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Full text of "La Ricerca 65"

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Bollettino del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno 


LA RICERCA 


Unione Italiana - Fi Università Popolare di Trieste 



























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Sommario 


EDITORIALE 


1 La storiografia adriatica come 


narrazione 
DI NicoLò SPONZA 





SAGGIO 


3 Fattaccie aggressioni nell’Istria 
ottocentesca, espressione di 


istinti naturali 
DI PaoLA DELTON 














SAGGIO 
7. Una testimonianza del 
“mal francese” nell’Istria 
di fine Ottocento 
DI Rino CIGUI 





SAGGIO 


11. Storie di vini dell'Adriatico. Nuove 
indagini sulle relazioni tra il 
Prosecco e il Prosek dalmata 


pi Fulvio CoLomBo 





SAGGIO 
14. Un'antica tradizione 


capodistriana: la festa della 


Madonna di Semedella 


DI Davip Di PaoLI PAULOVICH 





18. Notiziario 
pi Marisa FERRARA 





20. Donazioni al nostro Istituto 





21. Notizie e visite al C.R.S. 





22. Partecipazione dei ricercatori a 


convegni e seminari 





23. Nuovi Arrivi in Biblioteca 











La Ricerca - n. 65 


Unione Italiana 
Centro di Ricerche Storiche di Rovigno 


REDAZIONE ED AMMINISTRAZIONE: 

Piazza Matteotti 13 - Rovigno d'Istria 
Tel. (052) 811-133 - Fax (052) 815-786 
(Italia e Slovenia: 00385/52) 

INDIRIZZO INTERNET: 


WWW.Crsrv.org E-MAIL: Info@crsrv.org 





Comitato DI REDAZIONE 
Marisa Ferrara, Nives Giuricin, 


Raul Marsetiè, Orietta Moscarda Oblak, 


Alessio Radossi, Giovanni Radossi, 
Rino Cigui, Nicolò Sponza, Silvano Zilli 


DirETTORE RESPONSABILE 
Giovanni Radossi 


REDATTORE 
Nicolò Sponza 





CoorD 


Silvano Zil 


PROGET 


NATORE 


TTO GRAFICO & STAMPA 


Happy Digital snc - Trieste 


HA COL 


LABO 


RATO 


Massimo Radossi 
Stampato con il contributo 





dell'Un 


Vers 





ità Popolare di Trieste 


© 2014 Proprietà letteraria riservata 
secondo le leggi vigenti 


Pubblicazioni CRS 


edite nel 
2013-2014 


ATTI XLIII 
QUADERNI XXV 


RICERCHE SOCIALI 21 


IL CIMITERO DI MONTE GHIRO A POLA 
di R. Marsetiò 


I CONTI DI GORIZIA E L'ISTRIA NEL MEDIOEVO 
di P Stih 


LACHI E LACUZZI DELL’ALBONESE E DELLA VALLE 
D’ARSA. RACCOLTE D’ACQUA PRESENTI ED ESTINTE 
di C. Pericin 


LA RICERCA n. 63 (Bollettino) 
LA RICERCA n. 64 (Bollettino) 


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di stampa 


ATTI XLIV 
OPERA OMNIA di G. Praga (Reprint) 


BUIE D'ISTRIA FAMIGLIE E CONTRADE di L. Moratto 
Ugussi 


50 ANNI DI COLLABORAZIONE UI(IF) E UPT di E. e L. 
Giuricin 

IL CARTEGGIO P KANDLER E T. LUCIANI 1843-1871 di G. 
Radossi 


















NEL MEDIORVO RECON Aa 
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L'Editoriale 





di Nicolò Sponza 





La storiografia adriatica 
come narrazione 


La storia è un prodotto culturale e di 
conseguenza, al pari delle altre scienze sociali, 
non è immune dal clima generale in quanto la 
storiografia si delinea, prende forma attraverso le 
certezze, le aspirazioni, le motivazioni e spesso, 
non dobbiamo essere ipocriti, per mezzo delle 
paure e i dubbi che attanagliano l’animo dello 
storico. 

Il tempo che stiamo vivendo, caratterizzato 
dall’imperante globalizzazione e virtualizzazione 
del mondo, sta radicalmente modificando il 
nostro presente: posizioni, equilibri e schemi 
sono profondamente cambiati, obbligandoci a 
rivalutare, ripensare e riformulare non solo il 
nostro piccolo o grande universo territoriale e 
culturale, ma addirittura la nostra stessa identità 
sia individuale che collettiva. Cambiamenti 

che inevitabilmente trasformano anche il 
rapporto con il nostro passato. Oggi, un po’ 

tutti, risultiamo meno certi delle nostre verità. 
Nel contempo siamo indubbiamente più attenti 
alle sfumature della nostra ed altrui storia, della 
nostra stessa identità, quella italiana, in queste 
terre spesso considerata scomoda dalle ideologie 
e dai nazionalismi in quanto identità di confine, 
pertanto distante, diversa dagli schemi nazionali 
dominanti. 

Noi come intellettuali appartenenti a una 
comunità nazionale minoritaria, abbiamo da 


sempre sostenuto, e continuiamo caparbiamente 





a farlo, spesso con coraggio - forse si tratta 
solamente d'istinto di sopravvivenza - che il 
passato non è né unilaterale né unidimensionale, 
ma infinitamente più complesso e multiplo. Non 
abbiamo mai proposto una sola verità, ma storie 
che a sua volta si intersecano e sovrappongono, 
profondamente convinti che per fare storiografia, 
seriamente, non basta raccontare una storia, 

ma bisogna evocare il mondo all’interno del 
quale questa si forma e delinea. Più complicato, 
sicuramente, nel contempo più avvincente 

e soprattutto più esplicativo. Cerchiamo di 
narrare, e narrare significa raccontare un mondo 
attraverso le sue storie, in quanto convinti 

che senza questa operazione il mondo che ne 
scaturirebbe si rivelerebbe tremendamente piatto, 
assolutamente inadatto a raccontare una terra, 
quella dell’Adriatico orientale, dove non è facile 


tracciare confini e frontiere, dove storicamente 





L'Editoriale 








collidevano e si intersecavano i tre grandi sistemi 
europei, il mondo latino, slavo e germanico, e 
dove ortodossia e mondo musulmano non erano 
poi così distanti, anzi. Le influenze culturali, 
religiose, etniche e linguistiche sono tutt'oggi 
visibili o meglio tracciano gli attuali confini 
regionali e nazionali della civiltà adriatica. 

La narrazione storica incarna la possibilità di 
esplorare, conoscere e interagire con la realtà 
del mondo, modificandola se inappropriata, 
addirittura combattendo con, e per essa. Come 
italiani dell’Adriatico orientale siamo partiti 

da una posizione di svantaggio, decimati 
numericamente e intellettualmente immersi in una 
realtà diversa per costumi, tradizioni e civiltà 
dove si prospettava una nostra presenza legata 
a una dimensione folcloristica, prezioso e anche 
indispensabile strumento per la salvaguardia 
della tradizione, ma insufficiente a sviluppare 
aggiornamenti e orizzonti nuovi. 

La narrazione ci ha permesso di lottare 
intellettualmente per non rinunciare alla nostra 
autonomia linguistica e nazionale per la nostra, 
orgogliosa, diversità culturale ogni qualvolta 

i valori del nostro esistere e divenire venivano 
messi in discussione, venivano forviati, quando 
venivamo incorporati dalle storiografie ufficiali 
in un contesto che non volevamo e potevamo 
riconoscere quale nostro habitat naturale. 


Oggi gli storici sono più attenti, potremmo 


di Nicolò Sponza 


definirli più delicati, quando studiano il territorio 
adriatico. Ethnos, genesi nazionale, evoluzione 
storica, ibridazioni, interferenze e scambi 
culturali oggi hanno acquistato una nuova e 
rinnovata profondità sia teorica sia metodologica. 
Merito della nostra proposta storiografica, 

quella che il CRS porta avanti dal 1968, in parte 
sì. Oggi sembra tutto così ovvio, quasi banale, 
scontato, ma il mondo non è stato sempre così 
propenso a tutto ciò, l’Europa era divisa da una 
Cortina di ferro e gli scambi erano impossibilitati 
e spesso costituivano un'operazione pericolosa, 

i vincitori avevano vinto e gli italiani avevano 
perso, gli esuli erano esuli in quanto tutti fascisti 
e i rimasti erano rimasti perché comunisti. Quindi 
permetteteci di rivendicare che siamo stati i primi 
ad aprire un nuovo corso riguardo la storiografia 
dell’Adriatico orientale. Se non l’avessimo 

fatto noi saremmo scomparsi e con noi la stessa 
narrazione adriatica sarebbe rimasta una sola 
storia, innegabilmente ufficiale, ma forzatamente 
incompleta, forviante e la civiltà dell’Adriatico 
orientale avrebbe cessato di esistere per sempre. 
Fortunatamente le sensibilità che oggi traspaiono 
dalle ricerche storiografiche sia di autori italiani 
che croati e sloveni, sarebbe più opportuno e 
giusto definirli ricercatori europei, vogliono 

e auspicano un Adriatico proiettato nel futuro 
grazie a salde radici che affondano nel suo ricco 


ed eterogeneo passato. 





Saggio 


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LA RICERCA N. 65...GIUGNO 2014 # 


î 





di Paola Delton 





rattacci e aggressioni nell'Istria 
ottocentesca, espressione 


di IStinti naturali 


L'interesse della stampa 
per 1 fatti delittuosi non 
è un fenomeno soltanto 
contemporaneo e lo 
documentano, sul finire 
dell’ Ottocento, le righe 
e le immagini dedicate 
a questo argomento 

dal periodico di Pola 

Il Popolo istriano. Nel 
“Foglio annesso al 

N. 25 del Giornale /l 
Popolo istriano d. d. 6 
Agosto 1898” appaiono 
tre vignette narranti 

un episodio di sangue. 
Il titolo, “Il grave 
ferimento a Dignano”, 
ci suggerisce l’entità 
dell’accaduto, mentre 

i sottotitoli ‘Benedetto 
Ferra(o)' che colpisce 
Vito Malusà”, “Il 
Ferra(o) che insegue il 
giovinetto Domenico 
fratello del Malusà” 

e “Trasporto del ferito Vito Malusà 
di conoscere i protagonisti della vicenda, nonché la 
lettura degli eventi. Si vede il Ferra(o) che colpisce 
violentemente con un martello o mazzuola prima Vito 
Malusà e poi suo fratello Domenico, mentre nella 

terza e ultima vignetta è rappresentato il trasporto del 
ferito, scortato da un gendarme, sotto gli occhi attenti 

e increduli della popolazione accorsa velocemente per 
assistere all’accaduto. Nella prima vignetta si nota sullo 
sfondo la tipica osteria con e/ frasco, pianta di ginepro 
rovesciata appesa sopra la porta, che stava ad indicare 
la disponibilità di vino e l'apertura della canova al 
pubblico; l'abbigliamento dei protagonisti è quello 


992 


ci permettono 





Foglio amesso al N 25 del Giornale ,, IL POPOLO ISTRIANO “ d. d 6 Agosto 1898, | 


Il grave ferimento a Dignano. 


Il grave ferimento a Dignano, // popolo 
istriano, Pola, 6 agosto 1898 


che comunemente viene definito costume popolare 
dignanese. 

Interessante anche l’episodio narrato nella seconda parte 
del foglio e cioè “Lo scoppio di una mina presso il forte 
di Barbariga”, una delle fortificazioni austro-ungariche 
che difendevano l’ingresso nel Canale di Fasana, dove 
risiedevano militari e lavoranti di varia provenienza 
geografica ed etnica. Nello stesso anno 1898 il 
periodico // Popolo istriano pubblica l’articolo “Rissa 
sanguinosa a Barbariga”: “Domenica scorsa alle ore 10 








Saggio 








Lo scoppio 


'ip-Lit. E, Sambo e C. Pola. 


di sera, dopo soverchie libazioni, mentre si recavano 
alle rispettive baracche al forte di Barbariga avvenne 
una colluttazione senza importanza fra un lavorante 

e un manovale craniolino*. Il fratello del primo, certo 
Antonio Bernecich, s’intromise, ma al suo avvicinarsi il 
craniolino lo prese a coltellate assestandogli ben cinque 
ferite una delle quali gravissima perché interessante 

gli organi respiratori. Il ferito venne condotto al nostro 
Ospitale e il feritore agli arresti.” 

I documenti a nostra conoscenza non ci permettono 
una lettura più approfondita del ferimento del 

Malusà e quella del manovale craniolino, ma alcune 
testimonianze d’archivio ci confermano la tesi 
accennata in apertura, cioè l’indole istintiva e irosa di 
parte della popolazione dell’Istria meridionale. Queste 
le parole di un atto processuale archiviato dall’I. R. 
Commissariato Distrettuale di Dignano il 25 ottobre 
1845: “Presenti i sottoscritti. Comparsa Eufemia 
Bancovich, la quale producendo l’attestato medico [...] 
espone quanto segue: li 17 del cor. mese due ore avanti 
notte chiesi da Maria Buich mia con [...] la restituzione 
d’uno stariolo di grano che le avevo imprestato. 
Anziché soddisfare all’obbligo [...] levò delle pietre 
dal suolo e colle medesime mi diede diversi colpi alla 
testa arrecandomi le ferite che tutt'ora si ravvisano e mi 
avrebbe uccisa qualora non fosse accorso mio marito. 
L’incolpata lo nega. Essendo quest’ultima di cattiva 
fama e condotta [...] essendo motivo di dubitare della 
verità dell’[...] denunziante, venne punita Maria Bicich 
con [...]. (firma) Tromba”. Leggiamo le precedenti 
righe come un saggio del carattere forte delle donne 
del distretto di Dignano. Che le donne fossero portate 


di Paola Delton 





Lo scoppio di una mina presso il 
forte di Barbariga, // popolo istriano, 
Pola, 6 agosto 1898 


al contrasto lo testimonia sul finire del secolo XIX il 
Tamaro, il quale nella descrizione della donna della città 
di Dignano dice che essa è bellissima, che lavora poco 
e che passa il tempo a lavorare con l’ago in mezzo ai 
vicoli del paese e che “perciò frequente il pettegolezzo, 
il bisticcio e talvolta anche il contrasto in un dialetto 
pieno d’energia e del tutto originale”?. Conviene 
ricordare che lo stesso autore accenna anche al 
temperamento degli uomini e lo fa in un paragrafo che 
tratta delle popolazioni slave del contado; in particolare 
si legge che gli uomini della città di Dignano “però 

son barbe da farsi rispettare, e quando si accorgono 

di qualche tiro, sanno mettere al dovere gl’importuni 
vicini, con o senza l’aiuto delle vigilanti autorità”. Poco 
più avanti il Tamaro cerca di dare una spiegazione a 
questi comportamenti violenti e sostiene che “si deve 
però convenire che per troppo lungo tempo questa 
gente fu quasi del tutto abbandonata al suo naturale 
istinto, senza scuole e senza utili contatti, visto che 
solo nel 1868 ebbe una capo-scuola maschile; nessuna 
meraviglia se i costumi si sono mantenuti alquanto 
fieri, non pure nelle campagne, ma anche nella stessa 
Dignano”*. 

Infatti negli atti dell’I. R. Commissariato Distrettuale 
di Dignano compaiono ancora più numerosi delle 
donne gli uomini. Il 21 ottobre 1845 “comparso il 
settuagenario Cristoforo Biasiol fece la seguente 





Saggio 





LA RICERCA N. 65...GIUGNO 2014 f ‘ 





di Paola Delton 


denunzia: L'altro giorno che era domenica verso le 
undici di sera recandomi a casa mia e passando per la 
contrada di S. Giuseppe, Cristoforo Bonassin, senza 
ch’io gli facessi cosa alcuna, dopo avermi gettato 

il cappello dalla testa e dopo avermi dato un colpo 

alla testa, levò dalla sacoccia un coltello per inveire 
contro di me, [...] chè viddero molte persone. (croce 

di Cristoforo Biasiol) Ciò premesso venne punito 
Cristoforo Bonassin con 24 ore d’arresto. (firma) 
Tromba”?. Cogliamo il suggerimento della gravità del 
gesto di togliere il cappello dal capo di una persona e la 
conferma dell’abitudine di portare il coltello ovunque 
si andasse. Tale usanza aveva antiche origini e lo 
conferma nella seconda metà del ‘600 il Tommasini, il 
quale a proposito degli uomini di Dignano scrive: “Si 
dilettano d’aver l’armi a canto o pugnale, 0 stocco, 0 
una ascetta nelle mani””!°. 

Anche la vicina Gallesano non era da meno, così come 
lo ricorda un articolo apparso sul periodico I! Popolo 
istriano alla fine dell'Ottocento: “Il giorno di S. Pietro 
la vicina borgata di Gallesano ha una sagra che riesce 
sempre un po’ animata. Come si usa in tanti luoghi 

in tali occasioni si aprono le cantine e lunghe file di 
tavoli occupano le piazze e le vie, ove il popolo se la 
passa bevendo e cantando. Giovedì scorso verso le 7 

e mezzo pom. una compagnia di giovinastri sedette su 
uno di questi tavoli in piazza, e poco dopo, successe un 
battibecco fra loro e si videro a volare sassi e bicchieri. 
Intervennero tosto i gendarmi di posto a Gallesano e le 
guardie comunali di Pola mandate dal nostro Municipio 
a mantenervi l’ordine, e l’intervento della forza fece 
cessare il tumulto. Nella colluttazione avvenuta 
rimasero feriti Moscarda Domenico d’anni 28 e Belci 
Giovanni d’anni 14, i quali la sera stessa furono portati 
a Pola in Ospitale. Come autori dei disordini vennero 
durante la notte arrestati 6 individui che ieri mattina alle 
5, incatenati a due a due con una lunga catena riuniti 
tutti sei vennero condotti dai gendarmi da Gallesano 

a Pola a piedi, e rinchiusi sottocastello a disposizione 
del Giudizio. Da ulteriori investigazioni che abbiamo 
fatto la rissa avrebbe avuto principio da vecchia ruggine 
fra i cugini Moscarda. Il Moscarda Domenico sarebbe 
stato colpito dal cugino Moscarda e da certi Delcaro e 
Detoffi, prima a pugni e poi con bicchieri e boccalette. 
Egli ha due ferite lacero contuse alla parietale sinistra. 
Il quattordicenne Belci Giovanni da Dignano si trova 
per mera combinazione ivi presente e riportò una ferita 
da taglio alla guancia sinistra. Altri colpi restarono 
anonimi”!!. Sembra che a Gallesano, almeno nei giorni 
di festa, non si girasse con i coltelli in tasca, preferendo 
colpire con gli oggetti a portata di mano; molto più 
probabilmente le discordie saranno state di altro genere. 






Pietro Marchesi, “Nozze istriane”, Ma bada 
Lorenzo, 1895 circa, olio su cartoncino 


Episodi simili, soprattutto quando a colpire era un 
coltello, non dovevano passare inosservati se giunsero 
ad assumere dignità artistica in un’opera: le “Nozze 
Istriane” (1895) di Antonio Smareglia, in particolare 
nel testo di Luigi Illica. Quest'ultimo scrisse il libretto 
a Dignano, dove il maestro, in ritiro dopo l'insuccesso 
viennese, l’aveva invitato a stendere tutt’ altra storia. 
Illica, attratto dal posto e dai costumi degli abitanti, 
propose l’idea di un’opera di colore locale. In soli tre 
giorni scrisse il libretto sul motivo della lite d’amore 
contadinesco, a cui pone fine una tragica pugnalata, 
motivo inaugurato pochi anni prima dalla “Cavalleria 
rusticana” di P. Mascagni.'° Ciò che Illica aveva 
notato in maniera particolare a Dignano era che si 
usava portare il coltello in tasca! e questo bastò per 
infiammare la sua fantasia e proseguire l’idea di 

una trama verista, secondo la moda del momento. 
Protagonisti dell’opera diventarono Marussa, Bara 
Menico, Biagio, Lorenzo, Nicola e Luze, cioè persone 
del popolo che mettevano in scena i propri sentimenti, 
l’amore, l’inganno, la delusione e la vendetta. 





6 


Saggio 








Lorenzo è il tipico dignanese descritto abitualmente 
“con orecchino che i dignanesi portano ad un solo 
orecchio”! e con coltello che estrae per difendere 

il proprio onore. In conclusione dell’opera infatti 
Lorenzo esce dal nascondiglio “traendo il coltello”! (in 
un’edizione precedente si legge: “poscia dalla tasca dei 
pantaloni tira fuori un coltello”!°), ma il rivale Nicola 
si avventa ‘furiosamente cacciando il (proprio, n.d.a.) 
coltello nel petto di Lorenzo che stramazza al suolo”. 
Marussa grida: “Aiuto per pietà! Assassini! Aiuto””!. 

Si può supporre che Illica si sia ispirato ad un fatto 
realmente accaduto e che fossero proprio queste le 
parole che i dignanesi pronunciavano, nel loro favelà, 
quando assistevano ad un fatto di sangue. Nonostante 
l’efferatezza del delitto, consideriamo esagerate le 
parole di Paolo Petronio il quale, anche riferendosi 

al temperamento iroso di Antonio Smareglia, nel suo 
saggio sulle opere del maestro sostiene: “E se questo 
era il modo di comportarsi dei dignanesi, ecco spiegato 
l’ambiente della zona e la presenza dei coltelli facili. 
Una vicenda brutta e truce, in un ambiente pure truce 
Quello a cui Petronio allude è la presunta vicinanza 
dei dignanesi alle popolazioni del Mezzogiorno 
d’Italia, secondo un filone di pensiero che aveva 
avuto precedentemente altri sostenitori: Vito Levi nel 
1954 aveva scritto che a Dignano vi erano “passioni 
ardentissime, richiamanti insieme con le tradizioni 
pittoresche il mezzogiorno d’Italia...!, mentre all’inizio 
del XX sec. in una Guida del TCI si poteva leggere 
“L’interessante cittadetta m. 135, abit. 5664, ha un 
carattere affatto meridionale ed in prevalenza moderno, 
sebbene gli abitanti si conservino particolarmente fedeli 
alle vecchie usanze familiari...??0. 

Concludiamo questo breve intervento sul carattere 
passionale e istintivo delle donne e degli uomini 

di quella parte dell’Istria che abbraccia Rovigno, 

Valle, Dignano e Gallesano, ricordata spesso per la 
particolarità dei costumi e della lingua, con le parole 

di Lorenzo che, credendosi tradito da Marussa, canta 
una bottonata contro di lei: “Il cor ferito m’hai con 
cento spade / e i sassi ho tutto intorno insanguinato; / io 
porto la mia croce per le strade, / e tutti san che m’hai 
assassinato”?!. Quando, il 24 marzo 1908, le “Nozze 
Istriane” furono rappresentate a Pola al teatro Ciscutti, 
grande fu l’interesse dei dignanesi e gallesanesi per 
l’opera; l’i.r. Comando del porto di guerra a Pola 
concesse un treno speciale che li portò fino in città, 

non lontano dal teatro per evitare incidenti, leggi 
manifestazioni irredentistiche”?. Quello che essi vissero 
fu forse una sorta di catarsi che liberava dalle passioni 


2°18 


di Paola Delton 


(popolari), che tanto avevano infiammato gli animi dei 
propri avi. 


NOTE 


! Il cognome Ferra a Dignano non è conosciuto; si tratta forse di 
un errore di stampa, visto che il cognome Ferro è invece piuttosto 
diffuso. 

2 Questo e i precedenti titoli in “Il grave ferimento a Dignano”, I/ 
Popolo istriano, period., Tip. Lit. E. Sambo e C., Pola, 6 agosto 
1898, A. I, n. 25. 

3 In Mirella CODAZZI PAVCOVICH, Vita a Dignano, Venezia, 
Alcione Ed., 1995, p. 127, si legge: “Era consuetudine che 

ogni anno le famiglie che avevano sovrabbondanza di vino, 

ne vendessero una parte e quale segnale appendessero fuori 

della porta e all’altezza del primo piano, una pianta di ginepro 
rovesciata che era chiamata e/ fràsco. Molto presto la gente veniva 
a sapere della sua esistenza in paese”. 

4 Craniolino = anche “cragnolino”, da Kranjska, nome sloveno 
della Carniola; nella Venezia Giulia è maggiormente diffuso 
rispetto a carniolino, che deriva direttamente dal nome italiano 
Carniola. 

5 “Rissa sanguinosa a Barbariga”, // Popolo istriano, cit., 3 
dicembre 1898, A. I, n. 59. 

£ DrZavni Arhiv u Pazinu — Archivio di Stato di Pisino (=ASP), 
HR-DAPA-435, fondo (=f.) I. R. Commissariato Distrettuale di 
Dignano, 1845, busta n. 2. 

? Marco TAMARO, Le città e le castella dell’Istria, Vol. II, Tip. 
Gaetano Coana, Parenzo, 1893, p. 605. 

8 Ivi, p. 615-616. 

° ASP, HR-DAPA-435, f. I. R. Commiss. Distr. di Dignano, 1845, 
busta n. 2. 

!'° Giacomo Filippo TOMMASINI, De Commentarj storici- 
geografici della Provincia dell'Istria, in “Archeografo triestino”, 
IV, Trieste, 1837, p. 487; cit. da Roberto STAREC, Coprire per 
mostrare, Ed. Italo Svevo, Trieste, 2002, p. 195. 

!! “T fattaccio di Gallesano”, // Popolo istriano, period., Pola, 1 
luglio 1899, A. II, n. 65. 

!° Cfr. Flavia Verzini, Punti estremi del teatro musicale di Antonio 
Smareglia, Tesi di laurea, Univ. degli Studi di Trieste, A.A 
1984/85, p. 37. 

8 Paolo PETRONIO, Le opere di Antonio Smareglia, Ed. Italo 
Svevo, Trieste, 2004, p.151. 

!4 Antonio SMAREGLIA, Nozze Istriane, Dramma lirico in 3 atti 
di Luigi Illica, Casa Musicale Giuliana, Trieste, 1938, p. 25. 

Ivi, p. 71. 

!6 Antonio SMAREGLIA, Nozze Istriane, Dramma lirico in 3 

atti di Luigi Illica, Seconda ed., Stab. Musicale C. Schmidl & C., 
Trieste, s.a., p. 71. 

!? Ibidem. 

!8 P. PETRONIO, Le opere ..., cit. p.151. 

!° Vito LEVI, “Nozze Istriane” nel Centenario della nascita di 
Antonio Smareglia (1854-1954), a cura del Comune di Trieste, 
1954, p.1l. 

20 L. V. BERTARELLI, Le tre Venezie, Guida d’Italia del TCI, Vol. 
II, Milano, 1920, p. 326. 

21 A. SMAREGLIA, Nozze istriane ..., St. Mus. C. Schmidl & C., 
cit., p. 51. 

2 Cfr. Vito LEVI, Nozze istriane nel Centenario ..., cit., p. 24. 





Saggio 





di Rino Cigui 


Una testimonianza 





del “mal francese” 
nell'Istria di fine Ottocento 


Le grandi malattie del passato 
sono state evenienze naturali 
e sociali di grande rilevanza 
biologica, psicologica, 
demografica ed economica 
che, con il loro bagaglio di 
ansia e angoscia, generavano 
grandi paure collettive. Se la 
lebbra dell’ Alto Medioevo 
fu la metafora e il paradigma 
dell’emarginazione sociale e 
della morte civile e la peste 
del Basso Medioevo quella 
della morte fisica e della 
paura di morire, la sifilide del Rinascimento rappresentò 
per certi versi la paura della morte morale e divenne 
simbolo e modello della malattia peccaminosa e 
vergognosa!. 

L'origine storica del male è stata oggetto nel corso del 
tempo di un’accesa discussione, e solo l’impiego delle 
moderne metodiche di biochimica e biologia molecolare 
sembra aver confermato l’ipotesi americana della 
patologia, che sarebbe quindi stata importata nel 1493 
in Europa dai marinai di Colombo di ritorno dal Nuovo 
Mondo. Ad ogni modo, quale che sia l'origine della 
sifilide, l’appellativo di ma/ francese le fu affibbiato 

in seguito all’occupazione di Napoli da parte delle 
milizie francesi di Carlo VIII ritenute infette, mentre 

il suo nome scientifico e la prima descrizione accurata 
si devono al celebre medico veronese Girolamo 
Fracastoro autore, nel 1530, dell’opera Syphilis seu 
morbus gallicus?. 

Quando il male iniziò a diffondersi il continente 
europeo era tormentato dalla fame e da altre malattie, 
che ‘“rinnovavano il circolo vizioso, una spirale 

senza via d’uscita caratterizzata da malattia e morte, 
abbandono dei coltivi e degrado ambientale, carestia, 
denutrizione e indebolimento dei sopravvissuti che 
diventavano così porte aperte a vecchie e nuove 
malattie”. Il carattere epidemico e di alta contagiosità 





Panorama del porto di 
Pola a fine ‘800 


del morbo era da imputare 

a fattori naturali, quali 

. un’immunodeficienza della 
popolazione nei confronti del 
i Treponema pallidum, \’ agente 
x eziologico responsabile del 

fd morbo scoperto dai tedeschi 
Fritz Schaudinn ed Erich 
Hoffmann nel 1905, e a fattori 
sociali, come la promiscuità, 
la sporcizia, la circolazione di soldati e delle meretrici 
che si spostavano al seguito degli eserciti‘. 

La natura venerea della sifilide fu immediatamente 
chiara, e l'infezione, dopo una fase iniziale 
caratterizzata da elevata virulenza, durante la quale 
uccise in tempi relativamente brevi chi ne fosse stato 
colpito, col tempo mutò fino ad assumere carattere 
cronicizzante ed endemico, perdendo molta della sua 
malignità iniziale. Comunque, a distanza di pochi 
decenni dal suo arrivo, la malattia acquistò connotati 
talmente epidemici da mettere in allarme le autorità e 
le istituzioni, che tentarono di disciplinare il meretricio, 
considerato uno dei veicoli principali del contagio, 
anche attraverso il controllo brutale delle prostitute. 

La Serenissima fu senza dubbio uno dei paesi che 
maggiormente cercò di monitorare la prostituzione, un 
fenomeno molto diffuso e sostanzialmente tollerato, 
ammessa per evitare disordini più gravi e normalmente 
tassata (il “dacium meretricium” divenne effettivamente 
un cespite molto importante per le finanze comunali e 
statali). Che lo stato non fosse tuttavia particolarmente 
tenero col più antico mestiere del mondo è comprovato 
da un’imposta straordinaria dell’ottobre 1514, destinata 
a finanziare il dragaggio dei fondali dell’ Arsenale, e 
dall’ordine emanato dal Consiglio dei Dieci nel 1539 di 
sfrattare da Venezia tutte le meretrici forestiere che si 





Saggio 








Veduta della città 
di Pisino in una 
stampa austriaca 


trovassero in città da più 
di due anni?. Nel XVII 
secolo il loro numero 
era a tal punto cresciuto 
che non bastarono gli 
innumerevoli decreti del 
Senato volti ad arginare 
il fenomeno e, nel 1666, 
il Magistrato di Sanità 
fu costretto a emanare 
una disposizione che proibiva a meretrici e cortigiane 
di “andar in ciascheduna delle Chiese o Scole (...) 

ne possino andar la Settimana Santa e il Zobia Santo 
nella Chiesa di San Marco e nella Piazza e altre Chiese 
o luochi ove hanno da andar e passar le Processioni 
delle Scuole (...) non potendo andar né per terra né 
per barca passeggiando, sotto pena contrafacendo de 
ducati cento per cadauna d’esse”°. Tale proibizione, 

in effetti, che cercava di por freno alla pratica 

dell’ adescamento, si rese assolutamente necessaria 
poiché il loro comportamento si era fatto così disinvolto 
che “posto da parte ogni riserbo, pubblicamente 
andavano per le strade e le chiese ed altre sì ben 
ornate e vestite, che talvolta le nobili e le cittadine 

non si distinguevano da esse nell’abbigliamento e non 
solo i forestieri, ma gli abitanti stessi di Venezia non 
conoscevano quali fossero le buone e quali le tristi”. 
Ad ogni modo, il terrore della sifilide agì fortemente 
sulla criminalizzazione della prostituzione e sui 
costumi sessuali, per cui il Settecento e la prima metà 
dell’ Ottocento furono segnati dalla diffusione sempre 
più marcata dell’antica paura popolare e sociale nei loro 
confronti, che si tradusse ancora una volta nel tentativo 
da parte delle istituzioni di una regolamentazione del 
meretricio da attuarsi tramite provvedimenti igienico- 
sanitari e amministrativi ispirati a chiare misure di 
profilassi sanitaria. Ciononostante, proprio il XIX 
secolo fu caratterizzato da un'imponente recrudescenza 
della malattia e da campagne di allarme sociale e di 
controllo della sessualità. 

In Istria la problematica della prostituzione non fu 
trascurata dagli statuti dei maggiori centri comunali, 
anche se è arduo affermare che ciò fosse dovuto a una 
precisa volontà delle autorità veneziane di tutelare le 
popolazioni contro l’introduzione dei morbi sifilitici. Il 
fatto stesso che le leggi statutarie fossero state redatte 
prevalentemente nei secoli che precedettero l’arrivo 








di Rino Cigui 


del contagio in 
Europa “ci induce 
a credere che il 
morbo sifilitico non 
fosse conosciuto 
dai compilatori 

di quelle leggi, 

e che i rigori 

delle disposizioni 
statutarie fossero 
diretti non già 

a preservare le 
popolazioni dal 
contagio sifilitico, 
ma bensì dai morbi 
venerei comuni allora conosciuti’. A Rovigno, ad 
esempio, si proibiva alle meretrici la dimora in città ed 
erano puniti i cittadini che avessero dato loro alloggio: 
esse dovevano, infatti, abitare in luoghi remoti e 
separati dalle altre abitazioni. Un’analoga prescrizione 
valeva per Pola dove “nulla meretrix publica non 
debeat nec possit habitare in aliqua vicinantia set 
expellatur de domo predicta”?. Veglia vietava il 
lenocinio (istigazione alla prostituzione) e puniva con 
multe i contravventori, che erano fustigati durante il 
passaggio dalla porta Pisana, attraverso la piazza, alla 
porta grande, mentre per il reato di sodomìa lo statuto di 
Cittanova del 1402 ordinava “che ziascheduna persona 
che cometerà el dito pechado (...) del tuto sia bruxado e 
la soa zenere dada al vento”. 

Il tenore delle disposizioni contenute negli statuti 
dell’epoca non lascia dubbi circa le reali intenzioni 

dei compilatori, che avevano certamente a cuore il 
controllo delle più comuni malattie veneree ma anche 
“lo scopo morale di limitare a confini ristrettissimi una 
piaga che abbrutisce l’individuo, e rallenta i vincoli 

di famiglia””!. Nel corso dei secoli la prostituzione 

si presentò dunque come una piaga molto estesa e 

di difficile gestione, che impegnò a fondo le autorità 
governative e sanitarie, poiché era ormai evidente che 
essa costituiva il principale veicolo di trasmissione del 
contagio. 

Per quanto riguarda invece l’eziologia e la natura 

delle malattie veneree, alla fine del XVIII secolo la 
distinzione tra le varie infezioni non era ancora del tutto 
chiarita o almeno non lo era a tutti i medici dell’epoca, 
per cui si credeva che essendo tutte della stessa natura 
e con le stesse modalità di trasmissione avessero come 
causa infettiva il “virus sifilitico”. Non tutte le malattie 
veneree dell’epoca erano, infatti, dovute al contatto 
sessuale, come dimostrò, nel 1790, la diffusione nella 
regione montana che circonda Fiume e in alcune aree 








Saggio 





di Rino Cigui 


Circondario 
della città e 
porto di Fiume 


dell’Istria (Volosca, 
Laurana, Pisino) 

di una malattia 
contagiosa denominata 
dal medico fiumano 
Giovanni Battista 
Cambieri morbo di 
Scherlievo!. Nella 
ridda d’ipotesi 

circa la natura della 
contaminazione, il dottor Cambieri intuì trattarsi di una 
particolare forma di sifilide endemica, che differenziò 
da quella più specificatamente venerea, in quanto nei 
pazienti non furono notati i segni tipici del contagio 
sessuale. 

La sifilide era comunque ben presente nella realtà 
istriana del XIX secolo. Nel 1820 a Pola e nei villaggi 
del distretto, oltre alla malaria, ‘“serpeggiavano fra la 
popolazione anche malattie venereo-sifilitiche, dono 
evidente delle guarnigioni militari e dei marinai ”’*, 
una circostanza che indusse il Capitanato circolare 

a ordinare ai commissari politici di assumere 
informazioni “onde porre i necessari ripari e 
provvedere alla guarigione degli infetti’. La 
trasformazione di Pola in sede della Marina da guerra 
austriaca non fece che incentivare le malattie sessuali 
importate in città da un gran numero di meretrici, le 
quali accorsero in gran numero attirate dalla prospettiva 
di guadagno che l’afflusso di forestieri e militari faceva 
presagire. La prostituzione, a detta dello Schiavuzzi, 
praticata su vasta scala e spesso clandestina, 
rappresentava uno scandalo per la popolazione e un 
serio pericolo per la salute pubblica!. 

Ma fu la rapida crescita demografica della città, 
associata a una sempre più larga diffusione del 
meretricio, che pose alle autorità seri problemi di natura 
sanitaria. Erano state aperte quattro case di tolleranza, le 
quali, essendo regolarmente ispezionate, offrivano una 
certa garanzia; c'erano però le cameriere delle osterie 
che praticavano la prostituzione clandestina, cui si 
sommava quella delle “ragazze vaganti nel territorio nei 
dintorni dei forti, che la gendarmeria mediante frequenti 
arresti tentava di sopprimere”’!°. Le infezioni pertanto 
non erano rare e nei primi quattro mesi del 1865, su 

una guarnigione di 5000 uomini, ben 104 furono trovati 
infetti, mentre agli inizi del XX secolo la presenza della 
sifilide nella città dell’ Arena era ancora consistente. 











Inclito Imp. Reg. 
Capitanato distrett.e 


Ottemperando 
all’assegnato incarico 
d’Esso Inclito I. 

R. Capitanato 
distrettuale, io, 

nel giorno 27 corr. 
visitava il villaggio 
di Semich, nel 
Comune locale di 
Rozzo, all’oggetto del 
denunziato sviluppo 
della sifilide. Semich 
è un piccolo villaggio di 238 persone, divise in 25 
casolari, abitati da contadini poveri dediti alla coltura 
dei pochi terreni circostanti. Direttomi a quell’Agente 
comunale, lo incaricai di condurmi in tutte quelle 
famiglie di cui avevasi sospetto di malattia, per cui 
visitava i n.i 7, 8, 10, 12, 14, 16, 20, 22, 24, nei quali 
trovai, nel complesso, colpite 13 persone di cui 7 
maschi, 4 femmine e 2 fanciulli. Al n.0 7 rinvenni 
quattro malati, due al n.0 8, ed un malato in ciascuna 
delle altre case. Forse ve’ ne sarà qualche altro ch’io 
non potei vedere giacché assenti per lavoro nella 
campagna. Abbiamo pertanto del 54.6 %o. I casi da 
me accertati mi parvero tutti di sifilide secondaria, 
parte incipiente, parte in istadio avanzato. Di gomme 
che costituiscono la terziaria non ebbi verun esempio. 
Tutti i colpiti, ad eccezione dei bambini, si ebbero 

in epoca più o meno lontana, a mostrarsi con ulceri 
ai genitali. Fra i colpiti rinvenni esempi di sifilide 
eritematosa/: roseola nera/: papulosa e papulo — 
squamosa, di osteite sifilitica con esostosi alla diafisi 
tibiale accompagnate da dolori osteocopi generali, 
specialmente durante la notte. Vi trovai i due fanciulli 
con sifilide papulo — erosiva agli angoli delle labbra. 
Di sifilide mucosa osservai l’angina eritematosa al 
palato, e la forma papulo — ulcerosa alle tonsille. 

In qualche malato osservai appannamento di voce 
accompagnata a dolori alla laringe che non potei 
esaminare per mancanza di laringoscopio, ma che 

mi diede sospetto di un’affezione specifica della 
mucosa. Scoli blenarroici non ne osservai, ed anzi 
tutti mi assicurarono di non averne mai avuti, il che 
confermerebbe la natura contagiosa dell’affezione, 
mentre si sa che i primi non lo sono punto. Anche di 
adeniti inguinali non ebbe esempio. 

Tali sono le diagnosi da me fatte, e ritengo non 









\ LA RICERCA N. 65...GIUGNO 2014 


D 
Si 


Saggio 





À 
ni 


? 


7 | 






essermi ingannato. Uno specialista potrebbe forse 
classificare le varie forme con denominazioni diverse 
a seconda dell’apprezzamento e con riguardo alle 
numerose varietà che si riscontrano e si differenziano. 
Tuttavia sta il fatto che ebbe tono di natura specifica, 
che pel decorso e pelle pregresse circostanze devonsi 
ritenere di natura sifilitica, avuto riguardo anche ai 
rapporti fra i vari malati ed alla convivenza fra loro, 
fra marito e moglie e figli. Infatti, si sa che anche 

la lue secondaria e terziaria sono contagiose, per 
cui i fanciulli erano nella possibilità di contrarre la 
malattia dalla madre. 

Tutti questi ammalati si curarono le ulceri con 
unguento mercuriale cinereo, di cui trovai fornite 
tutte le famiglie da me visitate. L’età dei colpiti è la 
seguente: 


Dalla nascita ad 1 anno......1 
Da 1 anno ai 5 anni............ 1 
Dai 5 anni ai 20 anni.......... 0 
Dai 20 anni ai 25 anni........ 1 
Dai 25 anni ai 35 anni........ 0 
Dai 35 anni ai 40 anni........ 6 
Dai 40 anni ai 45 anni........ 1 
Dai 45 anni ai 50 anni........ 1 
Dai 50 anni ai 55 anni........ 0 
Dai 55 anni ai 56 anni........ 2 

Tot. 13 


Come ben si vede, questa malattia sviluppavasi 

a Semich da un periodo lontano, e, a quanto 

venni informato, daterebbero i primi ammalati 
dall’incominciamento dei lavori della linea ferroviaria 
dell'Istria, quindi dall’anno 1875. Tuttavia, non 
devesi dimenticare che, per l’addietro, dominò pure a 
Brest la malattia, e che le comunicazioni con questo 
villaggio sono, si può dire, giornaliere. Mi fu detto che 
anche a Lanischie tale malattia si mostri in qualche 
famiglia. 

Ad eccezione delle elementari raccomandazioni fatte, 
allo scopo di limitare possibilmente il contagio, non 
trovai di prescrivere verun trattamento curativo, e ciò 
per le ragioni seguenti. Anzitutto, si sa, come questa 
affezione deggia principalmente venir combattuta coi 
mercuriali alternati all’uso del ioduro di potasssa, 
cura che non può venir lasciata in mano di rozzi 
individui i quali potrebbero averne danno parecchio, 
indi ben poco gioverebbe ove non venisse coadiuvato 
da un metodo dietetico ristorante. Indi a me 
interessava grandemente di disporne l’allontanamento 


di Rino Cigui 


di queste persone infette dal villaggio, per cui 
dichiarai loro che dovranno venir mandati allo 
spedale di Trieste, il che mi onoro proporre ad 

Esso Incl. I. R. Capitanato distrett.e, e dovranno 
venir mandati dal Comune a mezzo della ferrovia, 
raccomandando sia loro assegnato un coupè separato 
che dovrà venir successivamente disinfettato. 

Sarà pure necessario, a mio credere, tener d’occhio 
l’ulteriore stato sanitario del villaggio di Semich, 
raccomandando al Comune ed alla Gendarmeria di 
fare ulteriori rilievi, da intendersi anche a Lanischie, 
e così pure di avvertire il medico comunale di 
Pinguente ad usare la maggiore oculatezza acciò 
nella prossima vaccinazione del maggio abbia tutti 

i risguardi imposti dalla polizia sanitaria, onde 

non propagare inavvertitamente la malattia fra i 
vaccinandi e rivaccinati. Questi risguardi dovranno 
venir specificati. 


Capodistria, 30 Dicembre 1886 
I R. Medico Distrettuale I. Radanovich 


NOTE 

! Giorgio Cosmacini, L’arte lunga, storia della medicina 
dall’antichità ad oggi, Roma-Bari 1997, p. 231. 

? Guido Alfani-Alessia Melegaro, Pandemie d'Italia. Dalla peste 
nera all'influenza suina:l’impatto sulla società, Milano 2010, pp. 
78-79. 

3 Giuseppe Pigoli, / dardi di Apollo. Dalla peste all’AIDS la storia 
scritta dalle pandemie, Torino 2009, p. 100. 

4 Giovanni Scarabello, Meretrices. Storia della prostituzione a 
Venezia tra il XII e XVIII secolo, Venezia 2006, p. 52. 

5 Ivone Cacciavillani, La sanità pubblica nell’ordinamento 
veneziano, Limena 2010, pp. 35-36. 

© Ibidem, p. 48. 

? Quintilio Mirti della Valle, “Prostituzione”, Digesto Italiano, vol. 
XIX (1925), pp. 827-851. 

8 Bernardo Schiavuzzi, “Le istituzioni sanitarie istriane nei tempi 
passati”, Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e 
Storia Patria, Parenzo, Vol. VII (1892), p. 398. 

° Bernardo Benussi, Statuto del Comune di Pola, Parenzo 1911, pp. 
270-271. 

!° Luigi Parentin, “Statuti di Cittanova”, Atti e Memorie della 
Società Istriana di archeologia e storia patria (=AMSI), Venezia, 
vol. LXVI (1966), p. 195. 

!! Bernardo Schiavuzzi, “Le istituzioni sanitarie” cif., p. 398. 

!° Franjo Gruber, “Cambieri ed il morbo di Scherlievo. Inizio della 
venereologia a Fiume”, Acta Medico-Historica Adriatica, Fiume, 
vol. 5-2 (2007), pp. 223-225. Cfr. Amir Muzur-Ante Skrobonja, 
“Skrljevo Disease: Between Myth and Reality”, Croatian Medical 
Journal, Zagabria, vol. 45-2 (2004), pp. 226-229. 

13 Bernardo Schiavuzzi, Cenni storici sulle istituzioni e vicende 
sanitarie della città di Pola fino all’anno 1910, Pola 1926, p. 30. 

!4 Ibidem, p. 31. 

!5 Ibidem, p. 39. 

!6 Ibidem, p. 40. 





Saggio 





di Fulvio Colombo 


Storie di vini dell'Adriatico. 





Nuove Indagini sulle relazioni 
tra il Prosecco e il Prosek dalmata 


Uno degli ambiti delle recenti ricerche sulla storia 

del Prosecco riguarda direttamente l’area dalmata 

per la presenza nella documentazione della regione 
adriatica di citazioni riguardanti vini con nomi simili o 
addirittura coincidenti’. 

Nonostante la presenza di questi riferimenti si è sempre 
affermato, sia sul versante italiano sia su quello croato, che 
non c’è e non c’è mai stata alcuna relazione tra il Prosecco 
e il Prosek dalmata, viste le caratteristiche odierne dei due 
vini: il primo prodotto per lo più in versione spumantizzata 
da un vitigno a bacca bianca che sino a qualche anno 

fa aveva lo stesso nome (riconducibile storicamente 

senza difficoltà alla località di Prosecco, in provincia di 
Trieste), il secondo, un vino dolce con maggior contenuto 
alcolico, un vino da dessert, prodotto da uve passite 

sia a bacca bianca che nera (a seconda della località di 
produzione), ritenuto autoctono perché prodotto da tempo 
immemorabile nella regione. 

Stabilito però, sulla base delle nuove indagini, che il 
Prosecco aveva tempo addietro caratteristiche diverse”, 
sarà opportuno procedere a una verifica a tutto campo, per 
capire se le differenze odierne, sia di nome sia d’aspetto, 
trovino conferma nella documentazione storica dalmata. 
Per il Prosek la ricerca si esaurisce rapidamente, vista la 
mancanza di dati di una certa antichità? che al contrario 
sono per il Prosecco particolarmente abbondanti. Allo 
stato attuale delle conoscenze la più antica citazione 

di un vino di nome Prosecco, in Dalmazia, è relativa 
alla località di Almissa, l’odierna Omi$. Nel Viaggio in 
Dalmazia dell’abate padovano Alberto Fortis, del 1774, 
il riferimento è preciso e la corrispondenza grafica 
assoluta: “Il Territorio d’ Almissa ... Quantunque non 
sia coltivato con molta intelligenza produce squisito 
vino: e la bontà de’ fondi vince la poco buona coltura. 
Il Moscadello, e ‘1 Prosecco vecchio d’ Almissa, e 
generalmente tutto il vino, che vi si fa con diligenza 
d’uve ben mature, e riposate, merita d’aver luogo in 
qualunque banchetto.”*. Questa citazione, già piuttosto 
significativa, è confermata da una seconda del 1780 
riferita al vino di quella località: “Quello di Almissa 

è ricercato, ma molto più i liquori che distinguono 


Le due pubblicità del Prosecco di Brazza 
(BraÈ) nelle guide in tedesco e in francese 

di fine Ottocento (REINHARD E. PETERMANN, 
Illustrirter Fùrer durch Dalmatien, Wien 1899 e 
Ip., Guide en Dalmatie, Vienne - Paris 1900) 


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Spécialitàs: Vugava et Prosecco. 


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Véritable eau-de-vie de marc de raisin. 
Dépét prineipal; Bol (Brazza). 


Succursales: Sarajevo, Mostar, Nevesinje 
et Stolac. 


Exposition agricole de Vienne 1890. 
Exposition du Jubilé Vienne 1898. 








Saggio 








quel paese Moscatto, e Proccecho”5 e da una terza del 
1817: “Almissa, piccola, ma forte città. Il suo territorio 

è montuoso, e produce vini eccellenti, denominati 
prosseco”’, 

Le notizie non sono però circoscritte solo a questa 
località, perché anche a Ragusa, l’attuale Dubrovnik, più 
a sud, esisteva una variante del Prosecco, documentata 
almeno dal 1802: “I Ragusei abbondano di eccellenti 
liquori. La loro malvasia; il prosecco detto pecenno, la 
cesviniza di Stagno, il moscato di Lagosta, possono starre 
a fronte coi migliori vini di Europa”. 

Questi dati sono ora già sufficienti per definire le 
caratteristiche del prodotto dalmata: non un vino 
comune, ma usando le categorie dell’epoca, un 
“liquore”, così definito per il maggior grado alcolico e 
l’alto contenuto di zuccheri, prodotto da uve ben mature 
e ‘“riposate”: un vino, quindi, molto simile in prima 
analisi al Pro$ek attuale. 

All’epoca, però, anche il Prosecco prodotto a Trieste, 
nel goriziano e nel veneto aveva le stesse caratteristiche* 
e perciò appare più che legittimo il tentativo di stabilire 
quali possano essere gli eventuali nessi tra i due vini. 
Scorrendo la documentazione triestina, più antica di 
quella riguardante le altre aree, la soluzione potrebbe 
essere già scontata, ma volendo dare all’indagine una 
parvenza di scientificità converrà approfondire le ricerche 
per la Dalmazia per trovare nuovi punti di contatto e 
soluzioni interpretative. 

Nel 1844 il noto egittologo inglese Sir John Gardner 
Wilkinson visita la regione e qualche anno dopo nel 1848 
pubblica a Londra le memorie sul quel viaggio nell’opera 
Dalmatia and Montenegro: With a Journey to Mostar in 
Herzegovina and Remarks on the Slavonic Nations. 

Un passo dell’opera si rivela per noi piuttosto importante: 
“Dalmatia produces many wines, which are strong and 
full bodied; but most of them have the fault of being 
sweet, owing to the grapes remaining too long upon the 
vines, before they are gathered for pressing. It is from this 
that they have received the name of Prosecco”. 

L’ultima affermazione è veramente significativa: “It is 
from this that they have received the name of Prosecco” 
(è per questo che hanno ricevuto il nome di Prosecco). 
Quindi similmente a quanto noto per Trieste, dove 

questo metodo di vinificazione era l’unico elemento 
caratterizzante che distingueva il vero Prosecco dai 
tentativi d’imitazione (procedimento codificato nel proto- 
disciplinare del 1715!°), anche in Dalmazia era riferito 
non ad un vino in particolare, ma ai vini prodotti con 

uve rimaste a lungo sulla pianta (owing to the grapes 
remaining too long upon the vines) prima di essere 
raccolte e pressate (before they are gathered for pressing). 
A ulteriore conferma della funzione di “sinonimo” del 
termine “Prosecco” nella regione adriatica, la limpida 


di Fulvio Colombo 





Sir John Gardner Wilkinson (1797-1875), 
viaggiatore e padre dell’egittologia inglese 


citazione del 1878 di un giornalista e viaggiatore 
parigino, Charle Yriarte, profondo conoscitore delle 
realtà dalmate: “La Dalmatie est très-riche en vins; 

on en compte de bien des sortes, parmi lesquelles les 
Prosecco, terme général pour désigner le vins doux”?!!; 
che nell’edizione italiana del 1883 è tradotto con: “La 
Dalmazia è ricchissima di vini: se ne contano di molte 
sorta, tra le quali il prosecco, termine generale per 
designare i vini dolci”! 

Un metodo di vinificazione divenuto quindi un 
sinonimo di uso generale; particolare questo che può 
spiegare anche l’incertezza sulla denominazione dei 
prodotti enologici dalmati di metà Ottocento, come 
vedremo. Nel 1857 Franz Petter, professore al Ginnasio 
di Spalato e autore di un’accurata guida in tedesco 
della Dalmazia, al capitolo dedicato alla vite e al vino 
fa l'elenco dei prodotti della regione, citando “Der 
Prosecco oder Moscato” di Sebenico, il Prosecco 

di Brazza, quello di Lesina e di Sabbioncello, ma 
parlando di Almissa ricorda solo il “Vino Moscato, 
Marzemino und Vugava”!. Qualche anno dopo invece 
nel Wienbuch di Wilhelm Hamm si nomina, per la 
stessa località, il ’’ Prosecco oder Moscato di Rosa von 
Almissa und der Insel Crappano”, accumunando le due 
denominazioni in un unico prodotto!*. 

Dopo le incertezze iniziali di fine Settecento, circa la 
grafia, il nome del vino si stabilizza quindi in modo 





Saggio 


LA RICERCA N. 65...GIUGNO 2014 f | 





di Fulvio Colombo 


inequivocabile nella forma attuale 
“prosecco” dando luogo a una cospicua 
documentazione in italiano, tedesco, 
francese e inglese, di cui in questa sede 
non posso dare ragione. 

Significativa la presenza alla “Fiera dei 
vini”, svoltasi a Trieste nel 1888, di tre 
Prosecchi dalmati dei fratelli Sarich di 
Terstenik (Trstenik nella penisola di 
Sabbioncello-Pelje$ac), premiati con la 
“Medaglia d’argento dello Stato”, due 
dei quali classificati come “Prosecco 
fino” e l’altro come “Prosecco comune” 
accanto ai prodotti locali dallo stesso 
nome", a riprova del fatto che quei 

vini non avessero bisogno di alcuna 
caratterizzazione geografica per essere 
classificati come tali. 

Un'ultima considerazione interessante: anche in 
Dalmazia, seppure in ritardo rispetto alla prima citazione 
triestina del 182°, il vino si trasforma per adeguarsi 

alle mode del momento e alle richieste del mercato. 

Nel 1892 è citato un “prosecco spumante d’ Almissa” 
che “gode fama europea”! e l'evoluzione del prodotto 

è confermata anche nella guida in tedesco del 1899 

di Reinhard E. Petermann, l’ IMustrirter Fiirer durch 
Dalmatien, dove si cita come prodotto di eccellenza di 
Almissa il ‘“moussierende Prosecco”, ossia la versione 
spumantizzata accanto al “Moscato Rosa” che conserva 
invece inalterate le sue caratteristiche: “Allerdings 

sind die Almissaner Weine, voran der moussierende 
Prosecco, der nur in dieser Gegend gedeiht, und der 
durch angenehmen Rosengeschmack ausgezeichnete 
Moscato Rosa”!8. Notizia ripresa anche nella traduzione 
in francese del 1900 in cui il vino viene propriamente 
chiamato “Prosecco mousseux”: “le riverains préfèrent 
cultiver la vigne qui vient à merveille et qui produit 
deux excellentes espèces de vin: le Prosecco mousseux 
et le Moscato rosa, ainsi appelé à cause de son fumet 
rappelant l’odeur de la feuille de rose”?!?, 

L'assenza per l’attuale Prosek di riferimenti topografici 

a una località di origine, vista la dispersione delle 
attestazioni su di un’area molto vasta e i bizzarri tentativi 
per cercare di spiegare il significato della parola, riferita 
al vino, avvalorano l’ipotesi che si tratti, per la Dalmazia, 
di un termine d’importazione e che il legame con il 
Prosecco triestino, sulla base delle notizie sopraesposte, 
non sia assolutamente casuale. 

Com'è arrivata la moda in Dalmazia? Il riferimento 

a Venezia appare a questo punto scontato e vista la 
presenza sul mercato della città lagunare di vini di 
pregio con questo nome già nel Seicento è sicuramente 
in questa direzione che converrà rivolgere le indagini 


VIAGGIO 


DALMAZIA 


DELL 


ABATE ALBERTO FORTIS, 


120 Modò exultione, modò elurione terraruma 
diuturnitati rerum intercetit occafus, 
Macron, ia Seme, Stia, La' e to. 


Vorume SeEcoNDO. 


IN VENEZIA. 


Presso ALVISE MiLocco, ALL APOLLINE; 


MDCCLXXIVW, 








Il frontespizio del secondo 
volume del Viaggio in 
Dalmazia dell’abate Alberto 
Fortis, Venezia 1774 


future, ancora ben lontane da una 
conclusione. 

Appare quindi evidente che anche in 
Dalmazia, come a Trieste, il metodo 
di vinificazione di uve raccolte in 
ritardo desse luogo a un vino di 
nome Prosecco e che il nome sia 
sopravvissuto nel tempo a designare 
ancora oggi nella forma croata 
Prosek un uvaggio prodotto con acini 
passiti di vitigni che non si chiamano 
prosecco 0 proSek. 


NOTE 

! Fulvio CoLomBo, Prosecco perché? Le nobili origini di un vino 
triestino, Trieste 2012, pp. 113-116 e p. 128; Id., Prosecco. Patri- 
monio del Nordest, pp. 123-128. 

2 Il rimando alle due opere sopracitate è d’obbligo. 

3 ProSek. Autohtono desertno vino Primorske Hrvatske (a cura di 

Vinko Milat), Zagreb 2007 e i contributi apparsi in rete a partire 

dalla voce su Wikipedia http://hr.wikipedia.org/wiki/Prosek, 

non sempre confortati dalla visione della documentazione citata 
nel testo. 

ALBERTO Fortis, Viaggio in Dalmazia, Venezia 1774, II vol., p. 99. 

PreTRo NuTRIZIO GrISoGONO, Notizie per servire alla storia natura- 

le della Dalmazia, Treviso 1780, p. 135. 

Isacco SERRAVALLE, Compendio geografico di commercio, vol. I, 

Venezia 1817, p. 177. 

? FRANCESCO MARIA APPENDINI, Notizie istorico-critiche sulle antichità 

storia e letteratura de’ Ragusei, Ragusa 1802-1803, I vol., p. 199. 

V. Prosecco perché? e Prosecco. Patrimonio del Nordest. 

° JoHN GARDNER WILKINSON, Da/matia and Montenegro: with a jour- 
ney to Mostar in Herzegovina, Londra 1848, I vol., p. 100. 

!0 Prosecco perché, pp. 77-81 e Prosecco patrimonio del Nordest, 
pp. 83-90. 

!! CHARLE YRIARTE, Les Bords de l'Adriatique et le Monténégro : 
Venise, l'Istrie, le Quarnero, la Dalmatie, le Monténégro et la rive 
italienne, Paris 1878, p. 266. 

!? CHARLE YRIARTE, Le rive dell’Adriatico e il Montenegro, Milano 
1883, p. 245. 

!3 FRANZ PETTER, Dalmatien in seine verschiedenen beziehungen, 
Gotha 1857, vol. 1, pp. 69-70. 

4 WILHELM Hamm, Das Weinbuch. Wesen, Cultur und Wirkung des 
Weines; Statistik und Charakteristik simmtlicher Weine der Welt; 
Behandlung der Weine im Keller, Leipzig 1865, p. 153. 

!5 L’Amico dei campi, Periodico mensile di agricoltura ed orticoltura 
della Società Agraria in Trieste, XXIV (1888), 9-10, pp. 125-126 
e 138. 

!6 Prosecco patrimonio del Nordest, pp. 139-141. 

!? Giuseppe MoprIcH, La Dalmazia romana — veneta — moderna. 
Note e ricordi di viaggio, Torino-Roma 1892, p. 175. 

!8 REINHARD E. PETERMANN, //lustrirter Fiirer durch Dalmatien, Wien 
1899, p. 372. 

!° REINHARD E. PETERMANN, Guide en Dalmatie, Vienne — Paris 1900, 
p. 191. 


4 
5 


6 


8 











di David Di Paoli Paulovich 


UN'antica tradizione 


Capodistriana: la festa della 
Madonna di Semedella 


Mèta un tempo nota e cara alla devozione degli Istriani, 
sita nei sobborghi di Capodistria è la “Madona de 
Semedèla”. “Santa Maria bèla. La vien de Semedéèla!” 
recita un antico detto capodistriano, forse accostando la 
S. Vergine alla bellezza del sito, “più bello dei dintorni 
con mare, monti, colli, poggi e un praticello del mezzo, 
degno di un’ottava dell’ Ariosto”. 

La cappella campestre votiva della Beata Vergine delle 
Grazie di Semedella?, un tempo adagiata quasi in riva 
al mare ai piedi del monte S. Marco e circondata da un 
prato alberato’, era situata lungo la costa meridionale 
del Vallone di Capodistria, oltre lo specchio d’acqua 
occupato da tempo immemorabile dalle saline. Un 
poesia del 1906 di Eugenio Barison così contempla 
Semedella da Capodistria: “[...] E vedo lontan, fin 


Santuario di Semedella 


# 


Capodistria, Semedella, 


Semedela co’le tu’ dighe in mezzo “le saline infina ‘1 
molo novo de l’imbarco [...]” 

Semedella era anche frequente mèta di scampagnate e 
di bagni marini: vi si giungeva dalla zona di Porporéla 
attraverso la strada che dal 1824 congiungeva la 

città alla terraferma e correva stretta sul mare, detta 
popolarmente “e/ ponte [de Semedela]”. Oggi, 

ormai interrate le saline (dal 1929 al 1933 le opere di 
bonifica), la chiesetta appare soffocata e “sacrificata 

tra brutte costruzioni, erette sulle tombe di mille e 
mille morti, colpiti nei secoli dalle terribili pestilenze”, 
senza zona di rispetto, da una Capodistria industriosa e 
giovane, che pare ostinarsi inesorabilmente a recidere 

i legami con il suo illustre passato. Quell’atmosfera 
bucolica, da secoli sempre eguale a se stessa, tra pioppi 
e ippocastani vicini al mare, rievocata da Pier Antonio 
Quarantotti Gambini (1910-1965), che di Semedella 
prediligeva nei suoi romanzi’ l’ambiente crepuscolare 








Saggio 


LA RICERCAN. 65...GIUGNO 2014 { 





di David Di Paoli Paulovich 


e idilliaco, non c’è davvero più. Eppure, sembra ancora 
sopravviverci nelle pittoresche descrizioni che cronisti 
affascinati, anche anonimi, ci hanno lasciato, come 

la seguente: “Da quel tempo remoto, nella seconda 
domenica di Pasqua, il suono argentino della campana 
rammenta annualmente ai fedeli il voto de’ loro padri, 

di visitare in quel giorno il Santuario di Semedella. 

Fin dall’alba infatti la gente del contado e della città, 
ubbidiente allo squillo accorre annualmente nel prato 
ove siede la bianca chiesetta [...[ pochi sono tra i 

nostri concittadini che in quella occasione non passino 
il ponte per infilare la strada di Semedella. Coi primi 
crepuscoli dell’aurora, questa via, che dritta ed eguale 
solca il mare, brulica di gente: chi va, chi ritorna, chi 
porta cesti di dolci o di frutta, chi tavoli o panche, altri 
trascina un botticello di liquido che ritornerà diviso in 
recipienti ambulanti, altri tiene sotto l’anche dei crivelli 
in cui scintillano a’primi raggi solari bicchieri e boccali, 
da una cesta fa capolino un prosciutto, un lembo di 

lino sollevato dalla brezza indiscreta lascia vedere 

delle uova e del pane. [...] Qualche ora più tardi nel 
praticello adiacente alla chiesa tutto è moto e vita. La 
campana suonando festosamente a distesa si ricompensa 
del lungo silenzio: sotto la tettoia dinanzi alla chiesa 
svolazzano le fogliette dorate e le fettucce variopinte 

di parecchie ghirlande e corone, simboli di sagra: la 
gente si pigia, si urta ed onodeggia per metter capo nel 
santuario [...] se arrivi a forza di gomiti in chiesa vedrai 
lumi, fiori e drappi che l’adornano a festa, appena sul 
tetto una piccola flottiglia di triremi e di fregate corrose 
dalla polvere e dal tempo; dalle pareti pendere grucce, 
rottami di fucile, croci ed altri emblemi votivi. Al 
bisbiglio sommesso, al muover dei rosari che sfilano 

le loro pallottoline nelle mani devote fa uno strano 
contrasto il rumor giulivo del prato [...]?”?. 

Ma fatti oltremodo tragici e non di serena ed amena 
contemplazione stanno alla base della fondazione 

della Chiesetta. La terribile peste del Seicento aveva 
colpito impietosa anche l’Istria, e Capodistria non era 
stata esente dal morbo. “Il primo morto a Capodistria 
viene da taluni indicato sotto la data dell’ 11 settembre 
1630, ma non è certo. Il 20 settembre moriva in 

casa Mazzoleni Francesco Genella, e fu detto “per 
accidente”. Dieci giorni dopo moriva nella stessa casa 
la figlia del Mazzoleni, Lauretta, di malattia fortemente 
sospetta, tanto che fu sùbito ordinata la chiusura della 
casa avendosi potuto accertare che il Genella era da 
poco arrivato da Venezia, dove il morbo infuriava dal 
mese di giugno (vi avrebbe provocato in tutto 46.490 
morti). Tirate le somme, si certificava che i decessi 
furono complessivamente 1990 su 2300 persone colpite 
dal morbo, su di una popolazione di 4200 anime, vale a 
dire il 49% circa della popolazione stessa”. 





Sicché il 4 aprile 1631 il Maggior Consiglio cittadino 
di Capodistria, implorando la cessazione della peste, 
faceva voto solenne che avrebbe eretto nel Duomo 

un altare votivo in onore della Beata Vergine. Nella 
relazione del provveditore veneto Nicolò Surian del 17 
agosto 1632 leggesi: “Finalmente, dopo le continuate 
incessanti diligenze a fermare il corso al male, piacque 
al Signor Iddio et alla Beatissima Sua Madre, che 

ne seguisse la liberatione di quella città nella quale 
sono stati li morti in tal calamità per la metà et nel 

suo territorio per il terzo”. Si doveva dare esecuzione 
al voto: ma anche il marmoraro era morto e i marmi 
custoditi per l’opera erano stati impiegati in un altro 
altare. Fu così che il Maggior Consiglio, il 23 agosto 
1639 commutava il voto nell’erezione di una chiesetta 
sul camposanto di Semedella da dedicarsi alla Beata 
Vergine delle Grazie. Nicolò Carpaccio, mastro muraro 
e Pietro Isdrael, perito falegname principiarono i 
lavori con le pietre acquistate in una cava di Rovigno e 
trasportate da due barcaioli piranesi. La pala d’altare fu 
commissionata per 50 ducati al pittore veneziano Guido 
Guidotti®. La chiesetta fu consacrata il 24 aprile 1640 
(contemporaneamente alla Chiesa di S. Maria della 
Salute di Venezia), dal vescovo Pietro Morari, che dava 
pubblicazione del “breve” col quale papa Urbano VII 
concedeva per la circostanza l’ indulgenza plenaria. 

La chiesetta era adornata da molti ex voto e, come 
riscontrava Pusterla, “le grazie ottenute dai fedeli pel 
merito della Vergine, alma e Santa, sono testimoniate 
da vari doni di oggetti preziosi, da quadri, gruccie, 
archibusi ecc.”, che un tempo decoravano le pareti 
della chiesetta, l’ultimo dei quali apposto dalla famiglia 
Ceppi nel 1944. 

Nel contempo ad una processione cittadina fino al 
santuario era destinata, in perpetuo, la domenica dopo 
l’Ottava di Pasqua!° ovvero, per dirla più popolarmente, 
la seconda domenica dopo Pasqua." A Capodistria le 
numerose Confraterne vi affluivano tutte ogni anno, 
“principiando quella dei Nobili, istituita nella Chiesa 

di S. Tommaso”!?, Annota Pusterla, riferendosi a 

fine Ottocento, che “il pio pellegrinaggio viene ora 
intrapreso dalle confraterne di S. Andrea!, nella 
mattina della seconda festa di Pasqua, di S. Filippo 
Neri e della Madonna dei Serviti nelle domeniche 
seguenti”, confraternite sopravvissute alle soppressioni 
napoleoniche del 1806. Alla metà del secolo scorso vi 
si recavano ancora alcune confraternite con gli attrezzi 
processionali, ma non quelle citate da Pusterla. Così 

al mattino di ogni seconda domenica dopo Pasqua i 
capodistriani vi si recavano processionalmente!* con 

la confraternita dei SS. Biagio e Filippo, mentre al 
lunedì successivo la chiesetta vedeva processionalmente 
giungere anche la confraternita del Ss. Crocefisso 








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LA RICERCA N. 65...GIUGNO 2014 


Saggio 





dell'Ospedale! Ne dà ulteriore conferma anche un altro 
scrittore di memorie capodistriane, che scrive come 

“alla seconda festa di Pasqua (lunedì dell’ Angelo) fosse 
“la scuola di Sant Andrea che si portava a Semedella; 

alla seconda domenica di Pasqua la medesima strada 
veniva percorsa dalla confraternita di S. Biagio”!°. La 
chiesetta non era dunque regolarmente officiata se non alla 
domenica (almeno sino al 1954) e nelle predette occasioni. 
I fedeli vi si recavano a digiuno, al fine di poter 
ricevere la S. Comunione secondo le prescrizioni 
ecclesiastiche allora vigenti, ma tutti si recavano 
appresso il necessario per rifocillarsi sull’erba: i 
contadini giungevano con in ispalla il bàligo con pane 
e formaggio. Durante il percorso processionale si 
cantavano le Litanie Lauretane in un tono “marziale, 
specifico per l’occasione”, annota Gorlato!” ed ora 
perduto, dette “Litanie della Semedella”. Si cantava 
anche l’inno “Ave Maris stella”, secondo un tono 
particolare. Le funzioni vi si officiavano senza 
interruzione mentre la campana rintoccava ogni 
mezz'ora a richiamare 1 fedeli. 

Nel primo pomeriggio la gente sfollava nei campi 
circostanti: mete potevano essere il monte San Marco, 
la pineta o la valle di Copolle, con le cascatelle, mentre 
sulla via del ritorno era tradizionale una sosta breve 

al santuario della Semedella, per recitare ancora una 
prece o per porre una primula o uno viola davanti 
all’immagine. E dopo l’ultima Messa (alle ore 17) che 
seguiva il Rosario con il canto delle Litanie, il prato 
s’animava finalmente della fiera e della sagra (due 
giorni, sino al lunedì, e così almeno dal 1848). 

Infatti, alla parte religiosa s’affiancava poi quella più 
profana e conviviale: la chiamavano, infatti, anche 
“festa de Semedela”. Tanti i dolci per l'occasione 
consumati allegramente sul prato, dai bussolài alla 
“zÒnta de pàn de fighi” per i bambini!8. Agl’inizi del 
secolo scorso il quotidiano triestino // Piccolo sovente 
reca notizia della festa della Semedella, evidenziando 
come da Trieste e da Isola in migliaia vi convenissero 

i pellegrini: “A memoria d’uomo non si è vista tanta 
folla alla festa della Semedella. Circa 1000 le persone 
venute da Trieste con i vaporini e altre da Isola col 
treno. Grande il movimento delle carrozze e dei veicoli. 
Nereggiante di gente la strada di Semedella! (“// 
Piccolo”, 12.4.1902). 

Ma in cotanta festa e devozione, v'era anche chi 
approfittava disonestamente della caotica calca di folla, 
come ben ci rammenta questo trafiletto di cronaca del 
1923: “Molto animata la sagra della Semedella, ripresa 
nel 1919 dopo la parentesi della guerra. Suona la banda 
della 12* Divisione. Approfittando della ressa alcuni 
individui mettono le mani in tasche che non son loro. Il 
comandante delle guardie civiche Eugenio Brach sa il 


di David Di Paoli Paulovich 


fatto suo e arresta due individui di Trieste, addosso ai 
quali vengono trovati orologi, catenelle e portamonete 
per un valore complessivo di £ 400” (“I Piccolo”, 
14.4.1923). 

Questo lato profano della festa della Semedella 

era stato, peraltro, occasione di forte contrasto tra i 
Capodistriani e il vescovo di Trieste e Capodistria 
Matteo Raunicher, il quale nel 1837 ebbe a proibire con 
proprio decreto la celebrazione della S. Messa festiva 
in tutte le cappelle private, ovverossia nelle chiese 

non parrocchiali od oratori pubblici tenuti da religiosi: 
ricadeva quindi tra esse la chiesetta di Semedella, 
canonicamente considerata privata. Grande fu il 
fermento a Capodistria e per salvare la celebrazione 

di Semedella si mosse persino la Podestaria di Capo 
d’Istria, ma invano. Il vescovo il 17 aprile 1840 
ribadiva il suo diniego con inusuale fermezza: “consta 
inoltre che il convegno in tale giornata è più una festa 
baccanale, che una divozione, specialmente al dopo 
pranzo, in cui l’intera Città si diffonde pelle campagne 
a merendare”. In effetti, una testimonianza conforta 
l’impressione di mons. Raunicher: “Durante l’anno 
quivi lunghi e solenni silenzi; i ranocchi ed i rospi 
mugulano nei vicini acquitrini; i passeri cantano i 
vesperi sotto alla tettoia dinanzi alla Chiesa, e i buoni 
popolani istigando col solito ritornello il somaro, 
passano vicino al Santuario e si levano il berretto, 
mormorando una prece. In quel giorno invece tutto 

è vita e festa intorno alla Chiesa, nel prato e sui colli 
vicini. Sotto alla tettoia e intorno al Santuario il luogo 
è gremito di venditori di ciambelle, croci, medaglie, 

di cantastorie, di poveri, di zoppi e di ciechi. In mezzo 
al prato s° alza una baracca ad uso osteria, con dinanzi, 
intorno e su per le colline le allegre frotte dei cittadini, 
quali sdraiati mollemente sull’erba all’ombra d’un 
olivo, quali seduti su rustiche panche dinanzi ad una 
rozza tavola: dovunque ceste ripiene d’ongi ben di 
Dio, bicchieri di vermiglio refosco, prosciutti. Nuove 
compagnie vengono per mare e scendono dalle leggere 
barchette; altre più lontane con la vela spiegata dirigono 
alla volta del Santuario la prora; grida festevoli, evviva, 
liete canzoni dala via e dal mare”?!. 

Ma la tradizione era dura a morire. Dopo la morte 

del vescovo Matteo Raunicher il di lui successore 
Bartolomeo Legat, di miti propositi, lasciò libertà ai 
fedeli di ritornare alla pia pratica dì tenere la festa della 
dedicazione nel Santuario dì Semedella, nella Domenica 
dopo l’ottava di Pasqua. E così ebbero origine i due 
giorni di sagra, che dal 1848 in poi vennero osservati, 
fino alla epoca dell’esodo dall’Istria. Dopo il 1954, la 
tradizione del pellegrinaggio votivo, rinnovata poi dai 
capodistriani esuli fu riproposta come pellegrinaggio 
annuale in un diverso santuario mariano italiano. 











Incominciano così le “Semedelle in esilio” da parte 

dei capodistriani che avevano abbandonata la città. 
Ogni anno, per la seconda domenica dopo Pasqua, le 
comunità dei capodistriani profughi, quella residente a 
Roma e quella di Trieste, si riuniscono nelle due località 
quasi in un ponte ideale, per festeggiare un’unica 
tradizione, quella della Semedella. Un pellegrinaggio 

in diverso santuario fu poi organizzato dalle comunità 
degli esuli ogni anno a partire dagli anni Cinquanta. La 
tradizione della Semedella fu ripresa a Trieste dopo il 
1945 e fino al 1951, il rito fu celebrato nella chiesa di S. 
Maria Maggiore e in altre chiese dedicate alla Madonna. 
Nello stesso anno il comitato dei capodistriani, su 
suggerimento del parroco di Capodistria mons. Giorgio 
Bruni, decise di organizzare ogni anno, per la festa della 
Semedella un pellegrinaggio ad un santuario d’Italia. 


NOTE 

1 E. ROSAMANI, “Feste religiose nella Venezia Giulia”, in La Porta 
Orientale, n. 1 — 2, gennaio — febbraio 1950, Trieste, p. 6 

2 Da sèmeda o sèmida (istrov.) ossia viòttola, sentiero campestre, a 
sua volta dal latino “sèmita”; poi semidéla. 

3. “I pioppi del prato, giù presso il mare, intorno alla chiesetta della 
Madonna di Semedella, erano ingialliti, e ora perdevano le ultime 
foglie; cominciarono ad alzarsi le prime bore” (Pier Antonio 
Quarantotti Gambini). 

4 Vi fu sepolto nel 1810 anche l’ultimo vescovo di Capodistria, 
Bonifacio da Ponte. Il camposanto fu usato fino al 1811. 


5 Capodistria. Immagini e ricordi, Circolo ACLI “Capodistria”, 1958. 


do — 


Dopo le funzioni religiose s'animava la sagra 
chiamata /a festa de Semedela 


6 La rosa rossa, La traversata (ne “La corsa di Falco”, edito postumo 
nel 1969), Le saline, La lettera. 

7 A.A. “La sagra di Semedella”, in La Nuova Voce Giuliana. 
1.5.2010, Trieste, p .4. 

8 A. CHERINI, La Peste di Capodistria e il Santuario di Semedella 
(1630 — 1631). 

9 Nel 1855 la chiesetta fu ristrutturata in pianta a croce latina e fu 
ingrandita con la costruzione di due cappellette e del presbiterio. AI 
pittore Bortolo Gianelli fu commissionata una nuova pala d'altare. 

!0 Nel calendario liturgico del rito tridentino ora straordinario. 

!! abbinata ad una processione alla chiesa di San Francesco dei 
Minori Conventuali nella ricorrenza dell’Immacolata Concezione 
sino al 1806, data della sconsacrazione di detta chiesa insieme con la 
soppressione del convento. 

!? G. PUSTERLA, // Santuario della B.V. delle Grazie di 
Semedella, Capodistria, 1886, p. 10. 

!8 Formata dai pescatori del rione di Bossedraga. 

14 Il percorso processionale fu facilitato nel 1827 dalla costruzione 
della strada diretta, che si dipartiva dal molo della Porporella e 
terminava proprio in corrispondenza del prato alberato. 

! Per Ricciotti Giollo, invece, “la prima domenica di maggio era 
la confraternita del SS. Crocefisso a rinnovare il pellegrinaggio al 
santuario di Semedella”. 

!6 R. GIOLLO, San Nazario Protovescovo e Patrono di Capodistria, 
Trieste, 1969, p. 85. 

17 A. GORLATO, L Istria e Venezia. Paesaggio — Storia — 
Folclore, Venezia, 1983, p. 235. 

!8 “La devozione dei capodistriani per la festa della Semedella” in 
L'Osservatore Adriatico, n. 24, Trieste, maggio 2003. 

!° P. TEDESCHI, Tra filo e filo, s.d. 





Notiziario 








La Ricerca 


Il 26 febbraio 2014, presso il CRS, Nicolò Sponza e 
Orietta Moscarda Oblak hanno presentato in conferenza 
stampa il 64° numero del bollettino La Ricerca. Quattro i 
saggi presenti nella pubblicazione: // protomedico della 
Provincia dell'Istria Ignazio Lotti e l'ispezione sanitaria 
del 1778 di Rino Cigui; Tommaseo e la sfida della doppia 
lingua di Dario Saftich; Letteratura del Vin de rosa di 


PRESENTAZIONI 


Dignano di Paola Delton; Alle origini dello sport femminile 
nei territori della Serenissima e dintorni : un viaggio da 
Brescia ad Abbazia di Alberto Zanetti Lorenzetti. 

In più, nel bollettino troviamo il notiziario di tutte le 
attività svolte dal Centro di ricerche storiche, le ultime 
acquisizioni della biblioteca, le partecipazioni a convegni 
e seminari e le donazioni al nostro Istituto. 


L'Istria e | conti di Gorizia 


Il 15 aprile 2014, presso l’Istituto 
Italiano di Cultura di Lubiana è 
stato presentato il 36° volume della 
Collana degli Atti / Conti di Gorizia 

e l’Istria nel Medioevo di Peter Stih, 
docente di storia presso l’Università 
di Lubiana. L'evento è stato 
organizzato dall’Ambasciata d’Italia, 
dall'Istituto Italiano di Cultura, 

dal Centro di ricerche storiche di 
Rovigno, dall'Unione Italiana e 
dall’Università Popolare di Trieste, 
con il patrocinio del comune di 
Gorizia. A condurre la presentazione 
è stato il vicedirettore del CRS, 


Marino Budicin. Nelle 250 pagine 
del volume, Peter Stih, delinea 

un particolareggiato ritratto della 
casata nobiliare che per secoli è 
stata tra i principali protagonisti della 
storia delle nostre terre: una realtà 
importante, che spaziava dalle Alpi 
all’Istria e che ha costituito a lungo 
un interlocutore privilegiato tanto per 
l'Impero germanico quanto per la 
Serenissima. 

Secondo Fulvio Salimbeni, storico 
dell’Università degli Studi di Udine, 

il volume è uno strumento utile 

a comprendere come le Alpi nel 





medioevo fossero un canale di 
congiunzione e comunicazione fra 
diverse realtà e non una linea di 
divisione, come spesso sostenuto 
dalla storiografia nazionale. A tal 
proposito il direttore del CRS, 
Giovanni Radossi, ha voluto 
ribadire che la pubblicazione, 
come del resto tutto il lavoro 
portato avanti dal Centro di 
ricerche storiche, rappresenti 

un contributo “nell’ambito della 
storiografia regionale, nazionale e 
internazionale”, un ponte tra Italia, 
Slovenia e Croazia. 





Notiziario 


LA RICERCA N. 65...GIUGNO 2 a: 





Lachi e Lacuzzi dell’Aloonese 


PRESENTAZIONI 





e della valle d'Arsa, raccolte 
d'acqua presenti ed estinte 


Il 9 maggio 2014, è stato 
presentato presso la Biblioteca 
Civica di Albona l’ottavo volume 
dell’Extra serie della Collana degli 
Atti Lachi e Lacuzzi dell’Albonese e 
della Valle d’Arsa. Raccolte d'acqua 
presenti ed estinte di Claudio 
Pericin con la collaborazione di 
Bruno Faraguna. 

Accanto alla moderatrice della 
serata, Daniela Mohorovié, 
presidente della locale Comunità 
degli Italiani, alla cerimonia sono 
intervenuti: il coro della Comunità 
di Albona, Maurizio Tremul, 
presidente della Giunta esecutiva 
dell’UI, Fabrizio Somma, presidente 
dell’Università Popolare di Trieste 

e Marino Budicin, vicedirettore del 
CRS. Il volume è stato presentato 
da Pier Luigi Nimis, professore di 
botanica presso il Dipartimento di 
Scienze della vita dell’Università di 
Trieste; l’autore, dal canto suo, ha 
voluto condividere con il pubblico 
il vissuto dei due anni e mezzo di 
lavoro occorsi per documentare 


il patrimonio idrico e ambientale 
dell’albonese. La pubblicazione, 
528 pagine, presenta oltre 600 


raccolte d’acqua, ripartite in laghi, 


laghetti, sorgenti, fonti e pozzi. 
L'imponente documentazione 





fotografica oltre a illustrare lo 
stato di conservazione della 
biodiversità del territorio, ci svela 
scorci di un mondo rurale che sta 
scomparendo: paesaggi, case e 
chiesette in rovina. 





19 





[rase 


(>) 






Notiziario 








27 ALY XLII 





Il 6 giugno 2014, presso Castel Bembo, sede della 
Comunità degli Italiani di Valle, si è svolta la cerimonia 
di presentazione del XLIII volume degli Atti. All'incontro 
promosso dall’UPT, dall’UI e dal CRS hanno aderito 
numerosi studiosi e i massimi esponenti degli 
organizzatori. 

A fare gli onori di casa è stata la presidente della 
locale Comunità degli Italiani, Rosanna Bernò, e il 
coro della Comunità di Dignano, diretto da Orietta 
$verko. Il direttore del CRS, Giovanni Radossi, ha 
letto l’allocuzione ufficiale mentre Fulvio Salimbeni, 
dell’Università degli Studi di Udine e membro del 
comitato di redazione della Collana, ha presentato la 
pubblicazione. 

Tra le Memorie figurano i saggi di: T. Sadrié, Scoperta 
di tumuli dell’età del bronzo nei dintorni di Geroldia 
(Gradina presso Orsera); M. Marakovic, Le pitture 
murali di S. Gerolamo, alcune nuove proposte 
d'interpretazione; J. - P. Batelja, La Madonna della 
Misericordia in Istria; E. StipCevic, // compositore e le 
sue scelte poetiche: il caso di Fra Gabriello Puliti e i 
suoi poeti istriani; R. Cigui, /l complesso rapporto tra 
la città e i suoi rifiuti: l’igiene pubblica a Capodistria 
nei secoli XVIII e XIX; E. Ivetic, Sulla frontiera del Turco 
nella Dalmazia Veneta; G. De Angelini, // canonicato 


WI} PRESENTAZIONI 





Angelini, nella storia di Rovigno; M. Budicin, / tentativi 
di vendita e di restauro di fine secolo XVIII del Palazzo 
pretorio grisignanese. Contributo alla conoscenza degli 
ultimi anni di vita della “terra” di Grisignana; D. Visintin, 
L'economia agricola istriana nei secoli XVIII e XIX. II 
lungo cammino verso la modernizzazione; R. Marsetiè, 
Le strutture ospedaliere comunali e provinciali a Pola 
durante il governo austriaco; G. Radossi, La questione 
del cimitero di Rovigno. Vicissitudini del trasferimento 
da Monte alle Laste; P. Delton, Contributo per una storia 
dei calighèri di Dignano in Istria; D. Di Paoli Paulovich, 
Aspetti culturali della festa di Sant'Eufemia a Rovigno 
d'Istria: la devozione alla Santa tra rito, musica e folclore. 
Tra le Fonti e documenti figurano i saggi di: G. Rapelli, 
Appunti etimologici sul toponimo Zadar; 

M. Drandi6, / registri parrocchiali di Gallesano: analisi 
del più antico manoscritto (parte prima); S. Berto$a, 
Alcuni catastici dei boschi istriani del XVIII secolo; T. 
Vorano, // carteggio Luciani-Millevoi; C. Pericin, La 
capra in Istria tra miti, tradizioni e ordinanze; F. Delise, 
Alcuni documenti sulla pesca dell’isola di Lesina sotto 
il governo austro-ungarico e durante l’amministrazione 
italiana; M. Bonifacio, Dodici cognomi istriani, 
quarnerini e dalmati; S. Cergna, La tradizione 
paremiologica di Valle d'Istria. 


Derczio riale io 


D. M. De Canedolo (Trieste); CI (Laurana); S. Rossit (Trieste); UI (Fiume); U. e G. Senin (Perugia); 
T. Tomaié (Pola); SMSI (Fiume); Gruppo scout (Duino); S. Garbin (Rovigno); N. Milia (Cagliari); 

F. Suran (Rovigno); M. Budicin (Rovigno); W. Klinger (Gradisca d’Isonzo); UPT (Trieste); G. 
Manzin (Dignano); O. De Crivis (Novara); CI (Albona); G. Tessari (Thiene); G. Abrami (Umago); 

CI (Isola); F. Dapas (Padova); Museo archeologico (Pola); V. Stella (Udine); A. Salvi (Rovigno); CI 
(Lussinpiccolo); K. Brajnovié (Rovigno); T. e R. Simoni (Firenze); A. Salvi (Rovigno); R. Morghen 


(Riva del Garda). 





Notiziario 


LA RICERCA N. 65... GIUGNO 2014 /RÎL 





Notizie e visite al C.R.S. 


Il 23 gennaio 2014, una ventina di alunni della Il classe 
della Scuola elementare “Vladimir Nazor” di Rovigno, 
accompagnati dagli insegnanti Jadranka TanCev 

e Dolores Jasarevié, hanno fatto visita al CRS; ad 
accoglierli è stato Nicolò Sponza. 

Il 21 febbraio 2014, è stata convocata la seduta del 
Consiglio d’Amministrazione del CRS; presenti: |. 
Rocchi, M. Budicin, K. Knez, N. Lazari6; all'ordine del 
giorno: nomina del direttore del CRS; informazione 

in merito alla registrazione dello Statuto del CRS e 
situazione sulla sua attuazione; varie. Il professore 
Giovanni Radossi è stato riconfermato direttore del 
Centro nel nuovo mandato 2014/2018. 

Il 28 febbraio 2014, una quindicina di alunni della 
terza classe della scuola elementare “Vladimir Nazor”, 
guidati dall'insegnante Daniela Uroié Hrvatin, hanno 
fatto visita al Centro di ricerche storiche; sono stati 
intrattenuti da Nicolò Sponza. 

Il 4 marzo 2014, Angelo Izzo, responsabile dell’Istituto 
Italiano di Cultura di Lubiana, è stato in visita al CRS, 
accompagnato dal presidente della Giunta esecutiva 
dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul e dal presidente 
dell’Università Popolare di Trieste, Fabrizio Somma. 





SERI 


L’8 marzo 2014, il Ministro della salute italiano Beatrice 
Lorenzin, accompagnata dall’Ambasciatore Emanuele 
D’Alessandro, dal Console generale d’Italia Renato 
Cianfarani, dal presidente della Giunta esecutiva 
dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul, dal presidente 
dell’Unione Italiana Furio Radin e dalla vicepresidente 
della Regione Istriana, Giuseppina Rajko, è stata in 
visita al CRS; a ricevere i graditi ospiti sono stati il 
direttore del Centro, Giovanni Radossi, il vicedirettore 
nonché vicesindaco e vicepresidente della Comunità 
degli Italiani di Rovigno, Marino Budicin, il membro 
della Giunta esecutiva dell’UI, Daniele Suman, il 
presidente del Comites, Virgilio Giuricin e gli operatori 
del CRS. Gli ospiti sono stati intrattenuti da Giovanni 
Radossi, il quale ha presentato i momenti salienti che 
hanno caratterizzato l’attività del Centro. Il Ministro 

è stato omaggiato con alcune delle più importanti 
pubblicazioni edite dal CRS. 








Il 2 aprile 2014, un gruppo di studenti della Scuola 
Media Superiore Italiana “Leonardo da Vinci” di Buie ha 
fatto visita al Centro di ricerche storiche; accompagnati 
dai professori Marina Paoletié, Erika Sportié e Silvano 
Kalagac. Sono stati intrattenuti da Nicolò Sponza. 





Il 2 aprile 2014, visita al CRS, di tre docenti tedeschi 
della “Berufskolleg des Kreises” della città di Olpe e 
di due docenti svedesi della Scuola media superiore 
di Gallivare, in Lapponia, accompagnati dalla 
professoressa Silvana Turcinovich Petercol della 
Scuola Media Superiore Italiana di Rovigno; sono stati 
intrattenuti da Nicolò Sponza. 





Il 5 aprile 2014, visita di una trentina di attivisti della 
Comunità degli Italiani di Matterada, accompagnati da 
Gianfranco Abrami; sono stati accolti da Nicolò Sponza. 


Il 10 aprile 2014, il 
cantautore Simone 
Cristicchi, ha fatto 
visita al CRS. L'ospite 
è stato accolto dal 
direttore dell'Istituto 
Giovanni Radossi, 

il quale ha illustrato 
la storia e l’attività 
del CRS; inoltre 
Cristicchi è stato 
omaggiato con 
alcune pubblicazioni 
del CRS. 


Do 
i 





0) 


Notiziario 








Il 29 aprile 2014, presso l’Università degli studi di 

Pola Yuraj Dobrila” — Dipartimento di musica, è stato 
presentato il manifesto 760° anniversario della nascita del 
compositore Antonio Smareglia; presente Raul Marsetiù. 





Il 3 maggio 2014, visita di cortesia di un gruppo di 
soci del Lions Club Mestre Host, accompagnati dal 
segretario Giampaolo Rallo e dal presidente Federico 
Lisiola; sono stati ricevuti dal direttore Giovanni 
Radossi, il quale li ha intrattenuti su argomenti relativi 
all'attività del Centro quale istituto di ricerca della 
comunità nazionale italiana di Croazia e Slovenia. 

Il 5 maggio 2014, presso il Museo di storia e marineria 
di Pola, è stato presentato il catalogo Con /a penna e 
con i pugni, 150 anni della Dieta Provinciale Istriana. 
Presenti Raul Marsetiò e Rino Cigui. 





Ò 


L’8 maggio 2014, 33 studenti liguri vincitori del 
concorso // sacrificio degli italiani della Venezia Giulia 

e della Dalmazia: mantenere la memoria, rispettare la 
verità, impegnarsi per garantire i diritti dei popoli, hanno 
fatto visita al CRS. Ad accompagnarli durante la visita 

è stato il direttore Giovanni Radossi. | ragazzi sono 





rimasti particolarmente affascinati dalla collezione di 
carte geografiche custodite presso il CRS. 

Il 10 maggio 2014, visita di lavoro di Fulvio Salimbeni, 
docente di storia presso l’Università degli Studi di 
Udine e segretario generale dell'Istituto per gli Incontri 
Culturali Mitteleuropei di Gorizia, il quale ha proposto 
al direttore, Giovanni Radossi, che il Centro partecipi 
al progetto di stesura del primo manuale condiviso 
sulla Prima Guerra Mondiale, opera che vedrebbe la 
partecipazione di numerosi studiosi oggi residenti nelle 
nazioni in cui si consumò il conflitto. 





- 2 
Il 15 maggio 2014, hanno fatto visita al CRS venti 
alunni della III classe del Liceo “Blaise Pascal” di 
Pomezia; accompagnati da Donatella Schurzel, 
presidente del Comitato provinciale dell’ANVGD di 
Roma, sono stati intrattenuti dal direttore del CRS, 
Giovanni Radossi. 

Dal 15 - 18 maggio 2014, si è tenuto a Pola il 58° 
Raduno nazionale degli esuli da Pola; vi hanno 
partecipato Giovanni Radossi e Nicolò Sponza. 

Dal 20 maggio al 20 giugno 2014, un gruppo di 
studenti dell’Università del Wisconsin di Madison, 
guidati da Tomislav Longinovié, docente di Slavistica 
e Letteratura Comparata presso l'omonima Università, 
hanno seguito presso il CRS un loro seminario; sono 
stati ricevuti da Nicolò Sponza. 

Il 2 giugno 2014, visita di cortesia al CRS di Enzo 
Maiorca in occasione della 15° edizione del corso di 
apnea che ogni anno viene organizzato a Rovigno 
dall’Apnea Academy di Umberto Pelizzari e Renzo 
Mazzeri; a riceverlo Marino Budicin, il quale ha illustrato 
al gradito ospite la ricca collezione di carte nautiche 
custodite presso il CRS. 





Partecipazione del ricercatori a 
CONnvegni e seminari 


Il 6 febbraio 2014, presso il Museo della Liberazione 

di Maribor, William Klinger, ricercatore del CRS, ha 
presentato il volume Tito: NeispriCane price (Tito: le storie 
non raccontate) di cui è autore assieme a Denis Kuljis. 

Il 14 marzo 2014, a Gorizia presso la Libreria Editrice 
Goriziana, William Klinger ha presentato il libro Le 
guerre della Jugoslavia. 1991-1999 di Alastair Finland 
(LEG, 2014). 


Il 10 aprile 2014, Rino Cigui, ricercatore CRS, ha 
tenuto presso la Comunità degli Italiani “Fulvio 
Tomizza” di Umago, una conferenza sulla sanità in 
Istria dal titolo Endemie, epidemie e pandemie in Istria 
tra il Medioevo e l’Età contemporanea. 

Il 17 maggio 2014, a Pola, in occasione del 58° 
Raduno nazionale degli Esuli da Pola, William Klinger 
ha presentato La strage di Vergarolla: fonti jugoslave, 





Notiziario - Nuovi Arrivi in Biblioteca 


LA RICERCAN. 65...GIUGNO 2014 / É 





pubblicazione edita dal Libero Comune di Pola in 


Esilio. 


Il 24 maggio 2014, a Trieste presso il Civico Museo 
di Storia Naturale, in occasione della manifestazione 
Scienze Bite - In preda alla Scienza, William Klinger ha 
presentato Caccia allo squalo bianco nell'Adriatico - 


giganti estinti o dimenticati? 


Il 25 maggio 2014, a Gorizia, in occasione del festival 
internazionale “èStoria”, William Klinger ha coordinato 
la sessione Sarajevo, 28 giugno 1914; sono intervenuti 
Alma Hannig, David James Smith, Vera VujCié. 

Il 29 maggio 2014, a Trieste, nella Sala 
dell’Associazione delle Comunità istriane, si è tenuta 
la Conferenza internazionale a cent'anni dalla Grande 


Guerra Trieste italiana al centro dell'Europa organizzata 





dalla Lega Nazionale; vi ha partecipato William Klinger. 


Il 14 giugno 2014, in occasione della celebrazione 
della Giornata del Comune di Fasana, si è tenuto 

l'VIII colloquio fasanese Fasana attraverso i secoli. Ha 
partecipato all'incontro Raul Marsetiè, con la relazione 


L’importanza militare del Canale di Fasana nel periodo 


austriaco e italiano. 

Il 17 giugno 2014, a Zagabria, William Klinger assieme 
a Tonko Maroevié e Dragutin Roksandié, ha partecipato 
alla trasmissione radiofonica del Terzo programma 
croato Tribina treceg programa (La tribuna del terzo 
programma); tema della puntata 7914. - godina koja se 
vraca (1914 - l’anno che ritorna). 


Nuovi Arrivi IN Biblioteca 


ALBO d’oro : Gallisanum. - Trieste : 
Associazione Fameia Gallesanese, s.a. - 93 
pp. : ill. ; 17 cm. 

BARBANSKI zapisi : Zbornik radova 
znanstvenog skupa “Barban i BarbanStina 
od prapovijesti do danas - 2. Memorijal 
Petra Stankovica “Barban u srcu”. - Piéan 

: Libar 2013. - ill. ; 24 cm. - Vol.1 pp. 279; 
Vol.2 pp. 265 

BARTOLINI, Stefano - CONTI, Davide 
- Di SANTE, Costantino / Italiani in 
Jugoslavia : Occupazione dei Balcani e 
razzismo “antislavo” / a cura di Silvia 
Boffelli. - S.1. : ATì Editore, 2013. - 99 pp. : 
ill. ;21 cm. 

BAXA, Carlo. - Il cavallo : Manuale 
pratico per l’allevatore. - Pola : Stab. tipo- 
lit. Boccasini & Co., 1908. - 56 pp. : ill. ; 
18 cm. 

BELLOCCHI, Luca. - All’ombra 

de’ cipressi e dentro l’urne : Cimiteri 
storici di Trieste e del litorale istriano. - 
Padova-Trieste : Simone Volpato Studio 
Bibliografico, 2014. - 127 pp. : ill. ; 18 cm. 
BENUSSI, Libero. - Vocabolario italiano- 
rovignese e appendici del vocabolario del 
dialetto di Rovigno d’Istria 1992-2013. 

- Rovigno : Comunità degli Italiani “Pino 
Budicin”, 2014. - 463 pp. : ill. ; 24 cm. 
BERNARDINI, Daniela - PUCCINI, 
Luigi. - Julka, ti racconto : Il dramma dei 
confini orientali, le foibe, l’esodo. - Pisa : 
Edizioni ETS, 2013. - 95 pp. : ill. ; 21 cm. 
BOZANIC, Anton. - Sveéenici i Zupe na 
podruèju Kréke biskupije od 1900. godine 
do danas. - Krk : Biskupija Krk, 2012. - 319 
pp. : ill. ; 23 cm. 

BURRA, Aleksandro - DEBELJUH, 
Andrea. - L’italiano nelle aree di confine : 
Analisi e proposte per la sua rivitalizzazione 
= Italijansèina na obmejnem obmoèju : 
Analiza in predlogi za njeno oZivitev. - 
Capodistria = Koper : Centro Italiano = 


Italijansko sredisèe Carlo Combi, 2013. - 
202 pp. : ill. ; 28 cm. 

CACE, Carla Isabella Elena. - Foibe ed 
esodo l’Italia negata : La tragedia giuliano- 
dalmata a dieci anni dall’istituzione del 
“Giorno del Ricordo”. - Roma : I libri del 
Borghese, 2014. - 188 pp. : ill.; 21 cm. 
CETNAROWICZ, Antoni. - Narodni 
preporod u Istri (1860-1907). - Zagreb : 


Srednja Europa, 2014. - 262 pp. : ill. ; 24 cm. 


CHILDREN'S voices : Interethnic 
Violence in the School Environment / a 
cura di Zorana Medarié - Mateja Sedmak. 
- Koper : Univerzitetna zaloZba Annales, 
2012. - 262 pp. : ill. ; 24 cm. 
CRISTICCHI, Simone - BERNAS, 
Jan. - Magazzino 18 : Storie di italiani 
esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia / a cura 
di Simona Orlando. - Milano : Mondadori, 
2014. - 156 pp. : ill. ;21 cm. 

CUCUT, Carlo. - Alpini nella città di 
Fiume 1944-1945 : 1 Compagnia Alpina 
XVI Battaglione Difesa Costiera “Julia”. 
- Voghera (PV) : Marvia Edizioni, 2012. - 
127 pp. : ill.; 24 cm. 

DATO, Gaetano. - Vergarolla 18 agosto 
1946 : Gli enigmi di una strage tra conflitto 
mondiale e Guerra Fredda. - Gorizia : LEG, 
2014. - 266 pp. : ill. ; 21 cm. 
DEMARIN, Mate. - Hrvatsko 3kolstvo 
u Istri izmedu dva svjetska rata. - Sisak : 
Jedinstvo, 1972. - 223 pp. ; 24 cm. 
DOSEN, Ana. - Istarska uGiteljica : 
Uspomene iz Zone B. - Zagreb : Naklada 
Pavicié, 2014. - 253 pp. : ill. ; 20 cm. 
FERGUSON, Niall. - Il grido dei morti 

: La prima guerra mondiale: il più atroce 
conflitto di ogni tempo. - Milano : 
Mondadori, 2014. - 590 pp. : ill. ; 24 cm. 
FINLAN, Alastair. - Le guerre della 
Jugoslavia 1991-1999. - Gorizia : LEG, 
2014. - 141 pp. : ill. ;24 cm. 


FONTANA, Giuseppe Francesco. - 
Risposta all’opuscolo di Niccolò Tommaseo 
“Il Monzambano e Sebenico”. - Firenze : 
Tipografia di G. Barbera, 1869. - 44 pp. ; 25 
cm. 

FORCELLA, Enzo - MONTICONE, 
Alberto. - Plotone di esecuzione : I processi 
della prima guerra mondiale. - Roma-Bari : 
Editori Laterza, 2014. - 330 pp.;21 cm. 
FORTIS, Alberto. - Saggio d’osservazioni 
sopra l’isola di Cherso ed Osero. - Venezia : 
Gaspare Storti, 1771. - 169 pp. : ill. ; 26 cm. 
FRATTOLILLO, Angela. - L’identità 
italiana nella Trieste asburgica. - Fano : 
Sonciniana, 2013. - 149 pp. : ill. ; 21 cm. 
FRIEDERIKE, Alfred - 
GOLFDSCHMID, Ulrike. - Istrien : Fine 
Liebeserklirung an das Land seine Menschen 
und seine Kultur. - Salzburg-Wien : Edition 
Tandem, 2013. - 315 pp. : ill. ; 25 cm. 
GENTILE, Emilio. - Due colpi di pistola, 
dieci milioni di morti la fine di un mondo 

: Storia illustrata della Grande Guerra. - 
Roma-Bari : Editori Laterza, 2014. - 227 pp. 
:1ll.;21 cm. 

GENTILI, Giulio. - Una testimonianza 

di tempi non sospetti sull’uso della lingua 
italiana a Fiume. - Bologna : L’ Autore, 
2004. - 21 pp. : ill. ; 30 cm. - (Dattiloscritto) 
GODINA (100) Stadiona Kantrida. - Rijeka 
: Adamié, 2013. - 207 pp. : ill. ; 22 cm. 
GROSSUTTI, P. Javier. - Via dall’Istria : 
L'emigrazione istriana dalla seconda metà 
dell’Ottocento ai primi anni Quaranta del 
Novecento. - Trieste-Fiume : UPT-UI, 2013. 
-271 pp. :1ll.;24cm. 

GULLINO, Federica. - Quando la maestra 
insegnava “T come Trst” : Propaganda e 
scuola anti-italiana nella Trieste jugoslava. 

- Milano : FrancoAngeli, 2011. - 109 pp. ; 

23 cm. 

TANNUZZI, Giuliana. - Sotto il cielo di 
Trieste : Fortuna critica e bibliografica di 


A 
3 








LA RICERCA N. 65...GIUGNO 2014 


Nuovi Arrivi in Biblioteca 





] "Pier Antonio Quarantotti Gambini. - Milano 


: Biblion Edizioni, 2013. - 181 pp. : ill. ; 21 
cm. 

ISTRUZIONI per gli speziali della 
Dalmazia. - Zara : Coi tipi dei fratelli 
Battara, 1835. - 40 pp.; 21 cm. 
IVANKOVIÙC, Ante. - Nazivi naselja 
Splitsko-dalmatinske Zupanije. - Split : 
Matica hrvatska-Majumi, 2009. - 446 pp. : 
ill. ;25 cm. 

IZVORIMA (Na) Istarskog vodovoda = 
Alle fonti dell’ Acquedotto istriano / a cura di 
Dean Krmac. - Pula = Pola : Istarska kulturna 
agencija = Agenzia culturale istriana, 2013. - 
133 pp. : ill. ;23 cm. 

JUNG, Peter. - L'esercito austro-ungarico 
nella Prima guerra mondiale. - Gorizia : 
LEG, 2014. - 170 pp. : ill. ; 24 cm. 
KLINGER, William. - Teror narodu : 
Povijest OZNE Titove polititke policije. - 
Zagreb : Veternji list, 2014. - 171 pp. ; 20 
cm. 

LAMUT, Mitja. - Parobrodi Jadrana na 
razglednicama. - Zagreb : V.B.Z., 2013. - 288 
pp. : ill. ; 26 cm. 

MALATESTA, Leonardo. - D’ Annunzio 

e i suo legionari : Il tenente Eugenio Maria 
Poletti e i rapporti fra Legionari e militari 
regolari durante l’impresa di Fiume. - Trento 
: Reverdito, 2013. - 399 pp. : ill. ; 24 cm. 
MANNINO, Biagio. - Sono andato via 

: La giornata del ricordo. Aspetti fisici e 
psicologici del confine orientale. - Trieste 

: Circolo di Cultura Istro-Veneta “Istria”, 
2013. - 143 pp. : ill. ; 24 cm. 

MANZIN, Gregoria. - Torn identities : Life 
stories at the border of italian literature. - 
Leicester : Troubador Publishing Ltd, 2013. 
- 308 pp. : ill. ; 23 cm. 

MARCHIORI, Antonio. - Oltre la costa: 
centuriazione e insediamento nell’Istria 
romana. - Trieste : Circolo di Cultura Istro- 
Veneta “Istria”, 2013. - 310 pp. : ill. ; 24 cm. 
MELLACE, Giuseppina. - Una grande 
tragedia dimenticata : La vera storia delle 
foibe. - Roma : Newton Compton Editori, 
2014. - 328 pp. ; 23 cm. 

MEMORIE (Le) difficili : Ricordo e oblio 
dopo le guerre in Jugoslavia / a cura di 
Giuliana Parotto. - Trieste : Beit, 2010. - 175 
pp. : ill. ; 21 cm. 

MIA (La) mia Fiume : Manuale per 

lo studio della storia locale nelle scuole 
elementari di Fiume. - Fiume : Città di 
Fiume, 2013. - 76 pp. : ill. ; 26 cm. 
MONDONI, Rossana - GARIBALDI, 
Luciano. - Foibe: un confronto aperto : 

Il testamento di Licia Cossetto. - Chieti : 
Solfanelli, 2014. - 55 pp. : ill. ; 18 cm. 
NICOLLE, David. - L'esercito italiano nella 
prima guerra mondiale. - Gorizia : LEG, 
2014. - 130 pp. : ill. ; 24 cm. 

NIKOCEVIC, Lidija. - Zvonéari i njihovi 
odjeci. - Novi Vinodolski-Zagreb-Pazin : 
Naklada Kvarner-Institut za etnologiju i 
folkloristiku-Etnografski muzej Istre, 2014. - 
377 pp. : ill. ;24cm. 

OPCINA Moséenitka Draga : Slike 
sjecanja i Zivota = Il comune di Draga di 
Moschiena : Immagini di vita e memoria = 


Gemeinde Mosécenitka Draga : Erinnerungs 
und lebensbilder = Commune of Moscenitka 
Draga : The images of memories and life. 

- Novi Vinodolski : Naklada Kvarner, 2012. - 
215 pp. : ill. ; 26 cm. 

ORLIC, Ivona. - Istra kroz tri generacije : 
Izmedu svakodnevne konstrukcije identiteta 
1 turistiékog proizvoda. - Pazin : Etnografski 
muzej Istre = Museo etnografico dell’Istria, 
2013. - 235 pp. : ill. ; 20 cm. 

PARENZO, Aldo. - Un’inchiesta sulla 
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PELOSO, Luciano. - Le Cooperative 
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PERSIC, Du$an. - Memorie lovranesi 

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Comunità degli Italiani, 2013. - 72 pp. : ill.; 
21 cm. 

PIGLIUCCI, Michele. - Gli ultimi martiri 
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POVIJEST Zidovske zajednice u Opatiji 

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SIMHA-Zidovska opéina Rijeka, 2014. - 71 
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PREZENTIRANIJE i posredovanje 
manjinskih interesa u javnosti : Priruènik 
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ROMOLI, Andrea. - L’ultimo testimone : 
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STUDIJSKI dan u ast arheologa prof. 
Maria Mirabella Robertija (1909.-2002.) = 
Giornata di Studio in onore dell’archeologo 
prof. Mario Mirabella Roberti (1909-2002) 
/ a cura di Ondina Krnjak. - Pula = Pola- 
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SVERKO, Ana. - Giannantonio Selva 
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VENEZIA e Dalmazia / a cura di Uwe 
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VERAJA, Fabijan. - Miroslav BuleSic 
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VERGOTTIN, Bartolommeo. - Breve 
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VITTORIA (La) senza pace : Le 
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VOJNIKOVIC, BoZidar. - Historia artis 
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