
oltre al cognome Freccia, impersonato da 8 utenti, che è forma italianizzata,
anche il cognome di tipo dialettale Frezza rappresentato da 12 utenti), derivi
da un capostipite soprannominato in origine Frezza/Freza perché abile costrut-
tore di potenti e veloci frecce.
Va pure detto che la parola italianafréccia “saetta, dardo che si scaglia con
l’arco” (e la sua forma settentrionale nonché istriana, veneta e friulana
fréza/frézza, inclusa la forma piemontese flècia generatrice del cognome Fle-
chia), documentata in Italia dal XIV secolo, viene a sua volta dal francese
flèche (a.1130) voce di origine germanica dal francone fliugika significante “la
volante, colei che vola”!*. Inoltre, il DEI'* al lemma frézza/! segnala che frezza
“freccia”, cioè la forma italiana settentrionale freza comprovata dal XIV
secolo, appare pure a Ragusa di Dalmazia sin dal 1362 e l’altra variante
settentrionale frizza “freccia” compare come friza nel 1358 in Romagna!°.
Da parte nostra però ricordiamo come, a quanto già rilevato in precedenza,
la forma frega “freccia” sia testimoniata a Pola già nel 1150 e l’altra forma frissa
“freccia” sia dimostrata a Capodistria fin dal 1210, per cui possiamo a ben
ragione affermare che l’Istria detiene le due più antiche attestazioni non solo
altoitaliane ma pure nell’intera area italiana delle forme freca/frissa per
!! TOMASICH, 1886, p. 35.
!2 RAPELLI, 1995, p. 191.
!3 OLIVIERI, 1923, p. 203.
!4 Cfr. il lemma fréccia nel DEI e nel DELI.
5 P._ 1716. Vi sitrova pure il lemma frézza/2 avente altro significato cioè fretta.
!6 DEI, p. 1720.
252 M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl Ani, vol XXXI, 2001, p. 249-258
“fréccia” che sono adattamenti nostrani della citata voce francese flèche del
1130.
Gardèl, Gardèlli, Gardèllo
Gardèl detto anche Gardèlli / Gardèllo / Gardéèlio è antico cognome
istriano duecentesco di Pola poi diffusosi anche in altre parti dell’ Istria e a
Fiume.
Così, già nel 1289 è documentato a Zara uno Johannes Gardello definito
“probabilmente un forestiero”!” in quanto appunto sottinteso di Pola, mentre
altri due componenti del casato li troviamo più tardi a Veglia ove nel 1362
abbiamo un Sanctus dictus Gardello e nel 1377 un Petrus de Gardelio"*.
Inoltre, un altro membro della famiglia — Symon Gardelus — è presente a
Pirano il 14 dicembre 1337", intanto che nel 1403 vivevano a Pola in Porta
Rata heredes Iohannis Gardeli”°, cioè gli eredi di Giovanni Gardelo e sempre
nella città dell’ Arena il 5 marzo 1441 fece testamento Andreas Gardelis di
Stignano?".
Successivamente, nel corso del ‘700 un ramo dei Gardel / Gardelli /
Gardello di Pola si è stabilito a Fiume da dove poi verso la metà dell’ ‘800 si
è spostato a Trieste, ove nel 1910 abitava in via del Solitario (n. 4) una Cecilia
Gardello nata a Fiume il 17 agosto 1833, vedova, proprietaria dell’omonimo
negozio di frutta ederbaggi portato avanti dalla figlia Giuseppina nata a Trieste
il 20 maggio 1876 sposata con Carlo Duetz (=Duiz) nato a Trieste nel 1879”?,
Un altro ramo dei Gardel di Pola ha invece preso dimora nel ‘700 a Fratta
di Albona ove nel 1945 vi era infatti una famiglia con tale cognome”, mentre
un’altra famiglia Gardel viveva nello stesso anno a Santa Domenica di Visina-
da? e risaliva verosimilmente a un Giacomo Gardel q. Giovanni della Carnia,
I" HRECEK 1986, p. 56.
8 Ibidem.
!9 CP, II, p. 263.
20 BENUSSI, 1908, p. 366.
2! DE FRANCESCHI, 1906, p. 292.
22 CATS, 1910, Involto 50.
23 Cadastre, p. 178.
24 IBIDEM, p. 70, ove però invece del cognome Gardel c’è scritto erroneamente Gardelio.
M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Garalèl, Ani, voL XXXI, 2001, p. 249-258 253
falegname, presente come padrino a un battesimo avvenuto a Visignano il 19
maggio 1836°° oppure, con meno probabilità, a un di lui parente Mattia di
Zuane Gardelin da poco abitante a Zumesco di Montona deceduto il 24 aprile
1812 a Villa Farini di Visignano”.
Peraltro, all’ultimo momento ci accorgiamo che il Cadastre??, registra
pure nel 1945 a Valentici di Castellier (Visinada) 3 famiglie Grdelin diventate
Gardelin e altre 3 famiglie Grdelin divenute Gardeli a Santa Domenica di
Visinada, ove invece si tratta in realtà di 6 famiglie Gardelin — di cui 3 passate
a Gardelli — risalenti al suddetto Mattia di Zuane Gardelin mancato nel 1812
a Villa Farini di Visignano.
Da quanto visto si può dunque dedurre che tra le 4 famiglie Gardel oggi
viventi a Trieste almeno 2 appartengono al precitato antico ramo primario
polesano duecentesco e 2 al riferito omonimo recente casato di origine carnica
insediatosi a Visignano d'’ Istria al principio dell’ ‘800 e poi ramificato a Santa
Domenica di Visinada e — aggiungiamo — anche a Stridone di Portole, ramo
carnico cui fanno capo altresì le attuali 2 famiglie Gardelin di Trieste e 3 delle
odierne 4 famiglie Gardelli di Trieste (dicui 1 a San Dorligo della Valle), salvo
1 famiglia Gardelli del ceppo primitivo polese.
Va per di più segnalato che anche tra i 5 utenti Gardel e 11 Gardelli di
Milano e tra i 2 utenti Gardel e 14 Gardelli di Roma qualcuno proviene dall’
Istria e da Fiume, avvertendo ancora che a Milano qualche Gardel / Gardelli è
pure milanese del posto oltreché altoitaliano del Friuli, Piemonte, ecc., mentre
invece la forma cognominale Gardel / Gardelli di Roma non è locale (che è
impersonata da quella Cardelli) bensì sottinteso dell’Italia settentrionale come
indicato dalla G iniziale del cognome.
AI pari dell’analogo cognome friulano e italiano settentrionale, il cogno-
me istriano di Pola Gardè! / Gardèlli / Gardèllo (pronunciato al contrario
Gardel / Gardeélli / Gardéllo con e tonica chiusa a Trieste) deriva dal sopran-
nome Gardèl tratto dalla voce gardèl “cardellino”, indicante in origine un
capostipite della famiglia in quanto arzillo e minuto proprio come un gardèl!.
Va anche spiegato che gardèl “cardellino”, equivalente in realtà al disusa-
to italiano “cardèllo”, viene detto pure gardelìn nei dialetti veneti dell’ Istria
compresa Trieste, diversamente dai dialetti veneti del Veneto che conoscono
25 DE COLLE, 1960, p. 192.
26 IBIDEM, p. 192.
27 P_69-70.
294 M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardél, Atti, vol XXXI, 2001, p. 249-258
solo la forma diminutiva gardelìn (con eccezione del chioggiotto che oltre a
gardelìn ha anche gardèlo “cardèllo”’), ma non gardèl, il che significa che i
precitati Gardel / Gardelli di Milano e Roma e anche di altri luoghi (si vedano
4 utenti Gardè! altresì a Firenze) siano friulani, istriani, lombardi ma non
veneti, non esistendo un cognome veneto Gardel / Gardelli, per cui ad esempio
l’utente Gardelli di Treviso e l'utente Gardel di Conegliano (Treviso) sono di
ceppo friulano / istriano.
Riguardo il cognome Gardelin / Gardellin / Gardellini del Veneto (ove
comunque c’è pure una forma cognominale femminile Gardella a Venezia,
Padova, Verona ecc.), testimoniato come Gardellin dal XV secolo a Venezia?8
, esso risale in genere alla voce veneta gardèlin “cardellino”, ad iniziare dal
cognome veronese Gardellini attestato a Verona dal 1350 con un Bartolomeo
Gardelini”?. Peraltro, al pari del cognome trentino Gardelin, c’è un cognome
Gardelin a Bussolengo, località del Veronese sulla via tra Verona e la Valda-
dige, che può anche significare “abitante, oriundo di Gardolo”, località tren-
tina?°.
È pure utile ricordare che l'italiano cardellìno — detto gardelìn nel Veneto
e gardèl / gardelìn in Istria (ove a Rovigno si dice pure gardiél), a Trieste e in
Friuli — è diminutivo di cardèllo continuatore del latino tardo cardellum per il
classico carduelem da carduus “cardo”, pianta frequentata da quest’uccello*',
il quale si ciba dei suoi semi.
Segnaliamo infine il cognome istriano Gardè! (equivalente al cognome
italiano meridionale Cardì!lo) ha un riscontro anche in Francia ed è stato
immortalato dal leggendario cantante argentino di tango d’origine francese
Carlos Gardel - soprannominato appunto E/ Francesito (il “Francesino”)
perché nato in Francia a Tolosa - il cui vero nome all’anagrafe era però Charles
Romuald Gardel”.
28 OLIVIERI, 1923, p. 215.
29 RAPELLI, 1995, p. 198.
30 IBIDEM, p. 198.
3! DELI, p. 205.
32 Cfr. il quotidiano triestino // Piccolo, n. 232, 30 settembre 2001, p. 29.
M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl Ati, vol XXXI, 2001, p. 249-258 255
AMSD -
AMSI -
AT -
Babudri,1910 -
Benussi, 1908 -
Brat-Sim,1985 -I -
Cadastre -
CATS 1910 -
CDI -
CP II -
De Colle,1960 -
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Tomasich, 1886 -
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258 M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Ami, vol XXXI, 2001, p. 249-258
SAZETAK: PULSKA PREZIMENA FRÉZZA I GARDÈL (GARDÈL-
LI, GARDÈLLO) - Autor se bavi prezimenima dviju drevnih pulskih
loza: Frézza, dokumentirano od 1150. godine i Gardè! / Gardélli /
Gardèllo, potvrdeno od 1289. godine.
Istarsko prezime iz Pule i Kopra (tamo je isfeznulo) Frezza,
poput analognog venetskog, furlanskog i sjeverno-talijankog prezime-
na uglavnom potjeée od rodoéelnika koji je dobio nadimak Frezza
/ Freza, jer je vjesto izradivao jake i brze strijele.
Gardéèl te oblici Gardèlli / Gardèllo staro je istarsko prezime iz
XIII. stoljeéa, javlja se u Puli, a kasnije se proSiruje i na druge
dijelove Istre i Rijeku. Kao i sliéno furlansko i sjeverno-talijansko
prezime, istarsko prezime Pule Gardè! / Gardèlli / Gardèllo potjete
od nadimka Gardel, a ovaj od oblika gardè! “cardellino” (Cesljugar),
koji je u poèetku oznatavao rododelnika hitrog i sitnog poput pticice.
POVZETEK: PULJSKI PRIIMKI FRÉZZA TER GARDÈL, GAR-
DÈLLI, GARDÈELLO - Avtor se ukvarja s priimki dveh starih
rodbin iz Pule: Frézza ter Gardèl/Gardélli/Gardèllo. V zvezi s prvim
razpolagamo s podatki od leta 1150 dalje, drugi pa je dokumentiran
od leta 1289 dalje.
Istrski priimek iz Pule in Kopra (tu je sicer izumrl) Frezza,
podobno kot odgovarjajoti beneski, furlanski in italijanski priimek,
izhaja v glavnem iz vzdevka nekega prednika, ki so ga imenovali
Frezza/Freza, ker je bil zelo spreten pri izdelovanju ostrih in hitrih
puscic.
Gardéèl, ki so mu pravili tudi Gardélli/Gardèllo, je stari istrski
priimek iz 13. stoletja, izhaja iz Pule in se je potem razsiril tudi v
drugih predelih Istre in v Reki. Podobno kot odgovarjajoèi furlanski
in italijanski priimek (razSirjfen v glavnem na severu drZave), izhaja
istrski priimek Gardél/Gardèlli/Gardèllo iz vzdevka Gardél, iz besede
’cardellino — li$éek“, ki je zatetno oznateval Cilega in skromnega
prednika takega kot lifcek — gardel.
LE CONFRATERNITE DI CITTANOVA
(Storia religiosa e economica delle dinamiche sociali di una micro-città)
DEAN BRHAN CDU 271+338(497.SCittanova)”15/17”
Cittanova Sintesi
Gennaio 2002
Riassunto — Nella storia delle confraternite cittanovesi il lasso di tempo che va dal XVI al XVIII
secolo può essere definito come il periodo del loro inesorabile declino, cui concorsero cause
molteplici. Pur tuttavia, alcune fonti inedite sulla loro vicenda storica ci illustrano alcuni
importanti aspetti della vita religiosa ed economica dei cosiddetti gruppi subalterni della società
di antico regime di Cittanova e della sua diocesi.
Nel Medioevo “i due lati della coscienza — quello che riflette in sé il mondo
esterno e quello che rende l’immagine della vita interna dell’uomo — se ne
stavano come avvolti in un velo comune, come in sogno o dormiveglia. Il velo
era tessuto di fede, d’ignoranza infantile, di vane illusioni; veduti attraverso di
esso, il mondo e la storia apparivano rivestiti di colori fantastici, ma l’uomo
non aveva valore se non come membro di una famiglia, di un popolo, di un
partito, di una corporazione, di una razza o di un’altra qualsiasi collettività ”!.
Da una visione del Medioevo di questo tipo emerge l’esistenza delle
confraternite come momento d’aggregazione sociale importantissimo per le
genti dell’Istria di antico regime. La piccola comunità di Cittanova non era
un’eccezione e, infatti, le sue confraternite erano come altrove il riflesso della
società locale.
L’esegesi delle fonti riguardanti questi sodalizi ci aiuterà a capire meglio
le dinamiche della società istriana di questo periodo. Se non altro per il
semplice motivo che è difficile trovare altre fonti che toccano da vicino la vita
quotidiana dei membri dei gruppi sociali subalterni delle piccole “patrie”
dell’antico regime?.
! I. BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, p. 101.
2 “La società, pur dando sicurezza all'individuo grazie a questa sua struttura, lo teneva tuttavia
260 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Ati, vol XXXI, 2001, p. 259-277
“La ricerca dell’identità di una comunità oltrepassa evidentemente le
implicazioni concettuali che solitamente qualificano la storia locale e, di
conseguenza, i problemi interpretativi che si prospettano tra quest’ultima e
quella che, più ambiziosamente, viene definita storia generale. E se pure ha
diversi punti in comune (quantomeno per la forma mentis di coloro che vi si
accostano) con quella che negli ultimi decenni è stata definita microstoria, i
suoi intendimenti differiscono sensibilmente da questa per le tensioni interpre-
tative che la connotano. Si tratta di tensioni che indubbiamente si coagulano
nell’individuazione dei tratti culturali che qualificano la vita di una comunità,
senza che per questo il problema della rappresentatività divenga un problema
assillante e tale da influire sui percorsi stessi della ricerca. Ed in questo le due
prospettive di ricerca, come si notava, si collocano su un piano comune.
Identità, dunque, come fisionomia che raccoglie inevitabilmente la complessità
della realtà sociale e politica, prospettando comunque soluzioni sempre origi-
nali e dotate di valenze loro proprie”. Il caso di Cittanova è peculiare però forse
non rappresentativo, in quanto la piccola podesteria cittanovese era diventata
una micro-città nel corso del XV e del XVI secolo per l’esiguo numero di
abitanti, conseguenza delle calamità naturali e sociali che hanno interessato
l’Istria in questo periodo storico.
L’esistenza e la continuità dell’istituzione vescovile e della podesteria
veneta hanno consentito la sopravvivenza dell’agglomerato urbano nel senso
più ampio del termine. Ricordiamo che addirittura il luogo più popoloso della
diocesi emoniense era la terra di Buie mentre per tutto il XVI secolo i vescovi
di Cittanova non volevano risiedere in loco a causa delle sopra citate calamità
naturali. La cattedra vescovile di Cittanova era scarsamente ambita da parte dei
membri del patriziato veneziano e il valore stesso del vescovato, da quanto
emerge dalla visita apostolica di Agostino Valier in Istria del 1580, era di 1100
o 1200 ducati (le decime di Buie e Portole, e tre peschiere in Quieto)?.
incatenato. Era una prigione diversa... La società medievale non privava l'individuo della sua libertà, perché
l’ ‘individuo’ non esisteva ancora; l’uomo era ancora legato al mondo da vincoli primari. Il contadino che si
inurbava era un forestiero, ed anche all’interno della città i membri dei diversi gruppi sociali si consideravano
a vicenda dei forestieri. La coscienza della propria personalità individuale, degli altri e del mondo come entità
separate, non si era ancora pienamente sviluppata.”, E. FROMM, Fuga dalla libertà, p. 43.
3 A. MICULIAN, “La visita apostolica di Agostino Valier in Istria: la Diocesi di Cittanova nella
seconda metà del XVI secolo”, Arti del convegno su Cittanova, inedito: “Alla domanda ‘De titulo Ecclesiae
cahed..e De numero animarum huius urbis', il canonico Paolo rispose: ‘SS. Massimo e Pelagio”, et io credo
che devono arrivar a cento anime e non più. Il vescovato può valere da 1200 ducati come ho inteso, et le
entrate consistono in decime di vini, formenti e biade et anco in pischere. Sono cinque i canonici, quattro
D. BRHAN, Le confratemîte di Cittanova, Az, voL XXXI, 2001, p. 259-277 261
La documentazione del Valier sulla sua visita nella diocesi di Cittanova è
una fonte importante per cercare di capire le dinamiche inerenti alle confrater-
nite di questo territorio*. Dal resoconto del convisitatore il reverendo don
Giovanni Francesco Tinto, il quale aveva controllato il settore amministrativo
e le cause pie, ovvero confraternite, ospedali e “fabbricerie”, emerge la consta-
tazione che il numero dei sodalizi era troppo alto per una comunità come Buie
mentre Cittanova ne contava soltanto un quinto del numero delle confraternite
buiesi. Già in quel periodo le ’’scole laiche” molto spesso erano amministrate
in modo non adeguato e corretto e la visita pastorale avrebbe apportato un certo
ordine nella loro attività. Le principali critiche erano rivolte all’obbligo di
portare i conti al vescovo in visione, al migliore impiego dei redditi e di limitare
gli sperperi e il carattere festaiolo dei “licoffi”’?.
Possiamo concludere che oltre alle autorità comunali anche le autorità
ecclesiastiche volevano esercitare un determinato controllo sull’attività delle
confraternite. Nell’ esempio di Cittanova vediamo che secondo un proclama del
neoeletto podestà del 1482° era tassativo informare le autorità di qualsiasi
assemblea o riunione delle confraternite e del loro contenuto pena /a prigion,
corda o bando o altre pecuniarie.
Perciò anche il vescovo rivendicava il diritto di controllare i conti delle
varie confraternite nonostante il carattere specifico di questi sodalizi” e, in
sostanza, il gastaldo della confraternita era tenuto a presentare i propri “conti”
sia al podestà veneto che al vescovo emoniense. Per quanto riguarda i sodalizi
di Cittanova, dal resoconto della visita, sembra che fossero in regola con questa
consuetudine mentre le confraternite della “periferia”, Portole, Piemonte e
risiedono e una prebenda e Mons. Vescovo et non vi sono dignitari. Una sola e la cattedrale et la cura
appartiene a tutti i canonici, et ognuno fa la sua parte et nella nostra chiesa non vi sono altri beneficiati, et
un sol zago (chierico inserviente in chiesa) serve alla chiesa. Le prebende dei canonici valgono 25 ducati in
circa et le sue entrate consistono in decime de formenti, vini et animali et de alcuni denari et elemosine...”
4 Ricordiamo che Agostino Valier, vescovo di Verona era stato nominato come visitatore apostolico per
l'Istria e la Dalmazia dal papa Gregorio XIII, con ampi poteri di riformatore e delegato generale e particolare.
Il presule era amico di San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano e zelante inquisitore, dal quale apprese
le istanze e lo spirito del Concilio di Trento e della Controriforma cattolica. Da L. PARENTIN, “La visita
apostolica di Agostino Valier a Cittanova d’Istria(1580)”, Atti e Memorie della Società istriana di archeologia
e storia patria, Trieste, vol. XCIV (1994), p. 156.
5 “Licofum” - banchetto, bicchierata.
6 Vedi D. BRHAN, “La scuola di Sant'Antonio Abbate, Santa Lucia e San Carlo di Cittanova
(1729-1792)”, in La Ricerca, Centro di ricerche storiche Rovigno, 2001, n. 31-32, 2001, p. 24.
? “Scole laiche”, perché erano soggette all’autorità civile.
262 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Ari, voL XXXI, 2001, p. 259-277
Grisignana, si erano ritrovate con l'obbligo di presentare i propri conti al
vescovo (s’ha ordinato di dar i conti al Vescovo). Il questionario delle doman-
de esigeva anche la verifica dell’operato e dell’idoneità del gastaldo della
confraternita, un ruolo che molto probabilmente era una carica di prestigio
all’interno della comunità e in alcuni casi poteva portare determinati vantaggi.
Spesso questa carica assieme a quella del nodaro o scrivano della confraterna
poteva entrare nell’orbita delle dinamiche e delle strategie familiari per la
conquista e la conservazione del potere all’interno della comunità. Questo tipo
di strategie è riscontrabile nella Confraternita di Sant’ Antonio Abbate, Santa
Lucia e San Carlo nel corso del Settecento*. Gli abusi erano molto frequenti
come è testimoniato dagli scritti del vescovo Tomasini.
Comparazione del numero delle confraternite della diocesi di Cittanova nel
1580.
Cittanova Verteneglio Grisignana Piemonte
Sc.S.mo Sacramento —— |S.ta Croce _ _|S. Zuanne
_|SS. Primo e Feliciano
Sc. S. Lucia SS.mo Sacramento \S. Maria delle Candele |S. Petro __I
Sc. S. Pietro Santo Spirito S. Martin S. Andrea
Sc. S. Maria del Nogare- | S. Zenone S. Niccolò Is Maria
do
S. Rocco |S. Vido S. Giorgio
S. Ermacora (S.Mucor o
Mohor
Ss. Cosma e Damiano
S. Rocco
8 Archivio storico di Pisino (=ASP), “Fondo del comune di Cittanova”, lib. n. 293. In base alla Nota
dei confratelli del 1755.
D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Ari, voL XXXI, 2001, p. 259-277
Nova
Buie Portole Piemonte
S. Rocco S. Eufemia |S. Giorgio ___|S. Martino —
SS.mo Sacramento S. Michele S. Cecilia Del Corpo di Cristo
SS. ma Trinità S. Maria di Gradisca La Madonna a S. Maria |S. Maria
S. Sebastiano S. Lucia S. Maria dell’altare S. Sebastiano
S. Margherita S. Cancian Spirito Santo S. Giorgio
S. Niccolo’ S. Giovanni S. Sebastiano S. Giovanni
S. Elena S. Rosario _|H Corpus Domini S. Caterina
S. Stefano S. Pietro — S. Mauro
S. Martin S. Antonio S. Rocco
S. Eliseo
Dall’analisi comparativa del numero delle confraternite emerge chiara la
constatazione che Cittanova era il luogo con il minor numero di “scole laiche”
della diocesi emoniense. Gran parte delle località “
miche sociali e religiose più intense, molto probabilmente grazie al maggior
numero di “anime”. La città con le immediate vicinanze contava un centinaio
d’abitanti circa e le grandi comunità rurali o ville del suo territorio gravitavano,
dal punto di vista economico, soltanto in parte verso Cittanova.
Il numero dei confratelli e delle consorelle delle confraternite cittanovesi
molto probabilmente era esiguo e di conseguenza anche la valenza economica
delle suddette era scarsa.
Per capire meglio questo tipo di dinamica basta fare il confronto con il
numero dei membri della confraternita del Santissimo Sacramento di Dignano
del 1571. Nel registro di questo sodalizio sono annotati 755 uomini e 604
donne, ovvero il numero di membri raggiungeva le 1359 unita. Secondo lo
statuto di questa confraterna ogni nuovo confratello o consorella doveva
pagare ogni anno una determinata quota in denaro o in natura. Appare chiara
la differenza che poteva esistere tra le varie confraternite a livello diocesano e
a quello regionale”.
Nonostante queste premesse le confraternite a Cittanova svolgevano un
ruolo importante giacché un quinto della popolazione era composto da nuclei
familiari di solitari o privi di una struttura familiare vera e propria'!°. Queste
minori” aveva delle dina-
? AA.VV. Avi, alberi genealogici delle famiglie dignanesi, Trieste-Dignano, 1996 (Biblioteca Istriana
- Extra serie, n.1), p. 15.
264 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Att, vol XXXI, 2001, p. 259-277
associazioni erano un momento e un mezzo importante d’aggregazione sociale
e religiosa per i membri della piccola comunità di Cittanova.
Grazie alla documentazione della visita apostolica del vescovo di Verona
Agostino Valier all’Istria e alla Dalmazia possiamo avere uno spaccato della
vita religiosa e sociale della diocesi di Cittanova nella seconda metà del
Cinquecento. Imperniata sull’onda della Controriforma tridentina questa visita
appurerà anche il degrado e la scarsa educazione religiosa dei chierici e dei
laici. Le domande erano fatte in base al formulario ricevuto da Roma e al
regolamento compilato da S. Carlo Borromeo!'. La situazione delle confrater-
nite cittanovesi era la seguente:
Visitatio confraternitatum et hospitalium civitatis et dioecesis Aemon.
Rev. D. loan. Franciscus Tinctus 1,U,D, visitavit confraternitate et hospi-
talia tanquam delegatus a rev.mo d. Visitatore modo inscripto.
Adi 26 gen.o 1580 schole de Civitanova
Schola del S.mo Sacramento. Non ha statuti. Ha entrata, ma non ferma,
però di elemosine che cavano delli torchi dell’oglio de scoio, hora più hora
manco, e delli fratelli che danno di elemosina soldi 12 all’anno et un livello di
soldi 30 all’altro anno, si può trarre in tutto lire 600, aiutando un altro anno.
Si spendono in cere, in far dir messe et ornar l’altare del Sacramento, far lì
paramenti, in elemosine ai poveri, et a far cavar l’oglio delle acque torcolate;
nel che si spende lire dieci per orna. Al presente avanza in mano alla schola
lire 1200 di denari contati. Non sono debitori né usurpatori. Hanno conti
buoni. In reliquis recte. Si danno per ordinario i conti al Vescovo. I gastaldi
danno sicurtà della sua administratione.
Sc. S. Lucia. Ha statuti buoni. Ha entrata di lire 700 che si cava da 400
piedi di olivi, ma tal hora, secondo gli anni, manco assai l’oglio, et cerca dui
o tre secchi di vino di livello all’anno; di che si può cavare lire 200 di danari,
che si spendono in chiesa, usi solito et a far lavorar lì olivi, a raccolier i frutti,
in qualche elemosina ai poveri et in un pasto. Non sono usurpatori né debitori,
eccetto un gastaldo vecchio morto, circa lire 160, che s’ordinano che si scodi
quanto prima. Han conti buoni. In reliquis recta. Si danno ogni anno i conti al
Vescovo. Et i gastaldi danno sicurtà dell’administratione.
!0 Nel 1580 durante la visita del Valier la città composta da circa 300 case poteva contare soltanto 25
case abitate.
1! In quel periodo il vescovo di Cittanova era Gerolamo Vielmi, il quale era residente stabilmente a
Venezia Però era sostituito dal mons. Alessandro Avogaro. Il prelato veneto rimaneva in sede soltanto da
dicembre fino a Pasqua mentre poi si ritirava assieme alla famiglia in patria.
D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, At, vol. XXXI, 2001, p. 259-277 265
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Fig. 1 — Frontespizio della “Nota dei Confratelli della Vener:a Scuola di S. Antonio Abbate S. Lucia e S. Carlo”,
di Cittanova, 10 giugno 1755.
266 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, vol XXXI, 2001, p. 259-277
Sc. S. Pietro. Ha statuti buoni. Ha entrate da lire 700 al più d’oglio et una
casa che si affitta per lire 10 all’anno. L’oglio e delli olivi della schola, che tal
anno cala assai. Si spende in uso della chiesa quel che si cava, circa 200 lire
e in far lavorar gli olivi, coglier le olive. Altre spese, in qualche elemosina et
in un pasto. Vi sono alcuni debitori che s’ha ordinato far pagar. Non son
usurpatori che si sappia. In reliquis recte. Si rende i conti al Vescovo.
Schola di S. Maria di Nogaredo. Ha statuti, ma non son in man dei
scholari et perciò non si son potuti vedere. Ha entrate di circa 400 lire, che si
spendono in usi della chiesa, in far lavorar gli olivi et vigne, in elemosine et in
un pasto. Ha alcuni debitori dei gastaldi vecchi et s'ha ordinato che si riscuo-
tino. Non ha usurpatori che si sappia. In reliquis recte. Danno i conti al vescovo
oa suo commissario. Il gastaldo novo ha in man una bona summa di lire.
Fabbrica. Ha entrata circa 700 lire, computando un’anno con l’altro. Et
hanno in man de contadi una grossa summa di denari. Si cava questa entrata
da elemosine delli torchi dell’oglio, che caverà all’anno lire 1600 d’oglio. Et
ha anco un puoco di olivari propri che ponno far un’orna e mezza in circa
d’oglio. E amministrata quest’entrata da un cittadino laico de la città chiama-
to sacrestano fatto per il Consiglio generale della città con l’obbligo di dar
sicurtà, come la da, della sua administratione. Et rende i conti alla presentia
dal clar.mo signor podestà, del rev. Vicario Episcopale et signori giudici della
città. Si sono veduti i conti di alquanti anni; sono buoni et saldati. Né sono
debitori che si sappia. Si spende il tutto in oglio, cere, paramenti, et fabbrica
della chiesa, avendo il Sacrestano la cura di queste entrate di tenir fornita la
chiesa di tutte cose suddette.
Hospitale. Non ha entrata, eccetto quattro 0 cinque ducati, oltre la metà delle
condananze criminali che fa il podestà ivi che gli ha donato la Comunità per certa
sua ragione ma questa va a discrezione del podestà di dar quello che esso vole;
ed è una minima cosa all’anno. È governato da uno che mette la Comunità, ma
finora con mal’ordine. S'’ha comesso et dato ordine buono per il suo governo et
in specie che si muti ogni anno il governatore. La casa e poca et in mal esser; anco
lì letti non avendo lenzuoli nei letti ne matarazzi. S'ha ordinato che siano fatti
almeno dui matarazzi con i capezzali di lana al presente et due coperte et due para
di lenzuoli. È stato promesso di essequiare prestamente.
Datum, Aemonia, die 26 ianuarii 1580.
Exhibitia fuit copia authentica R.mo d. Coadiutori ut exequatur!* .
1? L. PARENTIN, op. cit., p. 241-243.
D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 259-277 267
Rendite delle confraternite di Cittanova nel 1580
Scuola del Scuola di Scuola di Scuola di
Santissimo S. Lucia San Pietro S. Maria
Sacramento di Nogaredo
Lire 600 Lire 900 Lire 710 Lire 400
Contanti lire 1200 | Debito lire 1600 | > —
Dalla fonte storica presa in esame emerge uno spaccato nitido della
situazione delle ”’scole laiche” da noi prese in esame. La situazione economica
nonera sicuramente molto stabile a causa della natura stessa di queste entrate.
Gran parte degli introiti era ricavata da livelli e da affitti di terreni agricoli (a
parte i lasciti testamentari o altre fonti d’entrata), indipendentemente dalla
qualità dei terreni stessi tutti dipendevano dalle varie annate, buone o cattive
che fossero. Buona parte di queste entrate serviva per amministrare le confra-
ternite, ovvero per la loro attività (messe cantate, elemosine, ...). Se confron-
tiamo le rendite del Settecento con quelle della visita del Valier del 1580
possiamo concludere che la situazione economica verso la fine dell’età moder-
na era peggiorata a dismisura, nonostante il diverso contesto ed i mutati
parametri economici. Gli introiti delle confraternite non potevano essere diver-
si per il semplice motivo che la situazione economica della città e dell’ Istria
veneta era “miserabile”. L’esempio più limpido è l’ospedale della città che si
trovava in condizioni catastrofiche. Forse in questo contesto poteva avere la
meglio il carattere pio e caritatevole di questi sodalizi religiosi. Sappiamo che
la società d’antico regime offriva poche “garanzie” all’individuo-suddito, il
quale cercava la conferma della propria appartenenza alla comunità in associa-
zioni come le confraternite.
Dal resoconto del convisitatore Tinto si vede che quasi tutte le confrater-
13 Dal Catastico Generale dei Boschi della Provincia dell'Istria (1775-76) di Vincenzo Morosini, a
cura di VJ BRATULIC, Trieste-Rovigno, 1980 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno,
n.4), p. 166, emerge la proprietà di alcuni terreni boschivi da parte di confraternite:
“due boschette detti le Com.le della Schola del Santis.mo . Disti un miglio Girano pertiche cinque-
cento e venti-ca.
-due boschetti della Scuola B.V. del Rosario. Dist.i un miglio. Gira pertiche quattrocento e cinquanta
ca. ore del Co. Aurelio Rigo...boscho detta la Fachinia della Scuola,..”.
268 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Affi, vol XXXI, 2001, p. 259-277
nite erano munite di statuti!* scritti, perciò possiamo escludere l’elemento
consuetudinario nell’attività dei sodalizi cittanovesi. A Buie, invece, dei 20
sodalizi soltanto due erano regolati da statuti scritti, per le restanti confraternite
si suppone l’uso di leggi ed usi consuetudinari'. Molto probabilmente le
confraternite cittanovesi erano molto più in “regola” con la propria attività di
quelle della “periferia” della diocesi emoniense vista la presenza in loco del
vescovo e delle altre autorità ecclesiastiche e laiche!9.
Dagli scritti del corografo e vescovo di Cittanova Giacomo Filippo Toma-
sini!” della metà del XVII secolo possiamo scorgere una situazione analoga a
quella del secolo precedente. In un’Istria veneta depauperata e in grave crisi
demografica, (specialmente dopo la lunga e pesante depressione cinque-sei-
centesca, 1550-1630, e durante la Guerra degli Uscocchi, 1615-18), toccata da
grandi cambiamenti strutturali come la colonizzazione, l’esile corpo della
provincia veneziana non poteva trovare, se non con difficoltà nuove dinamiche
di rinnovamento. Una delle ragioni della scarsa valenza economica dell’Istria
di questo periodo era anche la politica sbagliata da parte della Dominante nei
suoi confronti, specialmente l'eccessivo fiscalismo ed il monopolio veneziano
sui commerci e sulle esportazioni. Perciò il tessuto sociale istriano seicentesco
era facilmente soggetto a gravi squilibri e scontri in tutti i campi della società.
In uno scenario di questo tipo erano frequenti contrasti tra Chiesa e fedeli, in
materia di pagamento delle decime e degli affitti, e nell’amministrazione delle
confraternite. Nonostante fossero informate della situazione le autorità vene-
ziane non volevano intromissioni da parte di ecclesiastici in questioni al di
fuori della loro ingerenza. Questo contrasto vedeva in campo da una parte le
autorità ecclesiastiche e dall’altra la popolazione forte del tacito consenso delle
autorità venete. Tale situazione portò il Tomasini alla conclusione che gli
Istriani erano scarsamente religiosi. Il Concilio di Trento aveva proclamato la
superiorità nelle competenze della Chiesa sulle confraternite. La Serenissima
14M. GADDI, “Religione e comunità, Buie XVIII secolo”, Acta Bullearum (=AB), Buie, vol 1 (1999),
p. 174. %...la Repubblica, infatti, non parve mai preoccuparsi particolarmente degli ordinamenti statutari dei
centri minori, lasciandoli di norma quasi inalterati, opponendosi semmai soltanto alla ratifica di eventuali
richieste che andassero a intaccare le prerogative delle città vicine.”
!5 R. CIGUI, “Le confraternite di Buie e del suo territorio”, AB, vol. | (1999), p. 164.
16 Nonostante la latitanza di molti vescovi i quali preferivano la sede di Buie o Verteneglio a causa
dell’aria insalubre di Cittanova. Dei due prelati del 1580 nessuno risiedeva stabilmente a Cittanova.
!? G. TREBBI, “La Chiesa e le campagne dell’Istria negli scritti di G.FE Tomasini (1595-1655),
vescovo di Cittanova e corografo”, Quaderni giuliani di storia, Trieste, vol. 1980, n. 1, p. 9-49.
D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, voL XXXI, 2001, p. 259-277 269
cercò di mettere un pò di ordine istituendo dei magistrati appositi per il riordino
delle “scole laiche”. Per l’Istria veneta questa competenza spettava al podestà
e capitano di Capodistria, il quale emanò specifici regolamenti. I risultati
furono parziali giacché i gastaldi continuavano a seguire le proprie “consuetu-
dini”!*. Dal testo del Tomasini emerge una situazione incandescente tra i laici
delle scole e le autorità religiose a livello di tutta l’Istria. I veneziani da buoni
e zelanti governatori cercarono di controllare, quanto possibile, queste tenden-
ze.
“Ogni villa, anzi ogni altare ha una confraternita, i frutti della quale
mangiano, e bevono, congregandosi molte volte insieme in alcuni giorni...e
non se li può provvedere dai vescovi , perché il Principe ha tolto in protezione
le dette scuole, e sono governate dai rettori. E vedendo come stanno malmena-
te l’entrate di tante scuole, che sono nella nostra diocesi , ammoniamo con
paterno affetto tutti a rivedersi di questo errore, che quella è robba di Gesù
Christo, ricordando a cadauno la restituzione dei beni usurpati; né possono
dalla escomunicazione essere assolti”!*. Da questo breve excursus possiamo
concludere che la situazione era analoga a quella riscontrata dal vescovo di
Verona Agostino Valier nel 1580, ovvero la situazione reale delle confraternite
era alquanto diversa da come la volevano le autorità ecclesiastiche”.
La vita religiosa della diocesi di Cittanova era scandita dal ritmo delle
principali festività del calendario come avveniva, molto probabilmente, da
epoche antichissime?!. Poiché la popolazione era dedita prevalentemente
all’agricoltura il principale pensiero era rivolto al raccolto delle varie colture.
Secondo il Tomasini in Istria si usava avvolgere le croci con spighe di grano,
rami d’ulivo e foglie di vite, portando il tutto in una processione rituale”, Si
trattava delle Rogazioni che secondo tradizioni remote dovevano propiziare un
buon raccolto e perciò dovevano portare benessere alla comunità. In questo
particolare momento psicologico della comunità il Tomasini aveva visto un
segno della devozione religiosa delle popolazioni istriane. Un altro tipo di
18 /BIDEM, p. 24
!9 IBIDEM, p. 25
20 Nel suo “Sinodo diocesana di Citta Nova” del 1644 il Tomasini raccomanda ai confessori di
ricordare ai penitenti le scomuniche contro gli usurpatori dei beni ecclesiastici, ‘essendo che in questa
provincia è questo il principal peccato de’ popoli”, /B/DEM, p. 25.
2! IBIDEM, p. 26
22 IBIDEM, p. 27
20 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, voL XXX], 2001, p. 259-277
reazione aveva creato l’usanza dei fedeli della diocesi di Cittanova di portare
il Santissimo Sacramento sulle porte della chiesa tenendolo lì per alcune ore,
come rito propiziatorio contro eventuali temporali. Il rimedio del vescovo
Tomasini era il seguente; “io /’ho levato nella mia diocesi, contentandomi che
con molte candele lo espongano sopra l’altare, convenendo li popoli a fare
orazioni”. Molto probabilmente potevano essere collegati a questo rituale i
membri dell’omonima confraternita presente in città anche durante il Cinque-
cento. La Chiesa, nell’impossibilità di altre soluzioni, veniva in contro alle
usanze popolari cercando di inquadrarle entro la liturgia e il dogma ufficiale.
Questo tipo di struttura mentale collettiva era tipica di tutta l’area mediterranea
(ad esempio dell’Italia meridionale), dove la visione del mondo da parte del
popolo era intrisa di un misto di religione e superstizione, sempre al limite con
il paganesimo. ‘Nasce così l’esigenza delle grandi rappresentazioni che mo-
bilitano il gruppo nella sua totalità, e gli consentono di provare, nel senso più
completo del termine, la sua coesione: esprimerla, verificarla, coglierne tutta
la potenza, attingerne rinnovata fiducia. Tali rappresentazioni segnano i
momenti culminanti della vita sociale...ove del resto tutte le classi sono
riunite, ma non mescolate”?
Venezia era sicuramente il luogo più rappresentativo di questa mentalità
collettiva che vedeva nei luoghi pubblici lo scenario ideale di tutti gli avveni-
menti importanti della comunità. Questo tipo di struttura mentale e di supersti-
zione collettiva, mista ad elementi religiosi, può essere riscontrata anche in
altre manifestazioni come adesempiola credenza nell’esistenza dei benandanti
istriani, i “cresnichi”’4. Il Tomasini era stato testimone assieme ad altri contem-
poranei di queste radicate credenze del mondo rurale dell'Istria d’Anciene
régime. Secondo G. Trebbi questi fenomeni possono essere inquadrati in una
complessiva maniera di sentire il soprannaturale, profondamente radicata nella
società contadina istriana. In questo gruppo vanno annoverate credenze come
le processioni delle Rogazioni, gli esorcismi per tenere lontane le tempeste, le
credenze nelle fade, nella stregoneria o nei benandanti o “cresnichi”. Molto
23 FE. BRAUDEL, Il Mediterraneo, lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, 1999, p. 142-43.
24 | benandanti o “cresnichi” erano uomini contraddistinti per essere nati con la “camicia”, cioè involti
della membrana amniotica, non si consideravano stregoni ma giudicavano il proprio operato come benefico.
Secondo Carlo Ginzburg questo fenomeno era esteso nelle società contadine dall’area germanica fino alla
Dalmazia. 1 benandanti credevano di uscire “in spirito” di notte per combattere, armati di mazze di finocchio,
contro streghe e stregoni, armati di canne di sorgo, lo scopo del combattimento era la riuscita del raccolto,
che era garantito in caso di vittoria dei benandanti. G. TREBBI, op. cit., p. 40-41.
D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Am, vol XXXI, 2001, p. 259-277 201
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Fig.2- Facsimile della “Nota delli Beni stabili, e Livelli di raggione delle Scole del SS.mo Sacramento,
B.V. di Nogaredo, S. Pietro, S. Antonio Abbate, San Carlo e S. Lucia” di Cittanova.
272 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, vol. XXX), 2001, p. 259-277
probabilmente, in base alla loro attività e alle loro caratteristiche, possiamo
supporre che anche le confraternite siano state collegate in un certo qual modo
a queste manifestazioni dell'immaginario collettivo??.
Le confraternite di Cittanova nel lasso di tempo che va dal XVI al XIX
secolo dovettero affrontare non poche difficoltà. Una situazione simile alle
altre realtà istriane, però con caratteristiche peculiari date dal ruolo e dalle
condizioni specifiche nelle quali la città aveva affrontato e vissuto l’età moder-
na e il declino della Repubblica di Venezia. La difficile situazione della
popolazione del territorio di Cittanova, nonostante i vari tentativi di ripopola-
mento, causò la decadenza e lo spegnimento di alcune confraternite, le quali
furono abbinate ad altri sodalizi. Nel caso delle confraternite di Sant’ Antonio
Abbate e Santa Lucia, i due sodalizi furono uniti assieme a quello di San Carlo
nel 1693. Le due cappelle erano in pessime condizioni e le borgate nelle
vicinanze erano in totale rovina. Il patrimonio della “scola” di Sant’ Antonio
nel 1693 all’atto della fusione era il seguente: terra incolta e 83 olivi introitanti
nette L. 10 annue, una soccida di 40 animali minuti, fruttante in lana e formag-
gi, L. 30, una soccida di animali grossi, da un reddito annuo medio di L. 50,
mentre al passivo si elencavano 13 messe annue, le spese della lampada accesa
nelle vigilie e feste, della cera, della manutenzione e della tassa pro seminario
collegio?’. La chiesa dedicata al santo eremita egiziano risale, probabilmente,
al XIII secolo. Grazie al cittadino Bartolomeo Busin, appaltatore delle peschie-
re vescovili del Quieto, la chiesa era stata ristrutturata e adornata di una
pregevole pala nel 1631. Attorno alle pareti i sedili di legno erano riservati ai
confratelli del sodalizio che qui si radunava, almeno fino alla sua fusione nel
1693. La cappella di Sant’ Antonio era luogo di devozione dei marittimi che
continuavano la consuetudine del “battesimo” delle loro barche con una ghir-
landa che era poi riposta in chiesa, dove si celebrava anche una messa mensile.
La chiesa di Santa Lucia?”, invece, è menzionata nel 1420 nell'inventario
eseguito dal podestà Jacopo Premarin, dove viene riportato che alcuni appez-
zamenti di terra servivano come rendita “prope ecclesiam S. Luciae”.Secondo
il Parentin la confraterna era abbastanza fornita di beni possedendo due campi
d’olivi e due case in città cedute a livello complessivo di L.12, più una soccida
di cinque animali grossi e produceva molto spesso olio in abbondanza. In un
25 IBIDEM, p.41-49.
26 L. PARENTIN, Cittanova d'Istria, Trieste, 1974, p. 280-283.
27 IBIDEM, p. 283-285.
D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Ati, voL XXXI, 2001, p. 259-277 273
documento del 1773 quella di Santa Lucia risulta la confraternita più abbiente
all’interno del nuovo sodalizio, siccome era l’unica delle tre a possedere beni
immobili di qualche consistenza”.
Per quanto riguarda la chiesa della confraternita della Madonna del Noga-
redo”?, era luogo di devozione mariana prima della costruzione della chiesa
della Madonna del Popolo nel 1492, subito fuori le mura della città. I canonici
ne assistevano la confraternita e ne adempivano gli obblighi in chiesa e in parte
nell'omonimo altare nella cattedrale. Il culto mariano, in questo caso, fu
associato al culto dei morti in special modo durante la peste del 1630-31,
quando il territorio di Cittanova fu duramente colpito da questo flagello e la
chiesetta diventò un lazzaretto. Nel 1727 il Consiglio cittadino concesse la
chiesa all’amministrazione del vicino Comune di Verteneglio.
Per la chiesa di San Pietro si hanno scarse e frammentarie notizie. Sappia-
mo ad esempio che la chiesa fu menzionata già nel 1414, quae vadit ad
Sanctum Petrum, mentre nel 1515 su preghiera del gastaldo Lorenzo Scorzon
fu riconciliata al culto da parte del vescovo Foscarini. Il gastaldo Scorzon vi
aveva soggiornato per un periodo di quarantena durante un’epidemia di peste?®.
Dall’esegesi delle fonti da noi prese in esame la storia delle confraternite
cittanovesi nel lasso di tempo che va dal XVI al XVIII secolo può essere
definita come il periodo del lungo inesorabile declino e della decadenza di
queste associazioni, le quali avevano perso la propria ragione d’esistere. A
monte di questo processo c’erano molteplici cause, tra le quali sicuramente la
scarsa valenza economica e il mutato contesto sociale nel quale venne a
trovarsi l’Istria a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Grazie alle fonti
riguardanti le “scuole laiche” possiamo far emergere alcuni aspetti della vita
religiosa ed economica dei cosiddetti gruppi subalterni della società d’Anciene
Régime, i quali dal canto loro non sono delle realtà immobili come molto
spesso è apparso in passato. Dunque le vicende riguardanti l’attività delle
confraternite di Cittanova ci propongono di delineare, anche se in maniera
sommaria, i principali cambiamenti della realtà del microcosmo di Cittanova e
in generale dell’Istria durante l’età moderna fino al suo tramonto segnato dalla
Rivoluzione francese e dalla fine della Repubblica di Venezia.
28 ASP, “Fondo del Comune di Cittanova”, lib. n.295.
29 L. PARENTIN, Cittanova d' Istria, cit., p. 292-295.
30 [, UGUSSI, “I toponimi del comune catastale di Cittanova”, Atri del Centro di ricerche storiche,
Trieste-Rovigno, vol. XIX (1988-89), p. 231.
274 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Atti, voL XXXI, 2001, p. 259-277
APPENDICE:
Adi 4: Agosto 1773.
Illmo, et ece.mo ...vista e letta la parte presa dalli confratelli delle Scuole
sud.e perla nuova palla da farsi con le tre immagini di S. Antonio Abbate, S. Lucia
e S. Carlo nella Chiesa Cattedrale di Citta Nova, nei modi e forme, che sono del
Maggior Culto divino, e le altre spese...comprese in... parte cosi sià approvando
la parte scelta in tutte le sue parti, ha decretato, che nella nova palla da farsi come
sopra, debba il...rappresentare l'immagine delli due Santi S. Ant.o Abb.e e S.
Carlo, e così pure in mezzo di essi quella di S. Lucia, e non altrimenti dovendo
esser supplita la spesa con li cinanzi delle vendite della scuola di Santa Lucia,
giacché le altre due Scuole sono miserabili, non dovendo il presente riportare la
sua esem., se non nel modo, e forma inespressa, sià ... mantenuto.
Daniel Balbi Canc. Pret.0°'
Vene.mo il sopras.to pron. Nicolo Verginella Gastaldo lire cinquecento
novanta tre soldi diecinove annue dal Sig.re Dom.co Rosello di lui predeces-
sore in suo saldo come si vede in libro Vecchio?°
£ 593=19
Oglio orna quattro venduto £ 75 all’orna £ 300=-
soldi dodici annui da Carlo Manzoni £-=12
lire quattro soldi dodici e un mezzo annue ricavate
d’elemosine nel...di S. Lucia. £4=12
soldi dodici annui: da Valentin Nardin annue annotato... £-=12
lire venticinque pagasi il Can.co Giachich ...annualmente
in affitto della Casa £ 25=-
lire venti soldi diecinove e un mezzo paga d’annuo livello
il 16 febraro Tom.so Bencich £ 20:19I
lire ventiquattro paga d’annuo livello...Ant.o Manzoni
£ 24:
soldi cinque e un mezzo ricavati d’elemosina nel...
di S. An.to Abbate £ -=S1
£ 970=-I
31 ASP, “Fondo del Comune di Cittanova, Acta Cancellarie Aemoniae”, lib. n. 295.
3° IBIDEM, lib. n. 293.
D. BRHAN, Le wnfraternite di Cittanova, Atti, voL XXX], 2001, p. 259-277 275
Copia Adi 18 Decembre 1783
Illmi, et Ecc.mi Sig.ri Cons.ri et Esec.i delle Leggi
Letta a sue eccel.e la Parte presa il di pmo Decembre dalla V.ta scuola di S. ta
Lucia in Cittanova, con cui fu stabilito di dare a livello la casa di d.ta Scuola
tanto bisognosa di ristauro, che è quasi cadente, ed essendo fatta istanza che
dall'autorità di questo Ecc. Mag.to sia data l'occorrente permissione; perché dal
Pub.o Nodaro venga stipulato il relativo istrumento.
Sua E. E. Illme appreso il presente bisogno, e le ristretezze della predetta
Scuola di Sta Lucia, che non può in altro modo provedere di neccessari ristauri
di detta Casa, stanno con la Terminazione prnte permesso a chiunque Pub.o
Notaro di stipulare un istrumento di Livello enfiteustico, rinnovabile per ogni
periodo di anni 29. onde resti in tal modo preservato alla Scuola il Dominio
diretto della Casa, e riparata la Casa con l'occorente ristauro;
Venier Zen Con. Ese.
Zuanne Molin Con. Ese.
Trata dall'autentico esistente in filza atti nel Mag.o Ecc. De Cons.i, et esec.i
delle Leggi**.
Quadro
Individuante le Confraternite, Loro Beni, Ospizio, Rendite annue di detti beni,
nattura, ed attuale impiego dell'Ospizio, il tutto di questo Capo Comune di
Cittanova Avocato al Demanio sotto il cessato Dominio Francese?*
A. Le confraternite, che esistevano, erano
La Beata Vergine del Rosario
Santa Lucia
San Pietro
San Antonio Abbate e
L'Ospizio dei Padri
B. La prima di queste Confraternite, non possedeva alcun ben stabile, ma
solamente un livello di Ducati 12: annui il di cui capitale fu anche affrancato
al cessato Demanio Francese.
Le altre tre confraternite erano abinate e queste Possedevano 3: tre Campi in
tutti di giornate otto: 8 circa d'arrar. Con olivi fruttiferi, Un orto, non che un
fondo Bavetizio.
33 IBIDEM, lib. n. 295.
34 Archivio di Stato di Trieste, “R. Governo del Litorale (1814-1850), Atti generali, Fondi di
Confraternite”, b. 696.
276 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, vol XXXI, 2001, p. 259-277
Il primo di detti Campi, e nella Contrada detta delle Terre Nove, il secondo in
Pianura, il terzo in loco detto Cellega; L'orto vicino la Capella di San Antonio;
ed il fondo Baretivo in loco detto Carbonera.
Del Sopresso Ospizio li seguenti Beni.
Due orti contigui al Fabbricato dell'Ospizio stesso esistenti fuori le Porte di
questa Città.
Un Campo per fianco della Chiesa dell'Ospizio medesimo, con Olivi di gior-
nate una circa d'anno
Un Campo alla Rivarella, con pochi olivi fruttifferi di giornate due circa
Un campo di Piantade con pochi olivi di giornate 5: cinque circa d'arrar al laco
Un campo con pochi olivi di giornate una circa d'arrar a San Vidal
Altro detto con pochi olivi di giornate una sopra il Vergal
Un altro detto di giornate mezza; con pochi olivi nella contrada Vergal
Altro detto di giornate 4: quatro piantato di viti et olivi non fruttifferi nella
Contrada detta Sterpedin
Altro Campo piantade di vitti di giornate d'arrar due posto nella Contrada Val
di Marzo
Due file di Piantade, con la loro terra d'arrar, consistente in una giornata nella
Contrada Saini.
Un fondo Boschivo e Baredoso di giornate quatro circa in loco detto sopra la
Valle dell'Inferno, e tutti detti beni posti ed esistenti nel terit. Di questo Capo
Comune.
C. La Rendita di questi beni in complesso non compreso il fabbricato dell'Ospi-
zio, che fu sempre innafitato a franchi 552: all'anno, che equivagliono a Fiorini
213 : essendo stati affitati all'Asta Pubblica a Lorenzo Bozzatin, fino all'anno
1821 :1l:----
D. Il locale dell'Ospizio è costruito di muro e malta, Copperto di coppi, in un
piano ha sei Camare non molto spaziose, in luogo ad uso di granaio, ed un altro
luogo inserviente ai bassi usi.
In pian terreno una Cucina, un fuoco inserviente ad uso di tinello, ed una
Camera inserviente ad uso di Botti e Vino. Ha pure contiguo a detta Cucina una
Cisterna, ma questa è sconcertata. Questo fabbricato è disabitato, ne a servito
fin ad ora ad alcun uso, essendo in massimo sconcerto risanando il Coperto,
che in parte anche crolo, è cadente quando non si ancora ad un pronto ristauro.
Cittanova 6: Agosto 1816:scr.o. firma illeggibile
Rendite delle Confraternite di Cittanova (in lire)-1580-1750.
D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, voL XXXI, 2001, p. 259-277 277
SAZETAK: NOVIGRADSKE BRATOVSTINE - Povijest novigradskih
bratov$tina tilekom novog vijeka moze se definirati kao dugoroòèni
proces njihovog opadanja do njihovog konaénog ukinuéa za vrijeme
francuske uprave Istre potetkom 19. st. Razlozi tih dinamika bili
su raznoliki, od financijske slabosti do kroniénog pomanjkanja
ljudskih resursa na novigradskom podruéju. Uloga bratovstina imala
je i ekonomsku prirodu, odnosno te laiéke asocijacije vrsile su ulogu
vaZne spone u opticaju financijskih sredstava na tlu Mletaèke Istre.
Naravno u granicama vlastitin moguénosti uz napomenu na
karitativni i religiozni karakter tih udruga.
Zahvaljujuéi tim pretpostavkama bratovitine su uspjele zaobici,
na svojevrstan naéin, i crkvenu i svjetovnu vlast.
Novigradske bratovStine bile su refleks drustvene, ekonomske i
socijalne situacijJe u gradu. Neki, dosada neobjavljeni povijesni izvori,
omogudavaju nam praéenje dinamika takozvanih subalternih socijalnih
grupa istarskog novovjekovlja unutar novigradskog mikrokozmosa.
POVZETEK: BRATOVSCINE NOVIGRADA - V zgodovini novigra-
Jskih bratov$èin, lahko oznatimo leta med 16. in 18. stoletfem kot
dobo njihovega neizprosnega propada, kateremu so pripomogli
razliéni razlogi. Istrske posvetne sole so bile ena najpomembnejsih
stvarnosti v gospodarskem sistemu beneske pokrajine. Vloga takih
dobrodelnih ustanov je bila sicer gospodarskega znadaja, kajti
premozenje in gotovina v njihovih rokah so igrali pomembno vlogo
v kreditnem sistemu. Kljub temu pa ne moremo mimo verskega
znaéaja teh ustanov, po zaslugi katerega so si uspele utrgati svoj
prostor med posvetno in Casovno oblastjo. Novigrajska stvarnost je
bila v tem Casu v stalnih tezavah, poskuSala je namreè vzpostaviti
ravnotezija, ki so veljala pred 15. stoletfjem, in zato so bile njene
bratovséine tudi ozdiv mestne skupnosti. Nekateri Se ne objavijeni
viri o zgodovinskih dogodivsèinah teh ustanov prikazujejo nekaj
izredno zanimivih aspektov o verskem in gospodarskem Zivljenju teh
tako imenovanih stranskih skupin druzbe starega rezima Novigrada
in njene Skofije.
DI UNA RACCOLTA DI SOPRANNOMI CAPODISTRIANI
LAURO DE CARLI CDU 81'373.2(497.4Capodistria)
Sistiana (TS) Sintesi
Novembre 2001
Riassunto — Da una raccolta di soprannomi capodistriani, iniziata nel lontano 1970 e trascritta
grazie al computer nel 1995, comprensiva di oltre tremila schede di soprannomi con i loro
aneddoti, spiegazioni, individuazioni ecc., è stata sviscerata una serie di esempi relativi a quelli
connessi con l' “andatura” dei titolari. Il loro interesse trascende il mero campo folcloristico
caricaturale per assumere interessanti connotati linguistici. Sono disposti in ordine alfabetico nella
medesima stesura per loro approntata per il dizionario in corso di preparazione per la stampa.
Nell’ormai lontana primavera del ’70 iniziai quasi per gioco una raccolta
di soprannomi capodistriani che nel volgere di un paio d’anni superarono il
numero di 2300. Disponendomi a pubblicarli principiai con lo scrivere qualche
pagina di premessa. Venendo a parlare del dialetto dovetti constatare che di
esso è stato detto molto poco e il più delle volte male. Così le mie ricerche nel
settore portarono alla pubblicazione di un libro a sé (Origine del dialetto veneto
istriano con particolare riguardo alla posizione di Capodistria") che ottenne
un lusinghiero giudizio positivo da parte del prof. G. B. Pellegrini, dell’ Uni-
versità di Padova. Successivamente, dietro espresso invito del prof. Manlio
Cortelazzo, pure dell’ Ateneo patavino, scrissi // veneto istriano’, seguito da
uno studio svolto in collaborazione con Giuseppe Brancale dal titolo /stria —
Dialetti e preistoria. In quest’ultimo lavoro si analizzano alla luce delle
recenti ricerche i possibili parallelismi esistenti nella regione nordorientale
d’Italia, tra la situazione del popolamento protostorico e le posteriori attesta-
zioni dialettali neoromanze.
Nel contempo la raccolta dei soprannomi continuò ad arricchirsi. Nel 1990
! Trieste, 1976.
? Pubblicato nella collana Guida ai dialetti veneti, vol. VII, Padova, 1985, p.91-125.
3 Portato a termine nel 1986 ma che vide la stampa appena nel 1997.
280 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305
grazie all’acquisto di un compiuter iniziai la trascrizione delle schede, che si
concluse nel febbraio 1995 data in cui passai all’impaginazione definitiva,
arricchita con l’inserimento dei cognomi, nomi, odonimi (dall’epoca venezia-
na, francese, austriaca, italiana per giungere a quella attuale slovena, corredata
da centinaia di illustrazioni versate nella grafica computerizzata ivi comprese
le mappe delle calli con i nomi e soprannomi degli abitanti, ovviamente
rispecchiante la situazione precedente all’esodo).
Ne consegue che, ormai in dirittura finale, si profila un ponderoso volume
di oltre 780 pagine dal titolo Caterina del Buso — Capodistria attraverso i
soprannomi, che dopo 80 pagine di premessa in cui si presenta l’ambiente ed
il dialetto capodistriano, contiene un dizionario con ben 5635 lemmi così
suddivisi: 3492 soprannomi; 1035 cognomi; 449 toponimi; 365 rimandi; 173
nomi; 129 pseudonimi.
L’abbondanza del materiale ha consentito l’elaborazione di interessanti
statistiche mai prima tentate e che per quanto riguarda il tppo enumera ben 2435
soprannomi di persona, 597 di famiglia, seguiti in ordine decrescente da
‘generici’, ‘popoli’, ‘società’, ‘categorie’, ‘mestiere’. La ripartizione dei so-
prannomi secondo la causa ne vede 661 dovuti all’onomastica (patronimici,
matronimici, da cognome, soprannome, nome, accrescitivi o diminutivi, ono-
matopeici o assonanze, abbreviazioni); 1533 alla persona (carica, mestiere,
azione fatta, parola detta, difetto di pronuncia, voce infantile, abbigliamento,
figura, difetto fisico, qualità morali), infine 809 attribuibili al mondo esterno
(personaggio, animale, vegetale, oggetto, cibo, toponimo).
Qui vengono presentate a mo’ d’esempio alcune voci di detto dizionario
estrapolate in quanto tutte connesse con il modo di incedere del personaggio.
Essi sono disposti in ordine alfabetico come appunto in Caterina del buso. Al
soprannome fa seguito una siglatura in tre lettere necessaria ai fini statistici che
negli esempi sottoriportati ovviamente variano di poco, quasi tutti essendo
segnati (PFD) ove la prima lettera è riferita al TIPO: P[ersona]; la seconda alla
CAUSA: Fligura]; la terza all’ETIMO: Dlialetto]. Viene poi l’identificazione
dell’individuo, la descrizione della causa che ha generato il soprannome,
l’etimologia dello stesso (a volte molto interessante linguisticamente), le vi-
cende storiche che lo hanno prodotto, riportando per esteso le fonti scritte
nonché gli aneddoti raccolti dalla voce di testimoni viventi, ognuno con la
peculiarità di espressioni che varia secondo l’età, il rione, la categoria. Vengo-
no poi i rimandi ed i confronti con altri lemmi del dizionario. Terminata
l’esposizione dei dati raccolti per Capodistria, seguono, ove riscontrati, i
L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistrani, At, voll XXXI, 2001, p. 279-305 281
raffronti con le altre città della sponda orientale dell’adriatico, da Grado a
Spalato, spulciati dalle raccolte locali, collezionate credo nella loro quasi
assoluta completezza.
Alla fine sono riportati i riferimenti bibliografici, ovviamente limitati alla
presente bisogna.
Caminando coi soranomi caveresani
Balansa (PFD), SEMI 1983, p. 235: Balansa era il nomignolo d'un
capitano marittimo che camminava bilanciandosi a destra e a manca (sul
"Tergeste" nel 1927); menzionato pure in SEMI 1981, p. 52. V. Capitano
Balansa.
Bati (Valentin Bati) (PFD), s.n. pers. de un Verzier, marangon, per via
del caminar: a bateva i tachi per tera (inf. PIVA).
Bèla-Riviera (la) (PFD), la maestra Percolt, grassa alta e di ossatura molto
larga, con il suo incedere lento e solenne richiamava la figura dell'omonimo
piroscafo a ruote (vapor a tàmbure, quindi largo di fianchi come lei) che faceva
la concorrenza sulla rotta per Trieste alla “Navigazione Capodistriana”. Pure
in AC92b, p. 4.
Budèl-sensa-fondo (PFD), s.n. pers. di Pietro Gallo, due metri, secco ma
robusto, e/ andava a l'orsa ('zoppicava' dal marin. orzare), mai sazio, mangiava
per scommessa una casseta de pàssere frite, tre chili de bacalà, vinti tochi de
pan e una granda terina de salata. Secondo altri 7 kg. di seppie. Capodistria
era famosa per le sue processioni, per lo splendore dei suoi attrezzi tra i quali
il maggiore di ogni scuola era detto el fanò: Piero Galo per scomesa a ga
magnà un fanò pien de gnochi! settesento ghe n'à volù p'inpignirlo! Altra volta:
Mi ve porto el fanò se me lo inpignì de sardele e dopo me le frisé. Ancora: Là
dela Cògola co veva ostarìa Piero De-Laura, ora de marenda, una conpagnia
ghe ofriva e lù a ga magnà 30 tripe, e drio, 60 paste creme de quele grande e
dopo col deo a netava la guantiera. Francesco BABUDRI, che abitava a
Capodistria, di certo a lui pensava quando nel volume All'insegna del buon
gusto* scriveva: "Abbiamo in Istria mangiatori temibilissimi che a merenda
4 Edito a Trieste nel 1931.
282 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistrani, Atti, voll XXXI, 2001, p. 279-305
fan piazza pulita di cento sardelle arroste per ognuno, come fossero un gingillo,
e le accompagnano con una montagnola verde di insalata e con un bel botti-
glione di vin duro [...] E non è raro il caso di gente che, pesatasi prima di mensa
e pesatasi dopo, diede una differenza in più di 12 e 15 e 18 chilogrammi,
costituiti d'altrettanto ben di Dio ingollato e beatamente insaccato nel riposti-
glio della ventraia". Causa ed etimologia perfettamente inutili dopo tali descri-
zioni. La sua morte sfociò nella leggenda come un tal campione certamente
meritava. Si tramanda infatti che preparandosi un pranzo di nozze per oltre
quaranta invitati, la cuoca presa dal gran daffare, lasciò bruciare il risotto: -A
ga ciapà de fumo, no se pol a darghelo ala gente, butemolo via! -Butarlo via?
xe proprio pecà! andè a ciamar Piero Galo. E Piero Galo lo ga magnà duto.
A ga bivù. EI riso s'à sgionfà. E ga stiopà el stòmego. Che sia la verità non ha
importanza veruna, la notizia fa parte dell'alone eroico che accompagnò
Budel-sensa-fondo nella sua breve ma pantagruelica vita mortale. Pur senza
dargli il soprannome lo ricorda anche MANZINI 1977, p. 25: E Piero Galo
magro come pochi / che jera, come 'l solito, famà / una mastela, per Nadal, de
gnochi / e radicio una brenta a ga magnà. A Pirano Budei e Buei, Buel a
Cittanova, Buelo a Grado.
Calca (Matìo Calca) (PAD), s.n. di persona non ben identificata. Un
cortivan de Samarco, per via che a jera senpre in filagna, anca cola piova!
Etimo evidente (la peggior cosa che si possa fare in campagna è di calpestare
il terreno fangoso).
Calca-ovi (PFD), s.n. pers. di Domenico Venturini. Per il suo incedere
malfermo. Prima di appoggiare il piede per terra lo fermava esitando a pochi
centimetri dal suolo (l'altezza di un uovo, appunto). Di lui c'è un'ampia
descrizione in TOMIZZA 1984, p. 27 s., ove però, per una svista comprensibile
per un capodistriano acquisito, l'Autore gli fa fare e/ giro dele carosse, mentre
la dizione esatta è e/ giro dela Colona, da una colonna esistente ancora agli
inizi del secolo (Giracarosse è toponimo oltre Giusterna, sotto Prové, verso
Isola, come ben specificato in DECARLI 1991). Lo accompagnava l'insepara-
bile cagnetta Binda (CONFERENZA CHERINI, p. 14). Calcaòvi è il sopran-
nome con cui l'ultra ottuagenario venne conosciuto dall'ultima generazione,
mentre gli anziani preferiscono ricordarlo come Mastrussa-ovi e dicono che
già quand'era giovane aveva qualcosa nelle gambe che gli valsero l'attribuzione
del termine Ganbe-de-pano. In una lettera scrittami dal maestro Visintini si
L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodismani, Atti, voL XXXI, 2001, p. 279-305 283
legge: "Io direi sapa ovi ma il termine classico è mastrussa vovi". Pure altri lo
chiamarono "Sapa-ovi" (v.).
Fracaòvi a Valle; Fracavovi a Cittanova; Calcabalini a Isola (forse va-
riante di Cagabalini).
Cali (PFD), compare nella lista PERCOLT e nel ROSAMANI. Negli anni
'40 il soprannome era affibbiato al tipografo Simeoni che camminava con i
tacchi evitando di gravare con il peso del corpo sulle piante dei piedi, come se
questi fossero pieni di doloranti calli. Ma la realtà era ben diversa come lo
sapevano i più anziani che avevano per lui coniato il soprannome di Tachéta
(V.).
Camoma (GFD), segnalato quale s.n. personale; ma probabilmente si
tratta dell'epiteto generico dato a persona lenta specie nell'incedere. DORIA lo
fa derivare dal veneziano caloma 'lunga fune".
Capitano-balansa (PFD), secondo SEMI uno che comandava il piroscafo
"Tergeste" nel 1927. Identificazione incerta in quanto il soprannome ben si
addicerebbe a Tommaso Bolis (Caltran) che nel suo incedere bilanciava i
movimenti del proprio corpo con quelli del grosso suo pancione che andava per
conto suo; ma lui ebbe il comando appena nel 1930. Prima il piroscafo era agli
ordini dei capitani Bartulovich (1925) Antonio Czar e Mezgetz.
Conte-de-tòla (PFD), s.n. pers. di Nicolò Bernardis, per la rigidità del suo
portamento. Pareva che'l véssi una tola (asse di legno) inpirada zo pel copin.
A stava duro come un granatier tedesco che fa la guardia al càiser, anca co 'l
andava in gita per le montagne. Era detto pure el Belomo, e Conte de legno.
Persino la moglie, e solo a causa del vincolo coniugale, era chiamata la
Contessa-tola. Cfr. Conte-tola.
A Isola Maria de Legno.
Còri (Maria Cori) (PAD), s.n. pers. dela Magnasorzi, sposada con
Deponte, calegher ai Capussini. Perchè andava di fretta; ma il soprannome era
già bell'e pronto dalla ben più nota Ména Cori (v.).
2. (Ména Cori) (PAD), s.n. pers. di Filomena Deponte per la sua manìa di
procedere sempre a passo velocissimo, quasi di corsa. Era pure chiamata La
284 L DE CARII Di una raccolta di soprannomi capoistriani, Atti, voL XXXI, 2001, p. 279-305
Coriera e Mena Ferata. Solo Cori si ha n PERCOLT, ROSAMANI, GRAVI-
SI 1944 (quest'ultimo scrive Corri).
Coriera (la) (PAD), altro s.n. pers. di Filomena Deponte. V. (Mena) Cori.
PERLA ha: Deponte Nina la Corriera.
Pure a Isola; a Rovigno Ucio de la Curiera Matteo Sabatti.
Cul-de-ànera (PFD), s.n. pers. dato dai coetanei a Italo Marzari per
qualche modo d'incedere poco ortodosso durante i giochi infantili.
Dindolodon (PFD), s.n. pers. della nonna di G. Orbani che in una sua
poesia intitolata "Le tre grazie" scrive: ...in mezo / più longa magra sicura, /
mia nona / dita Dindolodon / per quel inceder / a prua de gondola.
Galinéta-ferida (POD), s.n. pers. de /da Taca (Derin o Deponte?) sposa-
da con Stradi, per via che la sotava un poco. Splendido esempio di fantasia
popolare che accosta l'irregolare andatura della persona all'atteggiamento della
galineta, uccello palustre che nidifica in terra e per distrarre l'attenzione di
eventuali razziatori del nido si allontana fingendo di essere ferita. La voce non
compare sul ROSAMANI, ma galineta dovrebbe corrispondere al 'piviere'
(Squatàrola squatàrola) ovvero ad un 'rallide' (Gallinula chléropus), forse ad
entrambe.
Ganba-dura (PFD), s.n. pers. di tale Lucchina, impiegato. A stava in cale
dei Careri, a caminava c'una ganba dura.
Ganba-lèsta (PFD), s.n. pers. dell'orefice Vittorio Signoretto che era
zoppo. Merita qui evidenziare l'astrusità dei soprannomi che nella loro forma-
zione non ammettono regole. Il difetto fisico aiuta ma non necessariamente
causa il soprannome. Se si è pronti a chiamare zoppo o gobbo chi non lo è (Rosa
Sòta, Gobo-de-lòto), non è detto che tutti i gobbi o gli storpi venissero
catalogati come tali. Importava pure molto l'atteggiamento dell'interessato al
riguardo, come nel caso dell'orefice in questione che era il primo a evidenziare
la sua infermità togliendo così il gusto dello scherno ai benpensanti. In pratica
il soprannome in questo caso è stato coniato proprio dall'interessato medesimo
che usava così presentarsi. Più volte lo intesi dire: "Largo fioi, ocio de séto che
riva Ganba-lèsta! (V. Zampa).
L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistnani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 285
Gànbaro (POD), s.n. pers. di certo Carlo Zanetti vissuto a cavallo del
secolo scorso. Pare che procedesse caminando di fianco. PUSTERLA 1890,
scrive: "La chiesa di S.Pietro si trovava attigua alla casa di Carlo Zanetti detto
Gàmbaro nella contrada Porta Rotta (S. Pietro)". Le liste VATOVA e GRAVI-
SI 1944, portano Gambero evidenziando il fenomeno della antica centralizza-
zione delle vocali atone (DECARLI 1985, 113, qa) che ha dato numerosi
esempi (cagunbaro, parsuto, pantagana ecc.). Va ancora posto in evidenza che
a Capodistria con la voce non si definivano i 'gamberi' che erano chiamati
schile, bensì, anche se impropriamente i granchi. Ricordo a proposito che da
piccolo trovai da obiettare: Ma come, se disi andar indrìo come i gànberi: ma
se i ganberi no i va indrìo, lori i camina per tresso! .
In Grado vecchia Gambarello (oggi Gamberelo); a Pirano Ganberela
Petronio; a Portole Gambariel; a Parenzo Gambarara; a Pola nel 1349 Johan-
nes q. Gamberi. Cfr. (i) Gamberi.
Ganbe-de-pano (PFD), s.n. pers. di Beranech Giusto che fu maestro del
maestro Visentini, quindi fine del secolo scorso. Riportato pure da GRAVISI
e PERCOLT e PICI, seguito da ROSAMANI, scrive Gamba de pano. E'
rimasto nell'uso dialettale (assieme a ganbe- de-sèleno) per definire qualsiasi
persona lamenti acciacchi nelle gambe. Quando si pensi che il povero Beranech
era pure noto come Sàpola-bàcoli si può congetturare la poca maestosità del
suo incedere. Compare pure nella lista PERCOLT e da diversi attribuito a
Domenico Venturini che però già a quei tempi era noto come Mastrussa-vovi
(v.).
Lo si ritrova tale e quale a Cherso.
Ganbe-de-sèleno (QFD), attributo genericamente dato a chi aveva poca
forza nelle gambe che pertanto erano accostate al 'gambo di sedano' (che in
dialetto è femminile ganba). Mia madre era solita attribuirlo a mio fratello Nè/o
che al ritorno dalle escursioni domenicali con la GEMM, lamentava gonfiore
e stanchezza ai piedi. Così il nomignolo prese piede in famiglia ma non fuori.
S.n. a Isola. Pure a Trieste (ROSAMANI alla voce Guane).
Ganbe-dure (Cristina cole Ganbe-dure) (PFD), s.n. pers. di una non
meglio cognominata. La doveva ‘ver calcossa intei zenoci, la li gaveva come
blocai; la stava in cale dela Fornace tra Giovani Jè e Bruno Clai.
286 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodisirani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305
Ganbèlo (PFD), s.n. pers. di tale Giovanni Cernivani che camminava un
pò storto. Lo riporta GRAVISI, 44 (Gambello) e viene confermato da PIVA
che oltre a darlo per un Cernivani - Daris, aggiunge che lo stesso era noto pure
come Giovani Sipàrio (v.).
Gambèl è cognome a Rovigno.
Ganbòs (FCD), s.n. di una famiglia Totto ancor più nota con il diminutivo
di Ganbusseti. Deriva per via materna dal cognome Gambos attestato a Capo-
distria dalla più profonda antichità. Il Catasticum Histrie nomina all'anno 1203
una Gempa moglie di Giovanni Gambos che lasciò una vigna in Gaselo ai frati
di S. Nicolò. GRAVISI 1944, scrive Gamboz; introdotto da PICI in coda alla
lettera ‘G’, ripreso dal ROSAMANI.
2. (PCD), s.n. pers. di Sandrin Teresina, /a mujera de Broso Cocever.
Certamente pure qui si tratta di derivazione da cognome materno.
3. (PFD), da una annotazione del maestro Visintini: "Ho conosciuto con
questo soprannome un tajapiera Derin (parente o fratello de Lussia Bronso)
che aveva male a una gamba". In questo caso il difetto fisico prevale, anche se
viene indubbiamente aiutato dall'esistenza del cognome, preso però in senso
allusivo.
Giacomina-la-cavala-de-Lìpissa (POD), altro s.n. di Antonietta Sau-
Gallo (Meglio nota come /a Bum), perché, giovanetta, girava passeggiando
altezzosa per Capodistria movendo la testa come la famosa puledra del circo
(da annotazione di PIVA su una delle prime liste di soprannomi fatte circolare).
Gondola (Bepi Gondola) (PFD), s.n. pers. di un Sartori che a veva la
magnativa (negozio di commestibili) in Via Calogiorgio. Per il modo di
camminare. AC92, p. 23, percorrendo la Via Calogiorgio: "Incontriamo per
prima la magnativa di Bepi Gondondola (Giuseppe Sartori), proveniente da
una nidiata di S fratelli, quasi tutti piccoli di statura, bersaglio dei buon temponi
che per scherzo riuscivano a rifilargli monete false incolpandosi poi a vicenda".
Jàcomo (far jacomo) (GFD), corrispondente dialettale del nome proprio
Giacomo (Jacomo Pedegon), usato come espressione generica in frasi tipiche
quali: Le ganbe me fa jacomo-jacomo (sono malferme); è voce onomatopeica
L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodismani, Ati, vol XXX], 2001, p. 279-305 5
richiamante il cigolìo di una ruota sbilenca (la frase è di ampia diffusione in
molti luoghi d'Italia). Mi piace riportare una canzonetta antica capodistriana:
Mite adoro birichina / perti vivo e stago in piè / del mio cuor ti son regina /
la parona ti ti xe. / Co' te fulmino coi oci / co' te gusto col pensier/ me fajacomo
i zenoci/tremo dutodel piasser!. SEMI 1983, p. 60: "46. Mastrussavovi (1928)
- El mestro Menego a camina che par che a mastrussi i vovi; el mestro Justo,
co a camina, par che a semeni in canpagna. Co i camina visin par che Justo
sculassi Menego. E Martin, el bidelo a ghe cori drio, a fa el balo de l'ànera. -
Mah, mi digo che a tuti tre le gambe le ghe fa Jacomo...".
Ingajà (el) (PFD), s.n. pers. di un pescatore non identificato. Molto
vecchio. Gli venne dato per il suo modo di camminare. Bisogna rifarsi al gergo
marinaresco ove ingajà significa 'che tiene' 'che trova ostacoli' (L'arte [la rete]
se ga ingajà sul fondi). Il BATTAGLIA alla voce "Ingaggiato, 6: marinaresco
= imbrogliato, impigliato, non scorrevole (un cavo, una sagola ecc.) dal
francese gage = pegno, garanzia". E/ Ingajà a caminava come se qualcossa lo
tignissi indrìo, se el dovessi strassinar un cavo. Una parola del popolo: un
quadro d'autore! Riportato dal VATOVA.
Màncolo (PFD), s.n. pers. de Nicoleto Riosa, fardel de Pesta-péver, de
Magna-malta e de Sandro dele Bandiere. A jera de mistier carpentier; ma no
perché a fussi specialisà a far màncoli (castagnole), più che altro per via che
a sotava un poco... a mancava cola ganba!. Detto pure Pìndolo, Picina e
Trebes (v.).
Manzo (Toni del Manzo) (PFD), s.n. pers. di Antonio Pobega, nativo di
Pobeghi, a ga sposà la fia de Parovelusso e su fardel quela del Melon. No a
veva manzi, ma a 'ndava pian, c'una pachea! come se a conpagnassi el manzo.
A Pirano Manzo (Zecchin) e Manzeto; pure a Trieste (rione di Melara),
Isola e Rovigno (fam. Benussi?).
Mastrussa-ovi (PFD), s.n. pers. del notissimo Domenico Venturini, cul-
tore di studi patri e tra l'altro autore della Guida 1906 qui spesso citata.
Malfermo sulle gambe (sin da giovane) si avventurava nelle buone giornate a
lunghissime passeggiate, spesso facendo e/ giro dela Colona (v.), aiutandosi
con il bastone ed avendo un attimo di esitazione prima di porre il piede per
terra, che ogni volta rimaneva sollevato dal suolo ad una distanza valutata nelle
288 LU DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodismriani, At, vol XXXI, 2001, p. 279-305
dimensioni di un comune uovo il quale nella fantasia popolare veniva poi
perentoriamente schiacciato. Tra i più anziani era con voce più schiettamente
vernacolare detto Mastrussa-vovi (tre volte in SEMI 1983); ma la prostesi di v-
andò smarrita nella mia generazione. Ultimamente era più noto ai giovani con
la variante Calca-ovi. Attestato pure come Sapa-ovi. Mentre di solito un nome,
una volta imposto tende a fissarsi senza mutamenti che non siano le varianti
fonetiche proprie del dialetto, qui ci troviamo eccezionalmente di fronte a
varianti notevoli nella parte verbale che non pregiudicano peraltro il valore del
messaggio che proprio con la presenza di tali varianti viene a primeggiare sul
resto. SEMI, Istria Mia, p. 12: "Il dottor Longo, puntualissimo nella sua
monumentale figura esculapica, che faceva il giro mattutino per le case degli
ammalati: un vero cronometro locale, che aveva il suo concorrente in puntua-
lità soltanto nel maestro Venturini, col fedelissimo bassotto, per il suo incedere
molle e guardingo soprannominato Mastrussaovi". Vedi Jacomo.
A Cittanova Fraca-vovi Biloslavo.
Mèca (FYD), s.n. di una famiglia Deponte e poi per via materna pure di
una Minca. Il nome ha il significato di pigro, lento soprattutto nel camminare:
Con che meca che ti te movi... svéjite! Diffuso per l'Istria e nel Veneto (pure
in friulano: meche), DORIA concorda con il ROSAMANI nel farlo derivare
dalla frase "andare alla Mecca". GRAVISI 1944 lo dà per Deponte; PERLA
scrive: Minca - la Meca; Pure in PERCOLT e ROSAMANI. Un jera scova-
strade, Piero Meca murador, una Meca sposada col Brusà (Minca). Sulla CAD
20.12.1910: Se dise che in ogni calle ghe sia Banche che ricevi depositi a lunga
scadenza, tanto in oro che in carta. Se dise che el scovastrade Meca doverave
incassarli a vista [chiara l'allusione ai 'depositi' di sterco]. Sul giornale £/
Pevere, Capodistria, 6 marzo 1912, p. 2: "Un'intervista coll'“Immaginifico” [il
Podestà]: "...in ogni modo si colmeranno i vuoti? -Zerto, zerto, go dà ordine a
Bones de andar con Meca a stropar i busi dele strade...". Circolava una
filastrocca: La Cògola vendi pestaci / Bia Cransa vendi carbon / el marì dela
Meca fa el marangon! o, secondo altra versione: i l'à messo in preson! Altra
annotazione (Almerigogna?): "Il buon Meca (fiaccone) al quale i muletti
cantavano la tiritera: E la Meca sporca in viso / la xe sporca de natura / Busan
co' la gamba dura / lo volemo litratar!" AC92, p. 59 parlando del dedalo di
calli che da Bossedraga va verso Santana menziona "/a magnativa dela Meca
(Antonia Schipizza)". Vedi Angonia, Capeta, Gobo-de-loto.
Pure a Pirano e Buie (Vardabasso).
L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 289
2. (Cale dela Meca) (TCD), così veniva più comunemente individuata la
Calle San Leonardo (Bossedraga) perché vi abitava la famiglia più nota di tutti
i Meca, la Meca per antonomasia che teneva una botteguccia di generi alimen-
tari: In do' ti staghi? -In cale san Leonardo. -Che sarìa...? Mentre invece:
Stago in cale dela Meca! non necessitava di ulteriori spiegazioni.
Meleagris-gallopavo (PFL), s.n. pers. dato evidentemente da quei dela
losa al maestro Jacuzzi per il modo di incedere pettoruto come il volatile dal
roboante nome latino che in definitiva sostituiva la volgare parola dindio.
Fascista ante-marcia, Sciarpa Littorio, Seniore della Milizia, alle adunate del
sabato si presentava con la divisa più gallonata della città; ma contrariamente
agli invidiosi colleghi malpensanti, al di fuori delle sue personali convinzioni
politiche, rimase nella vita privata sempre molto modesto e per niente appro-
fittatore.
Orològio-de-muro (PFD), s.n. pers. di un Benedetti. La vecia Baretina,
che la jera sgaja per remenar la zente, la ga messo sto soranome a un fio de
Cencio Sutilo (no Nino, quel'altro) par via che co a tornava a casa, duro come
un comato a caminava zinzolando de una parte a l'altra: -Arlo là! a va come
un orologio de muro! Ela la intendeva un orologio a péndolo.
Ovi-'ntel-cul (PFD), s.n. pers. di un Pesaro. Splendida pennellata poetica
popolare per illustrare un modo di camminare. Neanche una commissione di
insigni medici saprebbe meglio specificare le cause fisiche di impedimento
ambulatoriale che affliggevano il malcapitato.
Passi-curti (PFD), s.n. pers. di Elio Crevatin, meglio noto come Elio Sòto
(v.). La variante ha il pregio di esprimere la sostanziale differenza tra un
banalissimo e volgare zoppo e chi appena appena con il suo incedere denota
una malcelata claudicanza, una vera pennellata di eufemismo popolare.
Patata (PFD), il ben noto frutto della terra diede vari soprannomi. che qui
si espongono in tre voci, secondo le cause che lo determinarono. Si trova in
VATOVA. Cominciando con la presenza di protuberanze sul corpo (bernocco-
li, lipomi): A/vise Patata i ghe diseva al fradel de Nicolò Piovan (Marin) che
a veva una patata in testa. Be pi Patata, jera un Crota (Apollonio) che 'veva'na
patata sul comio, a lavorava a bordo dei vapori. Piero Patata i ghe diseva a
2% L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Ari, vol XXXI, 2001, p. 279-305
Piero Pecenca, credo per una patata che a veva dosso. Rita Patata che la veva
una patata sula ganassa la jera sposada con Vascon, i ghe diseva anca la
Pelosa (v.).
2. (PQD), s.n. pers. di Mario Romano, el fio de Romanela e de Roma
Morasa. Sintomatico esempio di cosa può significare essere nati e cresciuti
nella bella Bossedraga di un tempo. Era appena in grado di camminare che lo
misero fuori dell'uscio di casa a sedere sul gradino di pietra in quella Androna
San Biagio che benché chiusa godeva di un insolito andirivieni grazie all'attra-
tiva commerciale esercitata da Lussia Bronso (v.). Come fu visto, il primo
passante sbottò: Arlo là, Patata! L'ambiente bossedraghese raccolse la voce,
che evidentemente non ‘chiamava nel deserto' e ne decretò l'immatricolazione
a vita dell'inerme creatura. Il successo fu tale che persino la buona Roma, la
madre, dovette rassegnarsi a chiamarlo Patata avendo constatato che il proprio
figlio non rispondeva ormai al nome di Mario. Nella conversazione con lui era
d'uso il solo Patata (Ciò Patata, ven qua...) mentre verso terzi si aggiungeva
Mario Patata tanto per distinguerlo da altri. Sembra più che ovvio trovare un
semplice Mario Patata nella Lista Aurora. V. Malola, Strassa.
3. (PAD), s.n. pers. di un certo Pizzamei del Monte San Marco. Proba-
bilmente a questo va riferito il s.n. che compare in VATOVA. Buoni informa-
tori assicurano che il nome gli venne dato perché a caminava con tanta fiaca
che pareva che no a vessi ganbe! E si può credere, perché questo libro insegna
come le vie del soprannome siano infinite e associare una patata alla deambu-
lazione è cosa improponibile solo in una mente logica, e non è questo il caso.
Patata lo si ha in Grado vecia; Muggia (Rossetti e Rizzi); Isola dele Patate,
Patati; Pirano Patata (Fonda, Petronio), Gigi Patata (Decarli); pure a Citta-
nova e Buie (Benedetto Baissero, cultore del locale dialetto); Parenzo Andrea
Patata; Orsera Patata (Bòico), Patatina (Pastossich); Valle Patata e Piero
Patata; Medolino Maria Patata (Sironich).
Pedegén (Jacomo Pedegon) (PFD), vecchia macchietta della Capodistria
del primo Novecento. Un informatore assicura portasse il cognome Massimo
(Su fardel veva do fie, Zelco ga sposà una Massima, come che i feva lori de
cognome). Il soprannome fu causato dal suo strano modo di camminare: dopo
posto il malfermo piede a terra lo calcava ben bene, per assicurarsi la solidità
del suolo prima di procedere oltre e questo era ritenuto dal volgo il modo più
L. DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capostistriani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 DI
sicuro per lasciare le pèdeghe 'orme'. Per carneval a vendeva peverini, che ghe
li passava la Scansìa, e i pescadori ghe li magnava duti prima de pagarli. Era
talmente popolare che rimase il detto: Ti son come Jacomo Pedegon! Sulla
Sveglia del Settembre 1980 tra le oblazioni: "-In memoria de facomo Pedegon,
de Gigi Sofita e de Bucaleto, che entrano spesso nei nostri discorsi quando si
parla della nostra cara Capodistria, da Nicoleto Deponte (Canuo) Dollari 10".
Pésta-sòipe (PMD), si trova in VATOVA (scritto Pestasoipa poi corretto
a matita la -e finale) e PERCOLT. Non identificato. Può trattarsi del sopranno-
me pers. che ha dato origine al ramo dei Ceppi detti Sòipa (v.). Comunque non
si può uscire dall'ambito dei Paolani in quanto sòi pa è la 'zolla'. Non è escluso
che derivi dal modo di camminare dell'interessato.
Cfr. ad Isola Pestacalcagni.
Pìndolo (PFD), s.n. pers. di Nicolò Riosa, carpentiere, claudicante, detto
pure Màncolo (v.). Co' a caminava a feva come quei orologi a pìndolo regolai
mal (che se disi che i sòta) e invessi de far tic, toc, i fa ti-toc, ti-toc. Sul
Marameo! 22.8.1941: "Per ferragosto abbiamo visto [...] La fia de Pìndolo, la
buona Anita dalle lunghe chiome, assieme all'inseparabile Dina esibirsi con
forzata sentimentalità in "Taverna' con una canzonetta in voga".
Pìndulo a Cherso.
Pénta-e-bati (PFD), s.n. pers. del tipografo Simeoni, amico del mestro
Visintini. Abitava in Calle San Biagio, era detto pure Cali e Tacheta (v.). Dal
modo di incedere: a meteva prima la ponta e po' se sintiva el s'ciac!.
Solo Ponta a Parenzo.
Quatro-ganbe (PFD), s.n. dato da GRAVISI 1944 come personale ma
senza il consueto collegamento con il cognome. Evidentemente si trattava di
qualcuno che per camminare si aiutava con due bastoni.
Saltin (PVD), s.n. pers. di Mario Perini. Irrequieto, mai fermo, cammina-
va ed improvvisamente spiccava un salto. Senpre a coreva, senpre a saltava:
-Fassemo una gara! Fassemo una corsa! Quando la sua predisposizione venne
imbrigliata nell'atletica, si allenava per il mezzofondo e venne detto pure
Magna-chilometri. La vela n: 24 del poster porta il nome "Mario/Antonio
Perini Saltin barca COME VOI”. Dato da GRA VISI 1944 e PERLA. Su VG
22 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305
1.5.1991, 2, articolo sulla Semedella: "Alla festa don Gasperutti ha portato ai
partecipanti il saluto dei canadesi: Antonio Perini (Figlio di Mario Perini detto
Fuci e Saltin), Bruno Corrente (Scarlice) e moglie, Norma Favento (figlia della
Babicia del Carbon), Italo Ceppi (Bensi)" e altri senza s.n.
Saltini a Grado-vecia ed odierna; Saltusso a Pirano (Ravalico).
Sapa-cali (PAD), s.n. pers. dato ad un Cincin (Tremul), non se ne conosce
il motivo che può essere dovuto ad un particolar modo di incedere (o di
ballare?).
A Grado-vecia Zapapian.
Sapa-òssi (PFD), scrive P. Almerigogna: "un vecchio maestro, poggia
piano, con gli occhi pollini ai piedi". Sarei propenso a vedervi un errore del
proto per Sapa-ovi (V.).
Sapa-òvi (PFD), s.n. pers. di Domenico Venturini, per il suo incedere,
variante del più comune Calca-ovi. Deriva da sapar 'zappare' nel senso
figurato di ‘pestare con i piedi'. Oltre che in PERCOLT e ROSAMANI, lo
troviamo così menzionato da MANZINI 1977, p. 26 e da M. VESNAVER in
un articolo sul maestro apparso su VG 1.3.1993: "Lo chiamavamo impietosa-
mente sapa-ovi per il suo infelice modo di camminare a causa di una infermità
agli arti inferiori e ricevevamo in cambio irripetibili improperi, sottolineati dal
rabbioso abbaiare della cagnetta Binda che lo accompagnava nelle sue quoti-
diane passeggiate". Ma già su una CdD del 1911 (come riportato alla voce
Manestrin) si accenna a Sventurini detto Zappaovi.
Sàpola-bàcoli (PFD), s.n. pers. del maestro Beranech, meglio noto come
Ganbe-de-pano (v.), per il suo incedere. Sapolar significa ‘pestare con i piedi'
ma l'impatto (go ciapà una sapolada) è decisamente più tenue che non usando
sapar. Dato da PIVA e confermato da altri.
Sata (Checo Sata) (PFD), s.n. pers. di Francesco Steffè del ramo dei
Ranela, un invalido di mestiere calzolaio, ultimamente in Calle San Vito. Sata
'zampa' deriva da antica parola tedesca ed è voce diffusa in tutto il Veneto ed
oltre; gli venne attribuita per il suo strascicato modo di incedere. Oltre agli arti
inferiori, aveva gravi mancanze pure a quelli superiori per cui veniva detto pure
el Sénfo (v.). Ai suoi tempi nascere era un grande rischio e sovente accadeva
L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, voll XXXI, 2001, p. 279305 293
che la “comare” estraesse il nascituro causandogli lesioni che lo marcavano per
tutta la vita per cui la città abbondava di pòvari despussénti, come venivano
chiamati con una bellissima voce dialettale calata direttamente dal latino: de ex
potens 'che non può'.
Scavassà-in-colonba (GFD), bella espressione marinaresca generica-
mente usata nei riguardi delle persone handicappate nel camminare, paragona-
te ad una barca con la chiglia rotta (se pur poco usato 'scavezzo in colomba' è
pure toscano) ed incapaci di procedere diritti.
A Isola Scavassa-coli, Scavassa-manegheti.
Scépa (Licio Scopa) (PFI), s.n. pers. di Licio Burlini, datogli dagli amici
peri suoi movimenti rigidi: a caminava duro come un manego de scova! Balar
no parlemo, tanto co' jera balo in losa lu a gratava el violin! Il termine
letterario 'scopa' indica la provenienza studentesca della fonte. Sul Marameo!
5.1.1940, rubrica "Sotto l'egida di Capodistria" dal titolo "Notte di San Silve-
stro": In Loggia si facevano 4 salti un pò mortali, accompagnati dall'arco di
Licio "Scopa". [...] AI Merlo [osteria] Pacchietto e Balego un poco ciapai de
fumo, suonava l'orchestra Giusto-Molo [Giusto Ranpin e Piero Molo]. AI
Caffè Sportivo Toni Isolan e Ferodesopressar giocavano a scopa [...] Tubo e
Strigo se la godevano un mondo e "trequarti". Nel nobile Caffè Piero il
cromatico Toni si metteva daccordo con la banconiera per cromarle... le
unghie. In piazza la GEMM si sfogava accendendo fiammiferi. Chichin dei
nostri aveva organizzato una gita sul Taiano per accendervi i fuochi di mezza-
notte, ma visto il tempo, aveva detto "fioi restemo a casa". L'articolo prosegue
citando ancora Zotatera (Fotatera?) e Mario Romanetta.
Sérca-fliche (PFD), s.n. pers. de Santo Canùo (Deponte), perché cammi-
nava con lo sguardo volto verso terra e dindolando un poco il capo a ritta e a
manca, come se cercasse qualcosa per terra. Fliche, di ampia diffusione nel
Veneto, sono le monete in genere, una fZica (v. per l'etimologia) era il ventino
per antonomasia.
Sète-tachi (FOD), benché GRAVISI 1944 lo dia come personale (Sette-
tachi), si tratta di un'intera famiglia Lonzar. Lo troviamo pure in PERCOLT.
L'origine è incerta benché si possano confrontare due versioni, una di P.
Almerigogna: "Sàtana Sete-tachi conosciutissimo in città nei tempi andati -
24 L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, voL XXXI, 2001, p. 279-305
ripetitòr de latin a tanti ragazzi che frequentavano il Ginnasio, il quale aveva
un curioso modo di camminare, col saltin, da cui setetachi nomignolo che era
lo spasso dei fioi e anche degli anziani. Persino don Marchiò si divertiva a
molestarlo allorché durante la messa a S. Basso del mattino, nel volgersi verso
di lui per il sacramentale Domine vobiscum, mostrava sette dita anzichè le
palme. Il buon Sàtana abbandonava la messa; ma presto si rappacificavano".
L'episodio è confermato da altro informatore: Chin Setetachi, fardel de Nina,
a studiava per prete (i ghe diseva anca el Prete-mancà). Don Marchio ala
messa del Dominosubiscum ghe mostra sete dei. Setetachi se alsa, ghe fa un
bruto moto cole man, ghe rispondi: 'ècun spìrito tùo' e a va via. Altra volta un
nénsolo ghe cava el batocio dela canpanela e Setetachi cola boca: Dindin!
dindin! A vigniva invità a nosse indove che a feva i descorsi de ocasion e a
diseva poesie. Di una seconda versione sulla nascita del soprannome fa cenno
SEMI 1959,11: "Settetacchi, un originale che dava in escandescenze all'udir
profferire il fatidico numero (Pare avesse preso sette pedate dalla sua bella in
un momento di collera: per cui aveva dichiarato guerra all'istituto del matrimo-
nio)." Ancora per SEMI 1993a, p. 18: "un popolano così soprannominato
perché non poteva tollerare il numero sette". Nello stesso volume, in nota a p.
12 Semi afferma di aver scritto un articolo su "Settetachi" nel Piccolo della
Sera del 7-1-1929 ma in quel numero e nei giorni vicini io non l'ho trovato.
Altro informatore: Sete-tachi, fradel de Nina (puta vecia) inpiegato in tribunal,
el alcol no ga inpromesso [!] de 'ndar avanti e alora a navegava in quel modo
là... consulensa per dimande e cussì via. Su sorela, siora Nina Setetachi jera
una brava sarta ma no la scominsiava el lavor se no la vedeva sula piana dela
machina de cùser, el quarto de vin. Di Chin (Francesco) sulla Sveglia,
settembre 1981. V. Gobo-de- loto, Scardobola.
Signorina (PFD), s.n. pers. di certo Minghinelli, che aveva movenze da
effeminato.
Pure ad Isola; Buie (Barbo); Cittanova: Signorina Olga (Giovanni Sta-
nich); Dignano Signureina (un Giacometti 'effeminato').
Sòta (Rosa Sota) (PFD), s.n. pers. di Rosa Deponte in Cociani (Fotatera).
La jera sorela de Toni Galina, molie de Giovani Pansa, mare de Bepi Fota e
Nino Balota. Non era veramente zoppa, procedeva come lo fa il portatore di
una lussazione all'anca; il particolare che più mi colpiva era il flebile lamento
che accompagnava ogni appoggio sulla gamba malata: "Mmmm! mmmm!" Mia
L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 295
mare, Nineta Ranpina ga dimandà: Diseme Rosa, perché ve lamenté a ogni
passo? -Cussì! -Ma ve diol? - No, fasso cussì, per far!. Dato da PICI, SEMI
1983. MANZINI, 1977, p. 25 la ricorda in una delle sue poesie: Pò Rosa sota
in Brolo col careto, / silele, fruti e... mosche no mancava. Sulla Sveglia S.
Nazario, 1979, poesia "Un ricordo" di Maria Ceron, tutta su Rosa Sota e /a sua
baraca sul canton del Brolo. In uno dei suoi articoli sulla Sveglia Maruci
(Vascon) Capeta (v.) afferma che la cale de Rosa sota xe le colonne d'Ercole
de Bossedraga. Rimasta indelebilmente nei miei ricordi perché fu la prima
persona a darmi del Signore. Avevo non più di dodici anni e incrociandola in
Brolo mi rivolse un: -Bongiorno Signor Decarli! che mi fece correre a casa
stravolto a riferirlo alla mamma. Ancora su di lei un aneddoto, credo inedito,
che circolava appena finita la guerra. I Drusi avevano tappezzato letteralmen-
te i muri della città (e dell'intera Istria) di ritratti del gran Duce Tito usando
uno stampo di cartone forato e vernice. Lo stampo era opera del pittore
concittadino Oreste Totto ed artisticamente era un ritratto davvero notevole.
Peccato che i soliti ignoti, non comprendendo il sommo valore dell'arte si
dessero da fare nottetempo per imbrattare con escrementi il bel viso accati-
vante del Maresciallo. Ogni Tito una merda! La polizia furibonda, era alla
ricerca dei Fascisti ed una mattina occhi vigili notano una donnina attraver-
sare Campo Sant'Andrea a Bossedraga e dirigersi con un vaso in mano verso
il porto. Era Rosa Sota che puntuale come ogni alba che si rispetti, andava
a svodar el bucal oltra el mol dei Piranesi (per la carenza dei servizi igienici
in città vedi alla voce Caghinaqua). -Vemo ciapà chi sporca nostro Marasia-
lo! -No Sior! mi no go fato gnente! - Confessa! ara qua! ti ga anca penel! e così
dicendo il tutore dell'ordine costituito afferrò lo scovolo agitandolo sotto il
naso della sovversiva.
Sòta-Baréta (la) (PFD), s.n. pers. di una Sauro che era zoppa. Era sorella
(o zia?) del martire Nazario Sauro (al secolo Jajo Bareta), mare de Tabadà
(Vascon) che jera nonsolo prima de Pésaro, la stava a Portisolana. La mare
de Lauro Nàùiber, el sarto, de fia la veva i cavei longhi drio la schena e oni
matina la 'ndava a petinarseli dela Sota Bareta perché la finestra dela sua
camera la dava sora un orto e no i voleva che i cavei i finissi intel radicio.
Sotaciòla (PFD), s.n. di pers. non identificata. Si trova in PICI (non in
PERCOLT). Così scritto parrebbe un generico derivato da soto ‘zoppo’; viene
però in aiuto la lista Vatova che riporta alla lettera ‘C° una Ciola (Zotta) (v.),
dunque un ipocoristico di non si sa quale nome.
2%6 L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistrani, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 279-305
Sòta-Vanta (la) (PFD), nella lista PERCOLT sta scritto: Vanta (Zotta).
Non meglio identificata.
Sòto (Berto Soto) (PFD), s.n. pers. di Umberto Derin(dito anca Sinigalia)
perché na volta a s'à roto la ganba e a caminava mal. El nome ga continuà
anca dopo che a se ga guarì.
2. (Elio Soto) (PFD), s.n. pers. di Elio Crevatin, sarto, fradel de Caifa, i
ghe diseva anca Elio el Sarto e Passi-curti (v.). L'infermità non lo distoglieva
dall'essere uno dei più accaniti buontemponi della Sorca. V. (Piero) Biga.
3. (V) per uno storico vedi pure Zotto.
Sòto-dela-bérsa (el) (PCD), s.n. pers. di Nesarieto Stradi dei Borsi (v.) i
ghe diseva anca Te-vèrzo. Era zoppo; la 'borsa' fa parte del s.n. di famiglia. V.
(Piero dela) Ia.
Sòto-Galòp (PXX), s.n. pers. di uno zoppo che s'incontrava fuori le porte
della Muda a consigliare questo o quell'avvocato ai contadini che venivano in
città per le loro liti giudiziarie (AC CONFERENZA, p.15). Forse dall'attributo
‘galoppino' o dal cognome Galopin. A Pola nel 1381 Dominicus Coto preco et
nuncius Communis Pole; nel 1429 un Martinus Zoto (AMSI 1958, p.102) e nel
1454 Vincentius f. q. Martini Zoto vicinus ville Galixani.
A Grado-vecia Zotto (Zoppo); Sota, Soto a Isola; Dela-sota a Pirano;
Umago Toni Zoto (Braico); Zota a Cherso.
Strissa-mèrda (PFD), s.n. pers. di un Padovan, il cui incedere stentato per
le calli cittadine rammentava le movenze del malcapitato che, avendo calpesta-
to impasti maleodoranti, cerca di toglierli dalle proprie suole con continui
sfregamenti sulle /astre de masegno rimaste incontaminate. Dato da PER-
COLT. Sulla CdD, 25.4.1911: Se dise che nel Vespasiano dei Carmini se
podaria balar el patinè e che Strissa Me..., quel dei gineproni, el sia el maestro
del balo. I figli ereditarono il s.n. Strissa, abbreviatura-mascheramento abba-
stanza frequente (Caga-baleBale, Caga-luminiLumin, ecc.).
A Rovigno Strréissa-mierda (Rocco).
L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani, At, voL XXXI, 2001, p. 279-305 297
Tacheta, -i (PFD), s.n. di varia ed incerta attribuzione, a volte appare più
di famiglia che personale. Pure l'origine è bivalente potendo nei casi noti
derivare sia da 'tacco' che da 'tacca'. Inoltre a complicare la situazione la vocale
finale non indica singolare o plurale, infatti abbiamo i Tacheta della famiglia
Angelini, contro Nino, Gigi e Berto Tacheti, fratelli D'Agostini. PERCOLT
scrive Tacheti. A questi da aggiungere: Tacheta i ghe diseva a una Pìchena che
veva una voja sula ganassa. Ed ancora: Romeo Tacheta jera el tipografo
Simeoni, dito anca Cali. No a gaveva cali: co' a jera melitar in Galissia, de
guardia a xe tornà in trincea coi piei congelai. I ghe ga dito de massagiarseli
cola neve, ma lu che a jera un bastian contrario, a ga butà sora aqua calda e
a se li ga rovinai per senpre. A caminava duto coi tachi, per questo i ghe diseva
Tacheta! La spiegazione però cozza contro altra fonte: in una breve nota
Visintini scrive: "Tacheta, veniva così chiamato lo studente Simeoni affetto da
vistosa 'alopecia' per cui si suicidò sparandosi un colpo al cuore; sembra che
prima abbia indossato una camicia bianca di seta".
A Grado Tachiti; Isola Tacheti; Cittanova Tachela (Maier); Cherso Tache-
to.
Ténte-in-bén (la) (PFD), così veniva chiamata una slava calata nel 1945
e messa a dirigere la Cooperativa dei pescatori. Persona istruita, aveva l'inca-
rico di inquadrare nei più rigorosi canoni marxisti un'organizzazione sospettata
di deviazionismo borghese in quanto sorta e fiorente sotto il bieco fascismo.
Era una bella donna che procedeva con andatura un po' superba, (come se la se
tignissi sul'tentinbon'), donde l'epiteto. I pescatori riferendosi a lei la chiama-
vano usualmente /a Fémena (v.). ROSAMANI riporta il termine marinaresco
tebén, tientinbén 'cavi a fianco delle scale per sostenersi meglio".
Tratanèla (PFD), s.n. pers. di un tal Hausner "figlio naturale di una
inserviente austriaca". Nonostante la notorietà della persona non è stato possi-
bile dargli un nome di battesimo. Era un pòvaro despussente (dal latino
de-ex-potens ‘impotente') noto perché addetto ad un lavoro saltuario come
bigliettaio al cinema Bonin, ove si trovava in buona compagnia con Canana e
Menci, pure loro invero poco aitanti. Ma la bontà dei proprietari, specie della
"Signorina Bonin" suppliva in questo modo alle carenze assistenziali pubbli-
che. Aggiunto da PICI alla lista PERCOLT e ripreso dal ROSAMANI. AC92,
p- 37 scrive: "Tratanela il cui soprannome è già una qualificazione". Il sopran-
nome gli derivava dal suo incedere "a mezza nave" come fanno le barche dedite
298 L DE CARI Di una raccolta di soprannomi capodistriani Att, voL XXXI, 2001, p. 279-305
alla pesca con la tartana che procedono di fianco; il diminutivo fu suggerito
dalla pochezza della sua persona. V. Canana.
A Isola Trata.
Valéncia (PFV), s.n. pers. di Pietro D'Alvise, meridionale, sarto, claudi-
cante. Co' a caminava pareva che a stessi balando "Valencia", la canson
spagnola che jera de moda. Gnanca quei che bala el tango cola calada no i se
moveva cussì ben! PERLA lo dà come Maier, forse confuso col sarto Pissoto
che pure zoppicava.
Un de Valenga figura tra i nobili di Pola nel XIV secolo.
Vaporéto (PFD), s.n. pers. dell'avvocato Giovanni Lonzar, poi trasmesso
al figlio Benéto, professore e storico benemerito. Secondo la dizione antica il
s.n. prese inizio come Baporeto (alla stregua di bolpe, banpa, ecc.); ma già
negli anni Trenta, sempre più piede prese la pronuncia toscana (reazione al
betacismo). Comunque PERCOLT lo dà alla lettera 'B' (Baporeto) e PICI lo
passa alla 'V' (Vaporeto), dato così pure da GRAVISI 1944, ROSAMANI,
PERLA.
La causa è ben nota ed è dovuta al modo di camminare spedito: senpre col
spagnoleto inpissà che pareva proprio un vapor che fila via drito portandose
drio el fumo del camin. Una caricatura molto eloquente apparve sul Marameo!
15.3.1935. Riproposta sulla Sveglia Natale 1990, 15 e da AC92b, p. 5 che la
accompagna con la spiegazione: "Notabile l'avv. Giovanni Lonza |...] dall'an-
datura tanto caratteristica da attirarsi il soprannome di Vaporetto avvalorato dal
fumo che, accanito fumatore, si lasciava dietro". SEMI 1983, p. 300: " Vapore-
to: nomignolo dell'avv. Giovanni Lonza, capo del Partito Popolare, per il suo
modo di camminare diritto, difilato. Il paolano Checo Bussa diceva: "a fila
come un vaporeto". Sul Marameo! 17.3.1939, "Il Fante di Picche" fa un
reportage su "I grandi divertimenti cittadini - Il passeggio serale ovvero le
grandi manifestazioni di marcia". Alla fine parla del "solitario ma velocissimo
vaporetto che tra nubi di fumo sogna i circuiti di Monza e Indianapolis". Questa
citazione forse allude già al figlio che oltre ad aver ereditato il soprannome, dal
padre prese e migliorò sia l'andatura che l'accanimento al fumo. Difatti vedia-
mo sulla Sveglia Pasqua 1987, 13, un articolo sulla Terza Liceo 1937 ove si
accenna a "l'incedere serioso del prof. Lonza (Vaporeto)". A Vaporeto,
l'avocato, ghe piaseva contar storiele de vita caveresana, me sovien quela de
una frase dita dala Ganbini de Calogenia, la sia de Assunta, che la sercava de
L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 299
parlar in cìchera e i la ga sintida a dir: -Grembiuliamo la strada! per no
doperar parole come 'traversa' che ga sai de ordenàrio, de dialetàs. Innume-
revoli le storie che si possono dire su Vaporeto Junior, noto a più generazioni
di studenti per la ferrea disciplina (per non dire terrore) che imponeva durante
le lezioni, roba neppur immaginabile ai giorni nostri.
Pure TOMIZZA in un suo romanzo lo descrive, senza darne il sopranno-
me, ma chiaramente identificabile. Per parte mia un solo ricordo: 1947, Terza
Liceo. Ora di filosofia dopo l'intervallo di mezza mattina. Inverno freddo, tutti
hanno divorato la merenda in classe. Vaporeto più arrabbiato del solito scruta
trai banchi onde scegliere con cura la vittima: -Chi vediamo oggi ? Vediamo...
vediamo... L'intera classe incollata con la schiena sui banchi conscia che un
minimo movimento potrebbe far cadere la spada sopra l'incauto. Unici a esser
rassicurati da tanta quiete una coppia di topolini che fuoruscita da qualche buco
si mette a scorazzare per la classe alla ricerca delle briciole cadute. Ognuno,
pur nell'assoluta immobilità del corpo avverte che lo sguardo dei compagni è
teso a seguire qualcosa. In breve tutta la classe segue con occhiate da strabico
le peregrinazioni della coppia. Mio zorman Pino Ranpin, sente un topolino
avventurarsi lungo la sua scarpa, si china con la mano per scacciarlo, ma
l'incauto si sentiva talmente sicuro che si è lasciato prendere. Sbigottimento
indescrivibile di Vaporeto che assiste ad una defenestrazione di topo vivo
senza profferire verbo. Credo che come misura del livello di disciplina raggiun-
to sia sufficientemente indicativo. Ma e/ professor Vaporeto, che nella vita
privata era incredibilmente disponibile e sociale, era pure noto per le sue doti
di sarcasmo e per le burle fatte in gioventù, la più famosa delle quali fu la
macchinazione operata assieme a Edi Falisca (il futuro don Marzari) e Carlo
Krainz (el Mago): trovata una vecchia pergamena scrissero imitando una
scrittura secentesca una descrizione monca del Duomo ove si poteva leggere,
dopo un riferimento al vescovo Pietro Morari che serviva a porre una data
(1630), la frase: "E parlando degli altari che in detta nostra Chiesa miransi euui
quello lateral di sinistra adorno di una dipintura di mano del Carpatio depentor
Justinopolitano cue uedonsi le stragi dell'Erode..." Resa chimicamente arcaica,
la pagina fu portata al museo ove il direttore Laiss/Alisi decise che sì, che
finalmente era dimostrata la capodistrianità del grande Carpaccio e che biso-
gnava dare al mondo la novella a disdoro dei malpensanti che lo volevano
veneziano.
Il Professor Semi inviò un articolo al Corriere della Sera che pubblicò la
ghiotta notizia. Resisi conto del subbuglio creato, i tre gaglioffi contriti si
300 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistrani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305
recarono da Laiss a confessare l'impudenza commessa. Il Direttore la prese
bene e volle conservare 'l'originale' a ricordo (io lavoro sulla fotocopia di una
prova del Vaporeto). Chi ebbe i danni maggiori fu il prof. Semi che dovette
cessare la sua collaborazione con l'importante foglio milanese di cui era
corrispondente. Ma la cosa non terminò qui. Subito fu fatta una canzonetta,
musicata da Cicerin, la cui prima strofa (parole del maestro Zennaro) diceva:
"Una carta del Seicento / ingiallita col limone / le più incredule persone / in
delirio fece andar" ed il ritornello era: "Carpaccio, Carpaccio / Tu prendi bene
al laccio / Carpaccio, Carpaccio / Hai! quanta ilarità!" Sul Marameo! 19.7.1929
una lunga corrispondenza a firma di "Uno dei molti, per non dir tutti, burlati"
narra la vicenda e la commenta con ben 21 quartine scorrevoli. La penultima
recita: "E il genio di Garetta / ci diè una canzonetta / dal ritmo sbarazzin, /
pianista: Cicerin." A farmi il nome dello Zennaro fu invece il maestro Martissa,
ossia il medesimo Cicerin. Tra le Carte Carlon è conservata infine una lirica
dattiloscritta (ignoro se mai pubblicata) indirizzata "A colui che con versi
insipidi tentò salvar capra e cavoli sul troppo indulgente Marameo". Dai versi
si arguisce chiaramente che l'articolo citato viene attribuito al Prof. Semi.
Stralciamo alcuni versi (a parlare è il campanile): Dan - "Dirò che t'han
cacciato / (senza volerti male) / da un celebre giornale / perché t'han corbellato
- Din / Don - Dirò che han cantato / da Sandro 'Alle Bandiere' / di te a perdifiato
/ quasi tutte le sere - Dan / Din - Or vuoi, modestia a parte, / nascondere con
arte / con certi versi insipidi / la semi - infermità - Don". Come si legge, il buon
gusto venne ampiamente superato tingendosi di un livore poco plausibile; ma
questi strascichi sono prerogativa di ogni satira in ogni comunità. Per finire un
piccolo aneddoto sulla causticità degli interventi del nostro Vaporeto. Nel
dopoguerra (i primi anni, in quanto l'epurazione quali nemici del popolo dei più
noti professori dal Liceo risale al 1948) venne da Lubiana un noto studioso ad
ispezionare la realtà cittadina. Accompagnato in giro per la città da Vaporeto
nella sua veste di direttore del civico museo, alla vista del battistero del
Carmine andò in visibilio nel constatarne la pianta circolare, 'analoga ai primi
templi protoslavi'; giunti alla Rotonda, nei pressi della mitica Caterina del
Buso, ricalcò ancor più la dose affermando che la forma è tipicamente proto-
slava come tutti i templi circolari esistenti. Vaporeto che, come suo solito,
aveva ascoltato in assoluto silenzio, intervenne con un lapidario: La me scusi,
professor, ma alora anca el Panteon de Roma? L'altro, freddato, cambiò subito
discorso. V. Bonbeta, Canana, (Bruno) Senpio.
A Pirano Vaporeto (fam. Rosso); Pola Vaporeto (Marini, un confidente
L DE CARLL Di una raccolta di soprannomi capodistrani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 301
della polizia che fece arrestare il bandito Colarich); Cherso Vapor, Vaporeto;
Lussingrando i Vaporeti (Penso, due sorelle sempre di corsa).
Zampa (PFI), con tale nome, in una strofa di Ario il Tafano che passa in
rassegna gli orologiai (v. Moca), viene indicato l'orefice Signoretto, claudican-
te. Non era il suo soprannome usuale anche perché lui era il primo a burlarsi
chiamandosi Ganba-lesta (v.). Ho preferito riportarlo con la -mp- anziché
Zanpa, anche perché la voce è letteraria (in dialetto si direbbe Sara con esse
sorda come pertiene alla corrispondente zeta del toscano 'zampa'.
Soprannome a Isola.
Zoppa (la) (PFIZ), una Laura Del Bello detta la Zoppa visse nel XVI
secolo (PUSTERLA). Ovviamente la voce dialettale corrispondente, oggi è /a
sòta ma allora certamente era in pieno uso l'interdentale e pertanto sarà stata
pronunciata la sòra.
Zoppo (PFIZ), s.n. pers. storico di un Pietro Baseggio vissuto nei primi
anni dell'Ottocento e che appare nell'albero genealogico dei Baseggio di Capo-
distria pubblicato dal PUSTERLA, con la dicitura "Pietro detto il Zoppo",
veramente infelice traduzione di e/ Soto. Cfr. Zotto.
Zotto (Del Zotto) (CZ), antica famiglia (PUSTERLA). Martin Zoto di
Porta Pretorio paga le Appontature nel 1426.
2. (il Zotto) (PFDZ), s.n. pers. storico di Aurelio Vergerio, nipote del
vescovo Pier Paolo, sia perché zoppicante, sia perché balordo. Ne scrive
TOMIZZA 1984: "'E una gran crudeltà che né il Zotto né il dretto mi scriva"
(p. 405). "-Chi è quel 'Zotto del cervello' di cui Pier Paolo parla in una lettera?
- se parla de mi perché io ero zotto de un piede et son anchora un poco” (p.
415). V. Cicio.
3. (PFD), s.n. di una femmina (!) abitante a Sanpieri, dato da VATOVA
FV e riconfermato nella solita lista. V. Soto.
302 L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodismiani, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 279-305
BIBLIOGRAFIA
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AC92b - Aldo CHERINI, // giardino fiorito - Galleria di notabili, tipi ameni e macchiette nella nobile città
di Capodistria, Autoedizione, Trieste, 1992.
AC CONFERENZA - Aldo CHERINI, testo dattiloscritto di una conferenza tenuta a Trieste.
Catasticum Histrie - Francesco BABUDRI, “Catasticum Histric - Regesto di documenti riguardanti i beni
di S.Nicolò del Lido di Venezia”, Atti e Memorie della Socictà istriana di archeologia e storia patria
(=AMSI), vol. XXIV (1909), p. 317-368.
CdD - La coda del Diavolo di Trieste, Giornale politico trisettimanale, Trieste, 1910.
DECARLI 1985 - Lauro DECARLI, “Il veneto istriano”, in Guida ai dialetti veneti, a cura di Manlio
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DORIA - Mario DORIA, Grande dizionario del dialetto triestino - storico etimologico fraseologico - con la
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GRAVISI 1944 - Giannandrea GRAVISI, “Soprannomi capodistriani (con un'appendice)”, Capodistria
febbraio 1944, dattiloscritto inedito.
MARAMEO! - Marameo!, giornale politico satirico pupazzettato, Trieste, 1913-41.
MANZINI 1977 - Giulio DE MANZINI, Vévimo un logo, Treviso, 1977.
PERCOLT - Carlo PERCOLT, lista dattiloscritta inedita di soprannomi capodistriani, Capodistria, 1925 c.a.
PERLA - Pietro ZETTO detto PERLA, lista manoscritta di soprannomi capodistriani, Muggia, 1972.
L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodismani, Att, voL XXXL 2001, p. 279305 303
PUSTERLA - Gedeone PUSTERLA (Andrea TOMASICH), scritti vari riguardanti Capodistria, Capodistria,
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PICI - Anonimo {ma Lionello PELLASCHIER detto Nelo PICI), Soprannomi capodistriani secondo
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PIVA - Nicolò PESARO, prezioso informatore.
ROSAMANI - Enrico ROSAMANI, Vocabolario giuliano, Bologna, 1958, rist. anast. Trieste, 1990.
SEMI 1959 - Francesco SEMI, /stria mia - Racconti di ieri e d'oggi, Venezia, 1959.
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SEMI 1983a - Francesco SEMI, Accadde a Capodistria, Venezia, 1983.
SVEGLIA - Lu sveglia, periodico della "Fameia capodistriana", Trieste, 1963 (in corso).
TOMIZZA 1984 - Fulvio TOMIZZA, Il male viene dal nord - Il romanzo del vescovo Vergerio, Mondadori,
1984.
VATOVA - Giuseppe VATOVA, lista manoscritta di soprannomi capodistriani compilata ante 1913.
VATOVA FV - Giuseppe VATOVA, foglio (di colore verde) contenente un primo elenco di soprannomi
capodistriani (fine secolo scorso).
VG - Voce giuliana - quindicinale, Trieste, in corso.
304 L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305
SAZETAK: O JEDNOJ ZBIRCI KOPARSKIH NADIMAKA - Iz
jedne zbirke koparskih nadimaka, koja je zapoteta davne 1970. i
prepisana zahvaljujuéi kompjutoru 1995. godine, a sadrzi preko
tritisute kartica sa nadimcima i popratnim anegdotama, poja$snjenji-
ma, utvrdivanjem pojedinaca itd., temeljito je prouten niz primjera
koji se odnose na one povezane sa “drZanjem” njihovih nositelja.
Rasporedeni su strogo abecednim redoslijedom: iza nadimka slijedi
kratica od tri slova neophodna radi statistike. U nize navedenim
primjerima ona se, jasno, malo razlikuju, jer gotovo svi imaju oznaku
(PFD), pri tome se prvo slovo odnosi na TIP: P[ersona] = Ol[soba],
drugo na RAZLOG: Fligura] = I[zgled], a trece na ETIMOLOGI-
JU: Dlialetto] = D[jalekt]. Zatim slijedi identifikacija pojedinca, opis
razloga zbog kojeg je dobio nadimak, njegova etimologija (ponekad
lingvistitki veoma zanimljiva), povijesne okolnosti u kojima je nastao
te op$irni popis pisanih izvora kao i anegdota prikupljenih usmenim
putem od Zivufih svjedoka, a razlikuju se prema karakteristiénim
izrazima ovisno o dobi, mjestu, kategoriji.
Njihova korist nadilazi puko folklorno-karikaturalno podruèje te
doseze zanimljive lingvistitke konotacije.
POVZETEK: O ZBIRKI KOPRSKIH VZDEVKOV - Zbirko koprskih
vzdevkov so zaceli sestavijati leta 1970, leta 1995 je bila nato
prepisana s pomoèjo radunalnika. Iz zbirke, ki vsebuje preko tri
tisoè kartic z vzdevki in z njihovimi anegdotami, razlagami, itd., so
izvlekli visto primerov vzdevkov, ki so povezani z ’postavo“
odgovarjajoèih oseb. Razporejeni so v strogem abecednem redu;
vzdevku sledi oznaka s tremi èrkami, ki sluZi statistiénim ciljem in
ki se v spodaj navedenih primerih seveda malo razlikuje, saj so vsi
v glavnem oznaîeni z (OFN), kjer prva érka predstavlja VRTSO:
Olseba]; druga predstavija VZROK: Fligura]; tretja pa ETIMON:
N[areèje]. Dalje sledi istovetenje osebe, opis vzroka, ki je privedel
do vzedvka, njegova etimologija (ponekod jezikovno zelo zanimiva)
ter zgodovinska dogajanja, ki so ga porodila. V celoti so objavljeni
zapisani viri ter anekdote, ki so bile zbrane med ZiveCimi pricami,
vsaka s svojo znaéilnostjo izrazanja, ki se razlikuje glede na starost,
mestno Cetrt, stan.
L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi caprdamani, Ati, vol XXXL 2001, p. 279-306 6
Zanimivost teh vzdevkov preseze navadno karikaturno-folklori-
stiéno podroèéje in prevzema izredno zanimive jezikovne konotacije.
TRADIZIONE E INNOVAZIONE NELL’ARCHITETTURA
SACRA MEDIEVALE - ALCUNI ESEMPI ISTRIANI*
DAMIR DEMONIJA CDU 726(497.5-3Istria)"”"653”
Institut za povijest umjetnosti Saggio scientifico originale
(Istituto di storia dell’arte) Settembre 2001
Zagabria
Riassunto — L'architettura sacra istriana del Basso Medio Evo, ovvero dell’epoca di passaggio
dal romanico al gotico, è contraddistinta da un forte tradizionalismo. L'elemento nuovo che si
presenta nell’architettura sacra tardomedievale dell’Istria e che annuncia la nuova epoca gotica,
è rappresentato dalla volta, che qui il romanico né conosce né impiega. Gli esempi forniti dalle
chiese di S. Nicolò a Dobrova presso Albona, di S. Elia presso Duecastelli, di S. Antonio Abate
a Gimino e della Madonna del Carmine a Fasana attestano i modi in cui il problema delle
costruzioni a volta veniva risolto, mentre nella chiesa della Madonna del Lacuzzo, presso
Duecastelli, il passaggio al gotico si appalesa nella tecnica muraria che applica dettagli gotici di
nuovo conio.
Solamente alla fine del secolo XIII e nella prima metà del secolo XIV appaiono nell’architettura
istriana le volte e sono per lo più cuspidate a botte.
Le volte in quanto unico elemento nuovo possono essere ritenute indice sicuro della graduale
penetrazione del gotico nell’architettura sacra del territorio istriano. Le volte sono, accanto alla
planimetria tradizionale, l'elemento nuovo che si affaccia nell’architettura sacra istriana al
passaggio dal romanico al gotico.
L’epoca medievale, che nel territorio dell’ Istria croata comprende il lasso
di tempo che va dall'XI al XIV secolo, nel campo dell’architettura sacra è
contraddistinta dalla costruzione nelle città, nelle loro immediate vicinanze e
nel circondario rurale, di piccole cappelle. Si tratta, nella maggior parte dei
casi, di chiese uninavate a pianta rettangolare, nel cui ambito distinguiamo i
tipi con abside o con abside inscritta e le loro varianti. Dato l’ambiente rurale
* Le illustrazioni 1-2 sono riprodotte dal contributo di A. Mohorovitié, “Problem tipoloske klasifikaci je
objekata srednjovjekovne arhitekture na podruèju Istre i Kvarnera”, Ljetopis JAZU, Zagabria, lib. 62, 1957,
mentre le fotografie 3-11 sono di Nelo Grbac, in quanto è stato impossibile avere dall'autore c dall’ Istituto
di storia dell’arte di Zagabria le illustrazioni originali del presente saggio.
308 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale tnana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328
in cui sorgono, una loro analisi completa non può fondarsi esclusivamente su
considerazioni stilistiche, vanno bensî valutati, adesempio, i moduli tipologici,
la loro presenza e continuità, quindi le dimensioni, le diverse tecniche murarie
o, anche, singoli dettagli architettonici. Infatti, alla fine del secolo XIII e nella
prima metà del secolo XIV, periodo in cui il romanico mandava i suoi ultimi
bagliori e lo stile gotico si andava gradatamente consolidando, nell’architettura
sacra istriana vengono reiterate le semplici planimetrie di forma quadrata con
absidi aggettanti o inscritte, ma in alcune chiese fanno la loro comparsa, come
nuova soluzione architettonica, le volte a botte o cuspidate a botte. Gli esempi
di chiese che meglio lo illustrano saranno elaborati più a fondo: S. Nicolò di
Dobrova presso Albona, S. Elia presso Duecastelli, S. Antonio Abate a Gimi-
no, la Madonna del Carmine a Fasana e la Madonna del Lacuzzo di Duecastelli,
che ha un’armatura del tetto in legno, ma anche elementi stilistici più spicca-
tamente gotici.
***
Un posto a parte nel gruppo di chiese a navata unica con abside semicir-
colare inscritta spetta a quella di S. Nicolò a Dobrova, a settentrione di Albona.
Fig. 1.- Chiesa di S. Nicolò a Dobrova - esterno.
D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istnana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 309
È orientata in maniera irregolare, con l’abside che dà a nord e la fronte a sud,
di proporzioni modeste e armoniche, la massa cubica compatta. È stata costrui-
ta con pietre allungate disposte in corsi irregolari, mentre gli angoli sono
rinforzati da pietre più grosse; l’altezza di una pietra angolare corrisponde
all’altezza di due corsi. L'esterno è senza intonaco.
Sull’asse della facciata si apre un portale dagli stipiti monolitici sovrastati
da pietre squadrate disposte radialmente; nella chiave di volta è scolpita entro
un cerchio una croce greca. La facciata terminava con un campanile a vela di
cui rimane solamente il basamento. Nel settore meridionale dei muri perimetrali
a este a ovest si aprono due strette finestrelle semicircolari con nicchia profilata
obliquamente da pietre squadrate. Il muro meridionale è piano e senza vuoti.
La navata a pianta rettangolare con volta a botte termina con un’abside
inscritta doppiamente profilata da un arco trionfale. La specificità di S. Nicolò
è la navata a volta, che compare molto di rado nell’architettura sacra dell'Istria,
dove la maggior parte delle chiese di quell’epoca ha l’armatura a vista o il
soffitto di legno. Per quanto di modeste dimensioni, l’interno della chiesa di S.
Nicolò appare monumentale. Su cinque paia di pilastri, addossati alle pareti
longitudinali della navata, si allacciano le nervature portanti il soffitto a botte.
I pilastri sono disposti a intervalli regolari suddividendo lo spazio interno in
quattro campate. Nei punti in cui le nervature si allacciano ai pilastri ci sono
imposte di forma quadrata, dalle quali spiccano gli archi che uniscono fra di
loro i pilastri, creando una serie di nicchie semicircolari lungo le pareti
perimetraili longitudinali.
La tecnica costruttiva, che fa ricorso a pietre squadrate bislunghe, ordinate
in corsi di diversa altezza, e i dettagli delle aperture indicherebbero il tardo
romanico della fine del secolo XIII e inizio del secolo XIV.
Della chiesa di S. Nicolò si sono occupati a fondo B. Futié', A. Mohoro-
viéié@ e B. Marusié. Le loro conclusioni circa l’eccezionalità dell’edificio,
comprovata dalla soluzione della volta e dal suo inserimento in un interno di
! B. FUCIC, “Izvjestaj o putu po Istri 1949. godine” /Relazione di un viaggio per l’Istria nel 1949/,
Ljetopis JAZU /Annuario JAZU - Accademia jugoslava delle arti e delle scienze/, libro 57, Zagabria, lib. 57
(1953), p. 67-141.
2 A.MOHOROVICIC, “Problem tipoloske klasifikacije objekata srednjovjekovne arhitekture Istre i
Kvarnera” /Il problema della classificazione tipologica degli edifici dell’architettura medievale dell'Istria e
del Quarnero/, Ljetopis JAZU, cit., lib. 62 (1957), p. 486-536.
3 B. MARUSLG, “Istarska grupa spomenika sakralne arhitekture s upisanom apsidom” /Il gruppo
istriano di monumenti dell’architettura sacra con abside inscritta/, Histria Archaeologica, Pola, V, 1974, fasc.
1-2, p. 20-21.
310 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328
Fig. 2. — Chiesa di S. Nicolò a Dobrova - pianta.
modeste dimensioni, sono assolutamente condivisibili. Nel caso dunque della
chiesa di S. Nicolò di Dobrova, presso Albona, la tradizione emerge proprio
dalla caratteristica soluzione architettonica conferita a una piccola chiesetta a
navata unica con abside semicircolare inscritta, mentre la novità è rappresentata
dalla volta a botte sostenuta da pilastri collegati da nervature e cornicioni. Così
organizzato il piccolo interno crea un’impressione visiva di monumentalità.
La chiesa di S. Elia, un tantino rustica, regolarmente orientata, si trova nel
Canalone di Canfanaro, su un’altura a oriente di Duecastelli*. È piuttosto
piccola, costruita con pietre squadrate a opera incerta e senza intonaco. Al
* Della chiesa di S. Elia presso Duecastelli hanno scritto gli studiosi nostrani: A. MOHOROVICIÉ,
op. cit., p. 521-522; IDEM, “Prikaz specifiéne interpolacije gotitke konstrukcije svoda u romaniéke objekte
na podruèju juzne Istre i otoka Cresa* /Rappresentazione della specifica interpolazione della struttura gotica
della volta nelle costruzioni romaniche nell’area dell’Istria meridionale e dell’isola di Cherso/, Ljetopis
JAZU, cit., lib. 63 (1959), p. 509-531; A. SONIE, Crkvena arhitektura zapadne Istre /L'architettura
ecclesiale dell’Istria occidentale/, Zagabria-Pisino, 1982, p. 191.
D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Affi, voL XXXI, 2001, p. 307-328 311
Fig. 3.— Chiesa di S. Elia, Duecastelli - esterno.
(Foto di N. Grbac)
centro della fronte spicca un portale rettangolare, racchiuso da massicci stipiti
e da un architrave su cui è scolpito l’anno 1442, che è quello della ristruttura-
zione gotica. Sopra l’architrave c’è un arco di scarico fatto di piccole pietre
tutte uguali e, sovrastante il portale, una finestrella a forma di croce greca. Agli
angoli della fronte e del muro posteriore vi sono piccole mensole sagomate, che
sostengono la gronda del tetto. La facciata terminava con un campanile a vela
di cui rimane soltanto il piedistallo. I muri longitudinali perimetrali sono pieni,
mentre da quello posteriore sporge una piccola e bassa abside, senza finestre,
dalla semicalotta ricoperta di piccole lastre di pietra.
In S. Elia la soluzione degli interni è molto simile a quella della chiesa di
S. Nicolò di Dobrova presso Albona. Infatti l’interno è coperto da una volta
cuspidata a botte, costruita su semicolonne collegate da arcate. Le semicolon-
ne, che fungono da elementi portanti, sono addossate alle pareti longitudinali
formando delle nicchie che animano l’interno ampliandolo visivamente.
Anche nell’esempio di S. Elia presso Duecastelli si tratta dunque di una
chiesa dalla pianta romanica usuale, rettangolare, con un’abside semicircolare,
312 D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istrnana, Affi, vol XXXI, 2001, p. 307-328
Fig. 4.— Chiesa di S. Elia, Duecastelli - interno.
(Foto di N. Grbac)
D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXX], 2001, p. 307-328 313
all’interno sovrastata da una volta cuspidata a botte, sostenuta da pilastri e archi
trasversali. A giudicare dalle strutture la chiesa venne costruita all’inizio del
XIV secolo e la volta è risultato del progetto originale.
Soluzioni simili a quella d S. Elia di Duecastelli si ritrovano anche in
alcune chiese istriane del periodo gotico, come ebbe a rilevare, fra i primi,
Mohorovicié®.
L'altra chiesa, quella di S. Antonio Abate di Gimino$, orientata in direzio-
ne est-ovest, si trova proprio nel borgo. È opera di un architetto straniero, il cui
nome, Amirigus, e l’anno di costruzione, il 1381, sono incisi sulla facciata, sul
lato meridionale del portale. La chiesa è mononave, a pianta rettangolare,
costruita con grandi pietre squadrate con una certa cura, disposte a corsi
regolari. Sopra il portale spicca una grande finestra rotonda. Sulle finestrelle
del muro meridionale si sono conservate delle transenne lavorate a scalpello.
Un’abside quadrangolare inscritta si trova accanto alla parete orientale. La
navata e l’abside hanno la volta cuspidata a botte, mentre sulle pareti laterali vi
sono delle nicchie. Esse sono il risultato della soluzione edile adottata nella
costruzione della volta, la quale poggia su pilastri che hanno la funzione statica
di preservare i muri perimetrali dalla spinta orizzontale della copertura. A parte
la loro funzione tecnica, le nicchie servono ad articolare e ad ampliare visiva-
mente il piccolo interno.
La stessa soluzione, con le nicchie sulle pareti laterali, si incontra nelle
chiese di S. Elia presso Duecastelli e di S. Martino a Peroi. Sono interessanti
in proposito le considerazioni di A. Mohorovidié circa l’origine delle nicchie.
Prendendo in considerazione due possibilità, egli ritiene — secondo la prima —
che la costruzione gotica di S. Antonio Abate potesse avere una navata dalla
semplice planimetria quadrilatera, ricoperta da un tetto di legno a due spioven-
5 La soluzione adottata per l'interno della chiesa di S. Elia presso Duecastelli influì, ad esempio, sulla
costruzione delle chiese tardogotiche di S. Martino a nord di Peroi e di S. Antonio Abate di Gimino. Nella
chiesa di S. Martino, quadrangolare e priva di abside, sulle pareti laterali sono state eseguite nicchie identiche
a quelle della chiesa di S. Elia, solo meno profonde, perché furono realizzate contemporaneamente ai muri.
Anche nel caso dei muri laterali della chiesa di S. Antonio Abate, quadrangolare con abside quadrangolare
inscritta, muri che sostengono una volta cuspidata a botte, la soluzione adottata fu quella delle nicchie, ed è
il risultato del progetto originale. Per maggiori dettagli vedere: A. MOHOROVICIC, “Prikaz specifiéne
interpolacije”, cit., p. 526-527.
© Della chiesa hanno scritto A. MOHOROVICIC, “Prikaz specifiéne interpolacije”, cit., p. 526-528, e
A. SONIJE, op. cit., p. 190.
Fis
D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 315
Fig. 6 - Chiesa di S. Antonio, Gimino - interno e abside.
(Foto di N. Grbac)
316 D. DEMONJA, Tradizione nell’architetura sacra medievale istriana, Ami, vol XXXI, 2001, p. 307-328
Fig. 7- Chiesa di S. Antonio, Gimino - interno, nicchie.
(Foto di N. Grbac)
D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Adi, vol XXI, 2001, p. 307-328 317
ti, con abside inscritta dalla volta cuspidata’. In tal caso la volta cuspidata
soprastante la navata principale, sorretta da tre pilastri per parte, potrebbe
ritenersi un’interpolazione più recente. Invece, in base alla seconda possibilità,
che Mohorovitié ritiene più accettabile* (e lo penso anch'io), l'assetto interno
di S. Antonio Abate così come ci si presenta, dove si è ricorso al rinforzo
interno tramite pilastri per garantire la staticità delle pareti laterali sotto la
spinta della volta, è quello originale.
Orientata regolarmente, la chiesa della Madonna del Carmine, a Fasana, è
situata al centro dell’abitato, su una curva, a nord della strada che conduce a
Peroi”. È stata costruita con pietre squadrate regolari, legate assieme dalla
malta e disposte in corsi di diversa altezza. Non è intonacata, sicché la tecnica
edile è a vista. La porta è posta sull’asse della facciata ed è senza stipiti; vi
spicca un grande architrave monolitico semicircolare, al cui centro c’è un
bassorilievo raffigurante un cerchio con la croce. A meridione della porta, nel
punto in cui si inizia l'architrave, è murata una grande acquasantiera rotonda
di pietra. A nord e a sud della porta ci sono delle finestrelle, una per lato e, come
la porta, non sono incorniciate. Di fronte alla facciata c’è una grande loggia con
parapetto aperto solamente a occidente. Dal muro si alzano otto colonne dalla
massiccia base quadrata e tronca e dai tozzi capitelli a dado, nonché due
semicolonne, proprio accosto alla facciata, una per lato del parapetto. Esse
sostengono il tetto a capanna della loggia, che è tegolato. Il pavimento è
ricoperto di pietre di varia grandezza. In cima alla facciata, sullo stesso asse,
svetta su un basso piedistallo il campanile a vela, a una luce, con campana.
Formano il campanile due piedritti uniti in un arco sottolineato da una semplice
bordatura plastica. È coperto da un tettuccio di lastre litiche a due spioventi,
sulla cui cima c’è un acroterio di pietra a forma di palla. L'arco non è
emisferico, bensì si spezza in cima.
Il muro meridionale presenta due finestre. Quella situata nella metà occi-
dentale è più piccola, a semicerchio, senza cornice; ad est della stessa, alla
medesima altezza, ce n’è un’altra più grande e quadrata. Il muro settentrionale
? A.MOHOROVICIC, “Prikaz specifiène interpolacije”, cit., p. 527.
8 IBIDEM, p. 528.
° Della chiesa ha trattato A. MOHOROVICIC, “Problem tipoloske klasifikacije”, cit., p. 517-518;
IDEM, “Prikaz specifiéne interpolacije”, cit., p. 524.
318 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Affi, vol. XXXI, 2001, p. 307-328
Fig. 8 Chiesa della Madonna del Carmine, Fasana - esterno.
(Foto di N. Grbac)
si apre invece solo nella metà orientale con una finestra a forma di quadrilatero.
La struttura della facciata che guarda a oriente differisce un tantino da
quelle degli altri muri. I corsi inferiori sono composti da pietre più piccole e
irregolari. Il resto del muro è costruito con pietre squadrate regolari, legate da
un sottile strato di malta e disposte in corsi di diversa altezza. In cima al
timpano c’è una pietra con un bassorilievo raffigurante una croce.
L’interno è una semplice aula, dalla pianta rettangolare, priva di abside. I
muri sono intonacati e affrescati, ma degli affreschi rimangono solamente
pallide tracce. Lungo l’asse della parete orientale è stata di recente aperta una
nicchia semicircolare poco profonda, di fronte alla quale, su un basso basamen-
to di pietra, è collocata la mensa d’altare in pietra. Sotto ogni finestra quadrata
si trova un piccolo ciborio anch'esso quadrato. La volta a botte in alto è
leggermente cuspidale.
La struttura del vano della porta, senza cornice, con quel grande architrave
monolitico a semicerchio, come pure quella della finestra sul muro meridiona-
le, anche questa senza cornice e con un architrave semicircolare ricavato da
D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Ati, voll XXXI, 2001, p. 307-328 319
Fig. 9- Chiesa della Madonna del Carmine, Fasana - interno.
(Foto di N. Grbac)
32%) D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXX), 2001, p. 307-328
un’unica pietra, indicherebbero il romanico. Tuttavia, la semplice planimetria
quadrata, priva di abside, e la muratura in pietre squadrate regolari sono
caratteristiche del periodo gotico. La mescolanza di questi elementi lascia
supporre che la chiesa risalga al periodo di transizione fra i due stili, ovvero
alla fine del secolo XIII o alla prima metà di quello successivo.
Per eseguire la volta cuspidata a botte le pareti longitudinali furono
rinforzate con un altro strato murario, che è visibile nei punti in cui furono
aperte le finestre laterali. Con ciò lo spazio interno venne ridotto, ma non in
maniera determinante. Già A. Mohorovièié aveva constatato che, a causa della
costruzione della volta cuspidata a botte, in questa chiesa fasanese era avvenuta
un’interpolazione di nuovi muri laterali entro il vecchio perimetro. A suffra-
garlo aveva scoperto i due distinti strati di parete longitudinale, nei punti in cui
erano state perforate le finestre laterali, su ambedue i lati della mensa!’ La
chiesa fasanese della Madonna del Carmine è un caso pressoché unico in
territorio istriano, una chiesa in cui per costruire la volta venne effettivamente
ridotta la larghezza dell’interno con l’aggiunta di nuove pareti.
Anche la chiesa della Madonna del Lacuzzo, nel camposanto di Duecastel-
li, lungo la strada che a ovest di quest’ultima conduce al villaggio di Morgani,
è orientata in maniera regolare e rivela una planimetria tradizionale, tipica del
periodo romanico, ma con elementi più spiccatamente gotici!'.
È costruita con pietre squadrate lavorate grossolanamente, allineate in
corsi regolari. Al centro della facciata la porta rettangolare è cinta da quattro
stipiti di pietra, dagli spigoli arrotondati verso l’interno. Sopra l’architrave c’è
una piccola edicola della stessa larghezza, poggiante su mensole dai bordi
semplici. È racchiusa da due montanti piani aggettanti, riuniti in alto da un
timpano triangolare che, nella parte inferiore, presenta un arco leggermente
cuspidato. La facciata è rialzata da un campaniluccio a vela dal timpano
triangolare con una bifora per le campane.
!0 IDEM, “Problem tipolo8ke Klasifikacije”, cit., p. 518; IDEM, “Prikaz specifiéne interpolacije”, cit.,
p. 524.
!! Della chiesa della Madonna del Lacuzzo presso Duecastelli hanno trattato gli studiosi nostrani: A.
MOHOROVICIC, “Problem tipoloske klasifikacije”, cit., p. 510 e 518; B. FUCIC, /starske freske /Gli
affreschi istriani/, Catalogo, Zagabria, 1963, p. 18: IDEM, “Hibridno i folklorno u ikonografiji. Zapazanja
na spomenicima Istre, otoka Krka i Slovenije” /L’ibrido e il folklorico nell’iconografia. Osservazioni
attinenti ai monumenti dell'Istria, dell’isola di Veglia e della Slovenia/, Zbornik za umetnostno zgodovino
Miscellanea di storia dell’arte/, Lubiana, N. S., vol. XIII, p. 136; B.MARUSIC, op. cit., p. 20 A. SONIE,
op. cit., p. 189.
D. DEMONJA, Tradizione nell'architettura sacra medievale istriana, Asi, voL XXXI, 2001, p. 307-328 321
Fig. 10-- Chiesa della Madonna del Lacuzzo, Duecastelli - esterno.
(Foto di N. Grbac)
Nella parte orientale del muro di settentrione si colloca, piuttosto in alto,
una finestrella leggermente cuspidata, la cui transenna è un tutt'uno con la
comice. Nella parte orientale del muro perimetrale a sud c’è una finestra
piuttosto grande, arcuata, dai lati strombati verso l’interno. Si trova esattamen-
te dirimpetto alla finestra del muro settentrionale, di cui è probabilmente più
antica, ed è stata successivamente ampliata. Nella parte occidentale di questo
muro è stata inserita una porta dalla semplice cornice formata da tre transenne.
Il muro posteriore è pieno.
La chiesa è a pianta rettangolare con un’abside semicircolare inscritta. Il
suo arco semicircolare poggia su semplici imposte di pietra. Sullo stesso asse
dell’abside sorge l’altare. L’interno è intonacato, dipinto, con affreschi nell’ab-
side, sulla parete orientale e nella parte orientale delle pareti settentrionale e
meridionale, ognuna delle quali presenta un campo illustrato su due fasce
orizzontali, con drappeggi ornamentali in fondo. Sugli affreschi sono incise
parecchie date e graffiti. Sul lato destro dell’arco trionfale è incisa una scritta
con l’anno 1487, il che lascia intendere che la chiesa venne affrescata prima di
quella data. Oltre che all’ interno, la chiesa è affrescata pure sulla facciata, sulla
D. DEMONIA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 323
superficie sotto l’edicola, che molto probabilmente venne costruita proprio a
protezione del dipinto.
Come tipologia la chiesa della Madonna del Lacuzzo offre una pianta
tradizionale, romanica, con un’abside semicircolare inscritta. Sono invece di
carattere gotico le piccole finestre leggermente cuspidate, situate in alto nel
settore orientale del muro di settentrione, nonché l’opera muraria eseguita con
pietre squadrate regolari, disposte in corsi orizzontali altrettanto regolari.
Come datazione si può risalire alla prima metà del secolo XIV, con un limite
temporale massimo determinato dagli affreschi dipinti prima del 1487, anno
scalfito nel settore meridionale del muro orientale. La chiesa non ha soffitto,
bensì un’armatura in legno a vista. È interessante proprio per la più marcata
presenza di elementi gotici, peraltro alquanto scarsi negli edifici sacri del
medio evo.
***
In Istria, il patrimonio architettonico sacro del Medioevo è prevalentemen-
te costituito da piccole chiesette — cappelle — , distribuite nelle campagne. Una
loro determinazione cronologica precisa è ardua proprio a causa delle loro
caratteristiche e dell’ambiente in cui sono situate. La penisola istriana è
caratterizzata da un pronunciato tradizionalismo, il quale, una volta assunti
determinati moduli tipologici architettonici, li reitera a lungo. Poiché un tipo
di architettura non va ricollegato ai cambiamenti stilistici, né alla tecnica
muraria, che non è una categoria stilistica — nonostante che la maggioranza
degli studiosi, in mancanza di altri argomenti, se ne sia servita per stabilire una
datazione —, è indispensabile individuare altri elementi in grado di farci inten-
dere uno stile e di determinare una datazione. In Istria una datazione precisa
delle chiese è resa difficile sia dall’inesistenza, o dall’esistenza in minime
quantità, di documenti inerenti agli edifici sacri di epoca medievale, sia dall’as-
senza di elementi morfologici.
Come qualsiasi altro stile, anche il romanico ha avuto alcuni tardivi
rigurgiti alla fine del secolo XIII e nella prima metà di quello successivo. Mi
sembra che proprio gli esempi trattati illustrino alla perfezione l’architettura
del periodo considerato. Essi dimostrano che nel basso Medio Evo, ovvero nel
periodo di transizione dal romanico al gotico, la tradizione in architettura era
rappresentata da soluzioni tipologiche protrattesi per tutto il Medio Evo.
L’elemento nuovo, che compare nell’architettura sacra tardomedievale
324 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Amii, vol XXX1, 2001, p. 307-328
dell’Istria e che annuncia la nuova era gotica, è la volta, che il romanico non
conosce 0 non impiega. Nell’architettura istriana le volte fanno la loro appari-
zione appena alla fine del secolo XIII e nella prima metà del secolo XIV e sono
per lo più volte cuspidate a botte. Siccome la struttura a volta limita le campate,
la larghezza delle chiese viene contenuta mentre ne aumenta l’altezza. Nei casi
trattati, con l'eccezione della Madonna del Carmine di Fasana, la larghezza non
ha subito cambiamenti, essendo sufficiente a un particolare tipo di riduzione.
A causa delle modeste dimensioni interne, gli artefici non osavano intervenire
nel contenitore dell’ambiente per rinforzare i muri portanti con nuovi muri
pieni, bensì ricorrevano ai pilastri, che fungevano non solo da elemento
portante ma anche decorativo. Il loro impiego ha contribuito ad articolare lo
spazio interno, perché la loro dislocazione e reciproca distanza creano delle
nicchie che arricchiscono e vivacizzano le pareti longitudinali, conferendo allo
spazio un’impressione di maggiore ampiezza. Solo nella chiesa della Madonna
del Carmine, a Fasana, la larghezza dell’interno è stata di fatto ridotta con
l’aggiunta di nuovi muri messi a rinforzare i precedenti, cui sono stati addos-
sati.
Gli elementi tradizionali dell’architettura sacra medievale dell’Istria sono
dei tipi architettonici. È impossibile spiegarli se non se ne hanno presenti i
fruitori, perché i due fattori sono reciprocamente dipendenti. Il destinatario
delle piccole chiesette è una comunità rurale, che non dispone di grandi mezzi
finanziari, che è statica e legata alla terra. È una comunità che dipende dagli
avvenimenti locali ed è perciò fedele alle tradizioni. I suoi membri soddisfano
le proprie esigenze religiose in spazi loro confacenti, in chiese semplici e di
piccole dimensioni, arredate col minimo indispensabile al culto, dalle conno-
tazioni spiccatamente tradizionali e spesso prive di caratteristiche stilistiche
ben definite. Hanno tratti stilistici più perspicui solamente le chiese che
sorgono negli abitati rurali, mentre le altre, che sono più numerose, ripetono i
moduli tradizionali, li conservano e li tramandano nel tempo. Tuttavia la loro
importanza, apparentemente modesta, non va sottovalutata, perché anche cosî
come sono riflettono l’ambiente che le circonda. L’impiego di vecchie plani-
metrie e di morfologie collaudate, accanto a qualche elemento nuovo, la dice
lunga sui fruitori di quelle chiese. Dunque, la tipologia architettonica sacra
deriva dall’ambiente in cui si manifesta, ovvero dalle esigenze e dai costumi,
dalle necessità estetiche dei suoi committenti-destinatari, indipendentemente
dallo stile in auge.
In una comunità rurale la tipologia è una costante che raramente soggiace
D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 325
a cambiamenti e che perdura nel tempo. Se la si considera dall’aspetto dello
stile, si può notare che una costante tipologica, caratteristica di un determinato
periodo di tempo, quando usata in quello seguente è per lo più ritenuta un
ritardo. Gli esempi di chiese medievali istriane che mantengono il vecchio
modulo tipologico dimostrano che un tipo architettonico non deve essere
considerato come elemento o categoria stilistici. In un ambiente di campagna,
come già detto, a causa della sua chiusura, le soluzioni più abituali si manten-
gono a lungo. E dato che dette soluzioni, in questo caso tipi architettonici,
adempiono al loro compito in funzione delle necessità liturgiche fondamentali,
esse non mutano e durano nel tempo. L’uso ovvero la continuità di un determi-
nato modulo tipologico non rappresenta un ritardo, ma esclusivamente l’ appa-
gamento delle più elementari necessità funzionali.
Il tradizionalismo di una comunità di provincia, e quindi anche di quelle
rurali, si riflette inoltre sul piano stilistico. Le forme delle chiese istriane
introducono solo raramente, come nel caso della volta, cambiamenti stilistici
permanenti.
Date quindi la planimetria tipicamente e tradizionalmente romanica e
l’assenza, pressoché totale, di elementi stilistici, le volte, in quanto unico
elemento nuovo, si possono ritenere indice certo della graduale penetrazione
del gotico nell’architettura sacra istriana. Le volte, la loro struttura e lo speciale
modo in cui vengono risolte le spinte laterali, privilegiando la funzionalità ma
non a danno della qualità dello spazio, sono, accanto alle soluzioni planimetri-
che tradizionali, l'elemento nuovo dell’architettura sacra istriana al passaggio
dal romanico al gotico, che richiede maggiori approfondimenti.
326 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, vol XXXI, 2001, p. 307-328
SAZETAK: TRADICIONALNO I INOVATIVNO U SREDNIEVIE-
KOVNOJ SAKRALNOJ ARHITEKTURI. NEKOLIKO PRIMJERA IZ
ISTRE - Sakralnu arhitektonsku bastinu Istre u razdoblju kasnog
srednjeg vijeka, odnosno prijelaza romanike u gotiku, obiljezava jak
tradicionalizam koji jednom usvojene arhitektonske tipolo$ke obrasce
zadrZava dugo kroz vrijJeme. Novi element koji se javlja u istarskoj
kasnosrednjevjekovnoj sakralnoj arhitekturi, i navjeséuje novo, gotiéko
doba, jesu svodovi koje romanika ovdje ne poznaje ili ne
upotrebljava. Primjeri crkava S. Mikule u Dobrovi kod Labina, Sv.
Ilije kod Dvigrada, Sv. Antuna u Zminju i Sv. Marije od Karmela
u Fazani pokazuju natine rje$avanja svodnih konstrukcije, dok se
na crkvi Sv. Marije “od Lakutéa” kod Dvigrada, uz tipièéno romanidki
tlocrt prijelaz prema gotici odituje u gotiékoj tehnici zidanja s
primjenom novorazvijenih gotièkih detalja.
Tradicionalni elementi u srednjevjekovnoj sakralnoj arhitekturi u
Istri jesu arhitektonski tipovi. Njih je nemogute tumadtiti bez
odredenja korisnika jer su ove dvije èinjenice u medusobnom
zavisnom odnosu. Korisnik malih crkava je ruralna zajednica koja
ne raspolaze veéim financijskim sredstvima, a obiljeZavaju je
statièénost i vezanost za zemlju. Ta je zajednica determinirana
lokalnim dogadajima te je stoga orijentirana na tradiciju.
U ruralnoj zajednici tipologija je konstanta koja je rijetko
podlozna promjenama i kontinuira kroz vrijeme. Ako se ona
promatra u svezi sa stilom, uoéava se da se tipolo$ka konstanta
karakteristiéna za jedno vremensko razdoblje, koristena u slijedetem,
uglavnom, odreduje kao retardacija.
Tradicionalizam provincijske, pa samim tim i seoske zajednice,
oslikava se i u stilskom pogledu. Oblici istarskih crkava prate kontinuirane
stilske izmjene samo u rijetkim zahvatima, primjerice u pojavi svoda.
Dakle, s obzirom na tipièéno tradicionalne romanitke tlocrte i
gotovo nepostojanje stilskih elemenata, svodovi kao jedini novi
element mogu se smatrati sigurnim pokazateljem postupnog prodora
gotike u sakralnu arhitekturu istarskog prostora. Svodovi, njihova
konstrukcija i narotiti natin rjeSavanja boènih potisaka s naglaskom
na funkcionalnosti i ne na ustrb kvalitete prostora, novi je element
uz tradicionalno koristenje tlocrtnih rjeSenja sakralne arhitekture na
istarskom prostoru na prijelazu iz romanike u gotiku.
D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Ami, voL XXX], 2001, p. 307-328 327
POVZETEK: TRADICIJE IN INOVACIJE V. SREDNJEVESKI
CERKVENI ARHITEKTURI - NEKAJ ISTRSKIH PRIMEROV - Za
istrsko cerkveno arhitekturo poznega srednjega veka, to je v dasu
prehoda iz romanike v gotiko, je znafdilen motan tradicionalizem,
po katerem so se nekateri Ze prevzeti arhitekturni tipoloSki vzorci
ohranjali $e dalj ©asa. Oboki predstavljajo novi element, ki se pojavi
v istrski pozno srednjeveski cerkveni arhitekturi in ki naznanja novo
dobo gotike. Romanika v teh krajih jih ni poznala ali jih ni
uporabljala. Primeri cerkev Sv. Nikolaja iz Dubrove pri Labinu, Sv.
Elie pri Dvigradu, Sv. Antona Opata v Zimnju in Karmenske Matere
Bozje v Fazani nam razkrijejo naéin, s katerim so resevali problem
gradnje obokov. Cerkev Sv. Marije od Lakuéa blizu Dvigrada pa je
izraz gotske obrtniske tehnike, ki je uvedla, poleg znatilne romanske
planimetrije, tudi nekatere nove gotske detajle in je s tem sprozila
prehod v gotiko.
Znaéilni elementi cerkvene srednjeveske arhitekture v Istri so
arhitekturni vzorci. TeZko jih je obrazloziti, èe ne upoStevamo njihove
uporabnike, saj sta ta dva dejavnika odvisna drug od drugega.
Majhne cerkve so namenjene podezeljskim skupnostim, ki nimajo
velikih finanénih sredstev, so zelo statiéne in imajo moéan obéutek
za zemljo. Taka skupnost je pogojena od krajevnih dogodkov in je
zato vezana na tradicije.
V podezelskih skupnostih predstavlja tipologija neko stalnico, ki
redkokdaj podleze spremembam in ki se ohranja v éasu. Ce to
upostevamo v zvezi s stilom, lahko opazimo, da ko se uporablja
tipolosko stalnico, znatilno za neko obdobje, v naslednjem obdobju,
se to smatra le za pozni element.
Tradicionalizem v podezelskem in zato tudi kmeèkem okolju se
kaze zlasti v stilu. Oblike istrskih cerkev sledijo stalnemu stilistiétnemu
spreminjanju le v redkih sluéajih, na primer pri pojavljanju obokov.
Glede na tradicijonalno romanièno planimetrijo in na skoraj
popolno pomanjkanje stilistiénih elementov, predstavljajo oboki edini
novi element in zato jih lahko smatramo za kazalce prodiranja gotike
v istrski cerkveni arhitekturi. Oboki, njihovo ogrodje ter poseben
natin resevanja problema stranskih vzgonov, ki daje prednost
uporabnosti in ki ne Skoduje kakovosti okolja, predstavljajo nov
element, ki se spaja s planimetriènimi tradicionalnimi resitvami v
328 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, vol XXXI, 2001, p. 307-328
cerkveni arhitekturi na istrskem obmoéèju na prehodu iz romanike v
gotiko.
VETRI E SCULTURE LITICHE DI EPOCA ROMANA
CUSTODITI DAL MUSEO DI SEGNA
BLAZENKA LJUBOVIC CDU 73+748(497.5Segna)"652”
Gradski Muzej Sintesi
(Museo civico) Settembre 2001
Segna
Riassunto — L’autore in questo contributo presenta il catalogo dei vetri e delle sculture litiche di
età romana che si custodiscono nel Muso civico di Segna. Con il supporto analogico e biblio-
grafico l’autore data gli esemplari catalogati, fra l’altro scoperti per lo più isolatamente e per
caso, fra il I secolo a. C. ed il IV secolo d. C.
Fra il materiale in dotazione al Museo civico di Segna ci sono alcuni
oggetti e frammenti di vetro di epoca antica. Si tratta di reperti frutto di
rinvenimenti casuali, di doni o di scoperte avvenute nel territorio di Segna in
seguito a scavi archeologici.
È risaputo che al tempo dell’Impero Romano, accanto all’arte ceramica,
la produzione vetraria rivestiva un notevole peso economico.
L’antica Senia era un importantissimo crocevia attraverso il quale le merci
più diverse, tra cui oggetti di vetro, com’è dimostrato da quelli rinvenuti
nell’area di Segna, circolavano nelle varie province dell’Impero Romano. I
vetri venivano per lo più importati dai centri produttivi italici, di cui i più
significativi erano Roma, Pompei e Aquileia. Quest’ ultimo era un forte empo-
rio produttivo e commerciale, nonché il più importante porto per lo smistamen-
to delle merci nelle diverse parti del mondo allora conosciuto. Sappiamo infatti
che nell’evo antico una delle strade principali dell'Alto Adriatico era quella
che collegava Aquileia a Tarsatica e a Senia.
Da Senia la strada proseguiva verso l’interno giapidico e così i prodotti di
vetro diventavano disponibili in tutto 1’ Impero e a tutti gli strati sociali.
In Italia, com’è attestato dai materiali scoperti nelle tombe etrusche, il
vetro era conosciuto anche prima dei Romani. All’inizio però i prodotti di
vetro giungevano nella penisola prevalentemente dall’Egitto.
330 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Soltanto nel II secolo a. C. i Romani acquisirono il processo tecnologico
per la produzione vetraria, che ebbe particolare incremento a partire dal I
secolo d. C. con l’applicazione su vasta scala della canna da vetraio. Vi
contribuì inoltre la conquista romana dell’Egitto. Da quel momento il predo-
minio di quest’ultimo nella produzione vetraria gradatamente scemò per pas-
sare a Roma. L’artigianato vetrario romano conobbe una grande espansione nel
I secolo e specie nel II secolo d. C., allorché il sistema produttivo venne
perfezionato e l’assortimento arricchito. Gli oggetti di vetro trovarono un vasto
impiego nell'economia domestica, nella medicina e in cosmetica, come pure
nei corredi funebri. Alle materie prime per la produzione della massa vetrosa,
composta da sabbia silicea e potassa o da sodio e calce, i Romani aggiungeva-
no, a una temperatura di 800-1500 gradi C, degli additivi coloranti: il cobalto
per l’azzurro, l’ossido di ferro per il rosso, il bruno e il verde, il manganese per
il violetto, l’antimonio e l’uranio per il giallo e l'arancione.
Verso la fine del I secolo e durante il II secolo d. C., accanto alle officine
italiche, sorsero in tutte le province dell’ Impero piccole botteghe di vetraio,
alcune delle quali divennero concorrenziali con Roma. Particolarmente impor-
tanti divennero i centri della Gallia e della Germania, tanto che nel III secolo e
in particolare nel IV, la Gallia assunse un ruolo predominante nel campo della
produzione e del commercio vetrari.
Nella vita quotidiana dell’uomo antico, come di quello contemporaneo del
resto, bottiglie e bottigliette di diversa forma, grandezza, colore e uso, rivesti-
vano un’importante funzione.
Il numero di oggetti annoverati dal fondo del Museo civico di Segna, per
lo più facenti parte di corredi funebri, è modesto. Assieme ad alcuni tipi di
unguentari, a un piatto-vassoio e a una serie di frammenti di bicchieri, scodelle
e boccali, troviamo una boccia cefaloide tardoantica del III/IV secolo, raffigu-
rante una testa infantile, proveniente dalla tomba (numero 12) di un bambino
situata nel sito di Varos-Dolac, cui spetta un posto particolare. Data la sua
importanza il Museo, a suo tempo, l’aveva ceduta in prestito per la mostra
romana “Vetri romani dalla Croazia”.
È difficile datare singolarmente i vetri del Museo civico di Segna, tanto
più che alcuni sono stati scoperti isolatamente e per caso. Grossomodo, su base
analogica e bibliografica, la loro datazione è situabile fra il I secolo a. C. e il
IV secolo d. C.
B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362 331
I VETRI
Bottiglietta (fig. 1)
La bottiglietta di vetro raffigurante in rilievo una testa umana, di un
bambino, è l’unico oggetto rinvenuto nella tomba n.ro 12 del sito Dolac-Varoî.
Si tratta di un vetro molto sottile, di un pallido colore gialliccio-verdognolo. Su
una base ellittica e incavata emerge un rilievo cefaloide, cioè il corpo della
bottiglia, da cui si alza il collo che si allarga a imbuto verso l’imboccatura,
l’orlo della quale è irregolarmente circolare e non è ingrossato. Il volto del
bambino è rotondo, con grandi occhi espressivi, il naso camuso e le labbra
leggermente rilevate. Su ambedue 1 lati del volto, nei punti in cui lo stampo si
unisce, sono appena rilevate le orecchie. I capelli sono resi in maniera grappo-
losa a imitazione dei riccioli.
Fig 1
332 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Vetro; dimensioni: altezza 15,5 cm, diametro del fondo 4,4-5 cm, diametro
del corpo 7,3 cm, diametro dell’orlo 4,5 cm.
Segna, IIN/IV secolo d.C.
Rinvenuta durante le ricerche archeologiche del 1978 nel sito Dolac-Varo$
di Segna.
GRADSKI MUZEJ SENJA (=GMS), /Muso civico di Segna/, 121.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Arheolo3ki nalazi iz Senja i okolice (IV)” /Rinvenimenti
archeologici di Segna e dintorni/, Senjski Zbornik (=SZ) /Miscellanea di Se-
gna/, Segna, 8, p. 185-186.
I. FADIC, “Staklena boca iz Senja s reljefnim prikazom ljudske glave” /La
bottiglia di vetro di Segna raffigurante una testa umana/, SZ, 9, p. 53-62.
Trasparenze imperiali. Vetri romani dalla Croazia (catalogo della mo-
stra), Roma, 1998, p. 119, 231.
Analogie:
V. PASKVALIN, “Kasnoanticki grobovi iz Jajca” /Tombe tardoantiche di
Jajce/, Glasnik Zemaljskog muzeja u Sarajevu (=GZMS)/Bollettino del Museo
di stato di Sarajevo/, XXV, 32-33.
V. PASKVALIN, “Antièko staklo s podruéja BiH” /I vetri antichi dal
territorio della Bosnia ed Erzegovina/, Arheolo$ki Vestnik-Acta Archaeologica
(=AV-AA), Lubiana, XXV, 25, tab. V e fig. |.
S. PETRIC, “Rimsko staklo Slovenije” /Vetri romani della Slovenia/,
AV-AA, XXV, 25, Tab. II, fig. 3.
NOTA: La bottiglietta cefaloide è stata esposta nel 1998 a Roma alla
mostra “Vetri romani dalla Croazia” e nel 2000 all’omonima mostra allestita
presso l’ Archivio di Stato di Torino.
Unguentario (fig. 2: I)
Unguentario di vetro, danneggiato, se ne è conservato il collo cilindrico,
che si rovescia orizzontalmente in un orlo anulare ingrossato; fianco tondeg-
giante. Si sono conservati anche frammenti della parte inferiore esagonale
(manca parte del corpo).
B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atî, voL XXXI, 2001, p. 329-362 333
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi | 1 cm, diametro dell’orlo 2,5 cm,
diametro del fianco 3 cm.
Rinvenuto nella tomba a urne cinerarie numero 4 nell’area dell’azienda
locale per la lavorazione del legno (di seguito: DIP) di Segna, nel 1975.
GMS 108.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I FADIC, Anticko staklo Argyruntuma /I vetri antichi di Argyruntum/,
Zara, 1986, 30, T. VI (2).
Bottiglietta (fig. 2: II)
Bottiglietta arrotondata dal corpo conico, con collo cilindrico dall’orlo
anulare, orizzontale, rovesciato e contorto e fondo concavo; orlo e parte del
collo leggermente danneggiati.
Vetro; dimensioni: altezza 10,5 cm, diametro del fondo 6 cm, diametro
dell’imboccatura 3 cm.
Segna, I/II secolo d.C.
Rinvenuta nella tomba a urne cinerarie numero 4 nell’area del DIP di
Segna nel 1975.
GMS 109.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I FADIC, Antiîko staklo Argyruntuma, cit., 22, T. II (8).
Unguentario (fig. 2: 11)
Parte di un piccolo unguentario tubolare, dal corpo leggermente conico e
dal collo cilindrico; mancante di parte del collo e dell’orlo; fondo piatto, colore
verdognolo, parte del collo cilindrica.
334 B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ar, vol XXX], 2001, p. 329-362
Fig. 2
Vetro; danneggiato; dimensioni: altezza 5,5 cm, diametro del fondo 1 cm,
diametro del collo 8 mm.
Segna, I secolo a. C.
Rinvenuto nella tomba a urne cinerarie numero 4, nell’area del DIP di
Segna, nel 1975.
GMS 110.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
V. PASKVALIN, “Antitko staklo”, ci., 110-112, T.1, fig. 1-6,T.X, fig. 1-3.
Frammento di ciotola (fig. 3)
Frammento di tazza, rotondo, dal fondo concavo con anello pronunciato e
dal piede con parte del ventre conico.
Vetro; danneggiato, dimensioni: altezza conservatasi 2 cm, altezza
dell’anello 1,5 cm., diametro del fondo 9 cm.
Rinvenuto nella tomba a urne cinerarie numero 2 nell’area del DIP di
Segna nel 1975.
B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362 335
Fig.3
GMS 111.
Bibliografia: inedita.
Unguentario (fig. 2: IV)
Unguentario dal corpo a campana e dal lungo collo cilindrico, che si
allarga a imbuto all’imboccatura, fondo impercettibilmente concavo, colore
verdognolo, intatto.
Vetro; dimensioni: 9,5 cm, diametro del fondo 2,5 cm, diametro dell’im-
boccatura 2 cm.
Rinvenuto nella tomba numero 2 nell’area del DIP di Segna, nel 1975.
GMS 112.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 38, T. IX (18).
336 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362
Bottiglietta (fig. 2: V)
Bottiglietta dal corpo conico a campana, leggermente profilato, di colore
giallino-verdognolo, che termina in un lungo collo cilindrico; mancano parte
del collo e dell’orlo e un pezzetto del fondo, che si presenta impercettibilmente
concavo.
Vetro; dimensioni: altezza 1 1 cm, diametro del fondo 3,2 cm, diametro del
collo 7 mm.
Segna, II/IV secolo d. C.
Rinvenuta nella tomba a urne cinerarie numero 2 nel 1975, nell’area del
DIP di Segna.
GMS 113.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I. FADIC, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 29, T. V (6).
Unguentario (fig. 2: VI)
Unguentario dal corpo conico arrotondato e dal lungo collo cilindrico, col
fondo appena concavo, mancante di parte del collo e dell’orlo.
Vetro; dimensioni: altezza 7,5 cm, diametro del fondo 2,5 cm, diametro
del collo ] cm.
Segna, I/II secolo d. C.
Rinvenuto nel 1975 nella tomba numero 2 nell’area del DIP di Segna.
GMS 114.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 21, T.I(19).
B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musee di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362 337
Piatto-vassoio (fig. 4)
5 ; x di x
Piatto dalle grosse pareti di vetro, a fondo piatto con piede anulare.
Sull’orlo e sotto lo stesso due manici, posti diametralmente, sagomati e asim-
metrici rispetto al vassoio, che è saldato sotto e sull’orlo, danneggiato, incollato.
Vetro; dimensioni: altezza 3,5 cm, diametro del fondo 13 cm, diametro
dell’orlo 21 cm.
Rinvenuto nel 1975 nella tomba n.ro 3 nell’area del DIP di Segna.
GMS 115.
Bibliografia: inedita.
Fig.4
Vasetto di vetro
Frammento di vasetto, col fondo integro, concavo, dal piede con anello
molto pronunciato e con parte del ventre, di colore verdognolo.
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 3 cm, altezza dell’anello 8 mm,
diametro del fondo 6 cm.
338 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Rinvenuto fra il materiale tombale nel sito di Varo$-Dolac a Segna nel
1986.
GMS 144.
Bibliografia: inedita.
Bottiglietta (fig. 5)
Bottiglietta di vetro verdino pallido, dal corpo conico panciuto, con l’orlo
rovesciato e il fondo piatto, leggermente danneggiata sull’orlo.
Vetro; dimensioni: altezza 13 cm, diametro del fondo 6,5 cm, diametro
dell’orlo 2,5 cm.
Segna, I/II secolo d. C.
GMS 145.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 20, T. I.
V. PASKVALIN, “Antiéko staklo”, cit., 113, T. Il fig. l.
Fig. 5
B. LIUBOVIÙ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, At, voL XXXI, 2001, p. 329-362 339
Bottiglietta (fig. 6)
Bottiglietta dal corpo conico profilato, dal lungo collo cilindrico, con
stacco netto fra corpo e collo, fondo concavo; colore verde; danneggiata,
mancante di parte del collo con l’orlo.
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 13 cm, diametro del fondo 7 cm,
diametro del collo 1,5 cm.
Segna, III secolo d. C.
Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento.
GMS 122.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 25, T. III (8).
V. PASKVALIN, £Antiéko staklo”, cit., 110, 114, T. III, fig. 1.
Fig. 6
340 B. LIUBOVIÙ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362
Bottiglietta (fig. 7)
Frammenti di bottiglietta dal corpo conico profilato, dal collo molto
allungato, che spicca nettamente dal corpo, di color verde, danneggiata (incol-
lata).
Vetro; dimensioni dei frammenti conservatisi: altezza 18 cm, diametro del
collo 1,5 cm.
Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento.
GMS 123.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I FADIC, Antiéko staklo Argyruntuma, cit., 25, T. III (8).
V. PASKVALIN : “Antiéko staklo”, ciz., 110, 114, T. III, fig. 1.
Fig. 7
B. LIUBOVIÙ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 3A
Unguentario (fig.8 )
Unguentario dal piccolo corpo a campana e dal lungo collo cilindrico
terminante in un’imboccatura irregolare a imbuto. Stacco netto fra corpo e
collo, fondo leggermente concavo, colore verdastro, indenne.
Vetro: dimensioni: altezza 7,8 cm, diametro del fondo 2 cm, diametro
dell’orlo 2,2 cm.
III secolo d. C.
Rinvenuto a Lukovo nel 1961.
GMS 106.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 38, T. IX (18).
Fig. 8
342 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362
Bottiglietta (fig. 9)
Bottiglietta sferica dal ventre integro, conservata fino all’altezza del collo,
a fondo piatto, di colore verdognolo, danneggiata.
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 4 cm, diametro del fondo 2,3 cm,
diametro del collo 1,2 cm.
III/IV secolo d. C.
Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento.
GMS 124.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
V. DAMEVSKI, “Pregled tipova staklenog posuda 1z italskih, galskih,
mediteranskih i porajnskih radionica na podruéju Hrvatske u doba Rimskog
Carstva” /Rasse gna tipologica dei recipienti di vetro provenienti dalle officine
italiche, galliche, mediterranee e renane nel territorio della Croazia al tempo
dell'Impero Romano/, AV-AA, XXV, 66, T. XII, fig. 2.
Fig.9
B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 343
Unguentario (fig. 10: 1)
Boccetta cilindrica per oli profumati dal corpo a goccia, a fondo piatto.
Mancante di parte del collo e dell’imboccatura, di colore verdastro, danneggia-
ta.
Vetro; dimensioni del pezzo conservato: altezza 13 cm, diametro del
fondo | cm, diametro del collo 1,2 cm.
I secolo a. C.
Rinvenuta nel 1960 presso l’ambulatorio medico di Segna.
GMS 125.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
A. CERMANOVIC - A. KUZMANOVIÒ, “Pregled i razvitak Rimskog
stakla u Crnoj Gori” /Rassegna e sviluppo del vetro romano in Montenegro/,
AV-AA, XXV, 176, T. I, fig.9, V. fig. 10.
I. MIKULCIC: “Antiéko staklo iz Scupi-a i ostali makedonski nalazi” /Il vetro
antico di Scupi e gli altri reperti macedoni/, AV-AA, XXV, 193, T. II, fig. 264.
Unguentario (fig. 10: II)
Unguentario allungato tubolare, per unguenti profumati, di colore verdogno-
lo. Danneggiato, mancante di parte del collo e dell’imboccatura. Fondo piatto.
Vetro: dimensioni del frammento conservatosi: altezza 15,5 cm, diametro
del fondo 1,2 cm, diametro del collo 1,5 cm.
III secolo d. C.
Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento.
GMS 126.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
A. CERMANOVIC - A. KUZMANOVIC, op. cit., 178, T. III, foto 18.
344 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Amî, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Piccola ampolla (fig. 10: III)
Corpo semisferico a fondo piatto e breve collo cilindrico dall’orlo rove-
sciato, incolore, danneggiato.
Vetro; dimensioni: altezza 3 cm, diametro del fondo 1,2 cm, diametro
dell’imboccatura 1,5 cm.
I secolo a. C.
Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento.
GMS 127.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I. MIKULCTG, op. cit., 193, T. II, fig. 35-36.
Unguentario (fig. 10: IV)
Unguentario danneggiato, dal corpo a campana e dal lungo collo cilindrico
che si allarga in un‘imboccatura irregolare a imbuto. Mancante del fondo e di
parte del collo con l’orlo; di colore verdastro; danneggiato.
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 8 cm, diametro del ventre 1,7 cm,
diametro del collo 8 mm.
I/II secolo d. C.
Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento.
GMS 128.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
I FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 38, T. IX (15).
I. MIKULCIC, op. cit., 195, T. VI, fig. 401-402.
Unguentario (fig.10: V)
Unguentario cilindrico dal corpo a goccia e fondo piatto; mancante di
parte del collo e dell’imboccatura; di colore verdognolo; danneggiato.
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 5 cm, diametro del fondo 1,5 cm,
B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ani, voL XXXI, 2001, p. 329-362 345
diametro del collo 1,4 cm.
I/II secolo d. C.
Ignoti il luogo e l’anno del rinvenimento.
GMS 129.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
V. PASKVALIN, “Antièko staklo”, cit., 110, 112, T.I, fig. I- 6, T. X, fig. 1-3.
Unguentario (fig. 10: VI)
Unguentario cilindrico dal corpo a goccia, dal fondo piatto; mancante di
parte del collo e dell’imboccatura; di colore verdastro; danneggiato.
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 5,5 cm, diametro del fondo 1 cm,
diametro del collo 9 mm.
III secolo d. C.
Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento.
GMS 130.
Bibliografia: inedita.
Analogie:
V.PASKVALIN, “Antièko staklo”, ciz., 110, 112, T.I, fig. 1-6, T. X, fig. 1-3.
di
È
in
î
Fig. 10
36 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Bicchiere (fig. 11)
Frammenti di bicchiere (fondo e parti dell’orlo) dalle pareti molto sottili
di vetro incolore.
Vetro; dimensioni: diametro del fondo 4 cm.
IV/V secolo d. C.
Rinvenuto nella tomba 59 nel sito di Varo$ (Dolac) a Segna nel 1986.
GMS 146.
Bibliografia:
I. FADIG, “Kasnoantiéka nekropola u Senju” /La necropoli tardoantica di
Segna/, SZ, 15, 61-62, fig. 3.
A DD
Fig. 11
B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ani, vol XXXI, 2001, p. 329-362 347
SCULTURE LITICHE ANTICHE
Capitello di colonna (fig. 12)
Capitello di colonna in stile corinzio, di ottima fattura, con foglie e volute
scolpite in rilievo. Danneggiato su un lato.
Marmo; scolpito; dimensioni: altezza 33 cm.
Rinvenuto nel terreno del signor Olivieri, in seguito del DIP di Segna, nel
1929.
GMS 2.
Bibliografia:
I. KLEMENC, “Senj u prethistorijsko i rimsko doba” /Segna nella preisto-
ria e in epoca romana/, Hrvatski kulturni spomenici. I - Senj IMonumenti
culturali croati. I- Segna/, Zagabria, 1940, 2, fig. 5.
A. GLAVICIG, op. cit. (I), 2,405.
Fig. 12
348 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Piccolo capitello di colonna (fig. 13)
Capitello di colonna, di ottima fattura, con foglie e volute scolpite in rilievo.
Marmo; scolpito; dimensioni: altezza 31 cm.
Rinvenuto nel terreno del signor Olivieri, in seguito DIP di Segna, nel 1929.
GMS 3.
Bibliografia:
J. KLEMENC, op. cit , 2, fig. 6.
A. GLAVICIO, op. cit (1), 2, 405.
Magna Mater Cibele (A) (fig. 14)
Parte inferiore di una statua togata della dea seduta in trono, con due leoni
accovacciati ai lati.
Marmo; dimensioni: altezza 72 cm, larghezza verso il fondo 57 cm.
B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture titiche nel Museo di Segna, Ali, voL XXXI, 2001, p. 329-362 349
Fig. 14
III secolo. d. C.
Rinvenuta durante le ricerche archeologiche nell’area retrostante la Catte-
drale della Beata Vergine Maria a Segna, nel 1948.
GMS 6.
Bibliografia:
I. DEGMEDZIC, “Arheoloska istrazivanja u Senju” /Ricerche archeolo-
giche a Segna/, Vjesnik za arheologiju i historiju dalmatinsku (=VAHD)
/Bollettino di archeologia e storia dalmata/, Spalato, LIII, 251.
A. GLAVICIG, op. cit (II), 3, 22-24.
J. MEDINI, “Kult Kibele u antiékoj Liburniji” /Il culto di Cibele nella
Liburnia antica/, SZ, 20, 3-32, T. I, II, V.
N. CAMBI, “Bilje$ke uz kipove Kibele (Magna Mater) iz Senja” /Note in
merito alle statue di Cibele (Magna Mater) di Segna/, SZ, 20, 33-44.
350 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litihe nel Museo di Segna, Ati, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Magna Mater Cibele (B) (fig. 15)
Parte inferiore di una statua togata della dea. In secondo piano figure
animali: il toro, la pecora, il leone e il capro.
Marmo; dimensioni: altezza 82 cm, larghezza 60 cm.
Segna, I/II secolo d. C.
Ritrovata nell’area retrostante la Cattedrale della Beata Vergine Maria nel
1967.
GMS 12.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, op. cit. (II), 3, 22-24, fig. 7.
J. MEDINI, op. cit., 20, 3-32, T. VII-IX.
N. CAMBI, op. cit., 20, 33-44.
Fig. 15
B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litche nel Museo di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362 351
Serapis (fig. 16)
La divinità egizia Serapis è raffigurata nella sua posa canonica, ovvero in
posizione seduta e di faccia. In base alle note e all’elenco del Brun$mid del
1898, sulla stretta base arrotondata (alta 0,65 cm e larga 3 cm) era scolpita in
caratteri poco profondi un’iscrizione, una tabula ansata, larga 1,45 cm, che è
andata perduta e che è stata ricostruita come segue:
Sarmenti[us] Geminus [Ser]apidi
[?D]e[o] [?Sa]nct[ 0].
Marmo; dimensioni: altezza 27 cm, larghezza 28 cm, spessore 21 cm.
Segna, III secolo d. C.
La statua di Serapis si trovava immurata come materiale di spoglio nel
muro di cinta di palazzo Vukasovié. Dal muro del cortile venne estratta nel
Fig. 16
352 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362
1955 dal conservatore dott. V. Krajaè di Segna, che la installò nel cortile
dell’Ufficio parrocchiale della stessa città. Oggi è custodita nel Museo civico
di Segna, dove si trova dal 1962.
GMS 13.
Bibliografia:
CIL, III, 15092.
J. BRUNSMID, “Arheoloske biljeske iz Dalmacije i Panonije II” /Note
archeologiche dalla Dalmazia e Pannonia II/, VHAD, ns., II, 172-173.
JKLEMENC, op. cit., 6.
A. GLAVICIC, op. cit. (V), 66-68.
IDEM, “Natpisi antiéke Senije” /Le iscrizioni di Senia antica/, Radovi
Filozofskog Fakulteta (=RFF)/Lavori della Facoltà di Filosofia/, Zara, 33 (20),
69-70.
E. LIUBOVIC, “Iscrizioni romane di Segna e dintorni”, Atti del Centro di
ricerche storiche di Rovigno, Trieste-Rovigno, XVIII (1987-88), 395-396.
Libero (Dioniso) (fig. 17)
Statua acefala in posizione eretta del giovane Libero, mancante di alcuni
pezzi. Con la mano e la gamba sinistra il dio si appoggia all'albero attorno al
quale si attorciglia la vite, con la destra sorregge la nebride traboccante di frutti
maturi e nella sinistra, che è stesa lungo il corpo, stringe un recipiente da cui
versa il vino.
Marmo; dimensioni: altezza 120 cm, larghezza 35 cm, larghezza della
base 70 cm.
Segna, II secolo d. C.
La maggior parte dei pezzi della statua furono trovati durante gli scavi
archeologici del 1972 nel sito di Stela. Nel 1995 nello stesso sito furono
rinvenute parti della gamba sinistra, il polpaccio e il piede.
GMS 19.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Izvjestaj arheolo$kog iskapanja na Steli u Senju 1972.
godine” /Relazione sugli scavi archeologici del 1972 di Stela a Segna/, SZ, 5,
462-463.
B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362 353
Fig. 17
IDEM, “Izvjesée o arheoloskom nadzoru i zastitnom istrazivanju na pro-
storu izgradnje $kolske $portske dvorane u Senju” /Relazione sul controllo e
sulla tutela archeologici nell’area edificabile della palestra sportivo-scolastica
di Segna/, SZ, 22, 34-35.
IDEM, “Nalazi vodosprema rimskodobnoga kupalisnog kompleksa u Se-
niji”” /Reperti del serbatoio del complesso balneare di epoca romana a Senia/,
RFF, 34 (21), 87.
Rilievo su lapide (fig. 18)
Il rilievo raffigura il dio bambino (Dioniso-Libero) in posizione eretta. È
circondato da grappoli, foglie e pampini di vite. Il volto è piuttosto danneggia -
to. I capelli sono ricci e mossi. Nell’angolo superiore a sinistra è incisa la lettera
M, in quello di destra sono scolpite le lettere HIO.
354 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362
Fig. 18
Calcare; scolpito; dimensioni: 47x39x10 cm.
Il rilievo era stato immurato nella casa Stani$ié nei pressi della Cattedrale
di Segna, dove è stato scoperto nel 1949.
GMS 11.
Bibliografia:
I. DEGMEDZICG, op. cit., 256.
A. GLAVICIC, “Arheoloski nalazi” (V), cit., 80-81.
Base di colonna (fig. 19)
Base quadrata tardoantica, su tre lati riccamente decorata con rilievi
raffiguranti vari animali e vegetali. Sul quarto lato è priva di decorazioni,
motivo per cui in origine certamente poggiava su un muro.
Marmo; dimensioni: altezza 59 cm, larghezza 26 cm.
B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362 355
Fig. 19
Segna, II secolo d. C.
Rinvenuta a est della Cattedrale di Segna nel 1955.
GMS 20.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Arheolo8ki nalazi” (V), cit., 70-73.
Frammento di statua raffigurante una dea (Fortuna?) (fig. 20)
Frammento di statua raffigurante una dea vestita con una tunica pieghet-
tata, ricoperta da un succinto chitone. Nella mano sinistra la dea reggeva un
oggetto; manca, invece, la destra. Purtroppo, trattandosi di un piccolo fram-
mento scultoreo, privo di elementi iconografici, è difficile affermare con
certezza di quale dea si tratti.
Marmo; dimensioni: altezza 15 cm, larghezza 13,5 cm.
Segna, II secolo d. C.
Ritrovamento avvenuto nel corso dei sondaggi archeologici per la siste-
mazione di un marciapiede in via P. R. Vitezovié a Segna, nel 1995.
GMS 63.
356 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Izvjeste o provedenim sondaznim arheoloskim
istrazivanjima pri uredenju ploènika u Ulici Pavla Rittera Vitezovica i I.
Hreljanovica tijekom veljate i ozujka 1995.” /Relazione sui sondaggi archeo-
logici eseguiti nel febbraio e nel marzo 1995 nel corso dei lavori di sistemazio-
ne dei marciapiedi in via Pavao Ritter Vitezovié e I Hreljanovié/, SZ, 22,9 e
FI 12:
Mortaio farmaceutico (fig. 21)
A Stinica, nel corso di alcuni lavori edili, gli operai trovarono un pezzo di
mortaio farmaceutico di epoca antica, dalla forma a imbuto che si restringe
verso il fondo e dall’orlo piatto, in cui è incavato un beccuccio per il versamen-
to del contenuto.
B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 357
A. fi
Fig. 21
Marmo; dimensioni: altezza 23 cm, diametro dell’orlo 18 cm.
Rinvenuto nel corso di lavori edili nel campeggio “Stinica” di Stinica nel
1975.
GMS 30.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Arheolo3ki nalazi” (V), cit., 68.
Frammenti di colonnine di ipocausto (fig. 22)
Nel sito “Stela” (Segna) sono stati rinvenuti diversi dischi di ceramica ben
cotta, legati tra loro da tracce di malta. I caratteristici mattoni sospensori,
rotondi e cubici, degli ipocausti e tubuli sono stati scoperti in località “Stela”
nel 1964, 1972 e 1995.
358 B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ati, vo XXXI, 2001, p. 329-362
Fig. 22
Ceramica; dimensioni: diametro 18-20 cm, circonferenza 62-63 cm, spes-
sore 5-5,5 cm.
Rinvenimento effettuato nel sito “Stela” durante le ricerche archeologiche
del 1972 e del 1995.
GMS 29.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Arheoloski nalazi” (V), cit., 2,410.
IDEM, “Izvjestaj arheoloskog iskapanja”, cit., 450.
IDEM, “Nalazi vodosprema”, cit., 86.
B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atî, voL XXXI, 2001, p. 329-362 359
Frammenti di pietra scolpita (fig. 23)
Frammenti di pietra, finemente lavorati e politi, su cui sono scolpiti incavi
poco profondi che fanno risaltare forme e dettagli. Resti di malta rivelano un
uso secondario.
Calcare; levigato; dimensioni variabili: altezza dai 18 ai 35 cm.
Rinvenuti nell’area di Siroka Kuntrada a Segna nel 1971.
GMS 28.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Prilozi proutavanju paleogeneze i urbanistiékog razvoja
Senja” /Contributi allo studio della paleogenesi e dello sviluppo urbanistico di
Segna/, RFF, 32 (19), 89, T. IV, 1-4.
Fig. 23
360 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ant, vol XXXI, 2001, p. 329-362
Urna di pietra con coperchio (fig. 24)
Urna di forma cilindrica, che si restringe appena dall’alto verso il basso,
lavorata in modo grossolano, con coperchio semisferico, leggermente danneg-
giato sull’orlo. Non vi sono stati trovati corredi di sorta.
Calcare; scolpito; dimensioni: altezza con il coperchio 46 cm, diametro
dell’orlo 36 cm.
Segna, I/II secolo d. C.
Rinvenuta nel 1970 durante lavori di sterro nel rione di S. Ambrogio a
Segna.
GMS 27.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Izvjestaj o arheolo$kom nalazu ranorimskih grobova u
vrtu DIP-a - Olivieri u Senju godine 1975.” /Relazione sul riventimento di
tombe della prima età romana nell’orto del DIP - Olivieri a Segna, nel 1975/,
SZ QI.
IDEM, “Arheolo$ki nalazi” (V), cit., 69.
Fig. 24
B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ant, voL XXXI, 2001, p. 329-362 31
Urna di pietra con coperchio (fig. 25)
Urna di forma conica, che si restringe dall’alto verso il basso, dotata di
massiccio coperchio semisferico. È stata scoperta a Stinica (tomba | a urne
cinerarie, mentre il materiale della tomba 2 a urne cinerarie si conserva presso
il Museo di Novi Vinodolski), durante i lavori alla costruzione di una casa.
All’interno è stato ritrovato un piccolo contenitore di terracotta con le ceneri
del defunto e il seguente corredo: monete di bronzo dell’imperatore Tiberio,
una grossa fibula tardolatina d’argento, una piccola fibula di bronzo, un
braccialetto d’argento, un orecchino d’argento fuso, un ciondolo rotondo
d’argento, un piccolo anello, un ciondolo d’argento, un anello d’oro e un
ciondolo vuoto in lamina d‘oro, che purtroppo si è subito sbriciolato e che
come reperto è inutilizzabile.
Calcare; scolpito; dimensioni: altezza dell’urna con il coperchio 52 cm,
diametro dell’orlo 40 cm.
Stinica, I secolo a. C./1 secolo d. C.
Rinvenuta nel 1955 a Stinica nel corso di lavori edili, con il corredo
completo (a parte il contenitore di terracotta e il ciondolo in lamina d’oro).
GMS 21.
Bibliografia:
A. GLAVICIC, “Arheoloski nalazi” (II), cit. , 15-18.
IDEM, “ArheoloSki nalazi” (V), cit., 70.
Fig. 25
362 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362
SAZETAK: STAKLENI PREDMETI I KAMENE SKULPTURE
RIMSKOG DOBA KOJI SE CUVAJU U MUZEJU GRADA SENIA
- U ovom prilogu autorica daje prikaz predmeta od stakla i kamenih
skulptura rimskog doba koji se éuvaju u Gradskom muzeju Senja.
Medu katalogiziranim predmetima izradenim u staklu nalazimo
balzamarije, boéice, posudice, tanjure, staklenke, male ampule i Case.
Kameni predmeti obuhvaéaju nekoliko fragmenata kapitela, kipova
(Magna Mater Cibele, Serapis, Libero, Fortuna ?), kamene urne sa
poklopcem, kapitele stupova, stupiée hipokausta, reljfefe na kamenim
ploèama, bazu stupa i jedan ljekarnitki avan.
Pomocu analogija i bibliografskih podataka autorica navedene
primjerke, koji su uglavnom izolirani i sluCajni pronalasci, datira
izmedu 1. stoljeéa prije Krista i 4. stoljeéa poslije Krista.
POVZETEK: STEKLA IN KAMNITI IZDELKI HRANJENI V
SENJSKEM MUZEJU - V pritujoéem prispevku avtorica predstavlja
seznam steklarskih in kamnitih izdelkov iz rimskega obdobja,
hranjenih v mestnem muzeju v Senju. Med steklarskimi izdelki,
vkljutenimi v katalogu, najdemo posode za mazila, stekleniùke,
sklede, kroZnike, majhne vaze, steklenice za olje in kozarce. Kar
zadeva kamnite izdelke pa predstavija avtorica neka) ostankov
kapitelov in kipov (Magna Mater Cibele, Serapis, Libero, Fortuna?),
ter kamnite Zare s pokrovi, kapitele na stebrih, stebritke hipokavsta,
reliefe na nagrobnih plosèah, pa $e podstavek stebra in farmacevtski
moZnar.
S pomoèjo analogiènih in bibliografskih sredstev je avtorica
postavila katalogizirane primerke med 1. stoletjem pr. Kr. in 4.
stoletjem po Kr. Te primerke so odkrili vefinoma sludajno.
ALCUNE NOTE CONCERNENTI LO STATUTO DI DIGNANO
LUJO MARGETIC CDU 34(497.5Dignano)” 1492”
Fiume Sintesi
Novembre 2001
Riassunto — L'autore fa alcune considerazioni riguardanti il diritto penale, familiare e pubblico
dello Statuto di Dignano del 1492 e le paragona con le norme di altri codici statutari istriani. Si
dimostra che quello di Dignano è stato compilato, eccetto le norme dell’antico statuto dignanese,
in base a quelli di Duecastelli e Pola.
Lo Statuto di Dignano è stato pubblicato nel 1970 da Giovanni Radossi!.
L’anno della compilazione è menzionato già nel proemio: l’anno della salute
mille quattrocento e novanta due”. Però, dal cap. 55 del Quarto libro appren-
diamo che Dignano possedeva uno statuto anche prima di quell’anno. Il
capitolo menzionato stabilisce che il “vecchio Statuto del commun di Dignan
per il presente novo statuto al tutto sii derogato”?. Questo vecchio statuto è
stato probabilmente compilato circa cent'anni prima. Com'è noto, fino al 1331
Dignano faceva parte del distretto di Pola. In quell’anno ebbe termine l’indi-
pendenza di Pola che riconobbe la sovranità di Venezia e Dignano divenne così
un comune rurale sottomesso al governo veneziano”. Cinquant’anni più tardi,
nel 1381, Dignano chiese a Venezia il permesso di organizzarsi come comune
cittadino? cioè di avere il proprio sindaco, il Consiglio e lo Statuto.
! G.RADOSSI, “Statuto di Dignano”, Atri del Centro di ricerche storiche (=ACRSR), Trieste-Rovigno,
vol. I (1970), p. 49-154.
2 IBIDEM, p. 62.
3 Statuto di Dignano, IV, 55. Nelle citazioni dello Statuto di Dignano i numeri romani indichano il
libro e quelli arabi i capitoli.
*B. BENUSSI, Pola nelle sue istituzioni municipali sino al 1797, Venezia, 1923, p.247.
3 C. DE FRANCESCHI, “La popolazione di Pota nel secolo XV e nei seguenti”, Archeografo Triestino
A L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 363-370
Dunque, il primo Statuto dignanese dovrebbe essere stato compilato circa
120 anni prima dello Statuto del 1492.
Lo Statuto di Dignano del 1492 appartiene al gruppo di statuti istriani più
recenti. Molto prima erano stati redatti gli statuti delle città istriane costiere:
Trieste, Capodistria, Pirano, Parenzo e Pola. I più antichi di questi statuti
provengono dalla seconda metà del secolo XIII. Ci sono però notizie affidabili
secondo le quali nel secondo decennio del secolo XIII, quando l’Istria era
dominata dal patriarca d’Aquileia, l’intera regione istriana aveva un proprio
statuto®. Gli statuti istriani, incluso quello di Dignano, rappresentano una delle
fonti più affascinanti e ricche della cultura e della storia istriana. Vi sono state
registrate norme giuridiche che per secoli regolarono la vita degli Istriani sotto
i vari governi. Essi contengono una sintesi straordinariamente interessante
degli istituti giuridici che si accumularono in Istria iniziando da Roma, Bisan-
zio, dagli Slavi, dai Franchi, dall'impero tedesco fino a Venezia e agli Asburgo.
Per il loro valore, importanza e carattere europeo gli statuti istriani si
possono mettere a fianco dell’ Arena di Pola e della basilica Eufrasiana.
II
I. Lo Statuto di Dignano è un documento giuridico assai complesso, ma
finora nessuno ha tentato di approfondire le fonti dei suoi istituti giuridici. Una
delle più importanti fonti è senz’altro il diritto consuetudinario della stessa
città, ma il problema sta appunto nel discernere il contributo originale di
Dignano da quello delle consuetudini comuni a tutte le città istriane. Non di
rado molte sue regole sono state trascritte in modo pedissequo da altri statuti
istriani. Per compilare lo Statuto di Dignano i “savi eletti” hanno studiato a
fondo molti di questi statuti. Essi stessi dichiarano di aver scritto lo Statuto
“con non poca fatica””. Alcune fonti sono facilmente discernibile. Così p. es.
una buona parte dello Statuto di Pola è stata usata per la compilazione del terzo
libro che contiene il diritto civile: gli affitti delle case, la c. d. possession della
x»
dasion, cioè il “possesso-proprietà” delle rendite (istituto giuridico di massima
(=AT), Trieste, vol. XXX1 (1907), p. 221-314.
6 Nel Thesaurus ecclesie Aquileiensis, ed. G. Bianchi, Udine, 1847, si trova questa nota: Pacta habita
inter d. Volcherum patriarcham et paysanos Istriae, instrumentum anno domini MCXVII. Cfr. LI MARGE-
TIC, “La ‘pace provinciale” tra gli Istriani e il margravio W”, ACRSR, vol. XV (1984-1985), p. 49-60;
? G. RADOSSI, op. cit., p. 62.
LL MARGETIÒ, Alcune note concernenti lo statuto di Dignano, Ami, vol XXXI, 2001, p. 363-370 365
importanza), la c. d. soceda (contratto per la custodia del bestiame) ecc. Il
secondo (diritti reali e di successione) e il quarto libro (diritto penale) sono
stati in buona parte compilati con l’aiuto dello Statuto di Duecastelli” che
presenta norme, per qualche verso, identiche agli statuti di Pinguente!9, Buie!'
e Portole"?.
Paragonandolo con altri statuti si scoprono interessanti somiglianze e
differenze storico-giuridiche che meritano un’analisi più minuziosa. Ne citere-
mo soltanto qualche esempio.
2. Il quarto libro dello Statuto di Dignano inizia con la norma sulle
blasfemie contro Dio, la beata Vergine Maria ed “altri santi”.
Negli statuti più antichi, cioè in quelli di Trieste del 1315"* e di Pirano del
1337! non c’è alcuna differenza tra il bestemmiare Dio e la Madonna da una
parte e gli “altri santi” dall'altra. Il trasgressore veniva punito con 10 (a Pirano
con 3) libbre di piccoli soldi veneziani, ma se egli non poteva pagare, lo si
gettava in mare tre volte. Secondo gli statuti di Pola'9, Portole'!” e Pinguente!*
8 Cfr. il cap. 111, 10-31 coni relativi capitoli dello Statuto di Pola ll, 1-28. Lo Statuto di Pola in latino
è stato pubblicato da B. BENUSSI negli Arti e Memorie della Società Istriana di Storia Patria (= AMSI,, vol.
XXVI (1911), e già prima in italiano negli Arti istriani, Trieste, vol. 1 (1843). Una nuova edizione dello
Statuto di Pola è stata curata da M. KRIZMAN, Pola, 2000.
9 M. ZIACIO, “Dvigradski statut” /Statuto di Duecastelli/, Vjesnik Historijskog arhiva u Rijeci (=
VHAR) Bollettino dell’ Archivio storico di Fiume/, Fiume, vol. VI-VII (1961-1962), p. 233-294.
!0 M. ZJACIC, “Statut buzetske opéine” /Statuto del comune di Pinguente/, VHAR, vol. VII-IX
(1963-1964), p.71-137.
!l P_KANDLER, “Statuti di Buie”, L’/stria, Trieste, an. V, 1850, p. 265-285 (testo italiano); M.
ZIACIC, “Satuvani fragment starog statuta opéine Buje iza 1412. god.” /Frammento dell’ antico statuto del
comune di Buie del 1412/, Jadranski zbornik /Miscellanea adriatica/, Fiume-Pola, vol. VII (1966-1969), p.
365-416 (testo latino).
12. VESNAVER, “Notizie storiche del castello di Portole nell’Istria”, AT, vol. X (1884), p. 157-268;
vol. X1(1885), p. 131-180.
13 Statuto di Dignano, IV, |.
14 P_ KANDLER, Statuti municipali del Comune di Trieste che portano in fronte l'anno 1150, Trieste,
1849 (II, 45).
15 C. DE FRANCESCHI, Gli statuti del comune di Pirano del 1307, confrontati con quelli del 1332 e
del 1358, Venezia, 1960; cfr. M. PAHOR - J. SUMRADA, Statut piranskega komuna od 13. do 17. stoletja
/Lo statuto del comune di Pirano dal XIII al XVII secolo/, Lubiana, 1987 (11,1), Lubiana, 1987 (Il, 1)..
16 Statuto di Pola, IV, 1.
!7 Statuto di Portole, 10.
18 Statuto di Pinguente, 10.
366 L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto ei Dignano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 363-370)
se il trasgressore non pagava la multa" lo si gettava in mare o nel “lago” più
vicino — ma soltanto una volta. A Dignano, Duecastelli e Buie non lo si gettava
in mare ma lo si metteva per un giorno “in berlina”. D'altra parte la punizione
per le bestemmie a Dio ed alla Madonna era più severa di quella ai santi. A
Duecastelli e Buie la punizione più severa veniva applicata anche per le
bestemmie a S. Marco, il che rivela la completa sottomissione di queste città a
Venezia. AI contrario, a Dignano si distingue: “Se alcuna persona (...) beste-
mierà (...) l’Onnipotente Iddio et la sua gloriosa Vergine Maria paghi L. 10
(...) et se il bestemierà (...) S. Marco L. 5 (...) et se bestemierà (...) alcun altro
santo over santa di Dio paghi L. 3”. Tra parentesi, nel punire le bestemmie
Rovigno era la più severa tra le città istriane: chi bestemmiava Iddio, Gesù
Cristo e la Madona pagava perfino 31 lire. E inoltre: “er star debbia un giorno
in berlina coronato con corona de infamia et diabolica et oltre di ciò habbi
squassi tre de corda”. Nemmeno bestemmiare S. Marco, S. Giorgio e S.
Eufemia era a Rovigno a buon mercato: 25 libbre, mentre per gli altri santi
bastavano 12 libbre — ma ciò era incomparabilmente più costoso che a Dignano
dove per le bestemmie a Dio si pagava “solo” 10 libbre. Ma questo non è tutto:
se a Rovigno qualcuno ripeteva la bestemmia, la multa era duplice, il che già
metteva in grave pericolo la stabilità economica della relativa famiglia. D'altra
parte, lo Statuto di Trieste del 1350 stabiliva che quattro inquisitori segreti”
dovevano ascoltare di nascosto se qualcuno bestemmiava Iddio. La metà della
multa andava all’ informatore. Detto tra parentesi, in tempi moderni non esisto-
no più persone che in via ufficiale indagano di nascosto quanto e come si
bestemmia, ma altre circostanze fanno sorgere dei seri dubbi sul vero progresso
dell’ umanità.
3. Qualche volta, trascrivendo le norme dello Statuto di Duecastelli, i
compilatori dello Statuto di Dignano hanno apportato delle modifiche giuridi-
camente interessanti. Prendiamo ad esempio la c. d. villania?*. Lo Statuto di
Dignano non rileva tutte le ingiurie nominate nello Statuto di Duecastelli. Vi
si trovano soltanto: /adro (Dignano: /atro), assassin (D.: assasinus), pergiuro
(D.: periurus), depredator (D.: depredator), infame (D.: infamis), traditor (D.:
proditor), infedele (D.: infidelis), mentirsi per la gola (D.: mentiris per gul-
19 A Pola 5 libbre, a Portole e Pinguente 10.
20 P KANDLER, “Statuti municipali di Rovigno”, L'/srria, Trieste, 1851 (111, 3).
2! M. DE SZOM BATHÉLY, Statuti di Trieste del 1350, Trieste, 1930 (11, 21).
22 Statuto di Dignano, IV, 6: Statuto di Duecastelli, 13.
L MARGETIC, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Ami, vol XXXI, 2001, p. 363-370 367
lam), mentre i Dignanesi omettono fur, cornutus, forbanitus e bastardus. Per
le donne gli esempi dati dagli statuti di Duecastelli e Dignano sono gli stessi:
puttana (D.: putana), ladra (D.: fura), imbrica (D.: baccata). Secondo questi
statuti il trasgressore doveva ritirare pubblicamente le ingiurie ed inoltre
pagare la multa di 2 libbre (Duecastelli) ovvero 5 libbre (Dignano). Secondo
lo Statuto di Duecastelli invece, se i fatti, in base ai quali il trasgressore
proferiva la sua calunnia, erano generalmente noti — p. es. se la donna ingiuriata
con la parola puttana puttaneggiava realmente per mestiere — egli veniva punito
con la metà della multa, cioè con 1 libbra. Siccome i fatti pubblicamente noti
non hanno bisogno di essere dimostrati, a Duecastelli la pena veniva mitigata
d’ufficio, cioè il giudice constatava da solo se la donna offesa era nota come
prostituta. Al contrario, secondo lo Statuto di Dignano il calunniatore doveva
dimostrare che la donna che aveva offeso chiamandola puttana lo era veramen-
te, e, se lo dimostrava, era esentato dalla multa. Forse è questo il motivo per il
quale lo Statuto di Dignano ha omesso dagli esempi la parola offensiva
cornuto, perché proprio la dimostrazione che la donna offesa aveva veramente
tradito il marito poteva provocare ulteriori imprevedibili conseguenze per la
pace sociale a Dignano. D'altra parte bisogna riconoscere che il giudice che a
Duecastelli alleviava la pena al trasgressore dichiarando nella sentenza che era
“pubblicamente noto” che l’offeso è cornuto, squalificava quest’ ultimo pubbli-
camente molto più di quanto lo aveva fatto il trasgressore.
4. A prima vista la norma stabilita nel IV, 8 sembra incomprensibile:
“Se alcuno avrà invitato un’altro alla prova, overo l’averà invitato con
animo scorociato paghi al Commun L. 2 de’ piccoli et s’averà rissa, romor
over alcun eccesso sia punito più oltre ad arbitrio del signor podestà”. Questa
norma corrisponde, con qualche modifica, a quella del cap. 18 dello Statuto di
Duecastelli. Analoghe norme si trovano anche negli statuti di Buie?3, Portole °*
e Pinguente”°. La norma si riferisce al duello, o per meglio dire alla sfida al
duello, poiché per la sola sfida la multa era di 2 libbre — a Pinguente perfino 10
libbre, a Duecastelli, Portole e Buie 5 libbre. A parte la sfida, tutti questi statuti
puniscono anche ogni trasgressione collegata al duello, naturalmente in primo
luogo le conseguenze del duello (a Pinguente esplicitamente: prelium), p. es.
le ferite. Ci sembra che non ci siano dubbi che tutti questi statuti continentali
23 Statuto di Buie, 20.
24 Statuto di Portole, 21.
25 Statuto di Pinguente, 20).
368 L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 363-370
dell’Istria veneziana abbiano subito l'influenza del diritto vicino, cioè della
contea di Pisino, dove le consuetudini giuridiche germaniche non erano state
sradicate. Tra queste c’era anche il duello che nella procedura giudiziaria era
un mezzo di prova legalmente riconosciuto. Ad esempio, il duello era ammesso
ad Arbe ancora verso la metà del secolo XIII? Non a caso a Pinguente, cioè
nel centro dell’Istria, la sfida al duello veniva punita con la pena maggiore,
mentre la pena minore era prevista nella città più lontana dall’Istria centrale, a
Dignano.
Il matrimonio alla maniera istriana (a fratello e sorella) è uno dei contributi
più importanti del diritto medievale istriano alla cultura europea. Si tratta di
uno specifico rapporto patrimoniale tra coniugi, che ha suscitato l'interesse di
moltissimi studiosi europei. Naturalmente, questo tipo specifico di rapporto
patrimoniale tra coniugi ha trovato il suo posto anche nello Statuto di Digna-
no?” che ha utilizzato la formulazione dello Statuto di Duecastelli?8 (uguale a
quella dello Statuto di Buie in latino”? e in italiano?°). La definizione dello
Statuto di Duecastelli (e di Buie) potrebbe a tutta prima servire da prova per la
già superata tesi che la caratteristica del matrimonio alla maniera istriana è la
comunione totale di tutte le parti dei beni dei coniugi, cioè dei beni che essi
possedevano al momento del matrimonio e di quelli acquisiti durante il matri-
monio, mentre in quello triestino in comune erano soltanti i beni immobili
acquisiti durante il matrimonio. Nel diritto veneziano la comunione dei beni
non esisteva. Lo Statuto di Dignano stabilisce che il matrimonio deve essere “a
frà e suor, cioè comuni in tutti gli loro beni (mobili et) immobili tanto dotali,
quanto adventicij e per qualunque modo acquistati et che s’acquistarano
durante il matrimonio”. Lo Statuto di Dignano prevede questo tipo di unione
con l’eccezione però nel caso che i coniugi, al momento del matrimonio —
tramite documento pubblico —, avessero deciso di concluderlo in un altro
modo. Il nostro statuto contiene una norma che non esiste negli statuti di
Duecastelli e Buie, secondo la quale se il marito o la moglie hanno “/i suoi beni
26 T. SMICIKLAS, Codex diplomaticus regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae, II, Zagabria, 1905,
p. 421 (nr. 366). Perl’interpretazione vedioraL. MARGETTÙ, Lo Statuto d’Arbe, ACRSR, vol. XXX (2000),
p. 13-18.
2? Statuto di Dignano, |, 14.
28 Statuto di Duecastelli, 29.
29 Statuto di Buie (lat.), 77.
30 Statuto di Buie (ital.), 75.
L MARGETIÒ, Alame note concementi lo statuto di Dignano, Asî, voL XXXI, 2001, p. 363370 369
condicionadi, d’essi beni condizionadi non debbano esser a Frà”. Questa è una
chiara concessione alle norme degli Statuti di Capodistria e Muggia che si
occupano minuziosamente di questi “beni condizionati”. Anche questa aggiun-
ta testimonia che i compilatori dello Statuto di Dignano non avevano copiato
ciecamente il loro modello principale (Duecastelli e Pola), ma che avevano
tentato di adeguare ogni norma alla realtà dignanese. Ci pare di non sbagliare
se supponiamo che a Dignano, come pure in molte altre città istriane, in caso
di morte, il coniuge sopravvissuto poteva desistere dalla comunione dei beni e
scegliere l’altra possibilità, cioè di ritirare dall’eredità del coniuge deceduto i
propri beni, il che significa che anche a Dignano la realizzazione della comu-
nione dei beni coniugali si verificava soltanto alla morte di uno dei coniugi e
soltanto se il coniuge sopravvissuto non rinunciava ad essa”.
6. Ancora qualche parola sull’autonomia e sull’autogoverno di Dignano
durante il governo veneziano. Per quanto riguarda l’autonomia, già dallo
Statuto si può constatare che era stato compilato in maniera indipendente,
anche se per la sua applicazione era necessario il benestare di Venezia. D'altra
parte l’autogestione era molto limitata, ma a differenza del vicino centro di
Valle, Dignano ottenne una posizione più indipendente. Mentre a Valle? nella
vita del comune il ruolo determinante apparteneva al rettore che veniva scelto
dal Senato veneziano e che governava la città con l’ausilio di due giudici da lui
scelti, a Dignano* il podestà veniva si altrettanto scelto dal Senato veneziano,
ma i due giudici venivano eletti dal Maggior Consiglio dignanese. La scelta si
svolgeva così: i giudici in carica proponevano due candidati, il podestà altri
due, e in tal modo il Maggior Consiglio dignanese era limitato nella scelta tra
questi quattro candidati. C'era, dunque, un barlume di libertà. AI momento
dell’entrata in servizio i giudici giuravano che durante la durata della loro
carica avrebbero tenuto conto degli interessi di Venezia e di Dignano.
Già da queste poche note risulta la complessità e l’importanza dello
Statuto di Dignano. Speriamo che a questo documento della storia istriana in
futuro si dedichi maggior attenzione e che in questo senso anche il presente
piccolo contributo sia stato di qualche utilità.
3 Dettagli in L' MARGETIC, Histrica et Adriatica, Trieste-Rovigno, 1983 (Collana degli Atti del
Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 6) p. 11.
3° G. MUCCIACCIA, “Gli statuti di Valle d'Istria”, ACRSR, vol. VII (1976), p. 14.
33 Statuto di Dignano, 1,2.
370 L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Ami, voL XXXI 2001, p. 363-370)
SAZETAK: BILJESKE O VODNIANSKOM STATUTU - Iz satuva-
nog teksta Vodnjanskog statuta iz 1492. god., objavijen 1970. god.
od G. Radossija, proizlazi da je prethodni, nesaèuvani tekst sastavljen
oko 120 godina ranije. Premda je rijeè o jednom od novijih istarskih
statuta, ipak je istraZivanje njegova sadrzaja vrlo korisno za bolje i
dublje poznavanje istarskih statuta, jedne od najinteresantijih grupa
europskih statuta, koja predstavija pravi rudnik za upoznavanje
pravnih ustanova, koje su tijekom mnogih stoljeéa amalgamirale
pravne norme kasnoga rimskog carstva, Bizanta, Franaka, tzv. opéeg
prava, kao i mletatkog i slavenskog prava.
U radu autor daje nekoliko primjera iz kaznenog, braénog i
javnog prava prema vodnjanskom statutu i usporeduje ih s normama
ostalih istarskih statuta, utvrduje da je on preuzeo mnoge pravne
ustanove i terminologiju Pulskoga i Dvigradskog statuta, ali da ih
je prilagodio lokalnim shvafanjima. Usporeduju se osobito norme o
huljenju na Boga, Blazenu Djevicu Mariju i svece i one koje se
odnose na dokazni postupak putem tzv. Bozjeg suda, tj. dvobojem.
POVZETEK: ZAPISKI O VODNJANSKEM STATUTU - Iz besedila,
ki se je ohranilo v Vodnjanskem statutu iz leta 1492 in ki ga je
izdal G. Radossi leta 1970, izvira, da so prej$nji statut sestavili
priblizno 120 let prej. Ta pa se ni ohranil. Ceprav je to eden izmed
najnovejsih istrskih statutov, je proutevanje njegove vsebine zelo
koristno za boljie in globlje spoznavanje istrskih statutov, ki sodijo
med najzanimivejse skupine evropskih statutov in predstavljajo pravo
zakladnico pojmov o pravnih ustanovah. Te ustanove so v. teku
stoletij zdruzile pravne predpise. poznega Rimskega cesarstva,
Bizanca, Frankov, tako imenovanega splo$nega prava, pa tudi
beneskega in slovanskega prava.
V. svojem delu avtor navaja nekaj primerov kazenskega,
zakonskega in civilnega prava po Vodnjanskem statutu in jih primerja
z dolocili drugih istrskih statutov. Avtor ugotavija, da je Vodnjanski
statut prevzel mnogo pravnih ustanov in terminov iz statutov Pule
in Dvigrada ter jJih prilagodil krajevnim namenom. Vedinoma
primerja predpise v zvezi s preklinjanjem Boga, Blazene Device
Marije in svetnikov ter predpise v zvezi z dokazovanjem priéevanj
preko tako imenovane bozje sodbe, to je dvoboja.
LA TRADIZIONE PAREMIOLOGICA A GALLESANO
(Parte I)
ELIANA MOSCARDA MIRKOVIC CDU 398.9(497.5Gallesano)
Gallesano Sintesi
Gennaio 2002
Riassunto — Questa raccolta prende in esame il dialetto di Gallesano e cerca di analizzarlo
attraverso i proverbi, in quanto fattori distintivi di ogni lingua e di ogni cultura. Si è voluto così
recuperare parte del patrimonio linguistico e culturale del paese e della sua gente.
I settecento proverbi raccolti sono stati divisi in ventuno campi semantici dei quali, in questa
prima parte, vengono riportati i seguenti: L'alimentazione; L'amore. L'amicizia. Gli affetti e i
sentimenti; Gli animali e le loro metafore; L'aspetto fisico; I blasoni popolari; La conoscenza,
l'educazione, gli ammaestramenti; Il denaro, il potere, l’indigenza, la miseria; La donna e
l’uomo. Il matrimonio, la famiglia, la casa; Le parentele e i rapporti sociali; La fede, la religione,
la provvidenza; Il lavoro, i mestieri, le abilità. Il riposo; La nascita. La vita e la morte; I proverbi
canone; I proverbi con valore metaforico.
I singoli proverbi sono riportati in ordine alfabetico. Ogni sentenza è citata in dialetto gallesane-
se, con l’accompagnamento della traduzione italiana.
A premessa di questo lavoro paremiologico è opportuno, per facilitare la
comprensione dei motti che saranno esposti, individuare alcune caratteristiche
del dialetto gallesanese e alcune regole seguite.
Per la grafia e la pronuncia sono state seguite le regole dell’italiano, con
poche eccezioni. Nel gruppo sc seguito da e, i la sibilante va pronunciata
staccata rispetto alla vocale palatale: es. Bas°cian, Cris’cian, ris’cià.
L'alfabeto è formato da venti lettere, tra consonanti e vocali, che si
pronunciano come le corrispondenti italiane; vi manca la consonante z. Non
esistono consonanti doppie e il duplice suono della lettera s è stato reso con due
segni distinti: s per la esse sorda: es. sabo, sera, sol e { per la esse sonora: es.
cafa, rofa, fornada.
Un certo numerodi parole inizia con le nasali m o n seguite da consonante,
372. E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468
le quali sono rimaste all’inizio della parola in seguito all’aferesi della vocale
iniziale, generalmente la i: es. mbriaga, mparà, ndurì.
Le parole del Gallesanese terminano in -0 se sono maschili, in -a se sono
femminili, oppure nelle consonanti |, r, n, f ( es. baul, fior, cason, buf ). Pochi
nomi in -a sono maschili ( es. prà ) e pochi sono i monosillabi.
Nel passaggio dal singolare al plurale, le parole terminanti in 1 perdono
questa consonante e aggiungono la -i: es. cavdl-cavai.
Gli aggettivi escono al maschile singolare in -0, al femminile singolare in
-a, al maschile plurale in -i e al femminile plurale in -e: es. suto,-a,-e.-i. Alcuni
escono in -n: es. fin,-a,-e,-i, moscardin,-a,-e,-i.
I verbi terminano all’infinito in -à, -è, -ì. La stragrande maggioranza dei
verbi ha coniugazione regolare, mentre pochi sono quelli irregolari. Il partici-
pio presente ha valore solo nominale, mentre il participio passato si comporta
come gli aggettivi e cioè varia nel genere e nel numero. Nei verbi in -à e nei
verbi in -ì questo participio è uguale all’infinito: es. magnà (=mangiare) -
magnà (=mangiato), finì (=finire) - finì (=finito) e quando ha valore aggetti-
vale il tema si allunga per l’aggiunta di -ada, -adi, -ade: es. sing.m. magnà
(mangiato), sing.f. magnada (mangiata), pl.m. magnadi (mangiati), pl.f. ma-
gnade (mangiate). Il participio passato può talora finire anche in -0, -t0, -sto e
può presentare delle varianti nel corpo della parola ( es.: dito, ciolto, parésto).
I verbi ausiliari sono ési (essere) e vè (avere) e sono irregolari.
Le parole del Gallesanese possono essere tronche, piane e sdrucciole
(morè, sàbo, timido).
I settecento proverbi raccolti sono stati divisi in ventuno campi semantici
(i primi 13 vengono riportati in questa prima parte):
L'alimentazione.
L'amore. L’amicizia. Gli affetti e i sentimenti.
Gli animali e le loro metafore.
L'aspetto fisico.
I blasoni popolari.
La conoscenza, l’educazione, gli ammaestramenti.
Il denaro, il potere, l’indigenza, la miseria.
CORIO Pe I
La donna e l’uomo. Il matrimonio, la famiglia, la casa.
Le parentele e i rapporti sociali.
9. La fede, la religione, la provvidenza.
E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, vo XXXI, 2001, p. 371468 373
10. lavoro, i mestieri, le abilità. Il riposo.
ll. La nascita. La vita e la morte.
12. Iproverbi canone.
13. Iproverbi con valore metaforico.
14. Iproverbi dei mesi nell’agricoltura. La natura e il lavoro nei campi.
15. La prudenza e l’imprudenza.
16. Irischiei pericoli.
17. Il risparmio e l’economia domestica.
18. Lasalute e la malattia.
19. Lo svolgersi delle vicende umane, i cambiamenti e le alterne sorti.
20. Il tempo meteorologico. Il lunario.
21. I vizi, le virtù, gli eccessi, la moderazione, i modelli comportamentali.
I singoli proverbi sono riportati in ordine alfabetico, eccetto quelli dei
gruppi / proverbi dei mesi nell’agricoltura e Il lunario, disposti in ordine
cronologico.
Ogni sentenza è citata in dialetto gallesanese, con l’accompagnamento
della traduzione italiana. I motti vengono quindi messi in relazione con le
sentenze della paremiografia italiana, latina, dei dialetti italiani (nel confronto
con i proverbi della tradizione dialettale è data la precedenza ai proverbi
triestini e veneti per le affinità morfologiche, sintattiche e soprattutto lessicali
con il dialetto gallesanese) e alcuni istriani, con quella francese e là dove era
possibile con quella russa. Infine vengono riportate le iniziali degli intervistati
(MD = Marcello Deghenghi, 1925; AG = Anna Ghiraldo, 1913-1999; PG =
Pietro Ghiraldo, 1906; IM = Isenia Moscarda, 1930; MM = Mario Moscarda,
1935 ; NM= Nicolò Moscarda, 1925; LS = Lucia Simonelli, 1921; RM =
Romano Tesser, 1938) e le note che analizzano i proverbi.
Per quanto riguarda la struttura dei proverbi, caratteristica di quest’ultima
è il fatto che essa è basata su pochissimi elementi che riassumono in modo
conciso e sintetico un intero discorso: es. can no magna can. L'uso verbale è
quasi sempre limitato ai tempi con aspetto acronico: l'infinito, l'imperativo o
il presente indicativo usati per enunciati che valgono per sempre. Il presente e
l’infinito danno infatti ai proverbi quel carattere di atemporalità che li rendono
sempre attuali (es. fa e disfà fe duto un lavorà; chi magna pian lavora pian). A
volte, specie nelle locuzioni, addirittura si incontra la forma ellittica, cioè priva
anche di soggetto e verbo (es. de rifa o de rafa).
Per quanto riguarda la forma, nei proverbi e modi di dire è assai frequente
374 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Attî, vol. XXXI, 2001, p. 371468
il ricorso a usi iperstrutturali, a elementi ritmici, a intonazioni particolari, a
figure retoriche che trasmettono il messaggio nel modo più immediato e
intuitivo, come la metafora (es. el pan de casa stufa; scova nova scova ben;
corvi e cornacie no se beca mai; can che baia no morsega; begna bati el fero
fina che ‘I fe caldo), la similitudine (es. ti iè l’anema treso como i gati; ti iè la
lengua longa como la coda de la vaca; ti segni como la ierba pampagnola che
creso sempro e no mor mai), la litote (es. No ti segni farina pe’ fa ostie), la
metonimia (es. co la cafa fe piena se fa presto a fa de sena: legne de rovero,
pan de gran e bocal de vecio teran), la personificazione (es. Al olio dì: “Fame
povero, che te farè rico; laseme ciaro, sapeme picio, incalseme grando: ve
mpinirè el graner), la sineddoche (es. la ierba de april fa grando el medil) o
figure grammaticali e metriche come la rima (es. l'inverno can el salva vin e
pan; fota la grasesa sta la belesa; gran Sota la nio-ben de Dio).
In alcuni proverbi troviamo poi anche l’accostamento di termini antitetici
(es. cavo curto-vendema longa; longo el cavel, ma curto el sorvel).
A tutti questi elementi che aiutano la memorizzazione, si aggiungono
spesso altri fattori extralinguistici come la patina del tempo che dà ai proverbi
e ai modi di dire particolari suggestioni evocative ed emotive.
Ci limitiamo a questa semplicistica analisi strutturale dei proverbi, in
quanto in materia fino ad oggi si sono compiuti pochissimi studi, data la
difficoltà di un simile lavoro. E mi sembra utile citare in proposito le parole del
Cardona': “La definizione di questo genere linguistico, pur così familiare e
consueto, è estremamente difficile. Anche se non abbiamo alcuna difficoltà a
distinguere un proverbio da una frase di stessa struttura che invece non lo è,
non riusciamo a formalizzare le caratteristiche che ci permettono di riconoscer-
lo.” E continua il Cardona: ‘“ Più che della struttura interna del proverbio, per
la quale si è per ora ben lontani dall’accordo su una formula ragionevolmente
generale, interessa dire qualcosa dell’utilizzazione del proverbio e della sua
collocazione nell’etnografia della comunicazione”.
Nella seconda parte di questo lavoro, che verrà presentata nel volume
seguente degli Atti, vi troverà spazio pure il glossario, in cui verrà illustrato il
lessico del dialetto gallesanese usato nei proverbi raccolti.
La pronuncia effettiva delle parole dialettali è stata resa nel modo più
semplice (vedi le nozioni sul dialetto gallesanese riportate sopra), senza allon-
tanarsi troppo dalle norme ortografiche dell’ italiano. Sono stati raccolti i
! G. R. CARDONA, Introduzione all'etmolinguistica, p. 193, 194.
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La trasizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371468 375
lemmi più caratteristici della parlata gallesanese, si sono tralasciati invece
dall’analisi etimologica quelli che ricalcano le voci italiane. I lemmi sono stati
posti in ordine alfabetico.
Dall’analisi etimologica dei vocaboli qui esposti è apparsa una lingua che
attinge direttamente dal latino molti dei suoi vocaboli e che forma adattamenti
dall’ italiano (es. balarin, mincion, pagnoca). Ma non mancano parole derivate
dal veneziano (es. bagolà, buso, morè), dal croato (es. braneveche e sochena),
dallo sloveno (es. britola), dal greco (es. anguria, macaron), dallo spagnolo
(es. bacalà, baraca), dal germanico (es. banca, bira) e dal francese (es.
formaio). Il dialetto gallesanese avrà poi sicuramente subito l’influenza della
parlata triestina e di quelle del resto dell’ Istria.
Come scriveva Nicolò Tommaseo ‘“(...) se tutti si potessero raccogliere e
sotto certi capi ordinare i proverbi italiani, i proverbi d’ogni popolo, d’ogni età,
colle varianti di voci, d'immagini e di concetti, questo dopo la Bibbia, sarebbe
il libro più grandioso di pensieri”.
Fin dai tempi più antichi i proverbi, “frammenti di un’antica sapienza”,
come venivano definiti da Aristotele, sono stati oggetto di studio e di raccolta
anche nella penisola istriana, soprattutto nell’ ultimo secolo.
Preziose sono le testimonianze portate da Achile Gorlato (/ mesi dell’anno
nei proverbi dei veneto-giuliani*), da Tomaso Luciani (Tradizioni popolari
albonesi ), da Antonio e Giovanni Pellizzer (Motti detti e proverbi rovi gnesi® )i
da Elio Predonzani (Proverbi e detti popolari dell’Istria°); da Giuseppe Radole
(Proverbi istriani: raccolta antologica), da Giuseppe Vatova (Raccolta di
proverbi istriani’); Antonio Benussi Moro (0àn puopulo da 1303 pruvierbi
ruvignisi8).
2 Edito a Venezia nel 1981.
3 Edito a Capodistria nel 1892
4 Edito nell’ Antologia delle opere premiate del Concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima”,
Trieste-Fiume, vol. V (1972), p. 131-162.
5 Edito a Udine nel 1954.
6 Edito a Trieste nel 1972.
? I edizione, Venezia, 1954; II edizione Venezia, 1963.
8 Edito a Trieste nel 1982.
376 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, At, voL XXXI, 2001, p. 371-468
Non c'è dubbio sul fatto che i proverbi costituiscano una lente significativa
attraverso la quale risalire agli aspetti peculiari e profondi di una comunità, dei
suoi stili di vita, dei suoi comportamenti più diffusi, della sua struttura econo-
mica e delle caratteristiche del suo ambiente naturale. I modi di dire sono tra i
fattori distintivi di ogni lingua: se consideriamo con attenzione tali espressioni,
possiamo renderci conto come in esse traspaiano le peculiarità del popolo che
le ha prodotte.
A Gallesano non è mai stato fatto un lavoro di catalogazione delle sentenze
popolari ed è perciò che si sono scelti i modi proverbiali per analizzare, per
quanto possibile, la sapienza dei gallesanesi.
Piuttosto che consultare fonti scritte, i proverbi sono stati raccolti dalla
viva voce di chi se ne serve ancora nelle varie circostanze della vita, per
rievocare il passato dei nostri avi, le nostre radici e quel mondo di modestia e
di povertà, ma ricco assai di genuinità e di ricordi.
In particolare sono state annotate le sentenze che ancor oggi fanno parte
del patrimonio linguistico e culturale del paese.
Lo scopo di questa ricerca sulla tradizione paremiologica a Gallesano, è
stato quello di recuperare e conservare in forma scritta parte dell'antica parlata
gallesanese, che va scomparendo a passi da gigante: da un lato per l'influsso
massiccio della scuola e dei massmedia sulle nuove generazioni, dall'altro per
il costante movimento delle persone che si spostano con maggiore facilità
rispetto al passato e non dobbiamo dimenticare anche l'influenza e la sopraf-
fazione delle lingue slave nelle forme dialettali, nonché l’uso quasi esclusivo
nella vita sociale, politica, culturale ed economica del croato.
Per le interviste, come si è già riportato sono stati scelti i signori Marcello
Deghenghi, Anna Ghiraldo, Pietro Ghiraldo, Isenia Moscarda, Mario Moscar-
da, Nicolò Moscarda, Lucia Simonelli e Romano Tesser, persone che nell’arco
della loro vita si sono sempre impegnate per mantenere vivi il dialetto e la
cultura gallesanese, partecipando alle numerose manifestazioni folcloristiche
nazionali e non, in cui hanno degnamente rappresentato la tradizione.
Tutte le interviste sono state registrate su nastro e riportate poi in questa
raccolta.
Una parte di questo lavoro è già stata pubblicata nei saggi “I proverbi dei
mesi nell’agricoltura a Gallesano”® e “L'alimentazione nei proverbi”,
9 Pubblicato nel volume Civiltà istriana. Ricerche e proposte, curato da Nelida MILANI KRULJAC,
Trieste-Rovigno, 1998 (ETNIA — Extra serie del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 1), p.91-118.
!0 Pubblicato nell” Antologia delle opere premiate, cit., vol. XXXII (1999), p. 149-162.
E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371468 377
Questo contributo vuole essere un omaggio a Gallesano e a tutta la sua
gente, con la speranza di dare un contributo, anche se esiguo, alla conservazio-
ne del suo ricco patrimonio culturale, ma soprattutto linguistico minacciati
ormai dall’estinzione. La raccolta presentata è il risultato di una lunga ricerca
condotta tra gli abitanti di Gallesano (negli anni 1995-1998).
In conclusione rivolgo un sentito ringraziamento al professor Roberto
Starec, docente di Storia delle tradizioni popolari presso la Facoltà di Scienze
della formazione dell'Università di Trieste; ma in modo particolare ringrazio la
chiarissima professoressa Livia de Savorgnani Zanmarchi, titolare nel 1998
della cattedra di Linguistica romanza presso la Facoltà di Lettere e filosofia
dell'Università di Trieste, per la sua estrema gentilezza e la sua grande sensibi-
lità.
Un grazie anche a tutte le persone che si sono prestate a essere intervistate
e senza le quali non sarebbe stato possibile dar vita a questa raccolta paremio-
logica. E mi riferisco in modo particolare alla signora Anna Ghiraldo (che è
venuta a mancare il 26 dicembre 1999 e che ricordiamo con tanto affetto) e al
signor Mario Moscarda.
378. E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468
ABBREVIAZIONI
A. = anno
A. = (seguito da un nome di una lingua) antico
A.a.ted. = antico alto tedesco (Althochdeutsch)
Abr. = abruzzese
Acer. i accrescitivo
Accus. = accusativo
Agg. = aggettivo
Alt. = altoatesino
Ant. = antico, antiquato
Arc. = arcaico
Avv. = avverbio, avverbiale
Biz. = bizantino
Bol. = bolo gnese
Bot. = termine botanico
Bret. = bretone
Ca. = campano
Cal. si calabrese
Catal. = catalano
Cfr. = confronta
Class. = classico
Comp. i composto,
composizione
Cong. = congiunzione
Cors. = corso
Deriv. = derivazione, derivato
Dial. i dialettale
Dign. = dignanese
(Dignano d'’ Istria)
Dimin. = diminutivo
Ebr. = ebraico
Ecc. = eccetera
Eccles. = ecclesiastico
Emil. = emiliano
Escl. si esclamazione
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 379
Etimol.
Etr.
F.
Fam.
Femm.
Fig.
Fr.
Franc.
Friul.
Gall.
Gen.
Germ.
Got.
Gr.
Gram.
Iber.
Id.
Indic.
Indoeur.
Ingl.
Irl.
Ital.
Ittiol.
La.
Lad.
Lat.
Lat.M.
Lat.T.
Lat.volg.
Letter.
Li.
Lomb.
Long.
Lu.
M.
M.a.ted.
etimologia,
etimologico
etrusco
femminile
familiare
femminile
figurato
francese
francone
friulano
gallico
genovese
germanico
gotico
greco
grammaticale
iberico
idem, lo stesso
indicativo
indoeuropeo
inglese
irlandese
italiano
ittiologia
laziale
ladino
latino
latino medievale
tardolatino
latino volgare
letteralmente
ligure
lombardo
longobardo
lucano
maschile
medio alto tedesco
388 FE. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468
(Mittelhochdeutsch)
Mant. = mantovano
Mar. = marchigiano
Masch. = maschile
Mediev. = medie vale
Mod. = moderno
N. = neutro
Na. = napoletano
Nomin. = nominativo
Norm. = normanno
Num. = numero
OI. = olandese
Onom. onomatopea,
onomatopeico
Ord. = ordinale
Orig. = origine, originario,
originariamente,
Pad. = padovano
Pag. = pagina
Parm. = parmigiano
Part. = participio
Pers. = persiano
Piem. = piemontese
PI. = plurale
Port. = portoghese
Poss. = possessivo
Prep. = preposizione
Pron. si pronome
Propr. = propriamente
Prov. = provenzale antico
Pugl. = pugliese
Rad. = radice
Rifl. = riflessivo
Rom. = romagnolo
Sanscr. = sanscrito
Scient. = scientifico
Sec. = secolo
E. MOSCARDA MIRKOVI, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371468 381
Sett. - settentrionale
Sf. = sostantivo femminile
Sic. = siciliano
Sign. = significato
Sing. = singolare
Sm — sostantivo maschile
Soprasilv. = soprasilvano
Sost. = sostantivo
Suff. = suffisso
Spagn. = spagnolo
Tarant. = tarantino
Ted. = tedesco
To. = torinese
Tosc. = toscano
Tr. = triestino
Trad. = traduzione
Tren. = trentino
V. o voce
V. intr. = verbo intransitivo
V. tr. = verbo transitivo
Valsug. = valsuganotto
Ven. E veneto
Venez. = veneziano
V.-G. = veneto-giuliano
Volg. = volgare, volgarismo
Zool. = zoologia, zoologico
< = deriva da
> = produce, dà
sa = voce ricostruita,
non testimoniata
382. E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesino, Atti, vo XXXI, 2001, p. 371-468
1)
Tr.:
Trad.:
2)
3)
4)
5)
6)
7)
L’ ALIMENTAZIONE
Amor, polenta e menole: fe le tre robe tenere
Amore, polenta e menole: sono tre cose tenere.
Amor, merda e zenere le xe tre robe tenere.
Amore, merda e cenere sono le tre cose tenere.
[ AG, MM]
Nota: La menola è un pesce marino, Sparus maena, piccolo e pieno di lische.
Barboni e caponi fa contenti i paroni
Triglie e caponi fanno contenti i padroni.
[AG]
Nota: Con il termine barbon si designa il Mullus barbatus, mentre con capon
si indica la Trigla lyra.
Bevi el vin e no bevi el iudisio
Bevi il vino e non bere il giudizio.
[ MM, RT ]
Nota: Sappiamo che il vino degustato in grandi quantità condiziona le facoltà
mentali.
Bundansia stufa e caristia fa fam
Abbondanza stufa e carestia fa fame.
[ AG, LS ]
Nota: Cè chi si lamenta pur avendo il superfluo e c’è invece chi muore di fame.
Chi che bevo bira vivo sento ani e chi bevo vin no mor mai
Chi beve birra vive cent'anni e chi beve vino non muore mai.
[ MM, RT]
Nota: Questo è uno dei tanti proverbi che elogiano le virtù del vino.
Chi che no magna pan, no fe cris’cian
Chi non mangia pane, non è cristiano.
[ AG]
Nota: Il pane nella tradizione gallesanese è quasi un alimento sacro. Ricordia-
mo che la gente di Gallesano è di religione cattolica e nella teologia cristiana
il pane ha una forte simbologia: basti ricordare la moltiplicazione dei pani
operata da Gesù e l'Eucaristia.
Chi iò la boto piena de vin e la pila de oio, no iò pagura de la fam
Chi ha la botte piena di vino e la pila di olio, non ha paura della fame.
[ MD, AG, LS ]
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vo XXXI, 2001, p. 371-468 383
8)
Alt.:
Trad.:
9)
10)
11)
12)
13)
Ital.:
Ven.:
Trad.:
Nota: Le pile a Gallesano sono dei capaci recipienti di pietra calcarea, eseguiti
per conservare l’olio d’oliva di produzione locale.
Chi no ngruma le migole de pan, mor de fam
Chi non raccoglie le briciole di pane, muore di fame.
Wer Brosamen nicht ehrt, muss sie im Fegfeuer von einem gliienden Eisen
schlecken.
Chi trascura le briciole, dovrà leccarle da un ferro rovente nell’inferno.
[AG]
Nota: In un’economia di fabbisogno, il pane assume un’importanza vitale, che
trova corrispondenza in una serie di fattori economici e familiari: innanzitutto
l’incertezza del raccolto o la certezza del domani.
Co fe pan ‘n convento — no manca frati drento
Quando c’è pane in convento - non mancano frati dentro.
[ MD, AG, IM, NM, LS ]
Nota: Accorrono tutti quando si tratta di mangiare.
Co’ I’ anguria se bevo, se magna e se se lava el mufo
Con il cocomero si beve, si mangia e ci si lava il viso.
[ AG, MM, IM, NM]
Nota: Il cocomero è un frutto di triplice utilità: con la sua polpa dolce, rossa e
acquosa ci si può dissetare, saziare e lavare il viso.
Duti vol la carno, nisun i osi
Tutti vogliono la carne, nessuno gli ossi.
[ IM, NM]
Nota: Tutti vogliono la parte migliore, sia in fatto di cibo che di esperienze di vita.
Duto fe bon se fe condì, anche le ortighe
Tutto è buono se ha il condimento, anche le ortiche.
[ AG, LS ]
Nota: Il condimento nasconde il vero sapore degli alimenti rendendoli più
gradevoli al palato.
EI pan dei altri iò sete groste
Il pane degli altri ha sette croste.
Il pane degli altri ha sette croste.
El pan del paron el g’ha tre croste.
Il pane del padrone ha tre croste.
[ MD, AG, IM, NM]
Nota: Bisogna ben sudare per guadagnarselo.
384 E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468
14)
Tr.:
Trad.:
15)
Ital.:
Lat.:
Trad.:
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
Alt.
Trad.:
16)
17)
18)
V.-G.:
Trad.:
EI pomo tante volte de fora el fe bel, ma ‘n drento el fe marso
La mela tante volte di fuori è bella, ma dentro è marcia.
La castagna bela de fora dentro la magagna.
La castagna bella di fuori dentro magagna.
[ AG]
Nota: L’apparenza inganna.
Il proverbio può essere inteso anche metaforicamente: è difficile comprendere
i veri sentimenti che risiedono nell’animo di una persona.
EI saco vodio ‘n pen no sta, begna mpinilo o de paia o de fen, el saco
poi sta ‘n pen
Il sacco vuoto in piedi non sta, bisogna riempirlo o di paglia o di fieno, il sacco
poi sta in piedi.
La pancia sia piena, sia di paglia sia di rena.
Sine cibo, nec pugnare nec vincere possumus.
Senza cibo non possiamo né combattere né vincere.
O de strame o de fen, el stomego g’ha da esser pien.
O di strame o di fieno lo stomaco deve essere pieno.
Saco svodo no sta in pie.
Sacco vuoto nonsta in piedi.
A laarer Sack steaht net lang.
Sacco vuoto non sta in piedi.
[ MD, AG, PG, IM, NM, LS ]
Nota: Un corpo vuoto non può reggere alla fatica.
EI vin a la lengua ghe dà forsa, a le gambe el ghe la ciò
Il vino dà forza alla lingua, alle gambe la leva.
{ MM, NM, RT ]
Nota: Il vino giova alla loquacità ma non alle funzioni motorie del nostro corpo.
EI vin de malvafia - el più bon vin che ghe sia
Il vino di malvasia - il più buon vino che ci sia.
[ AG, IM, MM, NM]
Nota: Un po’ di campanilismo non guasta mai. Vedi glossario voce malvafia.
EI vin fa alegria, col se bevo in compagnia
Il vino fa allegria, se si beve in compagnia.
De otobre ‘l vin fa alegria co ‘1 se bevi in compagnia.
D’ottobre il vino fa allegria quando si beve in compagnia.
[ AG, MM, NM]
Nota: Qui ricorre il motivo del vino che toglie ogni preoccupazione, che allarga
il cuore, anche se si è in condizioni miserande.
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione parcmiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468 385
19) Graso fa graso
Grasso fa grasso.
Ital.: Carne fa came, pane fa pancia, vino fa danza.
Ital. Carne fa carne, pan fa sangue, vin mantiene, pesce fa vesce, erba fa merda.
Tr.: Carnefacamee vin fa sangue.
Trad.: Carne facame e vino fa sangue.
[ AG]
Nota: Più si mangia e più s’ingrassa.
20) Ierba cara ‘n te l’orto - peso caro al porto
Erba cara nell'orto - pesce caro al porto.
[ AG]
Nota: D’inverno, quando scarseggiano gli ortaggi, scarseggia anche il pesce
con conseguente aumento dei prezzi di mercato.
21) L'acqua marsiso i pai
L’acqua marcisce i pali.
Ven.: L’ aqua marcisse le pale del molin.
Trad.: L’ acqua marcisce le pale del mulino.
Tr.: L’aqua fa marziri pali, la fa che se diventi zali.
Trad.: L’acqua fa marcire i pali, fa diventare gialli.
[ MD, AG, MM]
Nota: Il popolo che lavora di braccia congiura contro l’acqua e dedica la sua
voce a cantare le lodi del vino.
22) Labotoladàel vinchela iò
La botte dà il vino che ha.
Ital.: La botte dà del vino che ha.
Tr.: Labotadàel vinchela ga.
Trad.: La botte dà il vino che ha.
[ IM, MM, NM, LS ]
Nota: Se la botte è buona, il vino sarà buono; se la botte è cattiva, il vino sarà
cattivo. Ne deriva che il comportamento è lo specchio del carattere.
23) La fritola como anche la dona, no la fe bona se no la fe tonda
La frittella come anche la donna, non è buona se non è rotonda.
[ MM ]
Nota: Da questo proverbio emerge come siano cambiati col tempo i canoni di
bellezza: mentre in passato l’ideale dei nostri nonni era la donna formosa e
naturalmente robusta per far fronte alle fatiche,oggi, influenzati dai mass-me-
dia, predilegiamo i modelli pelle ed ossa.
386 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468
24)
25)
26)
27)
28)
29)
La menestra fe la biava del contadin
La minestra è la biada del contadino.
[MM]
Nota: Nella cucina gallesanese il minestrone ha sempre avuto un ruolo molto
importante, soprattutto nelle fredde giornate invernali.
La mochèra calda, la scalda el boscador
Il piatto caldo, riscalda il boscaiolo.
[RT]
Nota: La mochèra è un recipiente di legno usato per portare il pranzo in
campagna.
La pagnoca de San Roco ingrasa el porco
La pagnotta di San Rocco ingrassa il maiale.
[ MM ]
Nota: San Rocco si festeggia il 16 agosto.
Quando l’Istria fu travagliata dal flagello della peste, gli abitanti di Gallesano,
scelsero San Rocco come loro Protettore ed edificarono una piccola chiesetta
in suo onore. Questa nel 1613 venne demolita e sul luogo venne eretta l’attuale
chiesa parrocchiale.
Il proverbio è stato così commentato dalla persona intervistata: il pane fatto con
la farina “giovane”, con la farina ottenuta dal grano mietuto nel mese di luglio,
è più saporito, si mangia più volentieri e di conseguenza si ingrassa più
facilmente.
La patata Se la regina de la cafa
La patata è la regina della casa.
[MM]
Nota: Con la patata si possono cucinare sia gustosissimi primi che secondi
piatti.
La polenta fe bona quando che ghe ne fe
La polenta è buona quando ce n’è.
| MM, RT]
Nota: Se non è stata una buona annata per il granoturco, sarà difficile anche
avere la polenta.
Lafagne e macaroni fe magnà de siori
Lasagne e maccheroni, è un pasto da signori.
[ MD, AG, LS ]
Nota: A Gallesano le tagliatelle, chiamate /afagne, e i macaroni vengono ancor
oggi fatti in casa, soprattutto in occasione delle festività. Per fare i macaroni ci
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 387
vuole una grande abilità, perché vengono avvolti su un ferro da calza.
30) Meio dure groste de pan, ma ‘1 cor ‘n paf ancoi e anca doman
Meglio dure croste di pane, ma il cuore in pace oggi e anche domani.
[ MD, AG ]
Nota: Meglio mangiare dure croste di pane, piuttosto che cedere all’usura con
tutte le conseguenze che ne derivano.
31) Meio magnà untoco de pan dur e vivi ‘n alegria, vesi de magnà un
toco de pan bon e vivi ‘n malinconia
E meglio mangiare un pezzo di pane duro e vivere in allegria, invece di
mangiare un pezzo di pane buono e vivere in malinconia.
[ AG]
Nota: vedi nota proverbio numero 30.
32) Mefogiorno- el pan al forno
A mezzogiorno - il pane in forno.
[ AG, LS ]
Nota: Gallesano ha tutt'oggi un proprio panificio che continua a cuocere il pane
con il forno a legna.
33) Nobegna rifiutà pan, perché alora ti segni pefo de un can
Non bisogna rifiutare il pane, perché allora sei peggio di un cane.
[ AG]
Nota:vedi nota proverbi numero 6 e 8.
34) Nosta patì la fam, magna magari pan dur
Non patire la fame, mangia magari pane duro.
[ AG]
Nota: Tutto è meglio della fame.
35) No fe magnà sina patata
Non vi è mangiare senza patata.
[MM]
Nota: vedi nota proverbio numero 27.
36) O paiao fen- basta che el saco staga ‘n pen
O paglia o fieno - basta che il sacco stia in piedi.
Tr.: Odepajaode fien, basta che el corpo sia pien.
Trad.: O di paglia o di fieno, basta che il corpo sia pieno.
Tren.: Paia o fen, entant che ‘l budel sia pien.
Trad.: Paglia o fieno, purché l’intestino sia pieno.
388 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Att, voL XXXI, 2001, p. 371-468
37)
38)
39)
40)
41)
42)
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Chi ha fame si accontenta di tutto. Vedi nota proverbio 15.
Pan comprà, pan bramà; pan de balansa no sasia mai la pansa
Pane comprato, pane bramato; pane di bilancia non sazia mai la pancia.
[ MD, AG, LS ]
Nota: Non si dispone mai di abbastanza soldi per comperare tutto ciò che si
vorrebbe.
Per el pan dur ghe vol denti duri
Per il pane duro ci vogliono denti duri.
[ AG]
Nota: Da notare quanto il pane sia ricorrente nei proverbi gallesanesi.
In senso metaforico il proverbio dice che quando ci si trova di fronte ad un
avversario molto duro o a situazioni che fanno tribolare, bisogna tener duro,
usando, se serve, anche lc maniere forti.
Perché el peso sia bon, begna esi ‘n tre: un che lo pesca, un che lo
frifo e un che lo magna
Perché il pesce sia buono, bisogna essere in tre: uno che lo pesca, uno che lo
frigge e uno che lo mangia.
[ MM, NM, RT ]
Nota: Per mangiare del buon pesce è necessario innanzitutto che qualcuno lo
peschi, poi che qualcun lo sappia cucinare e infine qualcuno che lo sappia
gustare.
Persighi, peri, pomi - meteli ‘n banca che i fe sempro boni
Pesche, pere, mele - metteteli in tavola che sono sempre buoni.
[ AG]
Nota: La frutta non deve mai mancare in tavola. Ricca di vitamine, è indispen-
sabile per la nostra dieta.
Questo no fe acqua ma fe vin, ma viva, viva San Martin
Questa non è acqua ma è vino, ma evviva, evviva San Martino.
[ AG]
Nota: Altro elogio del vino.
San Martin - protetor del vin
San Martino - protettore del vino.
[ MM, RT]
Nota: vedi nota proverbi numero 403, 404 e 405.
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Galkesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371468 389
43) Seelsaco no fe pien, nol sta ‘n pen
Se il sacco non è pieno, non sta in piedi.
Ital.: Sacco vuoto non istà ritto.
Nota: vedi nota proverbio numero 15 e 36.
44) Sela va, resti; se la resta, vai via subito
Se va via, resto; se resta, vado via subito.
[NM]
Nota: Questo è un proverbio enigma, un proverbio cioè che in forma oscura e
ambigua allude a una parola o a un concetto da indovinare. In questo caso si
riferisce alla schiuma del vino.
45) Setivoiche ‘Il bacalà sia bon, begna falo bon
Se vuoi che il baccalà sia buono, bisogna farlo buono.
[ AG]
Nota:Ci vuole una certa abilità in cucina, soprattutto in fatto di pesce.
46) Tela befasa del contadin, se cata sempro bon vin
Nella bisaccia del contadino, si trova sempre del buon vino.
[ MM, RT]
Nota: Il vino occupa un ruolo determinante nella vita quotidiana del contadino
gallesanese.
47) Ti magni solo, ma ti creparè solo
Mangi solo, ma morirai solo.
Ital.: Chi mangia solo, si strozza.
Tr.: Chi magna solo, crepa solo.
Trad. Chi mangia solo, muore solo.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: La compagnia e il bere durante i pasti ci fanno star bene.
48) Unbon goto de vin, fa bon sango e morbin.
Un buon bicchiere di vino, fa buon sangue e allegria.
Tr.: Una copade bon vin fa coragio e dà morbin.
Trad.: Una coppa di buon vino fa coraggio e dà allegria.
Tren.: El bon vin fabon sangue.
Trad.: Il buon vino fa buon sangue.
[ AG, IM, MM, NM ]
Nota: Il proverbio loda le qualità del vino, sangue della vite e della vita.
39% E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologici a Gallesano, Att, voL XXX], 2001, p. 371-468
49)
50)
51)
52)
Un goto de malvafia e un ovo a la mitina, fe una bona midifina per
el contadin
Un bicchiere di malvasia e un uovo alla mattina, è una buona medicina per il
contadino.
[ MM, RT ]
Nota: Si tratta ovviamente di una ricetta popolare, ma non mettiamo in dubbio
i benefici che se ne possono ricavare.
Una sopa de pan e vin fe la marenda del contadin
Una zuppa di pane e vino è la merenda del contadino.
[MM]
Nota: Il vino accompagna il contadino gallesanese lungo tutto l’arco della
giornata.
Val più un goto de vin - che duto el bufighin
Vale più un bicchiere di vino, che tutto il borzacchino.
[ Proverbio non noto agli intervistati. Trovato in Raccolta di proverbi istriani
di G. Vàtova, pag.543 ]
Nota:G.Vàtova in Raccolta di proverbi istriani, pag. 543 commenta così il
proverbio: “Un buon bicchiere di vino riscalda di più che portare le ghette di
pelle di vitello, che fasciavano le gambe dal polpaccio in giù e terminavano
sulle scarpe”.
Queste ghette di pelle di vitello, di colore naturale, a Gallesano chiamate
bufighini, mentre a Dignano d’Istria e a Valle d’Istria bufighéini, venivano
portate specialmente dai boari.
Attualmente nessuna delle persone intervistate conosce il significato della
parola bufighin.
Vin nero - sango bon
Vino nero - sangue buono.
[ AG, MM, RT]
Nota: È diffusissima a Gallesano la convinzione che il vino nero faccia bene al
sangue.
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 391
L’ AMORE.
L’ AMICIZIA.
GLI AFFETTI E I SENTIMENTI.
L’ amore
53) Amorfa amor e crudeltà fa crudeltà
Amore fa amore e crudeltà fa crudeltà.
Ital.: Amore fa amore.
Tr. Amorfaamore crudeltà consuma amor.
Trad.: Amore fa amore e crudeltà consuma amore.
Friul. Amoral fés amor.
[ AG, PG, LS ]
Nota: In tutti i gradi della società umana questa massima è verissima. L'amore
produce amore. Il bene è diffusivo di se stesso per natura. Questa corrispon-
denza biunivoca si fonda sulla legge della donazione reciproca, che genera
amore.
54) Amornovovae ven; amor vecio se manten
Amor nuovo va e viene; amor vecchio si mantiene.
Ital.: Amore nuovo va e viene, amor vecchio si mantiene.
Pugl.: Emoere vécchje s'amméndéiene; u nueve vé e véiene.
Trad.: Il vecchio amore si mantiene, il nuovo va e viene.
Russo: Staraja Ijubov” ne rZaveet.
Trad.: Il vecchio amore non arrugginisce.
[ AG, LS ]
Nota: Non si può scordare l’antica fiamma.
Da notare in questo proverbio la contrapposizione tra vecchio e nuovo.
55) Amor, morè e rogna no se scondo, come la scalogna
Amore, ragazzo e rogna non si nascondono, come la scalogna.
Ital.: Amoree tosse non si nascondono.
Ital.: Amore, tosse e fumo non si possono occultare.
Ital.: Amore, gravidanza e denari son tre cose che non si posson celare.
Ital.: Il fuoco, l’amore e la tosse ben presto si conosce.
Lat.: Amortussisque non celatur.
Trad.: L’amore e la tosse non si nascondono.
Tr.: L’amorelatosse no se pol sconder.
Trad.: L'amore e la tosse non si possono nascondere.
Ven.: Amore, tosse e panza no i se sconde.
Trad.: Amore, tosse e pancia non si nascondono.
Tren.: Né tés, né fam, né amor no se pol scénder.
392 E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468
Trad.:
Lad.:
Trad.:
Bol.:
Trad.:
56)
Ital.:
Ital.:
Mar.:
Trad.:
Tren.:
Trad.:
57)
Ital.:
Tosc.:
Tir
Trad.:
58)
Dign.:
Trad.:
Né tosse, né fame, né amore si possono nascondere.
Mort, fech e amor l’é trei robes che no se sarà mai bogn de scéner.
Morte, fuoco e amore sono tre cose che non si potranno mai nascondere.
L’ amaur e la tass prèst s acgnòss.
L’ amore, come la tosse, non si può nascondere.
[ AG, PG]
Nota: Chi ama, senza volerlo, manifesta esternamente il suo sentimento.
Dio li fa poi li sembra
Dio li fa, poi li accoppia.
Dio li fa, poi li accoppia.
Dio li fa, poi li accompagna.
EI Signor adocchia adocchia, fa le persone e po’ l’ accoppia.
Il Signore guarda, guarda, fa le persone e poi le accoppia.
El Signoredfo li fece, dé el li compagna.
Il Signore Iddio li fece, poi li accompagna.
[ MD, MM, LS |]
Nota: Il proverbio si riferisce a persone che vivono e agiscono insieme e hanno
gli stessi difetti. Il tono è evidentemente ironico.
Dio li iò fati, e ‘l diao li id compagnadi
Dio li ha fatti e il diavolo li ha accompagnati.
Dio li fa e poi li accompagna.
Il diavolo li fa e poi li appaia.
Dio li ga fati e el li ga compagnadi.
Dio li ha fatti e li ha accompagnati.
[AG]
Nota: Si dice per lo più di persone che stanno bene insieme e che hanno gli
stessi difetti. Usato anche in senso generico per le persone che hanno gli stessi
gusti, gli stessi sentimenti, le stesse affinità.
A Gallesano il proverbio viene usato perlo più quando ci si riferisce a due sposi
che si appaiano bene sia per qualità positive che negative.
Dute le rantele iò el so ragno; le morede che fa l’amor le mostra el
calcagno
Tutte le ragnatele hanno il proprio ragno; le fanciulle che fanno l’amore
mostrano il tallone.
Doute le rantile a jò al so ragno, poute che fa l’amur mostra el calcagno.
Tutte le ragnatele hanno il proprio ragno; le fanciulle che fanno l’amore
mostrano il tallone.
[ AG]
Nota: Le ragazze innamorate sono a tal punto infiammate da questo sentimento
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Asi, vol XXXI, 2001, p. 371-468 393
59)
Ital.:
Tr.:
Trad.:
60)
Emil.:
Trad.:
da dimenticare perfino di rammendarsi le calze.
EI primo amor no se defmentega mai
Il primo amore non si dimentica mai.
Il primo amore non si scorda mai.
Del primo amor no se se scorda mai.
Del primo amore non ci si scorda mai.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS ]
Nota: Forse perché nasce nella prima gioventù nel cui periodo di vita gli affetti
e le passioni giganteggiano guidate dalla fantasia e dal cuore, e lasciano perciò
più forte impressione nell’animo.
L’ amor scuminsia con soni e canti, ma?l finiso con sospiri e pianti
L’amore inizia con suoni e canti, ma finisce con sospiri e pianti.
AI matrimoni prinzèppia sàmper int al nòmm d'’ Idio, e finèss in quall dal
dièvel.
Tl matrimonio comincia sempre nel nome di Dio e finisce in quello del diavolo.
[AG]
Nota: Questo non è un proverbio, ma una villotta, anche se l’intervistata l’ha
citata in qualità di modo proverbiale.
Le villotte (canzoni a ballo, corali, di carattere popolare) sono di origine
antichissima e di autori ignoti.
“Nacquero da un moto improvviso del cuore e ci vennero tramandate col canto
di generazione in generazione; esprimono tutte sentimenti d’amore ed hanno
tutte lo stesso ritmo. Si cantavano di solito sotto le finestre della fanciulla amata
ed erano accompagnate ultimamente dalla chitarra o dal mandolino o da
entrambi, ma nel passato, come ora avviene per le manifestazioni folcloristi-
che, dai due antichissimi strumenti musicali gallesanesi “ /e pive ” ed “ el
simbolo ”, che accompagnavano anche altri ritmi, come il famoso ballo della “
furlana”, tuttora in voga.
Le “ pive ”, quasi cormamuse scozzesi, sono fatte con pelle di pecora, nella
quale si soffia da una parte e dall’altra esce l’aria attraverso due zufoli sui quali
si agisce con le dita onde ricavarne l’armonia. Il “ simbolo ” invece è fatto di
pelle d’asino tesa sopra un cerchio di legno e fermata da un altro cerchio; il che
fa rassomigliare lo strumento ad un setaccio. Di sotto alla pelle d’asino, ad un
filo di ferro, sono appese delle campanelle. Le “ pive ”’ suonano la melodia,
mentre il “ simbolo ” segna il tempo.” ( G. Tarticchio, Ricordi di Gallesano,
pag. 67 )
Dobbiamo accennare al fatto che le villotte non riflettono sempre il genuino
dialetto gallesanese, ma assumono un parlare che sta tra il dialetto e la lingua
italiana, forse per rendere più comprensibile agli estranei il testo delle canzoni.
394 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468
61)
Ital.:
Lat.:
Trad.:
Tren.:
Trad.:
62)
Ital.:
Lat.:
Trad.:
Tr.
Trad.
63)
Ital.:
Ven.:
Trad.:
TE
Trad.
Tren.:
Trad.:
64)
L’ amor fe orbo
L’amore è cieco.
L’ amore è cieco.
Amor caecus.
L’amore è cieco.
L’amor la è orba.
L’amore è cicco.
[ MD, AG, IM, MM, NM, LS ]
Nota: Chi ama non vede difetti e magagne dell’amato.
Lontan de’ oci, lontan dal cor
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Cum autem sublatus fuerit ab oculis, etiam cito transit a mente.
Una volta tirato via dagli occhi passa presto anche dalla mente.
Lontan de i occi lontan del cor.
Lontano dagli occhi lontano dal cuore.
[ AG, IM, MM, NM, LS ]
Nota: Vuol dire che quando una persona si allontana da noi anche i nostri affetti
si attenuano. In particolare la lontananza fa dimenticare la persona amata.
Nisun sabo sina sol; nisun prà sina fior; nisuna moreda sina amor
Nessun sabato senza sole; nessun prato senza fiore; nessuna fanciulla senza
amore.
Non c’è sabato senza sole né donna senza amore.
No gh’'è sabo senza sol; no gh’è puta senza amor; no gh’è un prà senza erba;
no gh’è camisa de vecia senza merda.
Non c’è sabato senza sole; non c’è ragazza senza amore; non c’è un prato senza
erba; non c’è camicia di vecchia senza merda.
No xe sabo senza sol no xe dona senza amor.
è 7) è z ;
Non c’è sabato senza sole non c’è donna senza amore
No gh’è sabo senza sol; no gh’è puta senza amor; no gh’è pra’ senza erba; no
gh’'è cémod senza merda.
Ù ; 4 - x 3
Non c’è sabato senza sole; non c’è donna senza amore; non c’è prato senza
erba; non c’è latrina senza merda.
[ AG, PG]
Nota: Il sabato è il giorno più atteso della settimana, ma è anche il giorno della
speranza e dei sogni. Ne parla Giacomo Leopardi nel “Sabato del villaggio”.
Ogni donna è illuminata dal sole dell’attesa, della speranza e palpita in attesa
del giorno di festa, del giorno dell’amore, del possesso della persona amata.
Pache d’ amor, no porta dolor
Botte d'amore, non portano dolore.
E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremniologica a Gallesano, Ari, voL XXXI 2001, p. 371-468. 395
Ital.: Chi patisce per amore non sente dolore.
[ AG]
Nota: Chi ama è pronto a soffrire per la persona amata.
65) Pache d’ amor non fa sintì dolor
Botte d’amore non fanno sentire dolore.
Ital.: Chi soffre per amor per amore non sente pene.
Ven.: Per amornose sente dolor.
Trad.: Quando si fa per amore non si sente dolore.
| AG, PG, LS ]
Nota: L’amore tende ad alleviare le sofferenze della vita.
66) Più ciaro che te vedi, più ben te voi
Più di rado ti vedo, più bene ti voglio.
[ AG, PG]
Nota: Secondo questa sentenza, meno si vede una persona più bene le si vuole.
Forse perché la lontananza aumenta il desiderio di riavere accanto la persona
amata.
67) Piùciarochete vedi, più speso me ricordi
Più di rado ti vedo, più spesso mi ricordo.
Tr.:. Ciarote vedoe speso te ricordo.
Trad.: Di rado ti vedo e spesso ti ricordo.
Ven.: Ciaro te vedo e spesso me ricordo: moroso da lontan no val un corno.
Trad.: Pocoti vedo e molto ti ricordo: fidanzato lontano non vale nulla.
| AG, PG ]
Nota: Generalmente si è portati a ricordarsi più delle persone che sono lontane
che di quelle che ci stanno accanto.
68) Quando che ‘l pan manca, l’ amor stanca
Quando il pane manca, l’amore stanca.
Ital.: Quando la fame vien dentro la porta, l’ amore se ne va dalla finestra.
Ital.: Quando la povertà entra dalla porta l’amore esce dalla finestra.
Ven.: Co la fame vien dentro da la porta, l’ amor va fora per i balconi.
Trad.: Quando la fame entra per la porta, 1’ amore se ne va per i balconi.
Lad.: Canche al né no pan te scrin, no farina te ciadin: spo va l’amor so pur ciamin.
Trad.: Quando non c’è pane nella dispensa, né farina nel catino: l’amore se ne va per
il camino.
[ MD, AG, MM, LS ]
Nota: Così commentano il proverbio G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi
trentini ladini e altoatesini (pag. 159): “Il povero non faccia all’amore, perché
senza soldi non si fa bollir la pentola”.
3% E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371-468
69)
Ital.:
Ital.:
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
70)
Ital.:
Ital.:
Ital.:
Fr.:
Trad.:
DIL)
Ital.:
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Alt.:
Trad.:
72)
bos
Trad.:
La sentenza connette l’amore alle condizioni economiche.
Quel che l’ ocio no vè, el cor soporta
Quello che l’occhio non vede, il cuore sopporta.
Se occhio non mira cuor non sospira.
Occhio non vede, cuore non duole.
Se ocio no smira, cuor no sospira.
Se l’ occhio non vede, il cuore non sospira.
Ocio no vedi e cuor no credi.
Occhio non vede e cuore non crede.
[ AG, LS]
Nota: Le cose che accadono senza che noi ne veniamo a conoscenza non
feriscono i nostri sentimenti.
Se no i se somia, no i se ciò
Se non si somigliano, non si prendono.
Chi si somiglia si piglia.
Chi si assomiglia si appariglia.
Ogni simile ama il suo simile.
Qui se ressemble s’assemble.
Chi si somiglia si unisce.
[ MD, AG, LS ]
Nota: I simili si cercano. È una legge di natura valevole anche per l’uomo.
Ognuno è attratto irresistibilmente dal proprio simile per un complesso miste-
rioso di caratteristiche e tendenze naturali comuni.
Sfortunadi al fogo ma fortunadi ‘n amor
Sfortunati al gioco ma fortunati in amore.
Chi ha fortuna in amore, non giochi a carte.
Fortunato al gioco, sfortunato in amore.
Sfortunà nel zogo, fortunà in amor.
Sfortunato nel gioco, fortunato in amore.
Gliick im Spiel, Ungliick in der Liebe; Ungliick im Spiel, Gliick in der Liebe.
Fortunato al gioco, sfortunato in amore; sfortunato al gioco, fortunato in
amore.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: È una scherzosa consolazione rivolta a chi perde nel gioco oppure una
frecciata di invidia a chi vince.
Un bafo non fa buf; un bafo e una forbida- e ‘l bafo fe fa via
Un bacio non fa buco; un bacio e una pulita - e il bacio è già via.
Baso no fa buso.
Bacio non fa buco.
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 397
Tr.:
Trad.:
Ven.:
Trad.:
Ven.:
Trad.:
Abr.:
Trad.:
73)
Tr.:
Trad.:
Lad.:
Trad.:
Baso no fa buso, ma prepara pe’ andar suso.
Bacio non fa buco, ma prepara per andare su.
Baso no fa buso, ma xe scala per andar suso.
Unbacio non fa buco, ma è scala per andare su.
Unbaso e ‘na forbia, el baso xe andà via.
Unbacio e una pulita, ed il bacio è sparito.
Pizzichi e basc’ nen fann’ busc”.
Pizzicotti e baci non fanno buchi.
[ AG, PG]
Nota: È la giustificazione della demi-vierge che crede di essere onesta in
quanto anatomicamente intatta.
Volese ben no costa gnente
Volersi bene non costa niente.
Volerse ben no costa gninte.
Volersi bene non costa niente.
A se voler ben no costa nia.
A volersi bene non costa nulla.
[ AG, LS ]
Nota: Questo proverbio è generalmente usato come buon augurio ai giovani
amanti.
L’amicizia
74)
Ital.:
Lat.:
Trad.:
Ven.:
Trad.:
75)
Ital.:
Ital.:
Tr.:
Trad.
Fr.:
Amici con duti e amico con nisun
Amico con tutti e amico con nessuno.
Amico di tutti e di nessuno, è tutt’ uno.
Amicus omnibus, amicus nemini.
Amico di tutti, amico di nessuno.
Amigo de tuti, amigo de nisun.
Amico di tutti, amico di nessuno.
[ AG, PG, LS ]
Nota: La vera amicizia è un rapporto di affetto vivo e reciproco che lega due o
più persone. Per sua natura è circoscritto a poche persone; se si estende troppo,
perde di intensità e di valore.
Conti spesi - amicisia longa
Conti spessi - amicizia lunga
Patti chiari, amicizia lunga.
Conti spessi, amicizia lunga.
Conti spessi, amizizia longa.
Conti spessi, amicizia lunga.
Enamitié, il faut de la franchise.
398 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468
Trad.:
76)
77)
Ven.:
Trad.:
“ELE
Trad.:
Tren.:
Trad.:
Lad.:
Trad.:
78)
Tosc.:
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
Nell’amicizia occorre schiettezza.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Se gli accordi son precisi, chiari e limpidi, in qualsiasi campo non
sorgeranno contrasti che possano incrinare l’amicizia. Ogni sotterfugio, ambi-
guità o imprecisione di termini può mettere in crisi un rapporto di fiducia,
anche dopo tanti anni.
Dopo fato ‘l servisio, se caga l’ amigo
Dopo aver fatto il sevizio, si caca l’amico.
[AG]
Nota: Il proverbio fa leva sul senso di egoismo radicato in molti, che fanno tutto
per calcolo e per interesse.
Ne la morte e ne’ spofalisi, se cognoso i amici
Ai funerali e ai matrimoni si conoscono gli amici.
I amigi se conosse a le fosse e a le nosse.
Gli amici si conoscono ai funerali ed alle nozze.
Ne le noze e nei mortori se conossi i parenti.
Alle nozze e ai funerali si conoscono i parenti.
A la nozza e a la fossa se cognose el parentà.
Alle nozze e ai funerali si conosce il parentado.
Su la noza e su la fosa se cognos i parenc’.
Alle nozze e ai funerali si conoscono i parenti.
[AG,LS]
Nota: Il proverbio ricorda l’usanza dell’agape funebre ad esequie terminate e
del banchetto nuziale, che accentuano il carattere rituale di “aggregazione”
fraterna del pasto in comune.
Tante volte va più ben un amigo che un parento
Tante volte è meglio un amico che un parente.
Val più un amico che cento parenti.
Megio un amigo che cento parenti.
Meglio un amico che cento parenti.
Val più un bon amigo che zento parenti.
Vale più un buon amico che cento parenti.
[ AG, PG]
Nota: I parenti a volte possono essere insensibili ed egoisti, mentre il vero
amico è sempre disponibile, è sempre pronto a venirci in aiuto.
E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, vo XXXI, 2001, p. 371468 399
Gli affetti e i sentimenti
79) Chichete vol bente lasa piorendo; chi che te vol mal te lasa ridendo
Chi ti vuole bene ti lascia piangendo; chi ti vuole male ti lascia ridendo.
Ital.: Chi ti vuol bene ti fa piangere, e chi ti vuol male, ti fa ridere.
Ital.: Chi mi vuol bene, mi lascia piangendo, chi mi vuol male, mi lascia ridendo.
Li.: Chi veubenfacianzee chi veu mafarie.
Trad.: Chi vuol bene fa piangere e chi vuol male fa ridere.
Tr.: Chichete volbente lassa pianzendo e chi che te vol mal te lassa ridendo.
Trad.: Chi ti vuole bene ti lascia piangendo e chi ti vuole male ti lascia ridendo.
[ AG, PG, LS ]
Nota: Il proverbio si riferisce al fatto che essere severi con i figli è penoso. Si
vorrebbe sempre offrire, dare gioia, aiuto, benessere. E invece quante volte
occorre negare, sgridare, insegnare la rinuncia. Allenare il figlio alla vita,
spesso piena di difficoltà e di umiliazioni, significa pure causargli amarezza,
momenti di pena o addirittura lacrime. Con il passare del tempo pianto e riso
si invertiranno a seconda dell’educazione ricevuta. Chi da piccolo è stato
allevato severamente avrà più probabilità di sorridere negli anni maturi.
80) Chide cor no dol, piorà no pol
Chi di cuore non duole, piangere non può.
[AG]
Nota: Si può piangere solo se si soffre veramente.
81) Elcorcontentofa vivi contenti
Il cuore contento fa vivere contenti.
[ MD, AG, PG, LS ]
Nota: Se si è appagati dal punto di vista sentimentale, anche gli altri problemi
della vita ci sembrano più sopportabili.
82) Perdonà fe de cris’ciani - defmentegase gnanche de fioi de cani
Perdonare è da cristiani - dimenticarsi neanche da figli di cani.
[ AG]
Nota: Il perdono è uno degli elementi essenziali su cui si basa il cristianesimo,
e la sentenza sopra riportata lo avvalora, mettendo però anche ben in evidenza
il fatto che, scordarsi di una persona cara è un fatto alquanto riprovevole.
400 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468
83)
Tr.:
Trad.:
Russo:
Trad.:
84)
85)
Ital.:
Ital.:
86)
Ital.:
PES
Trad.:
Fr.:
Trad.:
87)
GLI ANIMALI E LE LORO METAFORE
Adeso ‘1 pulastro sa più che la galina
Adesso il pulcino sa più della gallina.
Vol saver più l’ovo che la galina.
Vuole sapere più l’uovo che la gallina.
Jajca kyricu ne yCat.
Le uova vogliono sapere più della gallina.
[ MD, MM, LS, RT ]
Nota: Si dice generalmente ai ragazzi, a cui scorre troppo la lingua nell’emet-
tere opinioni.
Il proverbio indica una situazione invertita, in cui comanda chi dovrebbe
ubbidire, e chi dovrebbe stare sottomesso vuole avere voce in capitolo.
Al becher vol sempro vache grase
Il macellaio vuol sempre vacche grasse.
[ IM, NM]
Nota: L’avere vacche grasse significa ricchezza, perché più le mucche sono
“abbondanti” più carne ci sarà da vendere.
AI sion de gabia, canta o de invidia o de rabia
L’uccello di gabbia, canta o per invidia o per rabbia.
Uccel di gabbia, o canta per invidia o canta per rabbia.
L’uccelletto in gabbia non canta per amore ma per rabbia.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Metaforicamente indica che chi è privo della libertà talvolta cela il suo
cruccio, la sua rabbia e impotenza sotto la maschera di un’allegria imposta ed
esteriore.
Can che baia no morsega
Can che abbaia non morde.
Can che abbaia, non morde.
Can che baia no morsiga.
Cane che abbaia non morde.
Chien qui aboie ne mord pas.
Can che abbaia non morde.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT]
Nota: Significa metaforicamente che chi fa molte minacce generalmente non
passa ai fatti; ciò che apparentemente sembra terribile in realtà spesso non lo è.
Can no magna can
Cane non mangia cane.
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 401
Ital.:
Ital.:
Ital.:
Lat.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
Ven.:
Trad.:
Lad.:
Trad.:
Fr.:
Trad.:
88)
Ital.:
Tr.:
Trad.:
89)
Bol.:
Trad.:
Tren.:
Trad.:
90)
Cane non mangia cane.
Cane non morde cane.
Lupo non mangia lupo.
Canis caninam non est.
Cane non mangia cane.
Can no magna de can.
Cane non mangia da cane.
Can no magna de can.
Cane non mangia da cane.
Ntra de cians no i se mort.
I cani non si mordono fra loro.
Les loups ne se mangent pas entre eux.
I lupi non si mangiano tra di loro.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Vuol dire metaforicamente che un potente non si mette in lotta con un
altro potente.I potenti e le persone della stessa risma non soltanto non si
danneggiano tra di loro, ma talvolta si coalizzano contro altri.
Che colpa iò la gata se la parona fe mata
Che col pa ha la gatta se la padrona è matta.
Che colpa ha la gatta se la massaia è matta?
Che colpa ga la gata se la parona xe mata.
Che colpa ha la gatta se la padrona è matta.
[ AG, PG ]
Nota: Cioè che colpa hanno i domestici se, eseguendo gli ordini male impartiti
da una padrona che non sa fare, producono cose più in danno che in vantaggio
dell’economia domestica.
Chi masa i pulifi marsioi - masa la mare con duti i fioi
Chi ammazza le pulci marzoline - ammazza la madre con tutti i figli.
Chi maza la polsa marzarola maza la mèder e la fiola.
Chi ammazza la pulce marzaiola, ammazza la madre e la figliola.
A copar ‘l pulde marzòlo, se copa ‘l pare e anca ‘I fiòlo.
Ad accoppare la pulce marzaiola, si accoppa il padre e anche il figliolo.
[ AG]
Nota: Marzo è il tempo della cova e la caccia è proibita per permettere agli
animali di riprodursi. Può riferirsi anche agli animali nocivi come nel prover-
bio sopra citato. In questo periodo infatti, le pulci sono in cova, come tutti gli
ectoparassiti e non c'è momento migliore per evitarne la riproduzione.
Cirli mirli, cirli mirli: quartarole
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota:Ecco come G. Vàtova in Raccolta di proverbi istriani spiega il proverbio.
402 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468
91)
Ital.:
V.-G.
Trad.:
92)
93)
Ital.:
Ital.:
Ital.:
Tr.
Trad.:
Tren.:
Trad.:
94)
Tosc.:
Tren.:
Trad.:
“Cìrli mìrli è il cuculo, così chiamato per il suo canto: ci, ci, ci, cirolirolì. La
sua comparsa assieme ad altri uccelli era considerata dai contadini di lieto
auspicio per il raccolto del frumento, perciò gli chiedevano quante quartarole
ci porti quest'anno?
La quartarola era la dodicesima parte di uno ster (= hl 0,62)”.
Co canta el rospo - l’inverno fe morto
Quando canta il rospo - l’inverno è morto.
Quando canta il botto l’inverno è morto.
Co canta el rospo, l’ inverno xe morto.
Quando canta il rospo, l’inverno è morto.
[ AG]
Nota: Nella seconda metà di marzo, se la stagione è avanti, con i primi caldi i
batraci cominciano a uscire dal letargo e a cantare specialmente la sera.
Per quanto riguarda il proverbio in italiano, ricorderemo che botto al maschile
è raro, qui è usato anche per ragioni di assonanza, più usato è il termine botta
( è nome toscano e di altri dialetti ) per indicare il rospo.
Co canta la galina la iò fato 1’ ovo
Quando canta la gallina ha fatto l’uovo.
[AG]
Nota:vedi nota proverbio numero 107.
Co la vaca fe scampada fora de stala, no ocoro fi sercala
Quando la mucca è fuggita dalla stalla, non occorre cercarla.
Chiudere la stalla quando sono fuggiti i buoi.
Quando l’uccello è scappato non vale chiudere la gabbia.
Del senno di poi son piene le fosse.
Serar la stala dopo che xe scampadi i manzi.
Chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi.
Quando ‘l bò l’è fòr da la stala, céreghe drìo.
Quando il bue è fuori della stalla, corrigli dietro.
[ MD, AG, LS ]
Nota: Si indica così un qualcosa che arriva palesemente troppo tardi per
cautelarsi quando si è già in mezzo ai guai; preoccuparsi quando ormai non c’è
più nulla da fare. E inutile prendere un provvedimento dopo che il male è fatto.
Co manca el gran, le galine se beca
Quando manca il grano, le galline si beccano.
Quanto più manca la roba, tanto più cresce lo strepito.
Endé che no ghe n’è, le galine le se bècia.
Dove non ce n'è, le galline si beccano.
[AG]
E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremniologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 403
Nota: Il proverbio si riferisce alla famiglia avversata dalle privazioni.
95) Co‘l gato manca, i sorfi bala
Quando il gatto manca, i topi ballano.
Ital.: Quando non c’è la gatta i topi ballano.
Tren.: Can che no gh’è ‘1 giat, i sor$i i bala.
Trad.: Quando non c'è il gatto, i sorci ballano.
Lad.: Quanque ‘I giat ie ora de ciesa, ven la surìces ora de di biges.
Trad.: Quando il gatto è fuori di casa, i sorci escono dai buchi.
| MD, AG, PG, MM, LS, RT ]
Nota: Il proverbio metaforicamente dice che quando manca il superiore, i
subalterni trascurano il proprio dovere e quando i genitori sono assenti i figli
se la spassano.
96) Corvie cornacie no se beca mai
Corvi e cornacchie non si beccano mai.
Ital.: Corvi con corvi non si cavano mai gli occhi.
[ AG, LS ]
Nota: Metaforicamente significa che i malvagi non si combattono fra di loro.
Anche nel male c’è la solidarietà.
97) Cotecrepauna vaca fe la fortuna del becher
Quando ti muore una vacca è la fortuna del macellaio.
[ IM, NM]
Nota:Perché avrà carne da vendere.
98) Crepada la vaca - desfada la sòseda
Morta la vacca - disfatta la soccida.
Ital.: Mortala vacca, disfatta la sòccida.
Ital.: Morto il figlioccio, non siamo più compari.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Gli obblighi o le relazioni sociali scompaiono quando non c’è più
l’oggetto o la persona che li sosteneva.
99) EI pulastro vol imparaghe a la galina
Il pulcino vuole insegnare alla gallina.
[ AG, IM, NM ]
Nota: vedi nota proverbio numero 83.
100) EI raio del samer no riva ‘n ciel
Il raglio dell’asino non arriva in cielo.
Ital.: Raglio d’ asino non arrivò mai in cielo.
Ital.: I ragli degli asini non arrivano in cielo.
40 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Asi, voL XXXI, 2001, p. 371-468
Ital.:
Ere
Trad.:
101)
Ital.:
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Tren.:
Trad.:
Fr.:
Trad.:
Fr.:
Trad.:
102)
Ital.:
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
103)
Raglio d’asino non sale in cielo.
Vose de asino no va in ziel.
Voce d’asino non va in cielo.
[ MD, AG, PG, IM, NM]
Nota: La metafora indica che la preghiera di chi chiede cose strane , impossibili
o cattive, non può essere ascoltata.
Galina vecia fa bon brodo
Gallina vecchia fa buon brodo.
Gallina vecchia fa buon brodo.
Bandiera vecchia onora capitano.
Galina veccia fa bon brodo.
Gallina vecchia fa buon brodo.
Galina vècia fa bon brodo.
Gallina vecchia fa buon brodo.
C'est dans les vieux pots qu’on fait la meilleure soupe.
È nelle vecchie pentole che si fa il miglior brodo.
Les vins vieux sont les meilleurs.
I vini vecchi sono i migliori.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: L'esperienza è una delle qualità dell’età senile.
Così G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini (pag.124-
125): “Il proverbio è citato per la prima volta da Nicolò Franco nella Priapea
(Casale M. 1541, p.163) ed è proprio delle donne attempate più esperte nei
rapporti sessuali delle giovani, donde la vitalità del proverbio stesso in tutte le
versioni orali dello Stivale. Il senso tropologico ne attenua l’arditezza sotadica,
nonché l’uso eufemizzato che ne facevano anche le mature cortigiane romane,
le quali - al dire del Brantòme, Le dame galanti, roma 1967,5,2 - “essendo più
pratiche nell’arte e nei modi dell’amore, sanno procurare un diletto maggiore
‘9999
ai loro amanti”.
Gnanche el can mena la coda per de bando
Neanche il cane muove la coda per niente.
Muove la coda il cane. Non per te, ma per il pane.
No gh’è tristo can che no mena la coa.
Non c’è cane malvagio che non meni la coda.
Nanca ‘l can no mena la coda per gnente.
Neanche il cane non agita la coda per niente.
[ MD, AG, LS ]
Nota: Nessuno fa niente per niente.
Grama quela pegora che no se porta drio la so lana
Povera quella pecora che non si porta dietro la sua lana.
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468 405
Ital.: Triste quella pecora che non vuol portarla sua lana.
[ AG, PG]
Nota: Il proverbio commisera coloro che non sanno curare da soli i propri
interessi.
104) La bolpo gambia ‘I pel ma no el visio
La volpe cambia il pelo ma non il vizio.
Ital.: La volpe perde il pelo ma non il vizio.
Ital.: Il lupo cambia il pelo ma non il vizio.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Nell’ invecchiare la volpe non rimbambisce, anzi cresce d’ esperienza,
diventa più astuta.
105) La galina minodela, la fe sempro pulastrela
La gallina minuta, è sempre pollastrella.
To.: Galina nana, sempre pola.
Trad.: Una gallina piccola sembra sempre una pollastrella.
[ AG, IM, MM, NM, RT ]
Nota: Il proverbio si riferisce alle donne e vuol dire che un donnino piccolo di
statura dimostra sempre meno degli anni che ha: resta più a lungo giovanile di
aspetto.
106) La persona se liga con la parola, ma el manfo con la corda
La persona si lega con la parola, ma il manzo con la corda.
Ital.: I buoi perle corna e l’uomo per la parola.
Ital. L’uomo perla parola e il bue per le corna.
Lomb.:I omen se lighen con la parolla e i besti con la corda.
Trad.: Gli uomini si legano con la parola e le bestie con la corda.
Ven.: Cola cavezza se liga i cavai, cola parola i omeni.
Trad.: Con la cavezza si legano i cavalli, con la parola gli uomini.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Come i buoi si legano per le corna perché sono la parte più resistente e
sensibile insieme, così l’uomo si lega per la parola perché rappresenta l’espres-
sione più nobile dell’uomo, simbolo del suo onore, garanzia di autenticità e di
fiducia.
L’uomo che non sa mantenere la parola data è ritenuto comunemente da poco,
perché manca di carattere.
107) La prima galina che canta - iò fato 1’ ovo
La prima gallina che canta ha fatto l’uovo.
Ital.: Gallinache canta ha fatto l’uovo.
Lat.: Excusatio non petita, accusatio manifesta.
Trad.: Scusa non richiesta, accusa manifesta.
406 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ami, vo XXXI 2001, p. 371-468
Pr
Trad.:
Lad.:
Trad.:
Fr.:
Trad.:
108)
V.-G.:
Trad.:
109)
Ital.:
Ital.:
TL
Trad È
110)
111)
Ital.:
Ital.:
La galina che canta gà fato l’ovo.
La gallina che canta ha fatto l’uovo.
La pruma gialina che cianta l’à fat l’ef.
La prima gallina che canta ha fatto l’uovo.
La premiére poule qui chante c’est celle qui a fait l’oeuf.
La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo.
[ MD, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Chi si affanna troppo a scusarsi, manifesta spesso la sua colpevolez-
za.Esopo ne fece una favola morale dove il lupo si giustifica e nega prima di
essere imputato, d’aver divorata una pecora.
Le mosche de otobre no le morsega più
Le mosche di ottobre non mordono più.
Le mosche de otobre no le morsega più.
Le mosche d’ottobre non mordono più.
[AG]
Nota: Adottobre l’aria diventa più fresca e con l’arrivo del freddo, le mosche,
che durante l’estate sono state attivissime, muoiono. Alcuni esemplari riescono
però a sopravvivere rifugiandosi nelle case riscaldate, altri restano nascosti
nelle fessure dei muri e tra le cortecce degli alberi.
L’ ocio del paron ngrasa el caval
L’occhio del padrone ingrassa il cavallo.
L’ occhio del padrone ingrassa il cavallo.
Il piede del padrone ingrassa il campo.
L’occio del paron ingrassa el caval.
L’occhio del padrone ingrassa il cavallo.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Questo proverbio, di origine contadina, vuol dire che l° attenzione
costante e amorevole del padrone conserva e fa crescere i propri beni, ma anche
che ai propri affari è meglio pensare da sé.
Meio che crepa un manfo ‘n stala, piutosto che un sorfo ‘n sofita
È meglio che muoia un manzo in stalla, piuttosto che un topo in soffitta.
[ AG, IM, NM ]
Nota:Un tempo a Gallesano, la farina ottenuta dalla macinazione del grano e
del granoturco veniva posta in soffitta. Perciò trovarvi un topo morto signifi-
cava avere la soffitta vuota, perché il raccolto era andato male.
No molestà ‘l can, col can riposa
Non molestare il cane, quando il cane riposa.
Non destar il can che dorme.
Can che dorme non lo provocare.
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468 407
Ital.:
Lat.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
Fr.:
Trad.:
112)
Ital.:
“DE:
Trad.:
113)
Ital.:
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
114)
Ital.:
VG.
Trad.:
115)
Non destare il can che giace.
Quietum non move lutum.
Non muovere il brago fermo.
Lassar star in pase el can che dormi.
Lasciare in pace il cane che dorme.
Ne réveillez pas le chat qui dort.
Non svegliate il gatto che dorme.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: È preferibile non irritare le persone irascibili. Ma l’espressione indica
anche il turbare una situazione di tranquillità, provocando una reazione a
catena dalle conseguenze imprevedibili e che si rivolgono contro chi l’ha
messa in moto.
No sta comprà el gato tel saco
Non comperare il gatto nel sacco.
Comprar la gatta nel sacco.
No se compra la gata in saco.
Non si compra la gatta nel sacco.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Esaminiamo le cose prima d’acquistarle.
No sta daghe al can invesi del paron
Non bastonare il cane invece del padrone.
Chi non può battere l’asino batte la sella.
Rispeta ‘l can par el paron.
Rispetta il cane per il padrone.
Rispeta el can per el paron.
Rispetta il cane per il padrone.
[ AG]
Nota: Non bisogna prendersela con una persona diversa dal vero colpevole o
punire per interposta persona.
No fe galina o galinasa, che de fenaro ovi no faga
Non c’è gallina o gallinaccia, che di gennaio uova non faccia.
Non c’è gallina né gallinaccia che di gennaio uova non faccia.
No xe galina o galinassa che de zenaro vova no fassa.
Non c’è gallina o gallinaccia che di gennaio uova non faccia.
[ AG, LS ]
Nota: Dopo un periodo di stasi, le galline a gennaio ricominciano a fare le uova
in abbondanza.
No voresi esi vivo quando che la galina farò l’ovo despoi disnà
Non vorrei essere vivo quando la gallina farà l’uovo dopo mezzogiorno.
408. E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468
116)
Tr.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
117)
Ital.:
118)
119)
Ital.:
Tosc.:
Lad.:
Trad.:
120)
Ital.:
[ MM, RT]
Nota: Perché significherà che tutto il mondo sarà sotto sopra.
Ogni bisa iò al so velen
Ogni biscia ha il proprio veleno.
Ogni bissa ga el suo velen.
Ogni biscia ha il suo veleno.
Ogni mosca ga el suo velen.
Ogni mosca ha il suo veleno.
[ IM, MM, NM ]
Nota: Ha più o meno lo stesso significato di Non c’è rosa senza spine. Vedi
nota proverbio numero 342.
Ogni sion fa ‘Il so nil
Ogni uccello fa il suo nido.
Quale I’ uccello, tale il nido.
[ AG, IM, NM]
Nota: L’ambiente in un cui viviamo è lo specchio del nostro carattere.
Povera quela cafa la che no fe sorfi
Povera quella casa in cui non ci sono topi.
[ MD, AG, IM, NM ]
Nota: Perché dove non ci sono topi non c’è neanche cibo.
Povera quela cafa ola la galina canta e ‘l gal sta sito
Povera quella casa in cui la gallina canta e il gallo sta zitto.
Guai a quella casa dove gallina canta e gallo tace.
In casa non c’è pace, quando gallina canta e gallo tace.
Pera chela ciasa lo che le gialine cianta e ‘1 gial fas acort.
Povera quella casa dove le galline cantano e il gallo fa silenzio.
| MD, AG, MM, LS ]
Nota: Infelice quella casa dove comanda la donna, secondo il proverbio. Il
marito dev'essere colui che guida e detiene il potere decisionale.
Povera quela pegora che no cata el monton tel so ciapo
Povera quella pecora che non trova il montone nel suo gregge.
Moglie e buoi dei paesi tuoi.
[ AG]
Nota: È un invito a scegliere persone e cose nel nostro ambiente perché
possiamo conoscerne meglio i pregi e i difetti.
È preferibile ammogliarsi con donna del proprio paese e del proprio ambiente
perché se ne conosce il carattere e la famiglia.Lo stesso vale nel comprare
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologio a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 409
animali, per non rischiare di comprarli ammalati.
121) Povera quela pegora che va fora del ciapo
Povera quella pecora che esce dal gregge.
[ AG, IM, NM]
Nota: Questo è invece un invito a non uscire dal proprio habitat.
122) Quando ‘n cafa manca el gato, i sorfi bagola
Quando in casa manca il gatto, i topi gironzolano.
Ital.: Quando la gatta non è in paese, i topi ballano.
[ IM, NM]
Nota: vedi nota proverbio numero 95.
123) Sela vaca no rendo, nisun no la ciò
Se la mucca non rende, nessuno la prende.
[ AG, PG]
Nota: Lo stesso vale per gli uomini: una persona lavativa difficilmente troverà
un impiego.
124) Se pe’ la boca no pasa, gnanche la vaca no se ngrasa
Se per la bocca non passa, neanche la mucca non ingrassa.
Tr.: Senza magnarno se vien grassi.
Trad.: Senza mangiare non si diventa grassi.
[ AG, PG, IM, MM, NM, LS ]
Nota: Si risponde così a chi si lamenta di ingrassare pur mangiando poco.
125) Sento volte coro el can e una volta coro el levero
Cento volte corre il cane e una volta corre la lepre.
{ AG]
Nota: vedi nota proverbio numero 131.
126) Speta caval, che l’ erba creso ( col fe bituà, el caval fe crepà )
Aspetta cavallo, che l’erba cresce (quando è abituato, il cavallo è morto).
Ital.: Aspetta caval che |’ erba cresca.
Ital.: Campa cavallo! Che 1° erba cresce!
Tosc.: Aspetta cavallo che l’erba cresce: mentre l’erba cresce muore il cavallo
Tr.: Spetamusche l’erba cressi.
Trad.: Aspetta asino! Che l’erba cresce!
Tren.: Caval no morir, che l’erba sta ‘n vegnir.
Trad.: Cavallo non morire, che l’erba sta per venire.
Lad.: Ciaval no morir che l’erba à da vegnir.
Trad.: Cavallo non morire che l’erba ha da venire.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
410 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiolopica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468
127)
128)
Tre
Trad Da
Lad.:
Trad.:
129)
Ital.:
130)
Nota: Questa esclamazione è un invito ironico o rassegnato a cercare di soprav-
vivere in attesa di momenti favorevoli che però sono lontani ed incerti. Si usa
per invitare qualcuno a non illudersi quando le probabilità di realizzazione di
speranze o desideri sono minime o nulle. La variante gallesanese con l'aggiunta
“col xe bituà, el caval xe crepà”, l'ho riscontrata anche tra i proverbi toscani
(Aspetta cavallo che I’ erba cresce: mentre |’ erba cresce muore il cavallo ).
Mentre ci affanniamo a calcolare il tempo, questo scorre via senza che ce ne
accorgiamo.
Saremo a l’ era co’ la mucarola, ma torneremo ‘ndrio co’ la same-
rola
Andremo all’aia con la “mucarola”, ma torneremo indietro con l’asinella.
[ AG]
Nota: Questo è un testo di villotta che viene generalmente cantato alla lon-
ga.Vedi nota proverbi numero 60 e 410.
Tanti sameri se somia
Tanti asini si assomigliano.
Manca asini che se sòmia.
Mancano asini che si assomigliano.
Ge n’é tene azegn che ze soméa, e no ze cogn ze ‘n far marevéa.
Ci sono tanti asini che si somigliano e non bisogna farsene maraviglia.
[ AG, PG, IM, MM, NM, LS ]
Nota: Si dice a chi risponde sentendo chiamare un nome uguale al proprio.
Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini (pag. 259)
commentano così il proverbio: “I saccenti si somigliano fra loro in tutti i campi
e livelli sociali, nella medesima presenza arrogante”.
Ti iè l’anema treso como i gati
Hai l’anima di traverso come i gatti.
Avere nove vite come i gatti.
[ AG]
Nota: La locuzione viene usata per indicare una persona maldicente e vendica-
tiva.
Ti segni lepa como la galina co fe la nio
Sei cieca come la gallina quando c’è la neve.
[ AG, LS ]
Nota: La neve a Gallesano, negli ultimi anni vent'anni, è stata un evento
abbastanza raro. In queste sporadiche occasioni, le galline sembravano quasi
accecate dal bianco del manto nevoso: non riuscivano a distinguere neanche il
cibo se questo veniva posto sulla neve.
E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371468 411
131) Una volta coro el can e ‘n’ altra el levero
Ital.:
Tr
Trad.:
Una volta corre il cane e un’altra la lepre.
Una volta corre il cane e l’altra la lepre.
Una volta cori el can e st’altra el levro.
Una volta corre il cane e quest’altra la lepre.
[ MD, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Significa che la fortuna cambia, che una volta è fortunato uno e |” altra
volta il suo avversario. Nella vita cambiano, a volte, le parti: da inseguitori si
può diventare inseguiti.
132) Val più un ovo ‘ncoi, che una galina doman
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Fr.:
Trad.:
Vale più un uovo oggi, che una gallina domani.
Meglio un uovo oggi che una gallina domani.
Meio ogi un ovo che dimani una galina.
Meglio oggi un uovo che domani una gallina.
Un tiens vaut mieux que deux tu l’auras.
Un “tieni” vale più di due “avrai”.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Vuol dire che è meglio accontentarsi del poco subito che del molto
domani; non è opportuno rischiare ciò che si ha in vista di aleatori migliora-
menti. Il proverbio invita a non lasciare il certo per l’incerto anche se quest’
ultimo appare più desiderabile.
E un invito alla prudenza.
412 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468
133)
It.:
Tr.:
Trad
134)
Ital.:
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Fr.:
Trad.:
135)
Ven.:
Trad.:
dba
Trad.:
136)
pine:
"Trad
137)
L’ASPETTO FISICO
Anche l’ocio vol la so parto
Anche l’occhio vuole la sua parte.
L’ occhio vuole la sua parte.
Anca l’occio vol la sua parte.
Anche l’occhio vuole la sua parte.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Significa che le cose presentate bene piacciono di più poiché soddisfano
le esigenze estetiche.
Bel in fasa e bruto ‘n piasa
Bello in fascia e brutto in piazza.
Bello in fasce, brutto in piazza.
Brutto in fasce, bello in piazza.
Bruto in fasa, bel in piaza.
Brutto in fascia, bello in piazza.
Qui est bel enfant sera laid plus tard.
Chi da bambino è bello, più tardi sarà brutto.
[ AG, PG ]
Nota: Non sempre le qualità buone che abbiamo avuto da piccoli restano
intatte, spesso si cambiano nel loro opposto. E viceversa.
De una bela scarpa, resta sempro una bela savata
Di una bella scarpa, rimane sempre una bella ciabatta.
Ogni bela scarpa diventa ‘na bruta zavata.
Ogni bella scarpa diventa una brutta ciabatta.
Una bela scarpa diventa una bela zavata.
Una bella scarpa diventa una bella ciabatta.
[ AG]
Nota: Una donna che è stata bella in gioventù ne fa fede coi lineamenti del suo
volto anche nella vecchiaia.
El iò più pensieri che cavei ‘n suca
Ha più pensieri che capelli in testa.
Aver più pensieri che cavei in testa.
Avere più pensieri che capelli in testa.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Molte volte le preoccupazioni che ci affliggono sono talmente numerose,
che non riusciamo a contarle.
La savata se la fe bela de nova, la fe bela anche despoi vecia
E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371468 413
138)
Ital:
139)
Ital.:
Alt.:
Trad.:
140)
Alt.:
Trad.:
141)
142)
1 bi sf
Trad HE
La ciabatta se è bella nuova, è bella anche vecchia.
[ AG]
Nota: vedi nota proverbio numero 135.
La belesa dura poco
La bellezza dura poco.
Bellezza è come un fiore che nasce e presto muore.
[ IM, NM]
Nota: È qui presente il topos della caducità della bellezza terrena.
Longo el cavel, ma curto el sorvel
Lungo il capello, ma corto il cervello.
Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli.
Je linger die Haar, desto kiirzer der Verstand.
Più lunghi sono i capelli, più corto è l’intelletto.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Malignamente si nega a coloro che portano i capelli lunghi (e sono
soprattutto le donne) la capacità di ragionare, di intuire, di capire.
Man picia - brava fento ; man granda - bona fento
Mano piccola - brava gente; mano grande - buona gente.
Schaug auf die Leut, kloane Oahrn - grossziigige Leut; kalte Hand - warmher-
zige Menschen; kloane Hind - vornehme Herkunft.
Osserva la gente: orecchi piccoli, gente generosa; mani fredde, gente di buon
cuore; mani piccole, gente di casta nobile.
[ AG]
Nota: G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini: “Sorto
in tempi lontani, il consiglio visualizza una forma adimante della cultura
popolare”.
Meio simpatico che bel
Meglio simpatico che bello.
[ AG]
Nota: La simpatia è una virtù che va ben oltre l’apparenza fisica.
Mufo duro e bareta fracada
Viso duro e berretto schiacciato.
Muso roto bareta fracada.
Viso rotto berretto schiacciato.
[ AG, PG]
Nota: A.C. Cassani in Saggio di proverbi triestini raccolti ed illustrati (pag.
24) commenta così il proverbio: “Sfacciato, che non arrossisce più per esser
414 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468
143)
Ital.:
Pu.:
Trad.:
Lad.:
Trad.:
144)
Cal.:
Trad.:
145)
146)
Tren.:
Trad.:
Tr.
Trad.:
147)
rotto al mal costume: porta il beretto calcato in sugli occhi per non incontrare
gli sguardi altrui ne’ quali teme dover leggere la propria sentenza”.
Pelo roso - poca fede
Pelo rosso - poca fede.
Rosso mal pelo.
Ce u russe fosse fedèle, pure u diàuue fosse senggère.
Se il rosso fosse fedele, anche il diavolo sarebbe sincero.
El à la berba rosa.
Rosso malpelo.
[ AG, PG, IM, NM, LS ]
Nota:Il volgo ha sempre diffidato di tutto ciò che esce dalla normalità della
natura e segnati erano anche i rossi di pelo.
Più recia granda che ti iè, più vita longa ti iè
Più hai grande l’orecchio, più hai lunga la vita.
Ricchi longhi, vita longa.
Orecchie lunghe, vita lunga.
[ AG, PG]
Nota: Secondo il proverbio, le dimensioni dell’orecchio sarebbero proporzio-
nali alla durata della vita.
Povero quel vifo che no ‘1 iò ‘1 sorifo
Povero quel viso che non ha il sorriso.
[ AG, PG ]
Nota: È molto più bello vedere un viso sorridente che uno sempre imbronciato.
Rosa de pel - sento diavi per cavel
Rossa di pelo - cento diavoli per capello.
Dona rossa dal mal pel, zento diàoli per cavèl.
Donna rossa dal mal pelo, cento diavoli per capello.
Rosso de mal pel zento diavoli per cavel.
Rosso mal pelo cento diavoli per capello.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Il proverbio rispecchia un’aperta sfiducia in chi ha i capelli rossi.
Secondo G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini
(pag.129): “Il pregiudizio in passato trovò esca nel fatto che gran parte dei
barbari che per secoli scorrazzarono sul nostro suolo, bruciando e saccheggian-
do, erano popolazioni nordiche, dal pelo rosso come Barbarossa. Perciò il
“rosso” è stato per secoli un segno di scarsa fedeltà: rufus esse minus fidelis”.
Scarpa grosa e sorvel fin
Scarpa grossa e cervello fine.
E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371468 415
Ital.:
Ital.:
Fr.:
Trad.:
148)
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Trad.:
Jhee
Trad.:
149)
“Ri:
Trad.:
150)
Ital.:
Ti:
Trad.:
Bol.:
Trad.:
151)
Contadini, scarpe grosse e cervelli fini.
Contadino: scarpe grosse e cervello fino.
Gros sabots, esprit fin.
Zoccoli grossi, cervello fino.
[ AG, PG, IM, MM, NM ]
Nota: Spesso sotto la ruvida scorza del contadino si nasconde intelligenza e
capacità intuitive e logiche non comuni.
Stuco e pitura fa bela figura
Stucco e pittura fa bella figura.
Stuco e pitura fa bela figura.
Stucco e pittura fanno bella figura.
Stuco e color fa bel el lavor.
Stucco e colore fanno bello il lavoro.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Il proverbio si rivolge soprattutto alle donne che si truccano molto,
nascondendo così i veri lineamenti del viso.
Suca spelada - omo studià
Testa calva - uomo studiato.
Fronte spaziosa, omo giudizioso.
Fronte spaziosa, uomo giudizioso.
[ IM, MM, NM ]
Nota: Quasi a voler dire che il troppo studiare favorisce la calvizie.
Se bel quel che fe bel, ma fe bel più quel che piaf
È bello ciò che è bello, ma è più bello quello che piace.
Non è bello ciò ch’è bello, ma è bello quel che piace.
No xe bel quel che xe bel, ma quel che piasi.
Non è bello quello che è bello, ma quello che piace.
A n'é tant bèla Fiuranza, quant è bèla Piasanza.
Non è tanto bella Firenze quanto è bella Piacenza.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: È un’asserzione di gusto soggettivistico. Esiste una bellezza di carattere
oggettivo, cioè riconosciuta da tutti, ed esiste un tipo di bellezza che tocca
soltanto il singolo, per alcune caratteristiche che lui solo riconosce ed ammira.
Sota la grasesa, sta la belesa
Sotto alla grassezza, sta la bellezza.
[ AG, LS ]
Nota: vedi nota proverbio numero 23.
416 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468
152)
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153)
154)
155)
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Tr.:
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156)
Trad.:
I BLASONI POPOLARI
Cicio no fe per barca
Il Cicio non è per barca.
Cicio no xe per barca.
Cicio non è per barca.
Cicio no xe per barca, né Venesian per bosco.
Cicio non è per barca, né Veneziano per bosco.
{ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Il Cicio è l’abitante dell’altipiano della Ciceria e secondo il proverbio
non è adatto a fare il marinaio (come a dire a ognuno l’arte sua).
Chi no iò fato ben in Carnia no ne farò gnanche in Friul
Chi non ha fatto bene in Carnia non ne farà neanche in Friuli.
{ AG, PG, IM, NM, LS ]
Nota: Se uno non ha voglia di lavorare, non serve che cambi città o regione o
Paese: l’operosità è una questione di carattere non di area geografica.
Dignanefi pioraseri, co’ le befase sempro piene
Dignanesi piagnoni, con le bisacce sempre piene.
[ MM, RT]
Nota: Secondo la tradizione gallesanese, gli abitanti di Dignano d’Istria osten-
tano impropriamente la propria povertà, essendo in realtà molto agiati.
Dio no fe furlan - se no ‘l paga ‘ncoi, ‘l paga doman
Dio non è friulano - se non paga oggi, pagherà domani.
Dio non paga il sabato.
Idio xe un bon paron, el paga a la sua stagion.
Dio è un buon padrone, paga alla sua stagione.
Dio no xe furlan, se no ‘l paga ogi el paga doman.
Dio non è friulano, se non paga oggi pagherà domani.
{ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Vuol dire che i malvagi a volte sembrano farla franca ma, col tempo, la
giustizia li raggiunge.
Il proverbio mette in evidenza il fatto che la gente di Gallesano reputai friulani
una popolazione avara. Come d'altronde è proverbiale a Trieste, soprattutto
nelle barzellette, l’avarizia degli istriani.
Galifan bel: poca fento ma sai brodel
Gallesano bello: poca gente ma assai bordello.
[ AG]
Nota: Gallesano oggi ospita all’incirca milletrecento abitanti.
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atî, vo XXXI, 2001, p. 371468 417
157). La coriera de Albona - duti quanti a la coiona
La corriera di Albona - tutti quanti alla cogliona.
[MM]
Nota: È un proverbio senza senso.
158) Meio esi samer de Dignanef che manf$o del Valef
È meglio essere asino di Dignanese che manzo di Vallese.
[RT, LS]
Nota: In passato la gente di Dignano era molto benestante, tanto che ogni
singola famiglia aveva il suo asino per lavorare la terra. Gli abitanti di Valle
erano invece più poveri dal punto di vista economico: un unico manzo veniva
preso in prestito da più famiglie per arare i campi .
159) Segni fi a Montona: iè ncontrà quaranta femene, ma gnanche una
bona
Sono andato a Montona: ho incontrato quaranta donne, ma neanche una
buona.
[RT]
Nota: Per spiegare questo provebio ne useremo un altro: Moglie e buoi dei
paesi tuoi. Ma il proverbio si ricollega anche alla cattiva fama delle donne di
Montona.
160) Se meio Galifan co’ so grumasi, che duta Pola co’ so palasi
È meglio Gallesano con i suoi cumuli di pietre, che tutta Pola con i suoi
palazzi.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Un po’ di campanilismo non fa mai male.
I grumasi sono cumuli di pietra, mucchi di pietre raccolte durante la coltura di
un terreno.
418. E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371-468
161)
Ital.:
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Lad.:
Trad.:
162)
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Trad.:
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Trad.:
Tr.:
Trad.:
163)
Ital.:
Tr.:
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164)
LA CONOSCENZA, L’EDUCAZIONE,
GLI AMMAESTRAMENTI
Anca ‘l preto f$baglia su l’ altar
Anche il prete sbaglia sull’altare.
Sbaglia il prete all’ altare e il contadino all’ aratro.
Sbaglia anche il prete a dir messa.
Fala anca el prete su l’altar.
Sbaglia anche il prete sull'altare.
Jbàlia duc’, perfin el preve sun utère.
Sbagliano tutti, persino il prete sull'altare.
[ MD, AG, IM, NM, LS ]
Nota: Si dice per indicare che tutti possiamo sbagliare: errare humanum est!
Cason ‘I fe partì, baul ‘I fe tornà
È partito cassone, è tornato baule.
È jutu valicia ed è ricuoto bagullo.
È partito valigia ed è tornato baule.
Andar scarpa e tornar stival.
Andare scarpa e ritornare stivale.
Andar baùl e tornar cason.
Andare baule e ritornare cassone.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM,LS, RT ]
Nota: Si dice dell’emigrato che torna in condizioni peggiori di quelle nelle
quali era partito. Più particolarmente dello studente che non fa alcun profitto.
Chi che no sa lefi la so scritura, fe samer de natura
Chi non sa leggere la propria scrittura, è un asino di natura.
Chi non sa legger la sua scrittura è asino di natura.
Chi no sa leger la sua scritura xe un asino de natura.
Chi non sa leggere la propria scrittura è un asino di natura.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: La scrittura o la grafia è l’espressione della personalità di un uomo e
quindi delle sue caratteristiche psicologiche e morali.
Chi no sa gnente - fe como el samer che porta le brente
Chi non sa niente è come l’asino che porta le bigonce.
[ AG]
Nota: Una persona che non è istruita viene paragonata nel proverbio all’asino.
Nella tradizione popolare, l'asino è da sempre simbolo di stoltezza, anche se
erroneamente.
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, vol XXXI, 2001, p. 371468 419
165)
Ital.:
“DI:
Trad.:
166)
Ital.:
167)
Ven.:
Trad.:
168)
Ital.:
“Dig:
Trad.:
169)
Ital.:
9 i da
Trad.:
Domandando ti vai a Roma
Chiedendo si arriva a Roma.
Domandando si va a Roma.
Dimandando se va a Roma.
Domandando si va a Roma.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Chiedendo informazioni si conoscono gli itinerari.
Con la buona volontà e con l’aiuto degli altri si riesce in tutto.
EI frasco no iò fato mai naransi
La quercia non ha fatto mai arance.
Il pruno non fa melaranci.
[ IM, NM]
Nota: Si dice così a un ragazzo che non vuol studiare, ma in senso metaforico
significa più propriamente che non si può cambiare il carattere di una persona.
I veci iò magnà i soldi, ma i iò lasà i proverbi
I vecchi hanno mangiato i soldi, ma hanno lasciato i proverbi.
I nostri veci ga magnà i caponi e i n’à lassà i proverbi.
I nostri vecchi hanno mangiato i capponi e cihanno lasciato i proverbi.
[ AG]
Nota: Ci hanno lasciato qualcosa di ben più importante dei soldi, la saggezza
popolare che è una ricchezza inestimabile.
Nisun naso maestro
Nessuno nasce maestro.
Nessuno nasce maestro.
Nissun nassi maestro.
Nessuno nasce maestro.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: La perfezione si acquista con la pratica e l’esperienza continua.
Per esi rispetà begna che ti rispeti i veci
Per essere rispettato bisogna rispettare i vecchi.
I vecchi si devono rispettare.
Rispeta i veci.
Rispetta i vecchi
[ AG]
Nota: La maggiore età, la maggiore esperienza dei vecchi e quello che hanno
fatto per noi e per la società, ci devono indurre a stimarli e ad onorarli.
42) E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371468
170)
Ital.:
Fr.:
Trad.:
171)
Ital.:
Ital.:
Ca.:
Trad.:
172)
Tr.
Trad.:
173)
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Persona vifada - persona salvada
Persona avvisata - persona salvata.
Uomo avvisato, è mezzo salvato.
Un homme averti en vaut deux.
Un uomo avvisato ne vale due.
[ IM, MM, NM ]
Nota: “Colui che viene preavvisato di un pericolo che lo sovrasta ha la
possibilità di prevenirlo e quindi è quasi salvo dalla rovina, che sarebbe stata
certa senza la prevenzione.
Oggi il problema della prevenzione, specialmente nella medicina, è della
massima importanza. Si vorrebbero prevenire i terremoti, le frane, i cicloni, le
alluvioni, ecc... Con la prevenzione il danno è sicuramente dimezzato o
alleviato” (G. Dispenza, Dice il proverbio...Motti popolari di ieri e di oggi,
pag. 67).
Si sopportano più facilmente le cose previste; quelle improvvise appaiono
molto più gravi.
Più che ti vivi, più t’impari
Più vivi, più impari.
Sin che si vive, sempre Ss’ impara.
Più si campa, più si impara.
Quante chiù se campe, chiù se ‘mpare.
Quanto più si campa, tanto più si impara.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Più scorrono gli anni, più aumenta la nostra sete di sapere e si moltipli-
cano le occasioni favorevoli.
Rovoro no iò fato mai naransi
Il rovere non ha fatto mai arance.
Un rovere no ga fato mai naranze.
Un rovere non ha mai fatto arance.
[ MD, AG, PG, MM, LS ]
Nota: vedi nota proverbio numero 1 66.
Se ti mpari de fovena, no te defmentighi gnanche despoi vecia
Se impari da giovane, non dimentichi neanche da vecchia.
Quel che si impara in gioventù, non si dimentica mai più.
Chi impara de giovine no dismentiga de vecio.
Chi impara da giovane non dimentica da vecchio.
[ AG]
Nota: Le nozioni imparate a scuola in età giovanile, dovrebbero accompagnarci
fino alla vecchiaia.
E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vo XXXI, 2001, p. 371-468 421
174) Tante suche - tante opinioni
175)
Ital.:
Ital.:
Tante teste - tante opinioni.
[ MD, LS]
Nota: vedi proverbio numero 175.
Tante suche - tanti sorvei
Tante teste - tanti cervelli.
Tante teste, tanti tribunali.
Tante teste, tanti cervelli.
[ AG, PG, IM, NM]
Nota: Ogni uomo è diverso dall’altro anche nei suoi giudizi per la ragione che
l’uomo è individuo e non prodotto da un cliché.
177) Ti se farè quando che se farò le nespole
Maturerai quando matureranno le nespole.
[ AG, IM, NM ]
Nota: Per raggiungere la piena maturità, sia fisica che mentale, ci vuole del
tempo.
178) Vè più quatro oci che no doi
Ital.:
Ital.:
Tr.:
Trad.:
Vedono più quattro occhi che non due.
Quattro occhi vedono meglio di due.
Meglio quattr’occhi che due occhi.
Vedi più quatro occi che due.
Vedono più quattro occhi che due.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Se si è molti si giudica meglio, uno solo e più soggetto ad errore.
422 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371468
178)
Ital.:
Ital.:
179)
Tren.:
Trad.:
180)
Ital.:
Fr.:
Trad.:
181)
Ital.:
Ital.:
182)
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
Alt.:
IL DENARO, IL POTERE, L’INDIGENZA,
LA MISERIA
A chi duto e a chi gnente
A chi tutto e a chi niente.
Chi tanto e chi niente.
Chi troppo e chi niente.
[ MD, IM, NM, LS ]
Nota: Nella società regna la disuguaglianza più ingiusta: c’è chi ha troppo e chi
non ha neppure il necessario per soddisfare i bisogni primari.
Bori e amicisia, fa orba la iustisia
I soldi e l’amicizia, fanno cieca la giustizia.
Bezzi e amicizia stéfega la giustizia.
Soldi e amicizia soffocano la giustizia.
[ AG, PG ]
Nota: Soldi e amicizie influenti, molto spesso riescono ad avere il sopravvento
sulla giusta applicazione delle leggi.
Chi che se contenta - godo
Chi si accontenta - gode.
Chi si contenta, gode.
Contentement passe richesse.
La contentezza supera la ricchezza.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Chi è contento della sua vita è felice.
Chi iò soldi fa guera e chi che no ne iò el va col cul partera
Chi ha soldi fa la guerra e chi non ne ha va con il culo a terra.
Il denaro è l’anima della guerra.
Coi quattrini si fa tutto.
[ AG]
Nota: Ogni guerra richiede enormi capitali per gli armamenti che dissanguano
le economie perfino dei Paesi più ricchi e potenti.
EI diao caga sempro fora al mucio più grando che fe
Il diavolo caca sempre sopra al mucchio più grande che c’è.
El diaolo caga in la mota più grossa.
Il diavolo caca sul mucchio più grosso.
El diavolo caga sempre sul mucio più grando.
Il diavolo caca sempre sul mucchio più grande.
Der Teufel scheisst alm’ auf ‘n groassen Haufen.
E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371-468 423
Trad.
183)
Ital.:
Fr.:
Tead®
184)
Ital.:
185)
186)
187)
Ital.:
: Il diavolo caca sempre nel mucchio più grosso.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Le ricchezze si accumulano sempre su chi è già ricco.
Nella interpretatio agricola il denaro è considerato “lo sterco del diavolo” e
come tale il diavolo ha cura di versarlo (per ironia della sorte) là dove maggiore
è il tesoro del ricco.
I schei fa guera
I soldi fanno guerra.
Il danaro è il nerbo della guerra.
L’argent fait la guerre.
Il denaro fa la guerra.
[ AG]
Nota: vedi nota proverbio numero 179.
I soldi fa perdi l’anema
I soldi fanno perdere l’anima.
La roba ruba l’anima.
[ AG]
Nota: Molti perdono la propria anima nella bramosia di arricchirsi.
L’omo che no sa tignì el soldo ‘n man, no val un carantan
L’uomo che non sa tenere il soldo in mano, non vale un carantano.
[ AG]
Nota: È inutile avere tanti soldi se poi non si sa come investirli e farli fruttare.
Le robe le se fa co’ le ciacole dei siori e coi soldi dei poveri
Le cose si fanno con le chiacchere dei signori e con i soldi dei poveri.
[AG,LS]
Nota: Sono i potenti che varano le leggi, ma a subirne le conseguenze,
soprattutto dal punto di vista economico, sono sempre le persone meno agiate.
Meio esi poveri e avè la pafe ‘n cafa, che esi siori e avè la guera.
È meglio essere poveri e avere la pace in casa, che essere signori e avere la
guerra.
Meglio pane solo con la pace che pernici e fagiani conla guerra.
[ AG, PG ]
Nota: Meglio vivere stentatamente ma in pace, che godere in guerra.
424 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologiea a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468
LA DONNA E L’UOMO.
IL MATRIMONIO, LA FAMIGLIA, LA CASA.
LE PARENTELE E I RAPPORTI SOCIALI.
La donna e l’uomo
188)
189)
190)
Ital.:
Cai
Trad.:
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
191)
Ital.:
Ven.:
Trad.:
Ca.:
Trad.:
Ave Maria sonada, la puta salvada
Ave Maria suonata, la fanciulla salvata.
| AG]
Nota: Il proverbio è dei tempi in cui le ragazze dovevano ritirarsi a casa di
buon®’ora (al suono delle campane della sera).
Dote de femena, lana de cavra e gran marsol no richeso la fameia
Dote di donna, lana di capra e grano di marzo non arricchiscono la famiglia.
| AG]
Nota: È questo il primo dei tanti proverbi sulla misoginia.
Femena che piora e caval che suda, no sta credeghene gnanche una
Donna che piange e cavallo che suda, non credere a neanche uno.
Volpe che dorme, ebreo che giura, donna che piange, malizia sopraffine colle
frangie.
A ttre ccosa nun ccrere: a sstelle ‘i vierne, a nnùvele r’ estate, a Illàcreme ‘i
fèmmene.
A tre cose non credere: alle stelle d’ inverno, alle nuvole d’ estate, e alle lagrime
delle donne.
Caval che sua, dona che pianze e omo che zura, no credarghe.
Cavallo che suda, donna che piange e uomo che giura, non crederci.
Omo che pianzi, caval che suda, dona che giura, no se ghe credi un corno.
Uomo che piange, cavallo che suda, donna che giura, non gli si crede un corno.
[ MD, AG, PG, IM, NM, LS ]
Nota: Il proverbio riprende il motivo secondo cui il pianto della donna è
frequente e menzognero.
Femene co’ la barba - che Idio ne varda
Donne con la barba - che Dio ce ne guardi.
Uomo rosso e femmina barbuta, da lontan tre miglia li saluta.
Vardite da le done cola barba.
Riguardati dalle donne con la barba.
Ddie tte libere ra Il uòmmene sbarbate e ra i ffèmmene barbute.
Dio ti liberi dagli uomini sbarbati e dalle femmine barbute.
[ AG, PG, IM, NM ]
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 425
192)
Ven.:
Trad.:
Tr.
Trad.:
Lad.:
Trad.:
193)
194)
Ital.:
Tr:
Trad.
195)
Nota: La sentenza è un po’ crudele, in quanto invita a tenerci lontani da coloro
che hanno qualche difetto fisico.
L’ omo ten un canton de la cafa e la femena ne ten tre
L’uomo tiene su un angolo della casa e la donna ne tiene tre.
L’ omo tien su un canton de casa, e la dona tre.
L’ uomo tiene su un angolo della casa, e la donna tre.
L’omo tien su un canton de casa e la donna tre.
L’uomo tiene su un angolo della casa e la donna tre.
L’òm ten su un cianton de la casa, ma la fémena in ten su trèi.
L’uomo sostiene un angolo della casa, ma la moglie tre.
| MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Appartiene alla esigua serie di proverbi creati dalla donna casalinga, che
qui recupera, a buon diritto, le doti positive di sposa e di madre.
La femena, co la pasa la sinquantina la iò un dolorin ogni mitina
La donna, quando passa la cinquantina ha un dolorino ogni mattina.
[AG]
Nota: Con l’avanzare dell’età, arrivano per la donna anche i primi acciacchi.
La moier, l’acqua e ‘l sal, no begna mai mprestà
La moglie, l’acqua e il sale, non bisogna mai prestarli.
La moglie, lo schioppo e il cane non si prestano a nessuno.
La molie, la pipa e l’ombrela no se impresta.
La moglie, la pipa e l'ombrello non si prestano.
| AG, PG]
Nota: La ragione per cui si afferma che l’acqua e il sale non si prestano, è forse
da ricercarsi nel fatto che in passato l’acqua e il sale non erano così “accessi-
bili” come lo sono oggi.
Poco più di mezzo secolo fa a Gallesano, per avere l’acqua bisognava andarla
ad attingere ai pochi “lachi” (laghetti), esistenti ancora nel nostro territorio
(dove andavano a bere anche gli animali), portarsela a casa, purificarla da ogni
sorta di impurità, e poi farne uso. Altre soluzioni non esistevano, se non
attendere che piovesse. Solo pochissime famiglie possedevano veri e propri
pozzi riceventi l’acqua piovana.
La pafe tra socera e nora dura come la nio marsarola
La pace tra suocera e nuora dura come la neve marzolina.
[ AG, PG, IM, NM ]
Nota: Cioè si dissolve subito come neve al sole. Il proverbio mette in evidenza
che i rapporti in famiglia tra suocera e nuora sono insostenibili.
426 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468
196)
Alt.:
Trad.:
197)
DEE
Trad.:
198)
199)
200)
201)
Tr.
Trad.:
Le femene co le fe morede le iò sete man e una lengua sola; ma co
le se iò maridà le iò sete lengue e una man sola
Le donne quando sono ragazze hanno sette mani e una lingua sola; ma quando
sono maritate hanno sette lingue e una mano sola.
Viel Leut habn zwoa Zungen in can Leib.
Molte persone hanno due lingue e un corpo solo.
[ AG, PG, LS |]
Nota: Cioè dopo essersi maritate, le donne hanno sempre da ridire su tutto.
Le femene iò le lagreme ‘n scarsela
Le donne hanno le lacrime in tasca.
Le done ga le lagrime in scarsela.
Le donne hanno le lacrime in tasca.
| MD, IM, MM, NM ]
Nota: Cioè piangono facilmente.
Le femene no di mai la verità de quanti ani che le iò
Le donne non dicono mai la verità sulla loro età.
[ AG]
Nota: Le donne hanno la tendenza a mentire sulla loro età: spesso e volentieri
si sottraggono qualche anno.
Le morede che iò de maridase le iò el piombo ‘n te la gamba e el
diao ‘n te la lengua
Le ragazze che devono maritarsi hanno il piombo nella gamba e il diavolo
nella lingua.
AG]
Nota: Altro proverbio che presenta le donne, indistintamente, sotto cattiva
luce: premurose e sollecite prima di sposarsi (per accalappiare lo sposo) ma
trascurate dopo, a scopo raggiunto.
Mare, chi la iò la ciama, chi che no la iò la brama
Madre, chi ce l’ha la chiama, chi non ce l’ha la brama.
[LS]
Nota: C’è una sola funzione della donna, in casa e fuori di casa, davanti alla
quale anche i proverbi si tolgono il cappello: quella della madre.
Mare morta, pare orbo
Madre morta, padre cieco.
Mare morta, pare orbo.
Madre morta, padre cieco.
[ AG]
E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ani, vol. XXXI, 2001, p. 371468 427
202)
203)
Ital.:
204)
205)
206)
Ven.:
Trad.:
207)
Nota: Per quanto grande possa essere l’amore del padre nutrito verso i figli, e
per quanti sforzi faccia per sostenere la famiglia, non riuscirà mai a sostituire
una madre.
Moreda che dura - no perdo ventura
Ragazza che dura - non perde ventura.
[RT]
Nota: Questo proverbio viene ripetuto dalle donne anziane alle giovani per
consolarle, incoraggiandole a non perder la speranza di trovar marito.
Ogni quarantina un malano a la mitina
Ogni quarantina un malanno alla mattina.
Chi ha degli anni ha dei malanni.
{ MM ]
Nota: Con la vecchiaia arrivano anche tutti i malanni.
Poaro quel omo che meto le cotole e lasa le braghe
Povero quell’uomo che mette le gonne e lascia i pantaloni.
| AG, PG]
Nota: Secondo il proverbio sarebbe da compatire l’uomo che si lascia coman-
dare dalla propria donna.
Povera quela cafa che la femena meto le braghe
Povera quella casa in cui la donna mette i pantaloni.
[ IM, MM, NM ]
Nota: E sempre un proverbio sulla misoginia: infelice quella casa in cui la
donna fa le veci dell’uomo, ossia comanda.
Povero quel omo che speta de vistise co’ la sòchena de la so femena
Povero quell’uomo che aspetta di vestirsi con la gonna della sua donna.
Chi vol giustar le braghe co le còtole de la femena, le g’ha sempre rote.
Chi vuole aggiustare i calzoni con le sottane femminili, li ha sempre rotti.
[ MD, AG, PG, IM, NM, LS ]
Nota: La sòchena era una gonna di lana scura fittamente increspata alla cintola
e sfaldata in modo che quando non veniva indossata si poteva piegare e le falde
si sovrapponevano coprendosi esattamente, e venivano tenute unite da cordele
di cui la gonna era fornita.
Il proverbio commisera l’uomo che non ha propri mezzi finanziari, ma deve
vivere attingendo da quelli della moglie. Il proverbio ribadisce ancora una
volta l’autorità dell’uomo sulla donna.
Tra marì e moier no sta meti el dè
Tra marito e moglie non mettere il dito.
428. E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione parumiokgio» a Gallesano, Ati, vo XXXI, 2001, p. 371-468
Ital.:
Fr.:
Trad:
208)
Ital.:
Ital.:
Tosc.:
209)
Ital.:
Trad.:
210)
Tra moglie e marito non mettere il dito.
Entre l’arbre et l’écorce, il ne faut pas mettre le doigt.
Tra l’albero e la corteccia non bisogna mettere il dito.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: È un invito a non intromettersi nelle faccende delicate che interessano
familiari e consanguinei.
Un pel de femena, tira più che diefe gubie de cavai
Un pelo di donna, tira più che dieci paia di cavalli.
Tira più un pel di donna che cento paia di buoi.
Tira più un pelo di femmina che un paio di buoi.
Tira più un filo di benevolenza che cento paia di buoi.
[ AG, PG, IM, MM, NM]
Nota: Con la gentilezza e le buone maniere si ottiene più che con i modi
sgarbati e violenti.
Una bona moier fa un bon marì
Una buona moglie fa un buon marito.
Il buon marito fa la buona moglie e la buona moglie fail buon marito.
Una bona molge fa un bon marì.
Una buona moglie fa un buon marito.
[ AG, IM, LS ]
Nota: Secondo il proverbio una buona moglie sarebbe in grado di correggere
anche i “difetti” più radicati del marito.
Val più un’ongia de femena, che la man d’un omo
Vale più un’unghia di donna che la mano di un uomo.
| AG, PG, IM, NM ]
Nota: È uno dei pochi proverbi che lodano la buona massaia, la donna tutta casa.
Il matrimonio, la famiglia, la casa
211)
212)
Ital.:
Lat.
Ave Maria, grasia piena; chi che se li fa, che se li tegna
Ave Maria, grazia piena; chi se li fa, se li tenga.
[ MD, AG, IM, NM, LS ]
Nota: I figli sono un dono del cielo, una gioia immensa, a patto che se ne
occupino 1 genitori.
Begna pensà prima, per no sospirà despoi
Bisogna pensarci prima, per non sospirare poi.
Pensaci prima, per non pentirsi poi.
Deliberandum est quicquid statuendum est semel.
E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, voL XXXI, 2001, p. 371-468 429
Trad.:
Sic.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
213)
214)
Ven.:
Trad.:
215)
216)
217)
Bisogna meditare su tutto ciò che si deve decidere una volta per tutte.
Cu primu non pensa in ultimu suspira.
Chi prima non pensa, alla fine sospira.
Chi prima no pensa in ultimo sospira.
Chi non pensa prima in fine sospira.
[ AG]
Nota: Prima di agire bisogna riflettere bene, soprattutto per quanto riguarda un
passo importante come il matrimonio.
Benedeta la nitisia, no fe oro che la paga
Benedetta la pulizia, non c’è oro che la paghi.
[ AG]
Nota: La pulizia e l’igiene sono importantissime: non si vive bene in una casa
non pulita. Le donne gallesanesi sono poi particolarmente sensibili in materia:
le loro case devono essere sempre linde.
Chi se li fa se li godo; chi se li fa se li mantegna; chi iò la rogna se la
greta
Chi se li fa, se li goda; chi se li fa, se li mantenga; chi ha la rogna, se la gratti.
Chi g’halarogna grata; chi g'ha el martelo sbate; chi g’ha la roca fila; chi g'ha
‘1 mario sospira; mi ca no lo g’ho, tuta la note dormirò.
Chi ha la rogna gratta; chi ha il martello batte; chi ha la rocca fila; chi ha il
marito sospira; io che non ce l’ho tutta la notte dormirò.
| AG, LS ]
Nota: Come dicevamo nel proverbio numero 211, i figli sono una grande
felicità, ma sono i genitori che devono coglierne gioie e dolori.
Co la cafa fe piena se fa presto a fa de sena; legne de rovero, pan de
gran e bocal de vecio teran
Quando la casa è piena, si fa presto a far la cena; legna di rovere, pane di
grano e boccale di vecchio terrano.
[ AG, IM, NM, LS ]
Nota: Non ci vuole niente a preparare una buona cena se si hanno a disposizio-
ne pane di grano tenero e buon vino.
Co fe la cafa piena, se fa presto anco la sena
Quando la casa è piena, si fa presto anche la cena.
[ AG]
Nota: vedi nota proverbio numero 215.
EI fruto caio poco lontan de l’albero
Il frutto cade poco lontano dall’albero.
43) E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ani, voL XXXI, 2001, p. 371-468
Ven.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
Tr.:
Trad.:
Tren.:
Trad.:
Lad.:
Trad.:
218)
Ital.:
Ital.:
Ital.:
Ju
Trad.:
219)
220)
221)
Ital.:
Ital.:
Ven.:
Trad.:
Rf:
El fruto no casca lontan da |’ albero.
Il frutto non cade lontano dall’ albero.
EI pero casca poco lontan de l’arboro.
La pera cade poco lontano dall'albero.
EI fruto no casca lontan de l’alboro.
Il frutto non cade lontano dall’albero.
EI pom el casca poch lontan da l’Arbor.
La mela cade poco lontano dall’albero.
La stela no la va dalenc’ dal ciuch.
La scheggia non cade lontano dal ceppo.
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ]
Nota: Nel vizio i figli ritraggono dal padre.
EI sango no fe acqua
Il sangue non è acqua.
Il sangue non è acqua.
Il sangue non si può fare acqua.
Il sangue non stinge.
Sangue no xe aqua.
Sangue non è acqua.
| MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT]
Nota: Il vincolo della parentela e della discendenza è reale ed effettivo. Esso ci
fa amare i nostri consanguinei anche se abbiamo ricevuto dei torti.
Far e fur - de una mare no ne fe più
Far e fur - di una madre non ce n'è più.
[ AG, PG, IM, NM, LS ]
Nota: In certe circostanze alcuni figli non hanno difficoltà a dimenticare la
madre e tutti i sacrifici che questa ha fatto per loro.
Fio - fate; fio — tente
Figlio - fatti; figlio - tienti.
| AG]
Nota: (vedi note proverbi numero 211 e 214). I figli devono essere accuditi dai
genitori.
Fioi e colombi sporca le cafe
Figli e colombi sporcano le case.
Ragazzi e polli imbrattano le case.
Galline