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Full text of "ATTI del Centro di ricerche storiche - Rovigno n. 31-2001"

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CDU 908(497.4/.5-3 Istria) ISSN 0392-9493 


CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO 





VOLUME XXXI 


UNIONE ITALIANA - FIUME 
UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE 


TRIESTE-ROVIGNO 2001 


ATTI, Centro di Ricerche Storiche - Rovigno, vol. XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno, 2001 


CDU 908(497.4/.5-3 Istria) ISSN 0392-9493 


CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO 





VOLUME XXXI 


UNIONE ITALIANA - FIUME 
UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE 


TRIESTE-ROVIGNO 2001 





ATTI, Centro di Ricerche Storiche - Rovigno, vol. XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno, 2001 





CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO 


UNIONE ITALIANA - FIUME 
UNIVERSITA POPOLARE DI TRIESTE 


REDAZIONE ED AMMINISTRAZIONE 
Piazza Matteotti 13, Rovigno (Croazia), tel. (052) 811-133, fax (052) 815-786 
Internet: www.crsrv.org - e-mail: info@crsrv.org 


COMITATO DI REDAZIONE 


ARDUINO AGNELLI, Trieste EGIDIO IVETIC, Rovigno 
ELIO APIH, Trieste Luciano Laco, Trieste 
MARINO BUDICIN, Rovigno ANTONIO PAULETICH, Rovigno 
GIULIO CERVANI, Trieste MARINO PREDONZANI, Trieste 
FRANCO CREVATIN, Trieste ALESSIO RADOSSI, Rovigno 
GIUSEPPE CUSCITO, Trieste GIOVANNI RADOSSI, Rovigno 
ANITA FORLANI, Dignano FULVIO SALIMBENI, Trieste 
REDATTORE 


MARINO BUDICIN, Rovigno 


DIRETTORI RESPONSABILI 


Luciano LAGO, Trieste GIOVANNIRADOSSI, Rovigno 


Recensore: 
ANTONIO MICULIAN, Rovigno 


©2001 - Proprietà letteraria riservata - 


Edizione fuori commercio - Esce una volta all'anno 


Finito di stampare in Italia nel giugno 2002 
presso la Tipografia Villaggio del Fanciullo 
Opicina (Trieste) 


ATTI, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, voL XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno 2001 


INDICE 


Memorie 


M. BERTOSA, Tra piaceri e guadagni: “Erba Santa” dall’uso 
all’abuso. Contributo alla storia del tabacco nell’Istria del Sette- 
cento 


M. BUDICIN, Considerazioni sulle strutture murario-difensive dei 
centri costieri dell’Istria veneta all’indomani della guerra uscoc- 
ca (1619-1620) 


R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni economico-patrimonialidelle 
confraternite istriane alla caduta della Repubblica di Venezia 


E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde 
(Grdoselo) (Contado di Pisino, 1680-1705) 


A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane in 
Friuli e in Istria nel quadro dell’organizzazione militare di terra- 


ferma nel XVI secolo 


G. RADOSSI, Un estremo tentativo di riforma della pubblica 
amministrazione nella terra di Rovigno nel 1766 


F. WIGGERMANN, Fede e nazione. Cenni sulla storia della chiesa 
cattolica nell’Istria meridionale prima del 1914 


Note e Documenti 


S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti della città di 
Pola secondo i dati dei libri parrocchiali dal 1613 al 1817 


M. BONIFACIO, / cognomi di Pola, Frézza e Gardèl, Gardèl, 
Gardèlli, Gardèlli, Gardello 


pag. 


» 


» 


» 


37 


19) 


137 


155 


189 


215 


229 


249 


6 ATTI, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, vol XXXI, p. 1-504, Trieste-Rovigno 2001 


D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova (Storia religiosa e 
economica delle dinamiche sociali di una micro-città) » 259 


Lauro DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani » 279 


D. DEMONJA, Tradizione e innovazione nell’architettura sacra- 
medievale - Alcuni esempi istriani » 307 


B. LJUBOVIC, Vetri e sculture litiche di epoca romana custoditi 
dal museo di Segna » 329 


L. MARGETIC, Alcune note concernenti lo statuto di Dignano » 363 


E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Galle- 
sano (Parte 1) » 371 


S. OBAD, Studenti dalmati all’università di Padova » 469 


C. PERICIN, Nomi di piante nella parlata veneto-giuliana di Buie 
e del territorio tra i fiumi Quieto e Dragogna » 479 


MEMORIE 


TRA PIACERI E GUADAGNI: “ERBA SANTA” DALL’ USO 
ALL’ABUSO 
Contributo alla storia del tabacco nell’Istria del Settecento 


MIROSLAV BERTOSA CDU 663.97(091)(497.4/.5-3Istria)” 17” 
Pola Saggio scientifico originale 
Novembre 2001 


Riassunto — Il tabacco aveva già dietro di sé una lunga “preistoria” non scritta e una storia 
documentata, quando nel secolo XVIII cominciò a fare la sua apparizione come merce di 
contrabbando sulle navi che navigavano alla volta di Trieste, Venezia e Fiume. Fuallorache fecero 
la loro comparsa i primi tentativi di coltivare questa pianta sul suolo dell’ Istria. Ai Cinque Savj 
alla mercanzia spettava il controllo anche dell’importazione e della produzione di tabacco nell’ 
Istria veneta, riuscendo così ad incamerare nelle casse statali gran parte dei loro introiti. Dalle fonti 
d'archivio si evince che i buoni affari e guadagni derivanti dal controllo del tabacco di epoca 
veneta vennero sfruttati successivamente anche dalle amministrazioni francese e austriaca. 


Cenni introduttivi - Il tabacco nella storia economica e sociale 


Il tabacco aveva già dietro a sé una lunga “preistoria” non scritta e una 
storia documentata, quando, nel XVIII secolo, cominciò a fare la sua appari- 
zione in quantità consistenti come merce di contrabbando sulle navi che 
navigavano alla volta di Trieste, Venezia e Fiume, sostando lungo le coste 
istriane. Fu allora che fecero la loro comparsa i primi tentativi di coltivare 
questa pianta sul suolo dell’ Istria. 

Dai suoi lontani luoghi di origine (territori del Perù, della Bolivia e del 
Cile) — in cui il tabacco normale (Nicotiana tabacum, come venne denominato 
in seguito dalla sistemazione scientifica di Linneo), veniva coltivato ad est 
della catena montuosa delle Ande, mentre l’ arzavola (Nicotiana rustica) nella 
sua parte occidentale- questa pianta si diffuse non soltanto nel continente 
sudamericano, ma anche in Europa e nel resto del mondo! . Inizialmente pianta 


! Relja DIMITRIJEVIC, “Duvan” /Il tabacco/, voce della Poljoprivredna eniklopedija /Enciclopedia 


10 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vel XXXI, 2001, p. 9-35 


un tantino misteriosa e mistica, il tabacco venne usato nei riti religiosi per 
inspirare collettivamente il fumo delle sue foglie secche che ardevano sul 
braciere, ma anche nella vita quotidiana, quando veniva fumato con la pipa o 
quando si inspirava il suo fumo da gomitoli rotondi (chiamati tobagos nelle 
isole dei Caraibi, da cui la diffusa denominazione tabac, tabacco, tobacco 
ecc.), 0 si masticava o si trovava il loro piacere nel tabacco da fiuto. Trasferito 
nel continente europeo dopo le scoperte di Colombo, il tabacco diventò qui una 
pianta controversa: mentre alcuni mettevano in rilievo il suo potere medica- 
mentoso, gli altri lo ritenevano un prodotto del diavolo?. Sotto vari nomi 
(tabacco, caraibica, brasiliana), il tabacco giunse in Europa e qui divenne l’ 
ornamento dei parchi botanici, ma anche una pianta seguita, per così dire, dalla 
fama di grandi e misteriose qualità medicamentose. Il dottore e diplomatico 
Jean Nicot, per ricordare il nome del glorioso “padre della nicotina”, inviò da 
Lisbona (1560) a Caterina de’ Medici un po’ di polvere di tabacco per la cura 
del mal di testa, mentre un altro francese, Jacques Gahorye, una quindicina di 
anni dopo, asseriva che il tabacco aveva le qualità di “medicina universale”. 
Il tabacco tra le piante oppiacee occupò il primo posto come ottimo mezzo di 
disinfezione, ma soprattutto come “ottimo mezzo per la disinfezione dell’aria”. 
Dal XVII secolo in poi gli Europei, proprio sul fondamento di queste credenze, 
accettarono coscienziosamente il fumare e neanche in seguito, con il prevalere di 
teorie completamente opposte, non poterono sradicare la convinzione del potere 
medicamentoso del tabacco. Ancora negli anni 1720-21, in alcuni documenti farma- 
ceutici della Francia, il tabacco veniva ritenuto mezzo protettivo contro la peste”. 

Ma parallelamente al consumo del tabacco appaiono anche le prime 
disposizioni contro il fumo e 1 tentativi di limitarne, quanto più possibile, il suo 
uso. Le ricerche che sono state condotte successivamente, sintetizzate nella 


dell’agricoltura/, tomo I, Zagabria, 1967, p. 234; Frangois Joel CHICOU, /! tabacco: dalla pianta alla 
sigaretta (tradotto dal francese), Milano, 1978, p. 11 e segg. Cfr. anche Ivan ALILOVIC, Duhan i Zivot naroda 
u Hercegovini IIl tabacco e la vita del popolo nell’ Erzegovina/, Zagabria, 1976. 


2 Joseph KULISCHER, Opca ekonomska povijest srednjega i novoga vijeka IStoria economica 
generale del Medio e Nuovo Evo/, tomo II, Zagabria, 1957, p. 36. 


3 Fernand BRAUDEL, Civilisation materielle, économie et capitalisme (XV - XVIII siècle): les 
structures du quotidien, Parigi, 1979 (citazione tratta dalla traduzione italiana: Le strutture del quotidiano, 
Torino 1981, p. 195). 


4 Jean-Noél BIRABEN, Les hommes et la peste en France et dans les pays européens et méditerra- 
néens, | parte: “Les hommes face à la peste”, Parigi-La Haye, 1976, p. 171. 


5 Fernand SAUTE”, “Les épidémies de peste à Apt notamment en 1588 et 1720-21”, Annales de la 
Société d’ Etudes provengales, HI, Aix , s.d., p. 87-101 (citazione tratta da Biraben, op. cit.) 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 9-35 Il 


grande edizione sulla storia dell’economia, presentata all’ Università di Cam- 
bridge, dimostrarono che queste prescrizioni sulla limitazione e sulla proibi- 
zione erano molto diverse da paese a paese, mentre, per esempio, il re inglese 
esprimeva la sua disapprovazione per la diffusione delle abitudini del fumo tra 
i suoi sudditi, con un polemico scritto di replica (Counterblaste to Tobacco, 
anno 1603), nella Russia, l’uso del fumo e delle altre forme di godimento del 
tabacco venivano punite con il taglio del naso!’ Ben presto anche la Chiesa 
entrò in prima linea nella battaglia contro il tabacco: in Inghilterra i sacerdoti 
dichiararono che esso agiva dannosamente sulle qualità spirituali dell’ uomo, 
in Germania i teologi affermarono che coloro che godevano del tabacco 
perdevano la salvezza dell’anima e che il tabacco era opera del diavolo. Le 
autorità a Londra cominciarono a maltrattare pubblicamente i fumatori sulle 
strade, e nella Svizzera li si metteva alla berlina. 

Con le pene severe tuttavia non è che si ottenne molto. Fernand Braudel 
giustamente osserva che ogni “civilizzazione” ha i suoi cibi preferiti e i suoi 
mezzi oppiacei: nel XII e XIII secolo si era diffusa una vera e propria euforia 
per le spezie (in particolare per la paprica in primo luogo); nel XVI secolo al 
primo posto si accampa l’alcol e nei secoli seguenti gli si associano il thè, il 
tabacco e il caffè. Il nostro tempo è schiavizzato dalla droga. Parallelamente 
con la crescita o, perlomeno, “durante i lunghi periodi” delle crisi alimentari il 
genere umano sente il bisogno di certi surrogati, sostiene il Braudel nelle 
pagine del suaccennato libro, nel grande capitolo dal titolo caratteristico: “Il 
superfluo e il necessario: alimenti e bevande”. Il tabacco rappresenta appunto 
“tale surrogato”, conclude l’ Autore nel capitolo “Gli stimolanti: le glorie del 
tabacco”*. Tra il XVI e il XVII secolo il tabacco era di casa in tutto il mondo e 
in quantità superiori al thé e al caffè, per quanto queste due ultime droghe 
provenissero da regioni storico-culturali di vetusta e ricca civilizzazione (Cina, 
Mondo islamico), mentre il tabacco giungeva a noi dai “selvaggi” ambienti 
americani, come allora venivano considerati in Europa”. 

Lo storico e colto antropologo, erudito e letterato Piero Camporesi ha 


6 The Cambridge Economy History of Europe, vol. IV, “The Economy Expanding Europe in the 
Sixteenth and Seventeenth Centuries”, Londra, 1967. Cfr. la più recente traduzione italiana Storia economica 
Cambridge, vol. IV, Torino, 1975, p. 337. 


? E BRAUDEL, op. cit., p. 127-197 (“Il superfluo e il necessario: alimenti e bevande”). 
8 IBIDEM, p. 194-197 (“Gli stimolanti: le glorie del tabacco”). 
° IBIDEM, p. 195. 


2 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 935 


presentato in maniera interessante lo “strano destino” del tabacco in Europa, in 
un breve saggio dal titolo “Sigari e belle mulatte!®. Il Camporesi fornisce 
numerosi citati del XVII e del XVIII secolo, secondo i quali il tabacco veniva 
allo stesso tempo lodato come “miracolo del Mondo nuovo” ed “erba santa” e 
biasimato come “immondezza” e “cattiva creanza”. Mentre gli uni parlavano 
dell’ ’abusivo costume del villano tabacco” e nel fumo vedevano “il più 
orribile spettacolo”, gli altri ritenevano che il tabacco ‘“stimolasse piaceri più 
innocenti di tutti gli altri al corpo e all'anima”, che “conciliasse amicizie” e 
costituisse una certa specie di “innocente cibo del cervello”!!. Diventò oggetto 
di persecuzione nelle più alte sfere della Chiesa — di papa Urbano VIII (anno 
1642) e Innocenzo X (1650) -, i quali, ricorrendo alla minaccia della scomuni- 
ca, proibirono di “prendere tabacco nelle chiese e nei loro atrii e portici (...) 
per l’ irriverenza e indecenza che quest’azione contiene in sé”? — il suo uso 
assunse proporzioni enormi e si acquistò il suo ascendente, non solo nella storia 
della socializzazione, ma anche in quella sociale in genere. 

La sigaretta si è mantenuta anche nel mondo contemporaneo, tuttavia il 
grande mito del piacere dato dalla pianta del tabacco, da molto tempo ormai si 
è andato spegnendo. La conclusione del ciclo storico del tabacco viene identi- 
ficata dal Camporesi con il momento in cui i grandi velieri cessarono di 
trasportare le sue odorose foglie dalle lontane coste cubane e quando la sua 
lavorazione perdette la sua virginale tecnologia". 

Nonostante le proibizioni e le teorie antitabacco la sua richiesta crebbe in 
maniera vertiginosa e in singoli paesi influì sulla proficua espansione coloniale 
(per esempio, la fondazione della Virginia, del Maryland e dell’ India orienta- 
le). I paesi produttori di tabacco realizzarono con l’esportazione enormi extra- 
profitti, mentre, d’ altra parte, nei gabinetti ministeriali degli stati importatori, 
spesso si sentivano energiche proteste per tali uscite. Così, per esempio, 
nell’anno 1620, nel Parlamento inglese ci furono parole di fuoco nei confronti 
del Governo per il fatto che per l'importazione del tabacco dalla Spagna, erano 
state spese enormi quantità di denaro, pari a 120.000 lire sterline! L’aspirazio- 


10 Piero CAMPORESI, I! governo del corpo. Saggi in miniatura, Milano,1995, p. 80-84. 
!! IBIDEM, p. 81-82. 
!? IBIDEM, p. 82. 


13 /BIDEM, p. 84. Il CAMPORESI nell’ultima proposizione del saggio scrive letteralmente così: “E 
poi, accantonando i fumi sacri, dove trovare ormai quei sigari cubani la cui eccellenza, secondo un 
viaggiatore francese ricordato dall’ultimo adoratore del tabacco, Fernando Ortiz, dipendeva dal fatto che le 
belle mulatte li andavano manipolando sulle proprie cosce nude?” 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 9-35 13 


ne dello stato di tenere nelle proprie mani il commercio del tabacco e i grandi 
profitti che ne derivavano, portò alla stipulazione di contratti particolari con le 
compagnie per lo sfruttamento del tabacco nelle colonie (per esempio, con la 
Virginia Company) e alla proibizione della piantagione del tabacco sul suolo 
inglese. La legge, confermata dal Parlamento, non si poteva applicare in senso 
stretto poiché la congiuntura del tabacco era talmente grande al punto che molti 
coltivatori (stando a certi dati ce n° erano 6.000!) infrangevano apertamente le 
prescrizioni di legge. Negli anni Sessanta del XVII secolo, il Governo dovette 
impiegare l’esercito per distruggere i seminati di tabacco in lungo e in largo per 
tutta l’ Inghilterra. In seguito le autorità impedirono i tentativi illegali di semina 
del tabacco con grosse multe e appiccarono pubblicamente il fuoco alle giacen- 
ze che venivano scoperte. Il commercio del tabacco in Inghilterra divenne 
monopolio reale, e di conseguenza anche i commercianti di questo articolo 
dovettero esigere il benestare reale per l’espletazione della loro attività. 

Nella Francia il commercio del tabacco divenne anch’esso monopolio di 
stato (dall’anno 1674) che, come per tutti gli altri affari, si dava in appalto. Agli 
inizi la coltivazione del tabacco nazionale venne incoraggiata, ma sotto il 
severo controllo delle autorità. Tuttavia dall’anno 1719 cominciò ad applicarsi 
la politica di favoreggiamento dell’ industria del tabacco nel possedimento 
francese d’ Oltremare della Luisiana, mentre sul territorio metropolitano veni- 
va proibita la piantagione del tabacco, fatta eccezione per tre regioni (Franche- 
Compté, Alsazia e Fiandre). Le pene per i trasgressori erano ancora più severe 
di quelle inglesi: chi piantava illegalmente il tabacco poteva essere condannato 
alle galera, ai lavori forzarti e addirittura condannato a morte. Soltanto l’ As- 
semblea rivoluzionaria, nell’anno 1791, avrebbe soppresso queste leggi e 
avrebbe proclamato la libertà di coltivare e di vendere il tabacco. 

Il Portogallo e la Spagna, possessori di enormi territori tropicali, non 
favorirono affatto i tentativi nazionali di piantare il tabacco. Nella Spagna la 
produzione di tabacco si sarebbe sviluppata soltanto dopo la perdita dei posse- 
dimenti d’Oltremare. 

Nel XVIII secolo, per le esigenze locali, il tabacco veniva coltivato in alcune 
regioni dell’ Europa sotto il dominio turco, in particolare nelle valli della Tessa- 
glia. Tuttavia, soltanto molto più tardi, quando nell’ Europa occidentale l’entusia- 
smo per il tabacco “turco” divenne una moda, questa produzione avrebbe raggiun- 
to proporzioni maggiori e si sarebbe orientata verso l’ esportazione!“. 


!4 Storia economica Cambridge, cit., p. 338-339. 


14 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vol XXXI, 2001, p. 935 


In tutti i paesi europei sunnominati esisteva una comune linea di sviluppo: 
le autorità tentarono di sfruttare a scopi finanziari la grande richiesta e la buona 
vendita del tabacco. Vennero introdotti i monopoli di stato, inizialmente come 
una forma di proibizionismo, indi come procedimento tipicamente fiscale, 
rispettivamente come una forma di tassazione!. 

Nel 1574 si effettuarono i primi tentativi di coltivazione del tabacco in 
Italia, nel 1620 in Germania (Baden) e successivamente in Austria, in Ungheria 
e in Russia. Negli anni 1601-1603, il tabacco venne trasferito nei Balcani 
(Grecia, Bulgaria, Macedonia). Dai documenti dell’ Archivio di Stato di Ragu- 
sa (Dubrovnik) si può desumere che il tabacco venne trasferito in Dalmazia e 
nell’ Erzegovina da Venezia'?. Nella città lagunare il tabacco era approdato 
relativamente tardi, appena nel XVII secolo. Poiché veniva considerato come 
medicamento lo si vendeva solamente nelle botteghe degli speziali, che aveva- 
no il diritto dell’ esclusività di vendita. Anche qui, infatti, come, per esempio, 
in Francia, al tabacco si ascrivevano qualità miracolose nella cura della cancre- 
na, della peste e di tutti i tipi di ferite (fino ai giorni nostri si è conservata la 
convinzione che la parte lesa deve essere coperta dal tabacco!). 

Agli inizi degli anni Settanta del XVII secolo, le autorità veneziane 
iniziarono a dare in appalto la vendita del tabacco e la prima licenza per 
l’apertura di un’attività commerciale legata al tabacco in Piazza San Marco e 
nel Ghetto venne concessa a Davide Daniele di Pisa, previo esborso alle casse 
dello stato di 10.000 ducati. I primi appaltatori realizzarono profitti enormi, il 


!5 Aspirando ad accumulare profitti sempre maggiori, gli stati non solosi astennero dalla persecuzione 
e dalla punizione dei fumatori, ma elevarono il piacere del tabacco a livelli di cultura sociale delle singole 
nazioni. Si aveva l’impressione che l’accettazione dell’individuo in ambienti sociali e la sua completa 
“socializzazione” non fossero possibili senza la sigaretta accesa e il fumo del tabacco. La situazione da un 
punto di vista storico-sociologico è davvero paradossale: “il tabagismo” da una parte contribuisce a una più 
veloce e onnilaterale socializzazione”, il che è positivo, ma, d’altra parte, è negativo per il fatto che la società 
“obbliga” il singolo ad accettare il fumo come una norma di un comportamento “socializzato” (alle volte 
addirittura come una forma di affermazione personale!). L’“individuum” è, dunque, sottoposto a un certo 
tipo di ’repressione”’, poiché l'accettazione del fumo è una condizione di appartenenza "alla maggioranza”. 
Stando a certe statistiche, oggi nel mondo circa il 75% della popolazione adulta fuma. Cfr. su tale materia: 
E. J. CHICOU, op. cit., p. 70-71 e passim. Le cifre relative al prezzo di vendita del tabacco sono vertiginose 
e in relazione a ciò anche i ricavi statali che ne derivano. La statistica italiana del 1980 rilevava che 19 milioni 
di fumatori in Italia spendevano per le sigarette annualmente tremila miliardi di lire, ossia otto miliardi di 
lire giornalmente! (// Piccolo, Trieste, num. 10292, n.s., 22 agosto 1980, p. 10). Valentin PUTANEC ha 
riportato interessanti notizie sulla presa in giro del fumo nella cosiddetta verseggiatura maccheronica del 
periodo illirico, “Na duhand2ije salna pesem” /Versi scherzosi sui fumatori/, Vjesnik, Zagabria, 20 aprile 
1980, p. 10) 


!6 DIMITRIJEVIC, op. cit., p. 234. 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ani, vol. XXXI, 2001, p. 935 15 


che dette il via a una vera e propria corsa nell’apertura di nuove rivendite di 
tabacco in varie zone della città. In parallelo aumentava anche l’importo 
dell’affitto, che raggiunse cifre da capogiro”. 

L’ esistenza del tabacco nella metropoli della Serenissima Repubblica 
indubbiamente stimolò anche la sua circolazione in quella parte dell’ Istria che 
si trovava sotto la dominazione veneta, benché la foglia del tabacco e la sua 
profumata polvere oppiacea fossero giunte in questo territorio, seguendo un’ 
opposta direzione. Anche nell’ Istria gli avvenimenti legati al tabacco seguiro- 
no parecchie linee evolutive che erano state tipiche anche nei paesi europei fin 
qui nominati in queste righe; proprio per codesto motivo questa esposizione 
introduttiva ha dovuto essere un tantino più ampia. 


Notizie archivistiche sul tabacco in Istria 


Le ricerche fin qui condotte sulla struttura economica dell’ Istria hanno 
tralasciato la problematica del commercio e della piantagione del tabacco, sia 
nella parte sotto la dominazione veneta che in quella austriaca della Penisola. 
Il motivo di questo stato di cose è da ricercarsi nella accentuata scarsità del 
materiale originale relativo alle questioni economico-fiscali, legate al traffico 
e alla vendita ed anche ai timidi tentativi di piantare il tabacco sul suolo 
dell’Istria'8. Del resto Venezia non intendeva coltivare questa pianta-droga 
nell’Istria. Sembra che l’ amministrazione centrale non presupponesse che nel 
suo possedimento istriano non si rispettassero le prescrizioni di legge relative 
al tabacco e pertanto non attirò l’attenzione dei propri rappresentanti — rettori 
dei centri comunali, i Provveditori di Sanità gli altri provveditori e i verifica- 
tori della vita economica e pubblica — di difendere gli interessi del fisco statale. 
Per questa ragione le prime notizie riguardanti il tabacco, come articolo del 
commercio di contrabbando e dell’illegale piantagione in alcuni feudi privati 
sul territorio della veneta Provincia dell’ Istria, fanno la loro comparsa appena 
nei documenti risalenti al XVIII secolo. Ho trovato questi non sistematici, 


!? Giovanni MARANGONI, Le associazioni di mestiere nella Repubblica veneta, Venezia, 1974, p. 
171. Cfr. pure Furio BIANCO, “La frontiera come risorsa: contrabbando di tabacco nella Repubblica di 
Venezia in età moderna”, nella miscellanea Mobilité spatiale et frontières/Raumliche Mobilitat und Grenzen, 
Zurigo, 1998, p. 213-225 e IDEM, “Tumulti, agitazioni sociali e istituzioni comunitarie nel Cadore di fine 
Settecento”, nella miscellanea // Piave, Sommacampagna (Vr), 2000, p. 228-244. 


!8 DIMITRIJEVIC, op. cit., p. 234 


16 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, vol XXXI, 2001, p. 435 


frammentari e sporadici dati in alcune serie nei materiali dell’ Archivio di Stato 
di Venezia: relazioni e dispacci'?, dei rettori veneti, Provveditori sopra la 
Sanità?® e nel fondo Cinque Savj alla Mercanzia *'. Il maggior numero di dati 
si trova proprio nei documenti di quest’ ultimo magistrato, che era un organo 
amministrativo del Senato. I Cinque Savj alla Mercanzia esercitarono già, a 
partire dal 1506, l intero controllo del commercio marittimo e terrestre sul 
territorio della Repubblica di San Marco. Dal 1682 entrarono a far parte della 
sfera delle competenze dei Cinque Savj anche le inchieste penali sul contrab- 
bando di merci varie, e venne loro conferito nel 1723 anche il controllo del 
commercio illecito del tabacco. Da allora uno dei Savj ebbe il titolo di Inquisi- 
tore, con il compito di condurre le inchieste sulle trasgressioni compiute??, Nel 
1778 i Cinque Savj e il loro Inquistore si occuparono delle inchieste sulle 
trasgressioni compiute a danno delle prescrizioni sul tabacco nella parte veneta 
dell’ Istria. In questo contributo si presentano i dati raccolti nei citati fondi dell’ 
Archivio di Stato di Venezia. 

Sebbene fino ad oggi non sia stato possibile datare con maggior precisione 
la comparsa del tabacco in Istria, e pertanto neanche nella parte sotto la 
dominazione di Venezia, si può presupporre con certezza che esso cominciò 
anche qui a diffondersi nella prima metà del XVII secolo. Tuttavia soltanto 
molto più tardi, negli anni Venti del XVIII secolo e oltre, il tabacco viene 
menzionato nelle fonti archivistiche come articolo che rientrava nel commer- 
cio di contrabbando. Da questi documenti si può evincere che il tabacco già da 
prima rappresentava un’importante posizione nelle entrate dello stato nella 
Provincia dell’ Istria. Soltanto dopo diversificati tentativi, che ne permisero la 
coltivazione e la vendita al di fuori dal contesto del controllo del potere locale, 
rispettivamente in opposizione alle allora vigenti disposizioni, della questione 
cominciarono adoccuparsi maggiormente i rappresentanti delle autorità e della 
vita economica. 


! Archivio di Stato di Venezia (in seguito: ASV), Dispacci Rettori d’ Istria (in seguito: DRI). Vedi 
anche le “Relazioni dei podestà e capitani di Capodistria” pubblicate nella prima serie degli Atti e Memorie 
della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria (= AMS/). 


20 “Raccolta di atti pubblici riguardanti la Provincia dell’ Istria e le isole del Quarnero, fatta da S.E. il 
signor Pietro Girolamo Capello Provveditore sopra la Sanità in detta Provincia e isolenegli anni 1731-1732- 
1738”, AMSI, vol. XVI, fasc. 3-4 (1900). 


2! ASV: Cinque Savj alla Mercanzia (in seguito: CSM). Serie: Diversorum. 


22 Andrea Da MOSTO, L'Archivio di Stato di Venezia. Indice generale, storico, descrittivo ed 
analitico, tomo I, Venezia, 1937, p. 196. Anche M. BORGHERINI SCARABELLIN, “li Magistrato dei 
Cinque Savi alla Mercanzia”, Miscellanea di Storia veneto-tridentina, Venezia, vol. 111 (1926). 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 9-35 17 


Nel suo dispaccio al governo veneto, agli inizi del dicembre del 1721, il 
Podestà e Capitanio di Capod'’ Istria scrive che i contrabbandieri di tabacco 
seguivano le stesse rotte marittime lungo le quali si erano mossi i contrabban- 
dieri del sale: vendevano il pesce nelle località dell’Istria occidentale, ma 
tentavano anche di farlo pervenire a Trieste, aggirando le guardie della polizia 
marittima veneta attorno a Punta Grossa, non lontano da Muggia, all’entrata 
del Golfo di Trieste?}. Si è conservato il dato in riferimento al fatto che una 
“feluca armata che guarda l’Acque di Muggia”, che colà sì trovava in agguato, 
avesse intercettato una brazzera di contrabbandieri con dieci sacchi di tabacco 
in foglia. L'equipaggio era fuggito davanti alla polizia marittima veneta, 
abbandonando la nave e la merce di contrabbando e si era nascosto in parte 
sulla terraferma, e in parte aveva cercato la salvezza su una scialuppa che, 
stando alle dichiarazioni dei testimoni, spinta da due vogatori, si era mossa alla 
volta di Pirano. 

Il contrabbando di tabacco già allora aveva preso notevole piede. Del fatto 
in questione non si fa diretta menzione nelle fonti, ma lo si può dedurre per via 
mediata. Fino a noi sono giunti soltanto quei casi che per qualche aspetto erano 
fuori del normale e che, come tali, richiedevano un’attenzione particolare e un 
carteggio con gli organi del potere centrale. Infatti la scoperta delle su accen- 
nate brazzere dei contrabbandieri non avrebbe avuto una maggiore risonanza, 
né il rettore veneto avrebbe inviato un dispaccio particolare a Venezia, se il 
giorno dopo non si fossero presentati “due Turchi da Scutari” e se non avessero 
dichiarato al podestà che il tabacco era di loro proprietà, esigendo che fossero 
immediatamente loro restituiti i due sacchi confiscati. Il tabacco, stando alle 
loro parole, era destinato alla vendita nelle località friulane sotto il potere 
dell’ Arciduca austriaco, e non al territorio veneto, e pertanto l’intervento della 
polizia marittima era stato in realtà illegittimo. I commercianti turchi esibirono 
il documento della polizza di carico, e dopo che la merce fu loro restituita si 
misero in mare alla volta di Trieste “sopra Legni Dulcingoti”**. Tuttavia, 
questo caso atipico dimostra in qual modo si effettuava il contrabbando del 
tabacco e con quale attenzione le autorità locali di Capodistria e Muggia 
avevano cominciato a seguire il movimento delle navi contrabbandiere, sebbe- 


23 Sulle vic lungo le quali si contrabbandava il sale e sulla maniera come lo facevano gli esperti marinai 
e marittimi del luogo, vedi il saggio di Miroslav BERTOSA, “Leta od morije, leta od karestije” /Anni 
di morie e di carestie/, in Uskocki rat i slom istarskoga gospodarstva /La guerra uscocca e la rovina 
dell'economia istriana/, nell’ opera /starsko vrijeme proslo III passato dell’ Istria/, Pola, 1978, p. 143 e passim. 


24 ASV. DRI, filza 98. Capod'Istria, 6.X.bre 1721. 


18 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. 9-35 


ne il controllo del traffico, dopo la pubblicazione della patente sulla libera 
navigazione nell’ Adriatico, sempre più sfuggiva dalle mani della indebolita 
Serenissima. In quello che un tempo era il Golfo Veneziano ora la voce grossa 
la facevano quei paesi stranieri nemici di Venezia. 

Dagli inizi del terzo decennio del XVIII secolo, il commercio con la costa 
orientale dell’ Adriatico e con il Levante ricevette nuovo impulso: sul mercato 
triestino confluivano varie merci tra le quali un posto significativo spettava al 
tabacco. Gradatamente i commercianti triestini avrebbero tentato di dirottare il 
tabacco dei loro depositi verso i compratori istriani, favoriti in questa campa- 
gna dagli impiegati veneziani. Su questo problema fa fede un dispaccio che il 
Provveditore della Sanità, Girolamo Capello, inviò a Venezia da Pirano, nel 
dicembre del 1732, in cui lui con stupore relazionava che, per conto del 
subapaltadore, erano stati importati a Capodistria da Trieste trenta coli di 
Tabacco, proveniente da Cattaro. I Provveditori precedenti, fa notare il Capel- 
lo, avevano proibito l’importazione del tabacco e punivano i trasgressori”. 
Agli inizi degli Anni Trenta il commercio del tabacco era diventato sempre più 
redditizio, e per tale metivo anche gli impiegati veneti (addirittura anche il 
subappaltatore della Provincia dell’ Istria a Capodistria!) trasgredivano le 
disposizioni relative all’ importazione e al commercio del tabacco. Tuttavia in 
questo caso si intromise il magistrato dei Cinque Savj e 1'8 maggio abrogò la 
decisione sull’importazione del tabacco proveniente da Cattaro via Trieste, ma 
stando a quanto scrisse il Capello si dovettero addurre “ragioni assai efficaci 
onde assolverlo dal contrabando ”. Giudicando dall’espressa affermazione del 

Provveditore della Sanità, questo era stato il primo caso di importazione del 
tabacco da un paese straniero, fino allora i subapaltadori potevano comperare 
il tabacco unicamente all’interno del territorio dello stato veneto??. 

Il governo veneto, nel tentativo di infrangere le transazioni con il tabacco 
triestino nel suo possedimento istriano, non sarebbe stato coerente: sebbene nel 
mese di maggio del 1732 fossero state rimandate a Trieste delle balle di 
tabacco, alcuni mesi dopo i Partitanti generali riuscirono ad ottenere una 
speciale autorizzazione scritta (cedola) che permetteva loro di rifornirsi di 
foglie e polvere di tabacco sul mercato triestino. E’ sintomatico il fatto che la 
stessa deroga veniva contemporaneamente concessa anche al rappresentante 


25 “Raccolta di atti pubblici”, cit., p. 320-321. 


26 IBIDEM, p. 321. ("Prima di quel momento però non fu mai lecito, né a questo, né agl’altri 
subapaltadori provedersi di Tabacco, che nella sola Dominante”) 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 935 19 


veneto con sede a Udine: si autorizzava anche lui di acquistare tabacco a 
Trieste per le esigenze della Patria del Friuli. In tal modo il commercio del 
tabacco passò nelle mani private di singoli appaltatori, pertanto le casse dello 
stato a Capodistria dall’ importazione di questo articolo talmente richiesto. 
realizzavano entrate costantemente in calo. L’Istria non fu unicamente un 
territorio di transito per le merci straniere, ma, a detrimento della sua stessa 
economia, si trasformò sempre più in un paese importatore di merci provenienti 
da Trieste e dalle altre località austriache. Nel settembre del 1732, P. G. 
Capello, scrisse una nuova relazione al Governo di Venezia, allegandovi 
numerose tabelle sulla provenienza e sulla qualità delle merci che erano giunte 
alla fiera di Trieste nel 1732?”. Nella distinta della merce destinata al mercato 
istriano, fattavi pervenire dalle terre arciducali e imperiali, indi dalla Puglia, da 
Goro e Ancona, figurava anche il tabacco. Dal listino prezzi risultava che il 
prezzo del tabacco era identico in tutti i territori menzionati e che per “tabacchi 
al cento” si pagavano 40 lire (l’altra merce era notevolmente meno cara nella 
Puglia, a Goro e ad Ancona, che non nell’Istria)?. L’approvvigionamento del 
mercato istriano avveniva attraverso Segna?”, mentre nella veneta Fianona 
esisteva lo scalo per il tabacco che dalle terre austriache veniva trasferito alla 
Contea di Pisino e nelle piccole signorie e baronie sotto il potere arciducale®°. 

L’allentamento del controllo sull’importazione e sulla vendita del tabacco 
in Istria, portò, come si ebbe occasione di rilevare in precedenza, al rafforza- 
mento dell’ iniziativa privata degli appaltatori e subappaltatori, ma in queste 
condizioni anche questi ultimi ben presto dovettero affrontare pericolosi con- 
correnti negli astuti marittimi che introducevano furtivamente in Istria il 
tabacco tra le merci dichiarate. Già nel luglio del 1741, il Podestà e Capitanio 
di Capodistria, Paolo Condulmier, al rientro dall’Istria, attirò l’attenzione del 
governo veneto sul fatto che lungo le coste dell’Istria si svolgeva il contrabban- 


27 IBIDEM, p. 328. 


28 IBIDEM. Cfr, la tabella “B”: “Merci e prodotti che derivano in Trieste dalli Stati Austriaci, 
dall'Imperio, dalla Puglia, Goro e Ancona, con li prezzi che si vendono nella Provintia, et Isole, da Puglia, 
Goro et Ancona senza far scalo a Trieste”. 


29 IBIDEM. Tabella: “Merci e prodotti che si conducono da Luochi Austriaci infrascritti, e sbarcano 
nel Porto di Fianona per uso del Contado di Pisino, Signorie d’ Ausperch, e Baronie Rampel e Brigido”. 


30 IBIDEM: “Altri prodotti, che da’ luochi Austriaci infrascritti si conducono, et esitano nell’Istria, 
imbarcandosene poi molti degli stessi per la Dominante. In fondo alla lista si trova l'elenco dei prodotti (olio, 
vino, pietra lavorata e grezza, calcare, legname, olive verdi, pesce fresco e sardine salate) che si esportavano 
dall'Istria nelle terre austriache, nella Puglia, a Goro e ad Ancona”. 


2 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 935 


do di tabacco, in particolare nei porti di Orsera e Daila}!. Contemporaneamente 
si rafforzò, oltre alle importazioni permesse dalla legge, anche il contrabbando 
del tabacco proveniente da Trieste, come testimonia il rapporto presentato al 
Gran Consiglio, dopo il rientro di uno dei successivi Podestà e Capitanio di 
Capod' Istria, Zuanne Gabriele Badoer, il 1 agosto 1748”. 


Contrabbandieri e rivenditori. Le disgrazie di un appaltatore 


Il maggior numero di documenti inviati dai Cinque Savj alla mercanzia 
ebbe luogo in Istria negli anni 1778-79*, come eco della relazione concernente 
il commercio del tabacco, dovuta alla penna del subappaltatore Carlo Bernar- 
delli. Il Bernardelli nel 1776 divenne subappaltatore delle imposte derivanti 
dalla vendita del tabacco, dopo aver versato nelle casse dello stato un importo 
forfetario, ottenendo in tal modo il diritto di riscuotere la sunnominata imposta. 
nella Provincia Istria. Nel suo Memoriale* inviato da Capodistria a Venezia, 
1°8 agosto 1778, egli attirava l’attenzione delle autorità centrali sui procedi- 
menti illegali dei fornitori, dei venditori e degli incettatori del tabacco, contrari 
alle prescrizioni sull’ appalto (Partito de’ Tabacchi). Il subappaltatore Ber- 
nardelli fa risaltare nella sua lettera che esiste il pericolo del totale prosciuga- 
mento delle entrate derivanti dal commercio del tabacco in Istria ed esprime la 
sua preoccupazione per il denaro investito in questo affare; tanto più ritiene che 
senza l'intervento degli organi statali non potrà sostenere l’incarico di subap- 
paltatore delle imposte. Descrive come egli stesso si sia accollato l’inchiesta e 
come abbia scoperto i canali del contrabbando nella Provincia Istria, che ‘è 


3I “Relazioni”, cit., AMSI, vol. X (1895), p. 59. Cfr. “Relazione del N. H. Paulo Condulmier ritornato 
di Podestà e Capitanio di Capodistria 1741, 26 Luglio”. 


32 “Relazione del N. H. Zuan Gabriele Badoer ritornato di Podestà e Capitanio di Capodistria 1748, | 
Agosto”, in “Relazioni”, cit, p. 73. Cfr. anche il lucido articolo di Luigi MORTEANI, “Condizioni 
economiche di Trieste e Istria nel secolo XVIII studiate dalle relazioni de’ Podestà Capitani di Capodistria”, 
pubblicato nel Programma del Ginnasio communale Superiore di Trieste. Anno scolastico 1887-88, Trieste, 
1888, p. 74. Il Morteani ha soltanto fatto uso del materiale pubblicato negli AMSI. 


8 ASV. DRI. Diversorum, busta 390 e 391. 
34 IBIDEM, busta 390. n.6. Capodistria lì 8 Agosto 1778. 


35 La parola partito si usava nell’antica terminologia amministrativa per denotare un affitto, specie di 
tributi pubblici. Partito ha, dunque lo stesso significato di appalto, compare nei materiali del XVI - XVIII 
secolo. Cfr. Giulio REZASCO, Dizionario dellinguaggio italiano storico ed amministrativo, Firenze, 1881, 
p. 768. 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 9-35 21 


molto copiosa di Porti marittimi”, adatti a codeste imprese. Prima di tutto 
aveva visitato Albona, dove, nonostante la scarsa densità della popolazione, 
non ci sono quasi negozi nei quali non si venda il tabacco, per di più a bassi 
prezzi. Il tipo migliore (soprafino) costa per oncia quattro soldi. Secondo il 
Bernardelli la ragione principale di “tale scandalosa libertà di vendita” sta nel 
fatto che il Comune di Albona fin dalla sua dedizione alla Repubblica di San 
Marco era stato esentato da quasi ogni tributo*’, e la cosa, sebbene molto più 
tardi, cominciò ad applicarsi anche al tabacco. Il subappaltatore delle imposte 
tuttavia è del parere che questo privilegio non abbia senso e sia insostenibile, 
perlomeno a quanto si riferisce all’articolo al quale lui è interessato, per il fatto 
che era stata concessa al Comune di Albona quando il tabacco era — sconosciu- 
to! Il Bernardelli, altresì. poneva l’accento sul fatto che venivano infrante le 
disposizioni del decreto del 2 febbraio 1702, nonché di tutta un’ altra serie che 
le seguirono, sulla proibizione della piantagione del tabacco in Istria. Egli si 
meraviglia che le autorità non avessero proibito “L’ intollerabile consuetudi- 
ne” di permettere l’attracco in ottobre, novembre e dicembre, di “certe tarta- 
nelle Bocchesi” nel Porto di Rabaz, ai piedi di Albona dalle quali si scaricava- 
no, in opposizione alle prescrizioni sanitarie, le foglie di tabacco. I coli del 
tabacco da qui vengono trasferiti direttamente negli alloggi e nei negozi dei 
commercianti, senza previamente effettuare la disinfezione della merce come 
previsto dalla legge. Nella restante parte dell’ anno (da gennaio alla fine di 
settembre) questi sudditi fanno le loro provviste di foglie e di polvere di 
tabacco dalle navi provenienti da Fiume e da Segna, che “quasi giornalmente 
si accostano alle Rive del Porto sudetto e quindi girano tutto il litorale di 
questa Provincia.” 

L’altra località visitata dal subappaltatore delle imposte fu Barbana, allora 
feudo della Casa Loredan?”, dove costatò che anche qui il tabacco veniva 
coltivato e venduto. Barbana e i suoi dintorni si approvvigionavano grazie alle 
spedizioni di tabacco fatte pervenire attraverso il suo porto comunale (Porto di 
Pesacco)**, distante circa tre miglia venete dal centro del feudo. 


36 I privilegi di cui godeva il comune di Albona vengono menzionati anche nell’atto di dedizione alla 
Repubblica Veneta, approvato dal Senato in data 3 giugno 1420, in cui sta scritto che tutti gli abitanti del 
luogo e i forestieri potevano liberamente, senza dazio alcuno, importare e vendere merci in Albona (Che tutti 
li Forensi, e Terrieri possino condur, Mercantie, vender et comprar francamente senza alcun Datio come fu 
sempre, e la consuetudine d' Albona). Ctr. Carlo BUTTAZZONI, “Albona. Cenni storici”, Archeografo 
Triestino, Trieste, n.s., vol. 1 (1869-70), p. XIII e 3. 


37 Cfr. su questo aspetto: Gregorio DE TOTTO, op. cit., p. 66, 83. 94. 


38 Sul porto di Pesacco vedi il saggio di Danilo KLEN, “Solane i rizitta na istoénoj obali Istre 


2 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, vol XXXI, 2001, p. 935 


Successivamente le località che il Bernardelli visitò — Sanvicenti, Visina- 
da e Castellier — si trovavano nel feudo privato della famiglia Grimani?”. 

Da qui passò a Piemonte e Castagna, che erano parte integrante del 
possedimento feudale di Carlo Costantini del Zaffo‘°. 

Ovunque il subappaltatore si imbatté nella vendita libera e a basso costo 
del tabacco, che attirava i compratori non solo dai sunnominati feudi privati, 
ma anche dai circostanti possedimenti statali. Tuttavia la maggior parte del 
denaro proveniente dalla vendita del tabacco finiva nelle mani dei proprietari 
delle brazzere che da Rovigno si portavano nel Porto di Bastia sul Quieto‘', 
abituale punto d’incontro dei compratori e dei rivenditori di tabacco dei 
territori vicini e lontani della parte veneta dell’ Istria. Gli appaltatori dell’im- 
posta sul tabacco perdevano in tal maniera le loro entrate; il tabacco veniva 
contrabbandato anche dalle regioni più lontane e veniva venduto illegalmente, 
senza il permesso delle autorità e il pagamento delle tasse. Il Bernardelli 
definisce questa infrazione delle leggi come uno “scandaloso abuso” e invita 
il governo a protestare nei confronti delle autorità feudali, allo scopo di 
impedire l’ introduzione illegale, la coltivazione e la vendita del tabacco. Se 
fosse venuto a mancare l’ intervento delle autorità centrali lo stesso Bernardelli 
avrebbe subito il crac finanziario: egli aveva appaltato i tributi per una somma 
così alta che, nelle condizioni di una vendita irregolare del tabacco, non 
sarebbe stato nella possibilità di riscuotere. La lamentazione si concludeva con 
l’avvertimento che anche la sua innocente famiglia avrebbe vissuto il crollo 
definitivo (“estremo eccidio della mia innocente Famiglia”). Dal testo che 
segue si può arguire che il Bernardelli aveva contrattato un appalto annuale con 
la cassa di Capodistria per un importo di 32.000 piccole libre, ma che avrebbe, 
a causa del deprezzamento del denaro e della “colà sensibile inflazione” (“il 


(XVIE-XVIII st.” /Saline e risaie della costa orientale dell’ Istria (XVII-XVIII secolo)/, Jadranski zbornik 
IMiscellanea adriatica/, Fiume-Pola, tomo VI (1966), p. 237-252. 


39 De TOTTO, op. cit., p. 65-66, 93. Qui però non viene menzionato il fatto che Castellier era feudo 
della famiglia Grimani, come risulta dalla citazione del Bemardelli. 


40 IBIDEM, p. 64,92 


4! L'ampia foce e il letto del Quieto nel suo corso inferiore erano navigabili anche per navi di una certa 
stazza che entravano dalla parte del mare e a Bastia imbarcavano tronchi di querce e remi finiti per l’arsenale 
di Venezia. Cfr. Danilo KLEN, “Mletacka eksploatacija istarskih uma i obavezan prijevoz drva do luke kao 
specifiéan drzavni porez u Istri od 15. do 18. stoljeéa” /Sfruttamento veneto dei boschi istriani e trasporto 
obbligato fino al porto come speciale imposta statale in Istria dal XV al XVIII secolo/, Problemi Sjevernog 
Jadrana /Problemi dell’ Adriatico settentrionale/, Fiume, tomo |, (1963), p. 199-280; Miroslav BERTOSA, 
op. cit., p. 175. 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Affi, vol XXXI, 2001, p. 9-35 B 


troppo sensibile discapito della valuta che qui corre”) dell’ 8% il suo indebi- 
tamento finale avrebbe segnato le 34.560 libre, non calcolando le altre spese 
collaterali. Mentre la vendita di tabacco si sarebbe trovata nelle mani dei privati 
e al di fuori del controllo e dell’ evidenza, l’ appaltatore non avrebbe potuto 
ricuperare la somma versata”. E 

Un significativo luogo di incontro dei contrabbandieri di tabacco si trova- 
va anche a Carigador, antico luogo di imbarco di legname non lontano da 
Fontane, (“entro il feudo dei conti Borisi”)* nel quale confluivano Bocchesi e 
Rovignesi con le loro imbarcazioni. I venditori e gli incettatori di tabacco non 
aggirarono neanche Momiano, possedimento della nobile famiglia dei Rota“. 
Tuttavia, stando alla testimonianza del Bernardelli, il maggior nido della 
vendita illegale del tabacco si trovava a Rovigno. “La Terra di Rovigno pure 
copiosissima di abitanti abbenché non vanti Privilegi nella sua dedizione”, 
rilevava il Bernardelli, alludendo alle condizioni di Albona; non si trovava in 
una giurisdizione privata, costatava più oltre il subappaltatore, puntando questa 
volta la punta della sua spada sui feudi della parte veneta dell’ Istria, ma in essa 
brulicavano la vita e il traffico navale, e non solo delle brazzere, dei patroni 
rovignesi, ma anche dei bastimenti provenienti dall’ Albania e dal Levante, 
trasportando nei loro carichi le foglie di tabacco. Non si trattava qui di un 
commercio di contrabbando di piccola entità, ma di un traffico di tabacco — 
“all’ingrosso”.1 Rovignesi prendono nelle loro mani il tabacco e senza alcuna 
disinfezione lo trasportano e lo vendono per |’ Istria, il Friuli e nel Dogado 
(Terraferma veneta). Con le loro brazzere segretamente riparano nelle cale nei 
porticcioli nascosti della costa istriana e appenninica, infiltrandosi addirittura 
anche in alcuni fiumi e fiumiciattoli (fiumare) per vendervi le foglie e la 
polvere di tabacco a prezzi bassissimi. Come appaltatore e incettatore delle 
imposte sulla vendita del tabacco, il Bernardelli fu particolarmente colpito dal 
fatto che in questa parte dell’ Adriatico settentrionale non incrociava nemmeno 


una nave della polizia marittima di stato per impedire il già ramificato com- 


42 ASV. CSM. Diversorum, busta 390, n. 6, Capodistria lì 8 Agosto 1778. 
43 De TOTTO, op. cit., p.66,84,91. 


4 IBIDEM, p. 64, 86, 96: Miljan SAMSALOVIC, “Momjanski katastik” /Il catastico di Momiano/, 
Vjesnik historijskog arhiva u Rijeci /= VHARI, Fiume, vol. V (1959), p. 121-254; Marino BUDICIN, 
“Commissione o’ uero Capitoli del Castellan di Momian”, Arti del Centro di ricerche storiche di Rovigno 
(=ACRSR), Trieste-Rovigno, vol. XII (1981-82), p. 83-98; Jakov JELINCIC, “Jedan opis Momjana i njegova 
kastela” /Una descrizione di Momiano e del suo castello/, Vjesnik historijskih arhiva u Rijeci i Pazinu, 
Fiume-Pisino, vol. XXV (1982), p. 45-57. 


24 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vol XXXI, 2001, p. 935 


mercio del tabacco. Di pari passo nella sua ampia relazione rileva che l’intro- 
duzione illegale del tabacco minaccia anche lo stato sanitario nella Provincia, 
poiché le foglie non sottoposte alla disinfezione possono nascondere in sé i 
germi di malattie infettive”. 

Il subappaltatore aveva assodato che la vendita del tabacco si effettuava 
anche sui “bastimenti de' Schiavoni” che provenivano per lo più dalle “coste 
dell’ Albania”*°, trasportando merci varie a Venezia e a Trieste. Lungo questa 
rotta toccano la costa istriana e vi si trattengono per breve tempo in alcuni dei 
suoi porti, soprattutto a Rovigno e a Parenzo. Il Bernardelli aveva spiegato 
come si effettuava il contrabbando e i motivi per i quali esso sfuggiva ai 
controlli. I coli del tabacco non figuravano nell’elenco delle merci, ma si 
nascondevano nelle stive dell’imbarcazione. In questa maniera i patroni 
evitavano di pagare le Polizze di carico alle autorità portuali, e la merce non 
dichiarata arrivava sui mercati. Ripeteva la sua asserzione che per lo più erano 
i marinai a praticare il contrabbando sulle “piccole Tartanelle de’ Bocchesi ed 
Albanesi”, ma aggiunse che essi lo fanno per non perdere tempo, esponendosi 
alle spese della perquisizione e della disinfezione nei lazzaretti. I patroni e i 
marinai vendevano il tabacco agli incettatori che successivamente l'avrebbero 
fatto pervenire in tutta l’ Istria veneta. Il Bernardelli consiglia di costruire 
quanto prima un piccolo lazzaretto nelle vicinanze di Orsera o di Parenzo nel 
quale si sarebbero raccolte e disinfettate le foglie del tabacco. Inoltre il 
subappaltatore offriva al governo di Venezia di acquistare lui stesso tutto il 
tabacco di tale lazzaretto per finirla — come dice lui — con il contrabbando ed 
assolvere a tutte le cautelari misure sanitarie prescritte. Nonostante il fatto che 
il Bernardelli avesse fatto osservare che l° ammasso del tabacco avrebbe 
diminuito le sue entrate, in sostanza il subappaltatore da questo tipo di transa- 
zione avrebbe ricavato il massimo profitto per il fatto che quasi tutte le quantità 
disponibili di questo articolo che si vendeva a prezzi estremamente favorevoli, 
venivano a trovarsi nelle sue mani e in tal modo, per un certo verso, si sarebbe 
assicurato il monopolio e la facoltà di imporre i suoi prezzi. 

AI fine di accelerare la realizzazione dei suoi intendimenti, il Bernardelli 
avanzò la proposta di riparare e di adattare per il lazzaretto uno spazio nel porto 


45 ASV. CSM. Diversorum, busta 390, n. 6. Capodistria lì 8 Agosto 1778. 


46 IBIDEM. Poiché vengono menzionati i “Bastimenti de’ Schiavoni”, bisogna supporre che essi 
giungevano dal litorale montenegrino, che spesso nelle fonti venete viene denominato Albania. In altri scritti 
di questa documentazione erano chiamati Bocchesi, il che con maggiore precisione determina la loro 
provenienza. 


M. BERTOSA, “Frba santa” dall'uso all'abuso, Att, voL XXXI, 2001, p. 9-35 25 


di Orsera dove attraccavano le navi dalmate e albanesi, o di rinnovare il Luogo 
di Sanità a Parenzo. 

Entrambe le istituzioni sanitarie sarebbero, secondo il Bernardelli, rientra- 
te nella locale sfera di competenza del podestà di Parenzo, mentre su di esse 
l’autorità suprema sarebbe stata esercitata dal Magistrato alla Sanità. Per 
quello che si riferiva ai rivenditori di tabacco, — per lo più questi erano -, come 
si ebbe già a dire -, i marittimi rovignesi che con le loro piccole imbarcazioni 
penetravano in tutte le località costiere e nel fiume Quieto — la loro attività si 
poteva imbrigliare unicamente con il controllo su tutta la costa istriana, ricor- 
rendo al Felucone armato di Milizia, che avrebbe incrociato lungo le coste dell’ 
Istria dall’ autunno alla primavera (più precisamente dal | ottobre fino al 31 
marzo). Il Bernardelli avrebbe mantenuto per sé il diritto di dare istruzioni ai 
comandanti degli equipaggi militari. L'intero suo progetto era intonato al 
modello del sistema delle misure adottate contro i contrabbandieri del sale. Il 
Bernardelli, nella sua qualità di subappaltatore del tributo sul tabacco, per sé 
esigeva in effetti il sanzionamento delle competenze e lo status giuridico che 
aveva il subappaltatore del tributo sul sale venduto, il cui centro era, anche in 
questo caso, a Capodistria (Partitante de' Sali in Capod’Istria)!. 


Procedimenti proibitivi 


Il subappaltatore Bernardelli aveva aggiunto al suo carteggio alcuni alle- 
gati che completavano la sua relazione e corroboravano con esempi la vendita 
di contrabbando del tabacco e i tentativi compiuti per la sua coltivazione sul 
suolo dell’ Istria. 

Il primo documento allegato, dal titolo “Proposta del Partitante dell’ 
Istria per le Giurisdizioni”* riporta in forma concisa le proposte che il 
subappaltatore aveva inoltrato ai signori dei feudi privati, nei quali il tabacco 
sì vendeva o piantava illegalmente. Il Partitante chiede ai nobili e ai signori - 
titolari dei diritti feudali — di obbligare i loro sudditi di acquistare il tabacco 


esclusivamente dal subappaltatore di Capodistria al prezzo che da lui sarebbe 


47 ASV. CSM. Diversorum, busta 390, n. 6. Capodistria lì 8 Agosto 1778. 

48 Questo allegato è scritto senza riportare la località e la data da cui è stato spedito, ma dal contesto 
si può arguire che è stato redatto a Capodistria quando il Bernardelli, assieme ai rappresentanti dei Cinque 
savi per gli affari commerciali aveva tentato di risolvere il “caos del tabacco” in Istria. 


26 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, voL XXXI, 2001, p. 935 


stato stabilito. Questo insistente volere del subappaltatore di unificare il prezzo 
del tabacco su tutto il territorio della parte veneta della Provincia dell’ Istria è 
facilmente spiegabile: se i prezzi nelle signorie private fossero stati inferiori, i 
compratori si sarebbero orientati verso i loro mercati e pertanto nella parte 
“statale” la vendita sarebbe diminuita, e conseguentemente anche i profitti del 
subappaltatore. Sarebbe infatti venuta a mancare la possibilità di incamerare le 
imposte che in antecedenza il subappaltatore aveva versato all’ erario statale. 

Dai proprietari feudali si richiedeva inoltre l’ espressa proibizione: “Che 
sia vietato espressamente, sempre però dalli sudetti Nobili Huomini Padroni 
di pistare, macinare, e molto più di piantare la minima qualità e quantità delle 
Foglie, nemeno sotto pretesto di uso proprio delli Sudditi sudetti”. 

Da parte sua il subappaltatore si impegnava a procurare il tabacco ai 
venditori sul territorio delle accennate signorie, foglie e polvere della stessa 
qualità come i rivenditori precedenti avevano fatto fino allora; inoltre i prezzi 
sarebbero stati inferiori del dieci per cento di quelli praticati fino allora. I 
proprietari delle signorie, domiciliati per lo più a Venezia, risposero all’invito 
del subappaltatore ed emisero i proclami sulla proibizione della vendita e della 
piantagione del tabacco. Alvise Contarini pubblicò un proclama a Piemonte e 
a Castagna; fece letteralmente propri i suggerimenti del subappaltatore e li 
trasformò in legge‘. La stessa cosa fu fatta anche dal nobile Girolamo Grimani 
quando, verso la metà del dicembre 1778, a Venezia, emanò le proprie dispo- 
sizioni per la sua giurisdizione feudale e le fece pubblicare a Sanvicenti e a 
Visinada?°. Anche la Nobil Donna Cattarina Loredan Kavagliera Mocenigo, 
signora di Barbana e di Castelnuovo, pure essa nel suo palazzo di Venezia, 
ordinò la compilazione della terminazione sul commercio del tabacco e sulle 
proibizioni ad esso relative”. Il capitano di Barbana era in dovere di rendere 
note le disposizioni del proclama a Barbana, a Castelnuovo, al Porto di Pesacco 
e nei singoli villaggi minori della giurisdizione. Sebbene Caterina Loredan - 
Mocenigo avesse descritto molto ampiamente le sue misure proibitive, in 
sostanza anch’ essa ripeteva le proposte del subappaltatore. Tuttavia aveva 
suffragato la sua terminazione con le pene alle quali sarebbero stati sottoposti 
i trasgressori delle prescrizioni e i contrabbandieri di tabacco; per i marittimi 
era previsto il sequestro della nave. Anche qui doveva circolare unicamente il 
tabacco acquistato dal subappaltatore statale di Capodistria. Nella parte con- 


49 ASV. CSM. Diversorum, busta 390. n. 6 (s.d.). 
50 IBIDEM. Data in Venezia 15 Xbre 1778. 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. #35 21 


clusiva della terminazione si rileva: “Sarà dunque in libertà di chiunque de 
Sudditi di far proviste di Tabaccho, così in polvere, come in Foglia per esitarlo 
poi all’ ingrosso, e a minuto, ed anche per proprio uso. Le proviste poi, ossian 
le compere si faranno unicamente al pubblico Partito de’ Capod'’Istria, da coi 
saranno acquistati i Tabacchi al più equo, e discretto prezzo, e col dibatimento 
d’ un dieciotto per cento sopra ciascheduna qualità di Tabacco, la di cui 
vendita così al minuto, come all’ ingrosso, non dovrà punto eccedere i mede- 
simi prezzi che verranno fissati dal Partitante di Capod’Istria, in pena a chi 
abasase (!), oltre il risarcimento verro di chi venisse deffraudato di Ducati 10, 
da esser applicata alla Cassa Condanne”””. 

Il potere privato, dunque, per primo ritirò le mosse repressive nei confronti 
dei contrabbandieri e dei coltivatori di tabacco nel possedimento veneto istria- 
no. Il potere pubblico ancora per qualche tempo era indeciso se lasciare ai 
subappaltatori — che nei documenti figuravano sotto vari nomi insufficiente- 
mente chiari da un punto di vista giuridico (apaltador, partitante, impressa- 
rio) di organizzare da soli (e finanziare!) le misure per la regolamentazione 
della situazione sul mercato del tabacco in Istria. Verso la fine del gennaio 
1779 uno degli appaltatori, di nome Girolamo Manfrin, che portava il titolo di 
Impressario generale de’ Tabacchi®* inviò una protesta ai “Cinque Savj alla 
Mercanzia, ossia Inquisitor ai Tabacchi”, per “dei sommi disordini / ... / dagli 
arbitrarj impianti / ... / dalle clandestine introduzioni” il che non gli impedì 
di pagare il debito e di ottenere il decreto di rescissione del contratto. 


5l IBIDEM. Data dal Nostro Palazzo di Venezia lì 22 Xbre 1778. 


5? IBIDEM. La terminazione di Caterina Loredan Mocenigo venne pubblicata nell’ambito dell’ampio 
materiale a cura di Danilo KLEN, “Dopune objavljenim kodeksima Loredanskih terminacija za Barban i 
Rakalj. Neka razmatranja u vezi s njima — kao uvod” /Aggiunte ai codici delle terminazioni dei Loredan 
pubblicate per Barbana e Castelnuovo. Alcune considerazioni a loro riguardo — a mo’ di introduzione/, VHAR, 
tomo VI-VII (1961-62), p. 419-420. 


53 Stando al BOERIO (op. cit.) e al REZASCO (op. cit.) — ad vocem - deriva che tutte queste 
denominazioni erano sinonimi e che stavano a significare l’appaltatore del tributo il cittadino o il nobile che 
nel corso di unalicitazione pubblica avevano pagato la cifra più alta per l'appalto (in questo caso il tabacco). 
Tuttavia poiché nei documenti della seconda metà del XVIII si differenziano chiaramente queste tre 
denominazioni, ritengo che esistesse una certa distinzione e gradazione nella loro posizione giuridica. 


54 ASV. CSM. Diversorum, busta 391, n. 163. Come si ebbe già modo di dire questa denominazione 
nel BOERIO (op. cit., p.331) è stata interpretata come sinonimo con quella di apaltador; rispettivamente di 
Fermiere del tabacco (0 dei dazii), vale a dire di appaltatore che mediante la licitazione aveva ottenuto il 
diritto di rastrellare il tributo proveniente dalla vendita del tabacco, ma dopo averne pagato il canone d’ 
appalto. 


55 ASV.CSM. Diversorum, busta 390, n. 6 Allegato. 


28 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Att, vol XXXI, 2001, p. 9:35 


Il giudice delegato, infatti, non volle ‘“concluder l’ appalto” finché l’ appal- 
tatore non avesse regolato i suoi conti e fatto fronte ai suoi indebitamenti. 

Il Manfrin ancora una volta attira l’attenzione sulla severità delle leggi sul 
sale e la completa liberalizzazione del commercio del tabacco che sfugge al 
controllo dello stato e danneggia le entrate pubbliche. Poiché i proprietari delle 
giurisdizioni feudali avevano emanato le prescrizioni contro gli affari irrego- 
lari con il tabacco, il Manfrin, nella lettera all’ “Inquisitor”, pone l'accento sul 
fatto che era estremamente necessario che ciò venisse fatto dal potere centrale 
e che quanto prima emanasse “pubbliche Statutarie Leggi all'interesse del 
Principato”. 

L’amministrazione veneta anche in questo caso si dimostrò molto lenta: 
nemmeno dopo un mese non aveva intrapreso alcunché. Il Manfrin, agli inizi 
del febbraio 1779, riprese la sua richiesta, dopo essersi ritenuto d'accordo con 
le proposte avanzate dal Bernardelli5?. Soltanto allora si incontrarono i Cinque 
Savj (Girolamo Gradenigo, Vicenzo Barziza, Gabriel Manolesso, Zan Alvise 
Mocenigo, e il quinto Savio alla Mercanzia la cui tremolante firma riesce 
illeggibile) e inviarono una lettera al Senato con la nota che per l’importanza 
del commercio del tabacco e della tutela degli interessi dello Stato era neces- 
sario intraprendere delle misure legali contro la piantagione e la vendita 
incontrollata di questo articolo in Istria. Si attira l’attenzione sul fatto che Carlo 
Bernardelli aveva investito nell’affare del subaffitto “grandiosa Summa di 
Ducati 378.875” e che il fisco provinciale di Capodistria ne avrebbe avuto un 
profitto di 84.785 lire, superiore a quello dell’anno precedente. Per queste 
ragioni era necessario, ritengono i Savj, di applicare anche sul commercio del 
tabacco “pubbliche robuste Leggi saliche”, e che le autorità statali seguano 
l’esempio dei signori delle giurisdizioni feudali che avevano già emesso cotali 
terminazioni”. 

Nelle note originali, ma anche in questo contributo, si può seguire l’iter 
delle proposte che nel suo interesse aveva formulato il subappaltatore Bernar- 
delli, proposte che, con tutta probabilità, sembra fossero state approvate dal 
Senato. Sostenuta dal generale impressario Manfrin e in particolare dal com- 


56 IBIDEM. 
57 ASV. CSM. Diversorum, busta 391, n. 163. 


58 IBIDEM. I Cinque Savj rilevano essi pure che per regolare il commercio del tabacco nella parte 
“statale” della veneta Provincia dell’ Istria, occorrerebbe introdurre proprio quelle misure proposte dal 
“Subappaltadore della Provincia dell'Istria” Bernardelli, e riprese dall’ “/mpressario Generale di Tabacchi 
Manfrin”. 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, vol XXXI, 2001, p. 9-35 29 


petente e autorevole magistrato dei Cinque Savj, l’ iniziativa dell’appaltatore 
provinciale dei tributi riuscì a raggiungere livelli giuridici per quanto atteneva 
alla parte veneta dell’ Istria. Sebbene manchi la documentazione completa, 
alcuni indizi inducono a concludere che le autorità avessero effettivamente 
messo in vita le misure proposte dai Cinque Savj e dal loro Inquisitor, e che il 
contrabbando del tabacco fosse stato imbrigliato e che la sua vendita fosse stata 
messa sotto il controllo dell’ appaltatore di Capodistria. 


La repressione fiscale e la “socializzazione negativa” (a mo‘ di conclu- 
sione) 


Con quasi assoluta certezza è da supporre che il tabacco sia stato introdotto 
nella veneta Provincia dell’Istria, nella seconda metà del X VII secolo e che qui 
sia riuscito a conquistarsi il mercato e ad assicurarsi una buona vendita, 
sottraendosi contemporaneamente al controllo delle autorità centrali e locali. 
Come centri principali dello sbarco del tabacco di contrabbando in Istria, 
vengono menzionate Rovigno, Orsera, Fianona, Porto Albona e come località 
di smistamento (e coltivazione), le signorie feudali di Barbana, Castelnuovo, 
Sanvicenti, Visinada, Castellier, Piemonte, Castagna, Momiano e Fontane. Da 
questi territori veniva rifornita tutta la Provincia dell’Istria, e non è escluso che 
il tabacco oltrepassasse il confine veneto-austriaco, quantunque questo fatto 
non venga menzionato nelle fonti. 

Sin dall’inizio del XVIII, le autorità centrali e locali tentarono di imbri- 
gliare e controllare l'importazione del tabacco dall’ Albania, da Cattaro e dalla 
Dalmazia, di primo acchito irrilevante, ma che, da un punto di vista finanziario, 
risultava essere un commercio di contrabbando molto redditizio e saltuario, che 
metteva a repentaglio le entrate degli appaltatori dei tributi. Le prime prescri- 
zioni sulla proibizione della vendita e della piantagione del tabacco sul suolo 
della parte veneta dell’ Istria, vennero emanate, da quanto si può evincere dalle 
fonti archivistiche fino ad ora trovate, il 2 febbraio 1702, ma nemmeno questo 
decreto, né quelli seguenti, riuscirono a mettere un freno al contrabbando, anzi, 
esso riuscì a raggiungere proporzioni sempre maggiori, tanto più che, sotto 
sotto, il tabacco che veniva introdotto sfuggiva a tutte le tassazioni di trasporto, 
al pagamento della disinfezione nei lazzaretti e via dicendo. Proprio per questo 
motivo, per lungo tempo, si poterono mantenere prezzi molto bassi. I contrab- 
bandieri e i rivenditori di tabacco realizzavano grandi profitti, mentre gli 


30 M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. 9-35 


appaltatori dei tributi del tabacco a Capodistria rimanevano senza entrate e 
inviavano proteste e lamentazioni alle autorità centrali e al loro organo: Cinque 
Savj alla Mercanzia. 

Quando verso la fine degli Anni Settanta del XVIII secolo, si dette l’avvio 
a un nuovo tentativo di sistemare i problemi giuridico-fiscali inerenti all’im- 
portazione, al contrabbando e alla vendita del tabacco, la popolazione istriana 
aveva già completamente accettato il piacere offerto da questa pianta oppiacea. 
Proprio ad allora risalgono le notizie sulla diffusione dell’ uso del tabacco nella 
parte meridionale dell' Istria. Nel corso di un processo contro un gruppo di 
malfattori che aveva attaccato i contadini di Castelnuovo, di Carnizza, di 
Momorano, di Marzana e dintorni, molti testimoni affermarono che nel corso 
dell’aggressione dovettero consegnare ai membri della banda il tabacco che 
avevano con sé. Così, per fare un esempio, Grgo Kostesié, “giudice di Momo- 
rano, domiciliato a Cavrano”, descrisse il suo incontro con i malfattori all’en- 
trata del villaggio. Nel verbale è rimasta la dichiarazione del Kostesic, il quale 
aveva sostenuto che i malviventi avevano richiesto da lui “una presa di 
Tabacco”, ma che si era scusato, dicendo che lo aveva proprio finito e, a 
dimostrazione di quanto asseriva, aveva tolto di tasca la scatola vuota nella 
quale riponeva il tabacco”. Due giorni dopo venne sottoposto a interrogatorio 
il dottore Filip Lazarié di Medolino, cappellano a Marzana”, il quale dichiarò, 
egli pure, che verso la fine del mese di maggio 1776, dei malfattori lo avevano 
fermato nel bosco di Marzana e, tra l’altro, gli avevano intimato di dar loro del 
tabacco. Citò le parole “in lingua Illirica”, pronunciate dal capobanda: “Pope, 
daimi Tabacca” (Prete, dammi del tabacco) e le altre che in seguito aggiunse 
un membro della banda: “Spraznimi Tabacca“ (Tira fuori il tabacco che hai). 
Il prete, come il sunnominato Kostesié, teneva il tabacco in una scatola, mentre 
i malfattori avevano una “Tabacchiera di corno”. 

Fumare, masticare, inspirare con il naso il tabacco erano diventati un 
fenomeno giornaliero tipico risvolto della “socializzazione negativa” che ave- 
va preso piede in ogni angolo dell’ Europa e del mondo, in cui l’Istria, anche 
se lo avesse voluto, non avrebbe potuto evitarlo. La polvere e la foglia del 
tabacco già allora avevano diffusamente eccitato le mucose della bocca e del 
naso della maggior parte degli Istriani adulti, e il fumo riempiva di sé gli 


59 ASV. Consiglio dei X: Processi criminali. Pola, busta I. Adì 15 Giugno 1777. Costituto di Gregorio 
Costessich attual Giudice di Momorano abitante a Cavran. 


60 IBIDEM. Adì, 17 Giugno 1777. Costituto del Reverendo Dottor Filippo Lazzarich da Medolin 
attual Capellano di Marzana. 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Ari, vol XXXI, 2001, p. 9-35 31 


ambienti delle numerose betule (osteria, bettola) e delle case private. Si fumava 
dappertutto, il tabacco era diventato un veicolo che avvicinava la gente, 
sparirono le proibizioni e, addirittura anche la Chiesa, attenua la sua presa di 
posizione, un tempo intransigente, nei confronti del tabacco (nel XVIII secolo 
alcuni sacerdoti istriani godevano dei piaceri del fumo che non consideravano 
affatto “un peccato”); i contadini e i cittadini si portavano dietro le “scatole” e 
le “tabacchiere di corno”, colme di tabacco. 

Lo scontro attinente ai tributi fiscali, al controllo del commercio e delle 
vie istriane del tabacco, non ebbe quasi riflesso alcuno sulla vendita del tabacco 
in città e nelle campagne. L’oppiacea fragranza del fumo del tabacco aveva già 
conquistato la gente dell’ Istria, entrando a far parte del suo quotidiano. Per 
contro l’energica richiesta dei Cinque Savj di accedere alla “immediata estir- 
pazione de’ disordini”! negli affari commerciali relativi al tabacco, ebbe, 
finalmente, una risonanza nel Senato. Venivano così esaudite le annose, lamen- 
tevoli proteste degli appaltatori dei tributi capodistriani sul tabacco, ai quali la 
vendita privata del tabacco importato e la sua coltivazione in Istria, avevano 
tolto ogni possibilità di guadagno. Dietro a tutti questi tentativi stava in realtà 
il desiderio del potere statale di spianare la strada per l’imposizione del 
monopolio sulla vendita del tabacco. Anche sul suolo istriano dovette una 
buona volta capitare quello che era ormai un processo paneuropeo. All’impor- 
tazione segreta del tabacco venne inferto un durissimo colpo. Logicamente il 
contrabbando continuò anche in seguito, ma le sue proporzioni subirono una 
netta decurtazione. A differenza delle altre attività economiche che verso la 
fine del dominio della Repubblica di San Marco, navigavano in grosse difficol- 
tà, le autorità riuscirono a mantenere nelle proprie mani il traffico del tabacco. 
Lo confermano anche i dati raccolti e sistemati, nove anni dopo la caduta di 
Venezia, dal consigliere di stato di Napoleone G. C. Bargnani, al quale era stato 
affidato il compito di condurre ricerche onnilaterali sulle condizioni nell’ ex 
parte veneta dell’ Istria e di proporre delle misure per la ripresa economica”. 
Nel suo ampio rapporto si trovano anche i dati sul tabacco in Istria. Dallo 
specchietto che offrono le tabelle sulla vendita del tabacco si può calcolare che 


6! ASV. CSM. Diversorum, busta 391, n. 183. Datum dal Magistrato de’ V. Savj alla Mercanzia lì 4 
Febraro 1778. More Veneto (vale a dire 1779). 


62 Elio APIH, “Il rapporto sull’Istria del consigliere di Stato Giulio Cesare Bargnani (1806)”, ACRSR, 
vol. XII (1981-82), p. 203-335 (il testo originale del rapporto è custodito nell’ Archivio di Stato di Milano, 
Fondo studi, parte moderna, cartella 1158). 


63 IBIDEM. Cfr. il testo a p. 254 e le tabelle a p. 305 e 306. 


32 M. BERTOSA, “Frba santa” dall'uso all'abuso, Ati, voL XXXI, 2001, p. 935 


il ricavo netto dalla fine del marzo 1803, alla fine del febbraio 1804 (che 
corrisponde al calcolo veneto di un anno — more veneto) ammontava a 44.856,2 
lire, mentre nello stesso periodo 1804-1805 a 61.334,5 lire”. I dati dimostrano 
anche che l’attività commerciale di contrabbando era sensibilmente diminuita, 
per il fatto che nel primo periodo dell’ anno le multe ammontarono a 1.210lire, 
mentre nel secondo soltanto a 450 lire. A dire il vero la polizia marittima non 
era riuscita a catturare tutti i contrabbandieri e i dati di per sé hanno un valore 
relativo. Nel periodo 1804-1805 le multe a carico dei contrabbandieri presi, 
ammontavano soltanto allo 0,7% del totale delle entrate. 

Riferendosi all’ ex parte veneta dell’ Istria, il Bargnani poté stabilire che 
“La privativa del tabacco si amministrava nell’ Istria perfettamente come nelle 
altre provincie venete. Quindi sarebbe superfluo l’innovarvi ...”°. 

I dati del consigliere Bargnani mostrano chiaramente che la Serenissima 
aveva lasciato in eredità alle amministrazioni austriaca, francese e nuovamente 
a quella austriaca, affari ben avviati e redditizi sul fronte del tabacco. Si era 
trattato di un'eccezione nella sua attività finanziario-economica in Istria. 

Il ruolo che il tabacco ebbe nella vita quotidiana della popolazione istriana 
era venuto formandosi sin dal tempo della Repubblica di Venezia, mentre la 
sua “lunga durata”, tra alti e bassi, si mantenne anche nel XIX secolo e nei 
primi decenni del XX. Tuttavia resta ancora da scrivere la storia socio-econo- 
mica del tabacco sul suolo istriano. 


64 IBIDEM, p. 305-306. 
65 IBIDEM. 
66 JBIDEM, p. 254 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 935 33 


SAZETAK: IZMEDU UZITAKA I DOBITAKA: "SVETA TRAVA" OD 
KORISTENIA DO ZLORABE. DOPRINOS POVIJESTI DUHANA U 
ISTRI U 18-ST. 

- Duhan je iza sebe veé imao dugu i bogatu nenapisanu 
“prapovijest” i dokumentiranu povijest kada se u 18. st. u veéim 
koliéinama poteo pojavijivati kao krijuméarski teret na brodovima 
koji su plovili prema Trstu, Veneciji i Rijeci i zaustavijali se na 
istarskim obalama, odnosno kada su se pojavili prvi pokuSaji sadnje 
te biljfke na tlu Istre. Povijest duhana u Istri najuZe je povezana s 
fiskalnom politikom Venecije: sredi$nja je vlast nastojala sprijediti 
odljev kapitala u privatne ruke, jer su prihodi od duhana —- vrlo 
trazenog artikla u svim slojevima stanovnistva — predstavijali vaZnu 
stavku drZavnih prihoda. Ne zaéuduje, stoga, Cinjenica da su “Cinque 
Savj alla mercanzia” — jedna od najvaZnijih magistratura mletatke 
vlade preuzeli nadzor nad uvozom (djelomiéno i proizvodnjom) 
duhana u istarskome mletaékome posjedu i nizom prohibicijskih 
mjera glavninu prihoda uspjeli skrenuti u drZavni fisk. 

Najopsezniji fond dokumentacijske grade o trgovini duhanom - 
uputen iz mletaèkoga dijela Istre ovoj sredi$njoj ustanovi — 
predstavljaju izvjeséa podzakupnika poreza iz godine 1778.-1779. U 
njima se donose podaci o otvorenome krsenju propisa u Istri, napose 
u manjim mjestima kao sto su Rabac (luka Labina), pristaniste Pisak 
(u feudu Barban-Rakalj, plemiéke kuée Loredan), Bastija (luka na 
Mirni), “karigador” (ukrcavali$te drva) kod Funtane (na feudu 
grofova Borisi) i druga skorovita mjesta na morskoj obali. Kao glavni 
krijuméari i preprodavati “neraskuZenih” duhanskih listova spominju 
se Bokelji sa svojim “tartanicama”, a napose posjednici “bracera” iz 
Rovinja. Spominju se glavna mjesta u unutra$njosti poluotoka preko 
kojih se raévaju duhanski krijuméarski putovi: Savitenta, ViZinada i 
Kastelir (u posjedu grofova Grimani), Zavr$je i Kostanjica (na 
feudalnom imanju obitelji Contarini i Zaffo). Ipak je kao glavno 
krijuméarsko gnjiezdo oznaten Rovinj, grad “koji ne uZiva nikakve 
povlastice”, no zbog Zivota prometa i krijuméarske trgovine, 
gospodarski napreduje i dobro je napuden. 

Upozorava se takoder i na uzgajanje duhana u Istri i njegovu 
nezakonitu prodaju, sto takoder pridonosi smanjivanju prihoda od 
zakupa duhanske dafée. Unatoè propisima protiv neregularnih poslova 


A M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 9-35 


duhanom, oni su i dalje izmicali nadzoru sredisnje vlasti. Velike 
svote novca odlijevale su se u privatne ruke. 

Mnogobrojni arhivski podaci svjedoèe da su dobro uhodane i 
probitaéne poslove. s duhanom, ostvarene u doba Mletaèke 
Republike, preuzele i iskoristile njezine nasljednice — prva austrijska, 
francuska, i druga austrijska uprava (sve do godine 1918.) 


POVZETEK: UZITKI IN DOBICKI: “SVETA TRAVA” IZ RABE V 
ZLORABO PRISPEVEK O ZGODOVINI TOBAKA V ISTRI V_ 18. 
STOLETJÙ 

— V 18. stoletju se je tobak zatel pojavijati v veòjih koliéinah kot 
tihotapski tovor na ladjah, ki so plule proti Trstu, Benetkam in 
Reki in so pristajale na Istrskih obalah, oziroma ko so ga prviè 
poskuSali gojiti na Istrski zemlji. Takrat je imel tobak Ze dolgo in 
bogato nezapisano ”prazgodovino“, obenem pa tudi dokumentirano 
zgodovino. Zgodovina tobaka v Istri je tesno povezana z benesko 
davéno politiko; centralna vlada je skuSala preprediti, da bi se kapital 
stekal v roke zasebnikov, ker so bili dohodki od tobaka — izredno 
cenjenega blaga pri vseh druZbenih slojih - zelo pomembni del 
drzavne bilance. Zato ne Cudi, da je eden izmed najpomembnejsih 
upravnih organov beneske vlade, to je “Pet Modrih Trgovanja”, 
prevzel nadzor nad uvazanjem (in delno tudi nad gojenjem) tobaka 
v istrskih posestvih Benetk in je z vrsto omejevalnih ukrepov uspel 
speljati. vetino dohodkov v drzavno blagajno. NajobSirnej$i viri 
dokumentacijskega materiala v zvezi s trgovanjem s tobakom —- ki 
so jih odposlali iz beneske Istre v prej omenjeni beneski zavod — 
so tisti v zvezi s porodili davkarja iz let 1778-1779. Porotila navajajo 
podatke o krSitvah pravil v Istri, predvsem v majhnih naseljih kot 
so Rabac (pri Labinu), pristanisée v Pisaku (v fevdu Barban-Rakalj 
plemiéev Loredan), Bastija (pristanisée pri Mirni), “carigador” (tovor 
lesa) pri Fontani (v fevdu grofov Borisi) in drugih skritih krajih ob 
obali. Med glavnimi tihotapci ’okuZenih“ listov tobaka so omenjeni 
Kotoréani s svoffff “tartanicami” in predvsem Rovinjéani z 
“brazerami” (to so tovorne jadrnice), Omenjena so tudi glavna 
naselja v zaledju polotoka, preko katerih so s Sirile poti tihotapstva 
tobaka: Svetvinéenat, Vizinada in Kastelir (v fevdu druzin Contarini 
in Zaffo). Vendar je kot glavna postojanka tihotapstva naveden 


M. BERTOSA, “Erba santa” dall'uso all'abuso, Atti, voL XXXI, 2001, p. 9-35 35 


Rovinj, mesto “ki ne uziva nobenih privilegijev”, se pa je razvilo 
na gospodarski ravni in je bilo gosto naseljeno prav zaradi Zivahnega 
trgovanja in tihotapstva. 

Omenjeno je tudi gojenje tobaka v Istri ter nezakonita prodaja, 
ki je prav tako prispevala k zmanj$evanju davénih dohodkov pri 
trgovanju tobaka. Kljub predpisom proti nezakonitemu trgovanju s 
tobakom, je bilo vsekakor mogoéte se izogibati nadzoru centralnih 
oblasti. Velike vsote denarja so se stekale v roke zasebnikov. 

Veliko Stevilo arhivskih podatkov nam priéa, da so bili posli s 
tobakom dobro uteéeni in donosni. Te posle, ki jih je takrat 
vzpostavila Beneska republika, so potem prevzeli in izkoristili tisti, 
ki so sledili propadu Benetk, in sicer prva avstrijfska in francoska 
uprava ter druga avstrijfska uprava (do leta 1918). 


CONSIDERAZIONI SULLE STRUTTURE 
MURARIO-DIFENSIVE DEI CENTRI COSTIERI 
DELL’ISTRIA VENETA ALL’INDOMANI DELLA GUERRA 


USCOCCA (1619-1620) 
MARINO BUDICIN CDU 623+711+72(497.4/.5-3Istria) "1619/1620" 
Centro di ricerche storiche Saggio scientifico originale 
Rovigno Gennaio 2002 


Riassunto — Nel presente saggio si mettono in evidenza i progetti avviati e portati a termine per 
il rafforzamento delle strutture fortificatorio-difensive dei centri costieri dell’ Istria veneta 
all'indomani della guerra uscocca (1619-1620). La documentazione archivistica (con le splen- 
dide raffigurazioni di Rovigno e di Capodistria, rispettivamente del Tensini, del Fino e del 
Rubertini) che ci sta a disposizione nell'Archivio di stato di Venezia documenta i propositi di 
rinnovo di Antonio Barbaro (eletto alla fine del 1618 a provveditore sopra le ordinanze di 
Terraferma e dell’Istria con importanti compiti in materia di difesa del territorio e della costa 
istriani), del podestà e capitanio di Capodistria Bernardo Malipiero, di tutti gli altri rettori e 
provveditori istriani di quel periodo, nonché quegli anni difficili che venivano a chiudere 
un'epoca complessa e cruciale per la storia istriana. 


Nei decenni a cavallo dei secoli XVI e XVII l’ Istria veneta, che nell’as- 
setto amministrativo-territoriale era andata profilandosi quale entità provincia- 
le con una rete di 18 podestarie di chiara impronta veneziana', presentava un 
sistema fortificatorio-difensivo del suo territorio e dei suoi centri abitati che 
andava essenzialmente ricondotto ad epoche precedenti”. Esso, pertanto, pre- 


! M. BUDICIN (a cura di), Aspetti storico-urbani nell’Istria veneta, dai disegni dell’ Archivio di Stato 
di Venezia, Trieste-Rovigno, 1998 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 16) 
(=Collana ACRSR), p. 40-49; E. IVETIC, L'Istria moderna, Trieste-Rovigno, 1999 (Collana ACRSR, n. 17), 
in particolare il capitolo “La provincia veneta”, p. 41-48; e IDEM, Oltremare. L’ Istria nell'ultimo dominio 
veneto, Venezia, 2000 (Memorie dell’ Istituto veneto di scienze, lettere ed arti - Classe di scienze morali, 
lettere ed arti, vol. LXXXIX) in particolare il capitolo “I-Lo scudo della dominante”, p. 21-86. 


2 Cfr. su questo argomento il saggio di E. IVETIC, “Funzione strategica e strutture difensive dell’Istria 
veneta nel sei-settecento”, Archivio veneto, Venezia, s. V, vol. CLIV (2000), p. 77-102, che interessa, 
principalmente, proprio il periodo oggetto della nostra trattazione. 


38 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


sentava parecchie carenze, non tanto sul piano del suo inquadramento strategi- 
co-territoriale generale quanto su quello dell’efficacia delle singole strutture 
murario-fortificatorie e non dava le dovute garanzie agli organi preposti a 
questa materia in un epoca ed in uno scacchiere geopolitico resi sempre più 
malsicuri dalle incursioni uscocche e delle forze imperiali, dalle apprensioni 
suscitate dall’entrata della squadra napoletana nell’ Adriatico, dal pericolo 
turco quanto mai incombente sullo stato da mar benché la potenza ottomana al 
massimo della sua ascesa non avesse in quel periodo di pace ufficiale intrapre- 
so grandi campagne navali*, ma soprattutto dalla nuova collocazione politica 
militare degli Asburgo con rivendicazioni sempre più palesi di libertà di 
navigazione nell’ Adriatico*, tese a controbattere la supremazia veneziana frut- 
to tra l’altro di un rapporto e processo secolare proprio con le città costiere 
istriane e, ovviamente, anche con quelle dalmate. 

Se sul piano diplomatico Venezia fronteggiò questa complessa situazione 
cercando di assicurare, per tutto il Cinquecento e con alterne fortune, una certa 
neutralità e un certo equilibrio, sul piano operativo-militare si orientò, comun- 
que, e essenzialmente alla difesa, che per l’area medio e alto adriatica significò 
prima di tutto rafforzamento del principale centro marittimo veneto in Dalma- 
zia (Zara) e, soprattutto, costruzione della fortezza di Palmanova? per difen- 
dere meglio, già sul confine veneto-goriziano, la Terraferma da eventuali 
penetrazioni nemiche da nord-est. L’Istria, per motivi che spiegheremo più 
avanti, nei decenni che precedettero la guerra uscocca rimase, praticamente, 
fuori da questa politica di rinnovo e di rafforzamento militare-fortificatoria e 
nel conflitto uscocco, pur non essendo teatro principale delle operazioni mili- 
tari, vide venire messo a dura prova non solo il suo assetto economico-produt- 
tivo e il suo commercio marittimo, ma in primo luogo anche tutto il suo sistema 


3 Cfr. A.TENENTI, “Profilo di un conflitto secolare”, in Venezia e i Turchi. Scontri e confronti di due 
civiltà, vol. II, Milano, 1985, p. 32-34. 


4 D. MOSCARDA, “Tra diritto e politica: una rapida indagine sulla libertà di navigazione nell’ Adria- 
tico tra il XIV e il XVI secolo”, Arti del Centro di ricerche storiche di Rovigno (=ACRSR), Trieste-Rovigno, 
vol. XXIX (1999), p. 227-256. 


5 Cfr. A.MANNO, “Politica e architettura militare: le difese di Venezia (1557-1573)”, Studi Veneziani, 
Venezia, n.s. vol. XI (1986), p. 129-30 e M. DOMLJAN, “Zara fortezza adriatica. Dal Medioevo all’ultimo 
periodo veneziano”, relazione presentata al 1° Convegno di studio del progetto Cultucadses — Fortificazioni 
e sistemi difensivi dell’ Alto Adriatico, Pirano, 15 novembre 200. 


6p, MARCHESI, La fortezza veneziana di Palma La Nuova, Udine, 1986; S. GHIRONI-A. MANNO, 
Palmanova. Storia, progetti e cartografia urbana (1593-1866), Padova, 1993. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 39 


difensivo”, specialmente quello lungo il confine interno e quello delle sue 
singole cittadine. Una situazione precaria che le massime cariche provinciali e 
capitanali istriane fronteggiarono, come vedremo, con interventi e rimedi 
temporanei, palliativi e proporzionati alla non elevata disponibilità di mezzi 
finanziari. 

Lo si può dedurre molto bene da un’attenta lettura, ad esempio, delle 
relazioni e dei dispacci dei podestà e capitani di Capodistria e degli altri rettori 
istriani di quegli anni e, specialmente, da quelli dei provveditori mandati in 
Istria con incarichi speciali durante la guerra uscocca, che riportano numerosi 
ed interessantissimi dati e note sui combattimenti, sugli assalti, sullo stato 
d’animo della popolazione, sulle devastazioni, sulle rapine e su altri risvolti 
socio-economici tipici delle situazioni particolari di guerra come lo furono 
quelle del conflitto uscocco, ma altresì sulla situazione fortificatorio-difensivo 
delle città, dei centri rurali e dei singoli castelli, nonché sulle iniziative avviate 
a loro difesa. 

La precarietà delle difese di Capodistria, quale caposaldo strategico prin- 
cipale, destò preoccupazione anche prima dell’inizio della guerra uscocca, 
come ebbe a rimarcare il capitano e podestà Scipione Minio al ritorno dal suo 
reggimento capodistriano nella relazione del 3 ottobre 1614 inviata al Senato: 
“Tralascio di attediarla — scriveva allora quel rettore - con rappresentarli quello 
che gli è tanto noto del sito della Città, ma bene dirole la poca sicurezza di 
quella rispetto alla debolezza delle muraglie in molti luochi rotte, le quali però 
ho procurato di restaurare al meglio che ho potuto, et per esservi attaccato a 
quelle molte case et magazeni che con facilità le persone possono andar dentro, 
e fuori a loro beneplacido, oltra esservi delle porte superflue, et il castello S. 
Leone in malissimo stato che sta per cadere, et pur quello è la sicurezza di 
quella parte da terra”* 


Stessi toni e stesse apprensioni affiorano anche dagli scritti successivi, in 
particolare dalle tre corpose relazioni di Bernardo Tiepolo che documentano i 
suoi 35 mesi trascorsi in Istria, ricoprendo la carica di Capitano di Raspo (dal 


? Perquanto conceme l’incidenza della guerra sull’economia e sul contesto sociale della regione vedi 
M. BERTOSA, Jedna zemlja, jedan rat. Istra 1615-1618 [Una terra, una guerra. L’Istria 1615-1618/, Pola, 
1986. 


8 Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria (=AMS/), Parenzo, vol. VII, fasc. 
1-2 (1891), p. 284. 


4) M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atî, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


28 settembre 1615 ai primi di maggio 1618), nonché quella di Vice-Provvedi- 
tore generale (dal marzo 1617 fino all’agosto del 1618); essi abbracciano 
praticamente tutto l’arco del conflitto nonché i dieci mesi ad esso successivi. 
Infatti, il suo racconto parte dal 1615 ed arriva al settembre del 1618 con una 
gran copia di annotazioni, tra l’altro, sul sistema difensivo della Provincia 
dell’Istria, del Capitanato di Raspo e dei loro centri murati-fortificati peri quali 
rilevava complessivamente che “la lunghezza della quiete (riferendosi ai de- 
cenni precedenti il conflitto uscocco, nda) havea partorito che le Castella 
dell’Istria fossero in malissima fede, senza munitioni, vettovaglie, militie, et 
altre cose necessarie”. 

Da quanto si evince dalla lettura del suo racconto, i provvedimenti propo- 
sti e portati a termine sul territorio e nelle sfere di sua competenza ebbero una 
logica strategico-difensiva che tenne conto soprattutto delle condizioni contin- 
genti particolari di ogni singola zona e centro abitato, cosciente che in un 
settore che esigeva l’impiego di enormi mezzi finanziari miracoli non se ne 
potevano fare. Infatti, prima di tutto si premurò di far presidiare tutte le 
postazioni strategiche sia lungo i confini del Capitanato che all’interno e lungo 
la costa della Provincia dell’Istria!, di mandare “la cavalleria con fanteria a 
scorrere li confini de nemici”!' e di coordinare l’arrivo, lo smistamento ed il 
vettovagliamento di soldati albanesi, olandesi, corsi e croati che Venezia inviò 
allora in Istria'?. Nel contempo, in armonia con le competenze affidategli con 
la sua nomina a vice-provveditore, avviò concrete iniziative anche per il 
rafforzamento delle strutture edilizio-fortificatorie, sia nel territorio di sua 
precipua competenza capitanale che nei centri strategici della costa. Questo 
duplice aspetto, costantemente presente nell’operato del Tiepolo, rappresenta- 
va anche agli inizi del secolo XVII la prerogativa topografica essenziale del 
sistema difensivo dell'Istria veneta, nel quale il controllo del capitanato era 
stato concepito anche e soprattutto in funzione della difesa della fascia costiera, 
da sempre di precipuo interesse economico e strategico per Venezia. 


? “Relation dell’ Illustrissimo Signor Bernardo Thiepolo ritornato da Vice Provveditor General in Istria 
- letta nell’ Eccellentissimo Collegio a’ di 4 settembre 1618” (=Tiepolo, 4 sett. 1618), AMSI, vol. II, fasc. 3-4 
(1886), p. 100. 


!0 /BIDEM, p. 100-101. 
!! IBIDEM, p. 101. 


1? Ne troviamo notizia in più passi della “Relatione di Bernardo Tiepolo, Capitano di Raspo, di quanto 
ha operato in Istria nella sua speciale qualità di Vice Generale durante l’anno 1617” (=Tiepolo, 1617), AMSI, 
vol. II, fasc. 3-4 (1886), p. 70-99. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXL 2001, p. 37-73 4l 


AI suo arrivo a Pinguente il Tiepolo trovò “il castello con tutti li altri 
malissimo sicuri, mancante delle debite difese”. Dal suo racconto veniamo a 
conoscenza delle iniziative subitanee intraprese nel capoluogo capitanale: 
“Attesi alla reparatione di questo, feci otturar molti fori et fenestre nella 
muraglia, fabricai caselli nei luoghi opportuni, raddoppiai le guardie con 
cernide paesane, formai due nuove piazzette, feci la spianata d’intorno distru- 
gendo alcuni horti attaccati alla muraglia che con le loro masiere haverebbero 
servito a’ nemici di parapetto et di difesa. Tirai anco dentro un muro con alcune 
feridore, et un pozzo che restava all’ arbitrio altrui””!*. 

Muggia, perla sua posizione delicatissima a ridosso del territorio triestino, 
Capodistria, in qualità di capoluogo sempre nel mirino delle operazioni nemi- 
che, e Pola per la precarietà delle sue difese verso il mare, erano i centri costieri 
che destarono le maggiori preoccupazioni presso il Tiepolo. Trovando “in mal 
stato la terra di Muggia con tanti difetti e mancamenti che restava in grandis- 
simo pericolo a quel confine congionto a Triestini”, il provveditore ordinò, 
dietro anche parere di esperti in materia edilizio-militare, la riparazione delle 
mura e di tutte le altre strutture difensive muggesane!*. Ugualmente ordinò a 
Capodistria, riuscendo tra l’altro a “terrapianar et armar di artiglierie il belloar- 
do su la muraglia che serve per difesa del porto, et di tutta la valle””!5. Per il 
centro polese la questione si presentava molto più complessa se è vero che per 
la sua difesa egli, certo che le strutture fortificatorie di quell’abitato e del suo 
antico castello fossero alquanto precarie, propose, per primo, l’erezione di un 
fortino con trinceroni, munito di pezzi di artiglieria e vigilato da archibugieri, 
sullo scoglio di S. Andrea, nel mezzo dell’ampia imboccatura che da accesso 
al porto polese'’. Non ricevendo alcuna risposta, non gli rimase altro che 
annotare di aver rinforzato con “presidij di marina con soldatesca levata da 
luochi fra terra” il controllo di quel tratto di costa, già assicurato da “una grossa 
armata”!. 


13 “Relazione di Bernardo Tiepolo ritornato dall’Istria dopo 35 mesi di governo come Capitano di 
Raspo e come Vice Generale in Istria - 1618” (=Tiepolo 1618), AMSI, vol. II, fasc. 3-4 (1886), p. 107. 


14 “Tiepolo, 1617”, p.71. 

15 “Tiepolo, 4 sett. 1618”, p. 104. Vedi pure “Tiepolo 1617”, p. 81-82. 
!6 “Tiepolo, 4 sett. 1618”, p. 104. 

!7 “Tiepolo, 1617”, p. 82. 


42 M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Atti, vol XXXL 2001, p. 37-73 


Dai brevi passi qui citati, come del resto dalla lettura di tutte quelle 
relazioni, traspaiono evidenti due aspetti della problematica legata al sistema 
difensivo dell’ Istria veneta nei due primi decenni del Seicento: uno, di primaria 
importanza per l’argomento che trattiamo e dal quale si evincono chiari il 
sistema e la strategia difensivi mantenuti per lunghi decenni da Venezia nella 
penisola istriana; l’altro, di rilevanza secondaria rispetto al primo in quanto 
circoscritto espressamente alle condizioni difensive di un contingente evento 
militare, quello della guerra uscocca. A proposito di quest’ultimo aspetto va 
detto che malgrado le buone intenzioni e l’operato fervido del Tiepolo i sistemi 
difensivi delle singole cittadine costiere durante il conflitto uscocco manifesta- 
rono numerose lacune, sebbene non avessero conosciuto azioni militari e assalti 
veri e propri. Va rilevato, poi, che gli armamenti in dotazione alle singole città 
erano alquanto logori e insufficienti, le mura e le loro torri non avrebbero 
potuto resistere a consistenti attacchi di artiglierie, mentre in alcuni abitati 
peninsulari e insulari era perfino facile lo sbarco sulla costa a ridosso delle 
mura e dell'abitato, come ad esempio a Rovigno, Pola e Parenzo. Gran parte 
dei centri minori aveva le mura troppo basse e le porte mal difese. Ed infatti, 
sempre il suddetto Tiepolo, nella relazione sull’anno 1617, rilevava con preoc- 
cupazione che “siccome da terra si sono convenientemente fortificati et repa- 
rati tutti i posti più necessari], così da mare continuando i suspetti hanno 
bisogno di buone fortificazioni et di persone di molta esperienza che dispon- 
ghino la difesa de porti in particolare”'8. Ancor più indicativi i giudizi di 
Francesco Basadonna espressi nel 1625, al termine del suo mandato di Prov- 
veditor generale, circa la situazione militare generale dell’Istria veneta e le 
debolezze del periodo precedente nel sistema difensivo dell’ Istria “provincia 
di tanta gelosia, e che per tante importanti conseguenze deve esser stimata al 
pari d’ogni altra parte del Senato della serenità vostra, tuttavia nella sua 
sicurezza estrinseca, che consiste in fortezze e soldatesca, si ritrova in malissi- 
mo stato, perché sebbene la maggior parte delle Terre sono murate, hanno però 
bisogno quelle muraglie in molti lochi d’esser acconciate et restaurate, né vi è 
alcuna Fortezza che possa resistere al cannone, poche armi, mal’in ordine, 
l’artiglieria non è ben cavalcata...”!° . Considerazioni queste che preannuncia- 
vano chiaramente un nuovo indirizzo nel sistema difensivo istriano, che da lì a 


& IBIDEM, p. 98. 


!9 “Relazioni di provveditori veneti in Istria”, AMSI, vol. V, fasc. 1-2 (1889), vedi “Relatione dell’ 
Illustrissimo Signor Francesco Basadonna ritornato di provveditor in Istria, 1625”, p. 99. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istia veneta (1619-1620), Atti, vol. XXXI, 2001, p. 37-73 43 


poco avrebbe trovato a Pola la sua realizzazione pratica più logica, ma che nel 
contempo e al pari di quelle del Tiepolo rivelano quanto fosse importante la 
problematica legata al primo aspetto cui si accenna sopra. 

Il sistema difensivo-fortificatorio dell’Istria veneta rispecchiava quelli che 
erano stati i fondamenti del rapporto plurisecolare tra la metropoli veneziana e 
la sua “provincia” Istriana quale punto d'appoggio imprescindibile, soprattutto 
la fascia costiera, della politica e dell’orientamento economico-commerciali 
marittimi adriatico-mediterranei della Serenissima. Sistema improntato da una 
parte al controllo della costa, guardata da barche armate, e ai sistemi poliorce- 
tici più o meno efficienti delle singole cittadine della Provincia dell’ Istria, sia 
di quelle costiere che di quelle dell’interno; dall’altro canto, alla difesa del 
confine verso gli Imperiali, vigilato dal castello pinguentino e da un cordone 
di altri cinque castelli fortificati minori (Rozzo, Colmo, Draguccio, Vetta e 
Sovignacco), percorso e presidiato da truppe a cavallo e dalle milizie di 
ordinanza che praticamente assicuravano i necessari collegamenti tra i centri 
fortificati conferendo a quella barriera confinaria anche una certa e, alle volte, 
decisiva mobilità ed elasticità, soprattutto nella difesa della valle superiore del 
Quieto, ovvero della comunicazione principale verso la fascia costiera e i suoi 
centri marittimo-commerciali. Già nel 1617 il provveditore Tiepolo, trattando 
del dispiegamento di soldatesche nell’Istria veneta, rilevava il seguente assem- 
bramento topografico dei principali centri urbani, semiurbani e rurali, che 
corrispondeva in qualche modo alle principali aree territoriali-difensive 
dell’Istria veneta: Capodistria e il suo territorio; Muggia e il suo territorio più 
prossimo; Pinguente, Rozzo, Colmo, Draguccio, Montona, Portole, San Loren- 
zo; Gimino, Antignana, Sovignacco e Vetta centri conquistati dalle truppe 
veneziane; San Vincenti, “Piazza d’ arme luoco degno d’essere serrato et ben 
fortificato”; Dignano “medesimamente luoco aperto e grande”, Barbana, Al- 
bona, Fianona e Duecastelli; Pola, Rovigno e Parenzo, “dei luochi di mare” che 
si presidiarono “per i suspetti dell’ Armata”?® Queste annotazioni del Tiepolo 
ci consentono un rimando indiretto ma di assoluta rilevanza all’interessante 
saggio di E. Ivetic “Funzione strategica e strutture difensive dell’Istria veneta 
nel Sei-Settecento”, in particolare ad una sua considerazione circa il carattere 
dell’assetto territoriale dell’Istria veneta che l’autore rapporta al sistema della 
sua topografia militare-difensiva?!. Essa è servito all’autore per suffragare la 


20 “Tiepolo, 1617”, p. 98. 
2! E. IVETIC, “Funzione strategica”, cit, p. 78-82. 


4 M. BUDICIN, Strutre difensive dell'Istria veneta (16191620), Att, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


tesi che “il punto di forza del dominio istriano era infatti determinato non tanto 
dalle potenzialità in risorse umane o dalle strutture fortificate, quanto dalla 
distribuzione e dal tipo degli insediamenti””?. Certamente si tratta di una 
valutazione che rispecchia la particolare situazione dei possedimenti veneziani 
in Istria non solo del periodo trattato dall’Ivetic, ma anche del secolo preceden- 
te, allorquando essi si trovavano praticamente lontani dalle aree di maggior 
pericolo marittimo turco, con gli Asburgo ancora disinteressati a conquiste 
militari di ampio raggio in Istria e con la possibilità di un pronto ed efficace 
intervento di una squadra navale veneziana a difesa della costa istriana. Forse 
anche per questi motivi, che mettevano in risalto il fattore strategico di un 
territorio disseminato da tanti piccoli capisaldi difensivi, facendo passare in 
secondo ordine tutte le lacune dei sistemi murati-fortificati delle singole città 
con strutture edilizie che andavano ricondotte a periodi alle volte anche lonta- 
nissimi, che abbisognavano di numerosissimi interventi e restauri, che erano 
già intaccate dall’edilizia abitativa e che sicuramente non sarebbero state 
capaci di resistere a classici e forti assedi, l’Istria rimase fuori del giro delle 
grandi opere di rafforzamento del sistema difensivo dello stato veneziano. 
Incise, poi, ovviamente anche il fatto che tra Cinquecento e Seicento l’ Istria 
venne a trovarsi in piena fase di recessione economica e lo confermano 
chiaramente le relazioni e i dispacci di tutti i rettori istriani che rimarcano per 
tutti i centri di podestaria e per quelli rurali cali nella produzione agricola e 
nell’attività commerciale, mettendo a nudo i problemi dell’annona, del riforni- 
mento idrico, dell’insufficienza degli armamenti e dei mancati investimenti nel 
settore edilizio. Erano queste, in parte, le conseguenze dirette dell’inasprimen- 
to sempre più evidente del conflitto tra gli Asburgo e Venezia che colpì 
duramente il settore della produzione di sale e del commercio marittimo. Nel 
1609-1610, ad esempio, Venezia con il blocco commerciale del golfo triestino, 
controllato costantemente da due barche armate, cercò di mettere in ginocchio 
l'economia di quel centro così importante per gli Imperiali, sia economicamen- 
te che strategicamente. Di certo, oltre che Trieste anche i possedimenti impe- 
riali dell’ Istria stavano già da lungo tempo vivendo una situazione economica 
ancora più grave di quella del contiguo territorio veneziano. 

Un sistema difensivo che, pur traballando in diversi frangenti e in qualche 
settore, resse bene, possiamo concludere, anche l’urto della guerra uscocca, ma 
solo se teniamo in debita considerazione le contingenti e peculiari caratteristi- 


22 IBIDEM, p. 80. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ari, vol XXXI, 2001, p. 37-73 45 


che di quel conflitto, combattuto, come ebbe a rilevare M. Berto$a?*, non con 
le tradizionali strategie militari dell’epoca, ma tutto incentrato su saccheggi, 
razzie, incursioni repentine oltre confine, senza grossi assedi e impiego di 
ingenti truppe militari e senza precisi scopi di conquista di importanti centri 0 
aree venete da parte arciducale. Basti dire che non poche volte truppe imperiali 
riuscirono a penetrare, anche a fondo e alle volte indisturbate, nel territorio 
veneto. Se Venezia non era “da guerra” come è rimarcato in una fonte venezia- 
na del febbraio del 161724, non lo erano, se ponderiamo la situazione economi- 
ca e il complessivo impianto militare, nemmeno i centri dell’ Istria veneta ed i 
loro sistemi difensivi. Pur tenendo in debita considerazione quanto afferma 
l’Ivetic, allora gli Istriani e le autorità preposte alla materia militare-fortifica- 
toria fecero di necessità virtù. E non poteva essere altrimenti visto che il grosso 
delle rispettive truppe e, ovviamente, lo sforzo finanziario maggiore di questa 
guerra venne impiegato altrove. 


La firma degli accordi di pace madrileni e parigini del settembre del 1617 
non significò ancora la completa sospensione degli scontri e delle scorrerie sul 
suolo istriano, che proseguirono praticamente fino all’estate del 1618°5. Già a 
partire, però, dalla fine di quell’anno il Senato veneto, preso atto del persistere 
del pericolo militare, quale riflesso diretto della chiara presa di posizione 
veneziana antispagnola, antiasburgica e ostile alla sede Apostolica e del nuovo 
conflitto che proprio allora stava coinvolgendo tutte le principali potenze 
compresa quella degli Asburgo?5, e resosi conto dello stato precario del sistema 
fortificatorio-difensivo della Provincia istriana, soprattutto di quello dei suoi 
porti principali, rispettivamente dell’intera fascia costiera occidentale, come 
risultava chiaro dalla relazioni del provveditore Bernardo Tiepolo, ma altresì 
dalla corrispondenza tra i reggimenti istriani e le cancellerie centrali a Vene- 
zia”, intraprese tutta una serie di iniziative mirate principalmente al controllo 


23 M. BERTOSA, op. cit., p. 94-97. 


24 Vedi G. COZZI, “Venezia dal Rinascimento all’Età barocca”, in Storia di Venezia, vol. VI “Dal 
Rinascimento al Barocco” (a cura di G. COZZI e P. PRODI), Roma, 1994, p. 95 


25 M. BERTOSA, op. cit., p.77 
26 G. COZZI, op. cit., p. 99-104 


27 Non essendo pubblicati ancora i dispacci che interessano gli anni oggetto della nostra trattazione, 
per avere una visione di alcuni aspetti di questa problematica si possono confrontare i regesti “Senato Secreti” 
(vol. CXII e CXIII —-1618) e “Senato Mare” (Registro 76 — 1618), pubblicati negli AMSI, rispettivamente nei 
volumi VII (1891), p. 36-43 e XII (1897), p. 442-446. 


46 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


della situazione militare lungo la costa istriana e al miglioramento delle difese 
delle città dell’Istria veneta. 

Alla fine di ottobre del 1618, ad esempio, si raccomandava alle massime 
autorità venete in Istria, al podestà e capitano di Capodistria ed al capitano di 
Raspo, di completare sia l'armamento che l’inquadramento delle ordinanze 
istriane, inviando nel contempo alla carica delegata capodistriana 260 ducati 
per il restauro delle mura di Muggia”3. Da altro documento del 22 dicembre 
1618 si evince che per il controllo delle coste istriane e quarnerine era ancora 
in attività un corpo di guardia al comando di un capitano”. 

Ben più importante il decreto del 13 novembre 1618 con il quale il Senato 
eleggeva Antonio Barbaro, procuratore di S. Marco, a provveditore sopra le 
ordinanze di Terraferma e dell’Istria?° incaricandolo di provvedere non sola- 
mente alla riorganizzazione delle ordinanze, cioè della milizia civile territoria- 
le dell’Istria veneta, che si era mostrata alquanto disorganizzata durante la 
guerra uscocca, ma altresì ad altri importanti compiti in materia di difesa del 
territorio e della costa istriani. Se il 4 gennaio 1619 il Senato gli ordinava “di 
far l’uso che crederà opportuno di tutte le armi e munizioni raccolte in 
Capodistria, e per l’acconciamento delle stesse tenga sempre seco un armajuo- 
lo”?', un mese più tardi, il 5 febbraio, gli commissionava l’ordine di recarsi 
quanto prima in Istria per ‘“esequirvi non solamente il carico delle ordinanze, 
ma insieme gli ordini che li furono ingionti in proposito di assicurar la città e 
porto di Puola, et altri porti e luoghi di quelle rive, et far che siano restaurate 
le mura di Muglia, et quello anco che precedentemente li fu commesso per le 
armi, munitioni et artiglierie che sono in Capodistria: affari tutti importantissi- 
mi nella congiuntura de sospetti che passano ben noti”? Gli si metteva a 
disposizione una galea, un notaio della cancelleria ducale, un ragioniere ed un 
corpo di 6 alabardieri, gli si assegnavano 500 ducati al mese e altri 500 


28 “Senato Secreti”, cit., p. 444. 
29 IBIDEM, p. 445. 


30 Per l'atto di elezione vedi Archivio di stato di Venezia (=ASV), “Segretario alle voci, Elezioni in 
Pregadi”, reg. 9, c. 148. Va rilevato che il Barbaro nel periodo del secondo vice-provveditorato di Bernardo 
Tiepolo ricoprì anche lui per la seconda volta la carica di Provveditore generale in Istria, operando però nel 
Friuli, lasciando così il governo militare dell’ Istria al suo vice (Cfr. “Senato Secreti”, cit., p. 441-442. ). Nel 
1618 per un certo periodo il Barbaro ricoprì, verosimilmente, anche l’incarico di vice provveditore generale 
delle armi in Terraferma e in Istria, che aveva sede a Palmanova (“Senato Mare”, cit., p. 39). 


3! “Senato Mare”, cit., p.445. 


32 ASV, “Senato Secreti”, reg. 113, cc. 213v-214r. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73 47 


aggiuntivi per le spese di allestimento, ma soprattutto, per quanto interessa il 
nostro argomento, gli si dava la possibilità, come è annotato, “di condurre seco, 
oltre uno o due ingegneri, il Cavalier Camillo Cattaneo per consultarlo sui lavori 
di difesa della Provincia e segnatamente dei porti, specialmente di quelli di Pola 
e di Rose presso Pirano”. Nel mentre si stava allestendo la partenza, il 16 
febbraio il Senato, inoltre, con particolare patente, raccomandava ai rappresen- 
tanti e ufficiali veneti in Istria a mettersi a disposizione del provveditore Antonio 
Barbaro per tutte le occorrenze necessarie in merito all’incarico affidatogli**. 

Verosimilmente, tra gli “ingegneri” che accompagnarono il Barbaro nella 
sua missione polese figurava pure l'esperto militare Pietro Matteacci, come lo 
testimonia Egidio Ivetic in un suo saggio sulle prospettive di sviluppo di Pola 
agli inizi del secolo XVII, attingendo dati e notizie su questo episodio dal 
manoscritto Racordo novissimo dell'Istria, compilato dal suddetto Matteacci 
con ogni probabilità nel 1620 in base a quanto aveva operato in Istria e a Pola 
nell’aprile del 1619**. 

La missione istriana di Antonio Barbaro è documentata sia dalle carte dei 
registri dei fondi archivistici veneziani dell’ Archivio di stato di Venezia “Se- 
nato Mare” e “Senato secreti””, relative all’anno 1619, che da una decina di 
suoi dispacci inviati dalle cittadine costiere istriane che si conservano nel fondo 
“Provveditori da Terra e da Mar*° e che noi pubblichiamo in appendice a questo 
saggio. Esso, sebbene mancante come vedremo di alcuni documenti e disegni, 
riveste particolare rilevanza per il periodo che noi trattiamo, sia per il suo 
contributo storico-documentaristico che per quello iconografico. 

Che il compito del Barbaro non avrebbe trovato il necessario sostentamen- 
to finanziario lo si può dedurre dalla commissione inviatagli dal Senato il 16 
marzo del 1619, nel mentre egli aspettava il placarsi del maltempo per recarsi 
in Istria. Gli si commetteva, infatti, appena fosse arrivato a Capodistria, di 
riscuotere i debiti della Comunità Capodistria, ammontanti a 3000 ducati per 
prestiti vari e a lire 8806 lire per usufrutto di farine e cibarie, e quelli della 


33 “Senato Secreti”, cit., p.43. 


34 Cfr. E. IVETIC, “La classe dirigente veneta e i piani di risanamento dell’Istria — Ruoli e prospettive 
di sviluppo per Pola in un discorso del primo Seicento”, ACRSR, vol. XXII (1992), p. 287-317. Come rimarca 
l’Ivetic il manoscritto si conserva presso l’ Archivio di stato di Venezia, fondo “Consultori in jure”, filza 21. 


35 Come già accennato i regesti delle carte di questi due fondi sono stati pubblicati negli AMSI (vedi 
la precedente nota 24). Per l’anno 1619 cfr. rispettivamente vol. VII, p. 42-45 e vol. XII, p. 445-449. 


36 ASV, “Provveditori da terra e da Mar” (=PTM), busta 340 bis. 


98 M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Ami, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


comunità di Muggia che assommavano a 1 138 ducati?”. Problemi che riguarda- 
vano solo indirettamente la materia difensiva, ma che comunque distolsero in 
più frangenti l’attenzione del Barbaro, che giunse in Istria con qualche ritardo 
in quanto per il maltempo dovette attendere alcuni giorni sulla galea al Lido 
prima di poter intraprendere il viaggio verso l’altra sponda adriatica (App. D°*. 

Nonci è nota la data del suo arrivo in Istria, pur tuttavia dalla spoglio della 
documentazione sopracitata si evince che 1°8 aprile inviava il suo primo 
dispaccio da Rovigno, dopo aver trascorso alcuni giorni a Pola da dove inviò a 
Venezia le sue prime informazioni. In questo contesto il suddetto dispaccio 
dell’8 aprile (App. I7 ) assume particolare rilevanza in quanto ci conferma che 
in esecuzione delle rispettive sue commissioni egli da Pola aveva inviato al 
Senato precise informazioni “sopra il fortificarsi in quei porti; ne diedi esatta 
contezza con le mie lettere accompagnate dai disegni, e scritture consegnatemi 
da questi Ingegneri”?°. Si tratta dell’unica testimonianza, assieme a quella del 
dispaccio inviato un mese più tardi da Capodistria (App. VITI), come vedremo 
più avanti, che comprova la stesura, verosimilmente databile agli inizi di aprile 
del 1619, di documenti e di disegni delle mura e delle fortificazioni di Pola. 
Non vi sono registrati i nomi degli ingegneri ma da altra documentazione 
sull’argomento si evince con certezza che gli autori degli scritti e dei disegni 
ricordati dal Barbaro fossero Antonio Candido e Francesco Tensini, gli inge- 
gneri che assieme al cavalier Camillo Cattaneo il Barbaro portò in Istria, come 
gli era stato consigliato nella commissione del 5 febbraio. Ne è una conferma 
diretta la parte che il Senato inviò al provveditore il 13 aprile informandolo che 
le proposte del Candido e del Tensini circa il modo di assicurare il porto di Pola 
erano state date in disamina e siccome erano “assai discordi”, come ebbe a 
rimarcare, suggeriva al Barbaro di considerare l’opportunità di avanzare in 
alternativa altre proposte da poter portare a termine in breve tempo e con poca 
spesa. Si riproponeva, inoltre, di ripensare all’idea di fortificare lo scoglio di 
S. Andrea”. A tal scopo si richiedeva, in effetti, dal Barbaro l’invio di un 
preventivo delle spese per i lavori edilizi, per l'armamento, per le munizioni, 
per il presidio e per i provvedimenti da adottare per il controllo sanitario. 

Va rilevato, inoltre, che nemmeno il Matteacci nel suo testo del 1620, né 


37 “Senato Secreti”, cit., p. 446. 
38 ASV-PTM, dispaccio, n. I, da “Galea al Lido”, 19 marzo 1619. 
3° IBIDEM, dispaccio, n. 4. 


40 «Senato Mare”, cit., p.43. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istna veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 49 


in quello successivo del 1625, molto più dettagliato del primo e anch’esso 
incentrato sulla descrizione dei problemi che condizionavano lo sviluppo 
dell’abitato ed il porto polesi*', accenna ai suddetti disegni. 

Da tutto ciò si deduce che i progetti e i disegni del Candido e del Tensini 
interessavano espressamente le strutture difensive dell’abitato e del porto polese 
e che al Senato, per motivi connessi soprattutto alla mancanza di mezzi finan- 
ziari, non rimase altro che riproporre al Barbaro l’idea del fortino sullo scoglio 
di S. Andrea, avanzata un anno prima dal provveditore generale in Istria 
Bernardo Tiepolo, ma prontamente bocciata dai competenti organi centrali. 

E° fuor di dubbio che il dispaccio del Barbaro, con in allegato gli scritti ed 
i disegni del Candido e del Tensini, fosse stato inviato da Pola e fosse giunto a 
destinazione alla cancelleria veneziana di competenza. Ciò nonostante, nel 
fondo succitato dei Provveditori da Terra e da Mar e in altre raccolte da noi 
consultate presso l’ Archivio di stato veneziano non abbiamo finora trovato 
alcuna traccia di questa documentazione“; il suo ritrovamento costituirebbe 
una testimonianza preziosissima per la conoscenza della materia poliorcetica 
polese di quegli anni. 

Da Pola Antonio Barbaro si trasferì a Rovigno, dove arrivò sicuramente 
prima dell’8 aprile e vi rimase fino al giorno 24 dello stesso mese. I giorni 
trascorsi a Rovigno diedero al Barbaro l’ opportunità non solamente di rivedere 
le ordinanze di quella “terra” e delle giurisdizioni vicine, ma soprattutto di 
visitare e considerare le difese dell’abitato di Rovigno, le sue mura, torri e 
porte, e di concertare con gli ingegneri Candido e Tensini gli interventi per 
rendere l’abitato più difeso e più sicuro. Infatti, l'abitato rovignese allora era 
ancora tutto racchiuso sull’isola (entro la cinta medievale), divisa dalla terra- 
ferma da uno stretto canale oltrepassato nella sua parte mediana da un ponte in 
pietra che dava accesso attraverso il cosiddetto portone della torre del ponte ad 
un ampio spiazzo di pianta quadrangolare-trapezoidale chiamato allora il 
“borgo”, non comunque nell’accezione classica del suo significato avuto nel 
contesto storico italiano medievale, che diventerà in seguito la Piazza della 


4 Questo secondo manoscritto del Matteacci intitolato “Discorso su Pola” (si conserva a Padova 
presso la Biblioteca del Museo civico, c.m. 443/11) è stato pubblicato integralmente da E. IVETIC nel saggio 
“La classe dirigente”, cir., p. 306-315. 


4 Nella busta succitata del fondo dei PTM non si conserva nemmeno la parte inviata al Barbaro il 13 
aprile, che comunque gli venne consegnata nel mentre si trovava a Rovigno, come lo conferma il suo 
dispaccio datato 12 aprile (vedi ASV-PTM, dispaccio n.5-6). Per questo motivo la numerazione progressiva 
dei dispacci di questa busta registra due salti. Mancano infatti i dispacci numero 2, 3 (quelli con la 
documentazione inviata da Pola) e 7 (verosimilmente inviato da Rovigno). 


So M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), At, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


Riva Grande, oggi piazza Tito‘. Da questo borgo, attraverso il complesso della 
Porta della pescheria vecchia (trasformata nel 1678-79 nello splendido Arco 
dei Balbi) e della Porta di S. Damiano, si entrava nel nucleo abitativo insulare. 
Distanziate dal borgo, lungo gli altri versanti della cinta muraria si trovavano 
altre cinque porte d’accesso, anch'esse comunque difese. 

Proprio a cavallo del secolo XVII, con la crescita del pericolo uscocco, lo 
spazio del “borgo” era divenuto il primodispositivo di sicurezza della città, una 
specie di piazza d’armi in quanto era protetto, dalla parte del canale, da una 
muraglia munita di torre centrale e di due torrette laterali e, dal lato opposto, 
dalle mura cittadine medievali-rinascimentali. Esso era, invece, completamen- 
te indifeso sia nel tratto a nord, verso Valdibora, che nel tratto a sud, verso il 
porto di S. Caterina, dove erano all’ormeggio i pescherecci e le barche da 
commercio. Pur cinto da due cortine murarie l’abitato poteva, pertanto, essere 
facilmente attaccato dal mare, come lo avevano dimostrato le incursioni uscoc- 
che che avevano avuto ampio spazio di manovra offensiva proprio a contatto 
diretto con le mura. 

Ecco perché gli ingegneri Candido e Tensini, incaricati di presentare un 
progetto di rafforzamento delle difese rovignesi concentrarono le proprie atten- 
zioni proprio sullo spazio del “borgo” sopraccennato in quanto le restanti parti 
del sistema murario-difensivo non presentavano grossi problemi. Sicuramente 
raccolsero impressioni anche dagli anziani Rovignesi, ancora memori degli 
assalti del 1597 e, soprattutto, di quello del 1599 allorquando gli Uscocchi 
saccheggiarono il territorio rovignese, il porto e la città, facilitati dal passaggio 
indisturbato attraverso il “borgo” descritto sopra‘. Frutto del loro operato sono 
i tre disegni a colori che si conservano nella busta 340 bis dei “Provveditori da 
terra e da Mar” che rientrano nel novero delle raffigurazioni più antiche e 
meglio documentate dell’abitato di Rovigno e di alcune sue parti. Sebbene il 
Barbaro nei suoi dispacci inviati da Rovigno menzioni ambedue gli ingegneri, 
i suddetti tre disegni, però, sono firmati solamente da Francesco Tensini®. 


4 Per lo sviluppo e le peculiarità storico-urbane dell'abitato rovignese medievale e di epoca veneta 
rimandiamo ai seguenti saggi: B. TADIC, Rovinj-Razvoj naselja /Rovigno - Sviluppo dell’ abitato/, Zagabria, 
1982; M. BUDICIN, “Lo sviluppo dell’abitato oltre il canale sulla terraferma (i secoli XVII e XVIII)”, 
ACRSR, vol. XXII (1992), p. 107-145; IDEM, “Sviluppo urbano” e “Itinerari storico-artistici” in Rovigno d* 
Istria, Trieste, 1997, p. 190-203 e 204-249. Cfr. pure in quest'ultima opera le tavole “Rovigno - Imonumenti 
e le testimonianze storico-architettoniche” (p. 250) e “Rovigno - Sviluppo dell’abitato” (p. 432). 


4 B, BENUSSI, Storia documentata di Rovigno, Trieste, 1888, p. 65-66. 


45 | tre disegni raffiguranti Rovigno sono stati pubblicati in bianco e nero nel saggio di M. BUDICIN, 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atî, voL XXXI, 2001, p. 37-73 Sl 


Dei tre il più grande raffigura l’ampia terraferma rovignese, il suo acqua- 
torio e l’abitato insulare con tracciati, seppure approssimativamente, sia l’an- 
temurale sul canale e le mura cittadine che le due muraglie previste dal Tensini 
lungo i lati settentrionale e meridionale del “borgo”. Nella legenda leggiamo 
che “per rendere questa terra di Rouigno sicuro contro batteria de mano 
bisognia prima serare la Piazza del Porto ‘A’ con farvi la muraglia ‘B’ quale e 
longa da 120 passa /.../ un’altra muralia similmente longa da 50 passi and.i 
bisognia fare nella parte ‘C’ /.../ et per assicurare la parte ‘D’ de petardi, et 
fianchegiare la muraglia da quella parte saria ben fatto di alzare 6 piedi il muro 
de ambe le parti del ponte con farui delle feritoie, et fare una altra porta deuanti 
a esso ponte /.../”°. L’autore in questa raffigurazione ha voluto semplicemente 
illustrare l’ampia situazione topografica dell’abitato insulare rovignese per 
inquadrare meglio con gli altri due disegni quella specifica microarea. I due 
disegni più piccoli, infatti, raffigurano molto bene e specificatamente l’area 
attorno al canale e al “borgo”; in particolare quello corredato da un’ampia 
legenda che illustra ulteriormente il progetto del Tensini, riportando altri 
dettagli e misure delle strutture murarie proposte. Egli prevedeva di rialzare 
l’antemurale sul canale, di difendere meglio con mura pure il suo ponte e 
soprattutto di chiudere con nuove muraglie i due lati indifesi di quello spazio: 
“VI voria fare — scriveva tra l’altro il Tensini — deuanti al Porto la muraglia ‘A’ 
grossa dui Piedi et 15 alta con farui la Porta ‘B’ nel mezzo qual seruiria per 
fiancho con farui tutto allintorno delle tronere, alte da terra 8 piedi /.../ et per 
serarlo de l’altra parte ui faria la muraglia ‘C’ con la sua Porta nel mezzo ‘D’ 
della istessa groseza e altezza della ‘A’ qual viene fiancheggiata delle Tore ‘E° 
/...l voria alzare le due muraglie del Ponte ‘G’ 6 piedi, con farui alla altezza di 
quatro delle feritoie et deuanti al d.to Ponte la porta ‘H’ si puotria ancora serare 
la parte del Porto deuanti con farui mezi Balouardeti della forma assegniata con 
ponti pero dandoli questa forma si faria più spesa oltra che si strengeria 
deuentagio la pasa de mezo”. 

Il Tensini vi annotava anche la spesa complessiva di 1000 scudi necessaria 
perla realizzazione del progetto, che avrebbe potuto ridursi a soli 300 scudi nel 
caso i Rovignesi avessero da soli prodotto la calcina necessaria all’opera. II 
Barbaro come aveva inviato al Senato i disegni di Pola così vi mandò anche 


“Lo sviluppo dell’ abitato”, cit., e a colori nell’opera curata dallo stesso autore Aspetti storico-urbani, cit., 
“Repertorio iconografico-descrittivo”, n. 105-107, con un’esaustiva descrizione archivistica e con la trascri- 
zione delle loro legende. 


52 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Att, voL XXXI 2001, p. 37-73 


quelli di Rovigno, allegati al dispaccio del 12 aprile‘ (App. IV). A differenza 
dei primi questi rovignesi, come detto, si sono conservati fino ad oggi presso 
I’ Archivio di stato veneziano. 

Va rilevato che Bernardo Benussi, profondo conoscitore delle vicende stori- 
che rovignesi, nel descrivere lo sviluppo urbano dell’abitato non fa alcun accenno 
al progetto del Tensini, né alla relativa documentazione‘”. Certamente, ai suoi 
tempi, non avrà avuto modo di consultare i dispacci della busta 340bis dei 
“Provveditori da terra e da Mar”, che noi abbiamo avuto modo di spogliare grazie 
anche all’opera di riassetto di questo fondo portata a termine in tempi recenti”. 

Se le proposte del Barbaro e dei suoi ingegneri erano concrete, le risposte 
del Senato lasciavano presumere tempi non brevi per la loro realizzazione. Infatti, 
il senato gli rispose una prima volta il 16 aprile di voler decidere valutando 
complessivamente le esigenze di tutte le città della costa‘, quindi il 26 dello stesso 
mese di rinviare ogni decisione in attesa di ulteriori informazioni”, 

Terminata la missione rovignese Antonio Barbaro giungeva a Capodistria 
il 24 aprile dove si intrattenne, verosimilmente, fino ai primi di maggio. Dal 
capoluogo inviò al Senato, stando alla documentazione che ci sta a disposizio- 
ne, quattro dispacci, due datati 26 aprile (App. VI-VI) e due 2 maggio (App. 
VIII-IX). Sulla falsariga dei soggiorni polese e rovignese vi passò in rassegna 
le ordinanze capodistriane, quelle del suo territorio podestarile e quelle del 
Capitanato di Raspo, controllò lo stato dei magazzini delle armi e quello delle 
munizioni. Prestò attenzione anche al problema della restituzione dei vari 
prestiti, come gli era stato commissionato prima della partenza per l’ Istria. Di 
particolare interesse per la nostra ricerca il dispaccio del 26 aprile (App. V2) che 
tratta tra l’altro, anche se sommariamente, del sistema difensivo capodistriano, 
ma soprattutto di quello di Muggia, la cui posizione era alquanto delicata visto 
che la sua podestaria si trovava a ridosso del confine imperiale. Per Capodi- 
stria, dove il Barbaro controllò la cinta muraria le sue porte ed i suoi baluardi, 
non esistono dati su eventuali interventi e progetti particolari per il migliora- 


46 ASV-PTM, dispaccio n. 6. 
4 B. BENUSSI, op. cit., p. 6-7 e 125-127. 


48 Ringraziamo anche in questa occasione l’ Archivio di Stato per la collaborazione offertaci, in 
particolare Eurigio Tonetti, responsabile della Sezione di fotoriproduzione, legatoria e restauro dell’ Archivio 
veneziano. 


4 ASV, “Senato Secreti”, reg. 114, cc. 87 r-v. 
50 IBIDEM, cc. 99 v-100r. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, vol XXXI, 2001, p. 37-73 53 


mento delle sue difese. Per Muggia, invece, veniamo informati della consegna 
al Barbaro da parte del podestà capodistriano Barnardo Malipiero di un disegno 
che illustrava “l’opera della muraglia di Muggia”, che a parere del provveditore 
andava riparata “nel baluardo che s’è principiato a fabbricare non essendo di 
quella perfettione che si conuiene per ben difendere la porta”. AI pari dei 
disegni di Pola anche quello muggesano citato dal Barbaro non si è conservato; 
va rilevato, però, che nel dispaccio in questione non si fa alcun accenno al suo 
eventuale invio a Venezia. 

Interessante anche il penultimo dispaccio, quello del 2 maggio?” (App. 
VID, con il quale il Barbaro ci informa che in armonia con le commissioni che 
aveva ricevuto con la ducale del 26 aprile5* aveva procurato nuove informazio- 
ni su Pola, avanzando l’eventualità di visitare nuovamente quel centro. Co- 
munque sia, il 3 maggio il Senato faceva sapere al provveditore che approvava 
quanto proposto per le artiglierie e per le munizioni di Capodistria, nonché per 
la “fabrica di Muglia””, portata a termine, come ci informano altri scritti del 
Senato, del podestà e capitano capodistriano Malipiero e i cenni corografici di 
Prospero Petronio, negli anni successivi quando vennero restaurati anche altri 
tratti delle mura muggesane?”. 


5! ASV-PTM, dispaccio n. 9-10. 
5? IBIDEM, n. 11-12. 


53 ASV, “Senato Secreti”, reg. 114, cc. 99v-100r. Il Senato aveva inviato lettere al Barbaro anche il 23 
aprile, rilevando nuovamente la necessità di fortificare il porto di Pola e le difficoltà di farlo con prontezza. 
Al provveditore, inoltre venivano posti alcuni quesiti circa la fortificazione di singoli importanti punti lungo 
la costa (“Senato Secreti”, cit., p.43-44). 


54 “Senato Secreti”, cir., p. 44. Si tratta dell’attuale bastione terrapianato di Via Roma. 


55 Cfr. ASV, “Senato mare”, reg. 78, 7 marzo 1620 e reg. 79 17 marzo 1623; rispettivamente “Relation 
del N. H. Ser Bernardo Malipiero ritornato di Podestà e Capitano di Capo d'’ Istria, letta e presentata nell’ 
Eccell. mo Collegio, 24 luglio 1620”, AMSI, vol. VII (1891), p. 288; e P. PETRONIO, Memorie sacre e 
profane dell'Istria, Trieste, 1968, p. 199-200. Per il restauro delle mura di Muggia il Mali pero impiegò i 200 
ducati, ricevuti su approvazione del Senato, e le 193 lire e 12 soldi prelevati nella Camera fiscale dalla somma 
delle 1500 lire che il provveditore Barbaro aveva depositato per lavori di restauro delle strutture difensivo- 
fortificatorie dei centri istriani. 

Per la vicenda legata a questa struttura delle mura muggesane ctr. pure F COLOMBO, “Le mura ed 
il castello di Muggia”, AMSI, vol. XXXII (1984), p. 284-289, che riporta pure l’interessante notizia 
riguardante la lapide (con la data del 1619) che fino al 1853 abbelliva il bastione e che ricordava, oltre ai 
promotori dell’opera il podestà e capitano di Capodistria Malipiero ed il podestà di Muggia Giacomo 
Loredan, anche l’architetto Giacomo Fino. Rilevava inoltre, attingendo dati dal Petronio, che nel 1623 per 
perfezionare quell’opera il provveditore Basadonna aveva inviato a Muggia “un ingegnere veneziano 
d’origine greca” assieme al provveditore alla sanità Giacomo Grisoni (F COLOMBO, op. cit., p. 289) . II 
Colombo riporta, comunque anche il nome dell’ingegnere, Costantino Capi, che però non è ricordato nelle 
Memorie del Petronio. 


SA M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXI, 2001, p. 37-73 


Sono queste le ultime informazioni sull’operato del Barbaro al fine del 
miglioramento dei sistemi fortificatori delle cittadine costiere istriane. Come 
ricordato sopra, il 3 maggio il Senato approvava le ultime iniziative intraprese 
dal provveditore, poi nessun’altra notizia sulla sua missione istriana. Verosi- 
milmente nei giorni successivi, come gli era stato richiesto espressamente già 
con la parte del 23 aprile, “adempiute le sue incombenze” rientrò a Venezia per 
dare “consultata la materia delle fortificazioni da competente consesso”. 


Con ciò, comunque, il problema delle strutture difensive dell’Istria ed in 
particolare di Capodistria non venne accantonato, anzi durante i restanti mesi 
del 1619 e durante la prima metà dell’anno successivo più volte le strutture 
poliorcetiche capodistriane si trovarono al centro delle attenzioni dei compe- 
tenti organi statali e provinciali. C'è da rimarcare che dalla documentazione su 
Capodistria traspare una cosa indicativa: il problema delle strutture poliorceti- 
che del capoluogo dell'Istria veneta non stava tanto nella necessità di costruire 
un nuovo sistema e una nuova strategia di difesa quanto nel restauro e nel 
miglioramento delle strutture esistenti, logorate dal tempo e dai mancati inter- 
venti di manutenzione e di riparazione. Cera poi il problema dei castelli del 
capitanato di Raspo/Pinguente che, come ebbe a rilevare il Malipiero al termi- 
ne del suo reggimento nel luglio del 1620 “hanno bisogno di esser accomodati 
di molte cose per loro reparatione et sustentamento”?”. Sebbene il provveditore 
Barbaro non avesse annotato nei suoi dispacci particolari problemi per le mura 
capodistriane, pur tuttavia nella prima metà del 1619 il podestà e capitano di 
Capodistria Bernardo Mali piero aveva segnalato al Senato la situazione diffi- 
cile degli armamenti e delle munizioni in dotazione al capoluogo, nonché delle 
strutture difensive in generale, con le mura che in più punti presentavano 
aperture di vario tipo e minacciavano perfino di cadere. Gli risposero da 


56 “Senato Secreti”, cit., p. 43-44, 
57 “Relation del N. H. Ser Bernardo Malipiero”, cit., p. 289. 


58 Dalla sua relazione citata alla nota 50, p. 286-287 si evincono i problemi che anche il Malipiero 
dovette affrontare in questo settore prendendo possesso del suo reggimento capodistriano-istriano: munizioni 
ed armamenti in cattivo stato; la ‘“(..) torricella (delle munizioni, n.d.a) per lo sito dove si trova - come 
scriveva - annessa alla muraglia della città e sottoposta a molti pericoli di fuochi di case circonvicine, et vicina 
al castello di quella città, onde stimo io migliore et più sicuro sito entro della muraglia ad un capodella città 
dietro il Convento di S. Anna (...)”; il luogo del “bersaglio”, dove si esercitava la Compagnia dei Bombardieri 
di Capodistria (nell’area fuori le mura ad oriente della porta della Muda) che abbisognava pure di un’ampia 
opera di restauro; il ponte ed il Castello S. Leone che minacciavano rovina. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Attî, vol XXXI 2001, p. 37-73 55 


Venezia in data 25 maggio concedendo l’impiego di 150 ducati per le ripara- 
zioni murarie, che però il podestà doveva assicurare dai crediti non ancora 
riscossi”. 

Si arrivò così al 27 luglio quando, come ci informa il Malipiero nel suo 
dispaccio del 1 agosto, accadeva quanto egli aveva precedentemente previsto, 
ovvero cade “un pezzo di muraglia di questa città dalla parte di Tramontana, 
che è dalla parte che si va a Trieste, per longezza de passa venticinque et altezza 
passa tre e mezo, essendo cascata verso marina, et anco, per quanto si vede, la 
fondamenta si è alargata verso quella parte”. Se per la riparazione di questo 
tratto di mura occorrevano 3.600 lire, ben maggiore si rivelò invece il preven- 
tivo per la riparazione delle parti malandate, come risultò dal sopraluogo 
effettuato dallo stesso podestà lungo tutta la cortina muraria assieme a esperti 
periti ingaggiati per il controllo tecnico-edilizio. Raccolto pareri e preventivi, 
il 1 agosto il Malipiero inviava un’ampio dispaccio al Senato in merito alla 
nuova situazione venutasi a delineare dopo il crollo del 27 luglio. Nello scritto 
sono rimarcati tutti i principali lavori che andavano intrapresi per il risanamen- 
to delle mura e dei suoi annessi: “... mi viene da’ periti rifferto li fori et fissure 
farsi maggiori, et che in alcuni luoci non si possono accomodar, se non con 
gettar quella parte a terra et redifficarla da’ fondamenti, come anco bisogne- 
rebbe far ad alcune torricelle che sono anesse nelle mura, quali sono tutte 
rovinose, è ben vero che alcune si potrebbero levar et tirar la muraglia al dretto, 
rinovando poi le torricelle vicine, perché possino esser alla difesa delle mura. 
VI è anco in altra parte, appresso la porta detta San Piero, che per il batter che 
fa il mare, le piede della fondamenta se ne vano uscendo, siché resta la muraglia 
con gran pericolo, al che saria necessario provederli quanto prima, col riffar le 
fondamenta et metterli inanti delli sassi grandi per romper l’onde del mare, 
over far speroni nella fondamenta, che faranno l’istesso effetto”. Per realizzare 
tutti questi interventi dalle 3.600 lire citate sopra si arrivò ad un preventivo 
complessivo di ben 6.600 lire, quasi il doppio. 

In allegato al dispaccio ed al preventivo il podestà capodistriano inviava a 
Venezia anche il disegno che in quei giorni aveva commissionato al proto 
Giacomo Fino onde supportare la sua richiesta di finanziamenti con una 
planimetria della città che mettesse in risalto il suo perimetro murario, le sue 
strutture poliorcetiche ed i suoi punti più problematici. Il risultato sotto il 


59 “Senato mare”, cif., p.446. 


60 ASV, “Senato mar”, b, 223. 


6 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, vol XXXI 2001, p. 37-73 


profilo storico-documentaristico e iconografico è stato ragguardevole. La 
splendida “Pianta di Capodistria” disegnata dal Fino, datata 1 agosto 16199", è 
uno dei documenti iconografico-urbani capodistriani, e nel contempo pure 
istriani, più antichi e più significativi in quanto mette bene in risalto la 
topografia sacra e profana della città. Infatti, sono di particolare interesse, per 
la gran copia di dati e notizie che riportano, sia l'ampia legenda (in basso a 
sinistra) con 6 punti esplicativi, che i testi inseriti nella stessa pianta per 
indicare porte, chiese, piazze, torri, “fondamenta”, “baluardi” ed altri contenuti 
entro e fuori le mura, nonché lungo la marina®?, La “pianta” del Fino testimonia 
in modo inequivocabile che l’ordito urbano capodistriano, risponde pienamen- 
te allo schema veneto caratterizzato dalla centralità della “platea magna-com- 
munis”, dalla mole del duomo, dallo slancio del suo campanile, e dalla dispo- 
sizione attorno a questo insieme degli edifici più importanti destinati a pubbli- 
che funzioni. E non poteva essere altrimenti per il capoluogo dell’Istria veneta, 
che qualche decennio prima con l’istituzione nel 1584 del Magistrato aveva 
visto assicurare il ruolo guida nella direzione civile, militare e politica della 
Provincia dell’Istria al suo ceto forense ed alla sua carica delegata, il podestà e 
capitano*3. Un ordito, quello capodistriano di epoca veneta, che definì l’iden- 
tità di uno dei più rilevanti centri storci istriani, ma che nel contempo testimo- 
nia che la Serenissima anche a Capodistria riuscì ad imporre nel giro di due-tre 
secoli chiaramente i propri connotati urbani e il proprio linguaggio artistico a 
sostrati tardonatichi e medievali, anche perché erano proprio le forme e le 
immagini urbano-architettoniche, in particolare poi quelle delle sedi e delle 
strutture pubbliche e istituzionali, il settore più consono alla manifestazione 
diretta e più appariscente del nesso tra ambiente veneziano e veneto-istriano e, 


6 La riproduzione a colori del disegno con la descrizione archivistica sono pubblicati in M. BUDICIN, 
Aspetti storico-urbani, cit., “Repertorio descrittivo-iconografico”, n. 12. Dalla lettura e dalla datazione del 
dispaccio si evince chiaramente che il disegno del Fino pur portando la medesima data è stato sicuramente 
eseguito qualche giorno prima. 


62 Per la trascrizione dei testi inserti nella planimetria e dei 6 punti (A-F) della legenda rimandiamo al 
lavoro citato alla nota precedente. La pianta del Fino è commentata anche nel saggio di S. ZITKO, “Koprski 
obzidni pas in mesni tloris na karti Giacoma Fina iz Ieta 1619” /La cinta muraria capodistriana e la pianta 
della città nel disegno di Giacomo Fino del 1619/, Kronika, Lubiana, 1989, n. 1-2, p. 37-45. Per i due disegni 
cfr. pure S. BERNIK, Organizem slovenskih obmorskih mest: Koper, Izola, Piran /L’organismo delle città 
litoranee slovene: Capodistria, Isola, Pirano/, Lubiana-Pirano, 1968. 


3 Cfr. M. ROLAN, “L’ istituzione del Magistrato di Capodistria nel 1584. Contributo allo studio dei 
rapporti tra l’ Istria e la Repubblica di Venezia nel secoli XVI e XVII”, Acta Histriae (=AH), Capodistria, 
vol. Ill (1994), p. 117-122 e C. POVOLO, “Particolarismo istituzionale e pluralismo giuridico nella 
Repubblica di Venezia: il Friuli e 1’ Istria nel ‘600-700”, AH, vol. 111 (1994), p. 21-36. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Att, voL XXXI 2001, p. 37-73 57 


soprattutto, del rispetto della gerarchia istituzionale del capitano e podestà di 
Capodistria**. E il discorso vale per tutti gli altri centri di podestaria e rettori 
istriani che ripetutamente richiedevano interventi molto articolati a livello 
locale e, visti i pericoli militari ancora incidenti, maggiori attenzioni verso 
baluardi, castelli e fortezze. 

Come in occasione delle richieste per Pola e Rovigno il Senato tergiversò 
sull'argomento e con parte del 29 settembre 1619 fece sapere al podestà 
capodistriano che “la restauratione di quelle muraglie deve essere esseguita 
con molto avvertimento, perché forse occorrerà darle forma migliore col parere 
di persone perite, et anco farsi in miglior stagione, perché sia più durabile” 
ordinando, inoltre, allo stesso di “far con muro secco serrar quella parte, che 
per la caduta resta apperta, siché resti serrato 1° ingresso”5 e di attingere il 
denaro necessario, come aveva suggerito anche in altre occasioni, alle casse 
cittadine. Erano soluzioni di ripiego che non potevano risolvere il problema ed 
infatti il podestà capodistriano non mancò di inoltrare anche in seguito pres- 
santi richieste in merito, tanto che il Senato con ducale 8 gennaio 1620 ritenne 
opportuno, questa volta, incaricare la cancelleria dei Provveditori alle fortezze 
di mandare a Capodistria un loro proto per studiare le possibilità reali di 
interventi alla cinta muraria9°. L’incarico trovò realizzazione pratica appena 
nel giugno del 1620 grazie all’impegno del proto Zuan Battista Rubertini che, 
dopo aver ispezionato, controllato e misurato con l’aiuto del podestà Malipiero 
il tessuto urbano, le sue strutture murario-difensive, il suo porto, il ponte ed il 
Castel Leone, il 15 giugno 1620 presentò al podestà una dettagliata perizia di 
spesa con in allegato il disegno della pianta della città, datato 12 giugno®”. Il 
complesso degli interventi preventivati dal Rubertini ammontava a complessi- 
ve 16.778 lire, pari a 2.740 ducati. 

Per bellezza ed importanza il disegno del Rubertini va affiancato a quello 
del Fino. Non vi è raffigurata, però, la rete della maglia urbana ma solamente 


64 Cfr. S. BERNIK, op. cir., il capitolo dedicato a Capodistria e M. BUDICIN, Aspetti storico-urbani, 
cit., p.49 e 92. 


65 “Senato Mare”, cir., p. 448. 
66 ASV, “Senato Mare”, reg. 77, c. 221. 


07 IBIDEM, b. 228, vi si trova il processo archivistico con il relativo disegno (n. 1) del Rubertini. Per 
la sua descrizione completa (compresa la trascrizione della legenda) vedi M. BUDICIN, Aspetti storico-ur- 
bani, cit., “Repertorio descrittivo-iconografico”, n. 13. Il commento di E. TONETTI riporta in pratica i punti 
principali della perizia del Rubertini. Strana la datazione del disegno del Rubertini in S. ZITKO, op. cit., p. 
39, che vi annota la data del 3 gennaio 1619, anticipandola quindi a quella del Fino. 


58 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Agi, vol XXXI, 2001, p. 37-73 


il tracciato delle mura con segnate in apposita legenda, le sue parti crollate ed 
i suoi manufatti più importanti (torri, porte, terrapieni, fondamenta, il ponte e 
il Castel S. Leone ed altro). 

Come da prassi il podestà e capitanio Malipiero con proprio dispaccio 
inviò a Venezia la documentazione del Rubertini. Purtroppo non ne abbiamo 
trovato traccia scritta nei fondi dell’ Archivio veneziano, ma lo si può dedurre 
dalla lettera inviata al Senato il 26 agosto dai Provveditori alle fortezze per 
l’approvazione del progetto del Rubertini®8. Questa volta la risposta da Venezia 
non si fece attendere molto e già il 9 settembre il Senato ordinava ai Provvedi- 
tori alle fortezze di porre all’incanto i lavori descritti nella perizia del Rubertini 
per il restauro delle mura, del ponte e del castello S. Leone. Al podestà e 
capitanio Marin Barbaro, che nel frattempo era subentrato al Malipiero, com- 
missionava la sovraintendenza del lavori raccomandandogli, come era ormai 
abitudine, il massimo risparmio®’. Si approvava, inoltre il taglio di roveri non 
utili per l’arsenale veneziano nei boschi di Capodistria per le necessità di 
riparazione del ponte e delle prigioni del castello S. Leone. 


Per l’effettivo restauro delle mura, del ponte e del Castello S. Leone si 
dovette attendere ancora qualche mese; esso, infatti, fu portato a termine 
durante la reggenza del podestà e capitanio di Capodistria Marin Barbaro, 
come si evince dalla lettura dalla sua relazione del 14 febbraio 1622: “(...) il 
tutto è stato da me essequito con ogni diligenza et con maggior risparmio et 
buon impiego della spesa, et avvantaggio del pubblico denaro, che dopo 
perfetionato tutte esse opere ho avanzato ducati 62, lire 2 soldi 10 (...) onde al 
presente la città tutta s’attroua benissimo sarata di muraglie et ponte dalla 
mauda al castello, tutto restaurato et il castello alquanto risarcito, né resta far 
latra opera, et è necessariamente che il Ponte fuori del castello che va in terra 
ferma, qual non fu compreso nella parte dell’ Eccellentissimo Senato, ma dopo 
a suplicatione mia fu preso di dar 400 passa di maggieri che per non haver 
quelli potuti havere dalla casa dell’ Arsenale è restata quest'opera imperfet- 
ta”?°. Non furono compresi, però, in quest'opera di restauro né la parte del 
ponte tra il castello e la terraferma né lo stesso castello che per la mole delle 


68 ASV, “Senato Mar”, busta 223. 
5 IBIDEM, reg. 78, c. 154. 


70 “Relatione del N.H. ser Marin Barbaro tornato di Podestà et Capitano di Capo d'’ Istria. Letta in 
Collegio, 14 febbrajo 1621”, AMSI, vol. VII (1891), 291-295. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (16191620), Ani, vol XXXI, 2001, p. 37-73 9 


sue strutture, sia interne che esterne, avrebbe necessitato di un investimento 
ben più elevato. Non se ne rammaricòtroppoil podestà, conscio che non poteva 
attingere ulteriori mezzi né alle casse veneziane né a quelle della sua Provincia; 
era invece ben più preoccupato per la sottigliezza numerica del presidio di 
stanza nel castello e per la difficile situazione economica in cui versava la 
popolazione capodistriana”'. 


Certamente gli interventi maggiori e più importanti portati a termine nel 
biennio che seguì alla guerra uscocca, anche perché hanno lasciato rilevanti 
tracce manoscritte e iconografiche, vanno ricondotti ai centri maggiori: Capo- 
distria, quale capoluogo politico-amministrativo; Rovigno quale centro abitato 
ed economico di particolare rilevanza; Pola per la posizione strategica del suo 
territorio e del suo ampio porto. All’ indomani, però, della guerra uscocca anche 
in altre cittadine dell’ Istria veneta si registrarono interventi a sostegno delle 
loro difese. 

L’11 maggio 1619 il Senato informava il podestà di Albona dell'invio da 
Venezia di 300 ducati per le riparazioni della mura di Fianona che avevano 
subito danni durante le incursioni uscocche degli ultimi due decenni; del 
controllo dei lavori si incaricava il Capitano alla guardia delle rive dell’ Istria 
e delle isole del Quarnero Giovanni Mocenigo”. Nel settembre dello stesso 
anno si ordinava poi a quel rettore di provvedere al restauro delle mura di 
Albona che in più parti presentavano squarci”. 

Ne fu coinvolta la stessa Muggia, grazie agli interventi del provveditore 
Antonio Barbaro del podestà e capitano di Capodistria Malipiero, del podestà 
di Muggia Giacomo Loredan ed all’operato di Giacomo Fino che progettò 
l’opera, portata a termine, come abbiamo ricordato sopra, in un secondo tempo 
negli anni 1620-1623”*. 

Vanno segnalati in questo contesto, anche se non riguardano strutture 
murario-difensive, i mezzi assegnati dal Senato per le riparazioni dei palazzi 


7 IBIDEM, p. 292. 


7 “Senato Mare”, cit., p. 446. Il Mocenigo era stato eletto a questo incarico il 7 marzo 1619 con 
commissione del Senato (cfr. “Senato secreti”, cit, p. 43) che gli ordinava espressamente di “procurare che 
sia sempre sicura la navigatione ad ogni sorta di vasselli; di non tollerrare il passaggio o la permanenza in 
quelle acque di ladri e corsari, castigando quelli che trovasse” 


th, ASV, “Senato Mare”, reg. 78, c. 152. 


74 Vedi nota 55. 


(CO) M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istria veneta (1619-1620), Az, voL XXI 2001, p. 37-73 


pretorili di Grisignana”’ e S. Lorenzo”, due centri di particolare rilevanza 
strategica per il sistema difensivo istriano. 

In armonia con quella che era la strategia della difesa dei centri cittadini 
costieri anche durante il 1619 fu sempre attivo il servizio di sorveglianza delle 
coste istriane, come è bene rilevato nella commissione del Senato del 7 marzo 
che eleggeva a Capitano alla guardia delle rive dell’Istria e delle isole del 
Quarnero Giovanni Mocenigo””, e nell’ordine impartito il 5 luglio ad esso 
capitano di sostentamento delle spese per la sua barca armata”8. 

Lo stato di apprensione e di insicurezza, i progetti e gli interventi che 
accompagnarono la materia e la problematica fortificatorio-difensiva durante 
il biennio successivo alla guerra uscocca da noi preso in esame erano stati 
dettati principalmente dalle conseguenze e dagli strascichi delle vicende e dei 
risvolti drammatici della guerra. Le potenzialità, però, di grossi investimenti 
nelle difese dell’Istria veneta di quegli anni, sia a livello statale che a livello 
provinciale e locale, erano obiettivamente e comprensibilmente limitate. Di 
conseguenza, l’esito dei propositi di rinnovo del Barbaro, del Malipiero, e di 
tutti gli altri rettori e provveditori istriani di quegli anni, diede risultati parziali. 
Ed anche il Senato veneto, che all’indomani della guerra si era sincerato della 
necessità di un progetto di risanamento delle strutture poliorcetiche dell’ Istria, 
fu costretto, per mancanza di mezzi finanziari, a rivedere un po’ ovunque le 
iniziative intraprese. Per questo motivo gli interventi a Capodistria e a Muggia 
andarono a rilento, l’idea di un rilevante piano per Pola venne rinviata di un 
decennio, mentre il progetto per il rafforzamento delle difese di Rovigno fu 
quasi subito abbandonato definitivamente. Certamente la documentazione e gli 
esempi che abbiamo trattato evidenziano una notevole lentezza nella presa di 
delibere operative e nella loro realizzazione pratica, l'impossibilità finanziaria 
di intraprendere interventi radicali e confermano altresì il travaglio storico-ur- 
bano e lo scontro di interessi tra rappresentanti del potere centrale, protesi a 
confermare la propria autorità, e le forze locali impegnate a proteggere e a 
sviluppare l’identità municipale, anche sul piano fortificatorio-edilizio. 


75 ASV, “Senato Mare”, reg. 76, c. 108 v., 17 agosto 1618. 
76 IBIDEM, reg. 77, c. 149 v., 21 settembre 1619 e c. 228, 18 gennaio 1620. 


7? ASV, “Senato secreti”, vol. CXIV. A questa carica incombevano, come si rileva nel documento, i 
seguenti compiti: “procurare che sia sempre sicura la navigatione ad ogni sorta di vasselli; di non tollerare il 
passaggio o la permanenza in quelle acque di ladri corsari, castigando quelli che trovasse”. 


78 ASV, “Senato Mare”, reg. 77, c. 99. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXI, 2001, p. 37-73 6l 


Pur tuttavia va rilevato che i suddetti progetti, la documentazione archivi- 
stica ricordata sopra, nonché le bellissime raffigurazioni del Tensini, del Fino 
e del Rubertini documentano splendidamente quegli anni difficili che venivano 
a chiudere un’epoca complessa e cruciale per la storia istriana. Infatti non solo 
l’Istria fino alla fine del governo veneto non conobbe più guerre sul proprio 
territorio, ma proprio in quegli anni andò maturando lentamente presso le 
autorità preposte al suo sistema fortificatorio il convincimento dell’impossibi- 
lità e dell’inutilità di cambiamenti radicali nei sistemi difensivi delle singole 
cittadine e che sull'esempio di altre aree e possedimenti strategici andava 
creato un forte caposaldo militare, anche perché il Castel Leone si era rivelato 
fortezza di assoluta rilevanza per il capoluogo, ma non era riuscito ad assumere 
la funzione di difesa strategica dell’ intera Provincia dell’ Istria. Lo rilevava 
molto bene il provveditore Francesco Basadonna annotando nella relazione del 
1625 che il castello S. Leone “non serve per alcuna difesa et è in stato di 
rovinare, dà spesa inutile a Vostra serenità di Capit.o et sei soldati, che 
assistono a quella custodia”. 

Lo stava determinando e condizionando anche l’ampio contesto politico-mi- 
litare strategico che era andato a delinearsi nell’ Alto Adriatico a partire dagli inizi 
degli anni Venti dei Seicento con le notizie preoccupanti che arrivavano dal 
Quarnero anche dopo la pace di Parigi e Madrid circa i movimenti di unità 
uscocche e l’eventualità di nuovi loro attacchi, con la presenza della squadra 
spagnola nell’ Adriatico, con le tensioni scatenate dalla nuova guerra dei 
trent'anni, con l’attività della diplomazia degli Asburgo ed il loro ulteriore raffor- 
zamento grazie anche ai loro rapporti politici e commerciali con alcuni stati 
appenninici e, perfino, con le voci che parlavano di cessioni di Gorizia, Trieste e 
Pisino o alla Spagna o al Granducato di Toscana®°. Non solo, ma la costruzione di 
saline e di fortini in territorio triestino, a ridosso del confine con la podestaria di 
Muggia, e le controversie che questi progetti scatenarono lungo la fascia confinaria 
causarono non poche apprensioni a Venezia e a Capodistria". 


79 “Relazione Francesco Basadonna”, op. cit., p. 102-104. 
80 “Senato Secreti”, cir., p. 45-46 (6 giugno 1620) e 47 (9 gennaio 1621) 


8! Cfr. su questa problematica G. BORRI, “Le saline di Zaule e la vertenza austro-veneta per i confini 
(sec. XVI-XVIII)”, AMSI, vol. XVIII (1970), p. 115-172; M. BERTOSA, “Alcuni dati sulla costruzione della 
fortezza di Zaule”, ACRSR, vol. VI (1975-76), p. 139-156; F COLOMBO, op. cit., p. 233-302; O. SELVA, 
“Note e documenti cartografici sull'attività salinara in Istria”, ACRSR, vol. XXIV (1994), p. 455-502; M. 
BUDICIN, Aspetti storico-urbani, cit., “Repertorio iconografico-descrittivo”, numeri 14-15, 51-53. Vedi 
pure ASV, “Senato Secreti”, vol. CXVII, c. 90 v. 


62 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Az, vol XXXI, 2001, p. 37-73 


La risposta di Venezia ad un tale evolversi della situazione arrivò appena 
a cavaliere degli anni venti e trenta, dopo lunghe dispute, controversie e 
aspettative che si conclusero con l'erezione a Pola di una “potente fortezza da 
mar”, la più importante dell’area istro-quarnerina. A questa variante di raffor- 
zamento delle difese di Pola e del suo porto avevano dato la preferenza anche 
il più volte citato provveditore Francesco Basadonna che era stato incaricato 
dal Senato ad esprimersi in merito al suddetto progetto, nonché l’esperto 
militare Pietro Matteacci. Le proposte del Basadonna sono tutte sintetizzate 
nella relazione stesa al termine del suo mandato nel luglio del 1625*. In essa 
descrive e inquadra molto bene la rilevanza strategica del porto polesano “nel 
quale — come annotava — si può fortificare e mantenere senza poter essere 
astretta a combattere, et che può essere da altro Principe grande confederato 
rinforzata di gente, vettovagliata, et fornita d’ogni altra cosa necessaria”. Per 
quanto riguardava l’ubicazione di una grossa e potente struttura difensivo-for- 
tificatoria la posizione del provveditore era quasi innovativa. A differenza dei 
suoi predecessori, all’ipotesi di costruzione di un fortino sullo scoglio di S. 
Andrea vi preferiva l’erezione di una possente struttura sulla terraferma “su un 
colle dentro la Città, dove anticamente era il Castello, sopra la qual eminenza 
è pure di necessità formare un altro forte che abbia a servire a difesa della città, 
et del medesimo porto, perché occorrendo che il nemico se ne impatronisse per 
la parte di terra, stando detta eminenza a cavalliero del porto, potrebbe offen- 
dere li vascelli di Vostra serenità che si ricoverassero in esso”. Dello stesso 
tenore erano anche i suggerimenti del Matteacci che rimarcava la necessità “si 
fabricasse per l’ habitatione d’ un Illustrissimo Senatore un recinto al Castello 
della Città, che rileva dal suo interno un colle, dove fabbricare si potrebbe un 
Palazzo, con li alloggiamenti di cento altri soladati...”*. Il Basadonna ed il 
Matteacci erano certi che la realizzazione di tale progetto avrebbe favorito 
l’avvio della ripresa socio-economica della città. Ma, guarda caso, come gli 
interventi effettuati nei centri podestarili istriani negli anni 1619-20 non servi- 
rono in pratica ai loro scopi militari precipui, similmente anche la funzione 
primaria della fortezza di Pola, che comunque segnò una tappa rilevante non 
solo per le opere fortificatorie dell’ Istria ma in genere per l’ingegneria militare 
di quell’epoca, grazie all’apporto qualificato dei suoi architetti e specialmente 


82 “Relatione Francesco Basadonna”, op. cit., p. 102-104. 


83 E, IVETIC, “Laclasse dirigente veneta”, cit., “Discorso su Pola”, p. 312. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, vol. XXXI, 2001, p. 37-73 GB 


dell'ingegnere francese Antoine De Ville, ebbe praticamente termine con la 
sua erezione. In armonia con condizioni generali più tranquille non solo il forte 
polese non venne del tutto ultimato, ma in quasi tutti gli altri centri dell’ Istria 
veneta, a partire dalla metà del Seicento, i progetti fortificatori lasciarono 
definitivamente il posto ad un sempre più intenso sviluppo edilizio. 

La costruzione della fortezza del De Ville, non segnò, al contrario di 
quanto aveva ipotizzato il Basadonna, la ripresa della città. Pur tuttavia, due 
secoli più tardi, nelle mutate condizioni dell’ Istria asburgica di metà Ottocen- 
to, il rilancio e lo sviluppo repentino dell’abitato polese e del suo ampio e 
sicuro porto avvenne grazie per l'appunto ad una scelta strategico-militare. 


64 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, vol XXXI, 2001, p. 37-73 


APPENDICI 


ARCHIVIO DI STATO VENEZIA 
Fondo dei “Provveditori Da terra e da Mar”, F. 340 bis 


Prou.r S.a le Ord.ze 
S. Antonio Barbaro 
1619 . 8 Aprile 2 Marzo 
/V. Indice Secreta 1669, c, 59, n. 12/ 


App. I 
Nro | 


Ser:mo Prencipe 


Nel desiderio che tengo di obedire alle commissioni con quali sono espedito da V. 
Ser.tà mi conuien prouar con sommo dispiacere, per l’incomodo de tempi guasti, è rotti, 
che m’impediscono il passar nell’ Istria. Entrai già alcuni giorni nella Galea del G:e 
Sopracomito Foscarini, e con la speranza di leuarmi da queste parti mi conferii qui al Lido, 
poiché il tempo mostraua d’accomodarsi. La passata notte finalm:te si siamo tirati fuori con 
la forza de remi, e condotti per 30 miglia in mare siamo stati renfacciati nel far del giorno 
da Vento contrario, che impedendo il prosseguir auanti si da constretti a ritornarsene. 
Staremo attendendone la mutat:ne, la ual sarà incontrata subitam:ite da me con quel 
contento, et ardore, con che fu sempre mio solito nel seruire à gl’ordini della Ser:tà V. et 
alle SS. Vostre Ecc:me. Grazie. 


Di Galea al Lido à 19 Marzo 1619 


Ant.o Barb.o Prou. s.ale O: 


App. II 
N:ro 4 


Ser:mo Prencipe 


Di quanto operai à Puola in essecut:ne delle commissioni de V. Ser:tà, sopra il 
fortificarsi in quei posti; ne diedi esatta contezza con le mie lettere accompagnate dai 
dissegni, e scritture consegnatemi da questi Ingeg:ri; che tutto feci uedere all’ Ecc:ze Vostre 
Ill:me, perche degnassero hauerci sopra quella consideratione, che è propria della singolar 
loro prudenza et ordinarmi quanto hauessero deliberato per il seruitio, et commodo pubi:co. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI 2001, p. 37-73 65 


Mentre adunque mi fermauo in questa aspetatione attesi nella reuisione, e regola delle 
Ordinanze da quella parte di sopra, à che suplito in pochi giorni, né uedendomi auisato altro 
commandamito della Ser:tà Vostra, forse per l’impedim:to de tempi contarij, ho stimato per 
non mi trattener infruttuoso di tirar giù per la riua, e continuar a riueder le Ordinanze, che 
pure questa matino mi son espedito da quelle di questo luoco. 

Osseruo in oltre il recinto della Terra, et se ui scoprissi alcun deffetto o mancamito, 
ne procurerò il riparo per la sua miglior sicurezza. 

Nel rimanente di quanto m’aspetta andrò sodisfacendo, fino che receua noua com- 
miss:ne dalle SS:rie Vostre Ecc:me, in conformità della quale mi disponerò con ardente 
zello per la sua intiera obedienza. Hoggi è capitata qui la Galea del S:re Aluise Corner V. 
Sopracomito espedita dal S:re Cap:n del Golfo per incontrar I’ Ecc:mo S:re Cap:n General 
da mare, la qual portando lettere per V. Ser:tà, non ho uoluto lasciar l’occ:ne de rapresen- 
tarle anch'io questo tanto per suolim:to del mio debito. Grazie. 

Di Rouigno à 8 Aprile 1619 

Ant.Barb.o Prou.r s.a le O: 


App. II 


N:ro 5 fin 6 
Ser:mo Prencipe 


All’arriuo hoggi qui in Porto diuna Peotta leuatassi da quelle riue receuo le due Ducali 
di V. Ser:tà delli sei; con una sono auisato della mossa, che douea farsi da Napoli delle 12 
Galee col Marchese S:ta Croce per impresa non penetrata, che mi seruirà di cauta auertenza 
in quello potrò per ogni degno rispetto; in altra intendo il recapito delle mie lettre con li 
dissegni e scritture formatesi per assicurarsi à Puola quel Porto, sopra le quali hauerian 
Vostre Ecc:ze Ill:me tenuta considerat:ne ordinarmi poi la lor uolontà. In questo mentre che 
l’attendo sto impiegato nel seruitio delle Ordinanze, hauendole riuedute fin hora nella mag:r 
parte; e qui deuo far riuerente motto, è hauerà partorito assai buon frutto questa reuisione, 
perche oltre l’hauerli suegliati à douersi essercitar nell’ Armi se ne sono remessi diuersi in 
loco de gl’impossenti, et molti notati de rispetto, hauendoli conosciuti inesperti, et bisogno- 
si perciò di soggetti d’esperienza militare, che li adoperi, et insegni il termine. Di che ne 
darò un’esata contezza poi a gl’ Ecc:mi SS:ri P:ri delegati sopra tal materia. Continuo nel 
compim:to della rassegna, douendo dimani uisitar altri luoghi più a basso per la med:ma 
causa, à che hauerò sodisfatto in breue, et col suplim:to di ueder i debiti col pub:co in 
Capodistria, et quello à Muggia con la restaurat:ne della muraglia in quel luoco, hauerò 
obedito intieram:te alle commissi:ni della Ser:tà V. 

Heri scopersi 1’ Ecc:mo S:re Cap:n General nauigar con Vento molto prospero uerso 
Armata, che per non perder il beneff:0 del tempo non hà uoluto tocar questo Porto, et io 
le ho epedito il S:r Cau:r Cattaneo destinato à quell’ obed:a. Grazie. 


Di Rouigno à 12 Aprile 1619 
Ant.o Barb.o Prou.r S.1° O. 


66 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ati, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


App. IV 
N.ro 6 


Ser:mo Prencipe 

Nelli giorni, che mi son trattenuto qui son andato considerando con gl’ingeg.ri 
Candido, c Tensini il bisogno di questo luoco per renderlo più diffeso, e sicuro — ho detto 
ad essi Ing.ri, che mi mostrino con dissegni quello si potria operare, et hoggi mi han portato 
li fogli, che mando qui inserti alla Ser.tà V. Nella spesa de mille scudi che mostrano douerci 
andare sene diffalcano due parti col commodo che s’ha in questi scogli uicini di farsi la 
Calcina, e ualersene senza dispendio, à che se ne trouria pronta la Com.tà che ne fabrica- 
rebbe à bastanza, com'è seguito in altre occorrenze, si che resteria in soli 300 scudi, come 
intenderà la Ser.tà V. et le S.rie Vostre Ecc.me nel discorso notato sopra li dissegni nel quale 
ui concorre l’opinione di tutti due gl’ingeg.ri, che circumcirca non si discosta l’una 
dall’altra, et uenivano in quella ressolut.ne, che le parerà più gioueuole; hauendo io 
stiumato di notificarle questa parte per sodisfatione del mio debito. Grazie. 

Di Rouigno à XII Aprile 1619 

Ant.o Barb.o Prou.r Gen.l S.l’o. 


App.V 


N:ro 8 
Ser:mo Prencipe 


Ho ueduti gl’auisi, che si son compiacciute darmi Vostre Ecc:ze con le Ducali de 13 
delle accoglienze che si faceuano al .... , et altri Uscochi à Napoli, con li pensieri, che 
s’intendeua essersi disseminati nell’imprese, che douean far le Galee, che in pronto stauano 
in quel Porto per douersi espedire, et altro d’auantaggio; che mi seruirà d’informat:ne, 
ringratiandone la loro benigna munificienza. Nella parte della notitia datami dell’ esped:ne, 
che s’è fatta dalle maestà de Cesare, e Ferd:o de Commissarij per uenir a Segna, et quelle 
marine con ord.ni di penetrare chi habbi fauoriti gl’ Uscochi, che rubarono la Marciliana 
Albanese, et farne rigorose dimostrat:ni, si come mi prometto, che l’intentione de quei 
Prencipi sia di sodisfar alle ragioni della Rep:ca, cosi conuengo dire con uerità scoprirsi in 
tutto contrari] gl’effetti de Ministri. Perche arriuati essi Commissarij in quei luoghi, cue 
douean obedir le lor commissioni; han retenuto allogi nelle proprie case di chi protege quei 
ladri, et se pur han fatto qualche segno coll’ inquisir, et esaminar quei Popoli sopra il caso 
sud:0, son però, riuscite delle proprie apparenze praticate altre uolte, né s' ueduto alcun 
esempio di castigo, ben che li med:mi Uscochi le passassero sopra la facia, et habbino 
procurato di rubar barche per scorrere alle incursioni dei mari di V. Ser:tà, uenendo essi non 
meno protteti dal Vescouo di Segna, che sostentati dal stesso Com:rio dalla rouere Cap:no 
di Fiume, per l’interesse, c'ha sempre hauuto nelle rapine, che si son fatte da quei scelerati. 
Ogni dilig:a pertanto sarà sempre di niun profitto quando à quei Pressidij non si tenga gente 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Anî, vol XXXI, 2001, p. 37-73 67 


pagata et Cap:no di buona uolontà nell’ess:ne di quegl’ordini, che son dati da Prencipi. 
Procuro di douer intelligenza di quello uan operando essi Comirii, degl’ andamiti di quei 
paesi, et loro stato, come à punto m’ordina V.Ser:tà, ma l’esser io a queste marine tanto 
lontane da quelle parti, non ho tutto il commodo di poterlo; tenirò tutt:a quella miglior 
pratica, che sarà possibile, e di tutto che sarò auisato lo porterò all'orecchio di Vostre Ecc.ze 
Ill:me. Dicendoli intanto, che in cambio del liog:te passato di Pisino s’intend:be succedere 
il fig.lo del S:re Giosef Rabata; che fu trucidato da Uscochi, che sarà credo buon ministro 
per quanto s’aspettarà alla sua gerenza. Il Rè Ferd:o ha deliberato de souenir li sudditi del 
d.o Contado con darli à ciascun uicino un Manzo per coltiuar li Terreni, ma ancor non era 
era comparso cosa alcuna. Quei popoli erano molto afflitti, mangiauano il pane negriss:mo, 
et à cariss:mo prezzo, cioè onze sei per due soldi; et à pena, che se ne trouio, sendo il 
Contado distrutto. Si ragiona da quella parte, che 1’ Armata Spag:a douea di giorno capitar 
a Fiume per far iui sbarco di gente, et questo partire l’hò sentito da molte bande. Che è 
quello di degno hò da portar alla Ser:tà V. Grazie. 


Rouigno à 21 aprile 1619. 


Ant.o Barb.o Prou.r S. 1’ O. 


App. VI 
N:ro 9 fin 10. 


Ser:mo Prencipe 


Capitato che fui quà l’altr’heri hò subito dati buoni ordini, perché da questa commu- 
nità, et da quella di Muggia si sodisfaci al debito, che tengono con la Ser:tà Vostra per li 
suffraggi di formento, et altri commodi sumministratili dalla pub:ca carità ne tempi de loro 
bisogni. Con quelli di Muggia son arrivato à termine che spero hauerne la renfrancatione 
p:ma del mio partir da questa Prouintia, et il danaro lo trattenirò presso di me per farne la 
restitutione al mio ripatriare, oue sarò commandato. 

A quello di questa Città uedran Vostre Ecc:ze Ill:me dalle copie de conti, che mando 
qui inserti, il tratto, che s’è hauuto in tanto sale delle farine, e formenti pubblici, mandati in 
questo Fontico, intenderanno quello, s’è inuiato all’Offitio Ill:mo sopra li sali, quello, che 
è in pronto per espedirsi tuttauia, et quanto ne rimane; la spesa andata nell’incaneuarli, et 
il resto dell’obligo, che uiue a questi; che maneggiano il Fontico; di che ne sarò pur solecito, 
acciò resti redintegrata del tutto la Ser:ma Sig:ria. 

Delli Risi in uno d’essi conti appar nota esserne stata fatta consegna d’ordine del S:re 
General Loredano à questo munitionero, il qual fatto chiamar à me, perche me ne dij 
informatione, m’ha detto d’hauerne dispensati qui à Ss:ri capi da mare, et sopracomiti, et 
qualche summa andata di male, guastatasi nella condition cattiua munitioni. Egli deue 
passarsene costi pe render conto d’altri affari à gl’Ill:mi Sig:ri Esecutori delle deliberation 
del Senato, et perciò gli ho commesso di portar seco le sue chiarezze per mostrarle à SS. 
SS:rie Ill:me, acciò possino uenir poi à quella che si ricerca. 

Ho voluto riuedere li Magazzini dell’ Armi; ne quali hò lasciati buoni ordeni per la loro 


68 M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Att, voL XXI, 2001, p. 37-73 


conseruatione, commandato, che s’accomodino subit:te le quaste, et che s’usi dilig:a per 
tenerle pronte ad’ ogni occorrenza. 

Molta Art:ria ui si troua, e di qualche qualità, la qual tenendosi infruttuosam:te, et per 
ogn’altro considerabile respetto, rissoluo di farne leuar quella, che non stimerò necessaria, 
e restituirla in cotesti Arsenali. 

Di questo S:re Podestà hò hauuto in dise l’opera della muraglia di Muggia, la qual nel 
Balouardo, che s'’ prencipiato à fabricare non essendo di quella perfettione che si conuiene 
per ben diffendere la Porta, sarà riparata, e riposta à miglior termine, quando mi conferisca 
collà che lo farò uno de giorni à uenire; et perciò conuengo raccordar riuerentem:te la 
prouision di denaro all’offitio A:a le Fortezze per poterlo corrispondere à tal seruitio. Heri 
prencipiai à riueder delle Ordinanze da questa parte, giornalm:te ne arriueran qui da 
Pinguente, et da questi altri luochi uicini, hauendole fatte chiamar à rasssegnarsi in questa 
Città. Questo è il compim:to delle com:ni datemi dalla Ss. Vostre dalle quali mi sarò liberato 
quanto prima, né mi restara, che più fare; l’intelig:a di che hò giudicato rappresentargliela 
per suplim:to di quanto detto, et perché sappino quanto uado operando. Grazie. 


Di Capodistria à 26 Aprile 1619 


1619 à 2 Maggio 
Li onti de Biaue et Sal furono mandati alli S. (...) Alle Biaue per che li uedano et 
s’informino in persona. 


Ant.o Barb.o Prou. 


App. VII 
N:ro 10 


Ser:mo Prencipe 


Mentre si trouaua al commando dell’ Armi in Friuli la buona memoria dell’ Ecc:mo 
S:r Procurator Lando le occorse di bandire capitam:te per eccessi di mala consequenza 
Zuane Vittelli fig:lo di D. Giulio Vittelli hora Gou.e a Traù. Questo s’in qua s’è andato 
trattenendo nel Paese Arciducale, et per lo più habita a Fiume, da doue molte uolte si parte, 
e ua à capitare à veglia, iui soggiornandosi con certa Gentildonna di quella Città, et al 
presente intendo da buona banda esser uenuto à Trieste. M° ha dato causa di formar qualche 
sospetto un simil proceder di costui, massime essendo egli fig:lo di chi si trattiene in 
gouerno d’una delle Città della Ser:tà V., e perciò m’ha suegliato spirito di procurarne la 
sua retentione con qualche desterità, che se bene m’era uenuto in pensiero di farlo 
adimandar à Trieste, come bandito della rep.ca, per leuarsi questa gelosia, nullad:no 
sendomi offerto da Persona confidente di tentar la uia per hauerlo nelle mani, quando da 
nouo volesse continuar la pratica di Veglia, hò rissolto di tenermi à questo mezzo, et con 
maniera segretta leuar una tal ombra col castigo, che se le deue, et per scoprir anco, se ui 
fosse qualche tratatione pregiuditiuale alle cose di V. Ser.tà. 

Mi uiene refferto in auantaggio, che sendosi li giorni passati partito da Puola quel 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 69 


Mons:r Vescouo per far la solita uisitat:ne nella sua Diocese, arriuato che fù in Albona le 
parue di far intendere à Fiume à quel Cap:nio, che desideraua conferirsi à quella Città per 
la causa sud:a et che in resposta le fosse detto di contentarsi nel restando per qualche giorno 
ancora, poiche al presente non è tempo di simili uisite. 

La causa mi pare degna di considerat:ne, et perciò quali si sian gl’auisi li porto alla 
notitia delle SS. Vostre Ecc:e, acciò li tenghino in quella parte, che le pare, cosi conuenienti 
à quanto io deuo. Grazie. 


Di Capodistria à 26 Aprile 1619. 


Ant.o Barb.o Prou. S. lO. 


App. VIII 
N:ro Il fin 12. 


Ser:mo Prencipe 


Hò procurato nelli passati giorni, che fui à Puola di cauar tutto quel più d’informatio- 
ne, che fù possibile sopra il stato, e qualità di quei scogli, e posti con uisione di lig:te, cue 
con maggior commodo, e uantaggio si potesse assicurar quel Porto, e sodisfarsi all’intention 
pub:ca, che m'è stata commandata; et con le mie lettere, dissegni, e scritture di questi 
Ingegnerilo portai à notitia della Ser:tà Vostra; in modo che le Ducali di 26. Del passato, 
non mi dano causa d’altra alterazione per obbedire à quegl’ordini, che riceuo in esse. 

Nulladimeno, spinto più dall’ardenza del proprio desiderio di fruttuosam:te seruire, 
che da bisogno, che stimi poterui essere, rissoluo di uoler far noua uisitatione à quel luoco 
per osseruar con occhio ben aperto tutti quei punti, che mi son discorsi dalle suddette 
Ducali, et fattane con gl’ Ingegneri ogni più fondata consideratione poterlo poi refferire così 
alle SS:rie Vostre Ecc:me, come mi commettono. 

L’urgenza di repararsi à quella parte per impedire à gli respetti, che molto importanti 
son noti a cotesto Ecc:mo Senato, m’è stata sempre di prencipaliss:mo oggetto, ne manten- 
go tuttauia il med:mo spirito, e perciò non saran manco contrapesati li particolari auertitimi 
dalla sapienza di Vostre Ecc:ze Ill:me nelle gelosie, che pur uiuono nel presente tempo, di 
quello, è ho fatto nei contrarij retrouatissi à tal opera, et rappresentati da me con quella 
pouertà di talento, che mi trouo drecciati tutti al solo seruitio pub:co. 

Non ritarderà punto questa essecutione, acciò tosto sia supplito à tanta occorrenza, né 
però lascierò abandonato il restante delle mie commissioni, à che pur u’attendo di quel 
modo, che possi riuscire à miglior beneffitio delle cose di V. Ser:tà. Grazie 


Di Capodistria à 2 Maggio 1619 


Ant.o Barb. Prou.r 


#0) M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Ami, voL XXXI, 2001, p. 37-73 


App.IX 
N:ro 12 


Ser:mo Prencipe 


All’arriuo degl’ordini speditimi da V. Sr:tà, per ch'io penetrassi nelle operationi delli 
Commissari) del Rè Ferd:o, che si trouano à Segna ho procurato ogni miglior mezo per 
hauerne gl’auisi; et hoggi mi uiene riportato, che nelle inquisitioni, che andauano facendo 
per lasciar esempio di castigo à quegl’Uscochi, che furono nel latrocinio della Marciliana 
alli scogli di Zarra, et à chi li hauesse fomentati, et fauoriti di agiuto, fattissi quattro d’essi 
preggioni fossero condannati alla morte; nel qual tempo arriuati due delli ladri della 
compagnia del Ferletih nel Vinadolo partiti da Napoli con danari per souenir le famiglie di 
quelli, che eran rimasti, siano stati anch’essi retinti, et in un med:mo giorno appicati tutti 
sei nella med.ma Città di Segna con sommo terrore. 

Chè s'era fatto intendere per quei luochi à marina con pub:co edito, che tutti li banditi 
della ser:ma Rep:ca in termine di 3 giorni douessero leuarsi da quel stato inn pena della 
Vita, il che pur hauea redotto in disperatione gl’animi de simigli scelerati. Ragionauassi che 
li Ss:ri del Cragno, non habbino uoluto dar, le solite contributioni al Rè Ferd:0 se prima non 
hà disciolti tutti li appalti de Sali, form:ti, e fram:tà in preg:r dell’ antica libertà de loro 
sudditi; hora il Rè hauendoli gratificati di quanto chiedeuano si son loro contentati di 
contribuire quanto sogliono, cioè per la restoratione di Petrina fiorini m/15, per Carlistat 
altri m/15, et per la cucina, di sua maestà m/100, et di più pagare il Pressidio d’ Alemani 
destinato per Segna. Che è quanto di relatione hora tengo da portare all'intelligenza dell’ 
E.E. V.V. Ill:me. Grazie. 


Di Capodistria à 2 Maggio 1619 


Ant.o Barb.o Prou. 


M. BUDICIN, Struttuwe difensive dell'Istria veneta (16191620), Ami, voL XXXI, 2001, p. 37-73 71 


SAZETAK: PRILOG POZNAVANIU FORTIFIKACIJSKO-OBRAM- 
BENIH STRUKTURA OBALNIH GRADOVA MLETACKE ISTRE 
NAKON USKOCKOG RATA (1619-1620.) — Predmetom ovog ogleda 
su zapoCeti i dovrSeni projekti za jatanje fortifikacijsko-obrambenih 
gradevina obalnih gradova Istre nakon uskotkog rata (1619-1620.), 
u okviru odnosa izmedu Habsburskog carstva i Mletaéke republike, 
a posebno rjesavanja pitanja slobode plovidbe Jadranskim morem. 

Sustav obrambenih utvrda mletatke Istre odrazavao je temelje 
visestoljetnog odnosa izmedu Venecije kao metropole i njezine 
istarske pokrajine, narotito njenog primorja, kao nezaobilaznog 
oslonca jadransko-mediteranske gospodarske i trgovatke pomorske 
politike i orijentacije Prejasne. Sistem je postavljen tako da, s jedne 
strane, kontrolira obalu i vise ili manje uCinkovite obrambene sustave 
pojedinih gradiéa mletaîtke Istre, kako obalnih tako i onih u 
unutra$njosti, s druge pak strane, omoguti obranu granice prema 
Carstvu, a koju je nadzirao buzetski kastel i niz od pet manjih 
utvrdenih kastela (Roé, Hum, Dragué, Vrh i Sovinjak). 

Arhivska grada (sa sjajnim prikazima Rovinja i Kopra F. 
Tensinija, G. Fina i G.B. Rubertinija) koja nam je na raspolaganju 
u Drzavnom arhivu u Veneciji dokumentira prijedloge za obnovu 
Antonija Barbara, koji je krajem 1618. godine izabran za providura 
“Terraferme” i Istre sa vaznim zadaéama u obrani istarskog kopna 
i obale, natelnika i kapetana Kopra Bernarda Malipiera, svih ostalih 
istarskih rektora i upravitelja onog doba, te njedno i one teske 
godine kojima je zavrsilo jedno kompleksno i vaZno razdoblje istarske 
povijesti. 

Svakako najopseZniji i najznadajniji pothvati ostvareni u dva 
desetljeéa nakon uskotkog rata (i zato Sto su o njima saéuvani vaZni 
tragovi u vidu rukopisa i nacrta) bili su oni u vecim centrima: 
Kopru, kao polititkom i upravnom sjedistu, Rovinju, kao iznimno 
vaznom naselju i gospodarskom centru, Puli zbog strateskog polozZaja 
i velike luke. 

Obzirom na to da su prijedlozi za obranu i jaéanje obrambenih 
utvrda dali djelomiène rezultate, kod vlasti zaduzenih za tu oblast 
baî u to vrijeme prevladalo je uvjerenje da je nemogude i 
nepotrebno vrsiti radikalne izmjene obrambenih sustava pojedinih 
gradiéa te da, po uzoru na druga podruèja i strate$ke posjede treba 


72 M. BUDICIN, Strutture difensive dell’Istîa veneta (1619-1620), Ami, vol XXX], 2001, p. 37-73 


stvoriti jaki vojni postav. Odgovor Venecije takvom razvoju situacije, 
dovest ée do toga da ée Pula, izmedu dvadesetih i tridesetih godina 
17. stoljeéa, biti odabrana za smjeStaj snazne “pomorske utvrde”, 
najvaZnije na prostoru Istre i Kvarnera. 


POVZETEK:  PRISPEVEK K  SPOZNAVANIU OBRAMBNIH 
TRDNIAV V OBALNIH SREDISCIH V BENESKI ISTRI PO VOINI 
Z USKOKI (1619-1620) - V pritujoîéem eseju se navajajo projekti, 
ki so bili izvedeni za okrepitev obrambnih trdnjav v srediséih na 
obali beneske Istre po vojni z Uskoki (1619-1620), v okviru odnosov 
med habsburskim cesarstvom in Benesko republiko, predvsem pa v 
okviru resevanja problema svobodnega plutja na Jadranu. 

Obrambni sistem beneske Istre je ohranjal temelje stoletnih 
odnosov med beneskim velemestom in njenim istrskim ’podezeljem“ 
(predvsem na obalnem pasu), ki je predstavijalo neko neloÈljivo 
oporno toéko za politiko in pomorsko gospodarsko-trgovsko 
usmeritev Beneske republike na Jadranu in v Sredozemlju. Ta sistem 
je po eni strani nadzoroval obalo in poskuse obleganja mest 
posameznih vasi (obalnih in notranjih) v istrski Provinci, po drugi 
strani je skrbel za obrambo meje s Cesarstvom, katero je nadzoroval 
grad v Buzetu in drugih pet manjsih trdnjav (Roè, Hum, Dragué, 
Vrh in Sovinjak). 

Arhivsko gradivo (s èudovitimi sliktami Rovinja in Kopra, ki so 
jih naslikali Tensini, Fino in Rubertini), hranjeno v DrZavnem arhivu 
v Benetkah, dokumentira projekt Antonia Barbara, ki so ga leta 
1618 izvolili za nadzornika predpisov na kopnem in v Istri in ki je 
tako pridobil pomembne naloge v obrambi istrskega obmoèja in 
obale, pa tudi projekte Koprskega nadelnika komune in kapetana 
Bernarda Malipiera ter vseh takratnih  istrskih  upraviteljev in 
nadzornikov. Dokumentirana so tudi tezavna leta, ki so zakljutevala 
zapleteno in kljuéno obdobje za istrsko zgodovino. 

Seveda je do najpomembnejsih in najveGjih sprememb pri$lo v 
dveh letih po vojni z Uskoki v veéjih sredisèih: v Kopru, ki je bilo 
glavno politiéno in upravno mesto, v  Rovinju, pomembnemu 
ekonomskemu sredistu, ter v Puli, zaradi svojega strateSkega poloZaja 
in velikega pristaniséa. To nam je znano iz pomembnih rokopisnih 
in ikonografskih podatkov. 


M. BUDICIN, Strutture difensive dell'Istria veneta (1619-1620), Atti, voL XXXI, 2001, p. 37-73 73 


Ker pa so projekti v zvezi z obnovitvami in okrepitvami trdnjav 
le delno uspeli, so oblasti, ki so se ubadale s takimi zadevami, 
takrat razumele, da je bilo nemogoèe in nepotrebno korenito 
spreminjati obrambne sisteme posameznih vasi, temveé da je bilo 
treba ustvariti moéne vojaske utrjene postojanke po zgledu drugih 
obmoèji in strate$kih posestev. Benetke so zaradi tega na prehodu 
iz dvajsetih v trideseta leta 17. stoletja izbrale Pulo, da bi tam 
postavile moéno “morsko utrdbo”, najvaznej$o v istro-kvarnerskem 
obmobju. 


CONDIZIONI ECONOMICO-PATRIMONIALI DELLE 
CONFRATERNITE ISTRIANE ALLA CADUTA DELLA 


REPUBBLICA DI VENEZIA 
RINO CIGUI CDU: 271+338(497.4/.5-3lstria)”17/18” 
Verteneglio Sintesi 
Dicembre 2001 
DENIS VISINTIN 
Buie 


Riassunto — In questo saggio sulle condizioni economico-patrimoniali delle confraternite laiche 
istriane negli anni antecedenti la caduta della Repubblica di Venezia (1797), gli autori tracciano 
una breve cronistoria delle varie fraternitates, societates, regulae e compagnie istituite in Istria 
fin dal medioevo, per poi analizzare più da vicino i loro atti di carattere normativo e statutario e, 
soprattutto, i loro beni, proprietà, rendite e spese. 

In appendice, inoltre, viene riportato un’ampio specchietto con i dati riguardanti la rendita 
e la spesa di ben 648 confraternite istriane 


Cenni storici 


Tra l'XI e il XII secolo si svolsero varie esperienze vitali di ascesi 
eremitica e di pratiche religiose del laicato che diedero luogo a fraternitates, 
societates, regulae, compagnie, istituite a titolo devozionale, caratterizzate da 
impegni liturgici, penitenziali e di edificazione che vedevano associati laici, 
ecclesiastici, uomini e donne, tra esse aggregate e coordinate a chiese, congre- 
gazioni e ordini religiosi. Tracce di simili associazionismi laici si ebbero 
comunque fin dall’età tardoantica?. Lo storico istriano Bernardo Benussi le 


! P.CAMMAROSANO, /ralia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma, 1996, p. 87. 


? B. MIGOTTI, Anticki kolegij i srednjovjekovne bratovstine. Prilog proutavanju kontinuiteta dalma- 
tinskih ranosrednjovjekovnih gradova A collegi antichi e le confraternite medievali. Contributo allo studio 
sulla continuità delle città altomedievali dalmate/, Starohrvatska prosvjeta /Cultura paleocroata/, n. 16 
(1996), p. 179 e seg. 


76 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


voleva derivate dagli antichi collegi romani*; pure in età carolingia si potevano 
riscontrare associazioni laiche. In età medievale il termine indicava pure 
associazioni di arti e di mestieri‘. E la vita di tutte era fin dalle origini regolata 
dagli statuti°. Altresì i vari statuti regolanti la vita interna delle singole comu- 
nità d’abitato contengono pure varie disposizioni normative con riferimento ad 
enti del territorio soggetto e quindi anche alle confraternite religiose, attiva- 
mente inserite nel contesto sociale e con tali disposizioni giuridicamente 
riconosciute. 

Nei secoli XIV e XV tali istituzioni verranno costituite essenzialmente da 
preti (in Germania ad esempio), o esclusivamente da laici, con l’assistenza 
ecclesiastica e religiosa (Italia). Numerose fondazioni risalgono al XV e al XVI 
secolo”. 

Contrariamente alle altre strutture comunitarie medievali le quali dimo- 
stravano scarsa attinenza alla custodia delle fonti e delle testimonianze scritte, 
le confraternite, gli ospedali, gli enti caritativi ed assistenziali ed i comuni 
hanno creato strutture archivistiche tipiche delle associazioni aventi una stabile 
fisionomia territoriale ed istituzionale. Affinché si realizzasse tale attitudine, 
erano necessarie due condizioni: la ricchezza economica e la persistenza di uno 
stretto legame con una consolidata struttura territoriale. E le confraternite, se 
da un lato vedranno la proliferazione di consistenti patrimoni, dall’altro si 
trovarono fin dalla loro costituzione legate ad un ente ecclesiastico, istituito da 
ciascuna di esse. In tale contesto, l’aggancio alla chiesa regolare (benedettini, 
cistercensi, altri ordini monastici, canonici regolari e agostiniani, domenicani, 
francescani), rappresentava una garanzia ben più robusta rispetto all’aggrega- 
zione alle chiese secolari, vista la debolezza della tradizione archivistica di 
quelle non vescovili fino alla fine dell’età medievale. Lo studio storico va 


3 B. BENUSSI, ” Nel Medio evo. Pagine di storia istriana“, Atti e Memorie della Società istriana di 
archeologia e storia patria (=AMS?/), Parenzo, vol. XIV (1897), p. 63. 


4R. CIGUI, “Le confraternite di Buie e del suo territorio. Una manifestazione della religiosità popolare 
in Istria“, Acta Bullearum (=AB), Buie, vol. I (1999), p. 161. 


5 P. CAMMAROSANO, op. cit., p. 152; R. CIGUI, op. cit., p 165-167. 
6 Si veda ad esempio lo Statuto di Buie. 


? Tali riferimenti sono da affiancare soprattutto alle confraternite del SS Sacramento, diffusesi in 
Occidente a partire dal XIII sec. Cfr. R. CIGUI, “Lo statuto della confraternita del SS.mo Sacramento di 
Umago”, La Batana, Fiume, 1991, n. 111, p. 100-101. 


8 P.CAMMAROSANO, op. cit., p. 250-251. 


R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Att, voL XXXI, 2001, p. 75-135 n 


rivolto pure alle fonti private, agli atti ed ai protocolli notarili ad esempio, che 
tramandano numerosi contratti di discepolato, inventari di beni ed altri testi. 

Finora gli studi relativi alle confraternite si sono concentrati in linea di 
massima agli statuti associativi, i quali forniscono numerosissime ed articolate 
informazioni utili alla ricostruzione storica: statuta, regulae, ordinamenta, 
capitula, ecc., alcuni dei quali redatti in volgare, e perciò soggetti pure all’at- 
tenzione di studiosi di lingua e letteratura italiana delle origini”. 

Importanti pure le matricole, elenchi dei singoli affratellati, o di coloro 
soltanto che ricoprivano singoli incarichi all’interno della confraternita, i diari 
ed i memoriali, le bolle di conferma ed i testi liturgici e devozionali: libri di 
preghiera, sermonari, catechismi, laudari. Quindi le pergamene, i testi ammi- 
nistrativi patrimoniali e contabili. 

Altresì è meritevole d’esame l’attività organizzata dei confratelli nel 
settore assistenziale e scolastico, anche se le vere e proprie scholae si diffon- 
deranno appena in età moderna. 

Allo studio di queste forme associative, note in Istria, anche sotto i nomi 
di fraglia o fradaia, le varie storiografie sull’ Istria hanno prestato scarsissima 
attenzione. Tale lacuna è stata soltanto parzialmente colmata in tempi recenti, 
riversandosi gli studiosi negli archivi parrocchiali, vescovili e statali, portando 
alla luce esaurienti fonti consistenti in statuti, quaderni, catastici, atti notarili, 
scritture private, ecc. il cui esame e conseguente pubblicazione ci ha consentito 
di allargare le cognizioni su tutta una serie di problematiche sociali, economi- 
che e religiose per nulla marginali nelle vicende storiche istriane!°. 

In Istria esse sono documentate a partire dalla seconda metà dell'XI secolo 


° IBIDEM, p. 252-253. 


!0 R. CIGUI, op. cit., p. 161, 170; IDEM, “Catastici, rendite e livelli annui delle confraternite di 
Momiano (1782-1788)”, Arti del Centro di ricerche storiche di Rovigno (=ACRSR) , Trieste-Rovigno, vol. 
XXVII (1997), p.423-470; IDEM, “Lo statuto”, cif., p.98-108; A. MICULIAN, “Dimostrazione degli stabili 
pell’infrascritte scuole laiche del castello di Valle che vennero affittati per conto d’interesse delle scuole 
stesse... ( sec.XVII-XVIII )”, ACRSR, vol. XXVI (1996), p. 371-428; IDEM, “Lo Statuto e ‘Il libro delli 
confratelli e consorelle della veneranda Scuola del Carmine’ di Valle - 1760 “, ACRSR, vol. XXVII (1997), 
p. 483-516; V. STOKOVIG, “Odnos Venecije prema bratovstinama u Istri od XV. do XVIII. stoljeéa“* 
lL’atteggiamento di Venezia nei confronti delle confraternite istriane dal XV al XVIII secolo/, Problemi 
sjevernog Jadrana /Problemi dell’ Adriatico settentrionale/, Zagabria, fasc. 4 (1982), p. 163-180; IDEM, 
“Nekoliko primjera drustvenih i gospodarskih aktivnosti laiékih organizacija na Buzestini u razdoblju od XV. 
do XVIII. stoljeca“/Alcuni esempi di attività economico-sociali delle organizzazioni laiche del Pinguentino 
dal XV al XVIII secolo/, Buzetski zbornik (=BZ) /Miscellanea pinguentina/, Pinguente, vol. XII (1988 ), p. 
85; IDEM, “ Poslovne knjige istarskih bratovstina, znadajni izvori za proutavanje drustvene i gospodarske 
povijesti (jedan primjer iz Tara na Porestini)* /I quaderni delle confraternite istriane, fonti ragguardevoli per 


B R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


e le attestazioni a proposito registrate si riferiscono alle donazioni fatte dal 
vescovo triestino Adalgero, datate 1072, e dal suo omologo giustinopolitano 
Eriberto, del 1086, rispettivamente alle confraternite di S. Giusto e di S. 
Maria". Numericamente poco consistenti alla fine del X V secolo, nei trecento 
anni successivi esse vivranno una vera e propria stagione espansionistica, in 
periodi di guerre — nel ‘500 e ‘600 — epidemie, carestie, devastazioni, fame, 
pestilenze, brigantaggi, colonizzazioni, con il favorevole concorso pure del 
Concilio tridentino che vedrà con favore la loro diffusione, esortando i fedeli 
di tutte le parrocchie ad unirsi al fine di diffondere ed intensificare il culto 
cristiano riusciranno a dar vita a varie forme di socializzazione, interventi 
sociali, attività economiche e mercantili. 

Nel 1580 il legato apostolico mons. Agostino Valier indicava le già 
numerose confraternite, ormai ben radicate e consolidate in Istria, provviste o 
meno di statuti, altre sorrette da norme consuetudinarie, ciascuna intitolata ad 
un altare o a una chiesa filiale, ognuna con proprio gastaldo, i fratelli della 
banca, ed alcune in possesso di consistenti patrimoni fondiari '?. Esse tenderan- 
no ad aumentare ed a moltiplicarsi tra il 1650 e il 1730: nelle campagne si era 
ormai superato da tempo il processo di colonizzazione e di ripopolamento, ci 
si avviava alla stabilizzazione degli insediamenti ed alla ripresa generale, si 
rafforzavano le istituzioni religiose —, d’altro canto continuavano a persistere i 
culti e le magie pagane e credenti che continuavano a praticare altre religioni 
— edin tutti questi processi il ruolo delle confraternite, in qualità di associazioni 
laiche, assistenziali, economiche e religiose non era di certo secondario. Della 
loro aumentata presenza sono tuttora testimoni le chiese urbane e campestri. 
Ma le fortune verranno meno qualche decennio più tardi. 


lo studio della storia sociale ed economica. L’esempio di Torre nel Parentino/, Vjesnik Istarskog Arhiva (= 
VIA) /Bollettino dell’ Archivio istriano/, Pisino, a. 1, fasc. 1, n. 32 (1991), p. 85-87; Z. BALOG, “Kvaderna 
bratovstine sv. Bartula i knjiga ratuna opéine u Roéu kao vazan izvor za roéku povijest 16 st.“ /I quaderni 
della confraternita di S. Bortolo e i libri contabili comunali a Rozzo quale importante fonte per la storia della 
località nel XVI sec./, BZ, vol. XI (1987), p. 141 — 160; IL. ERCEG, “ Broj i financijsko stanje bratovstina u 
Istri (1741) /Situazione finanziaria e numero delle confraternite in Istria nel 1741/, Vjesnik historijskih 
arhiva Rijeke i Pazina (=VHARP) /Bollettino degli archivi storici di Fiume e di Pisino/; T. LUCIANI, 
“Prospetto delle scuole laiche dell’Istria e delle loro rendite nel 1741“, La Provincia dell'Istria, Capodistria, 
1872, n. 18-23, settembre-dicembre; A. STOKOVIC, “Bratovstine u srednjem dijelu Istre. Osvrt na sadrzaj, 
i strukturu arhivske grade” /Le confraternite nell’Istria centrale. Con riferrimento al contenuto e struttura del 
materiale d’archivio/, VIA, fasc. 2-3 (1992-93), p. 49-63. 


!! v. STOKOVIC, “Poslovne knjige”, cit., p. 88, nota 15. 


!2 R. CIGUI, “Catastici”, cit., p. 430; A. MICULIAN, “Agostino Valier. Chiese e confraternite di Buie 
nella seconda metà del XVI secolo“, AB, vol. I, p. 157-158. 


R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 79 


Infatti, verso la fine del XVIII secolo, in epoca “giuseppina”, ossia di 
Giuseppe I imperatore d’ Austria, seguirà la soppressione di alcune confrater- 
nite, ordinando il Podestà e Capitano di Capodistria Galeazzo Antelmi, preci- 
pitando la loro situazione patrimoniale e finanziaria, l’accorpamento delle 
confraternite momianesi, venendo di conseguenza ridotto il loro numero da 
dodici a tre. Rimasero così in piedi la Scuola di S. Martino, a cui venne 
affiancata l’amministrazione delle confraternite di S. Niccolò, S. Mauro, S. 
Pietro, S. Girolamo e S. Ruffo; l'amministratore della Scuola della Beata 
Vergine degl’Angeli si occupava pure delle associazioni di S. Rocco, mentre 
alla scuola di S. Giacomo di Berda vennero abbinate quelle di S. Maria 
Maddalena, SS. Trinità e Santi Giovanni e Paolo}. Contemporaneamente, a 
Valle si proporrà l'accorpamento delle ventisette scuole e la loro riduzione a 
sole cinque: la prima comprendente le confraternite del SS. Rosario, Beata 
Vergine del Carmine, S. Antonio da Padova, S. Mattio, Beato Giuliano, S. 
Giacomo e Chiesa Matrice; la seconda quelle di S. Mauro, S. Salvator, Madona 
Picola, S. Martin, S. Elena, S. Vido, S. Michiel, S. Maria Madalena, S. Andrea, 
S. Antonio Abbate, Madona Grande; la terza abbracciava i confratelli di S. 
Elia, S. Pietro, S. Gervasio, S. Nicolò, S. Benedetto, Spirito Santo, SS. Sacra- 
mento. Mentre costituivano confraternite a parte quella di S. Francesco Eliseo 
a Carmedo e S. Croce nella villa di Moncalvo!*. Ad Orsera, con la “sistema- 
zione Contarini“ del 1793 le confraternite vennero riunite in una sola entità 
amministrativa “ per minor dispendio“ *. A San Lorenzo del Pasenatico 
risultando impossibile riunire l’ amministrazione in un’unica entità, vista la 
distanza tra le varie località sedi di confraternite, ”’che renderebbe difficile la 
buona amministrazione in una unica figura”, si propose l’eventuale istituzione 
di due cariche rifondate con una retribuzione pari al sei per cento delle 
rispettive rendite annue, a cui affidare l’ amministrazione delle vicine scuole 
della beata Vergine del Santissimo Rosario, di S. Lucia e di S. Leonardo, e le 
rimanenti cinque nella villa di Mompaderno!?. A Pinguente si pensava all’abo- 
lizione di tutti i gastaldi, visto che la molteplice presenza di questi amministra- 


13 {BIDEM, p. 431-432. 
14 Archivio di stato di Trieste (=AST), “AAI.1797-1813. Fondo confraternite” b. 3, f. 398. 
!5 JBIDEM, f. 515. 


I 
ù IBIDEM, £. 513. 


80 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


tori risultava improduttiva, ragion per cui si propose l'istituzione di un'esattore 
riservato all’amministrazione delle sole scuole del Castello e del territorio, un 
altro a cui riservare la cura della confraternita dell'Oratorio, “uno da quella di 
Strana”, ed altri per ogni località del territorio "da elegersi dalle rispetive 
vicinie”!. A Montona si propose l’istituzione di un’unica amministrazione 
associativa per parrocchia, visto lo stato miserabile“ in cui esse vennero a 
trovarsi, “per levare ogni Abuso e arbitrio praticati dalla molteplicità degli 
amministratori" e, viste la numerose scuole di Visignano, la riduzione del 
numero degli amministratori: uno per la Scuola del SS. Sacramento, un altro 
riservato alle Scuole del Rosario, Ogni Santi e S. Simon, un terzo a quelle di S. 
Marco, S. Antonio e S. Vito, nonché S. Margherita, ed infine l’addetto a 
Madonna di Subiente, Madonna delle Porte, S. Ciprian e S. Bortolamio"*. Gli 
amministratori delle Scuole Laiche dignanesi, Giannandrea della Zonca e 
Francesco Bradamante giudicavano che ”non solo inutile si rende la moltipli- 
cazione di tante scuole e fraterne (quali abusi e lapidazioni di tali Pie fonda- 
zioni siano state fatte inadietro è cosa notoria...), ma che senza pregiudicare 
le disposizioni de fondatori, si potrebbe semplificare l’amministrazione loro 
col ridurle in una sola o al più due scuole, operazione che diminuendo gli 
amministratori, diminuirebbe pure la spesa sotto diversi rapporti, e rendereb- 
be più cauta, e più facile la sopraintendenza e direzione della rispettiva 
Superiorità Locale, quale dovrebbe auere sennon la scelta, almeno una effica- 
ce influenza nella elezione dei rispettivi ministri o Gastaldi, che per difetto di 
probità, o di sufficienza finora mal versavano le depauperate rendite surifferi- 
te“ !. Esempi eloquenti di diffuso malcontento e di una situazione economica 
e patrimoniale complessivamente non brillante. Degenerazione che proseguirà 
in epoca napoleonica. I decreti napoleonici del 26 maggio 1805 e del 26 aprile 
1806 (‘sopra le Confraternite e le Fabbricerie‘*) e la risoluzione della Direzione 
delle Province Illiriche del 15 aprile 1811 decreteranno l’abolizione di tutte le 
confraternite, ad eccezione di quelle dedicate al SS. Sacramento e alla Congre- 
gazione delle anime del Purgatorio, le cui “rendite potessero essere sufficienti 
al mantenimento del divin culto nelle chiese“, erronea supposizione denun- 


!? IBIDEM, f. 527-531. 

18 IBIDEM, f. 559. 

!9 IBIDEM, f.r 6, Dignano. 

20 AST “LR. Governo del Litorale 81814-1 850) - Atti generali, Fondo di confraternite”, b. 680. 


R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 81 


ciata nel 1814 dall'allora vescovo parentino mons. Francesco Polesini. La sua 
amministrazione fu affidata a rispettivi laici fabbricieri?!. 

Con la successiva restaurazione austriaca, la diffusione di queste forme 
associative riprese con nuovo vigore”, Tuttavia, solo quella del SS. Sacramen- 
to resisteva con una sua dignità, le altre si erano arenate “nel devozionismo 
estrinseco e rituale trovando nelle processioni folcloristiche o nelle esequie 
solenni di un confratello una giustificazione di sopravvivenza”” . 

Agli inizi del XX secolo se ne rilevava ancora un numero notevole, ed anzi 
si registrava pure qualche nuova fondazione”*. 


Gli statuti” 


Nello studio delle confraternite, come si è già accennato l’interesse degli 
studiosi è stato finora indirizzato per lo più agli atti di carattere normativo e 
statutario: testi di carattere generale, regole papali, statuti e capitoli regolanti 
la disciplina interna alle associazioni, che si diffondono fin dall’età medievale. 
Ed è dunque fin dalla loro nascita che vengono definite le regole generali a cui 
i confratelli dovevano attenersi: libera facoltà di associazione, svincolata 
dunque da qualsivoglia patto o condizione, partecipazione alle festività dome- 


2! IBIDEM, b. 680 


22 Qualche esempio soltanto, con riferimento al Buiese, che vide la costituzione dei sodalizi della 
Beata Vergine Maria a S. Lorenzo di Daila nel 1825, dell’ Immacolata B.V.M. di Momiano, del Sacro Cuore 
di Gesù a Umago nel 1879, e della Madonna del Carmine, nel 1919, ancora a Umago. Si veda a proposito R. 
CIGUI, “ Nomi e luoghi di San Lorenzo di Daila“, ACRSR, vol XXVI (1996), p. 289; IDEM, “Lo statuto”, 
cit., p. 100; Archivio parrocchiale di Momiano, “Statuti della Pia Confraternita dell’Immacolata B.V.M. che 
si venera presso Momiano“. Si ringrazia a proposito il parroco don Antonio Prodan per la gentile collabora- 
zione. 


23 P_ZOVATTO, “Cattolici e cristianesimo in Istria tra ‘800 e ‘900%, Istria religiosa, Trieste, 1989, p. 46. 
24 Si veda a proposito la nota 12. 


25 Accenniamo in questa sede a d alcuni Statuti consultati: Archivio parrocchiale di Momiano (APM), 
“Statuti della Pia Confraternita dell’Immacolata B.M.V.; Archivio parrocchiale di Umago (APU), “Statuto 
normale per la Confraternita di S. Andrea nella Chiesa parrocchiale di Umago compilato nell’anno 1908“; 
APU, “Libro della Regola della Confraternita del SS. Sacramento ‘“ (1555); Archivio diplomatico di Trieste 
(ADT), “Mariegola della Confraternita di Sant'Andrea di Capodistria“ (1574); AST, “Statuto della Confra- 
terna in Onore di S. Giorgio nella Parrochia di Pinguente “ AST, “Statuto normale per la Confraternita del 
Santissimo sacramento in Isola‘. Si ringraziano perciò i parroci di Momiano e di Umago, don Antonio Prodan 
e don Sergije Jelenic, il sig. Renzo Arcon della Biblioteca civica di Trieste ed il personale addetto alla sala 
di lettura dell'Archivio di stato triestino per la gentile collaborazione. 


82 R. CIGUI - D. VISINTIN, Congizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


nicali ed apostoliche, alle processioni, alle esequie di un confratello, versamen- 
ti a favore dei poveri, visitare e vegliare i confratelli infermi, pregare ed onorare 
i Santi, comunicarsi una volta all’anno almeno, vivere in pace e comunanza 
d’intenti9, dotare le confraternite con i lasciti testamentari?”, il periodico 
ricordo dei confratelli defunti, l'esclusione di talune categorie di peccatori”, di 
soldati e talvolta di famigli o servi di signori locali nonché delle donne e del 
clero usuraio e concubinario, i requisiti necessari all’associazione (età, profes- 
sione, ecc.)??. Alcuni statuti quattrocenteschi stabiliscono il condono dei con- 
tribuenti pecuniari e non abbienti, ed allo stesso tempo assistiamo all’inclusio- 
ne di norme che prevedono l’adesione di nuove categorie di soci; i nobili, esenti 
dalle normali “facion‘, salvo alcuni limitati obblighi di pietà personale e 
sociale, in cambio del versamento di una quota d’ingresso e di oneri finanziari 
superiori a quelli degli altri confratelli, mentre anche l’ingresso dei sacerdoti 
poteva avvenire a condizioni speciali, la celebrazione delle messe in suffragio. 
Se da un lato si afferma il principio francescano di uguaglianza, percui nessuno 
doveva essere escluso, d’altra parte le confraternite continueranno ad essere 
arrocate internamente ad un rigido differenziazionismo e gerarchizzate?. 

Il già citato Agostino Valier, nel corso della sua visita apostolica, annotava 
nel 1580 alcune confraternite in possesso di vari documenti e norme statuta- 
rie?!. Possiamo perciò supporre che le altre o erano rette da antiche norme 
consuetudinarie, oppure era venuta meno la conservazione archivistica. 

Generalmente, pure le confraternite istriane dovevano sottostare a delle 
normative interne comuni: ciascuna di esse doveva risiedere in una chiesa o 
presso un oratorio pubblico o semipubblico, disponeva di un altare, una 
cappella, un edificio di culto in cui svolgere le funzioni religiose, dell’assisten- 
za spirituale di un prete secolare o spirituale, la denominazione veniva desunta 


26 Si veda ad esempio lo statuto dei Battuti di Cividale del Friuli, uno dei più antichi tra i cosiddetti 
Disciplinati, risalente al 1290, in P.CAMMAROSANO, op. cit., p. 252-253. 


27 Così ad esempio lo statuto dei Disciplini di S. Maria Maddalena di Bergamo, del 1336, in P. 
CAMMAROSANO, op. cit., p. 253. 


28 Giuseppina DE SANDRE GASPARINI ( a cura di ), “Statuti e confraternite religiose di Padova nel 
Medio evo”, Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, Padova, vol. VI (1971), p. 27. 


2° IBIDEM, p. 30. 
30 JBIDEM, p. 44-48. 
3! R. CIGUI, “Le confraternite”, cir., p. 164; A MICULIAN, “ Agostino Valier”, cit., p. 157-158. 


R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 8 


dagli attributi di Cristo, le festività legate al culto dei Santi e della Madonna, e 
dalle finalità che la confraternita si prefigurava. Si vietava la costituzione di più 
confraternite aventi lo stesso titolo o finalità in una medesima località, vi 
partecipavano tutti i cattolici incensurati o non iscritti a sette proibite e condan- 
nate dalla Chiesa, potevano tenere assemblee, attribuire cariche ed amministra- 
re beni immobili. A tale amministrazione erano obbligati i gastaldi, di regola 
eletti annualmente internamente tra gli affiliati, e retribuiti con le rendite, i 
canoni, le decime in natura”. Doveva trattarsi di persona onesta di “buona 
fama et coscientia‘“, operosa ed incline ad opere “che siano et riescono in 
laude et gloria della diuina Magiestà, pieno di carità et buono esempio uerso 
il prossimo “, capace di rispettare “con ogni diligentia quello che a detto officio 
si appartiene “ e godere del rispetto dei confratelli”. 

Questi dovevano vivere un’esemplare vita cristiana, non trascurando i 
sacramenti della confessione e della comunione, recitare le preghiere nei giorni 
prestabiliti, conseguendo talvolta le indulgenze, e vivere una vita di tutto 
rispetto e moralmente dignitosa, portare il viatico e visitare periodicamente 
infermi, lavorare gratuitamente 1 fondi agricoli del sodalizio, pena le sanzioni 
pecuniarie, accompagnare all’eterna dimora i confratelli, obbedire ai superiori, 
ecc.** Per entrare a far parte della Confraternita, si necessitava dell’ assenso dei 
genitori o tutori, o bisognava avere per lo meno vent'anni di età. Talvolta la 
stessa attività lavorativa era condizionata dall’adesione alla Confraternita. S. 
Andrea, come si sa, è il santo patrono dei pescatori, per cui l'omonima 
confraternita capodistriana sosteneva che “ciascheduno, Terriero e forestiero 
che uorrà habitare in questa città con alcuna arte di pescare” era obbligato ad 
iscriversi alla stessa, o contrariamente a versare alla stessa “soldi 24 all’anno”, 
pena la confisca dei beni”. 

A presiedere le confraternite era di solito il parroco locale, affiancato o 
sostituito nelle funzioni presidenziali, rappresentative e gestionali della società, da 
altri funzionari: il già citato gastaldo, il direttore, il cassiere, il segretario, ecc.*, di 


3? AST, “AAI 1797-1813. Fondo confraternite”, b. 3, f. 540. 

33 R. CIGUI, “ Lo statuto”, cir., p. 102. 

3 IBIDEM, p. 102, 105 e seg., cap. II-XTII; A. MICULIAN, “ Lo statuto”, cit., p. 487-489, cap. III- VI. 
35 “ Mariegola”, cit, cap. IX. 


36 R. CIGUI, “Lo statuto”, cif., p. 101 e 105. IDEM, “Le confraternite”, cit.”, p. 165 e 167; A. 
MICULIAN, “ Lo statuto”, cit., p. 487. 


(isa R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI 2001, p. 75-135 


solito appartenenti a famiglie agiate”’, che in questo modo controllavano 
l’assetto societario, l’attività, i fondi e gli introiti che potevano così venire 
incanalati secondo i loro interessi. Ed il parroco stesso apparteneva a una 
famiglia dell’alta società locale, la quale in questo modo si assicurava pure il 
controllo del patrimonio ecclesiastico e delle confraternite. 

Dette scuole o confraternite erano soggette all’autofinanziamento, al ver- 
samento delle quote annuali sociali — rateali per i meno abbienti —, alle 
elemosine, alle prestazioni lavorative gratuite ed a dotazioni in natura e di 
immobili da parte degli aderenti, dalla gestione dei fondi ad esse pervenute, 
prestiti e mutui. Così lo statuto della Confraternita di S. Andrea ad Umago: 

“La confraternita farà fronte alle spese per funerali, funzioni, l'acquisto 
di cere, attrezzi, ec.c, cogl’introiti derivanti dall’annuale contribuzione degli 
iscritti, cogl’interessi dei capitali confraternali, nonché col reddito dei fondi 
che le venissero lasciati dai fedeli”? . 

Sempre ad Umago, così si esprimeva la regola della Confraternita del SS. 
Sacramento: 

“La manutenzione di detta scuola dipende dal diligente governo delle sue 
vigne”. Ed all’annuale contributo dei soci l’omonima confraternita di Isola 
affiancava “propij beni — fondi i quali le daranno annualmente il reddito di 
oltre 200 fiorini ‘°°, 

A Capodistria, presso la confraternita di S. Andrea, il confratello 


‘ 


‘era 
tenuto ed obbligato a conferire annualmente una lira di olio all’anno, et questo 
per far che tutto il tempo dell’anno sia un luminare davanti l’altare de M. santo 
Andrea à laude e riuerenza del quale habbia sempre di ardere” . 

Tutte le entrate e gli introiti associativi venivano registrati negli appositi 
libri contabili, ed il tutto veniva annualmente rendicontato ed i beni inventaria- 
ti, di modo che, se le Confraternite cessavano di esistere, gli immobili ed i 
mobili diventavano di proprietà della Chiesa parrocchiale, e gli amministratori 
autorizzati a spendere quote minime, per il resto si necessitava del consenso 


dei vari Capitoli o assemblee. 


37 A. APOLLONIO, L'Istria veneta dal 1797 al 1813, Istituto Regionale per la Cultura Istriana, 
Trieste, 1998, p. 106. 


38 APU, “Statuto di S. Andrea”, cit., cap. III. 
39 APU, “Statuto del SS Sacramento”, cit., cap. VIII. 
4 AST, “Statuto normale per la confraternita...”, cit., cap. VI. 


4LAST; “ Mariegola“, cit., cap. Il. 


R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ani, vol XXX, 2001, p. 75-135 85 


Eventuali debiti a carico dei confratelli venivano restituiti entro un mese, 
con possibili proroghe*?. 


Proprietà, rendite e spese 


Fin dall'età medievale i beni di proprietà privata, delle chiese, dei mona- 
steri, delle comunità, delle confraternite, ecc., venivano registrati in apposite 
pergamene a cartolari vari, registri notarili, libri censuari, catastici e simili che 
danno un’idea circa il loro assetto patrimoniale e territoriale, presentando 
molteplici notizie circa la loro posizione territoriale, descrizioni geografiche e 
toponomastiche, generalità dei proprietari, livellari o affittuari vari. 

Un'importante fonte di reddito era rappresentata dalla proprietà dovuta ai 
lasciti testamentari, per alcuni studiosi forse la fonte d’entrata più importante. 
I lasciti contemplavano una clausola in base alla quale le confraternite erano 
obbligate a officiare un determinato numero di messe per la salvezza dell’ ani- 
ma del defunto, riscuotendo così redditi in denaro e beni stabili‘. Gli studi ed 
i riferimenti a disposizione testimoniano di proprietà fondiarie in mano alle 
confraternite istriane a partire dal XVI secolo, non escludendo precedenti 
possessi finora non riscontrati‘. Si diffondono vari quinternetti, libri, catastici, 
carte e fogli sparsi, documenti, fascicoli ed indicazioni varie relative alle 
proprietà ecclesiastiche e delle confraternite, la loro disponibilità di capitali e 
le transazioni a cui essi erano soggetti (affitti, livelli, praude, ecc.), il tutto 
conservato e raccolto agli inizi della cosiddetta seconda dominazione austria- 
ca; materiale che può fornirci una completa e straordinaria visione della 
ricchezza patrimoniale che circolava nelle mani della chiesa e delle associazio- 
ni laiche qui considerate”. 


42 IBIDEM, cap.V. 


4 D. MILOTTI, “Le campagne del Buiese nella prima metà del ‘600%, ACRSR, vol. XI (1980-81), 
258-259. 


4 IBIDEM, p. 258-259 e 292; R. CIGUI, “Catastici”, cit., p.430-452; IDEM, ” Le confraternite”, cit., 
p. 163; R. CIGUI-D.VISINTIN, “Nota di quelli che tengono beni stabelli in raggion della Mag.ca città di 
Buie e della Chiesa di S. Servolo“*, ACRSR, vol. XXIX (1999), p 452; A. MICULIAN, “Agostino Valier”, 
cit., p. 157-158. Per un’esame circa le proprietà e le rendite delle confraternite istriane, si consiglia pure di 
consultare La Provincia dell’Istria, cit., a. X, 1876, n. 8, p.9, edi titoli citati nella nota 2. 


4 AST, “Archivio della commissione provinciale dell’Istria . Inventario dei Libri e Carteesistenti nella 
Casa di abitazione dell’ex sub Delegato Si. Gio: Vincenzo Benini, che viene assunto da me Sotto Scritto 


86 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, At, vol XXX), 2001, p. 75-135 


Si tratta di tutta una serie di arativi nudi, case, edifici vari, mulini, vigne 
semplici, vigne olivate, baredi, pascoli, prati, boschi, pastini, ecc., che dette 
confraternite affittavano o cedevano a livello affrancabile, talvolta pluridecen- 
nale, ricavando consistenti somme di denaro. Diffuso soprattutto quest’ultimo: 
infatti se affiancato a compravendita, esso stava ad indicare in effetti un mutuo 
ad interesse, pari di solito al 6 %‘°. Alla fine del XVIII secolo la famiglia del 
q. Bernardin d’Ambrosi doveva “capitale di livello verso la Scuola del SS. 
Sacramento I. 70. Pro’ dell’anno corrente 1.10” ed ancora “capital di livello 
verso la Scola del SS. Sacramento sopra il prato in Varlon l. 170. Pro’ corsi I. 
40‘. Le confraternite si configuravano sempre più come associazioni dalle 
finalità spirituali ed assistenziali, ma anche quali importanti organismi econo- 
mici dalle funzioni creditizie, con cospicui capitali erogati, con le dovute 
garanzie ed assicurazioni varie, ai soci economicamente più attivi ed impegnati 
nell’espansione della loro ricchezza patrimoniale e della loro ascesa sociale 
all’interno delle varie comunità. 

I libri contabili evidenziano la vasta gamma di interventi economici e 
sociali, di verbali elettorali, di resoconti dell’annuale attività, di affittanze, di 
compravendite e dell’ attività creditizia. Le confraternite dunque praticavano 
tutta una serie di attività economiche e transazioni, talvolta accompagnate da 
malversazioni, in cui le autorità preposte cercarono di mettere ordine e vari 
controlli, imponendo l’elaborazione dei catastici per disporre in tal modo di 
relazioni ed esami dettagliati circa la situazione economica e patrimoniale delle 
confraternite*. Chiaramente la Serenissima tendeva a controllare in ogni modo 
la forza economica da esse rappresentata e dai rispettivi iscritti ed a conoscerne 
l’attività complessiva, il volume degli affari e delle transazioni, la consistenza 
patrimoniale: ancora nel 1659 “li Gastaldi erano in dovere di render conto alla 


relativamente agli Inviti 22 e 26 novembre 1813, avuti dal Sig.° Stefano de’ Rin, Direttore del Regio Demanio 
conservato in questa provincia dell’Istria che furono assentiti dall’Imperial Regia provisoria Commissione 
Provinciale come segue“, f. 5-45. 


4 D. VISINTIN, “Paesaggio agrario e organizzazione produttiva nellecampagnedel Buiese nel primo 
Ottocento”, ACRSR, vol. XXVII (1997), p. 615-616; IDEM, “Alcuni modi di circolazione della ricchezza a 
Buie nel XVIII sec.”, AB, vol. I (1999), p. 255. 


47 Archivio storico di Pisino (ASP), “Protocolli Notarili Domino Sebastian Barbo,, b. 55, fasc. 206. 
Processetto di carte scritte n, ventidue nel quale si contiene un inventario della Faccoltà tutta di ragione del 
q. D.no Bernardin d’ Ambrosi, con notte distinte delle debiti e crediti, nonche la divisione seguitta, e come 
meglio dalle carte in questo esistenti il tutto agl’anni 1788-1787”, c.10 e 12. 


48 Si veda l'esempio di Torre in V. STOKOVIC, “Poslovne knjige”, cir., p. 93-94. 


R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, At, voL XXXI, 2001, p. 75-135 HE 


fine dell’anno di ogni rendita appartenente alle scuole, scosse o non scosse”, 
contrariamente erano costretti “di riffonder in proprio“. Un primo esame 
delle entrate e delle uscite delle confraternite istriane, il censimento delle 
“Scuole et confraterne della Provincia per commissione dell’Ecc.mo Senato “ 
con relative entrate ed uscite, era stato ordinato ancora nel 1675 dall’allora 
podestà e capitano di Capodistria Lorenzo Donato”. 

Nel 1872 l’albonese Tomaso Luciani pubblicava il “Prospetto delle scuole 
laiche ed ecclesiastiche dell’Istria e delle loro rendite nel 1741””", con riferi- 
mento però alla sola Istria veneta e rifacendosi all’indagine ordinata dal 
Podestà e Capitano di Capodistria Paolo Condulmer. Vennero allora notificate 
604 confraternite attive nell’Istria veneta”. Risulta che alla metà del secolo le 
rendite annue ammontassero a 127079 lire e 7 soldi, di cui 43759 lire e 17 soldi 
a titolo di livelli affrancabili annui dovuti agli interessi ricavati su di una somma 
pari a 709320 lire”. 

Allo stato attuale della ricerca disponiamo di tutta una serie di documenti 
attraverso i quali si è in grado di presentare l’entità delle rendite e conseguenti 
uscite relative a 648 confraternite istriane’*, considerando sia la parte veneta 


49 AST, "Atti amministrativi dell’Istria 1797-1813.Fondo confraternite. Scuole nella Terra e Distretto 
di Grisignana”, b.9, f. 485. 


50 La Provincia dell'Istria, cit., a. X, 1 febbraio 1876, n.. 3, p. 1875. 


5! IBIDEM, 1872, n. 18-23, settembre-dicembre. Tale studio è stato ripreso da 1. ERCEG, "Broj i 
financijsko stanje bratovStina u Istri (1741)*, VHARA vol. XXVI, p. 103-123. Gli autori hanno considerato 
un documento rinvenuto all’ Archivio di stato di Venezia ( Frari ), Senato I ( Secreta ) FA, 259 ( Fte. 
Deliberatione del Senato da Settemb. sino tutto Febbraio 1741 — Rettori : ‘“ Scuole della Provincia dell'Istria 
— Nota della Rendita Annua delle venerande Scuole di questa Città, Prouincia, e suoi Territori], diuisa dà 
quella dipendente dà Capitali di Soldo concesso a Liuello francabile, con la corrisponsione del sei per cento, 
giusto al praticato in questa Prouincia. Il tutto raccolto dall’Illustrissimo, et Eccellentissimo signore Paolo 
Condulmer Podestà, e Capitanio ‘“). 


52 IBIDEM, p. 603. 
53 IBIDEM, p. 104. 


54 AST, “AAI. 1797-1813. Rendite e spese annue di confraternite istriane”, b. 3: i f. 398, documento 
datato Valle 19 luglio 1797, 533, “Foglio che dimostra la Rendita, Spesa, Avanzo e Discapito delle Scuole 
del Castello, e territorio di Pinguente, come risulta da rispettivi Libri, e resa de’ Conti degli esattori dell’anno 
1796"; f. 450, “Foglio dimostrativo l’annual Entrata certa, ed incerta ad un diprezzo, nonché l’annua spesa 
ordinaria di tutte le scuole Laiche esistenti nel Castello, e Territorio di Muggia, conformato colla scorta de 
Libri di esse scoleda me infrascritto Pub.co Scrivano della Med.ma"; f. 454, “Specifica di tutte le Scuole di 
Valle con rendita “; f. 456, “ Foglio dimostrativo il. N. de’ Luoghi Pij esistenti in gta. Terra (Grisignana, n.d.a.) 
e sua Giurisdizione con la Rendita, uscita e cassa rispetivi de” medesimi come segue”; f. 459, “Le Scuole 
della Terra di Albona, e delle quattro soggette Parrocchie del Territorio ascendono al numero di 28”; f. 464, 
“Note esate delle Scuole Laiche di questa Città e territorio di Parenzo“; f. 478-481, “Scuole di Portole“; f. 
483-489, “Nota Specifica di tutti gli Ospitali e di tutte le Scuole Laiche di questa Città e suo Territorio nonche 


88 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


che quella austriaca, alla fine del XVIII secolo. In appendice presentiamo i 
risultati finali, limitandoci qui ad alcune considerazioni e conclusioni soltanto. 
Innanzitutto le cifre complessive: 202185:19 lire di rendita e 180145:5 lire di 
spese; un’attività dunque attiva pari ad una somma che si aggira sul valore 
approssimativo di 22000 lire. Confrontate tali rendite con quelle di mezzo 
secolo prima — si conteggiavano allora 44 confraternite in meno- le cifre di fine 
secolo sono superiori per un valore pari al 37 %, e del 12 per cento rispetto alla 
successiva disamina asburgica, interessata pure all’entità patrimoniale delle 
confraternite istriane ed alla loro situazione finanziaria. L’ Austria, nel registrare 
l’attività finanziaria delle confraternite, annoterà nel 1804 una loro rendita annua 
ammontante a 178636 lire venete e 5 soldi, con un aumento pari al 28,86 % 
superiore alla somma di sei decenni addietro, ed un guadagno netto, regolate le 
uscite, di 55975 lire e 5 soldi”. Alcune istituzioni indicavano dei passivi, altre però 
presentavano uno status economico tutto sommato positivo. In quello stesso anno, 
con decreto del 28 agosto’, la Monarchia asburgica prescrisse, perseguendo la 
strada veneziana, la necessaria tenuta dei registri ed aggravi delle Scuole laiche e 
delle Chiese con il supporto di formulari prescritti dalle autorità. 


un Sumario ristretto delle Loro rendite ed un Stato esato della loro respettiva Cassa dell’epoca del di primo 
luglio anno corrente come prescrive rispettabile Ordine di detta Ces. Reg. direzione Politica e Comando 
Provisorio esecutivamente et ossequiendo comando del ces. reg. Gpverno Provisorio dell'Istria”; f. 493-504, 
“Foglio Dimostrativo Le Rendite tutte di queste Scole laiche di Isola suoi Beni Stabili, Nomi degli affittuali, 
e respettive scadenze delle Affittanze e come entro In ordine Ad Ossequiato Comandamento di questa 
Cesarea Ragion Superiorità Locale di Prima instanza Relativamente Ad espresso sovrano Comando dell’In- 
clito Cesareo regio Governo Provisorio dela Provincia del’Istria‘; f. 506, “Confraternite di Dignano”; f. 513, 
“Confraternite di S. Lorenzo del Pasenatico‘ con annessi f. 516 e 517; f. 515, “Scuole di Orsera“; f. 522 — 
525, “Scuole di Cittanova, Torre e Verteneglio“; f. 527-531, “Scuole di disciplina e Regolamento per il buon 
andamento avvenire delle Scuole di Pinguente, territorio e capitaniato*; f. 535, “Foglio che dimostra la 
Rendita,, Spesa, Consegna à Sucessori, Avanzo netto e discapito delle Scuole delli Castelli, e Ville di Raspo 
trato da Libri manegi degl’esatori dell’anno 1796*“; f. 536, “Scuole di Buie“*; f. 540, “Scuole di Umago*“; f. 
545-558, “Scuole di Rovigno“; f. 559, “Scuole di Montona “; f. 580, “ Scuole di Capodistria e territorio“; f. 
596, “Confraternite di Visignano“*; f. 599, “Scuole della villa di Mondellebotte“; f. 601, “Scuola di S. Michele 
sotto Terra‘; f. 603 Scuole della villa di Bercaz, Distretto di Montona“; f. 607, “Scuole di S. Domenica “; 
f. 610, “Scuole di Caldier*; f. 611, “Scuole di Novacco“, f. 613, “Scuole di Montreo“; f. 615, “Scuole di S. 
Vidal (Distretto del Castel di Montona )‘; f. 616, “Scuole della contrada Cerion ( Distretto di Montona ){‘; f. 
618, “Scuole di S. Zuanne di Sterna”; f. 619, “Scuole di Rappanel ( Rappavel )*; b. 9, f. 497, “Foglio che 
dimostra anche in Summazrio lo stato attivo e passivo, cioè Rendite certe, incerte e le spese di cadauna delle 
tre Scuole Laiche di Pirano"; f. 621, “Nota del fedel Ragionato Sr. Antonio Salveni tratta dai Pubb.i Registri 
di quanto deve annualmente riscuotere il Coll.° delle Scuole Laiche di Tutta la provincia e delle Somme che 
salvo errore di Consiglio rimane in credito il Coll.° stesso”; f. 698, “Scuole di Canfanaro”; f. 721, “Luoghi 
Pii di Pirano e del suo Territorio”. 


55 IBIDEM, p. 104. Si veda pure A. APOLLONIO, op. cit., p. 107. 
56 AST, “Atti amministrativi dell’Istria (A AI), 1797-1813. Fondo confraternite”, b. 164. 


R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 89 


A fine secolo la situazione finanziaria appariva tutto sommato positiva. In 
realtà, esaminando le singole aree geografiche, non era del tutto così. A Valle, 
ad esempio le scuole non presentavano perdite, le entrate ammontavano a 
3564.10 lire, le uscite a 1310 lire; avanzavano 2254 lire impegnate negli 
interventi di restauro alle chiese del territorio, ”/a maggior parte ridotte già 
indecenti e che minaciano di rouesciare se solecito non ui si presta il ristauro, 
al prouedimento di suppeletili, ed arredi sacri de quali molto abbisogna la 
Chiesa Matrice”. Così a Dignano: all’epoca i disavanzi della confraternita 
servivano alla manutenzione della Chiesa della Beata Vergine del Carmine, 
che fungeva provvisoriamente da Parrocchiale, funzione “che cesserà con la 
costruzione del nuovo Duomo, per cui non saranno più sufficienti le rendite”**. 
Nel territorio di Pola entrate ed uscite si equivalevano, ed all’atto della rendi- 
contazione soltanto all’Ospitale risultava esserci in cassa un utile pari a 200 
lire. Qui le cause vanno ricercate nel fatto che “diverse scuole possiedono 
piante olivarie. Sono dieci e più anni che il raccolto di tale prodotto in queste 
parti è scarsissimo con un doppio discapito alle scuole, perdita dell’entrata, e 
spesa certa per dover comprare l’oglio per consumo delle lampade. Il prezzo 
dell’oglio, che pochi anni sono valeva soldi venti alla Libra, presentemente è 
duplicato a lire due alla libra. Anche la cera è molto accresciuta di prezzo. 
Ogni Scuola consuma il solito quantitativo di peso di cera, ma molto più del 
solito ammonta la spesa, per il suo maggiore importo.- Queste sono le vere 
ragioni in forza delle quali le Casse delle scuole sono esauste, senza poter fare 
ci vanzi perciò le spese sono sempre uguali all’entrate e alle volte maggiori”. 
Scriveva così Tiziano Vareton nel “Reg.to delle Scole Laiche di Pola e Suo 
territorio”. Situazione identica a Rovigno, dove quasi tutte le confraternite 
possedevano “alcuni pochi olivari sparsi per la Campagna da quali sogliono 
ritrare poco oglio per lo più non sufficiente ad illuminar le rispettive chiese in 
tutto il corso dell’anno”. A Momiano fra gli anni 1782 e 1788 si continuava 
ad incamerare sempre le stesse quantità di olio d’oliva, il cui valore si aggirava 
attorno alle 2 lire, toccando il minimo di una lira al cuplenico ed arrivando ad 


57 IBIDEM, p. 104. Non è chiaro comunque se l’autore consideri la sola Istria all’epoca ex veneta, 0 
faccia riferimento alle confraternite di tutta la penisola. 


58 AST, “ AAI 1797-1813. Rendite e spese di confraternite istriane.”, b. 3, f. 398, foglio datato Valle 
19 luglio 1797. 


59 IBIDEM, [. 36. 
60 /BIDEM, ”AAI 1797-1813. Rendite e spese delle confraternite istriane”, b. 3, f. 483-489. 


LI) R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


un massimo di 8 lire all’orna’'. In quegli stessi anni tanto il Pio ospitale quanto 
le confraternite piranesi indicavano notevoli rendite di olio d’oliva: il valore 
delle entrate per una somma complessiva era pari a L. 13757:4. Entrate che, 
escludendo il Pio ospitale, venivano annotate sotto la voce delle spese ed il cui 
valore corrispondeva a quello della somma riscossa. Le confraternite di Pola, 
Momiano e Pirano, appartenevano a territori oleari per eccellenza. Nel XVIII 
secolo la produzione olearia istriana, in conseguenza degli eventi climatici 
(gelate del 1709, 1715, 1755, 1782 e a cavallo tra il 1788-1789), subì notevoli 
flessioni; anni che ci interessano da vicino, ed in conseguenza dei quali disastri 
— nel 1794 si ebbe anche l’attacco della mosca olearia —, ci fu di riflesso una 
ricaduta negativa sulla situazione finanziaria delle confraternite istriane. Le 
confraternite di città risultavano disporre di introiti superiori a quelle di cam- 
pagna. A Isola tutte le confraternite presentavano qualche soldo in cassa, e le 
entrate dovute agli affitti ed ai livelli erano superiori all’importo delle spese 
annue da sostenere. L'andamento agricolo complessivo aveva nel bene e nel 
male un peso notevole nella gestione economica delle confraternite. Bastava 
una gelata o la siccità per rovinare il raccolto e le entrate delle confraternite, 
dei livellari ed affittuari o debitori vari, e di conseguenza le rispettive rendite. 
Nell’albonese erano ben poche le Scuole che potevano dimostrare una rendi- 
contazione positiva. ”Si noti bene, che colle carità de’ Divoti, e colle Fraterne, 
che vengono ascritte di anno in anno alle dette Scuole si viene a coprire il 
dippiù della Spesa...Introdotte poi erano da pocchi anni dall’Officio dell’ex 
Giud.e deleg.to sudd.o Le Decretazioni da tali Revisori colla contribuzione di 
I. 6:-4 per cadauna Scuola, dove oltre spese di Commandatore, di tansatione. 
Tali Decretazioni sembrano superflue ed aggravano molto la Cassa delle 
Scuole senza bisogno, e questa spesa superflua potrebbe esser diminuita”? 

Complessivamente, le entrate ed uscite maggiori si registravano nel Pinguen- 
tino con una sola confraternita operante in passivo. Soddisfacente pure lo stato 
delle cose nel territorio di Raspo, nonostante fossero venticinque le confrater- 
nite con le casse vuote al momento del passaggio d’amministrazione, e dodici 


©! IBIDEM, “AA1 1797-1813. Nota estesa di tutte le scuole Laiche ed Ospitali esistenti in questa Città 
e Terr.o col calcolo ristretto delle loro annue rendite e spese”, f. 545-558. Il valore del coplenico è pari a 56 
kg cfr. D. VISINTIN, “Paesaggio agrario”, cit., p. 603; Z. HERKOV, “K upljenik — stara hrvatska mjera” /Il 
coplenico — antica misura croata/, VHARP, vol. XX VI (1971), p. 215-260. Con riferimento alle misure di 
capacità momianesi per l’olio d'oliva cfr. D. VISINTIN, "Contributo all'antica metrologia del Buiese“, 
ACRSR, vol. XXVIII (1998). 


62 R. CIGUI, “Catastici” cir., p.452-466; D. VISINTIN, “Paesaggio agrario”, cir., p. 588-589. 


R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 91 


quelle con entrate inferiori alle uscite. Nel Grisignanese, tutte le associazioni 
dimostravano contanti in deposito all’atto del passaggio delle consegne ammi- 
nistrative, nove quelle con rendita annua positiva. Non brillava la situazione 
delle confraternite umaghesi: le facoltà erano “disposte in perpetuo dalli qualli 
i Gastaldi erigono le rendite o i canoni e in Decima de grani et una i livelli 
sono ad quinquennium” 3. Generalmente le entrate maggiori venivano riscosse 
nella seconda parte dell’anno. 

Le entrate erano dovute a beni in natura, elemosine, affitti, livelli, decime 
in natura. Con le uscite si sopperiva alla manutenzione degli edifici sacri, alle 
sante messe e spese varie per il culto. Si provvedeva a retribuire il predicatore 
e gli amministratori, il sagrestano, il campanaro, l’organista, il capitolo, i 
“torchieri”, alle decime del clero, all’assistenza ai poveri ed al medico loro 
riservato. Si dotavano gli ospedali, il Ragionato revisore ed il Collegio delle 
scuole pie di Capodistria. Tutte queste provvidenze amministrative ed onorarie 
gravavano le casse delle confraternite, talvolta peggiorando la loro situazione 
finanziaria. A proposito del citato Collegio delle scuole pie di Capodistria, anzi 
Collegio dei nobili di Capodistria, esso venne fondato nel 1675. Affidato ai PP. 
Pieristi fu riservato all'educazione ed istruzione della gioventù istriana, friula- 
na e dalmata, nonché di altre nazioni. I mezzi furono garantiti dalla Cassa 
Regia, dal Fondaco e dal Monte di Pietà; non bastando questi, si ricorse alla 
tassazione di tutte le scuole laiche capodistriane e della provincia. A Grisigna- 
na le confraternite disponevano di tre case lasciate con pubblico testamento fin 
dal 1646 da tale Arviano a beneficio delle famiglie povere, mentre la capodi- 
striana confraternita di S. Antonio Abbate dotava annualmente quattro povere 
fanciulle con trenta fiorini circa a testa”. 

A fine secolo dunque la situazione non era delle migliori. Quali i motivi? 
Proviamo a ipotizzarne qualcuno. C'era una deficienza finanziaria, le rendite 
si assottigliavano, vi erano malversazioni e malgoverni da parte degli ammini- 
stratori, debiti da riscuotere, taluni affittuari non onoravano i loro obblighi e 
s’impossessavano dei fondi delle associazioni. Aumentavano gli obblighi e gli 
oneri finanziari, gli edifici di culto da esse amministrati necessitavano di 
interventi; si notavano loro proprietà incolte ed in stato di abbandono. I soci 
cominciavano a defilarsi. A Buie”molte scuole si ritrovano con uno, due o tre 


63 AST, “AAI 1797-1813: Le Scuole della terra di Albona, e delle quattro soggette Parrocchie del 
Territorio ascendono al numero di 28”, b. 3, f. 459. 
64 AAI, 1797-1813, Scuole di Umago, p. 545-558. 


92 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


fratelli e altre addirittura senza confratelli”. Logica conseguenza la fusione di 
queste in “dodici al più, toltene le principali della Collegiata, del Santissimo 
Sacramento, e del Suffragio, demolindo quelle poche chiese che sono rese per 
il tempo e per mancanza d’utile indecenti, e cadenti, ed incapaci d’Officiatu- 
re”. Rendite e capitali venivano spesi, sovente, in feste e pranzi, spese queste 
vietate dalle Terminazioni venete. Ci sembra di cogliere un atteggiamento di 
sfiducia verso queste associazioni che all’epoca manifestavano un’interesse 
maggiore verso attività tutt'altro che religiose ed assistenziali. 

L'Austria si accorse che le rendite delle Scuole possidenti venivano 
consumate nella provvista degli “apprestamenti per il culto‘ o nei lavori delle 
terre redditizie, dalle quali si ricavavano notevoli guadagni. Perciò, tutte le 
rendite delle Scuole possidenti venivano “insensibilmente consumate senza 
costrutto, 0 per pagar il lusso, e l'emulazione, o per mala amministrazione “ 
per cui si pensava se non sarebbe forse stato meglio che le facoltà fondiarie di 
queste scuole venissero incamerate e vendute al pubblico incanto, con l’evi- 
dente speranza di ricavare da ciò notevoli somme d'’utile impiego’. Nel 1805, 
IR. Capitanato Provinciale dell'Istria, pronunciandosi in merito all’assenza 
in Istria di un’istituto “a solievo de’ poveri“, riportava una nota dettagliata 
relativa alle Scuole laiche ed alla loro amministrazione. Veniamo così a 
conoscenza che ‘“/e Scuole laiche di tutta la Provincia comprese quelle nei 
Distretti delle dodeci giurisdizioni private sono complessivamente in numero 
di 673”. Di queste, più della metà risultavano essere proprietarie di fondi 
agricoli, “ quanto fabriche e Capitoli censuarj”. Le altre, nullatenenti, si 
mantenevano in vita solamente con il sostegno dei confratelli e della carità dei 
devoti”. Nelle località maggiori, nei centri urbani per intenderci, a capo 
dell’amministrazione si trovavano i praticanti le varie arti e mestieri, o espo- 
nenti del ceto mercantile, in parole povere i cosiddetti “nuovi ricchi“, le 
persone che si erano fatte da sé, e che aspiravano ad un posto al sole nella 
gerarchia sociale locale. Diversa la realtà del contado, in cui all’amministra- 
zione delle confraternite erano chiamati gli stessi villici, “ignari dal saper 
leggere, e scrivere”®. 


65 AST, ”AAI 1797-1813. Luoghi Pij...”, b. 3, f. 458; /B/DEM, “I.R. Governo del Litorale. Atti 
generali ( 1814-1850 ). All’eccelso Imp. Reg. Governo del Litorale Austriaco residente a Trieste”, b. 696. 


96 AST, ” AAI 1795-1813.Rendite e spese delle confraternite istriane “, b. 3, f. 536. 
67 IBIDEM, b. 164. 
68 /BIDEM, b. 164, f. 339-342. 


R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 BV 


Fu in questa situazione che si arrivò al decreto napoleonico di scioglimen- 
to delle confraternite istriane e di incameramento dei rispettivi beni da parte del 
Demanio. Si intaccava così una serie di organismi costituenti una fitta rete di 
relazioni economiche e sociali che disponevano di capitali ingenti e vaste entità 
patrimoniali, le quali assicuravano sostegni economici, ascese sociali e presti- 
gio a singole famiglie aderenti. La loro abolizione colpiva tutta questa rete di 
interessi tradizionali, ed il malcapitato provvedimento napoleonico genererà 
una serie di malcontenti e persino sommosse popolari. A tale stato di cose si 
cercherà di ovviare mantenendo in vita o creando ex novo le confraternite del 
SS. Sacramento, celebrando con rinnovato vigore le feste religiose e le ricor- 
renze ecclesiastiche locali’. L’intento dunque non era di colpire il carattere 
culturale tradizionale e religioso locale, bensì di sconvolgere il tessuto tradizio- 
nale della società istriana incamerando i capitali ed i beni delle confraternite. 

Gli Uffici Demaniali si trovarono allora a dover riscuotere affitti, decime, 
livelli, crediti e debiti vari che in precedenza spettavano alla confraternite, 
dovendo esigere per legge la riscossione immediata dei capitali concessi in 
prestito, per indirizzarli ed investirli al Monte Napoleone di Milano. Per questo 
motivo si avranno delle ribellioni, trattandosi di operazioni di mutuo spesso 
originate in tempi lontanissimi. Per placare gli animi, si decise la sospensione 
del provvedimento”. E nei vani incamerati sapevano ritrovarsi gli appartenenti 
alle Società segrete. Così a Capodistria, dove venne ridotto a proposito il locale 
della confraternita di S. Antonio Abbate”'. 

Lentamente, il ruolo delle confraternite veniva meno, soccombendo così 
di fronte al nuovo vento che soffiava dalla Francia, e che smantellava tutto ciò 
che apparteneva alla società dell’ antico regime. Ripristinata l’autorità austria- 
ca nella penisola i poteri politici locali inviarono alle autorità ecclesiastiche una 
serie di questionari con cui si voleva sapere dell’esistenza nelle varie parroc- 
chie di Confraternite o Scuole laiche non soppresse, né tantomeno avocate al 
Demanio. Queste, come appare chiaramente dal nostro testo, non avevano 
alcuna ingerenza diretta nella gestione economico-finanziaria delle confrater- 
nite, riservata ai gastaldi, quindi, ed il vescovo Polesini lo sottolinea decisa- 
mente: “i! Clero di ogni grado, limitato all’esercizio delle sacre funzioni non 


6° 1BIDEM, b. 164, f. 44°. 
70 A. APOLLONIO, op. cit., p. 215. 
7? IBIDEM, p.215. 


d R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


aveva, come non ha ingerenza nella economia delle Chiese, né possede li titoli, 
li documenti, e li registri del fattosi impiego delle rendite delle quali si 
tratta”. Ciononostante, sia l’alto che il basso clero si impegneranno nell’as- 
sicurare qualsiasi notizia utile alle autorità civili in relazione ai quesiti di loro 
interesse. Ben poco comunque si riuscì a ricavare con tali questionari. Tra le 
soppresse scuole capodistriane, i cui beni vennero incamerati, la confraternita 
di S. Antonio Abate si vide incamerare dal Demanio vari proventi livellari ed 
i mezzi ricavati dall’affitto di tre case abitate, nonché l’annua rendita di 1000 
fiorini. Alla confraternita di S. Nicolò, detta “dei Marineri“ era stato tolto il 
ricavato dall’affitto dello squero, vari livelli censuari e l’annua rendita pari a 
40 fiorini. Tra affittanze e livelli, il Demanio incassava pure i 120 fiorini annui 
spettanti alla Scuola della Beata vergine dei Servi, i proventi livellari della 
Scuola di S. Barbara, nonché affitti e livelli della Scuola di S. Andrea Aposto- 
lo”?. Delle confraternite di Cittanova, quella della Beata vergine del Rosario 
non possedeva alcun immobile; vennero però incamerati i suoi livelli. Passa- 
rono al Demanio otto giornate di arativi, olivi compresi, un orto sito in 
prossimità della cappella di S. Pietro, un fondo incolto ”in loco detto Carbo- 
nera“, appartenenti alle accorpate confraternite di S. Lucia, S. Pietro e S. 
Antonio Abate. Identica la sorte dei beni appartenenti all’Ospizio amministrato 
dai Padri Predicatori: due orti contigui all'edificio, un campo a fianco della 
Chiesa ospitale, altri sette campi fruttiferi, olivati e vitati, un arativo vitato pari 
ad una giornata d’aratura, un fondo boschivo ed incolto. Incamerate pure le 
rendite ricavate sopra tali beni, edificio escluso, che ammontavano alla somma 
di 552 franchi all’anno, ossia 223 fiorini”*. All'epoca l’edificio versava in gravi 
condizioni e necessitava di interventi di restauro. 

Varie saranno le suppliche con cui i diversi capi contrada locali e le 
cittadinanze si rivolgeranno alle autorità austriache per ripristinare le confrater- 
nite soppresse, intendendo sia quelle represse con il decreto napoleonico che 
quelle discioltesi per mancanza di soci. Tali manifestazioni popolari di fede e di 


72 AST, “I. R. Governo del Litorale (1814-1850). Atti generali. All’eccelso Imp. Reg. Governo del 
Litorale Austriaco residente a Trieste", b. 696. 


73 AST, “LR. Governo del Litorale (1814-1850). Atti generali- Affari di culto”, b.680. Nota del vescovo 
di Parenzo Francesco Marchese Polesini: “Rapporto poi alle Congregazioni o Confrateme soppresse” (Isola); 
“Quesiti sopra le Congregazioni e Confraterne soppresse” (Capodistria ); “Quadro Indi viduante le Confra- 
temite, Loro Beni, Ospizio, Rendite annue di detti beni, natura, ed attuale impiego dell’Ospizio, il tutto di 
questo Capo Comune di Cittanova, stato Avocato a’ Demanio sotto i l cessato Governo Francese”, b. 696. 


74 AST, "I. R. Govemo (1814-1850). Atti generali. Quesiti sopra le congregazioni e confraterne 
soppresse“. 


R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 95 


devozione saranno considerate ancora utili e necessarie alle finalità religiose. 

I beni delle confraternite verranno riuniti in un Fondo ed utilizzati dagli 
Austriaci per la manutenzione degli edifici di culto, per opere di assistenza e di 
beneficenza, per il sostegno dell’istruzione pubblica, per varie necessità socia- 
li. Gli immobili verranno venduti, si riscuoteranno i crediti, apportando così 
un’utilità pubblica di gran lunga superiore a quella ottenuta nel periodo prece- 
dente. Il 31 maggio 1845 l’I.R. Governo del Litorale ordinava lo scioglimento 
del Fondo delle confraternite del Litorale, stabilendo che la sostanza fosse 
assegnata in parti uguali alle chiese, alle scuole ed ai poveri dei comuni nei 
quali in precedenza erano esistite le confraternite. I beni furono presi in 
amministrazione dai rappresentanti delle autorità comunali ed ecclesiastiche”. 

Spirava un vento nuovo anche nella Monarchia asburgica: con le “Leggi 
sull’esonero del suolo“ vennero aboliti, dietro indennizzo, i residui gravami 
feudali, si diffondeva e consolidava il capitalismo agrario. Il sentimento reli- 
gioso della popolazione non venne meno, sapendosi conservare le cerimonie 
religiose tradizionali, accentuando il culto dei Santi Patroni, continuando la 
cura e la manutenzione degli edifici di culto gestiti in precedenza dalle confra- 
ternite La pluricentenaria stagione delle confraternite, salvo qualche sporadica 
eccezione, era giunta al capolinea, conservandosi soltanto la memoria delle 
antiche tradizioni religiose da esse gelosamente custodite e passate ai posteri, 
dimenticando gli intrecci e gli interessi materiali da esse gestiti per lungo 
tempo, diventati successivamente patrimonio di altre istituzioni sociali. 

Quanto presentato ci consente di avere almeno un’idea del ruolo e dell’at- 
tività assistenziale, religiosa, pubblica ed economico-finanziaria di tali asso- 
ciazioni laiche che in taluni periodi storici inglobavano, praticamente, tutta o 
quasi la popolazione istriana, controllandone i vari aspetti di vita. Ed, indub- 
biamente, fondamentale è stato il loro ruolo nell’ascesa e nell’affermazione 
economica e sociale di singole famiglie a livello locale. Inoltre, è stato decisivo 
il sostegno dato allo sviluppo sociale ed economico delle singole realtà locali 
e dell’area istriana nel suo complesso, talvolta sostituendosi allo stesso potere 
politico-amministrativo. 


75 IBIDEM, ”L.R. Governo. Atti generali (1814-1850). Fondi di confraternite”: “Quadro Indivi duante 
le Confraternite, Loro beni, Ospizio, Rendite annue di detti Beni, natura, ed attuale impiego dell’Ospizio, il 


tutto di questo Capo Comune di Cittanova, stato Avocato a’ Demanio sotto il cessato Governo Francese”, b. 
696. 





























% R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Attî, vol XXXI, 2001, p. 75-135 
CASTELLI E VILLE DI RASPO 
ROZZO 
SCUOLA RENDITA SPESA CONSEGNA A 
SUCCESSORI 

Sn. Bortolamio 529: 18 471: 11 58:7 
S.a Lucia 555:2 141:18 - 

B.V. del Rosario 148:12 129:1 19:11 
SS.mo Sacramento 199:13 86:2 50: - 

Sn. Anto Abbe 272. 192: 8 78:14 
B.V. Natta 287: 8 224:15 62:13 
Sn. Toma 350: 9 ZTS:1 7522 

Sn. Mauro 430: - 290:4 80: - 

S.a Ellena 74:18 58:3 16:15 
Sn. Clemente 121:4 56:8 64:16 
Sn. Zuane 83:18 1973 4: 15 

Sn. Andrea 37847 232: 7 60: - 

Sn. Rocco 23: 15 13:4 10: 11 
Sn. Bastian 176: 10 120: 14 IDO 

S.a Marina 162:8 118: 16 43: 12 
Sn. Zorzi 301: 6 159: 2 60: - 

Sn. Pietro 231:7 137: 1 94: 6 
Carita’ IZ: 17 84: 10 - 
Ospitale 93:5 83:15 9:10 
No 19 L. 4486: 19 / 2954: 19 843: 18 





R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 

















































































































DRAGUCH 

S.a Croce 120:3 99:16 4: 
SS.Lucia e Catta 73:5 52:16 4: 
L’anime del Purgato- 52518 21:15 - 
rio 

SS. Fabian e Seba- 410:10 254:13 - 
stian 

Sn. Anto: Abbe 227:14 79:17 14: 
Sn. Silvestro 41:15 37:4 4:11 
Sn. Eliseo 92:6 56:13 5 
Sn. Rocco 69:16 SZ 11:13 
B. Vergine 210:13 210:13 - 
Sn. Marco 73:4 69:11 - 
B.V. Rosario 110:1 78:- 32:- 
N.011 1482:- 1013:15 69:5 
VERCH 

B.Vergine 965:11 948:18 - 
SS.o Sacramento 273:18 L59519: - 
Sn. Ciriaco 64:- 181:16 - 
Sn.Ant.o Abbe 197:2 162:15 S 
N.04 1790:11 1449:8 - 
COLMO 

Sn.Girolamo 424:6 184:16 239:10 
Sn. Clemente 268:1 200: 1 68:- 
Sn.Anto: Abbe Sil. 49:14 - 
Sn. Anto:di Padua 102:- 55:6 30:- 
B. Vergine 392:8 182:1 50:- 
Sn. Mattio 25:19 252 - 
SS.mo Sacramento 126:4 44:3 40:- 
Sn. Rocco 48:5 40:4 - 
N.08 1438:5 781:7 427:10 























I] R. CIGUI - D. 


VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Ati, voll XXX], 2001, p. 75-135 

































































































































































SOVIGNACO 
B.V. del Rosario 492:8 295:19 228:6 
SS.mo Sacramento 275:4 210:10 84:2 
Sn. Zorzi 295:12 314:6 - 
Sn. Steffano 148:18 96:14 - 
S.a Ellena 159:14 173:15 - 
N.0 5 1371:16 1091:4 312:8 
VILLE DEL CARSO 
LANISCHIE 
Sn. Cancian 689:14 438:11 24:- 
B.V. del Rosario 104:19 104:19 Te 
PODGACHIE 
SS. Rocco e Ana 117:1 76:6 40:16 
Sn. Nicolo’ 152 100:17 - 
PRAPORCHIE 
S.a Croce 268:2 171:7 120:- 
Sn. Anto: di Padua 49:9 61:3 - 
RACICUAS 
S.a Ellena 63:12 62:13 - | 
B. Vergine 4l:- 69:5 - | 
SLUM 
Sn. Stefano 65:14 65:3 - 
| Sn.Mattio 90:2 87:13 - 5 
BREST 
fissa Trinita” l 562:15 246:18 48:- 











R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemnite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 9 























































































































UENOSCHIACH 
| S.a Catterina 27:18 63:15 - | 
SOTTO RASPO 
| Sn. Nicolo” 199:19 130:6 50:- | 
TERSTENICO 
S.a Lucia 80:12 128:17 - | 
BERGODAZ 
Sn. Luca 326:7 196:1 130:6 
N.0 15 2762:6 2003:12 420:2 
VALLE 
SCUOLA ANNUO INTROITO | ANNUA USCITA |N.o CONFRATELLI 
SS.mo Sacramento 246:11 94:17 16 
S. Mattio 109:9 86:7 - 
S. Antonio 224 46:12 10 
Chiesa Maggior 390:17 74:1 - 
Beato Giuliano 291:14 100:- 10 
SS.mo Rosario 81:7 30:10 10 
|_B.a Vergine del Carmine 30:12 1355 4 
Maddona Piccola 64:12 34:2 2 
S. Elia 41:7 19:3 9 
S. Elena 34:18 24:18 3 
S. Maria Madalena 46:7 38:7 9 
S. Martino 29:4 16:10 2 
S. Croce 67:19 27:16 | 
S. Michiel 19:12 11:- ] 
S. Vido 1:16 ueruna Il 
S. Nicolo’ di Tolentino 29:9 22:13 2 
S. Andrea 24:12 21:19 l 
S. Pietro 64:14 34:1 ] 




















100 R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 











































































































S. Benedetto 467:9 104:2 13 
S. Antonio Abate 174:11 87: 30 
Maddona Grande 340 81:11 9 
S. Mauro 263:19 78:8 13 
S. Franco: Basilio 208:19 58:14 n) 
S. Saluador 126:5 40:16 7 
S. Giaccomo 170:6 99:18 - 
S. Giorgio 12: ueruna l 
S. Geruasio 203:9 62:17 9 
In tutte N.0 27 3564:10 1310:1 

PINGUENTE 

SCUOLA RENDITA SPESA AVVANZO 
Chiesa Maggiore 1189:13 1189:13 È 
B. V. del Rosario 331:14 320:18 10:16 
S. Zuanne 542:18 540:1 Ze1:7 
S. Spirito 462:10 392:8 70:2 
SS.mo Sacramento 373:4 370:9 2:15 
SS.ma Trinita’ 238:1 310:13 - 
SS.mi Vito e Biasio 310:19 310:19 - 
S. Martino 214:3 192:5 21:18 
S. Pietro e Carita’ 538: 247:12 290:8 
S. Ulderico e Ognissanti 92:3 92:3 - 
S. Donato di 208: 11 158:18 : 49:13 
S. Andrea 213:7 185:6 28:1 
B.V. di Strana 559:17 536:12 235 
Oratorio e S. Alo” 1486:4 1428:12 57:12 
Ospitale 40:15 34: 6:15 
Summa N.0 15 608 1:19 6310:9 564:2 

















R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle anfraternite istriane, Atti, voL XXXI 2001, p. 75-135 


GRISIGNANA E TERRITORIO 


101 








































































































SCUOLA ENTRATA USCITA CASSA PNTE 
S. Niccolo” 109:15 113:10 53:3:6 
B.V. Domo e Bastian 331:13:6 224:-:- 270:14:- 
S. Marco 34:13:6 35: 14:8:- 
S. Florian 141:3:- 141:14:- 53:2:- 
SS.mo 30:16:- 172:8:- 30:4:- 
S. Martin 103:13:- 94:-:- 39:18:6 
Carita” 156:12:6 226:15:- 56:14:- 
SS.Cosmo e Damian 157:12:- 231:7:6 27:6:- 
S. Biasio 244:18:- 256:9 265:7 
S. Zuanne 32:13:6 3lili- 15:18:6 
SS. Vito e Modesto | 103:12:- 88:6:- 47:71: 
S. Rocco 58:12:6 57:18:- 29:2:6 
Fattoria 166:13:6 155:14:- 61:3:6 
Nome di Dio e Rosa- 58:10 110:2:- 33:7:6 
rio 
S. Zorzi da Villanova 26:18:- 32:14: 2:16:- 
SS.mo 12:16:6 Ali -:19:6 
Beata Vergine 274:19:- 261:8:6 161:16:- 
N.0 17 2045:8:6 2273:6:6 1163:8:6 
POLA E TERRITORIO 
POLA 
SCUOLA RENDITA ANNUA SPESA ANNUA 
Un Ospital 981 900:1 
Sn. Tomaso 836 836:- 
Sn. Steffano 202 202:- 
Sn. Ant. Abbate 430 430:- 
SS.mo Sacramento 1300 1300:- 
Sn. Ant. Da Padoua 497 497:- 
B.V. della Carita” 382 382:- 
B.V. della Misericordia 402 402:- 

















102 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni elle confraternite istriane, Att, vol XXXI, 2001, p. 75-135 

















































































































Sn. Rocco 89 89:- 
B.V. del Rosario 608 608:- 
Sn. Niccolo’ 60 60:- 
N.0 11 5787 5706:1 
STIGNAN 

Sn. Ant.o0 da Padoua SZI 521: 
S.ta Margarita 285 285:- 
N.0 2 806 806:- 
FASAN 

Sn. Zuane 176 176:- 
Crocefisso 202 202:- 
SS.mo Sacramento 332 332:- 
B.V. del Carmine 136 136:- 
SS.ti Cosma e Damiano 56 56:- 
B.V. del Rosario 1100 1100:- 
Sn. Andrea 43 43:- 
N.0 7 2045 2045:- 
BRIONI 

SS.mo Sacramento x 7:- 
Sn. Rocco 3 3:- 
N.0 2 10 10:- 
PEROI 

Sn. Girolamo Dl 71 
N.0 1 71 71 
GALESSAN 

Sagrestia 40 40:- 
Sn. Ant.o Ab.te 233 233:- 
Sn. Rocco 510 510: 


























R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 108 
































































































































B.V. del Rosario 273 273: 
S.ta Croce 96 96:- 
Sn. Mauro 105 105:- 
B.V. del Carso 57 57:- 
N.0 7 1314 1314:- 
LAVARIGO 

SS.mo Sacramento 80 80:- 
S. Fior 376 376:- 
N.0 2 456 456:- 
MONTICHIO 

Sn. Girolamo 48 48: 
B.V. di Castagne 141 141:- 
N.0 2 189 189:- 
ALTURA 

Sn. Zuanne 137 137: 
Sn. Ant.o da Padoua 252 252: 
B.V. del Carmine 46 46:- 
B.V. del Rosario 82 82:- 
N.0 4 517 517: 
MARZANA 

Sn. Zuane 156 156:- 
SS.mo Sacramento 160 160:- 
B.V. del Carmine 330 330:- 
Sn. Ant.o da Padoua 309 309:- 
SS.ti Pietro e Paolo | ISI 151: 
N.0 5 1106 1106:- 

















104 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle cunfratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 














































































































MORMORAN 

Sn. Ant.o Abate 182 182: 
Sagrestia 221 221: 
SS.mo Sacramento 50 50: 
Sn. Zuanne 53 53: 
Sn. Elia 152 152: 
S.ta M.a Madalena 10 10:- 
Sn. Michiel 132 132:- 
B.V. del Rosario 128 128:- 
Sn. Dionisio 35. 35:- 
N.09 963 963:- 
CARNIZZA 

SS.mo Sacramento 353 353: 
Sn. Ant.o da Padoua 197 197: 
Sn. Pietro 160 160:- 
B.V. del Carmine 845 845: 
Sn. Rocco 222: 222: 
Sn. Teodoro 95 95: 
N.0 6 1872 1872:- 
CAURAN 

Sn. Girolamo 36 36:- 
N.0 1 36 36:- 
SISSAN 

Sagrestia 371 371: 
SS.mo Sacramento 552 552: 
S.ta Monica 635 635 
B.V. del Rosario 392 352:- 
N.04 1910 1910:- 




















R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Am, vol XXX], 2001, p. 75-135 


105 


































































































LISSIGNAN 

Sn. Lorenzo 258 258 
Sn. Martino 282 282: 
B.V. del Monte 388 388:- 
N.0 3 928 928:- 
MEDOLIN 

B.V. di Piazza 132 132:- 
B.V. di Pompignan 172 172: 
S.ta Agnese 160 160:- 
Sn. Ant.o Ab.te 106 106:- 
N.04 570 570:- 
POMER 

Sn. Niccol’o 360 360:- 
SS.mo Sacramento 788 7188:- 
B.V. d’ Olmi 533 533: 
Sn. Fior 139 139:- 
N.0 4 1820 1820:- 
PROMONTORE 

Sn. Lorenzo 401 401:- 
B.V. del Rosario 307 307: 
N.0 2 708 708:- 

















106 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 




















ALBONA E TERRITORIO 

ALBONA 
SCUOLA RENDITA ANNUA SPESA ANNUA 
Scuola della B. Verg. 1967: c.a. 1870: c.a. 
Di Consolazione 
Scuola di Sant Andrea 372: c.a. 356: c.a. 
Scuola di San Zuanne 381: c.a. 374:c.a. 
Scuola di Sant’ Antonio 318: c.a 336: c.a 

da Padova 

Scuola del SS.mo Sacramento 606: c.a 793: c.a 


di g.sta Terra 





















































Scuola di San Giusto 93: c.a 137:c.a 
| Scuola del SS.mo Rosario 400: c.a . __540:c.a 
Scuola di San Sebastiano 37: c.a 110: c.a 
Scuola di San Biaggio 32: c.a 90: c.a 
Scuola della B.V. del 67: c.a 90: c.a 
| Carmine di q.sta Terra _ 
Scuola dello Spiritossanto me ca ee 130: c.a 
Scuola di San Rocco 37: c.a 110: c.a 
Scuola di Sant Agnese 159: c.a 180: c.a 
Scuola di San Salvador 80: c.a 120: c.a 
Scuola di Sant° Antonio 86: c.a 106: c.a 
in Domo 
Scuola di San Stefano 142: c.a 18l:c.a 
Scuola di Sant’ Angelo 135: c.a 154: c.a 
Custode 
Scuola di Sant° Antonio 118:c.a 148: c.a 
al Monte 








SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SAN MARTINO 





Scuola della B.V. della Salute 137: c.a 138: c.a 





Scuola del SS.mo Sacramen- 100: c.a 157: c.a 
to della d.ta Paroch.a 














Scuola di San Marco 97: c.a 90: c.a 





R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Amì, voL XXXL 201, p. 75-135 107 


SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SANTA DOMENICA 





Scuola della SS.ma Trinita’ 174: c.a 180: c.a 





Scuola del SS.mo Sacram.to 118: c.a 150: c.a 
di detta Paroch.a 

















SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SAN LORENZO 








Scuola della B. Vergine Nun- 210: c.a 154: c.a 
ziata 
Scuola del SS.mo Sacram.to 80: c.a 108: c.a 


di d.ta Parochia 





Scuola di Sant’ Antonio 63: c.a 86: c.a 

















SCUOLE DELLA PARROCCHIA DI SCHITAZZA 








Scuola della B. Vergine del 88: c.a 137: c.a 
Carmine 
Scuola di Santa Lucia 0: __ I _ 112: c.a 
_N.0 28 6204: c.a 7137: c.a 


UMAGO E TERRITORIO 


Scuole: S. Pelegrin, S. Cattarina, S. Stefano, S. Antonio di Padoua, SS.mo Sacramento, SS. 
mo Rosario, S. Michiel, S. Andrea, S. Benedetto, S. Nicolò, S. Bortolamio, S. Stefano di Re- 
trovia, S. Zuane Battista, Corpi Santi, S. Lorenzo in Daila, la Beata Vergine di Matterada, S. 
Rocco. 


Rendite certe 1673:17:6 

Rendite incerte 677:8 

Spese certe 1002:14 

Spese incerte | 947:10 

Nella visita di M.r Vescovo ogni tre anni in spesa certa 164:- 
In cassa sino li 7 corrente 1500:12 


Rendite del Pio Ospitale: 


Rendita certa annua 15:- 
Simile ad quinquenium l:- 


108 R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 


Rendite della Chiesa Parrocchiale Collegiata intitolata a S. Maria Maggior: 


Rendita certa annua: 547:17 
Simile ad quinquenium 1371:13 
Simile incerta dell’ anno 1795 

Primo feb.ro sino 31 Gennaro 1796 

di ragion Carità 367:11:6 
Simile incerta di ragion civanzi delle 

Scuole Laiche di q.sta Terra ed in parte 

del territorio dello ultimo anno spirato 


li 31 G.ro 1797 3173:2 
Totale: 2660:5:6 
Spese certe 522.11 
Simili ogni 3 anni per la visita di 

Monsignor Vescovo 96:- 
Simili incerte dell’ anno 1795 

p.mo feb. sino li 31 Genaro 1797 553:8 


Gg »|»;jw 


BUIE E TERRITORIO 





SCUOLA RENDITA SPESA ANNUA 


Chiesa Collegiata Parroc- 3420: c.a 2500: c.a 
chiale di S. Servolo della 


Terra di RI 











Scuola del Suffragio de’ 1036: c.a 900:c.a 
morti 
Scuola del SS.mo Sacramen- 800: c.a 790: c.a 


to nella Collegiata Chiesa 




















Scuola di San Pietro 190: c.a 80: c.a 
Scuola di San Paolo 226: c.a 86: c.a 
Scuola di S. Giovanni Batti- 107: c.a 53: c.a 
sta 

Scuola di San Rocco 28: c.a 2l:c.a 
Scuola della B. Vergine del 2257: Csa: 202: c.a 
Rosario 

Scuola Santa Croce 259: c.a 23l:c.a 

















Scuola S. Trinità 12l:c.a 78: c.a 





R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle anfratemite istriane, Atti, vol XXXI 2001, p. 75-135 


109 


































































































Scuola della B. Vergine del- 1100: c.a 1008: c.a 
la Povaz 

Scuola San Martino 24l:c.a 143:c.a 
Scuola S. Mar gharitta 190: c.a 112:c.a 
Scuola San Giacomo 2l:c.a 20: c.a 
Scuola San Sebastiano Tl:c.a 64: c.a 
Scuola di San Pelegrino 29: c.a 30:c.a 
Scuola San Eliseo 228: c.a 16l:c.a 
Scuola S. Lucia 82: c.a 58: c.a 
Scuola San Pietro 147: c.a 153: c.a 
Scuola Santa Maddalena 60: c.a 52:c.a 
Scuola S. Andrea 45: c.a 34: c.a 
Scuola S. Antonio 157: c.a 133: c.a 
Scuola S. Cattarina 122: c.a 70:c.a 
Scuola della B. Vergine del- 324: c.a 157: c.a 
le Vigne 

Scuola San Michiel 90: c.a 84: c.a 
Scuola S. Eufemia 73: c.a 56: c.a 
Scuola S. Cancian 200: c.a 106: c.a 
Scuola S. Maria Madallena 99: c.a 96: c.a 
Scuola S. Elena 261: c.a IO 7a 
Scuola S. Pelaggio 69: c.a T4: c.a 
Scuola della B. Vergine del- T6: c.a 65: c.a 
la Gradesca 

Scuola S. Stefano di Crasiza 300: c.a 144: c.a 
Scuola San Zorzi di Triban 160: c.a 179: c.a 
Scuole abbinate del SS.mo 192: c.a 189: c.a 
Sacramento 

Scuola S. Rocco di Triban 73: c.a 6l:c.a 
Scuola San Bortolamio 179: c.a 88: c.a 
Scuola San Niccolò 30: c.a 62: c.a 
Il Pio Ospitale esistente in 100: c.a 84:c.a 
Buje 

N.0 38 11.133: c.a 8551: c.a 








110 R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 75-135 


MONTONA E TERRITORIO 





SCUOLE 


ENTRATE 


SPESE 





Scuola della Beata Vergine 
delle Porte di Montona 


1176:1:6 


852:14 





Scuola del SS.mo Rosario di 
Montona 


491:9 


402:10 





Scuola del SS.mo Sacramen- 
to alla quale furono abbinate 
quelle della SS.ma Concezio- 
ne, S. Rocco, la Carita”, S. 
Francesco da Paola. 


2928:16 


2742:15 





Scuola del Pio Ospitale del 
Castello di Montona 


880:3 


17325112 





Scuola di S. Ciprian e S. 
| Bortolamio del Castello di 
Montona 


666:11 


386:15 





Scuola dei SS. Antonio e 
Vito del Castello di Montona 


276:1 


185:5 





Scuola della Beata V. di Su- 
bente del Castello di Monto- 
na 


192:18 


174:15 





Scuola di S.ta Margherita 
del Castello di Montona 


Scuola di S. Simon e Ognis- 
santi di Montona 





Scuola delli SS.mi Marco e 
Niccolo’ di Montona 





Scuola di S. Andrea della 
Villa di Caroiba 


Scuola di Tutti i Santi della 
Villa di Caroiba 


221:3 


333:9 





Scuola della Beata Vergine 
di Bado” distretto del territo- 
rio di Montona 


Scuola di S. Rocco di Raco- 
tole 


271: 








252:18 











N.0 19 





9156:14 











R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 11l 































































































DIGNANO E TERRITORIO 
SCUOLA ENTRATE USCITE 
Scuola del SS.mo Sacramen- 337:6 6990:- 
to 
SS.mo Rosario 371:1 284:10 
S. Lucia 17:6 - 
S. Rocco 20:10 28:17 
S. Francesco 31:3 21:4 
S. Croce 18:- 13:11 
S. Giacomo delle Tresiere 38:6 29:4 
S. Michiel di Panzago ___39:16 38:2 
S. Girolamo 66:16 1952 
S. Simon 30:18 15:11 
S. Martino 84:3 MOD: 
S. Pietro 32:12 26:3 
S.ta Domenica 37:17 24:2 
S. Giacomo del Monte 19: 19: 
S. Querino 200:17 166:6 
SS.mo Crocefisso 162:4 158:5 
S. Tomaso 19:6 22:14 
S. Antonio Abbate 167:5 79:15 
B. Vergine della Carita” 240:17 105:18 
B. Vergine della Trauersa 247:17 267:7 
S. Carlo 50:6 38:12 
S. Margarita 7:16 7:16 
Scuola di S. Giovanni Batti- 13267 329:- 
sta detta volgarmente dei 

Battudi in Dignano 

Beata Vergine del Carmine 709:7 S71:- 
S.Michiel di Bagnole 22:18 212 
S. Fosca 119:18 63:15 
La B. Vergine di Gosan 54:10 47: 
Le n.4 Scuola di Filippano 426:19 370:11 
di q.sto territorio 











112 R_CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Amii, voL XXXI, 2001, p. 75-135 





Un Ospitale il quale non ha 
entrata di sorte alcuna 










































































N.0 32 3707:2 2844:11 (1) 
1) non compresa la sopra dichiarata somma L. 6990 

ROVIGNO E TERRITORIO 
SCUOLE RENDITE SPESE 
Scuola della B.V. di pieta’, 10.058:9 4200:- 
con annessi 2 Ospitali, uno 
per gli uomini e |’ altro per 
le donne 
Scuola della B. V. del Carmi- 506:- 900:- 
ne 

| Scuola di S. Benedetto 48:6 69:- 
Scuola dei S.S. Francesco e 910:6 900:- 
Tommaso 
Scuola di S. Michiel Arcan- 197:12 200:- 
gelo 
Scuola di S. Pietro Appostolo 166:- 200:- 
Scuola di S. Euffemia di Sa- 120:- 120:- 
line 
Scuola del SS.mo Sacramen- 3121:12 3000:- 
to 
Scuola di S. Antonio Abbate 291:13 270:- 
Scuola di S. Rocco 120:- 150:- 
Scuola di S. Sebastiano 127:16 100:- 
Scuola della B.V. del Rosa- 491:7 420:- 
rio 
Scuola di S. Martino 92:- 100:- 
Scuola di S. Cristoforo 26:13:6 30:- 
Scuola dell’ Immacolata 139:1 150:- 
Concezione 
Scuola della Beata Vergine 977:3 927:10 
della Torre 
Scuola della B.V. della Neve 130:13 124: 
Scuola di S. Nicolo” de Mari- 264:4 300:- 





nari 

















R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, At, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


133 





Scuola di S. Cipriano 


109:- 


80:- 





Scuola di S. Bortolamio 


12: 


30:- 








Scuola di S. Brigida 





90:- 





72:- 








IN VILLA DI ROVIGNO 





sario 


Scuola della Beata V. del Ro- 


310:- 


240:- 





Scuola di S. Antonio Abbate 


350:- 


340:- 





Scuola di S. Cecilia 


92:- 


84:- 





to 


Scuola del SS.mo Sacramen- 


124:- 


150:- 








N.0 27 





18.875:15 





13.156:- 








CAPODISTRIA E TERRITORIO 


CAPODISTRIA 





SCUOLE 


RENDITE 


AGGRAVI 


RESTANO 





Pio Ospitale di S. 
Nazario calcolate in 
triennio 


13.401:2 


13.288:16:6 


112:15:6 





Sant Antonio Abate 


4233:11:6 


3839:12:6 


393:19:- 





Scuole abbinate San- 
ta Croce, SS.mo Sa- 
cramento, S. Giaco- 
mo, S. Sebastiano, S. 
Nazario, S. France- 
sco e SS.mo Nome 
di Giesu” 


4043:43 


228:9 


814:15 





Scuola di S. Andrea 


753:1:6 


799:10:6 


- 46:9 





Scuola di Santa Ma- 
ria Noua e Beata 
Vergine dei Servi 


1099:17:6 


1210:17:6 





Scuola di S. Niccolo’ 


973:12:6 


942:15 


30:17:6 





Scuola di S. Cristofo- 
ro e Santa Barbara 


940:13 


1099:13 


-159:- 





Scuola della B.V. 
della Rottonda 


188:15 


194:3 











N.0 16 


25.633:15 





24.603:15 





1031:6 











114 R CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istrane, Atti, voL XXXI, 2801, p. 75-135 




































































VILLA DE CANI 
Scuola del SS.mo Sa- 619:17 578:- 41:17 
cramento 
San Sebastiano 162:15 186:10 -23:15 
San Rocco 133:8 139:5 - 5:17 
Scuola del Comun 194:19 181:14 13:5 
Scuola B.V. della 294:6:6 299:9 9256 
Concezione 
Scuola di S. Leonar- 158:18 153:17 S:l 
do 
(N07 1564:3 1538:15 26:-:6 
VILLA DI OSPO 
Scuole di S. Pietro, S. 315:10 341:11:6 -26:1:6 
Luca e San Steffano 
Scuole di S. Tomaso, 288:19 305:12 - 16:13 
S. Rocco, B. Vergine 
N.0 6 604:9 647:3:6 40:14:6 
VILLA DI MONTE 
Scuola della B.V. 130:9 130:9 - 


della Concezione 





Scuola del SS.mo Sa- 140:17 138:5 Zal2: 
cramento e della 
B.V. del Rosario 



































Scuola di Sant” Anto- 135:18 130:7 Dal 
nio 

Scuola di S. Biasio 175:18 159:12 16:6 
N.0 5 583:2 558:13 23:19 
VILLA DI CUCIBRECH 

Santa Giustina 141:18:6 143:5:6 SZ 

















N.0 1 141:18:6 143:5:6 - 1:7 








R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


VILLA DI ANTIGNAN 


115 



























































































































































Scuola del SS.mo Sa- 275:11 277:3 - 1:12 

cramento abbinata a 

quella di S. Michiel 

Scuole di S. Biasio e 308:5 319:7 - 11:2 

S. Maria Madalenna 
| N04. i 583:16 596:10 12:14 
VILLA DI CUBERTON 

Scuola di San Loren- 321:2 186:16 134:6 

zo 

N.0 1 321:2 186:16 134:6 
VILLA DI GRADIGNA 

Scuola di S. Croce 261:17 262:9 -:12 

N.0 1 261:17 262:9 -:12 
VILLA DI TOPOLOVAZ 

Scuola di S. Girola- 256:19:6 258:16: 6- 1:17 

mo 

N.01 256:19:6 258:16:6 - 1:17 
VILLA S. PIETRO DELLA MATTA 

Scuola di S. Pietro 187:4 164:19 2255. 
N.0 1 187:4 164:19 22:5 
VILLA NOVA 

Scuola della B.V. 269:18 280:9 - 10:12 

del Rosario 

N.0 1 269:18 280:9 - 10:12 
VILLA DI GRACISCHIE 

Scuola di S. Niccolo’ 166:15 172:14 - 5:19 
N.0 1 166:15 172:14 - 5:19 


























116 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istrane, Aftî, voL XXXI, 2001, p. 75-135 









































































































































VILLA DI GASON 

Scuola di S. Pietro 197:10:6 21252 - 14:11:6 
N.01 197:10:6 212:2 - 14:11:6 
VILLA DI TERSECCO 

Santa Re 108:9:6 108:9:6 E 
N.0 1 108:9:6 108:9:6 - 
VILLA DI PEDENA 

Scuola di S. Cattarina 323:1 208:10 114:11 
N.01 323:1 208:10 114:11 
VILLA DI SORBARO 

Scuola di S. Lucia 123:3 1 13:19 9:4 
Scuola di S. Sebastia- 1 14:15 1 13:3 1:12 
no 

N.0 2 237:18 227:2 10:16 
VILLA DI FIGARIOLA 

Scuole di S.M. Mada- 131:7 152:2 - 20:15 
lena e Sant” Antonio 

N.0 2 131:7 152:2 - 20:15 
VILLA DI DOL 

Scuola di S. Zuanne 66:4 66:4 - 
N.0 1 66:4 66:4 - 
VILLA DI TREBESSE 

Scuola di S. Martin 74:16 76:3 - 1:7 

















N.01 74:16 76:3 - 1:7 











R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


117 




















































































































VILLA DIVALMOURASA 
Scuola della Beata 238:18 249:-:6 - 10:2:6 
Vergine 
S. Rocco 62:17 62:18 --i1 
Scuola S. Zorzi 72:19:6 73:-:1 - -:1:6 
Scuola di S. Pietro 90:10 88:18 1:12 
N.04 465:3:6 473:16 8:13 
VILLA DI MERISCHIE 
Scuola di S. Zuanne 134:6 74:9 59:17 
N.0 1 134:6 74:9 59:17 
VILLA DI CARCAUZE 
Scuole di S. Michiel, 948:19 741:4:6 207:15 
San Moro, S. Steffa- 
no e SS.mo Sacra- 
mento 
N.0 4 948:19 741:4:6 207:15 
VILLA DI SUANIGRAD 
Scuoledi S. Lucia e 222:17 218:1 4:16 
S. Steffano 
N.0 2 222:17 218:1 4:16 
VILLA DIMARESEGO 
Scuole di S. Croce, 216:11 221:11 - 5: 
Sant’ Antonio e del 
SS. Sacramento 
Scuole di S. Rocco, 169:1:6 179:3:6 -10:2 
SS.ti Giovanni e Pao- 
lo e Beata Vergine 
N.0 6 385:12:6 400:14:6 - 15:2 


























118 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


VILLA DI SANT’ ANTONIO 






































































































































Scuole di S. Rocco e 235:11 202:13 32:18 

S. Zuanne 

Scuole del SS.mo Sa- 457:6:- 412:10:6 44:15:6 

cramento e di Sant” 

Antonio 

N.0 4 692:17 615:3:6 77:13 
VILLA DIRACHITOVICH 

Scuola di Santa Cro- 195:12 176:11 19:1 

ce 

Scuola della Beata 64:6:6 62:2 2:4:6 

Vergine 

N.0 2 259:18:6 238:13 21:5:6 
VILLA DI BOSTE 
| Scuola di S. Nazario 190:15:6 201:16 - 11:-:6 

Scuola della B. Ver- 99:1 100:12 - 1:11 
| gine 

N.0 2 199:16:6 302:8 - 11:16 
VILLA DI COVEDO 

Scuola di S. Florian 297:9 379:16 -82 

Scuole della B. Ver- 131:17 113:] 18:16 
| gine e S. Sebastiano 

Scuola di S. Michiel 135:7 130:1 5:6 

N.04 564:13 622:18 58:9 
VILLA DI OSCURUS 

Scuola di S. Zorzi 91:3 91:6 - -:3 

N.0 1 91:3 91:6 - -:3 
VILLA DI XADIS 

Scuola di S. Martino 331:16 322:18 D 
N.0 1 331:16 322:18 9:2 





























R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni «elle confraternite istriane, Atti, voL XXXI 2001, p. 75-135 


119 























































































































VILLA DI LONCHE 

Scuola del SS.mo Sa- 137:6 135:12 1:14 

cramento 

Scuola della B. Ver- IT9 ST:11 - -:8 
| gine 

Scuola di S. Cecilia 247:8 205:14 41:14 

N.03 441:17 398:17 42:- 
VILLA DI GABROVIZZA 

Scuola di S. Niccolo’ 119:13 119:10 -:3 

N.0 1 119:13 119:10 -:3 
VILLA DI BASOVIZZA 

Scuola di S. Appolo- 89:6 89:8 - -:2 

nio 

Scuola della B. Ver- 256:12 251:19:6 4:12:6 
gine i 
N.0 2 345:18 341:7:6 4:14:6 
VILLA DI POPETRA 

Scuole della SS.ma 144:11 145:1 - -:10 
Trinita’ e di Sant’ 

Andrea 

N.0 2 144:11 145:1 - -:10 
VILLA DI POPECHIO 

Scuola di S. Rocco 74:2 72:- 2:2 
Scuola della B. Ver- 108:17 108:18 -:l 
gine 

Scuola dei SS.mi 98:8 97:4:6 1:3:6 
Giovanni e Paolo 

Scuola di Sant’ Elena 179:13 163:17 15:16 
N.04 461:- 442:1 19:5 

















1% R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle cnfratemite strane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 










































































VILLA DI CRISTOGLIA 

Scuola di S. Cattarina 99:18 91:14 8:4 
Scuola della SS:ma 153:5 127:19 25:6 
Trinita” 

Scuola di S. Sebastia- 87:3 85:7 1:16 
no 

Scuola di S. Marina 152:17 157:19 - 5:2 
Scuola di S. Marco 60:5 60:- -:5 
N.0 5 553:8 522:19 30:9 
VILLA DI PAUGNAN 

Scuola del SS.mo Sa- 72:16 73:16 l:- 
cramento 

Scuola della Beata 102:10 102:16 - -:6 
Vergine 

Scuola di S. Steffano 80:7:6 80:12:6 -:5 
Scuola di S. Zorzi 113:10:6 110:10:6 dea 
N.04 369:3:6 367:14:6 2:11 
VILLA DI COSTABONA 

Scuole del SS.mo Sa- 407:14:6 402:16:6 4:18 


cramento, Sant’ An- 
drea e San Leonardo 
































Scuola de’ SS.ti Co- 290:5 DITE 12:8 
sma e Damiano 

N.04 697:19:6 680:13:6 17:6 
VILLA DI PUZZOLE 

Scuola della Beata 118:2:- 133:3 - 15:1 
Vergine 

N.0 1 118:2:- 133:3 - 15:1 




















R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle comfratemnite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


221 
































































































































VILLA DI STERNA 

Scuola di S. Rocco 125:9 116:16 8:13 
Scuola di S. Cancian 242:11 207:7 35:4 
Scuola di S. Michiel 807:1 822:17 - 15:10 
N.0 3 1175:1 1147: 28:7 
VILLA DILAZARETTO 

Scuola della Beata 309:16 354:18 - 45:2 
Vergine 

Scuola di Santa Croce 256:14 274:8 - 17:14 
Scuola della Beata 127:2:6 148:7 - 21:4:6 
Vergine della Ruota 

N.0 3 693:12:6 777:13 - 84:-:6 
VILLA DI SCOFFIA 

Scuola di S. Mattio 125:11 140:17 - 15:6 
N.0 1 125:11 140:17 - 15:6 
VILLA DI ROSARIOL 

Scuole di San Seba- 117:-:6 117:2:- - -:1:6 
stiano e San Rocco 

Scuola di San Zorzi 86:- 86:6 - -:6 
Scuola di San Giaco- 126:3:6 126:10:- - -:6:6 
mo 

Scuola di San Grego- 132:10:6 132:16:6 - -:6 
rio 

N.0 5 461:13: 6462:14:6 - -:19:6 
VILLA DILAVERA 

Scuola di San Valen- 46:11 48:7 - 1:16 
tino che fu abbando- 

nata nell’ anno 1784 

N.01 46:11 48:7 - 1:16 











122 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istiane, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 75-135 


VILLA DI LUPAR 





Scuola di San Zorzi 
che fu abbandonata 
nel 1787 


44:18 


44:18 





Scuola di San Ruffo 
che fu abbandonata 
nel 1787 


79:6 


79:8 





N.0 2 








124:4 





124:6 











VILLA DI TRUSCHE 





Scuola della Beata 
Vergine che fu ab- 
bandonata nel 1781 


60:16 


60:16 





N.0 1 








60:16 





60:16 








CITTANOVA E TERRITORIO 


CITTANOVA 





Scuola del SS.mo Sacramen- 
to 


1100:- 


1000:- c.a 





Scuola di S. Pietro 


188:- 


235: 





Scuola della Beata Vergine 
del Rosario 


205:- 


179:- 





Scuola di S.ta Lucia, S. An- 
tonio da Padoua e S. Carlo 
di Cittanoua 


410:4 


270:- c.a 








N.0 6 





1903:4 





1684:- c.a 





SCUOLE DELLA VILLA DI TORRE GIURISDIZIONE DI CITTANOVA 





Scuola di S. Rocco di Torre 


81:18:6 


63:- 





Scuola della Beata Vergine 
del Carmine de Torre 


218:- c.a 


163:- c.a 





Scuola di S. Martino 


250:- 


210:- c.a 





Scuola di S. Croce 


100:- c.a 


71:- c.a 





Scuola di S. Pietro 


180:15 


66:9 c.a 








Scuola di S. Donato 





25:6 





28:10 c.a 














R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle cunfratemite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 


123 



















































































Scuola del SS.mo Sacramen- 260:- c.a 260:- c.a 
to 
N.0 8 1115:19 867:19 
SCUOLE DELLA VILLA DI VERTENEGLIO GIURISDIZIONE DI CITTANOVA 
Scuola di San Rocco 70:6 70:- c.a 
Scuola di San Zenon È 415:15 426:- 
Scuola di Sant’ Antonio 114:15 117:- c.a 
Scuola del Nome di Dio 100:- c.a lll:-c.a 
Scuola di Santo Spirito 55:10 - 63:- c.a 
Scuola dei Santi Ermagora e 45:- c.a 44:-c.a 
Fortunato _ 
Scuola di San Giovanni Bat- 52:17 c.a 47:- c.a 
tista L 
Scuola della Beata Vergine 83:15 c.a 84:- c.a 
di Nogaredo 
Scuola della Beata Vergine 123:- 133:- c.a 
del Rosario 
N.09 1060:18 1095:- c.a 
MUGGIA E TERRITORIO 
MUGGIA 
SCUOLA ENTRATA CERTA | ENTRATA INCERTA ANNUA SPESA 
ANNUA ANNUA ORDINARIA 
Scola Beata Vergine 640:5 200: c.a 700: c.a 
della Carita’ 
Scola SS.ti Giovanni 290:3 100: c.a 400: c.a 
e Paolo 
Scola Beata Vergine 223:5 200: c.a 400: c.a 
del Rosario 
Scola SS.mo Sacra- 274:6 274: c.a 600: c.a 
mento 
Scola SS.mo Croce- 247:18 122: c.a 300: c.a 
fisso 
Scola Beata Vergine 220:3 14:c.a 200: c.a 
della Concessione 
Scola S.n Francesco 108:10 30:10 120: c.a 























124 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI 2001, p. 75-135 


















































SCOLE TERRITORIO 

Scola Ogni Santi 137:3 42: 170: c.a 
Scola S.n Rocco 102:16 12:- 115:c.a 
Scola S.ma Lucia di 83:1 45: c.a 100: c.a 
Plavia 

Scola S.n Bortola- 62:6 19:4 80: c.a 
mio di Caretana 

Scola S.ta Catarina 304:10 51:143 Ti c.a 
Scola S.n Ruffo 242.11 48: c.a 183: c.a 
Scola S.n Sebastian 23:4 - 24: c.a 
Scola Beata Vergine l'I5:5 2 120: c.a 
di Muggia Vecchia 

Scola di S.n Giaco- 55:17 - 56: c.a 
mo 

Scola S.n Michiel 61:2 - 59: c.a 
Scola S.ta Fosca 4:12 - Si c.a 
Scola S.n Andrea 9:10 - 10: c.a 
Scola S.n Nicolo” 8:12 - 9: c.a 
Scola S.ta Brigida 26:10 - 217: c.a 
Scola S.n Bortola- 27:10 - 27: c.a 
mio di Valle 

N.0 22 3268:10 1158:8 3742:- 

















R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


125 





















































PARENZO E TERRITORIO 
SCUOLA RENDITE ANNUE SPESE ANNUE 
Ospitale de Poueri 1933:8 1824:- 
Chiesa Cattedrale e Scuola 977:- 955:14 
di Sant’ Antonio Abbate 
Scuola SS.mo Sacramento 484:3 1380:8 
che ha annesse le Scuole del- 
li SS: Catarina e Sebbastiano 
nella Chiesa Cattedrale 
Scuola del SS.mo Rosario 126:- 413:14 
nella Chiesa Cattedrale 
Scuole de SS: Francesco e 377:6 363:2 
Girolamo nella Chiesa de Pa- 
dri Francescani de Minori 
Conventuali 
Scuola di S. Michiel della 125:3 132:6 
Villa di Monghebbo 
Scuola di S. Nicolo” di Mon- 116:3 100:8 
salege 
Scuola della B.V. del Rosa- 221:16 127:18 
rio di Dracevaz 
Scuola di S. Rocco di Fosco- 391:1 320:2 
lino che ha annessa la Scuo- 
la di Sant’ Anna 
Scuola della B.V. del Carmi- 264:2 144:6 
ne di Foscolino 
Scuola di S. Michiel della 344:- 301:18 
Villa di Fratta 
Scuola de SS.mi Pietro e 341:1:6 207:18 
Paolo della Parrocchiale di 
Sbandati 
Scuola della B. V. del Carmi- 165:- 99:6 
ne di Sbandati 
Scuola del SS.mo di Abrega 87:- 79:14 
Scuola di Sant” Antonio Ab- 165:10 104:4 
bate della Villa di Abrega 
Scuola della B.V. degl’ An- 206:12 183:18 


geli della Parrocchiale di 
Abrega 























126 R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Am, vol XXXI, 2001, p. 75-135 


























Scuola di S. Girolamo della 190:14:6 119:18 
Chiesa Parrocchiale di Villa- 

nova 

Scuola della B.V. del Carmi- 175:18 174:18 
ne di Villanova 

Scuola di S. Rocco della Par- 17551 170:18 
rocchiale di Villanova 

Scuola di Sant’ Antonio Ab- PIET 81:1 
bate di Villanova 

Scuola del SS.mo della Par- 1269:12 123:15 
rocchiale di Villanova 

N.0 24 8214:6 7409:6 





Vi e’ poi la Confraternita del Sufraggio e quella di S. Nicolo” de Marinari che si mantengono 
con la semplice carita’ de Confratelli. Il Capitale che rimane viene investito nel ripristino e 


rinnovo delle chiese. 












































PORTOLE 

SCUOLE ENTRATE SPESA ANNUA 
SS.mo Sacramento 300:15 280:9 
San Zorzi 200<<.- 187:- 
Santa Cecilia 354:19 300:- 
San Leonardo 117:3 106:8 
San Rocco 320:11 300:- 
San Grisogono 124:6 108:2 
Spirito Santo 111:9 107:- 
Sant’ Antonio da Padova 183:- 114:] 
Madona Noua 205:- 160:- 
SS.mo Rosario 120:- 104:10 
Santa Lucia 121:12 100:19 
B.V. degli Angeli 107:- 92:8 
N.0 12 2265:15 1960:17 




















R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 127 


SAN LORENZO DEL PASENATICO 




















































































































SCUOLE RENDITE ANNUE SPESE ANNUE 
Scuola Veneranda procuratia 1708:16 1600:- 
con annesse 16 scuole 

Scuola Beata Vergine e 391:- 340: 
SS.mo Rosario 

Scuola detta S. Lucia 374:12 c.a 297: c.a 
Scuola di S. Leonardo 497: 273: c.a 
N.0 21 2971:8 2510:- 
MOMPADERNO 

Scuola Beata Vergine della- 221:1 220:- c.a 
Mad.na Grande 

Scuola B. Vergine SS.mo 228:9 210:- 
Rosario 

Scuola SS.mo Sacramento 264:14 450:- c.a 
Scuola di S.to Antonio 466:- 500:- c.a 
di Padoua 

Scuola S.n Silvestro 328: 370:- c.a 
N.0 5 1508:4 1750:- 
ORSERA 

ANNO ENTRATE USCITE STATO DI CASSA 
1794-1795-1796 18.532:11 16.296:10 2236 
TOTALE 18.532:11 16.296:10 2236 
VISIGNANO 

SCUOLE ENTRATE SPESE 
Scuola di Santa Maria Mad- 145:5 122:11 
dalena 

Scuola di Sant' Elena 401:3 266:18 
Scuola di S.n Francesco 110:12 126:- 
Scuola di St. Antonio Abbate 192:15 21572 
Scuola di Sn. Rocco 139:7 119:7 
Scuola di Sn. Maurizio 259:6 204:15 

















18 R.CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istnane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 






























































Scuola del SS.mo Sacramen- 186:8 17353 
to 

Scuola del SS.mo Rosario 369:12 349:4 
N.0 8 1804:8 1577:- 
MONDELLEBOTTE 

Scuola di Sn. Giacomo 187:4 132:18 
Scuola di Sn. Zorzi 292:12 158:6 
Scuola del SS.mo Sacramento 102:8 87: 
Scuola della Beata Vergine 186:13 177: 
di Mondellebotte 

N.04 768:17 555:4 
SAN MICHELE SOTTO TERRA 

Scuola di Sn. Michiel Sotto 461:2 324:1 
Terra 

N.0 1 461:2 324:1 

















VILLA DI BERCAZ (DISTRETTO DI MONTONA) 












































Scuola del SS.mo Sacramen- 65:1 62:14 
to 

Scuola di S. Pangracio by: = iL 108:7 
N.0 2 202:8 171:1 
SANTA DOMENICA 

Scuola del SS.mo Sacramen- 282:2 307:6 
to 

Scuola della SS.ma Trinita” 143:12 122:3 
Scuola di San Zuane 198:18 176:8 
Scuola di Sant’ Antonio 262:15 208:6 
N.04 887:7 814:3 














R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istnane, Ati, vol XXX), 2001, p. 75-135 


129 








































































































ZUMESCO 
Scuola di Sn. Michiel di Zu- 336:2 434:16 
mesco 
N.0 1 336:2 434:16 
CALDIER 
Scuola di Sn. Giovanni Batti- 360:16 937:5 
sta 
Scuola del SS.mo Sacramen- 385:16 479:- 
to abbinata a quella della 
SS.ma Trinita’ 
_N.03 n 746:12- 1016:5_ B 
NOVACO 
Scuola di Santa Marina 553:9 933:14 
Scuola di San Rocco 299:17 453:12 
N.0 2 853:6 1387:6 
MONTREO 
Scuola di Sn. Rocco 269:17 _399:14. 
N.01 269:17 399:14 
SAN VIDAL (DISTRETTO DI MONTONA) 
Scuola del SS.mo Sacramen- 196:9 173:18 
to 
N.0 1 196:9 173:18 
CONTRADA CERION (DISTRETTO DI MONTONA) 
Scuola di S. Mattio | 102:19 127:8- 
N.0 1 | 102:19 127:8 


130 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 


SAN ZUANNE DI STERNA 








































































































Scuola di Sn. Giovanni Batti- 104:4 190:4 
sta 
Scuola della Beata Vergine 82:15 156:16 
del Carmine 
Scuola del SS.mo Sacramen- 80:7 155:16 
to 
N.03 267:6 502:16 
RAPPAVEL 
Scuola di Sn. Spirito 193:18 195:9 
N.0 1 193:18 195:9 
PIRANO 
SCUOLE RENDITE SPESE 
Pio Ospitale di Pirano 1115:8 1115:8 
Scuola di San Zorzi 853:1 853:1 
Arciconfraternita del SS.mo 5624:3 5624:3 
Sacramento 
N.0 3 7592:12 7592:12 
Rendite olio delle tre scuole: 13.757:4 
ISOLA 
NUMERO DI NOMI DE PREZZI DI SPESE ANNUE | IMPORTO DE 
SCOLE GASTALDI AFFITTI E BENI STABILI 
LIVELLI 
SS.mo Sagra- Bortolo Pugliese 1688:10:6 1540:10:6 7509:4 
mento 
Santo Donato Dom. co Civran 276:5 128:10 2414:17 
Beata V.e de Zuanne Felluga 481:13 266:15 4977:10 
Battudi 
Santo Andrea Antonio 140:- 139:18 900:- 
Benvenuti 
Santo Giuseppe | Zuanne d’ 355:10 123:5 3279:- 
Udene 
Cameraria Mattio Lessi e 727:2 699:9 3827:- 
Zne Russignan 




















R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


131 






































SS.mo Nome di | Pietro Bettoso 170:10 145:9 2055:- 

Dio 

Santo Mauro Pietro de Lise 224:13 176:15 2366:- 

Santo Giovanni | Marco Vascotto 123:- 159:8 875: 

Beata Vergine Francesca 286:11 156:15 2951: 

di Alieto Lorenzuti 

Santo Michaele | Vincenzo Chico 171:19 119:2 1617:- 

Santo Rocco Marco dell’ 286:6 106:4 2812:10 
Hore 

Beata Vergine Marco Trojan 108:13 96:19 1785:- 

del Carmine 

Beata Vergine | Gasparo 138:- 119:13 2000:- 

del Rosario d’ Udene 

S.aM.a Giacomo 52:4:6 45:13 582: 

Elisabetta Bologna 

S.o Ant.o Giacomo 200:5 191:15 3467:16 

Abbatte Crevatin 

N.0 16 5431:2 4215:4:6 43.418:17 




















Nota del fedel Ragionato Sr. Antonio Salveni tratta dai Pubb.i Registri di quanto deve annual- 


mente riscuotere il Coll.o dalle Scuole Laiche di tutta la Provincia e delle somme che salvo 


errore di Conteggio rimane in Credito il Coll.o stesso 









































SCUOLE ANNUA TASSA CREDITO TOTALE 
Scuole di Capodistria e terri- 485:1 8654:3 
torio 

d.te del Marchesato di Pietra 158:2 8112:14 
Pelosa 

d.te di Pola e territorio 258:5 258:5 
d.te di Filipan Villa di Digna- 11:9 25:6 
no = le 

d.te di Albonae territorio 1279 | 3066:8 
d.te di Fianona 33:2 145:6 
d..te di Valle 32:18 - 
d.te di Parenzo e territorio 87: 1020:11 
d.te di S. Lorenzo del Pase- 18:12 1413:3 
natico 

d.te di Umago e territorio 19:13 20:13 














132 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istriane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 75-135 









































d.te de Due Castelli e territo- 47:17 - 
rio 

d.te di Citta’ Nuova e territo- 15:16 271:1 
rio 

d.te di Montona e territorio 350:- 3990: 11 
d.te di Buje e territorio 56:3 62:19 
d.te di Grisignana e territorio |_ 49:17 Les 
d.te di Portole e territorio 77:15 331:7 
d.te di Muggia e territorio 124:46 187:12 
d.te di Isola e territorio 58:18 423: 
SOMMA 2015:2 32.983:3 





RENDITE E SPESE DELLE SCUOLE LAICHE DELL’ ISTRIA ALLA 
FINE DEL ‘ 700 










































































LOCALITA’ NUMERO DELLE RENDITA SPESA 
SCUOLE 

Castelli e Ville 47 10.569:11 7290:13 
di Raspo 

Ville del Carso 15 2762:6 2003:12 
Valle 27 3564:10 1310:1 
Pinguente L 15 608 1:19 6310:9 
Grisignana e territorio 17 2045:8:6 2273:6:6 
Pola e territorio 76 21.108 21.022:1 
Albona e territorio 28 6204: c.a 7137:c.a 
Umago e territorio 19 2915:2:6 3472:15 
Buie e territorio 38 11.133 8551:c.a 
Montona e territorio 19 9156:14 7492:2 
Dignano e territorio 32 3707:2 2844:1] 
Rovigno e territorio 27 18.875:15 _____13.156:- 

| Capodistria e territorio | _—127 41.949:4:6 40.479:4:6 

Cittanova e territorio 23 4080:1 3646:19 
Muggia e territorio 22 4426:18 3742:- 
Parenzo e territorio 26 8214:6 7409:6 
Portole 12: 2265:15 1960:17 





R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 75-135 


133 







































































S. Lorenzo del Pase- 21 2971:8 2510: 
| natico 
Mompaderno 5 1508:4 1750:- 
Visignano 8 1804:8 1577:- 
Mondellebotte 4 768:17 555:4 
S. Michele sotto Terra ] 461:2 324:1 
Villa di Bercaz 2 202:8 171:1 
Santa Domenica 4 887:7 814:3 
Zumesco I 336:2 434:16 
Caldier 3 746:12 1016:5 
Novaco 2 853:6 1387:6 
Montreo I 269:17 399:14 
San Vidal ] 196:9 173:18 
Contrada Cerion I 102:19 127:8 
San Zuanne di Sterna 3 267:6 502:16 
Rappanel Di 193:18 195:9 
Orsera I 18.532:11 16.296 :10 
Pirano 3 7592:12 7592:12 
Isola 16 5431:2 4215:4:6 
SOMMA 648 202.185:19 180.145:5 








134 R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confraternite istriane, Att, voL XXXI, 2001, p. 75-135 


SAZETAK: EKONOMSKO-IMOVINSKO STANJE ISTARSKIH BRA- 
TOVSTINA U GODINAMA NEPOSREDNO PRIJE PADA MLE- 
TACKE REPUBLIKE - Autori eseja o ekonomsko-imovinskom stanju 
istarskih laiékih bratovstina u godinama koje su prethodile padu 
Mletatke Republike (1797.g.) ukratko predstavljaju kroniku © 
fraternitates, societates, regulae i compagnie koje su postojale u Istri 
veé od srednjeg vijeka, da bi zatim dublje analizirali njihove 
normativne i statutarne akte, a narocito njihovu imovinu, posjede, 
prihode i troskove. 

Osim toga, dodatak sadrZi veoma opSirnu tablicu s podacima o 
prihodima i rashodima dak 648 istarskih bratov$tina. 

Prikaz koji nam autori predstavijaju ukazuje na ulogu i skrbniéke, 
vjerske, javne i ekonomsko-financijske djelatnosti navedenih laiékih 
udruga koje su u odredenim povijesnim razdobljima praktiéno 
obuhvafale svo ili gotovo svo stanovnistvo Istre te utjecale na razne 
Zivotne aspekte. A nesumnjivo, imale su vaZnu ulogu u usponu i 
ekonomskoj i drustvenoj afirmaciji pojedinih obitelji na lokalnoj 
razini. Povrh toga, od presudne vaZnosti je bila i potpora koju su 
dale drustvenom i ekonomskom razvoju pojedinih mjesnih i opéenito 
istarskih zajednica, katkad zamijenjujuéi politiétko-upravne vasti. 


POVZETEK: GOSPODARSKO IN PREMOZENISKO STANJE ISTR- 
SKIH BRATOVSCIN OB RAZPADU BENESKE REBUPLIKE - V 
eseju o gospodarskih in premoZenjskih razmerah istrskih bratov$éin 
v letih pred propadom Beneske republike (1797), sta avtorja zadrtala 
krajje porocilo o raznih fraternitates, societates, regulae in compagnie, 
ki so bile ustanovIjene v Istri od srednjega veka dalje. Podrobneje 
sta raziskala akte zakonskega in statutnega znadaja in zlasti njihova 
premoZenja, posesti, rente in stroSke. 

V dostavku je poleg tega tudi obSirna preglednica s podatki, ki 
zadevajo rento in odnosne stros$ke preko 648 istrskih  bratov$éèin. 

Slika, ki jo predstavljata avtorja, pojasnjuje vlogo in obenem 
skrbstveno, versko, javno, gospodarsko in finanèéno dejavnost teh 
posvetnih  ustanov. Te so v doloéenih’ zgodovinskih trenutkih 
vkljutevale v bistvu celotno ali skoraj celotno istrsko prebivalstvo in 
so nadzorovale razne vidike Zivljenja. Nedvomnega pomena je bila 
njihova vloga pri vzponu in pri gospodarski ter druZbeni uveljavitvi 


R. CIGUI - D. VISINTIN, Condizioni delle confratemite istrane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 75-135 135 


posameznih druzin na krajevni ravni. Poleg tega je bila njihova 
podpora druZbenemu in gospodarskemu razvoju krajevnih stvarnosti 
in celotnega istrskega obmoéja bistvena, sa] so véasih nadomebéale 
celo politiéno in upravno oblast. 


SPUNTI DALLA CRONACA DI GHERDOSELLA, 
CASTELVERDE (GRDOSELO) 
(CONTADO DI PISINO, 1680-1705) 


EGIDIO IVETIC CDU 282+94(497.5Gherdosella)” 1680/1705” 
Centro di ricerche storiche Saggio scientifico originale 
Rovigno Gennaio, 2002 


Riassunto — Una cronaca, composta sullo scorcio del Seicento dal sacerdote Vincenzo Picot 
relativa alla chiesa e ai beni parrocchiali di Gherdosella, Castelverde (Grdoselo) nel contado 
pisinese, ci permette di riflettere sull’ottica materiale, culturale e sociale di un parroco intrapren- 
dente: un tratto minore ma non marginale dell’antico regime nell’Istria arciducale. 


La cosiddetta dicotomia politica dell’antico regime istriano (Istria vene- 
ta/Istria arciducale tra XVI e XVIII secolo) di fatto si riflette sul piano 
storiografico evidenziando a fronte di una costante crescita di studi per la parte 
veneta della penisola lo stallo ormai decennale nelle ricerche sui territori 
asburgici, l’insieme di domini che per consuetudine — ma impropriamente — 
viene chiamato contea di Pisino". Se con Eva Faber edi suoi lavori sul Litorale 
austriaco e sull’amministrazione delle parti adriatiche della Casa d’Austria nel 
Settecento si sono segnati importanti passi in avanti nella comprensione del 
significato che ebbero tali domini istriani per la corte viennese”, un’indagine 
con l’ambizione di affrontare gli aspetti della società dell'Istria centrale arci- 
ducale non è mai partita, per quanto ci sarebbero parecchie fonti reperibili in 
regione, presso l’archivio di Stato di Pisino, e spunti da confrontare con l’Istria 
veneta”. Intanto, il livello di conoscenza riguardo le due Istrie appare decisa- 


! Sulla questione vedi E. IVETIC, L'/stria moderna. Un'introduzione ai secoli XVI-XVIII, Trieste-Ro- 
vigno, 1999 (Collana degli Atti, n. 15), p. 15-61 e 145-177. 


2 E FABER, Litorale austriaco. Das òsterreichische und kroatische Kistenland 1700-1780, Tron- 
dheim — Graz, 1995; ID., “Vom Schikssalverlauf einer Grenzregion in der Neuzeit am Beispiel Istriens”, 
Carinthia, 187 (1997), p. 283-317. 


3 Un punto di riferimento insostituibile per la storia dei domini asburgici in Istria rimane Camillo DE 


138 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdesella, Castelverde, Atti, voL XXXI, 2001, p. 137-153 


mente sbilanciato sul versante veneto, vista la ricorrenza di fonti pubblicate e 
di indagini che privilegiano i comuni marittimi, la feudalità in ambito veneto, 
le comunità di coloni gestiti da magistrature venete*. 

Con questo breve contributo si vuole andare contro tale tendenza. Un 
tassello utile per comprendere la comunità rurale e la figura del parroco nei 
territori arciducali ci viene da una cronaca di fine Seicento relativa al villaggio 
di Gherdosella, Castelverde (Grdoselo), località posta a circa sei chilometri a 
nord di Pisino, signoria a sé (dall’esiguo territorio), almeno nominalmente, nel 
sistema dei domini istriani degli Asburgo, benché del castello medievale (sede 
signorile tra XIII e XV sec.) avesse conservato unicamente il nome?. La 
cronaca — più che altro una memoria — è stata scritta dal parroco Vincenzo Picot 
tra il 1688 ed il 1705 e poi aggiornata in alcuni aspetti dai suoi successori nel 
corso del Settecento. Sembra una di quelle testimonianze che giungono “dal 
basso”, dal mondo dei contadini (ai quali si accenna ampiamente), ma in verità 
è il prodotto di un ceto ben definito, il clero secolare, e della cultura che 
esprimeva. Oggetto della memoria sono la vicenda della costruzione della 
nuova sede parrocchiale nel 1680 e la consistenza dei beni del parroco Picot e 
della relativa mansionaria nel 1702-05 e nei decenni seguenti. Il documento 
originale si trova nell’archivio parrocchiale di Gherdosella, con la dicitura 
Quaderno della Madonna di Salute ed è stato pubblicato da Branko Fuéié noto 
studioso delle iscrizioni glagolitiche, appunto con denominazione cronaca 
(kronika), nel Vjesnik Istarskog Arhiva del 19949. 

La cronaca si apre con la narrazione molto dettagliata di come nel 1680 
l’allora cappellano Vincenzo Picot fosse riuscito a convincere lo zuppano del 
villaggio Giovanni Mogorovich a far costruire una nuova chiesa parrocchiale, 
la Madonna della Salute, dentro il villaggio di Gherdosella; l’edificio rendeva 
più pratico il culto quotidiano e settimanale nella comunità, in quanto la 
vecchia e tradizionale sede di San Giacomo si trovava a quasi due chilometri 
di distanza, presso il sito di Gherdosella castello, insediamento abbandonato 
agli inizi del Cinquecento. In seguito il Picot racconta come da cappellano 


FRANCESCHI, “Storia documentata della contea di Pisino”, Atti e Memorie della Società Istriana di 
archeologia e Storia Patria”, Venezia, n. s., vol. XI-XII ( 1963). 
4 La bibliografia è ormai imponente, benché frastagliata. 


5 Sulla formazione delle signorie nel Pisinese cfr. DE FRANCESCHI, op. cit., p. 35-42. Su Gherdo- 
sella cfr. IBIDEM, p. 245-246. 


© B. FUCIC, “Grdoselska kronika” [Cronaca di Gherdosella], Vjesnik Istarskog Arhiva (=VIA) 
[Bollettino dell’ Archivio istriano/ , Pisino, n. 2-3 (1992-93), p. 137-164. 


E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Ati, vol XXXI, 2001, p. 137-153 139 


giunse a diventare parroco di Gherdosella e di come abbia edificato con mezzi 
propri la canonica. Una seconda parte della cronaca è stata compilata da 
Girolamo de Zorzi, uno dei successori del Picot, il quale ripercorre la realizza- 
zione e lo sviluppo della mansionaria ovvero del beneficio Picot lasciato in 
eredità ai parroci di Gherdosella. La terza parte riguarda il testamento di 
Vincenzo Picot steso nel 1702 e corretto nel 1705 e tratta dei beni materiali e 
delle disposizioni per ricordarlo con celebrazioni religiose. Una quarta parte, 
scritta nel 1774 (con note del 1796), fa il punto sullo stato del lascito di 
derivazione Picot”. 

Branko Futié rimase colpito dall’immediatezza della struttura narrativa 
nella prima sezione dello scritto®. In effetti, il parroco Picot traccia ricordi ben 
precisi e per qualche pagina la storia della costruzione della chiesa nuova si 
anima di personaggi e fatti che hanno come sfondo la comunità del villaggio. 
Il testamento del Picot e le note dei suoi successori presentano invece gli 
interessi materiali dell’individuo Picot nel villaggio. Il documento ci appare 
interessante per due aspetti: 

a) la percezione della comunità di villaggio all’interno dell’orizzonte 
individuale e soprattutto culturale del parroco (in questo caso il parroco Picot), 
tenendo conto che si trattava di una di quelle comunità slave-croate dell’Istria 
arciducale finora poco analizzate dalla ricerca; 

b) il parroco di per sé, con la sua base economica e la sua cultura. 

Lo sfondo ovviamente è l’Istria arciducale, il contado pisinese a cavallo 
del Sei-Settecento. 


? In sostanza, la struttura del documento è la seguente: 

I. Parte scritta da Vincenzo Picot (p. 14): 

a)racconto della costruzione e fondazione della chiesa Madonna della Salute a Gherdosella nel 1680 
su iniziativa di Vincenzo Picot (p. 1-10). 

b)racconto dell’incarico di parroco a Gherdosella e della costruzione della casa parrocchiale (pp. 
10-13). 

2. Parte scritta da Girolamo de Zorzi nel 1732 (p. 14-22) riguardante la parrocchia di Gherdosella tra 
Sei e Settecento ed i beni della mansionaria Picot. 

3. Testamento di Vincenzo Picot del 1702-05 (p. 22-30). 

4. Nota del 1774 di Giacomo Antonio Blazinich (rivista nel 1796 da Giuseppe Facchinetti), sui beni 
della mansionaria Picot (pp. 31-44, mancano pp. 34-39). Cfr. /BIDEM, p. 143-163. 


8 IBIDEM, p. 137-142. 


140 E IVETIC Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, vol XXXI, 2001, p. 137-153 


I parrocchiani 


Nel racconto del Picot relativo alla chiesa emerge la figura di Giovanni 
Mogorovich, zuppano di Gherdosella, l’uomo più facoltoso della comunità, il 
quale non avendo altri eredi che una figlia, Lucia, andata in sposa a Giovanni 
Misson, appartenente ad altra benestante famiglia del paese o della zona 
(contrada Missoni, presso Ceresgnevizza/ Cerisnjevica), decise di disporre ad 
pias causas parte dei suoi beni per erigere un nuovo altare nella chiesa 
parrocchiale di san Giacomo. Siamo nel 1680 e Vincenzo Picot non è altro che 
un cappellano alle dipendenze di Valerio Ivich, parroco di Gherdosella, ma è 
già tanto intraprendente da convincere lo zuppano a fare un’opera più impor- 
tante e cioè costruire una nuova chiesa parrocchiale dentro il villaggio. 

Gherdosella, in quanto villaggio, era un insediamento di recente origine: 
vi si erano stabiliti vecchi e nuovi abitanti a partire dalla prima metà del 
Cinquecento (in località chiamata Brdo); come detto, dista un paio di chilome- 
tri dal castello medievale, da cui traeva nome, castello completamente abban- 
donato e in rovina nel 1680 se non per la chiesa di San Giacomo, alla quale 
giornalmente si spostavano lungo un percorso tortuoso i villici ed il cappellano 
per le funzioni religiose. Altre due chiese minori della comunità, San Giovanni 
Battista e Sant’ Anna, si trovavano anch’esse presso il vecchio borgo nella valle 
del Bottenega”. Un altare nuovo nella lontana e poco pratica chiesa non aveva 
senso per il Picot; infatti (lo veniamo a sapere dalla visita pastorale del 1658) 
accanto all’altare maggiore, della comunità (comun), c'erano già altri tre altari 
consacrati, di San Nicolò, di San Rocco e di Sant’ Antonio nonché uno sconsa- 
crato, del Corpus Domini, ai quali facevano riferimento le omonime confrater- 
nite'°. Lo stato degli altari e in genere della chiesa era pessimo attorno al 1660, 
e ciò invogliava ben poco il parroco lvich a risiedere in parrocchia, di cui si 
lamentavano i villici". Il villaggio aveva quindi sei confraternite'? su una 


? Di esse oggi rimangono solo rovine coperte da rovi. Cfr. /BIDEM, p. 139. 


!0 A. MICULIAN, “La visita generale del vescovo di Parenzo Giovanbattista Del Giudice nel contado 
di Pisino — 1658”, Arti del Centro di ricerche storiche, Trieste-Rovigno”, vol. XXX (2000), p. 645-646. 


!! JBIDEM, p. 685-686. 


la Confraternite a Gherdosella nel secondo Seicento (rilevato nel 1658): 




















Confraternita Sito Entrate — si Ì I 
San Giovanni Battista Chiesa omonima Scuola povera 
Sant'Anna E Chiesa omonima î 20 ducati pena = | 
San Nicolò Altare della chiesa parrocchiale | Scuola povera 


E IVETTC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atî, voL XXXI 2001, p. 137-153 141 


popolazione da stimare tra le 100 e le 150 anime, ovvero si attesta anche qui 
quell’alta concentrazione in fatto di organizzazioni confraternali sul totale 
degli abitanti attivi, un fenomeno tipico dell’antico regime istriano sia nella 
parte veneta sia in quella arciducale'"?. 

La stessa proposta dello zuppano, di creare un altro altare, entrava nella 
logica della costruzione del prestigio in seno alla comunità: probabilmente 
sull’onda di una ripresa demografica ed economica in atto dagli anni ‘60-’70 
del Seicento, e attestata un po’ in tutta la regione, anche a Gherdosella qualcosa 
era cambiato in meglio e si era creato qualche surplus tra i più benestanti che 
conveniva investire nel rafforzamento del ruolo della famiglia leader dentro la 
comunità-villaggio. Lo zuppano Mogorovich aveva interesse a consolidare il 
prestigio proprio e della sua casa: da un lato c'erano i fratelli e germani 
(cugini), ai quali dovette chiedere parere prima di lanciarsi nella costruzione 
della chiesa (lasciandoci scorgere un forte legame parentale); dall’altro c’era 
la figlia andata in sposa ai Misson, probabilmente per sancire un’alleanza 
matrimoniale tra famiglie leader; infatti, i Misson nel 1687 potevano vantare 
lo zuppano Miho"*. 

La chiesa con i suoi altari era il luogo della socializzazione organizzata 
della comunità che nelle confraternite trovava non solo un modo formale di vita 
collettiva, ma pure una cassa comune, beni terrieri comuni (pascoli) e mezzi 
monetari indispensabili ma difficilmente raggiungibili per i più in un’econo- 
mia rurale. L’edificio stesso, come luogo di ritrovo degli appartenenti alle 
scuole laiche — e molti erano associati in più d’una —, e soprattutto la sua 
gestione, magari tramite benefici (ovvero il sogno di Giovanni Mogorovich), 
diventava il punto centrale nella rete dei clientelismi che veniva determinan- 
dosi attorno al sistema delle confraternite, sistema che spesso era in concorren- 
za, sul piano dei piccoli poteri, con i ruoli esercitati dal clero. L'operazione 
dell’altare o della chiesa copriva le aspirazioni tanto spirituali che terrene: il 
beneficio garantiva le messe, quindi l’aldilà più sereno, assieme ad un prolun- 
gato ricordo interra; l’edificio era invece un buon investimento nella conferma 

















San Rocco Altare della chiesa parrocchiale | Scuola povera 
Corpus Domini Altare della chiesa parrocchiale | 20 ducati 
Sant'Antonio Altare della chiesa parrocchiale | 15 ducati 





8 E. IVETIC, “Religione ed economia. La diffusione delle confraternite laicali nell’Istria dell'ultimo 
dominio veneto”, in L'area alto-adriatica dal riformismo veneziano all’età napoleonica, a cura di Filiberto 
Agostini, Venezia, 1998, p. 449-471. 


14 FUCTÒ, op. cit., p. 149 (nominato). 


142 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 137-153 


del prestigio della famiglia, del cognome. Dentro e fuori la comunità, l’opera- 
zione ovviamente esprimeva il potere economico e sociale. 

L'interesse di tale potere laico poteva saldarsi con l’interesse del potere 
religioso e ciò era successo a Gherdosella nel 1680. Se il parroco Ivich, poco 
affezionato alla propria parrocchia, poteva rimanere indifferente all’iniziativa 
del Mogorovich e del Picot, quest’ultimo, lo affermava esplicitamente, ci 
guadagnava in comodità, evitando di dover spostarsi quotidianamente alla 
vecchia chiesa. Ma non era solo questo, come vedremo. Ottenuta (su incita- 
mento del Picot) la terra per l’edificazione da mali Matte Mogorovich, lo 
zuppano Giovanni ricevette il decreto di concessione dal barone Giacomo 
Rampelli, vicario foraneo, abate e preposito di Pisino (dopo aver siglato 
assieme all’Ivich un atto notarile a Pisino). Per la posa della prima pietra lo 
zuppano dovette fare un solenne banchetto per molti invitati “tanto di Pisino 
che di circumvicini”, dove si festeggiò “molto bene abagniati con liquore della 
vita”! I lavori però non partirono subito e occorse un atto dimostrativo del 
Picot, che dopo la messa domenicale di persona portò una grande pietra sul 
luogo della costruzione, incitando così una ventina di parrocchiani a darsi da 
fare. Raccolto il materiale, pietre in disuso, il Picot andò a Pas (Passo, Paz), 
ovvero al suo borgo natio, a ingaggiare non un muratore qualsiasi bensì lo 
zermano (cugino) Giovanni Bacich muratore, al quale si aggiunsero altri due 
di Bottenega e Novachi di Montona. La spesa iniziale di 15 lire per una decina 
di giorni di lavoro venne coperta dallo zuppano, come pure i costi delle cene e 
del molto vino bevuto ogni sera. Il Picot dovette aggiungere vino suo, quello 
del parroco e attingere da elargizioni di vedove benestanti per poter far fronte 
al fabbisogno crescente. La costruzione appare a un certo punto come una festa 
prolungata, con bevute e balli, un’occasione rara (del resto raramente succede- 
va in campagna che qualcuno fosse disposto a spendere) e perciò vissuta 
intensamente un po” da tutti. Il 20 luglio del 1680 l’edificio risultava terminato, 
per cui si diede il licofo (likuf, in ciakavo) cioè la liquidazione ai muratori (altro 
banchetto). Il 10 agosto, giorno di san Lorenzo, la chiesa intitolata alla Santis- 
sima Vergine Maria della Salute (Madonna della Salute) venne inaugurata con 
la celebrazione delle prime due messe, una fatta dall’abate Rampelli e l’altra 
dal Picot (l’Ivich, probabilmente si era messo in disparte). Il Rampelli era 
giunto con quattro preti, due frati, sei chierici e altri servi; ci furono molti altri 
ospiti, “una gran fiera de giente venuti da tutti circumvicini logi”, mentre “fu 


5 IBIDEM, p. 144-145. 


E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdogella, Castelverde, Atti, voL XXXI, 2001, p. 137-153 143 


parechiato un suntuossissimo bancheto da Suppano Giovanni Mogorovich 
fondatore di questa pia et santa opera”’'9. C’erano parroci e cappellani di Pisino, 
Chersicla, Bogliuno, Caschierga, Terviso, Grimalda (feudo veneto). Nel pome- 
riggio, “essendovi stati ancora piffari di Galligniana (...) si fece un ballo da 
morlachi”’; ‘et perché io vedendo balare tanti murlachi et murlache essendo 
tanto allegro fuori di modo, feci ancora io un ballo di catena longa tenendosi 
tutti per mano di suo compagnio facendo io diretore”. Lo zuppano volle 
celebrare il tutto con scariche da “un bon e grande Archebugio”, il quale “per 
esser stato più dell’ordinario caricato, mi fece sonare per un bon pezo di tempo 
l’orecchia, non so però se dal bichiero o vero schiopo”!”. Insomma la festa fu 
grande e memorabile, certamente (visto l’evento) la maggiore del Seicento. 
La descrizione di una commossa partecipazione, il compiacimento per 
l’impresa, il tratto bucolico che balena quando si accenna al cordone dei 
morlacchi che ballano (il kolo) non ci devono trarre in inganno. In verità, nella 
sequenza sulla costruzione, lo zuppano, i contadini, l’uomo di chiesa rimango- 
no ben separati pur condividendo la stessa vicenda: il cappellano lotta con una 
comunità che malvolentieri lo aiuta a spostare un cumulo di pietre, una 
comunità che partecipa in massa solo quando c’è la festa; la chiesa e la festa ci 
sono perché Mogorovich paga, per accrescere il suo prestigio; il Picot, sempli- 
ce cappellano, ha l’invidiabile opportunità di celebrare una messa accanto al 
primo uomo della chiesa pisinese nonché padrone della contea, ovvero altro 
prestigio. A stare attenti, si percepisce una certa distanza con cui il Picot parla 
dei suoi parrocchiani, li osserva con distacco, pur conversando con loro nella 
lingua che deve essere stata anche la sua, il croato ciakavo dell’Istria centrale. 
Non è solo distanza sociale e culturale, tra clero e popolo, su cui torneremo. Il 
Picot è originario da Pas, un piccolo castello a nord-est di Pisino (verso Monte 
Maggiore), ove pur non avendo molti parenti mantenne i contatti per tutta la 
vita; essere castellano era un'altra cosa ed egli non si sente simile agli abitanti 
di Gherdosella, un villaggio; e poi gli abitanti non solo ballano “alla morlacca”, 
ma a un certo punto li chiama (sono) morlacchi. Il suo successore, Girolamo 
de Zorzi, scriverà esplicitamente sotto forma di memento ancora nel 1732: 
“Osservi bene il Monsignor Pievano di Gherdosella che con questa gente 
Morlacca non tenga troppa amicitia ne confidenza, mentre perdono ogni 
rispetto verso il loro Paroco e tenendo troppa confidenza con loro sono capaci 


16 IBIDEM, p. 146. 
! IBIDEM, p. 147. 


144 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gheraosella, Castelverde, Atti, vol XXXI, 2001, p. 137-153 


di farsi patroni della Casa”!*. Questa tendenza alla separazione tra parroco e 


comunità di villaggio, che non è dunque occasionale né individuale perché si 
rinnova e perdura, merita una riflessione più generale. 

Non c’è accenno nel testo scritto in italiano (con costruzioni sintattiche ed 
imprecisioni ortografiche tipiche della parlata veneta) riguardo alla lingua e 
all’appartenza etnica dei parrocchiani se non quel “murlachi”. L'ambiente è 
comunque quello dei contadini slavi del Pisinese: lo si desume dai cognomi che 
appaiono oggi (come trecento anni fa) tipici della zona (Mogorovich, Misson, 
Ladavaz, Derndich), dai soprannomi e certi nomi (benché il Picot li rende per 
lo più all’italiana e non alla veneta o ciakava) che ricorrono come mali Matte, 
Ulika, Stanissa, Miho, Pave, dalla lingua veicolare che emerge nella denomi- 
nazione dei riti (Opomeni per commemorazioni), dall’origine dei cappellani 
che vi prestano servizio e che sono capaci di parlare in i/lirico: prima del Picot 
c'era Giacomo da Moschienizze, mentre nel 1687 dovette venire Giorgio 
Braisa da Buccari, cioè da contesti eminentemente croati (anche se nel Sette- 
cento non sarà sempre così"). Il fatto che non vengano mai definiti esplicita- 
mente slavi o illirici ci rivela che il Picot presumibilmente considerava se 
stesso ed i murlachi di Grdoselo appartenenti ad una popolazione dalla stessa 
lingua comune, il croato ciakavo, benché il nostro parroco fosse bilingue e sul 
finire della vita si sottoscrivesse Picotti. Ci sono differenze tra i vari illirici. 

Il termine morlacchi aveva un significato specifico relativo a popolazioni 
immigrate in Istria nel corso del Cinque e Seicento sia nella parte veneta sia in 
quella asburgica, e certe comunità si proclamavano del resto così, sottolinean- 
do una particolare identità (ancora da studiare); poteva avere altresì un senso 
più generico per definire gli immigrati tout court. Il morlacco era colui che 
risiedeva da poco, l’ ’’habitante novo”, genericamente slavo (i/lirico) originario 
dalla Dalmazia interna e spesso tale denominazione perdurava nel tempo, nel 
Sette-Ottocento; era chiamato così dagli autoctoni della regione, a prescindere 
se di matrice romanza o slava. Nell’Istria centro-orientale, dal Pisinese all’ Al- 


!8 IBIDEM, p. 151. 


191 parroci di Gherdosella: 

1657-1687: Valerio Ivich (nativo di Pisino) 

1687-1705: Vincenzo Picot (nativo di Pas) 

1705-1722: Giovanni Battista Carlovich (nativo di Gallignana) 
1722- ? : Girolamo de Zorzi (Bogliuno °?) 

1768, 1774: Giacomo Antonio Blazinich 

1796 :Giuseppe Facchinetti (Pisino ?) 


E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Arti, vol XXXI, 2001, p. 137-153 145 


bonese, agli autoctoni slavi apparivano differenti - e perciò morlacchi - i nuovi 
arrivati, benché anch'essi “illirici” nella parlata. Questa ripartizione era perce- 
pibile fino alla metà del Novecento: per gli abitanti di Vermo e Gherdosella i 
contadini di Antignana e del Parentino erano v/ahi, morlacchi; i contadini di 
Barbana erano vlahi per quelli dell’ Albonese; e sì che sia quelli di Gherdosella 
sia molti dell’ Albonese erano stati a loro volta morlacchi nel Sei-Settecento per 
gli appartenenti a comunità più remote della stessa area. 

Spesso si sottovalutano o non si valutano per nulla le differenziazioni 
esistenti tra la popolazione slava, soprattutto dell’Istria interna, nell’età pre-na- 
zionale, anzi in genere si ha un’idea di omogeneità della campagna slava (in 
contrapposizione ai borghi e alle città romanze), dimenticando l’importanza 
che aveva la logica dell’appartenenza alla comunità e a contesti sub-regionali 
(bisiacchi, morlacchi, cicci, savrini) con le annesse gerarchie di significati. 
Inoltre si trascura di considerare l’apporto dell’immigrazione nell’ambito 
dell’Istria arciducale, intendendola di minimo impatto. Una delle spiegazioni 
rimane il fatto che in tale area si è conservata la variante più arcaica del dialetto 
ciacavo, aspetto che proverebbe lo scarso apporto delle genti nuove nella 
trasformazione della lingua d’uso e delle tradizioni (più morlacche), processi 
che invece si riscontrano nell’Istria occidentale, veneta, a ridosso della fascia 
costiera delle prevalenti parlate romanze (venete e istriote). In verità, nel 
Pisinese, come del resto nell’ Albonese veneto, abbiamo avuto una cospicua 
immigrazione morlacca (1520-1560; 1618-1650) contraddistinta da parlate 
(forse stocave), poco congruenti con le autoctone (ciacave), parlate però andate 
perse tra XVIII e XIX secolo, essendosi assimilate nel tessuto linguistico 
preesistente. Il fatto che gli abitanti di Gherdosella fossero denominati morlac- 
chi ancora nel Settecento comproverebbe questa iniziale differenza. 

La distanza che c’è tra il Picot ed i morlacchi ormai residenti da tempo 
(forse da generazioni), ma anche il rapporto che si era instaurato tra le due parti, 
ovvero l’influsso degli autoctoni sui nuovi venuti (e considerati diversi per 
parecchi decenni) in ambito arciducale, rappresenta una delle questioni più 
interessanti all’interno della complessa problematica dell’ethnos nell’Istria 
d’antico regime. Come mai un tessuto sociale provato da due catastrofiche 
guerre, cioè del 1508-15 e del 1615-18, e quindi espressione di una popolazio- 
ne in minoranza, riesce ad imporre la parlata e le tradizioni ai propri morlacchi? 
Perché ciò non succede nell’Istria occidentale (non nell’ Albonese, seppur 
veneto), dove i morlacchi mantengono un’identità specifica, non sommersa 
fino all’età dell’avvento delle nazioni (1800-1850) ? 


146 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdesella, Castelverde, Attî, vol XXXI, 2001, p. 137-153 


Conta, ma non basta, il discorso sullo spopolamento, la differente consi- 
stenza degli slavi autoctoni nel centro rispetto alla parte occidentale della 
penisola (dove più diffusa era la presenza di elementi romanzi), la diversa 
colonizzazione, ovvero una fatta di famiglie, l’altra di interi villaggi, come non 
basta il discorso sul diverso modello di governo, ciò che distingue l’Istria 
veneta da quella arciducale, soprattutto comunale-podestarile la prima, quindi 
attenta alle autonomie locali, prettamente feudale la seconda?. Ci sono ovvia- 
mente molti aspetti da valutare, non ce n’è uno decisivo. Tuttavia un punto che 
merita approfondire in ulteriori ricerche sarà proprio la figura dei parroci quali 
il Picot, il ruolo che essi ebbero in quanto mediatori di modelli culturali 
autoctoni (tradizione e lingua), imponendo la loro alterità ai nuovi venuti e 
continuando a rimarcarne la diversità. Questa tendenza era rivolta anche verso 
la capillare immigrazione nei contadi di individui e famiglie friulane e carnielle 
(furlani e carnielli), di cui rimane traccia nella toponomastica, anch’esse 
croatizzate nel tempo in chiave dialettale pisinese. 

Il ruolo del clero appare incisivo. Merita altresì approfondire i tratti della 
cultura bassa, rurale, in appannaggio della chiesa (riti, rogazioni, mediazioni). 
Il legame che si osserva tra il Pisinese, il Castuano ed il Quarnero (Moschie- 
nizze, Veglia, Fiume, Buccari) all’interno dell’assetto dei domini arciducali, 
soprattutto attraverso la circolazione degli uomini di chiesa, dei più dotti, 
sostanzialmente di lingua croata, esprime infatti i contorni di un’area culturale 
dove non a caso si sono conservate certe parlate ciacave più arcaiche e più 
diffusa risulta la circolazione del glagolitico. Tuttavia il quadro sociale ed 
etnico dell’Istria centrale che spesso si raffigura monocromo risulta piuttosto 
articolato; lo si intuisce tra le righe dello scritto del Picot. E’ un’area culturale 
sì d’espressione croata, ma non esclusivamente, almeno nell’ambito del Pisi- 
nese e in certe cittadine marittime del Quarnero (diversa era la situazione nel 
Castuano), dove era viva la sovrapposizione e la contaminazione con i modelli 
romanzi locali e generali nonché con le influenze venete: lo si vede nel profilo 
culturale dello stesso Picot. L'elemento culturale romanzo (parlate, tradizioni) 
contraddistingueva ancora non poche élites dei borghi e dei feudi, se non altro 
come elemento distintivo, di ceto, rispetto alla dimensione culturale e sociale 
del contado. Élite, certo, ristretta dal punto di vista quantitativo, ma rilevante e 
in costante rinnovo. 


20 Rimando ad alcune mie considerazioni: IVETIC, L’Istria moderna, cit., p. 131-144; IDEM, 
Oltremare. L’Istria nell’ultimo dominio veneto, Venezia, 2000, p. 288-306. 


E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, vol XXXI, 2001, p. 137-153 147 


Il clero del contado, clero illirico per fedeli i/lirici, era bilingue o plurilin- 
gue e naturalmente si rapportava con i dignitari e i rari proto-borghesi dei 
borghi, facendo da tramite tra questi e i vertici delle comunità del contado. In 
tale funzione sta uno dei pilastri del potere e del prestigio che aveva l’uomo di 
chiesa nell’ambito della comunità rurale. Al clero (come agli zuppani), in età 
pre-nazionale, probabilmente andava bene tale partizione, conveniva (non era 
solo espressione di necessità) la funzione intermediatrice tra élites di rango e 
parlate diverse, tra borgo e campagna. Il clero faceva parte del sistema, anzi ne 
era l'elemento più attivo, in quanto rete di relazioni che poteva congiungere le 
élites vecchie e nuove, le élites del villaggio e quelle dei borghi-castelli, il 
singolo zuppano con il barone Rampelli. La festa di Gherdosella del 10 agosto 
1680, suggello del prestigio di Giovanni Mogorovich e Vincenzo Picot, evi- 
denzia proprio questa funzione. 


L'orizzonte del parroco 


Vincenzo Picot due anni dopo aver contribuito alla realizzazione della 
nuova chiesa viene chiamato a Pisino a prendere l’incarico di precettore 
pubblico e di cappellano della compagnia militare; vi è invitato dai signori 
della contea, i baroni Rampelli, i fratelli Giacomo, che era abate e preposito di 
Pisino, Cristoforo, capitano del contado di Pisino, e Gasparo. L’offerta è 
allettante: cento ducati all’anno, ovvero siamo a livello di un canonicato ricco, 
per non parlare di quanto percepiva il Picot come cappellano in un villaggio 
minore. Non sappiamo se avesse appoggi o conoscenze; di certo si era dimo- 
strato intraprendente nel far costruire una chiesa parrocchiale nuova. Il parroco 
Valerio Ivich fu inizialmente contrario a tale nuova opportunità per il suo 
subordinato, ma poi cedette dandogli il placet nell’ottobre del 1682. 

Il Picot dunque ebbe modo di frequentare per qualche anno i maggiori 
dignitari dell’Istria asburgica, i Rampelli che ebbero il diritto di governo sulla 
contea da parte del titolare, il principe di Auerspergh, ma fu in contatto anche 
con i religiosi più colti, come il padre Domenico da Fiume, predicatore 
cappuccino?'. Nel frattempo, l’Ivich che dubitava della fede di Giorgio Braisa, 
originario da Buccari, nuovo assegnato alla sua parrocchia, tornò a chiamare il 


2! Su questo periodo, trai migliori per la contea, cfr. DE FRANCESCHI, op. cit., p. 115-118. 


148 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Ati, voL XXXI, 2001, p. 137-153 


Picot nel 1687, offrendogli il posto di parrocco con tutte le entrate. AI Picot 
non conveniva: “la pieve doveva pagare all’Eccelsa Provincia di Cragnio Lire 
350, non havere la casa di habitare, essere cadente la Parochial Chiesa [si 
riferisce a san Giacomo, n.d.a.] etogni cosa essere in mal governo”. Alla fine, 
anche per intercessione del barone capitano Rampelli, il nostro accettò e quindi 
si portò prima a Lubiana, direttamente dal principe di Auerspergh, per ottenere 
le bolle temporali, poi a Parenzo, al vescovato, per quelle spirituali. Nel maggio 
1687, deceduto l’lvich, Vincenzo Picot divenne parroco di Grdoselo, incarico 
che avrebbe mantenuto sino alla morte avvenuta nel 1705. 

Già dal 1688 si faceva costruire, a propria spese, la canonica (cucina, sala, 
due camere, poggiolo, stalla, orto); fece riparare il tetto cadente della chiesa di 
San Giacomo, sistemò la chiesa di Sant’ Anna, la chiesetta di San Giovanni 
Battista, la chiesa di Santa Croce a Bottenega, fece cedere lo jus patronatus dei 
Mogorovich alla parrocchia; racimolò un dignitoso capitale mansionario in 
terreni del valore di circa 110 ducati (stima del 1774), mentre gli unici beni 
parrocchiali fino al suo incarico furono “un boschetto (...) di pocca valuta”?; 
lasciò molti beni in eredità alla parrocchia in cambio di messe in sua memoria; 
“il tutto fatto a sue spese senza alcuna agiunta della Comunità di modo che fece 
di più il quondam Monsignor Pievano per beneficio di questa parochiale che 
nesuno degli antecessori Pievani tanto in Beneficio della Chiesa quanto in 
augmento e contenimento honesta del Parocho”?. Insomma, tutt'altra cosa 
rispetto a come viveva l’lvich, che stava in affitto in una stanza e per trent'anni 
non seppe fare nulla di più opportuno né per sé né per i parrocchiani. 

Il Picot fu uomo colto e di gusto, molto amico dei baroni Rampelli ai quali 
lasciò i pezzi migliori dei suoi beni: “il mio cavallo giovane tutto fornito, 
cos’anco l’Artiglieria et la canna d’India (...), un Tabaro di seda novo, la 
chitara (...), una possata d’argento (...) et il di oro anello”. Il suo lusso 
doveva esser stato il lusso per eccellenza a Gherdosella. Il parroco amava le 
letture (non abbiamo purtroppo la lista dei libri), la musica (chitarra), l’arte 
figurativa: ordinò una croce in argento per la chiesa di Santa Croce di Bottene- 
ga, coprì le pareti della canonica con dipinti, tra cui un suo ritratto’. Di lui volle 


22 FUCICG, op. cit., p. 148. 
23 IBIDEM, p. 150 e 160. 
24 IBIDEM, p. 150. 
25 IBIDEM, p. 156. 


26 ]BIDEM, p. 157: “Item lascio all’Erede mio in Gardosella il medesimo Piovano nella casa mia tutti 


E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, voL XXX], 2001, p. 137-153 149 


che rimanesse memoria e non solo per passare sereno a miglior vita; il Picot 
era in fondo un materialista che fece giusti i calcoli: anche se il regno dei cieli 
e tutta la schiera dei santi furono ufficialmente al primo posto tra le aspirazioni 
nella sua Weltanschauung testamentaria, in fondo si deve alla mansionaria se 
i suoi successori cantarono le messe in suo onore a più di novant'anni di 
distanza (1796); di ciò lui fu probabilmente conscio. Questo avveniva a Gher- 
dosella: lì lasciava un patrimonio ai suoi successori, al suo ceto, alla parrocchia 
e ai parroci in quanto istituzioni, nulla ai parrocchiani, se non la remissione dei 
debiti (piccoli crediti). A Pas, invece, si ricorda della sua gente. I mobili poteva 
prenderseli un cugino, il prete Martino Miculich, altre piccole rendite andarono 
a conoscenti. Si ricorda inoltre dei padri cappuccini di Fiume e di Pisino, 
evidentemente i compagni di cultura più vicini. 

Ma chi è in fondo Vincenzo Picot? Che clero esprime? La fluidità sintat- 
tica del suo italiano scritto denota che in testa c’era un monologo italiano, una 
parlata coltivata. Non era solamente la lingua di formazione, lingua da lasciare 
agli atti. Quanto fosse attaccato a tale lingua, che non era quella dei suoi 
parrocchiani né probabilmente della sua famiglia e del castello d’origine, 
tuttavia è difficile valutare, benché il Picot ad un certo punto diventi Picotti. Il 
nostro parroco non ha osservato puntualmente le disposizioni del Rituale 
Romanum, non risulta infatti la presenza a Gherdosella di libri parrocchiali 
prima del 1713, quando inizia il primo Liber baptizatorum (i decessi ed i 
matrimoni verranno registrati appena dal 1784)?”, e quindi non abbiamo ele- 
menti per valutare meglio il suo operato. La stessa memoria, la cronaca, che ci 
ha lasciato, ha una funzione dimostrativa ben precisa ed è rivolta ai suoi 
successori (gli unici alfabetizzati) che così l'avrebbero conosciuto, soprattutto 
avrebbero conosciuto la sua impresa, l’evento del 1680, una sorte di rifonda- 
zione della parrocchia, e l’avrebbero onorato. Lo scritto ed il testamento 
avrebbero obbligato moralmente tutti i successori; e in effetti così è successo. 
Il de Zorzi gli farà tutti gli elogi, come uno dei massimi parroci che Grdoselo 
abbia mai avuto. 

Il Picot comunica con i potenziali successori, con quello che era dunque il 
futuro, in italiano e probabilmente esprime, quanto a questa lingua veicolare, 
sì una tendenza in qualche modo obbligata, d’ufficio, ma altrettanto una cultura 


li quadri che si ritrovano in mezzo, in particolarmente il mio Ritratto, acciò con quello venghi ricordato far 
bene per anima mia”. In /bidem, p. 157. 


27 J. JELINCIÒ, Matiéne knjige s podrucja Pazinstine do 1945 (1949) godine |\ libri parrocchiali del 
Pisinese fino al 1945 (1949)], VIA, n. 2-3 (1992-93), p. 263. 


150 E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Arti, voL XXXI, 2001, p. 137-153 


interna al ceto ecclesiastico, un linguaggio inaccessibile per i più. Forse era 
anche in parte il riflesso di un clima culturale creatosi attorno alla cerchia degli 
amici dei baroni Rampelli, una specie di cenacolo pisinese di fine Seicento, a 
cui non erano estranei religiosi e uomini di chiesa (forse croati), come quel 
padre Domenico da Fiume predicatore. Difficile ipotizzare nei dettagli i nessi 
tratale Pisino e Gherdosella, la crescita delle fortune del Picot, le reti clientelari 
che si intessevano e che rafforzavano la sua posizione in seno al villaggio, in 
quanto mediatore, come si diceva, degli interessi delle famiglie elitarie deten- 
trici della carica di zuppano, ed il centro del potere, dove c'erano le relazioni 
che contavano. Il Picot è bilingue, traduce infatti abilmente nella cronaca il 
discorso diretto fatto in ciacavo col compare Mogorovich, anzi riesce a coniu- 
gare benissimo e a rendere le due dimensioni culturali (non solo linguistiche) 
in cui vive, quella del popolo, dei muratori che si divertono alticci a saltare le 
fiamme di un falò, quella della sua missione in quanto pastore di anime e quella 
della cultura “alta” del suo ceto e dei dignitari. Egli è pienamente inserito nel 
contesto sociale in cui opera, il suo bilinguismo non è una necessità, è l’espres- 
sione delle società che frequenta. 

Nel testamento cogliamo riprodotti i tre ambienti in cui si articola la sua 
esistenza, cioè la parrocchia- Gherdosella, la corte della contea-Pisino, la patria 
d’origine-Pas; ciascun ambiente ha un proprio significato per la vita del Picot, 
in riferimento all’agire quotidiano, alle aspirazioni per il futuro, ai ricordi del 
passato. Il tutto riassumiamo nel seguente schema: 








| Contesto Parrocchia/ Gherdosella | Corte/Pisino Patria/Pas x 
Tipo di insediamento |Villaggio Castello-Borgo | Castello 
Tipo di società Comunità di contadini Dignitari e seguito, Popolani-contadini, 


nobili,addetti vari, 
mercerie, artigiani, 
religiosi, militari, popolo 








Significati per il Picot | Risorsa esistenziale Potere giudiziario, Rifugio 

















religioso, tributario 
Referenti Parrocchiani-villici, Baroni Rampelli, Parenti, amici 
zuppano cappuccini, notabili 
a a n (notai, artigiani) À Da EA 
Lingua Ciacavo (morlacco) Italiano (veneto), Ciacavo del luogo natio 
ati 5 | Ciacavo di Pisino 
Motivazioni Servizio Cultura, conoscenze Affetti 
parrocchiale,esistenza |importanti 
Investimenti materiali Sì No In minima parte 
Proiezione di significati |Oggi e futuro Oggi leri, origine 

















esistenziali 


E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Ari, vol. XXXI, 2001, p. 137-153 151 


L’origine sociale del Picot appare chiara. Nacque in un castello, piccolo 
ma sempre un castello. Una dimensione di vita sociale più articolata e più 
prestigiosa di un villaggio come Grdoselo. Ha avuto parenti sacerdoti, dunque 
una famiglia di rango medio-alto, benché sia stato aiutato nel percorso forma- 
tivo dal prete Ivich. Da notare che tutti i parroci di Gherdosella hanno origine 
castellana: l’Ivichera di Pisino, il Picot di Pas, il Carlovich di Gallignana, il de 
Zorzi forse da Bogliuno, il Facchinetti forse da Pisino. La carriera ecclesiastica 
appare come risorsa per i figli cadetti di un preciso strato sociale. Il Picot fa 
parte di tale ceto castellano fatto di famiglie legate trasversalmente nei vari 
castelli-borghi, con ramificazioni un po’ in tutti gli ambienti dell’Istria arcidu- 
cale; il contado con i suoi villaggi slavi rappresentava il contesto in cui tale ceto 
espletava poteri laici come prestiti (attività creditizia in concorrenza con le 
confraternite), riscossione dei tributi, notariato (i parroci di Gherdosella face- 
vano la funzione di notaio) e poteri ecclesiastici nelle figure di cappellani, preti 
ed arcipreti, ovvero costituiva una fonte di rendite. 

Di quali legami, a sfondo parentale, si trattasse ce lo illustra l’esempio di 
Giovanni Battista Carlovich, il cui fratello, Bernardo, altrettanto prete, si prese 
alcuni beni e mobili della casa parrocchiale dopo la sua morte. Il de Zorzi 
scrisse che non gli conveniva chiedere la restituzione, in quanto i Carlovich non 
erano da poco: il nipote dei due parroci, Giuseppe, era cancelliere comitale a 
Gimino per cui era meglio lasciare ‘il tutto per non incorrer in qualchuna gran 
disgratia e pericolo di mia stessa vita”. I parroci costituivano, come detto, una 
rete di conoscenze, una categoria chiusa dove si entrava per cooptazione, in 
stretto legame con il centro del potere ecclesiastico che aveva sede a Pisino e 
che era controllata dai dignitari di turno; una categoria che alimentava le 
proprie fila attingendo dunque a precisi ambienti sociali. Il Picot scriveva la 
memoria per i parroci successori, perché il suo punto di riferimento era in 
fondo il suo ceto, i suoi consimili con i quali si era confrontato in vita (si osservi 
gli invitati della festa del 1680) e con i quali ha condiviso una scala di valori, 
di significati. 

La parrocchia, il villaggio, secondo quest'ottica, costituivano il luogo 
dove realizzare la propria posizione sociale, dove si dava sfogo a qualche 
piccolo lusso, si aveva una garanzia per la vita, si imponeva una certa cultura 
che nonera cultura del proprio ceto, si rappresentava un potere necessario. Non 
è scontato dirlo. A fronte di interpretazioni che idealizzano il parroco slavo del 


28 FUCIG, op. cit., p. 151. 


152 E IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Atti, voL XXXI, 2001, p. 137-153 


contado, come un tutt'uno con il proprio gregge, custode dell’identità etnica e 
linguistica del popolo, l’artefice di una cultura proto-nazionale densa di signi- 
ficati (il glagolitico), occorrerebbe piuttosto indagare sulla stratificazione so- 
ciale nelle campagne, sull’origine sociale dei religiosi, sul controllo sociale che 
determinati strati esercitavano tramite poteri laici e religiosi nei villaggi, sulla 
gerarchia dei valori e del prestigio in riferimento all’assetto insediativo e alla 
dimensione comunitaria. Insomma, tra zuppano e cappellano, chi fu strumento 
di chi, in quell’estate del 1680? 


E. IVETIC, Spunti dalla cronaca di Gherdosella, Castelverde, Attì, vol XXXI, 2001, p. 137-153 153 


SAZETAK: SUGESTIJE IZ KRONIKE GRDOSELA (OKOLICA 
PAZINA, 1680.-1705.) - Kronika o crkvi i Zupnim dobrima u 
Grdoselu u okolici Pazina, Sto ju je krajem 17. stoljeéa sastavio 
zupnik Vincenzo Picot, omogutava nam da promotrimo materijalnu, 
kulturnu i socijalnu optiku seoskog Zupnika. 

Izvorni dokument nalazi se u Zupnom arhivu Grdosela pod 
nazivom Quademo della Madonna di Salute (Zapis o crkvi Gospe od 
Zdravlja), a objavio ga je Branko Fucié, uvazeni struénjak za 
glagoljske natpise, upravo pod nazivom “kronika”, u Vjesniku 
Istarskog Arhiva 1994. godine. Kronika prati izgradnju novog Zupnog 
dvora 1680. godine te daje pregled imovine Zupnika Picota i njegove 
zupe (mansionaria) 1702-05. g. te u narednim desetljeéima. Zanimljiva 
Je iz dva razloga: prvo, zbog nafina na koji Zupnik (u ovom sluèaju 
zupnik Picot), unutar svog individualnog i narotito kulturnog 
horizonta, percipira seosku zajednicu, posebno ako znamo da se radi 
o jednoj od onih do danas slabo istrazenih slavenskih  hrvatskih 
zajednica u nadvojvodskoj Istri, i drugo, zbog same liènosti Zupnika, 
sa njegovom gospodarskom osnovom i njegovom kulturom. 


POVZETEK: NAMIGI IZ GRDOSELSKE KRONIKE (OKRAJ 
PAZIN, 1680-1705) — Kronika, ki jo je izdelal ob koncu 17. stoletja 
duhovnik Vincenzo Picot v zvezi s cerkvijo in s premoZenjem Zupnije 
Grdosela (Gherdosella, Castelverde) v  okraju Pazin, nam daje 
razmisljati o materialnmem, kulturnem fn drufbenem  pogledu 
podezeljskega Zupnika. 

Izvirni dokument je shranjen v grdoselskem Zupnijskem arhivu, 
z nazivom Zvezek Matere Bozje Zdravja, objavil ga je znani utenjak 
glagolitskih zapisov Branko Fudié z naslovom kronika v ”Vjesniku 
Istarskoga Arhiva“ iz leta 1994. Spomini se nanasajo na gradnjo 
novega Zupnjiskega sedeza, leta 1680, in na znesek premozenja 
zupnika Picota ter kaplanijJje med leti 1702-1705 in v naslednjih 
desetletjih. Kronika je zanimiva tako za dojemanje vaske skupnosti 
iz osebnega in zlasti kulturnega pogleda Zupnika (v tem primeru 
zupnika Picota), upostevajoé dejstvo, da gre za neko slovansko- 
hrvasko skupnost nadvojvodske Istre, ki je bila doslej malo proudena; 
zanimiva pa je tudi zaradi samega lika Zupnika, s svojo gospodarsko 
podlago in kulturo. 


LE INCURSIONI DEI TURCHI E LE FORTEZZE 
VENEZIANE IN FRIULI E IN ISTRIA NEL QUADRO 
DELL’ORGANIZZAZIONE MILITARE DI TERRAFERMA 


NEL XVI SECOLO 
ANTONIO MICULIAN CDU: 623+945+949.4/.5-3.Istria”15” 
Centro di ricerche storiche Sintesi 
Rovigno Dicembre 2001 


Riassunto — L’autore presenta la situazione vigente in Friuli e nella penisola istriana nel corso 
del XVI secolo. Vengono messi in rilievo i continui conflitti con gli Asburgo e le incursioni dei 
Turchi nelle nostre regioni e in quelle confinanti nonché il tentativo effettuato dalla Serenissima 
nel difendere i suoi domini con un sistema di fortificazioni lungo i punti strategici della penisola. 
Vengono prese in considerazione le fortezze di Gradisca, Palmanova, Monfalcone, Marano, la 
Chiusa di Venzone e Osoppo nell’area friulana; in Istria, invece, i borghi fortificati lungo le 
postazioni strategiche con il limes asburgico. Tale sistema difensivo aveva creato numerosi 
disagi per la popolazione locale in quanto i borghi fortificati e la frontiera che divideva il mondo 
veneto e quello asburgico, in primo luogo, ostacolavano sia la libera circolazione dei commer- 
cianti, sia il flusso delle merci. 


I rapporti tradizionali con il mare e gli interessi molteplici che legavano il 
popolo veneziano alla via mediterranea e del vicino Oriente delle spezie alla nuova 
via oceanica aperta dai Portoghesi non bastano a spiegare la viva attenzione con 
cui venivano seguite nella Repubblica di Venezia le imprese dei navigatori che nel 
corso di tutto il XV e XVI secolo allargarono i confini del mondo conosciuto o il 
favore che i loro racconti incontravano tra i lettori del tempo. Si può presumere 
che ogni commerciante sognasse pure di illustrare il proprio nome aprendo, sulla 
scia di Marco Polo, nuove vie ai “patrii commerci” ma anche di rivelare per primo 
prodigi mai visti della natura, tesori di civiltà intatte, ecc.' Tali aspirazioni furono 


! Cfr. G. LUCCHETTA, “Viaggiatori e racconti di viaggi nel Cinquecento”, in Storia della cultura 
veneta dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, Vicenza, vol. 3/II (1980), p. 433-440. Le pagine seguenti 
contengono i capitoli “Notizie sui viaggi verso il nuovo mondo”, “Relazioni di mercanti in Medio ed Estremo 
Oriente” e “Racconti di pellegrini in Terrasanta” p. 440-489. 


156 A. MICULIAN, Le inaurioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol. XXX], 2001, p. 155-188 


tuttavia interrotte dalle mire espansionistiche dei Turchi che, a partire dalla prima 
metà del XIV secolo, dopo aver consolidato l'impero degli Osmani — (Ulrich I) — 
ed istituito l’esercito regolare dei giannizzeri, avevano dato inizio ad una vasta 
compagna di conquiste estendendo la Signoria fino al Bosforo? e conseguentemente 
— (Suleiman) — dopo essersi impadroniti di Tsympe si erano avvicinati sempre più 
verso il territorio europeo. Infatti, poco dopo caddero in potere degli Ottomani 
Gallipoli (1357) e la costa fino al fiume Marica in Macedonia e all’Ergene. Sotto il 
figlio e successore di Urchan, Murad I, caddero Demotica (1361), Filippoli (1362), 
e nel 1363 Adrianopoli, scelta da Murad quale propria residenza. 

Quindi, le conquiste furono indirizzate verso settentrione e il nord-ovest, 
occupando Ni3 (1375), Sofia (1382) e nel 1389 annientando la potenza dei serbi 
nella battaglia di Kosovo. Baiazid I, dopo aver sconfitto il principe dei bulgari, 
nel 1391 occupò tutto il suo territorio compresa la Valacchia, mentre iniziarono 
contemporaneamente le prime scorrerie verso i territori ungheresi. 

L'imperatore Sigismondo, che cingeva pure la corona di S. Stefano, vide 
il pericolo, e, acapodi un esercito composto da 60.000 uomini, nella primavera 
del 1396, affrontò gli infedeli. Tuttavia, con la sconfitta subita nei pressi di 
Nikopolje, l'Ungheria venne completamente saccheggiata fino a Buda-Pest e 
da allora iniziarono “quelle barbare incursioni che per tanto tempo riempirono 
di desolazione e di terrore la Stiria, la Carinzia, la Carniola, l’Istria e i paesi 
con esse confinanti” }. 

Le prime incursioni dei Turchi nella Carniola risalgono agli inizi del XV 
secolo; infatti nel 1408 devastarono Mottling e Tschernembl, e “numerosi 
cristiani (furono) uccisi o condotti in schiavitù.”. Probabilmente, una decina 
d’anni dopo, un’altra incursioine ottomana devastò la Stiria (1418) che, quanto 
sembra, stando alle fonti storiche dell’epoca, sarebbe stata terminata con una 
completa sconfitta dei turchi*. 

Il minorita croato Giovanni Tomasic, nel suo “Chronicon breve regni 
Croatie”, narra che i Turchi nel 1425, attraverso la Bosnia e la Croazia, si 
sarebbero spinti “usque ad aquas gradatas, quae vul go — bile vode — dicuntur” 
traendo con se numerosi cristiani’. 


2 Nel 1396 conquistò Nicomedia, quindi Nicea 1330 e tutta la Bitinia. 


3 Vedi G. LOSCHI, “Le incursioni dei Turchi nella Carniola e nell’Istria”, Archeografo Triestino 
(= AT), Trieste, vol. XVIII (1892), p. 488. 


4 IBIDEM, p. 489. 


5 Arhiv za povjestnicu jugoslavensku /Archivio per la storia jugoslava/, Zagabria, vol. IX (1868), p. 


A. MICULIAN, Le inaursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 157 


Il Valvasor, che consultò tale cronaca, non fa cenno di tale scorreria, 
mentre le cronache di allora menzionano un’incursione avvenuta nel 1431, 
quando più di 8000 ottomani, penetrati in territorio croato e oltrepassata la 
Kupa, avrebbero preso la città di Mottling giungendo fino a Rudolfswert dove, 
però avrebbero subito una grave sconfitta dall’esercito guidato dal capitano 
della Carniola Ulrico Schenk e dal conte Stefano di Monfort. Stando al Levec® 
una incursione ottomana nella Carniola sarebbe avvenuta probabilmente nel 
1425, oppure nel 1429; quanto alle parole “aquae gradatae” o “bile vode” lo 
Czoernig vede indicato un canale marino presso il villaggio di San Canziano 
fra Monfalcone ed Aquileia, ovvero l’Isonzo”. 

A partire dalla metà del XVI secolo, Maometto II “il conquistatore” nel 
1453 decretò la caduta dell’Impero Romano d’Oriente — o Bisanzio — e, 
conseguentemente gli ottomani conquistarono il Peloponneso (1458), la Serbia 
(1459), occuparono Lesbo (1462), la Bosnia (1463), l’Erzegovina (1466), e 
Maometto, come Annibale “ante portas”, venne a trovarsi indisturbato nei 
pressi dei confini dell'Ungheria e della monarchia asburgica®. 

Il governo veneziano, già allora era pronto a compiere il suo dovere di 


16-17. Per quanto riguarda le incursioni in Dalmazia nel XVII secolo, vedi M. JACOV, "Le guerre 
veneto-Turche del XVII secolo in Dalmazia”, Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria 
(=AMSDSP), Venezia, vol. XX (1991), p.225-269. 


6 Francesco LEVEC della Scuola Superiore di Lubiana stampò nella relazione annua di quell’Istituto 
(1890-91) un importante saggio storico nel quale vengono narrate le scorrerie dei turchi nella Carniola e 
nell’Istria fino alla morte dell’imperatore Federico III (1493). Cfr. G. LOSCHI, “Le incursioni dei Turchi”, 
cit. p. 488-489; IDEM “Incursione dei Turchi nelle parti vicine di Trieste”, L'/stria, Trieste, an. Il, agosto 
1847, p. 50-51; IDEM, “Luoghi per li quali passarono già li Turchi partendosi dalla Bossina per la Patria del 
Friuli”, L’/stria, cit., an. VI, 8 marzo 1851, n. 10; S. JUG, “Turski napadi na Kranjsko in Primorsko do prve 
tretjine 16. stoletja” /Le incursioni dei Turchi in Carinzia e nel Litorale fino al primo trentennio del XVI 
secolo/, Glasnik Muzejskega drustva za Slovenijo /Bollettino della Società dei musei della Slovenia/ , 
Lubiana, vol. XXIV (1934), p. 2-60; A. CREMONESI, “Zadnji turski upad v Furlanijo (1499)”, /L’ultima 
incursione dei Turchi in Friuli/, Goriski letnik /Annuario goriziano/, 1976, n. 3, p. 124-129; F. CUSIN, “Le 
vie d’incursione dei Turchi in Italia nel secolo XV”, AT, vol. XLVII (1934), p. 143-156; M. BERTOSA, 
Mletacka Istra u XVI i XVII stoljecu /L’Istria veneta nel XVI e XVII secolo/, vol. I, Pola, 1976, p. 46. 


? IBIDEM: “Narrasi infatti che nel 1478, nella stretta valle di questo fiume presso l’odierna ‘Turski 
Kr°, tra Ronzina e Dolegna Sela, una schiera di Turchi sia stata distrutta colle pietre gettate loro addosso 
dalle sovrastanti rupi; solo il loro condottiero salvossi e giurò ‘Pri tem znamenji prisegam da ne bodemo ne 
ja ne moji nasledniki nic veé hodili, koder bela voda teée in kjer take gore v nebo kipe' — Giuro per questo 
segno che ne io ne i miei successori passeremo mai più dove scorre l’acqua bianca ne dove tali monti s’alzano 
al cielo”, p.490. 


8 Per quanto riguarda la conquista ottomana nei Balcani fino alla caduta della Bosnia Erzegovina, vedi 
Vj. KLAIG, Povijest Hrvata /Storia dei Croati/, lib. IV, Zagabria, 1985, p. 7-87. Cfr. A. BATTISTELLA, La 
Repubblica di Venezia ne’ suoi undici secoli di storia, , Venezia, 1921, cap. XIII, p.321-352; R. CESSI, Storia 
della repubblica di Venezia, Firenze, 1981, p. 332-361. 


158 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Am, vol XXXI 2001, p. 155-188 


stato cristiano, conforme, del resto, al suo interesse aveva perciò attivamente 
operato con gli stati cristiani, specialmente della penisola Ellenica, per riunirli 
in una comune difesa, cercando di stabilire una linea di difesa innanzitutto 
lungo “l’Examilion”; tuttavia, la discordia e la reciproca ostilità delle signorie 
greche, disposte a subire la servitù musulmana a prezzo di tributo piuttosto che 
cooperare a reciproca difesa, avevano agevolato e, nello stesso tempo, contri- 
buito all’ ampiamento dell’espansione ottomana nella penisola balcanica. 

Man mano che i despotati greci erano stati travolti dalla prepotenza turca 
—ultimo il ducato di Atene — e le colonie genovesi dell'Egeo, Focea, Chio, 
Lesbo, Paros, Lemnos e la stessa Rodi erano state costrette a capitolare o a 
sottomettersi a tributo, mentre Venezia era rimasta sola alla difesa del Pelopon- 
neso con i minuscoli ma importanti possessi di Ftelion, Argo, Nauplia, Modo- 
ne, Corone e Monembasia-Malvasia, solamente allora il mondo cristiano 
occidentale s’era spaventato al vedere l’opera distruttrice dei barbari e Nicolò 
V, poi Calisto III e Pio Il avevano promosso una “crociata” che, per l’indiffe- 
renza dei principi risultò vana anche perché allora Federico III si trovava 
impegnato in una lunga guerra contro Mattia Corvino ed il fratello Alberto. 

Contemporaneamente nella penisola balcanica, e specialmente da Banja 
Luka, “/e bande turche puntarono a nord, seguendo il corso del fiume Una; 
superavano poi le balze della Kapela e raggiungevano le sponde adriatiche 
davanti all’isola di Veglia; sfilavano quindi sopra Fiume e, attraverso Clana, 
Castelnuovo del Carso e Prosecco, si radunavano ancora, e di solito, sulla riva 
sinistra dell’Isonzo per riorganizzarsi prima di gettarsi sulla pianura friulana. 
Per portarsi invece nei territori dell'Impero, Carniola, Stiria e Carinzia, 
puntavano su Metlika, passavano sotto Lubiana, proseguendo poi verso nord, 
non disdegnando talvolta, toccando Postumia e marciando lungo la valle del 
Vipacco, di calare in F riuli”°. 

Nella seconda metà del XV secolo, l’Istria e le regioni contermini furono 
in più riprese saccheggiate dai Turchi; infatti, nel 1469 gli ottomani comparve- 
ro nella Carniola; a Lubiana incendiarono il duomo fuori dalle mura, nel 
Goriziano effettuarono numerose scorrerie e, nell’autunno dello stesso anno, 
Skander pascià “dux et princeps imperatoris turcarum” era entrato nel Friuli 
con un grosso esercito e si era spinto fino al Piave “devastando sul suo 
cammino col fuoco e coll’armi”. Durante tale incursione, Antonio da Marliano 


*G.G. CORBANESE, /? Friuli, Trieste e l’Istria nel periodo veneziano. Grande atlante storico — 
cronologico comparato, v. 2, Bologna, 1987, p. 51-72 


A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 159 


scriveva al duca di Milano di aver appreso che i Turchi si erano spinti a 40 
miglia da Trieste e “(...) che tutto quel paixe fuge e reduxese a la marina. E 
hanno tolto i castelj che queli de li imperio, et pare che siano de cercha 
30000”!°, mentre alcune bande si erano staccate dal grosso ed avevano effet- 
tuato la prima missione esplorativa nell’Istria, spingendosi fino sotto le mura 
di Castelnuovo del Carso. 

Un anno dopo, 8000 turchi, condotti da Asabek o Marberg si spinsero fino 
a Basovizza e attraverso Prosecco, Duino e Monfalcone, passarono nel Friuli 
per far quindi ritorno in Bosnia!". 

Nella primavera del 1471 Beglerbeg Isaac — pascià con 15.000 uomini, 
dopo aver devastato la Carniola, Lubiana, comparve nuovamente in Istria e nei 
pressi del Castello “Moccò - Montecavo”- fece prigionieri 350 cristiani; un 
anno dopo, anche il territorio di Aquileia venne saccheggiato come pure il 
castello di San Daniele, Gorizia e gran parte della penisola istriana. 

A dire il vero, nel momento in cui la lotta per ottenere l'egemonia nel 
Levante e nel mondo dell’area ellenica aveva preso una nuova dimensione di 
sviluppo, le regioni confinanti alla nostra penisola, Friuli e Veneto, vennero 
direttamente coinvolte nelle operazioni terrestri dell’esercito ottomano. Infatti, 
nel 1472 i Turchi arrivarono nella pianura friulana con l’intenzione non di 
occupare la regione ma di distrarre le forze veneziane dal fronte principale 
delle operazioni costringendole ad impegnarsi su un raggio estremamente 
ampio; a tale riguardo, la situazione ci viene descritta dal senatore Domenico 
Malipiero: ” fin tanto che’! general ha ateso a depredar le marine della 
Turchia, i Turchi ha danizà da più bande i luoghi della Signoria, no solamente 
in la Morea, in Albania e in Dalmazia, ma anche in Italia (...). A questi tempi 
le cose della Signoria seria passade felicemente, se no se havesse havudo da 


!0 /BIDEM, p. 51; cfr. pure V. SIMONITI, “Slovenska historiografija o tur&kih vpadih in obrambi pred 
njimi” /La storiografia slovena inerente le incursioni dei Turchi e i sistemi di difesa/, Zgodovinski casopis 
/Rivista storica/, Lubiana, a. 42, 1988, p. 505-516. 


!! Cfr. F. CUSIN, “Le vie d’invasione dei turchi in Italia nel XV secolo”, A7, vol. XIX (1934), 
p.145-152; vedi pure il Discorso del 1475 al Serenissimo Principe de Venezia de le vie per le quali ponno 
venir Turchi in Italia, di autore ignoto — Ambrosiana D. 216, inf., carte 185-186 —copia del secolo XVII 
(IBIDEM, p. 154-155). Per quanto riguarda le ulteriori escursioni e conquiste dei Turchi in Europa vedi D. 
VENTURINI, “Tomaso Tarsia dragomanno grande della Repubblica veneta, al secondo assedio di Vienna 
per opera dei Turchi — da una relazione inedita”, Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologiae Storia 
Patria (=AMSI), vol. XXII (1906), p. 45-65 e a p. 66-136 la “Relazione di me Tomaso Tarsia Cavaliere 
Dragomanno Grande della Serenissima Repubblica di Venezia alla Porta Ottomana, con la descritione del 
compenbdio delli successi più essentiali accaduti nella guerra intrapresa dai Turchi contro l'Ungheria l’anno 
1683 (...)”. 


10 A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


guerreggiar anche in Italia.(...); ma le so forze divise non ha possuto far 
quell’opera che le haveria fatto unite”!”. 

Nel mese di aprile del 1478, la penisola istriana venne nuovamente 
saccheggiata dai Turchi; questi ultimi, provenienti dalla Bosnia, passando da 
Castelnuovo si erano accampati nei pressi di Trieste, da dove, una nutrita 
schiera “si preoccupò di predare i dintorni inoltrandosi fino a Pirano”, mentre 
una formazione di 8000 cavalieri avevano raggiunto l’Isonzo. Il fiume in piena 
e le truppe venete attestate in quella postazione rappresentavano un’insormon- 
tabile baluardo; per questo motivo, dopo aver razziato e messo a fuoco il 
comprensorio tra Monfalcone e Gorizia, i Turchi si avviarono sulla via del 
ritorno verso i Balcani. 

La prima incursione ottomana che coinvolse direttamente il Friuli orientale 
a la Carnia aveva avuto lo scopo di mettere alla prova la resistenza veneziana, 
relativamente efficace all’inizio, ma inutile poi, dal momento che i Turchi 
poterono muoversi liberamente in ogni direzione. Di fronte a tale pericolo il 
governo veneziano decise di rafforzare le “cernide” lungo i valichi montani. 

Il sistema di fortificazione, che nel Medio Evo aveva giovato alla difesa 
dei centri urbani con fossati, torri e muraglie merlate, allora era stato superato 
dalla cresciuta potenza dell’artiglieria e dal perfezionamento delle armi da 
combattimento in genere. Venezia pensò di munire la cerchia di grossi bastioni 
o baluardi a difesa delle cortine ovvero il muro tra un bastione e l’altro. Sorsero 
così le cinte bastionate, frutto della Scuola italiana di fortificazione del Rina- 
scimento. A tale riguardo, gli architetti militari si dedicarono anche alle 
planimetrie degli abitati in funzione strategica, da gareggiare per creare sulla 
carta la fortezza ideale. I principali esponenti di questa scuola furono Bonaiuto 
Lorini e Vincenzo Scamozzin, ambedue addetti all'Ufficio delle Fortificazioni 
della Serenissima Repubblica di Venezia. 

Da tenere presente che nella storia militare di Venezia non si registra la 
costruzione di vere fortezze prima del XV secolo; appena dopo la caduta del 
Patriarcato di Aquileia, 1420, e dopo la sua espansione nel retroterra veneto — 
lombardo fino all’ Adda, si manifestò la necessità di erigere fortezze per la 
concomitanza di due minacce esterne ugualmente gravi: l’ossessiva pressione 
dei Turchi e l’implacabile ostilità delle altre potenze europee, in modo partico- 
lare gli Asburgo nel settore isontino e nella penisola istriana. 


12 Cfr. FE SALIMBENI, “I Turchi in terraferma”, in Venezia e i Turchi. Scontri e confronti di due civiltà, 
Milano, 1985, p. 232-233. 


A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atî, voL XXXI, 2001, p. 155-188 161 


A dire il vero, alcuni provvedimenti intrapresi da Venezia per difendere i 
loro domini in Friuli ed in Istria dalle scorrerie ottomane risalgono alla fine del 
1478, quando, il Senato, su proposta della commissione inviata in Friuli, aveva 
deciso di eseguire i seguenti lavori di potenziamento del sistema di “opere fisse 
di difesa” contro i Turchi: 

— costruzione di una doppia strada protetta tra gli apprestamenti militari di 
Gradisca d’Isonzo e di Fogliano; 

— costruzione di una bastia e di due torri aggiuntive a Gradisca, di altre 
bastie a Lucinico, a Farra, al ponte di Gorizia (di coperto con il conte) e di altre 
due tra le località fortificate di Farra e di Lucinico; 

— di riescavare il fossato di difesa e di rafforzare le mura di Udine con una 
controscarpa; 

— di scavare nuove fosse intorno alle mura di Cividale; 

— di apprestare nuovi quartieri militari in vista dell’aumento del numero di 
difensori a Fogliano e a Gradisca, che già erano in grado di dare ricetto a circa 
5000 uomini e a 2400 cavalli; 

— di rinforzare tutte le cortine! 

Le “fortezze da terra e da mar”, sorte nel Veneto, nel Friuli, sulla 
Terraferma e ai Lidi, come nei più lontani possedimenti (Cipro Candia, Corfù, 
la Morea, la Dalmazia e l’ Albania veneta), diventarono l’indispensabile stru- 
mento per salvaguardare la Serenissima, che chiamò alla loro progettazione i 
migliori ingegni dell’epoca: dai Savorgnan ai Sanmicheli, dal Baglioni al della 
Rovere, dal Lorini al Malacreda e Girolamo Martinengo e tanti altri tecnici, 
seguiti nelle loro attività, a partire dalla metà del XVI secolo, dalla nuova 
magistratura dei “Provveditori alle Fortezze”!* 
procurar et proveder che tutte le fortezze nostre et terre che a loro ( i 


con l’incarico di ‘‘aricordar, 


provveditori) paresse esser de importantia siano fornite delle cose opportune 


et necessarie alla conservation di esse”. 


3 G.G. CORBANESE, op. cit., p. 64. 


!4 La realizzazione poliorcetica condizionò lo stesso sviluppo urbanistico dei centri interessati; fossero 
perfezionate o costruite ex novo, le fortezze lasciarono sul territorio segni indelebili e oggi, anche nei casi di 
maggior alterazione della morfologia della città, restano evidenti le tracce degli interventi difensivi nei secoli 
più difficili della storia di Venezia, con la progressiva disgregazione dei suoi domini fino alla caduta della 
Repubblica, nel 1797. Cfr. P MARCHESI, Fortezze veneziane 1508-1797, Milano, 1984, p. 25-36. Vedi pure 
E. CONCINA, La macchina territoriale, la progettazione della difesa nel Cinquecento veneto, Bari, 1983. 
Cfr. pure “Fortificazioni e strategie difensive veneziane nella guerra contro il Turco”, in Venezia e i Turchi, 
cit., p. 244-249. 


55 “Fortificazioni e strategie difensive veneziane nella guerra contro il Turco”, cit., p. 244. 


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Ai Provveditori, oltre ad obblighi d’ordine logistico e amministrativo, 
venne affidato il compito si salvaguardare la sicurezza dei possedimenti e delle 
città attuando nuovi interventi progettuali e costruendo nuove opere difensive 
in modo particolare nei punti strategici lungo i “/imes” dei suoi domini. Nelle 
lunghe guerre che vedranno coinvolte la maggior parte delle “ fortificazioni da 
mar “, sottoposte a continui attacchi ed assedi, la Serenissima Repubblica si 
trovò costretta ad intervenire ripetutamente negli stessi possedimenti ed inve- 
stire ingenti somme di denaro e personale umano per difendere i suoi territori 
dalle continue scorrerie degli avversari; ed infatti, i numerosi disegni, che si 
conservano presso il Museo Civico Correr di Venezia, con le eventuali modi- 
fiche, ci consentono oggi di analizzare l’evolversi e il modificarsi della politica 
difensiva e militare della Repubblica di San Marco, ma, nello stesso tempo, 
queste carte rappresentano preziosa testimonianza della politica difensivistica 
veneziana!’. 

Le scorrerie ottomane del 1472 avevano spinto la Serenissima a fortificare 
il “collisello” e nel corso dell’ulteriore incursione del 1477, ad affidare al 
Luogotenente Giovanni Emo ed agli architetti militari Enrico Gallo e Giovanni 
Borella la costruzione di una fortezza, atta a contenere la minaccia degli 
infedeli. 

Nel 1479, nei pressi di San Michele, sulla riva destra dell’Isonzo a valle 
della confluenza con il Vipacco, in una posizione strategica, i veneziani fecero 
riorganizzare e completare il tessuto edilizio dando origine alla fortezza di 
Gradisca, protetta da alti bastioni e da ampi fossati riempiti d’acqua, costituita 
da un possente quadrilatero di mura e torrioni con un Castello in un quinto 
angolo accessibile solamente dalla parte del fiume che doveva rappresentare 
un valico insuperabile per il nemico”. 

Tuttavia, agli inizi del XVI secolo, l’accanimento improvviso contro la 
Serenissima Repubblica di San Marco, delineatosi nel 1508 con la famosa Lega 


!6 /BIDEM, p. 244. 


!? Cfr. F MORTEANI, “Fortezze veneziane in Friuli e in Istria”, Pagine Istriane (=P1), Trieste, an. 
VIII, 1957, n. 30-31, p. 21-22: “Là... il genio di Leonardo da Vinci si esplicò per la protezione di ambe le 
rive dell’Isonzo, come ci rivelano le tre iscrizioni dell’Erma, eretta presso la fortificata porta del Mercaduzzo. 
Il ricordo marmoreo, in onore del barbuto ingegnere toscano, è opera dello scultore gradiscano Giovanni 
Novelli e presenta, in centro, le seguenti espressioni: Nell'anno M.D. / LEONARDO DA VINCI/ Qui 
apprestò opera ed armi / Alla difesa dell'Isonzo/ e della fortezza veneziana di Gradisca / propugnacolo della 
Cristianità / contro gli Infedeli / testimoni / del Genio costruttivo latino / contro la barbarie sterminatrice. A 
Sinistra: Bombarde col modo che io detti a Gradisca (Codice Atlantico). A Destra: Avendo io conosciuto 
che per qualunque parte di terraferma e Turchi pervenire possino alle nostre parti italiche, alfin conviene a 
quelli capitare al fiume Isonzo. (Codice Atlantico)”, p. 21. 


A. MICULIAN, Le inaursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXX], 2001, p. 155-188 163 


di Cambray, nella quale si unirono per la spartizione dello Stato Veneziano, il 
Papa, il Sacro Romano Impero, la Francia, Napoli, i Duchi di Ferrara, di 
Mantova e i Savoia, lega ideata dai francesi, condusse, durante la guerra 
1508-1511, alla perdita della cittadina isontina e nemmeno un secolo dopo, 
nella famosa Guerra degli Uscocchi o di Gradisca (1615-1618) l’esito delle 
operazioni venete di assedio alla fortezza risultarono favorevoli!*. 

Nella prima metà del Cinquecento la fortezza di Gradisca, “minuscola 
capitale di un minuscolo principato” con il rispettivo castello — fortezza, 
divenne possesso diretto degli Asburgo, che l’assegnarono alla potente fami- 
glia della dinastia asburgica degli Eggenberg (1647-1717). 

Dopo la perdita della fortezza di Gradisca, i confini orientali della Repub- 
blica Veneta vennero a trovarsi quasi sguarniti mentre la dieta di Worms 
(1521), confermando all’Austria i territori occupati, sanzionava un confine 
innaturale e precario. Era indispensabile, per la Serenissima Repubblica prov- 
vedere sollecitamente alla difesa di quel fianco del territorio sia dalle pressioni 
Asburgiche che dalle incursioni dei Turchi i quali, dopo i duri colpi inferti al 
Friuli, ne minacciavano di nuovi e persino a danno della stessa capitale 
lagunare. 

Nel 1556 re Ferdinando aveva creato un Consiglio di guerra, come aveva 
precedentemente effettuato il Pontefice dopo l’esperienza del 1527, composto 
di autorità militari e civili, che avrebbe dovuto provvedere all'ordinamento 
difensivo dello Stato. In effetti, dopo la battaglia di Mohàcs - il sultano turco 
Solimano annientò l’esercito ungherese e completò la conquista degli stati 
balcanici — ebbe inizio un nuovo periodo di vita per il Sacro Romano Impero e 
per la Casa d’Austria. La difesa dell'Europa cristiana contro i Turchi, che 
avrebbe potuto essere diretta dalla nazione ungherese, toccò ora necessaria- 
mente agli arciduchi austriaci. Il loro impero, creato da una serie di matrimoni 
fortunati, trovò la propria giustificazione di fronte all’ Europa cristiana nel fatto 
che, dopo la caduta dell'Ungheria, era ormai l’unico e necessario baluardo 
valido contro un impero mussulmano grande e aggressivo; e nei secoli seguen- 
ti, la sua base plurinazionale non era elemento sufficiente a infirmarne la 
validità. Comunque, il Consiglio aveva intensificato la sua attività soprattutto 


!8 Cfr. D. VENTURINI, La guerra di Gradisca — Pagine di storia patria del XVII secolo, Capodistria, 
1905; vedi pure G.G. CORBANESE, op. cit., vol. 2, p. 112-116 (Guerra contro l’Impero: I fase, febbraio- 
giugno 1508), p. 117-125 (Venezia contro l'Impero: Il fase, maggio 1509/fine 1510); p. 129-139 (Venezia 
contro l'Impero: II fase; la Lega Santa, 4 ottobre 1511; La Lega di Blois, 23 marzo 1513; Il Trattato di 
Noyon, 13 agosto 1516); p. 185-217 ( La guerra di Gradisca). 


164 A. MICULIAN, Le inavsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2901, p. 155-188 


nel 1565, quando si decise un piano d’urgenza per fortificare la parte meridio- 
nale dell’ Ungheria, tra il lago Balaton e la Drava, una zona ritenuta la via più 
probabile per i Turchi, diretti verso il cuore dell’ Austria!”. 

Il problema di difendere l’accesso orientale del Friuli aveva preoccupato 
il mondo occidentale dal tempo dei Romani. La fortezza di Aquileia, costruita 
da questi ultimi attorno al 150 a.C., presso le rive dell’ Adriatico, aveva perso 
la sua importanza strategico militare dopo la caduta dell’Impero Romano 
d’occidente. Comunque, quando Venezia nel 1420, dopo la caduta del Patriar- 
cato di Aquileia, aveva conquistato il Friuli, non si era preoccupata di fortifi- 
care la frontiera appena conquistata perciò, tra il 1470 ed il 1500, i Turchi 
effettuarono sette incursioni distruttrici nel Friuli, incendiando e derubando più 
di cento tra villaggi e città. Solamente verso la fine del XV secolo Venezia 
aveva iniziato a costruire un terrapieno lungo tutto l’Isonzo, fortificando con 
rinforzi in muratura, quartieri per insediarvi distaccamenti permanenti di sol- 
dati. Nel 1511, Venezia, come risultato della disastrosa guerra con la Lega di 
Cambrai, aveva perso questa linea fortificata assieme a grosse postazioni 
territoriali in Friuli, e vi era rimasta, ancora una volta, senza una linea di 
protezione dei suoi confini. 

Per questo motivo la Serenissima aveva intensificato la sua attività per la 
salvaguardia dei suoi confini orientali contro la minaccia di un’invasione turca. 
La decisione di costruire una nuova fortezza in Friuli fu lunga e ricca di 
contraddizioni. Il Senato doveva vincere non solo l’opposizione dell'Impero suo 
vicino a Nord, ma anche obiezioni nel suo interno, poiché alcuni suoi membri 
ritenevano che questo progetto sarebbe stato troppo costoso. Anche la città di 
Udine si era opposta energicamente a questo progetto, temendo di perdere gran 
parte dei suoi commerci e del suo movimento a favore della nuova città fortificata. 

Nell’estate del 1592, una speciale commissione formata da tre nobili 
veneziani venne incaricata dal Senato ad esaminare dettagliatamente la fron- 
tiera friulana e di scegliere il luogo opportuno per una nuova fortezza. La 
commissione aveva effettuato un primo sondaggio nel mese di novembre, e 
tornata a Venezia nel gennaio dell’anno successivo, aveva immediatamente 
raccomandato che una fortificazione fosse quanto prima costruita nell’area tra 
San Lorenzo e Palmada””, 


! Cfr. Vj. KLAIC, op. cit., p. 315-399; G.G. CORBANESE, op. cit., p. 178-184. 


20 Per la ricostruzione della fortezza di Palmanova e della sua storia cfr. il materiale archivistico 
custodito presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, presso La Libreria del Museo Correr di 
Venezia e presso l'Archivio di Stato di Venezia. Quest'ultimo contiene le collezioni della documentazione, 


A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 165 


Nel frattempo il Senato aveva anche incaricato alcuni dei migliori esperti 
di ingegneria e scienze militari di fare indagini indipendenti; così nel novembre 
1592 sia Giulio Savorgnano che Bonaiuto Lorini presentarono i loro consigli, 
affermando che la nuova fortezza avrebbe dovuto sorgere tra Strassoldo e 
Palmada, mentre il Lorini aveva pure specificato che essa avrebbe dovuto 
comprendere almeno nove bastioni?'. 

Il Senato, nella delibera del 17 settembre 1593, aveva chiaramente 
espresso la volontà di costruire in Friuli una fortezza munita di bastioni reali in 
quanto bisognava salvaguardare anche il confine occidentale, a causa della 
presenza in Milano degli Spagnoli, che non dimostravano certamente senti- 
menti amichevoli, e la Terminazione dei 5 Provveditori generali, sottoscritta a 
Strassoldo il 16 ottobre, diceva espressamente che,” veduti e riconosciuti 
diversi disegni della pianta della fortezza fatti fare da Sua Ser.tà e proposti allo 
studio delli capi di guerra e ingegneri”, era stata scelta la pianta con nove 
baluardi reali”. 

Intenzione di Venezia era di costruire una fortezza più moderna e potente 
del mondo, situata a circa 20 miglia a Sud-Est di Udine nei pressi del fiume 
Isonzo in Friuli, la città — fortificazione, che a sua volta divenne l’orgoglio della 
Serenissima, rappresentò una delle più significative manifestazioni dell’urba- 
nistica del Rinascimento. 

Tale fortezza stellata denominata Palmanova, “Forijulii — Italiae et Chri- 
stianae Fidei Propugnaculum”, non tardò a suscitare la reazione dell’ Austria 
in quanto gli asburgo consideravano la fortificazione non tanto per la difesa 
contro le incursioni dei turchi, ad arrestare i quali bastavano i castelli sull’ Ison- 


tra le quali gli Annali, le Relazioni e le Deliberazioni della Saegreta del Senato, 1’ Archivio dei Provveditori 
alle Fortezze e i Dispacci di varie cariche, Terra Ferma e del Senato, sec. XVI-XVIII. Cfr. P. MARCHESI, 
La fortezza veneziana di Palma La Nuova, Udine, 1980, p. 30-32. 


2! IBIDEM, nota 29, p. 34: “(...) Da notare che la forma della nuova fortezza è stata ridotta a nove 
bastioni, invece dei dieci che erano stati progettati in gennaio. In relazione a questo bisogna rilevare che non 
solo è futile, ma ingannevole cercare un significato simbolico per ilnumero nove (...) Il proposito di Venezia 
era di costruire una fortezza tanto più grande quanto fosse economicamente possibile. Quando Lorini 
raccomandò che la fortezza fosse di almeno nove bastioni egli voleva dire che se fosse stata più piccola 
sarebbe stata insufficiente in robustezza, in forma e capacità. Ma è sottinteso in questa affermazione che un 
numero maggiore di bastioni sarebbe stato preferibile. (...)”. 


22 P. DAMIANI, Palmanova, la storia, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, 1982, p. 
6-7. Il progetto della fortezza di Palma venne affidato all'Ufficio delle Fortificazioni competente in materia 
e precisamente al conte Giulio Savorgnan, generale delle artiglierie della Serenissima. Tuttavia, protagonista 
della realizzazione in loco della cerchia di Palma fu il conte bresciano Marc’ Antonio Martinengo di 
Villachiara, nominato dal Senato Governatore delle Armi il 10 ottobre 1593. Vi operarono pure gli architetti 
militari Lorini, Guberna, Boldi, Francesco Berlenghi, Girolamo Fontana ed altri. 


166 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


zo, ma punto di partenza per l’occupazione della Contea di Gorizia e la cacciata 
dall’Italia della Casa d’ Austria. Inoltre, l’impresa veneziana era pure in contra- 
sto con gli accordi di Worms e, in tal senso, l’Austria aveva informato i 
firmatari con un esteso memoriale”. 

Venezia ripetutamente aveva assicurato |’ Impero che la sua nuova fortezza 
non era stata intesa come minaccia diretta per i suoi vicini di Nord, ma piuttosto 
come baluardo contro gli Ottomani. Avrebbe dovuto proteggere non solamente 
la Serenissima Repubblica ma tutta la Cristianità contro gli infedeli” 

La controversia, dopo le lettere minatorie da parte dell’imperatore Rodol- 
fo II e di Filippo II, re di Spagna, fu rimessa al giudizio del Papa; Clemente VII 
che, in più riprese aveva cercato di unire i sovrani d'Europa contro i Turchi, 
non considerò negativa l’idea di Venezia cosicché quest’ultima poté ultimare 
la costruzione. 

Il nuovo insediamento aveva trovato valida motivazione nella necessità 
per la Serenissima di contrapporre una piazzaforte di frontiera a possibili 
incursioni ottomane e, soprattutto, alla Casa d’ Austria, che nel 1511 era entrata 
in possesso della fortezza di Gradisca. 

Posta in una zona pianeggiante, a circa 18 km dal fiume Isonzo, la 
fortificazione di Palmanova , nelle varie vicende belliche successive, non 
aveva avuto mai l'opportunità di rendersi utile sebbene fosse stata eretta per 
chiudere “la fatale breccia orientale dei confini italiani”. 

Anche nella Venezia Tridentina la Repubblica di San Marco dovette 
impegnarsi a lungo per salvaguardare i suoi domini dagli infedeli e dalle 
pretese arciducali. Nella valle dell’Adige, Venezia, dopo aver perso varie 
postazioni ovvero i quattro Vicariati di Ala, Avio, Mori e Brentonico, perdita 
avvenuta nel 1516 al tempo di Massimiliano I°, dovette rinunciare anche il 
possesso di Rovereto, Torbole, Nago e Riva. In tal modo gli Absburgo, 
padroni di Gorizia e di Gradisca, della zona alpina, da Nord e da Est, e del 
centro dell’Istria, dove nel 1374 avevano ottenuto dai Signori di Gorizia la 
Contea di Pisino, minacciavano direttamente i territori veneziani, specialmen- 
te dal 1526 in poi, dopo aver acquistato i regni di Boemia e di Ungheria, 
mentre l’efficienza della Repubblica Veneta, duramente colpita dalla caduta di 
Bisanzio-Costantinopoli, “chiave dell'Europa”, in mano dei Turchi dal 1453, 


23. Cfr. IBIDEM, note 2, 3, p. 21. 


24 Per quanto riguarda le milizie e l'armamento usato dalla Repubblica di Venezia nella fortezza di 
Palmanova dal 1593 al 1797, ctr. A. PRELLI, Le milizie venete in Palma 1593-1797, Udine, 1988, p. 9-35, 
cfr. pure il capitolo seguente. 


A. MICULIAN, Le inassoni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXI, 2001, p. 155-188 167 


declinava rapidamente, anche a causa dello spostamento dell’attività economi- 
ca dal Mediterraneo all’ Adriatico quale conseguenza delle scoperte geografi- 
che”). 

Anche la rocca veneziana di Monfalcone, su “Monte Falcone”, fortilizio 
eretto con mastio possente centrale, quadrato, munito di “strada coperta” alla 
periferia, rivestì una certa importanza, specialmente tra il 1517 e il 1543, anno 
in cui la fortezza di Marano era ritornata in possesso veneziano. Prima di 
questo recupero sulle rive dell’ Adriatico, la sua funzione oltre che di “battere 
la terra sottostante” e con essa il traffico commerciale che sfociava alla 
“muta”, era soprattutto quella di stazione di collegamento con il mare per un 
eventuale soccorso alle forze venete impegnate, in più riprese, nella penisola 
istriana a fermare le scorrerie asburgiche ed ottomane. 

Ed è proprio per la sua posizione geografica che, la roccaforte, dopo la 
definizione della contesa di Cambrai, distrutta dagli attacchi imperiali, venne 
restaurata ed ampliata con muraglia circolare “da tre a dieci piedi di grossezza 
interrotta da arcobusiere, fossa cavata nel sasso vivo larga otto passi, torre 
centrale merlata di sette passi per abitazione, deposito di munizioni e cisterne 
per l’acqua”. 

Tuttavia, nel corso del XVI secolo, la roccaforte venne più volte rinforzata 
in quanto il Provveditore Generale in Terraferma Mocenigo l’aveva conside- 
rata come “Rocca fatta senza fianco, battuta facilmente, non si tiene per forte” 
anche se fino al 1593 assieme a Marano, era in grado di difendere il “basso 
Friuli e l’entrata del mare” dagli arciducali situati nelle vicinanze, ovvero a 
circa tre miglia da Duino. 

Dopo la costruzione della fortezza di Palma, Monfalcone e la sua rocca 
divennero “posto satellite” dipendente dalla piazza primaria sia per i frequenti 
restauri sia per il cambio mensile del presidio militare. Dopo essere stata 
distrutta due volte, al tempo della Lega di Cambray e durante la guerra di 
Gradisca, negli anni successivi mantenne intatto il suo modesto potenziale 
difensivistico, specialmente nel periodo compreso tra gli anni ’20 e ’30 che 
esprime una delle fasi più oscure della sua storia a causa degli eventi bellici ed 
epidemici, nonché dall’impoverimento dei traffici commerciali alla stazione 


25 Per quanto riguarda la Contea di Pisino, vedi C. De FRANCESCHI, L'/stria, note storiche, 1981, 
p. 371-428; L. FOSCAN, / Castelli medioevali dell'Istria, Trieste, 1992, p. 153-162. 


26 A. TAGLIAFERRI, “Struttura delle fortezze e delle milizie venete nel quadro dell’organizzazione 
militare di Terraferma”, in T. MIOTTI, Castelli del Friuli. Storia ed evoluzione dell'arte delle fortificazioni 
in Friuli, vol. 5, Bologna 1981, p. 252. 


168 A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 155-188 


doganale per la concorrenza specialmente di Gorizia e del nuovo percorso che 
dall’alto Isonzo raggiungeva le marine di Duino. 

Tra le altre fortezze e i presidi militari che rappresentavano i cardini della 
struttura difensiva veneta nel corso del ‘500 non possiamo fare a meno di non 
menzionare Marano, la Chiusa di Venzone e Osoppo, mentre, per quanto 
riguarda Udine e Cividale, non furono mai prese in considerazione dai rappre- 
sentanti della Serenissima Repubblica”. 

Marano, “(...) Terra et comunità sopra la marina verso mezo dì, è lontana 
da Udine miglia XVIII, dove va un Magnifico Proveditore venetiano. Il terri- 
torio è occupato da Regij, mediante un bastioncello detto Maranuto, le ville 
sono VI.” La fortezza di Marano, a poche centinaia di metri dalla rocca di 
Maranutto in mano agli arciducali, aveva assunto notevole importanza dopo la 
costruzione della fortezza di Palma. Nel novembre 1543 la fortezza, proprietà 
dello Strozzi — l’aveva ottenuta dai francesi per i servigi prestati al re di Francia 
— aveva offerto la fortezza per 35.000 ducati a Venezia, minacciando, qualora 
la sua proposta non venisse accolta, di essere disposto a venderla ai Turchi. 
Venezia aveva accettato e il 29 novembre le truppe venete rientrarono in 
Marano, ripresero il porto di Lignano e quelli di S. Andrea, dell’ Anfora e di 
Buso nella laguna maranese e lentamente iniziarono ad infiltrarsi e ad usurpare 
le terre paludose ed i canali della bassa”. 

Infatti, con un presidio ordinario composto da fanti di non più di 100 
uomini e straordinario di 210, serviva ai veneziani per salvaguardare un tratto 
dell’Adriatico e il collegamento tra il mare, la laguna maranese e la nuova 
piazza. Per la sua posizione strategica, il Provveditore Generale di Palma era 


27 Cfr. A. TAGLIAFERRI, op. cit., p. 254-256: “Udine, ha il suo recinto (di passi 2607 esterni e 1358 
interni), d'una muraglia antichissima et molto debole, non terrapienata, et con fossa poco profonda. Per le 
quali imperfettioni, et per trovarsi assai vicina a confini, fu già stimato bene, che dovesse essere ridotta in 
qualche stato di fortificazione, et di difesa, la qual opera, come sommamente necessaria, con grand'ardore 
incominciata, et con spesa di qualche rilievo, non fu però molto innanzi proseguita, essendo poco dopo che 
seguì la deliberazione di costruire la fortezza di Palma, restata interrotta et sospesa; onde trovandosi tuttavia 
nel medesimo essere, inhabile in tutto, quando il bisogno lo ricercasse, a mantenersi, o far alcuna resistenza, 
è concetto e parer universale, ch'al primo strepito d’arme, che si facesse sentire, fosse ciascuno per 
abbandonarla, et ritirarsi in luogo di maggiore sicurezza.”, p. 255; “Cividal, non è forte né si pol fortire, qual 
è vicino a regi) (...) non può essere ridotta ad alcuna fortificatione per il mancamento delle cose che si 
ricercano ad una real fortezza, et per haver li monti vicini, da quali può esser facilmente battuta, con tutto 
ciò essa è circondata da due mani di muraglie antiche, con doi belloardi, atti quando dentro vi fossero soldati 
da sostennere ogni incorsione de nemici... tuttavia la Serenità Vostra la può tenere per sicurissima come anco 
la città di Udene, et tutta la sua Patria da ogni forza nemica, havendo ivi distante solo dieci miglia la sua 
nuova fortezza di Palma.”, p. 256. 


28 G.G. CORBANESE, op. cit., p. 149. 


A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 169 


stato investito anche di vigilare direttamente della custodia della fortezza, 
sull’esecuzione dei restauri e sull’invio, in caso di necessità, di rinforzi al 
presidio militare. 

La fortezza, munita da “mura in buon stato, et tale che può scorrer 
lungamente, senza che vi si facia a torno spesa di molta importanza- afferma 
Antonio Giustinian —; è vero, che chi volesse ridurla a quella perfettione, 
ch’oggi da soffistichi vien rittrovata, besognerebbe rifformarla dalle piante 
(...) concludo che il suo stato presente soij a sufficientia.(...).° I restauri 
effettuati dal 1611 al 1620 su proposta di Alvise Giustinian, avevano reso la 
fortezza “del tutto assicurata dalle sorprese (...) et sebene la fortezza nel resto 
ha membri deboli, nulla di meno può dirsi (...) ella sia insuperabile””. 

La Chiusa di Venzone, era stata ritenuta dal responsabile in ordine alle 
visite e alle revisioni periodiche Luogotenente Vito Morosini, assieme ad 
Osoppo, Monfalcone e Marano, “una delle quattro fortezze della Patria e 
luogo veramente di importanza”. 

Il passo della chiusa, tra il fiume Fella e la montagna sulla strada imperiale 
pontebbana, rappresentava un punto strategico non solamente per l’organizza- 
zione della difesa del territorio, ma, soprattutto, per ragioni sanitarie e commer- 
ciali. Per questo motivo Venezia non aveva mai pensato a fortificarlo anche 
perché per la sua posizione geografica era direttamente esposto agli attacchi 
esterni. La fortezza era composta da tre parti addossati alla montagna; uno 
detto la guardiola o castello, esposto sul Fella con torri laterali, fossato, ponti 
e rastelli sulla strada maestra che l’attraversa; il secondo ad uso di abitazione 
ed il terzo superiore accessibile con scale dal tetto sottostante. Poco distante 
dal castello era situata la dogana (qui se paga la muda de le mercancie) ed un 
piccolo forte nei pressi del fiume dove, “una rosta di legno tratteneva l’acqua 
e provocava una gran caduta ad impedire il guazzo di cavalleria e l’assalto al 
castello via fiume”. 

Il presidio era formato da un castellano veneto, da un capitano e da un corpo 
di fanti locali o casalini che di solito non superavano una decina d’uomini; in 
caso di pericolo il Generale di Palma era in dovere di provvedere in merito. 

La fortezza di Osoppo, per la sua posizione strategica e per la sua struttura 
naturale, nel 1525 venne definita dal Luogotenente Andrea Foscolo “Rocca e 
cuore della Patria”, mentre una trentina d’anni dopo, Francesco Michiel ne 


2° IBIDEM, p. 251. 
30 IBIDEM, p. 252. 


170 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ami, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


sottolineava l’importanza soprattutto per la debolezza di Cividale “non forte né 
fortificabile” e di Udine “non forte e forse malamente fortificabile”. 

“L’esser formata da un alto monte di vivo sasso che s’innalza in mezzo ad 
una vasta campagna; l’esser circondata da un lato dal Tagliamento e dagli 
altri lati da terreno giaroso ed acquoso; l’esser posta in faccia della strada 
imperiale che porta in Alemagna per il passo della Chiusa e di Pontebba; 
l’aver copia d’acque risorgive facilmente raggiungibili con pozzi e cisterne; il 
disporre in sommità di un piano collegato al basso con 3 strade capace di 
contenere uomini e mezzi in grandi quantità ”, costituivano per i veneziani 
elementi importantissimi di valutazione per poter predisporre il sito per una 
lunga e attiva difesa contro qualsiasi nemico". 

La località e la fortezza rientravano nella giurisdizione dei Savorgnani dal 
Monte che dovevano provvedere alla custodia, al restauro in caso di necessità, 
nonché al mantenimento del presidio militare, mentre il Luogotenente di Udine 
aveva avuto l’ordine di provvedere, periodicamente, alla visita. 

Nel 1566 i Savorgnani fecero costruire, a loro spese, una grande cisterna 
che poteva contenere “tremila botti d’acqua”, e nel 1629, sempre a loro spese, 
furono costruiti numerosi alloggiamenti per i soldati, corpi di guardia e senti- 
nelle, una torre per il deposito di munizioni e “diverse operationi, che riguar- 
dano la sicurtà della medesima piazza, e che ben dimostrano la pronta 
dispositione dei medesimi signori Savorgnani verso il publico servicio.” 


Anche nella penisola istriana la Repubblica di San Marco aveva dovuto 
impegnarsi a lungo per mantenere l’integrità territoriale dei suoi domini sia 
dalle pretese arciducali che dalle scorrerie dei Turchi. A dire il vero, man mano 
che le cittadine costiere dell'Istria si erano date alla Serenissima, quest’ultima, 
specialmente nei luoghi strategici e lungo il limes con i possedimenti austriaci, 
aveva fatto costruire fortificazioni con lo scopo di controllare la situazione 
militare e l’espansionismo asburgico, ma anche migliorare le difese delle 
cittadine marittime lungo tutta la costa istriana da Muggia fino ad Albona e 
Fianona””. 


3! IBIDEM, p. 253. 


3? Per quantoriguarda le fortificazioni e i sistemi difensivi dei centri costieri dell'Istria veneta nel XVII 
secolo, Cfr. M. BUDICIN, “Fortificazioni e sistemi difensivi dei centri costieri dell'Istria veneta (1619- 


A. MICULIAN, Le inavsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, voL XXXI, 2001, p. 155-188 171 


Capodistria, Parenzo e dopo il 1269, San Lorenzo del Pasenatico divenne 
“Clavis totius Istriae”*3, ma furono fortificati anche tutti i borghi veneti situati 
all’interno della penisola come Grisignana, Sanvincenti, Valle, Dignano e le 
altre località istriane. 

Parallelamente aveva collocato capitani e podestà veneti nei centri minori 
lungo il limes dei possedimenti appartenenti ai conti di Gorizia e ai patriarchi 
di Aquileia**. Altrettanto rilevante fu il controllo della valle del Quieto, come 
pure il possesso di Montona, Grisignana, Buie, Portole ed altre località limitro- 
fe. Solamente nel 1420, con la caduta del patriarcato d’ Aquileia, l'organizza- 
zione territoriale dei domini veneti in Istria assunse una certa configurazione; 
bisognerà, comunque, attendere fino alla prima metà del XVI secolo per avere 
una definitiva ripartizione della regione tra i possedimenti veneziani e quelli 
asburgici””. 

Infatti, nel corso di un ennesimo conflitto con |’ Austria (1513 -1516 ) i 
veneziani riuscirono a recuperare gran parte del Friuli ad eccezione di Gradisca 
che era rimasta in potere agli imperiali. Nel corso di tale conflitto, estese 
regioni dell’Istria furono “perdute e riconquistate, quindi depredazioni, incen- 
di e guasti di luoghi e di campagne accompagnarono questa guerra guerreg- 
giata, condotta piuttosto contro gl’infelici abitanti che contro i soldati”. 

Nel 1519, dopo la morte di Massimiliano I, i Veneziani, al congresso di 
Worms, in accordo con Carlo V erano riusciti a riconquistare in Istria alcune 
importanti postazioni strategiche lungo i confini con gli asburgo quali Piemon- 
te, Bercenegla, Castagna, Visinada, Medolino, Momiano, Racizze, Sovignac- 
co, Marcenigla, Draguch e Verch, e così Montona venne liberata dal cerchio di 


1620)”, La Ricerca - Bollettino del Centro di ricerche storiche di Rovigno, 2001, ,n. 29-30, p. 12-14. Vedi 
pure Aspetti storico-urbani nell'Istria veneta, dai disegni dell'Archivio di Stato di Venezia (a cura di M. 
Budicin), Trieste-Rovigno, 1998 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 16). 


33 Per quanto riguarda i rapporti di fidelitas delle cittadine istriane con Venezia e le dedizioni fino alla 
caduta del Patriarcato d’ Aquileia cfr. L'Istria. Storia di una regione di frontiera (a cura di FSALIMBENI), 
Brescia, 1994. 


3 Cfr. C. De FRANCESCHI, I! comune polese e la signoria dei Castropola, Parenzo, 1905; De 
VERGOTTINI, “La costituzione provinciale dell’Istria nel tardo Medio Evo”, AMSI, vol. XXXVIII (1926) 
e vol. XXXIX (1927). 


35 Dal punto di vista politico-istituzionale, l’Istria ricevette una definitiva sistemazione con gli accordi 
di Worms firmati tra Carlo V e il Senato veneto. La parte veneta comprendeva la fascia costiera che si 
protraeva da Muggia fino ad Albona e Fianona con importanti borghi fortificati all’interno, Valle, Dignano, 
ece., mentre la parte austriaca della penisola comprendeva l’interno, ovvero la contea di Pisino, cfr. M. 
BERTOSA, Istra: Doba Venecije (XVI.-XVIII. stoljece) Istria: periodo veneto (XVI-XVIII secolo)/, Pola, 
1995, p. 17-42. 


172 A. MICULIAN, Le inousioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


ferro che la stringeva da ogni lato. D'altro canto Venezia aveva dovuto cedere 
all’ Austria Aquileia, Gradisca, la “chiusa di Plezzo — (Flitsch), Tolmino, 
Castelnuovo, San Servolo Moccò ed altre postazioni nella regione carsica. Il 
Senato infeudò la maggior parte delle terre acquistate a nobili famiglie vene- 
ziane; così il castello di Piemonte con le sue ville dipendenti quali Bercenegla, 
Castagna e Piemonte, le contrade di S. Maria di campo, Medolino e Rosara 
furono vendute nel luglio 1530 per 7500 ducati ai veneziani G. Contarini. 
Barbana e Rachele — Castelnuovo all’ Arsa — furono cedute, nel dicembre 1535, 
per 14.760 ducati ai fratelli Loredan; S. Vincenti rimase ai Morosini che 
l’avevano ereditato dai Sergi di Pola, e da questi passò poi ai Grimani di S. 
Lucia. A Momiano furono rimessi i Raunicher — (Ravagnani); Racizze, invece, 
fu lasciata ai Walderstein®°. 

L'Austria, invece, aveva subordinato le postazioni territoriali ottenute a 
Worms alla Carniola nonostante le ripetute lagnanze dei triestini che per 
legittimo diritto le sarebbero spettate. Siccome i capitoli di Vorms avevano 
lasciato irrisolta la questione dei confini tra Venezia e i possedimenti asburgici, 
con la sentenza di Trento del 17 giugno 1535, vennero assegnati ai veneziani i 
feudi di Barbana, Visinada, Piemonte, Castel Racizze, Pietrapelosa e determi- 
nati pure i confini con la parte montana, ovvero con la contea di Pisino, che 
rimarranno stabili fino alla caduta della repubblica di San Marco. 

La sentenza tridentina non aveva risolto definitivamente le discordie dei 
confini in Istria; nuovi conflitti tra Venezia e | Austria scoppiarono con la 
creazione delle cosidette “differenze”. Infatti, la sentenza di Trento aveva 
lasciato “incolti e promiscui alcuni spazi di terreno tra i contendenti, con 
eguale facoltà di pascolo agli uni ed agli altri, e colla riserva alle parti stesse 
di farne in un prossimo avvenire la definitiva divisione, divisione che però non 
ebbe mai luogo. Questi terreni, costituirono le differenze, nome infausto 
nell’Istria, scrivevano i provveditori al Senato, essendo esse le più feraci di 
discordie e di risse”. 

Riguardo alle “differenze”, nel 1717 il Provveditore veneto Fini aveva 
segnalato che la differenza di San Lorenzo “che si estende per 5 miglia in 
lunghezza e per oltre mezzo miglio in larghezza, feconda di sua natura ed atta 
non solo a pascoli ed a boschi, ma anche a semina, è riservata soltanto ad uso 
di pascolo reciproco, e produce null’altro che spine d’infestazioni a questi 
sudditi”. 


36 B. BENUSSI, L’/stria, cit., p. 306-307 e nota 1. 


A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 173 


Nel corso di tutto il Cinque e Seicento, lungo queste differenze gli scontri 
tra veneti ed arciducali furono all’ordine del giorno; questi ultimi, aiutati 
materialmente dal capitano di Pisino, spesso si erano spinti all’interno 
dell’Istria, derubando e devastando le ville venete che “lentamente si spopola- 
rono, mentre s’accrescevasi di altrettanto la popolazione delle circostanti ville 
arciducali.” 

Tuttavia, già nel 1519, Carlo e il fratello Ferdinando avevano concluso un 
accordo in base al quale i “confini italiani”, ovvero i possedimenti austriaci “al 
di qua delle Alpi”, la contea di Gorizia, d’Istria e la città di Fiume, sarebbero 
rimasti in possesso a Carlo V il quale, stando al suo progetto, avrebbe riunite 
queste provincie con la Lombardia e col il reame di Napoli per attanagliare in 
un cerchio di ferro i possedimenti veneziani e lasciare libera la navigazione 
nell’ Adriatico superiore. 

A tale riguardo i Triestini avevano chiesto ed ottenuto da Carlo V tutta 
una serie di privilegi commerciali con il reame di Napoli e di Sicilia e la facoltà 
di navigare liberamente lungo tutto l’ Adriatico “ed arsenale e flotta per 
mantenere la libertà di navigazione dirimpetto a Venezia.” Tale disegno 
politico non venne però attuato in quanto il fratello Ferdinando era stato 
contrario e gli stessi Carniolici ‘se n’erano mostrati decisamente contrari, al 
punto di rifiutare i soccorsi contro il minaccioso avanzarsi dei Turchi ove 
questo distacco si effettuasse”. Con un nuovo trattato, marzo 1 522, le provincie 
cisalpine rimasero a Ferdinando, mentre Trieste dovette momentaneamente 
rinunciare alle sue mire espansionistiche nei confronti di Venezia nell’ Adria- 
tico”: 

Dal punto di vista politico, amministrativo ed istituzionale, l’ Istria veneta, 
nella prima metà del Cinquecento, aveva assunto una nuova sistemazione di 
tipo “provinciale” in quanto, il podestà e capitano di Capodistria da un lato, ed 
il capitano di Raspo dall’altro, risulteranno possedere un sistema territoriale 
diviso in quattro podesterie dotate da insediamenti urbani e piccoli castelli 
fortificati: due a nord, ovvero Capodistria ed il capitanato di Raspo; due a sud, 
cioè Pola e Albona. 


37 Dopo l’abdicazione di Carlo V, suo fratello Ferdinando | aveva ottenuto anche la corona imperiale 
(1556-64), e prima di morire aveva diviso le provincie austriache frai suoi tre figli: Massimiliano, Ferdinando 
e Carlo; quest’ultimo ottenne le provincie dell’ Austria interiore, cioè la Stiria, Carinzia, Carniola, Gorizia, 
Trieste e la contea d'Istria con residenza a Graz. Nel 1590, dopo la morte dell’arciduca Carlo le sopra 
menzionate provincie passarono a Ferdinando II che nel 1619 era succeduto al cugino Mattia nelle altre 
provincie austriache come pure sul trono di Germania (1619-1637). 


174 A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


Sotto il profilo amministrativo-territoriale, invece, nei secoli XVI-XVII 
andò consolidandosi l’ordinamento provinciale dei possedimenti istriani della 
Serenissima, organizzati in quella che comunemente era definita l’Istria veneta 
che comprendeva più di due terzi della penisola e che si suddivideva in 
Provincia dell’Istria propriamente detta e Capitaniato di Raspo*. 

La prima aveva assunto una peculiare organicità nel 1584 quando venne 
istituito il Magistrato di Capodistria, carica delegata dal Senato alla discussio- 
ne delle cause d’appello di prima istanza di tutto il possedimento veneto in 
Istria, il cui ruolo preminente venne attestato dal codice di “Leggi, Decreti e 
Terminazioni del Ser.mo Magg.r Cons.o dell’Ecc.mo Pregadi (...) concernenti 
il buon gouerno dell'Istria (...)", stampato nel 1683 per commando del podestà 
e capitanio Valerio Da Riva”. 

Il Capitaniato di Raspo, assieme ai circumvicini castelli fortificati diven- 
ne, a partire dal 1394 fino al 1511, “c/avis totius Istriae”, continuando però a 
svolgere quella funzione politico-militare dei precedenti capitanati dei pasena- 
tici menzionati. 

Nella parte centrale della penisola Montona e circondario assieme a San 
Lorenzo costituivano una barriera invalicabile lungo il confine della contea 
asburgica di Pisino, mentre i feudi di Due Castelli, Sanvincenti, Barbana, 
formavano una linea continua feudale attraverso la penisola da est ad ovest, 
dall’ Arsa al Leme, Orsera e Fontane e, facevano da barriera agli Asburgo ed il 
territorio di Rovigno, di Valle , di Dignano e della Polesana‘. 

Nel corso delle ostilità belliche tra |’ Austria e la Serenissima avvenute nel 
XVI e XVII secolo, questo sistema di fortificazioni non aveva mai permesso 
agli asburgo di arrivare fino alla costa nella parte veneta della penisola. 

Da tenere presente, inoltre, che le fortificazioni venete in Istria erano state, 
specialmente nel corso della guerra di Gradisca, notevolmente rafforzate da 
Venezia con la mobilitazione della milizia territoriale — “cernide” — che si 


38 Aspetti storico-urbani, cit., p.41. 


39 IBIDEM, p.41: “ A Settecento inoltrato, l'edizione del 1757 delle corpose Leggi statutarie per il 
buon gouerno della provincia dell'Istria, delle Comunità, Fontici, Monti di Pietà, Scuole, ed altri luochi Pii, 
ed Offizj della medesima (...), raccolte in quattro libri dal podestà e capitanio di Capodistria Lorenzo Paruta, 
confermava in pieno i due secoli di primato del massimo ufficio provinciale”, p. 41 e note 7, 8. 


40 Cfr. E. IVETIC, “Funzione strategica e strutture difensive dell'Istria veneta nel Sci e Settecento”, 
Archivio Veneto, Venezia, Serie V, vol. CLIV (2000), p. 82-83. Periodi di attrito lungo i confini tra l’Istria 
Veneta ed Asburgica ci furono soprattutto negli anni della guerra uscocca e lungo il settore nord-orientale 
con strascichi che si protrassero fino al 1797. Controversie che comunque non modificarono la linea 
confinaria andatasi a delineare nel corso dei sec. XIX e XV e stabilizzatasi in quelli successivi. 


A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 175 


erano distinte nei combattimenti. A tale riguardo, nella relazione del Tiepolo, 
si legge che ‘“(...) le cernide paesane in Istria durante la guerra di Gradisca 
(1615/1617) prestarono ottimo servizio e i più atti si mostrarono quelli di 
nazione croata — i Morlacchi — ma essendo soliti viver di rapina, hanno poco 
meno danneggiato il suddito di quello che si abbia fatto il nemico.” 

Le cernide erano reclutate nei villaggi dell’interno della penisola, mentre 
dai centri della costa, da Muggia ad Albona e Fianona, venivano arruolati gli 
equipaggi della flotta. Come in Friuli, così anche in Istria, venivano circoscritti 
tutti gli “uomini da fatti” dai 18 ai 36 anni, i quali, in tempo di pace, dovevano 
periodicamente radunarsi per l’ addestramento. 

L’organico delle cernide istriane, fine ‘500 ed inizi del ‘600, comprendeva 
6 compagnie, comandate da altrettanti capitani agli ordini di un governatore: 

— l.a compagnia: comprendeva 500 uomini del territorio di Capodistria; 

— 2.a compagnia: 400 uomini dei territori di Pietrapelosa, Momiano, Buie, 
Grisignana, Piemonte, Portole e Visinada, mentre il centro di mobilitazione, 
alternativamente, si trovava a Buie e a Visinada; 

— 3.a compagnia: 400 uomini reclutati nei territori di Dignano, Pola, 
Barbana, Castelnuovo, S. Lorenzo, Duecastelli e Valle. Centro di mobilitazio- 
ne a Dignano; 

— 4.a compagnia: 400 uomini coscritti nel territorio di Pinguente e 50 
uomini di cavalleria; 

— 5.a compagnia: 300 uomini nel territorio di Albona; 

— 6.a compagnia: 400 uomini nel territorio di Montona. 

Capodistria, inoltre, forniva una compagnia di bombardieri, 100-150 uo- 
mini, mentre Pirano ne dava altri 30°". 

Le ordinanze paesane venivano pure mobilitate non solamente in caso di 
guerre, ma anche di calamità naturali e, soprattutto, per “l’occorrenza di 
salute”, al fine di creare un cordone sanitario lungo i confini con i territori 
asburgici — contea di Pisino —, per difendersi dalla diffusione della peste 
bubbonica, malaria ed altre malattie contagiose che in più riprese, nel corso dei 
secoli, avevano devastato e decimato la penisola istriana””. 


4! Cfr. G.G.CORBANESE, op. cit., p. 156. 


4. Cfr. B. SCHIAVUZZI, “Le epidemie di peste bubbonica in Istria”, AMSI, vol. IV, f. 3-4 (1888), p. 
423-447, alla fine del saggio vedi “Prospetto cronologico di peste bubbonica nell’Istria e Trieste (dall'anno 
192 al 1632)", p. 447; IDEM, “La malaria in Istria. Ricerche sulle cause che l'hanno prodotta e che la 
mantengono”, AMSI, vol. V, f. 3-4, (1889), p. 319-472; L. PARENTIN,"Cenni sulla peste in Istria e sulla 
difesa sanitaria”, AT, s. IV, vol. XXXIV (1974), p.7-18; M. BERTOSA, /starsko vrijeme pro$lo II passato 


176 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


Anche i feudi e i castelli disposti lungo la valle del Quieto, da Visinada a 
Grisignana, Portole, Piemonte, Montona e praticamente fino a Raspo, coadiu- 
vati da numerosissimi insediamenti quali Sovignacco, Colmo, Castel Racizze, 
Draguch ed altri della zona, in più riprese, avevano dato dimostrazione di un 
valido limite difensivo. Un altro limes difensivistico si estendeva a settentrione 
da Capodistria per scendere fino a Pinguente che, tuttavia, nel corso della 
guerra di Gradisca, venne, in parte saccheggiato e distrutto. Il resto del territo- 
rio, comprendente le cittadine costiere del litorale occidentale, venne coinvolto 
dal costante problema dello spopolamento dovuto non solamente, quale conse- 
guenza di lunghi conflitti tra la Serenissima e gli Asburgo, ma anche da 
calamità naturali, in primo luogo, la malaria e peste bubbonica che ne decimò 
la popolazione costringendo Venezia ad intraprendere urgenti provvedimenti 
onde colonizzare la regione con nuove popolazioni che, nel corso del XVI e 
XVII secolo, mutarono la componente etnica della penisola istriana*. 

Tali strutture difensive e la divisione della regione tra i due grandi imperi, 
veneto ed asburgico, aveva creato diversi disagi specialmente per la popolazio- 
ne locale, in quanto, le vie interne che avrebbero dovuto convergere verso 
Pisino e unire le due regioni erano state bloccate dalle frontiere ‘“(...) era tutto 
sconvolto da quel confine che senza subordinarsi ai rilievi scavalcava irrazio- 
nalmente monti e valli, prati e boschi, fiumi e strade, ed arrestavano come una 
diga, da oriente ad occidente e da settentrione a mezzogiorno il flusso e il 
riflusso degli uomini e delle merci”*. 

Tale conformazione politico amministrativa rappresentava anche per la 
Contea parecchie difficoltà in quanto veniva a trovarsi accerchiata dai territori 
veneti mentre, a settentrione, le vie di comunicazione verso le regioni della 
Carniola, Stiria e Carinzia erano ostacolate dalla configurazione geografica 
della regione, ovvero dalla catena montuosa del Monte Maggiore e dal Carso 
istriano. 

Identica politica era stata condotta nella Contea di Pisino dagli Asburgo, 
cosicché la maggior parte delle cittadine e maggiori borgate della penisola 


dell’Istria/, Pola, 1978, p. 111-124; R. M. COSSAR, “L'epidemia di peste bubbonica a Capodistria”, AT 
(1928), p. 180-190; S. PLESNICAR, “Kuga v Istri” /La peste in Istria/, Zdravstveni vestnik /Bollettino 
sanitario/, Lubiana, vol. 8 (1962), p. 345-350; J. KRAMAR, “Epidemije v slovenski Istri” /Le epidemie nell” 
Istria slovena/, Zgodovinski Casopis /Rivista storica/, cit., an. 49, 1995, p.99-111. 


43 A tale riguardo cfr. M. BERTOSA, Istarsko vrijeme proîlo, cit. p. 111-123. 


44 Cfr. E. IVETIC, “Funzione strategica”, cit., p.83 e nota 17; e B. ZILIOTTO, “Aspetti di vita politica 
ed economica nell’ Istria del Settecento”, P/, s. IV, n.14 (1965), p. 8. 


A. MICULIAN, Le inausioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ani, voL XXXL 2001, p. 155-188 177 


avevano avuto l’aspetto, e lo hanno tutt'ora, di roccaforti atte alla difesa dalle 
continue scorrerie nemiche. 

L’ Austria, in più riprese, sebbene avesse tentennato d’intraprendere misu- 
re precauzionarie di difesa dei suoi domini, specialmente nella penisola balca- 
nica, contro gli ottomani, tuttavia, aveva costituito i “Confini militari” che 
dovevano rappresentare una muraglia invalicabile per il nemico; a dir il vero, 
l’origine della fortificazione risale al tempo del re Sigismondo e Mattia Corvi- 
no che avevano concentrato nei borghi fortificati di Knin, Obrovac e Benkovac 
un forte contingente militare formato prevalentemente da “personale umano” 
fuggito dalle regioni balcaniche cadute sotto le conquiste ottomane. 

I Confini militari comprendevano territorialmente una buona parte del 
territorio croato, ed erano stati direttamente subordinati a Vienna. In tal modo 
avevano diviso in due parti l’intero territorio mentre, in questa regione, il 
Parlamento e il bano croato non avevano avuto nessuna funzione, ne alcuna 
autorità politica fino alla seconda metà del XIX secolo, quando l’integrazione 
venne effettuata, grazie alla situazione politico-militare di allora e grazie 
all’abilità politico-diplomatica del bano Ivan MaZuranié**. 

Venezia, nel corso del Cinquecento, aveva costruito nei suoi possedimen- 
ti, nella parte montana della penisola, il forte Castello di Raspo, sede del 
Comandante -Capitano militare dell’ Istria, dopo la soppressione dei due Capi- 
tanati militari minori di San Lorenzo del Pasenatico e di Grisignana, rispetti- 
vamente a Sud e a Nord della linea del Quieto*°, 

Il “Capitaniato di Raspo”, sorto nel 1394 con la riunione dei due preceden- 


4 Cfr. A. MICULIAN, “L'evoluzione politica in Dalmazia dai moti del 1848 all’unificazione 
nazionale”, ACRSR, vol. IX (1978-79), p. 523-545; IDEM, “La lotta politica in Dalmazia tra partito 
autonomista e annessionista dall'inizio degli anni ’60 alla fine degli anni "80 del XIX secolo”, AMSDSP, vol. 
XXX (2001), p. 21-44. Cfr. anche G. NOVAK, “Politiéke prilike u Dalmaciji godine 1866-76” /Le condizioni 
politiche in Dalmazia negli anni 1866-76/, Radovi Instituta JAZU u Zadru /Lavori dell'Istituto dell’ Accade- 
mia Jugoslava delle Scienze e delle Arti di Zara), Zara, vol. VI-VII(1960), p. 37. Vedi pure D. ROKSANDICG, 
“Stojan Jankovié nella guerra di Morea ovvero degli Uscocchi, degli schiavi e dei sudditi”, ACRSR, vol. 
XXX (2000), p. 315-388; AA.VV., Dalmacija 1870 ILa Dalmazia nel 1870/, Zara, 1972; I. PERIC, 
Dalmatinski Sabor 1861-1912 (1918.) god. /Il Parlamento dalmata 1861-1912 (1918)/, Zara, 1978. 


46 Il Capitaniato di Raspo, sorto nel 1394 conla riunione dei due precedenti “Capitanati del pasenatico” 
di S. Lorenzo e di Grisignana, divenne Capitaniato di Pinguente. Esso, fin dalla sua costituzione, si 
identificava con l’area dell'alto Quieto racchiusa ad nord-est e a sud-est di Pinguente dal tratto di confine 
con i possedimenti austriaci. Il ruolo strategico difensivo del Capitaniato di Raspo-Pinguente era assicurato 
dai castelli fortificati circostanti che formando un quadrilatero ben concepito territorialmente difendevano 
quella che era la comunicazione principale che dalla fascia costiera entrava attraverso la valle del Quieto 
nelle parti interne più lontane della Provincia dell'Istria e nel contempoera passaggio obbligato per i traffici 
del territorio imperiale verso i centri e i porti della costa occidentale istriana. Cfr. Aspetti storico—urbani, 
cit., p.48. 


178 A. MICULIAN, Le inaursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, voL XXX], 2001, p. 155-188 


ti capitanati del pasenatico sopra menzionati, divenne Capitaniato di Pinguen- 
te. Esso, sin dalla sua costituzione, si identificava con l’area dell’alto Quieto 
racchiusa a nord-est e a sud-est di Pinguente dal tratto di confine con i 
possedimenti asburgici. Il ruolo strategico-difensivo del Capitaniato di Raspo 
era assicurato dai castelli fortificati di Pinguente, Colmo, Draguccio, Vetta e 
Sovignacco che, formando un quadrilatero ben concepito territorialmente, 
difendevano quella che era la comunicazione principale che, dalla fascia 
costiera entrava attraverso la valle del Quieto nelle parti interne della Provincia 
dell’Istria e, nel contempo, era passaggio obbligato per i traffici dal territorio 
imperiale verso i centri ed i porti della costa occidentale dell’Istria. Oltre al 
controllo di tutto il Pasenatico, ovvero del territorio veneto escluse le città, e 
del territorio lungo i confini nella parte montana dell’Istria, il capitanio di 
Raspo aveva pure la carica di podestà di Pinguente. 

La costruzione del Castello non era dovuta soltanto a necessità belliche: 
dall’Alto Carso istriano, la fortificazione venne eretta innanzitutto contro 
l’impero absburgico del Pisinotto, ma anche in riferimento alle indispensabili 
forniture di legname per la marina da guerra e di commercio veneta. A tale 
riguardo, in quell’epoca, la vasta foresta demaniale di Montona nella piana 
alluvionale del Quieto, si estendeva dalle “Porte di ferro” e dal corso della 
Brazzana, ove esistevano ancora i ruderi del Castello di Pietrapelosa dei 
marchesi Gravisi — Barbabianca, fino a Gradole nei pressi di Villanova del 
Quieto, e perciò il Castello di Raspo poteva, almeno in parte, con facilità 
controllare il trasporto delle grosse navi che si svolgeva in due direzioni 
opposte: per via fluviale dalla Bastia in poi, e per via terrestre, attraverso le note 
“carratade”, da Pinguente al mare, in rotta adriatica Cittanova - Umago — 
Lido, da dove il legname arrivava a destinazione nei porti dell’ Arsenale”. 

Il Castello di Raspo, la cui eminente posizione strategica fu subito valo- 
rizzata dalla Repubblica Marciana, aveva alle sue dipendenze i punti strategici 
più importanti del circondario, ovvero i castelli minori di Colmo, Draguch- 


47 Per quanto riguarda i boschi di Montana — il famosoboscodi S. Marco- sul quale Venezia esercitava, 
a mezzo di un “Capitanio della Valle di Montona”, il monopolio del legname da costruire, in gran parte 
riservato all’ Arsenale, ed in genere anche gli altri dell'Istria vedi V. BRATULIC (a cura di), Catastico 
generale dei boschi della Provincia dell'Istria (1775-1776) — Terminazione del C. E. Sopra Boschi — 
Naredjenje P. K. Varh Dubravah (1777) - CATASTICO GENERALE DEI BOSCHI DELLA PROUINCIA 
DELL'ISTRIA FORMATO DALL'ILLIMO ED ECC.MO SIG. BARBON VIC. MOROSINI IV PATRON 
ALL'ARSENAL E DEPUTATO Al BOSCHI NEGL'ANNI MDCCLXXV-LXXVI DELLA STESSA PROUIN- 
CIA, Trieste-Rovigno, 1980 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 4, 1980), p. 
4-474. 


A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 179 


Draguccio, Sovignacco, Verch, Rozzo e le undici ville, ovvero i casali di Brest, 
Bergodez, Lanischie, Podgachie, Prapurch, Danne, Clenuschia, Cropignacco, 
Seura, Terstenicco, Racievaz; in tal modo la fortezza aveva continuato a 
svolgere la sua funzione di ‘“Clavis totius Istriae” fino all’anno 1511, quando 
venne distrutto dagli Imperiali con conseguente trasferimento del Comando 
militare veneto a Pinguente. 

Pinguente, quale centro amministrativo ed economico più importante 
dell’area, divenne sede del Capitanio, massima autorità militare dell’Istria 
veneta la cui giurisdizione si estendeva anche alle 12 ville del carso pinguentino. 

Le conquiste e i successi conseguiti dagli Ottomani nella seconda metà 
del XVI secolo avevano destato ulteriori preoccupazioni per le diplomazie 
europee anche perché l’Occidente, e in modo particolare Venezia, pur attente 
ad ogni variazione dell’equilibrio politico in Levante e nei Balcani, avevano 
assistito quasi impassibili ai rapidi progressi dei Turchi, sperando, forse, che 
quel popolo si sarebbe tenuto alquanto lontano dall’ Adriatico. Comunque, i 
tormentati rapporti con il Turco che, nella seconda metà del secolo, esplosero 
prima nella crisi di Cipro ed in seguito nella battaglia di Lepanto, divennero 
l’argomento preponderante non solamente della politica governativa di allora, 
ma anche della produzione storico-politica e letteraria, latina, volgare e dialet- 
tale veneta**. 

La perdita di Cipro non rappresentava per Venezia solamente la perdita di 
uno “scoglio”, ma del più ricco possedimento nel Mediterraneo, in posizione 
ideale per i suoi traffici con il Levante. D'altro canto, la situazione si presen- 
tava difficile per l’ Occidente; l’armata della Lega si era sciolta, Filippo II non 
aveva avuto più alcun interesse a continuare la guerra in quel settore nel 
Mediterraneo; Venezia venne a trovarsi ancora una volta sola di fronte al 
Turco, che si stava nuovamente riarmando. Inevitabile è stata un’altra dolorosa 


4 AA.VV. Storia della cultura veneta dal primo Quattrocento al concilio di Trento, cit: Lettere, 
relazioni, orazioni, trattarelli storici, cronologie elenchi dei cittadini e delle navi partecipanti a questo o quel 
fatto d'arme, incisioni raffiguranti le flotte schierate a battaglia o le piazzeforti assediate o i costumi dei 
combattenti, progetti di alleanze contro il Turco, biografie di eroi oltre agli avvisi delle notizie varie che 
venivano stampati sotto forma di opuscoli o di fogli volanti. La prima notizia sulla battaglia la si ebbe nella 
“Lettera” di Girolamo Diedo, consigliere a Corfù, al bailo di Costantinopoli, Marcantonio Barbaro, ma una 
più ampia narrativa la troviamo nella "Historia" di Gian Pietro Contarini. Di particolare interesse sono i 
racconti di alcuni protagonisti delle vicende, come Nestore, Martinengo, fratello di uno dei comandanti 
veneziani giustiziati da Mustafà Pascià , mentre R. BENEDETTI nel suo “Ragguaglio delle rallegrezze, 
solennità e feste fatte in Venetia per la felice vittoria” ci descrive l’esultanza popolare quando la galea di 
Onfrè Giustiniano annunciò la vittoria. Indicativa del tripudio letterario patriottico-religioso è la canzone 
“Alla prima novella giunta in Vinegia di questa felice vittoria di Celio Magno, segretario del Consiglio dei 
X, poi segretario del Senato” (v. 3/I1, Vicenza 1980, p. 393-406). 


180 A. MICULIAN, Le inarrsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, vol XXXI, 2001, p. 155-188 


rinuncia, la rinuncia a Cipro, in cambio dei traffici e di quella “signoria del 
mare” che il Turco aveva definitivamente perduto, e Venezia e l’Occidente 
avevano riconquistato grazie all’apporto determinante, anche se duramente 
pagato, alla vittoria di Lepanto”. 

In realtà, la battaglia di Lepanto sanzionò momentaneamente il declino 
ottomano e permise, per altri due secoli, la sopravvivenza politica e militare di 
quella stupenda ed incredibile entità chiamata Venezia. 

Venezia dopo il 1571 era uscita dalla battaglia di Lepanto, vincente sul 
campo militare, ma sconfitta su quello economico, politico e morale. Le ragioni 
che resero pressoché vana la vittoria di Lepanto furono: la lega cristiana mancò 
di coesione e d’unità d’indirizzo e la Spagna non aveva desiderato indebolire 
l’impero ottomano affinché Venezia non traesse troppi vantaggi. Pertanto, la 
Repubblica di San Marco, per salvaguardare i propri interessi e continuare a 
svolgere la sua funzione prettamente marinara nell’ Adriatico e nel Mediterra- 
neo e mantenere indisturbata dalle scorrerie degli infedeli le sue postazioni, 
dovette accordarsi con gli ottomani pagando pure grossi tributi in denaro al 
sultano. 

Il suo esercito, assieme a quello della Lega, era uscito vittorioso dal 
conflitto; tuttavia, aveva subito ingenti perdite umane e demoralizzato i prota- 
gonisti diretti a tal punto che un diretto protagonista veneziano, Sebastiano 
Venier, così si era espresso dopo aver fatto ritorno a Venezia: ‘“(...). Ha noi ha 
toccato el combatter, le morti et ferite, et ad altri torsero la preda, che io, 
Signori, de tanta Vittoria ho guadagnato ducati 505, lire 2, pizoli 6, alcuni 
cortelli, una filza de coralli, etdo negri non boni apena da vogar in mezo d’una 
gondola (...)?"®. 


49 Le perdite in campo cristiano furono: su 7656 morti, 4856 erano veneziani; su 7784 feriti,, 4584 
veneziani. Si aggiunga il contributo decisivo dato alla disfatta della flotta turca dalle sei galeazze veneziane, 
le supergalere dotate di potenza e volume di fuoco eccezionale per quell'epoca mai precedentemente 
esperimentate. Cfr. Storia della cultura veneta, cit., nota 135, p. 406; A. MICULIAN, “Le incursioni dei 
Turchi in Europa e l’importanza delle fortificazioni venete in Istria e nelle regioni contermini nel XVI 
secolo”, relazione presentata al simposio scientifico La battaglia di Lepanto e l’Istria, Pirano, 6 ottobre 2001. 


50M. MORIN, “La battaglia di Lepanto”, in Venezia e i Turchi, cit. p. 231 e nota 36; Cîr. pure R. CESSI, 
Storia della Repubblica di Venezia, cit. p. 549-570: “Venezia dovette rassegnarsi alla perdita di preziosi 
possessi, che non aveva saputo difendere: a quella del regno di Cipro, di Antivari, di Dulcigno e di altri luoghi 
occupati dai Turchi; alla rinuncia delle effimere conquiste greche di Soporto e Margariti, all’aggravio di 
onerose indennità e di maggiori tributi, se voleva salvare Candia, le basi ioniche, quelle dalmate e quelle 
albanesi, e preservare ancora la superstite residua attività di traffico mediterraneo, che alimentava il mercato 
realtino. Tale fu la pace del 7 marzo 1573, che non placò i nemici di Venezia, ma non guadagnò a questa 
migliori amici.”, p. 570. Cfr. anche G. STANOJEVIC, Jugoslavenske zemlje u mletacko-turskim ratovima 


A. MICULIAN, Le incursoni dei Turchi e le fortezze veneziane, Anti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 181 


L'apporto navale veneto a Lepanto aveva contribuito a colpire ed arginare 
la potenza ottomana". Venezia amareggiata del contrasto con l’alto comando 
e con il governo spagnolo, nonché della sua intensa attività di spionaggio a 
danno della Serenissima sia a Venezia che nei possedimenti veneti nel Levan- 
te’, aveva preferito perseguire i frutti della vittoria ritraendosi in se stessa a 
rimediare le ferite inferte della guerra, ovvero, la grave crisi finanziaria ed 
economica che si era rivelata nella seconda metà del Seicento. 

L’accordo firmato da Venezia con il sultano il 7 marzo 1573, aveva destato 
grande scalpore fra i principi d'Europa, e la stessa Chiesa cattolica ne era 
rimasta profondamente delusa. Il popolo veneziano “che non conosceva la 
condizione della cosa pubblica mostravasene scontento, ma gli uomini di più 
sano e più maturo giudizio — osservava il Paruta — li quali con l’esperienza 
delle cose passate andavano i futuri successi misurando, affermavano costan- 
temente meritate quest’operazione laude o almeno giusta scusa, così consi- 
gliando la ragione di stato e la prudenza civile per la conservazione del 
dominio della Repubblica, il quale si conosceva senza questo unico rimedio 
della pace restare soggetto a gravissimi incomodi e pericoli)” 

Mentre la Repubblica di San Marco stava cercando di convincere i principi 
europei che tale accordo era stato allora necessario per il bene comune di tutto 


XVI-XVII! vijeka /Le terre jugoslave durante i conflitti veneto-ottomani XVI-XVII] secolo/, Belgrado, 1970. 
Cfr pure E. MUSATTI, Storia di Venezia, vol. 1, Venezia, 1968, p. 359-378: “ Col trattato di Costantinopoli 
7 marzo 1 573 si stabilì che, confermate le precedenti convenzioni, restituirebbero i Veneziani al Gran Signore 
de’ Turchi (Selim Il) il castello di Sopotò — nell’Epiro, era stato conquistato da Sebastiano Venier nel 1570 
— rinuncierebbero, in favore del Sultano, i loro diritti sul reame di Cipro e sarebbero quindi esonerati dal 
pagamento dell’annuo tributo di ottomila zecchini d’oro: pagherebbero alla Sublime Porta trecentomila 
ducati in tre anni; il tributo per l'isola di Zante, ch'era di cinquecento, sarebbe portato a millecinquecento 
zecchini.”, p. 376 e nota 63; cfr. anche S. ROMANIN, Storia documentata di Venezia, tomo VI, Venezia, 
1974, p. 236-237. 


5 Cfr. G. GATTERI, La storia veneta illustrata da G. Gatteri (1438-1787), vedi il capitolo “Vittoria 
alle Curzolari” conseguita dalle armi cristiane contro i Turchi (7 ottobre 1571): “Dugento ventiquattro navi 
turche perdute, novantaquattro respinte alla costa e incendiate, cento trenta divise fra gli alleati, del par che 
cento diciasette cannoni maggiori, dugento cinquantasei di minor calibro, e tremila quattrocento sessant’otto 
prigioni. Quindicimila cristiani furono liberati dalle catene. Il total danno degli infedeli salì ad oltre trenta 
mila uomini, i collegati perderono quindici galee e ottomila prodi marinai, soldati e capitani valorosissimi, 
fra quali ultimi Agostino Barbarigo, che morì dalle ferite (...). 1 fanali d’oro, le bandiere purpuree con 
iscrizioni dorate, le code del serraschiere furono i trofei della battaglia di Lepanto, la quale fu la più distinta 
fra quelle date sul mare fin dal combattimento accaduto nelle vicine acque di Azio, fra Antonio ed Augusto, 
e nessun'altra fu tanto magnificata, secondo il costume degli antichi, col trionfo de’ vincitori, collo sfoggio 
dell’arte, colle feste popolari ed ecclesiastiche, (...).” 


52 Cfr. G. K. HASSIOTIS, “Venezia e i domini veneziani tramite di informazioni sui Turchi per gli 
spagnoli nel sec. XVI”, in Venezia centro di mediazione tra Oriente e Occidente (secoli XV-XVI): aspetti e 
problemi, Fondazione G.Cini, vol. I, Firenze, 1977, p. 117-136. 


182 A. MICULIAN, Le inausioni dei Tiuchi e le fortezze veneziane, Atti, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


l'Occidente cattolico, aveva inviato Andrea Badoer, come ambasciatore straor- 
dinario, a congratularsi con Selim della pace conclusa, e dopo quattro anni “di 


tanti sì gravi avvenimenti poté alfine respirare e volgere la sua attenzione al 


riordinamento, tanto necessario, delle cose interne”. 


Per almeno un secolo, l’esercito veneziano non aveva più rivolto le armi 
contro il mortale nemico ma si era occupato di altri problemi, non meno gravi, 
e a combattere avversari ugualmente temibili: le pretese giurisdizionalistiche 
della Chiesa cattolica romana, culminate nell’interdetto del 1600-1607°%, la 
lunga lotta contro i temibili pirati dell'Adriatico — gli Uscocchi”, sostenuti 
direttamente dagli Asburgo, l’insidiosa politica della Spagna e la congiura 
ispirata dal suo ambasciatore, marchese di Bedmar del 1619°, 


53 S. ROMANIN, op. cit., p. 237. 


54 IBIDEM, cfr. Fra Paolo Sarpi (27 ottobre 1607): “Le controversie accadute fra Paolo V e la 
Repubblica di Venezia, aggirantesi intorno a’ pretesi diritti di quel pontefice e principalmente sul giudicare 
gli ecclesiastici a tribunali laici, che nebbero inizio nell’anno 1605, in occasione che il podestà di Vicenza 
carcerar fece il canonico Scipione Saraceno,, incolpato di avere con isporca insidia fatto oltraggio alla moglie 
di un patrizio, e di avere spezzati i sigilli della cancelleria vescovile, in tempo di sede vacante; quelle 
controversie dicevasi, sono note anche troppo; son troppodolorose, non tanto per chi le sostenne, quanto per 
chi le promnosse; e noi vorremmo per onore del nome di Paolo non fossero mai avvenute; mentre in quelle 
non ebbe parte la Chiesa (...). Tacendo adunque le vie perle quali Paolo si condusse in quel malauguratis simo 
affare, nel quale contro le solite discipline, nonprese egli il voto del sacro collegio, cosa che molto dispiacque 
a’ cardinali che lo componevano, diremo che alla fine fulminava il dì 17 aprile 1606 l’Interdetto contro lo 
stato Veneziano. La repubblica però non ismarrì d'animo sapendo quanto era nota al mondo la sua religione, 
la obbedienza nelle cose spirituali alla Santa Sede, ed il sangue tante volte sparso da lei per difenderla, e 
raccolto il voto de’ principi teologhi s'oppose alla promulgazione del Breve che recava l’interdetto medesi- 
mo; e colla sua costanza, e dimostrata pietà ad un tempo, riescì a vincere l'animo del Pontetice, e si che 
furono le differenze appianate e tolte le fulminate censure. Uno de’ teologhi che più degli altri sostenne le 
ragioni della repubblica, anzi che fu il suo principal consultore, è annoverato Paolo Sarpi.(...)."; vedi pure 
E. MUSATTI, op. cit, vol. II, p. 11-35. 


55M. BERTOSA, Istra: doba Venecije, cit. p. 304-413; C. De FRANCESCHI, L'Istria — Note storiche, 
Parenzo 1879; S. GIGANTE, “Venezia e gli Uscocchi"”, Rivista della Società di Studi Fiumani, Fiume, vol. 
VIII (1931), p. 3-87; A. PUSCHI, “Cenni intorno alla guerra tra |’ Austria e la Repubblica di Venezia negli 
anni 1616 c alzi AT, vol. VII (1880-81) e vol. VIII (1881-82). 


56 ]BIDEM, Scoperta della “congiura di Bedmar” (2 giugno 1618): * Il duca di Ossuna, vicerè di 
Napoli, don Pedro di Toledo, governatore di Milano, ed il marchese di Bedmar, ambasciatore di Spagna 
presso la veneziana repubblica; desiderosi di vedere stabilito in Italia con solidità la padronanza di Spagna, 
e suasi d'altronde di potersi raggiungere il loro scopo finché la repubblica veneziana avesse avuto esistenza, 
per cooperare trionfalmente all’ingrandimento di quella monarchia. L’inefficacia de’ modi, da loro usati 
palesemente, li convinse dell’impossibilità di venire a capo con le armi, e quindi si diedero a tentarlo con le 
insidie occulte e col tradimento. Il marchese di Bedmar era come il centro da cui partivano tutte le fila della 
tenebrosa orditura, la quale in fine doveva ridursi ad incencrire in un solo e medesimo giorno | Arsenale di 
Venezia, cd il Palazzo ducale e far macello di tutti i nobili veneziani, ad usurpare il dominio della città. (...). 
Permeglio conseguire il suo fine, trasse da Napoli al cuni fidi ed audaci (...) e nel giorno medesimo doveano, 
dietro avviso trovarsi in Venezia oltre 300 nemici tra capitani ed altri bassi ufficiali, di nazioni straniere, i 


A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e E fortezze veneziane, Affi, vol. XXX], 2001, p. 155-188 18 


Pur rimanendo neutrale nei vari conflitti nel nuovo secolo, Venezia era 
intervenuta direttamente nei maggiori congressi accanto alle grandi potenze 
europee di allora, come in quello di Westfalia, per non rimanere esclusa alle 
vicende europee, anche se il suo interesse sarà rivolto soprattutto, verso la 
soluzione dei problemi italiani, quali le contese di Valtellina, le guerre di 
successione di Mantova, del Monferrato ecc. senza mai dimenticare l’Egeo, 
dove le sue colonie continuarono a lottare per la loro sopravvivenza — come a 
Candia, chiave di volta del suo impero fin dal 1211 - fino alla sua definitiva 
perdita nel 1669, compensata però dal riacquisto della Morea, precedentemente 
ceduta nel 1540”, 

Quindi, la brillante vittoria di Lepanto, nonostante l'entusiasmo con cui fu 
salutata la notizia in tutta l’ Europa Cattolica, per la Serenissima repubblica non 
ebbe un’importanza duratura, anzi figurò come un episodio particolarmente 
drammatico e segnò una importantissima svolta nella storia del Mediterraneo. 
Nel 1574, quando i Turchi erano riusciti a riconquistare Tunisi, che era stata 
persa a favore degli Spagnoli appena l’anno precedente, si assistette all’ ultima 
impresa veramente importante, compiuta da una grossa forza di spedizione 
navale, costituita in prevalenza da galee. 

Da allora in poi, Venezia si era ridotta a combattere solo contro i pirati e 
a proteggere il suo decadente commercio. Era rimasta, in genere, ai margini di 
tutte le guerre di successione e di tutte le competizioni politiche che coinvol- 
sero l’intera Europa dell’età moderna, in omaggio alla sua costante neutralità 
disarmata, ritenuta dal suo governo la soluzione più idonea per i suoi presunti 
interessi. 

Questo atteggiamento fu assunto da Venezia in diverse circostanze, ad 
esempio quando aveva respinto l’invito di Carlo Emanuele I di Savoia ad unirsi 
alla Confederazione degli Stati italiani per combattere il comune straniero e 
preparare, quindi, il terreno che in seguito avrebbe portato all’unificazione 
della penisola appenninica. 

La prima grande battuta d’arresto che aveva colpito l’economia veneziana 
fu il decadimento della marina mercantile. A partire dagli anni novanta del XVI 
secolo, le navi inglesi ed olandesi iniziarono ad apparire nelle acque del 


quali contribuissero al miglior esito dell'impresa...) Scoperta per tal guisa la trama, furono tratti a morte 
oltre duecento settanta complici; e con alta politica operò la repubblica che rimosso venisse dal posto di 
ambasciatore l’iniquo Bedmar, riuscendo per solo favore del Cielo a salvare la Patria dall’estremo periglio.” 


57 W. H. McNEILL, Venezia il cardine d'Europa 1081-1797, Roma, 1979, p. 197-233. 


184 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ati, vol XXXI 2001, p. 155-188 


Mediterraneo e, gradatamente, sostituirono quelle veneziane, assumendo così 
sotto il proprio controllo gran parte del commercio con il mare interno. Venezia 
aveva risposto a questa nuova concorrenza permettendo agli armatori venezia- 
ni di acquistare navigli meno costosi costruiti soprattutto all’estero. Il governo, 
inoltre, aveva tentato di rimediare tale situazione agendo sulle tasse di anco- 
raggio allo scopo di rendere vantaggioso per le navi di costruzione nordica 
viaggiare sotto bandiera veneziana. Tuttavia, questi provvedimenti non aveva- 
no impedito alle navi olandesi ed inglesi di assumere la parte del leone nei 
viaggi a lunga distanza nel Mediterraneo. E 
Un’altra delle antiche fonti di profitto commerciale della Serenissima era 
diminuita anch’essa a partire dalla metà del XVI secolo, per scomparire 
completamente con la guerra dei Trent'anni nel 1618, poiché il prodotto delle 
miniere d’oro e d’argento dell’ Europa centrale, dopo l’anno 1 550, aveva subito 
una notevole riduzione. L’esaurimento dei metalli preziosi dal Nuovo Mondo 
furono responsabili di questo fenomeno. Venezia non era riuscita a colmare 
questo vuoto con lo sfruttamento delle miniere nella Bosnia, in quanto, 
quest'ultime, nel corso del XV secolo, erano gestite direttamente dai commer- 
cianti di Ragusa che, mantenendo buoni rapporti con il Sultano, si apprestava 
a divenire primo concorrente diretto nel Mediterraneo e nell’ Adriatico”. 
Altre cause che contribuirono alla decadenza politico-economica di Vene- 
zia vanno ricercate sia nella massiccia catastrofe demografica causata della 
peste (1575-77) che aveva paralizzato per lunghi mesi i rapporti Dominante- 
Terraferma, scosso l’equilibrio finanziario e politico dello stato ed inciso con 
forza su una sensibilità religiosa profondamente segnata dal Concilio di Trento, 
sia nelle due crisi parallele e connesse di dimensione mediterranea che diven- 
nero frustranti fra il 1575 ed il 1635. Il cibo ed il combustibile, fondamentali 
per ogni società, divennero carenti nelle terre mediterranee con lo spopolamen- 
to dell’equilibrio fra le terre coltivate e quelle boschive — fenomeno che si era 
manifestato anche nei secoli precedenti —, in quanto lo sfruttamento del legna- 


58 A. DI VITTORIO, Finanze e moneta a Ragusa nell'età delle crisi, Napoli, Officine grafiche 
napoletane F.Giannini e Figli, 1983; A. NICETIC, Povijest dubrovatke luke La storia del porto di Ragusa/, 
Ragusa, 1996, p. 157-178; I MITIC, Dubrovatka drZava u medunarodnoj zajednici (od 1358 do 1815) /Lo 
stato di Ragusa nella comunità intemazionale (dal 1358 al 1815)/, Zagabria, 1988; S. ANSELMI, Venezia, 
Ragusa, Ancona tra Cinque e Seicento. Un momento della storia mercantile del Medio Adriatico, Ancona, 
1969; M. RESETAR, Dubrovaéka numizmatika [Numismatica ragusea/, vol. I, Sremski Karlovci, 1924, vol. 
II, Belgrado, 1925; V. VINAVER, “Turska i Dubrovnik u doba spanske invazije Jadranskog mora (1617- 
1619)” /La Turchia e Ragusa nel periodo dell’invasione spagnolg del mare adriatico (1617-1619), /storijski 
Glasnik, /Bollettino storico/, 1952, n. 1-4; V. FORETIC, Povijest Dubrovnika do 1808 /Storia di Ragusa fino 
al 1808/, vol. II, Zagabria, 1980. 


A. MICULIAN, Le navsioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Attî, vol XXXI, 2001, p. 155-188 185 


me da costruzione aveva assunto una tale dimensione di sviluppo che la 
rigenerazione naturale delle foreste non era riuscita a mantenere lo stesso ritmo 
della distruzione dei boschi?°. 

Anche i cambiamenti sociologici di vasta portata incisero sul collasso 
economico di Venezia specialmente, quando le misure amministrative e legali 
adottate per evitare il disastro fallirono completamente. Agli inizi del 1600 la 
Repubblica venne governata da una ristretta cerchia di persone che vivevano 
esclusivamente di rendita, mentre la gestione attiva dell’industria e del com- 
mercio era passata nelle mani di stranieri residenti, ben tollerati dalle autorità 
veneziane, ma i cui interessi non erano presi abbastanza in considerazione nelle 
deliberazioni dei comitati ufficiali e dei corpi di governo. Tuttavia, erano 
consapevoli che la loro posizione avrebbe potuto rimanere sicura solamente se 
sarebbero stati capaci di difendere la libertà e la virtù repubblicana, il plurali- 
smo etnico che già allora rappresentava una delle caratteristiche di primo piano 
della società veneziana e se le masse popolari, avrebbero sostenuto la loro 
politica”. 

D'altro canto, la saggezza e l’astuzia della classe dominante e della nobiltà 
veneziana non erano mai state così evidenti come nel successo che ottenne 
questa politica nel mantenimento della pace e dell’ordine interno nella città 
anche di fronte alla crisi economica fino al decadimento finale. 

Il modello tollerante e pluralistico della società veneziana divenne di 
importanza sempre maggiore nel momento culminante della Riforma Cattolica 
in Italia. Infatti, la contesa scoppiata fra il papato ed il governo veneziano agli 
inizi del XVII secolo e l'accerchiamento dei territori veneziani da parte degli 
Asburgo — Ferdinando d’ Asburgo aveva preso possesso diretto della Stiria, 
Carniola e Carinzia venendo così a trovarsi con una frontiera in comune con i 
possedimenti veneziani della terraferma — come pure la guerra contro i Turchi 
del 1645-69, non avevano fatto altro che favorire il decadimento totale della 
Serenissima. 

Ormai il prestigio europeo che la repubblica aveva goduto per tanti secoli, 
non rappresentava altro che un ricordo del passato, anche se l’aspirazione del 
suo governo era pur sempre rimasto, fino a quando Napoleone non sconvolse 


59. Cfr. A. STELLA, “La crisi economica veneziana della seconda metà del XVI secolo”, Archivio 
Veneto, Venezia, s. V, 1956, p. 57-58. Per quanto riguarda la crisi delle strutture dello Stato, ovvero aspetti 
demografici e rispettive ripercussioni economiche e finanziarie, vedi P. PRETO, Peste e società a Venezia, 
1576, Vicenza, 1978. 


60 Cfr. W. H. McNEILL, op. cit., p. 225-230. 


186 A. MICULIAN, Le incursoni dei Turchi e le fortezze veneziane, Ami, voL XXXI, 2001, p. 155-188 


il regime vigente in Italia nel 17979, quello di tornare alla “vita de mar” che, 
sin dalla sua fondazione fino al trattato di Campoformido, aveva rappresentato 
l’unico momento significativo della sua fortuna, del suo sviluppo e della sua 
esistenza. 


©! Cfr. A. GEATTI, Napoleone Bonaparte e il Trattato di Campoformido del 1797. La verità sul luogo 
della firma e sul monumento della pace, Udine, 1989: “La voce Campoformio, tramandata dalla storiografia 
veneziana, secondo l'opinione del Prof. Angelo Filipuzzi, autore del volume Trieste e gli Asburgo, Editore 
Del Bianco, Udine 1988, sarebbe errata. La caduta della “d’’ fra le due vocali finali della parola Campofor- 
mido è una caratteristica ortografica del dialetto veneto. Questa versione pare trovi conferma nel fatto che la 
parola Campoformido comincia ad apparire, sia nelle scritture pubbliche che in quelle private, soltanto verso 
la fine del secolo XVIII, ossia all'epoca in cui Venezia, dopo il trattato di Campoformido, perdette la sua 
influenza nella Provincia del Friuli.” Cfr. pure G. ELLERO, Storia di Campoformido, Bressa e Basaldella 
del Cormor, Udine, 1984. 


A. MICULIAN, Le mansioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Attî, voL XXXI, 2001, p. 155-188 187 


SAZETAK: PROVALE TURAKA I UTVRDE U FURLANIJI I ISTRI 
U SKLOPU VOINE ORGANIZACIJE MLETACKE “TERRAFERME” 
U 16. ST. - Autor prikazuje stanje u Furlaniji i na istarskom 
poluotoku tijekom 16. stoljeéa. Istite brojne sukobe Venecije i 
Habsburske dinastije i njihove posljedice na ekonomskom, polititkom 
i demografskom planu, kao i turske napade te pokuSaji Prejasne da 
obrani svoje posjede sustavom utvrda na strateSkim toékama u Istri 
i susjednim joj regijama. 

U Furlaniji, duZ pograniéne certe sa Habsburzima, Venecija je 
posvetila posebnu paZnju obrani strate$kih zona tako da je izgradila 
obrambene objekte u mjestima Gradisca, Monfalcone, Palmanova, 
Marano, La Chiusa di Venzone i Osoppo — koji su predmetom 
ovog rada — dok su u Istri to utvrdena mjesta duZ strate$ki vaZnih 
polozaja prema Austriji. 

No takav je obrambeni sustav donio brojne teskote lokalnom 
stanovnistvu, jer je predstavljao prepreku slobodnoj trgovini izmedu 
primorja pod Venecijom i austrijskog gorja, kao i protoku roba. 

U drugom dijelu, medutim, autor navodi ratove protiv otomanske 
vojske, s posebnim osvrtom na sukob 1571. godine, kada je Venecija 
izgubila veti dio svojih egejskih posjeda. Nakon toga, najmanje jedno 
stoljeée, mletatka vojska bit ée prisiljlena ratovati protiv drugih, 
podjednako opasnih neprijatelja. Od vaznijih  dogadaja spomenut 
éemo  jurisdikcijske pretenzije  Rimsko-katoliétke crkve, koje su 
kulminirale interdiktom iz 1600-1607. godine, zatim dugu borbu protiv 
jadranskih Uskoka, koje su neposredno potpomagali Habsburzi, te 
urotniéku politiku Spanjolske i zavjeru njezina ambasadora, markiza 
od Bedmara 1619. godine. 

Iako je ostala neutralna u raznim sukobima u novom stoljecu, 
Venecija je neposredni utesnik, uz bok tadasnjim velikim europskim 
silama, svih tadasnjih najveéih kongresa, poput onog u Westfaliji. 
Usprkos tome ìto je bila zainteresirana prije svega za probleme 
talijanskog prostora, ona nije medutim nikad zapostavila egejske 
kolonije. 

Pa ipak, najveca teZnja njenih vladara, sve do kraja XVIII. 
stoljeéa, ostati ée ona za povratkom pomorskoj orijentaciji (‘alla vita 
da mar”), jedinom znatajnom razdoblju njezina bogatsva, razvoja i 
postojanja. 


188 A. MICULIAN, Le incursioni dei Turchi e le fortezze veneziane, Atti, vol XXXI, 2001, p. 155-188 


POVZETEK: TURSKI UPADI IN BENESKE TRDNJAVE V 
FURLANIJI IN ISTRI V OKVIRU VOJASKIH SIL NA KOPNEM V 
16. STOLETIU - Avtor nam predstavlja poloza) v Furlaniji in na 
istrskem polotoku v 16. stoletju. Opisuje Stevilne spopade med 
Benetkami in avstrijsko vladarsko rodbino ter posledice, ki so jih ti 
imeli na gospodarski, politièéni in demografski ravni. Avtor navaja 
tudi tur$ke upade in poskuse Beneske republike, da bi branila svoje 
posesti s trdnjavami, ki so jih zgradili na strate$kih toèkah v Istri 
in v sosednjih regijah. 

V Furlaniji, vzdolZ meje z Avstrijo, so Benetke posebno skrbele 
za obrambo strateskih obmoòji tako, da so zgradile obrambne 
zgradbe v Gradisèu ob Soci, Trziéu, Palmanovi, Maranu, pri Jezovih 
v Venzonu in Osoppu — ki smo jih obravnavali - medtem ko so v 
Istri branili utrfena naselja vzdolZ strateskih toèk ob Avstriji. 

Ta obrambni sistem pa je povzrocil Stevilne tezave krajevnemu 
prebivalstvu, sa) je oviralo prosto trgovanje med benesko obalo in 
avstrijsko gornato obmodje, pa tudi tok in pretok blaga. 

V drugem delu avtor opisuje vojni proti turski vojski, zlasti 
spopad leta 1571, ki je privedel do izgube veline beneskih posesti 
v Egeju. Odslej se je morala beneska vojska vsaj za sto let bojevati 
proti novim, prav tako nevarnim sovraznikom, kot so bile zahteve 
rimske katoliske cerkve po sodni oblasti, ki so dosegle vrhunec s 
prepovedjo v letih 1600-1607; dolgoletni boj proti jadranskim 
gusarfem — Uskokom, ki so jih neposredno podpirali Habsburzani; 
zahrbtna politika Spanije in zarota, ki jo je nacrtoval beneski 
veleposlanik, grof Bedmar, leta 1619. 

Ceprav so Benetke ostale nevtralne pri raznih spopadih novega 
stoletja, so se kljub temu udelezile najpomembnejsih kongresov s 
takratnimi evropskimi velesilami, kot na primer  Westfalskega 
kongresa, niso pa nikoli pozabile na Egejsko morje s svojimi 
kolonijami. 

Vendar je ostala najveéja Zelja beneske vlade do konca 18. 
stoletja povratek k “vita da mar”, to je k “morskemu zivljenju”, ki 
je predstavljalo edini pomembni trenutek njene sreée, njenega razvoja 
in obstoja. 


UN ESTREMO TENTATIVO DI RIFORMA DELLA 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA TERRA DI 
ROVIGNO NEL 1766 


GIOVANNI RADOSSI CDU: 352(497.5Rovigno)”1766” 
Centro di ricerche storiche Sintesi 
Rovigno Dicembre 2001 


Riassunto — Nel corso della visita compiuta nella Terra di Rovigno il Podestà e Capitano di 
Capodistria /seppo Michiel il 13 marzo 1766, individuava una serie di manchevolezze nella 
pubblica amministrazione: la situazione dell’archivio, l'assenza di un Ufficio di Notifica e varie 
irregolarità nel procedimento di votazione (ballottazione) in seno al Consiglio. Onde porre 
rimedio a siffatto disordine, la Carica capodistriana emanava la Terminazione che qui si 
pubblica, integrata dei decreti che accompagnarono la sua definitiva e pratica applicazione. 
L’ Autore individua in questa attività un tentativo — anche se tardivo — di riforma della gestione 
pubblica, sull'esempio di quanto stava avvenendo da qualche decennio su quasi tutto il territorio 
della Serenissima. 


Nel secondo Settecento il sistema sociale, politico ed amministrativo dello 
stato veneto era ancora, sostanzialmente, il medesimo che aveva consolidato le 
proprie strutture nei secoli XIV-XV, che era entrato nell’arsenale dell’imma- 
gine di Venezia nel Cinquecento e che aveva affrontato positivamente le 
turbolenze del Seicento per approdare alla lenta e muta agonia, quasi un sonno 
che l’avrebbe sorretto sino quasi alla fine del nuovo secolo dei lumi, del 
Settecento appunto. 

La società della metropoli, la città capitale e dominante, continuava ad 
essere articolata nel gruppo patrizio veneziano che deteneva tutto il potere 
politico; nel gruppo dei “cittadini originari” cui era riservata la grande burocra- 
zia, nei gruppi popolari diversificati dalle possibilità economiche e dalle 
attività svolte e funzioni esplicate (commerci, marina, professioni, artigianato, 
addetti ai servizi amministrativi, salariati, servitori, ecc.). 

Nei territori “da mar” e “da terra”, fuori di Venezia, i “sudditi fedeli e 
diletti” continuavano a vivere considerevolmente lontani e staccati dall’im- 


190 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voL XXXI, 2001, p. 189-214 


pianto socio-politico della città dominante, privi di una sia pur soltanto appa- 
rente forma istituzionalizzata di rappresentanza nel governo centrale. “A loro 
volta, essi apparivano distribuiti in locali scale sociali che, all'incirca, registra- 
vano alla sommità i nobili e i notabili spesso grandi proprietari, indi disomo- 
genei strati borghesi (commerci, possidenza, professioni), indi certe fasce 
popolari delle città e cittadine (artigianati, addetti alle manifatture), ed indi 
ancora, per lo più diseredati, i contadini. Dappertutto, inoltre, la consueta 
presenza trasversale del clero e la massiccia presenza di inabili e mendicanti”. 

Nei primi decenni del secolo XVIII erano stati riassorbiti in buona parte i 
dissesti finanziari pubblici prodotti dalle guerre. Anche se non si notavano 
segnali significativi di sviluppi economici, tuttavia le strutture produttive, 
specie in determinate zone della Terraferma veneta, riuscivano a tirare avanti 
e ad immettere sul mercato l’essenziale. “Certo, arretratezze e contraddizioni 
di ogni tipo, facevano dura la vita di una parte cospicua della popolazione delle 
zone più povere della Repubblica (si pensi a certi contadi della Terraferma e, 
soprattutto, all’Istria e alla Dalmazia)””, per cui il Settecento è stato pensato 
dalla storiografia come il secolo della sostanziale stagnazione. 

Già nella prima metà di questi cent'anni, l’attenzione delle strutture dello 
stato veniva attratta dalla constatazione di una serie di “logoramenti” di vitali 
settori dell’economia ed in particolare dell’amministrazione pubblica. Infatti, 
su taluni problemi che più travagliavano questi settori si erano aperti dibattiti 
e promosse le prime iniziative. Ma soprattutto a partire dagli anni Cinquanta si 
fecero insistenti e determinate le denuncie delle difficoltà economiche, delle 
arretratezze di molti dei segmenti portanti della vita dello stato e dell’insuffi- 
cienza ed inadeguatezza dell’amministrazione. Le discussioni e le proposte 
riformatrici, talora decise e coraggiose, ebbero tuttavia, per molteplici e com- 
plesse ragioni, esiti piuttosto modesti sul piano della quotidianità e della tenuta 
nel tempo. 

Lo schema delle iniziative che in tale contesto si perseguivano a diversi 
livelli era abbastanza fisso: constatazione delle disfunzioni da superare; crea- 
zione nei singoli settori di organismi a carattere innovativo e/o straordinario, 
affiancando quelli ordinari esistenti; inchieste conoscitive ed analisi delle 
situazioni (di regola con visite di governanti/rettori, accompagnati da speciali- 
sti e responsabili) che portavano alla denuncia di distorsioni, anacronismi, atti 


! COZZI-KNAPTON-SCARABELLO, 594. 
? COZZI-KNAPTON-SCARABELLO, 595. 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voll XXXI, 2001, p. 189-214 191 


illegittimi, trascuratezze; eventuali decreti dispositivi di riforma e possibili 
concrete applicazioni di quanto “terminato ed ordinato” nei decreti medesimi. 
Si trattava di una tendenza generale che bene si conformava anche all’intento 
dell’accentramento dei poteri, come analogamente avveniva nei più avanzati 
Stati europei; “ma nel piccolo dell’Istria veneta fu anche una risposta diretta 
per placare le disfunzioni, i soprusi, le ingiustizie, come per disinnescare 
tensioni latenti e pericolose tipiche delle società minime”. 

Nelle pagine che seguono è pubblicata ed esaminata una Terminazione che 
offre l’ opportunità di illustrare l'itinerario che veniva seguito nell’indicare una 
possibile riforma o rimedio a gravi manchevolezze rilevate nella vita di una 
comunità. L'iniziativa, almeno come andarono a finire le cose, conobbe anda- 
menti incerti, lenti e contraddittori: tuttavia, strada facendo, si consolidarono 
talune prese di coscienza sugli aspetti specifici e non più dilazionabili dei 
problemi rilevati dal Podestà e Capitano giustinopolitano nella Terra di Rovi- 
gno (in particolare per quanto attiene la cura della documentazione d’archivio, 
l’istituzione dell'Ufficio di Notifica, la gestione del “giro delle rendite di S. 
Eufemia” e la “ballottazione alla scoperta”); comunque, le proposte veramente 
riformatrici della Carica capodistriana sembrano non aver prodotto turbative 
sugli equilibri di potere tra gruppi e singoli, protagonisti della vita pubblica 
rovignese negli ultimi decenni del secolo XVIII. 

La relativa vivacità del contesto civile e politico rovignese qui osservata è 
quella tipica del Settecento: si tratta, in effetti, di decenni particolari, senza 
precedenti ma anche senza una continuità. In sostanza, nel contesto veneto 
dell’epoca si parla di stasi economica e demografica nelle città* (vedi Capodi- 
stria); ma Rovigno registra un processo di crescita e di trasformazione econo- 
mica e sociale, oltre che demografica’, unico su tutto il territorio istriano?. 


3 IVETIC, L'Istria, 112. 


4 Verso il 1750, quasi metà (48%) dalla popolazione viveva in centri di carattere urbano e semi-urbano 
(terre e castelli, pur dominati dall’agricoltura); ctr. IVETIC, L'/stria, 70. 


5 Grazie alla sua continua espansione demografica, Rovigno finì, tra il secolo XVIII ed il XIX, per 
distribuire parte della sua popolazione nelle altre località istriane litoranee semideserte — a Parenzo, a 
Cittanova, a Umago “almeno la metà dei pescatori e dei marinai, ma anche qualche bottegaio ed artigiano è 
di origine rovignese”. (IVETIC, La popolazione, 230). 


6 Basti qui ricordare che in tutta la penisola si contavano nel secondo Settecento quattro monti di pietà 
che potevano offrire denaro liquido: i due più antichi (Capodistria e Pirano - legati alle saline) risalivano al 
Cinque-Seicento, mentre dei due più recenti, quello di Rovigno (sorto nel 1772) fu fondato dalla comunità 
medesima per le esigenze piuttosto dinamiche dell’economia locale; sua sede primitiva fu il Fondaco in Riva 
Grande, trasferito nel 1816 (perdare spazio al nuovo Tribunale) “nell’odierno locale in Piazza grande, ov'era 


192 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, vol XXXI 2001, p. 189-214 





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Fig. 1 — Pagina iniziale della terminazione del podestà Iseppo Michiel. 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 193 


Infatti, la cittadina poteva essere considerata allora il vero centro propriamente 
mercantile della provincia, ‘“dove una certa saturazione del mercato creditizio 
dei privati e delle scuole, la mancanza di aree agricole’, aveva costretto molti 
a reinvestire nel settore della pesca e soprattutto delle marineria, che appariva 
come un’attività conseguente all’iniziale accumulo di capitali mediante l’indu- 
stria del pesce salato; da qui anche la fortuna del monte di pietà, l’istituzione 
con i più cospicui capitali di tutta la regione”*. 

Va qui precisato che l’iniziativa economica nella cittadina non partiva da 
un forte e ricco patriziato, possessore di privilegi e censi nel contado, bensì da 
una moltitudine di soggetti spesso indipendenti” (anche confraternite), singoli 
contadini, piccoli proprietari, gente di mare che, se poteva, investiva nella terra. 
Ovviamente, qui si potrebbero discernere sistemi e sottosistemi economici che 
variavano da un contesto all’altro della regione, a seconda delle potenzialità 
strutturali, ovvero delle “risorse e dell’interscambio” con altre realtà viciniori 
che avevano fatto le “fortune” materiali e demografiche della cittadina: tutta- 
via, Rovigno, “benché due volte più abitata di Capodistria, era una semplice 
terra di popolani, nonostante il suo consiglio comunale si fosse proclamato 
nobile”, in fatto di rilevanza — che derivava dall’importanza del ceto dominan- 
te, dagli antichi privilegi e dal tipo di nobiltà piuttosto che dal rilievo patrimo- 


il pubblico Archivio” (l'ufficio a ciò designato dalla presente Terminazione). Per la consistenza dei suoi 
capitali, si poneva al vertice della classifica provinciale; sulla sua attività cfr. RADOSSI-PAULETICH, 
“Repertorio”, 338-340; RADOSSI-PAULETICH, “Un gruppo”, 295-300 [‘(...) I Presidenti esercitavano il 
loro offizio puramente ad honorem: ma gli altri impiegati avevano salario dagli utili del Monte. Del resto il 
Cassiere del danaro, ed il Massaro, davano cauzione fondata sopra beni liberi; l'uno di D.ti 1.000, l’altro di 
D.ti 5.000”]; RADOSSI, “L’inventario”, 259-260. 


? Il territorio rovignese era tra i meno estesi dell’area veneta: 76 kmq, pari al 3% dell'intera provincia, 
con un solo centro rurale (Villa di Rovigno). 


8 IVETIC, L'/stria, 99; vista l’esiguità del contado comunale, si osserva un’estensione degli investi- 
menti in direzione di Valle. 


9 “Leolive da chilometri di distanza venivano portate nelle case e negli scantinati per essere spremute 
in clandestinità; (...) i Rovignesi trasportano prodotti e materie prime istriane verso la Dominante; (...)le 
operazioni di insalatura (delle sardelle, n.d.a.) venivano eseguite nel contesto famigliare: se gli uomini 
prendevano il mare, la popolazione femminile ed i bambini preparavano i barili con il pesce conservato”. 
(IVETIC, Lu popolazione, 224). Era naturale che “il pesce non poteva venir insalato che nel sito istesso in 
cui veniva tratto dal mare, né si poteva adoperarvi altro sale che quello dell’Istria. Posto in appositi barili, 
tutto il pesce salto doveva essere portato a Venezia. Qui pagava il dazio del 26% sul valore e non poteva essere 
venduto che a quelle persone che avevano il diritto di compera e rivendita. Da ciò notifiche, quadri, mandati, 
controlli ecc. ecc. una massa di azioni fiscali. Il pesce salato era uno dei più lucrosi articoli di esportazione 
della città di Rovigno. Nella prima metà del secolo XVIII ne aveva un utile di oltre 50.000 ducati”. 
(BIANCINI, 10). 


194 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 


niale ed economico — si collocava, nell’Istria veneta settecentesca, dopo 
Capodistria, Pirano, Pola e Cittanova, malgrado la sua floridezza economica!°. 

La straordinaria espansione di Rovigno tra il 1740 ed il 1780, che aveva 
creato una società locale per molti versi altamente competitiva, “colma, forse 
stracolma, con gente che cerca spazi, che li crea e ricrea all’interno dell’edilizia 
esistente”!!, accompagnava questo eccezionale fermento cittadino contrasse- 
gnato da un lato dalla costruzione della collegiata e dall’altro dalla fondazione 
appunto del monte di pietà'”; un quarantennio tra i più significativi della storia 
locale che, tuttavia, come richiamato da questa Terminazione, non conferma né 
un miglioramento del “monitoraggio da parte della capitale”, né quello della 
“levatura morale dei rettori minori, bensì avviene una complessiva trasforma- 
zione della vita sociale della comunità, un processo che vedrà ingrossarsi di 
molto il corpo dei popolani, grazie ad una nuova distribuzione dei profitti (...), 
che vede una nuova stratificazione sociale proprio in seno al popolo che 
annovera ormai esponenti in nulla inferiori ai notabili (...), per cui diventava 
difficile manipolare sui prezzi e sulle scorte dei fontici, sull’esazione fiscale, 
sulla gestione dei beni immobili”!?. 

E proprio nell’ultimo trentennio del dominio veneto si moltiplicarono, 
infatti, le “lotte fra il corpo dei cittadini, nelle cui mani stava allora il potere, ed 
il corpo dei popolani, che, capitanato dai suoi sindici, reagiva violentemente 
contro tale privilegio molto spesso degenerato in abuso di potere. Assistiamo ad 
una lotta accanita, di frequente seguita da violenze, fra le fazioni che dividevano 
a lor volta il copro stesso dei cittadini, o quello dei popolani, fazioni capitanate 
da ambiziose famiglie avide di predominio. (...) E in questo agitarsi di violenti 
passioni, seguite non di rado da reati di sangue, da uccisioni e tumulti, immagini 
il lettore un governo senza autorità, senza energia, timido, incapace o non 
curante di mettere ordine, rappresentato da un podestà che si mutava ogni sedici 
mesi, e che troppo spesso, pur di vivere tranquillo, o s’accordava col più potente, 


!0 Si veda IVETICI, L'/stria, 108-110. 


!! Per notizie sullo sviluppo demografico ed urbanistico, cfr. BIANCINI, VII; RADOSSI-PAULE- 
TICH, “Repertorio”, 382; IVETIC, La popolazione, 223-230; BUDICIN, 156-166. 


12 «1772. Creazione del Santo Monte di Pietà in Rovigno, ove per primo Capitale fu posta la Summa 
di L. 70.000 estratte dal Capital del fontico con decreto di Senato, ed il giorno dietro fu tentatto lo svaligio 
per il colmo ossia tetto. (...) 10 settembre 1772: il Senato approva i capitoli relativi all'istituzione di un nuovo 
Monte di Pietà a Rovigno. All’incremento del suo fondo dovevano concorrere oltre gli utili annui del monte 
stesso anche la metà del civanzo del fondaco. (...)”. (BIANCINI, 12). 


3 IVETIC, L'Istria, 113. 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ani, voL DO, 2001, p. 189-214 195 


o lasciava andare, lasciava correre; tanto più che la longanimità o meglio la 
19914 


remissività della Dominante verso i prepotenti non aveva limiti 

Siffatto notevole sviluppo dei popolani, ora numerosi, colti e benestanti (si 
pensi ai paroni di barca, a vari profili di professionisti, ecc.), sempre più 
insofferenti del “potere detenuto da un numero sì esiguo di famiglie notabili, 
portò alla crisi del modello sociale” che si percepisce nettamente proprio in 
quest’arco di tempo!. Occorre chiarire subito che nonsi trattava di un fenome- 
no volto a cambiare radicalmente la società, bensì soltanto di proteste, ovvero 
di ‘“escandescenze del popolo contro gli sbirri”, uno strumento con il quale 
Venezia tentava di arginare il diffusissimo fenomeno del contrabbando!° delle 
sardelle e del sale! in città. L'espansione delle attività sul mare trovò un 
ostacolo insormontabile nelle numerose “restrinzioni e proibizioni che Vene- 
zia aveva imposte ad esclusivo vantaggio della Dominante. Ne derivò una lotta 
sorda, ma continua ed insistente fra gli abitanti ed il governo, o piuttosto contro 
le autorità che lo rappresentavano, un tentativo costante nei Rovignesi di 
deludere le leggi, d’infrangere le catene che inceppavano la libera espansione 
dei loro commerci”"8, 


!4 E' Ja lucida riflessione di B. Benussi, in BIANCINI, IV-V. 


15 Soltanto qualche anno dopo la visita del Michiel, il podestà e capitano di Capodistria Girolamo 
Marcello, probabile successore del secondo reggimento di Orazio Dolce, veniva a Rovigno (agosto 1769) 
“per pubbliche commissioni e a far visita (...); fece bollar lo scrigno del Fondaco” - vi era stato uno 
“svaleggio” — e ritornatovi nel settembre successivo, aveva fatto “bollar tutti li magazeni di sardelle (...); 
pubblicò un decreto, col quale creò fonticari delle farine” e nell’ottobre mandò “la galeotta coi sbirri e 
facchini ad imbarcar le sardelle che si trovavano nei magazeni di P. Franc. Maraspin, di P. Antonio Rocco e 
di P. Franc. Gangola e bollò quelle che si ritrovavano nel magazen di P. Nicolò Gangola perché sua moglie 
Giacomina sussurrò i vicini, e non permise che fossero portate via (...)”. Questo ennesimo incidente destò 
tanta impressione che ‘da quel momento le donne di Rovigno sono considerate onnipotenti, e la loro 
iniziativa congiunta a mirabile tenacità di propositi muta l'opposizione contro le deboli autorità costituite in 
vera ribellione”. (BIANCINI, 9-11). Per un altro episodio del genere ( 22 giugno 1780), vedi IBIDEM, 23. 


6 11 fenomeno, molto tipico di quest'area e di quest'epoca, faceva asserire al Benussi (BIANCINI, V): 
“E prepotente contro il governo era anche quella parte pur numerosa della popolazione, che nutriva un odio 
indomabile contro il regime daziario allora vigente e contro chi lo personificava. (...) Né a sua volta bastava 
al governo qualche raro atto di energia e di severa repressione per rialzare il suo prestigio ormai troppo 
decaduto”. 


!7 Il volume del pesce azzurro pescato era tale da poter parlare di una vera e propria industria 
domiciliare nella preparazione del pesce salato che coinvolgeva buona parte dei nuclei familiari rovignesi, 
al punto che la cittadina si fece conoscere come uno dei più grossi produttori di pesce azzurro salato di tutto 
l'Adriatico; il prodotto veniva prevalentemente contrabbandato (navi di passaggio, foci del Tagliamento e 
del Po, Marche, retroterra veneto, ecc.). 


!# B. Benussi, in BIANCINI, VII; infatti, “a questa gente, nata per così dire e cresciuta sul mare, attiva 
ed intraprendente, avida di lavoro e di guadagno, sorrideva l'esempio di Trieste, alla quale il governo 


1% G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vel XXXI, 2001, p. 189-214 


Comunque sia, “il potere economico del gruppo escluso, utile per accatti- 
varsi le simpatie di più d’un podestà, e la costante pressione sui notabili 
avevano di fatto partorito a Rovigno, nel 1766, tramite la mediazione della 
capitale, la possibilità di eleggere una specie di tribuno del popolo — in genere 
una persona non da meno dei notabili in fatto d’istruzione e facoltà — che 
controllava il lavoro dell’amministrazione comunale”! In pratica, il “caso 
Rovigno” inteso in senso lato e nel suo insieme, un esperimento nato sponta- 
neamente, non ispirato né guidato dalle politiche economiche della metropoli, 
veniva a collocarsi come una delle esperienze più singolari ed interessanti 
dell’area adriatica nord-orientale alla fine del secolo XVII, costituendo il 
motore trainante dell’economia costiera occidentale. 

La visita del Podestà e Capitano /seppo Michiel (13 marzo 1766), la 
relativa rapida approvazione del documento da parte della “sovrana autorità 
dell’Eccellentissimo Senato” — sentito il positivo parere del “Magistrato dei 
Revisori, e Regolatori dell’Entrade Pubbliche” con la necessaria conferma 
ducale (19 luglio 1766), ovvero il conseguente Decreto del nuovo Rettore 
giustinopolitano Nicola Beregan (5 dicembre 1767) il quale imponeva “senza 
maggior dilazione [che si] riportino l’utilissimo effetto loro le provvidenze 
comprese nei dieci Capitoli della Terminazione del N. U. Precessor Michiel”, 
stanno ad indicare quanto intensi e continui fossero il dibattito e le attività volte 
alla riforma delle magistrature finanziarie e della pubblica amministrazione 
nella Dominante, per l'individuazione delle reali capacità contributive dei vari 
soggetti, per una più giusta ripartizione dei pesi fiscali e per un oculato 
controllo dei beni e del denaro pubblico. Il disagio di molti istituti giuridico- 
amministrativi del passato rovignese, mostrò certamente segni di miglioramen- 
to nei tre decenni successivi, gli ultimi della storia veneta dell'Istria. 

Lo sforzo di discussione ed i tentativi di applicazione delle riforme rivelò, 


austriaco aveva concesso piena libertà nel commercio marittimo”. Ed il predecessore di /seppo Michiel, il 
podestà e capitano Vincenzo Balbi nonsi peritava di scrivere al Senato nel 1764: “La fama vuole distinta fra 
tutti gli altri quelli di Rovigno, terra sovverchiamente popolata, e quasi tutta di gente marinaresca. In quella 
terra la causa dei contrabandieri viene considerata causa comune di tutti riguardandosi da Rovignesi il 
contrabando come una pura, benché più raffinata industria di traffico, tanto più lecita adessi in quanto che 
dal traffico principalmente dipende il sostentamento loro”. (IBIDEM, VIII). 


!9 IVETIC, L'Istria, 117. 


20 Ovviamente la crisi economica, e quindi anche politica, che colpirà l’Istria tra il 1782 ed il 1790, 


determinerà un brusco calo demografico a Rovigno, con conseguente ridimensionamento di tutti i valori; 
unicamente continuarono a progredire la marineria e la cantieristica, con l'introduzione di navi sempre più 
grosse, sino alla metà dell'Ottocento. 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Am, vol XXXI, 2001, p. 189-214 197 


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Fig. 2- Pagina finale del documento. 


198 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ami, voL XXXI, 2001, p. 189-214 


tuttavia, anche la stanchezza di un intero sistema; “in realtà il vecchio stato 
veneziano non era riformabile. Poteva solo essere portato a conclusione. 
Mancavano forze sociali nuove, cioè forze borghesi, che fossero abbastanza 
forti, abbastanza omogenee, abbastanza attrezzate ideologicamente e politica- 
mente, abbastanza organizzate, per proporsi come classe dirigente alternativa 
in grado di chiedere, ottenere, tenere, il potere in uno stato da rifondarsi 
radicalmente. Forze borghesi di tal fatta non esistevano a Venezia e non 
esistevano nei territori sudditi”? Ovviamente, Istria e Rovigno, compresi. 

Per i contenuti dettagliati della Terminazione, rimandiamo alla sua lettura 
con le relative note esplicative che vi sono state aggiunte; il documento (“copia 
conforme all’originale esistente presso l’Ufficio Notifiche”), di proprietà del 
Centro di ricerche storiche di Rovigno (nro inv. 562/DB-1988) è stato acquisito 
nel 1988, e consta di sei fogli (numerati soltanto |’ | ed il 2, filigranati — corno 
postale e lettere L.V. ed M. B), rilegati con filo unito dal sigillo a secco 
dell’ Ufficio Notifiche di Rovigno, a firma di “Pier Francesco Dr. Costantini 
Pub.o Nod.o Custode”, come “terminato ed ordinato”. 


2! COZZI-KNAPTON-SCARABELLO, 647-648. 


22 La pubblicazione ufficiale della Terminazione avveniva il 21 aprile 1767 nella Parrocchiale e 
Collegiata di S. Eufemia, “inter missarum Solemnia in concorso di moltissimo Popolo”, cerimonia officiata 
da Don Francesco Piccoli. 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ani, voll XXXL 2001, p. 189-214 199 


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201 








SETTI TENTENSTI NA SIRENE inerte 


Fig. 3 — Pianta della 


porta e del sottoportico di S. Damiano. 
(Da G. Natorre “Raccolta” ms - 


Archivio diplomatico della Biblioteca Civica di Trieste) 


22 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ami, vol XXXI, 2001, p. 189-214 


APPENDICE 


Noi 
Iseppo Michiel?3 


Per la Serenissima Repubblica di Venezia 
Podestà e Capitanio 
Di Capodistria, e sua Giurisdizione 


Tre cose principalmente ci sono cadute in vista nell’occasione della presente Visita di 
questa terra di Rovigno, cioè la situazione infelice della Cancellaria del Comune, e 
dell’Archivio?4 degli atti pubblici, la mancanza di un’Uff.o delle notifiche solito esservi in 


23 Iseppo Michiel, podestà e capitano di Capodistria, entrò in carica il 26 gennaio1765, succedendo a 
Vincenzo Balbi che cera stato rettore giustinopolitano dal 17 settembre 1763; al Michiel seguì Nicola 
Berengan [28 maggio 1766 — 30 settembre (?) 1767]. (NETTO, 166). Il KANDLER, Indicazioni, 20, lo pone 
soltanto nel 1765, con il nominativo di Giuseppe Micheli. Reggeva allora la diocesi capodistriana, quale 
penultimo vescovo, Carlo conte Camuzi, da Tolmezo (1756-1776). Ha lasciato memoria di sé a Capodistria 
“per la cura dedicata alla Piazza da Ponte, ripulendola con lo spostamento in altro luogo dello stazionamento 
del bestiame” (...QU/ PLATEAM HANC // SUMMO STUDIO ET LIBERALITATE PERFECIT // ALIBIO. 
TRANSLATA IUMENTORUM STATIONE ORNAVIT...). Sull'origine del casato, vedi ANONIMO, “Croni- 
ca”, 61 v: “Questi vennero da Roma, et si chiamavano Frangipani, furono Tribuni antichi, huomini splendidi, 
et da uno di questa famiglia nominato Angelo fù fatto edificar il Castel s. Angelo in Roma, è così chiamarlo 
dal suo nome, questo poi venne a Venetia, con molte ricchezze e co' li suoi vicini fece edificar le Chiese 
vecchie di S. Cassano, et di s. Giovanni Novo, et i Michieli solevano portar l'arma con li leoni nel mezo, 
come portano hora li Frangipani ma ms. Dominico Michiel Duce di Venetia, Capitano General dell'impresa 
contra il Turco, mancandoli la moneta fece, certi denari di cuoio, che si chiamavano Michieletti, con ordine 
che corressero come ducati buoni, da ricambiar poi à Venetia in buona valuta come seguì, et con questa 
inventione soccorse l’armata, et così mutò l'arma co’ li danari sopra, come hora portano tutti i Michieli, e 
dopo elessero il detto Duce Re di Sicilia, ma lui non vuolse, et si contentò piutosto esser Duce di Venetia.” 
Ben diversa la storia in CROLLALANZA, II, 136: “Originaria di Roma, trovasi già trapiantata nelle lagune 
venete fin dal 697, nel qual anno fu una delle dodici che elessero il primo doge. Vitale, nell'869, era uno dei 
primi tribuni. Fu ritenuta patrizia alla serrata del Maggior Consiglio. Ebbe questa casa tre dogi, Vitale nel 
1096, Domenico nel 1118 e Vitale 12 nel 1156, nove capitani generali, undici procuratori di S. Marco, un 
cardinale, c molti prelati, cavalieri e senatori. (...).” Cfr. ancora DE TOTT®,349: “(...) Iscritta nell’Elenco 
Ufficiale della Nobiltà Italiana coi titoli Contessa dell’I.A. (1818). (...) A Capodistria diede sei Podestà e 
Capitani: Pietro 1308; Simone 1392; Antonio 1407 e 1423; Domenico 1659-1660; Bernardino 1687 e 
Giuseppe 1756 e 1765 [presumibilmente la medesima persona, n.d.a.]. Pietro Michiel era nel 1540 Vice 
Podestà e Capitano di Capodistria. Francesco Michiel Podestà di Albona e Fianona nel 1465.” La loro arrma 
gentilizia: inquartato; nel 1° d’azzurro, ad una cometa d’oro, posta in banda; nel 2° fasciato d'azzurro c 
d’argento; nel 3° fasciato d'azzurro e d’argento, a dodici bisanti d’oro sulle fasce d'azzurro 6, 4 e 2, e nove 
torte d'azzurro sulle fasce d'argento, 5, 3 e 1; nel 4° d’azzurro, a due leoni affrontati d'oro, coronati dello 
stesso. 


24 Si legga in proposito questa curiosa nota di A. Angelini (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 
219): “L'antico (Archivio, n.d.a.) incendiato, 1500 c.a. Il posteriore in S. Damiano, Casa n.0. s., 1738. Poi in 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voll XXXI, 2001, p. 189-214 243 


ogni luogo ben regolato?5 dello Stato, e l’uso da qualche tempo invalso, che i Cittadini del 
Consiglio ballottino alla scoperta, punti tutti, e tre, che per quanto si rileva producano gravi 
confusioni e conseguenze di discordie inimicizie, ed infiniti litig). 

Nel debito di provedere adequatamente per l’Uffizio nostro siffatti disordini, abbiamo 
prima di tutto prestato riflesso alla parte di questo Consiglio 25 Agosto prossimo passato 
prodottaci degli attuali spettabili Signori Sindici, con la quale fù preso di separare dal 
Cancelliere di Comune troppo carico d’incombenze la custodia degli atti Notariali, ed il 
giro ossia amministrazione delle rendite di Santa Eufemia, destinando uno, che sia cittadino 
e Nodaro fare a sostener tal impiego. E poiché colla parte sesta restò, già eletto per custode, 
ed Ammnistratore l’Eccellente Dottore e Nodaro Pier Francesco Costantini?? dell’ordine 
dello stesso Consiglio, non restando, che di disporre i mezzi all'esecuzione siamo passati a 
riconoscere sopra luogo l’archivio, e la Cancelleria sudetta, dove con oculari?” osservazioni 
si è facilmente rimarcato essere ambedue umidi e oscuri?8, ed angusti per modo, che non 
sono capaci di ammettere alcun’altro monumento nel loro ristrettissimo spazio, essendo 
pure li Volumi che vi esistono mezzi fracidi, e logori dai topi. 

Indispensabile perciò qualche espediente a riparo di maggiori pregiudizj, poiché 


Piazza grande sopra il Fondaco, 1767. In fine unito al tribunale in Piazza della Riva, 1816. Tutti gli archivi 
pubblici, e le pubbliche Iscrizioni lapidarie dell'Istria furono in una sola notte, com'è tradizione incendiati 
e scarpellate nell’indicato 1500 c.a. per ordine del Governo Veneto”. In altra annotazione (IBIDEM, 385) 
asserisce che “(...) fu colà traslato il pubblico Archivio nel 1707 [recte: 1767, n.d.a.]; dove di poi, non si 
hanno traccie”. 


25 E’ un concetto, questo, che certamente stava molto a cuore al Michiel, visto che lo riprende più avanti 
nel documento; ovviamente, il fatto che proprio Rovigno, un centro così vitale ed “influente” non fosse tra i 
“luoghi ben regolati dello Stato”, doveva preoccupare non poco la Carica di Capodistria. 


26 Per notizie sul casato dci Costantini, cir. RADOSSI, “Stemmi di Rovigno”, 218-220. P_F 
Costantini, “avvocato, dotto giuriconsulto, e cultore delle belle lettere: dotato di bello spirito e di buon umore. 
Morto qualche anno dopo 1789”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 282). 


27 Sta per “sopralluogo”. 

28 La cosidetta Casa Comunale, in San Damiano, “ch'era marcata col civico N.° 1”, e praticamente 
“dirimpettaia” del Palazzo Pretorio, venne demolita nel 1856 ed un anno più tardi “ricostruita in altra forma, 
per ingrandimento del contiguo Tribunale”. In effetti, dalla porta ad arco di S. Damiano, per il tramite di un 
sottoportico (sostenuto da due colonne di legno), si entrava nell'omonima piazzetta (con al centro la cappella 
ettagonale dei SS. Cosma e Damiano); sopra il sottoportico si estendeva anche parte della Sala del Vecchio 
Consiglio (con l'adiacente Camera delle Udienze) del Palazzo Pretorio, il cui pianterreno interno era adibito 
a prigione oscura, mentre verso la piazzetta si apriva la Loggia Piccola “ove teneasi pubblica ragione in 
antico”, e ridotta “in due locali: uno per uso di Cancelleria del Comune, l’altro del pubblico Archivio, 1738. 
Ristaurata la Casa (comunale, n.d.a.) dal podestà Veneto Daniel Balbi di Francesco, e iscrizione 1752. Tutta 
la Casa serviva prima di alloggio ai Podestà Veneti; e quando passarono ad alloggiare nel Palazzo Pretorio, 
servì di abitazione ai loro Cancellieri. Trasportato l'Archivio altrove (nella Sala dell’Armamento in Piasa 
Granda, come sarà predisposto, n.d.a.) 1767, serviva quel locale di riunione alle cariche del Comune, e di 
altri Cittadini per conferire sopra gli affari economici del comune e per trattenersi eziandio in amichevole 
Società, dietro Superior concessione, 1771. Dopo la Caduta della Repubblica servì di deposito dei terratici, 
e ad altri usi. Passata altrove la Cancelleria, in quel locale fu trasferita la Cassa del Comune sino al 1851”. 
(RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 258 e PAULETICH-RADOSSI, “Stemmi”, 54). Vale la pena 
ricordare ancora che “in una colonna della Loggia piccola (...) eravi rilevata la Pertica, ed escavato il Passo 
veneti; le quali misure avranno servito di saggio alle Pratiche per uso degli Agrimensori, e ai cosidetti Passetti 
per uso degli Artieri”. (Ibidem, 356). Cfr. anche AA. VV., Rovigno, 1, 206-208. 


24 G. RADOSSI, La pubblica amwnmistrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 


abbiamo trovato restar inutile con pochi, e vechj utensili la Sala spaziosa detta dell’arma- 
mento?9, crediamo opportuno di fissare li seguenti provvedimenti tanto sopra questo 
articolo, quanto sopra gli altri due surrifferiti per quiete, e vantaggio di questa Popolazione, 
e però terminiamo, statuimo e comandiamo. 


I. Atteso lo Stato in cui trovasi l’ Archivio sudetto cioè con armaj senza chiave, in luogo 
oscuro, ristretto, ed umido per la vicinanza di sotterranee prigioni, dove le carte mal 
si conservano in riguardo all'umidità che le infracidisce, ed ai topi, che le divorano, 
locchè spicca anco da comparsa notata li 2 decembre passato a questo Archivista e 
coadjutor ordinario3°, si ordina espressamente?! il traslato dell’ Archivio stesso in una 
parte della suddetta Sala dell’armamento posta in solaro3°, asciuta, e lucida, dovendo 


29 Si tratta dello stabile d’angolo tra l'odierna “Piasa Granda” e via dei Fontici (già v. Matteotti), con 
entrata da quest'ultima, al nro 6; al pianterreno ospitò (secoli XIX-XX) la farmacia “Marocco”, successiva- 
mente “cittadina” (sino agli anni Sessanta del XX ?), quindi un negozio di alimentari (primi anni Novanta); 
il primoe il secondo piano furono adibiti ad abitazione nel secondo dopoguerra, e successivamente vi furono 
sistemati pubblici uffici (avvocatura d'autogoverno sociale, autodifesa sociale): attualmente è sede di sezioni 
cittadine di vari partiti politici, mentre al pianoterra ha trovato posto una trattoria. “L’edificio sul lato 
orientale della piazza (Piasa Granda, n.d.a.) conserva solamente in parte le sue strutture primitive, in quanto 
ha subito notevoli interventi in epoche recenti. Esso fu sede della polveriera comunale (fino al 1719), del 
Fondaco (dal 1737), della Sala dell’armamento (secoli XVI-XVII), dell’ Archivio comunale (dal 1767) e 
del Monte di Pietà (1816-1936). Mirabile è la ringhiera in ferro battuto della sua scalinata (sconosciuta la 
sorte della ringhiera, mentre è ancora visibile nell'ultima mappa catastale austriaca la scalinata, incorpo- 
rata nell'edificio ampliato ed ancor oggi in buona parte conservata, n.d.a.). Sulla facciata si trovava 
immurato il leone veneto che poi, nel 1935, venne apposto sul Palazzo pretorio (rimpiazzato da uno stemma 
comunale in chiave di volta di un archetto) (...)”. (AA. VV., Rovigno, 1, 209). AI suo interno la lapide che 
ricorda il restauro del 1767 connesso alla presente Terminazione (cfr. più avanti la Nora relativa al Podestà 
e Capitano N. Beregan). Per il leone marciano, vedi RIZZI, 129-130. Sarà utile ricordare quanto A. Angelini 
(RADOSSI-PAULETICHI, “Repertorio”, 302 e 364) annota circa il Fondaco in Piazza Grande: “Fu 
fabbricato l’anno 1747 (?), su la cui porta si vede ancora il Leone di S. Marco. Sopra a questo Fondaco si 
fabbricò di poi altro locale per deposito delle armi (Vedi SALA DELL'ARMAMENTO). In questo edifizio evvi 
la torretta del pubblico Orologio. Nel pianterra di questa torretta tenevasi il deposito delle polveri il 1729”. 


30 “Esisteva questa carica, sebben non compresa nello Statuto Municipale, e sembra fosse inerente alla 


Cancelleria del Comune. Di archivista se ne parla nella Terminazione Michiel 13 marzo 1766. nella quale è 
ritenuto nella sud.a qualità il sig.r Giovanni Costantini, eletto dal Consig.o Municip.e l'an. 1763, confermato 
dalla Carica di Capod.a li 26 sett.e dell’an. stesso. Durava quattro anni. Non potei però rilevare il suo salario. 
Questo Archivista dei pub.ci Volumi, chiamato anche Coadjutore Ordinario, era in ajuto dal sud.o 1766 al 
Custode degli Atti Notarili”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 220). E' noto comunque che il 
Cancelliere veniva eletto fra i notai della città, ed amministrava il Fondaco, la Collegiata di S. Eufemia, gli 
archivi, ecc.: “Un Cancelliere per un anno con salario di L. 434, oltre gli utili incerti anche per due anni e 
con annui D.ti 22”. (PAULETICH-RADOSSI, “Stemmi”, 161). Cfr. BENUSSI, 86-87. 


31 Sta per “in modo fermo, risoluto, severamente, a ragion veduta”. (BATTAGLIA). 


32 Essendo il pianoterra adibito a magazzino delle granaglie sin dal 1737, in sostituzione del precedente 
ed adiacente edificio in stato di avanzata decadenza [(sull’ultima mappa catastale austriaca è ancora visibile 
la sua scalinata esterna!) e quindi abbandonato (oggi sede ristrutturata e restaurata del Centro di ricerche 
storiche)], il “solaro” del nuovo Fondaco doveva essere spazioso ed “alto”, anche perché “sopra il tetto si 
ergeva la torretta dell’orologio (risalente all’epoca dell'erezione del Fondaco), restaurato nel 1779 (ORO- 
LOGIO A VETUSTATE CONFECTO NOVVUM EST COMTIS AERE REPOSITUM ANNO DOM. 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol XXXI, 2001, p. 189-214 205 


li pochi effetti vecchj che la ingombrano esser trasportati nel luogo presente dell’ Ar- 
chivio per rimanervi sempre a disposizione della Comunità. 

II. Nell’altra parte poi di detta sala, cioè in quell’angolo che viene abbraciato dalle 
fenestre33, dovranno esser trasportati34, e riposti gli atti Notariali, e tutti li Libri di 
Santa Eufemia35 che ora esistono nella Cancellaria di detta Comunità con tutte le 
altre carte relative, cioè Protocolli dei Nodari deffonti39, le Casse dei depositi degli 


MDCCLXXIX); nell'Ottocento venne trasferito sulla torretta in piazza della Riva”. (AA. VV. Rovigno, I, 
209). Va ricordato che la “Sala dell'Armamento era prima il locale Sottomuro, annesso al Palazzo Pretorio, 
ov’è in oggi l’Offizio del Censimento: ristaurata 1704”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 385). Si 
veda ancora BENUSSI, 158: “(...) Nel 1747 (?) si dovette fabbricare un altro Fondaco in Piazza grande, 
essendo che il primo più non bastava all’accresciuta popolazione. La porta di questo Fondaco è ancora ornata 
del veneto leone (anno /888, n.d.a.). Sopra il Fondaco venne fabbricato poi altro locale per deposito d'armi 
(Sala dell’armeria), che, dal 1767, servì quale archivio per le notifiche, e dopo il 1816 per il Monte di Pietà. 
(...) Quando poi nel 1772 il pubblico Granaio fu convertito in Monte di Pietà, il deposito di frumento fu 
traslocato in piazza S. Damiano di fianco al Palazzo Pretorio”. Sul ruolo del fondaco nella vita economica 
rovignese del secondo Settecento, ctr. B. Benussi, in BIANCINI, IX. 


33 Voce arcaica e tipica del dialetto veneto; cfr. BOERIO. E’, praticamente, la parte d'angolo 
dell’edificio odierno tra v. dei Fontici e Piasa Granda. 


34 Cfr: “(...) Segue l’asporto dell'Archivio, degli atti notarili, e dei libri di s.a Euffemia nel nuovo 
locale”. (RADOSSI-PAULETICH, “Compendio”, 307). 


35 “Siccome il Comune è il patrono di questa Chiesa di S.a Eufemia, così l’amministrazione de’ suoi 
beni era composta, secondo il patrio Statuto, di tre Cittadini laici con nome di Sagrestani, quattro mesi per 
ciascuno, ed eletti dallo stesso Comune: i quali rendevano il Conte e le ragioni al Reggimento, ch'era 
composto dal podestà e dei tre Giudici del Comune. Ai Sagrestani fu aggiunta in un tempo che non saprei 
precisare, il Cancelliere del Comune per la tenuta dei Registri e formazione del Conto annuale: il quale durò 
sino il 1765, cui dal Consiglio dei Cittadini con Parte 25 agosto anno suddetto fu surrogato il Custode degli 
Atti Notarili (il quale doveva essere un Notajo), che colla Parte stessa veniva allora per la prima volta istituito: 
il che fu tutto di poi confermato dalla Carica di Capodistria (ch’era la primaria politica della provincia), 
Iseppo Michielcon Terminazione 13 Marzo 1766, posta inattività dal di lui successore Nicola Beregan colla 
Terminazione di possesso 27 maggio 1767 [data definitiva di entrata in vigore, n.d.a.). Questa Chiesa 
peraltro era sotto l'immediata protezione del Consiglio dei X, ch'equivaleva alla suprema avvocazia della 
medesima. (...) L'amministrazione dei S.a Euffemia incomincia a fornire l’ostie ed il vino per le messe, dietro 
Ordine della Carica di Capodistria Nicola Beregan 28 luglio 1767, in seguito ad istanza dei Sacerdoti, i quali 
fin allora dovevansi provvedere e delle une e dell'altro”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 384; 
RADOSSI-PAULETICH, “Compendio”, 308). 


36 A Rovigno, nel 1757, ve ne erano nove, ridotti ad otto già nel 1758. Ai notai era proibito abbinare 
il notariato all’avvocatura: fu derogata questa norma soltanto a favore di Giovanni Domenico Piccoli e 
Domenico Costantini, nel 1759. Questi gli otto notai rovignesi nel 1758: Carlo Basilisco qm. Basilisco, dr. 
Domenico Costantini qm. Giuseppe, dr. Basilisco Basilisco qm. Carlo, dr. Giuseppe Costantini qm. France- 
sco, Florio Spongia qm. Domenico, Giovanni Domenico Piccoli qm. dr. Giacomo, Francesco Costantini qm. 
Oliviero e Gabriele Piccoli qm. dr. Giacomo. “In antico eravi qui un Collegio Notarile”: a seguito di 
Memoriale fu ripristinato nel 1773; lo formavano notai, giudici e sindaco del comune”. Cfr. RADOSSI-PAU- 
LETICH, “Repertorio”, 344-345. Si ricorderà che Rovigno aveva tre giudici in carica per tre mesi, nominati 
dal Consiglio dei Cittadini: assieme al podestà, essi costituivano il Reggimento; il Sindaco, eletto per la 
durata di un anno, era tenuto a rinnovare il giuramento ogni tre mesi. L'istituzione di questa carica è 
precedente alla sottomissione a Venezia, e per tale motivo essa fu mal sopportata dal podestà, dai giudici e 
da Venezia che nel tempo tentò di limitarne le competenze. 


206 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 189-214 


autentici testamenti, 1 Volumi dei registrati, e da registrarsi in seguito in ordine alle 
Pubbliche Terminazioni. 

III. Tanto l’archivista che il Custode degli atti notariali, e delle carte di Santa Eufemia 
dovranno nei rispettivi riparti di essa sala esercitare attentamente li propri impieghi 
e perché i Volumi tanto dell’uno, che dell’altro siano ben conservati, dovrà la 
Comunità far tavellare?7, e soffittare la sala in buona forma, e non essendo sufficienti 
o fracidi i vechj armaj?*, provederne degli altri con chiavi, onde tutto si tenga ben 
custodito, e sicuro; a ricambio della qual spesa, e del mantenimento che abbisognas- 
se, avranno debito amendue li detti Ministri di darle sempre le copie gratis di guanto 
alla medesima appartenesse, e che fosse di pubblico servizio, e ciò a norma dell’of- 
ferta già fatta dalla Comunità stessa in suo memoriale primo luglio 1737 e susseguen- 
te relativo Decreto del N. U. Predecessore. S. Zorzi Bembo39 16 del mese stesso. 

IV. Inrelazione al Decreto medesimo, ed in coerenza del più recente del N. U. Predeces- 
sore S. Orazio Dolce 26. settembre 1763, chè approvò l’elezione di D. Giovanni 
Costantin Costantini q. Biaggio, continuerà il Consiglio di questa Terra ad eleggere 
dei suoi Cittadini il coadjutor ordinario, ed archivista dei Pubblici volumi con la 
pluralità dei voti, e con la nomina per scrutinio di soggetti della maggior probità, 
fedeltà, e sufficienza, c ciò ogni quattro anni, potendo restar confermato in detto 
carico l’attuale, quando abbia reso buon servizio, con condizione però che abbia a 
prestar sempre nuova Pieggiarie4! di buona Amministrazione, come spiega il Decre- 
to predetto 1737. 


37 “Tavèlar — lastricare di mezzane; tuvèla —mezzana; pietra cotta di figura quadrilunga con cui si 
ammattonano i pavimenti; pianella è quella più sottile che adoprasi nei coperti”. (BOERIO). 


38 La voce non risulta nel BOERIO, che invece riporta Armeron per “grande armario”; nell'uso antico 
“armadio” indica la libreria, l'insieme degli scaffali, ma anche mobile a più ripiani, chiuso da sportelli, per 
contenere abiti, libri, ecc. (BATTAGLIA). 


39 Fu rettore giustinopolitano dal 12 novembre 1736 al 19 marzo 1738 (?); cfr. NETTO, 158. Il 
KANDLER, Indicazioni, 152, lo pone soltanto nel 1737. 


40 Secondo NETTO (166) Oracio Dolce resse la Carica di Capodistria dal 28 maggio 1762 al 16 
settembre 1763 (sic/); quindi o errato il nome, ovvero l’anno. Il KANDLER, Indicazioni, 153, gli assegna il 
triennio 1761-1763 e, nuovamente, il 1767. Era stato proprio sotto la reggenza di O. Dolce che il Fosso che 
divideva Rovigno dalla terraferma venne imbonito ed il ponte in pietra che lo attraversava demolito e tolto, 
poiché il canale “per la trascurata manutenzione, s'era convertito in un fosso limaccioso e pestifero, con 
danno sensibile alla pubblica igiene”. (BENUSSI, 127). “Anticamente un Canale lungo le mura dell’antico 
Castello verso levante, (...). Ingranditosi questo colle fabbriche dei borghi fuori delle mura, al Ponte levatojo 
fu sostituito un Ponte di pietra stabile, ch’esisteva peraltro intorno il 1650; sotto i cui archi passavano le 
barche. Questo pente di pietra fu demolito, quando l’anno 1763 si turòper ordine della Carica di Capodistria 
in Visita Orazio Dolce il Canale ossia Fossa per oggetto di pubblica salute; poiché coll’andar del tempo, e 
trascurati eziandio i debiti escavi, l’acqua della Fossa erasi fatta melmosa, stagnante, puzzolente”. (RADOS- 
SI- PAULETICH, “Repertorio”, 304). L'arco e la sovrastante torretta che costituivano il “portone” d’ingresso 
nel Castello, “furono demoliti e distrutti vandalicamente, sotto il podestà Giuseppe Blessich l’anno 1843”. 
(Ibidem, 366). 


4 “Piegieria, pieggiaria, pieggieria: garanzia prestata a favore di una persona; malleveria; anche 
cauzione data come garanzia” (BATTAGLIA). 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 189-214 207 


V. Quanto al custode degli atti notariali, e Deputato al giro dell’ Amministrazione di 
Santa Eufemia, confermandosi in ciò la citata parte del Consiglio 25 Agosto 
passato, e per conseguenza l’elezione del Nodaro Dottor Pier Francesco Costantini43, 
che si rileva scortato di merito, e fornito di abilità, si provede, che ancor questo 
Custode di tre in tre anni sia soggetto alla riballottazione, colla libertà della conferma 
in caso di buon servizio, come si è detto dell’ Archivista, e perché colla parte suddetta 
la Comunità ha rimesso a questa Carica Delegata il fissarli un adeguatta mercede, 
sull'esempio di quanto restò decretato in simili circostanze dal N.U. S. Zambattista 
Zen** Predecessore li 22 agosto 1723 gli restano per mezzo della presente assegnati 
Ducati cinque al mese dei danari della Comunità medesima per la buona custodia di 
detti Libri, e Carte, e per l’esatto giro dell’amministrazione di Santa Eufemia, 
dandogli l'obbligo di formare li dovuti catastici e, far quel più, che venisse ingionto 
per buona regola e disciplina. 

VI. Manca in questa Terra di Rovigno un requisito di somma importanza, massime in 
riguardo al commercio, e questo è il Libro delle notificazioni, istituito, ed usato 
negli altri luoghi ben regolati dello Stato, ond’è che facendosi quasi alla cieca li 
contratti, nascono poi gravi danni per mancanza di cauzioni, ed infiniti litigj, che non 
di raro per l’indole suscetibile della nazione si convertono in funesti accidenti‘, 


42 La chiesa collegiata di S. Eufemia stava sotto il patronato del Comune, il quale con il Capitolo ne 
divideva il dominio, ed aveva in custodia una delle chiavi dell'arca di S. Eufemia; perciò l’amministrazione 
dei beni della Collegiata era affidata a tre cittadini. “Il Consiglio dei Cittadini li 25 ag.o 1765 istituiva un 
Custode degli Atti Notarili e un Amministratore dei beni di S.a Eufemia, il quale però dovea essere Cittadino 
e Notajo, c pertre anni, e con quel salario, che fosse creduto conveniente dalla Carica di Capodistria /seppo 
Michiel, che poi lo stabiliva in D.ti 5 de’ piccoli al mese con Terminazione qui in Visita 13 marzo 1766. 1 
quali due incarichi erano prima disimpegnati dal Cancelliere del Comune. Il primo Custode degli Atti notarili 
fu il Notajo Pier-Francesco dott. Costantini”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 345). 


43 “Nomina del dott. Giov.i Costantini in Archivista, e del Notajo dott. Pier Franc.o Costantini in 
Custode degli Atti Notarili e Deputato al giro dell'Amministraz.e di s.a Euffemia”. (RADOSSI-PAULE- 
TICH, “Compendio”, 307). 


44 Resse la Carica di Capodistria dal 23 febbraio 1723 al | luglio 1724. Cfr. NETTO, 158. 


4 “Fu istituito in Rovigno dalla carica di Capodistria /seppo Michiele Terminazione 13 marzo 1766, 
approvata con Ducale Alvise Mocenigo 19 susseguito luglio, l’Offizio delle Notifiche dei Contratti di 
qualunque genere sì privati che notarili, per lo privilegio della prelazione; Offizio appoggiato al Custode degli 
Atti notarili, ch'era in allora il dott. Pier-Francesco Costantini, con titolo di deputato alle Notifiche, e col 
beneficio di soldi 4 per ogni notificazione”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 345). 


4° Infatti, “(...) Il disordine ad onta di numerosi provvedimenti presi dal governo di Venezia, era giunto 
a tale punto che la Carica di Capodistria (/seppo Michiel, n.d.a.), per ordine ducale, dovette ordinare il 29 
aprile 1766 (un mese e mezzo dopo la sua Visita a Rovigno, che produsse la presente Terminazione, n.d.a.) 
al podestà di Rovigno di non convocare il Consiglio della comunità sino a che durassero tali discordie. Ed il 
Consiglio rimase chiuso per ben sette mesi. Nel riconvocarlo, il Podestà-Capitano emanava il seguente 
proclama: * (...) E come poi l'indole feroce e mal rassegnata di questo popolo rese per le occorse prove 
inefficaci alla quiete, alla disciplina e al buon ordine de’ Consigli le pubbliche provvidenze, così perché in 
seguito serva di emenda alla correggibile audacia l'esempio di chiunque contraff'acesse de più severi risoluti 
espedienti, ordiniamo che sia istituito come s'istituisce Processo d’inquisizione che tenuto sarà sempre 
aperto, in cui s’invitano a denonciare anche per via secreta tutti quelli ai quali fosse nota qualsivoglia 
trasgressione in tale proposito”. (BENUSSI, 96). 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ari, voL XXXI, 2001, p. 189-214 


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Fig. 4- Prospetto delle facciate del Palazzo Pretorio (destra) e della casa dei Podestà (sinistra), 
da P.zza S. Damiano (oggi P.zza Matteotti). (Da G. Natorre, cit.) 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol XXXI, 2001, p. 189-214 209 


Pensando perciò di provvedere anche a questo punto, si stabilisce in ordine alla 
Legge del Serenissimo Maggior Consiglio 12 Maggio 1523. alla Terminazione degli 
Eccellentissimi Signori Revisori e Regolatori dell’Entrade pubbliche 8 Gennaro 
1713, e Decreti dell’Eccellentissimo Senato primo febbrajo e 10 Agosto pur 1713, e 
31. Luglio 1745, che anco in Rovigno debba introdursi la buona pratica delle 
notificazioni di contratti tanto necessaria, e giovevole, onde per mezzo d’esse per 
l’avvenire si tolga il motivo delle liti e danni predetti. 

VII. Dovrà dunque il predetto Custode degli atti notariali istituire un pubblico Libro 
cartato”, e bollato48 col Suo Indice ed Alfabetto doppio, nel quale tutti li contraenti 
di qualunque Stato e condizione volendo goder il benefizio della prelazione debbano 
notificare tutti li contratti di qualsisia natura, tanto quelli dipendenti da scritture 
private quanto gli altri stabiliti con Pubblici Instrumenti in atti di Nodaro, la qual 
notificazione porterà appunto il Privilegio della prelazione agli atti non notificati, 
benchè fossero anteriori di tempo, dichiarino inoltre che dovranno stessamente 
notificarsi le ipoteche, permute, vendite, donazioni, crediti, obbligazioni e contratti 
d’ogni genere che si facessero in Rovigno, e suo distretto, in modo che la legale loro 
anzianità abbia a considerarsi e calcolarsi dal giorno della prescritta notificazione, 
come vogliano le suddette Leggi disponenti nel proposito, e come vuole ogni 
riguardo di buona massima specialmente in vista dei fallimenti che succedono ed 
altri disordini’. 

VIII. Il notificante non dovrà aver altro aggravio per cadauna di dette notificazioni sia di 
qualsivoglia somma che di soldi quattro al Nod.o Custode, che viene destinato anche 
a tal registro, né possa ricever di più sotto qualunque pretesto in pena della privazione 
del Carico, ed altre ad arbitrio di questa Carica delegata, alla qual sola dovranno esser 
portati i ricorsi, e ciò a norma di quanto rileviamo praticarsi in molte Città, ed altri 
luoghi del Serenissimo Dominio. 

IX. Il sudetto Custode, e Nodaro deputato avrà debito di trovarsi pronto in archivio in 
tutti li giorni non festivi perregistrare quelle notificazioni, delle quali fosse ricercato, 


47 Sta per “porre i numeri alle carte dei Libri”. (BOERIO). 


48 Indica “suggellare e sigillare”. (BOERIO). 


49 Pochi mesi dopo che “fù pub.a la presente Terminazione nella chiesa Parrocchiale, e Collegiata di 


S.ta Eufemia”, ed onde “invigilare sui contrabbandi di sardelle salate e di sale, che si commettevano di 
frequente nellacittà, erano giunti ai 12 di agosto [/767] in Rovigno, al servizio dei dazieri, cinque spadaccini, 
volgarmente detti sgarafoni, i quali portatisi alla Cancelleria, chiesero la lista delle notificazioni delle 
sardelle. Il Cancelliere rispose che ci voleva oltre un'ora a trovarla. (...)”. (BENUSSI, 99-100). “Presentate 
le loro credenziali, si fermarono sotto il Volto del palazzo pretorio. Il popolo, a tal veduta, cominciò a 
sussurrare, ad unirsi ed a mormorare. Se gli affollarono attorno, e senza accorgersene ferirono uno con una 
stilletata. Si scossero a tal fatto i spadacini, e messi in timore spararono una pistolletata verso il popolo, e 
ferirono uno. Questo fu il segnale dell’allarmi. Il popolo incominciò ad incalzarli con i sassi. Essi si misero 
a rinculare fuggendo per la Piazza (...). Fuggirono per il Borgo di Carrera (...). Insomma uno ferito a morte 
si salvò in un orto vicino al Forno novo, indi arrampicandosi in una caneva fu scoperto, e strascinato in 
Carrera dirimpetto alla Chiesa di S. Carlo fu trucidato, ed anco dopo morto e da uomini e da donne fu ferito 
e coperto di sassi. Il capitano d’essi, fuggendo per la strada della Trinità, con una sassata nelle tempie fu 
gettato a terra, indi ucciso. Un terzo ferito a morte, per compassione di alcuni buoni cristiani fu ricevuto in 
una casa e salvato dal furor popolare, e gli altri due furono salvati mercè le loro gambe cervine e veloci. (...)”. 
(BIANCINI, 7-8). 


210 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 


ponendo di giorno in giorno così il nome del notificante, come del notificato in 
Alfabeto, acciò restino sempre a comun cognizione le notificazioni sudette. 

X. Scoprendo per fine che nel ballottare5® e prender le Parti, Suppliche, ed altre 
deliberazioni nel Consiglio della Comunità corra l’uso di votare alla scopertaî!, 
portando le balle al Tribunale, o consegnandole in mano di qualche Cittadino, perché 
le ballotti nel Bossolo bianco??, e le porti nel bianco al Tribunale sudetto, poiché da 
ciò nascer possono gravi sconcerti, e nasce spezialmente l’assurdo, che i voti non 
passino liberi, e segreti, resta per l’avvenire assolutamente inibito questo modo di 
ballottar in Consiglio qualunque fosse l’argomento, e l’esigenza, ordinando, che 
ogn’uno debba ballottare segretamente col proprio Voto, in pena a chi contravvenis- 
se di Ducati 25. da applicarsi alla Sagrestia di Santa Eufemia, e di esser escluso per 
un’anno dal Consiglio. 

La presente qualora sia approvata dalla sovrana autorità dell’Eccellentissimo Senato, 
dovrà essere stampata??, e fatta tenere al N. U. Rettore di questa Terra, perché abbia 
a riportare in ogni tempo la sua inviolabile esecuzione. In quorum fidem. 


Rovigno in visita 13 marzo 1766. 
Iseppo Michiel Podestà e Capitanio G.D.54 


Il Cancellier Pretorio Prefettizio 


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Aloijsius Mocenico?5 


50 “Nel Consiglio dei Cittadini adoperavansi per ballottare Palle di ottone, e il Bozzolo bino, verde e 
bianco: il verde pel no, ed il bianco pel sì. Smarrite molte Palle di ottone e di oro ne furono provvedute in 
Venezia l'anno 1709: 28 di oro, e 200 di ottone. |Le Palle d’oro] davano soltanto il diritto di proposizione 
agl’impieghi, cui toccavano”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 354). 


5! Cioè quasi con “voto palese”, non segreto. 


52 “Arnese di legno ch'era specialmente in uso sotto la Repubblica Veneta, per raccorre i partiti nelle 
ballottazioni. Questo arnese riuniva tre differenti urne 0 bossoli, dove si ponevano i voti, cioè |’ Affermativo 
che dicevasi ‘Bossolo del si’, ed era di color bianco; il Negativo colorito di verde, che dicevasi ‘ Bossolo del 
no”, e l’Indifferente colorito di rosso, che dicevasi ‘Bossolo non sincero”, perché non affermava né rifiutava". 
(BOERIO). 


53 Non ci è stato possibile reperire l’eventuale Decreto a stampa. 
54 Sta per “Giudice Delegato”. 


55 Vedi Nota sull’istituzione dell’ Ufficio delle Notifiche dei Contratti. Alvise IV Mocenigo, terzultimo 
doge, “era l’ultimo nato di quattro maschi della famiglia, che contava anche due femmine monache. Prese 
in moglie Pisana Corner. (...) Ella o il marito dovevano avere la debolezza di voler essere sempre e dovunque 
a giorno dei cambiamenti atmosferici come ce lo dimostra la presenza di ben sei barometri nell’ appartamento 
in Palazzo Ducale. (...) Alvise /V entrò nella vita pubblica prime del consueto avendo estratto balla d'oro. 
L’incesso e l'aspetto maestosi e solenni e così pieni di dignità da farlo sembrare nato per comandare, le gentili 
maniere, lo zelo, la rettitudine e l'abilità dimostrati specialmente nella trattazione degli affari diplomatici, 
una certa cultura e facilità di parola, la liberalità nel soccorrere i poveri, gli orfani, le vedove, le ragazze da 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 211 


Dei Gratia 
Dux Venetiarum, 

Nobili et Sapienti Viro Nicolao Bereganî® de suo mandato Potestati et Capitaneo 
Justinopolis Fidelibus Dilectis salutem, et dilectionis affectum. Sulla estesa della Termina- 
zione che per la Comunità di Rovigno hà segnata in Visita il Precessor vostro Michiel sotto 
lì 13 Marzo decorso, versò di Pubblica commissione l’esperienza di questo Magistrato dei 
Revisori, e Regolatori dell’Entrade Pubbliche, e nelli X Capitoti della medesima ritrova 
provide ordinazioni. 

Per questo motivo il Senato in cadauna sua parte anche l’approva, onde abbia da essere 
esattamente eseguita. 


Datae in nostro Ducali Palatio die XTX. 
Julij Indictione XIV. M.D.CCLXVI. 


Gio. Berlendis Segr. 
ECTETETEELIAE EI) 
Addì 5. Decembre 1766. 
Capodistria 
L’Illustrissimo, ed Eccellentissimo Signor 
Podestà, e Capitanio. 


Volendo che senza maggior dilazione riportino l’utilissimo effetto loro le provvidenze 
comprese nei dieci Capitoli della Terminazione del N. U. Precessor Michiel avvalorata 
dalla pubblica approvazione, hà ordinato, che la Terminazione medesima sia stampata a 
spese della Comunità di Rovigno, ed indi spedita con lettere a quella Pubblica Rappresen- 
tanza perché seguir ne faccia l’inviolabile, ed intiera sua esecuzione; In quorum 


(Nicola Beregan5? Podestà, e Capitanio G. D.) 


marito bisognose, le comunità religiose povere gli conciliarono ben presto gli animi del Senato, che ad 
appena trent'anni lo mandò ambasciatore in Francia”. Fu quindi ambasciatore a Roma, procuratore di S. 
Marco, ambasciatore presso Benedetto XIV e Clemente XIII e presso i re di Napoli, Savio del Consiglio, 
membro della Signoria, decemviro, recensore, riformatore dello studio di Padova, pubblico bibliotecario: 
venne eletto doge nel 1763. Le feste per l'incoronazione durarono due giorni e furono sontuose. Il Doge e la 
Dogaressa avevano a disposizione in Palazzo Ducale diciannove ambienti. La famiglia si riuniva la sera nella 
Sala del cembalo e si giocava anche al tressette. L'appartamento e l'arredamento erano sontuosissimi. Il suo 
dogado si distinse per le riforme, tante furono esse in tutti i rami della pubblica amministrazione, e vennero 
aggregate alcune famiglie nobili della terraferma al patriziato veneto; vennero conclusi un trattato postale 
con l’Austria e commerciali con vari paesi europei e le Americhe. Morì nel 1778. Cfr. DA MOSTO, 627-636. 


56 Si veda infatti la lapide epigrafica collocata nell'interno del secondo fondaco, e che ricorda l'ampio 
restauro intrapreso nel 1767 sotto gli auspici del podestà di Rovigno, Giovanni Battista Corner, in esecuzione 
della “presente Terminazione pub.a nella Chiesa parrocchiale, e Collegiata di S.ta Eufemia (...) Addì 21 
Aprile 1767”: NICOLAO BEREGAN// PRAETORI PRAEFECTOQ: JUSTINOP. // ATQ. HUIUS PRO- 
VINCIAE PRAESIDI // VIRO QUIDEM SINGULARI // QUI LOCUM ISTUM, VETERI FORMA 
RENOV.TA // IN MELIOREM REDIGI, ET IN PRAESENTEM // USUM CONVERTI OPTIME JUSSIT 
SUB AUSPICIIS // IO. BAP.TAE CORNELLI PRAETORIS. 


57 “E il successore del Michiel, Nicola Beregan (in NETTO, 166, e CROLLALANZA, 1, 119, la 
variante: Berengan, n.d.a.), con Decreto 5 decemb. di quell’anno notiziava, che si presterebbe onde i Contratti 


212 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, vol XXXI, 2001, p. 189214 





Fig. S - Pilo con misure venete che si trovava immurato sull'angolo della casa dei Podestà. 
(Da G. Natorre, cit.) 


G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Ati, voL XXX), 2001, p. 189-214 213 


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AI Cancellier Prettorio Prefettizio 
Addì 21 Aprile 1767 - Rovigno 


Nella Chiesa Parrocchiale, e Collegiata di S.nta Eufemia fù pub.a la presente Termi- 
nazione dal Rmo Sig.r Don Francesco Piccoli58 Can.co Prep.o inter missarum solemnia59, 
ed in concorso di moltissimo Popolo. 


Pier Francesco D.r Costantini Pub.o Nod.o Custode 


Per copia conforme 
all’originale esistente 
appresso questo 
Uff.o Notifiche 


[sigillo a secco: leone marciano (in moleca), 
testo: ARCHIVUM RUBINI] 


viventi venissero legittimati colla notifica, né posposti ai succedenti e notificati, per togliere ogni pericolo, 
sconcerto, litigio. Non si conosce emanata alcuna norma in proposito; ma questo avviso del Beregan, consono 
all’assioma legale, che cioè le leggi non fanno mai affetto reatroattivo, ove non è espressamente indicato, 
convalida l'opinione di molti (checché fu detto, discusso e variamente preso finora) della prelazione dci 
Contratti anteriori alla istituzione qui dell’Offizio Notifiche e non notificati, in confronto ai posteriori e 
notificati. Quest offizio Notifiche fu attivato dal suddetto Beregan li 27 maggio 1767, e diede anche 
personalmente possesso al Costantini della nuova sua Carica. Il locale primitivo fu il nuovo Archivio eretto 
nella Sala detta dell’ Armamento, ove in oggi è il Monte di Pietà”. (RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 
345-346). I Bere(n)gan(i), originari di Vicenza, furono nel 1649 aggregati al patriziato veneto. “Un individuo 
di questa famiglia, di nome Nicolò, morto nel 1713, ottenne dal Re di Francia Luigi XIII le insegne 
dell'Ordine di S. Michele”. (SCHRODER, 1, 111). 


58 Discendente di un'antica famiglia giunta a Rovigno nel 1589, proveniente da Venezia (“l’agnome 
Piccoli divenne cognome”); i Piccoli avevanocura ed assistenza della chiesetta urbana di S. Carlo Borromeo, 
dove hanno due arche sepolcrali epigrafe e stemmate. “(...) Era famiglia numerosa, potente, e facinorosa, 
però praticava il bene di una quotidiana limosina di brodo e carne (era al fuoco ogni dì una grande caldaja di 
carne) a chiunque bisognoso si presentava a quella Casa a dimandarla. Erano in quella famiglia contempo- 
raneamente Notaj ed Avvocati, e Preti e Parrochi, e uomini di mare, e pubblici e comunali impiegati: tutti 
uomini di sapere e di azione. (...) Arma dei Piccoli di Vestre: di ... al destrocherio vestito di ... alla mano 
chiusa di carnagione, sostenente un tappeto multicolore munito di Francia; atre stelle (8) in capo. Arma dei 
Piccoli di Rovigno: troncato (sbarra a semitondo) con tappetino policromo dal I cadente nel Il campo”. 
(RADOSSI, “Stemmi di Rovigno”, 234-235). Cfr. ancora RADOSSI-PAULETICH, “Repertorio”, 361-362). 


5° Cfr: “Si pubblica inter missarum solemnia la Terminazione Michiel relativa alla instituzione 
dell’Off.o Notificazioni, e ne segue l’istallazione del dott. Pier Franc.oCostantini in detto offizio”. (RADOS- 
SI-PAULETICH, “Compendio”, 397). 


214 G. RADOSSI, La pubblica amministrazione a Rovigno nel 1766, Atti, voL XXXI, 2001, p. 189-214 


SAZETAK: POSLJEDNJI POKUSAJ REFORME JAVNE UPRAVE U 
ROVINJU GODINE 1766. — Tijekom svog posjeta Rovinju Naédelnik 
i Kapetan Kopra Iseppo Michiel dana 13. ozujka 1766., utvrdio je 
niz manjkavosti u jJavnoj upravi, lo$e stanje arhive, nepostojanje 
Prijavnog ureda, te razne nepravilnosti u provodenju glasovanja 
(drugi krug glasovanja) u Vijeéu. U svrhu popravljanja nastalog 
nereda, Koparska sluzba izdaje Zakljutak koji ovdje objavljujemo, 
zajedno sa odlukama za njegovu konaénu i praktiénu primjenu. Autor 
u ovome vidi pokusa] — iako zakaSnjeli — reforme javne uprave, po 
uzoru na once koje su se unazad nekoliko desetljeéa provodile gotovo 
na Citavom prostoru Prejasne. 


POVZETEK: POSLEDNJI POSKUS REFORME JAVNE UPRAVE 
ROVINJISKEGA OZEMLJA LETA 1766 - Ob priliki svojega obiska 
na rovinjskem ozemlju dne 13. marca 1766, je koprski nadelnik in 
kapitan Iseppo Michiel ugotavljal celo vrsto pomanjkljivosti pri javni 
upravi: stanje arhiva, pomanjkanje Urada za vroCitve ter Stevilne 
netoénosti pri volilnem postopku (balotaza) v okviru Sveta. Da bi 
uredili vso zadevo, je koprski drZavnik izdal Terminacijo, ki jo tu 
objavljamo vkljuèno z odloki, ki so sledili njeni dokonèni in praktièni 
izvedbi. Avtor ugotavlja v tej dejavnosti poskus — èetudi pozni - 
refome javne uprave po zgledu tega, kar se je dogajalo v zadnjih 
desetletjih na celotnem obmotju Beneske republike. 


FEDE E NAZIONE. 
CENNI SULLA STORIA DELLA CHIESA CATTOLICA 
NELL’ISTRIA MERIDIONALE PRIMA DEL 1914 


FRANK WIGGERMANN CDU 282(091)(497.5-3Istria)" 19/20" 
Miinster (Germania) Sintesi 
Gennaio 2002-04-03 


Riassunto — Nel presente saggio l‘autore riporta interessanti cenni sulla storia della chiesa 
cattolica nell’Istria meridionale nel periodo che precedette lo scoppio del primo conflitto 
mondiale. In considerazione della diversità delle nazionalità austriache accanto alla casa asbur- 
gica funzionò da vincolo soltanto la religione cattolica cui apparteneva la quasi totalità della 
popolazione istriana. Benchè Italiani e Slavi fossero di fede cattolica il conflitto nazionale in Istria 
a cavaliere dei secoli XIX e XX interessò direttamente anche la chiesa istriana le sue diocesi e le 
sue istituzioni e s’inasprì pure negli ambiti dell’ istruzione scolastica e di quella religiosa. 


In Istria, in considerazione della diversità delle nazionalità austriache, 
funzionò da vincolo di collegamento accanto alla casa asburgica soltanto la 
religione: da una parte l’austro-cattolicesimo formatosi durante la controrifor- 
ma, dall’altra il cattolicesimo romano dei territori già veneziani’. La quasi 
totalità della popolazione istriana era di professione cattolica?. È da ricordare 
che la diocesi di Trieste-Capodistria comprendeva una vasta parte dell’Istria 
interna fino a Castua orientale e la parte centrale del territorio di Pisino, mentre 


! ZOVATTO, Pietro /PASSOLUNGHI, Pier Angelo, Bibliografia storico-religiosa su Trieste e l’Istria 
1864-1974, Roma, 1978. 


2 Istrien. Historische, geographische und statistische Darstellung der istrischen Halbinsel nebst den 
quarnerischen Inseln, Trieste, 1863, p. 157, 175-182; BENUSSI, Bernardo, Manuale di geografia dell'Istria, 
Trieste, 1877, p. 59-62; LOESCHE, Georg, ,Osterreich", in: Realencyklopdidie fiir protestantische Theologie 
und Kirche, vol. 14 (1904), p.311-332 (318-319); Hof- und Staats-Handbuch der òsterreichisch-ungarischen 
Monarchie, vol. 40 (1914), p. 715-719; SAURER, Edith, Die politischen Aspekte der sterreichischen 
Bischofsernennungen 1867-1903, Vienna, 1968, 65-99; TROGRLIC, Stipan, ,,Katoliéka crkva u Istri u 
nacionalno-politiékim i idejnim previranjima 1900-1914" /La chiesa cattolica in Istria nei movimenti 
politico-nazionali e ideologici/, Casopis za suvremenu povijest /Rivista di storia contemporanea/, vol. 28 
(1996), p. 283-302. 


216 F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 215-225 


la doppia diocesi di Parenzo-Pola, istituita nel 1830, comprendeva pure le 
diocesi di Rovigno, Montona, Dignano ed Albona?. Il vescovo risiedeva a 
Parenzo ma visitava regolarmente Pola ed il suo duomo. La terza diocesi, 
quella di Veglia-Arbe, si estendeva particolarmente sulle isole di Veglia, 
Cherso ed Arbe. 

Prescindendo dalle 491 persone di altra religione, nel 1869 254.414 istria- 
ni si professarono cattolici, uniformità che non mutò nel corso degli ultimi 
decenni austriaci. Secondo il censimento del 1900 si contarono 345.052 istriani 
dei quali 343.815 aderirono al cattolicesimo romano, 61 all’unione greca con 
Roma, 389 alla chiesa greco-orientale indipendente, 290 al protestantismo 
luterano, 187 a quello calvinista; 285 erano gli Ebrei. 

Purnon essendo Italiani e Slavi divisi da questioni religiose, purtuttavia in 
Istria il conflitto nazionale si riflettè anche nella chiesa cattolica”. Nel 1910 
accanto alla professione cattolica maggioritaria ci furono nel Litorale austriaco 
solo cinque chiese protestanti®, tre greco-orientali, una filiale conventuale 
armeno-cattolica e due congregazioni israelitiche a Gorizia e Trieste”, dove gli 
Ebrei costituivano un fattore economico e politico di prima importanza nelle 
file degli Italiani liberali-nazionali*. Anche gli Ebrei istriani, emigranti all’ini- 


3 CORBANESE, Girolamo, /! Friuli, Trieste e l'Istria tra la fine dell'Ottocento e l’inizio del 
Novecento. Grande atlante storico-cronologico comparato, Udine, 1999, p. 436, 438, 449. 


4 Juraj Dobrila 2-5-1858 — 5-7-1875; Giovanni Nep. Glavina 6-10-1878 — 3-7-1882; Luigi Zorn 
14-1-1883 — 9-8-1883; Giovanni Battista Flapp 4-1-1885-27 — 12-1912. BABUDRI, Francesco, ,,I vescovi 
di Parenzo e la loro cronologia", Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria (=AMSI), 
vol. 25 (1909), p. 170-284 (275). 


5 Si veda ad esempio il conflitto polacco-ruteno in Galizia dove la chiesa romano-cattolica era 
avversata da quella greca. BRIX Emil, ,,Die Erhebungen der Umgangssprache im zisleithanischen Osterreich 
(1880-1910)*, Mizreilungen des Instituts fiir Osterreichische Geschichtsforschung, vol. 87 (1979), p. 363-439 
(390). 


6 Fra i membri contribuenti della parrocchia protestante di Pola figuravano principalmente ufficiali, 
impiegati statali e commercianti tedeschi con le loro famiglie, tranne una minoranza ungherese e fra questa nel 
1896 anche il futuro ultimo comandante della flotta navale Nikolaus Horthy von Nagybanya. Kurzer Bericht 
liber die evangelische Gemeinde in Pola pro 1896, Trieste, 1897. Allora la parrocchia luterana polese, fondata 
nel 1872, contava 302 anime. Prima di stabilirsi a Pola nel 1909, il pastore evangelico Richard Hollerung 
dovette predicare a titolo di prova in lingua ungherese. PATZELT, Herbert, Evangelisches Leben am Golf von 
Triest. Geschichte der evangelischen Gemeinde in Triest mit Abbazia, Gòrz, Fiume und Pola, Monaco, 1999, 
p. 241-246 (246). Nel 1908 il supremo consiglio ecclesiastico protestante di Vienna dichiarò indipendente la 
parrocchia di Abbazia, luogo di cura in crescita, da quella polese. PATZELT, op. cit., p. 220-227. 


? HOF- UND STAATS-HANDBUCH der òsterreichisch-ungarischen Monarchie, vol. 41 (1915), 699. 


8 ARA, Angelo, ,,Gli ebrei a Trieste, 1850-1918“, Rivista storica italiana, n. 102 (1990), p. 53-86. — 
CATALAN, Tullia, ,,La comunità ebraica di Trieste ed i suoi rapporti con il governo centrale austriaco e le 


F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ati, voll XXXI, 2001, p. 215-225 217 


zio dell’ottocento, non si erano sottratti alla forza d’attrazione del primo porto 
commerciale della Monarchia?. 

Le condizioni romano-cattoliche a Pola furono chiarissime, con prediche, 
conferenze religiose e corsi d’istruzione tenuti esclusivamente in italiano. Nei 
casi di richieste dal differente carattere nazionale il vescovo di Parenzo-Pola, 
Giovanni Battista Flapp, ordinò sempre messa latino-italiana ed istruzione 
italiana!°. Il Flapp, di origine friulana e decisamente antimodernista, era stato 
insediato nel 1885"! e nel primo anteguerra occupò, per anzianità, il primo 
posto fra i principi ecclesiastici dell’ Austria. A causa della scelta linguistica 
filoitaliana, il Flapp figurò definitivamente fra i nemici dei capi slavi a Pola che 
gli imputarono simpatie liberali-italiane"?. 

Quando nel maggio del 1912, in occasione della cresima, il vescovo Flapp 
si recò a Pola, gli Slavi della città e del distretto polese inviarono una deputa- 
zione al prelato pregandolo di accordare loro la parificazione linguistica nel 
duomo di Pola. Il Flapp, respingendo i cinque deputati slavi, rifiutò ovviamente 
d’accogliere la loro richiesta". 

Siccome non erano riusciti a ottenere la predica e la confessione in lingua 
slava nel porto di guerra austriaco, i rappresentanti slavi, fra cui i croati 
Vjekoslav Pelc!*e Josip Stihovié!5 e lo sloveno Ivo Sorli, primo notaio slavo a 
Pola dal 1911, si distanziarono dal vescovo e dalla cattedrale di Pola, adope- 
randosi per la fondazione di un’associazione ecclesiastica slava destinata a 
raccogliere mezzi finanziari al fine di costruire una seconda chiesa cattolica a 


autorità locali (1781-1918)"*, in MAZOHL-WALLNIG, Brigitte / MERIGGI, Marco (ed.), Osterreichisches 
Italien — Italienisches Osterreich? Interkulturelle Gemeinsamkeiten und nationale Differenzen vom 18. 
Jahrhundert bis zum Ende des Ersten Weltkrieges, Vienna, 1999, p. 167-196. 


9 ISTRIEN. Historische, geographische und statistische Darstellung, p. 157. MILANO, Attilio, Storia 
degli ebrei in Italia, Torino, 1963, p. 120, 132-133, 347, 426. 


!0 /L GIORNALETTO DI POLA, del 23-5-1909 (n. 3239). APOLLONIO, Almerigo, Autunno istriano. 
La rivolta di Pirano del 1894 e i dilemmi dell’irredentismo, Trieste, 1992, p. 41-42. 


!! SAURER, Die politischen Aspekte der òsterreichischen Bischofsernennungen, p. 81-84, 88-89, 
94-96. 


!? ZOVATTO, Pietro, «Cattolici e cattolicesimo in Istria tra ‘800 e ‘900%, /stria religiosa, Trieste, 1989, 
p. 7-65 (18). 

13 POLAER TAGBLATT del 31-5-1912 (n. 2184). 

14 Direttore dell’associazione economica (Gospodarska sveza). 


5 Deputato alla Dieta provinciale dell'Istria, direttore della cassa di risparmio slava di Pola e 
rappresentante croato nella Giunta consultiva del gerente comunale d’allora Rudolf Baron Gorizzutti. 


218 F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ari, vol XXXI, 2001, p. 215-225 


Pola con predica e confessione in lingua slava, nonché in italiano e tedesco. 
L’i.r. ammiraglio di porto Julius von Ripper (ricoprì questa carica dal 1905 al 
1913), intervenendo fra l’altro anche sul piano ecclesiastico, fu partigiano 
dell’idea slava'’, accusato indistintamente d’irredentismo, favorendo a Pola 
l’elemento antitaliano. Secondo il suo parere, il partito italiano-liberale si 
sarebbe immischiato in affari ecclesiastici senza alcun interesse religioso e, 
coronato da successo, si sarebbe opposto alla parificazione linguistica nel 
duomo di Pola. Al fine di sottrarsi all’influenza della diocesi prettamente 
italiana del vescovo Flapp, gli Slavi polesi ebbero l’intenzione d’assumere frati 
di una congregazione che sarebbero stati sottomessi alla giurisdizione vesco- 
vile soltanto riguardo ai diritti parrocchiali. 

Mentre gli Slavi progettavano la costruzione di una chiesa e di un mona- 
stero sul monte Castagner, abitato prevalentemente da piccoli proprietari di 
nazionalità slava, la Sezione di marina a Vienna si mostrò contraria all’ appog- 
gio all'associazione slava. Infatti l’i. e r. Ministero di guerra nel progetto 
ecclesiastico suddetto vide un’agitazione nazionale slava che sotto il manto 
religioso si sarebbe rivolta contro la colonia tedesca a Pola. Questa rinuncia 
alla collaborazione coll’elemento slavo nel porto di guerra (alleanza sostenuta 
dall’ammiraglio Ripper fino alla sospensione dell’autonomia comunale polese 
nel 1912) non collimava con il punto di vista di uno dei personaggi più 
antitaliani della monarchia austro-ungarica, cioè dell’i. e r. capo di stato 
maggiore Franz Conrad von Hòtzendorf. Egli favorì ogni azione slava nelle 
regioni di confine a condizione che danneggiasse l'interesse italiano. Le ten- 
denze politiche degli Slavi, secondo il suo parere, si potevano realizzare nel 
quadro politico austriaco, mentre quelle italiane aspiravano all'abbattimento 
della dominazione austriaca nel Litorale: ,,Der Irredentismus der letzteren 
[Italiener] ist unabinderlich und muB bekimpft werden.“ L’i. r. Luogotenen- 
za di Trieste approvò gli statuti sociali dell’associazione ecclesiastica slava. 
Solo lo scoppio della guerra mondiale impedì la costruzione della chiesa slava. 

D'altra parte il numero di giovani preti italiani calò continuamente cosic- 
ché prete e slavo divennero talvolta sinonimi persino in regioni prevalentemen- 


!6 Archivio di Guerra di Vienna (AGV), Sezione di Marina (SM), Cancelleria Presidiale (CP) XV-3/1, 
n. 5048: Ripper [i. e r. ammiragliato di porto di Pola] all’i. e r. Ministero di guerra, Sezione di marina, 
18-11-1912. 


! ..L'irredentismo degli ultimi [italiani] è immutabile e dev'essere combattuto. AGV/SM/CP 
XV-9/27, n. 682: |. e r. Ministero di guerra, febbraio 1913. 


F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L’Istria prima del 1914, Atti, voL XXXI, 2001, p. 215-225 219 


te italiane e la parrocchia apparì nell’ottica del conflitto nazionale come fattore 
di slavizzazione'*. Oltre l’uso dell’idioma popolare croato-sloveno in chiesa, 
molti preti slavi provarono a reintrodurre, rispettivamente ad imporre, la lingua 
vetero-slava in caratteri glagolitici — atto eminentemente religioso-politico che 
provocò non poco l’élite politica liberale italiana. D’altro canto moltissimi 
fedeli slavi non comprendevano affatto questo idioma vetero-slavo!?. Ma, da 
questo punto di vista, latinità ed italianità significavano egemonia italiana in 
Istria. Un primo decreto della congregazione dei riti di Roma riconobbe nel 
1892 la pratica predominante della liturgia vetero-slava soltanto con restrizioni 
e proibì nello stesso tempo l’uso delle lingue popolari moderne??. 

In Istria la questione liturgica favorì il dissidio fra il vescovo italiano Flapp 
da una parte e Antun Mahniè”!, vescovo di Veglia (dal 1896°°), dall’altra. Nel 
dicembre 1896, il Flapp rimproverò a molti preti slavi della sua diocesi 
parentino-polese di essersi posti a capo del nazionalismo a danno dei fedeli 
contadini. Lo sloveno Mahniè invece, nel propugnare un cattolicesimo orto- 
dosso dissociandosi dalla liturgia latina, celebrò messe solenni sulle isole del 
Quarnero in lingua vetero-slava. Fondò, poi, a Veglia un’accademia slava che 
pubblicò vari testi in caratteri glagolitici”?. Il vescovo di Veglia, inoltre, si 
appellò al decreto di Leone XIII, circa i riti religiosi, che acconsentivano la messa 
slava là dove si era radicata tradizionalmente, cosicché essa divenne ufficiale in 
alcune parrocchie della diocesi di Veglia. 

Il decreto De usu linguae slavicae in Sacra liturgia, emanato il 5 agosto 
1898 per le province ecclesiastiche di Gorizia, Zara e Zagabria, permise l’uso 


I BLASINA, Paolo, ,,Die Kirche und die nationale Frage in den adriatischen Gebieten 1870-1914“, 
in: ARA, Angelo/ KOLB, Eberhard (ed.), Grenzregionen im Zeitalter der Nationalismen. ElsaB-Lothringen- 
Trient-Triest, 1870-1914, Berlino, 1998, p. 177-199. 


!) BENUSSI, Bernardo, ,,La liturgia slava nell’Istria*, AMSI, vol. 9 (1893), 153-283. MURKO, 
Matthias, ,,Die slawische Liturgie an der Adria“, Osterreichische Rundschau, vol. 2 (1905), p. 163-177. 
KLUGE, Friedemann, ,,Slawen III. Kirchensprache“, in: Lexikon fiir Theologie und Kirche, vol. 9 (2000), p. 
664-665. 


20 JUST, Harald, ,,Bischof StroBmayer und die Kroaten*, Osterreichische Osthefte, vol.15 (1973), 
p.27-49 (46). 

2! PRASELI, Nada, ,,Anton Mahnié“, in: Osterreichisches Biographisches Lexikon, vol. 5 (1972), p. 
413-414. 


2? BARBALIC, Fran, Narodna borba u Istri. Od 1870. Do 1915. Godine /La lotta nazionale in Istria. 
Dal 1870 al 1915/, Zagabria, 1952, p.75 (n. 328). 


23 Glagolitica. Publicationes Palaeoslavicae Academiae Veglensis. MURKO, op. cit., p.176. BARBALIG, 
op. cit., p. 86 (n. 403). 


20 F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istia prima del 1914, Ati, vol XXXL 2001, p. 215-225 


della liturgia vecchio-slava solo in quelle chiese che se n'erano servite ininter- 
rottamente negli ultimi 30 anni, cosicché la liturgia slava legittima costituì 
secondo il diritto ecclesiastico un privilegio reale legato a determinate chiese 
e in nessun caso un privilegio personale di singoli preti’. Fu lecito infine 
cantare le letture ed il Vangelo dopo una prima esecuzione in latino anche nella 
lingua popolare. Il vescovo di Parenzo-Pola e l'arcivescovo di Zara” difesero 
evidentemente d’allora in poi la lingua liturgica latina e seguirono le istruzioni 
romane dichiarando spento il privilegio vetero-slavo nelle loro diocesi contro 
la resistenza di preti e laici slavi, mentre i prelati slavi? di Trieste e Veglia 
seguirono le strette disposizioni riguardanti l’uso del glagolitico in favore della 
liturgia vetero-slava, secondo una relazione della nunziatura del 1899. 

Papa Leone XIII spiazzò però nell’agosto 1900 l’arcivescovo zaratino 
prevedendo il privilegio vetero-slavo anche nei casi ove esso avesse cessato di 
esistere involontariamente negli ultimi 30 anni, cioè a dire, a causa di motivi 
esterni, per mancanza di libri ecclesiastici o di preti che conoscessero il 
glagolitico?”. L’anarchia linguistica sulle sponde dell’ Adriatico si rianimò di 
nuovo coinvolgendo anche la Dieta provinciale dell’Istria8. La liturgia vetero- 
slava, vivamente discussa fra Italiani e Slavi”°, riuscì ad affermarsi pienamente 
solo nella Liburnia storica, cioè lungo la costa orientale dell’Istria e nel 
Quarnero”, 

Quando il 27 dicembre 1912*' morì il vescovo parentino-polese Flapp, la 
proposta di un suo successore spettò dapprima all’i.r. Luogotenente, Konrad 
Prinz Hohenlohe (1904-1915), che si vide costretto a bilanciare le varie pretese 


24 BLASINA, op. cit., p. 194. 


25 MANUSSI MONTESOLE, Alfred, ,,Die Adrialinder, B.Dalmatien*, in: Hugelmann, Karl Gotttri- 
ed (ed.), Das Nationalittitenrecht des alten Osterreich, Vienna, 1934, p. 632-684 (681). 


26 LIPOTT, Ezio, /! Piccolo ieri 1881-1899. Origini e diffusione di un quotidiano popolare nella 
Trieste di fine Ottocento, Trieste, 1981, p. 213-214. 


27 MURKO, op. cit., p.175. 


28 ATTI DELLA DIETA PROVINCIALE dell'Istria, vol. 3. Resoconti stenografici delle sedute [9. 
periodo elettorale / 1. sessione / 4. seduta del 5-7-1902], Parenzo 1902, p. 37-39. — ATTI, vol. 3. Resoconti 
stenografici [8. seduta del 12-7-1902], Parenzo 1902, p. 165.— ATTI, vol. 3. Resoconti stenografici [9. seduta 
del 15-7-1902], Parenzo 1902, p. 217-230. 


29 BENUSSI, op. cit., p. 153-283. Osterreichisches Biographisches Lexikon, vol. 3 (1965), p. 337 
[Luka Kirac]. 


30 MANUSSI MONTESOLE, Altred, op. cit., p. 569-631 (628-629). 
3! Brioni Insel-Zeitung del 31-1-1913 (n. 1). 


F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L’Istria prima del 1914, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 215-225 ZI 


nazionali e politiche**. Eccettuate le province ecclesiastiche di Salisburgo ed 
Olmiitz, tutti i vescovi venivano nominati in Austria dall’Imperatore. Slavi 
erano stati tanto l'arcivescovo di Gorizia quanto i vescovi di Lubiana, Trieste 
(Andrej Karlin?*) e Veglia (Antun Mahniè). Gli Italiani li ritenevano responsabili 
dell’orientamento decisamente sloveno-croato di una parte del clero uscito dai 
seminari e nello stesso tempo i nazionalisti italiani rimproverarono al clero slavo 
la slavizzazione di nomi italiani nei registri di stato civile**. Se l’i.r. Luogotenente 
del Litorale austriaco avesse scelto un quinto vescovo slavo, gli Italiani della 
diocesi di Parenzo-Pola si sarebbero sentiti umiliati, ritenendo provocatoria una 
tale nomina. 

Allorché il preposto italiano di Gorizia, Luigi Faidutti, aspirò apertamente 
al seggio vescovile vacante di Pola, Hohenlohe sostenne nel gennaio 1913, la 
sua candidatura presso la nunziatura a Vienna, tanto più che il Faidutti, 
deputato al Consiglio dell'Impero dal 1907*°, era a capo del gruppo clericale 
filoaustriaco avversato duramente dal partito liberale nazionale. 

Le proposte inviate dai vescovi slavi della provincia di Gorizia all’i.r. 
Luogotenenza di Trieste individuarono il cappuccino provinciale Bernardinus 
Skrivanié di Fiume, il decano parrocchiale Quirinus Bonefatié di Lussinpicco- 
lo, tutti e due noti rappresentanti dell’idea nazionale slava?”, infine Trifone 
Pederzolli, prete italiano di Trieste. Le proposte significarono quindi un chiaro 
rifiuto della candidatura faiduttiana, verso la quale anche l’arciduca ereditario, 


32 Archivio di Stato di Trieste (AST), I. r. Luogotenenza del Litorale (LL), Atti Presidiali (AP) 8, n. 1: 
Hussarek [i.r. Ministero di culto e pubblica istruzione] a Hohenlohe [ i.r. Luogotenenza di Trieste], 25-1-1913; 
Karlin [Vescovo di Trieste] a Hohenlohe, 2-2-1913; Hohenlohe a Hussarek, 8-2-1913; Hussarek a Hohenlo- 
he, 12-2-1913. 


33 Lo sloveno Karlin, affermandosi contro la candidatura di un italiano goriziano, era successo nel 1910 
al vescovo tedesco-austriaco Franz Nagl, che aveva cercato di rimanere su posizioni sovranazionali. 
LASCIAC, Alois, Erinnerungen aus meiner Beamtencarrière in Osterreich in den Jahren 1881-1918, Trieste, 
1939, p. 179-180. Osterreichisches Biographisches Lexikon, vol. 3 (1965), p. 242 [Andrej Karlin]}. HART- 
MANN, Gerhard, ,,Franz Xaver Nagl (1855-1913)*, in GATZ, Erwin (ed.), Die Bischòfe der deutschspra- 
chigen Lander 1785/1803 bis 1945, Berlino, 1983, p. 526-528. 


3 TAMARO, Attilio, Le condizioni degli Italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella 
Dalmazia, Roma, 1915, p. 39. 


35 Archivio di Parlamento di Vienna: Fragebogen (questionario) Faidutti nell’anno 1907. - CAUCIG, 
Paolo, Attività sociale e politica di Luigi Faidutti (1861-1931), Roma 1977, p. 151-225. 


36 _Heute ist er [Faidutti] der Mittelpunkt der Schwarzgelben in Friaul* / ,Oggi il Faidutti è il centro 
dei giallo-neri friulani“ /, Hohenlohe, cit.X8-2-1913, p. 6-7. 

37 Bonefatié, sostenitore dell’associazione scolastica slava dei Santi Cirillo e Metodio, era stato 
temporaneamente boicottato dagli Italiani locali. IBIDEM, 2-3. 


pis F. WIGGERMANN, Fede e ‘nazione. L'’Istria prima del 1914, Ati, voL XXXL 2001, p. 215-225 


Francesco Ferdinando manifestò qualche riserva. Preferì, tenendo presente la 
composizione nazionale della diocesi parentino-polese, la nomina di un aspi- 
rante nazionalmente neutrale, senza alcun colore politico (,,politisch und be- 
sonders national neutralen, farblosen Anwéirters”8). Siccome Hohenlohe cercò 
di attenersi all’equilibrio etnico, rinunciò tanto alla scelta di uno slavo quanto 
alla nomina del Faidutti, preferendo a quest’ultimo il candidato Pederzolli. 
L’i.r. Luogotenente propose quindi all’i.r. Ministro al culto e alla pubblica 
istruzione e all'Imperatore la nomina del Pederzolli. Francesco Giuseppe I 
accettò la candidatura del prete triestino, di provati sentimenti filo-austriaci 
(,,erprobter ausgezeichnet òsterr. Gesinnung‘*°), sebbene di buona mediocrità 
secondo il parere del nunzio‘. Tale nomina dell’aprile 1913 placò l’atteggia- 
mento degli Italiani dell'Istria. A compenso ed a riconoscimento dei meriti 
patriottici, l’ Imperatore conferì al Faidutti il Komturkreuz dell'ordine di Fran- 
cesco Giuseppe. Già nel 1910 l’i. e r. Ministero alla guerra aveva preso 
l’iniziativa di consegnargli una decorazione. 

Il conflitto originariamente etnico-politico ben presto si estese alla chiesa 
cattolica e s’inasprì anche negli ambiti dell’istruzione scolastica e del battesi- 
mo, sfere queste che incidevano direttamente la vita di tutti i giorni. L’istruzio- 
ne religiosa fu materia regolare nelle scuole elementari pubbliche e venne 
insegnata di solito da preti nella lingua d'istruzione della relativa scuola ‘'. Pur 
essendo questa regolazione sufficientemente chiara, la questione religiosa 
portò nel 1907 ad un’aspra disputa fra il vescovo di Veglia, Mahniè, da un lato, 
e le autorità scolastiche dall’altro'?. Siccome molti luoghi con maggioranza 
slava, per esempio Cherso e Lussingrande, mancavano di scuole primarie“, 
molti genitori scelsero per i loro bambini l’istruzione elementare italiana, 
compresa la materia religiosa nella stessa lingua d’istruzione. Naturalmente i 


38 HUSSAREK, cit., 25-1-1913, 2. 

39 HOHENLOHE, cit., 8-2-1913, 4. 

40 BLASINA, op. cit., p. 198. 

*! Vita autonoma del 1-4-1906 (n. 7), 128. 


4 Interpellanza dei deputati Spinéié, Laginja e Mandié [18. sessione / 15. seduta del 18-7-1907], 
Allegato 2 (457/I), p. 557-561 (16-7-1907); DE ROSA, Diana, Maestri, scolari e bandiere. Lu scuola 
elementare in Istria dal 1814 al 1918, Udine, 1998, p. 329-330. 


43 Interpellanza del deputato SpinGié [20. sessione / 63. seduta del 23-6-1910], Allegato 3 (1737/1), p. 
8746-8747 (23-6-1910). — Interpellanza del deputato Spincié [90. seduta del 9-2-1911], Allegato 3 (2504/1), 
11551-11552 (9-2-1911). 


F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Ani, vol. XXXI, 2001, p. 215-225 22 


bambini slavi non poterono seguire gli argomenti dei preti italiani cosicché 
intervenne il Mahniè richiedendo, però invano, alle i.r. autorità scolastiche, 
all’i.r. Luogotenenza del Litorale e all’i.r. Ministero al culto e pubblica istru- 
zione di tener conto della lingua materna dei bambini nell’istruzione religio- 
sa". Il vescovo di Veglia si appoggiò al par. 5 della Legge imperiale sulle 
scuole popolari secondo il quale l'insegnamento della religione nelle scuole 
pubbliche spettava alle chiese*. Ma le autorità scolastiche nell’insistere 
sull’uniformità della lingua d’istruzione, tolsero l'insegnamento della religio- 
ne ad alcuni preti chiamati al servizio scolastico dal Mahniè e ne incaricarono, 
invece, maestri pubblici che, d’altra parte, non erano in grado di portare avanti 
la missione canonica richiesta dalla chiesa. Il Mahnié ordinò quindi di radunare 
i bambini nelle chiese per far impartire loro l’istruzione religiosa nella lingua 
madre. 

Nel corso del decennio prebellico abusi ci furono pure nell’amministrazio- 
ne dei sacramenti divenuti espressione di fede nazionale“. Alla vigilia del 
capodanno 1912, un operaio dell’i. e r. arsenale di marina, presentò nel duomo 
di Pola il suo bambino al prete Ante Janko per battezzarlo con il nome di 
Garibaldi. Ritenendo il Janko inaccettabile un nome che non figurasse 
nell'elenco dei santi cattolici, il padrino, un droghiere che da poco si era 
stabilito a Pola, accusò il prete di comportamento arbitrario, e che di certo, 
essendo di origine slava, avrebbe sicuramente permesso il nome di Laginja. Il 
prete insistè sul rifiuto mentre l’operaio dell’arsenale, un noto anarchico 
secondo i referti della polizia, venne licenziato a causa della sua manifesta 
“confessione” d’irredentista”. 

I nomi di battezzandi nel duomo di Pola costituiscono atti di fede politica. 
Nel gennaio 1914 un cappellano italiano accettò la proposta del nome Italo, 


44 Ristampa della corrispondenza vescovile dal 1904 al 1906 in: Interpellanza del deputato Spintié 
(16-7-1907), 557-559. 


45 $ 6 della Legge imperiale del 14-5-1869 (Bollettino delle leggi imperiali, n. 62). 


4 ZOVATTO, Pietro / RADOLE, Giuseppe, Trieste e l'Istria tra religiosità popolare e folclore, Trieste, 
1991, p. 90-92. 


#7 AGV/SM/CP XV-3/16, n. 1265: 1. e r. Ministero di guerra, Sezione di marina, all’i.r. Ministero 
dell’interno, 27-3-1912 (Allegati: Ripper [i. e r. ammiragliato di porto di Pola] alli. e r. Ministero di guerra, 
Sezione di marina, 13-1-1912; Comandante di polizia di Fiume al r. governo ungherese, 8-2-1912; Khuen- 
Héderviry [r. Ministero dell’interno ungherese] all’i. e r. Ministero di guerra, 15-3-1912; Ripper all’i. e r. 
Ministero di guerra, Sezione di marina, 2-4-1912). 


se Dopo essersi recato a Fiume, ritornò quasi subito a Pola aiutando la suocera nella pescheria locale. 


2A F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Atti, voL XXXI, 2001, p. 215-225 


dopo il rifiuto da parte di un altro prete d’ammettere questo battesimo”. L’i.r. 
capitanato distrettuale di Pola ed il vescovo Pederzolli dichiararono apolitico 
questo battesimo tanto più che il cappellano, stando al loro parere, era uomo 
calmo e politicamente passivo”. I battesimi congiunti a nomi quali Zalo, 
Italico, Garibaldi e Roma erano incontestati e testimoniavano i dilemmi del 
clero cattolico abbandonato a sé stesso per mancanza di ordinanze statali e di 
decisioni dei tribunali riguardanti questa materia. Presumibilmente tali atti 
individuali di espressione di fede nazionale italiana erano caratteristici sia per 
Pola che per altre località del Litorale austriaco”. 


49 Povijesni arhiv, Pazin (Archivio storico di Pisino), I. r. Capitanato distrettuale di Pola, Presidiali, n. 
33: Hussarek [i.r. Ministero di culto e pubblica istruzione] a Hohenlohe [i.r. Luogotenenza di Trieste], 
6-3-1914. 


50 AST/LL/AP 388, n. 696: Hohenlohe [i.r. Luogotenenza di Trieste] all’i.r. Ministero di culto e 
pubblica istruzione, 18-10-1914. 


5! MITOCCHI, Alberto, Triest, der Irredentismus und die Zukunft Triests, Graz,1917, p.85,n.51. 


F. WIGGERMANN, Fede e nazione. L'Istria prima del 1914, Atti, voL XXXI, 2001, p. 215-225 225 


SAZETAK: VJERA I NACIJA. BILJESKE O POVIJESTI KATOLICKE 
CRKVE U JUZNOJ ISTRI PRIJE 1914. - U ovom eseju autor iznosi 
zanimljive biljeske o povijesti katolitke crkve u juZnoj Istri u 
razdoblju prije izbijanja prvog svjetskog rata. 

Obzirom na raznovrsnost narodnosti pod austrijskom vlaséu, 
pored kuée Habsburgovaca spajala ih je samo katolicka religija kojoj 
Je istarsko stanovnistvo gotovo u cijelosti pripadalo. 

Usprkos cinjenici da su Talijani i Slaveni pripadali katoliékoj 
vjeri, sukob medu nacijama u Istri na prijelazu iz 19. u 20. stoljeée 
utjecao je neposredno i na istarsku katoliéku crkvu, njezine biskupije 
i institucije te se zaostrio tak i u oblasti javnog i vjerskog 
obrazovanja. 


POVZETEK: VERA IN NACIJA. NAMIGI O ZGODOVINI KATO- 
LISKE CERKVE V JUZNI ISTRI PRED LETOM 1914 - V tem 
eseju avtor navaja zanimive podatke o zgodovini katoliske cerkve v 
Juzni Istri, v dobi pred izbruhom prve svetovne vojne. 

Glede na raznolikost avstrijskih narodnosti, je poleg habsburske 
hise sluzila kot vez le katoliska cerkev, kateri je pripadala skoraj 
celota istrskega prebivalstva. 

Ceprav so Italijani in Slovenci katolifani, je narodni konflikt v 
Istri na prehodu med 19. in 20. stoletfem neposredno zavzel tudi 
istrsko katolisko cerkev, njene $Skofije ter ustanove in se zaostrila 
tudi na podroèju Solske in verske izobrazbe. 


NOTE E DOCUMENTI 


ANDAMENTO DEL NUMERO DEGLI ABITANTI DELLA 
CITTÀ DI POLA SECONDO I DATI DEI LIBRI 
PARROCCHIALI DAL 1613 AL 1817 


SLAVEN BERTOSA CDU 314(497.SPola)”1613/1817” 
Filozofski fakultet Saggio scientifico originale 
(Facoltà di Filosofia) Novembre 2001 

Pola 


Riassunto — L'autore in questo contributo analizza l'andamento del numero degli abitanti di Pola 
secondo i libri parrocchiali di quella città e riporta in merito preziosi dati. Le crisi demografiche 
hanno colpito Pola più che le altre città istriane sotto il dominio di Venezia. Le cause vengono 
ascritte anche dai contemporanei alle guerre, alle epidemie e, in genere, alle insalubri condizioni 
ambientali di vita, che avevano provocato la decadenza economica e demografica della città. 


I 


Dello studio del movimento relativo agli abitanti di Pola, finora si sono 
occupati alcuni storici. I risultati della storiografia italiana (Benussi e Bossi) 
sono stati commentati da M. Bertosa, che per primo, tra gli storici croati, ha 
svolto delle ricerche sulla popolazione di Pola. Stando agli esiti dei suoi studi, 
le crisi demografiche, dal XVI fino al XVIII secolo, hanno colpito molto più 
duramente Pola che non le altre città istriane sotto il dominio di Venezia'. Pola 


! Riferimenti della bibliografia generale: Bernardo BENUSSI, Manuale di Geografia, Storia e 
Statistica della regione Giulia (Litorale), ossia della città immediata di Trieste, della contea principesca di 
Gorizia e Gradisca e del margraviato dell' Istria, Parenzo 1903; IDEM, “Spigolature polesane”, Atti e 
Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria (=AMSI/), Parenzo, vol. XXIII (1908), p. 
362-447; IDEM, “Statuto del Comune di Pola”, AMSI, vol. XXVII (1911), p. 129-310; IDEM, “Pola nelle 
sue istituzioni municipali dal 1797 al 1918”, AMSI, vol. XXXV (1923), p. 3-54; IDEM, L' Istria nei suoi due 
millenni di storia, Trieste, 1924; IDEM, “Pola nelle sue istituzioni municipali sino al 1797”, Miscellanea di 
storia veneto-tridentina della R. Deputazione veneto-tridentina di storia patria, Venezia, vol. (1925), p. 
426-472; di Miroslav BERTOSA, ricorderemo in particolare “Istarski fragment itinerara mletakih sindika 
iz 1554. godine” /Il frammento istriano dell'itinerario dei 'sindaci' veneziani del 1554/, Vjesnik historijskih 
arhiva u Rijeci i Pazinu (=VHARP) /Bollettino degli archivi storici di Fiume e Pisino/, Fiume, vol. XVII 
(1972), p. 39-44; IDEM, “La guerra degli Uscocchi e la rovina dell' economia istriana”, Atti del Centro di 


20 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, At, vol XXXI, 2001, p. 229-248 


era una città dal prosperoso passato, una città che con i suoi monumenti 
suscitava la meraviglia di molti viaggiatori di passaggio e di molti ospiti 


ricerche storiche di Rovigno (=ACRSR), Trieste-Rovigno, vol. V (1974), p. 35-127; IDEM, “Istra u plamenu 
Uskockog rata” /L' Istria nel vortice della guerra uscocca/, /stra /Istria/, Pola, 1975, n. 3, p. 49-65; IDEM, 
“Osvrt na etnicke i demografskc prilike u Istriu XV. i XVI. stoljecu” /Considerazioni sulle condizioni etniche 
e demografiche dell' Istria nei secoli XV e XVI/, Bulletin Razreda za likovne umjetnosti JAZU /Bollettino 
della Classe di arti figurative dell'Accademia jugoslava delle arti e delle scienze/, Zagabria, serie III, vol. I 
(1977), p. 89-99; IDEM, “La crisi economica di Venezia nei secoli XVI e XVII alla luce della recente 
storiografia italiana”, ACRSR, vol. VIII (1977-78), p. 187-219; IDEM, “Neki povijesni i statistiéki podaci o 
demografskom kretanju u Istriu XVI. i XVII. st” /Alcuni dati storici e statistici sull'andamento demografico 
in Istria nei secoli XVI e XVII/, Radovi Instituta za hrvatsku povijest [Lavori dell'Istituto di storia croata/, 
Zagabria, vol. 11 (1978), p. 103-129; IDEM, “Provveditori sopra beni inculti. Un tentativo di insediamento 
di Bolognesi nella Polesana (1560-1567)"”, ACRSR, vol. X (1979-1980), p. 157-213; IDEM, “Arhivski 
fragmenti o postanku i razvitku jedne kolonizacijske ruralne aglomeracije u juznoj Istri: selo Premantura 
(1585.-1797.)" /Frammenti archivistici sulla nascita e sullo sviluppo di un insediamento rurale di coloni nell' 
Istria meridionale: il villaggio di Promontore (1585-1797)/, Problemi sjevernog Jadrana (=PSJ) [Problemi 
dell'Adriatico settentrionale/, Fiume, vol. III (1981), p. 1-113; IDEM, “Drustvene strukture u Istri XVI.- 
XVIII. stoljeéa”, /Strutture sociali in Istria nei sec. XVI-XVIII, in DruStveni razvoj u Hrvatskoj (od 16. do 
poéetka 20. stoljeca), /Sviluppo sociale in Croazia dal XVI al XX secolo/, Zagabria, 1981, p. 127-152; Isti, 
“Un episodio della colonizzazione organizzata dell' Istria veneta: gli aiduchi a Pola e nel Polese”, ACRSR, 
vol. XI (1981), p. 295-359; IDEM, “l ‘travagli’ di una convivenza difficile: ‘habitanti vecchi’ e ‘habitanti 
novi” nell' Istria veneta dal XVI al XVIII secolo”, in Popoli e culture in Istria: interazioni e scambi, Atti del 
Convegno di Muggia, 20-21 novembre 1987, Trieste, 1989 (Quaderni del Circolo di Cultura Istro-Veneto 
“Istria”, vol. V), p. 25-36; IDEM, “Migrazioni e mutamenti sociali nell' Istria veneta (secoli XV - XVII)", in 
Lo spazio alpino: area di civiltà, regione cerniera, Europa Mediterranea, Napoli 1991 (Quaderni, n. 5), p. 
221-231; IDEM, “Istarski pabirci o kolonizaciji, etnocentrizmu, integraciji i dezintegraciji (XVI.-XVHI. 
stoljece)”, Gazophylacium - Casopis za znanost, umjetnost, gospodarstvo i politiku /Rivista di scenza, arte, 
economia e politica/, Zagabria, I, 1994, n. 3-4, p. 195-202. 

Cfr. pure: Slaven BERTOSA, ‘“Gospodarska povijest u notarskim knjigama Puljstine u prvoj polovici 
XVII. stoljeta” /Storia economica dai libri notarili del Polese nella prima metà del secolo XVII/, Povijesni 
prilozi, Contributi storici/, Zagabria, n. 17 (1998), p. 177-220; IDEM, “Nezakonita djeca u puljskim 
matiénim kn jigama krstenih od 1613. do 1678." /Illegittimi nei libri di stato civile dei battezzati di Pola dal 
1613 al 11678/, Croatica Christiana Periodica (=CCP), Zagabria, n. 42 (1998), p. 37-48; IDEM, “Doselje- 
nici iz Rijeke, Trsata i Susaka u puljskim matiénim knjigama od 1613. do 1815." /Immigrati da Fiume, 
Tersatto e Sussak nei registri di stato civile di Pola dal 1613 al 1815/, PSJ, vol. 7 (2000), p. 121-142: IDEM, 
“Doseljenici s Kvarnerskih otoka u puljskim matiénim knjigama kr$tenih tijekom XVII. stoljeta” /Immigrati 
dalle Isole del Quarnero nei libri di stato civile dei battezzati di Pola nel corso del secolo XVII/, CCP, vol. 
45 (2000), p. 117-126; IDEM, “Neki juZnoistarski toponimi u notarskim zapisima iz XVII. stoljeéa” /Alcuni 
toponimi dell' Istria meridionale nei documenti notarili del sec. XVII, Vjesnik DrZavnog arhiva u Rijeci, 
/Bollettino dell' Archivio di stato di Fiume/, Fiume, vol. XLI.-XLII (2000), p. 115-125: IDEM, “Soldati, 
fuggiaschi e altri forestieri giunti a Pola dall'Emilia Romagna, Marche, Umbria e Abruzzi (1613-1817)", 
Proposte e ricerche, Ancona, vol. 46 (2001), p. 188-216; IDEM, “I rovignesi nei registri di stato civile di 
Pola dal 1613 al 1817”, ACRSR, vol. XXX (2000), p. 433-486; IDEM, “Prilog poznavanju crkvene povijesti 
grada Pule (XVII.-XIX. stoljeée)” /Contributo alla conoscenza della storia ecclesiastica di Pola (secoli 
XVII-X1X)/, CCP, vol. 47 (2001), p. 103-148; IDEM, “Etnicka struktura Pule i njezinih sela u prvo) polovici 
XVII. stoljeéa” /Struttura etnica di Pola e dei suoi villaggi nella prima metà del secolo XVII/, Vjesnik 
Istarskog arhiva /Bollettino dell' Archivio istriano/, Pisino, vol. 6-7 (2001), p. 253-296. 

Sull'Istria e su Pola cfr. anche: Sergio CELLA, “I Reggitori di Pola”, AMSI, Venezia, vol. 1X (1961), 
p. 43-70; Giulio CERVANI - Ettore DE FRANCESCHI, “Fattori di spopolamento nell' Istria veneta nei 
secoli XVI - X VIII”, ACRSR, vol. IV (1973), p. 7-118; Camillo DE FRANCESCHI, “Una descrizione inedita 


S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, At, voll XXXI, 2001, p. 229248 231 


occasionali, ma era anche ricettacolo di potenti contrasti nel confronto con la 
situazione nella quale venne a trovarsi nella prima metà del XV secolo. I 
contemporanei, già allora, ascrivevano la crisi nello sviluppo di Pola alle 
distruzioni belliche, alle scorrerie, alle epidemie e, in genere, alle malsane 
condizioni ambientali di vita. Da ciò, conseguentemente, derivava anche la 
decadenza demografica di questa città dell’ Istria meridionale. Pola a partire 
dal XVI secolo non era più il mercato di smaltimento dei prodotti del suo 
entroterra, e, ancor meno, porto di esportazione. Da allora la città del meridione 
istriano per le navi veneziane fu soltanto una punto di sosta, in attesa che 
diminuisse la bora nel Quarnero, per poter riprendere la navigazione verso la 
costa dell’ Adriatico orientale?. 

L’arretratezza generale si è manifestata logicamente anche nelle altre città 
istriane, tuttavia Pola venne maggiormente colpita. In questo senso sono molto 
eloquenti le percentuali che il Berto$a ha calcolato, valutando il movimento 
della popolazione di alcune città venete nel XVI e XVII secolo (Tabella num. 
1: “Andamento numerico della popolazione di alcune città istriane sotto il 
dominio di Venezia”). 


della città di Pola”, Pagine Istriane (=P!), 1/7-8, Capodistria, 1903, n. 7-8, p. 223-229; IDEM, “La 
popolazione di Pola nel secolo XV e nei seguenti”, Archeografo Triestino, Trieste, vol. III (1907), p. 221-315; 
IDEM, “L' antica Abbazia di Santa Maria del Canneto di Pola e un suo registro censuario del secolo XII”, 
AMSI, Pola, vol. XXXIX (1927), p. 318-345; IDEM, “La toponomastica dell' antico agro polese desunta dai 
documenti”, AMSI, Venezia, vol. XLI-XLII (1942), p. 119-198; Pietro KANDLER, Notizie storiche di Pola, 
Parenzo, 1876; Bernardo SCHIAVUZZI, “Le epidemie di peste bubbonica in Istria”, AMSI, Parenzo, vol. 
IV (1888), p. 423-447; IDEM, “La malaria in Istria: ricerche sulle cause che l'hanno prodotta e che la 
mantengono”, AMSI, Parenzo vol. V (1889), p. 319-472; IDEM, “Le istituzioni sanitarie istriane nei tempi 
passati”, AMSI, Parenzo, vol. VIII (1892), p. 315-407; IDEM, Cenni storici sull' etnografia dell' Istria, 
Parenzo, 1902; IDEM, “Il Palazzo del Comune di Pola”, P/, Capodistria, vol. I (1904), p. 129-136; IDEM, 
“Il Prato Maggiore di Pola e i suoi impaludamenti”, P/, vol. II (1904), p. 60-67; IDEM, “Due Castelli - notizie 
storiche”, AMSI, Parenzo, vol. XXXI (1919), p. 81-118; IDEM, Il Duomo di Pola, Pola, 1924; IDEM, “L' 
Abbazia di S. Michele in Monte di Pola”, Archivio Veneto, Venezia, vol. IV (1928), p. 81-91. 


2 Miroslav BERTOSA, “ Etniéka struktura Pule od 1613. do 1797. s posebnim osvrtom na smjer 
doseljivanja njezina stanovnistva” /Struttura etnica di Pola dal 1613 al 1797, con particolare riguardo alle 
direttrici immigratorie dei suoi abitanti/, Vjesnik historijskih arhiva u Rijeci i Pazinu /Bollettino degli archivi 
storici di Fiume e Pisino/, Fiume-Pisino, vol. XV (1970), p. 53 - 57 ; IDEM, Istarsko vrijeme proslo /Il passato 
dell’ Istria/, Pola, 1978, p. 187 — 216; IDEM, Istra: Doba Venecije (XVI. — XVIII. stoljece) /Istria: il periodo 
veneto (XVI-XVIII secolo)/, Pola, 1955, II edizione intergrata e ampliata, p. 290 — 303. L’Autore si è servito 
anche del materiale che è stato pubblicato da Giovanni BOSSI, “Cenni sulla popolazione della città di Pola 
nel secolo XVI e successivi”, AMS/, Parenzo, vol. XXII (1907), p. 463 — 470 e da Bernardo BENUSSI, 
“Spigolature polesane”, AMS/, Parenzo, vol. XXIII (1908), p. 388 — 391, 424. 


3 BERTOSA, Istarsko vrijeme, cit., p.211 — 213. Cfr. anche Ivan ERCEG,"Dva i pol stoljeéa kretanja 
stanovnistva Istre (1554 - 1807)” /Due secoli e mezzo di moti demografici dell'Istria (1554 — 1807)/, 
Gunjacin zbornik [Miscellanea dedicata a Gunjaca/, Zagabria, 1980, p. 229 — 250. 


22 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Amî, vol. XXXI, 2001, p. 229-248 


M. Bertosa studia i movimenti della popolazione polesana come parte 
integrante delle migrazioni nella parte veneta dell’ Istria, dalla fine del XV alla 
fine del XVII secolo. La sua conclusione è che, da un punto di vista teorico, 
Pola avrebbe cessato di esistere se i suoi abitanti fossero stati abbandonati 
unicamente ai movimenti meccanici. Il Berto$a cita anche le parole di un 
provveditore veneziano, secondo le quali Pola era un hospital infelicissimo di 
melancolia, malattia e morte*. Compulsando i dispacci e i messaggi dei rettori 
istriani al governo veneto, cita una serie di drammatiche dichiarazioni che 
testimoniano delle difficili condizioni di Pola. Viene qui riportato soltanto un 
esempio: 


Di Pola l’ultimo ottobrio 1611. Veramente le miserie di questa Città, nella quale 
si uede chiese, habitationi, et altri edifici] nobilissimi, hora affatto quasi dishabitata, fa 
compassione, et si può dir ogni giorno uà di mal in peggio; attribuendosi la colpa al 
cattivo aere, che regna così in essa, come in buona parte di questo territorio, et 
essendomi capitato per le mani una descrition generale fatta l’anno 1563 di ordene 
degl’ Illustrissimi signori Prouditori sopra li Beni Inculti dal 9 (marzo?) di ms Seba- 
stian di Braui Dottor loro Auocato fiscale con Zan’ Antonio Alocca ingegnere, di 
questa Città, et territorio, col disegno di esso, distinguendo li beni Inculti da quelli 
messi à coltura fin all’ hora, con la quantità delle anime, animali così grossi, come 
menuti, che si ritrouano in tutto questo territorio, con altri molti particolari. HÒ ueduto, 
che à quel tempo in questa Città ui erano fuoghi 200, con anime mille. Et poi del 1580 
fù aggionto in essa Città di ordene di Vostra Serenità 40 fameglie de Maluasiotti, et 
altretante de Ciprioti; et hauendo uoluto uedere quanti fuoghi, et anime ui si ritrouano 
al presente, hò ritrouato solo fuoghi 165 con anime 538 comprese 47 persone religiose. 
Doue si uede, che dal 1563 in quà la detta Città è peggiorata per più della mittà, et 


993 


questa poca gente anco per il più se ritroua con poca buona salute”. 


Il Bertosa ha dimostrato in maniera documentata che la colonizzazione ha 
salvato l’esistenza della città di Pola, permettendo così che la vita in essa 
avesse una continuazione®. 


* M. BERTOSA, “Prebivaliste melankolije, bolesti i smrti” /Domicilio di malinconie, di malattie e di 
morte/, /stra /Istria/, Pola, 1979, tomo 4, p. 33 — 45. 


5 Miroslav BERTOSA cita le parole del Capitano di Raspo Pietro Bondumier, tratte dal suo messaggio 
al Senato del 31 ottobre 1611. Cfr. IDEM, “Prebivaliste”, cit., p. 40 - 41 e IDEM, Pisma i poruke istarskih 
rektora, sv. l: od 1607. do 1616. /Dispacci e messaggi dei rettori istriani, tomo 1: dal 1607 al 1616/, Zagabria, 
1979 (Monumenta Spectantia Historiam Slavorum Meridionalium, JAZU, vol. 52), p. 104 — 105. 


6 IDEM, Istra: Doba Venecije, cit., p.620, 645. 


S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Atti, voL XMKI, 2001, p. 229248 233 


Poco tempo fa Egidio Ivetic ha dato alle stampe le sue ricerche sulla 
popolazione istriana al tempo di Venezia, incentrando la sua particolare atten- 
zione sulle condizioni demografiche nella Parenzo del XVIII secolo. L’opera 
è una continuazione di quella del Berto$a e preannuncia ulteriori risultati”. 


Il. 


I dati relativi al numero degli abitanti di Pola si trovano in più parti nei 
libri parrocchiali e si possono includere molto bene nelle conoscenze esistenti 
sulla popolazione di Pola (e dell’ Istria in genere). 

Del XVII secolo esistono sei elenchi: cinque si trovano negli elenchi dei 
cresimati e uno in quello dei battezzati. 


I. Nei libri parrocchiali, il più volte nominato canonico e parroco Giacomo 
Bonarelli, il 20 aprile 1641, ha elencato tutta la popolazione cittadina. Ha 
diviso gli abitanti in determinate categorie: 

a) maschi (huomeni), 

b) femmine (donne); 

c) fanciulli (putti) 

d) fanciulle (putte). 


L’elenco non ha tenuto conto, come sta espressamente scritto, delle case 
dei rappresentanti veneti in Città (case delli Illustrisssimi rappresentanti ), 
degli appartenenti alle forze per il mantenimento dell’ ordine e delle loro 
famiglie (tutta la mellitia con sue famiglie), degli altri membri della corte del 
conte-provveditore (altri curiali), nonché dei membri dei due conventi maschi- 
li (li due Conventi de frati) e di uno femminile (Monasterio di Moniche). Così, 
a Pola, vivevano 347 persone, rispettivamente: | 1 canonici (canonici-numero 
11), 83 persone di sesso maschile inclusi i cittadini (Huomeni compreso li 
cittadini- numero 83), 102 persone di sesso femminile (Donne-numero 102), 
78 fanciulli (Purti-numero 78), e 73 fanciulle (Putte-numero 73). Il Bonarelli 
annota anche che c'erano 216 persone di comunione (Da Comunione- numero 
216) e 131 persone già comunicate (Non da Comunione-numero 131). Stando 
all’ elenco del canonico vivevano allora a Pola 347 abitanti?. 


? Egidio IVETIC, La popolazione dell’ Istria nell’età moderna. Lineamenti evolutivi, Trieste-Rovigno, 
1997 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, vol. 15). 


8 Drzavni arhiv u Pazinu /Archivio di Stato di Pisino/ (in seguito: DAP), Scatola 28,. “Elenco 
Cresimati” (in seguito: EC), IX. 1.9., 20 aprile 1641. 


234 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Att, voL XXXI, 2001, p. 229-248 


2. Poco più di due anni dopo, il 12 maggio 1643, lo stesso canonico con 
gli stessi criteri e con la stessa divisione, nuovamente procedette a censire gli 
abitanti della città. Constatò che allora vivevano a Pola: 11 canonici, 76 
maschi, 95 femmine, 104 fanciulli e 82 fanciulle. Da comunicare c'erano 225 
persone e 143 erano quelli che non ne avevano il bisogno. Dunque il numero 
degli abitanti maschi e femmine era diminuito un po’, mentre il numero dei 
minorenni (specie dei fanciulli e degli adulti) era aumentato. Complessivamen- 
te Pola, allora, aveva 368 abitanti”. 


3. Il 12 marzo del 1645 il medesimo canonico procedette a un nuovo 
elenco, secondo il quale a Pola c'erano: 11 canonici, 81 persone di sesso 
maschile, 96 di sesso femminile, 102 fanciulli e 71 fanciulle. Stando a questo 
elenco Pola aveva meno abitanti di quello precedente. Il numero dei canonici 
era rimasto lo stesso, quello degli adulti, maschi e femmine, era aumentato di 
poco, ma era diminuito il numero dei fanciulli. Dei totali 361 abitanti, 223 non 


erano da comunicare, mentre altri 138, sì!°. 


4. Significativo I’ elenco del Bonarelli dell’ 11 maggio 1664. Dai risultati 
da esso emersi a Pola vivevano: 11 canonici, 123 persone di sesso maschile e 
149 di sesso femminile, 155 fanciulli e 95 fanciulle. Il numero dei canonici era 
rimasto uguale, mentre era notevolmente aumentato quello degli adulti, maschi 
e femmine, e quello dei fanciulli. Dei totali 533 abitanti, 342 erano quelli che 
non dovevano comunicarsi, mentre i comunicati erano 191"!. 


S. Nel libro dei battezzati si trova inoltre l’elenco degli abitanti di Pola che 
era stato compilato dal canonico Domenico de Piazza. Per quanto non sia, 
purtroppo, completamente leggibile, esso dimostra e testimonia dell’ulteriore 
leggero aumento del numero dei Polesani. Allora vivevano a Pola 541 persone. 
Le categorie che vi vengono menzionate sono: il conte-provveditore + il 
numero delle persone nei monasteri + il numero delle famiglie (L’Ilustrissimo 
et Eccellentissimo signor Provveditor et li Monasterij e sono famiglie numero 
...), persone comunicate (Anime di Comunione), indi fanciulli e fanciulle (Putti 
e Putte)"?. 


9 IBIDEM, 12 maggio 1643. 

!0 JBIDEM, 12 marzo 1645. 

!! IBIDEM, 11 maggio 1664. 

1? JBIDEM, Scatola 25, “Liber Baptizatorum" (in seguito: LB), IX, 1.1, I aprile 1674. 


S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 229-248 235 


6. Il canonico e parroco polesano Liberal Vio, compilò 18 anni dopo il 
nuovo elenco della popolazione cittadina. Prese in considerazione tutte le 
persone che vi abitavano, fatta eccezione per tutti i sacerdoti (Ecclesiastico 
reggimento), per il cancelliere (Cancelliere), e per gli impiegati (ministri). A 
parte censì i padri di famiglia (Capi di Casa). Allora a Pola c’ erano 165 padri 
di famiglia, 209 maschi, 214 femmnine, 129 fanciulli e 144 fanciulle. In questo 
elenco i canonici vengono separati e inseriti in una categoria a parte. In 
raffronto all’ elenco precedente il numero dei fanciulli era diminuito, mentre 
invece era aumentato quello dei maschi, delle femmine e delle fanciulle. Dei 
complessivi 696 abitanti, 423 non dovevano comunicarsi, mentre 273, sì! 


7. AI XVIII secolo risale solamente un elenco degli abitanti di Pola. Lo si 
trova nel libro dei morti, e fu compilato il 15 aprile 1732 dal parroco polesano 
Niccolò Pianella, con l’ assistenza del chierico Antonio Cipriotto. Vennero 
riportate 178 famiglie (famelgie) (!), vale a dire 800 “anime” e, inoltre, anche 
475 persone comunicate (di comunione) e 325 cresimate (di cresima) : 


15 Aprile 1732 

Da me Don Niccolò Pianella Curato con l’assistenza del Chierico Don 
Antonio Cipriotto furono fatte le discrioni delli Vicinij che si ritrovano a 
presente in questa Città furono al numero di 178 famelgie fanno in tutto il 
numero di 800 anime di comunione quattrocento e settantacinque, di cresima 
trecentovinticinque. - 1600 — 


Pola aveva, dunque, nel 1732, 1600 anime. In rapporto al secolo precedente, 
contava un numero di abitanti che già allora era aumentato considerevolmente!4. 


8. Dagli inizi del XIX secolo al 1815 esistono tre elenchi: due si trovano 
nell’ elenco dei cresimati e il terzo nel libro dei morti. Nell'elenco dei cresimati 
prima di tutto si fa il nome dei membri di alcune famiglie, del numero dei 
fanciulli e delle fanciulle, in periodi determinati, indi di 96 maschi (si riporta 
anche il luogo di provenienza dal quale sono giunti a Pola, lo stato di famiglia 
e la loro età). Non si riporta, tuttavia, il numero delle persone che vivevano 
allora a Pola. Questi elenchi vennero fatti dopo l’iscrizione dei cresimandi del 
19 aprile 1803, ma si riferiscono a un lasso di tempo di alcuni anni più tardi. 


3 IBIDEM, Scatola 28, EC, IX, 1.10., 17 settembre 1689. 
14 IBIDEM, Liber Mortuorum (in seguito: LM), IX, 1.10., 15 aprile 1732. 


2%6 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 29248 


Innanzitutto vengono riportati i nomi dei membri della famiglia polesana 
dei Bentivoglia, poi l’ età di alcuni di essi: 


Bentivoglia Giaccomo di Domenico da Dignano — anni 40 Amogliato 
Domenico di Giaccomo 12 

Mattio di Giaccomo 10 

Giaccomo di Giaccomo 7 

Antonia di Giaccomo 4 

Antonio di Giaccomo 2 

Antonio di Biasio (spazio vuoto) 


Viene riportata anche la famiglia Fabbro, ma si menzionano soltanto i coniugi: 

Fabbro Giuseppe di Zuanne 

Maria sua moglie. 

Di seguito si fa menzione del numero dei fanciulli e delle fanciulle, dal 
1804 al 1806, dal 1807 al 1809, e infine nell’ anno 1810: 


1804, 1805, 1806 Putte numero 24 - putti numero 30 
(180)7, (180)8, (180)9 e 30 _ x 39 
(18)10 sala: 16 pai: 8 

70 73 


Si rileva poi che l’ elenco di tutte le persone, maschi e femmine, residenti 
in città è stato estrapolato dal libro dei battezzati per il periodo che va dal 1804 
al 1810, e che in totale, come del resto figura negli elenchi su riportati, ci sono 
73 fanciulli e 70 fanciulle!?. 


9. Infine segue un elenco di 96 maschi a Pola (si fa notare però che dal 
nome, dal cognome o dal nome del padre, non possono essere tutti identifica- 
ti!), con la nota relativa al luogo di provenienza dal quale sono giunti a Pola, la 
loro età e lo stato di famiglia (vedere l’elenco in allegato che per una più facile 
comprensione è sotto forma di tabella). Dal contesto si capisce che tale elenco 
risale al 1814, ma, evidentemente, non è completo, e, in riferimento a quanto è 
annotato, alcuni dati sono mancanti, ossia non sono riportati!°. 


10. Nel libro dei morti si trova l’elenco degli abitanti di Pola dal seguente 
contenuto: 


!5 IBIDEM. 


!6 /BIDEM, Scatola 26, EC, IX. 1..4., dietro il documento datato 19 aprile 1803. 


S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 229-248 237 


Provincie Illiriche 
Pola lì 5 settembre 1811 
Anagrafi 
Di tutte le Anime, che compone questa Comune, e Suburbio tra Maschi e Femmine, 


Piccioli, e Grandi come segue: 


Maschi numero 379 Femmine numero 407 
Stanze  Chersevani numero 6 numero 2 
Marinoni 3 2 
Demori 3 2 
Artusi 6 
Summa 395 Summa 419 


Si tratta di un elenco compilato durante l’esistenza delle Province Illiriche 
di Napoleone. Esso comprendeva il numero totale delle anime in città e nei 
sobborghi, i maschi, le femmine, gli adulti e i minorenni. C’erano complessi- 
vamente 395 persone di sesso maschile: da questo numero occorre separare 6 
maschi che vivevano nei possedimenti della famiglia Chersevani, 3 nei posse- 
dimenti dove vivevano i coloni delle famiglie Marinoni e Demori, 4 nei 
possedimenti in cui vivevano i coloni della famiglia Artusi. Il resto di 363 si 
riferiva ai maschi in città e nei suoi sobborghi. 

C'erano in totale 419 persone di sesso femminile: di cui 2 nei possedimenti 
dove vivevano i coloni delle famiglie Chersevani, Marinoni e Demori, 6 nei 
possedimenti dove vivevano i coloni della famiglia Artusi. Il resto di 395 si 
riferiva alle donne che vivevano in città e nei suoi sobborghi. 

Pola, dunque, stando all’ elenco del suaccennato anno, aveva complessi- 
vamente 814 abitanti. L’elenco riesce interessante anche per il fatto che 
esplicitamente riporta quali famiglie allora avevano i coloni e quanti di essi 
vivevano nei loro possedimenti!”. 


II. 
La seguente tabella indica quale è stato il movimento della popolazione 


della città di Pola, tra il 1613 e il 1815, sulla base dei dati forniti dai libri 
parrocchiali: 


!? IBIDEM, Scatola 29, LM, IX.1.12., 5 settembre 1811. 


238 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Afti, voL XXXI, 2001, p. 229-248 














Fonte Data Numero Aumento Mutamenti% |Mutamenti / 
censimento abitanti Annuali % 

Elenco 20 aprile 1641 |347 - - _ 
Cresimati = fran ne : suna sn 
Elenco 12 maggio 1643 | 368 +21 + 6,05 + 3,02 
Cresimati 
Elenco 12 marzo 1645 |361 -7 -1,91 -0,95 
Cresimati — | Lr : _ 
Elenco Il maggio 1664 |533 +172 +47,64 +2,50 
Cresimati 
Liber l aprile 1674 541 +8 +1,50 +0,15 
Baptizatorum | : — | - 
Elenco 17 settembre 696 +155 +28,65 +3,58 
Cresimati 1682 | 

T 
Liber 15 aprile 1732 |1600 |+904 +129,88 +2,59 
Mortuorum 
Liber 5 settembre 814 |-786 -49,13 -0,62 
Mortuorum 1811 | 
Elenco 1814 Non si riporta il |- _ - 
Cresimati numero totale 

Ci |delle persone E 

Totale 1641-1811 ---- +467 +134,58 +0,79 























La popolazione di Pola ha registrato il massimo aumento tra il 1682 e il 1732. 
Se il dato suaccennato può considerarsi veritiero, l'incremento è stato quasi del 
130 %! È opportuno rimarcare che la popolazione, dal primo elenco del 1641 all’ 
ultimo del 1811, è aumentata di 467 anime, vale a dire del 134,58 %. Imutamenti 
annuali si aggiravano entro valori molto modesti, inferiori al 4%! 

La colonizzazione dell'Istria dal XV alla prima metà del secolo XIX 
rappresenta parte di quell’ampio flusso migratorio generale che allora interessò 
sia l’ Adriatico che il Mediterraneo. Gli immigrati si stabilirono prevalentemente 
nella parte veneziana dell’Istria, perché la Repubblica incoraggiava l’immigra- 
zione, organizzava la venuta (talvolta anche pericolose fughe dal territorio 
turco), pagava il viaggio fino ai porti istriani, assegnava terra in “locazione 
perpetua” (cioè finché la terra fosse stata coltivata), assicurava mutui per 
l’acquisto di bestiame, di attrezzi agricoli, di sementi, per la riparazione o la 
costruzione di case ed inoltre, per i primi cinque anni, esonerava gli immigrati 
dalle tasse e dagli obblighi di lavoro. Gli immigrati, incitati dal governo 
austriaco e dalla nobiltà locale, si stabilivano anche nella Contea di Pisino, 
possedimento della Casa d’ Austria, nel centro della penisola. 


S. BERTOSA, Aneamento del numero degli abitanti di Pola, Aftî, vol. XMKI, 2001, p. 229-248 239 


Gli immigrati erano in primo luogo agricoltori e allevatori provenienti 
dalla Dalmazia e dal suo entroterra fino dentro alla Bosnia occidentale, Boc- 
chesi e genti della costa albanese, ma anche artigiani oriundi, specialmente, 
dalle regioni greche del Levante governate da Venezia, nonché immigrati dal 
Friuli nord-occidentale, dalla Carnia e dal Veneto. Si trattò di flussi etnicamen- 
te eterogenei, ma allo stesso tempo diversi per mentalità. Erano differenti 
anche i motivi che avevano portato gruppi e individui a decidere di abbando- 
nare la terra d’origine e di cercare asilo in Istria. Spesso, il principale movente 
era la fuga dal pericolo bellico, ma anche le pressioni religiose, soprattutto nei 
territori esposti alle incursioni ottomane. Talvolta, per ragioni politiche e 
diplomatiche, il governo veneziano trasferiva in Istria gruppi pericolosi che 
guastavano i suoi rapporti con la Porta (ad esempio gli Aiduchi di Risano, 
1671-1675). Il motivo principale è regolarmente di natura economica: la 
sopravvivenza messa a repentaglio, la carenza di spazio, la fame e la dispera- 
zione. Alla Repubblica di Venezia conveniva trasferire questi fuggiaschi in 
Istria, tanto che spesso li imbarcava sulle navi a Zara, Spalato, Macarsca, 
Cattaro, Antivari, ma anche nei porti levantini. 

In queste correnti migratorie s’includono anche quelle orientate verso i 
villaggi dell’ Istria meridionale e verso Pola. Alle migrazioni dall’esterno si 
aggiunsero anche dei movimenti interni alla pensiola che sempre di nuovo 
andavano a colmare i vuoti demografici dovuti alla mortalità, alla decadenza 
economica, alle pessime condizioni sanitarie nella città di Pola. 

I movimenti demografici menzionati si possono notare nelle tabelle alle- 
gate. 


S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Atti, voL XXXI, 2001, p. 229-248 


ALLEGATI 


Tabella 1: 
Andamento numerico della popolazione di alcune città istriane 
sotto il dominio di Venezia 




























































































MUGGIA 
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in 
percentuale 

1554 1411 

1596 1600 +13,39 + 0,20 
1666 910 - 56,87 - 0,82 
1672 968 + 6,37 + 1,06 
1673 990 + 2,27 + 2,27 
1674 968 - 2,23 - 2,23 
1675 985 + 1,75 + 1,75 
1681 1119 + 13,60 + 2,26 
1682 1132 + 1,16 + 1,16 
1683 1137 + 0,44 + 0,44 
1684 1120 - 1,50 - 1,50 
1685 1124 + 0,35 + 0,35 
1686 _| 1158 + 3,02 +3,02 
1687 1178 + 1,72 + 1,72 
1688 1186 + 0,67 + 0,67 
1689 1245 +4,97 + 4,97 
1690 1145 - 8,04 - 8,04 
1691 1169 + 2,09 + 2,09 
1692 1147 - 1,90 - 1,90 
1693 1160 + 1,13 + 1,13 
1694 1133 - 2,33 - 2,33 
1695 11,33 0,00 0,00 
1696 1205 + 6,35 + 6,35 
1697 1217 + 0,99 0,99 
1698 1240 + 1,80 + 1,80 
1699 1245 + 0,40 + 0,40 
1700 1231 - 1,29 - 1,29 
1741 1149 - 7,40 -0,18 























S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, At, voL XXXI, 2001, p. 229-248 241 
































































































































CAPODISTRIA 
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in 
percentuale 

1533 8000 

1548 10000 + 25,00 + 1,66 
1553 2300 - 77,00 - 15,40 
1560 3500 + 55,17 + 7,45 
1577 4000 + 14,28 + 0,84 
1579 3500 - 12,50 - 6,25 
1580 5280 + 50,85 + 50,85 
1581 4252 - 19,32 - 19,32 
1596 5000 + 17,59 + 01,17 
1606 3905 - 21,90 - 2,19 
1620 6000 + 53,64 + 03,83 
1627 5000 - 16,67 -_2,37 
1629 5000 00,00 00,00 
1630 5000 00,00 00,00 
1631 3000 - 40,00 - 40,00 
1632 2000 - 33,34 - 33,34 
1633 1800 - 10,00 - 10,00 
1652 5000 + 177,59 + 9,36 
1669 5000 00,00 00,00 
1709 4650 - 07,00 - 0,17 
1741 4808 + 340 - 0,11 

PARENZO 
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in 
percentuale 

1554 780 

1580 698 - 10,52 - 0,40 
1601 300 - 57,03 -_2,71 
1630 30 m 90,00 - 3,10 
1646 150 + 400,00 + 25,00 
1669 500 + 233,33 + 11,67 
1675 700 + 40,00 + 6,67 
1696 300 - 57,14 - 2,75 
1741 3216 + 972,00 + 21,60 








22 S. BERTOSA, Anelamento del numero degi abitanti di Pola, Atî, vol XXXI, 2001, p. 229-248 
















































































POLA 
Anno Numero abitanti Mutamenti percentuali | Mutamenti annuali in 
percentuale 
1554 594 
1585 822 + 38,38 + 01,24 
1588 600 - 27,00 - 9,00 
1590 964 a 6 
1611 538 - 10,34 - 0,45 
1613 579 + 7,62 + 381 
1631 300 - 48,19 - 2,68 
Di 1641 347 I + 15,67 + 1,57 
1643 386 + 11,24 + 5,62 
1645 361 - 0,48 - 3,24 
1664 . 533 + 47,64 + 2,51 
1669 500 - 6,19 - 1,24 
1674 S4I + 08,20 + 1,64 
1677 562 + 03,88 + 1,29 
1681 350 -37,72 - 9,43 
1682 696 + 98,86 + 98,86 
1683 693 - 0,43 - 0,43 
1690 669 - 3,46 - 0,49 | 
1693 590 -11,81 = N94 
1694 705 + 19,49 + 19,49 
1697 664 - 5,82 - 1,94 
1730 800 + 20,48 + 0,62 
1735 705 - 11,86 - 2,37 
1738 660 + 6,38 + 2,13 
1741 661 + 0,15 + (10,05 























S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Attî, vol. XXXI, 2001, p. 229-248 243 


Tabella 2: 


Censimento della popolazione di Pola nell’anno 1814 !* 





Nome e cognome 






















































































Nome del padre Località Età Stato coniugale 
Niccolò Scocco quondam Tomaso _|Promontore 39 anni Amogliato 
Pasqualin Zancanar | quondam ? 38 anni Libero 
Alessandro ili 
Giacomo Samassa |di Pietro Sigilatto'° 45 anni Amogliato 
Giacomo Demori |quondam Galesano 40 anni Amogliato 
Domenico 
Ignazio de Prato quondam Giacomo |? - _ | Amogliato 
Antonio de Marchi |di Paolo Raveo?” ____ |42 anni Amogliato 
Dorligo de Marchi |di Paolo Raveo 31 anni Libero 
Michiel de Marchi |di Paolo Raveo 38 anni Libero cieco di un 
occhio 
Pietro de Marchi di Paolo Raveo 36 anni Amogliato 
Giuseppe de Giusti |quondam Dignano 29 anni Libero 
Domenico 
Niccolò del Zotto _|quondam Pietro Dignano 41 anni | Amogliato 
Micchiel quondamTomaso  |Filipano 49 anni Amogliato 
Jurossevich 
Antonio Artusi quondam Giovanni |Galesano 22 anni Libero 
Domenico 
|Mattio Furlanic.—|quondam Gregorio |Dignano _|45 anni Amogliato 
Zuanne Tesser —|quondam Dignano 45 anni Amogliato 
Antoni Pavan quondam Zuanne |Rovigno 50 anni Amogliato 
Pietro Brussiani quondam Andrea |Barbana = Amogliato 
Antonio Smarelia |quondam Mattio |Dignano |35 anni. Amogliato 
Domenico Boletin |quondam Zuanne _|Gallesano 40 anni | Amogliato | 
Zuanne Floria de Zuanne __|Muschienizza 45 anni _| Amogliato 
Zuanne Damianis |quondam Zuanne |Dignano 21 anni Libero Zotto 
Antonio Damianis _|quondam Zuanne _|Dignano 25 anni Libero 
Domenico da quondam Zuanne |Dignano 45 anni Amogliato 
Fiume RA e A 
|Luca Mienzo |? Promotore 25 anni Amogliato 
Filippo Boletin quondam Zuanne |Galesano 42 anni Amogliato 














!8 Il punto interrogativo sta a indicare il dato illeggibile o incerto, mentre la linetta il dato mancante 


19 Correttamente: Sigilletto, località posta a nord-ovest di Tolmezzo 


2) 


Anche questo un villaggio a nord-ovest di Tolmezzo nella Carnia 


S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Atti, vol XXXI, 2001, p. 229-248 








































































































Zuanne Luziani di Giuseppe Albona 31 anni Amogliato 
Domenico quondam Albona SO anni Amogliato 
Martinovich Domenico 
Giuseppe quondam Albona 42 anni Amogliato 
Zustovich Domenico 
Francesco Pursich_|quondam Andrea _|Prosecco 40 anni Amogliato 
Giuuseppe Zanetti |quondam Andrea |Parenzo 41 anni Amogliato 
Mattio quondam Giacomo |Pinguente 42 anni Amogliato 
Carbovcichio 
Francesco Rubini |quondam Giovanni |Padova 34 anni Amogliato 
Battista 
Pietro del Zotto | quondam Pietro Dignano 45 anni Amogliato 
Antonio del Zotto |quondam Pietro Dignano 48 anni Amogliato | 
Domenico Pelisser | quondam Antonio |Rovigno 31 anni Amogliato 
Marco Lavinich quondam Simon Dignano 45 anni Amogliato 
Giovanni Roditti |quondam Anastasio | Dignano 24 anni Libero 
Michiel Stocovich_|quondam Gregorio |San Vincenti 34 anni Amogliato 
Mattio Faraguna quondam Mattio Albona 40 anni Amogliato 
Mattio de Caneva _|quondam Lorenzo |Dignano 38 anni Amogliato 
Antonio Zanetti |quondam Andrea |Parenzo 30 anni Amogliato 
Zorzi Scocco \quondam Tomaso |Promontore 37 anni Amogliato 
Martin Scocco quondam Tomaso |Promontore 38 anni Amogliato 
Pasqualin Demori |di Domenico Galesano 19 anni Libero 
Martin Scattaro | quondam Tomaso |Sichichi 38 anni Amogliato 
Antonio Piccoli _ Rovigo 36 anni Libero 
Girolamo Negri |quondam Antonio  |Zara (?) 42 anni | Amogliato _| 
Antonio Flora | quondam Pasqualin | Galesano 40 anni Amogliato — 
Gregorio Petrovich |quondam Pietro Filippano 50 anni Amogliato 
Zuanne detto = Marzana 37 anni Amogliato 
Maneton 
Zuanne Lampal quondam Pago 37 anni Amogliato 
Domenico 
Pietro Marinoni quondam Venezia 52 anni Amogliato 
Francesco 
Bortolo Marinoni |quondam Venezia 62 anni Amogliato 
Francesco 
Donato de Cal | quondam Osgualdo |Pago 40 anni Amogliato 
Antonio Poppazzi |quondam Simon Sissano ? ? 
? d ? 59 anni Amogliato 
Giacomo quondam Mattio San Vincenti SO anni Amogliato 
Pliscovich 
Giacomo quondam Galesano 40 anni Amogliato 
Capolicchio Domenico 




















S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, vol XXXI, 2001, p. 229-248 


245 





































































































SI 


Pietro Lombardo |quondam Giorgio |Galesano - Amogliato 
Martin quondam Antonio |Filippano 50 anni Amogliato 
Rapanecchia 

Giuseppe quondam Antonio |Filippano 53 anni Amogliato 
Rapanecchia 

Zorzi Septich \quondam Lorenzo |Castova SO anni Amogliato 
Giuseppe quondam Delarin”! 32 anni Amogliato 
Sancanar Alessandro | 

Zuanne quondam Delarin 38 anni Amogliato 
Sancanar Alessandro 

Mattio Fornasar _|quondam Antonio |Galignana 46 anni Amogliato 
Giuseppe Nonessi |quondam Antonio |? 50 anni Amogliato 
Lermardo Pelisser |quondam Antonio |Rovigno 34 anni Libero 
Francesco Bonaldi |quondam Zuanne |Bergamo - Amogliato 
Lorenzo Floria |quondam Leonardo |? 2 dle __|Amogliato 
Giacomo di Domenico Dignano 40 anni Amogliato 
Bentivoglio 

Giuseppe Fabro di Zuanne Dignano 45 anni Amogliato 
? o _ |quondam Antonio |? __|53 anni — n Amogliato 
Francesco de quondam Michiel |Pomer 43 anni Amogliato 
Franceschi 

Simone (?) quondam Antonio |Albona 2 Amogliato 
Zuliani (?) 

? Dovolich _|quondam Vido |Marzana 37 anni Amogliato 
Niccolò ? quondam Giuseppe |Albona 23 anni Libero 

? de Prato |quondam ? - IN | Amogliato n 
Pietro Lombardo |quondam Giorgio |Galesano 2 | Amogliato 
Francesco Bonaldi |di? | Bergamo _ i Amogliato _ 
Zorzi de Flora quondam Leonardo |? d Amogliato 
& ? ? ? Amogliato 
ÈS se AREA Ale si Ae _ Amogliato 
Francesco quondam Pietro - Aprile 1765 Amogliato 
Crescevani 

Antonio di Giacomo - 20 Marzo 1764 Amogliato 
Miccalevich 

Tomaso della Zuan- |quondam Zuanne |- 7 Marzo 1764 Amogliato 
na SO 

Zuanne Bra- |quondam Michiel  |—- 29 Gennaro 1764 |Libero 
damante 1 50 Pescatore 
Filippo Fragiacomo |quondam Giovanni |- 24 Novembre 1764 |Amogliato 














2! Probabilmente: Zelarino, località a nord-ovest di Mestre. 












































ehi] S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Att, vol. XXXI, 2001, p. 229-248 
Giovanni di Giacomo - 17 Aprile 1760 Amogliato 
Miccalevich 54 
Antonio quondam Giacomo |- Gennaro 1760 Amogliato 
Milosovich 54 
Andrea Beltrame |quondam Giovanni |- 29 Dicembre 1759 | Amogliato 

Battista 55 Pescatore 
Girolamo Pozo quondam Antonio |- 9 Marzo 1758 Amogliato 
56 Pescatore 
Pietro Vio quondam Antonio |- 12 Gennaro 1755 |Amogliato 
59 
Domenico Neri quondam Antonio |- 2 Agosto 1778 Libero 
36 
Niccolò Dobrovich | quondam Niccolò |- 26 Decembre 1777 |Amogliato 
37 
Domenico Sponza |quondam Portolo |- - Amogliato 
(1) 
Mattio Sbisà quondam Giuseppe |- - Amogliato 








S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pela, Att, vol XXXI, 2001, p. 229-248 247 


SAZETAK: KRETANJIE BROIA STANOVNIKA GRADA PULE 
PREMA PODACIMA U MATICNIM KNJIGAMA OD 1613. DO 1817. 
- U puljskim se matiènim knjigama nalazi nekoliko dragocjenih 
podataka o broju stanovnika u gradu. Demografske su krize Pulu 
pogodile vise nego li ostale istarske gradove pod Venecijom. Njihove 
su uzroke i suvremenici pripisivali ratovima, epidemijama i opéenito 
nezdravim Zivotnim i ambijentalnim priliktama, koje su izazvale 
gospodarsko i populacijsko propadanje grada. Podaci o broju 
stanovnika u Puli nalaze se na nekoliko mjesta i vrlo se dobro 
mogu uklopiti u veé postojeée spoznaje o Ziteljstvu Pule (pa i Istre 
uopée). Iz 17. stoljeéa postoji Sest popisa: pet ih se nalazi u popisima 
krizmanika, a jedan u knjizi kr$tenih. Iz 18. stoljeéa postoji samo 
jedan popis i to u matiénoj knjizi umrlih. Od podetka 19. stoljeéa 
do godine 1815. postoje tri popisa: dva se nalaze u popisu 
krizmanika, a drugi u knjizi umrlih. Ziteljstvo Pule najvife se 
povecalo izmedu 1682. i 1732. Ako se navedeni podatak moze 
smatrati vjerodostojnim bilo je to za gotovo 130 %! Valja naglasiti 
da se stanovniîtvo od prvog popisa 1641. do posljednjeg 1811. 
povecalo za 467 dusa, tj. 134,58 %. Godisnje promjene kretale su 
se unutar vrlo skromnih vrijednosti manjih od 4 %! 


POVZETEK: TEZNIE GLEDE STEVILA PREBIVALCEV V PULI 
NA PODLAGI PODATKOV IZ REGISTROV ZAKONSKEGA STANA 
MED LETI 1613 IN 1817 — V registrih zakonskega stana Pule 
sreéamo nekaj izredno dragocenih podatkov v zvezi s $tevilom njenih 
prebivalcev. Demografske krize so prizadele Pulo bolj kakor druga 
mesta pod oblastjo Beneske republike. Tudi sodobniki so pripisovali 
razloge raznim vojnam, epidemijam in na splo$no nezdravim 
okolijskim razmeram Zivljenja, kar je pripomoglo k gospodarskemu 
in demografskemu propadanju mesta. Podatke o $tevilu prebivalcev 
v Puli sreéamo v razliénih krajih in jih lahko primerno v$tejemo 
med Ze pridobljena spoznanja glede prebivalstva mesta (ter Istre na 
splo$no). Od 17. stoletja dalje imamo na razpolago $est popisov 
prebivalstva: pet je vsebovanih v seznamu birmancev in eden v 
registru krSfenih. Kar zadeva 18. stoletje, razpolagamo le z enim 
popisom prebivalstva, ki ga najdemo v registru zakonskega stana 
umrlih. Od zatetkov 19. stoletja do leta 1815 razpolagamo s tremi 


248 S. BERTOSA, Andamento del numero degli abitanti di Pola, Ati, voL XXXI, 2001, p. 229-248 


popisi: dva sta v seznamu birmancev, eden v registru zakonskega 
stana umrlih. 

Prebivalstvo Pule je dozivelo najvisji porast med leti 1682 in 
1732. Ce je navedeni podatek verodostojen, potem je prebivalstvo 
naraslo za 130 %. Na) pripomnimo Se, da se je Stevilo prebivalstva, 
od prvega popisa leta 1641 do zadnjega leta 1811, povetalo za 467 
dus, to je za 134,58 %. Letne spremembe kazejo na izredno skromne 
vrednosti rasti in sicer pod 4 %! 


I COGNOMI DI POLA, FRÉZZA E GARDÈL, GARDÈL, 
GARDÈELLI, GARDELLI, GARDELLO 


MARINO BONIFACIO CDU 81'373.2(497.5Pola) 
Pirano-Trieste Sintesi 
Novembre 2001 


Riassunto — L'autore tratta di due antichi casati di Pola, dei quali Frézza, documentato dal 1150, 
risale al mestiere del capostipite fabbricante di freze cioè frecce, mentre Gardèl / Gardblli 
/Gardèllo,comprovato dal 1289, deriva dall’antico soprannome gard! “cardellino” del caposti- 
pite. 


Frézza 


Frézza è antico cognome di Pola documentato fin dal 1150 con un /ohan- 
nes Freca, nel quale strumento certo Puliano figlio di Oderico oltre a pagare al 
comune di Pola una dazione intera per le terre in località Ubiano (è l’odierna 
Foibàn presso Valdibecco poco fuori Pola) che furono di suo fratello Acilo, 
versa pure un moggio di frumento per casam [ohannis Frege que est in Clauca 
cioè per la casa di Giovanni Freza che si trova alla Cloaca ovvero presso la 
Fogna di Pola!. 

Tra i discendenti del detto Giovanni Freza ossia Giovanni Freccia del 
1150, nel 1403 viveva a Pola in Porta San Giovanni un Natal ser lohannis Frita?, 
il cui figlio Johannes Frita f.q. Natalis comprovato nel 1453-57, lo ritroviamo 
poi nel 1471 a Sissano come Petrus Frezza e quale Giovanni Pietro Frezza nel 
1473 anno in cui vediamo infatti a Sissano il di lui figlio Januarius Frezza f. 
Joannis Petri Frezza*, cioè Gennaro Frezza figlio di Giovanni Pietro Frezza. 


! DE FRANCESCHI, 1927, p. 326, ove invece di Frece c’è scritto erroneamente Fece senza r e senza 
cediglia sotto la c. 


? BENUSSI, 1908, p. 362, ove Frita sta per Friza. 
3 DE FRANCESCHI, 1906, p. 291. 
4 IBIDEM, p. 291. 


2%) M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Amm, vol XXXI, 2901, p. 249-258 


A conferma della continuazione nel corso dei secoli del casato sia a Pola 
che a Sissano, il 18 aprile 1772 Pietro Frezza della villa di Sissano nel territorio 
di Pola venne dispensato dalle cariche dei luoghi pii e di altre incombenze per 
la sua salute malferma?. Inoltre, tra gli 815 abitanti che esistevano a Pola nel 
1779 vi era anche un F. Pio Frezza®. 

Nel 1945 vi erano 12 famiglie Frezza a Sissano, 2 a Montessori di Sissano” 
e 2 famiglie Frezza a Pola?. 

Oggi vi sono ancora 3 famiglie Frezza a Sissano e altre 2 a Pola (una delle 
quali ha il capofamiglia di nome Pio, omonimo del già citato Pio Frezza 
vivente a Pola nel 1779), mentre la maggior parte dei Frezza istriani prosegue 
a Trieste ove contiamo 19 famiglie Frezza più 1 a Monrupino tra le quali però 
taluna è anche di origine friulana, essendo Frezza non solo cognome istriano 
ma pure friulano e altresì veneto. 

Tra i Frezza istriani va ricordato il professor Mario Frezza, nato a Pola, da 
dove è esodato nel 1947, laureatosi a Padova nel 1961 in Medicina e Chirurgia, 
residente dal 1971 a Trieste ove oggi è primario gastroenterologo. Autore di 
saggi medici scientifici e pure scrittore in prosa, ha pubblicato nel 1995 a 
Trieste il libro Asini e balilla in cui descrive il primo decennio della sua vita 
trascorso a Pola tra la fine della seconda guerra mondiale e l’esodo dall’ Istria, 
ed è anche uno dei 14 autori presenti nel volume sulla letteratura dell’esodo, 
dal titolo Dai lunghi inverni?, dal quale sono tratte le presenti note biografiche 
(pil) 

A questo punto bisogna segnalare come anche a Capodistria sia esistito 
anticamente un casato locale Frezza detto in origine Frissa, il cui capostipite è 
appunto un Mattheus de Frissa il quale appare in un documento capodistriano 
del novembre 1210", ove viene menzionata una vigna un tempo da lui posse- 
duta situata presso il monastero di San Nicolò e San Apollinare d’ Oltra fuori 
Capodistria. 


5 «Senato Mare — Cose dell’ Istria”, AMSI, vol. XVII, fasc. 3-4 (1901), registro 235, p. 233-234. 
6 Pola, 1779, p. 3. 
? Cadastre, p. 150. 


8 Brat-Sim, 1985, I, p. 263, ove però una delle dette due famiglie Frezza appare scritta Freca con grafia 
croata. 

° Pubblicato a Trieste nel 1996, a cura dell’ Unione degli Istriani. In esso vi è pubblicato pure il suo 
racconto ‘Odore di cenere”, ambientato nella Pola e dintorni dell’ ultimo periodo. 


!0 CDI e BABUDRI, 1910, p. 340-341. 


M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Ari, voL XXXI, 2001, p. 249-258 251 


Il casato Frezza fioriva ancora a Capodistria nel ‘500!' , per cui dev’essersi 
estinto presumibilmente nel ‘600 o nel ‘700. 

Come rileva Rapelli'? il cognome veronese Frézza deriva da un antico 
soprannome Fréza formato dalla voce italiana settentrionale fréza “freccia” in 
qualche particolare motivazione e significato, mentre l’altro cognome verone- 
se Frezzàto, presente anche a Padova, è patronimico di Frézza oppure equivale 
al veneto frèzato “fabbricante di frecce” ossia corrisponde all’antico vicentino 
frizàro di uguale significato e al veneziano frezèr originatore sin dal sec. XIV 
del cognome veneziano Frezèr!, che oggi prosegue come Frizziero. 

Ne consegue quindi che anche il cognome istriano di Pola e Capodistria 
(quivi estinto come già rimarcato) Frezza, similmente all’analogo cognome 
veneto, friulano e italiano settentrionale in genere (si veda ad esempio a Milano 
oltre al cognome Freccia, impersonato da 8 utenti, che è forma italianizzata, 
anche il cognome di tipo dialettale Frezza rappresentato da 12 utenti), derivi 
da un capostipite soprannominato in origine Frezza/Freza perché abile costrut- 
tore di potenti e veloci frecce. 

Va pure detto che la parola italianafréccia “saetta, dardo che si scaglia con 
l’arco” (e la sua forma settentrionale nonché istriana, veneta e friulana 
fréza/frézza, inclusa la forma piemontese flècia generatrice del cognome Fle- 
chia), documentata in Italia dal XIV secolo, viene a sua volta dal francese 
flèche (a.1130) voce di origine germanica dal francone fliugika significante “la 
volante, colei che vola”!*. Inoltre, il DEI'* al lemma frézza/! segnala che frezza 
“freccia”, cioè la forma italiana settentrionale freza comprovata dal XIV 
secolo, appare pure a Ragusa di Dalmazia sin dal 1362 e l’altra variante 
settentrionale frizza “freccia” compare come friza nel 1358 in Romagna!°. 

Da parte nostra però ricordiamo come, a quanto già rilevato in precedenza, 
la forma frega “freccia” sia testimoniata a Pola già nel 1150 e l’altra forma frissa 
“freccia” sia dimostrata a Capodistria fin dal 1210, per cui possiamo a ben 
ragione affermare che l’Istria detiene le due più antiche attestazioni non solo 
altoitaliane ma pure nell’intera area italiana delle forme freca/frissa per 


!! TOMASICH, 1886, p. 35. 

!2 RAPELLI, 1995, p. 191. 

!3 OLIVIERI, 1923, p. 203. 

!4 Cfr. il lemma fréccia nel DEI e nel DELI. 

5 P._ 1716. Vi sitrova pure il lemma frézza/2 avente altro significato cioè fretta. 


!6 DEI, p. 1720. 


252 M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl Ani, vol XXXI, 2001, p. 249-258 


“fréccia” che sono adattamenti nostrani della citata voce francese flèche del 
1130. 


Gardèl, Gardèlli, Gardèllo 


Gardèl detto anche Gardèlli / Gardèllo / Gardéèlio è antico cognome 
istriano duecentesco di Pola poi diffusosi anche in altre parti dell’ Istria e a 
Fiume. 

Così, già nel 1289 è documentato a Zara uno Johannes Gardello definito 
“probabilmente un forestiero”!” in quanto appunto sottinteso di Pola, mentre 
altri due componenti del casato li troviamo più tardi a Veglia ove nel 1362 
abbiamo un Sanctus dictus Gardello e nel 1377 un Petrus de Gardelio"*. 

Inoltre, un altro membro della famiglia — Symon Gardelus — è presente a 
Pirano il 14 dicembre 1337", intanto che nel 1403 vivevano a Pola in Porta 
Rata heredes Iohannis Gardeli”°, cioè gli eredi di Giovanni Gardelo e sempre 
nella città dell’ Arena il 5 marzo 1441 fece testamento Andreas Gardelis di 
Stignano?". 

Successivamente, nel corso del ‘700 un ramo dei Gardel / Gardelli / 
Gardello di Pola si è stabilito a Fiume da dove poi verso la metà dell’ ‘800 si 
è spostato a Trieste, ove nel 1910 abitava in via del Solitario (n. 4) una Cecilia 
Gardello nata a Fiume il 17 agosto 1833, vedova, proprietaria dell’omonimo 
negozio di frutta ederbaggi portato avanti dalla figlia Giuseppina nata a Trieste 
il 20 maggio 1876 sposata con Carlo Duetz (=Duiz) nato a Trieste nel 1879”?, 

Un altro ramo dei Gardel di Pola ha invece preso dimora nel ‘700 a Fratta 
di Albona ove nel 1945 vi era infatti una famiglia con tale cognome”, mentre 
un’altra famiglia Gardel viveva nello stesso anno a Santa Domenica di Visina- 
da? e risaliva verosimilmente a un Giacomo Gardel q. Giovanni della Carnia, 


I" HRECEK 1986, p. 56. 

8 Ibidem. 

!9 CP, II, p. 263. 

20 BENUSSI, 1908, p. 366. 

2! DE FRANCESCHI, 1906, p. 292. 
22 CATS, 1910, Involto 50. 

23 Cadastre, p. 178. 


24 IBIDEM, p. 70, ove però invece del cognome Gardel c’è scritto erroneamente Gardelio. 


M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Garalèl, Ani, voL XXXI, 2001, p. 249-258 253 


falegname, presente come padrino a un battesimo avvenuto a Visignano il 19 
maggio 1836°° oppure, con meno probabilità, a un di lui parente Mattia di 
Zuane Gardelin da poco abitante a Zumesco di Montona deceduto il 24 aprile 
1812 a Villa Farini di Visignano”. 

Peraltro, all’ultimo momento ci accorgiamo che il Cadastre??, registra 
pure nel 1945 a Valentici di Castellier (Visinada) 3 famiglie Grdelin diventate 
Gardelin e altre 3 famiglie Grdelin divenute Gardeli a Santa Domenica di 
Visinada, ove invece si tratta in realtà di 6 famiglie Gardelin — di cui 3 passate 
a Gardelli — risalenti al suddetto Mattia di Zuane Gardelin mancato nel 1812 
a Villa Farini di Visignano. 

Da quanto visto si può dunque dedurre che tra le 4 famiglie Gardel oggi 
viventi a Trieste almeno 2 appartengono al precitato antico ramo primario 
polesano duecentesco e 2 al riferito omonimo recente casato di origine carnica 
insediatosi a Visignano d'’ Istria al principio dell’ ‘800 e poi ramificato a Santa 
Domenica di Visinada e — aggiungiamo — anche a Stridone di Portole, ramo 
carnico cui fanno capo altresì le attuali 2 famiglie Gardelin di Trieste e 3 delle 
odierne 4 famiglie Gardelli di Trieste (dicui 1 a San Dorligo della Valle), salvo 
1 famiglia Gardelli del ceppo primitivo polese. 

Va per di più segnalato che anche tra i 5 utenti Gardel e 11 Gardelli di 
Milano e tra i 2 utenti Gardel e 14 Gardelli di Roma qualcuno proviene dall’ 
Istria e da Fiume, avvertendo ancora che a Milano qualche Gardel / Gardelli è 
pure milanese del posto oltreché altoitaliano del Friuli, Piemonte, ecc., mentre 
invece la forma cognominale Gardel / Gardelli di Roma non è locale (che è 
impersonata da quella Cardelli) bensì sottinteso dell’Italia settentrionale come 
indicato dalla G iniziale del cognome. 

AI pari dell’analogo cognome friulano e italiano settentrionale, il cogno- 
me istriano di Pola Gardè! / Gardèlli / Gardèllo (pronunciato al contrario 
Gardel / Gardeélli / Gardéllo con e tonica chiusa a Trieste) deriva dal sopran- 
nome Gardèl tratto dalla voce gardèl “cardellino”, indicante in origine un 
capostipite della famiglia in quanto arzillo e minuto proprio come un gardèl!. 

Va anche spiegato che gardèl “cardellino”, equivalente in realtà al disusa- 
to italiano “cardèllo”, viene detto pure gardelìn nei dialetti veneti dell’ Istria 
compresa Trieste, diversamente dai dialetti veneti del Veneto che conoscono 


25 DE COLLE, 1960, p. 192. 
26 IBIDEM, p. 192. 
27 P_69-70. 


294 M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardél, Atti, vol XXXI, 2001, p. 249-258 


solo la forma diminutiva gardelìn (con eccezione del chioggiotto che oltre a 
gardelìn ha anche gardèlo “cardèllo”’), ma non gardèl, il che significa che i 
precitati Gardel / Gardelli di Milano e Roma e anche di altri luoghi (si vedano 
4 utenti Gardè! altresì a Firenze) siano friulani, istriani, lombardi ma non 
veneti, non esistendo un cognome veneto Gardel / Gardelli, per cui ad esempio 
l’utente Gardelli di Treviso e l'utente Gardel di Conegliano (Treviso) sono di 
ceppo friulano / istriano. 

Riguardo il cognome Gardelin / Gardellin / Gardellini del Veneto (ove 
comunque c’è pure una forma cognominale femminile Gardella a Venezia, 
Padova, Verona ecc.), testimoniato come Gardellin dal XV secolo a Venezia?8 
, esso risale in genere alla voce veneta gardèlin “cardellino”, ad iniziare dal 
cognome veronese Gardellini attestato a Verona dal 1350 con un Bartolomeo 
Gardelini”?. Peraltro, al pari del cognome trentino Gardelin, c’è un cognome 
Gardelin a Bussolengo, località del Veronese sulla via tra Verona e la Valda- 
dige, che può anche significare “abitante, oriundo di Gardolo”, località tren- 
tina?°. 

È pure utile ricordare che l'italiano cardellìno — detto gardelìn nel Veneto 
e gardèl / gardelìn in Istria (ove a Rovigno si dice pure gardiél), a Trieste e in 
Friuli — è diminutivo di cardèllo continuatore del latino tardo cardellum per il 
classico carduelem da carduus “cardo”, pianta frequentata da quest’uccello*', 
il quale si ciba dei suoi semi. 

Segnaliamo infine il cognome istriano Gardè! (equivalente al cognome 
italiano meridionale Cardì!lo) ha un riscontro anche in Francia ed è stato 
immortalato dal leggendario cantante argentino di tango d’origine francese 
Carlos Gardel - soprannominato appunto E/ Francesito (il “Francesino”) 
perché nato in Francia a Tolosa - il cui vero nome all’anagrafe era però Charles 
Romuald Gardel”. 


28 OLIVIERI, 1923, p. 215. 

29 RAPELLI, 1995, p. 198. 

30 IBIDEM, p. 198. 

3! DELI, p. 205. 

32 Cfr. il quotidiano triestino // Piccolo, n. 232, 30 settembre 2001, p. 29. 


M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl Ati, vol XXXI, 2001, p. 249-258 255 


AMSD - 


AMSI - 


AT - 


Babudri,1910 - 


Benussi, 1908 - 


Brat-Sim,1985 -I - 


Cadastre - 


CATS 1910 - 


CDI - 


CP II - 


De Colle,1960 - 


SIGLE E ABBREVIAZIONI 
Atti e Memorie della Società Dalmata di storia Patria, Roma. 


Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia 
patria, Parenzo, Pola, Venezia, Trieste. 


Archeografo Triestino, Trieste. 


F. BABUDRI, “Catasticum Histrie: regesto di documenti ri- 
guardanti i beni di S. Nicolò del Lido di Venezia in Istria”, 
AMSI, Parenzo, vol. XXV (1910), fasc. 3-4. 


B. BENUSSI, “Spigolature polesane. |. Nomi degli abitanti di 
Pola che nell’anno 1403 pagavano al Capitolo la decima del 
pane, vino, legumi, biade e carne”, AMSI, Parenzo, vol. XXIII, 
fasc. 3-4 (1908). 


J. BRATULIC - P. SIMUNOVIC, Prezimena i naselja u Istri: 
narodnosna statistika u godini oslobodenja Cognomi e locali- 
tà dell’ Istria: statistica per nazionalità nell’anno della libera- 
zione/, lib. I, Pola-Fiume, 1985. 


Cadastre national de l’ Istrie d’après le recensement du ]Jer 
octobre 1945, Edition de |’ Institut Adriatique, SuSak, 1945. 


“Censimento austriaco sulla popolazione di Trieste e territorio 
nel 1910”, schede (in 128 involti) presso la Biblioteca civica di 


Trieste. 


Codice Diplomatico Istriano, di P.KANDLER, Trieste, 1862- 
1865. 


Chartularium Piranense, vol. II (an. 1301-1350), di C. DE 
FRANCESCHI, Parenzo, estratto da AMSI, vol. L (1938). 


A. DE COLLE, “Friulani nel comune di Visignano d’ Istria”, 


256 M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Atti, vol XXXL 2001, p. 249-258 


Ce Fastu?, Rivista della Società Filologica Friulana, Udine, an. 
36, gennaio-dicembre 1960, n- 1-6. 


De Franceschi, 1906-C. DE FRANCESCHI, “La popolazione di Pola nel secolo X V e 
nei seguenti. Appendice. Cognomi, soprannomi e prenomi di 
abitanti di Pola e della Polesana nei secoli X-XVI”, A7, vol. 
XXXI (1906). 


De Franceschi, 1927-C. DE FRANCESCHI, “L’ antica abbazia di S. Maria del Canne- 
to in Pola e un suo registro censuario del secolo XII”, AMSI, Pola, 
vol. XXXIX, fasc. 2 (1927). 


DEI - Dizionario Etimologico Italiano, vol. I-V, di C. BATTISTI e G. 
ALESSIO, Firenze, 1975. 


DELI - Dizionario etimologico della lingua italiana, vol. I-V, di M. 
CORTELAZZO e P. ZOLLI, Bologna, febbraio 1979 - maggio 
1988. 

Jirecek - (Ga JIRECEK, “L'eredità di Roma nelle città della Dalmazia 


durante il medioevo, Vienna 1904, IH parte: Cognomi e sopran- 
nomi (nomignoli) nelle antiche città latine della Dalmazia negli 
anni 1000-1500”, a cura di Attilio BUDROVICH, Mario EN- 
RIETTI e Rita TOLOMEO, AMSD, vol. XI (1986). 


Olivieri, 1923 - D. OLIVIERI, “I cognomi della Venezia Euganea — Saggio di 
uno studio storico-etimologico”, Biblioteca dell’ Archivium Ro- 
manicum, Ginevra, n. 6 (1923). 


Pola, 1779 - “Status Animarum di Pola del 1779”, a cura di Marcello BO- 
GNERI, nel settimanale L'Arena di Pola, Gorizia, sabato 31 
maggio 1980, n. 2140. 


Rapelli, 1995 - G. RAPELLI, / cognomi di Verona e del Veronese: panorama 
etimologico-storico, La Grafica editrice — vago di Lavagno (Ve- 
rona), agosto 1995. 


M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Ati, voll XXXI, 2001, p. 249-258 257 


Tomasich, 1886 - 


A.TOMMASICH, “Famiglie capodistriane esistenti nel secolo 
XVI con cenni storico-biografici”, estratto dal periodico La 
Provincia dell’ Istria, Capodistria, 1886, an. XX. 


258 M. BONIFACIO, I cognomi di Pola Frézza e Gardèl, Ami, vol XXXI, 2001, p. 249-258 


SAZETAK: PULSKA PREZIMENA FRÉZZA I GARDÈL (GARDÈL- 
LI, GARDÈLLO) - Autor se bavi prezimenima dviju drevnih pulskih 
loza: Frézza, dokumentirano od 1150. godine i Gardè! / Gardélli / 
Gardèllo, potvrdeno od 1289. godine. 

Istarsko prezime iz Pule i Kopra (tamo je isfeznulo) Frezza, 
poput analognog venetskog, furlanskog i sjeverno-talijankog prezime- 
na uglavnom potjeée od rodoéelnika koji je dobio nadimak Frezza 
/ Freza, jer je vjesto izradivao jake i brze strijele. 

Gardéèl te oblici Gardèlli / Gardèllo staro je istarsko prezime iz 
XIII. stoljeéa, javlja se u Puli, a kasnije se proSiruje i na druge 
dijelove Istre i Rijeku. Kao i sliéno furlansko i sjeverno-talijansko 
prezime, istarsko prezime Pule Gardè! / Gardèlli / Gardèllo potjete 
od nadimka Gardel, a ovaj od oblika gardè! “cardellino” (Cesljugar), 
koji je u poèetku oznatavao rododelnika hitrog i sitnog poput pticice. 


POVZETEK: PULJSKI PRIIMKI FRÉZZA TER GARDÈL, GAR- 
DÈLLI, GARDÈELLO - Avtor se ukvarja s priimki dveh starih 
rodbin iz Pule: Frézza ter Gardèl/Gardélli/Gardèllo. V zvezi s prvim 
razpolagamo s podatki od leta 1150 dalje, drugi pa je dokumentiran 
od leta 1289 dalje. 

Istrski priimek iz Pule in Kopra (tu je sicer izumrl) Frezza, 
podobno kot odgovarjajoti beneski, furlanski in italijanski priimek, 
izhaja v glavnem iz vzdevka nekega prednika, ki so ga imenovali 
Frezza/Freza, ker je bil zelo spreten pri izdelovanju ostrih in hitrih 
puscic. 

Gardéèl, ki so mu pravili tudi Gardélli/Gardèllo, je stari istrski 
priimek iz 13. stoletja, izhaja iz Pule in se je potem razsiril tudi v 
drugih predelih Istre in v Reki. Podobno kot odgovarjajoèi furlanski 
in italijanski priimek (razSirjfen v glavnem na severu drZave), izhaja 
istrski priimek Gardél/Gardèlli/Gardèllo iz vzdevka Gardél, iz besede 
’cardellino — li$éek“, ki je zatetno oznateval Cilega in skromnega 
prednika takega kot lifcek — gardel. 


LE CONFRATERNITE DI CITTANOVA 


(Storia religiosa e economica delle dinamiche sociali di una micro-città) 


DEAN BRHAN CDU 271+338(497.SCittanova)”15/17” 
Cittanova Sintesi 
Gennaio 2002 


Riassunto — Nella storia delle confraternite cittanovesi il lasso di tempo che va dal XVI al XVIII 
secolo può essere definito come il periodo del loro inesorabile declino, cui concorsero cause 
molteplici. Pur tuttavia, alcune fonti inedite sulla loro vicenda storica ci illustrano alcuni 
importanti aspetti della vita religiosa ed economica dei cosiddetti gruppi subalterni della società 
di antico regime di Cittanova e della sua diocesi. 


Nel Medioevo “i due lati della coscienza — quello che riflette in sé il mondo 
esterno e quello che rende l’immagine della vita interna dell’uomo — se ne 
stavano come avvolti in un velo comune, come in sogno o dormiveglia. Il velo 
era tessuto di fede, d’ignoranza infantile, di vane illusioni; veduti attraverso di 
esso, il mondo e la storia apparivano rivestiti di colori fantastici, ma l’uomo 
non aveva valore se non come membro di una famiglia, di un popolo, di un 
partito, di una corporazione, di una razza o di un’altra qualsiasi collettività ”!. 

Da una visione del Medioevo di questo tipo emerge l’esistenza delle 
confraternite come momento d’aggregazione sociale importantissimo per le 
genti dell’Istria di antico regime. La piccola comunità di Cittanova non era 
un’eccezione e, infatti, le sue confraternite erano come altrove il riflesso della 
società locale. 

L’esegesi delle fonti riguardanti questi sodalizi ci aiuterà a capire meglio 
le dinamiche della società istriana di questo periodo. Se non altro per il 
semplice motivo che è difficile trovare altre fonti che toccano da vicino la vita 
quotidiana dei membri dei gruppi sociali subalterni delle piccole “patrie” 
dell’antico regime?. 


! I. BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, p. 101. 


2 “La società, pur dando sicurezza all'individuo grazie a questa sua struttura, lo teneva tuttavia 


260 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Ati, vol XXXI, 2001, p. 259-277 


“La ricerca dell’identità di una comunità oltrepassa evidentemente le 
implicazioni concettuali che solitamente qualificano la storia locale e, di 
conseguenza, i problemi interpretativi che si prospettano tra quest’ultima e 
quella che, più ambiziosamente, viene definita storia generale. E se pure ha 
diversi punti in comune (quantomeno per la forma mentis di coloro che vi si 
accostano) con quella che negli ultimi decenni è stata definita microstoria, i 
suoi intendimenti differiscono sensibilmente da questa per le tensioni interpre- 
tative che la connotano. Si tratta di tensioni che indubbiamente si coagulano 
nell’individuazione dei tratti culturali che qualificano la vita di una comunità, 
senza che per questo il problema della rappresentatività divenga un problema 
assillante e tale da influire sui percorsi stessi della ricerca. Ed in questo le due 
prospettive di ricerca, come si notava, si collocano su un piano comune. 
Identità, dunque, come fisionomia che raccoglie inevitabilmente la complessità 
della realtà sociale e politica, prospettando comunque soluzioni sempre origi- 
nali e dotate di valenze loro proprie”. Il caso di Cittanova è peculiare però forse 
non rappresentativo, in quanto la piccola podesteria cittanovese era diventata 
una micro-città nel corso del XV e del XVI secolo per l’esiguo numero di 
abitanti, conseguenza delle calamità naturali e sociali che hanno interessato 
l’Istria in questo periodo storico. 

L’esistenza e la continuità dell’istituzione vescovile e della podesteria 
veneta hanno consentito la sopravvivenza dell’agglomerato urbano nel senso 
più ampio del termine. Ricordiamo che addirittura il luogo più popoloso della 
diocesi emoniense era la terra di Buie mentre per tutto il XVI secolo i vescovi 
di Cittanova non volevano risiedere in loco a causa delle sopra citate calamità 
naturali. La cattedra vescovile di Cittanova era scarsamente ambita da parte dei 
membri del patriziato veneziano e il valore stesso del vescovato, da quanto 
emerge dalla visita apostolica di Agostino Valier in Istria del 1580, era di 1100 
o 1200 ducati (le decime di Buie e Portole, e tre peschiere in Quieto)?. 


incatenato. Era una prigione diversa... La società medievale non privava l'individuo della sua libertà, perché 
l’ ‘individuo’ non esisteva ancora; l’uomo era ancora legato al mondo da vincoli primari. Il contadino che si 
inurbava era un forestiero, ed anche all’interno della città i membri dei diversi gruppi sociali si consideravano 
a vicenda dei forestieri. La coscienza della propria personalità individuale, degli altri e del mondo come entità 
separate, non si era ancora pienamente sviluppata.”, E. FROMM, Fuga dalla libertà, p. 43. 


3 A. MICULIAN, “La visita apostolica di Agostino Valier in Istria: la Diocesi di Cittanova nella 
seconda metà del XVI secolo”, Arti del convegno su Cittanova, inedito: “Alla domanda ‘De titulo Ecclesiae 
cahed..e De numero animarum huius urbis', il canonico Paolo rispose: ‘SS. Massimo e Pelagio”, et io credo 
che devono arrivar a cento anime e non più. Il vescovato può valere da 1200 ducati come ho inteso, et le 
entrate consistono in decime di vini, formenti e biade et anco in pischere. Sono cinque i canonici, quattro 


D. BRHAN, Le confratemîte di Cittanova, Az, voL XXXI, 2001, p. 259-277 261 


La documentazione del Valier sulla sua visita nella diocesi di Cittanova è 
una fonte importante per cercare di capire le dinamiche inerenti alle confrater- 
nite di questo territorio*. Dal resoconto del convisitatore il reverendo don 
Giovanni Francesco Tinto, il quale aveva controllato il settore amministrativo 
e le cause pie, ovvero confraternite, ospedali e “fabbricerie”, emerge la consta- 
tazione che il numero dei sodalizi era troppo alto per una comunità come Buie 
mentre Cittanova ne contava soltanto un quinto del numero delle confraternite 
buiesi. Già in quel periodo le ’’scole laiche” molto spesso erano amministrate 
in modo non adeguato e corretto e la visita pastorale avrebbe apportato un certo 
ordine nella loro attività. Le principali critiche erano rivolte all’obbligo di 
portare i conti al vescovo in visione, al migliore impiego dei redditi e di limitare 
gli sperperi e il carattere festaiolo dei “licoffi”’?. 

Possiamo concludere che oltre alle autorità comunali anche le autorità 
ecclesiastiche volevano esercitare un determinato controllo sull’attività delle 
confraternite. Nell’ esempio di Cittanova vediamo che secondo un proclama del 
neoeletto podestà del 1482° era tassativo informare le autorità di qualsiasi 
assemblea o riunione delle confraternite e del loro contenuto pena /a prigion, 
corda o bando o altre pecuniarie. 

Perciò anche il vescovo rivendicava il diritto di controllare i conti delle 
varie confraternite nonostante il carattere specifico di questi sodalizi” e, in 
sostanza, il gastaldo della confraternita era tenuto a presentare i propri “conti” 
sia al podestà veneto che al vescovo emoniense. Per quanto riguarda i sodalizi 
di Cittanova, dal resoconto della visita, sembra che fossero in regola con questa 
consuetudine mentre le confraternite della “periferia”, Portole, Piemonte e 


risiedono e una prebenda e Mons. Vescovo et non vi sono dignitari. Una sola e la cattedrale et la cura 
appartiene a tutti i canonici, et ognuno fa la sua parte et nella nostra chiesa non vi sono altri beneficiati, et 
un sol zago (chierico inserviente in chiesa) serve alla chiesa. Le prebende dei canonici valgono 25 ducati in 
circa et le sue entrate consistono in decime de formenti, vini et animali et de alcuni denari et elemosine...” 


4 Ricordiamo che Agostino Valier, vescovo di Verona era stato nominato come visitatore apostolico per 
l'Istria e la Dalmazia dal papa Gregorio XIII, con ampi poteri di riformatore e delegato generale e particolare. 
Il presule era amico di San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano e zelante inquisitore, dal quale apprese 
le istanze e lo spirito del Concilio di Trento e della Controriforma cattolica. Da L. PARENTIN, “La visita 
apostolica di Agostino Valier a Cittanova d’Istria(1580)”, Atti e Memorie della Società istriana di archeologia 
e storia patria, Trieste, vol. XCIV (1994), p. 156. 


5 “Licofum” - banchetto, bicchierata. 


6 Vedi D. BRHAN, “La scuola di Sant'Antonio Abbate, Santa Lucia e San Carlo di Cittanova 
(1729-1792)”, in La Ricerca, Centro di ricerche storiche Rovigno, 2001, n. 31-32, 2001, p. 24. 


? “Scole laiche”, perché erano soggette all’autorità civile. 


262 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Ari, voL XXXI, 2001, p. 259-277 


Grisignana, si erano ritrovate con l'obbligo di presentare i propri conti al 
vescovo (s’ha ordinato di dar i conti al Vescovo). Il questionario delle doman- 
de esigeva anche la verifica dell’operato e dell’idoneità del gastaldo della 
confraternita, un ruolo che molto probabilmente era una carica di prestigio 
all’interno della comunità e in alcuni casi poteva portare determinati vantaggi. 
Spesso questa carica assieme a quella del nodaro o scrivano della confraterna 
poteva entrare nell’orbita delle dinamiche e delle strategie familiari per la 
conquista e la conservazione del potere all’interno della comunità. Questo tipo 
di strategie è riscontrabile nella Confraternita di Sant’ Antonio Abbate, Santa 
Lucia e San Carlo nel corso del Settecento*. Gli abusi erano molto frequenti 
come è testimoniato dagli scritti del vescovo Tomasini. 


Comparazione del numero delle confraternite della diocesi di Cittanova nel 
1580. 


Cittanova Verteneglio Grisignana Piemonte 





Sc.S.mo Sacramento —— |S.ta Croce _ _|S. Zuanne 


_|SS. Primo e Feliciano 











Sc. S. Lucia SS.mo Sacramento \S. Maria delle Candele |S. Petro __I 
Sc. S. Pietro Santo Spirito S. Martin S. Andrea 
Sc. S. Maria del Nogare- | S. Zenone S. Niccolò Is Maria 
do 
S. Rocco |S. Vido S. Giorgio 








S. Ermacora (S.Mucor o 
Mohor 





Ss. Cosma e Damiano 





S. Rocco 








8 Archivio storico di Pisino (=ASP), “Fondo del comune di Cittanova”, lib. n. 293. In base alla Nota 


dei confratelli del 1755. 


D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Ari, voL XXXI, 2001, p. 259-277 











Nova 


Buie Portole Piemonte 
S. Rocco S. Eufemia |S. Giorgio ___|S. Martino — 
SS.mo Sacramento S. Michele S. Cecilia Del Corpo di Cristo 
SS. ma Trinità S. Maria di Gradisca La Madonna a S. Maria |S. Maria 






































S. Sebastiano S. Lucia S. Maria dell’altare S. Sebastiano 
S. Margherita S. Cancian Spirito Santo S. Giorgio 

S. Niccolo’ S. Giovanni S. Sebastiano S. Giovanni 
S. Elena S. Rosario _|H Corpus Domini S. Caterina 
S. Stefano S. Pietro — S. Mauro 

S. Martin S. Antonio S. Rocco 

S. Eliseo 





Dall’analisi comparativa del numero delle confraternite emerge chiara la 
constatazione che Cittanova era il luogo con il minor numero di “scole laiche” 
della diocesi emoniense. Gran parte delle località “ 
miche sociali e religiose più intense, molto probabilmente grazie al maggior 
numero di “anime”. La città con le immediate vicinanze contava un centinaio 
d’abitanti circa e le grandi comunità rurali o ville del suo territorio gravitavano, 
dal punto di vista economico, soltanto in parte verso Cittanova. 

Il numero dei confratelli e delle consorelle delle confraternite cittanovesi 
molto probabilmente era esiguo e di conseguenza anche la valenza economica 
delle suddette era scarsa. 

Per capire meglio questo tipo di dinamica basta fare il confronto con il 
numero dei membri della confraternita del Santissimo Sacramento di Dignano 
del 1571. Nel registro di questo sodalizio sono annotati 755 uomini e 604 
donne, ovvero il numero di membri raggiungeva le 1359 unita. Secondo lo 
statuto di questa confraterna ogni nuovo confratello o consorella doveva 
pagare ogni anno una determinata quota in denaro o in natura. Appare chiara 
la differenza che poteva esistere tra le varie confraternite a livello diocesano e 
a quello regionale”. 

Nonostante queste premesse le confraternite a Cittanova svolgevano un 
ruolo importante giacché un quinto della popolazione era composto da nuclei 
familiari di solitari o privi di una struttura familiare vera e propria'!°. Queste 


minori” aveva delle dina- 


? AA.VV. Avi, alberi genealogici delle famiglie dignanesi, Trieste-Dignano, 1996 (Biblioteca Istriana 
- Extra serie, n.1), p. 15. 


264 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Att, vol XXXI, 2001, p. 259-277 


associazioni erano un momento e un mezzo importante d’aggregazione sociale 
e religiosa per i membri della piccola comunità di Cittanova. 

Grazie alla documentazione della visita apostolica del vescovo di Verona 
Agostino Valier all’Istria e alla Dalmazia possiamo avere uno spaccato della 
vita religiosa e sociale della diocesi di Cittanova nella seconda metà del 
Cinquecento. Imperniata sull’onda della Controriforma tridentina questa visita 
appurerà anche il degrado e la scarsa educazione religiosa dei chierici e dei 
laici. Le domande erano fatte in base al formulario ricevuto da Roma e al 
regolamento compilato da S. Carlo Borromeo!'. La situazione delle confrater- 
nite cittanovesi era la seguente: 


Visitatio confraternitatum et hospitalium civitatis et dioecesis Aemon. 

Rev. D. loan. Franciscus Tinctus 1,U,D, visitavit confraternitate et hospi- 
talia tanquam delegatus a rev.mo d. Visitatore modo inscripto. 

Adi 26 gen.o 1580 schole de Civitanova 

Schola del S.mo Sacramento. Non ha statuti. Ha entrata, ma non ferma, 
però di elemosine che cavano delli torchi dell’oglio de scoio, hora più hora 
manco, e delli fratelli che danno di elemosina soldi 12 all’anno et un livello di 
soldi 30 all’altro anno, si può trarre in tutto lire 600, aiutando un altro anno. 
Si spendono in cere, in far dir messe et ornar l’altare del Sacramento, far lì 
paramenti, in elemosine ai poveri, et a far cavar l’oglio delle acque torcolate; 
nel che si spende lire dieci per orna. Al presente avanza in mano alla schola 
lire 1200 di denari contati. Non sono debitori né usurpatori. Hanno conti 
buoni. In reliquis recte. Si danno per ordinario i conti al Vescovo. I gastaldi 
danno sicurtà della sua administratione. 

Sc. S. Lucia. Ha statuti buoni. Ha entrata di lire 700 che si cava da 400 
piedi di olivi, ma tal hora, secondo gli anni, manco assai l’oglio, et cerca dui 
o tre secchi di vino di livello all’anno; di che si può cavare lire 200 di danari, 
che si spendono in chiesa, usi solito et a far lavorar lì olivi, a raccolier i frutti, 
in qualche elemosina ai poveri et in un pasto. Non sono usurpatori né debitori, 
eccetto un gastaldo vecchio morto, circa lire 160, che s’ordinano che si scodi 
quanto prima. Han conti buoni. In reliquis recta. Si danno ogni anno i conti al 
Vescovo. Et i gastaldi danno sicurtà dell’administratione. 

!0 Nel 1580 durante la visita del Valier la città composta da circa 300 case poteva contare soltanto 25 
case abitate. 


1! In quel periodo il vescovo di Cittanova era Gerolamo Vielmi, il quale era residente stabilmente a 
Venezia Però era sostituito dal mons. Alessandro Avogaro. Il prelato veneto rimaneva in sede soltanto da 
dicembre fino a Pasqua mentre poi si ritirava assieme alla famiglia in patria. 


D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, At, vol. XXXI, 2001, p. 259-277 265 


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Fig. 1 — Frontespizio della “Nota dei Confratelli della Vener:a Scuola di S. Antonio Abbate S. Lucia e S. Carlo”, 
di Cittanova, 10 giugno 1755. 


266 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, vol XXXI, 2001, p. 259-277 


Sc. S. Pietro. Ha statuti buoni. Ha entrate da lire 700 al più d’oglio et una 
casa che si affitta per lire 10 all’anno. L’oglio e delli olivi della schola, che tal 
anno cala assai. Si spende in uso della chiesa quel che si cava, circa 200 lire 
e in far lavorar gli olivi, coglier le olive. Altre spese, in qualche elemosina et 
in un pasto. Vi sono alcuni debitori che s’ha ordinato far pagar. Non son 
usurpatori che si sappia. In reliquis recte. Si rende i conti al Vescovo. 

Schola di S. Maria di Nogaredo. Ha statuti, ma non son in man dei 
scholari et perciò non si son potuti vedere. Ha entrate di circa 400 lire, che si 
spendono in usi della chiesa, in far lavorar gli olivi et vigne, in elemosine et in 
un pasto. Ha alcuni debitori dei gastaldi vecchi et s'ha ordinato che si riscuo- 
tino. Non ha usurpatori che si sappia. In reliquis recte. Danno i conti al vescovo 
oa suo commissario. Il gastaldo novo ha in man una bona summa di lire. 

Fabbrica. Ha entrata circa 700 lire, computando un’anno con l’altro. Et 
hanno in man de contadi una grossa summa di denari. Si cava questa entrata 
da elemosine delli torchi dell’oglio, che caverà all’anno lire 1600 d’oglio. Et 
ha anco un puoco di olivari propri che ponno far un’orna e mezza in circa 
d’oglio. E amministrata quest’entrata da un cittadino laico de la città chiama- 
to sacrestano fatto per il Consiglio generale della città con l’obbligo di dar 
sicurtà, come la da, della sua administratione. Et rende i conti alla presentia 
dal clar.mo signor podestà, del rev. Vicario Episcopale et signori giudici della 
città. Si sono veduti i conti di alquanti anni; sono buoni et saldati. Né sono 
debitori che si sappia. Si spende il tutto in oglio, cere, paramenti, et fabbrica 
della chiesa, avendo il Sacrestano la cura di queste entrate di tenir fornita la 
chiesa di tutte cose suddette. 

Hospitale. Non ha entrata, eccetto quattro 0 cinque ducati, oltre la metà delle 
condananze criminali che fa il podestà ivi che gli ha donato la Comunità per certa 
sua ragione ma questa va a discrezione del podestà di dar quello che esso vole; 
ed è una minima cosa all’anno. È governato da uno che mette la Comunità, ma 
finora con mal’ordine. S'’ha comesso et dato ordine buono per il suo governo et 
in specie che si muti ogni anno il governatore. La casa e poca et in mal esser; anco 
lì letti non avendo lenzuoli nei letti ne matarazzi. S'ha ordinato che siano fatti 
almeno dui matarazzi con i capezzali di lana al presente et due coperte et due para 
di lenzuoli. È stato promesso di essequiare prestamente. 

Datum, Aemonia, die 26 ianuarii 1580. 

Exhibitia fuit copia authentica R.mo d. Coadiutori ut exequatur!* . 


1? L. PARENTIN, op. cit., p. 241-243. 


D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 259-277 267 


Rendite delle confraternite di Cittanova nel 1580 








Scuola del Scuola di Scuola di Scuola di 
Santissimo S. Lucia San Pietro S. Maria 
Sacramento di Nogaredo 
Lire 600 Lire 900 Lire 710 Lire 400 
Contanti lire 1200 | Debito lire 1600 | > — 














Dalla fonte storica presa in esame emerge uno spaccato nitido della 
situazione delle ”’scole laiche” da noi prese in esame. La situazione economica 
nonera sicuramente molto stabile a causa della natura stessa di queste entrate. 
Gran parte degli introiti era ricavata da livelli e da affitti di terreni agricoli (a 
parte i lasciti testamentari o altre fonti d’entrata), indipendentemente dalla 
qualità dei terreni stessi tutti dipendevano dalle varie annate, buone o cattive 
che fossero. Buona parte di queste entrate serviva per amministrare le confra- 
ternite, ovvero per la loro attività (messe cantate, elemosine, ...). Se confron- 
tiamo le rendite del Settecento con quelle della visita del Valier del 1580 
possiamo concludere che la situazione economica verso la fine dell’età moder- 
na era peggiorata a dismisura, nonostante il diverso contesto ed i mutati 
parametri economici. Gli introiti delle confraternite non potevano essere diver- 
si per il semplice motivo che la situazione economica della città e dell’ Istria 
veneta era “miserabile”. L’esempio più limpido è l’ospedale della città che si 
trovava in condizioni catastrofiche. Forse in questo contesto poteva avere la 
meglio il carattere pio e caritatevole di questi sodalizi religiosi. Sappiamo che 
la società d’antico regime offriva poche “garanzie” all’individuo-suddito, il 
quale cercava la conferma della propria appartenenza alla comunità in associa- 
zioni come le confraternite. 

Dal resoconto del convisitatore Tinto si vede che quasi tutte le confrater- 


13 Dal Catastico Generale dei Boschi della Provincia dell'Istria (1775-76) di Vincenzo Morosini, a 
cura di VJ BRATULIC, Trieste-Rovigno, 1980 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, 
n.4), p. 166, emerge la proprietà di alcuni terreni boschivi da parte di confraternite: 

“due boschette detti le Com.le della Schola del Santis.mo . Disti un miglio Girano pertiche cinque- 
cento e venti-ca. 

-due boschetti della Scuola B.V. del Rosario. Dist.i un miglio. Gira pertiche quattrocento e cinquanta 
ca. ore del Co. Aurelio Rigo...boscho detta la Fachinia della Scuola,..”. 


268 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Affi, vol XXXI, 2001, p. 259-277 


nite erano munite di statuti!* scritti, perciò possiamo escludere l’elemento 
consuetudinario nell’attività dei sodalizi cittanovesi. A Buie, invece, dei 20 
sodalizi soltanto due erano regolati da statuti scritti, per le restanti confraternite 
si suppone l’uso di leggi ed usi consuetudinari'. Molto probabilmente le 
confraternite cittanovesi erano molto più in “regola” con la propria attività di 
quelle della “periferia” della diocesi emoniense vista la presenza in loco del 
vescovo e delle altre autorità ecclesiastiche e laiche!9. 

Dagli scritti del corografo e vescovo di Cittanova Giacomo Filippo Toma- 
sini!” della metà del XVII secolo possiamo scorgere una situazione analoga a 
quella del secolo precedente. In un’Istria veneta depauperata e in grave crisi 
demografica, (specialmente dopo la lunga e pesante depressione cinque-sei- 
centesca, 1550-1630, e durante la Guerra degli Uscocchi, 1615-18), toccata da 
grandi cambiamenti strutturali come la colonizzazione, l’esile corpo della 
provincia veneziana non poteva trovare, se non con difficoltà nuove dinamiche 
di rinnovamento. Una delle ragioni della scarsa valenza economica dell’Istria 
di questo periodo era anche la politica sbagliata da parte della Dominante nei 
suoi confronti, specialmente l'eccessivo fiscalismo ed il monopolio veneziano 
sui commerci e sulle esportazioni. Perciò il tessuto sociale istriano seicentesco 
era facilmente soggetto a gravi squilibri e scontri in tutti i campi della società. 
In uno scenario di questo tipo erano frequenti contrasti tra Chiesa e fedeli, in 
materia di pagamento delle decime e degli affitti, e nell’amministrazione delle 
confraternite. Nonostante fossero informate della situazione le autorità vene- 
ziane non volevano intromissioni da parte di ecclesiastici in questioni al di 
fuori della loro ingerenza. Questo contrasto vedeva in campo da una parte le 
autorità ecclesiastiche e dall’altra la popolazione forte del tacito consenso delle 
autorità venete. Tale situazione portò il Tomasini alla conclusione che gli 
Istriani erano scarsamente religiosi. Il Concilio di Trento aveva proclamato la 
superiorità nelle competenze della Chiesa sulle confraternite. La Serenissima 


14M. GADDI, “Religione e comunità, Buie XVIII secolo”, Acta Bullearum (=AB), Buie, vol 1 (1999), 
p. 174. %...la Repubblica, infatti, non parve mai preoccuparsi particolarmente degli ordinamenti statutari dei 
centri minori, lasciandoli di norma quasi inalterati, opponendosi semmai soltanto alla ratifica di eventuali 
richieste che andassero a intaccare le prerogative delle città vicine.” 

!5 R. CIGUI, “Le confraternite di Buie e del suo territorio”, AB, vol. | (1999), p. 164. 


16 Nonostante la latitanza di molti vescovi i quali preferivano la sede di Buie o Verteneglio a causa 
dell’aria insalubre di Cittanova. Dei due prelati del 1580 nessuno risiedeva stabilmente a Cittanova. 


!? G. TREBBI, “La Chiesa e le campagne dell’Istria negli scritti di G.FE Tomasini (1595-1655), 
vescovo di Cittanova e corografo”, Quaderni giuliani di storia, Trieste, vol. 1980, n. 1, p. 9-49. 


D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, voL XXXI, 2001, p. 259-277 269 


cercò di mettere un pò di ordine istituendo dei magistrati appositi per il riordino 
delle “scole laiche”. Per l’Istria veneta questa competenza spettava al podestà 
e capitano di Capodistria, il quale emanò specifici regolamenti. I risultati 
furono parziali giacché i gastaldi continuavano a seguire le proprie “consuetu- 
dini”!*. Dal testo del Tomasini emerge una situazione incandescente tra i laici 
delle scole e le autorità religiose a livello di tutta l’Istria. I veneziani da buoni 
e zelanti governatori cercarono di controllare, quanto possibile, queste tenden- 
ze. 

“Ogni villa, anzi ogni altare ha una confraternita, i frutti della quale 
mangiano, e bevono, congregandosi molte volte insieme in alcuni giorni...e 
non se li può provvedere dai vescovi , perché il Principe ha tolto in protezione 
le dette scuole, e sono governate dai rettori. E vedendo come stanno malmena- 
te l’entrate di tante scuole, che sono nella nostra diocesi , ammoniamo con 
paterno affetto tutti a rivedersi di questo errore, che quella è robba di Gesù 
Christo, ricordando a cadauno la restituzione dei beni usurpati; né possono 
dalla escomunicazione essere assolti”!*. Da questo breve excursus possiamo 
concludere che la situazione era analoga a quella riscontrata dal vescovo di 
Verona Agostino Valier nel 1580, ovvero la situazione reale delle confraternite 
era alquanto diversa da come la volevano le autorità ecclesiastiche”. 

La vita religiosa della diocesi di Cittanova era scandita dal ritmo delle 
principali festività del calendario come avveniva, molto probabilmente, da 
epoche antichissime?!. Poiché la popolazione era dedita prevalentemente 
all’agricoltura il principale pensiero era rivolto al raccolto delle varie colture. 
Secondo il Tomasini in Istria si usava avvolgere le croci con spighe di grano, 
rami d’ulivo e foglie di vite, portando il tutto in una processione rituale”, Si 
trattava delle Rogazioni che secondo tradizioni remote dovevano propiziare un 
buon raccolto e perciò dovevano portare benessere alla comunità. In questo 
particolare momento psicologico della comunità il Tomasini aveva visto un 
segno della devozione religiosa delle popolazioni istriane. Un altro tipo di 


18 /BIDEM, p. 24 
!9 IBIDEM, p. 25 


20 Nel suo “Sinodo diocesana di Citta Nova” del 1644 il Tomasini raccomanda ai confessori di 
ricordare ai penitenti le scomuniche contro gli usurpatori dei beni ecclesiastici, ‘essendo che in questa 
provincia è questo il principal peccato de’ popoli”, /B/DEM, p. 25. 


2! IBIDEM, p. 26 
22 IBIDEM, p. 27 


20 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, voL XXX], 2001, p. 259-277 


reazione aveva creato l’usanza dei fedeli della diocesi di Cittanova di portare 
il Santissimo Sacramento sulle porte della chiesa tenendolo lì per alcune ore, 
come rito propiziatorio contro eventuali temporali. Il rimedio del vescovo 
Tomasini era il seguente; “io /’ho levato nella mia diocesi, contentandomi che 
con molte candele lo espongano sopra l’altare, convenendo li popoli a fare 
orazioni”. Molto probabilmente potevano essere collegati a questo rituale i 
membri dell’omonima confraternita presente in città anche durante il Cinque- 
cento. La Chiesa, nell’impossibilità di altre soluzioni, veniva in contro alle 
usanze popolari cercando di inquadrarle entro la liturgia e il dogma ufficiale. 
Questo tipo di struttura mentale collettiva era tipica di tutta l’area mediterranea 
(ad esempio dell’Italia meridionale), dove la visione del mondo da parte del 
popolo era intrisa di un misto di religione e superstizione, sempre al limite con 
il paganesimo. ‘Nasce così l’esigenza delle grandi rappresentazioni che mo- 
bilitano il gruppo nella sua totalità, e gli consentono di provare, nel senso più 
completo del termine, la sua coesione: esprimerla, verificarla, coglierne tutta 
la potenza, attingerne rinnovata fiducia. Tali rappresentazioni segnano i 
momenti culminanti della vita sociale...ove del resto tutte le classi sono 
riunite, ma non mescolate”? 

Venezia era sicuramente il luogo più rappresentativo di questa mentalità 
collettiva che vedeva nei luoghi pubblici lo scenario ideale di tutti gli avveni- 
menti importanti della comunità. Questo tipo di struttura mentale e di supersti- 
zione collettiva, mista ad elementi religiosi, può essere riscontrata anche in 
altre manifestazioni come adesempiola credenza nell’esistenza dei benandanti 
istriani, i “cresnichi”’4. Il Tomasini era stato testimone assieme ad altri contem- 
poranei di queste radicate credenze del mondo rurale dell'Istria d’Anciene 
régime. Secondo G. Trebbi questi fenomeni possono essere inquadrati in una 
complessiva maniera di sentire il soprannaturale, profondamente radicata nella 
società contadina istriana. In questo gruppo vanno annoverate credenze come 
le processioni delle Rogazioni, gli esorcismi per tenere lontane le tempeste, le 
credenze nelle fade, nella stregoneria o nei benandanti o “cresnichi”. Molto 


23 FE. BRAUDEL, Il Mediterraneo, lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni, Milano, 1999, p. 142-43. 


24 | benandanti o “cresnichi” erano uomini contraddistinti per essere nati con la “camicia”, cioè involti 
della membrana amniotica, non si consideravano stregoni ma giudicavano il proprio operato come benefico. 
Secondo Carlo Ginzburg questo fenomeno era esteso nelle società contadine dall’area germanica fino alla 
Dalmazia. 1 benandanti credevano di uscire “in spirito” di notte per combattere, armati di mazze di finocchio, 
contro streghe e stregoni, armati di canne di sorgo, lo scopo del combattimento era la riuscita del raccolto, 
che era garantito in caso di vittoria dei benandanti. G. TREBBI, op. cit., p. 40-41. 


D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Am, vol XXXI, 2001, p. 259-277 201 


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Fig.2- Facsimile della “Nota delli Beni stabili, e Livelli di raggione delle Scole del SS.mo Sacramento, 
B.V. di Nogaredo, S. Pietro, S. Antonio Abbate, San Carlo e S. Lucia” di Cittanova. 


272 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, vol. XXX), 2001, p. 259-277 


probabilmente, in base alla loro attività e alle loro caratteristiche, possiamo 
supporre che anche le confraternite siano state collegate in un certo qual modo 
a queste manifestazioni dell'immaginario collettivo??. 

Le confraternite di Cittanova nel lasso di tempo che va dal XVI al XIX 
secolo dovettero affrontare non poche difficoltà. Una situazione simile alle 
altre realtà istriane, però con caratteristiche peculiari date dal ruolo e dalle 
condizioni specifiche nelle quali la città aveva affrontato e vissuto l’età moder- 
na e il declino della Repubblica di Venezia. La difficile situazione della 
popolazione del territorio di Cittanova, nonostante i vari tentativi di ripopola- 
mento, causò la decadenza e lo spegnimento di alcune confraternite, le quali 
furono abbinate ad altri sodalizi. Nel caso delle confraternite di Sant’ Antonio 
Abbate e Santa Lucia, i due sodalizi furono uniti assieme a quello di San Carlo 
nel 1693. Le due cappelle erano in pessime condizioni e le borgate nelle 
vicinanze erano in totale rovina. Il patrimonio della “scola” di Sant’ Antonio 
nel 1693 all’atto della fusione era il seguente: terra incolta e 83 olivi introitanti 
nette L. 10 annue, una soccida di 40 animali minuti, fruttante in lana e formag- 
gi, L. 30, una soccida di animali grossi, da un reddito annuo medio di L. 50, 
mentre al passivo si elencavano 13 messe annue, le spese della lampada accesa 
nelle vigilie e feste, della cera, della manutenzione e della tassa pro seminario 
collegio?’. La chiesa dedicata al santo eremita egiziano risale, probabilmente, 
al XIII secolo. Grazie al cittadino Bartolomeo Busin, appaltatore delle peschie- 
re vescovili del Quieto, la chiesa era stata ristrutturata e adornata di una 
pregevole pala nel 1631. Attorno alle pareti i sedili di legno erano riservati ai 
confratelli del sodalizio che qui si radunava, almeno fino alla sua fusione nel 
1693. La cappella di Sant’ Antonio era luogo di devozione dei marittimi che 
continuavano la consuetudine del “battesimo” delle loro barche con una ghir- 
landa che era poi riposta in chiesa, dove si celebrava anche una messa mensile. 

La chiesa di Santa Lucia?”, invece, è menzionata nel 1420 nell'inventario 
eseguito dal podestà Jacopo Premarin, dove viene riportato che alcuni appez- 
zamenti di terra servivano come rendita “prope ecclesiam S. Luciae”.Secondo 
il Parentin la confraterna era abbastanza fornita di beni possedendo due campi 
d’olivi e due case in città cedute a livello complessivo di L.12, più una soccida 
di cinque animali grossi e produceva molto spesso olio in abbondanza. In un 


25 IBIDEM, p.41-49. 
26 L. PARENTIN, Cittanova d'Istria, Trieste, 1974, p. 280-283. 
27 IBIDEM, p. 283-285. 


D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Ati, voL XXXI, 2001, p. 259-277 273 


documento del 1773 quella di Santa Lucia risulta la confraternita più abbiente 
all’interno del nuovo sodalizio, siccome era l’unica delle tre a possedere beni 
immobili di qualche consistenza”. 

Per quanto riguarda la chiesa della confraternita della Madonna del Noga- 
redo”?, era luogo di devozione mariana prima della costruzione della chiesa 
della Madonna del Popolo nel 1492, subito fuori le mura della città. I canonici 
ne assistevano la confraternita e ne adempivano gli obblighi in chiesa e in parte 
nell'omonimo altare nella cattedrale. Il culto mariano, in questo caso, fu 
associato al culto dei morti in special modo durante la peste del 1630-31, 
quando il territorio di Cittanova fu duramente colpito da questo flagello e la 
chiesetta diventò un lazzaretto. Nel 1727 il Consiglio cittadino concesse la 
chiesa all’amministrazione del vicino Comune di Verteneglio. 

Per la chiesa di San Pietro si hanno scarse e frammentarie notizie. Sappia- 
mo ad esempio che la chiesa fu menzionata già nel 1414, quae vadit ad 
Sanctum Petrum, mentre nel 1515 su preghiera del gastaldo Lorenzo Scorzon 
fu riconciliata al culto da parte del vescovo Foscarini. Il gastaldo Scorzon vi 
aveva soggiornato per un periodo di quarantena durante un’epidemia di peste?®. 

Dall’esegesi delle fonti da noi prese in esame la storia delle confraternite 
cittanovesi nel lasso di tempo che va dal XVI al XVIII secolo può essere 
definita come il periodo del lungo inesorabile declino e della decadenza di 
queste associazioni, le quali avevano perso la propria ragione d’esistere. A 
monte di questo processo c’erano molteplici cause, tra le quali sicuramente la 
scarsa valenza economica e il mutato contesto sociale nel quale venne a 
trovarsi l’Istria a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Grazie alle fonti 
riguardanti le “scuole laiche” possiamo far emergere alcuni aspetti della vita 
religiosa ed economica dei cosiddetti gruppi subalterni della società d’Anciene 
Régime, i quali dal canto loro non sono delle realtà immobili come molto 
spesso è apparso in passato. Dunque le vicende riguardanti l’attività delle 
confraternite di Cittanova ci propongono di delineare, anche se in maniera 
sommaria, i principali cambiamenti della realtà del microcosmo di Cittanova e 
in generale dell’Istria durante l’età moderna fino al suo tramonto segnato dalla 
Rivoluzione francese e dalla fine della Repubblica di Venezia. 


28 ASP, “Fondo del Comune di Cittanova”, lib. n.295. 


29 L. PARENTIN, Cittanova d' Istria, cit., p. 292-295. 


30 [, UGUSSI, “I toponimi del comune catastale di Cittanova”, Atri del Centro di ricerche storiche, 


Trieste-Rovigno, vol. XIX (1988-89), p. 231. 


274 D. BRHAN, Le confraternite di Cittanova, Atti, voL XXXI, 2001, p. 259-277 


APPENDICE: 


Adi 4: Agosto 1773. 


Illmo, et ece.mo ...vista e letta la parte presa dalli confratelli delle Scuole 
sud.e perla nuova palla da farsi con le tre immagini di S. Antonio Abbate, S. Lucia 
e S. Carlo nella Chiesa Cattedrale di Citta Nova, nei modi e forme, che sono del 
Maggior Culto divino, e le altre spese...comprese in... parte cosi sià approvando 
la parte scelta in tutte le sue parti, ha decretato, che nella nova palla da farsi come 
sopra, debba il...rappresentare l'immagine delli due Santi S. Ant.o Abb.e e S. 
Carlo, e così pure in mezzo di essi quella di S. Lucia, e non altrimenti dovendo 
esser supplita la spesa con li cinanzi delle vendite della scuola di Santa Lucia, 
giacché le altre due Scuole sono miserabili, non dovendo il presente riportare la 
sua esem., se non nel modo, e forma inespressa, sià ... mantenuto. 

Daniel Balbi Canc. Pret.0°' 


Vene.mo il sopras.to pron. Nicolo Verginella Gastaldo lire cinquecento 
novanta tre soldi diecinove annue dal Sig.re Dom.co Rosello di lui predeces- 
sore in suo saldo come si vede in libro Vecchio?° 


£ 593=19 
Oglio orna quattro venduto £ 75 all’orna £ 300=- 
soldi dodici annui da Carlo Manzoni £-=12 
lire quattro soldi dodici e un mezzo annue ricavate 
d’elemosine nel...di S. Lucia. £4=12 
soldi dodici annui: da Valentin Nardin annue annotato... £-=12 
lire venticinque pagasi il Can.co Giachich ...annualmente 
in affitto della Casa £ 25=- 
lire venti soldi diecinove e un mezzo paga d’annuo livello 
il 16 febraro Tom.so Bencich £ 20:19I 
lire ventiquattro paga d’annuo livello...Ant.o Manzoni 

£ 24: 
soldi cinque e un mezzo ricavati d’elemosina nel... 
di S. An.to Abbate £ -=S1 

£ 970=-I 


31 ASP, “Fondo del Comune di Cittanova, Acta Cancellarie Aemoniae”, lib. n. 295. 


3° IBIDEM, lib. n. 293. 


D. BRHAN, Le wnfraternite di Cittanova, Atti, voL XXX], 2001, p. 259-277 275 


Copia Adi 18 Decembre 1783 


Illmi, et Ecc.mi Sig.ri Cons.ri et Esec.i delle Leggi 

Letta a sue eccel.e la Parte presa il di pmo Decembre dalla V.ta scuola di S. ta 
Lucia in Cittanova, con cui fu stabilito di dare a livello la casa di d.ta Scuola 
tanto bisognosa di ristauro, che è quasi cadente, ed essendo fatta istanza che 
dall'autorità di questo Ecc. Mag.to sia data l'occorrente permissione; perché dal 
Pub.o Nodaro venga stipulato il relativo istrumento. 

Sua E. E. Illme appreso il presente bisogno, e le ristretezze della predetta 
Scuola di Sta Lucia, che non può in altro modo provedere di neccessari ristauri 
di detta Casa, stanno con la Terminazione prnte permesso a chiunque Pub.o 
Notaro di stipulare un istrumento di Livello enfiteustico, rinnovabile per ogni 
periodo di anni 29. onde resti in tal modo preservato alla Scuola il Dominio 
diretto della Casa, e riparata la Casa con l'occorente ristauro; 

Venier Zen Con. Ese. 

Zuanne Molin Con. Ese. 

Trata dall'autentico esistente in filza atti nel Mag.o Ecc. De Cons.i, et esec.i 
delle Leggi**. 


Quadro 
Individuante le Confraternite, Loro Beni, Ospizio, Rendite annue di detti beni, 
nattura, ed attuale impiego dell'Ospizio, il tutto di questo Capo Comune di 
Cittanova Avocato al Demanio sotto il cessato Dominio Francese?* 
A. Le confraternite, che esistevano, erano 
La Beata Vergine del Rosario 
Santa Lucia 
San Pietro 
San Antonio Abbate e 
L'Ospizio dei Padri 
B. La prima di queste Confraternite, non possedeva alcun ben stabile, ma 
solamente un livello di Ducati 12: annui il di cui capitale fu anche affrancato 
al cessato Demanio Francese. 
Le altre tre confraternite erano abinate e queste Possedevano 3: tre Campi in 
tutti di giornate otto: 8 circa d'arrar. Con olivi fruttiferi, Un orto, non che un 
fondo Bavetizio. 


33 IBIDEM, lib. n. 295. 


34 Archivio di Stato di Trieste, “R. Governo del Litorale (1814-1850), Atti generali, Fondi di 
Confraternite”, b. 696. 


276 D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, vol XXXI, 2001, p. 259-277 


Il primo di detti Campi, e nella Contrada detta delle Terre Nove, il secondo in 
Pianura, il terzo in loco detto Cellega; L'orto vicino la Capella di San Antonio; 
ed il fondo Baretivo in loco detto Carbonera. 

Del Sopresso Ospizio li seguenti Beni. 

Due orti contigui al Fabbricato dell'Ospizio stesso esistenti fuori le Porte di 
questa Città. 

Un Campo per fianco della Chiesa dell'Ospizio medesimo, con Olivi di gior- 
nate una circa d'anno 

Un Campo alla Rivarella, con pochi olivi fruttifferi di giornate due circa 

Un campo di Piantade con pochi olivi di giornate 5: cinque circa d'arrar al laco 
Un campo con pochi olivi di giornate una circa d'arrar a San Vidal 

Altro detto con pochi olivi di giornate una sopra il Vergal 

Un altro detto di giornate mezza; con pochi olivi nella contrada Vergal 

Altro detto di giornate 4: quatro piantato di viti et olivi non fruttifferi nella 
Contrada detta Sterpedin 

Altro Campo piantade di vitti di giornate d'arrar due posto nella Contrada Val 
di Marzo 

Due file di Piantade, con la loro terra d'arrar, consistente in una giornata nella 
Contrada Saini. 

Un fondo Boschivo e Baredoso di giornate quatro circa in loco detto sopra la 
Valle dell'Inferno, e tutti detti beni posti ed esistenti nel terit. Di questo Capo 
Comune. 

C. La Rendita di questi beni in complesso non compreso il fabbricato dell'Ospi- 
zio, che fu sempre innafitato a franchi 552: all'anno, che equivagliono a Fiorini 
213 : essendo stati affitati all'Asta Pubblica a Lorenzo Bozzatin, fino all'anno 
1821 :1l:---- 

D. Il locale dell'Ospizio è costruito di muro e malta, Copperto di coppi, in un 
piano ha sei Camare non molto spaziose, in luogo ad uso di granaio, ed un altro 
luogo inserviente ai bassi usi. 

In pian terreno una Cucina, un fuoco inserviente ad uso di tinello, ed una 
Camera inserviente ad uso di Botti e Vino. Ha pure contiguo a detta Cucina una 
Cisterna, ma questa è sconcertata. Questo fabbricato è disabitato, ne a servito 
fin ad ora ad alcun uso, essendo in massimo sconcerto risanando il Coperto, 
che in parte anche crolo, è cadente quando non si ancora ad un pronto ristauro. 


Cittanova 6: Agosto 1816:scr.o. firma illeggibile 
Rendite delle Confraternite di Cittanova (in lire)-1580-1750. 


D. BRHAN, Le confratemite di Cittanova, Atti, voL XXXI, 2001, p. 259-277 277 


SAZETAK: NOVIGRADSKE BRATOVSTINE - Povijest novigradskih 
bratov$tina tilekom novog vijeka moze se definirati kao dugoroòèni 
proces njihovog opadanja do njihovog konaénog ukinuéa za vrijeme 
francuske uprave Istre potetkom 19. st. Razlozi tih dinamika bili 
su raznoliki, od financijske slabosti do kroniénog pomanjkanja 
ljudskih resursa na novigradskom podruéju. Uloga bratovstina imala 
je i ekonomsku prirodu, odnosno te laiéke asocijacije vrsile su ulogu 
vaZne spone u opticaju financijskih sredstava na tlu Mletaèke Istre. 
Naravno u granicama  vlastitin  moguénosti uz napomenu na 
karitativni i religiozni karakter tih udruga. 

Zahvaljujuéi tim pretpostavkama bratovitine su uspjele zaobici, 
na svojevrstan naéin, i crkvenu i svjetovnu vlast. 

Novigradske bratovStine bile su refleks drustvene, ekonomske i 
socijalne situacijJe u gradu. Neki, dosada neobjavljeni povijesni izvori, 
omogudavaju nam praéenje dinamika takozvanih subalternih socijalnih 
grupa istarskog novovjekovlja unutar novigradskog mikrokozmosa. 


POVZETEK: BRATOVSCINE NOVIGRADA - V zgodovini novigra- 
Jskih bratov$èin, lahko oznatimo leta med 16. in 18. stoletfem kot 
dobo njihovega neizprosnega propada, kateremu so pripomogli 
razliéni razlogi. Istrske posvetne sole so bile ena najpomembnejsih 
stvarnosti v gospodarskem sistemu beneske pokrajine. Vloga takih 
dobrodelnih  ustanov je bila sicer gospodarskega znadaja, kajti 
premozenje in gotovina v njihovih rokah so igrali pomembno vlogo 
v kreditnem sistemu. Kljub temu pa ne moremo mimo verskega 
znaéaja teh ustanov, po zaslugi katerega so si uspele utrgati svoj 
prostor med posvetno in Casovno oblastjo. Novigrajska stvarnost je 
bila v tem Casu v stalnih tezavah, poskuSala je namreè vzpostaviti 
ravnotezija, ki so veljala pred 15. stoletfjem, in zato so bile njene 
bratovséine tudi ozdiv mestne skupnosti. Nekateri Se ne objavijeni 
viri o zgodovinskih dogodivsèinah teh ustanov prikazujejo nekaj 
izredno zanimivih aspektov o verskem in gospodarskem Zivljenju teh 
tako imenovanih stranskih skupin druzbe starega rezima Novigrada 
in njene Skofije. 


DI UNA RACCOLTA DI SOPRANNOMI CAPODISTRIANI 


LAURO DE CARLI CDU 81'373.2(497.4Capodistria) 
Sistiana (TS) Sintesi 
Novembre 2001 


Riassunto — Da una raccolta di soprannomi capodistriani, iniziata nel lontano 1970 e trascritta 
grazie al computer nel 1995, comprensiva di oltre tremila schede di soprannomi con i loro 
aneddoti, spiegazioni, individuazioni ecc., è stata sviscerata una serie di esempi relativi a quelli 
connessi con l' “andatura” dei titolari. Il loro interesse trascende il mero campo folcloristico 
caricaturale per assumere interessanti connotati linguistici. Sono disposti in ordine alfabetico nella 
medesima stesura per loro approntata per il dizionario in corso di preparazione per la stampa. 


Nell’ormai lontana primavera del ’70 iniziai quasi per gioco una raccolta 
di soprannomi capodistriani che nel volgere di un paio d’anni superarono il 
numero di 2300. Disponendomi a pubblicarli principiai con lo scrivere qualche 
pagina di premessa. Venendo a parlare del dialetto dovetti constatare che di 
esso è stato detto molto poco e il più delle volte male. Così le mie ricerche nel 
settore portarono alla pubblicazione di un libro a sé (Origine del dialetto veneto 
istriano con particolare riguardo alla posizione di Capodistria") che ottenne 
un lusinghiero giudizio positivo da parte del prof. G. B. Pellegrini, dell’ Uni- 
versità di Padova. Successivamente, dietro espresso invito del prof. Manlio 
Cortelazzo, pure dell’ Ateneo patavino, scrissi // veneto istriano’, seguito da 
uno studio svolto in collaborazione con Giuseppe Brancale dal titolo /stria — 
Dialetti e preistoria. In quest’ultimo lavoro si analizzano alla luce delle 
recenti ricerche i possibili parallelismi esistenti nella regione nordorientale 
d’Italia, tra la situazione del popolamento protostorico e le posteriori attesta- 
zioni dialettali neoromanze. 

Nel contempo la raccolta dei soprannomi continuò ad arricchirsi. Nel 1990 


! Trieste, 1976. 
? Pubblicato nella collana Guida ai dialetti veneti, vol. VII, Padova, 1985, p.91-125. 


3 Portato a termine nel 1986 ma che vide la stampa appena nel 1997. 


280 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 


grazie all’acquisto di un compiuter iniziai la trascrizione delle schede, che si 
concluse nel febbraio 1995 data in cui passai all’impaginazione definitiva, 
arricchita con l’inserimento dei cognomi, nomi, odonimi (dall’epoca venezia- 
na, francese, austriaca, italiana per giungere a quella attuale slovena, corredata 
da centinaia di illustrazioni versate nella grafica computerizzata ivi comprese 
le mappe delle calli con i nomi e soprannomi degli abitanti, ovviamente 
rispecchiante la situazione precedente all’esodo). 

Ne consegue che, ormai in dirittura finale, si profila un ponderoso volume 
di oltre 780 pagine dal titolo Caterina del Buso — Capodistria attraverso i 
soprannomi, che dopo 80 pagine di premessa in cui si presenta l’ambiente ed 
il dialetto capodistriano, contiene un dizionario con ben 5635 lemmi così 
suddivisi: 3492 soprannomi; 1035 cognomi; 449 toponimi; 365 rimandi; 173 
nomi; 129 pseudonimi. 

L’abbondanza del materiale ha consentito l’elaborazione di interessanti 
statistiche mai prima tentate e che per quanto riguarda il tppo enumera ben 2435 
soprannomi di persona, 597 di famiglia, seguiti in ordine decrescente da 
‘generici’, ‘popoli’, ‘società’, ‘categorie’, ‘mestiere’. La ripartizione dei so- 
prannomi secondo la causa ne vede 661 dovuti all’onomastica (patronimici, 
matronimici, da cognome, soprannome, nome, accrescitivi o diminutivi, ono- 
matopeici o assonanze, abbreviazioni); 1533 alla persona (carica, mestiere, 
azione fatta, parola detta, difetto di pronuncia, voce infantile, abbigliamento, 
figura, difetto fisico, qualità morali), infine 809 attribuibili al mondo esterno 
(personaggio, animale, vegetale, oggetto, cibo, toponimo). 

Qui vengono presentate a mo’ d’esempio alcune voci di detto dizionario 
estrapolate in quanto tutte connesse con il modo di incedere del personaggio. 
Essi sono disposti in ordine alfabetico come appunto in Caterina del buso. Al 
soprannome fa seguito una siglatura in tre lettere necessaria ai fini statistici che 
negli esempi sottoriportati ovviamente variano di poco, quasi tutti essendo 
segnati (PFD) ove la prima lettera è riferita al TIPO: P[ersona]; la seconda alla 
CAUSA: Fligura]; la terza all’ETIMO: Dlialetto]. Viene poi l’identificazione 
dell’individuo, la descrizione della causa che ha generato il soprannome, 
l’etimologia dello stesso (a volte molto interessante linguisticamente), le vi- 
cende storiche che lo hanno prodotto, riportando per esteso le fonti scritte 
nonché gli aneddoti raccolti dalla voce di testimoni viventi, ognuno con la 
peculiarità di espressioni che varia secondo l’età, il rione, la categoria. Vengo- 
no poi i rimandi ed i confronti con altri lemmi del dizionario. Terminata 
l’esposizione dei dati raccolti per Capodistria, seguono, ove riscontrati, i 


L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistrani, At, voll XXXI, 2001, p. 279-305 281 


raffronti con le altre città della sponda orientale dell’adriatico, da Grado a 
Spalato, spulciati dalle raccolte locali, collezionate credo nella loro quasi 
assoluta completezza. 

Alla fine sono riportati i riferimenti bibliografici, ovviamente limitati alla 
presente bisogna. 


Caminando coi soranomi caveresani 


Balansa (PFD), SEMI 1983, p. 235: Balansa era il nomignolo d'un 
capitano marittimo che camminava bilanciandosi a destra e a manca (sul 
"Tergeste" nel 1927); menzionato pure in SEMI 1981, p. 52. V. Capitano 
Balansa. 


Bati (Valentin Bati) (PFD), s.n. pers. de un Verzier, marangon, per via 
del caminar: a bateva i tachi per tera (inf. PIVA). 


Bèla-Riviera (la) (PFD), la maestra Percolt, grassa alta e di ossatura molto 
larga, con il suo incedere lento e solenne richiamava la figura dell'omonimo 
piroscafo a ruote (vapor a tàmbure, quindi largo di fianchi come lei) che faceva 
la concorrenza sulla rotta per Trieste alla “Navigazione Capodistriana”. Pure 
in AC92b, p. 4. 


Budèl-sensa-fondo (PFD), s.n. pers. di Pietro Gallo, due metri, secco ma 
robusto, e/ andava a l'orsa ('zoppicava' dal marin. orzare), mai sazio, mangiava 
per scommessa una casseta de pàssere frite, tre chili de bacalà, vinti tochi de 
pan e una granda terina de salata. Secondo altri 7 kg. di seppie. Capodistria 
era famosa per le sue processioni, per lo splendore dei suoi attrezzi tra i quali 
il maggiore di ogni scuola era detto el fanò: Piero Galo per scomesa a ga 
magnà un fanò pien de gnochi! settesento ghe n'à volù p'inpignirlo! Altra volta: 
Mi ve porto el fanò se me lo inpignì de sardele e dopo me le frisé. Ancora: Là 
dela Cògola co veva ostarìa Piero De-Laura, ora de marenda, una conpagnia 
ghe ofriva e lù a ga magnà 30 tripe, e drio, 60 paste creme de quele grande e 
dopo col deo a netava la guantiera. Francesco BABUDRI, che abitava a 
Capodistria, di certo a lui pensava quando nel volume All'insegna del buon 
gusto* scriveva: "Abbiamo in Istria mangiatori temibilissimi che a merenda 


4 Edito a Trieste nel 1931. 


282 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistrani, Atti, voll XXXI, 2001, p. 279-305 


fan piazza pulita di cento sardelle arroste per ognuno, come fossero un gingillo, 
e le accompagnano con una montagnola verde di insalata e con un bel botti- 
glione di vin duro [...] E non è raro il caso di gente che, pesatasi prima di mensa 
e pesatasi dopo, diede una differenza in più di 12 e 15 e 18 chilogrammi, 
costituiti d'altrettanto ben di Dio ingollato e beatamente insaccato nel riposti- 
glio della ventraia". Causa ed etimologia perfettamente inutili dopo tali descri- 
zioni. La sua morte sfociò nella leggenda come un tal campione certamente 
meritava. Si tramanda infatti che preparandosi un pranzo di nozze per oltre 
quaranta invitati, la cuoca presa dal gran daffare, lasciò bruciare il risotto: -A 
ga ciapà de fumo, no se pol a darghelo ala gente, butemolo via! -Butarlo via? 
xe proprio pecà! andè a ciamar Piero Galo. E Piero Galo lo ga magnà duto. 
A ga bivù. EI riso s'à sgionfà. E ga stiopà el stòmego. Che sia la verità non ha 
importanza veruna, la notizia fa parte dell'alone eroico che accompagnò 
Budel-sensa-fondo nella sua breve ma pantagruelica vita mortale. Pur senza 
dargli il soprannome lo ricorda anche MANZINI 1977, p. 25: E Piero Galo 
magro come pochi / che jera, come 'l solito, famà / una mastela, per Nadal, de 
gnochi / e radicio una brenta a ga magnà. A Pirano Budei e Buei, Buel a 
Cittanova, Buelo a Grado. 


Calca (Matìo Calca) (PAD), s.n. di persona non ben identificata. Un 
cortivan de Samarco, per via che a jera senpre in filagna, anca cola piova! 
Etimo evidente (la peggior cosa che si possa fare in campagna è di calpestare 
il terreno fangoso). 


Calca-ovi (PFD), s.n. pers. di Domenico Venturini. Per il suo incedere 
malfermo. Prima di appoggiare il piede per terra lo fermava esitando a pochi 
centimetri dal suolo (l'altezza di un uovo, appunto). Di lui c'è un'ampia 
descrizione in TOMIZZA 1984, p. 27 s., ove però, per una svista comprensibile 
per un capodistriano acquisito, l'Autore gli fa fare e/ giro dele carosse, mentre 
la dizione esatta è e/ giro dela Colona, da una colonna esistente ancora agli 
inizi del secolo (Giracarosse è toponimo oltre Giusterna, sotto Prové, verso 
Isola, come ben specificato in DECARLI 1991). Lo accompagnava l'insepara- 
bile cagnetta Binda (CONFERENZA CHERINI, p. 14). Calcaòvi è il sopran- 
nome con cui l'ultra ottuagenario venne conosciuto dall'ultima generazione, 
mentre gli anziani preferiscono ricordarlo come Mastrussa-ovi e dicono che 
già quand'era giovane aveva qualcosa nelle gambe che gli valsero l'attribuzione 
del termine Ganbe-de-pano. In una lettera scrittami dal maestro Visintini si 


L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodismani, Atti, voL XXXI, 2001, p. 279-305 283 


legge: "Io direi sapa ovi ma il termine classico è mastrussa vovi". Pure altri lo 
chiamarono "Sapa-ovi" (v.). 

Fracaòvi a Valle; Fracavovi a Cittanova; Calcabalini a Isola (forse va- 
riante di Cagabalini). 


Cali (PFD), compare nella lista PERCOLT e nel ROSAMANI. Negli anni 
'40 il soprannome era affibbiato al tipografo Simeoni che camminava con i 
tacchi evitando di gravare con il peso del corpo sulle piante dei piedi, come se 
questi fossero pieni di doloranti calli. Ma la realtà era ben diversa come lo 
sapevano i più anziani che avevano per lui coniato il soprannome di Tachéta 


(V.). 


Camoma (GFD), segnalato quale s.n. personale; ma probabilmente si 
tratta dell'epiteto generico dato a persona lenta specie nell'incedere. DORIA lo 
fa derivare dal veneziano caloma 'lunga fune". 


Capitano-balansa (PFD), secondo SEMI uno che comandava il piroscafo 
"Tergeste" nel 1927. Identificazione incerta in quanto il soprannome ben si 
addicerebbe a Tommaso Bolis (Caltran) che nel suo incedere bilanciava i 
movimenti del proprio corpo con quelli del grosso suo pancione che andava per 
conto suo; ma lui ebbe il comando appena nel 1930. Prima il piroscafo era agli 
ordini dei capitani Bartulovich (1925) Antonio Czar e Mezgetz. 


Conte-de-tòla (PFD), s.n. pers. di Nicolò Bernardis, per la rigidità del suo 
portamento. Pareva che'l véssi una tola (asse di legno) inpirada zo pel copin. 
A stava duro come un granatier tedesco che fa la guardia al càiser, anca co 'l 
andava in gita per le montagne. Era detto pure el Belomo, e Conte de legno. 
Persino la moglie, e solo a causa del vincolo coniugale, era chiamata la 
Contessa-tola. Cfr. Conte-tola. 

A Isola Maria de Legno. 


Còri (Maria Cori) (PAD), s.n. pers. dela Magnasorzi, sposada con 
Deponte, calegher ai Capussini. Perchè andava di fretta; ma il soprannome era 
già bell'e pronto dalla ben più nota Ména Cori (v.). 


2. (Ména Cori) (PAD), s.n. pers. di Filomena Deponte per la sua manìa di 
procedere sempre a passo velocissimo, quasi di corsa. Era pure chiamata La 


284 L DE CARII Di una raccolta di soprannomi capoistriani, Atti, voL XXXI, 2001, p. 279-305 


Coriera e Mena Ferata. Solo Cori si ha n PERCOLT, ROSAMANI, GRAVI- 
SI 1944 (quest'ultimo scrive Corri). 


Coriera (la) (PAD), altro s.n. pers. di Filomena Deponte. V. (Mena) Cori. 
PERLA ha: Deponte Nina la Corriera. 
Pure a Isola; a Rovigno Ucio de la Curiera Matteo Sabatti. 


Cul-de-ànera (PFD), s.n. pers. dato dai coetanei a Italo Marzari per 
qualche modo d'incedere poco ortodosso durante i giochi infantili. 


Dindolodon (PFD), s.n. pers. della nonna di G. Orbani che in una sua 
poesia intitolata "Le tre grazie" scrive: ...in mezo / più longa magra sicura, / 
mia nona / dita Dindolodon / per quel inceder / a prua de gondola. 


Galinéta-ferida (POD), s.n. pers. de /da Taca (Derin o Deponte?) sposa- 
da con Stradi, per via che la sotava un poco. Splendido esempio di fantasia 
popolare che accosta l'irregolare andatura della persona all'atteggiamento della 
galineta, uccello palustre che nidifica in terra e per distrarre l'attenzione di 
eventuali razziatori del nido si allontana fingendo di essere ferita. La voce non 
compare sul ROSAMANI, ma galineta dovrebbe corrispondere al 'piviere' 
(Squatàrola squatàrola) ovvero ad un 'rallide' (Gallinula chléropus), forse ad 
entrambe. 


Ganba-dura (PFD), s.n. pers. di tale Lucchina, impiegato. A stava in cale 
dei Careri, a caminava c'una ganba dura. 


Ganba-lèsta (PFD), s.n. pers. dell'orefice Vittorio Signoretto che era 
zoppo. Merita qui evidenziare l'astrusità dei soprannomi che nella loro forma- 
zione non ammettono regole. Il difetto fisico aiuta ma non necessariamente 
causa il soprannome. Se si è pronti a chiamare zoppo o gobbo chi non lo è (Rosa 
Sòta, Gobo-de-lòto), non è detto che tutti i gobbi o gli storpi venissero 
catalogati come tali. Importava pure molto l'atteggiamento dell'interessato al 
riguardo, come nel caso dell'orefice in questione che era il primo a evidenziare 
la sua infermità togliendo così il gusto dello scherno ai benpensanti. In pratica 
il soprannome in questo caso è stato coniato proprio dall'interessato medesimo 
che usava così presentarsi. Più volte lo intesi dire: "Largo fioi, ocio de séto che 
riva Ganba-lèsta! (V. Zampa). 


L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistnani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 285 


Gànbaro (POD), s.n. pers. di certo Carlo Zanetti vissuto a cavallo del 
secolo scorso. Pare che procedesse caminando di fianco. PUSTERLA 1890, 
scrive: "La chiesa di S.Pietro si trovava attigua alla casa di Carlo Zanetti detto 
Gàmbaro nella contrada Porta Rotta (S. Pietro)". Le liste VATOVA e GRAVI- 
SI 1944, portano Gambero evidenziando il fenomeno della antica centralizza- 
zione delle vocali atone (DECARLI 1985, 113, qa) che ha dato numerosi 
esempi (cagunbaro, parsuto, pantagana ecc.). Va ancora posto in evidenza che 
a Capodistria con la voce non si definivano i 'gamberi' che erano chiamati 
schile, bensì, anche se impropriamente i granchi. Ricordo a proposito che da 
piccolo trovai da obiettare: Ma come, se disi andar indrìo come i gànberi: ma 
se i ganberi no i va indrìo, lori i camina per tresso! . 

In Grado vecchia Gambarello (oggi Gamberelo); a Pirano Ganberela 
Petronio; a Portole Gambariel; a Parenzo Gambarara; a Pola nel 1349 Johan- 
nes q. Gamberi. Cfr. (i) Gamberi. 


Ganbe-de-pano (PFD), s.n. pers. di Beranech Giusto che fu maestro del 
maestro Visentini, quindi fine del secolo scorso. Riportato pure da GRAVISI 
e PERCOLT e PICI, seguito da ROSAMANI, scrive Gamba de pano. E' 
rimasto nell'uso dialettale (assieme a ganbe- de-sèleno) per definire qualsiasi 
persona lamenti acciacchi nelle gambe. Quando si pensi che il povero Beranech 
era pure noto come Sàpola-bàcoli si può congetturare la poca maestosità del 
suo incedere. Compare pure nella lista PERCOLT e da diversi attribuito a 
Domenico Venturini che però già a quei tempi era noto come Mastrussa-vovi 
(v.). 


Lo si ritrova tale e quale a Cherso. 


Ganbe-de-sèleno (QFD), attributo genericamente dato a chi aveva poca 
forza nelle gambe che pertanto erano accostate al 'gambo di sedano' (che in 
dialetto è femminile ganba). Mia madre era solita attribuirlo a mio fratello Nè/o 
che al ritorno dalle escursioni domenicali con la GEMM, lamentava gonfiore 
e stanchezza ai piedi. Così il nomignolo prese piede in famiglia ma non fuori. 

S.n. a Isola. Pure a Trieste (ROSAMANI alla voce Guane). 


Ganbe-dure (Cristina cole Ganbe-dure) (PFD), s.n. pers. di una non 
meglio cognominata. La doveva ‘ver calcossa intei zenoci, la li gaveva come 
blocai; la stava in cale dela Fornace tra Giovani Jè e Bruno Clai. 


286 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodisirani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 


Ganbèlo (PFD), s.n. pers. di tale Giovanni Cernivani che camminava un 
pò storto. Lo riporta GRAVISI, 44 (Gambello) e viene confermato da PIVA 
che oltre a darlo per un Cernivani - Daris, aggiunge che lo stesso era noto pure 
come Giovani Sipàrio (v.). 

Gambèl è cognome a Rovigno. 


Ganbòs (FCD), s.n. di una famiglia Totto ancor più nota con il diminutivo 
di Ganbusseti. Deriva per via materna dal cognome Gambos attestato a Capo- 
distria dalla più profonda antichità. Il Catasticum Histrie nomina all'anno 1203 
una Gempa moglie di Giovanni Gambos che lasciò una vigna in Gaselo ai frati 
di S. Nicolò. GRAVISI 1944, scrive Gamboz; introdotto da PICI in coda alla 
lettera ‘G’, ripreso dal ROSAMANI. 


2. (PCD), s.n. pers. di Sandrin Teresina, /a mujera de Broso Cocever. 
Certamente pure qui si tratta di derivazione da cognome materno. 


3. (PFD), da una annotazione del maestro Visintini: "Ho conosciuto con 
questo soprannome un tajapiera Derin (parente o fratello de Lussia Bronso) 
che aveva male a una gamba". In questo caso il difetto fisico prevale, anche se 
viene indubbiamente aiutato dall'esistenza del cognome, preso però in senso 
allusivo. 


Giacomina-la-cavala-de-Lìpissa (POD), altro s.n. di Antonietta Sau- 
Gallo (Meglio nota come /a Bum), perché, giovanetta, girava passeggiando 
altezzosa per Capodistria movendo la testa come la famosa puledra del circo 
(da annotazione di PIVA su una delle prime liste di soprannomi fatte circolare). 


Gondola (Bepi Gondola) (PFD), s.n. pers. di un Sartori che a veva la 
magnativa (negozio di commestibili) in Via Calogiorgio. Per il modo di 
camminare. AC92, p. 23, percorrendo la Via Calogiorgio: "Incontriamo per 
prima la magnativa di Bepi Gondondola (Giuseppe Sartori), proveniente da 
una nidiata di S fratelli, quasi tutti piccoli di statura, bersaglio dei buon temponi 
che per scherzo riuscivano a rifilargli monete false incolpandosi poi a vicenda". 


Jàcomo (far jacomo) (GFD), corrispondente dialettale del nome proprio 
Giacomo (Jacomo Pedegon), usato come espressione generica in frasi tipiche 
quali: Le ganbe me fa jacomo-jacomo (sono malferme); è voce onomatopeica 


L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodismani, Ati, vol XXX], 2001, p. 279-305 5 


richiamante il cigolìo di una ruota sbilenca (la frase è di ampia diffusione in 
molti luoghi d'Italia). Mi piace riportare una canzonetta antica capodistriana: 
Mite adoro birichina / perti vivo e stago in piè / del mio cuor ti son regina / 
la parona ti ti xe. / Co' te fulmino coi oci / co' te gusto col pensier/ me fajacomo 
i zenoci/tremo dutodel piasser!. SEMI 1983, p. 60: "46. Mastrussavovi (1928) 
- El mestro Menego a camina che par che a mastrussi i vovi; el mestro Justo, 
co a camina, par che a semeni in canpagna. Co i camina visin par che Justo 
sculassi Menego. E Martin, el bidelo a ghe cori drio, a fa el balo de l'ànera. - 
Mah, mi digo che a tuti tre le gambe le ghe fa Jacomo...". 


Ingajà (el) (PFD), s.n. pers. di un pescatore non identificato. Molto 
vecchio. Gli venne dato per il suo modo di camminare. Bisogna rifarsi al gergo 
marinaresco ove ingajà significa 'che tiene' 'che trova ostacoli' (L'arte [la rete] 
se ga ingajà sul fondi). Il BATTAGLIA alla voce "Ingaggiato, 6: marinaresco 
= imbrogliato, impigliato, non scorrevole (un cavo, una sagola ecc.) dal 
francese gage = pegno, garanzia". E/ Ingajà a caminava come se qualcossa lo 
tignissi indrìo, se el dovessi strassinar un cavo. Una parola del popolo: un 
quadro d'autore! Riportato dal VATOVA. 


Màncolo (PFD), s.n. pers. de Nicoleto Riosa, fardel de Pesta-péver, de 
Magna-malta e de Sandro dele Bandiere. A jera de mistier carpentier; ma no 
perché a fussi specialisà a far màncoli (castagnole), più che altro per via che 
a sotava un poco... a mancava cola ganba!. Detto pure Pìndolo, Picina e 
Trebes (v.). 


Manzo (Toni del Manzo) (PFD), s.n. pers. di Antonio Pobega, nativo di 
Pobeghi, a ga sposà la fia de Parovelusso e su fardel quela del Melon. No a 
veva manzi, ma a 'ndava pian, c'una pachea! come se a conpagnassi el manzo. 

A Pirano Manzo (Zecchin) e Manzeto; pure a Trieste (rione di Melara), 
Isola e Rovigno (fam. Benussi?). 


Mastrussa-ovi (PFD), s.n. pers. del notissimo Domenico Venturini, cul- 
tore di studi patri e tra l'altro autore della Guida 1906 qui spesso citata. 
Malfermo sulle gambe (sin da giovane) si avventurava nelle buone giornate a 
lunghissime passeggiate, spesso facendo e/ giro dela Colona (v.), aiutandosi 
con il bastone ed avendo un attimo di esitazione prima di porre il piede per 
terra, che ogni volta rimaneva sollevato dal suolo ad una distanza valutata nelle 


288 LU DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodismriani, At, vol XXXI, 2001, p. 279-305 


dimensioni di un comune uovo il quale nella fantasia popolare veniva poi 
perentoriamente schiacciato. Tra i più anziani era con voce più schiettamente 
vernacolare detto Mastrussa-vovi (tre volte in SEMI 1983); ma la prostesi di v- 
andò smarrita nella mia generazione. Ultimamente era più noto ai giovani con 
la variante Calca-ovi. Attestato pure come Sapa-ovi. Mentre di solito un nome, 
una volta imposto tende a fissarsi senza mutamenti che non siano le varianti 
fonetiche proprie del dialetto, qui ci troviamo eccezionalmente di fronte a 
varianti notevoli nella parte verbale che non pregiudicano peraltro il valore del 
messaggio che proprio con la presenza di tali varianti viene a primeggiare sul 
resto. SEMI, Istria Mia, p. 12: "Il dottor Longo, puntualissimo nella sua 
monumentale figura esculapica, che faceva il giro mattutino per le case degli 
ammalati: un vero cronometro locale, che aveva il suo concorrente in puntua- 
lità soltanto nel maestro Venturini, col fedelissimo bassotto, per il suo incedere 
molle e guardingo soprannominato Mastrussaovi". Vedi Jacomo. 
A Cittanova Fraca-vovi Biloslavo. 


Mèca (FYD), s.n. di una famiglia Deponte e poi per via materna pure di 
una Minca. Il nome ha il significato di pigro, lento soprattutto nel camminare: 
Con che meca che ti te movi... svéjite! Diffuso per l'Istria e nel Veneto (pure 
in friulano: meche), DORIA concorda con il ROSAMANI nel farlo derivare 
dalla frase "andare alla Mecca". GRAVISI 1944 lo dà per Deponte; PERLA 
scrive: Minca - la Meca; Pure in PERCOLT e ROSAMANI. Un jera scova- 
strade, Piero Meca murador, una Meca sposada col Brusà (Minca). Sulla CAD 
20.12.1910: Se dise che in ogni calle ghe sia Banche che ricevi depositi a lunga 
scadenza, tanto in oro che in carta. Se dise che el scovastrade Meca doverave 
incassarli a vista [chiara l'allusione ai 'depositi' di sterco]. Sul giornale £/ 
Pevere, Capodistria, 6 marzo 1912, p. 2: "Un'intervista coll'“Immaginifico” [il 
Podestà]: "...in ogni modo si colmeranno i vuoti? -Zerto, zerto, go dà ordine a 
Bones de andar con Meca a stropar i busi dele strade...". Circolava una 
filastrocca: La Cògola vendi pestaci / Bia Cransa vendi carbon / el marì dela 
Meca fa el marangon! o, secondo altra versione: i l'à messo in preson! Altra 
annotazione (Almerigogna?): "Il buon Meca (fiaccone) al quale i muletti 
cantavano la tiritera: E la Meca sporca in viso / la xe sporca de natura / Busan 
co' la gamba dura / lo volemo litratar!" AC92, p. 59 parlando del dedalo di 
calli che da Bossedraga va verso Santana menziona "/a magnativa dela Meca 
(Antonia Schipizza)". Vedi Angonia, Capeta, Gobo-de-loto. 

Pure a Pirano e Buie (Vardabasso). 


L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 289 


2. (Cale dela Meca) (TCD), così veniva più comunemente individuata la 
Calle San Leonardo (Bossedraga) perché vi abitava la famiglia più nota di tutti 
i Meca, la Meca per antonomasia che teneva una botteguccia di generi alimen- 
tari: In do' ti staghi? -In cale san Leonardo. -Che sarìa...? Mentre invece: 
Stago in cale dela Meca! non necessitava di ulteriori spiegazioni. 


Meleagris-gallopavo (PFL), s.n. pers. dato evidentemente da quei dela 
losa al maestro Jacuzzi per il modo di incedere pettoruto come il volatile dal 
roboante nome latino che in definitiva sostituiva la volgare parola dindio. 
Fascista ante-marcia, Sciarpa Littorio, Seniore della Milizia, alle adunate del 
sabato si presentava con la divisa più gallonata della città; ma contrariamente 
agli invidiosi colleghi malpensanti, al di fuori delle sue personali convinzioni 
politiche, rimase nella vita privata sempre molto modesto e per niente appro- 
fittatore. 


Orològio-de-muro (PFD), s.n. pers. di un Benedetti. La vecia Baretina, 
che la jera sgaja per remenar la zente, la ga messo sto soranome a un fio de 
Cencio Sutilo (no Nino, quel'altro) par via che co a tornava a casa, duro come 
un comato a caminava zinzolando de una parte a l'altra: -Arlo là! a va come 
un orologio de muro! Ela la intendeva un orologio a péndolo. 


Ovi-'ntel-cul (PFD), s.n. pers. di un Pesaro. Splendida pennellata poetica 
popolare per illustrare un modo di camminare. Neanche una commissione di 
insigni medici saprebbe meglio specificare le cause fisiche di impedimento 
ambulatoriale che affliggevano il malcapitato. 


Passi-curti (PFD), s.n. pers. di Elio Crevatin, meglio noto come Elio Sòto 
(v.). La variante ha il pregio di esprimere la sostanziale differenza tra un 
banalissimo e volgare zoppo e chi appena appena con il suo incedere denota 
una malcelata claudicanza, una vera pennellata di eufemismo popolare. 


Patata (PFD), il ben noto frutto della terra diede vari soprannomi. che qui 
si espongono in tre voci, secondo le cause che lo determinarono. Si trova in 
VATOVA. Cominciando con la presenza di protuberanze sul corpo (bernocco- 
li, lipomi): A/vise Patata i ghe diseva al fradel de Nicolò Piovan (Marin) che 
a veva una patata in testa. Be pi Patata, jera un Crota (Apollonio) che 'veva'na 
patata sul comio, a lavorava a bordo dei vapori. Piero Patata i ghe diseva a 


2% L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Ari, vol XXXI, 2001, p. 279-305 


Piero Pecenca, credo per una patata che a veva dosso. Rita Patata che la veva 
una patata sula ganassa la jera sposada con Vascon, i ghe diseva anca la 
Pelosa (v.). 


2. (PQD), s.n. pers. di Mario Romano, el fio de Romanela e de Roma 
Morasa. Sintomatico esempio di cosa può significare essere nati e cresciuti 
nella bella Bossedraga di un tempo. Era appena in grado di camminare che lo 
misero fuori dell'uscio di casa a sedere sul gradino di pietra in quella Androna 
San Biagio che benché chiusa godeva di un insolito andirivieni grazie all'attra- 
tiva commerciale esercitata da Lussia Bronso (v.). Come fu visto, il primo 
passante sbottò: Arlo là, Patata! L'ambiente bossedraghese raccolse la voce, 
che evidentemente non ‘chiamava nel deserto' e ne decretò l'immatricolazione 
a vita dell'inerme creatura. Il successo fu tale che persino la buona Roma, la 
madre, dovette rassegnarsi a chiamarlo Patata avendo constatato che il proprio 
figlio non rispondeva ormai al nome di Mario. Nella conversazione con lui era 
d'uso il solo Patata (Ciò Patata, ven qua...) mentre verso terzi si aggiungeva 
Mario Patata tanto per distinguerlo da altri. Sembra più che ovvio trovare un 
semplice Mario Patata nella Lista Aurora. V. Malola, Strassa. 


3. (PAD), s.n. pers. di un certo Pizzamei del Monte San Marco. Proba- 
bilmente a questo va riferito il s.n. che compare in VATOVA. Buoni informa- 
tori assicurano che il nome gli venne dato perché a caminava con tanta fiaca 
che pareva che no a vessi ganbe! E si può credere, perché questo libro insegna 
come le vie del soprannome siano infinite e associare una patata alla deambu- 
lazione è cosa improponibile solo in una mente logica, e non è questo il caso. 

Patata lo si ha in Grado vecia; Muggia (Rossetti e Rizzi); Isola dele Patate, 
Patati; Pirano Patata (Fonda, Petronio), Gigi Patata (Decarli); pure a Citta- 
nova e Buie (Benedetto Baissero, cultore del locale dialetto); Parenzo Andrea 
Patata; Orsera Patata (Bòico), Patatina (Pastossich); Valle Patata e Piero 
Patata; Medolino Maria Patata (Sironich). 


Pedegén (Jacomo Pedegon) (PFD), vecchia macchietta della Capodistria 
del primo Novecento. Un informatore assicura portasse il cognome Massimo 
(Su fardel veva do fie, Zelco ga sposà una Massima, come che i feva lori de 
cognome). Il soprannome fu causato dal suo strano modo di camminare: dopo 
posto il malfermo piede a terra lo calcava ben bene, per assicurarsi la solidità 
del suolo prima di procedere oltre e questo era ritenuto dal volgo il modo più 


L. DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capostistriani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 DI 


sicuro per lasciare le pèdeghe 'orme'. Per carneval a vendeva peverini, che ghe 
li passava la Scansìa, e i pescadori ghe li magnava duti prima de pagarli. Era 
talmente popolare che rimase il detto: Ti son come Jacomo Pedegon! Sulla 
Sveglia del Settembre 1980 tra le oblazioni: "-In memoria de facomo Pedegon, 
de Gigi Sofita e de Bucaleto, che entrano spesso nei nostri discorsi quando si 
parla della nostra cara Capodistria, da Nicoleto Deponte (Canuo) Dollari 10". 


Pésta-sòipe (PMD), si trova in VATOVA (scritto Pestasoipa poi corretto 
a matita la -e finale) e PERCOLT. Non identificato. Può trattarsi del sopranno- 
me pers. che ha dato origine al ramo dei Ceppi detti Sòipa (v.). Comunque non 
si può uscire dall'ambito dei Paolani in quanto sòi pa è la 'zolla'. Non è escluso 
che derivi dal modo di camminare dell'interessato. 

Cfr. ad Isola Pestacalcagni. 


Pìndolo (PFD), s.n. pers. di Nicolò Riosa, carpentiere, claudicante, detto 
pure Màncolo (v.). Co' a caminava a feva come quei orologi a pìndolo regolai 
mal (che se disi che i sòta) e invessi de far tic, toc, i fa ti-toc, ti-toc. Sul 
Marameo! 22.8.1941: "Per ferragosto abbiamo visto [...] La fia de Pìndolo, la 
buona Anita dalle lunghe chiome, assieme all'inseparabile Dina esibirsi con 
forzata sentimentalità in "Taverna' con una canzonetta in voga". 

Pìndulo a Cherso. 


Pénta-e-bati (PFD), s.n. pers. del tipografo Simeoni, amico del mestro 
Visintini. Abitava in Calle San Biagio, era detto pure Cali e Tacheta (v.). Dal 
modo di incedere: a meteva prima la ponta e po' se sintiva el s'ciac!. 

Solo Ponta a Parenzo. 


Quatro-ganbe (PFD), s.n. dato da GRAVISI 1944 come personale ma 
senza il consueto collegamento con il cognome. Evidentemente si trattava di 
qualcuno che per camminare si aiutava con due bastoni. 


Saltin (PVD), s.n. pers. di Mario Perini. Irrequieto, mai fermo, cammina- 
va ed improvvisamente spiccava un salto. Senpre a coreva, senpre a saltava: 
-Fassemo una gara! Fassemo una corsa! Quando la sua predisposizione venne 
imbrigliata nell'atletica, si allenava per il mezzofondo e venne detto pure 
Magna-chilometri. La vela n: 24 del poster porta il nome "Mario/Antonio 
Perini Saltin barca COME VOI”. Dato da GRA VISI 1944 e PERLA. Su VG 


22 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 


1.5.1991, 2, articolo sulla Semedella: "Alla festa don Gasperutti ha portato ai 
partecipanti il saluto dei canadesi: Antonio Perini (Figlio di Mario Perini detto 
Fuci e Saltin), Bruno Corrente (Scarlice) e moglie, Norma Favento (figlia della 
Babicia del Carbon), Italo Ceppi (Bensi)" e altri senza s.n. 

Saltini a Grado-vecia ed odierna; Saltusso a Pirano (Ravalico). 


Sapa-cali (PAD), s.n. pers. dato ad un Cincin (Tremul), non se ne conosce 
il motivo che può essere dovuto ad un particolar modo di incedere (o di 
ballare?). 


A Grado-vecia Zapapian. 


Sapa-òssi (PFD), scrive P. Almerigogna: "un vecchio maestro, poggia 
piano, con gli occhi pollini ai piedi". Sarei propenso a vedervi un errore del 
proto per Sapa-ovi (V.). 


Sapa-òvi (PFD), s.n. pers. di Domenico Venturini, per il suo incedere, 
variante del più comune Calca-ovi. Deriva da sapar 'zappare' nel senso 
figurato di ‘pestare con i piedi'. Oltre che in PERCOLT e ROSAMANI, lo 
troviamo così menzionato da MANZINI 1977, p. 26 e da M. VESNAVER in 
un articolo sul maestro apparso su VG 1.3.1993: "Lo chiamavamo impietosa- 
mente sapa-ovi per il suo infelice modo di camminare a causa di una infermità 
agli arti inferiori e ricevevamo in cambio irripetibili improperi, sottolineati dal 
rabbioso abbaiare della cagnetta Binda che lo accompagnava nelle sue quoti- 
diane passeggiate". Ma già su una CdD del 1911 (come riportato alla voce 
Manestrin) si accenna a Sventurini detto Zappaovi. 


Sàpola-bàcoli (PFD), s.n. pers. del maestro Beranech, meglio noto come 
Ganbe-de-pano (v.), per il suo incedere. Sapolar significa ‘pestare con i piedi' 
ma l'impatto (go ciapà una sapolada) è decisamente più tenue che non usando 
sapar. Dato da PIVA e confermato da altri. 


Sata (Checo Sata) (PFD), s.n. pers. di Francesco Steffè del ramo dei 
Ranela, un invalido di mestiere calzolaio, ultimamente in Calle San Vito. Sata 
'zampa' deriva da antica parola tedesca ed è voce diffusa in tutto il Veneto ed 
oltre; gli venne attribuita per il suo strascicato modo di incedere. Oltre agli arti 
inferiori, aveva gravi mancanze pure a quelli superiori per cui veniva detto pure 
el Sénfo (v.). Ai suoi tempi nascere era un grande rischio e sovente accadeva 


L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, voll XXXI, 2001, p. 279305 293 


che la “comare” estraesse il nascituro causandogli lesioni che lo marcavano per 
tutta la vita per cui la città abbondava di pòvari despussénti, come venivano 
chiamati con una bellissima voce dialettale calata direttamente dal latino: de ex 
potens 'che non può'. 


Scavassà-in-colonba (GFD), bella espressione marinaresca generica- 
mente usata nei riguardi delle persone handicappate nel camminare, paragona- 
te ad una barca con la chiglia rotta (se pur poco usato 'scavezzo in colomba' è 
pure toscano) ed incapaci di procedere diritti. 

A Isola Scavassa-coli, Scavassa-manegheti. 


Scépa (Licio Scopa) (PFI), s.n. pers. di Licio Burlini, datogli dagli amici 
peri suoi movimenti rigidi: a caminava duro come un manego de scova! Balar 
no parlemo, tanto co' jera balo in losa lu a gratava el violin! Il termine 
letterario 'scopa' indica la provenienza studentesca della fonte. Sul Marameo! 
5.1.1940, rubrica "Sotto l'egida di Capodistria" dal titolo "Notte di San Silve- 
stro": In Loggia si facevano 4 salti un pò mortali, accompagnati dall'arco di 
Licio "Scopa". [...] AI Merlo [osteria] Pacchietto e Balego un poco ciapai de 
fumo, suonava l'orchestra Giusto-Molo [Giusto Ranpin e Piero Molo]. AI 
Caffè Sportivo Toni Isolan e Ferodesopressar giocavano a scopa [...] Tubo e 
Strigo se la godevano un mondo e "trequarti". Nel nobile Caffè Piero il 
cromatico Toni si metteva daccordo con la banconiera per cromarle... le 
unghie. In piazza la GEMM si sfogava accendendo fiammiferi. Chichin dei 
nostri aveva organizzato una gita sul Taiano per accendervi i fuochi di mezza- 
notte, ma visto il tempo, aveva detto "fioi restemo a casa". L'articolo prosegue 
citando ancora Zotatera (Fotatera?) e Mario Romanetta. 


Sérca-fliche (PFD), s.n. pers. de Santo Canùo (Deponte), perché cammi- 
nava con lo sguardo volto verso terra e dindolando un poco il capo a ritta e a 
manca, come se cercasse qualcosa per terra. Fliche, di ampia diffusione nel 
Veneto, sono le monete in genere, una fZica (v. per l'etimologia) era il ventino 
per antonomasia. 


Sète-tachi (FOD), benché GRAVISI 1944 lo dia come personale (Sette- 
tachi), si tratta di un'intera famiglia Lonzar. Lo troviamo pure in PERCOLT. 
L'origine è incerta benché si possano confrontare due versioni, una di P. 
Almerigogna: "Sàtana Sete-tachi conosciutissimo in città nei tempi andati - 


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ripetitòr de latin a tanti ragazzi che frequentavano il Ginnasio, il quale aveva 
un curioso modo di camminare, col saltin, da cui setetachi nomignolo che era 
lo spasso dei fioi e anche degli anziani. Persino don Marchiò si divertiva a 
molestarlo allorché durante la messa a S. Basso del mattino, nel volgersi verso 
di lui per il sacramentale Domine vobiscum, mostrava sette dita anzichè le 
palme. Il buon Sàtana abbandonava la messa; ma presto si rappacificavano". 
L'episodio è confermato da altro informatore: Chin Setetachi, fardel de Nina, 
a studiava per prete (i ghe diseva anca el Prete-mancà). Don Marchio ala 
messa del Dominosubiscum ghe mostra sete dei. Setetachi se alsa, ghe fa un 
bruto moto cole man, ghe rispondi: 'ècun spìrito tùo' e a va via. Altra volta un 
nénsolo ghe cava el batocio dela canpanela e Setetachi cola boca: Dindin! 
dindin! A vigniva invità a nosse indove che a feva i descorsi de ocasion e a 
diseva poesie. Di una seconda versione sulla nascita del soprannome fa cenno 
SEMI 1959,11: "Settetacchi, un originale che dava in escandescenze all'udir 
profferire il fatidico numero (Pare avesse preso sette pedate dalla sua bella in 
un momento di collera: per cui aveva dichiarato guerra all'istituto del matrimo- 
nio)." Ancora per SEMI 1993a, p. 18: "un popolano così soprannominato 
perché non poteva tollerare il numero sette". Nello stesso volume, in nota a p. 
12 Semi afferma di aver scritto un articolo su "Settetachi" nel Piccolo della 
Sera del 7-1-1929 ma in quel numero e nei giorni vicini io non l'ho trovato. 
Altro informatore: Sete-tachi, fradel de Nina (puta vecia) inpiegato in tribunal, 
el alcol no ga inpromesso [!] de 'ndar avanti e alora a navegava in quel modo 
là... consulensa per dimande e cussì via. Su sorela, siora Nina Setetachi jera 
una brava sarta ma no la scominsiava el lavor se no la vedeva sula piana dela 
machina de cùser, el quarto de vin. Di Chin (Francesco) sulla Sveglia, 
settembre 1981. V. Gobo-de- loto, Scardobola. 


Signorina (PFD), s.n. pers. di certo Minghinelli, che aveva movenze da 
effeminato. 

Pure ad Isola; Buie (Barbo); Cittanova: Signorina Olga (Giovanni Sta- 
nich); Dignano Signureina (un Giacometti 'effeminato'). 


Sòta (Rosa Sota) (PFD), s.n. pers. di Rosa Deponte in Cociani (Fotatera). 
La jera sorela de Toni Galina, molie de Giovani Pansa, mare de Bepi Fota e 
Nino Balota. Non era veramente zoppa, procedeva come lo fa il portatore di 
una lussazione all'anca; il particolare che più mi colpiva era il flebile lamento 
che accompagnava ogni appoggio sulla gamba malata: "Mmmm! mmmm!" Mia 


L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 295 


mare, Nineta Ranpina ga dimandà: Diseme Rosa, perché ve lamenté a ogni 
passo? -Cussì! -Ma ve diol? - No, fasso cussì, per far!. Dato da PICI, SEMI 
1983. MANZINI, 1977, p. 25 la ricorda in una delle sue poesie: Pò Rosa sota 
in Brolo col careto, / silele, fruti e... mosche no mancava. Sulla Sveglia S. 
Nazario, 1979, poesia "Un ricordo" di Maria Ceron, tutta su Rosa Sota e /a sua 
baraca sul canton del Brolo. In uno dei suoi articoli sulla Sveglia Maruci 
(Vascon) Capeta (v.) afferma che la cale de Rosa sota xe le colonne d'Ercole 
de Bossedraga. Rimasta indelebilmente nei miei ricordi perché fu la prima 
persona a darmi del Signore. Avevo non più di dodici anni e incrociandola in 
Brolo mi rivolse un: -Bongiorno Signor Decarli! che mi fece correre a casa 
stravolto a riferirlo alla mamma. Ancora su di lei un aneddoto, credo inedito, 
che circolava appena finita la guerra. I Drusi avevano tappezzato letteralmen- 
te i muri della città (e dell'intera Istria) di ritratti del gran Duce Tito usando 
uno stampo di cartone forato e vernice. Lo stampo era opera del pittore 
concittadino Oreste Totto ed artisticamente era un ritratto davvero notevole. 
Peccato che i soliti ignoti, non comprendendo il sommo valore dell'arte si 
dessero da fare nottetempo per imbrattare con escrementi il bel viso accati- 
vante del Maresciallo. Ogni Tito una merda! La polizia furibonda, era alla 
ricerca dei Fascisti ed una mattina occhi vigili notano una donnina attraver- 
sare Campo Sant'Andrea a Bossedraga e dirigersi con un vaso in mano verso 
il porto. Era Rosa Sota che puntuale come ogni alba che si rispetti, andava 
a svodar el bucal oltra el mol dei Piranesi (per la carenza dei servizi igienici 
in città vedi alla voce Caghinaqua). -Vemo ciapà chi sporca nostro Marasia- 
lo! -No Sior! mi no go fato gnente! - Confessa! ara qua! ti ga anca penel! e così 
dicendo il tutore dell'ordine costituito afferrò lo scovolo agitandolo sotto il 
naso della sovversiva. 


Sòta-Baréta (la) (PFD), s.n. pers. di una Sauro che era zoppa. Era sorella 
(o zia?) del martire Nazario Sauro (al secolo Jajo Bareta), mare de Tabadà 
(Vascon) che jera nonsolo prima de Pésaro, la stava a Portisolana. La mare 
de Lauro Nàùiber, el sarto, de fia la veva i cavei longhi drio la schena e oni 
matina la 'ndava a petinarseli dela Sota Bareta perché la finestra dela sua 
camera la dava sora un orto e no i voleva che i cavei i finissi intel radicio. 


Sotaciòla (PFD), s.n. di pers. non identificata. Si trova in PICI (non in 
PERCOLT). Così scritto parrebbe un generico derivato da soto ‘zoppo’; viene 
però in aiuto la lista Vatova che riporta alla lettera ‘C° una Ciola (Zotta) (v.), 
dunque un ipocoristico di non si sa quale nome. 


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Sòta-Vanta (la) (PFD), nella lista PERCOLT sta scritto: Vanta (Zotta). 
Non meglio identificata. 


Sòto (Berto Soto) (PFD), s.n. pers. di Umberto Derin(dito anca Sinigalia) 
perché na volta a s'à roto la ganba e a caminava mal. El nome ga continuà 
anca dopo che a se ga guarì. 


2. (Elio Soto) (PFD), s.n. pers. di Elio Crevatin, sarto, fradel de Caifa, i 
ghe diseva anca Elio el Sarto e Passi-curti (v.). L'infermità non lo distoglieva 
dall'essere uno dei più accaniti buontemponi della Sorca. V. (Piero) Biga. 


3. (V) per uno storico vedi pure Zotto. 


Sòto-dela-bérsa (el) (PCD), s.n. pers. di Nesarieto Stradi dei Borsi (v.) i 
ghe diseva anca Te-vèrzo. Era zoppo; la 'borsa' fa parte del s.n. di famiglia. V. 
(Piero dela) Ia. 


Sòto-Galòp (PXX), s.n. pers. di uno zoppo che s'incontrava fuori le porte 
della Muda a consigliare questo o quell'avvocato ai contadini che venivano in 
città per le loro liti giudiziarie (AC CONFERENZA, p.15). Forse dall'attributo 
‘galoppino' o dal cognome Galopin. A Pola nel 1381 Dominicus Coto preco et 
nuncius Communis Pole; nel 1429 un Martinus Zoto (AMSI 1958, p.102) e nel 
1454 Vincentius f. q. Martini Zoto vicinus ville Galixani. 

A Grado-vecia Zotto (Zoppo); Sota, Soto a Isola; Dela-sota a Pirano; 
Umago Toni Zoto (Braico); Zota a Cherso. 


Strissa-mèrda (PFD), s.n. pers. di un Padovan, il cui incedere stentato per 
le calli cittadine rammentava le movenze del malcapitato che, avendo calpesta- 
to impasti maleodoranti, cerca di toglierli dalle proprie suole con continui 
sfregamenti sulle /astre de masegno rimaste incontaminate. Dato da PER- 
COLT. Sulla CdD, 25.4.1911: Se dise che nel Vespasiano dei Carmini se 
podaria balar el patinè e che Strissa Me..., quel dei gineproni, el sia el maestro 
del balo. I figli ereditarono il s.n. Strissa, abbreviatura-mascheramento abba- 
stanza frequente (Caga-baleBale, Caga-luminiLumin, ecc.). 

A Rovigno Strréissa-mierda (Rocco). 


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Tacheta, -i (PFD), s.n. di varia ed incerta attribuzione, a volte appare più 
di famiglia che personale. Pure l'origine è bivalente potendo nei casi noti 
derivare sia da 'tacco' che da 'tacca'. Inoltre a complicare la situazione la vocale 
finale non indica singolare o plurale, infatti abbiamo i Tacheta della famiglia 
Angelini, contro Nino, Gigi e Berto Tacheti, fratelli D'Agostini. PERCOLT 
scrive Tacheti. A questi da aggiungere: Tacheta i ghe diseva a una Pìchena che 
veva una voja sula ganassa. Ed ancora: Romeo Tacheta jera el tipografo 
Simeoni, dito anca Cali. No a gaveva cali: co' a jera melitar in Galissia, de 
guardia a xe tornà in trincea coi piei congelai. I ghe ga dito de massagiarseli 
cola neve, ma lu che a jera un bastian contrario, a ga butà sora aqua calda e 
a se li ga rovinai per senpre. A caminava duto coi tachi, per questo i ghe diseva 
Tacheta! La spiegazione però cozza contro altra fonte: in una breve nota 
Visintini scrive: "Tacheta, veniva così chiamato lo studente Simeoni affetto da 
vistosa 'alopecia' per cui si suicidò sparandosi un colpo al cuore; sembra che 
prima abbia indossato una camicia bianca di seta". 

A Grado Tachiti; Isola Tacheti; Cittanova Tachela (Maier); Cherso Tache- 
to. 


Ténte-in-bén (la) (PFD), così veniva chiamata una slava calata nel 1945 
e messa a dirigere la Cooperativa dei pescatori. Persona istruita, aveva l'inca- 
rico di inquadrare nei più rigorosi canoni marxisti un'organizzazione sospettata 
di deviazionismo borghese in quanto sorta e fiorente sotto il bieco fascismo. 
Era una bella donna che procedeva con andatura un po' superba, (come se la se 
tignissi sul'tentinbon'), donde l'epiteto. I pescatori riferendosi a lei la chiama- 
vano usualmente /a Fémena (v.). ROSAMANI riporta il termine marinaresco 
tebén, tientinbén 'cavi a fianco delle scale per sostenersi meglio". 


Tratanèla (PFD), s.n. pers. di un tal Hausner "figlio naturale di una 
inserviente austriaca". Nonostante la notorietà della persona non è stato possi- 
bile dargli un nome di battesimo. Era un pòvaro despussente (dal latino 
de-ex-potens ‘impotente') noto perché addetto ad un lavoro saltuario come 
bigliettaio al cinema Bonin, ove si trovava in buona compagnia con Canana e 
Menci, pure loro invero poco aitanti. Ma la bontà dei proprietari, specie della 
"Signorina Bonin" suppliva in questo modo alle carenze assistenziali pubbli- 
che. Aggiunto da PICI alla lista PERCOLT e ripreso dal ROSAMANI. AC92, 
p- 37 scrive: "Tratanela il cui soprannome è già una qualificazione". Il sopran- 
nome gli derivava dal suo incedere "a mezza nave" come fanno le barche dedite 


298 L DE CARI Di una raccolta di soprannomi capodistriani Att, voL XXXI, 2001, p. 279-305 


alla pesca con la tartana che procedono di fianco; il diminutivo fu suggerito 
dalla pochezza della sua persona. V. Canana. 
A Isola Trata. 


Valéncia (PFV), s.n. pers. di Pietro D'Alvise, meridionale, sarto, claudi- 
cante. Co' a caminava pareva che a stessi balando "Valencia", la canson 
spagnola che jera de moda. Gnanca quei che bala el tango cola calada no i se 
moveva cussì ben! PERLA lo dà come Maier, forse confuso col sarto Pissoto 
che pure zoppicava. 

Un de Valenga figura tra i nobili di Pola nel XIV secolo. 


Vaporéto (PFD), s.n. pers. dell'avvocato Giovanni Lonzar, poi trasmesso 
al figlio Benéto, professore e storico benemerito. Secondo la dizione antica il 
s.n. prese inizio come Baporeto (alla stregua di bolpe, banpa, ecc.); ma già 
negli anni Trenta, sempre più piede prese la pronuncia toscana (reazione al 
betacismo). Comunque PERCOLT lo dà alla lettera 'B' (Baporeto) e PICI lo 
passa alla 'V' (Vaporeto), dato così pure da GRAVISI 1944, ROSAMANI, 
PERLA. 

La causa è ben nota ed è dovuta al modo di camminare spedito: senpre col 
spagnoleto inpissà che pareva proprio un vapor che fila via drito portandose 
drio el fumo del camin. Una caricatura molto eloquente apparve sul Marameo! 
15.3.1935. Riproposta sulla Sveglia Natale 1990, 15 e da AC92b, p. 5 che la 
accompagna con la spiegazione: "Notabile l'avv. Giovanni Lonza |...] dall'an- 
datura tanto caratteristica da attirarsi il soprannome di Vaporetto avvalorato dal 
fumo che, accanito fumatore, si lasciava dietro". SEMI 1983, p. 300: " Vapore- 
to: nomignolo dell'avv. Giovanni Lonza, capo del Partito Popolare, per il suo 
modo di camminare diritto, difilato. Il paolano Checo Bussa diceva: "a fila 
come un vaporeto". Sul Marameo! 17.3.1939, "Il Fante di Picche" fa un 
reportage su "I grandi divertimenti cittadini - Il passeggio serale ovvero le 
grandi manifestazioni di marcia". Alla fine parla del "solitario ma velocissimo 
vaporetto che tra nubi di fumo sogna i circuiti di Monza e Indianapolis". Questa 
citazione forse allude già al figlio che oltre ad aver ereditato il soprannome, dal 
padre prese e migliorò sia l'andatura che l'accanimento al fumo. Difatti vedia- 
mo sulla Sveglia Pasqua 1987, 13, un articolo sulla Terza Liceo 1937 ove si 
accenna a "l'incedere serioso del prof. Lonza (Vaporeto)". A Vaporeto, 
l'avocato, ghe piaseva contar storiele de vita caveresana, me sovien quela de 
una frase dita dala Ganbini de Calogenia, la sia de Assunta, che la sercava de 


L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 299 


parlar in cìchera e i la ga sintida a dir: -Grembiuliamo la strada! per no 
doperar parole come 'traversa' che ga sai de ordenàrio, de dialetàs. Innume- 
revoli le storie che si possono dire su Vaporeto Junior, noto a più generazioni 
di studenti per la ferrea disciplina (per non dire terrore) che imponeva durante 
le lezioni, roba neppur immaginabile ai giorni nostri. 

Pure TOMIZZA in un suo romanzo lo descrive, senza darne il sopranno- 
me, ma chiaramente identificabile. Per parte mia un solo ricordo: 1947, Terza 
Liceo. Ora di filosofia dopo l'intervallo di mezza mattina. Inverno freddo, tutti 
hanno divorato la merenda in classe. Vaporeto più arrabbiato del solito scruta 
trai banchi onde scegliere con cura la vittima: -Chi vediamo oggi ? Vediamo... 
vediamo... L'intera classe incollata con la schiena sui banchi conscia che un 
minimo movimento potrebbe far cadere la spada sopra l'incauto. Unici a esser 
rassicurati da tanta quiete una coppia di topolini che fuoruscita da qualche buco 
si mette a scorazzare per la classe alla ricerca delle briciole cadute. Ognuno, 
pur nell'assoluta immobilità del corpo avverte che lo sguardo dei compagni è 
teso a seguire qualcosa. In breve tutta la classe segue con occhiate da strabico 
le peregrinazioni della coppia. Mio zorman Pino Ranpin, sente un topolino 
avventurarsi lungo la sua scarpa, si china con la mano per scacciarlo, ma 
l'incauto si sentiva talmente sicuro che si è lasciato prendere. Sbigottimento 
indescrivibile di Vaporeto che assiste ad una defenestrazione di topo vivo 
senza profferire verbo. Credo che come misura del livello di disciplina raggiun- 
to sia sufficientemente indicativo. Ma e/ professor Vaporeto, che nella vita 
privata era incredibilmente disponibile e sociale, era pure noto per le sue doti 
di sarcasmo e per le burle fatte in gioventù, la più famosa delle quali fu la 
macchinazione operata assieme a Edi Falisca (il futuro don Marzari) e Carlo 
Krainz (el Mago): trovata una vecchia pergamena scrissero imitando una 
scrittura secentesca una descrizione monca del Duomo ove si poteva leggere, 
dopo un riferimento al vescovo Pietro Morari che serviva a porre una data 
(1630), la frase: "E parlando degli altari che in detta nostra Chiesa miransi euui 
quello lateral di sinistra adorno di una dipintura di mano del Carpatio depentor 
Justinopolitano cue uedonsi le stragi dell'Erode..." Resa chimicamente arcaica, 
la pagina fu portata al museo ove il direttore Laiss/Alisi decise che sì, che 
finalmente era dimostrata la capodistrianità del grande Carpaccio e che biso- 
gnava dare al mondo la novella a disdoro dei malpensanti che lo volevano 
veneziano. 

Il Professor Semi inviò un articolo al Corriere della Sera che pubblicò la 
ghiotta notizia. Resisi conto del subbuglio creato, i tre gaglioffi contriti si 


300 L DE CARLI Di una raccolta di soprannomi capodistrani, Ati, voL XXXI, 2001, p. 279-305 


recarono da Laiss a confessare l'impudenza commessa. Il Direttore la prese 
bene e volle conservare 'l'originale' a ricordo (io lavoro sulla fotocopia di una 
prova del Vaporeto). Chi ebbe i danni maggiori fu il prof. Semi che dovette 
cessare la sua collaborazione con l'importante foglio milanese di cui era 
corrispondente. Ma la cosa non terminò qui. Subito fu fatta una canzonetta, 
musicata da Cicerin, la cui prima strofa (parole del maestro Zennaro) diceva: 
"Una carta del Seicento / ingiallita col limone / le più incredule persone / in 
delirio fece andar" ed il ritornello era: "Carpaccio, Carpaccio / Tu prendi bene 
al laccio / Carpaccio, Carpaccio / Hai! quanta ilarità!" Sul Marameo! 19.7.1929 
una lunga corrispondenza a firma di "Uno dei molti, per non dir tutti, burlati" 
narra la vicenda e la commenta con ben 21 quartine scorrevoli. La penultima 
recita: "E il genio di Garetta / ci diè una canzonetta / dal ritmo sbarazzin, / 
pianista: Cicerin." A farmi il nome dello Zennaro fu invece il maestro Martissa, 
ossia il medesimo Cicerin. Tra le Carte Carlon è conservata infine una lirica 
dattiloscritta (ignoro se mai pubblicata) indirizzata "A colui che con versi 
insipidi tentò salvar capra e cavoli sul troppo indulgente Marameo". Dai versi 
si arguisce chiaramente che l'articolo citato viene attribuito al Prof. Semi. 
Stralciamo alcuni versi (a parlare è il campanile): Dan - "Dirò che t'han 
cacciato / (senza volerti male) / da un celebre giornale / perché t'han corbellato 
- Din / Don - Dirò che han cantato / da Sandro 'Alle Bandiere' / di te a perdifiato 
/ quasi tutte le sere - Dan / Din - Or vuoi, modestia a parte, / nascondere con 
arte / con certi versi insipidi / la semi - infermità - Don". Come si legge, il buon 
gusto venne ampiamente superato tingendosi di un livore poco plausibile; ma 
questi strascichi sono prerogativa di ogni satira in ogni comunità. Per finire un 
piccolo aneddoto sulla causticità degli interventi del nostro Vaporeto. Nel 
dopoguerra (i primi anni, in quanto l'epurazione quali nemici del popolo dei più 
noti professori dal Liceo risale al 1948) venne da Lubiana un noto studioso ad 
ispezionare la realtà cittadina. Accompagnato in giro per la città da Vaporeto 
nella sua veste di direttore del civico museo, alla vista del battistero del 
Carmine andò in visibilio nel constatarne la pianta circolare, 'analoga ai primi 
templi protoslavi'; giunti alla Rotonda, nei pressi della mitica Caterina del 
Buso, ricalcò ancor più la dose affermando che la forma è tipicamente proto- 
slava come tutti i templi circolari esistenti. Vaporeto che, come suo solito, 
aveva ascoltato in assoluto silenzio, intervenne con un lapidario: La me scusi, 
professor, ma alora anca el Panteon de Roma? L'altro, freddato, cambiò subito 
discorso. V. Bonbeta, Canana, (Bruno) Senpio. 

A Pirano Vaporeto (fam. Rosso); Pola Vaporeto (Marini, un confidente 


L DE CARLL Di una raccolta di soprannomi capodistrani, Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 301 


della polizia che fece arrestare il bandito Colarich); Cherso Vapor, Vaporeto; 
Lussingrando i Vaporeti (Penso, due sorelle sempre di corsa). 


Zampa (PFI), con tale nome, in una strofa di Ario il Tafano che passa in 
rassegna gli orologiai (v. Moca), viene indicato l'orefice Signoretto, claudican- 
te. Non era il suo soprannome usuale anche perché lui era il primo a burlarsi 
chiamandosi Ganba-lesta (v.). Ho preferito riportarlo con la -mp- anziché 
Zanpa, anche perché la voce è letteraria (in dialetto si direbbe Sara con esse 
sorda come pertiene alla corrispondente zeta del toscano 'zampa'. 

Soprannome a Isola. 


Zoppa (la) (PFIZ), una Laura Del Bello detta la Zoppa visse nel XVI 
secolo (PUSTERLA). Ovviamente la voce dialettale corrispondente, oggi è /a 
sòta ma allora certamente era in pieno uso l'interdentale e pertanto sarà stata 
pronunciata la sòra. 


Zoppo (PFIZ), s.n. pers. storico di un Pietro Baseggio vissuto nei primi 
anni dell'Ottocento e che appare nell'albero genealogico dei Baseggio di Capo- 
distria pubblicato dal PUSTERLA, con la dicitura "Pietro detto il Zoppo", 
veramente infelice traduzione di e/ Soto. Cfr. Zotto. 


Zotto (Del Zotto) (CZ), antica famiglia (PUSTERLA). Martin Zoto di 
Porta Pretorio paga le Appontature nel 1426. 


2. (il Zotto) (PFDZ), s.n. pers. storico di Aurelio Vergerio, nipote del 
vescovo Pier Paolo, sia perché zoppicante, sia perché balordo. Ne scrive 
TOMIZZA 1984: "'E una gran crudeltà che né il Zotto né il dretto mi scriva" 
(p. 405). "-Chi è quel 'Zotto del cervello' di cui Pier Paolo parla in una lettera? 
- se parla de mi perché io ero zotto de un piede et son anchora un poco” (p. 
415). V. Cicio. 


3. (PFD), s.n. di una femmina (!) abitante a Sanpieri, dato da VATOVA 
FV e riconfermato nella solita lista. V. Soto. 


302 L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodismiani, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 279-305 


BIBLIOGRAFIA 


AC92 - Aldo Cherini, Andar per botteghe ovvero se l'usar inutilmente termini esotici non ci rimordese 
SHOPPING CAPODISTRIANO, Autoedizione, Trieste, 1992. 


AC92b - Aldo CHERINI, // giardino fiorito - Galleria di notabili, tipi ameni e macchiette nella nobile città 
di Capodistria, Autoedizione, Trieste, 1992. 


AC CONFERENZA - Aldo CHERINI, testo dattiloscritto di una conferenza tenuta a Trieste. 


Catasticum Histrie - Francesco BABUDRI, “Catasticum Histric - Regesto di documenti riguardanti i beni 
di S.Nicolò del Lido di Venezia”, Atti e Memorie della Socictà istriana di archeologia e storia patria 
(=AMSI), vol. XXIV (1909), p. 317-368. 


CdD - La coda del Diavolo di Trieste, Giornale politico trisettimanale, Trieste, 1910. 


DECARLI 1985 - Lauro DECARLI, “Il veneto istriano”, in Guida ai dialetti veneti, a cura di Manlio 
Cortelazzo", vol. VII, Padova, 1985, p.91-125. 


DECARLI 1991 - Lauro DECARLI, ‘Toponimi di mare dei pescatori capodistriani”, in AMSI , vol. XCI 
(1991), p. 228-259. 


DORIA - Mario DORIA, Grande dizionario del dialetto triestino - storico etimologico fraseologico - con la 


collaborazione di Claudio Noliani, Trieste, 1987. 


GRAVISI 1944 - Giannandrea GRAVISI, “Soprannomi capodistriani (con un'appendice)”, Capodistria 
febbraio 1944, dattiloscritto inedito. 


MARAMEO! - Marameo!, giornale politico satirico pupazzettato, Trieste, 1913-41. 
MANZINI 1977 - Giulio DE MANZINI, Vévimo un logo, Treviso, 1977. 
PERCOLT - Carlo PERCOLT, lista dattiloscritta inedita di soprannomi capodistriani, Capodistria, 1925 c.a. 


PERLA - Pietro ZETTO detto PERLA, lista manoscritta di soprannomi capodistriani, Muggia, 1972. 


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PUSTERLA - Gedeone PUSTERLA (Andrea TOMASICH), scritti vari riguardanti Capodistria, Capodistria, 
anni 1886-91. 


PICI - Anonimo {ma Lionello PELLASCHIER detto Nelo PICI), Soprannomi capodistriani secondo 


l'usanza veneta, Capodistria, 1955. 
PIVA - Nicolò PESARO, prezioso informatore. 
ROSAMANI - Enrico ROSAMANI, Vocabolario giuliano, Bologna, 1958, rist. anast. Trieste, 1990. 
SEMI 1959 - Francesco SEMI, /stria mia - Racconti di ieri e d'oggi, Venezia, 1959. 


SEMI 1981 - Francesco SEMI, Ciacole istriane e triestine raccolte tra il 1926 e il 1939 e registrate dopo il 
1976, Ravenna, 1981. 


SEMI 1983 - Francesco SEMI, £/ parlar s'ceto e neto de Capodistria - Testi antichi e moderni - Glossario 


- Itinerario grafico di Nello Pacchietto - Documentazione fotografica, Treviso, 1983. 
SEMI 1983a - Francesco SEMI, Accadde a Capodistria, Venezia, 1983. 
SVEGLIA - Lu sveglia, periodico della "Fameia capodistriana", Trieste, 1963 (in corso). 


TOMIZZA 1984 - Fulvio TOMIZZA, Il male viene dal nord - Il romanzo del vescovo Vergerio, Mondadori, 
1984. 


VATOVA - Giuseppe VATOVA, lista manoscritta di soprannomi capodistriani compilata ante 1913. 


VATOVA FV - Giuseppe VATOVA, foglio (di colore verde) contenente un primo elenco di soprannomi 


capodistriani (fine secolo scorso). 


VG - Voce giuliana - quindicinale, Trieste, in corso. 


304 L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi capodistriani Atti, vol XXXI, 2001, p. 279-305 


SAZETAK: O JEDNOJ ZBIRCI KOPARSKIH NADIMAKA - Iz 
jedne zbirke koparskih nadimaka, koja je zapoteta davne 1970. i 
prepisana zahvaljujuéi kompjutoru 1995. godine, a sadrzi preko 
tritisute kartica sa nadimcima i popratnim anegdotama, poja$snjenji- 
ma, utvrdivanjem pojedinaca itd., temeljito je prouten niz primjera 
koji se odnose na one povezane sa “drZanjem” njihovih nositelja. 
Rasporedeni su strogo abecednim redoslijedom: iza nadimka slijedi 
kratica od tri slova neophodna radi statistike. U nize navedenim 
primjerima ona se, jasno, malo razlikuju, jer gotovo svi imaju oznaku 
(PFD), pri tome se prvo slovo odnosi na TIP: P[ersona] = Ol[soba], 
drugo na RAZLOG: Fligura] = I[zgled], a trece na ETIMOLOGI- 
JU: Dlialetto] = D[jalekt]. Zatim slijedi identifikacija pojedinca, opis 
razloga zbog kojeg je dobio nadimak, njegova etimologija (ponekad 
lingvistitki veoma zanimljiva), povijesne okolnosti u kojima je nastao 
te op$irni popis pisanih izvora kao i anegdota prikupljenih usmenim 
putem od Zivufih svjedoka, a razlikuju se prema karakteristiénim 
izrazima ovisno o dobi, mjestu, kategoriji. 

Njihova korist nadilazi puko folklorno-karikaturalno podruèje te 
doseze zanimljive lingvistitke konotacije. 


POVZETEK: O ZBIRKI KOPRSKIH VZDEVKOV - Zbirko koprskih 
vzdevkov so zaceli sestavijati leta 1970, leta 1995 je bila nato 
prepisana s pomoèjo radunalnika. Iz zbirke, ki vsebuje preko tri 
tisoè kartic z vzdevki in z njihovimi anegdotami, razlagami, itd., so 
izvlekli visto  primerov  vzdevkov, ki so povezani z ’postavo“ 
odgovarjajoèih oseb. Razporejeni so v strogem abecednem redu; 
vzdevku sledi oznaka s tremi èrkami, ki sluZi statistiénim ciljem in 
ki se v spodaj navedenih primerih seveda malo razlikuje, saj so vsi 
v glavnem oznaîeni z (OFN), kjer prva érka predstavlja VRTSO: 
Olseba]; druga predstavija VZROK: Fligura]; tretja pa ETIMON: 
N[areèje]. Dalje sledi istovetenje osebe, opis vzroka, ki je privedel 
do vzedvka, njegova etimologija (ponekod jezikovno zelo zanimiva) 
ter zgodovinska dogajanja, ki so ga porodila. V celoti so objavljeni 
zapisani viri ter anekdote, ki so bile zbrane med ZiveCimi pricami, 
vsaka s svojo znaéilnostjo izrazanja, ki se razlikuje glede na starost, 
mestno Cetrt, stan. 


L DE CARLI, Di una raccolta di soprannomi caprdamani, Ati, vol XXXL 2001, p. 279-306 6 


Zanimivost teh vzdevkov preseze navadno karikaturno-folklori- 
stiéno podroèéje in prevzema izredno zanimive jezikovne konotacije. 


TRADIZIONE E INNOVAZIONE NELL’ARCHITETTURA 
SACRA MEDIEVALE - ALCUNI ESEMPI ISTRIANI* 


DAMIR DEMONIJA CDU 726(497.5-3Istria)"”"653” 
Institut za povijest umjetnosti Saggio scientifico originale 
(Istituto di storia dell’arte) Settembre 2001 

Zagabria 


Riassunto — L'architettura sacra istriana del Basso Medio Evo, ovvero dell’epoca di passaggio 
dal romanico al gotico, è contraddistinta da un forte tradizionalismo. L'elemento nuovo che si 
presenta nell’architettura sacra tardomedievale dell’Istria e che annuncia la nuova epoca gotica, 
è rappresentato dalla volta, che qui il romanico né conosce né impiega. Gli esempi forniti dalle 
chiese di S. Nicolò a Dobrova presso Albona, di S. Elia presso Duecastelli, di S. Antonio Abate 
a Gimino e della Madonna del Carmine a Fasana attestano i modi in cui il problema delle 
costruzioni a volta veniva risolto, mentre nella chiesa della Madonna del Lacuzzo, presso 
Duecastelli, il passaggio al gotico si appalesa nella tecnica muraria che applica dettagli gotici di 
nuovo conio. 

Solamente alla fine del secolo XIII e nella prima metà del secolo XIV appaiono nell’architettura 
istriana le volte e sono per lo più cuspidate a botte. 

Le volte in quanto unico elemento nuovo possono essere ritenute indice sicuro della graduale 
penetrazione del gotico nell’architettura sacra del territorio istriano. Le volte sono, accanto alla 
planimetria tradizionale, l'elemento nuovo che si affaccia nell’architettura sacra istriana al 
passaggio dal romanico al gotico. 


L’epoca medievale, che nel territorio dell’ Istria croata comprende il lasso 
di tempo che va dall'XI al XIV secolo, nel campo dell’architettura sacra è 
contraddistinta dalla costruzione nelle città, nelle loro immediate vicinanze e 
nel circondario rurale, di piccole cappelle. Si tratta, nella maggior parte dei 
casi, di chiese uninavate a pianta rettangolare, nel cui ambito distinguiamo i 
tipi con abside o con abside inscritta e le loro varianti. Dato l’ambiente rurale 


* Le illustrazioni 1-2 sono riprodotte dal contributo di A. Mohorovitié, “Problem tipoloske klasifikaci je 
objekata srednjovjekovne arhitekture na podruèju Istre i Kvarnera”, Ljetopis JAZU, Zagabria, lib. 62, 1957, 
mentre le fotografie 3-11 sono di Nelo Grbac, in quanto è stato impossibile avere dall'autore c dall’ Istituto 
di storia dell’arte di Zagabria le illustrazioni originali del presente saggio. 


308 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale tnana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 


in cui sorgono, una loro analisi completa non può fondarsi esclusivamente su 
considerazioni stilistiche, vanno bensî valutati, adesempio, i moduli tipologici, 
la loro presenza e continuità, quindi le dimensioni, le diverse tecniche murarie 
o, anche, singoli dettagli architettonici. Infatti, alla fine del secolo XIII e nella 
prima metà del secolo XIV, periodo in cui il romanico mandava i suoi ultimi 
bagliori e lo stile gotico si andava gradatamente consolidando, nell’architettura 
sacra istriana vengono reiterate le semplici planimetrie di forma quadrata con 
absidi aggettanti o inscritte, ma in alcune chiese fanno la loro comparsa, come 
nuova soluzione architettonica, le volte a botte o cuspidate a botte. Gli esempi 
di chiese che meglio lo illustrano saranno elaborati più a fondo: S. Nicolò di 
Dobrova presso Albona, S. Elia presso Duecastelli, S. Antonio Abate a Gimi- 
no, la Madonna del Carmine a Fasana e la Madonna del Lacuzzo di Duecastelli, 
che ha un’armatura del tetto in legno, ma anche elementi stilistici più spicca- 
tamente gotici. 


*** 


Un posto a parte nel gruppo di chiese a navata unica con abside semicir- 
colare inscritta spetta a quella di S. Nicolò a Dobrova, a settentrione di Albona. 





Fig. 1.- Chiesa di S. Nicolò a Dobrova - esterno. 


D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istnana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 309 


È orientata in maniera irregolare, con l’abside che dà a nord e la fronte a sud, 
di proporzioni modeste e armoniche, la massa cubica compatta. È stata costrui- 
ta con pietre allungate disposte in corsi irregolari, mentre gli angoli sono 
rinforzati da pietre più grosse; l’altezza di una pietra angolare corrisponde 
all’altezza di due corsi. L'esterno è senza intonaco. 

Sull’asse della facciata si apre un portale dagli stipiti monolitici sovrastati 
da pietre squadrate disposte radialmente; nella chiave di volta è scolpita entro 
un cerchio una croce greca. La facciata terminava con un campanile a vela di 
cui rimane solamente il basamento. Nel settore meridionale dei muri perimetrali 
a este a ovest si aprono due strette finestrelle semicircolari con nicchia profilata 
obliquamente da pietre squadrate. Il muro meridionale è piano e senza vuoti. 

La navata a pianta rettangolare con volta a botte termina con un’abside 
inscritta doppiamente profilata da un arco trionfale. La specificità di S. Nicolò 
è la navata a volta, che compare molto di rado nell’architettura sacra dell'Istria, 
dove la maggior parte delle chiese di quell’epoca ha l’armatura a vista o il 
soffitto di legno. Per quanto di modeste dimensioni, l’interno della chiesa di S. 
Nicolò appare monumentale. Su cinque paia di pilastri, addossati alle pareti 
longitudinali della navata, si allacciano le nervature portanti il soffitto a botte. 
I pilastri sono disposti a intervalli regolari suddividendo lo spazio interno in 
quattro campate. Nei punti in cui le nervature si allacciano ai pilastri ci sono 
imposte di forma quadrata, dalle quali spiccano gli archi che uniscono fra di 
loro i pilastri, creando una serie di nicchie semicircolari lungo le pareti 
perimetraili longitudinali. 

La tecnica costruttiva, che fa ricorso a pietre squadrate bislunghe, ordinate 
in corsi di diversa altezza, e i dettagli delle aperture indicherebbero il tardo 
romanico della fine del secolo XIII e inizio del secolo XIV. 

Della chiesa di S. Nicolò si sono occupati a fondo B. Futié', A. Mohoro- 
viéié@ e B. Marusié. Le loro conclusioni circa l’eccezionalità dell’edificio, 
comprovata dalla soluzione della volta e dal suo inserimento in un interno di 


! B. FUCIC, “Izvjestaj o putu po Istri 1949. godine” /Relazione di un viaggio per l’Istria nel 1949/, 
Ljetopis JAZU /Annuario JAZU - Accademia jugoslava delle arti e delle scienze/, libro 57, Zagabria, lib. 57 
(1953), p. 67-141. 


2 A.MOHOROVICIC, “Problem tipoloske klasifikacije objekata srednjovjekovne arhitekture Istre i 
Kvarnera” /Il problema della classificazione tipologica degli edifici dell’architettura medievale dell'Istria e 
del Quarnero/, Ljetopis JAZU, cit., lib. 62 (1957), p. 486-536. 


3 B. MARUSLG, “Istarska grupa spomenika sakralne arhitekture s upisanom apsidom” /Il gruppo 
istriano di monumenti dell’architettura sacra con abside inscritta/, Histria Archaeologica, Pola, V, 1974, fasc. 
1-2, p. 20-21. 


310 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 








Fig. 2. — Chiesa di S. Nicolò a Dobrova - pianta. 


modeste dimensioni, sono assolutamente condivisibili. Nel caso dunque della 
chiesa di S. Nicolò di Dobrova, presso Albona, la tradizione emerge proprio 
dalla caratteristica soluzione architettonica conferita a una piccola chiesetta a 
navata unica con abside semicircolare inscritta, mentre la novità è rappresentata 
dalla volta a botte sostenuta da pilastri collegati da nervature e cornicioni. Così 
organizzato il piccolo interno crea un’impressione visiva di monumentalità. 


La chiesa di S. Elia, un tantino rustica, regolarmente orientata, si trova nel 
Canalone di Canfanaro, su un’altura a oriente di Duecastelli*. È piuttosto 
piccola, costruita con pietre squadrate a opera incerta e senza intonaco. Al 


* Della chiesa di S. Elia presso Duecastelli hanno scritto gli studiosi nostrani: A. MOHOROVICIÉ, 
op. cit., p. 521-522; IDEM, “Prikaz specifiéne interpolacije gotitke konstrukcije svoda u romaniéke objekte 
na podruèju juzne Istre i otoka Cresa* /Rappresentazione della specifica interpolazione della struttura gotica 
della volta nelle costruzioni romaniche nell’area dell’Istria meridionale e dell’isola di Cherso/, Ljetopis 
JAZU, cit., lib. 63 (1959), p. 509-531; A. SONIE, Crkvena arhitektura zapadne Istre /L'architettura 
ecclesiale dell’Istria occidentale/, Zagabria-Pisino, 1982, p. 191. 


D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Affi, voL XXXI, 2001, p. 307-328 311 





Fig. 3.— Chiesa di S. Elia, Duecastelli - esterno. 
(Foto di N. Grbac) 


centro della fronte spicca un portale rettangolare, racchiuso da massicci stipiti 
e da un architrave su cui è scolpito l’anno 1442, che è quello della ristruttura- 
zione gotica. Sopra l’architrave c’è un arco di scarico fatto di piccole pietre 
tutte uguali e, sovrastante il portale, una finestrella a forma di croce greca. Agli 
angoli della fronte e del muro posteriore vi sono piccole mensole sagomate, che 
sostengono la gronda del tetto. La facciata terminava con un campanile a vela 
di cui rimane soltanto il piedistallo. I muri longitudinali perimetrali sono pieni, 
mentre da quello posteriore sporge una piccola e bassa abside, senza finestre, 
dalla semicalotta ricoperta di piccole lastre di pietra. 

In S. Elia la soluzione degli interni è molto simile a quella della chiesa di 
S. Nicolò di Dobrova presso Albona. Infatti l’interno è coperto da una volta 
cuspidata a botte, costruita su semicolonne collegate da arcate. Le semicolon- 
ne, che fungono da elementi portanti, sono addossate alle pareti longitudinali 
formando delle nicchie che animano l’interno ampliandolo visivamente. 

Anche nell’esempio di S. Elia presso Duecastelli si tratta dunque di una 
chiesa dalla pianta romanica usuale, rettangolare, con un’abside semicircolare, 


312 D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istrnana, Affi, vol XXXI, 2001, p. 307-328 

















Fig. 4.— Chiesa di S. Elia, Duecastelli - interno. 
(Foto di N. Grbac) 


D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXX], 2001, p. 307-328 313 


all’interno sovrastata da una volta cuspidata a botte, sostenuta da pilastri e archi 
trasversali. A giudicare dalle strutture la chiesa venne costruita all’inizio del 
XIV secolo e la volta è risultato del progetto originale. 

Soluzioni simili a quella d S. Elia di Duecastelli si ritrovano anche in 
alcune chiese istriane del periodo gotico, come ebbe a rilevare, fra i primi, 
Mohorovicié®. 


L'altra chiesa, quella di S. Antonio Abate di Gimino$, orientata in direzio- 
ne est-ovest, si trova proprio nel borgo. È opera di un architetto straniero, il cui 
nome, Amirigus, e l’anno di costruzione, il 1381, sono incisi sulla facciata, sul 
lato meridionale del portale. La chiesa è mononave, a pianta rettangolare, 
costruita con grandi pietre squadrate con una certa cura, disposte a corsi 
regolari. Sopra il portale spicca una grande finestra rotonda. Sulle finestrelle 
del muro meridionale si sono conservate delle transenne lavorate a scalpello. 
Un’abside quadrangolare inscritta si trova accanto alla parete orientale. La 
navata e l’abside hanno la volta cuspidata a botte, mentre sulle pareti laterali vi 
sono delle nicchie. Esse sono il risultato della soluzione edile adottata nella 
costruzione della volta, la quale poggia su pilastri che hanno la funzione statica 
di preservare i muri perimetrali dalla spinta orizzontale della copertura. A parte 
la loro funzione tecnica, le nicchie servono ad articolare e ad ampliare visiva- 
mente il piccolo interno. 

La stessa soluzione, con le nicchie sulle pareti laterali, si incontra nelle 
chiese di S. Elia presso Duecastelli e di S. Martino a Peroi. Sono interessanti 
in proposito le considerazioni di A. Mohorovidié circa l’origine delle nicchie. 
Prendendo in considerazione due possibilità, egli ritiene — secondo la prima — 
che la costruzione gotica di S. Antonio Abate potesse avere una navata dalla 
semplice planimetria quadrilatera, ricoperta da un tetto di legno a due spioven- 


5 La soluzione adottata per l'interno della chiesa di S. Elia presso Duecastelli influì, ad esempio, sulla 
costruzione delle chiese tardogotiche di S. Martino a nord di Peroi e di S. Antonio Abate di Gimino. Nella 
chiesa di S. Martino, quadrangolare e priva di abside, sulle pareti laterali sono state eseguite nicchie identiche 
a quelle della chiesa di S. Elia, solo meno profonde, perché furono realizzate contemporaneamente ai muri. 
Anche nel caso dei muri laterali della chiesa di S. Antonio Abate, quadrangolare con abside quadrangolare 
inscritta, muri che sostengono una volta cuspidata a botte, la soluzione adottata fu quella delle nicchie, ed è 
il risultato del progetto originale. Per maggiori dettagli vedere: A. MOHOROVICIC, “Prikaz specifiéne 
interpolacije”, cit., p. 526-527. 


© Della chiesa hanno scritto A. MOHOROVICIC, “Prikaz specifiéne interpolacije”, cit., p. 526-528, e 
A. SONIJE, op. cit., p. 190. 








Fis 


D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 315 








Fig. 6 - Chiesa di S. Antonio, Gimino - interno e abside. 
(Foto di N. Grbac) 


316 D. DEMONJA, Tradizione nell’architetura sacra medievale istriana, Ami, vol XXXI, 2001, p. 307-328 





Fig. 7- Chiesa di S. Antonio, Gimino - interno, nicchie. 
(Foto di N. Grbac) 


D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Adi, vol XXI, 2001, p. 307-328 317 


ti, con abside inscritta dalla volta cuspidata’. In tal caso la volta cuspidata 
soprastante la navata principale, sorretta da tre pilastri per parte, potrebbe 
ritenersi un’interpolazione più recente. Invece, in base alla seconda possibilità, 
che Mohorovitié ritiene più accettabile* (e lo penso anch'io), l'assetto interno 
di S. Antonio Abate così come ci si presenta, dove si è ricorso al rinforzo 
interno tramite pilastri per garantire la staticità delle pareti laterali sotto la 
spinta della volta, è quello originale. 


Orientata regolarmente, la chiesa della Madonna del Carmine, a Fasana, è 
situata al centro dell’abitato, su una curva, a nord della strada che conduce a 
Peroi”. È stata costruita con pietre squadrate regolari, legate assieme dalla 
malta e disposte in corsi di diversa altezza. Non è intonacata, sicché la tecnica 
edile è a vista. La porta è posta sull’asse della facciata ed è senza stipiti; vi 
spicca un grande architrave monolitico semicircolare, al cui centro c’è un 
bassorilievo raffigurante un cerchio con la croce. A meridione della porta, nel 
punto in cui si inizia l'architrave, è murata una grande acquasantiera rotonda 
di pietra. A nord e a sud della porta ci sono delle finestrelle, una per lato e, come 
la porta, non sono incorniciate. Di fronte alla facciata c’è una grande loggia con 
parapetto aperto solamente a occidente. Dal muro si alzano otto colonne dalla 
massiccia base quadrata e tronca e dai tozzi capitelli a dado, nonché due 
semicolonne, proprio accosto alla facciata, una per lato del parapetto. Esse 
sostengono il tetto a capanna della loggia, che è tegolato. Il pavimento è 
ricoperto di pietre di varia grandezza. In cima alla facciata, sullo stesso asse, 
svetta su un basso piedistallo il campanile a vela, a una luce, con campana. 
Formano il campanile due piedritti uniti in un arco sottolineato da una semplice 
bordatura plastica. È coperto da un tettuccio di lastre litiche a due spioventi, 
sulla cui cima c’è un acroterio di pietra a forma di palla. L'arco non è 
emisferico, bensì si spezza in cima. 

Il muro meridionale presenta due finestre. Quella situata nella metà occi- 
dentale è più piccola, a semicerchio, senza cornice; ad est della stessa, alla 
medesima altezza, ce n’è un’altra più grande e quadrata. Il muro settentrionale 


? A.MOHOROVICIC, “Prikaz specifiène interpolacije”, cit., p. 527. 
8 IBIDEM, p. 528. 


° Della chiesa ha trattato A. MOHOROVICIC, “Problem tipoloske klasifikacije”, cit., p. 517-518; 
IDEM, “Prikaz specifiéne interpolacije”, cit., p. 524. 


318 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Affi, vol. XXXI, 2001, p. 307-328 





Fig. 8 Chiesa della Madonna del Carmine, Fasana - esterno. 
(Foto di N. Grbac) 


si apre invece solo nella metà orientale con una finestra a forma di quadrilatero. 

La struttura della facciata che guarda a oriente differisce un tantino da 
quelle degli altri muri. I corsi inferiori sono composti da pietre più piccole e 
irregolari. Il resto del muro è costruito con pietre squadrate regolari, legate da 
un sottile strato di malta e disposte in corsi di diversa altezza. In cima al 
timpano c’è una pietra con un bassorilievo raffigurante una croce. 

L’interno è una semplice aula, dalla pianta rettangolare, priva di abside. I 
muri sono intonacati e affrescati, ma degli affreschi rimangono solamente 
pallide tracce. Lungo l’asse della parete orientale è stata di recente aperta una 
nicchia semicircolare poco profonda, di fronte alla quale, su un basso basamen- 
to di pietra, è collocata la mensa d’altare in pietra. Sotto ogni finestra quadrata 
si trova un piccolo ciborio anch'esso quadrato. La volta a botte in alto è 
leggermente cuspidale. 

La struttura del vano della porta, senza cornice, con quel grande architrave 
monolitico a semicerchio, come pure quella della finestra sul muro meridiona- 
le, anche questa senza cornice e con un architrave semicircolare ricavato da 


D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Ati, voll XXXI, 2001, p. 307-328 319 





Fig. 9- Chiesa della Madonna del Carmine, Fasana - interno. 
(Foto di N. Grbac) 


32%) D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXX), 2001, p. 307-328 


un’unica pietra, indicherebbero il romanico. Tuttavia, la semplice planimetria 
quadrata, priva di abside, e la muratura in pietre squadrate regolari sono 
caratteristiche del periodo gotico. La mescolanza di questi elementi lascia 
supporre che la chiesa risalga al periodo di transizione fra i due stili, ovvero 
alla fine del secolo XIII o alla prima metà di quello successivo. 

Per eseguire la volta cuspidata a botte le pareti longitudinali furono 
rinforzate con un altro strato murario, che è visibile nei punti in cui furono 
aperte le finestre laterali. Con ciò lo spazio interno venne ridotto, ma non in 
maniera determinante. Già A. Mohorovièié aveva constatato che, a causa della 
costruzione della volta cuspidata a botte, in questa chiesa fasanese era avvenuta 
un’interpolazione di nuovi muri laterali entro il vecchio perimetro. A suffra- 
garlo aveva scoperto i due distinti strati di parete longitudinale, nei punti in cui 
erano state perforate le finestre laterali, su ambedue i lati della mensa!’ La 
chiesa fasanese della Madonna del Carmine è un caso pressoché unico in 
territorio istriano, una chiesa in cui per costruire la volta venne effettivamente 
ridotta la larghezza dell’interno con l’aggiunta di nuove pareti. 

Anche la chiesa della Madonna del Lacuzzo, nel camposanto di Duecastel- 
li, lungo la strada che a ovest di quest’ultima conduce al villaggio di Morgani, 
è orientata in maniera regolare e rivela una planimetria tradizionale, tipica del 
periodo romanico, ma con elementi più spiccatamente gotici!'. 

È costruita con pietre squadrate lavorate grossolanamente, allineate in 
corsi regolari. Al centro della facciata la porta rettangolare è cinta da quattro 
stipiti di pietra, dagli spigoli arrotondati verso l’interno. Sopra l’architrave c’è 
una piccola edicola della stessa larghezza, poggiante su mensole dai bordi 
semplici. È racchiusa da due montanti piani aggettanti, riuniti in alto da un 
timpano triangolare che, nella parte inferiore, presenta un arco leggermente 
cuspidato. La facciata è rialzata da un campaniluccio a vela dal timpano 
triangolare con una bifora per le campane. 


!0 IDEM, “Problem tipolo8ke Klasifikacije”, cit., p. 518; IDEM, “Prikaz specifiéne interpolacije”, cit., 
p. 524. 


!! Della chiesa della Madonna del Lacuzzo presso Duecastelli hanno trattato gli studiosi nostrani: A. 
MOHOROVICIC, “Problem tipoloske klasifikacije”, cit., p. 510 e 518; B. FUCIC, /starske freske /Gli 
affreschi istriani/, Catalogo, Zagabria, 1963, p. 18: IDEM, “Hibridno i folklorno u ikonografiji. Zapazanja 
na spomenicima Istre, otoka Krka i Slovenije” /L’ibrido e il folklorico nell’iconografia. Osservazioni 
attinenti ai monumenti dell'Istria, dell’isola di Veglia e della Slovenia/, Zbornik za umetnostno zgodovino 
Miscellanea di storia dell’arte/, Lubiana, N. S., vol. XIII, p. 136; B.MARUSIC, op. cit., p. 20 A. SONIE, 
op. cit., p. 189. 


D. DEMONJA, Tradizione nell'architettura sacra medievale istriana, Asi, voL XXXI, 2001, p. 307-328 321 





Fig. 10-- Chiesa della Madonna del Lacuzzo, Duecastelli - esterno. 
(Foto di N. Grbac) 


Nella parte orientale del muro di settentrione si colloca, piuttosto in alto, 
una finestrella leggermente cuspidata, la cui transenna è un tutt'uno con la 
comice. Nella parte orientale del muro perimetrale a sud c’è una finestra 
piuttosto grande, arcuata, dai lati strombati verso l’interno. Si trova esattamen- 
te dirimpetto alla finestra del muro settentrionale, di cui è probabilmente più 
antica, ed è stata successivamente ampliata. Nella parte occidentale di questo 
muro è stata inserita una porta dalla semplice cornice formata da tre transenne. 
Il muro posteriore è pieno. 

La chiesa è a pianta rettangolare con un’abside semicircolare inscritta. Il 
suo arco semicircolare poggia su semplici imposte di pietra. Sullo stesso asse 
dell’abside sorge l’altare. L’interno è intonacato, dipinto, con affreschi nell’ab- 
side, sulla parete orientale e nella parte orientale delle pareti settentrionale e 
meridionale, ognuna delle quali presenta un campo illustrato su due fasce 
orizzontali, con drappeggi ornamentali in fondo. Sugli affreschi sono incise 
parecchie date e graffiti. Sul lato destro dell’arco trionfale è incisa una scritta 
con l’anno 1487, il che lascia intendere che la chiesa venne affrescata prima di 
quella data. Oltre che all’ interno, la chiesa è affrescata pure sulla facciata, sulla 





D. DEMONIA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 323 


superficie sotto l’edicola, che molto probabilmente venne costruita proprio a 
protezione del dipinto. 

Come tipologia la chiesa della Madonna del Lacuzzo offre una pianta 
tradizionale, romanica, con un’abside semicircolare inscritta. Sono invece di 
carattere gotico le piccole finestre leggermente cuspidate, situate in alto nel 
settore orientale del muro di settentrione, nonché l’opera muraria eseguita con 
pietre squadrate regolari, disposte in corsi orizzontali altrettanto regolari. 
Come datazione si può risalire alla prima metà del secolo XIV, con un limite 
temporale massimo determinato dagli affreschi dipinti prima del 1487, anno 
scalfito nel settore meridionale del muro orientale. La chiesa non ha soffitto, 
bensì un’armatura in legno a vista. È interessante proprio per la più marcata 
presenza di elementi gotici, peraltro alquanto scarsi negli edifici sacri del 
medio evo. 


*** 


In Istria, il patrimonio architettonico sacro del Medioevo è prevalentemen- 
te costituito da piccole chiesette — cappelle — , distribuite nelle campagne. Una 
loro determinazione cronologica precisa è ardua proprio a causa delle loro 
caratteristiche e dell’ambiente in cui sono situate. La penisola istriana è 
caratterizzata da un pronunciato tradizionalismo, il quale, una volta assunti 
determinati moduli tipologici architettonici, li reitera a lungo. Poiché un tipo 
di architettura non va ricollegato ai cambiamenti stilistici, né alla tecnica 
muraria, che non è una categoria stilistica — nonostante che la maggioranza 
degli studiosi, in mancanza di altri argomenti, se ne sia servita per stabilire una 
datazione —, è indispensabile individuare altri elementi in grado di farci inten- 
dere uno stile e di determinare una datazione. In Istria una datazione precisa 
delle chiese è resa difficile sia dall’inesistenza, o dall’esistenza in minime 
quantità, di documenti inerenti agli edifici sacri di epoca medievale, sia dall’as- 
senza di elementi morfologici. 

Come qualsiasi altro stile, anche il romanico ha avuto alcuni tardivi 
rigurgiti alla fine del secolo XIII e nella prima metà di quello successivo. Mi 
sembra che proprio gli esempi trattati illustrino alla perfezione l’architettura 
del periodo considerato. Essi dimostrano che nel basso Medio Evo, ovvero nel 
periodo di transizione dal romanico al gotico, la tradizione in architettura era 
rappresentata da soluzioni tipologiche protrattesi per tutto il Medio Evo. 
L’elemento nuovo, che compare nell’architettura sacra tardomedievale 


324 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Amii, vol XXX1, 2001, p. 307-328 


dell’Istria e che annuncia la nuova era gotica, è la volta, che il romanico non 
conosce 0 non impiega. Nell’architettura istriana le volte fanno la loro appari- 
zione appena alla fine del secolo XIII e nella prima metà del secolo XIV e sono 
per lo più volte cuspidate a botte. Siccome la struttura a volta limita le campate, 
la larghezza delle chiese viene contenuta mentre ne aumenta l’altezza. Nei casi 
trattati, con l'eccezione della Madonna del Carmine di Fasana, la larghezza non 
ha subito cambiamenti, essendo sufficiente a un particolare tipo di riduzione. 
A causa delle modeste dimensioni interne, gli artefici non osavano intervenire 
nel contenitore dell’ambiente per rinforzare i muri portanti con nuovi muri 
pieni, bensì ricorrevano ai pilastri, che fungevano non solo da elemento 
portante ma anche decorativo. Il loro impiego ha contribuito ad articolare lo 
spazio interno, perché la loro dislocazione e reciproca distanza creano delle 
nicchie che arricchiscono e vivacizzano le pareti longitudinali, conferendo allo 
spazio un’impressione di maggiore ampiezza. Solo nella chiesa della Madonna 
del Carmine, a Fasana, la larghezza dell’interno è stata di fatto ridotta con 
l’aggiunta di nuovi muri messi a rinforzare i precedenti, cui sono stati addos- 
sati. 

Gli elementi tradizionali dell’architettura sacra medievale dell’Istria sono 
dei tipi architettonici. È impossibile spiegarli se non se ne hanno presenti i 
fruitori, perché i due fattori sono reciprocamente dipendenti. Il destinatario 
delle piccole chiesette è una comunità rurale, che non dispone di grandi mezzi 
finanziari, che è statica e legata alla terra. È una comunità che dipende dagli 
avvenimenti locali ed è perciò fedele alle tradizioni. I suoi membri soddisfano 
le proprie esigenze religiose in spazi loro confacenti, in chiese semplici e di 
piccole dimensioni, arredate col minimo indispensabile al culto, dalle conno- 
tazioni spiccatamente tradizionali e spesso prive di caratteristiche stilistiche 
ben definite. Hanno tratti stilistici più perspicui solamente le chiese che 
sorgono negli abitati rurali, mentre le altre, che sono più numerose, ripetono i 
moduli tradizionali, li conservano e li tramandano nel tempo. Tuttavia la loro 
importanza, apparentemente modesta, non va sottovalutata, perché anche cosî 
come sono riflettono l’ambiente che le circonda. L’impiego di vecchie plani- 
metrie e di morfologie collaudate, accanto a qualche elemento nuovo, la dice 
lunga sui fruitori di quelle chiese. Dunque, la tipologia architettonica sacra 
deriva dall’ambiente in cui si manifesta, ovvero dalle esigenze e dai costumi, 
dalle necessità estetiche dei suoi committenti-destinatari, indipendentemente 
dallo stile in auge. 

In una comunità rurale la tipologia è una costante che raramente soggiace 


D. DEMONIJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, voL XXXI, 2001, p. 307-328 325 


a cambiamenti e che perdura nel tempo. Se la si considera dall’aspetto dello 
stile, si può notare che una costante tipologica, caratteristica di un determinato 
periodo di tempo, quando usata in quello seguente è per lo più ritenuta un 
ritardo. Gli esempi di chiese medievali istriane che mantengono il vecchio 
modulo tipologico dimostrano che un tipo architettonico non deve essere 
considerato come elemento o categoria stilistici. In un ambiente di campagna, 
come già detto, a causa della sua chiusura, le soluzioni più abituali si manten- 
gono a lungo. E dato che dette soluzioni, in questo caso tipi architettonici, 
adempiono al loro compito in funzione delle necessità liturgiche fondamentali, 
esse non mutano e durano nel tempo. L’uso ovvero la continuità di un determi- 
nato modulo tipologico non rappresenta un ritardo, ma esclusivamente l’ appa- 
gamento delle più elementari necessità funzionali. 

Il tradizionalismo di una comunità di provincia, e quindi anche di quelle 
rurali, si riflette inoltre sul piano stilistico. Le forme delle chiese istriane 
introducono solo raramente, come nel caso della volta, cambiamenti stilistici 
permanenti. 

Date quindi la planimetria tipicamente e tradizionalmente romanica e 
l’assenza, pressoché totale, di elementi stilistici, le volte, in quanto unico 
elemento nuovo, si possono ritenere indice certo della graduale penetrazione 
del gotico nell’architettura sacra istriana. Le volte, la loro struttura e lo speciale 
modo in cui vengono risolte le spinte laterali, privilegiando la funzionalità ma 
non a danno della qualità dello spazio, sono, accanto alle soluzioni planimetri- 
che tradizionali, l'elemento nuovo dell’architettura sacra istriana al passaggio 
dal romanico al gotico, che richiede maggiori approfondimenti. 


326 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, vol XXXI, 2001, p. 307-328 


SAZETAK: TRADICIONALNO I INOVATIVNO U SREDNIEVIE- 
KOVNOJ SAKRALNOJ ARHITEKTURI. NEKOLIKO PRIMJERA IZ 
ISTRE - Sakralnu arhitektonsku bastinu Istre u razdoblju kasnog 
srednjeg vijeka, odnosno prijelaza romanike u gotiku, obiljezava jak 
tradicionalizam koji jednom usvojene arhitektonske tipolo$ke obrasce 
zadrZava dugo kroz vrijJeme. Novi element koji se javlja u istarskoj 
kasnosrednjevjekovnoj sakralnoj arhitekturi, i navjeséuje novo, gotiéko 
doba, jesu svodovi koje romanika ovdje ne poznaje ili ne 
upotrebljava. Primjeri crkava S. Mikule u Dobrovi kod Labina, Sv. 
Ilije kod Dvigrada, Sv. Antuna u Zminju i Sv. Marije od Karmela 
u Fazani pokazuju natine rje$avanja svodnih konstrukcije, dok se 
na crkvi Sv. Marije “od Lakutéa” kod Dvigrada, uz tipièéno romanidki 
tlocrt prijelaz prema gotici odituje u gotiékoj tehnici zidanja s 
primjenom novorazvijenih gotièkih detalja. 

Tradicionalni elementi u srednjevjekovnoj sakralnoj arhitekturi u 
Istri jesu arhitektonski tipovi. Njih je nemogute tumadtiti bez 
odredenja korisnika jer su ove dvije èinjenice u medusobnom 
zavisnom odnosu. Korisnik malih crkava je ruralna zajednica koja 
ne raspolaze veéim financijskim sredstvima, a obiljeZavaju je 
statièénost i vezanost za zemlju. Ta je zajednica determinirana 
lokalnim dogadajima te je stoga orijentirana na tradiciju. 

U ruralnoj zajednici tipologija je konstanta koja je rijetko 
podlozna promjenama i kontinuira kroz vrijeme. Ako se ona 
promatra u svezi sa stilom, uoéava se da se tipolo$ka konstanta 
karakteristiéna za jedno vremensko razdoblje, koristena u slijedetem, 
uglavnom, odreduje kao retardacija. 

Tradicionalizam provincijske, pa samim tim i seoske zajednice, 
oslikava se i u stilskom pogledu. Oblici istarskih crkava prate kontinuirane 
stilske izmjene samo u rijetkim zahvatima, primjerice u pojavi svoda. 

Dakle, s obzirom na tipièéno tradicionalne romanitke tlocrte i 
gotovo nepostojanje stilskih  elemenata, svodovi kao jedini novi 
element mogu se smatrati sigurnim pokazateljem postupnog prodora 
gotike u sakralnu arhitekturu istarskog prostora. Svodovi, njihova 
konstrukcija i narotiti natin rjeSavanja boènih potisaka s naglaskom 
na funkcionalnosti i ne na ustrb kvalitete prostora, novi je element 
uz tradicionalno koristenje tlocrtnih rjeSenja sakralne arhitekture na 
istarskom prostoru na prijelazu iz romanike u gotiku. 


D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Ami, voL XXX], 2001, p. 307-328 327 


POVZETEK: TRADICIJE IN INOVACIJE V. SREDNJEVESKI 
CERKVENI ARHITEKTURI - NEKAJ ISTRSKIH PRIMEROV - Za 
istrsko cerkveno arhitekturo poznega srednjega veka, to je v dasu 
prehoda iz romanike v gotiko, je znafdilen motan tradicionalizem, 
po katerem so se nekateri Ze prevzeti arhitekturni tipoloSki vzorci 
ohranjali $e dalj ©asa. Oboki predstavljajo novi element, ki se pojavi 
v istrski pozno srednjeveski cerkveni arhitekturi in ki naznanja novo 
dobo gotike. Romanika v teh krajih jih ni poznala ali jih ni 
uporabljala. Primeri cerkev Sv. Nikolaja iz Dubrove pri Labinu, Sv. 
Elie pri Dvigradu, Sv. Antona Opata v Zimnju in Karmenske Matere 
Bozje v Fazani nam razkrijejo naéin, s katerim so resevali problem 
gradnje obokov. Cerkev Sv. Marije od Lakuéa blizu Dvigrada pa je 
izraz gotske obrtniske tehnike, ki je uvedla, poleg znatilne romanske 
planimetrije, tudi nekatere nove gotske detajle in je s tem sprozila 
prehod v gotiko. 

Znaéilni elementi cerkvene srednjeveske arhitekture v Istri so 
arhitekturni vzorci. TeZko jih je obrazloziti, èe ne upoStevamo njihove 
uporabnike, saj sta ta dva dejavnika odvisna drug od drugega. 

Majhne cerkve so namenjene podezeljskim skupnostim, ki nimajo 
velikih finanénih sredstev, so zelo statiéne in imajo moéan obéutek 
za zemljo. Taka skupnost je pogojena od krajevnih dogodkov in je 
zato vezana na tradicije. 

V podezelskih skupnostih predstavlja tipologija neko stalnico, ki 
redkokdaj podleze spremembam in ki se ohranja v éasu. Ce to 
upostevamo v zvezi s stilom, lahko opazimo, da ko se uporablja 
tipolosko stalnico, znatilno za neko obdobje, v naslednjem obdobju, 
se to smatra le za pozni element. 

Tradicionalizem v podezelskem in zato tudi kmeèkem okolju se 
kaze zlasti v stilu. Oblike istrskih cerkev sledijo stalnemu stilistiétnemu 
spreminjanju le v redkih sluéajih, na primer pri pojavljanju obokov. 

Glede na tradicijonalno romanièno planimetrijo in na skoraj 
popolno pomanjkanje stilistiénih elementov, predstavljajo oboki edini 
novi element in zato jih lahko smatramo za kazalce prodiranja gotike 
v istrski cerkveni arhitekturi. Oboki, njihovo ogrodje ter poseben 
natin resevanja problema stranskih  vzgonov, ki daje prednost 
uporabnosti in ki ne Skoduje kakovosti okolja, predstavljajo nov 
element, ki se spaja s planimetriènimi tradicionalnimi resitvami v 


328 D. DEMONJA, Tradizione nell’architettura sacra medievale istriana, Atti, vol XXXI, 2001, p. 307-328 


cerkveni arhitekturi na istrskem obmoéèju na prehodu iz romanike v 
gotiko. 


VETRI E SCULTURE LITICHE DI EPOCA ROMANA 
CUSTODITI DAL MUSEO DI SEGNA 


BLAZENKA LJUBOVIC CDU 73+748(497.5Segna)"652” 
Gradski Muzej Sintesi 

(Museo civico) Settembre 2001 

Segna 


Riassunto — L’autore in questo contributo presenta il catalogo dei vetri e delle sculture litiche di 
età romana che si custodiscono nel Muso civico di Segna. Con il supporto analogico e biblio- 
grafico l’autore data gli esemplari catalogati, fra l’altro scoperti per lo più isolatamente e per 
caso, fra il I secolo a. C. ed il IV secolo d. C. 


Fra il materiale in dotazione al Museo civico di Segna ci sono alcuni 
oggetti e frammenti di vetro di epoca antica. Si tratta di reperti frutto di 
rinvenimenti casuali, di doni o di scoperte avvenute nel territorio di Segna in 
seguito a scavi archeologici. 

È risaputo che al tempo dell’Impero Romano, accanto all’arte ceramica, 
la produzione vetraria rivestiva un notevole peso economico. 

L’antica Senia era un importantissimo crocevia attraverso il quale le merci 
più diverse, tra cui oggetti di vetro, com’è dimostrato da quelli rinvenuti 
nell’area di Segna, circolavano nelle varie province dell’Impero Romano. I 
vetri venivano per lo più importati dai centri produttivi italici, di cui i più 
significativi erano Roma, Pompei e Aquileia. Quest’ ultimo era un forte empo- 
rio produttivo e commerciale, nonché il più importante porto per lo smistamen- 
to delle merci nelle diverse parti del mondo allora conosciuto. Sappiamo infatti 
che nell’evo antico una delle strade principali dell'Alto Adriatico era quella 
che collegava Aquileia a Tarsatica e a Senia. 

Da Senia la strada proseguiva verso l’interno giapidico e così i prodotti di 
vetro diventavano disponibili in tutto 1’ Impero e a tutti gli strati sociali. 

In Italia, com’è attestato dai materiali scoperti nelle tombe etrusche, il 
vetro era conosciuto anche prima dei Romani. All’inizio però i prodotti di 
vetro giungevano nella penisola prevalentemente dall’Egitto. 


330 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Soltanto nel II secolo a. C. i Romani acquisirono il processo tecnologico 
per la produzione vetraria, che ebbe particolare incremento a partire dal I 
secolo d. C. con l’applicazione su vasta scala della canna da vetraio. Vi 
contribuì inoltre la conquista romana dell’Egitto. Da quel momento il predo- 
minio di quest’ultimo nella produzione vetraria gradatamente scemò per pas- 
sare a Roma. L’artigianato vetrario romano conobbe una grande espansione nel 
I secolo e specie nel II secolo d. C., allorché il sistema produttivo venne 
perfezionato e l’assortimento arricchito. Gli oggetti di vetro trovarono un vasto 
impiego nell'economia domestica, nella medicina e in cosmetica, come pure 
nei corredi funebri. Alle materie prime per la produzione della massa vetrosa, 
composta da sabbia silicea e potassa o da sodio e calce, i Romani aggiungeva- 
no, a una temperatura di 800-1500 gradi C, degli additivi coloranti: il cobalto 
per l’azzurro, l’ossido di ferro per il rosso, il bruno e il verde, il manganese per 
il violetto, l’antimonio e l’uranio per il giallo e l'arancione. 

Verso la fine del I secolo e durante il II secolo d. C., accanto alle officine 
italiche, sorsero in tutte le province dell’ Impero piccole botteghe di vetraio, 
alcune delle quali divennero concorrenziali con Roma. Particolarmente impor- 
tanti divennero i centri della Gallia e della Germania, tanto che nel III secolo e 
in particolare nel IV, la Gallia assunse un ruolo predominante nel campo della 
produzione e del commercio vetrari. 

Nella vita quotidiana dell’uomo antico, come di quello contemporaneo del 
resto, bottiglie e bottigliette di diversa forma, grandezza, colore e uso, rivesti- 
vano un’importante funzione. 

Il numero di oggetti annoverati dal fondo del Museo civico di Segna, per 
lo più facenti parte di corredi funebri, è modesto. Assieme ad alcuni tipi di 
unguentari, a un piatto-vassoio e a una serie di frammenti di bicchieri, scodelle 
e boccali, troviamo una boccia cefaloide tardoantica del III/IV secolo, raffigu- 
rante una testa infantile, proveniente dalla tomba (numero 12) di un bambino 
situata nel sito di Varos-Dolac, cui spetta un posto particolare. Data la sua 
importanza il Museo, a suo tempo, l’aveva ceduta in prestito per la mostra 
romana “Vetri romani dalla Croazia”. 

È difficile datare singolarmente i vetri del Museo civico di Segna, tanto 
più che alcuni sono stati scoperti isolatamente e per caso. Grossomodo, su base 
analogica e bibliografica, la loro datazione è situabile fra il I secolo a. C. e il 
IV secolo d. C. 


B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362 331 


I VETRI 


Bottiglietta (fig. 1) 


La bottiglietta di vetro raffigurante in rilievo una testa umana, di un 
bambino, è l’unico oggetto rinvenuto nella tomba n.ro 12 del sito Dolac-Varoî. 
Si tratta di un vetro molto sottile, di un pallido colore gialliccio-verdognolo. Su 
una base ellittica e incavata emerge un rilievo cefaloide, cioè il corpo della 
bottiglia, da cui si alza il collo che si allarga a imbuto verso l’imboccatura, 
l’orlo della quale è irregolarmente circolare e non è ingrossato. Il volto del 
bambino è rotondo, con grandi occhi espressivi, il naso camuso e le labbra 
leggermente rilevate. Su ambedue 1 lati del volto, nei punti in cui lo stampo si 
unisce, sono appena rilevate le orecchie. I capelli sono resi in maniera grappo- 
losa a imitazione dei riccioli. 





Fig 1 


332 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Vetro; dimensioni: altezza 15,5 cm, diametro del fondo 4,4-5 cm, diametro 
del corpo 7,3 cm, diametro dell’orlo 4,5 cm. 


Segna, IIN/IV secolo d.C. 


Rinvenuta durante le ricerche archeologiche del 1978 nel sito Dolac-Varo$ 
di Segna. 
GRADSKI MUZEJ SENJA (=GMS), /Muso civico di Segna/, 121. 


Bibliografia: 

A. GLAVICIC, “Arheolo3ki nalazi iz Senja i okolice (IV)” /Rinvenimenti 
archeologici di Segna e dintorni/, Senjski Zbornik (=SZ) /Miscellanea di Se- 
gna/, Segna, 8, p. 185-186. 

I. FADIC, “Staklena boca iz Senja s reljefnim prikazom ljudske glave” /La 
bottiglia di vetro di Segna raffigurante una testa umana/, SZ, 9, p. 53-62. 

Trasparenze imperiali. Vetri romani dalla Croazia (catalogo della mo- 
stra), Roma, 1998, p. 119, 231. 


Analogie: 

V. PASKVALIN, “Kasnoanticki grobovi iz Jajca” /Tombe tardoantiche di 
Jajce/, Glasnik Zemaljskog muzeja u Sarajevu (=GZMS)/Bollettino del Museo 
di stato di Sarajevo/, XXV, 32-33. 

V. PASKVALIN, “Antièko staklo s podruéja BiH” /I vetri antichi dal 
territorio della Bosnia ed Erzegovina/, Arheolo$ki Vestnik-Acta Archaeologica 
(=AV-AA), Lubiana, XXV, 25, tab. V e fig. |. 

S. PETRIC, “Rimsko staklo Slovenije” /Vetri romani della Slovenia/, 
AV-AA, XXV, 25, Tab. II, fig. 3. 


NOTA: La bottiglietta cefaloide è stata esposta nel 1998 a Roma alla 
mostra “Vetri romani dalla Croazia” e nel 2000 all’omonima mostra allestita 
presso l’ Archivio di Stato di Torino. 


Unguentario (fig. 2: I) 


Unguentario di vetro, danneggiato, se ne è conservato il collo cilindrico, 
che si rovescia orizzontalmente in un orlo anulare ingrossato; fianco tondeg- 
giante. Si sono conservati anche frammenti della parte inferiore esagonale 
(manca parte del corpo). 


B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atî, voL XXXI, 2001, p. 329-362 333 


Vetro; dimensioni: altezza conservatasi | 1 cm, diametro dell’orlo 2,5 cm, 
diametro del fianco 3 cm. 

Rinvenuto nella tomba a urne cinerarie numero 4 nell’area dell’azienda 
locale per la lavorazione del legno (di seguito: DIP) di Segna, nel 1975. 

GMS 108. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I FADIC, Anticko staklo Argyruntuma /I vetri antichi di Argyruntum/, 
Zara, 1986, 30, T. VI (2). 


Bottiglietta (fig. 2: II) 


Bottiglietta arrotondata dal corpo conico, con collo cilindrico dall’orlo 
anulare, orizzontale, rovesciato e contorto e fondo concavo; orlo e parte del 
collo leggermente danneggiati. 


Vetro; dimensioni: altezza 10,5 cm, diametro del fondo 6 cm, diametro 
dell’imboccatura 3 cm. 


Segna, I/II secolo d.C. 


Rinvenuta nella tomba a urne cinerarie numero 4 nell’area del DIP di 
Segna nel 1975. 

GMS 109. 

Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I FADIC, Antiîko staklo Argyruntuma, cit., 22, T. II (8). 


Unguentario (fig. 2: 11) 
Parte di un piccolo unguentario tubolare, dal corpo leggermente conico e 


dal collo cilindrico; mancante di parte del collo e dell’orlo; fondo piatto, colore 
verdognolo, parte del collo cilindrica. 


334 B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ar, vol XXX], 2001, p. 329-362 





Fig. 2 


Vetro; danneggiato; dimensioni: altezza 5,5 cm, diametro del fondo 1 cm, 
diametro del collo 8 mm. 


Segna, I secolo a. C. 


Rinvenuto nella tomba a urne cinerarie numero 4, nell’area del DIP di 
Segna, nel 1975. 


GMS 110. 
Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
V. PASKVALIN, “Antitko staklo”, ci., 110-112, T.1, fig. 1-6,T.X, fig. 1-3. 


Frammento di ciotola (fig. 3) 
Frammento di tazza, rotondo, dal fondo concavo con anello pronunciato e 
dal piede con parte del ventre conico. 


Vetro; danneggiato, dimensioni: altezza conservatasi 2 cm, altezza 
dell’anello 1,5 cm., diametro del fondo 9 cm. 


Rinvenuto nella tomba a urne cinerarie numero 2 nell’area del DIP di 
Segna nel 1975. 


B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362 335 





Fig.3 


GMS 111. 
Bibliografia: inedita. 


Unguentario (fig. 2: IV) 


Unguentario dal corpo a campana e dal lungo collo cilindrico, che si 
allarga a imbuto all’imboccatura, fondo impercettibilmente concavo, colore 


verdognolo, intatto. 


Vetro; dimensioni: 9,5 cm, diametro del fondo 2,5 cm, diametro dell’im- 


boccatura 2 cm. 
Rinvenuto nella tomba numero 2 nell’area del DIP di Segna, nel 1975. 


GMS 112. 
Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 38, T. IX (18). 


336 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362 


Bottiglietta (fig. 2: V) 


Bottiglietta dal corpo conico a campana, leggermente profilato, di colore 
giallino-verdognolo, che termina in un lungo collo cilindrico; mancano parte 
del collo e dell’orlo e un pezzetto del fondo, che si presenta impercettibilmente 
concavo. 


Vetro; dimensioni: altezza 1 1 cm, diametro del fondo 3,2 cm, diametro del 
collo 7 mm. 


Segna, II/IV secolo d. C. 


Rinvenuta nella tomba a urne cinerarie numero 2 nel 1975, nell’area del 
DIP di Segna. 
GMS 113. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I. FADIC, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 29, T. V (6). 


Unguentario (fig. 2: VI) 
Unguentario dal corpo conico arrotondato e dal lungo collo cilindrico, col 
fondo appena concavo, mancante di parte del collo e dell’orlo. 


Vetro; dimensioni: altezza 7,5 cm, diametro del fondo 2,5 cm, diametro 
del collo ] cm. 
Segna, I/II secolo d. C. 


Rinvenuto nel 1975 nella tomba numero 2 nell’area del DIP di Segna. 
GMS 114. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 21, T.I(19). 


B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musee di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362 337 


Piatto-vassoio (fig. 4) 


5 ; x di x 
Piatto dalle grosse pareti di vetro, a fondo piatto con piede anulare. 
Sull’orlo e sotto lo stesso due manici, posti diametralmente, sagomati e asim- 
metrici rispetto al vassoio, che è saldato sotto e sull’orlo, danneggiato, incollato. 


Vetro; dimensioni: altezza 3,5 cm, diametro del fondo 13 cm, diametro 
dell’orlo 21 cm. 

Rinvenuto nel 1975 nella tomba n.ro 3 nell’area del DIP di Segna. 

GMS 115. 


Bibliografia: inedita. 





Fig.4 


Vasetto di vetro 
Frammento di vasetto, col fondo integro, concavo, dal piede con anello 
molto pronunciato e con parte del ventre, di colore verdognolo. 


Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 3 cm, altezza dell’anello 8 mm, 
diametro del fondo 6 cm. 


338 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Rinvenuto fra il materiale tombale nel sito di Varo$-Dolac a Segna nel 
1986. 
GMS 144. 


Bibliografia: inedita. 


Bottiglietta (fig. 5) 


Bottiglietta di vetro verdino pallido, dal corpo conico panciuto, con l’orlo 
rovesciato e il fondo piatto, leggermente danneggiata sull’orlo. 

Vetro; dimensioni: altezza 13 cm, diametro del fondo 6,5 cm, diametro 
dell’orlo 2,5 cm. 

Segna, I/II secolo d. C. 

GMS 145. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 20, T. I. 
V. PASKVALIN, “Antiéko staklo”, cit., 113, T. Il fig. l. 





Fig. 5 


B. LIUBOVIÙ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, At, voL XXXI, 2001, p. 329-362 339 


Bottiglietta (fig. 6) 


Bottiglietta dal corpo conico profilato, dal lungo collo cilindrico, con 
stacco netto fra corpo e collo, fondo concavo; colore verde; danneggiata, 
mancante di parte del collo con l’orlo. 


Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 13 cm, diametro del fondo 7 cm, 
diametro del collo 1,5 cm. 

Segna, III secolo d. C. 

Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento. 

GMS 122. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 25, T. III (8). 
V. PASKVALIN, £Antiéko staklo”, cit., 110, 114, T. III, fig. 1. 





Fig. 6 


340 B. LIUBOVIÙ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 


Bottiglietta (fig. 7) 


Frammenti di bottiglietta dal corpo conico profilato, dal collo molto 
allungato, che spicca nettamente dal corpo, di color verde, danneggiata (incol- 
lata). 

Vetro; dimensioni dei frammenti conservatisi: altezza 18 cm, diametro del 
collo 1,5 cm. 

Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento. 

GMS 123. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I FADIC, Antiéko staklo Argyruntuma, cit., 25, T. III (8). 
V. PASKVALIN : “Antiéko staklo”, ciz., 110, 114, T. III, fig. 1. 





Fig. 7 


B. LIUBOVIÙ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 3A 


Unguentario (fig.8 ) 


Unguentario dal piccolo corpo a campana e dal lungo collo cilindrico 
terminante in un’imboccatura irregolare a imbuto. Stacco netto fra corpo e 
collo, fondo leggermente concavo, colore verdastro, indenne. 

Vetro: dimensioni: altezza 7,8 cm, diametro del fondo 2 cm, diametro 
dell’orlo 2,2 cm. 

III secolo d. C. 

Rinvenuto a Lukovo nel 1961. 

GMS 106. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I. FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 38, T. IX (18). 





Fig. 8 


342 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362 


Bottiglietta (fig. 9) 


Bottiglietta sferica dal ventre integro, conservata fino all’altezza del collo, 
a fondo piatto, di colore verdognolo, danneggiata. 

Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 4 cm, diametro del fondo 2,3 cm, 
diametro del collo 1,2 cm. 

III/IV secolo d. C. 

Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento. 

GMS 124. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 

V. DAMEVSKI, “Pregled tipova staklenog posuda 1z italskih, galskih, 
mediteranskih i porajnskih radionica na podruéju Hrvatske u doba Rimskog 
Carstva” /Rasse gna tipologica dei recipienti di vetro provenienti dalle officine 
italiche, galliche, mediterranee e renane nel territorio della Croazia al tempo 
dell'Impero Romano/, AV-AA, XXV, 66, T. XII, fig. 2. 





Fig.9 


B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 343 


Unguentario (fig. 10: 1) 


Boccetta cilindrica per oli profumati dal corpo a goccia, a fondo piatto. 
Mancante di parte del collo e dell’imboccatura, di colore verdastro, danneggia- 
ta. 

Vetro; dimensioni del pezzo conservato: altezza 13 cm, diametro del 
fondo | cm, diametro del collo 1,2 cm. 

I secolo a. C. 

Rinvenuta nel 1960 presso l’ambulatorio medico di Segna. 

GMS 125. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 

A. CERMANOVIC - A. KUZMANOVIÒ, “Pregled i razvitak Rimskog 
stakla u Crnoj Gori” /Rassegna e sviluppo del vetro romano in Montenegro/, 
AV-AA, XXV, 176, T. I, fig.9, V. fig. 10. 

I. MIKULCIC: “Antiéko staklo iz Scupi-a i ostali makedonski nalazi” /Il vetro 
antico di Scupi e gli altri reperti macedoni/, AV-AA, XXV, 193, T. II, fig. 264. 


Unguentario (fig. 10: II) 


Unguentario allungato tubolare, per unguenti profumati, di colore verdogno- 
lo. Danneggiato, mancante di parte del collo e dell’imboccatura. Fondo piatto. 

Vetro: dimensioni del frammento conservatosi: altezza 15,5 cm, diametro 
del fondo 1,2 cm, diametro del collo 1,5 cm. 

III secolo d. C. 

Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento. 

GMS 126. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
A. CERMANOVIC - A. KUZMANOVIC, op. cit., 178, T. III, foto 18. 


344 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Amî, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Piccola ampolla (fig. 10: III) 


Corpo semisferico a fondo piatto e breve collo cilindrico dall’orlo rove- 
sciato, incolore, danneggiato. 

Vetro; dimensioni: altezza 3 cm, diametro del fondo 1,2 cm, diametro 
dell’imboccatura 1,5 cm. 

I secolo a. C. 

Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento. 

GMS 127. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I. MIKULCTG, op. cit., 193, T. II, fig. 35-36. 


Unguentario (fig. 10: IV) 


Unguentario danneggiato, dal corpo a campana e dal lungo collo cilindrico 
che si allarga in un‘imboccatura irregolare a imbuto. Mancante del fondo e di 
parte del collo con l’orlo; di colore verdastro; danneggiato. 

Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 8 cm, diametro del ventre 1,7 cm, 
diametro del collo 8 mm. 

I/II secolo d. C. 

Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento. 

GMS 128. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
I FADIG, Anticko staklo Argyruntuma, cit., 38, T. IX (15). 
I. MIKULCIC, op. cit., 195, T. VI, fig. 401-402. 


Unguentario (fig.10: V) 


Unguentario cilindrico dal corpo a goccia e fondo piatto; mancante di 
parte del collo e dell’imboccatura; di colore verdognolo; danneggiato. 
Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 5 cm, diametro del fondo 1,5 cm, 


B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ani, voL XXXI, 2001, p. 329-362 345 


diametro del collo 1,4 cm. 
I/II secolo d. C. 
Ignoti il luogo e l’anno del rinvenimento. 
GMS 129. 
Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
V. PASKVALIN, “Antièko staklo”, cit., 110, 112, T.I, fig. I- 6, T. X, fig. 1-3. 


Unguentario (fig. 10: VI) 


Unguentario cilindrico dal corpo a goccia, dal fondo piatto; mancante di 
parte del collo e dell’imboccatura; di colore verdastro; danneggiato. 

Vetro; dimensioni: altezza conservatasi 5,5 cm, diametro del fondo 1 cm, 
diametro del collo 9 mm. 

III secolo d. C. 

Ignoti il luogo e l’anno del ritrovamento. 

GMS 130. 


Bibliografia: inedita. 


Analogie: 
V.PASKVALIN, “Antièko staklo”, ciz., 110, 112, T.I, fig. 1-6, T. X, fig. 1-3. 


di 
È 
in 
î 





Fig. 10 


36 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Bicchiere (fig. 11) 


Frammenti di bicchiere (fondo e parti dell’orlo) dalle pareti molto sottili 
di vetro incolore. 

Vetro; dimensioni: diametro del fondo 4 cm. 

IV/V secolo d. C. 

Rinvenuto nella tomba 59 nel sito di Varo$ (Dolac) a Segna nel 1986. 

GMS 146. 


Bibliografia: 
I. FADIG, “Kasnoantiéka nekropola u Senju” /La necropoli tardoantica di 
Segna/, SZ, 15, 61-62, fig. 3. 











A DD 


Fig. 11 





B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ani, vol XXXI, 2001, p. 329-362 347 


SCULTURE LITICHE ANTICHE 


Capitello di colonna (fig. 12) 


Capitello di colonna in stile corinzio, di ottima fattura, con foglie e volute 
scolpite in rilievo. Danneggiato su un lato. 

Marmo; scolpito; dimensioni: altezza 33 cm. 

Rinvenuto nel terreno del signor Olivieri, in seguito del DIP di Segna, nel 
1929. 

GMS 2. 


Bibliografia: 

I. KLEMENC, “Senj u prethistorijsko i rimsko doba” /Segna nella preisto- 
ria e in epoca romana/, Hrvatski kulturni spomenici. I - Senj IMonumenti 
culturali croati. I- Segna/, Zagabria, 1940, 2, fig. 5. 

A. GLAVICIG, op. cit. (I), 2,405. 





Fig. 12 


348 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Piccolo capitello di colonna (fig. 13) 


Capitello di colonna, di ottima fattura, con foglie e volute scolpite in rilievo. 
Marmo; scolpito; dimensioni: altezza 31 cm. 

Rinvenuto nel terreno del signor Olivieri, in seguito DIP di Segna, nel 1929. 
GMS 3. 


Bibliografia: 
J. KLEMENC, op. cit , 2, fig. 6. 
A. GLAVICIO, op. cit (1), 2, 405. 





Magna Mater Cibele (A) (fig. 14) 


Parte inferiore di una statua togata della dea seduta in trono, con due leoni 
accovacciati ai lati. 
Marmo; dimensioni: altezza 72 cm, larghezza verso il fondo 57 cm. 


B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture titiche nel Museo di Segna, Ali, voL XXXI, 2001, p. 329-362 349 





Fig. 14 


III secolo. d. C. 

Rinvenuta durante le ricerche archeologiche nell’area retrostante la Catte- 
drale della Beata Vergine Maria a Segna, nel 1948. 

GMS 6. 


Bibliografia: 

I. DEGMEDZIC, “Arheoloska istrazivanja u Senju” /Ricerche archeolo- 
giche a Segna/, Vjesnik za arheologiju i historiju dalmatinsku (=VAHD) 
/Bollettino di archeologia e storia dalmata/, Spalato, LIII, 251. 

A. GLAVICIG, op. cit (II), 3, 22-24. 

J. MEDINI, “Kult Kibele u antiékoj Liburniji” /Il culto di Cibele nella 
Liburnia antica/, SZ, 20, 3-32, T. I, II, V. 

N. CAMBI, “Bilje$ke uz kipove Kibele (Magna Mater) iz Senja” /Note in 
merito alle statue di Cibele (Magna Mater) di Segna/, SZ, 20, 33-44. 


350 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litihe nel Museo di Segna, Ati, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Magna Mater Cibele (B) (fig. 15) 


Parte inferiore di una statua togata della dea. In secondo piano figure 
animali: il toro, la pecora, il leone e il capro. 

Marmo; dimensioni: altezza 82 cm, larghezza 60 cm. 

Segna, I/II secolo d. C. 

Ritrovata nell’area retrostante la Cattedrale della Beata Vergine Maria nel 
1967. 

GMS 12. 


Bibliografia: 

A. GLAVICIC, op. cit. (II), 3, 22-24, fig. 7. 
J. MEDINI, op. cit., 20, 3-32, T. VII-IX. 
N. CAMBI, op. cit., 20, 33-44. 





Fig. 15 


B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litche nel Museo di Segna, Att, voL XXXI, 2001, p. 329-362 351 


Serapis (fig. 16) 


La divinità egizia Serapis è raffigurata nella sua posa canonica, ovvero in 
posizione seduta e di faccia. In base alle note e all’elenco del Brun$mid del 
1898, sulla stretta base arrotondata (alta 0,65 cm e larga 3 cm) era scolpita in 
caratteri poco profondi un’iscrizione, una tabula ansata, larga 1,45 cm, che è 
andata perduta e che è stata ricostruita come segue: 


Sarmenti[us] Geminus [Ser]apidi 
[?D]e[o] [?Sa]nct[ 0]. 


Marmo; dimensioni: altezza 27 cm, larghezza 28 cm, spessore 21 cm. 
Segna, III secolo d. C. 


La statua di Serapis si trovava immurata come materiale di spoglio nel 
muro di cinta di palazzo Vukasovié. Dal muro del cortile venne estratta nel 





Fig. 16 


352 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 


1955 dal conservatore dott. V. Krajaè di Segna, che la installò nel cortile 
dell’Ufficio parrocchiale della stessa città. Oggi è custodita nel Museo civico 
di Segna, dove si trova dal 1962. 

GMS 13. 


Bibliografia: 

CIL, III, 15092. 

J. BRUNSMID, “Arheoloske biljeske iz Dalmacije i Panonije II” /Note 
archeologiche dalla Dalmazia e Pannonia II/, VHAD, ns., II, 172-173. 

JKLEMENC, op. cit., 6. 

A. GLAVICIC, op. cit. (V), 66-68. 

IDEM, “Natpisi antiéke Senije” /Le iscrizioni di Senia antica/, Radovi 
Filozofskog Fakulteta (=RFF)/Lavori della Facoltà di Filosofia/, Zara, 33 (20), 
69-70. 

E. LIUBOVIC, “Iscrizioni romane di Segna e dintorni”, Atti del Centro di 
ricerche storiche di Rovigno, Trieste-Rovigno, XVIII (1987-88), 395-396. 


Libero (Dioniso) (fig. 17) 


Statua acefala in posizione eretta del giovane Libero, mancante di alcuni 
pezzi. Con la mano e la gamba sinistra il dio si appoggia all'albero attorno al 
quale si attorciglia la vite, con la destra sorregge la nebride traboccante di frutti 
maturi e nella sinistra, che è stesa lungo il corpo, stringe un recipiente da cui 
versa il vino. 

Marmo; dimensioni: altezza 120 cm, larghezza 35 cm, larghezza della 
base 70 cm. 

Segna, II secolo d. C. 


La maggior parte dei pezzi della statua furono trovati durante gli scavi 
archeologici del 1972 nel sito di Stela. Nel 1995 nello stesso sito furono 
rinvenute parti della gamba sinistra, il polpaccio e il piede. 

GMS 19. 


Bibliografia: 

A. GLAVICIC, “Izvjestaj arheolo$kog iskapanja na Steli u Senju 1972. 
godine” /Relazione sugli scavi archeologici del 1972 di Stela a Segna/, SZ, 5, 
462-463. 


B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362 353 





Fig. 17 


IDEM, “Izvjesée o arheoloskom nadzoru i zastitnom istrazivanju na pro- 
storu izgradnje $kolske $portske dvorane u Senju” /Relazione sul controllo e 
sulla tutela archeologici nell’area edificabile della palestra sportivo-scolastica 
di Segna/, SZ, 22, 34-35. 

IDEM, “Nalazi vodosprema rimskodobnoga kupalisnog kompleksa u Se- 
niji”” /Reperti del serbatoio del complesso balneare di epoca romana a Senia/, 
RFF, 34 (21), 87. 


Rilievo su lapide (fig. 18) 


Il rilievo raffigura il dio bambino (Dioniso-Libero) in posizione eretta. È 
circondato da grappoli, foglie e pampini di vite. Il volto è piuttosto danneggia - 
to. I capelli sono ricci e mossi. Nell’angolo superiore a sinistra è incisa la lettera 
M, in quello di destra sono scolpite le lettere HIO. 


354 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 





Fig. 18 


Calcare; scolpito; dimensioni: 47x39x10 cm. 

Il rilievo era stato immurato nella casa Stani$ié nei pressi della Cattedrale 
di Segna, dove è stato scoperto nel 1949. 

GMS 11. 


Bibliografia: 
I. DEGMEDZICG, op. cit., 256. 
A. GLAVICIC, “Arheoloski nalazi” (V), cit., 80-81. 


Base di colonna (fig. 19) 


Base quadrata tardoantica, su tre lati riccamente decorata con rilievi 
raffiguranti vari animali e vegetali. Sul quarto lato è priva di decorazioni, 
motivo per cui in origine certamente poggiava su un muro. 


Marmo; dimensioni: altezza 59 cm, larghezza 26 cm. 


B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ati, voL XXXI, 2001, p. 329-362 355 





Fig. 19 


Segna, II secolo d. C. 
Rinvenuta a est della Cattedrale di Segna nel 1955. 
GMS 20. 


Bibliografia: 
A. GLAVICIC, “Arheolo8ki nalazi” (V), cit., 70-73. 


Frammento di statua raffigurante una dea (Fortuna?) (fig. 20) 


Frammento di statua raffigurante una dea vestita con una tunica pieghet- 
tata, ricoperta da un succinto chitone. Nella mano sinistra la dea reggeva un 
oggetto; manca, invece, la destra. Purtroppo, trattandosi di un piccolo fram- 
mento scultoreo, privo di elementi iconografici, è difficile affermare con 
certezza di quale dea si tratti. 


Marmo; dimensioni: altezza 15 cm, larghezza 13,5 cm. 
Segna, II secolo d. C. 


Ritrovamento avvenuto nel corso dei sondaggi archeologici per la siste- 
mazione di un marciapiede in via P. R. Vitezovié a Segna, nel 1995. 
GMS 63. 


356 B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 





Bibliografia: 

A. GLAVICIC, “Izvjeste o provedenim sondaznim arheoloskim 
istrazivanjima pri uredenju ploènika u Ulici Pavla Rittera Vitezovica i I. 
Hreljanovica tijekom veljate i ozujka 1995.” /Relazione sui sondaggi archeo- 
logici eseguiti nel febbraio e nel marzo 1995 nel corso dei lavori di sistemazio- 
ne dei marciapiedi in via Pavao Ritter Vitezovié e I Hreljanovié/, SZ, 22,9 e 
FI 12: 


Mortaio farmaceutico (fig. 21) 


A Stinica, nel corso di alcuni lavori edili, gli operai trovarono un pezzo di 
mortaio farmaceutico di epoca antica, dalla forma a imbuto che si restringe 
verso il fondo e dall’orlo piatto, in cui è incavato un beccuccio per il versamen- 
to del contenuto. 


B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 357 





A. fi 





Fig. 21 


Marmo; dimensioni: altezza 23 cm, diametro dell’orlo 18 cm. 


Rinvenuto nel corso di lavori edili nel campeggio “Stinica” di Stinica nel 
1975. 
GMS 30. 


Bibliografia: 
A. GLAVICIC, “Arheolo3ki nalazi” (V), cit., 68. 


Frammenti di colonnine di ipocausto (fig. 22) 


Nel sito “Stela” (Segna) sono stati rinvenuti diversi dischi di ceramica ben 
cotta, legati tra loro da tracce di malta. I caratteristici mattoni sospensori, 
rotondi e cubici, degli ipocausti e tubuli sono stati scoperti in località “Stela” 
nel 1964, 1972 e 1995. 


358 B. LIUBOVIG, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Ati, vo XXXI, 2001, p. 329-362 





Fig. 22 


Ceramica; dimensioni: diametro 18-20 cm, circonferenza 62-63 cm, spes- 
sore 5-5,5 cm. 


Rinvenimento effettuato nel sito “Stela” durante le ricerche archeologiche 
del 1972 e del 1995. 
GMS 29. 


Bibliografia: 

A. GLAVICIC, “Arheoloski nalazi” (V), cit., 2,410. 
IDEM, “Izvjestaj arheoloskog iskapanja”, cit., 450. 
IDEM, “Nalazi vodosprema”, cit., 86. 


B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Atî, voL XXXI, 2001, p. 329-362 359 


Frammenti di pietra scolpita (fig. 23) 


Frammenti di pietra, finemente lavorati e politi, su cui sono scolpiti incavi 
poco profondi che fanno risaltare forme e dettagli. Resti di malta rivelano un 
uso secondario. 


Calcare; levigato; dimensioni variabili: altezza dai 18 ai 35 cm. 


Rinvenuti nell’area di Siroka Kuntrada a Segna nel 1971. 
GMS 28. 


Bibliografia: 

A. GLAVICIC, “Prilozi proutavanju paleogeneze i urbanistiékog razvoja 
Senja” /Contributi allo studio della paleogenesi e dello sviluppo urbanistico di 
Segna/, RFF, 32 (19), 89, T. IV, 1-4. 





Fig. 23 


360 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ant, vol XXXI, 2001, p. 329-362 


Urna di pietra con coperchio (fig. 24) 


Urna di forma cilindrica, che si restringe appena dall’alto verso il basso, 
lavorata in modo grossolano, con coperchio semisferico, leggermente danneg- 
giato sull’orlo. Non vi sono stati trovati corredi di sorta. 


Calcare; scolpito; dimensioni: altezza con il coperchio 46 cm, diametro 
dell’orlo 36 cm. 


Segna, I/II secolo d. C. 


Rinvenuta nel 1970 durante lavori di sterro nel rione di S. Ambrogio a 
Segna. 
GMS 27. 


Bibliografia: 

A. GLAVICIC, “Izvjestaj o arheolo$kom nalazu ranorimskih grobova u 
vrtu DIP-a - Olivieri u Senju godine 1975.” /Relazione sul riventimento di 
tombe della prima età romana nell’orto del DIP - Olivieri a Segna, nel 1975/, 
SZ QI. 

IDEM, “Arheolo$ki nalazi” (V), cit., 69. 





Fig. 24 


B. LIUBOVIÒ, Vetri e sculture litiche nel Museo di Segna, Ant, voL XXXI, 2001, p. 329-362 31 


Urna di pietra con coperchio (fig. 25) 


Urna di forma conica, che si restringe dall’alto verso il basso, dotata di 
massiccio coperchio semisferico. È stata scoperta a Stinica (tomba | a urne 
cinerarie, mentre il materiale della tomba 2 a urne cinerarie si conserva presso 
il Museo di Novi Vinodolski), durante i lavori alla costruzione di una casa. 
All’interno è stato ritrovato un piccolo contenitore di terracotta con le ceneri 
del defunto e il seguente corredo: monete di bronzo dell’imperatore Tiberio, 
una grossa fibula tardolatina d’argento, una piccola fibula di bronzo, un 
braccialetto d’argento, un orecchino d’argento fuso, un ciondolo rotondo 
d’argento, un piccolo anello, un ciondolo d’argento, un anello d’oro e un 
ciondolo vuoto in lamina d‘oro, che purtroppo si è subito sbriciolato e che 
come reperto è inutilizzabile. 


Calcare; scolpito; dimensioni: altezza dell’urna con il coperchio 52 cm, 
diametro dell’orlo 40 cm. 


Stinica, I secolo a. C./1 secolo d. C. 


Rinvenuta nel 1955 a Stinica nel corso di lavori edili, con il corredo 
completo (a parte il contenitore di terracotta e il ciondolo in lamina d’oro). 
GMS 21. 


Bibliografia: 
A. GLAVICIC, “Arheoloski nalazi” (II), cit. , 15-18. 
IDEM, “ArheoloSki nalazi” (V), cit., 70. 





Fig. 25 


362 B. LIUBOVIC, Vetri e sculture litiche nel Musco di Segna, Atti, voL XXXI, 2001, p. 329-362 


SAZETAK: STAKLENI PREDMETI I KAMENE SKULPTURE 
RIMSKOG DOBA KOJI SE CUVAJU U MUZEJU GRADA SENIA 
- U ovom prilogu autorica daje prikaz predmeta od stakla i kamenih 
skulptura rimskog doba koji se éuvaju u Gradskom muzeju Senja. 
Medu katalogiziranim predmetima izradenim u staklu nalazimo 
balzamarije, boéice, posudice, tanjure, staklenke, male ampule i Case. 
Kameni predmeti obuhvaéaju nekoliko fragmenata kapitela, kipova 
(Magna Mater Cibele, Serapis, Libero, Fortuna ?), kamene urne sa 
poklopcem, kapitele stupova, stupiée hipokausta, reljfefe na kamenim 
ploèama, bazu stupa i jedan ljekarnitki avan. 

Pomocu analogija i bibliografskih podataka autorica navedene 
primjerke, koji su uglavnom izolirani i sluCajni pronalasci, datira 
izmedu 1. stoljeéa prije Krista i 4. stoljeéa poslije Krista. 


POVZETEK: STEKLA IN KAMNITI IZDELKI HRANJENI V 
SENJSKEM MUZEJU - V pritujoéem prispevku avtorica predstavlja 
seznam steklarskih in kamnitih izdelkov iz rimskega obdobja, 
hranjenih v mestnem muzeju v Senju. Med steklarskimi izdelki, 
vkljutenimi v katalogu, najdemo posode za mazila, stekleniùke, 
sklede, kroZnike, majhne vaze, steklenice za olje in kozarce. Kar 
zadeva kamnite izdelke pa predstavija avtorica neka) ostankov 
kapitelov in kipov (Magna Mater Cibele, Serapis, Libero, Fortuna?), 
ter kamnite Zare s pokrovi, kapitele na stebrih, stebritke hipokavsta, 
reliefe na nagrobnih plosèah, pa $e podstavek stebra in farmacevtski 
moZnar. 

S pomoèjo analogiènih in bibliografskih  sredstev je avtorica 
postavila katalogizirane primerke med 1. stoletjem pr. Kr. in 4. 
stoletjem po Kr. Te primerke so odkrili vefinoma sludajno. 


ALCUNE NOTE CONCERNENTI LO STATUTO DI DIGNANO 


LUJO MARGETIC CDU 34(497.5Dignano)” 1492” 
Fiume Sintesi 
Novembre 2001 


Riassunto — L'autore fa alcune considerazioni riguardanti il diritto penale, familiare e pubblico 
dello Statuto di Dignano del 1492 e le paragona con le norme di altri codici statutari istriani. Si 
dimostra che quello di Dignano è stato compilato, eccetto le norme dell’antico statuto dignanese, 
in base a quelli di Duecastelli e Pola. 


Lo Statuto di Dignano è stato pubblicato nel 1970 da Giovanni Radossi!. 
L’anno della compilazione è menzionato già nel proemio: l’anno della salute 
mille quattrocento e novanta due”. Però, dal cap. 55 del Quarto libro appren- 
diamo che Dignano possedeva uno statuto anche prima di quell’anno. Il 
capitolo menzionato stabilisce che il “vecchio Statuto del commun di Dignan 
per il presente novo statuto al tutto sii derogato”?. Questo vecchio statuto è 
stato probabilmente compilato circa cent'anni prima. Com'è noto, fino al 1331 
Dignano faceva parte del distretto di Pola. In quell’anno ebbe termine l’indi- 
pendenza di Pola che riconobbe la sovranità di Venezia e Dignano divenne così 
un comune rurale sottomesso al governo veneziano”. Cinquant’anni più tardi, 
nel 1381, Dignano chiese a Venezia il permesso di organizzarsi come comune 
cittadino? cioè di avere il proprio sindaco, il Consiglio e lo Statuto. 


! G.RADOSSI, “Statuto di Dignano”, Atri del Centro di ricerche storiche (=ACRSR), Trieste-Rovigno, 
vol. I (1970), p. 49-154. 


2 IBIDEM, p. 62. 


3 Statuto di Dignano, IV, 55. Nelle citazioni dello Statuto di Dignano i numeri romani indichano il 
libro e quelli arabi i capitoli. 


*B. BENUSSI, Pola nelle sue istituzioni municipali sino al 1797, Venezia, 1923, p.247. 


3 C. DE FRANCESCHI, “La popolazione di Pota nel secolo XV e nei seguenti”, Archeografo Triestino 


A L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 363-370 


Dunque, il primo Statuto dignanese dovrebbe essere stato compilato circa 
120 anni prima dello Statuto del 1492. 

Lo Statuto di Dignano del 1492 appartiene al gruppo di statuti istriani più 
recenti. Molto prima erano stati redatti gli statuti delle città istriane costiere: 
Trieste, Capodistria, Pirano, Parenzo e Pola. I più antichi di questi statuti 
provengono dalla seconda metà del secolo XIII. Ci sono però notizie affidabili 
secondo le quali nel secondo decennio del secolo XIII, quando l’Istria era 
dominata dal patriarca d’Aquileia, l’intera regione istriana aveva un proprio 
statuto®. Gli statuti istriani, incluso quello di Dignano, rappresentano una delle 
fonti più affascinanti e ricche della cultura e della storia istriana. Vi sono state 
registrate norme giuridiche che per secoli regolarono la vita degli Istriani sotto 
i vari governi. Essi contengono una sintesi straordinariamente interessante 
degli istituti giuridici che si accumularono in Istria iniziando da Roma, Bisan- 
zio, dagli Slavi, dai Franchi, dall'impero tedesco fino a Venezia e agli Asburgo. 

Per il loro valore, importanza e carattere europeo gli statuti istriani si 
possono mettere a fianco dell’ Arena di Pola e della basilica Eufrasiana. 


II 


I. Lo Statuto di Dignano è un documento giuridico assai complesso, ma 
finora nessuno ha tentato di approfondire le fonti dei suoi istituti giuridici. Una 
delle più importanti fonti è senz’altro il diritto consuetudinario della stessa 
città, ma il problema sta appunto nel discernere il contributo originale di 
Dignano da quello delle consuetudini comuni a tutte le città istriane. Non di 
rado molte sue regole sono state trascritte in modo pedissequo da altri statuti 
istriani. Per compilare lo Statuto di Dignano i “savi eletti” hanno studiato a 
fondo molti di questi statuti. Essi stessi dichiarano di aver scritto lo Statuto 
“con non poca fatica””. Alcune fonti sono facilmente discernibile. Così p. es. 
una buona parte dello Statuto di Pola è stata usata per la compilazione del terzo 
libro che contiene il diritto civile: gli affitti delle case, la c. d. possession della 


x» 


dasion, cioè il “possesso-proprietà” delle rendite (istituto giuridico di massima 


(=AT), Trieste, vol. XXX1 (1907), p. 221-314. 


6 Nel Thesaurus ecclesie Aquileiensis, ed. G. Bianchi, Udine, 1847, si trova questa nota: Pacta habita 
inter d. Volcherum patriarcham et paysanos Istriae, instrumentum anno domini MCXVII. Cfr. LI MARGE- 
TIC, “La ‘pace provinciale” tra gli Istriani e il margravio W”, ACRSR, vol. XV (1984-1985), p. 49-60; 


? G. RADOSSI, op. cit., p. 62. 


LL MARGETIÒ, Alcune note concernenti lo statuto di Dignano, Ami, vol XXXI, 2001, p. 363-370 365 


importanza), la c. d. soceda (contratto per la custodia del bestiame) ecc. Il 
secondo (diritti reali e di successione) e il quarto libro (diritto penale) sono 
stati in buona parte compilati con l’aiuto dello Statuto di Duecastelli” che 
presenta norme, per qualche verso, identiche agli statuti di Pinguente!9, Buie!' 
e Portole"?. 

Paragonandolo con altri statuti si scoprono interessanti somiglianze e 
differenze storico-giuridiche che meritano un’analisi più minuziosa. Ne citere- 
mo soltanto qualche esempio. 

2. Il quarto libro dello Statuto di Dignano inizia con la norma sulle 
blasfemie contro Dio, la beata Vergine Maria ed “altri santi”. 

Negli statuti più antichi, cioè in quelli di Trieste del 1315"* e di Pirano del 
1337! non c’è alcuna differenza tra il bestemmiare Dio e la Madonna da una 
parte e gli “altri santi” dall'altra. Il trasgressore veniva punito con 10 (a Pirano 
con 3) libbre di piccoli soldi veneziani, ma se egli non poteva pagare, lo si 
gettava in mare tre volte. Secondo gli statuti di Pola'9, Portole'!” e Pinguente!* 


8 Cfr. il cap. 111, 10-31 coni relativi capitoli dello Statuto di Pola ll, 1-28. Lo Statuto di Pola in latino 
è stato pubblicato da B. BENUSSI negli Arti e Memorie della Società Istriana di Storia Patria (= AMSI,, vol. 
XXVI (1911), e già prima in italiano negli Arti istriani, Trieste, vol. 1 (1843). Una nuova edizione dello 
Statuto di Pola è stata curata da M. KRIZMAN, Pola, 2000. 


9 M. ZIACIO, “Dvigradski statut” /Statuto di Duecastelli/, Vjesnik Historijskog arhiva u Rijeci (= 
VHAR) Bollettino dell’ Archivio storico di Fiume/, Fiume, vol. VI-VII (1961-1962), p. 233-294. 


!0 M. ZJACIC, “Statut buzetske opéine” /Statuto del comune di Pinguente/, VHAR, vol. VII-IX 
(1963-1964), p.71-137. 


!l P_KANDLER, “Statuti di Buie”, L’/stria, Trieste, an. V, 1850, p. 265-285 (testo italiano); M. 
ZIACIC, “Satuvani fragment starog statuta opéine Buje iza 1412. god.” /Frammento dell’ antico statuto del 
comune di Buie del 1412/, Jadranski zbornik /Miscellanea adriatica/, Fiume-Pola, vol. VII (1966-1969), p. 
365-416 (testo latino). 


12. VESNAVER, “Notizie storiche del castello di Portole nell’Istria”, AT, vol. X (1884), p. 157-268; 
vol. X1(1885), p. 131-180. 


13 Statuto di Dignano, IV, |. 


14 P_ KANDLER, Statuti municipali del Comune di Trieste che portano in fronte l'anno 1150, Trieste, 
1849 (II, 45). 


15 C. DE FRANCESCHI, Gli statuti del comune di Pirano del 1307, confrontati con quelli del 1332 e 
del 1358, Venezia, 1960; cfr. M. PAHOR - J. SUMRADA, Statut piranskega komuna od 13. do 17. stoletja 
/Lo statuto del comune di Pirano dal XIII al XVII secolo/, Lubiana, 1987 (11,1), Lubiana, 1987 (Il, 1).. 


16 Statuto di Pola, IV, 1. 
!7 Statuto di Portole, 10. 


18 Statuto di Pinguente, 10. 


366 L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto ei Dignano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 363-370) 


se il trasgressore non pagava la multa" lo si gettava in mare o nel “lago” più 
vicino — ma soltanto una volta. A Dignano, Duecastelli e Buie non lo si gettava 
in mare ma lo si metteva per un giorno “in berlina”. D'altra parte la punizione 
per le bestemmie a Dio ed alla Madonna era più severa di quella ai santi. A 
Duecastelli e Buie la punizione più severa veniva applicata anche per le 
bestemmie a S. Marco, il che rivela la completa sottomissione di queste città a 
Venezia. AI contrario, a Dignano si distingue: “Se alcuna persona (...) beste- 
mierà (...) l’Onnipotente Iddio et la sua gloriosa Vergine Maria paghi L. 10 
(...) et se il bestemierà (...) S. Marco L. 5 (...) et se bestemierà (...) alcun altro 
santo over santa di Dio paghi L. 3”. Tra parentesi, nel punire le bestemmie 
Rovigno era la più severa tra le città istriane: chi bestemmiava Iddio, Gesù 
Cristo e la Madona pagava perfino 31 lire. E inoltre: “er star debbia un giorno 
in berlina coronato con corona de infamia et diabolica et oltre di ciò habbi 
squassi tre de corda”. Nemmeno bestemmiare S. Marco, S. Giorgio e S. 
Eufemia era a Rovigno a buon mercato: 25 libbre, mentre per gli altri santi 
bastavano 12 libbre — ma ciò era incomparabilmente più costoso che a Dignano 
dove per le bestemmie a Dio si pagava “solo” 10 libbre. Ma questo non è tutto: 
se a Rovigno qualcuno ripeteva la bestemmia, la multa era duplice, il che già 
metteva in grave pericolo la stabilità economica della relativa famiglia. D'altra 
parte, lo Statuto di Trieste del 1350 stabiliva che quattro inquisitori segreti” 

dovevano ascoltare di nascosto se qualcuno bestemmiava Iddio. La metà della 
multa andava all’ informatore. Detto tra parentesi, in tempi moderni non esisto- 
no più persone che in via ufficiale indagano di nascosto quanto e come si 
bestemmia, ma altre circostanze fanno sorgere dei seri dubbi sul vero progresso 
dell’ umanità. 

3. Qualche volta, trascrivendo le norme dello Statuto di Duecastelli, i 
compilatori dello Statuto di Dignano hanno apportato delle modifiche giuridi- 
camente interessanti. Prendiamo ad esempio la c. d. villania?*. Lo Statuto di 
Dignano non rileva tutte le ingiurie nominate nello Statuto di Duecastelli. Vi 
si trovano soltanto: /adro (Dignano: /atro), assassin (D.: assasinus), pergiuro 
(D.: periurus), depredator (D.: depredator), infame (D.: infamis), traditor (D.: 
proditor), infedele (D.: infidelis), mentirsi per la gola (D.: mentiris per gul- 


19 A Pola 5 libbre, a Portole e Pinguente 10. 
20 P KANDLER, “Statuti municipali di Rovigno”, L'/srria, Trieste, 1851 (111, 3). 
2! M. DE SZOM BATHÉLY, Statuti di Trieste del 1350, Trieste, 1930 (11, 21). 


22 Statuto di Dignano, IV, 6: Statuto di Duecastelli, 13. 


L MARGETIC, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Ami, vol XXXI, 2001, p. 363-370 367 


lam), mentre i Dignanesi omettono fur, cornutus, forbanitus e bastardus. Per 
le donne gli esempi dati dagli statuti di Duecastelli e Dignano sono gli stessi: 
puttana (D.: putana), ladra (D.: fura), imbrica (D.: baccata). Secondo questi 
statuti il trasgressore doveva ritirare pubblicamente le ingiurie ed inoltre 
pagare la multa di 2 libbre (Duecastelli) ovvero 5 libbre (Dignano). Secondo 
lo Statuto di Duecastelli invece, se i fatti, in base ai quali il trasgressore 
proferiva la sua calunnia, erano generalmente noti — p. es. se la donna ingiuriata 
con la parola puttana puttaneggiava realmente per mestiere — egli veniva punito 
con la metà della multa, cioè con 1 libbra. Siccome i fatti pubblicamente noti 
non hanno bisogno di essere dimostrati, a Duecastelli la pena veniva mitigata 
d’ufficio, cioè il giudice constatava da solo se la donna offesa era nota come 
prostituta. Al contrario, secondo lo Statuto di Dignano il calunniatore doveva 
dimostrare che la donna che aveva offeso chiamandola puttana lo era veramen- 
te, e, se lo dimostrava, era esentato dalla multa. Forse è questo il motivo per il 
quale lo Statuto di Dignano ha omesso dagli esempi la parola offensiva 
cornuto, perché proprio la dimostrazione che la donna offesa aveva veramente 
tradito il marito poteva provocare ulteriori imprevedibili conseguenze per la 
pace sociale a Dignano. D'altra parte bisogna riconoscere che il giudice che a 
Duecastelli alleviava la pena al trasgressore dichiarando nella sentenza che era 
“pubblicamente noto” che l’offeso è cornuto, squalificava quest’ ultimo pubbli- 
camente molto più di quanto lo aveva fatto il trasgressore. 

4. A prima vista la norma stabilita nel IV, 8 sembra incomprensibile: 

“Se alcuno avrà invitato un’altro alla prova, overo l’averà invitato con 
animo scorociato paghi al Commun L. 2 de’ piccoli et s’averà rissa, romor 
over alcun eccesso sia punito più oltre ad arbitrio del signor podestà”. Questa 
norma corrisponde, con qualche modifica, a quella del cap. 18 dello Statuto di 
Duecastelli. Analoghe norme si trovano anche negli statuti di Buie?3, Portole °* 
e Pinguente”°. La norma si riferisce al duello, o per meglio dire alla sfida al 
duello, poiché per la sola sfida la multa era di 2 libbre — a Pinguente perfino 10 
libbre, a Duecastelli, Portole e Buie 5 libbre. A parte la sfida, tutti questi statuti 
puniscono anche ogni trasgressione collegata al duello, naturalmente in primo 
luogo le conseguenze del duello (a Pinguente esplicitamente: prelium), p. es. 
le ferite. Ci sembra che non ci siano dubbi che tutti questi statuti continentali 


23 Statuto di Buie, 20. 
24 Statuto di Portole, 21. 


25 Statuto di Pinguente, 20). 


368 L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 363-370 


dell’Istria veneziana abbiano subito l'influenza del diritto vicino, cioè della 
contea di Pisino, dove le consuetudini giuridiche germaniche non erano state 
sradicate. Tra queste c’era anche il duello che nella procedura giudiziaria era 
un mezzo di prova legalmente riconosciuto. Ad esempio, il duello era ammesso 
ad Arbe ancora verso la metà del secolo XIII? Non a caso a Pinguente, cioè 
nel centro dell’Istria, la sfida al duello veniva punita con la pena maggiore, 
mentre la pena minore era prevista nella città più lontana dall’Istria centrale, a 
Dignano. 

Il matrimonio alla maniera istriana (a fratello e sorella) è uno dei contributi 
più importanti del diritto medievale istriano alla cultura europea. Si tratta di 
uno specifico rapporto patrimoniale tra coniugi, che ha suscitato l'interesse di 
moltissimi studiosi europei. Naturalmente, questo tipo specifico di rapporto 
patrimoniale tra coniugi ha trovato il suo posto anche nello Statuto di Digna- 
no?” che ha utilizzato la formulazione dello Statuto di Duecastelli?8 (uguale a 
quella dello Statuto di Buie in latino”? e in italiano?°). La definizione dello 
Statuto di Duecastelli (e di Buie) potrebbe a tutta prima servire da prova per la 
già superata tesi che la caratteristica del matrimonio alla maniera istriana è la 
comunione totale di tutte le parti dei beni dei coniugi, cioè dei beni che essi 
possedevano al momento del matrimonio e di quelli acquisiti durante il matri- 
monio, mentre in quello triestino in comune erano soltanti i beni immobili 
acquisiti durante il matrimonio. Nel diritto veneziano la comunione dei beni 
non esisteva. Lo Statuto di Dignano stabilisce che il matrimonio deve essere “a 
frà e suor, cioè comuni in tutti gli loro beni (mobili et) immobili tanto dotali, 
quanto adventicij e per qualunque modo acquistati et che s’acquistarano 
durante il matrimonio”. Lo Statuto di Dignano prevede questo tipo di unione 
con l’eccezione però nel caso che i coniugi, al momento del matrimonio — 
tramite documento pubblico —, avessero deciso di concluderlo in un altro 
modo. Il nostro statuto contiene una norma che non esiste negli statuti di 
Duecastelli e Buie, secondo la quale se il marito o la moglie hanno “/i suoi beni 


26 T. SMICIKLAS, Codex diplomaticus regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae, II, Zagabria, 1905, 
p. 421 (nr. 366). Perl’interpretazione vedioraL. MARGETTÙ, Lo Statuto d’Arbe, ACRSR, vol. XXX (2000), 
p. 13-18. 


2? Statuto di Dignano, |, 14. 
28 Statuto di Duecastelli, 29. 
29 Statuto di Buie (lat.), 77. 


30 Statuto di Buie (ital.), 75. 


L MARGETIÒ, Alame note concementi lo statuto di Dignano, Asî, voL XXXI, 2001, p. 363370 369 


condicionadi, d’essi beni condizionadi non debbano esser a Frà”. Questa è una 
chiara concessione alle norme degli Statuti di Capodistria e Muggia che si 
occupano minuziosamente di questi “beni condizionati”. Anche questa aggiun- 
ta testimonia che i compilatori dello Statuto di Dignano non avevano copiato 
ciecamente il loro modello principale (Duecastelli e Pola), ma che avevano 
tentato di adeguare ogni norma alla realtà dignanese. Ci pare di non sbagliare 
se supponiamo che a Dignano, come pure in molte altre città istriane, in caso 
di morte, il coniuge sopravvissuto poteva desistere dalla comunione dei beni e 
scegliere l’altra possibilità, cioè di ritirare dall’eredità del coniuge deceduto i 
propri beni, il che significa che anche a Dignano la realizzazione della comu- 
nione dei beni coniugali si verificava soltanto alla morte di uno dei coniugi e 
soltanto se il coniuge sopravvissuto non rinunciava ad essa”. 

6. Ancora qualche parola sull’autonomia e sull’autogoverno di Dignano 
durante il governo veneziano. Per quanto riguarda l’autonomia, già dallo 
Statuto si può constatare che era stato compilato in maniera indipendente, 
anche se per la sua applicazione era necessario il benestare di Venezia. D'altra 
parte l’autogestione era molto limitata, ma a differenza del vicino centro di 
Valle, Dignano ottenne una posizione più indipendente. Mentre a Valle? nella 
vita del comune il ruolo determinante apparteneva al rettore che veniva scelto 
dal Senato veneziano e che governava la città con l’ausilio di due giudici da lui 
scelti, a Dignano* il podestà veniva si altrettanto scelto dal Senato veneziano, 
ma i due giudici venivano eletti dal Maggior Consiglio dignanese. La scelta si 
svolgeva così: i giudici in carica proponevano due candidati, il podestà altri 
due, e in tal modo il Maggior Consiglio dignanese era limitato nella scelta tra 
questi quattro candidati. C'era, dunque, un barlume di libertà. AI momento 
dell’entrata in servizio i giudici giuravano che durante la durata della loro 
carica avrebbero tenuto conto degli interessi di Venezia e di Dignano. 

Già da queste poche note risulta la complessità e l’importanza dello 
Statuto di Dignano. Speriamo che a questo documento della storia istriana in 
futuro si dedichi maggior attenzione e che in questo senso anche il presente 
piccolo contributo sia stato di qualche utilità. 


3 Dettagli in L' MARGETIC, Histrica et Adriatica, Trieste-Rovigno, 1983 (Collana degli Atti del 
Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 6) p. 11. 


3° G. MUCCIACCIA, “Gli statuti di Valle d'Istria”, ACRSR, vol. VII (1976), p. 14. 


33 Statuto di Dignano, 1,2. 


370 L MARGETIÒ, Alcune note concementi lo statuto di Dignano, Ami, voL XXXI 2001, p. 363-370) 


SAZETAK: BILJESKE O VODNIANSKOM STATUTU - Iz satuva- 
nog teksta Vodnjanskog statuta iz 1492. god., objavijen 1970. god. 
od G. Radossija, proizlazi da je prethodni, nesaèuvani tekst sastavljen 
oko 120 godina ranije. Premda je rijeè o jednom od novijih istarskih 
statuta, ipak je istraZivanje njegova sadrzaja vrlo korisno za bolje i 
dublje poznavanje istarskih statuta, jedne od najinteresantijih grupa 
europskih statuta, koja predstavija pravi rudnik za upoznavanje 
pravnih ustanova, koje su tijekom mnogih stoljeéa amalgamirale 
pravne norme kasnoga rimskog carstva, Bizanta, Franaka, tzv. opéeg 
prava, kao i mletatkog i slavenskog prava. 

U radu autor daje nekoliko primjera iz kaznenog, braénog i 
javnog prava prema vodnjanskom statutu i usporeduje ih s normama 
ostalih istarskih statuta, utvrduje da je on preuzeo mnoge pravne 
ustanove i terminologiju Pulskoga i Dvigradskog statuta, ali da ih 
je prilagodio lokalnim shvafanjima. Usporeduju se osobito norme o 
huljenju na Boga, Blazenu Djevicu Mariju i svece i one koje se 
odnose na dokazni postupak putem tzv. Bozjeg suda, tj. dvobojem. 


POVZETEK: ZAPISKI O VODNJANSKEM STATUTU - Iz besedila, 
ki se je ohranilo v Vodnjanskem statutu iz leta 1492 in ki ga je 
izdal G. Radossi leta 1970, izvira, da so prej$nji statut sestavili 
priblizno 120 let prej. Ta pa se ni ohranil. Ceprav je to eden izmed 
najnovejsih istrskih statutov, je proutevanje njegove vsebine zelo 
koristno za boljie in globlje spoznavanje istrskih statutov, ki sodijo 
med najzanimivejse skupine evropskih statutov in predstavljajo pravo 
zakladnico pojmov o pravnih ustanovah. Te ustanove so v. teku 
stoletij zdruzile  pravne predpise. poznega Rimskega  cesarstva, 
Bizanca, Frankov, tako imenovanega splo$nega prava, pa  tudi 
beneskega in slovanskega prava. 

V. svojem delu avtor navaja nekaj primerov  kazenskega, 
zakonskega in civilnega prava po Vodnjanskem statutu in jih primerja 
z dolocili drugih istrskih statutov. Avtor ugotavija, da je Vodnjanski 
statut prevzel mnogo pravnih ustanov in terminov iz statutov Pule 
in Dvigrada ter jJih prilagodil krajevnim namenom. Vedinoma 
primerja predpise v zvezi s preklinjanjem Boga, Blazene Device 
Marije in svetnikov ter predpise v zvezi z dokazovanjem priéevanj 
preko tako imenovane bozje sodbe, to je dvoboja. 


LA TRADIZIONE PAREMIOLOGICA A GALLESANO 
(Parte I) 


ELIANA MOSCARDA MIRKOVIC CDU 398.9(497.5Gallesano) 
Gallesano Sintesi 
Gennaio 2002 


Riassunto — Questa raccolta prende in esame il dialetto di Gallesano e cerca di analizzarlo 
attraverso i proverbi, in quanto fattori distintivi di ogni lingua e di ogni cultura. Si è voluto così 
recuperare parte del patrimonio linguistico e culturale del paese e della sua gente. 

I settecento proverbi raccolti sono stati divisi in ventuno campi semantici dei quali, in questa 
prima parte, vengono riportati i seguenti: L'alimentazione; L'amore. L'amicizia. Gli affetti e i 
sentimenti; Gli animali e le loro metafore; L'aspetto fisico; I blasoni popolari; La conoscenza, 
l'educazione, gli ammaestramenti; Il denaro, il potere, l’indigenza, la miseria; La donna e 
l’uomo. Il matrimonio, la famiglia, la casa; Le parentele e i rapporti sociali; La fede, la religione, 
la provvidenza; Il lavoro, i mestieri, le abilità. Il riposo; La nascita. La vita e la morte; I proverbi 
canone; I proverbi con valore metaforico. 

I singoli proverbi sono riportati in ordine alfabetico. Ogni sentenza è citata in dialetto gallesane- 
se, con l’accompagnamento della traduzione italiana. 


A premessa di questo lavoro paremiologico è opportuno, per facilitare la 
comprensione dei motti che saranno esposti, individuare alcune caratteristiche 
del dialetto gallesanese e alcune regole seguite. 

Per la grafia e la pronuncia sono state seguite le regole dell’italiano, con 
poche eccezioni. Nel gruppo sc seguito da e, i la sibilante va pronunciata 
staccata rispetto alla vocale palatale: es. Bas°cian, Cris’cian, ris’cià. 

L'alfabeto è formato da venti lettere, tra consonanti e vocali, che si 
pronunciano come le corrispondenti italiane; vi manca la consonante z. Non 
esistono consonanti doppie e il duplice suono della lettera s è stato reso con due 
segni distinti: s per la esse sorda: es. sabo, sera, sol e { per la esse sonora: es. 
cafa, rofa, fornada. 

Un certo numerodi parole inizia con le nasali m o n seguite da consonante, 


372. E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


le quali sono rimaste all’inizio della parola in seguito all’aferesi della vocale 
iniziale, generalmente la i: es. mbriaga, mparà, ndurì. 

Le parole del Gallesanese terminano in -0 se sono maschili, in -a se sono 
femminili, oppure nelle consonanti |, r, n, f ( es. baul, fior, cason, buf ). Pochi 
nomi in -a sono maschili ( es. prà ) e pochi sono i monosillabi. 

Nel passaggio dal singolare al plurale, le parole terminanti in 1 perdono 
questa consonante e aggiungono la -i: es. cavdl-cavai. 

Gli aggettivi escono al maschile singolare in -0, al femminile singolare in 
-a, al maschile plurale in -i e al femminile plurale in -e: es. suto,-a,-e.-i. Alcuni 
escono in -n: es. fin,-a,-e,-i, moscardin,-a,-e,-i. 

I verbi terminano all’infinito in -à, -è, -ì. La stragrande maggioranza dei 
verbi ha coniugazione regolare, mentre pochi sono quelli irregolari. Il partici- 
pio presente ha valore solo nominale, mentre il participio passato si comporta 
come gli aggettivi e cioè varia nel genere e nel numero. Nei verbi in -à e nei 
verbi in -ì questo participio è uguale all’infinito: es. magnà (=mangiare) - 
magnà (=mangiato), finì (=finire) - finì (=finito) e quando ha valore aggetti- 
vale il tema si allunga per l’aggiunta di -ada, -adi, -ade: es. sing.m. magnà 
(mangiato), sing.f. magnada (mangiata), pl.m. magnadi (mangiati), pl.f. ma- 
gnade (mangiate). Il participio passato può talora finire anche in -0, -t0, -sto e 
può presentare delle varianti nel corpo della parola ( es.: dito, ciolto, parésto). 

I verbi ausiliari sono ési (essere) e vè (avere) e sono irregolari. 

Le parole del Gallesanese possono essere tronche, piane e sdrucciole 
(morè, sàbo, timido). 


I settecento proverbi raccolti sono stati divisi in ventuno campi semantici 
(i primi 13 vengono riportati in questa prima parte): 


L'alimentazione. 

L'amore. L’amicizia. Gli affetti e i sentimenti. 

Gli animali e le loro metafore. 

L'aspetto fisico. 

I blasoni popolari. 

La conoscenza, l’educazione, gli ammaestramenti. 
Il denaro, il potere, l’indigenza, la miseria. 


CORIO Pe I 


La donna e l’uomo. Il matrimonio, la famiglia, la casa. 
Le parentele e i rapporti sociali. 
9. La fede, la religione, la provvidenza. 


E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, vo XXXI, 2001, p. 371468 373 


10. lavoro, i mestieri, le abilità. Il riposo. 

ll. La nascita. La vita e la morte. 

12. Iproverbi canone. 

13. Iproverbi con valore metaforico. 

14. Iproverbi dei mesi nell’agricoltura. La natura e il lavoro nei campi. 
15. La prudenza e l’imprudenza. 

16. Irischiei pericoli. 

17. Il risparmio e l’economia domestica. 

18. Lasalute e la malattia. 

19. Lo svolgersi delle vicende umane, i cambiamenti e le alterne sorti. 
20. Il tempo meteorologico. Il lunario. 

21. I vizi, le virtù, gli eccessi, la moderazione, i modelli comportamentali. 


I singoli proverbi sono riportati in ordine alfabetico, eccetto quelli dei 
gruppi / proverbi dei mesi nell’agricoltura e Il lunario, disposti in ordine 
cronologico. 

Ogni sentenza è citata in dialetto gallesanese, con l’accompagnamento 
della traduzione italiana. I motti vengono quindi messi in relazione con le 
sentenze della paremiografia italiana, latina, dei dialetti italiani (nel confronto 
con i proverbi della tradizione dialettale è data la precedenza ai proverbi 
triestini e veneti per le affinità morfologiche, sintattiche e soprattutto lessicali 
con il dialetto gallesanese) e alcuni istriani, con quella francese e là dove era 
possibile con quella russa. Infine vengono riportate le iniziali degli intervistati 
(MD = Marcello Deghenghi, 1925; AG = Anna Ghiraldo, 1913-1999; PG = 
Pietro Ghiraldo, 1906; IM = Isenia Moscarda, 1930; MM = Mario Moscarda, 
1935 ; NM= Nicolò Moscarda, 1925; LS = Lucia Simonelli, 1921; RM = 
Romano Tesser, 1938) e le note che analizzano i proverbi. 

Per quanto riguarda la struttura dei proverbi, caratteristica di quest’ultima 
è il fatto che essa è basata su pochissimi elementi che riassumono in modo 
conciso e sintetico un intero discorso: es. can no magna can. L'uso verbale è 
quasi sempre limitato ai tempi con aspetto acronico: l'infinito, l'imperativo o 
il presente indicativo usati per enunciati che valgono per sempre. Il presente e 
l’infinito danno infatti ai proverbi quel carattere di atemporalità che li rendono 
sempre attuali (es. fa e disfà fe duto un lavorà; chi magna pian lavora pian). A 
volte, specie nelle locuzioni, addirittura si incontra la forma ellittica, cioè priva 
anche di soggetto e verbo (es. de rifa o de rafa). 

Per quanto riguarda la forma, nei proverbi e modi di dire è assai frequente 


374 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Attî, vol. XXXI, 2001, p. 371468 


il ricorso a usi iperstrutturali, a elementi ritmici, a intonazioni particolari, a 
figure retoriche che trasmettono il messaggio nel modo più immediato e 
intuitivo, come la metafora (es. el pan de casa stufa; scova nova scova ben; 
corvi e cornacie no se beca mai; can che baia no morsega; begna bati el fero 
fina che ‘I fe caldo), la similitudine (es. ti iè l’anema treso como i gati; ti iè la 
lengua longa como la coda de la vaca; ti segni como la ierba pampagnola che 
creso sempro e no mor mai), la litote (es. No ti segni farina pe’ fa ostie), la 
metonimia (es. co la cafa fe piena se fa presto a fa de sena: legne de rovero, 
pan de gran e bocal de vecio teran), la personificazione (es. Al olio dì: “Fame 
povero, che te farè rico; laseme ciaro, sapeme picio, incalseme grando: ve 
mpinirè el graner), la sineddoche (es. la ierba de april fa grando el medil) o 
figure grammaticali e metriche come la rima (es. l'inverno can el salva vin e 
pan; fota la grasesa sta la belesa; gran Sota la nio-ben de Dio). 

In alcuni proverbi troviamo poi anche l’accostamento di termini antitetici 
(es. cavo curto-vendema longa; longo el cavel, ma curto el sorvel). 

A tutti questi elementi che aiutano la memorizzazione, si aggiungono 
spesso altri fattori extralinguistici come la patina del tempo che dà ai proverbi 
e ai modi di dire particolari suggestioni evocative ed emotive. 

Ci limitiamo a questa semplicistica analisi strutturale dei proverbi, in 
quanto in materia fino ad oggi si sono compiuti pochissimi studi, data la 
difficoltà di un simile lavoro. E mi sembra utile citare in proposito le parole del 
Cardona': “La definizione di questo genere linguistico, pur così familiare e 
consueto, è estremamente difficile. Anche se non abbiamo alcuna difficoltà a 
distinguere un proverbio da una frase di stessa struttura che invece non lo è, 
non riusciamo a formalizzare le caratteristiche che ci permettono di riconoscer- 
lo.” E continua il Cardona: ‘“ Più che della struttura interna del proverbio, per 
la quale si è per ora ben lontani dall’accordo su una formula ragionevolmente 
generale, interessa dire qualcosa dell’utilizzazione del proverbio e della sua 
collocazione nell’etnografia della comunicazione”. 

Nella seconda parte di questo lavoro, che verrà presentata nel volume 
seguente degli Atti, vi troverà spazio pure il glossario, in cui verrà illustrato il 
lessico del dialetto gallesanese usato nei proverbi raccolti. 

La pronuncia effettiva delle parole dialettali è stata resa nel modo più 
semplice (vedi le nozioni sul dialetto gallesanese riportate sopra), senza allon- 
tanarsi troppo dalle norme ortografiche dell’ italiano. Sono stati raccolti i 


! G. R. CARDONA, Introduzione all'etmolinguistica, p. 193, 194. 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La trasizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371468 375 


lemmi più caratteristici della parlata gallesanese, si sono tralasciati invece 
dall’analisi etimologica quelli che ricalcano le voci italiane. I lemmi sono stati 
posti in ordine alfabetico. 

Dall’analisi etimologica dei vocaboli qui esposti è apparsa una lingua che 
attinge direttamente dal latino molti dei suoi vocaboli e che forma adattamenti 
dall’ italiano (es. balarin, mincion, pagnoca). Ma non mancano parole derivate 
dal veneziano (es. bagolà, buso, morè), dal croato (es. braneveche e sochena), 
dallo sloveno (es. britola), dal greco (es. anguria, macaron), dallo spagnolo 
(es. bacalà, baraca), dal germanico (es. banca, bira) e dal francese (es. 
formaio). Il dialetto gallesanese avrà poi sicuramente subito l’influenza della 
parlata triestina e di quelle del resto dell’ Istria. 


Come scriveva Nicolò Tommaseo ‘“(...) se tutti si potessero raccogliere e 
sotto certi capi ordinare i proverbi italiani, i proverbi d’ogni popolo, d’ogni età, 
colle varianti di voci, d'immagini e di concetti, questo dopo la Bibbia, sarebbe 
il libro più grandioso di pensieri”. 

Fin dai tempi più antichi i proverbi, “frammenti di un’antica sapienza”, 
come venivano definiti da Aristotele, sono stati oggetto di studio e di raccolta 
anche nella penisola istriana, soprattutto nell’ ultimo secolo. 

Preziose sono le testimonianze portate da Achile Gorlato (/ mesi dell’anno 
nei proverbi dei veneto-giuliani*), da Tomaso Luciani (Tradizioni popolari 
albonesi ), da Antonio e Giovanni Pellizzer (Motti detti e proverbi rovi gnesi® )i 
da Elio Predonzani (Proverbi e detti popolari dell’Istria°); da Giuseppe Radole 
(Proverbi istriani: raccolta antologica), da Giuseppe Vatova (Raccolta di 
proverbi istriani’); Antonio Benussi Moro (0àn puopulo da 1303 pruvierbi 
ruvignisi8). 


2 Edito a Venezia nel 1981. 
3 Edito a Capodistria nel 1892 


4 Edito nell’ Antologia delle opere premiate del Concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima”, 
Trieste-Fiume, vol. V (1972), p. 131-162. 


5 Edito a Udine nel 1954. 
6 Edito a Trieste nel 1972. 
? I edizione, Venezia, 1954; II edizione Venezia, 1963. 


8 Edito a Trieste nel 1982. 


376 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, At, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


Non c'è dubbio sul fatto che i proverbi costituiscano una lente significativa 
attraverso la quale risalire agli aspetti peculiari e profondi di una comunità, dei 
suoi stili di vita, dei suoi comportamenti più diffusi, della sua struttura econo- 
mica e delle caratteristiche del suo ambiente naturale. I modi di dire sono tra i 
fattori distintivi di ogni lingua: se consideriamo con attenzione tali espressioni, 
possiamo renderci conto come in esse traspaiano le peculiarità del popolo che 
le ha prodotte. 

A Gallesano non è mai stato fatto un lavoro di catalogazione delle sentenze 
popolari ed è perciò che si sono scelti i modi proverbiali per analizzare, per 
quanto possibile, la sapienza dei gallesanesi. 

Piuttosto che consultare fonti scritte, i proverbi sono stati raccolti dalla 
viva voce di chi se ne serve ancora nelle varie circostanze della vita, per 
rievocare il passato dei nostri avi, le nostre radici e quel mondo di modestia e 
di povertà, ma ricco assai di genuinità e di ricordi. 

In particolare sono state annotate le sentenze che ancor oggi fanno parte 
del patrimonio linguistico e culturale del paese. 

Lo scopo di questa ricerca sulla tradizione paremiologica a Gallesano, è 
stato quello di recuperare e conservare in forma scritta parte dell'antica parlata 
gallesanese, che va scomparendo a passi da gigante: da un lato per l'influsso 
massiccio della scuola e dei massmedia sulle nuove generazioni, dall'altro per 
il costante movimento delle persone che si spostano con maggiore facilità 
rispetto al passato e non dobbiamo dimenticare anche l'influenza e la sopraf- 
fazione delle lingue slave nelle forme dialettali, nonché l’uso quasi esclusivo 
nella vita sociale, politica, culturale ed economica del croato. 

Per le interviste, come si è già riportato sono stati scelti i signori Marcello 
Deghenghi, Anna Ghiraldo, Pietro Ghiraldo, Isenia Moscarda, Mario Moscar- 
da, Nicolò Moscarda, Lucia Simonelli e Romano Tesser, persone che nell’arco 
della loro vita si sono sempre impegnate per mantenere vivi il dialetto e la 
cultura gallesanese, partecipando alle numerose manifestazioni folcloristiche 
nazionali e non, in cui hanno degnamente rappresentato la tradizione. 

Tutte le interviste sono state registrate su nastro e riportate poi in questa 
raccolta. 

Una parte di questo lavoro è già stata pubblicata nei saggi “I proverbi dei 
mesi nell’agricoltura a Gallesano”® e “L'alimentazione nei proverbi”, 


9 Pubblicato nel volume Civiltà istriana. Ricerche e proposte, curato da Nelida MILANI KRULJAC, 
Trieste-Rovigno, 1998 (ETNIA — Extra serie del Centro di ricerche storiche di Rovigno, n. 1), p.91-118. 


!0 Pubblicato nell” Antologia delle opere premiate, cit., vol. XXXII (1999), p. 149-162. 


E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371468 377 


Questo contributo vuole essere un omaggio a Gallesano e a tutta la sua 
gente, con la speranza di dare un contributo, anche se esiguo, alla conservazio- 
ne del suo ricco patrimonio culturale, ma soprattutto linguistico minacciati 
ormai dall’estinzione. La raccolta presentata è il risultato di una lunga ricerca 
condotta tra gli abitanti di Gallesano (negli anni 1995-1998). 

In conclusione rivolgo un sentito ringraziamento al professor Roberto 
Starec, docente di Storia delle tradizioni popolari presso la Facoltà di Scienze 
della formazione dell'Università di Trieste; ma in modo particolare ringrazio la 
chiarissima professoressa Livia de Savorgnani Zanmarchi, titolare nel 1998 
della cattedra di Linguistica romanza presso la Facoltà di Lettere e filosofia 
dell'Università di Trieste, per la sua estrema gentilezza e la sua grande sensibi- 
lità. 

Un grazie anche a tutte le persone che si sono prestate a essere intervistate 
e senza le quali non sarebbe stato possibile dar vita a questa raccolta paremio- 
logica. E mi riferisco in modo particolare alla signora Anna Ghiraldo (che è 
venuta a mancare il 26 dicembre 1999 e che ricordiamo con tanto affetto) e al 
signor Mario Moscarda. 


378. E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468 


ABBREVIAZIONI 
A. = anno 
A. = (seguito da un nome di una lingua) antico 
A.a.ted. = antico alto tedesco (Althochdeutsch) 
Abr. = abruzzese 
Acer. i accrescitivo 
Accus. = accusativo 
Agg. = aggettivo 
Alt. = altoatesino 
Ant. = antico, antiquato 
Arc. = arcaico 
Avv. = avverbio, avverbiale 
Biz. = bizantino 
Bol. = bolo gnese 
Bot. = termine botanico 
Bret. = bretone 
Ca. = campano 
Cal. si calabrese 
Catal. = catalano 
Cfr. = confronta 
Class. = classico 
Comp. i composto, 
composizione 
Cong. = congiunzione 
Cors. = corso 
Deriv. = derivazione, derivato 
Dial. i dialettale 
Dign. = dignanese 
(Dignano d'’ Istria) 
Dimin. = diminutivo 
Ebr. = ebraico 
Ecc. = eccetera 
Eccles. = ecclesiastico 
Emil. = emiliano 


Escl. si esclamazione 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 379 


Etimol. 


Etr. 

F. 
Fam. 
Femm. 
Fig. 
Fr. 
Franc. 
Friul. 
Gall. 
Gen. 
Germ. 
Got. 
Gr. 
Gram. 
Iber. 
Id. 
Indic. 
Indoeur. 
Ingl. 
Irl. 
Ital. 
Ittiol. 
La. 
Lad. 
Lat. 
Lat.M. 
Lat.T. 


Lat.volg. 


Letter. 
Li. 
Lomb. 
Long. 
Lu. 

M. 
M.a.ted. 


etimologia, 
etimologico 
etrusco 
femminile 
familiare 
femminile 
figurato 
francese 
francone 
friulano 
gallico 
genovese 
germanico 
gotico 

greco 
grammaticale 
iberico 

idem, lo stesso 
indicativo 
indoeuropeo 
inglese 
irlandese 
italiano 
ittiologia 
laziale 

ladino 

latino 

latino medievale 
tardolatino 
latino volgare 
letteralmente 
ligure 
lombardo 
longobardo 
lucano 
maschile 
medio alto tedesco 


388 FE. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468 


(Mittelhochdeutsch) 
Mant. = mantovano 
Mar. = marchigiano 
Masch. = maschile 
Mediev. = medie vale 
Mod. = moderno 
N. = neutro 
Na. = napoletano 
Nomin. = nominativo 
Norm. = normanno 
Num. = numero 
OI. = olandese 
Onom. onomatopea, 
onomatopeico 
Ord. = ordinale 
Orig. = origine, originario, 
originariamente, 
Pad. = padovano 
Pag. = pagina 
Parm. = parmigiano 
Part. = participio 
Pers. = persiano 
Piem. = piemontese 
PI. = plurale 
Port. = portoghese 
Poss. = possessivo 
Prep. = preposizione 
Pron. si pronome 
Propr. = propriamente 
Prov. = provenzale antico 
Pugl. = pugliese 
Rad. = radice 
Rifl. = riflessivo 
Rom. = romagnolo 
Sanscr. = sanscrito 
Scient. = scientifico 


Sec. = secolo 


E. MOSCARDA MIRKOVI, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371468 381 


Sett. - settentrionale 

Sf. = sostantivo femminile 
Sic. = siciliano 

Sign. = significato 

Sing. = singolare 

Sm — sostantivo maschile 
Soprasilv. = soprasilvano 

Sost. = sostantivo 

Suff. = suffisso 

Spagn. = spagnolo 

Tarant. = tarantino 

Ted. = tedesco 

To. = torinese 

Tosc. = toscano 

Tr. = triestino 

Trad. = traduzione 

Tren. = trentino 

V. o voce 

V. intr. = verbo intransitivo 
V. tr. = verbo transitivo 
Valsug. = valsuganotto 

Ven. E veneto 

Venez. = veneziano 

V.-G. = veneto-giuliano 
Volg. = volgare, volgarismo 
Zool. = zoologia, zoologico 
< = deriva da 

> = produce, dà 

sa = voce ricostruita, 


non testimoniata 


382. E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesino, Atti, vo XXXI, 2001, p. 371-468 


1) 


Tr.: 
Trad.: 


2) 


3) 


4) 


5) 


6) 


7) 


L’ ALIMENTAZIONE 


Amor, polenta e menole: fe le tre robe tenere 


Amore, polenta e menole: sono tre cose tenere. 
Amor, merda e zenere le xe tre robe tenere. 
Amore, merda e cenere sono le tre cose tenere. 


[ AG, MM] 
Nota: La menola è un pesce marino, Sparus maena, piccolo e pieno di lische. 


Barboni e caponi fa contenti i paroni 

Triglie e caponi fanno contenti i padroni. 

[AG] 

Nota: Con il termine barbon si designa il Mullus barbatus, mentre con capon 
si indica la Trigla lyra. 


Bevi el vin e no bevi el iudisio 

Bevi il vino e non bere il giudizio. 

[ MM, RT ] 

Nota: Sappiamo che il vino degustato in grandi quantità condiziona le facoltà 
mentali. 


Bundansia stufa e caristia fa fam 

Abbondanza stufa e carestia fa fame. 

[ AG, LS ] 

Nota: Cè chi si lamenta pur avendo il superfluo e c’è invece chi muore di fame. 


Chi che bevo bira vivo sento ani e chi bevo vin no mor mai 
Chi beve birra vive cent'anni e chi beve vino non muore mai. 

[ MM, RT] 

Nota: Questo è uno dei tanti proverbi che elogiano le virtù del vino. 


Chi che no magna pan, no fe cris’cian 

Chi non mangia pane, non è cristiano. 

[ AG] 

Nota: Il pane nella tradizione gallesanese è quasi un alimento sacro. Ricordia- 
mo che la gente di Gallesano è di religione cattolica e nella teologia cristiana 
il pane ha una forte simbologia: basti ricordare la moltiplicazione dei pani 
operata da Gesù e l'Eucaristia. 


Chi iò la boto piena de vin e la pila de oio, no iò pagura de la fam 
Chi ha la botte piena di vino e la pila di olio, non ha paura della fame. 
[ MD, AG, LS ] 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vo XXXI, 2001, p. 371-468 383 


8) 
Alt.: 


Trad.: 


9) 


10) 


11) 


12) 


13) 


Ital.: 
Ven.: 
Trad.: 


Nota: Le pile a Gallesano sono dei capaci recipienti di pietra calcarea, eseguiti 
per conservare l’olio d’oliva di produzione locale. 


Chi no ngruma le migole de pan, mor de fam 


Chi non raccoglie le briciole di pane, muore di fame. 

Wer Brosamen nicht ehrt, muss sie im Fegfeuer von einem gliienden Eisen 
schlecken. 

Chi trascura le briciole, dovrà leccarle da un ferro rovente nell’inferno. 


[AG] 


Nota: In un’economia di fabbisogno, il pane assume un’importanza vitale, che 
trova corrispondenza in una serie di fattori economici e familiari: innanzitutto 
l’incertezza del raccolto o la certezza del domani. 


Co fe pan ‘n convento — no manca frati drento 
Quando c’è pane in convento - non mancano frati dentro. 
[ MD, AG, IM, NM, LS ] 

Nota: Accorrono tutti quando si tratta di mangiare. 


Co’ I’ anguria se bevo, se magna e se se lava el mufo 

Con il cocomero si beve, si mangia e ci si lava il viso. 

[ AG, MM, IM, NM] 

Nota: Il cocomero è un frutto di triplice utilità: con la sua polpa dolce, rossa e 
acquosa ci si può dissetare, saziare e lavare il viso. 


Duti vol la carno, nisun i osi 

Tutti vogliono la carne, nessuno gli ossi. 

[ IM, NM] 

Nota: Tutti vogliono la parte migliore, sia in fatto di cibo che di esperienze di vita. 


Duto fe bon se fe condì, anche le ortighe 

Tutto è buono se ha il condimento, anche le ortiche. 

[ AG, LS ] 

Nota: Il condimento nasconde il vero sapore degli alimenti rendendoli più 
gradevoli al palato. 


EI pan dei altri iò sete groste 

Il pane degli altri ha sette croste. 

Il pane degli altri ha sette croste. 

El pan del paron el g’ha tre croste. 

Il pane del padrone ha tre croste. 

[ MD, AG, IM, NM] 

Nota: Bisogna ben sudare per guadagnarselo. 


384 E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 


14) 


Tr.: 
Trad.: 


15) 


Ital.: 
Lat.: 
Trad.: 
Ven.: 
Trad.: 
Tr.: 
Trad.: 
Alt. 
Trad.: 


16) 


17) 


18) 


V.-G.: 


Trad.: 


EI pomo tante volte de fora el fe bel, ma ‘n drento el fe marso 
La mela tante volte di fuori è bella, ma dentro è marcia. 

La castagna bela de fora dentro la magagna. 

La castagna bella di fuori dentro magagna. 


[ AG] 
Nota: L’apparenza inganna. 


Il proverbio può essere inteso anche metaforicamente: è difficile comprendere 
i veri sentimenti che risiedono nell’animo di una persona. 


EI saco vodio ‘n pen no sta, begna mpinilo o de paia o de fen, el saco 
poi sta ‘n pen 

Il sacco vuoto in piedi non sta, bisogna riempirlo o di paglia o di fieno, il sacco 
poi sta in piedi. 

La pancia sia piena, sia di paglia sia di rena. 

Sine cibo, nec pugnare nec vincere possumus. 

Senza cibo non possiamo né combattere né vincere. 

O de strame o de fen, el stomego g’ha da esser pien. 

O di strame o di fieno lo stomaco deve essere pieno. 

Saco svodo no sta in pie. 

Sacco vuoto nonsta in piedi. 

A laarer Sack steaht net lang. 

Sacco vuoto non sta in piedi. 

[ MD, AG, PG, IM, NM, LS ] 

Nota: Un corpo vuoto non può reggere alla fatica. 


EI vin a la lengua ghe dà forsa, a le gambe el ghe la ciò 

Il vino dà forza alla lingua, alle gambe la leva. 

{ MM, NM, RT ] 

Nota: Il vino giova alla loquacità ma non alle funzioni motorie del nostro corpo. 


EI vin de malvafia - el più bon vin che ghe sia 

Il vino di malvasia - il più buon vino che ci sia. 

[ AG, IM, MM, NM] 

Nota: Un po’ di campanilismo non guasta mai. Vedi glossario voce malvafia. 


EI vin fa alegria, col se bevo in compagnia 

Il vino fa allegria, se si beve in compagnia. 

De otobre ‘l vin fa alegria co ‘1 se bevi in compagnia. 

D’ottobre il vino fa allegria quando si beve in compagnia. 

[ AG, MM, NM] 

Nota: Qui ricorre il motivo del vino che toglie ogni preoccupazione, che allarga 
il cuore, anche se si è in condizioni miserande. 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione parcmiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468 385 


19) Graso fa graso 


Grasso fa grasso. 
Ital.: Carne fa came, pane fa pancia, vino fa danza. 
Ital. Carne fa carne, pan fa sangue, vin mantiene, pesce fa vesce, erba fa merda. 
Tr.:  Carnefacamee vin fa sangue. 
Trad.: Carne facame e vino fa sangue. 
[ AG] 
Nota: Più si mangia e più s’ingrassa. 


20) Ierba cara ‘n te l’orto - peso caro al porto 
Erba cara nell'orto - pesce caro al porto. 
[ AG] 
Nota: D’inverno, quando scarseggiano gli ortaggi, scarseggia anche il pesce 
con conseguente aumento dei prezzi di mercato. 


21) L'acqua marsiso i pai 

L’acqua marcisce i pali. 
Ven.: L’ aqua marcisse le pale del molin. 
Trad.: L’ acqua marcisce le pale del mulino. 


Tr.: L’aqua fa marziri pali, la fa che se diventi zali. 
Trad.: L’acqua fa marcire i pali, fa diventare gialli. 
[ MD, AG, MM] 


Nota: Il popolo che lavora di braccia congiura contro l’acqua e dedica la sua 
voce a cantare le lodi del vino. 


22) Labotoladàel vinchela iò 
La botte dà il vino che ha. 


Ital.: La botte dà del vino che ha. 

Tr.:  Labotadàel vinchela ga. 

Trad.: La botte dà il vino che ha. 
[ IM, MM, NM, LS ] 
Nota: Se la botte è buona, il vino sarà buono; se la botte è cattiva, il vino sarà 
cattivo. Ne deriva che il comportamento è lo specchio del carattere. 


23) La fritola como anche la dona, no la fe bona se no la fe tonda 
La frittella come anche la donna, non è buona se non è rotonda. 
[ MM ] 
Nota: Da questo proverbio emerge come siano cambiati col tempo i canoni di 
bellezza: mentre in passato l’ideale dei nostri nonni era la donna formosa e 
naturalmente robusta per far fronte alle fatiche,oggi, influenzati dai mass-me- 
dia, predilegiamo i modelli pelle ed ossa. 


386 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468 


24) 


25) 


26) 


27) 


28) 


29) 


La menestra fe la biava del contadin 

La minestra è la biada del contadino. 

[MM] 

Nota: Nella cucina gallesanese il minestrone ha sempre avuto un ruolo molto 
importante, soprattutto nelle fredde giornate invernali. 


La mochèra calda, la scalda el boscador 

Il piatto caldo, riscalda il boscaiolo. 

[RT] 

Nota: La mochèra è un recipiente di legno usato per portare il pranzo in 
campagna. 


La pagnoca de San Roco ingrasa el porco 
La pagnotta di San Rocco ingrassa il maiale. 

[ MM ] 

Nota: San Rocco si festeggia il 16 agosto. 


Quando l’Istria fu travagliata dal flagello della peste, gli abitanti di Gallesano, 
scelsero San Rocco come loro Protettore ed edificarono una piccola chiesetta 
in suo onore. Questa nel 1613 venne demolita e sul luogo venne eretta l’attuale 
chiesa parrocchiale. 


Il proverbio è stato così commentato dalla persona intervistata: il pane fatto con 
la farina “giovane”, con la farina ottenuta dal grano mietuto nel mese di luglio, 
è più saporito, si mangia più volentieri e di conseguenza si ingrassa più 
facilmente. 

La patata Se la regina de la cafa 

La patata è la regina della casa. 

[MM] 

Nota: Con la patata si possono cucinare sia gustosissimi primi che secondi 
piatti. 

La polenta fe bona quando che ghe ne fe 

La polenta è buona quando ce n’è. 

| MM, RT] 

Nota: Se non è stata una buona annata per il granoturco, sarà difficile anche 
avere la polenta. 


Lafagne e macaroni fe magnà de siori 

Lasagne e maccheroni, è un pasto da signori. 

[ MD, AG, LS ] 

Nota: A Gallesano le tagliatelle, chiamate /afagne, e i macaroni vengono ancor 
oggi fatti in casa, soprattutto in occasione delle festività. Per fare i macaroni ci 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 387 


vuole una grande abilità, perché vengono avvolti su un ferro da calza. 


30)  Meio dure groste de pan, ma ‘1 cor ‘n paf ancoi e anca doman 
Meglio dure croste di pane, ma il cuore in pace oggi e anche domani. 
[ MD, AG ] 
Nota: Meglio mangiare dure croste di pane, piuttosto che cedere all’usura con 
tutte le conseguenze che ne derivano. 


31) Meio magnà untoco de pan dur e vivi ‘n alegria, vesi de magnà un 
toco de pan bon e vivi ‘n malinconia 


E meglio mangiare un pezzo di pane duro e vivere in allegria, invece di 
mangiare un pezzo di pane buono e vivere in malinconia. 


[ AG] 
Nota: vedi nota proverbio numero 30. 


32) Mefogiorno- el pan al forno 
A mezzogiorno - il pane in forno. 
[ AG, LS ] 
Nota: Gallesano ha tutt'oggi un proprio panificio che continua a cuocere il pane 
con il forno a legna. 


33)  Nobegna rifiutà pan, perché alora ti segni pefo de un can 
Non bisogna rifiutare il pane, perché allora sei peggio di un cane. 
[ AG] 
Nota:vedi nota proverbi numero 6 e 8. 


34) Nosta patì la fam, magna magari pan dur 
Non patire la fame, mangia magari pane duro. 
[ AG] 
Nota: Tutto è meglio della fame. 


35) No fe magnà sina patata 
Non vi è mangiare senza patata. 
[MM] 
Nota: vedi nota proverbio numero 27. 


36) O paiao fen- basta che el saco staga ‘n pen 


O paglia o fieno - basta che il sacco stia in piedi. 
Tr.: Odepajaode fien, basta che el corpo sia pien. 
Trad.: O di paglia o di fieno, basta che il corpo sia pieno. 
Tren.: Paia o fen, entant che ‘l budel sia pien. 
Trad.: Paglia o fieno, purché l’intestino sia pieno. 


388 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Att, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


37) 


38) 


39) 


40) 


41) 


42) 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Chi ha fame si accontenta di tutto. Vedi nota proverbio 15. 


Pan comprà, pan bramà; pan de balansa no sasia mai la pansa 
Pane comprato, pane bramato; pane di bilancia non sazia mai la pancia. 
[ MD, AG, LS ] 


Nota: Non si dispone mai di abbastanza soldi per comperare tutto ciò che si 
vorrebbe. 


Per el pan dur ghe vol denti duri 

Per il pane duro ci vogliono denti duri. 

[ AG] 

Nota: Da notare quanto il pane sia ricorrente nei proverbi gallesanesi. 


In senso metaforico il proverbio dice che quando ci si trova di fronte ad un 
avversario molto duro o a situazioni che fanno tribolare, bisogna tener duro, 
usando, se serve, anche lc maniere forti. 


Perché el peso sia bon, begna esi ‘n tre: un che lo pesca, un che lo 
frifo e un che lo magna 


Perché il pesce sia buono, bisogna essere in tre: uno che lo pesca, uno che lo 
frigge e uno che lo mangia. 


[ MM, NM, RT ] 
Nota: Per mangiare del buon pesce è necessario innanzitutto che qualcuno lo 


peschi, poi che qualcun lo sappia cucinare e infine qualcuno che lo sappia 
gustare. 


Persighi, peri, pomi - meteli ‘n banca che i fe sempro boni 

Pesche, pere, mele - metteteli in tavola che sono sempre buoni. 

[ AG] 

Nota: La frutta non deve mai mancare in tavola. Ricca di vitamine, è indispen- 
sabile per la nostra dieta. 


Questo no fe acqua ma fe vin, ma viva, viva San Martin 
Questa non è acqua ma è vino, ma evviva, evviva San Martino. 

[ AG] 

Nota: Altro elogio del vino. 


San Martin - protetor del vin 

San Martino - protettore del vino. 

[ MM, RT] 

Nota: vedi nota proverbi numero 403, 404 e 405. 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Galkesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371468 389 


43) Seelsaco no fe pien, nol sta ‘n pen 


Se il sacco non è pieno, non sta in piedi. 
Ital.: Sacco vuoto non istà ritto. 


Nota: vedi nota proverbio numero 15 e 36. 


44) Sela va, resti; se la resta, vai via subito 
Se va via, resto; se resta, vado via subito. 
[NM] 
Nota: Questo è un proverbio enigma, un proverbio cioè che in forma oscura e 


ambigua allude a una parola o a un concetto da indovinare. In questo caso si 
riferisce alla schiuma del vino. 


45) Setivoiche ‘Il bacalà sia bon, begna falo bon 
Se vuoi che il baccalà sia buono, bisogna farlo buono. 
[ AG] 
Nota:Ci vuole una certa abilità in cucina, soprattutto in fatto di pesce. 


46) Tela befasa del contadin, se cata sempro bon vin 
Nella bisaccia del contadino, si trova sempre del buon vino. 
[ MM, RT] 
Nota: Il vino occupa un ruolo determinante nella vita quotidiana del contadino 
gallesanese. 


47) Ti magni solo, ma ti creparè solo 
Mangi solo, ma morirai solo. 
Ital.: Chi mangia solo, si strozza. 
Tr.: Chi magna solo, crepa solo. 
Trad. Chi mangia solo, muore solo. 
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: La compagnia e il bere durante i pasti ci fanno star bene. 


48) Unbon goto de vin, fa bon sango e morbin. 
Un buon bicchiere di vino, fa buon sangue e allegria. 
Tr.: Una copade bon vin fa coragio e dà morbin. 
Trad.: Una coppa di buon vino fa coraggio e dà allegria. 
Tren.: El bon vin fabon sangue. 
Trad.: Il buon vino fa buon sangue. 
[ AG, IM, MM, NM ] 
Nota: Il proverbio loda le qualità del vino, sangue della vite e della vita. 


39% E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologici a Gallesano, Att, voL XXX], 2001, p. 371-468 


49) 


50) 


51) 


52) 


Un goto de malvafia e un ovo a la mitina, fe una bona midifina per 
el contadin 


Un bicchiere di malvasia e un uovo alla mattina, è una buona medicina per il 
contadino. 


[ MM, RT ] 
Nota: Si tratta ovviamente di una ricetta popolare, ma non mettiamo in dubbio 
i benefici che se ne possono ricavare. 


Una sopa de pan e vin fe la marenda del contadin 

Una zuppa di pane e vino è la merenda del contadino. 

[MM] 

Nota: Il vino accompagna il contadino gallesanese lungo tutto l’arco della 
giornata. 


Val più un goto de vin - che duto el bufighin 
Vale più un bicchiere di vino, che tutto il borzacchino. 


[ Proverbio non noto agli intervistati. Trovato in Raccolta di proverbi istriani 
di G. Vàtova, pag.543 ] 

Nota:G.Vàtova in Raccolta di proverbi istriani, pag. 543 commenta così il 
proverbio: “Un buon bicchiere di vino riscalda di più che portare le ghette di 
pelle di vitello, che fasciavano le gambe dal polpaccio in giù e terminavano 
sulle scarpe”. 

Queste ghette di pelle di vitello, di colore naturale, a Gallesano chiamate 
bufighini, mentre a Dignano d’Istria e a Valle d’Istria bufighéini, venivano 
portate specialmente dai boari. 

Attualmente nessuna delle persone intervistate conosce il significato della 
parola bufighin. 


Vin nero - sango bon 

Vino nero - sangue buono. 

[ AG, MM, RT] 

Nota: È diffusissima a Gallesano la convinzione che il vino nero faccia bene al 
sangue. 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 391 


L’ AMORE. 
L’ AMICIZIA. 
GLI AFFETTI E I SENTIMENTI. 


L’ amore 


53)  Amorfa amor e crudeltà fa crudeltà 


Amore fa amore e crudeltà fa crudeltà. 

Ital.: Amore fa amore. 

Tr. Amorfaamore crudeltà consuma amor. 

Trad.: Amore fa amore e crudeltà consuma amore. 

Friul. Amoral fés amor. 
[ AG, PG, LS ] 
Nota: In tutti i gradi della società umana questa massima è verissima. L'amore 
produce amore. Il bene è diffusivo di se stesso per natura. Questa corrispon- 
denza biunivoca si fonda sulla legge della donazione reciproca, che genera 
amore. 


54) Amornovovae ven; amor vecio se manten 


Amor nuovo va e viene; amor vecchio si mantiene. 
Ital.: Amore nuovo va e viene, amor vecchio si mantiene. 
Pugl.: Emoere vécchje s'amméndéiene; u nueve vé e véiene. 
Trad.: Il vecchio amore si mantiene, il nuovo va e viene. 
Russo: Staraja Ijubov” ne rZaveet. 
Trad.: Il vecchio amore non arrugginisce. 


[ AG, LS ] 
Nota: Non si può scordare l’antica fiamma. 
Da notare in questo proverbio la contrapposizione tra vecchio e nuovo. 


55) Amor, morè e rogna no se scondo, come la scalogna 


Amore, ragazzo e rogna non si nascondono, come la scalogna. 
Ital.:  Amoree tosse non si nascondono. 
Ital.: Amore, tosse e fumo non si possono occultare. 
Ital.: Amore, gravidanza e denari son tre cose che non si posson celare. 
Ital.: Il fuoco, l’amore e la tosse ben presto si conosce. 
Lat.:  Amortussisque non celatur. 
Trad.: L’amore e la tosse non si nascondono. 
Tr.:  L’amorelatosse no se pol sconder. 
Trad.: L'amore e la tosse non si possono nascondere. 
Ven.: Amore, tosse e panza no i se sconde. 
Trad.: Amore, tosse e pancia non si nascondono. 
Tren.: Né tés, né fam, né amor no se pol scénder. 


392 E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 


Trad.: 
Lad.: 
Trad.: 
Bol.: 
Trad.: 


56) 


Ital.: 
Ital.: 
Mar.: 
Trad.: 
Tren.: 
Trad.: 


57) 


Ital.: 
Tosc.: 
Tir 
Trad.: 


58) 


Dign.: 
Trad.: 


Né tosse, né fame, né amore si possono nascondere. 

Mort, fech e amor l’é trei robes che no se sarà mai bogn de scéner. 
Morte, fuoco e amore sono tre cose che non si potranno mai nascondere. 
L’ amaur e la tass prèst s acgnòss. 

L’ amore, come la tosse, non si può nascondere. 


[ AG, PG] 
Nota: Chi ama, senza volerlo, manifesta esternamente il suo sentimento. 


Dio li fa poi li sembra 

Dio li fa, poi li accoppia. 

Dio li fa, poi li accoppia. 

Dio li fa, poi li accompagna. 

EI Signor adocchia adocchia, fa le persone e po’ l’ accoppia. 
Il Signore guarda, guarda, fa le persone e poi le accoppia. 

El Signoredfo li fece, dé el li compagna. 

Il Signore Iddio li fece, poi li accompagna. 

[ MD, MM, LS |] 


Nota: Il proverbio si riferisce a persone che vivono e agiscono insieme e hanno 
gli stessi difetti. Il tono è evidentemente ironico. 


Dio li iò fati, e ‘l diao li id compagnadi 

Dio li ha fatti e il diavolo li ha accompagnati. 

Dio li fa e poi li accompagna. 

Il diavolo li fa e poi li appaia. 

Dio li ga fati e el li ga compagnadi. 

Dio li ha fatti e li ha accompagnati. 

[AG] 

Nota: Si dice per lo più di persone che stanno bene insieme e che hanno gli 
stessi difetti. Usato anche in senso generico per le persone che hanno gli stessi 
gusti, gli stessi sentimenti, le stesse affinità. 


A Gallesano il proverbio viene usato perlo più quando ci si riferisce a due sposi 
che si appaiano bene sia per qualità positive che negative. 


Dute le rantele iò el so ragno; le morede che fa l’amor le mostra el 
calcagno 

Tutte le ragnatele hanno il proprio ragno; le fanciulle che fanno l’amore 
mostrano il tallone. 

Doute le rantile a jò al so ragno, poute che fa l’amur mostra el calcagno. 
Tutte le ragnatele hanno il proprio ragno; le fanciulle che fanno l’amore 
mostrano il tallone. 


[ AG] 
Nota: Le ragazze innamorate sono a tal punto infiammate da questo sentimento 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Asi, vol XXXI, 2001, p. 371-468 393 


59) 


Ital.: 
Tr.: 
Trad.: 


60) 


Emil.: 


Trad.: 


da dimenticare perfino di rammendarsi le calze. 


EI primo amor no se defmentega mai 


Il primo amore non si dimentica mai. 
Il primo amore non si scorda mai. 

Del primo amor no se se scorda mai. 
Del primo amore non ci si scorda mai. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS ] 
Nota: Forse perché nasce nella prima gioventù nel cui periodo di vita gli affetti 


e le passioni giganteggiano guidate dalla fantasia e dal cuore, e lasciano perciò 
più forte impressione nell’animo. 


L’ amor scuminsia con soni e canti, ma?l finiso con sospiri e pianti 


L’amore inizia con suoni e canti, ma finisce con sospiri e pianti. 

AI matrimoni prinzèppia sàmper int al nòmm d'’ Idio, e finèss in quall dal 
dièvel. 

Tl matrimonio comincia sempre nel nome di Dio e finisce in quello del diavolo. 
[AG] 

Nota: Questo non è un proverbio, ma una villotta, anche se l’intervistata l’ha 
citata in qualità di modo proverbiale. 


Le villotte (canzoni a ballo, corali, di carattere popolare) sono di origine 
antichissima e di autori ignoti. 


“Nacquero da un moto improvviso del cuore e ci vennero tramandate col canto 
di generazione in generazione; esprimono tutte sentimenti d’amore ed hanno 
tutte lo stesso ritmo. Si cantavano di solito sotto le finestre della fanciulla amata 
ed erano accompagnate ultimamente dalla chitarra o dal mandolino o da 
entrambi, ma nel passato, come ora avviene per le manifestazioni folcloristi- 
che, dai due antichissimi strumenti musicali gallesanesi “ /e pive ” ed “ el 
simbolo ”, che accompagnavano anche altri ritmi, come il famoso ballo della “ 
furlana”, tuttora in voga. 

Le “ pive ”, quasi cormamuse scozzesi, sono fatte con pelle di pecora, nella 
quale si soffia da una parte e dall’altra esce l’aria attraverso due zufoli sui quali 
si agisce con le dita onde ricavarne l’armonia. Il “ simbolo ” invece è fatto di 
pelle d’asino tesa sopra un cerchio di legno e fermata da un altro cerchio; il che 
fa rassomigliare lo strumento ad un setaccio. Di sotto alla pelle d’asino, ad un 
filo di ferro, sono appese delle campanelle. Le “ pive ”’ suonano la melodia, 
mentre il “ simbolo ” segna il tempo.” ( G. Tarticchio, Ricordi di Gallesano, 
pag. 67 ) 

Dobbiamo accennare al fatto che le villotte non riflettono sempre il genuino 
dialetto gallesanese, ma assumono un parlare che sta tra il dialetto e la lingua 
italiana, forse per rendere più comprensibile agli estranei il testo delle canzoni. 


394 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


61) 


Ital.: 
Lat.: 
Trad.: 
Tren.: 
Trad.: 


62) 


Ital.: 
Lat.: 
Trad.: 
Tr. 
Trad. 


63) 
Ital.: 
Ven.: 
Trad.: 
TE 
Trad. 


Tren.: 


Trad.: 


64) 


L’ amor fe orbo 
L’amore è cieco. 
L’ amore è cieco. 
Amor caecus. 
L’amore è cieco. 
L’amor la è orba. 
L’amore è cicco. 


[ MD, AG, IM, MM, NM, LS ] 
Nota: Chi ama non vede difetti e magagne dell’amato. 


Lontan de’ oci, lontan dal cor 


Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. 

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. 

Cum autem sublatus fuerit ab oculis, etiam cito transit a mente. 
Una volta tirato via dagli occhi passa presto anche dalla mente. 
Lontan de i occi lontan del cor. 

Lontano dagli occhi lontano dal cuore. 


[ AG, IM, MM, NM, LS ] 
Nota: Vuol dire che quando una persona si allontana da noi anche i nostri affetti 
si attenuano. In particolare la lontananza fa dimenticare la persona amata. 


Nisun sabo sina sol; nisun prà sina fior; nisuna moreda sina amor 


Nessun sabato senza sole; nessun prato senza fiore; nessuna fanciulla senza 
amore. 
Non c’è sabato senza sole né donna senza amore. 
No gh’'è sabo senza sol; no gh’è puta senza amor; no gh’è un prà senza erba; 
no gh’è camisa de vecia senza merda. 
Non c’è sabato senza sole; non c’è ragazza senza amore; non c’è un prato senza 
erba; non c’è camicia di vecchia senza merda. 
No xe sabo senza sol no xe dona senza amor. 

è 7) è z ; 
Non c’è sabato senza sole non c’è donna senza amore 
No gh’è sabo senza sol; no gh’è puta senza amor; no gh’è pra’ senza erba; no 
gh’'è cémod senza merda. 

Ù ; 4 - x 3 
Non c’è sabato senza sole; non c’è donna senza amore; non c’è prato senza 
erba; non c’è latrina senza merda. 


[ AG, PG] 
Nota: Il sabato è il giorno più atteso della settimana, ma è anche il giorno della 
speranza e dei sogni. Ne parla Giacomo Leopardi nel “Sabato del villaggio”. 


Ogni donna è illuminata dal sole dell’attesa, della speranza e palpita in attesa 
del giorno di festa, del giorno dell’amore, del possesso della persona amata. 


Pache d’ amor, no porta dolor 
Botte d'amore, non portano dolore. 


E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremniologica a Gallesano, Ari, voL XXXI 2001, p. 371-468. 395 


Ital.: Chi patisce per amore non sente dolore. 
[ AG] 
Nota: Chi ama è pronto a soffrire per la persona amata. 


65) Pache d’ amor non fa sintì dolor 


Botte d’amore non fanno sentire dolore. 
Ital.: Chi soffre per amor per amore non sente pene. 
Ven.: Per amornose sente dolor. 
Trad.: Quando si fa per amore non si sente dolore. 


| AG, PG, LS ] 
Nota: L’amore tende ad alleviare le sofferenze della vita. 


66) Più ciaro che te vedi, più ben te voi 
Più di rado ti vedo, più bene ti voglio. 
[ AG, PG] 
Nota: Secondo questa sentenza, meno si vede una persona più bene le si vuole. 


Forse perché la lontananza aumenta il desiderio di riavere accanto la persona 
amata. 


67) Piùciarochete vedi, più speso me ricordi 


Più di rado ti vedo, più spesso mi ricordo. 
Tr.:. Ciarote vedoe speso te ricordo. 
Trad.: Di rado ti vedo e spesso ti ricordo. 
Ven.: Ciaro te vedo e spesso me ricordo: moroso da lontan no val un corno. 
Trad.: Pocoti vedo e molto ti ricordo: fidanzato lontano non vale nulla. 


| AG, PG ] 
Nota: Generalmente si è portati a ricordarsi più delle persone che sono lontane 
che di quelle che ci stanno accanto. 


68) Quando che ‘l pan manca, l’ amor stanca 


Quando il pane manca, l’amore stanca. 

Ital.: Quando la fame vien dentro la porta, l’ amore se ne va dalla finestra. 

Ital.: Quando la povertà entra dalla porta l’amore esce dalla finestra. 

Ven.: Co la fame vien dentro da la porta, l’ amor va fora per i balconi. 

Trad.: Quando la fame entra per la porta, 1’ amore se ne va per i balconi. 

Lad.: Canche al né no pan te scrin, no farina te ciadin: spo va l’amor so pur ciamin. 

Trad.: Quando non c’è pane nella dispensa, né farina nel catino: l’amore se ne va per 
il camino. 


[ MD, AG, MM, LS ] 
Nota: Così commentano il proverbio G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi 


trentini ladini e altoatesini (pag. 159): “Il povero non faccia all’amore, perché 
senza soldi non si fa bollir la pentola”. 


3% E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371-468 


69) 


Ital.: 
Ital.: 
Ven.: 
Trad.: 
Tr.: 
Trad.: 


70) 


Ital.: 
Ital.: 
Ital.: 
Fr.: 
Trad.: 


DIL) 


Ital.: 
Ital.: 
Tr.: 
Trad.: 
Alt.: 
Trad.: 


72) 


bos 
Trad.: 


La sentenza connette l’amore alle condizioni economiche. 


Quel che l’ ocio no vè, el cor soporta 


Quello che l’occhio non vede, il cuore sopporta. 
Se occhio non mira cuor non sospira. 

Occhio non vede, cuore non duole. 

Se ocio no smira, cuor no sospira. 

Se l’ occhio non vede, il cuore non sospira. 
Ocio no vedi e cuor no credi. 

Occhio non vede e cuore non crede. 


[ AG, LS] 
Nota: Le cose che accadono senza che noi ne veniamo a conoscenza non 
feriscono i nostri sentimenti. 


Se no i se somia, no i se ciò 


Se non si somigliano, non si prendono. 

Chi si somiglia si piglia. 

Chi si assomiglia si appariglia. 

Ogni simile ama il suo simile. 

Qui se ressemble s’assemble. 

Chi si somiglia si unisce. 

[ MD, AG, LS ] 

Nota: I simili si cercano. È una legge di natura valevole anche per l’uomo. 
Ognuno è attratto irresistibilmente dal proprio simile per un complesso miste- 
rioso di caratteristiche e tendenze naturali comuni. 


Sfortunadi al fogo ma fortunadi ‘n amor 


Sfortunati al gioco ma fortunati in amore. 

Chi ha fortuna in amore, non giochi a carte. 

Fortunato al gioco, sfortunato in amore. 

Sfortunà nel zogo, fortunà in amor. 

Sfortunato nel gioco, fortunato in amore. 

Gliick im Spiel, Ungliick in der Liebe; Ungliick im Spiel, Gliick in der Liebe. 
Fortunato al gioco, sfortunato in amore; sfortunato al gioco, fortunato in 
amore. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: È una scherzosa consolazione rivolta a chi perde nel gioco oppure una 
frecciata di invidia a chi vince. 


Un bafo non fa buf; un bafo e una forbida- e ‘l bafo fe fa via 
Un bacio non fa buco; un bacio e una pulita - e il bacio è già via. 
Baso no fa buso. 

Bacio non fa buco. 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 397 


Tr.: 
Trad.: 
Ven.: 
Trad.: 
Ven.: 
Trad.: 
Abr.: 
Trad.: 


73) 


Tr.: 
Trad.: 
Lad.: 
Trad.: 


Baso no fa buso, ma prepara pe’ andar suso. 
Bacio non fa buco, ma prepara per andare su. 
Baso no fa buso, ma xe scala per andar suso. 
Unbacio non fa buco, ma è scala per andare su. 
Unbaso e ‘na forbia, el baso xe andà via. 
Unbacio e una pulita, ed il bacio è sparito. 
Pizzichi e basc’ nen fann’ busc”. 

Pizzicotti e baci non fanno buchi. 


[ AG, PG] 
Nota: È la giustificazione della demi-vierge che crede di essere onesta in 
quanto anatomicamente intatta. 


Volese ben no costa gnente 


Volersi bene non costa niente. 
Volerse ben no costa gninte. 
Volersi bene non costa niente. 
A se voler ben no costa nia. 

A volersi bene non costa nulla. 


[ AG, LS ] 
Nota: Questo proverbio è generalmente usato come buon augurio ai giovani 
amanti. 


L’amicizia 


74) 


Ital.: 
Lat.: 
Trad.: 
Ven.: 
Trad.: 


75) 


Ital.: 
Ital.: 
Tr.: 
Trad. 
Fr.: 


Amici con duti e amico con nisun 


Amico con tutti e amico con nessuno. 
Amico di tutti e di nessuno, è tutt’ uno. 
Amicus omnibus, amicus nemini. 
Amico di tutti, amico di nessuno. 
Amigo de tuti, amigo de nisun. 

Amico di tutti, amico di nessuno. 


[ AG, PG, LS ] 
Nota: La vera amicizia è un rapporto di affetto vivo e reciproco che lega due o 


più persone. Per sua natura è circoscritto a poche persone; se si estende troppo, 
perde di intensità e di valore. 


Conti spesi - amicisia longa 


Conti spessi - amicizia lunga 
Patti chiari, amicizia lunga. 
Conti spessi, amicizia lunga. 
Conti spessi, amizizia longa. 
Conti spessi, amicizia lunga. 
Enamitié, il faut de la franchise. 


398 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 


Trad.: 


76) 


77) 


Ven.: 
Trad.: 
“ELE 
Trad.: 
Tren.: 
Trad.: 
Lad.: 
Trad.: 


78) 


Tosc.: 
Ven.: 
Trad.: 
Tr.: 
Trad.: 


Nell’amicizia occorre schiettezza. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Se gli accordi son precisi, chiari e limpidi, in qualsiasi campo non 
sorgeranno contrasti che possano incrinare l’amicizia. Ogni sotterfugio, ambi- 
guità o imprecisione di termini può mettere in crisi un rapporto di fiducia, 
anche dopo tanti anni. 


Dopo fato ‘l servisio, se caga l’ amigo 

Dopo aver fatto il sevizio, si caca l’amico. 

[AG] 

Nota: Il proverbio fa leva sul senso di egoismo radicato in molti, che fanno tutto 
per calcolo e per interesse. 


Ne la morte e ne’ spofalisi, se cognoso i amici 


Ai funerali e ai matrimoni si conoscono gli amici. 

I amigi se conosse a le fosse e a le nosse. 

Gli amici si conoscono ai funerali ed alle nozze. 

Ne le noze e nei mortori se conossi i parenti. 

Alle nozze e ai funerali si conoscono i parenti. 

A la nozza e a la fossa se cognose el parentà. 

Alle nozze e ai funerali si conosce il parentado. 

Su la noza e su la fosa se cognos i parenc’. 

Alle nozze e ai funerali si conoscono i parenti. 

[AG,LS] 

Nota: Il proverbio ricorda l’usanza dell’agape funebre ad esequie terminate e 
del banchetto nuziale, che accentuano il carattere rituale di “aggregazione” 
fraterna del pasto in comune. 


Tante volte va più ben un amigo che un parento 


Tante volte è meglio un amico che un parente. 
Val più un amico che cento parenti. 

Megio un amigo che cento parenti. 

Meglio un amico che cento parenti. 

Val più un bon amigo che zento parenti. 

Vale più un buon amico che cento parenti. 


[ AG, PG] 
Nota: I parenti a volte possono essere insensibili ed egoisti, mentre il vero 
amico è sempre disponibile, è sempre pronto a venirci in aiuto. 


E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, vo XXXI, 2001, p. 371468 399 


Gli affetti e i sentimenti 


79)  Chichete vol bente lasa piorendo; chi che te vol mal te lasa ridendo 


Chi ti vuole bene ti lascia piangendo; chi ti vuole male ti lascia ridendo. 
Ital.: Chi ti vuol bene ti fa piangere, e chi ti vuol male, ti fa ridere. 
Ital.: Chi mi vuol bene, mi lascia piangendo, chi mi vuol male, mi lascia ridendo. 


Li.: Chi veubenfacianzee chi veu mafarie. 

Trad.: Chi vuol bene fa piangere e chi vuol male fa ridere. 

Tr.: Chichete volbente lassa pianzendo e chi che te vol mal te lassa ridendo. 

Trad.: Chi ti vuole bene ti lascia piangendo e chi ti vuole male ti lascia ridendo. 
[ AG, PG, LS ] 


Nota: Il proverbio si riferisce al fatto che essere severi con i figli è penoso. Si 
vorrebbe sempre offrire, dare gioia, aiuto, benessere. E invece quante volte 
occorre negare, sgridare, insegnare la rinuncia. Allenare il figlio alla vita, 
spesso piena di difficoltà e di umiliazioni, significa pure causargli amarezza, 
momenti di pena o addirittura lacrime. Con il passare del tempo pianto e riso 
si invertiranno a seconda dell’educazione ricevuta. Chi da piccolo è stato 
allevato severamente avrà più probabilità di sorridere negli anni maturi. 


80) Chide cor no dol, piorà no pol 
Chi di cuore non duole, piangere non può. 
[AG] 
Nota: Si può piangere solo se si soffre veramente. 


81) Elcorcontentofa vivi contenti 
Il cuore contento fa vivere contenti. 
[ MD, AG, PG, LS ] 


Nota: Se si è appagati dal punto di vista sentimentale, anche gli altri problemi 
della vita ci sembrano più sopportabili. 


82) Perdonà fe de cris’ciani - defmentegase gnanche de fioi de cani 
Perdonare è da cristiani - dimenticarsi neanche da figli di cani. 
[ AG] 
Nota: Il perdono è uno degli elementi essenziali su cui si basa il cristianesimo, 


e la sentenza sopra riportata lo avvalora, mettendo però anche ben in evidenza 
il fatto che, scordarsi di una persona cara è un fatto alquanto riprovevole. 


400 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


83) 


Tr.: 
Trad.: 
Russo: 
Trad.: 


84) 


85) 


Ital.: 
Ital.: 


86) 


Ital.: 
PES 
Trad.: 
Fr.: 
Trad.: 


87) 


GLI ANIMALI E LE LORO METAFORE 


Adeso ‘1 pulastro sa più che la galina 

Adesso il pulcino sa più della gallina. 

Vol saver più l’ovo che la galina. 

Vuole sapere più l’uovo che la gallina. 

Jajca kyricu ne yCat. 

Le uova vogliono sapere più della gallina. 

[ MD, MM, LS, RT ] 

Nota: Si dice generalmente ai ragazzi, a cui scorre troppo la lingua nell’emet- 
tere opinioni. 

Il proverbio indica una situazione invertita, in cui comanda chi dovrebbe 
ubbidire, e chi dovrebbe stare sottomesso vuole avere voce in capitolo. 


Al becher vol sempro vache grase 

Il macellaio vuol sempre vacche grasse. 

[ IM, NM] 

Nota: L’avere vacche grasse significa ricchezza, perché più le mucche sono 
“abbondanti” più carne ci sarà da vendere. 


AI sion de gabia, canta o de invidia o de rabia 

L’uccello di gabbia, canta o per invidia o per rabbia. 

Uccel di gabbia, o canta per invidia o canta per rabbia. 

L’uccelletto in gabbia non canta per amore ma per rabbia. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Metaforicamente indica che chi è privo della libertà talvolta cela il suo 
cruccio, la sua rabbia e impotenza sotto la maschera di un’allegria imposta ed 
esteriore. 


Can che baia no morsega 

Can che abbaia non morde. 

Can che abbaia, non morde. 

Can che baia no morsiga. 

Cane che abbaia non morde. 

Chien qui aboie ne mord pas. 

Can che abbaia non morde. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT] 

Nota: Significa metaforicamente che chi fa molte minacce generalmente non 
passa ai fatti; ciò che apparentemente sembra terribile in realtà spesso non lo è. 


Can no magna can 


Cane non mangia cane. 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 401 


Ital.: 
Ital.: 
Ital.: 
Lat.: 
Trad.: 
Tr.: 
Trad.: 
Ven.: 
Trad.: 
Lad.: 
Trad.: 
Fr.: 
Trad.: 


88) 


Ital.: 
Tr.: 
Trad.: 


89) 


Bol.: 

Trad.: 
Tren.: 
Trad.: 


90) 


Cane non mangia cane. 

Cane non morde cane. 

Lupo non mangia lupo. 

Canis caninam non est. 

Cane non mangia cane. 

Can no magna de can. 

Cane non mangia da cane. 

Can no magna de can. 

Cane non mangia da cane. 

Ntra de cians no i se mort. 

I cani non si mordono fra loro. 
Les loups ne se mangent pas entre eux. 
I lupi non si mangiano tra di loro. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Vuol dire metaforicamente che un potente non si mette in lotta con un 


altro potente.I potenti e le persone della stessa risma non soltanto non si 
danneggiano tra di loro, ma talvolta si coalizzano contro altri. 


Che colpa iò la gata se la parona fe mata 


Che col pa ha la gatta se la padrona è matta. 
Che colpa ha la gatta se la massaia è matta? 
Che colpa ga la gata se la parona xe mata. 
Che colpa ha la gatta se la padrona è matta. 


[ AG, PG ] 
Nota: Cioè che colpa hanno i domestici se, eseguendo gli ordini male impartiti 


da una padrona che non sa fare, producono cose più in danno che in vantaggio 
dell’economia domestica. 


Chi masa i pulifi marsioi - masa la mare con duti i fioi 


Chi ammazza le pulci marzoline - ammazza la madre con tutti i figli. 

Chi maza la polsa marzarola maza la mèder e la fiola. 

Chi ammazza la pulce marzaiola, ammazza la madre e la figliola. 

A copar ‘l pulde marzòlo, se copa ‘l pare e anca ‘I fiòlo. 

Ad accoppare la pulce marzaiola, si accoppa il padre e anche il figliolo. 

[ AG] 

Nota: Marzo è il tempo della cova e la caccia è proibita per permettere agli 
animali di riprodursi. Può riferirsi anche agli animali nocivi come nel prover- 
bio sopra citato. In questo periodo infatti, le pulci sono in cova, come tutti gli 
ectoparassiti e non c'è momento migliore per evitarne la riproduzione. 


Cirli mirli, cirli mirli: quartarole 
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota:Ecco come G. Vàtova in Raccolta di proverbi istriani spiega il proverbio. 


402 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


91) 


Ital.: 
V.-G. 
Trad.: 


92) 


93) 


Ital.: 
Ital.: 
Ital.: 
Tr. 
Trad.: 
Tren.: 
Trad.: 


94) 


Tosc.: 
Tren.: 
Trad.: 


“Cìrli mìrli è il cuculo, così chiamato per il suo canto: ci, ci, ci, cirolirolì. La 
sua comparsa assieme ad altri uccelli era considerata dai contadini di lieto 
auspicio per il raccolto del frumento, perciò gli chiedevano quante quartarole 
ci porti quest'anno? 

La quartarola era la dodicesima parte di uno ster (= hl 0,62)”. 


Co canta el rospo - l’inverno fe morto 


Quando canta il rospo - l’inverno è morto. 
Quando canta il botto l’inverno è morto. 
Co canta el rospo, l’ inverno xe morto. 
Quando canta il rospo, l’inverno è morto. 


[ AG] 
Nota: Nella seconda metà di marzo, se la stagione è avanti, con i primi caldi i 
batraci cominciano a uscire dal letargo e a cantare specialmente la sera. 


Per quanto riguarda il proverbio in italiano, ricorderemo che botto al maschile 
è raro, qui è usato anche per ragioni di assonanza, più usato è il termine botta 
( è nome toscano e di altri dialetti ) per indicare il rospo. 


Co canta la galina la iò fato 1’ ovo 
Quando canta la gallina ha fatto l’uovo. 
[AG] 

Nota:vedi nota proverbio numero 107. 


Co la vaca fe scampada fora de stala, no ocoro fi sercala 


Quando la mucca è fuggita dalla stalla, non occorre cercarla. 
Chiudere la stalla quando sono fuggiti i buoi. 

Quando l’uccello è scappato non vale chiudere la gabbia. 

Del senno di poi son piene le fosse. 

Serar la stala dopo che xe scampadi i manzi. 

Chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi. 

Quando ‘l bò l’è fòr da la stala, céreghe drìo. 

Quando il bue è fuori della stalla, corrigli dietro. 


[ MD, AG, LS ] 
Nota: Si indica così un qualcosa che arriva palesemente troppo tardi per 


cautelarsi quando si è già in mezzo ai guai; preoccuparsi quando ormai non c’è 
più nulla da fare. E inutile prendere un provvedimento dopo che il male è fatto. 


Co manca el gran, le galine se beca 


Quando manca il grano, le galline si beccano. 
Quanto più manca la roba, tanto più cresce lo strepito. 
Endé che no ghe n’è, le galine le se bècia. 

Dove non ce n'è, le galline si beccano. 


[AG] 


E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremniologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 403 


Nota: Il proverbio si riferisce alla famiglia avversata dalle privazioni. 


95)  Co‘l gato manca, i sorfi bala 
Quando il gatto manca, i topi ballano. 
Ital.: Quando non c’è la gatta i topi ballano. 
Tren.: Can che no gh’è ‘1 giat, i sor$i i bala. 
Trad.: Quando non c'è il gatto, i sorci ballano. 
Lad.: Quanque ‘I giat ie ora de ciesa, ven la surìces ora de di biges. 
Trad.: Quando il gatto è fuori di casa, i sorci escono dai buchi. 
| MD, AG, PG, MM, LS, RT ] 
Nota: Il proverbio metaforicamente dice che quando manca il superiore, i 


subalterni trascurano il proprio dovere e quando i genitori sono assenti i figli 
se la spassano. 


96)  Corvie cornacie no se beca mai 


Corvi e cornacchie non si beccano mai. 
Ital.: Corvi con corvi non si cavano mai gli occhi. 


[ AG, LS ] 
Nota: Metaforicamente significa che i malvagi non si combattono fra di loro. 
Anche nel male c’è la solidarietà. 


97)  Cotecrepauna vaca fe la fortuna del becher 
Quando ti muore una vacca è la fortuna del macellaio. 
[ IM, NM] 
Nota:Perché avrà carne da vendere. 


98) Crepada la vaca - desfada la sòseda 


Morta la vacca - disfatta la soccida. 
Ital.:  Mortala vacca, disfatta la sòccida. 
Ital.: Morto il figlioccio, non siamo più compari. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Gli obblighi o le relazioni sociali scompaiono quando non c’è più 
l’oggetto o la persona che li sosteneva. 


99) EI pulastro vol imparaghe a la galina 
Il pulcino vuole insegnare alla gallina. 
[ AG, IM, NM ] 
Nota: vedi nota proverbio numero 83. 


100) EI raio del samer no riva ‘n ciel 

Il raglio dell’asino non arriva in cielo. 
Ital.: Raglio d’ asino non arrivò mai in cielo. 
Ital.: I ragli degli asini non arrivano in cielo. 


40 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Asi, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


Ital.: 
Ere 


Trad.: 


101) 


Ital.: 
Ital.: 
Tr.: 


Trad.: 
Tren.: 
Trad.: 


Fr.: 


Trad.: 


Fr.: 


Trad.: 


102) 


Ital.: 


Ven.: 
Trad.: 


Tr.: 


Trad.: 


103) 


Raglio d’asino non sale in cielo. 

Vose de asino no va in ziel. 

Voce d’asino non va in cielo. 

[ MD, AG, PG, IM, NM] 

Nota: La metafora indica che la preghiera di chi chiede cose strane , impossibili 
o cattive, non può essere ascoltata. 


Galina vecia fa bon brodo 

Gallina vecchia fa buon brodo. 

Gallina vecchia fa buon brodo. 

Bandiera vecchia onora capitano. 

Galina veccia fa bon brodo. 

Gallina vecchia fa buon brodo. 

Galina vècia fa bon brodo. 

Gallina vecchia fa buon brodo. 

C'est dans les vieux pots qu’on fait la meilleure soupe. 

È nelle vecchie pentole che si fa il miglior brodo. 

Les vins vieux sont les meilleurs. 

I vini vecchi sono i migliori. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: L'esperienza è una delle qualità dell’età senile. 

Così G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini (pag.124- 
125): “Il proverbio è citato per la prima volta da Nicolò Franco nella Priapea 
(Casale M. 1541, p.163) ed è proprio delle donne attempate più esperte nei 
rapporti sessuali delle giovani, donde la vitalità del proverbio stesso in tutte le 
versioni orali dello Stivale. Il senso tropologico ne attenua l’arditezza sotadica, 
nonché l’uso eufemizzato che ne facevano anche le mature cortigiane romane, 
le quali - al dire del Brantòme, Le dame galanti, roma 1967,5,2 - “essendo più 
pratiche nell’arte e nei modi dell’amore, sanno procurare un diletto maggiore 


‘9999 


ai loro amanti”. 


Gnanche el can mena la coda per de bando 
Neanche il cane muove la coda per niente. 

Muove la coda il cane. Non per te, ma per il pane. 
No gh’è tristo can che no mena la coa. 

Non c’è cane malvagio che non meni la coda. 
Nanca ‘l can no mena la coda per gnente. 
Neanche il cane non agita la coda per niente. 

[ MD, AG, LS ] 

Nota: Nessuno fa niente per niente. 


Grama quela pegora che no se porta drio la so lana 
Povera quella pecora che non si porta dietro la sua lana. 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468 405 


Ital.: Triste quella pecora che non vuol portarla sua lana. 
[ AG, PG] 
Nota: Il proverbio commisera coloro che non sanno curare da soli i propri 
interessi. 


104) La bolpo gambia ‘I pel ma no el visio 
La volpe cambia il pelo ma non il vizio. 

Ital.: La volpe perde il pelo ma non il vizio. 

Ital.: Il lupo cambia il pelo ma non il vizio. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Nell’ invecchiare la volpe non rimbambisce, anzi cresce d’ esperienza, 
diventa più astuta. 


105) La galina minodela, la fe sempro pulastrela 
La gallina minuta, è sempre pollastrella. 

To.: Galina nana, sempre pola. 

Trad.: Una gallina piccola sembra sempre una pollastrella. 
[ AG, IM, MM, NM, RT ] 
Nota: Il proverbio si riferisce alle donne e vuol dire che un donnino piccolo di 
statura dimostra sempre meno degli anni che ha: resta più a lungo giovanile di 
aspetto. 


106) La persona se liga con la parola, ma el manfo con la corda 
La persona si lega con la parola, ma il manzo con la corda. 

Ital.: I buoi perle corna e l’uomo per la parola. 

Ital. L’uomo perla parola e il bue per le corna. 

Lomb.:I omen se lighen con la parolla e i besti con la corda. 

Trad.: Gli uomini si legano con la parola e le bestie con la corda. 

Ven.: Cola cavezza se liga i cavai, cola parola i omeni. 

Trad.: Con la cavezza si legano i cavalli, con la parola gli uomini. 
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Come i buoi si legano per le corna perché sono la parte più resistente e 
sensibile insieme, così l’uomo si lega per la parola perché rappresenta l’espres- 
sione più nobile dell’uomo, simbolo del suo onore, garanzia di autenticità e di 
fiducia. 
L’uomo che non sa mantenere la parola data è ritenuto comunemente da poco, 
perché manca di carattere. 


107) La prima galina che canta - iò fato 1’ ovo 
La prima gallina che canta ha fatto l’uovo. 

Ital.:  Gallinache canta ha fatto l’uovo. 

Lat.:  Excusatio non petita, accusatio manifesta. 

Trad.: Scusa non richiesta, accusa manifesta. 


406 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ami, vo XXXI 2001, p. 371-468 


Pr 


Trad.: 


Lad.: 


Trad.: 


Fr.: 


Trad.: 


108) 


V.-G.: 
Trad.: 


109) 


Ital.: 
Ital.: 
TL 


Trad È 


110) 


111) 


Ital.: 
Ital.: 


La galina che canta gà fato l’ovo. 

La gallina che canta ha fatto l’uovo. 

La pruma gialina che cianta l’à fat l’ef. 

La prima gallina che canta ha fatto l’uovo. 

La premiére poule qui chante c’est celle qui a fait l’oeuf. 
La prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo. 


[ MD, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Chi si affanna troppo a scusarsi, manifesta spesso la sua colpevolez- 


za.Esopo ne fece una favola morale dove il lupo si giustifica e nega prima di 
essere imputato, d’aver divorata una pecora. 


Le mosche de otobre no le morsega più 


Le mosche di ottobre non mordono più. 
Le mosche de otobre no le morsega più. 
Le mosche d’ottobre non mordono più. 


[AG] 

Nota: Adottobre l’aria diventa più fresca e con l’arrivo del freddo, le mosche, 
che durante l’estate sono state attivissime, muoiono. Alcuni esemplari riescono 
però a sopravvivere rifugiandosi nelle case riscaldate, altri restano nascosti 
nelle fessure dei muri e tra le cortecce degli alberi. 


L’ ocio del paron ngrasa el caval 


L’occhio del padrone ingrassa il cavallo. 

L’ occhio del padrone ingrassa il cavallo. 

Il piede del padrone ingrassa il campo. 

L’occio del paron ingrassa el caval. 

L’occhio del padrone ingrassa il cavallo. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Questo proverbio, di origine contadina, vuol dire che l° attenzione 


costante e amorevole del padrone conserva e fa crescere i propri beni, ma anche 
che ai propri affari è meglio pensare da sé. 


Meio che crepa un manfo ‘n stala, piutosto che un sorfo ‘n sofita 
È meglio che muoia un manzo in stalla, piuttosto che un topo in soffitta. 

[ AG, IM, NM ] 

Nota:Un tempo a Gallesano, la farina ottenuta dalla macinazione del grano e 


del granoturco veniva posta in soffitta. Perciò trovarvi un topo morto signifi- 
cava avere la soffitta vuota, perché il raccolto era andato male. 


No molestà ‘l can, col can riposa 

Non molestare il cane, quando il cane riposa. 
Non destar il can che dorme. 

Can che dorme non lo provocare. 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468 407 


Ital.: 
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115) 


Non destare il can che giace. 

Quietum non move lutum. 

Non muovere il brago fermo. 

Lassar star in pase el can che dormi. 

Lasciare in pace il cane che dorme. 

Ne réveillez pas le chat qui dort. 

Non svegliate il gatto che dorme. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: È preferibile non irritare le persone irascibili. Ma l’espressione indica 
anche il turbare una situazione di tranquillità, provocando una reazione a 


catena dalle conseguenze imprevedibili e che si rivolgono contro chi l’ha 
messa in moto. 





No sta comprà el gato tel saco 

Non comperare il gatto nel sacco. 

Comprar la gatta nel sacco. 

No se compra la gata in saco. 

Non si compra la gatta nel sacco. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Esaminiamo le cose prima d’acquistarle. 


No sta daghe al can invesi del paron 
Non bastonare il cane invece del padrone. 
Chi non può battere l’asino batte la sella. 
Rispeta ‘l can par el paron. 
Rispetta il cane per il padrone. 
Rispeta el can per el paron. 
Rispetta il cane per il padrone. 
[ AG] 
Nota: Non bisogna prendersela con una persona diversa dal vero colpevole o 
punire per interposta persona. 


No fe galina o galinasa, che de fenaro ovi no faga 


Non c’è gallina o gallinaccia, che di gennaio uova non faccia. 

Non c’è gallina né gallinaccia che di gennaio uova non faccia. 

No xe galina o galinassa che de zenaro vova no fassa. 

Non c’è gallina o gallinaccia che di gennaio uova non faccia. 

[ AG, LS ] 

Nota: Dopo un periodo di stasi, le galline a gennaio ricominciano a fare le uova 
in abbondanza. 


No voresi esi vivo quando che la galina farò l’ovo despoi disnà 


Non vorrei essere vivo quando la gallina farà l’uovo dopo mezzogiorno. 


408. E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


116) 


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Ital.: 


118) 


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Ital.: 


Tosc.: 
Lad.: 
Trad.: 


120) 


Ital.: 


[ MM, RT] 
Nota: Perché significherà che tutto il mondo sarà sotto sopra. 


Ogni bisa iò al so velen 


Ogni biscia ha il proprio veleno. 
Ogni bissa ga el suo velen. 

Ogni biscia ha il suo veleno. 
Ogni mosca ga el suo velen. 
Ogni mosca ha il suo veleno. 


[ IM, MM, NM ] 
Nota: Ha più o meno lo stesso significato di Non c’è rosa senza spine. Vedi 
nota proverbio numero 342. 


Ogni sion fa ‘Il so nil 

Ogni uccello fa il suo nido. 

Quale I’ uccello, tale il nido. 

[ AG, IM, NM] 

Nota: L’ambiente in un cui viviamo è lo specchio del nostro carattere. 


Povera quela cafa la che no fe sorfi 

Povera quella casa in cui non ci sono topi. 

[ MD, AG, IM, NM ] 

Nota: Perché dove non ci sono topi non c’è neanche cibo. 


Povera quela cafa ola la galina canta e ‘l gal sta sito 

Povera quella casa in cui la gallina canta e il gallo sta zitto. 

Guai a quella casa dove gallina canta e gallo tace. 

In casa non c’è pace, quando gallina canta e gallo tace. 

Pera chela ciasa lo che le gialine cianta e ‘1 gial fas acort. 

Povera quella casa dove le galline cantano e il gallo fa silenzio. 

| MD, AG, MM, LS ] 

Nota: Infelice quella casa dove comanda la donna, secondo il proverbio. Il 
marito dev'essere colui che guida e detiene il potere decisionale. 


Povera quela pegora che no cata el monton tel so ciapo 

Povera quella pecora che non trova il montone nel suo gregge. 

Moglie e buoi dei paesi tuoi. 

[ AG] 

Nota: È un invito a scegliere persone e cose nel nostro ambiente perché 
possiamo conoscerne meglio i pregi e i difetti. 

È preferibile ammogliarsi con donna del proprio paese e del proprio ambiente 
perché se ne conosce il carattere e la famiglia.Lo stesso vale nel comprare 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologio a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 409 


animali, per non rischiare di comprarli ammalati. 


121) Povera quela pegora che va fora del ciapo 
Povera quella pecora che esce dal gregge. 
[ AG, IM, NM] 
Nota: Questo è invece un invito a non uscire dal proprio habitat. 


122) Quando ‘n cafa manca el gato, i sorfi bagola 


Quando in casa manca il gatto, i topi gironzolano. 
Ital.: Quando la gatta non è in paese, i topi ballano. 

[ IM, NM] 

Nota: vedi nota proverbio numero 95. 


123) Sela vaca no rendo, nisun no la ciò 
Se la mucca non rende, nessuno la prende. 
[ AG, PG] 
Nota: Lo stesso vale per gli uomini: una persona lavativa difficilmente troverà 
un impiego. 


124) Se pe’ la boca no pasa, gnanche la vaca no se ngrasa 
Se per la bocca non passa, neanche la mucca non ingrassa. 

Tr.: Senza magnarno se vien grassi. 

Trad.: Senza mangiare non si diventa grassi. 


[ AG, PG, IM, MM, NM, LS ] 
Nota: Si risponde così a chi si lamenta di ingrassare pur mangiando poco. 


125) Sento volte coro el can e una volta coro el levero 


Cento volte corre il cane e una volta corre la lepre. 
{ AG] 
Nota: vedi nota proverbio numero 131. 


126) Speta caval, che l’ erba creso ( col fe bituà, el caval fe crepà ) 
Aspetta cavallo, che l’erba cresce (quando è abituato, il cavallo è morto). 

Ital.: Aspetta caval che |’ erba cresca. 

Ital.: Campa cavallo! Che 1° erba cresce! 

Tosc.: Aspetta cavallo che l’erba cresce: mentre l’erba cresce muore il cavallo 

Tr.:  Spetamusche l’erba cressi. 

Trad.: Aspetta asino! Che l’erba cresce! 

Tren.: Caval no morir, che l’erba sta ‘n vegnir. 

Trad.: Cavallo non morire, che l’erba sta per venire. 

Lad.: Ciaval no morir che l’erba à da vegnir. 

Trad.: Cavallo non morire che l’erba ha da venire. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 


410 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiolopica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


127) 


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Trad.: 


129) 


Ital.: 


130) 


Nota: Questa esclamazione è un invito ironico o rassegnato a cercare di soprav- 
vivere in attesa di momenti favorevoli che però sono lontani ed incerti. Si usa 
per invitare qualcuno a non illudersi quando le probabilità di realizzazione di 
speranze o desideri sono minime o nulle. La variante gallesanese con l'aggiunta 
“col xe bituà, el caval xe crepà”, l'ho riscontrata anche tra i proverbi toscani 
(Aspetta cavallo che I’ erba cresce: mentre |’ erba cresce muore il cavallo ). 
Mentre ci affanniamo a calcolare il tempo, questo scorre via senza che ce ne 
accorgiamo. 


Saremo a l’ era co’ la mucarola, ma torneremo ‘ndrio co’ la same- 
rola 

Andremo all’aia con la “mucarola”, ma torneremo indietro con l’asinella. 

[ AG] 

Nota: Questo è un testo di villotta che viene generalmente cantato alla lon- 
ga.Vedi nota proverbi numero 60 e 410. 


Tanti sameri se somia 

Tanti asini si assomigliano. 

Manca asini che se sòmia. 

Mancano asini che si assomigliano. 

Ge n’é tene azegn che ze soméa, e no ze cogn ze ‘n far marevéa. 

Ci sono tanti asini che si somigliano e non bisogna farsene maraviglia. 

[ AG, PG, IM, MM, NM, LS ] 

Nota: Si dice a chi risponde sentendo chiamare un nome uguale al proprio. 
Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini (pag. 259) 
commentano così il proverbio: “I saccenti si somigliano fra loro in tutti i campi 
e livelli sociali, nella medesima presenza arrogante”. 


Ti iè l’anema treso como i gati 

Hai l’anima di traverso come i gatti. 

Avere nove vite come i gatti. 

[ AG] 

Nota: La locuzione viene usata per indicare una persona maldicente e vendica- 
tiva. 


Ti segni lepa como la galina co fe la nio 

Sei cieca come la gallina quando c’è la neve. 

[ AG, LS ] 

Nota: La neve a Gallesano, negli ultimi anni vent'anni, è stata un evento 
abbastanza raro. In queste sporadiche occasioni, le galline sembravano quasi 
accecate dal bianco del manto nevoso: non riuscivano a distinguere neanche il 
cibo se questo veniva posto sulla neve. 


E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371468 411 


131) Una volta coro el can e ‘n’ altra el levero 


Ital.: 
Tr 
Trad.: 


Una volta corre il cane e un’altra la lepre. 

Una volta corre il cane e l’altra la lepre. 

Una volta cori el can e st’altra el levro. 

Una volta corre il cane e quest’altra la lepre. 

[ MD, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Significa che la fortuna cambia, che una volta è fortunato uno e |” altra 
volta il suo avversario. Nella vita cambiano, a volte, le parti: da inseguitori si 
può diventare inseguiti. 


132) Val più un ovo ‘ncoi, che una galina doman 


Ital.: 
Tr.: 
Trad.: 
Fr.: 
Trad.: 


Vale più un uovo oggi, che una gallina domani. 

Meglio un uovo oggi che una gallina domani. 

Meio ogi un ovo che dimani una galina. 

Meglio oggi un uovo che domani una gallina. 

Un tiens vaut mieux que deux tu l’auras. 

Un “tieni” vale più di due “avrai”. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Vuol dire che è meglio accontentarsi del poco subito che del molto 
domani; non è opportuno rischiare ciò che si ha in vista di aleatori migliora- 
menti. Il proverbio invita a non lasciare il certo per l’incerto anche se quest’ 
ultimo appare più desiderabile. 


E un invito alla prudenza. 


412 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371-468 


133) 


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137) 


L’ASPETTO FISICO 


Anche l’ocio vol la so parto 

Anche l’occhio vuole la sua parte. 

L’ occhio vuole la sua parte. 

Anca l’occio vol la sua parte. 

Anche l’occhio vuole la sua parte. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Significa che le cose presentate bene piacciono di più poiché soddisfano 
le esigenze estetiche. 


Bel in fasa e bruto ‘n piasa 


Bello in fascia e brutto in piazza. 

Bello in fasce, brutto in piazza. 

Brutto in fasce, bello in piazza. 

Bruto in fasa, bel in piaza. 

Brutto in fascia, bello in piazza. 

Qui est bel enfant sera laid plus tard. 

Chi da bambino è bello, più tardi sarà brutto. 

[ AG, PG ] 

Nota: Non sempre le qualità buone che abbiamo avuto da piccoli restano 
intatte, spesso si cambiano nel loro opposto. E viceversa. 


De una bela scarpa, resta sempro una bela savata 

Di una bella scarpa, rimane sempre una bella ciabatta. 

Ogni bela scarpa diventa ‘na bruta zavata. 

Ogni bella scarpa diventa una brutta ciabatta. 

Una bela scarpa diventa una bela zavata. 

Una bella scarpa diventa una bella ciabatta. 

[ AG] 

Nota: Una donna che è stata bella in gioventù ne fa fede coi lineamenti del suo 
volto anche nella vecchiaia. 


El iò più pensieri che cavei ‘n suca 

Ha più pensieri che capelli in testa. 

Aver più pensieri che cavei in testa. 

Avere più pensieri che capelli in testa. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Molte volte le preoccupazioni che ci affliggono sono talmente numerose, 
che non riusciamo a contarle. 


La savata se la fe bela de nova, la fe bela anche despoi vecia 


E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, voL XXXI, 2001, p. 371468 413 


138) 


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La ciabatta se è bella nuova, è bella anche vecchia. 
[ AG] 
Nota: vedi nota proverbio numero 135. 


La belesa dura poco 
La bellezza dura poco. 
Bellezza è come un fiore che nasce e presto muore. 
[ IM, NM] 
Nota: È qui presente il topos della caducità della bellezza terrena. 


Longo el cavel, ma curto el sorvel 

Lungo il capello, ma corto il cervello. 

Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli. 

Je linger die Haar, desto kiirzer der Verstand. 

Più lunghi sono i capelli, più corto è l’intelletto. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Malignamente si nega a coloro che portano i capelli lunghi (e sono 
soprattutto le donne) la capacità di ragionare, di intuire, di capire. 


Man picia - brava fento ; man granda - bona fento 
Mano piccola - brava gente; mano grande - buona gente. 
Schaug auf die Leut, kloane Oahrn - grossziigige Leut; kalte Hand - warmher- 
zige Menschen; kloane Hind - vornehme Herkunft. 
Osserva la gente: orecchi piccoli, gente generosa; mani fredde, gente di buon 
cuore; mani piccole, gente di casta nobile. 
[ AG] 
Nota: G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini: “Sorto 
in tempi lontani, il consiglio visualizza una forma adimante della cultura 
popolare”. 
Meio simpatico che bel 
Meglio simpatico che bello. 
[ AG] 
Nota: La simpatia è una virtù che va ben oltre l’apparenza fisica. 


Mufo duro e bareta fracada 
Viso duro e berretto schiacciato. 
Muso roto bareta fracada. 
Viso rotto berretto schiacciato. 
[ AG, PG] 
Nota: A.C. Cassani in Saggio di proverbi triestini raccolti ed illustrati (pag. 
24) commenta così il proverbio: “Sfacciato, che non arrossisce più per esser 


414 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


143) 


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147) 


rotto al mal costume: porta il beretto calcato in sugli occhi per non incontrare 
gli sguardi altrui ne’ quali teme dover leggere la propria sentenza”. 


Pelo roso - poca fede 


Pelo rosso - poca fede. 

Rosso mal pelo. 

Ce u russe fosse fedèle, pure u diàuue fosse senggère. 

Se il rosso fosse fedele, anche il diavolo sarebbe sincero. 

El à la berba rosa. 

Rosso malpelo. 

[ AG, PG, IM, NM, LS ] 

Nota:Il volgo ha sempre diffidato di tutto ciò che esce dalla normalità della 
natura e segnati erano anche i rossi di pelo. 


Più recia granda che ti iè, più vita longa ti iè 

Più hai grande l’orecchio, più hai lunga la vita. 

Ricchi longhi, vita longa. 

Orecchie lunghe, vita lunga. 

[ AG, PG] 

Nota: Secondo il proverbio, le dimensioni dell’orecchio sarebbero proporzio- 
nali alla durata della vita. 


Povero quel vifo che no ‘1 iò ‘1 sorifo 

Povero quel viso che non ha il sorriso. 

[ AG, PG ] 

Nota: È molto più bello vedere un viso sorridente che uno sempre imbronciato. 


Rosa de pel - sento diavi per cavel 

Rossa di pelo - cento diavoli per capello. 

Dona rossa dal mal pel, zento diàoli per cavèl. 

Donna rossa dal mal pelo, cento diavoli per capello. 

Rosso de mal pel zento diavoli per cavel. 

Rosso mal pelo cento diavoli per capello. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Il proverbio rispecchia un’aperta sfiducia in chi ha i capelli rossi. 
Secondo G. Sebesta e G. Tassoni in Proverbi trentini ladini e altoatesini 
(pag.129): “Il pregiudizio in passato trovò esca nel fatto che gran parte dei 
barbari che per secoli scorrazzarono sul nostro suolo, bruciando e saccheggian- 
do, erano popolazioni nordiche, dal pelo rosso come Barbarossa. Perciò il 
“rosso” è stato per secoli un segno di scarsa fedeltà: rufus esse minus fidelis”. 


Scarpa grosa e sorvel fin 


Scarpa grossa e cervello fine. 


E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371468 415 


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151) 


Contadini, scarpe grosse e cervelli fini. 

Contadino: scarpe grosse e cervello fino. 

Gros sabots, esprit fin. 

Zoccoli grossi, cervello fino. 

[ AG, PG, IM, MM, NM ] 

Nota: Spesso sotto la ruvida scorza del contadino si nasconde intelligenza e 
capacità intuitive e logiche non comuni. 


Stuco e pitura fa bela figura 
Stucco e pittura fa bella figura. 
Stuco e pitura fa bela figura. 

Stucco e pittura fanno bella figura. 
Stuco e color fa bel el lavor. 
Stucco e colore fanno bello il lavoro. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Il proverbio si rivolge soprattutto alle donne che si truccano molto, 
nascondendo così i veri lineamenti del viso. 


Suca spelada - omo studià 

Testa calva - uomo studiato. 

Fronte spaziosa, omo giudizioso. 

Fronte spaziosa, uomo giudizioso. 

[ IM, MM, NM ] 

Nota: Quasi a voler dire che il troppo studiare favorisce la calvizie. 


Se bel quel che fe bel, ma fe bel più quel che piaf 
È bello ciò che è bello, ma è più bello quello che piace. 
Non è bello ciò ch’è bello, ma è bello quel che piace. 
No xe bel quel che xe bel, ma quel che piasi. 
Non è bello quello che è bello, ma quello che piace. 
A n'é tant bèla Fiuranza, quant è bèla Piasanza. 
Non è tanto bella Firenze quanto è bella Piacenza. 
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: È un’asserzione di gusto soggettivistico. Esiste una bellezza di carattere 
oggettivo, cioè riconosciuta da tutti, ed esiste un tipo di bellezza che tocca 
soltanto il singolo, per alcune caratteristiche che lui solo riconosce ed ammira. 


Sota la grasesa, sta la belesa 

Sotto alla grassezza, sta la bellezza. 

[ AG, LS ] 

Nota: vedi nota proverbio numero 23. 


416 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione pareminlogica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468 


152) 


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I BLASONI POPOLARI 


Cicio no fe per barca 

Il Cicio non è per barca. 

Cicio no xe per barca. 

Cicio non è per barca. 

Cicio no xe per barca, né Venesian per bosco. 

Cicio non è per barca, né Veneziano per bosco. 

{ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Il Cicio è l’abitante dell’altipiano della Ciceria e secondo il proverbio 
non è adatto a fare il marinaio (come a dire a ognuno l’arte sua). 


Chi no iò fato ben in Carnia no ne farò gnanche in Friul 

Chi non ha fatto bene in Carnia non ne farà neanche in Friuli. 

{ AG, PG, IM, NM, LS ] 

Nota: Se uno non ha voglia di lavorare, non serve che cambi città o regione o 
Paese: l’operosità è una questione di carattere non di area geografica. 


Dignanefi pioraseri, co’ le befase sempro piene 

Dignanesi piagnoni, con le bisacce sempre piene. 

[ MM, RT] 

Nota: Secondo la tradizione gallesanese, gli abitanti di Dignano d’Istria osten- 
tano impropriamente la propria povertà, essendo in realtà molto agiati. 


Dio no fe furlan - se no ‘l paga ‘ncoi, ‘l paga doman 

Dio non è friulano - se non paga oggi, pagherà domani. 

Dio non paga il sabato. 

Idio xe un bon paron, el paga a la sua stagion. 

Dio è un buon padrone, paga alla sua stagione. 

Dio no xe furlan, se no ‘l paga ogi el paga doman. 

Dio non è friulano, se non paga oggi pagherà domani. 

{ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Vuol dire che i malvagi a volte sembrano farla franca ma, col tempo, la 
giustizia li raggiunge. 

Il proverbio mette in evidenza il fatto che la gente di Gallesano reputai friulani 
una popolazione avara. Come d'altronde è proverbiale a Trieste, soprattutto 
nelle barzellette, l’avarizia degli istriani. 


Galifan bel: poca fento ma sai brodel 

Gallesano bello: poca gente ma assai bordello. 

[ AG] 

Nota: Gallesano oggi ospita all’incirca milletrecento abitanti. 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atî, vo XXXI, 2001, p. 371468 417 


157). La coriera de Albona - duti quanti a la coiona 
La corriera di Albona - tutti quanti alla cogliona. 
[MM] 

Nota: È un proverbio senza senso. 


158) Meio esi samer de Dignanef che manf$o del Valef 
È meglio essere asino di Dignanese che manzo di Vallese. 
[RT, LS] 
Nota: In passato la gente di Dignano era molto benestante, tanto che ogni 
singola famiglia aveva il suo asino per lavorare la terra. Gli abitanti di Valle 
erano invece più poveri dal punto di vista economico: un unico manzo veniva 
preso in prestito da più famiglie per arare i campi . 
159) Segni fi a Montona: iè ncontrà quaranta femene, ma gnanche una 
bona 


Sono andato a Montona: ho incontrato quaranta donne, ma neanche una 
buona. 


[RT] 
Nota: Per spiegare questo provebio ne useremo un altro: Moglie e buoi dei 


paesi tuoi. Ma il proverbio si ricollega anche alla cattiva fama delle donne di 
Montona. 


160) Se meio Galifan co’ so grumasi, che duta Pola co’ so palasi 
È meglio Gallesano con i suoi cumuli di pietre, che tutta Pola con i suoi 
palazzi. 
[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Un po’ di campanilismo non fa mai male. 


I grumasi sono cumuli di pietra, mucchi di pietre raccolte durante la coltura di 
un terreno. 


418. E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371-468 


161) 


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164) 


LA CONOSCENZA, L’EDUCAZIONE, 
GLI AMMAESTRAMENTI 


Anca ‘l preto f$baglia su l’ altar 

Anche il prete sbaglia sull’altare. 

Sbaglia il prete all’ altare e il contadino all’ aratro. 

Sbaglia anche il prete a dir messa. 

Fala anca el prete su l’altar. 

Sbaglia anche il prete sull'altare. 

Jbàlia duc’, perfin el preve sun utère. 

Sbagliano tutti, persino il prete sull'altare. 

[ MD, AG, IM, NM, LS ] 

Nota: Si dice per indicare che tutti possiamo sbagliare: errare humanum est! 


Cason ‘I fe partì, baul ‘I fe tornà 
È partito cassone, è tornato baule. 

È jutu valicia ed è ricuoto bagullo. 

È partito valigia ed è tornato baule. 
Andar scarpa e tornar stival. 

Andare scarpa e ritornare stivale. 
Andar baùl e tornar cason. 

Andare baule e ritornare cassone. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM,LS, RT ] 
Nota: Si dice dell’emigrato che torna in condizioni peggiori di quelle nelle 
quali era partito. Più particolarmente dello studente che non fa alcun profitto. 


Chi che no sa lefi la so scritura, fe samer de natura 

Chi non sa leggere la propria scrittura, è un asino di natura. 

Chi non sa legger la sua scrittura è asino di natura. 

Chi no sa leger la sua scritura xe un asino de natura. 

Chi non sa leggere la propria scrittura è un asino di natura. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: La scrittura o la grafia è l’espressione della personalità di un uomo e 
quindi delle sue caratteristiche psicologiche e morali. 


Chi no sa gnente - fe como el samer che porta le brente 

Chi non sa niente è come l’asino che porta le bigonce. 

[ AG] 

Nota: Una persona che non è istruita viene paragonata nel proverbio all’asino. 
Nella tradizione popolare, l'asino è da sempre simbolo di stoltezza, anche se 
erroneamente. 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, vol XXXI, 2001, p. 371468 419 


165) 


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Trad.: 


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Trad.: 


Domandando ti vai a Roma 


Chiedendo si arriva a Roma. 

Domandando si va a Roma. 

Dimandando se va a Roma. 

Domandando si va a Roma. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Chiedendo informazioni si conoscono gli itinerari. 

Con la buona volontà e con l’aiuto degli altri si riesce in tutto. 


EI frasco no iò fato mai naransi 

La quercia non ha fatto mai arance. 

Il pruno non fa melaranci. 

[ IM, NM] 

Nota: Si dice così a un ragazzo che non vuol studiare, ma in senso metaforico 
significa più propriamente che non si può cambiare il carattere di una persona. 


I veci iò magnà i soldi, ma i iò lasà i proverbi 

I vecchi hanno mangiato i soldi, ma hanno lasciato i proverbi. 

I nostri veci ga magnà i caponi e i n’à lassà i proverbi. 

I nostri vecchi hanno mangiato i capponi e cihanno lasciato i proverbi. 

[ AG] 

Nota: Ci hanno lasciato qualcosa di ben più importante dei soldi, la saggezza 
popolare che è una ricchezza inestimabile. 


Nisun naso maestro 

Nessuno nasce maestro. 

Nessuno nasce maestro. 

Nissun nassi maestro. 

Nessuno nasce maestro. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: La perfezione si acquista con la pratica e l’esperienza continua. 


Per esi rispetà begna che ti rispeti i veci 

Per essere rispettato bisogna rispettare i vecchi. 

I vecchi si devono rispettare. 

Rispeta i veci. 

Rispetta i vecchi 

[ AG] 

Nota: La maggiore età, la maggiore esperienza dei vecchi e quello che hanno 
fatto per noi e per la società, ci devono indurre a stimarli e ad onorarli. 


42) E MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371468 


170) 


Ital.: 
Fr.: 
Trad.: 


171) 


Ital.: 
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Ca.: 
Trad.: 


172) 


Tr. 
Trad.: 


173) 


Ital.: 
Tr.: 
Trad.: 


Persona vifada - persona salvada 
Persona avvisata - persona salvata. 
Uomo avvisato, è mezzo salvato. 

Un homme averti en vaut deux. 

Un uomo avvisato ne vale due. 


[ IM, MM, NM ] 
Nota: “Colui che viene preavvisato di un pericolo che lo sovrasta ha la 


possibilità di prevenirlo e quindi è quasi salvo dalla rovina, che sarebbe stata 
certa senza la prevenzione. 


Oggi il problema della prevenzione, specialmente nella medicina, è della 
massima importanza. Si vorrebbero prevenire i terremoti, le frane, i cicloni, le 
alluvioni, ecc... Con la prevenzione il danno è sicuramente dimezzato o 
alleviato” (G. Dispenza, Dice il proverbio...Motti popolari di ieri e di oggi, 
pag. 67). 

Si sopportano più facilmente le cose previste; quelle improvvise appaiono 
molto più gravi. 

Più che ti vivi, più t’impari 

Più vivi, più impari. 

Sin che si vive, sempre Ss’ impara. 

Più si campa, più si impara. 

Quante chiù se campe, chiù se ‘mpare. 

Quanto più si campa, tanto più si impara. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Più scorrono gli anni, più aumenta la nostra sete di sapere e si moltipli- 
cano le occasioni favorevoli. 


Rovoro no iò fato mai naransi 


Il rovere non ha fatto mai arance. 
Un rovere no ga fato mai naranze. 
Un rovere non ha mai fatto arance. 


[ MD, AG, PG, MM, LS ] 
Nota: vedi nota proverbio numero 1 66. 


Se ti mpari de fovena, no te defmentighi gnanche despoi vecia 


Se impari da giovane, non dimentichi neanche da vecchia. 
Quel che si impara in gioventù, non si dimentica mai più. 
Chi impara de giovine no dismentiga de vecio. 

Chi impara da giovane non dimentica da vecchio. 


[ AG] 
Nota: Le nozioni imparate a scuola in età giovanile, dovrebbero accompagnarci 
fino alla vecchiaia. 


E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vo XXXI, 2001, p. 371-468 421 


174) Tante suche - tante opinioni 


175) 


Ital.: 
Ital.: 


Tante teste - tante opinioni. 
[ MD, LS] 
Nota: vedi proverbio numero 175. 


Tante suche - tanti sorvei 


Tante teste - tanti cervelli. 

Tante teste, tanti tribunali. 

Tante teste, tanti cervelli. 

[ AG, PG, IM, NM] 

Nota: Ogni uomo è diverso dall’altro anche nei suoi giudizi per la ragione che 
l’uomo è individuo e non prodotto da un cliché. 


177) Ti se farè quando che se farò le nespole 


Maturerai quando matureranno le nespole. 

[ AG, IM, NM ] 

Nota: Per raggiungere la piena maturità, sia fisica che mentale, ci vuole del 
tempo. 


178) Vè più quatro oci che no doi 


Ital.: 
Ital.: 
Tr.: 
Trad.: 


Vedono più quattro occhi che non due. 

Quattro occhi vedono meglio di due. 

Meglio quattr’occhi che due occhi. 

Vedi più quatro occi che due. 

Vedono più quattro occhi che due. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: Se si è molti si giudica meglio, uno solo e più soggetto ad errore. 


422 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol. XXXI, 2001, p. 371468 


178) 


Ital.: 
Ital.: 


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Tren.: 
Trad.: 


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Ital.: 
Fr.: 


Trad.: 


181) 


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Ital.: 


182) 


Ven.: 
Trad.: 


Tr.: 


Trad.: 


Alt.: 


IL DENARO, IL POTERE, L’INDIGENZA, 
LA MISERIA 


A chi duto e a chi gnente 
A chi tutto e a chi niente. 
Chi tanto e chi niente. 

Chi troppo e chi niente. 


[ MD, IM, NM, LS ] 
Nota: Nella società regna la disuguaglianza più ingiusta: c’è chi ha troppo e chi 
non ha neppure il necessario per soddisfare i bisogni primari. 


Bori e amicisia, fa orba la iustisia 

I soldi e l’amicizia, fanno cieca la giustizia. 

Bezzi e amicizia stéfega la giustizia. 

Soldi e amicizia soffocano la giustizia. 

[ AG, PG ] 

Nota: Soldi e amicizie influenti, molto spesso riescono ad avere il sopravvento 
sulla giusta applicazione delle leggi. 


Chi che se contenta - godo 

Chi si accontenta - gode. 

Chi si contenta, gode. 

Contentement passe richesse. 

La contentezza supera la ricchezza. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Chi è contento della sua vita è felice. 


Chi iò soldi fa guera e chi che no ne iò el va col cul partera 
Chi ha soldi fa la guerra e chi non ne ha va con il culo a terra. 

Il denaro è l’anima della guerra. 

Coi quattrini si fa tutto. 


[ AG] 
Nota: Ogni guerra richiede enormi capitali per gli armamenti che dissanguano 
le economie perfino dei Paesi più ricchi e potenti. 


EI diao caga sempro fora al mucio più grando che fe 
Il diavolo caca sempre sopra al mucchio più grande che c’è. 
El diaolo caga in la mota più grossa. 

Il diavolo caca sul mucchio più grosso. 

El diavolo caga sempre sul mucio più grando. 

Il diavolo caca sempre sul mucchio più grande. 

Der Teufel scheisst alm’ auf ‘n groassen Haufen. 


E. MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ati, vol XXXI, 2001, p. 371-468 423 


Trad. 


183) 


Ital.: 
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Ital.: 


: Il diavolo caca sempre nel mucchio più grosso. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Le ricchezze si accumulano sempre su chi è già ricco. 


Nella interpretatio agricola il denaro è considerato “lo sterco del diavolo” e 
come tale il diavolo ha cura di versarlo (per ironia della sorte) là dove maggiore 
è il tesoro del ricco. 


I schei fa guera 


I soldi fanno guerra. 

Il danaro è il nerbo della guerra. 
L’argent fait la guerre. 

Il denaro fa la guerra. 


[ AG] 
Nota: vedi nota proverbio numero 179. 


I soldi fa perdi l’anema 


I soldi fanno perdere l’anima. 
La roba ruba l’anima. 


[ AG] 
Nota: Molti perdono la propria anima nella bramosia di arricchirsi. 


L’omo che no sa tignì el soldo ‘n man, no val un carantan 
L’uomo che non sa tenere il soldo in mano, non vale un carantano. 
[ AG] 
Nota: È inutile avere tanti soldi se poi non si sa come investirli e farli fruttare. 


Le robe le se fa co’ le ciacole dei siori e coi soldi dei poveri 
Le cose si fanno con le chiacchere dei signori e con i soldi dei poveri. 
[AG,LS] 
Nota: Sono i potenti che varano le leggi, ma a subirne le conseguenze, 
soprattutto dal punto di vista economico, sono sempre le persone meno agiate. 


Meio esi poveri e avè la pafe ‘n cafa, che esi siori e avè la guera. 


È meglio essere poveri e avere la pace in casa, che essere signori e avere la 
guerra. 

Meglio pane solo con la pace che pernici e fagiani conla guerra. 

[ AG, PG ] 

Nota: Meglio vivere stentatamente ma in pace, che godere in guerra. 


424 E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologiea a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


LA DONNA E L’UOMO. 
IL MATRIMONIO, LA FAMIGLIA, LA CASA. 
LE PARENTELE E I RAPPORTI SOCIALI. 


La donna e l’uomo 


188) 


189) 


190) 
Ital.: 


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Trad.: 


Ven.: 
Trad.: 


Tr.: 


Trad.: 


191) 


Ital.: 


Ven.: 
Trad.: 


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Trad.: 


Ave Maria sonada, la puta salvada 

Ave Maria suonata, la fanciulla salvata. 

| AG] 

Nota: Il proverbio è dei tempi in cui le ragazze dovevano ritirarsi a casa di 
buon®’ora (al suono delle campane della sera). 


Dote de femena, lana de cavra e gran marsol no richeso la fameia 


Dote di donna, lana di capra e grano di marzo non arricchiscono la famiglia. 
| AG] 
Nota: È questo il primo dei tanti proverbi sulla misoginia. 


Femena che piora e caval che suda, no sta credeghene gnanche una 
Donna che piange e cavallo che suda, non credere a neanche uno. 

Volpe che dorme, ebreo che giura, donna che piange, malizia sopraffine colle 
frangie. 

A ttre ccosa nun ccrere: a sstelle ‘i vierne, a nnùvele r’ estate, a Illàcreme ‘i 
fèmmene. 

A tre cose non credere: alle stelle d’ inverno, alle nuvole d’ estate, e alle lagrime 
delle donne. 

Caval che sua, dona che pianze e omo che zura, no credarghe. 

Cavallo che suda, donna che piange e uomo che giura, non crederci. 

Omo che pianzi, caval che suda, dona che giura, no se ghe credi un corno. 
Uomo che piange, cavallo che suda, donna che giura, non gli si crede un corno. 
[ MD, AG, PG, IM, NM, LS ] 

Nota: Il proverbio riprende il motivo secondo cui il pianto della donna è 
frequente e menzognero. 


Femene co’ la barba - che Idio ne varda 


Donne con la barba - che Dio ce ne guardi. 

Uomo rosso e femmina barbuta, da lontan tre miglia li saluta. 
Vardite da le done cola barba. 

Riguardati dalle donne con la barba. 

Ddie tte libere ra Il uòmmene sbarbate e ra i ffèmmene barbute. 
Dio ti liberi dagli uomini sbarbati e dalle femmine barbute. 


[ AG, PG, IM, NM ] 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, voL XXXI, 2001, p. 371-468 425 


192) 


Ven.: 
Trad.: 


Tr. 


Trad.: 
Lad.: 
Trad.: 


193) 


194) 


Ital.: 
Tr: 


Trad. 


195) 


Nota: La sentenza è un po’ crudele, in quanto invita a tenerci lontani da coloro 
che hanno qualche difetto fisico. 


L’ omo ten un canton de la cafa e la femena ne ten tre 
L’uomo tiene su un angolo della casa e la donna ne tiene tre. 
L’ omo tien su un canton de casa, e la dona tre. 

L’ uomo tiene su un angolo della casa, e la donna tre. 

L’omo tien su un canton de casa e la donna tre. 

L’uomo tiene su un angolo della casa e la donna tre. 

L’òm ten su un cianton de la casa, ma la fémena in ten su trèi. 
L’uomo sostiene un angolo della casa, ma la moglie tre. 

| MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 


Nota: Appartiene alla esigua serie di proverbi creati dalla donna casalinga, che 
qui recupera, a buon diritto, le doti positive di sposa e di madre. 


La femena, co la pasa la sinquantina la iò un dolorin ogni mitina 


La donna, quando passa la cinquantina ha un dolorino ogni mattina. 
[AG] 
Nota: Con l’avanzare dell’età, arrivano per la donna anche i primi acciacchi. 


La moier, l’acqua e ‘l sal, no begna mai mprestà 
La moglie, l’acqua e il sale, non bisogna mai prestarli. 
La moglie, lo schioppo e il cane non si prestano a nessuno. 
La molie, la pipa e l’ombrela no se impresta. 
La moglie, la pipa e l'ombrello non si prestano. 
| AG, PG] 
Nota: La ragione per cui si afferma che l’acqua e il sale non si prestano, è forse 
da ricercarsi nel fatto che in passato l’acqua e il sale non erano così “accessi- 
bili” come lo sono oggi. 
Poco più di mezzo secolo fa a Gallesano, per avere l’acqua bisognava andarla 
ad attingere ai pochi “lachi” (laghetti), esistenti ancora nel nostro territorio 
(dove andavano a bere anche gli animali), portarsela a casa, purificarla da ogni 
sorta di impurità, e poi farne uso. Altre soluzioni non esistevano, se non 
attendere che piovesse. Solo pochissime famiglie possedevano veri e propri 
pozzi riceventi l’acqua piovana. 


La pafe tra socera e nora dura come la nio marsarola 
La pace tra suocera e nuora dura come la neve marzolina. 
[ AG, PG, IM, NM ] 
Nota: Cioè si dissolve subito come neve al sole. Il proverbio mette in evidenza 
che i rapporti in famiglia tra suocera e nuora sono insostenibili. 


426 E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Atti, vol XXXI, 2001, p. 371-468 


196) 


Alt.: 
Trad.: 


197) 


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Trad.: 


198) 


199) 


200) 


201) 


Tr. 
Trad.: 


Le femene co le fe morede le iò sete man e una lengua sola; ma co 
le se iò maridà le iò sete lengue e una man sola 


Le donne quando sono ragazze hanno sette mani e una lingua sola; ma quando 
sono maritate hanno sette lingue e una mano sola. 

Viel Leut habn zwoa Zungen in can Leib. 

Molte persone hanno due lingue e un corpo solo. 


[ AG, PG, LS |] 
Nota: Cioè dopo essersi maritate, le donne hanno sempre da ridire su tutto. 


Le femene iò le lagreme ‘n scarsela 


Le donne hanno le lacrime in tasca. 
Le done ga le lagrime in scarsela. 
Le donne hanno le lacrime in tasca. 


| MD, IM, MM, NM ] 
Nota: Cioè piangono facilmente. 


Le femene no di mai la verità de quanti ani che le iò 

Le donne non dicono mai la verità sulla loro età. 

[ AG] 

Nota: Le donne hanno la tendenza a mentire sulla loro età: spesso e volentieri 
si sottraggono qualche anno. 


Le morede che iò de maridase le iò el piombo ‘n te la gamba e el 
diao ‘n te la lengua 


Le ragazze che devono maritarsi hanno il piombo nella gamba e il diavolo 
nella lingua. 


AG] 
Nota: Altro proverbio che presenta le donne, indistintamente, sotto cattiva 


luce: premurose e sollecite prima di sposarsi (per accalappiare lo sposo) ma 
trascurate dopo, a scopo raggiunto. 


Mare, chi la iò la ciama, chi che no la iò la brama 

Madre, chi ce l’ha la chiama, chi non ce l’ha la brama. 

[LS] 

Nota: C’è una sola funzione della donna, in casa e fuori di casa, davanti alla 
quale anche i proverbi si tolgono il cappello: quella della madre. 


Mare morta, pare orbo 
Madre morta, padre cieco. 
Mare morta, pare orbo. 
Madre morta, padre cieco. 


[ AG] 


E. MOSCARDA MIRKOVIC, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ani, vol. XXXI, 2001, p. 371468 427 


202) 


203) 


Ital.: 


204) 


205) 


206) 


Ven.: 
Trad.: 


207) 


Nota: Per quanto grande possa essere l’amore del padre nutrito verso i figli, e 
per quanti sforzi faccia per sostenere la famiglia, non riuscirà mai a sostituire 
una madre. 


Moreda che dura - no perdo ventura 
Ragazza che dura - non perde ventura. 
[RT] 
Nota: Questo proverbio viene ripetuto dalle donne anziane alle giovani per 
consolarle, incoraggiandole a non perder la speranza di trovar marito. 


Ogni quarantina un malano a la mitina 


Ogni quarantina un malanno alla mattina. 
Chi ha degli anni ha dei malanni. 


{ MM ] 
Nota: Con la vecchiaia arrivano anche tutti i malanni. 


Poaro quel omo che meto le cotole e lasa le braghe 
Povero quell’uomo che mette le gonne e lascia i pantaloni. 
| AG, PG] 
Nota: Secondo il proverbio sarebbe da compatire l’uomo che si lascia coman- 
dare dalla propria donna. 


Povera quela cafa che la femena meto le braghe 
Povera quella casa in cui la donna mette i pantaloni. 
[ IM, MM, NM ] 


Nota: E sempre un proverbio sulla misoginia: infelice quella casa in cui la 
donna fa le veci dell’uomo, ossia comanda. 


Povero quel omo che speta de vistise co’ la sòchena de la so femena 


Povero quell’uomo che aspetta di vestirsi con la gonna della sua donna. 

Chi vol giustar le braghe co le còtole de la femena, le g’ha sempre rote. 

Chi vuole aggiustare i calzoni con le sottane femminili, li ha sempre rotti. 

[ MD, AG, PG, IM, NM, LS ] 

Nota: La sòchena era una gonna di lana scura fittamente increspata alla cintola 
e sfaldata in modo che quando non veniva indossata si poteva piegare e le falde 
si sovrapponevano coprendosi esattamente, e venivano tenute unite da cordele 
di cui la gonna era fornita. 

Il proverbio commisera l’uomo che non ha propri mezzi finanziari, ma deve 
vivere attingendo da quelli della moglie. Il proverbio ribadisce ancora una 
volta l’autorità dell’uomo sulla donna. 


Tra marì e moier no sta meti el dè 
Tra marito e moglie non mettere il dito. 


428. E MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione parumiokgio» a Gallesano, Ati, vo XXXI, 2001, p. 371-468 


Ital.: 
Fr.: 


Trad: 


208) 


Ital.: 
Ital.: 


Tosc.: 


209) 


Ital.: 


Trad.: 


210) 


Tra moglie e marito non mettere il dito. 

Entre l’arbre et l’écorce, il ne faut pas mettre le doigt. 

Tra l’albero e la corteccia non bisogna mettere il dito. 

[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 

Nota: È un invito a non intromettersi nelle faccende delicate che interessano 
familiari e consanguinei. 


Un pel de femena, tira più che diefe gubie de cavai 
Un pelo di donna, tira più che dieci paia di cavalli. 

Tira più un pel di donna che cento paia di buoi. 

Tira più un pelo di femmina che un paio di buoi. 

Tira più un filo di benevolenza che cento paia di buoi. 


[ AG, PG, IM, MM, NM] 
Nota: Con la gentilezza e le buone maniere si ottiene più che con i modi 
sgarbati e violenti. 


Una bona moier fa un bon marì 


Una buona moglie fa un buon marito. 

Il buon marito fa la buona moglie e la buona moglie fail buon marito. 
Una bona molge fa un bon marì. 

Una buona moglie fa un buon marito. 


[ AG, IM, LS ] 
Nota: Secondo il proverbio una buona moglie sarebbe in grado di correggere 
anche i “difetti” più radicati del marito. 


Val più un’ongia de femena, che la man d’un omo 


Vale più un’unghia di donna che la mano di un uomo. 
| AG, PG, IM, NM ] 
Nota: È uno dei pochi proverbi che lodano la buona massaia, la donna tutta casa. 


Il matrimonio, la famiglia, la casa 


211) 


212) 


Ital.: 
Lat. 


Ave Maria, grasia piena; chi che se li fa, che se li tegna 

Ave Maria, grazia piena; chi se li fa, se li tenga. 

[ MD, AG, IM, NM, LS ] 

Nota: I figli sono un dono del cielo, una gioia immensa, a patto che se ne 
occupino 1 genitori. 


Begna pensà prima, per no sospirà despoi 
Bisogna pensarci prima, per non sospirare poi. 
Pensaci prima, per non pentirsi poi. 
Deliberandum est quicquid statuendum est semel. 


E. MOSCARDA MIRKOVIG, La tradizione paremiologica a Gallesano, Att, voL XXXI, 2001, p. 371-468 429 


Trad.: 


Sic.: 


Trad.: 


Tr.: 


Trad.: 


213) 


214) 


Ven.: 


Trad.: 


215) 


216) 


217) 


Bisogna meditare su tutto ciò che si deve decidere una volta per tutte. 
Cu primu non pensa in ultimu suspira. 

Chi prima non pensa, alla fine sospira. 

Chi prima no pensa in ultimo sospira. 

Chi non pensa prima in fine sospira. 


[ AG] 
Nota: Prima di agire bisogna riflettere bene, soprattutto per quanto riguarda un 
passo importante come il matrimonio. 


Benedeta la nitisia, no fe oro che la paga 
Benedetta la pulizia, non c’è oro che la paghi. 
[ AG] 
Nota: La pulizia e l’igiene sono importantissime: non si vive bene in una casa 


non pulita. Le donne gallesanesi sono poi particolarmente sensibili in materia: 
le loro case devono essere sempre linde. 


Chi se li fa se li godo; chi se li fa se li mantegna; chi iò la rogna se la 
greta 


Chi se li fa, se li goda; chi se li fa, se li mantenga; chi ha la rogna, se la gratti. 
Chi g’halarogna grata; chi g'ha el martelo sbate; chi g’ha la roca fila; chi g'ha 
‘1 mario sospira; mi ca no lo g’ho, tuta la note dormirò. 

Chi ha la rogna gratta; chi ha il martello batte; chi ha la rocca fila; chi ha il 
marito sospira; io che non ce l’ho tutta la notte dormirò. 


| AG, LS ] 
Nota: Come dicevamo nel proverbio numero 211, i figli sono una grande 
felicità, ma sono i genitori che devono coglierne gioie e dolori. 


Co la cafa fe piena se fa presto a fa de sena; legne de rovero, pan de 
gran e bocal de vecio teran 


Quando la casa è piena, si fa presto a far la cena; legna di rovere, pane di 
grano e boccale di vecchio terrano. 


[ AG, IM, NM, LS ] 
Nota: Non ci vuole niente a preparare una buona cena se si hanno a disposizio- 
ne pane di grano tenero e buon vino. 


Co fe la cafa piena, se fa presto anco la sena 
Quando la casa è piena, si fa presto anche la cena. 
[ AG] 

Nota: vedi nota proverbio numero 215. 


EI fruto caio poco lontan de l’albero 
Il frutto cade poco lontano dall’albero. 


43) E MOSCARDA MIRKOVIÒ, La tradizione paremiologica a Gallesano, Ani, voL XXXI, 2001, p. 371-468 


Ven.: 


Trad.: 


Tr.: 


Trad.: 


Tr.: 


Trad.: 
Tren.: 
Trad.: 


Lad.: 


Trad.: 


218) 


Ital.: 
Ital.: 
Ital.: 
Ju 


Trad.: 


219) 


220) 


221) 


Ital.: 
Ital.: 
Ven.: 


Trad.: 


Rf: 


El fruto no casca lontan da |’ albero. 

Il frutto non cade lontano dall’ albero. 
EI pero casca poco lontan de l’arboro. 
La pera cade poco lontano dall'albero. 
EI fruto no casca lontan de l’alboro. 

Il frutto non cade lontano dall’albero. 

EI pom el casca poch lontan da l’Arbor. 
La mela cade poco lontano dall’albero. 
La stela no la va dalenc’ dal ciuch. 

La scheggia non cade lontano dal ceppo. 


[ MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT ] 
Nota: Nel vizio i figli ritraggono dal padre. 


EI sango no fe acqua 

Il sangue non è acqua. 

Il sangue non è acqua. 

Il sangue non si può fare acqua. 
Il sangue non stinge. 

Sangue no xe aqua. 

Sangue non è acqua. 


| MD, AG, PG, IM, MM, NM, LS, RT] 
Nota: Il vincolo della parentela e della discendenza è reale ed effettivo. Esso ci 
fa amare i nostri consanguinei anche se abbiamo ricevuto dei torti. 


Far e fur - de una mare no ne fe più 

Far e fur - di una madre non ce n'è più. 

[ AG, PG, IM, NM, LS ] 

Nota: In certe circostanze alcuni figli non hanno difficoltà a dimenticare la 
madre e tutti i sacrifici che questa ha fatto per loro. 


Fio - fate; fio — tente 

Figlio - fatti; figlio - tienti. 

| AG] 

Nota: (vedi note proverbi numero 211 e 214). I figli devono essere accuditi dai 
genitori. 


Fioi e colombi sporca le cafe 
Figli e colombi sporcano le case. 
Ragazzi e polli imbrattano le case. 
Galline