G. SCOTTI — L. GIURICIN
STORIA
DEL BATTAGLIONE
ITALIANO
« PINO BUDICIN »
E DEGLI ITALIANI
DELL'ISTRIA
E DI FIUME
NELL'ESERCITO
POPOLARE
DI LIBERAZIONE
DELLA
JUGOSLAVIA
CENTRO DI RICERCHE
STORICHE ROVIGNO
1975
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO
GIACOMO SCOTTI e LUCIANO GIURICIN
ROSSA UNA STELLA
Storia del battaglione italiano "Pino Budicin” e degli Italiani
dell’ Istria e di Fiume nell’ Esercito Popolare di Liberazione
della Jugoslavia
MONOGRAFIE IV
Con la collaborazione di Arialdo Demartini
UNIONE DEGLI ITALIANI DELL'ISTRIA E DI FIUME
1975
COMITATO DI REDAZIONE
ARIALDO DEMARTINI
LUCIANO GIURICIN - GIOVANNI RADOSSI
ANTONIO PAULETICH - GIACOMO SCOTTI
DIRETTORE RESPONSABILE
Prof. GIOVANNI RADOSSI
ALTRI COLLABORATORI
Prof. GIOVANNI RADOSSI
per l’organizzazione e il coordinamento del lavoro
VIRGILIO GIURICIN
per la documentazione fotografica
GIUSEPPE PAULETICH
per le cartine topografiche
Copertina di
EGIDIO BUDICIN
RECENSORI
Prof. VIEKOSLAV BRATULIC
direttore dell'Istituto Alto Adriatico
dell’Accademia jugoslava delle Arti e delle Scienze
Prof. EROS SEQUI
preside della Cattedra di lingua e letteratura italiana
della Facoltà di filologia dell’Università di Belgrado
NEL TRENTENNALE DELLA
FORMAZIONE DEL BATTAGLIONE
ITALIANO «PINO BUDICIN »
decorato con I’ «Ordine per i meriti verso il popolo
di primo grado» (2 aprile 1954)
Il Centro di ricerche storiche di
Rovigno ringrazia gli ex combattenti
e quanti hanno voluto prestare il lo-
ro valido contributo con le testimo-
nianze, i documenti, le fotografie,
l'aggiornamento degli elenchi e gli
altri preziosi dati forniti agli autori,
indispensabili per la realizzazione
dell’opera.
Quest'opera è stata realizzata grazie all'apporto finanziario della Conferen-
za regionale dell’ASPL di Fiume, della Conferenza dell'Alleanza Socialista del-
la RS di Slovenia, dell’Unione degli Italiani, delle Assemblee comunali del-
l’Istria e di Fiume e del Comitato intercomunale del SUBNOR di Fiume,
PREFAZIONE
Quest'opera è dedicata al BATTAGLIONE « PINO BUDICIN » che
fu e resta il simbolo degli Italiani dell'Istria e di Fiume che militarono
nelle formazioni armate dell'Esercito popolare di liberazione della Jugo-
slavia. Diciamo un simbolo, perché il « Pino Budicin » non fu l’unico
reparto armato degli Italiani, la cui partecipazione alla lotta fu di gran
lunga più ampia di quanto possa far pensare la forza numerica di un
battaglione.
Con quest'opera presumiamo, cioè, di poter dire qualcosa anche di
altre formazioni italiane che ruotarono intorno al battaglione « Pino
Budicin » e che erano destinate ad ingrossarlo per trasformarlo in bri-
gata. Il volume è diviso in tre libri. Nel primo si fa la storia del glorioso
battaglione; nel secondo si fanno parlare i documenti, nel terzo si parla
della Brigata Italiana (avrebbe dovuto essere costituita) che idealmente
esistette, perché gli uomini accorsi a formarla combatterono come parte
integrante di un'ideale brigata italiana.
* * *
La creazione del battaglione « Budicin », accanto alle varie « compa-
gnie italiane » disseminate in varie brigate, resta comunque un avveni-
mento di eccezionale incidenza nella storia e nella vita delle popolazioni
italiane dell'Istria; rappresenta una svolta per gli sviluppi della lotta
popolare di liberazione in Istria. Il fatto stesso che esisteva, rappre-
sentò una calamita per migliaia di italiani che accorrevano nelle file
dell'Esercito popolare di liberazione. Nel discorso pronunciato a Rovi-
gno nel trentennale del battaglione, uno dei suoi comandanti, Arialdo
Demartini, ebbe a dire:
« Esso fu il segno più tangibile, evidente, che gli Italiani di que-
sta regione, mantenendo fede alle tradizioni antifasciste e classiste,
avevano fatto la loro scelta: battersi per la liberazione nazionale dei
croati e degli sloveni dell'Istria e per l'emancipazione sociale di
tutti ».
Il battaglione e le compagnie degli Italiani condivisero con le unità
militari croate i sacrifici del cammino insanguinato della lotta, simbolo
dell'unità di tutte le genti della penisola istriana, così come migliaia di
altri italiani, nelle retrovie, nelle città occupate, nelle « stazioni » di col-
11
legamento, e ovunque si manifestava il movimento popolare di libera-
zione, combatterono a fianco dei croati per i medesimi ideali, i comuni
ideali di classe e sociali, creando quella unità e fratellanza che oggi deve
essere alla base del nostro lavoro nell’uguaglianza e nel rispetto delle
peculiarità nazionali di ciascuno. Disse ancora Demartini nel raduno
del trentennale:
«Noi ex combattenti qui riuniti parliamo a nome della gene-
razione che ha iniziato la battaglia per questa nostra realtà, no;
per attribuirci glorie e meriti particolari, ma per trasmettere le
fulgide tradizioni di lotta ai giovani delle nuove generazioni. A loro
consegnamo volentieri le bandiere della Rivoluzione socialista che
continua, che sono le bandiere delle nostre battaglie e della fratel-
lanza dei popoli ».
Gli autori di questo libro vorrebbero dire la medesima cosa con-
segnando la storia passata alla storia futura.
* * *
Come sono stati scritti i tre libri di questo volume? Sono essi
esclusivamente opera di due autori? No. L'opera è nata, intanto, per
l'appoggio datoci dal Centro di ricerche storiche di Rovigno, che ha
messo a disposizione tutti i documenti di cui disponeva e, soprattutto,
i suoi collaboratori.
Per quanto riguarda i collaboratori più diretti, sia qui detto subito
che un apporto rilevantissimo l’ha dato il compagno ARIALDO DEMAR-
TINI, il quale, riuscendo a vincere la naturale modestia che contrassegna
gli uomini restii a parlare di sé in prima persona anche quando ricor-
dano un passato di cui vanno fieri, è riuscito a raccogliere dati utili
fra gli ex suoi commilitoni (ha intervistato una ventina di ex combattenti)
in modo da ricostruire almeno in parte certi aspetti inediti di singoli
avvenimenti e mettendo a sua volta sulla carta il racconto di vari altri
episodi dei quali egli stesso è stato il protagonista. C'era poi, preziosis-
simo, il suo libro di memorie « Mancano all'appello » (edito dal Centro
di ricerche storiche di Rovigno — Unione degli Italiani dell'Istria e di
Fiume, Pola 1971) che citeremo puntualmente, insieme ad altre fonti
bibliografiche, fra cui le principali sono queste:
«Borbeni put 43. istarske divizije« (Cammino di lotta della Qua-
rantatreesima divisione istriana) di Danilo Ribaric, edizione dell'Istituto
per la storia del movimento operaio della Croazia (Institut za historiju
radnièkog pokreta Hrvatske, Zagabria 1969);
«Put prve istarske brigade "Vladimir Gortan”» (Cammino della
prima brigata istriana "Vladimir Gortan”) di Ivan Brozina-Slovan, edi-
zione del Comitato distrettuale dell’Associazione dei combattenti di Pola
(Kotarski odbor Saveza boraca Pule, senza data);
« Istarska svitanja » (Aurore istriane) di Vladimir Kolar, edizione
della « Narodna Armija », Belgrado 1968;
« Revolucionarna Istra » (Istria rivoluzionaria), almanacco che rac-
coglie il contributo di vari autori, edito in occasione del 10° anniversario
della 43.ma divisione istriana (Fiume, 1954);
12
« Fratelli nel sangue » di Aldo Bressan — Luciano Giuricin, edizione
EDIT, Fiume 1964. In particolare ci è stato utile, di quest'ultima opera,
il capitolo curato da Renzo Vidotto e dedicato al battaglione « Pino
Budicin ».
Utilissima fonte è stato pure il Diario inedito di Giordano Paliaga:
trenta foglietti manoscritti (purtroppo non sempre decifrabili) che vanno
dal marzo 1944 al 10 aprile 1945. Il documento è di proprietà del Centro
di ricerche storiche di Rovigno presso il quale viene custodito. Come
pure i sei quaderni di appunti compilati da alcuni dirigenti del battaglio-
ne custoditi, come il diario, presso il Centro rovignese.
Naturalmente non sono state trascurate altre fonti, soprattutto rie-
vocazioni di protagonisti raccolte da giornalisti e pubblicate su quoti-
diani e periodici, che verranno di volta in volta citate.
Materiale prezioso, anche se non abbondante come si sperava, è
stato ancora raccolto attraverso un censimento (se così possiamo chia-
marlo), organizzato dal nostro Centro di ricerche storiche per eviden-
ziare gli ex combattenti del « Budicin » residenti in Jugoslavia e all’estero.
Molti di essi, oltre a fornire gli elementi essenziali a testimoniare la
loro partecipazione al cammino di lotta del battaglione, hanno pure
descritto, negli appositi questionari, episodi che maggiormente sono ri-
masti impressi nella loro memoria. Altri sono stati raccontati a voce nel
corso di riunioni appositamente organizzate a Fiume, a Pola, a Dignano
ed a Rovigno nelle settimane e nei mesi nei quali andava avanti la stesura
delle pagine che seguono, pagine perciò scritte dagli stessi protagonisti
in un certo senso. Molti di essi, firmano in prima persona una mini-anto-
logia di racconti che dà corpo a un'appendice di »letture« in questo vo-
lume.
Una fonte utilissima della quale non si poteva e non abbiamo fatto
a meno è stata la serie di volumi che vanno sotto il titolo di « ZBORNIK
dpkumenata i podataka o narodnooslobodilatkom ratu jugoslavenskih
naroda » (Raccolta di documenti e dati sulla guerra popolare di liberazio-
ne dei popoli jugoslavi) editi dal 1949 in poi a cura del Vojno-istorijski
institut (Istituto storico-militare) di Belgrado. Presso questo Istituto si
conservano, tuttora inediti, i documenti dei Comandi ed unità dell'EPL
della Croazia in Istria e delle unità della IV Armata dell’APJ e precisa-
mente: 243 documenti del Comando operativo dell'Istria, di cui 21 del
periodo settembre-dicembre 1943 e 222 dell’anno 1944; 49 documenti del
Comando del Gruppo dei distaccamenti per l’Istria risalenti per lo più
al 1945; 3 documenti del Distaccamento »Utka«; 7 rapporti del II Dis-
taccamento polese relativi al periodo luglio-agosto 1944; 294 documenti
della I Brigata Vladimir Gortan di cui 229 del 1944 e 65 del 1945; 48 do-
cumenti della II brigada istriana di cui 19 del 1944 e 29 del 1945; 45 do-
cumenti della III brigata istriana di cui 8 del 1944 e 37 del 1945 e il
diario operativo di questa brigata dal 29 agosto 1944 alla fine della guer-
ra; 513 documenti della 43. divisione istriana, dei quali 228 del 1944
e 285 del 1945 insieme ai registri dei caduti e feriti; oltre 1000 documenti
del fondo della IV Armata sulle operazioni finali 16 aprile — 6 maggio
1945).
Abbiamo incontrato fraterna sollecitudine, ancora, presso il Museo
Civico di Rovigno i cui dirigenti, preparando e allestendo una mostra
13
permanente dedicata al « Pino Budicin » e in genere alla partecipazione
degli italiani dell'Istria alla guerra popolare di liberazione in occasione
del trentennale del battaglione, hanno messo a disposizione la documen-
tazione e il materiale fotografico disponibili.
Pochi i documenti inediti ufficiali (ordini, rapporti ecc.) che è stato
possibile ricavare dagli altri Musei. Anche questo scarso matriale, tut-
tavia, ci è stato di aiuto, così come ci sono state utili — dopo essere
state sfrondate da imprecisioni (altra fatica per i necessari confronti e
le indispensabili verifiche) — le testimonianze raccolte in varie occasi-
oni, e nelle nostre note sempre citate, in occasione di anniversari, ce-
rimonie rievocative e commemorazioni. Preziosa pure la raccolta del
foglio partigiano « Il Nostro Giornale » che pubblicò moltissime corri.
spondenze di combattenti del « Budicin » soprattutto nella seconda metà
del 1944 e fino alla fine della guerra.
* * *
Esprimendo la fiducia di non aver lavorato invano e scusandoci per
le lacune che certamente saranno rimaste, ci sia permesso di conclude-
re questa premessa ricordando un messaggio inviato il 31 agosto 1969
dal Maresciallo Tito agli ex combattenti della 43° Divisione istriana
nel XXV anniversario della formazione dell'unità. « Voi Istriani, Croati,
Italiani e Sloveni — si legge in quel messaggio — avete dimostrato per la
prima volta nella vostra storia che i popoli conviventi, anche se (...)
parlano lingue diverse, possono dare con le armi in pugno un esempio
di solidarietà, di fratellanza e di unità (...) Fu quella la strada per
conquistare la libertà e realizzare la secolare aspirazione all'unione con
la nuova Jugoslavia, comunità socialista di popoli eguali ». Tito scrisse
ancora, che i combattenti istriani « vessilliferi della fratellanza e dell’uni-
tà dei loro popoli, hanno il dovere di educare le giovani generazioni nel-
lo spirito della salvaguardia e della promozione di queste tradizioni di
lotta, perché si tratta delle più grandi conquiste della nostra rivolu-
zione ».
Anche questo libro vuol essere un contributo alla salvaguardia dei
grandi valori indicati da Tito, perché « questa è la condizione — diremo
con le sue parole — affinché le generazioni future possano con successo
inserirsi nella dinamica e nello sviluppo della nostra comunità socia-
lista ».
Questi concetti erano stati già affermati del compagno Tito nel mes-
saggio che quello stesso anno, il 6 aprile, inviò direttamente agli ex com-
battenti italiani dell'Istria e di Fiume in occasione del raduno di Ro-
vigno dei superstiti del battaglione « Pino Budicin »:
«Continuando le tradizioni di lotta della classe operaia dell'Istria e
di Fiume, sotto la guida del Partito comunista, i figli migliori del popolo
di questa regione hanno combattuto contro il nemico comune, spalla a
spalla con gli altri popoli e nazionalità della Jugoslavia, guidati dagli
ideali della libertà, della fratellanza, della pace e della giustizia sociale.
Nel corso della Guerra popolare di liberazione ventimila combattenti
italiani hanno sacrificato la loro vita nella lotta contro il fascismo, per
la nuova Jugoslavia. In numerosi asprissimi scontri col nemico, i com-
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battenti del battaglione "Pino Budicin” hanno dimostrato un alto spirito
combattivo ed hanno dato un importante contributo alla liberazione de-
finitiva. La fratellanza e l’unità coniate nel corso della lotta e nel pe-
riodo dell’edificazione socialista, rappresentano il risultato più impor-
tante ragglunto dalle popolazioni di questa regione e sono al tempo
stesso la garanzia per realizzare con successo tutti i compiti rivoluzio-
nari nell’ulteriore sviluppo della collettività dei popoli e nazionalità del-
la Jugoslavia socialista ».
* * *
Il titolo dell’opera « Rossa una stella » è stato ricavato dalle prime
parole di una strofa del canto partigiano « O Istria cara ». Esso simbo-
leggia nel modo migliore gli ideali dei combattenti e sintetizza il conte-
nuto di quest'opera.
Giacomo Scotti - Luciano Giuricin
15
GIACOMO SCOTTI
LIBRO PRIMO
DA UNA PRIMAVERA ALL'ALTRA
Cronache di lotta del
Battaglione italiano «Pino Budicin»
da teli: 4
LI
hi i e |
ASPnlA IT a ori ip ati
pied As nmba Pero
in
PREMESSA
PER L'ALTO EROISMO COLLETTIVO E GLI ECCEZIONA-
LI MERITI CONQUISTATI DURANTE LA LOTTA CONTRO
IL NEMICO PER LA LIBERAZIONE DEL PAESE, IL BAT-
TAGLIONE « PINO BUDICIN » VIENE INSIGNITO DEL-
BORTONE PER I MERITI VERSO iL POPOLO DI PRIMO
È la motivazione, scritta a lettere d’oro e firmata da Josip Broz
Tito, con la quale il Presidente della Repubblica Popolare Federativa di
Jugoslavia insignisce dell’alta onorificenza, con decreto n. 33 del 2 aprile
1954, la bandiera del glorioso reparto del quale ci accingiamo a narrare
la storia.
Ricordiamo pure qui subito, all’inizio, che due italiani dell'Istria
hanno meritato la più alta decorazione, l'Ordine di Eroe del Popolo: il
fondatore del battaglione, l’uomo del quale il reparto ha degnamente por-
tato il nome, PINO BUDICIN, e l’intrepido combattente MATTEO BE-
NUSSI-CIO. Il primo è stato decorato alla memoria, nel 1973, a ventinove
anni dalla tragica fine, ed il secondo all'indomani della sua naturale
scomparsa, nel 1953. La motivazione è identica:
PER ELEVATO INAUDITO EROISMO NELLA LOTTA CON-
TRO I NEMICI DEL POPOLO, PER LO STRAORDINARIO
ARDIMENTO E I MERITI CONQUISTATI NEL CORSO
DELLA LOTTA POPOLARE DI LIBERAZIONE.
Circa 200 combattenti del « Budicin » portano oggi decorazioni varie,
giusto riconoscimento per i sacrifici affrontati e il valore dimostrato nel
corso della guerra. Vanno particolarmente menzionati quei combattenti
e ufficiali che le decorazioni se le meritarono sul campo di battaglia:
Mario Jedreicich, Spartaco Zorzetti, Francesco Sponza, Sime Slivar,
Giordano Chiurco, Leo Parmigiani e Domenico Medelin con l’Ordine al
Valore; Arialdo Demartini, Ferruccio Alberti, Bruno Caenazzo, Ferruccio
Pastrovicchio, Emilio Trento-Mimi, Costante Zogoni, Stefano Paliaga, Re
zino Decomizio, Marino Dunato, Nicola Demarini, Ferruccio D'Alessandro,
Luciano Simetti, Pietro Sponza, Pietro Benussi, Antonio Socco, Otello
Pellegrin, Venanzio Rovina e Vittorio Geromella con la Medaglia ai
Valore.
19
* x *
Ricordiamo ancora tutti i dirigenti susseguitisi alla testa del bat-
taglione dall'inizio alla fine della guerra, nell'ordine Comandanti: Giusep-
pe Alizzi, Oscar Turilli, Bruno Tomini, Arialdo Demartini, Giuseppe Aliz-
zi, Milan Iskra, Bruno Tomini. Vicecomandanti: Milan Iskra. Commissari
politici: Luciano Simetti, Giorgio Angelo Pascucci, Luigi Cimadori, Gior-
dano Paliaga, Mario Jedrejtié, Guerrino Bratos, Andre Flego. Vice com-
missari: Antonio Buratto, Benito Turcinovich, Mario Jedrejtié. Ufficiali
operativi: Antonio Abbà, Bruno Tomini, Milan Iskra, Nevio Tommasi,
Francesco Giovanni Crepaldi, Sretko Prenc. Intendenti di battaglione:
Giordano Chiurco, Sime Slivar, Jakov Poropat e Stefano Paliaga, Sime
Slivar. Referenti sanitari: Ivan Poropat, Pietro Benussi, Ivan Krivicic,
Pietro Cherin.
Sette volte cambiato il comandante, sette volte cambiato il com-
missario. Sotto questo aspetto, la vicenda del battaglione italiano può
essere emblematica. Ci sono le sostituzioni (caduti Tommasi e Paliaga,
disperso Crepaldi), come ci sono le retrocessioni e le destituzioni (Abbà
a un solo mese dalla nomina, Simetti, Pascucci, Cimadori, Turcinovich), ci
sono i trasferimenti in altri reparti (Alizzi, Turilli, Buratto, Tomini).
Provvedimenti giusti? Sbagliati? Decisioni avventate? È la guerra, la ri-
voluzione. E per il «Budicin» più che per gli altri reparti estremamente
irta di scogli. Ma chi scelse scelse volontariamente e per fede; nel fuoco
si tempra l'acciaio. La legge partigiana non perdonava mai, ha scritto un
combattente; « una volta che un dirigente partigiano non godeva più la
piena fiducia della massa dei combattenti per una ragione o per l’altra
doveva essere sostituito». Lo ha scritto Arialdo Demartini la cui «carriera»
partigiana è altrettanto emblematica. Comincia come mitragliere alla
Breda pesante, passa caposquadra nel maggio 1944, capoplotone in giu-
gno e vicecomandante di compagnia in luglio, per divenire nel settembre
comandante del battaglione, restando in carica fino al dicembre e retro-
cedendo nel gennaio 1945 a comandante di compagnia. Nel periodo in cui
il Demartini comanda il battaglione, suo vice diventa Milan Iskra già
suo comandante di compagnia per lunghi mesi e, in seguito, egli stesso
promosso comandante di battaglione. Appunto: la legge partigiana.
A Rovigno, la città che ha dato il maggior numero di combattenti
al battaglione « Budicin » e che quel battaglione, si può dire, tenne a bat:
tesimo; la città nella quale i superstiti del « Budicin » hanno il domicilio
simbolico per decisione del Comune, il Museo Civico ha dedicato una sa-
la e una mostra permanente al cammino di lotta del battaglione e, più
estesamente, al contributo dato dagli italiani dell'Istria e di Fiume alla
lotta popolare di liberazione.
Quella mostra vuole non soltanto documentare. Serve a stimolarci a
profondere nuovi sforzi per la realizzazione degli scopi e degli ideali
dei combattenti della Rivoluzione. Serve a trasmettere ai posteri il mes-
saggio della fratellanza italo-croata forgiatasi nel fuoco della lotta, con-
solidata dal sangue versato e dai sacrifici compiuti.
20 S
Abbiamo spesso visitato quella mostra. Spiccano sulle pareti le foto
degli Eroi Pino Budicin e Matteo Benussi-Cìo. E le immagini, tutte sor-
ridenti, di chi più non sorride: Giordano Paliaga, Riccardo Daveggia, Pie-
tro Bobicchio, Andrea Quarantotto, Silvano Chiurco, i fratelli Silvio e
Luigi Gnot, il mitragliere Giovanni Bulessi ed altri caduti. Molti erano
stati compagni di scuola, compagni di lavoro. Ma quante altre foto man-
cano! Quanti altri mancano all'appello! Anche molti di quelli che hanno
portato dalla guerra la pelle a casa, oggi non sono più. Dai pannelli ci
guardano gli assenti, i morti e i vivi in foto-ricordo: quasi ragazzi, giovani,
meno giovani, chi serio e marziale e chi sorridente, quasi tutti magri, Si
vede la foto dei funerali di 15 partigiani e, ancora: la copia fotostatica di
una breve storia del battaglione il cui originale dovrebbe trovarsi presso
l’Istituto di storia militare di Belgrado; e copie dei giornali tascabili
delle compagnie del « Budicin », il gruppo corale del battaglione nel
Gorski Kotar...
Pensate alle dolcissime bitinade rovignesi, ai canti che sanno di bar-
che di mare, d'amore, cantati sulle montagne boscose e innevate del
Gorski Kotar e del Nanos! E ancora armi, cinturoni, trofei di guerra.
E ancora: la « macchinetta » con cui l’'impareggiabile guastatore Matteo
Benussi-Cìo faceva saltare treni, ponti, tralicci. C'era anche una mina a
compressione, una specialità di Petar Herak. Ancora: opuscoli e un to-
glio ciclostilato, sbiadito: musica e note del canto partigiano:
Avanti uniti,
croati e italiani
nella certezza
di un miglior domani...
Quanti sono caduti con questo e con altri canti sulle labbra! Ricordiamo
il rovignese Marco Garbin che durante la guerra compose la marcia dei
partigiani istriani. Cominciò a comporre in guerra, quand'era ancora ra-
gazzo sedicenne, anche Nello Milotti, polese, combattente pure lui del
« Budicin » e autore della marcia della prima brigata istriana Vladimir
Gortan della quale il battaglione italiano fece parte. Con sulle labbra il
canto, i combattenti andavano spesso all'attacco o alleviavano le soffe-
renze delle lunghe marce.
Nel 1964, nel giorno in cui venne scoperto il busto bronzeo dell’Eroe
Cio, un uomo che dopo centinaia di azioni spericolatissime, aveva porta-
to la pelle a casa dalla guerra, per morire invece stroncato da una qual:
siasi malattia, quel giorno, alla manifestazione del « Budicin » convennero
120 combattenti superstiti e, tutti insieme, i superstiti in quel tempo
erano circa duecento. Dieci anni dopo, 1974, nel raduno del trentennale
e per lo scoprimento del busto all’eroe Budicin, sono convenuti ottanta
superstiti del battaglione. Nel dopoguerra, i superstiti del battaglione
italiano « Pino Budicin » si sono ritrovati insieme parecchie volte e quasi
sempre rifacendo la strada da Rovigno a Stanzia Bembo dove il 4 aprile
1944 nacque il glorioso reparto e dove i suoi uomini prestarono giura-
mento. Purtroppo, da un anniversario all’altro, a contarsi gli uomini che
diedero vita alla formazione partigiana originaria sono sempre di meno.
Il numero esatto dei caduti non è stato mai accertato, ma superano
il centinaio. Ricorrendo il primo decennale della fondazione del « Budi-
21
cin », l'ex comandante Arialdo Demartini presentò sul giornale « La Voce
del Popolo » (4 aprile 1954) un « rapporto » dal quale citiamo:
« Oltre un migliaio di combattenti passò attraverso le file di questo
battaglione durante le operazioni belliche Diverse centinaia di combat-
tenti fecero olocausto della vita nelle file di questo battaglione, senza
contrare un numero quasi uguale di feriti... ».
Nella stessa occasione, pronunciando il discorso ufficiale al raduno
dei combattenti superstiti a Rovigno, un altro degli ex comandanti del
battaglione, Milan Iskra, disse concludendo il suo rapporto:
« Ricordando tutti questi gloriosi combattimenti e gli ideali per i
quali abbiamo combattuto noi e i nostri commilitoni caduti, il nostro bat-
taglione è orgoglioso di aver dato il suo contributo alla nostra gloriosa
rivoluzione popolare. Solo nel nostro ge ao sono caduti nel corso
della guerra più di 300 combattenti
Nell'edizione del 4 aprile 1964, il giornale « La Voce del Popolo » ri-
portò la notizia che numerosi operai del cantiere navale « Uljanik » di
Pola vollero donare all'ospedale il loro sangue per onorare i Caduti.
«Con questo gesto altamente umanitario hanno voluto ricordare il
ventesimo anniversario della costituzione del battaglione italiano Pino
Budicin. Essi hanno voluto anche onorare duemila combattenti istriani
passati durante la lotta nelle sue file e, in particolare, i 600 giovani che
hanno immolato la vita nelle sanguinose battaglie sostenute dalla forma-
zione militare del gruppo nazionale italiano dell'Istria ».
Quanti combattenti? Quanti caduti? Il bilancio esatto non si co-
noscerà probabilmente mai. Caddero numerosi quelli che furono pre-
senti alla nascita del battaglione, e caddero anche parecchi di coloro che
nelle file del « Budicin » entrarono dopo Stanzia Bembo. Non era mai
troppo tardi per morire! Altri se ne vanno con l'età. Molti sono sparpa-
gliati per il mondo. Sicché il battaglione vive oggi, simbolicamente, sol-
tanto attraverso un manipolo di uomini che va continuamente assotti-
gliandosi. Anche per questo ogni incontro con i documenti e con i super-
stiti è commovente.
Fa bene incontrarsi dopo tanti anni per rivivere i ricordi, per ri-
parlare di quelli che non hanno avuto la fortuna di sopravvivere, so-
prattutto per riabbracciarsi e stringersi la mano, per ribadire una fra-
ternità che, forgiata nel pericolo, con la morte davanti agli occhi, è più
che mai preziosa per uomini che costruiscono la pace.
* kt
Anche questo libro vuol essere il luogo simbolico di un incontro, ma
un incontro permanente. È stato scritto, anzi, proprio per tener fede a
una promessa fatta ad alcuni combattenti che, trovatisi in uno dei tra-
dizionali raduni del « Budicin » (fu nell'aprile 1968, sempre a Stanzia
Bembo), sostennero con ardore la necessità di scrivere la storia politico-
militare del reparto. Se non andiamo errati, quei fervidi sostenitori
dell’iniziativa furono Arialdo Demartini, Milan Iskra, Mario Jedreicich
e Luciano Simetti. Tutti, in una maniera o nell’altra, li abbiamo avuti
fra i collaboratori in questa fatica.
22
Il libro è stato scritto non perché mancassero le pagine dedicate al
« Budicin », ma per raccoglierle tutte, integrarle, arricchirle. Era un la-
voro necessario — non sappiamo fino a che punto fatto bene — non tan-
to per quelli che la lotta l'hanno fatta, ma soprattutto per chi potrebbe
dimenticare che è stata fatta, dimenticando anche il grande contributo
dato dagli italiani per la liberazione dell'Istria e della Jugoslavia dal fa-
scismo e dall’occupatore. Abbiamo cioè mirato soprattutto a salvare un
patrimonio di ideali, di fede, per consegnarlo alle nuove generazioni.
Completare definitivamente la storia del battaglione « Pino Budicin »
era stato anche un compito che il nostro Centro di ricerche storiche si
era posto fin dagli inizi, inserendo nel punto 14 del suo programma di
lavoro varato ancora nel febbraio 1970. Questo compito viene finalmente
portato a termine nel trentennale della fondazione del battaglione e
quest'opera può vedere la luce grazie all'aiuto ed alla comprensione dei
comitati repubblicano e intercomunale delle Associazioni degli ex combat-
tenti della LPL (Subnor) della Croazia e della regione dell'Istria e Fiume.
* * *
Scrivendo le pagine che seguono non ho inteso compiere celebra-
zioni, tanto meno nutrire miti e creare leggende. Senza minimamente
trascurare i grandi valori della rivoluzione, ho cercato soprattutto di
consegnare alla storia la cronaca degli avvenimenti che da soli danno il
senso e la dimensione di una svolta rivoluzionaria nelle vicenda sociali
della nostra regione. Al centro di queste vicende stanno gli uomini con
le loro virtù e i loro difetti. E per questo, seguendo la cronaca, mi sono
sforzato di porre ovunque in primo piano l’uomo. L’uomo nei fatti, con
i suoi fatti, dietro e al di sopra dei fatti. Tutti noi sappiamo che l’uomo
trova se stesso soltanto nell’intierezza della verità fatta di luci e di om-
bre. Restano le une e le altre. Ma anche le ombre non possono distrug-
gere quei valori altissimi che fecero della lotta popolare di liberazione
una guerra diversa, una rivoluzione, appunto, combattuta da uomini che
moledivano la guerra e andavano alla morte sostenuti dalla fede di poter
costruire un nuovo mondo di pace e di giustizia senza più guerre,
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Parte prima
LA «PREISTORIA » DEL BATTAGLIONE
(novembre 1943 — marzo 1944)
CAPITOLO I
VIVA IL PRIMO BATTAGLIONE
Si combatte nelle strade di Sebastopoli. La guarnigione tedesca,
già sottoposta da settimane ad un tremendo logorìo da terra e dal mare,
non resiste all'urto delle truppe sovietiche. Reparti dell'Esercito popo-
lare di liberazione jugoslavo hanno liberato l'isola di Curzola; nel Monte-
negro è stata liberata Mojkovac; nel settore di Zagabria i nostri reparti
stringono sempre più da vicino il nemico nelle immediate vicinanze della
città.
Queste ed atre notizie si leggono nel n. 10 datato 10 maggio 1944
del foglio partigiano «Il Nostro Giornale ». In prima pagina subito
dopo le notizie dei combattimenti a Sebastopoli, segue un articoletto in-
titolato VIVA IL PRIMO BATTAGLIONE ITALIANO « BUDICIN ». Vi
si legge:
«La Compagnia italiana "Giuseppe Budicin” formata dai combattenti
rovignesi nel corso della lotta contro l’occupatore, dato l’accorrere nelle
sue file di sempre nuovi volontari, si è trasformata nel BATTAGLIONE
GIUSEPPE BUDICIN.
In questo modo i compagni di Rovigno hanno saputo degnamente
onorare il primo combattente italiano dell'Istria caduto da eroe sotto
il piombo dei nazifascisti.
Recentemente i combattenti dello stesso Battaglione hanno catturato
e giustiziato la spia che aveva denunciato i compagni Budicin e Augusto
Ferri, provocandone l'uccisione.
Ai valorosi combattenti del primo Battaglione italiano dell’Istria giun-
gano il nostro saluto e il nostro incitamento a continuare per la via in-
trapresa contro i fascisti e contro l’occupatore fino alla liberazione della
nostra Istria. »
Preziose testimonianze offrono i giornali partigiani, ed è una for-
tuna che questi fogli al ciclostile si siano conservati. Chi li redigeva,
però, pressato da tante dificoltà e sempre di fronte alla tirannia dello
spazio, pensava ai compiti immediati e non alla puntigliosità degli storici
del futuro. Importanti erano i fatti registrati; la data esatta in cui erano
avvenuti non sempre veniva fornita anche perché i fatti trovavano eco
scritta con enorme ritardo. Restano tuttavia i protagonisti ed altri do-
27
cumenti. La data e il luogo di nascita del battaglione italiano « Budicin »
sono noti: 4 aprile 1944 a Stanzia Bembo. Il documento che « legalizza »
a posteriori la costituzione del battaglione è l'ordine n. 29 del 15 aprile
1944 del Comando della V zona operativa per l’Istria (XI Korpus del-
l’EPL della Croazia).!
Il battaglione, naturalmente non è nato dal nulla, non è diventato
tale dal giorno alla notte. La maggioranza dei combattenti ha già una
lunga esperienza di guerra partigiana. Il battaglione è stato preceduto,
insomma, da altri reparti minori, e quei reparti da altri avvenimenti ri-
voluzionari la cui storia rappresenta la preistoria non solo del battaglione
« Budicin » ma di quella massiccia partecipazione degli italiani nelle for-
mazioni armate del Movimento popolare di liberazione della quale il
« Budicin » è soltanto il simbolo.
Da dove comincia questa « preistoria »?
A volerla prendere alla larga, come si fa, e non a torto, in certe cele-
brazioni, si dovrebbe riassumere per sommi capi la lotta antifascista
condotta dal proletariato italiano dell'Istria insieme alle altre popolazioni
della penisola, nei decenni che hanno preceduto la Lotta Popolare di Li-
berazione; ricordare Giuseppina Martinuzzi, gli scioperi e i martiri di
Pola e Dignano del 1920, i personaggi della Repubblica di Albona con
Giovanni Pipan e Giovanni Tonetti in testa; le condanne elargite ai co-
munisti istriani dai Tribunali speciali; i nomi di tanti eminenti rivolu-
zionari che hanno combattuto nella guerra di Spagna dalla parte dei
repubblicani; non si dovrebbe dimenticare l'estremo sacrificio di Luigi
Scalier di Pola, di Pietro Ive e di Antonio Paliaga di Rovigno, di Fran-
cesco Papo di Buie; si dovrebbe parlare insomma di quella scuola rivo-
luzionaria che fu il Partito Comunista Italiano, dopo il Partito Socialista,
nelle cui file, sotto il regime fascista, si sono forgiati tanti combattenti
della classe operaia italiani, croati e sloveni dell'Istria; e dell'adesione,
non sempre facile, di questi stessi antifascisti, alla linea del Partito co-
munista jugoslavo fin dal 1941; ricordare che il primo partigiano caduto
in Istria, nell'agosto 1942, è stato un italiano di Fiume, Antonio Mihich;
ricordare che fra i primi partigiani dell’Istria accorsi nelle file dell'Eserci-
to popolare di liberazione vi sono i rovignesi Claudio Sugar, Gino Jur-
man, Domenico Biondi, Giuseppe Turcinovich, Luigi Ferrara, Domenico
Pesel e Luciano Simetti che troviamo nel luglio 1943 nella 13. divisione
operante nel Gorski Kotar; sottolineare infine che la grande insurrezione
del 9 settembre vede migliaia di italiani accorrere nelle formazioni par-
tigiane che sorgono spontanee dal Capodistriano a Pisino, da Fiume ad
Albona, da Rovigno a Pola.
L’Insurrezione di Settembre
«È ormai un anno che la potenza militare del fascismo, creata in un
lungo ventennio di dissanguamento degli Italiani, crollò fra l'entusiasmo
di tutto il popolo. In quei giorni gli istriani sentirono in sé una forza
eroica, strapotente, che li spinse ad insorgere, ad armarsi e lottare per
1. Il documento, conservato negli Archivi dell'Istituto di storia militare di Belgrado (Vojno-isto-
rijski institut), è riferito in uno scritto di Giacomo Scotti, »Quel quattro aprile del ’44 » pub-
blicato sul quotidiano di Fiume « La Voce del Popolo » del 7 aprile 1968.
28
la loro libertà e il loro avvenire. E veramente il 9 settembre fu giorno
di libertà. In tutta l’Istria bandiere italo-croate, affratellate dalla stella
rossa, sventolarono al vento (...) Il 9 settembre incominciò la lotta me-
ravigliosa degli istriani. »
Così comincia l’articolo « Un anno di successo » nella prima pagina
del foglio ciclostilato partigiano « Il Nostro Giornale » che dedica il suo
n. 18 del 9 settembre 1944 al primo anniversario dell’insurrezione istria-
na. Fra le città di costa della penisola, a quest'epoca prevalentemente abi-
tate da italiani, Rovigno è la prima che la sera stessa dell’8 settembre
spazza uomini e segni del vecchio regime, instaurando il potere popolare
sotto la guida di Giuseppe Budicin-Pino uscito in agosto dalla prigione
di Castelfranco Emilia. Nell'edizione citata, « Il Nostro Giornale » riporta
un articolo firmato « Elio » e intitolato « Rovigno alza la bandiera della
lotta » nel quale leggiamo: « Uscendo dal municipio di Rovigno con Pino
Budicin la sera dell'8 settembre, notammo capannelli di gente che discu-
teva. Cosa è successo? Ci rispondono che è stato firmato l'armistizio.
Non ci sembrava vero. La stessa sera ci furono dimostrazioni ...». E
Luciano Giuricin, in un ricordo di Pino Budicin, rileva:
« Quella sera, l'8 settembre 1943, rimarrà memorabile per tutta la
popolazione rovignese. Quando, verso le ore 18, la radio italiana trasmettè
la folgorante notizia della capitolazione dell’Italia e dell'avvenuto armi-
stizio, Pino Budicin si precipitò nella piazza dell'orologio già piena di
gente (...) I soldati della guarnigione locale, assieme ai carabinieri e
alle altre forze dell'ordine, stavano sul chi vive, vigilando con le armi
in pugno. Vedemmo arrivare Pino Budicin, seguito dai compagni Segalla,
Naddi, Privileggio, Malusà e Poretti, che sventolava una bandiera italiana
presa poco prima al caffé Risorgimento”. Immediatamente venne attor-
niato da una massa di gente. Qualcuno gli offrì una sedia dall'alto della
quale improvvisò un discorso (...) Arringò la folla che ormai aveva occu-
pato tutta la piazza, e in breve tempo il comizio si trasformò in una
grande manifestazione popolare. L'oratore invitò la popolazione a libe-
rare la città disarmando l’esercito italiano e i soldati a disertare, onde
organizzare la resistenza armata ed affrontare preparati il nuovo grande
pericolo che incombeva su tutti: l'invasione della nostra terra da parte
dei nazisti (...) Era giunto il momento della riscossa, il momento nel
quale era dovere di tutti prendere le armi per dar inizio alla lotta parti-
giana a fianco dei croati (...) In breve tempo tutta Rovigno antifascista
si trovava in armi. »?
Un Comitato di salute pubblica, trasformato poi in « Comitato del
fronte nazionale partigiano — Rovigno d'Istria » come appare nei primi
documenti stampati in città, assume i poteri.
Nel giro di ventiquattr'ore anche Albona, Buie, Parenzo ed altri cen-
tri istriani sono teatro di azioni insurrezionali ed il potere, in tutta la pe-
nisola — ad eccezione di Fiume e Pola — passa nelle mani dei Comitati
popolari di liberazione. Il movimento si salda rapidamente e spontanea-
mente, grazie soprattutto all'opera di preparazione condotta dai comuni-
sti, alla massiccia insurrezione scoppiata all’interno dell'Istria compatta-
2. In « Quaderni », volume II/1972 del Centro di ricerche storiche di Rovigno. « Elio » è Giorgio
Privileggio, autore, nello stesso numero dei « Quaderni », dello scritto: « L'amico e compagno
Pino », pag. 337—351.
29
dad
mente o quasi abitata dai croati, per i quali il « ribalton » significa anche
la fine dell’oppressione nazionale; sicché croati e italiani si trovano fian-
co a fianco nella lotta armata, coscienti della necessità di dover far fron-
te presto ai tedeschi.
A Fiume le manifestazioni popolari continuano per due giorni, ma
il tradimento del generale Gambara che passa subito ai tedeschi cedendo
loro la città, e la rilevante presenza di forze armate nemiche in essa, fa
presto tornare il buio. Comunque, centinaia di giovani abbandonano la
città per unirsi, nei dintorni, alle formazioni partigiane. ‘
A Pola, dove si registra la più massiccia sollevazione popolare, le
vecchie gerarchie militari rispondono alla sommossa con le armi e ca-
dono in questa città, nel pomeriggio del 9 settembre, le prime vittime
dell’insurrezione istriana: Giuseppe Zachtila, Carlo Zuppini-Zupitié e Giu-
liano Cicognani. Citiamo ancora « Il Nostro Giornale » che ne scrive a un
anno di distanza, con la firma di Giuseppe Rusich:
« Finalmente vennero le 15.30 e la piazza del mercato era gremita di
popolo (...) Ma, ancora una volta si dovette constatare che la realtà era
un’altra. Vennero infatti i questurini, i carabinieri ed altri nemici del
popolo, che con le armi in pugno tentarono di disperdere le masse accorse
con tanto entusiasmo a quello che doveva essere il primo comizio popo-
lare di Pola. Arrivati all'altezza della Piazza Carli, qualcuno che non po-
teva più trattenersi a causa dell’ingiusto divieto, gridò: ’Fuori i tedeschi
da Pola, fuori!”. A queste parole rispose una scarica, qualche decina di
persone si abbattè al suolo. La folla si disperse terrorizzata. Rimasero
soltanto le persone che giacevano a terra e altre, in piedi, con i fucili
ancora fumanti... ».
L'ordine di sparare è stato dato dal capitano comandante dei carabi-
nieri Filippo Casini.
Truppe di stanza a Pola, per ordine del Comando militare della cit-
tà, vengono inviate anche a Pisino, dove, fra i capi del movimento insur-
rezionale, si distingue il giovane comunista Giorgio Sestan; ma i pisinotti
fermano il treno carico di marinai ed anche la guarnigione militare locale
è costretta a disperdersi; la città diventa il centro della mobilitazione
partigiana, sede dei massimi comandi militari dell’EPL per l’Istria, croati
ed italiani raccolgono le armi dei soldati e dei carabinieri e la città, an-
che per la sua posizione geografica, diventa la « capitale partigiana ».
Ospiterà la prima assemblea popolare dei rappresentanti istriani che nei
giorni 25 e 26 settembre proclameranno decaduti il vecchio regime, le sue
istituzioni e le sue leggi. Quella storica assemblea che vede fra i membri
del Comitato regionale di liberazione anche Pino Budicin e fra i parte-
cipanti Giacomo Urbinz in rappresentanza degli Italiani, proclama, tra
l'altro, il rispetto « di tutti i diritti nazionali » della comunità italiana in
Istria.
A Valle, grossa borgata fra Rovigno e Dignano, la popolazione costrin-
ge il Comando del presidio militare e della caserma dei carabinieri a ce-
dere le armi il 9 settembre. Nello stesso giorno — uscendo dalla clande-
stinità — si insedia il Comitato popolare di liberazione che sostituisce il
sindaco e le altre autorità fasciste e badogliane.
A Portole viene instaurato un comando partigiano.
30
A Buie vengono assalite le caserme dei carabinieri che cedono le ar-
mi agli insorti guidati da Ruggero Paladin, ai quali si aggiungono quelli
giunti da Castagna sotto il comando dei fratelli Celestino e Giovanni Va-
lenta. Rivedremo Paladin nel battaglione « Pino Budicin » distinguersi
nell'attacco al presidio di Santo Stefano il 30 giugno 1944 rimanendo fe-
rito. Cadrà eroicamente a Piedimonte il 20 dicembre dello stesso anno in
uno scontro con le SS.
Fra il 9 e il 10 settembre gli insorti italiani e croati del bacino carbo-
nifero dell’Arsia, sotto la guida di Josip Matas, Aldo Negri e Anton Licul,
ripuliscono l’intera regione mineraria e sull'antico palazzo comunale di
Albona sventolano per la prima volta insieme i tricolori italiano e croato.
Scrive « Il Nostro Giornale » del 9 settembre 1944 rievocando questi av-
venimenti:
« Pozzo Littorio si era arreso in pochi minuti, gli stessi carabinieri
portarono fuori sulla piazza un'enorme quantità di armi e munizioni.
Intanto erano venuti da tutte le parti e dai dintorni di Albona centinaia
di uomini per armarsi. Albona e Arsia si erano pure arrese, In quel mo-
mento vennero in piazza a Pozzo Littorio i compagni dott. Aldo Negri,
l'avv. Vorano e i due fratelli Sfecich. Prendemmo immediatamente con-
tatto e pienamente d'accordo si lavorò attivamente. Divisi tutti gli uomini
nei vari centri, si procedette alla formazione di un battaglione per difen-
derci da eventuali attacchi da parte del nemico. In poche ore si formò
un battaglione di 300 uomini con armi pesanti e leggere...»
Entro il 12 settembre nascono cinque battaglioni con 1500 uomini
croati ed italiani, armati con le armi che il comandante della guarnigione
militare, colonnello Bonisconti, è stato costretto a cedere dopo inutili
tergiversazioni nelle trattative condotte con i capi riconosciuti del nuovo
potere popolare: Nino Bassani, Aldo Negri, l'avvocato Dante Vorano, il
dott. Paolo Sfecci, suo fratello Mauro e Giacomo Derossi. Liberati i pri-
gionieri politici, Negri e Caserio Hrevatin assumono la direzione politica
e militare della « Brigata Albonese » affidando a Vorano e a Paolo Sfecci
l'amministrazione civile.
A Parenzo, dove la guarnigione militare si è sciolta come neve al
sole nella notte fra 1’8 e il 9 settembre, nasce il « Battaglione Parentino »,
che ha l’animatore nel pescatore Matteo Bernobich, militante del PC
italiano dal 1924, già condannato dal Tribunale speciale fascista e com-
battente partigiano dal 1942. Inutilmente i caporioni fascisti locali cer-
cano un aiuto dai tedeschi che hanno uno sparuto presidio a Buie, in-
viandovi i « gerarchi » Antonio Vergottini, Mario Rocco e Bruno Lodes. I
nazisti, anch'essi nei guai, si rifiutano di intervenire e gli insorti, forti del
loro battaglione, istituiscono un Comitato popolare di liberazione con
Matteo Bernobich, Ubaldo Scarpelli, Stefano Bullini, Domenico Guetti,
Giovanni Pesaro, Giuseppe Jellenich, Cristoforo Moratto e l’avv. Pietro
Burich. Tramite Matteo Bernobich, Stefano Bullini e Giovanni Pércoli,
vengono allacciati i collegamenti con le forze partigiane delle località cir-
costanti e il 14 settembre scende in città una grossa formazione di 400
uomini accolti festosamente dalla popolazione e dallo stesso vescovo
mons. Radossi con al fianco il marchese Polesini.?
3. Ne «La Voce del Popolo », Fiume, del 9. IX 1945.
31
Primi reparti armati
Sono soltanto pochi episodi, questi, di un movimento di massa che
nel giro di qualche giorno « produce » 12.000 uomini armati disponibili
per creare i nuovi reparti regolari dell'EPL in Istria. Quando il Comando
della V Zona operativa (Gorski Kotar, Litorale croato e Istria) si accinge
alla formale costituzione di alcune brigate e distaccamenti, numerosi re-
parti hanno già preso corpo spontaneamente, o meglio, sono stati orga-
nizzati dai capi locali dell'insurrezione sotto la guida delle organizzazioni
del partito comunista, cominciando ad operare nella penisola e nei din-
torni di Fiume.
Oltre alle unità cui si è già accennato, ricordiamo almeno con rapidi
accenni altre formazioni armate che possono considerarsi i primi reparti
italiani dell'Istria in seno all’Esercito popolare di liberazione della Ju-
goslavia.
A Grisignana, per iniziativa di Mario Viggini, si costituisce il 9 set-
tembre il « Battaglione di Grisignana » con un totale di 180 uomini, in
gran parte italiani, con una compagnia di volontari di Castagna guidati
dai fratelli Valenta.
Tra Parenzo e Pola, a pochi giorni dall'insurrezione, è già inquadrata
la « Compagnia Rovignese » della quale, oltre ai volontari di Rovigno, en-
trano a far parte numerosi soldati dell'ex esercito italiano. « Il Nostro
Giornale », nell'edizione già citata del 9 - IX - 1944, scrive:
« Nella mattina dell’11 arrivano i primi soldati italiani scappati, con
delle barche, dalla Dalmazia. Bollano il tradimento degli ufficiali supe-
riori. Nel pomeriggio arrivano con i camions altri soldati sbandati dalla
Croazia. La città è tutta orgasmo. La parte più cosciente cerca di pren-
dere le armi dei soldati: la sera stessa, per l’opera dell’inviato del co-
mando partigiano di Pisino (è Mario Cherin, rovignese, ufficiale) si ot-
tennero le armi dei soldati del presidio, della finanza e di una parte dei
carabinieri. Sì armò immediatamente la popolazione e si portarono gli
uomini con i camions a montare la guardia ad alcuni chilometri dalla
città, perché si temeva l'arrivo dei tedeschi. Vi era grande slancio popo-
lare; anche alcuni carabinieri vi prendevano parte. »
La « Compagnia Rovignese » riceve il battesimo del fuoco il 13 set-
tembre sul Canale di Leme. In uno scontro con una colonna motorizzata
germanica, 16 giovani su 40 cadono nelle mani del nemico e vengono tuci-
lati l'indomani nei pressi di Dignano. Tra i caduti vi sono tutti i dirigenti
del reparto: Sergio Curto, Tullio Biondi e Bruno Zorzetti, insieme a
Giorgio Borme, Giuseppe Cherin, Giuseppe Sbisà, Tommaso Caenazzo,
Nicolò Marangon, Giuseppe Tanconi, Giovanni Bossi, Ino Mercanti e
Giovanni Sincich.
La colonna tedesca è stata già affrontata l'11 settembre, sulla costa
nord-occidentale, al bivio di Tizzano presso Parenzo, dal « Battaglione
Parentino » che ha lasciato sul terreno numerosi morti, fra cui Edo, Mar-
co, Matteo e Aurelio Gasparini da Visignano, Giovanni Corazza visignane-
se anche lui, Livio Corana e Vittorio Mendica da Parenzo. I partigiani,
hanno affrontato decisi la testa della colonna snodatasi per tredici chi-
lometri, impegnando il nemico per due ore. I tedeschi sono riusciti a pas-
sare, subendo 130 tra morti e feriti, solo quando i partigiani hanno esau-
rito tutte le munizioni e lasciato sul terreno ben 72 compagni uccisi. Nello
32
stesso giorno, poche ore prima della battaglia, un gruppo di audaci ha
circondato Visignano costringendo l’ultimo presidio di carabinieri e guar-
die di finanza a deporre le armi.
La medesima colonna germanica, dopo aver aggirato Parenzo (dove
il potere partigiano continuerà incontrastato fino all'8 ottobre), ha rag-
giunto Pola proseguendo alla volta di Albona. Qui il 13 settembre, alle
04,30 del mattino si scontra con la « Brigata Albonese » fra Piedalbona
e Vines all'altezza di Berdo. Nella cruenta battaglia, che dura fino alla
sera tardi, cadono ben 48 partigiani, fra questi Rodolfo Serpi e suo figlio
Velio di Torre Annunziata, Antonio Basiaco, Antonio e Libero Benussi
— padre e figlio, Luciano Cutti da Fasana, Guglielmo Finini, Giuseppe
Persi, Giacomo Rebbi, Giovanni Uccione, Giacomo Nappi, Mario Valci e
suo figlio Guido, Primo Filippetti da Arsia, Narciso Miniussi da Pola.
Ma la colonna tedesca è costretta a ritirarsi.
Nel giorno stesso della capitolazione dell'Italia fascista, si è costi-
tuito nei dintorni del capoluogo del Quarnero il « Battaglione Fiumano »
con circa 180 combattenti, avendo per nucleo una ventina di soldati e
ufficiali del disciolto regio esercito. Comandante è Mirko Curbeg, com-
missario Giacomo Rebez, vicecomandante Silvano Broznié, vicecommis-
sario Bruno Vlah, base operativa il villaggio di Rubesi. L'unità, compo-
sta in prevalenza da ex perseguitati e detenuti politici comunisti e antita-
scisti, porta a termine numerose azioni e sostiene duri combattimenti,
spesso in collegamento col « Battaglione Fiume-Castua », reparto italo-
croato nato anch'esso all'indomani dell'armistizio, forte di 120 combat-
tenti sotto il comando del Ten. Canara, commissario Andrea Casassa e
con base di operazioni Klana.
Il 12 settembre, a Susak, è nato il terzo battaglione del Distaccamento
fiumano-castuano, il più numeroso e meglio armato: il « Garibaldi » con
800 uomini tutti ex soldati della Guardia di Frontiera al comando del ca-
pitano Pietro Landoni.
Il rullo SS di ottobre
Tutti questi e numerosi altri reparti (intendendo per « altri » quelli
formati prevalentemente dai compagni croati e sloveni) danno molto
filo da torcere al nemico durante tutto il mese di settembre, nel mo-
mento stesso in cui cercano di consolidarsi militarmente. Ovviamente, la
resistenza potrebbe essere molto più efficiente se, come più volte richie-
sto dai dirigenti politici del Movimento popolare di liberazione istriano
subito dopo la caduta del fascismo, fossero stati inviati nella penisola
esperti quadri militari. Le cose sono andate diversamente, invece.
Ancora il 5 luglio, il Comitato circondariale (Okruzni komitet) del
PC croato per l’Istria e Litorale croato afferma in una lettera al CC la
necessità di inviare in Istria una « desetina », cioè una squadra di dieci
esperti combattenti. La richiesta è ripetuta il 1° agosto e di nuovo il 23
agosto: « Noi riteniamo che la faccenda dell'invio di una desetina in
Istria è importante e urgente, e perciò decidete voi! ». Altre richieste del
Comitato circondariale al Comitato centrale del 18 agosto e del Comitato
regionale per l’Istria del 31 agosto (firma Ljubo Drndié) a quello Cir-
condariale restano pure lettera morta. Alla testa degli insorti, in settem-
3 Rossa una stella 33
bre, si sono posti dunque attivisti politici coadiuvati da chi, in passato
o fino a ieri, ha fatto esperienza di comando militare nell'esercito ita-
liano. Ma non è facile guidare una massa enorme di insorti, creare una
certa disciplina, organizzare i servizi logistici eccetera. Di un comando
militare per l’Istria e il Litorale sloveno, il cosiddetto « Comando del
distaccamento partigiano istriano-sloveno », entrano a far parte Viktor
Dobrila, Ivan Motika, Silvo Milenié Lovro, Franjo Segolin, Josip Matas
Andrié, Franjo Jurisevié, Vlado Juritié, Martin Car e Mario Cherin.
Anch'’essi sono tutti uomini politici, ad eccezione di Matas che ha espe-
rienza di comando nelle file partigiane e di Cherin, ex ufficiale dell’eser-
cito italiano. Scrive Mario Mikolid:
«Il Comando aveva il compito di organizzare i reparti militari, i co
mandi di presidio, di mantenere l'ordine eccetera. Per lungo tempo, però,
esso ron funzionò, e sembra che non sia riuscito nemmeno a riunirsi al
completo. Il Comando venne costituito non più tardi del 15 settembre,
data di un suo rapporto contrassegnato dal numero 1/43 sulla situazione
politico-militare inviato al Comitato circondariale per il Litorale croato
e al Comitato provinciale per il Litorale sloveno, firmato dal comandante
Viktor Dobrila e dal commissario politico Silvo Milenié... Si trattava,
evidentemente, di un’inevitabile improvvisazione di dirigenza militare,
visto che occorreva agire rapidamente e non si poteva più oltre attendere
l’aiuto da fuori. »4
Il Comando ha breve vita. Il Quartier Generale dell'EPL della Slo-
venia costituisce il 18 settembre un proprio Comando Operativo per la
Slovenia occidentale comprendente anche il Litorale (Istria nord-occi-
dentale), mentre il 20 settembre il Quartier Generale dell’EPL della
Croazia crea un proprio Comando operativo per l’Istria con Savo Vu-
kelié comandante e Joza Skotilié commissario, comprendente anche Du-
san Diminié, vicecommissario, Josip Matas, ufficiale operativo e Ivan
Motika.5 Skotilié e Vukelié arrivano in Istria, a Pisino, appena il 23 set-
tembre, procedendo alla creazione della Prima Brigata Istriana (Gimino,
24 settembre), della Seconda Brigata Istriana (il 24 settembre a Pin-
guente) e del Distaccamento « Utka » (a Lupogliano), ed assegnando a
questi grossi reparti i settori di azione. Molti reparti minori, sia pure
formalmente inquadrati nelle brigate e nel distaccamento, continuano
tuttavia ad operare autonomamente sul proprio terreno.
Nella situazione prospettata dall’ormai certissima e imminente of-
fensiva tedesca (quella che gli istriani ricorderanno come « Offensiva
Rommel »), i provvedimenti presi dai comandi partigiani sono insuffi-
cienti; si è perso troppo tempo. Tanto più degne di ammirazione sono
le imprese che i raffazzonati reparti armati degli insorti istriani com-
piono nel breve lasso di tempo intercorrente fra la formazione del Co-
mando operativo e l’inizio dell’offensiva nazista.
La Compagnia Rovignese diventa Battaglione, al comando di Giusto
Massarotto, sostenendo tra l’altro duri combattimenti il 22 settembre in
località Cere con reparti tedeschi calati nella zona per mettere a ferro
e fuoco i villaggi croati.
4. In « Dometi », Rijeka, No. 9—10/1973: « Istra 1943. godine », pagg. 51.1.
5. Ibidem.
34
Il Battaglione Fiumano attacca la centrale elettrica e la caserma di
Mattuglie, disarmando 20 militari; assale un deposito presidiato da Ca-
micie Nere uccidendo 50 e catturando 8 fascisti; impegna un combatti-
mento con ingenti forze tedesche che tentano una sortita da Fiume.
Il Battaglione Fiume-Castua, a sua volta, attacca una forte colonna
nazista mettendo fuori combattimento 70 nemici fra cui quattro uffi-
ciali superiori.
Il Battaglione « Garibaldi » sostiene sanguinosi combattimenti il 21
settembre sulla linea fortificata di Fiume dalla parte di Drenova e Sar-
soni.
Almeno tremila italiani dell'Istria e di Fiume, spalla a spalla con i
croati e sloveni, militano in quest'epoca nei diversi battaglioni e com-
pagnie dal Risano al Canal di Leme (nel Capodistriano opera la « Brigata
Triestina » al comando di Giovanni Zol), dal Canal dell’Arsa al Golfo
del Quarnero. Ma tutti questi reparti, seguendo la sorte di numerosi altri
sorti in Istria sull'onda dell’insurrezione, finiscono ben presto per essere
decimati e sgominati sotto l’urto delle preponderanti forze germaniche
forti di 30.000 uomini e 500 carri armati del I Corpo SS, della divisione
« Adolf Hitler », della 44. e 71. divisione di fanteria e della Panzer Divi-
sion « Hermann Goering » che sferrano l'offensiva ai primi di ottobre.
Il « Battaglione Fiume-Castua » rigetta più volte tedeschi e guardie
bianche da Klana, infligge perdite sanguinose a una colonna nazista
presso Rupa e Lipa, si batte con coraggio quando viene investito da una
nuova colonna di carri armati. 33 uomini, accerchiati sulle posizioni di
Klana—Castua, resistono alla marea nemica fino all'esaurimento delle
munizioni; soltanto cinque riescono ad evitare la cattura, gli altri ven-
gono fucilati sul posto. Ricordiamo i nomi di alcuni combattenti, i prin-
cipali animatori della lotta: Giuseppe Pucikar, Marietti, Rumora, Gino
Kmet da poco tornato dal campo di confino di Ustica, Angelo Pepoli
detto Totolo (caduto), Natale Brunetti, Giovanni Scomina, Silvio Baicich,
Ladislao Tomée (caduto), Oscar Marot (caduto), Giovanni Zollia (caduto),
Ermenegildo Lenaz (caduto).
Il « Battaglione Fiumano » investito contemporaneamente, riesce a
ritirarsi nel Gorski Kotar solo con poche decine di uomini e viene sciolto.
Fra i caduti, oltre al comandante, c'è il popolare calciatore Giovanni Ma-
ras. Anche il battaglione « Garibaldi », combattendo sulla linea Pehlin—
Drenova—Sarsoni e poi sul Kamenjak, finisce per sacrificare l’80 per
cento degli effettivi.
Sempre in ottobre, cadono i dirigenti e i più valorosi combattenti
del « Battaglione di Grisignana »: i fratelli Giacomo ed Erminio Corva.
Il « Battaglione parentino » mantiene il presidio di Parenzo fino al-
la metà di ottobre, quando in scontri sanguinosi con le colonne motoriz-
zate tedesche calate da Trieste e da Lubiana, subisce pesanti perdite. I
superstiti, a gruppi sparsi, raggiungeranno il Gorski Kotar.
In violenti combattimenti presso Canfanaro cade il polese Giulio
Revelante.
Il « Battaglione rovignese » finisce quasi completamente distrutto. 11
capitano Mario Cherin, membro del Comando militare partigiano del-
35
l'Istria con sede a Pisino e incaricato dei collegamenti con Rovigno, uni-
tosi agli altri dirigenti militari e politici rovignesi alla testa del batta-
glione — Giusto Massarotto, Egidio Caenazzo, Paolo Poduje e Giorgio
Valenta — cade eroicamente nel vano tentativo di portare il reparto al
sicuro. Insieme a lui, fra tanti altri che hanno la vita stroncata, cade un
altro ex ufficiale rovignese, Giovanni Apollonio. I tedeschi sfogheranno
la rabbia bruciando perfino l’edificio che è stato sede del comando par-
tigiano di Rovigno e del battaglione, la scuola di avviamento professio-
nale, il 9 ottobre. In un rastrellamento cade inoltre il vecchio militante
comunista Giovanni Pignaton. I superstiti del battaglione riparano: qual-
che gruppetto sul Monte Maggiore, qualche altro nel Gorski Kotar. Ri-
troveremo Massarotto fra gli artefici del battaglione « Pino Budicin »,
mentre Poduje e Valenta diventeranno dirigenti della Resistenza in Ita-
lia. Un altro combattente di rilievo, Venerio Rossetto, già volontario di
Spagna nelle file repubblicane, verrà invece fucilato nella sua Rovigno
nel gennaio del ‘44.
Alcuni fra tanti caduti
I tedeschi seminano ovunque distruzione e morte. In un bollettino
del 13 ottobre 1943 il Comando germanico parla di 13.000 « banditi » in
parte uccisi e in parte catturati. Cifra gonfiata, ma è pur vero che dal
2 al 10 ottobre, nella sola Istria, si hanno 2500 caduti e circa 1500 depor-
tati. Per restare ai combattenti caduti con le armi in pugno, ricordiamo
almeno coloro il cui sacrificio è testimoniato dai documenti. A qualche
nome già fatto si aggiungono quelli di Agapito Marcello da Pinguente,
caduto il 3 ottobre presso Capodistria; Danilo Angelini da Pisino, caduto
in ottobre presso Trstenik; Riccardo Barbaro da Villa di Rovigno, de-
portato il 5 ottobre e mai più tornato dai lager; Basilio Bassara da Fo-
scolin di Parenzo, caduto il 5 ottobre non si sa dove; Livio Bortolon,
caduto il 5 ottobre a Gimino; i rovignesi Giovanni Gnot, Ernesto Bon e
Pietro Malusà fucilati il 22 settembre; Marco Buletti da Dignano, caduto
il 10 ottobre presso Albona; Mario Hrelja da Rovigno, caduto il 12 set-
tembre a Villa di Rovigno; Giuseppe e Andrea Damiani, figlio e padre,
da Dignano, caduti il 5 ottobre nel villaggio di Cere; Carlo Derossi di Al-
bona, caduto il 2 ottobre sul Monte Maggiore; Pietro Fioretti, da Valle,
caduto il 5 ottobre nei pressi di Pola; Ferruccio Gortan da Dignano, ca-
duto in ottobre presso Pisino; Carlo Lupetina, da Pola, caduto in ottobre
non si sa dove; Italo Macchin da Torre di Parenzo, caduto il 6 ottobre
presso Brgudac insieme ai fratelli Giovanni e Antonio Palma, anch'essi
di Torre; Giovanni Malusà da Dignano, caduto in ottobre a Pisino; Matteo
Malusà da Rovigno, caduto il 22 settembre presso la sua città; Antonio
Manzin da Sissano, caduto 1'8 ottobre non si sa dove; Guerrino Meriggioli
da Pola, caduto nell'ottobre non si sa dove; Federico Ongaro da Arsia,
sparito nei lager; Michele Piffar da Rovigno, caduto il 10 ottobre chissad-
dove; Italo Plocar da Torre, deportato il 6 ottobre e sparito nei lager;
Antonio Racanelli, da Arsia, caduto il 4 ottobre a Lindaro; Attilio Rigo,
caduto il 9 ottobre non si sa dove; Antonio Santalessa da Albona, caduto
il 29 settembre presso Dignano; Angelo Sbisà da Rovigno, caduto il 18
ottobre chissaddove; Gusto Sergio da Foscolin, caduto il 5 ottobre non si
36
sa dove; Umberto Verna da Albona, caduto l’8 ottobre presso Klana; Pie-
tro Visintin da Visignano, caduto il 10 ottobre presso Rovigno; Rodolfo
Vita da Albona, caduto il 16 ottobre presso Bogliuno.
Si sbagliano però, i tedeschi e i loro accoliti se credono di aver
estirpato i « banditi comunisti » come vengono definiti i patrioti e anti-
fascisti. Passata la prima ondata della sanguinosa repressione, le forze
della Resistenza prendono subito a riannodare le file dell’organizzazione
partigiana, degli organi politici e delle organizzazioni di massa.
Il generale Savo Vukelié scriverà a trent'anni di distanza, rievocando
i fatti di settembre—ottobre in Istria:
« Era stata perduta una grande battaglia nell’impari lotta con i pro-
vetti reparti dell'armata tedesca. L’'Istria fu occupata da ingenti forze
memiche, ma la resistenza al nemico non fu soffocata e la lotta rivoluzio-
naria dell'Istria non cessò. Il Comando operativo seppe dare una giusta
valutazione, essendo al centro degli avvenimenti... dividendo tutto il
peso degli sforzi bellici e della lotta col suo popolo e l’esercito che stava
organizzando, la fiducia reciprocamente conquistata fu decisiva per l’azio-
ne del Comando operativo nelle nuove, difficilissime condizioni. Il Co-
mando, ridotto a tre uomini, si riunì sul monte Planik. Dopo l’esame
della situazione, decise di organizzare compagnie in tutto il territorio
dell'Istria, di mobilitare tutte le forze disponibili per la guerriglia. Questa
decisione fu unanimamente sostenuta dalla direzione del partito. »6
Nell’Albonese, l’organizzazione del partito comunista italiano, con
radici molto profonde e tradizioni rivoluzionarie, conta 300 militanti in
numerose cellule. Nella seconda metà di ottobre l’intera organizzazione
entra nel Partito comunista croato e si costituisce il Comitato distret-
tuale del PCC per Albona con alla testa Marino Lizzul-Falor (cadrà a
Moscenitka Draga nel luglio 1944 quale commissario di battaglione).
È appena passata la grande offensiva tedesca, lasciando proprio nel ba-
cino minerario le più profonde tracce di distruzione, che già opera la
« Prima compagnia partigiana » della zona affiancata da un « Gruppo
d'assalto ». Alla consultazione dei dirigenti comunisti dell'Istria, svoltasi
nei giorni 26 e 27 novembre a Brgudac, i compagni di Albona possono
riferire che nel loro distretto operano 6 comitati comunali di partito,
l’organizzazione della gioventù comunista (SK0OJ), il Comitato popolare
di liberazione distrettuale, i Comitati popolari di liberazione comunali e
63 Comitati di liberazione rurali, le organizzazioni distrettuale e comu-
nali del Fronte unico, della Gioventù antifascista e del Fronte femminile
antifascista.? La medesima situazione si riscontra nei distretti di Rovigno,
di Parenzo e nelle altre zone dell'Istria. Così, dopo aver massacrato al-
cune migliaia di persone e incendiato decine di villaggi, i nazisti ed i
loro servitori si trovano ben presto di fronte a un solido movimento re-
sistenziale ed a nuovi reparti armati, adeguati ora alla tattica della
guerriglia, disciplinati e mobilissimi che non gli danno tregua. Man ma-
no, questi reparti piccoli e dispersi acquistano nuova forza, si moltipli-
cano, s’ingrossano; nascono nuove compagnie, battaglioni e distacca-
menti.
6. Ibidem, « Istra u NOB u 1943 », pagg. 63—70.
7. Testimonianza di Caserio Hervatin, ingegnere minerario in pensione, residente ad Albona,
pubblicata sul « Novi list » di Fiume (3—4 agosto 1974). Il padre di Caserio, Antonio, fu
membro del partito socialista italiano dal 1920 e del PCI dal 1922.
37
Si riannodano i fili
I primi gruppi formatisi dopo il grande turbine dell’« Offensiva
Rommel », contano quindici, venti, trenta combattenti ciascuno. Non
hanno nessuna costituzione ufficiale, ma svolgono una significativa fun-
zione politica ed anche militare. Infatti, « con le loro azioni e appari-
zioni improvvise nei più disparati punti del territorio istriano, contri-
buirono a rinfrancare il morale della popolazione e a mobilitarla ».
Entro il mese di dicembre 1943 sono già organizzate 14 compagnie
partigiane. Il 7 gennaio 1944, quando i tedeschi intraprendono una
nuova offensiva per distruggere queste formazioni, la loro operazione
si spegne in tre giorni, trovandosi di fronte a due battaglioni costituitisi
in base all'ordine 9 del 30 XII 1943 del Comando operativo dell’Istria.
Altri due battaglioni sorgeranno il 14 e 17 gennaio 1944. La lotta prende
nuovo vigore « grazie anche ai sempre nuovi combattenti, anche italiani,
che vengono inquadrati in questi reparti o in compagnie speciali. Con
ciò si rafforza la fratellanza e l’unità dei croati e italiani dell'Istria, man-
dando all'aria tutti i piani dell'occupatore di indebolire e forse distrug-
gere il Movimento popolare di liberazione dell'Istria, spezzando questa
unità ».8
Uno di questi reparti italiani, minuscoli ma pericolosissimi (per il
nemico), è il Gruppo minatori ovvero guastatori, comandato dal rovi-
gnese Matteo Benussi-Cìo, un antifascista di vecchia data che, mentre
nel 1936 e nel 1940 ha fatto sventolare la bandiera rossa sul campanile
di Sant'Eufemia, « sulle ciminiere del conservificio Ampelea e del mu-
lino Calò arrampicandovisi come uno scoiattolo », ora ci sa fare col tri-
tolo ed affronta il nemico a viso aperto.
Bisogna cominciare dai « minatori » di Cìo la preistoria del batta-
glione « Pino Budicin ».
8. Vinko Antié in «Revolucionarna Istra », op. cit., pag. 44.
38
CAPITOLO II
DAL GRUPPO GUASTATORI
ALLA PRIMA COMPAGNIA
« Nel mese di novembre 1943 si formava una piccola compagnia di
minatori istriani.
La grande offensiva tedesca dell'ottobre, il grande rastrellamento,
avevano disperso i partigiani che s'erano raggruppati in montagna con
la caduta del fascismo. I tedeschi avevano devastato gran parte dei paesi
istriani e Ie popolazioni erano angosciate, inquiete. I partigiani veri però,
non si lasciarono sgomentare e, benché in pochi, continuarono la lotta
a morte contro l’invasore, organizzando la guerriglia e il sabotaggio.
La nostra compagnia di minatori partigiani, dunque in quel tempo
cercava di infliggere al nemico qualche colpo micidiale. »
Con queste parole l’Eroe popolare Benussi Matteo-Cìo inizia a de-
scrivere la prima azione del gruppo di guastatori da lui comandato.! Si
tratta della prima unità militare partigiana italiana dell'Istria, sorta
dopo la tragica parentesi dell'ottobre. L'eroe scomparso così continua
il suo racconto:
«Un giorno stavamo seduti in un canalone del monte e guardavamo
il mare, i boschi, le vette d’intorno, pensando appunto al modo di offen-
dere i tedeschi ed i fascisti. Era difficile muoversi, scendere dai monti nei
paesi, nelle strade e alle soglie delle selve, perché i nemici sorvegliavano
attentamente ogni luogo.
Eppure qualcosa bisognava fare. Un partigiano non può star lì fermo
senza combattere. Decidemmo perciò di mettere in esecuzione un piano
a cui già pensavamo da qualche tempo. Incominciammo a far delle cas-
sette con i resti delle tavole scampate dal fuoco che i tedeschi avevano
appiccato alle case dei contadini in montagna perché non servissero da
rifugio ai partigiani.
Si lavorava male, perché il calore delle fiamme aveva stemprato i
chiodi che ripiegavano e stentavano a penetrare nel legno. Ma alla fine
ne portammo a termine qualcuna e la riempimmo di tritolo. C'era dentro
di noi una certa ansia confusa ad una eccitazione strana, ad un entu-
siasmo per i prossimi colpi di mano che ci proponevamo di fare. »
1. Cio (Matteo Benussi), «I treni saltano in aria », in Almanacco dell’Unione degli Italiani
per il 1948, Fiume.
39
40
Una notte perduta
« Finimmo i preparativi. Le nostre facce erano serie. Non si parlava
nemmeno. Così ci mettemmo in strada sicuri di riuscire nel nostro in-
tento. Quella notte era oscura e di tanto in tanto veniva giù dal cielo
un breve rovescio di pioggia. Nel buio dovevamo camminare vicini per
mon disperderci. Dalla torre nei dintorni di Rovigno (si tratta della Torre
di Boraso, nda), scendemmo a valle. Quando giungemmo a Negré, ci fer-
mammo per mangiare qualcosa in una casa di contadini. Fummo bene
accolti ed ammirati... Ci fermammo pure per riposare ed aspettare la
guida che avrebbe dovuto portarci sull’obiettivo, dato che non eravamo
di quella zona e non potevamo conoscerla.
La guida era il compagno Giovanni del Carro (Delcaro, nda) di Di-
gnano. Questo compagno diceva di essere abbastanza pratico della zona,
cosicché noi ci mettemmo subito in cammino. Prendemmo per una stra-
detta fangosa. Era difficile muovere i passi. Le nostre scarpe affondavano
nella melma, il peso delle cassette ci impacciava. Ad un certo punto, per
andare avanti fui costretto a togliermi le scarpe. Il comandante Vincro
(si tratta di Vinko Brnéié, all'epoca commissario della III Compagnia,
nda) che si era unito a noi per assistere all’azione, lasciò in quel fango
uno stivale che a fatica riuscì a recuperare. Per di più la pioggia aveva
ripreso.
La marcia durò tutta la notte, ma il colmo fu quando, allo spuntar
del giorno, ci ritrovammo nei pressi del luogo da cui si era partiti!...
Tuttavia non pensammo affatto di abbandonare l'impresa. Puntammo
su Gallesano senza peraltro giungere in tempo a piazzare la nostra mina
perché ormai faceva giorno. Ci nascondemmo allora nel bosco di Siana,
vicino a Pola, e lì aspettammo l’ora opportuna. La pioggia non aveva
cessato di cadere. Noi riprovammo ancora durante tutto il giorno la
macchinetta per far brillare le mine e verificammo il filo in tutta la sua
lunghezza.
Più tardi, sotto la pioggia, cercammo di dormire un po'. A sera ci
mettemmo ad aspettare il treno. Quando da lontano sentimmo il suo sfer-
ragliare sulle rotaie, i nostri cuori ci balzarono in gola e tutti eccitati
aspettammo il momento adatto per agire. Ed ecco, ad un tratto, la loco-
motiva giunge al punto dove era la mina. Noi azionammo la macchinetta
e la mina posta tra i binari esplose con un lampo rosso. Rotaie, traver-
sine, sassi, schegge, volarono in aria ricadendoci intorno, passando con
violenza sopra le nostre teste.
Gli uomini che erano sul treno e che non erano stati travolti si but-
tarono giù dalla scarpata disordinatamente, penetrando nel bosco.
I compagni si ritirarono in fretta. Io, cercando di raccogliere gli stru-
menti, rimasi indietro e mi spersi. Dovetti stare tutta la notte nel bosco,
nascosto per timore che mi scoprissero. Pioveva sempre. I tedeschi, alla
prima luce, incominciarono un fitto rastrellamento. Fui obbligato a spo-
starmi insieme a loro, piegando e ripiegando come le loro squadre, rego
lando ‘i miei gesti sui loro gesti. Mi trovai così circondato da ogni parte
senza che i tedeschi se ne fossero accorti. »
Solo nel cerchio
« Essi sparavano tutt'intorno ed io strisciavo come una vipera per
non essere colpito. Era la prima volta che mi trovavo dentro a un simile
inferno, con quelle belve che avevano sete di sangue partigiano.
La fame mi mordeva lo stomaco, il sonno e la stanchezza mi avevano
stordito. Mi reggevo a fatica. Incominciavo a convincermi che non sarei
uscito vivo da quell'avventura. Allora giuocai l’ultima carta. Imbracciai
il fucile e mi misi a sparare per i cespugli come se anch'io fossi stato
un tedesco. Mi muovevo dietro di loro ed essi non si accorgevano del
trucco. Ben presto però le mie munizioni si esaurirono. Non sapevo più
cosa fare. Ero giunto intanto vicino ad un carro venuto nel bosco per
portar via legna.
Nascosi la mia arma. Di colpo pensai che forse quel carro sarebbe
stato la mia salvezza. Mi tolsi i vestiti che potevano dar nell’occhio e li
occultai sotto le frasche. Poi salii sul carro e incitai le bestie come se
fossi stato il padrone. Con quel carro riuscii a rompere l'accerchiamento
e a mettermi fuori pericolo. I tedeschi credettero davvero che io fossi il
padrone del carro.
Appena fui lontano, abbandonai le bestie e mi diedi alla fuga. Improv-
visamente non mi sentivo più stanco, era come se fossi stato ricreato ... ».
« Così dopo alcuni giorni rividi i miei compagni e dopo un po’ di
tempo ripresi la lotta con più rabbia... Giurai di portare a fondo la
guerra contro l’invasore, di continuarla sino al suo annientamento ».
Molti anni dopo, all’inizio di aprile del 1968, uno dei compagni di
Cìo, Luciano Simetti, parlerà con accento distaccato dei sabotaggi e delle
altre ardite imprese del Gruppo che fanno imbestialire tedeschi e fascisti.
Accennando al primo treno bloccato dalle mine dei guastatori — novem-
bre 1943, una locomotiva e cinque vagoni distrutti — Simetti commen-
terà: «La ferrovia era la passione di Cìo ». E ricorderà Milan Iskra,
Giorgio Bognar, Antonio-Nino Abbà ed altri dei primissimi, che facevano
parte del gruppo guastatori.
Qualche giorno dopo il fatto di Siana, saltano in aria un ponte sulla
strada per il Leme ed il cavalcavia ferroviario nei pressi di Rovigno.
La Compagnia rovignese
Le azioni continuano poi sempre più numerose, anche in appoggio
a un nuovo reparto che intanto si è costituito nel dicembre: la III Com-
pagnia Istriana, conosciuta come Compagnia rovignese. Composto da
italiani e croati, sotto il comando del fiumano Narciso Turk-Ciso (sarà
più tardi collaboratore dell’Agit-prop di Rovigno, del foglio partigiano
« La nostra lotta » e, nel dopoguerra, redattore del quotidiano « La Voce
del Popolo »), il reparto nasce in Stanzia Moncodogno, avendo a com-
missario politico Vinko Brntié. Sua zona di operazioni è il settore Ro-
vigno—Canfanaro—Dignano.?
La prima menzione ufficiale della compagnia rovignese ricorre in
un Ordine del Giorno, il N° 9 del 30 dicembre 1943, del Comando opera-
tivo partigiano dell'Istria che stabilisce fra l'altro:
«II. Vengono costituiti il I e il II battaglione partigiano istriano. Del
I Battaglione entrano a far parte le compagnie III, V e XII partigiane
istriane.
2. In «Istra e Slovensko Primorie », Rad, Beograd, 1952.
41
III. D'ora in poi, le compagnie entrate a far parte del battaglione si
chiameranno: l’attuale III compagnia — I compagnia del I Battaglione
partigiano istriano ...».3
Il reparto indicato come III compagnia al punto II e che diventa
I compagnia in virtù del terzo punto di quest'ordine è appunto la « Com-
pagnia rovignese » la quale, di volta in volta, in varie fonti e testimonian-
ze, viene indicata con nomi diversi. Così Danilo Ribarid rileva, nella sua
storia della 43.ma divisione istriana, che «...già nel 1943 era stata co-
stituita una Compagnia rovignese italiana, e combattenti italiani erano
inclusi anche in altre unità partigiane »,8 vis riferendo inoltre alcune azio-
ni condotte dalla Compagnia il 17 e 20 dicembre 1943. Nei documenti
raccolti e pubblicati in volume dall’Istituto di storia militare di Bel-
grado, lo stesso reparto viene indicato ora come III, ora come I o addi-
rittura come IV Compagnia. La confusione deriva dal fatto che coloro
i quali inviano notizie e rapporti ai comandi superiori non sono eccessi-
vamente preparati in... burocrazia militare; e le relazioni stesse, pas-
sando di mano in mano, giungono alquanto alterate a destinazione. Del
resto, le prime unità partigiane in Istria sono meglio conosciute col loro
nome d'origine, anche se la denominazione ufficiale viene via via cam-
biata in seguito a ristrutturazioni. Per i Rovignesi che ne formano il
grosso, la I ovvero III compagnia è sempre la « Compagnia rovignese »,
mentre per i loro compagni croati è la « Compagnia italiana ». In qual-
che azione si nasconde sotto un... numero romano, in qualche altra non
viene neppure menzionata, preferendo i rapporti riferirsi al più generi-
co « gruppo d'assalto del I battaglione istriano ».
Piccola cronaca
Le azioni condotte nel dicembre 1943 dal Gruppo dei guastatori e
dalla III Compagnia rovignese sono così sintetizzate nella cronologia uf-
ficiale della lotta popolare di liberazione in Istria:
« 17. XII. Attacco a una colonna nemica sulla strada Rovigno—Valle.
Un camion e un autobus vengono dati alle fiamme.
20. XII. Nei pressi di Gallesano vengono fatti saltare in aria una
locomotiva e tre vagoni. Viene inoltre messa fuori uso un'automobile e
ucciso un collaborazionista.
27. XII. Abbattuti tutti i pali telefonici nei pressi di Valle.
28. XII. Distrutto un chilometro di linea telegrafica fra Dignano e
Sanvincenti.
30. XII. Disarmata la guarnigione della caserma dei carabinieri di
Valle e fatti prigionieri 13 militi. Il bottino è 1 fucile mitragliatore, 1 mi-
tra, 11 fucili, 5 pistole ed altro materiale bellico ».5
In questo periodo, contraddistinto dall'attività febbrile di ben 14
compagnie partigiane, ciascuna delle quali agisce in un settore circo-
scritto della penisola istriana e generalmente nelle zone di origine dei
3. In « Borbeni put 43. istarske divizije », op. cit. pag. 80-81.
(3 bis) Ibidem, pag. 67.
4. Cf. « Zbornik dokumenata i podataka o narodnooslobodilatkom ratu jugoslavenskih naroda »
vol. V, libro 24.
5. In « Put Prve istarske brigade Vladimir Gortan », pag. 45.
42
combattenti, uno dei settori in cui la guerriglia si fa maggiormente sen-
tire è la bassa Istria, dove appunto operano — insieme o separatamen-
te, oppure in unione con altri reparti — le unità partigiane italiane.
Si lotta in vari modi
Tra le forme di lotta, non va trascurata quella della carta stampata.
Fin dall'ottobre 1943, con un ciclostile procurato da Antonio Giuricin-
Gian, nella zona di Rovigno, si stampano i primi volantini e precisamen-
te in Stanzia Monbrodo, in casa del contadino Pietro Malusà. Addetti alla
stampa sono Giusto Massarotto, Romano Malusà e Narciso Turk, ex
ufficiale dell'esercito, fiumano.
In una memoria di Antonio Giuricin, eloquente per indicare l’atti-
vità dei gruppi clandestini in città, leggiamo:6
« Entrai nel gruppo della Gioventù comunista (SK0J) del rione Monte
assieme ai miei amici e compagni Giovanni Veggian, Armando Apollonio,
Gino Gnot, Francesco Dessanti, Gino Tamburin e Giordano Paliaga, segre-
tario del gruppo ... più tardi entrarono nel gruppo, da me organizzati,
Piero Sponza e Duilio Malusà. Alle riunioni partecipava sempre, come
membro del Comitato cittadino dello SKOJ, Luciano Giuricin ... Ci riuni-
vamo sempre di primo mattino, subito dopo cessato il coprifuoco... In
queste riunioni, che erano molto succinte e concrete, si discutevano le
azioni da svolgere, la situazione politica generale e locale, la mobilitazio»
ne, la raccolta di aiuti per il MPL ecc. Ci scambiavamo la stampa e pren-
devamo in consegna i manifestini da lanciare, che ce li portava Luciano ...
Personalmente avevo anche un compito particolare da svolgere, quello
cioè di inviare quasi ogni giorno in succinto le notizie radio... Assieme
alle informazioni della situazione locale, le mandavo al mattino seguente
a mezzo staffetta al centro partigiano ».
Fanno da staffette Fanni Bronzin, la donna del latte, Silvano Rocco
ed altri. Nei primi giorni del 1944,
« ricordo, ci vennero affidati dei manifestini in lingua tedesca e italiana
da lanciare tra i militari tedeschi e italani della G. N. R. per convincerli
a disertare ».
All’azione partecipano, oltre ad Antonio Giuricin, Edda Bodi, Gian-
ni Veggian, Gianni Naddi. Come si vede, gli stessi dirigenti e gli attivisti
delle organizzazioni della Gioventù antifascista (USAOH) e comunista
(SKOJ), del Comitato popolare di liberazione, del Fronte femminile an-
tifascista e del Comitato distrettuale del Partito comunista di Rovigno,
costituitosi nel novembre 1943, possono considerarsi e sono gruppi di
combattimento. Tino Lorenzetto, Domenico-Uccio Medelin, Luciano Giu-
ricin, Eufemia Buttera, Fanny Bronzin, Romana Parco, Mario Hrelja,
Antun Pavlinié ed altri giovani; comunisti veterani e provati come Giu-
seppe-Pino Budicin, Augusto Ferri alias Guerrino Grassi detto il Bolo-
gnese, ed ancora Giusto Massarotto, Aldo Rismondo, Francesca Bodi, Ivo
Poropat-Skrlj (di nuovo italiani e croati insieme) danno filo da torcere
ai fascisti nel loro stesso covo.
6. Manoscritto inedito di Antonio Giuricin, citato ne «La guerra dei volantini 1941—1945 » di
Antonio Pauletich « Quaderni II » 1972 del Centro di Ricerche storiche di Rovigno.
43
CAPITOLO III
LA BEFFA DI GENNAIO:
NEL COVO DEI FASCISTI
Con l’inizio del gennaio 1944, la Compagnia rovignese, alias III Com-
pagnia ribattezzata ora I compagnia del I Battaglione partigiano istriano
in virtù dell'ordine del 30 dicembre 1943, intensifica le sue azioni. In un
documento leggiamo:
«5. I (1944): il Gruppo d'assalto del I battaglione partigiano istriano
è penetrato nella città di Rovigno, uccidendo tre fascisti ».i
Dietro questo telegrafico rapporto si cela una delle più audaci e
spettacolari azioni dei reparti italiani. Avviene la sera del 5 gennaio:
l'attacco al covo dei caporioni fascisti.
Crescendo il movimento di liberazione, il nemico cerca di propagare
la voce che i partigiani sono stati liquidati, che il Gruppo di Cìo è stato
distrutto. Per loro non esistono, insomma. Al tempo stesso, i pochi fa-
scisti rovignesi al servizio dei tedeschi si sono dati da fare per racco-
gliere tra la melma chi possa con loro ridar vita a una parvenza almeno
di Fascio. Ne hanno trovati una quindicina.
«I dirigenti del partito — testimonierà Luciano Simetti — avevano
intanto saputo che i ”neri” si sarebbero riuniti il 5 gennaio nella nuova
sede del fascio, al riparo del presidio tedesco. Facciamo veder loro,
dissero i comunisti rovignesi, che i partigiani sono ancora vivi. E si fe-
cero vivi, e come! »2
Nell'edizione del 7 febbraio 1944, il foglio partigiano «Il Nostro
Giornale » riporta nella terza paginetta una notizia dal titolo « Il fu
fascio di Rovigno » che dice:
« Una brillante azione è stata condotta dai partigiani nella cittadina
di Rovigno il m. s. facendo saltare in aria il covo delle spie fasciste. I servi
fascisti, dopo aver piagnucolato per la scomparsa dei loro compari, ten
tavano di riorganizzarsi per continuare le loro azioni criminali contro
1. In «Zbornik dokumenata o NOR », V/24, pp. 196 e 202.
2. Giacomo Scotti, « Genesi del Pino Budicin » ne « La Voce del Popolo » del 4 aprile 1968.
44
la popolazione. Per questo i Partigiani una bella sera hanno distrutto
questa tana con bombe e mitraglie, ferendone alcuni, destando vivissimo
entusiasmo fra le popolazioni di tutto il distretto. Lavoratori rovignesi
impedite che esso venga ricostruito e difendetevi da questi cani, servi
dei tedeschi! ».
L’azione verrà descritta in seguito più volte dai protagonisti. Uno
di essi, Mario Hrelja, ci fornisce tutti i dettagli prendendo l’avvio da
una riunione, svoltasi la mattina in località Stagnera, alla periferia della
città, del Comitato distrettuale del PCC. All'ordine del giorno è l’esa-
me della situazione politica in città. I dirigenti del partito sono parti-
colarmente preoccupati dalla campagna propagandistica che i fascisti lo-
cali stanno conducendo da alcuni giorni per la formazione della Guar-
dia Civica, progettata come una speciale unità armata col compito di
vigilare su Rovigno contro i partigiani.
«Le promesse per indurre i creduloni ad aderire all'iniziativa erano
diverse, ma certo l’aspetto più allettante era costituito dall’assicurazione
che i membri della guardia cittadina non sarebbero stati reclutati nella
milizia fascista e neppure nelle unità militari tedesche...
...Che fare? Come sventare il piano fascista? Questi gli interrogativi.
Bisognava agire rapidamente e con efficacia in quanto era questione di
giorni e forse di ore. Venne così deciso di organizzare un attacco in città.
Si sapeva che nel pomeriggio stesso, fra le cinque e le sei, alla Casa del
fascio era convocata una riunione di dirigenti fascisti rovignesi. Ciò
fece nascere l’idea e la decisione di far saltare quello stesso giorno il
covo fascista ».
Il piano viene messo a punto rapidamente, ed anche i preparativi
si concludono nell'arco di poche ore. A ciascuno dei partecipanti all’im-
presa viene affidato un compito preciso: procurarsi la pianta con la di-
sposizione dei vani della Casa del fascio, trovare le armi automatiche,
la benzina, preparare la mina. La pineta sovrastante il conservificio « Am-
pelea » (oggi Mirna) è il luogo di convegno dei combattenti. L'appunta-
mento è per le ore 17.30. All’ora stabilita, tutti si trovano sul posto. Ven-
gono distribuiti i ruoli: Pino Budicin e Augusto Ferri, rispettivamente
segretario politico e organizzativo del Comitato distrettuale, protegge-
ranno la ritirata in via della Circonvallazione; lo stesso compito è affi-
dato ad Antun Pavlinié-Toni ed a Giusto Massarotto nelle immediate
vicinanze della Casa del fascio e precisamente in via Roma (Carera)
e Toni a Sottolatina di fronte all'ingresso principale della tana fascista.
L'attentato sarà invece eseguito da Matteo Benussi-Cìo, Luciano Simetti
e Mario Hrelja.
Imprevisti del « mestiere »
Gli ardimentosi si avviano verso il centro della città.
«In quel periodo a Rovigno si trovavano, oltre alla milizia fascista,
altre formazioni nemiche come i "marinaretti”, i tedeschi, i mongoli e i
carabinieri. In tutto oltre 300 soldati. Durante il tragitto, il gruppetto si
3. Nell'articolo « Salta in aria la tana fascista » nella rivista « Panorama », Fiume 17 gennaio 1964.
45
trovò per due volte in sivuazioni quasi paradossali, che avrebbero potuto
concludersi anche tragicamente. Mentre stavamo percorrendo la via San
Martino, per raggiungere Carera, allora molto affollata, qualcuno urtò
Cìo che lasciò cadere la bomba, un involucro di metallo a forma sferica
pieno di tritolo. La macchina infernale cominciò a rotolare fra i pas-
santi e ci vollero almeno dieci passi a Cìo per impossessarsene nuova-
mente. »
Sia detto per inciso: tutte le sue mine, Cìo se le fabbrica con le pro-
prie mani, adoperando i mezzi più disparati. Nel caso concreto ha scelto
un grosso vaso di tonno, in uso al conservificio Ampelea, riempiendolo
di tritolo ricavato dalla testata di un siluro trovato in mare. Questo
siluro sarà per tutta la guerra la sua « fabbrica partigiana » di munizioni.
«Solo un minuto più tardi altro fatto imprevisto. L'ingresso della
Casa del fascio era identico a quello della Posta (si trova nello stesso
edificio, nda). Nella fretta i tre imboccarono proprio la porta sbagliata
e si trovarono a tu per tu con l'impiegata. Alla domanda di quest’ultima,
Cìo fu il più lesto a rispondere: "Abbiamo sbagliato porta” — disse. Ve-
loce dietro front e questa volta Cìo, Luciano e Mario imboccarono l’in-
gresso giusto. Bisognava salire al primo piano per una scalinata di pietra
bianca. Ai piedi della scala, scritto a grandi lettere nere, il motto fascista:
"Credere, obbedire, combattere”. Stava per iniziare la scalinata quando
l'orologio cittadino cominciò battere le 18.00. I rintocchi sembravano sus-
seguirsi con una lentezza esasperante. Mentre salivano le scale si fece
loro incontro una impiegata del fascio, una bionda slanciata dalle forme
pronunciate, sui trent'anni, elegantemente vestita. ‘’Dove?” — chiese con
tono autoritario di chi si considera dalla parte del padrone. "Portiamo
al commissario Moraro un paio di bottiglie di acquavite” — rispose Mario
indicando i fiaschi di Chianti pieni di benzina. Un sorriso della bionda
che evidentemente trovò la cosa naturale. "Seguitemi” — disse poi av-
viandosi per la scalinata. Proprio quando si trovarono di fronte all’uscio
della stanza in cui erano radunati i fascisti, Cìo le puntò contro la canna
della pistola. "Non una parola” — le intimò con voce ferma, indicandole
contemporaneamente con la mano di portarsi in fondo al corridoio ».
Il mitra inceppato
Da questo momento, gli avvenimenti si susseguono con rapidità ful-
minea. L’ordigno esplosivo e i fiaschi di benzina vengono appoggiati sul
pavimento, Luciano Simetti estrae il mitra che finora ha tenuto nascosto
sotto il cappotto, Cìo armeggia attorno alla macchina infernale. Fuori,
Mario Hrelja estrae lo « stayer » e, disinnescando al tempo stesso una
bomba a mano, fa irruzione nella sala insieme a Simetti. Nella sala, in-
torno a un tavolo lungo, sono radunati sette, otto fascisti.
46
« Era evidente la loro sorpresa. Il fascista Silvino junior, figlio del
portalettere Silvino, che in quel momento si trovava in piedi, si fece incon-
tro agli indesiderati ospiti. Luciano fece fuoco. Una traccia di sangue
comparve sulla fronte del Silvino, colpito solamente di striscio. Al posto
della consueta micidiale raffica, però, il mitra lasciò partire solo due o
tre colpi. "Spara Luciano” — gridò Mario. Ma tutti i tentativi risultarono
vani. L'arma si era inceppata.
Di colpo la situazione apparve critica. Attorno al tavolo, immobili, i
pericolosi banditi. Le nere uniformi che indossavano facevano risaltare
ancora di più il pallore dei loro volti. Sembravano figure di cera. In un
angolo della stanza erano riposti alcuni mitra ».
Con voce autoritaria, Mario Hrelja grida ai fascisti: « Fermi tutti o
getto la bomba! ». Intanto ha fatto segno a Luciano di raggiungere la
porta. Quando si trovano nuovamente nel corridoio, vedono che Cìo
ha già acceso la miccia, lunga appena cinque-sei centimetri. L'esplosione
può verificarsi da un momento all’altro. I tre partigiani, allora, scagliano
le bombe verso l’uscio della stanza dei fascisti e si precipitano per le
scale a rotta di collo. Sono appena arrivati nell’atrio quando una for-
midabile esplosione scuote l’edificio dalle fondamenta. Li investe una
pioggia di vetri e di schegge di legno.
In quel mentre Toni Pavlinié lascia partire una raffica di mitra so-
pra le teste dei passanti. In pochi secondi, centinaia di persone sparisco-
no dalla strada come inghiottite sotto terra. Correndo, i quattro parti-
giani raggiungono, attraverso il vicolo del « Volto », la via Carera dove
sta ad attenderli Giusto Massarotto. Anche qui un paio di raffiche per
spianarsi il cammino. In via San Martino i cinque camminano già a pas-
so normale, come se tornassero a casa dopo una lunga giornata di
lavoro.
« Tutti i fascisti che si trovavano nell’edificio al momento dell’esplo-
sione rimasero feriti. Ebbero salva la vita a quanto sembra, solo per il
fatto che si erano ritirati in fondo alla sala ...».
L'attacco alla tana fascista ha un’eco vasta e positiva. Diversi neri
lasciano la città con la paura addosso per trovar rifugio in acque meno
agitate; la popolazione parla addirittura, con malcelata soddisfazione,
che un intero battaglione di partigiani è penetrato in città.
Quella sera e per tutta la notte, i tedeschi e i loro collaboratori, in
pieno assetto di guerra, mettono sottosopra Rovigno, terrorizzandola.
Bloccate tutte le strade di accesso, perquisiscono i passanti ed operano
una quarantina di arresti. Quasi tutti gli arrestati finiranno poi nei cam-
pi di concentramento in Germania, ma da questo momento comincia e
diventa via via sempre più massiccia una nuova ondata di arruolamenti
di giovani italiani nelle file partigiane. Per quanto riguarda la Guardia
Civica, i tedeschi riusciranno sì a organizzarla — ciò avverrà in marzo —
ma subendo al tempo stesso una nuova sconfitta: la clamorosa fuga dei
giovani « arruolati » che raggiungeranno i partigiani con armi, bagagli e
le nuove uniformi appena indossate. Ne parleremo. Ora torniamo alla
Compagnia.
47
CAPITOLO IV
LA LIBERAZIONE DEI PRIGIONIERI
Tre giorni dopo l'assalto al covo dei fascisti, i partigiani della « Com-
pagnia rovignese », alias I Compagnia del I Battaglione istriano, si fanno
nuovamente sentire:
« 8. I. La I Compagnia del Battaglione ha attaccato un'automobile sul
la strada Rovigno—Valle uccidendo due fascisti ».1
Seguono altre azioni sulla linea ferroviaria tra Dignano e Gallesano
e altrove che hanno una vasta risonanza in tutto il territorio dell'Istria
sud-occidentale, galvanizzando le popolazioni, e tengono in continuo al-
larme i presidi nemici.? Infine, a poco più di un mese di distanza dal
clamoroso attacco al covo dei fascisti di Rovigno, i combattenti ricom-
paiono in questa città:
«9. II. Un plotone della I Compagnia del I Battaglione ha fatto sal
tare in aria la stazione ferroviaria di Rovigno. Sono stati uccisi 4 fa-
scisti »,3
Il fatto, per la sua importanza e motivazione, merita più di qualche
laconica annotazione. I combattenti sono animati, oltretutto, dalla pre-
cisa volontà di vendicare due loro compagni, i massimi dirigenti del
Movimento popolare di liberazione nel territorio rovignese, Pino Budicin
e Augusto Ferri, rispettivamente segretario politico e segretario organiz-
zativo del Comitato distrettuale del partito, caduti in un’imboscata fa-
scista la sera del 7 febbraio 1944 in località Santa Brigida presso Rovi-
gno. Ferri è rimasto gravemente e Pino leggermente ferito (avrebbe po-
tuto salvarsi ma non ha voluto lasciare solo il compagno), sono stati
successivamente torturati e infine fucilati, insieme a un compagno croa-
to, la mattina dell'8 febbraio sulla riva del porto di Valdibora.
1, In « Put Prve istarske brigade ...» op. cit. pag. 53
2. Ibidem, pog. 54
3. Ibidem, pag. 55
48
L'Eroe popolare Pino Budicin, uno dei principali artefici del-
la partecipazione degli Italiani alla LPL in Istria, caduto 1’8
febbraio 1944. Era segretario del Comitato distrettuale del PCC
di Rovigno e rappresentante degli Italiani allo ZAVNOH (Con-
siglio Territoriale Antifascista di Liberazione Nazionale della
Croazia). Al suo glorioso nome sono legate le gesta del batta-
glione italiano della I brigata »Vladimir Gortan«.
Settembre 1943. I funerali, al cimitero di Rovigno, di Bruno Zorzetti, uno dei 16
giovani rovignesi fucilati il 13 settembre 1943 presso Dignano. Fra i presenti c'è
pure Tino Lorenzetto (primo a sinistra), caduto nel dicembre 1944 in veste di se-
gretario del Comitato distrettuale dello SKOJ (Gioventù comunista) di Rovigno.
Il rovignese Mario Cherin, membro
del primo Comando partigiano istria-
no, caduto alla testa di un gruppo
armato idurante l'offensiva tedesca
dell'ottobre 1943,
=
L'Eroe popolare Matteo Benussi-Cìo, comandante del Gruppo
guastatori del battaglione »Pino Budicin« all’inizio del suo
ciclo operativo in Istria. È ritratto con la »macchinetta infer-
nale« che gli servì per far saltare in aria treni, ponti stradali
e ferroviari, tralicci della rete elettrica d'alta tensione ed altri
impianti nemici.
Uno dei tanti convogli ferroviari fatti saltare in aria da Matteo Benussi-Cìo. Siamo
nella bassa Istria lungo la linea ferroviaria Pola—Trieste. Un milite fascista sta
osservando il disastro fatto dai partigiani.
La Casa del Fascio (oggi Casa di salute pubblica) a Rovigno, gravemente danneg-
giata in seguito all’attentato dinamitardo del 5 gennaio 1944, compiuto da un
gruppo di partigiani con alla testa Matteo Benussi-Cìo. La foto risale ai giorni im-
mediatamente dopo la liberazione e mostra ancora i segni dell'esplosione.
La Stazione ferroviaria di Rovigno al tempo della guerra. Subì anch'essa un at-
tentato della compagnia partigiana rovignese il 9 febbraio 1944, quale risposta im-
mediata all'uccisione di Pino Budicin e Augusto Ferri da parte dei fascisti av-
venuta il giorno precedente.
Uno scorcio di Rovigno, quartiere di Valdibora, visto dall'aereo. Si nota al centro
il massiccio edificio delle prigioni (ora trasformato in deposito frigorifero della
»Mirna«), dalle quali, con un ardito colpo di mano dell'organizzazione giovanile
rovignese, vennero liberati numerosi prigionieri politici. L'azione ebbe luogo la se-
ra del 27 febbraio 1944.
Primi partigiani nella zona di Rovigno—Valle, assieme ad un gruppo di attivisti
del movimento popolare di liberazione. La foto risale a qualche giorno prima della
costituzione del battaglione italiano »Pino Budicin«.
——»
Una pianta di Rovigno dell’epoca con segnati i punti di importanti azioni e avveni-
menti che influirono in buona misura sulla costituzione del battaglione italiano.
1) il luogo dove, l'8 febbraio 1944. furono esposti i corpi straziati di Pino Budicin
e Augusto Ferri. 2) Le carceri dalle quali, il 28 febbraio 1944 con un abile colpo di
mano, furono liberati i prigionieri politici che costituirono uno dei primi nuclei
del futuro battaglione. 3) Il teatro »Gandusio« sede clandestina dei gruppi SKOJ
dei rioni S. Francesco e Monte (novembre 1943 marzo 1944), i cui membri nella
stragrande maggioranza entrarono a far parte del »Budicin«. 4) L'ex albergo »Adria-
tico« sede del comando tedesco, dei marinaretti e dei fascisti, dove furono tortu-
rati e uccisi Pino Budicin e Augusto Ferri. 5) L'ex casa del fascio repubblichino
(ora casa di salute pubblica) fatta saltare dal gruppo di guastatori dell'eroe popo-
lare Matteo Benussi-Cìo il 5 gennaio 1944. 6) L'ex caserma dei carabinieri dalla
quale il 23 marzo 1944, con un'azione combinata, fuggirono una trentina di giovani
mobilitati forzatamente nella »Landschutz« raggiungendo quindi la IV compagnia
italiana che venne quasi raddoppiata negli effettivi. 7) Lo Squero di Rovigno nel
quale un gruppo di quastatori della I compagnia del »Budicin« fece saltare in aria
un motoveliero pronto per servire il nemico. 8) Gli ex Bagni romani (ora sede del
club »Delfin«) dove, in occasione del 1 maggio 1944, ebbe luogo una delle più im-
portanti azioni dimostrative condotte dal »Budicin« in collaborazzione con le or-
ganizzazioni politiche rovignesi.
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Azione partigiana di rilievo
Le principali azioni condotte nel territorio tra Rovigno e Pola prima della costituzion
del »Budicin«, da parte della III compagnia rovignese, del gruppo dei guastatori €
Matteo Benussi-Cìo e della IV compagnia italiana, precursori del battaglione italian
(Novembre 1943 — marzo 1944).
« Saranno vendicati »
La notizia si è sparsa fulminea; dal ciclostile partigiano nel bosco
è stato diffuso questo volantino:
« Rovignesi!
Un nuovo altro esempio di "civiltà" fascista si è aggiunto ai già troppi
orrendi delitti di sangue compiuti dai servi dell’invasore nei loro estremi
tentativi di bestiale sadismo! Due purissimi Eroi, che tutta la loro labo
riosa esistenza avevano consacrata per il trionfo della giustizia, sono stati
barbaramente trucidati da dei vili sicari prezzolati dallo straniero.
Martiri della giusta causa!
Voi rimarrete sempre vicini a Noi per additarci la strada che ci avete
segnata. L'opera da Voi creata non si distrugge! Noi, che da Voi impa-
rammo, giuriamo di essere degni di Voi e di continuare con immutata
fede la Vostra battaglia fino alla Meta. Non un fascista rimarrà senza
pagare il suo conto di sangue! Questo è il nostro giuro e la nostra pro-
messa!
... Compagni! Un grido unanime erompe dai nostri petti: Sarete ven-
dicati! ».
L'attacco alla stazione ferroviaria (simbolica anche l'immediata vi-
cinanza di questo obiettivo al luogo in cui i fascisti hanno perpetrato il
delitto) è la prima risposta agli assassini di Budicin e Ferri i cui corpi
straziati sono rimasti esposti agli sguardi dei passanti — come ammoni-
mento — per parecchie ore. All’azione di controrappresaglia prendono
parte il capo del Gruppo guastatori Matteo Benussi-Cìo, Luciano Simetti,
Giorgio Bognar e Antonio Abbà. Gli impianti saltano in aria; l'opera di
distruzione è così radicale che la stazione rimarrà inoperosa per tutta
la guerra e potrà essere rimessa in funzione soltanto dopo la libera-
zione!
Nel frattempo, quello che è stato inizialmente un reparto misto italo-
croato, è andato ingrossandosi con l'afflusso di nuovi combattenti ita-
liani, quasi tutti rovignesi e la compagnia — già terza e poi prima del
I Battaglione partigiano dell'Istria — subisce una nuova strutturazione.
Il posto del comandante Narciso Turk-Ciso viene preso dal compagno
Gioacchino Jugo, mentre il compagno Luciano Simetti diventa commis-
sario, sostituendo Vinko Brnéié che diventa « facente funzione di co-
mandante del I Battaglione istriano », mentre il compagno Ivan Defran-
ceski, già commissario politico della II Compagnia, diventa commissa-
rio di battaglione. Così stabilisce l'ordine N. 19 del 15 febbraio 1944.4 In
virtù della medesima disposizione, la I Compagnia (ex III) del I Batta-
glione diventa « IV Compagnia italiana ». La cerimonia formale e solen-
ne — inquadramento degli uomini e giuramento — avverrà invece l’'8
marzo. Anche in seguito, tuttavia, nei rapporti sulle azioni eseguite dal
reparto italiano, continuerà a ricorrere, accanto alla nuova esatta deno-
minazione di IV Compagnia, quello di I Compagnia.
4. Il documento viene riferito in « Put Prve istarske brigade », op. cit. pagg. 71—72. Lo ripub-
blichiamo integralmente nel Libro II, Ordinanze militari.
4 Rossa una stella 49
« Istriani alle armi! »
Contemporaneamente al manifestino lanciato ai Rovignesi per ven-
dicare la morte eroica di Budicin e Ferri, il Comitato di liberazione na-
zionale dell’Istria diffonde un lungo appello, datato 7 febbraio 1944 e
intitolato « ISTRIANI ALLE ARMI!» e un volantino celebrativo per
« il 26 anniversario della fraterna Armata Rossa ». In questa occasione,
i gruppi giovanili d’assalto di Rovigno, su decisione del Comitato citta-
dino dello SKOJ, preparano un'azione in grande stile con lancio di bom-
be e manifestini, scritte murali, falò ecc. Della cosa, però, hanno sentore
i tedeschi e fascisti; capiscono, cioè, che si sta preparando qualcosa di
grosso e, probabilmente aiutati da qualche spia, arrestano i principali
dirigenti dell’organizzazione: Antonio Buratto, segretario politico, Tino
Lorenzetto, segretario organizzativo della gioventù comunista, e Dome-
nico Medelin-Uccio membro del Comitato cittadino dell’organizzazione.
Nonostante la grave perdita, l'operazione 23 febbraio si svolse egual-
mente con successo. La sera della vigilia, il 22, la città è inondata di vo-
lantini, sulle mura appaiono un po’ dappertutto scritte inneggianti al-
l'Armata Rossa e a Tito. Nei vari rioni scoppiano bombe e sparano pi-
stole, sulle colline si accendono i falò. Terrorizzati, i nazifascisti non ar-
discono di uscire dalle caserme. Un gruppo d'azione del rione Monte, di-
retto da Antonio Giuricin-Gian e da Giovanni Veggian, riesce perfino a
gettare dei manifestini dentro la caserma tedesca e davanti ai piedi delle
sentinelle.
« Gli Istriani hanno celebrato il 23 febbraio! », annuncia un titolo de
« Il Nostro Giornale » più di un mese dopo l'accaduto. L'estensore del
testo, quasi a volersi far perdonare il grande ritardo della notizia, co-
mincia col dire:
«Continuano a giungerci comunicazioni che testimoniano con quale
slancio e con quali risultati l’Istria abbia festeggiato il 26° anniversario
dell'Armata Rossa ».
Dopo aver elencato le azioni nel distretto di Albona, a Pola ed al-
trove, l'articolo dice:
«A Rovigno sono stati gettati migliaia di manifestini, fatte scritte,
accesi centinaia di falò e fatta una stella rossa a cinque punte larga 6 m.
Sono state gettate bombe anche nell'interno della città ed è stato ucciso
un tedesco ».5
Due giorni dopo, la IV Compagnia italiana, come ora si chiama la
« rovignese », sferra uno dei suoi colpi più duri al nemico. L'episodio è
riferito dal foglio partigiano « Il Nostro Giornale » in sesta pagina sotto
i titolo « Soltanto i partigiani stroncano il terrore nemico »:
«Da alcuni giorni a Rovigno una banda di nazisti e fascisti si era
abbandonata a saccheggi e incendi. Vennero uccise 2 donne e un uomo.
La popolazione terrorizzata fuggiva nella campagna. Ma il giorno 25, men-
tre una sessantina di loro si recava in camion a Pola per compiere altre
gesta sanguinarie, furono affrontati da una compagnia partigiana, ed im-
5. Nro 8 del 30 marzo 1944
50
pegnata battaglia, più della metà dei banditi veniva liquidata. Ed anche
questa volta la popolazione di Rovigno ha trovato nei valorosi Partigiani i
suoi vendicatori e difensori ».6
Nei documenti del Comando operativo per l’Istria, l'episodio è così
registrato in riferimento al I Battaglione partigiano:
« 25, II. La I Compagnia, in un agguato sulla strada Rovigno—Valle,
ha attaccato due camion e una motocicletta pieni di soldati. Quando è
stato aperto il fuoco, dall'ultimo camion sono scesi i nemici attaccando di
fianco la compagnia, la quale è stata costretta a ritirarsi senza però su-
bire perdite. Il nemico ha lasciato sul terreno 6 fascisti e un ufficiale ».7
La medesima Compagnia, indicata come « IV compagnia italiana »
dalla stessa fonte, entra il giorno seguente a Rovigno « liberando dalle
carceri 18 compagni, i quali sono entrati a far parte delle unità parti-
giane ». È un'operazione, questa, che — ancora una volta — merita di
non essere confinata in una nota telegrafica.
Si prepara il colpo di mano
I compagni finiti in prigione in seguito alla manifestazione del 23
febbraio non sono stati dimenticati. Si decide di liberarli con un colpo
di mano, e con l'aiuto della compagnia partigiana. Secondo le informa-
zioni raccolte, i tre dirigenti giovanili arrestati in occasione dell’anniver-
sario dell’Armata Rossa, dovrebbero essere trasferiti con altri prigionieri
entro qualche giorno a Pola, da dove difficilmente farebbero ritorno.
L'operazione evasione viene architettata in tutti i particolari nella sede
clandestina di uno dei principali gruppi giovanili, in una saletta del
cine-teatro Gandusio dove all’epoca lavorano Giordano Paliaga e Luciano
Giuricin. Quest'ultimo, all’epoca membro del Comitato cittadino dello
SKOIJ, scriverà:8
«Il piano venne elaborato nei minimi dettagli in questo centro dallo
stesso gruppo che doveva poi partecipare all'azione. Erano necessari però
l'approvazione e l’aiuto della direzione del Partito che si trovava in bosco,
per cui furono incaricati i compagni Giovanni Veggian e Giovanni Naddi
di recarsi immediatamente presso la base del partito rovignese per i primi
approcci. Qui venne deciso di affidare il compito di dirigere l'azione al-
l'organizzazione giovanile della città, mentre i compagni della base sa-
rebbero giunti in aiuto con alcuni tra i più esperti attivisti e con un grup-
po di partigiani armati come appoggio all’azione.
L'impresa doveva svolgersi la domenica sera del 27 febbraio. Al ritor-
no delle staffette erano stati affidati i compiti ad ogni componente del
gruppo. I problemi principali da risolvere erano due: curare che il cant
cello esterno rimanesse aperto fino al momento convenuto e procurarsi
le chiavi della stalla che si trovava dirimpetto alla prigione, la quale
avrebbe servito da ricovero provvisorio ai partecipanti l’azione. Risoltf
ambedue i problemi, si trattava ora di indicare ai compagni della base
6. Nro 7 del 9 marzo 1944
7. In «Put prve istarske brigade...» op. cit. pag. 55
8. Rievocazione apparsa sulla rivista « Panorama » No. 4 del 29 febbraio 1964; « Audace assalto
alle carceri di Rovigno ».
51
partigiana i punti strategici studiati in precedenza, dove dovevano essere
piazzati i fucili mitragliatori e i partigiani armati nonché il preciso iti-
nerario da seguire allo scopo di bloccare tutte le vie d'accesso alle car-
ceri, senza creare il minimo incidente o confusione di sorta...».
Nel frattempo, come sono trattati dai fascisti i tre dirigenti giovanili
caduti nelle loro mani? Racconterà Domenico Medelin:
«Qualcuno deve aver fatto la spia. Mi presero alle 6 del mattino, in
casa di una mia zia. Mi interrogarono con le buone” alla caserma (ora
albergo "Jadran”), poi cominciarono con le percosse; continuarono con
lo stesso metodo in carcere, sulla riva di Valdibora. Non parlai. Non par-
larono neppure Buratto e Lorenzetto. Le busse si ripeterono ogni giorno
fino al 27 febbraio... Il giorno prima i fascisti ci avevano detto: "Vi
diamo ancora un giorno di tempo: o parlate o sarete fucilati”. Invece è
successo quello che essi non si sognavano nemmeno. Quella sera, con
un’ardita azione dei giovani comunisti e dei partigiani, le prigioni vennero
assalite ...»9
Alle 18.30, mezz'ora prima del coprifuoco, con la chiave procuratagli
da un simpatizzante, Luciano Giuricin apre il portone della stalla dirim-
petto alla prigione. Uno dietro l'altro, alla chetichella e senza fare il
minimo rumore, tutti gli altri s'infilano nel rifugio: Giordano Paliaga,
Pietro Lorenzetto, Armando Apollonio, Gino Tamburin, i fratelli Gino e
Silvio Gnot, Giuseppe Sponza, Giovanni Naddi e Stefano Paliaga. Ad essi
si aggiungono i dirigenti partigiani Anton Pavlinié e Luciano Simetti in-
sieme ad alcuni altri componenti la Compagnia rovignese, giunti a dar
man forte. Gli altri partigiani si sono appostati sulle posizioni strategi-
che della zona circostante, per sbarrare le vie di accesso alle carceri e
proteggere in seguito la ritirata. Le loro posizioni si trovano presso l’Isti-
tuto di Biologia marina, al crocevia della Circonvallazione e nella attuale
via Augusto Ferri. Riferisce ancora Giuricin:
«Davanti al cancello delle carceri già da tempo si trovava il com-
pagno Giovanni Veggian, fidanzato con la figlia del guardiano delle car-
ceri. Era stato proprio questo importante particolare che aveva dato ori-
gine all'idea di questa azione e aveva permesso di realizzarla. Il compa}
gno Veggian aveva il compito di intrattenere la sua ragazza affinché il
portone delle carceri rimanesse aperto fino al momento prestabilito.
Al segnale convenuto, i compagni si misero in azione: entrarono nelle
carceri, tagliarono i fili del telefono, assalirono i secondini e in soli tredici
minuti riuscirono a liberare tutti i prigionieri, rinchiudendo nelle stesse
celle gli sbirri ».
Inseriamo ancora una volta la testimonianza di Medelin:
«Quando vennero i nostri a liberarci, io avevo pensato che fosse la
mia ultima ora. Nell’oscurità, quei passi affrettati nei corridoi mi par-
vero quelli dei carcerieri. Poi la porta si aprì col fragore dei chiavistelli e
riconobbi una voce: "Compagno — diceva — vieni con noi”. Era quella
di Anton Pavlinié. Corsi dietro di loro, ritrovai sul portone delle carceri
gli altri compagni e, in fila, sgattaiolammo verso ... la libertà ».
9. Testimonianza raccolta da Giacomo Scotti e riferita su « La Voce del Popolo » del 1° aprile 1964,
52
Una lunga fila di uomini composta dagli ex prigionieri e dalla mag-
gior parte dei giovani che hanno partecipato all’azione, procede portan-
do tutto ciò che è stato possibile racimolare nella prigione e, nel più
grande silenzio, lascia la città.
Nuovi partigiani
Quando i nazifascisti si accorgono della beffa, mezz'ora più tardi,
i liberatori e i liberati sono già al sicuro sulla via del bosco. Verso l’alba
raggiungono il Canale di Leme: Pavlinié, Simetti, Medelin, Antonio Bu-
ratto e gli altri. La compagnia partigiana italiana si è ingrossata di una
ventina di uomini. L'episodio avrà l'onore della prima pagina e un titolo
a disegno de « Il Nostro Giornale ».
« Da qualche giorno si trovavano in carcere 18 compagni arrestati dai
fascisti e tenuti come ostaggi. La loro vita era perciò in pericolo. La com-
pagnia italiana del Battaglione partigiano decide la loro liberazione. In-
fatti la sera del 27 febbraio viene presa d'assalto la prigione di Rovigno
e vengono liberati tutti i compagni. L'azione si è svolta verso l'imbrunire
ed è stata risolutamente calcolata e portata a termine in 15 minuti.
Dei 18 compagni liberati, 14 sono entrati a far parte della stessa Com-
pagnia che li ha strappati dalle unghie del nemico, per continuare a com-
battere contro l’ocoupatore ed i suoi servi fascisti i quali hanno intensi-
ficato le loro gesta selvagge e sanguinose.
All’azione audace compiuta dalla Compagnia Y vada il nostro elogio
e la certezza che essa si distinguerà prossimamente in altre brillanti
azioni ».10
10. Nro 7 del 9 marzo 1944
53
CAPITOLO V
LA COMPAGNIA « BUDICIN »
Prima di cadere sotto il fuoco del nemico, l'8 febbraio, Pino Budicin
aveva gridato in faccia ai fascisti: « Da ogni goccia del mio sangue, cento
partigiani! ». La profezia dell’eroe si avvera. In seguito al continuo af-
flusso di giovani combattenti italiani, la Compagnia italiana incorporata
nel I Battaglione istriano cambia via via la sua fisionomia e, sino all'’ini-
zio di marzo 1944, subisce diversi mutamenti nei suoi quadri dirigenti
e nei ranghi.
Una breve annotazione su « Il Nostro Giornale » sotto il titolo « In
onore dei nostri caduti »,1 dice:
« Il Comitato Distrettuale del C. P. di L. (Comitato popolare di libera-
zione di Rovigno, nda), ha deciso che la quarta compagnia italiana porti
il nome di "Giuseppe Budicin” in onore dell’eroico compagno barbara-
mente trucidato dalle belve fasciste. Una compagnia di prossima forma-
zione porterà il nome del compagno Augusto Ferri ».
Tutto qui. Nessun altro particolare, nessuna data. Ma non è difficile
ricostruire questo avvenimento di rilievo. Va intanto precisato che il
mese di marzo 1944 è un periodo importante per lo sviluppo della lotta
partigiana in Istria. In tutte le località della penisola, le organizzazioni
del Movimento popolare di liberazione sono impegnate nella mobilitazio-
ne di nuove forze giovanili onde rafforzare ed accrescere le formazioni
partigiane, e fra i nuovi volontari sono numerosi i giovani italiani.
È questo continuo afflusso nelle file dell’EPL a far porre il proble-
ma di costituire speciali unità di soli antifascisti italiani (per ragioni di
lingua, facilitando i comandi; per ragioni politiche e psicologiche ecc.).
I combattenti rovignesi sono i primi ad affrontare la questione, anche
perché da Rovigno l'afflusso delle « reclute » è più massiccio. D'altra par-
te Rovigno si vanta giustamente di aver dato i primi partigiani italiani
che hanno combattuto in seno alla XIII divisione in Lika prima ancora
della capitolazione dell’Italia, di aver per primi formato una propria
1. Nro 8 del 30 marzo 1944
54
unità partigiana nel settembre 1943 ed è la prima cittadina con popola-
zione italiana impegnata a creare un reparto armato composto esclusi-
vamente da italiani.
Cartoline precetto e volantini
In questo periodo, parallelamente alla mobilitazione obbligatoria di
varie classi decretata dai tedeschi in tutta l’Istria (incorporata nello
Adriatisches Kunstenland) viene effettuata un’altra mobilitazione da par-
te del Movimento popolare di liberazione. A Rovigno vengono diffusi vo-
lantini del seguente tenore:
«Giovani istriani! Non presentatevi alla mobilitazione degli oppres-
sori! Accorrete nelle file dell'Esercito Nazionale della Liberazione per da-
re, al fianco dell’invincibile Armata Rossa e delle Armate Alleate, l’ultimo
colpo agli assassini nazifascisti ovunque sconfitti!
Chi obbedirà agli ordini nemici sarà considerato traditore del popolo
e come tale sarà giudicato!
Viva l'Esercito Nazionale di Liberazione!
Viva il Maresciallo Tito!
Morte al fascismo! Libertà al popolo!
Questo manifestino serve da lasciapassare.
Ovaj letak vredi kao propusnica. »
A sua volta il Comitato di Liberazione per l’Istria diffonde un volan-
tino rivolgendosi ai « Giovani delle classi 1920, 21, 22! »:
«Il tedesco ha bisogno di altra carne da cannone per difendere le
sue posizioni minacciate da vicino dalla travolgente avanzata dell’Armata
Rossa e dall'imminente attacco degli Alleati. Il tedesco ha bisogno di altri
schiavi per colmare i vuoti causati nelle sue officine dai bombardamenti,
dalla fame, dalle epidemie. Si prepara la mobilitazione delle vostre classi!
Mettetevi in salvo fin che siete in tempo! Passate nelle file del Movimento
Popolare di Liberazione! Liberate le vostre case dal terrore dei nazifa-
scisti! ... Chi indossa la divisa tedesca o lavora per il nemico non avrà
diritto di vivere nel nostro libero Paese. Egli sarà giudicato TRADITORE
e condannato dal Tribunale del popolo... Venite coi vostri fratelli a
combattere per la giusta causa dei popoli! ... Viva la fratellanza d'armi
italo-croata nella lotta contro il mostro nazifascista! ».
A Rovigno vengono addirittura stampate cartoline precetto parti-
giane, con tanto di stella rossa al posto del timbro, recapitate attraverso
i canali segreti dell’organizzazione a molti aderenti e simpatizzanti. Gli
interessati vengono chiamati ad un abboccamento nella pineta di Monte
Mulini per accordarsi e ricevere le necessarie istruzioni per la partenza.
Da Monte Mulini
a Monte Paradiso
Nel giorno e all'ora convenuti, al convegno si presentano numerosi
giovani. Molti però sono ancora titubanti, non si fidano completamente
dell’organizzazione o temono rappresaglie alle loro famiglie. L'intesa è di
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ripresentarsi per la partenza la mattina dell’8 marzo. La data non è stata
scelta a caso. Entro la medesima data scade il termine di presentazione
alla leva obbligatoria ordinata dai tedeschi.
L’'8 marzo si presentano all'appuntamento una dozzina di giovani,
fra questi Giordano Paliaga, Luciano Giuricin, Giovanni Sponza, Antonio
Giuricin, Armando Apollonio, Giovanni Sponza detto Nino, Francesco
Sponza-Vantaso, Francesco Sponza-Piatolo, Virgilio Pavan, Bruno Vidotto,
i fratelli Silvio e Gino Gnot, Gino Medelin detto « Scuvita » che ha già un
fratello, Domenico, fra i partigiani. A proposito: « Scuvita » arriva all’ap-
puntamento portandosi un pistolone da museo, con la canna lunga quasi
come quella di un fucile, arrugginita per giunta, probabilmente residuato
della spedizione napoleonica in Istria di oltre cento anni prima. Ma qua-
lunque arma è buona in questi momenti, e Medelin « Scuvita » la nascon-
de sotto il soprabito come un tesoro. Questa pistola poi, tema di barzellet-
te di tutta la compagnia, ha una sola pallottola, grossa come un proiettile
di mitraglia pesante, con la punta superiore ricoperta di piombo ammac-
cato. Verrà fatta sparire il giorno in cui nei pressi del Canale di Leme,
maneggiata maldestramente, « sputerà » fragorosamente la sua pallot-
tola trapassando da parte a parte il palmo della mano del giovanissimo
combattente Bruno Vidotto, finendo per colpire il cinturone di pelle di
un altro partigiano...
Alla data del 9 marzo 1944, intanto, Giordano Paliaga, uno delle
nuove « reclute », ha annotato:
« Abbiamo lasciato le nostre case per raggiungere i reparti partigiani.
Ci siamo dati l'appuntamento nella pineta dietro (toponimo indecifrabi-
le, nda). E lì ci siamo trovati. Partiamo verso Campo Longo dove c'è qual-
cuno che aspetta l’arrivo della nuova gioventù. Partendo da C. Longo
verso sera ci siamo diretti nei boschi dove abbiamo trovato una ceta
(compagnia, nda) e diversi compagni. In questa prima sera mi faceva
strano di mangiare in recipienti grandi in 8 o 10 di noi. Ed in breve si
forma la prima, la prima Compagnia Italiana ».2
I nuovi volontari si trovano schierati, assieme ad altri giovani parti-
giani rovignesi, vallesi e dignanesi, in una piccola radura di Monte Pa-
radiso a una quindicina di chilometri dalla città.
Al raduno sono presenti il Gruppo guastatori di Matteo Benussi-Cìo
gon Giorgio Bognar, Abbà, Simetti ed altri, oltre ai dirigenti politici ro-
vignesi al completo: Giusto Massarotto, Anton Pavlinié, Mario Hrelja,
Antonio Buratto, Tino Lorenzetto, Romano Malusà, Francesca Bodi. Ci
sono ancora altri compagni, pure essi italiani, ma nativi di altre regioni,
che già da alcuni mesi combattono nelle file del nostro Esercito popo-
lare: gli ex militari del regio esercito scioltosi nel settembre 1943, nutriti
di una profonda fede antifascista.
A venticinque anni dall’insurrezione generale del popolo istriano del
settembre ’43, uno degli autori di questo libro si ritroverà con Luciano
Simetti, Milan Iskra, Pietro Sponza, Domenico Medelin e altri veterani
per rievocare il passato. Registrerà questo dialogo:
2. Op. cit. nella Premessa
56
«— Ma il siciliano, chi era?
— Chi, Succamillo? Un bravo combattente. Ragazzi, c'è qualcosa che
non va? — chiedevo, dice Milan Iskra. E Succamillo apriva subito la boc-
ca: — Sì, mi manca la pistola. Finché non avrò la pistola non sarò con
tento. Diceva che a lui, col mitragliatore, la pistola era necessaria come
il pane; e aveva ragione. La prima pistola che ci cadde nelle mani fu
per Succamillo.
— E Pace, vi ricordate di Pace? Certo, ma nessuno si ricorda il nome.
Solo questo, che era padovano.
— E Ciro Oliviero, poi, napoletano, ex sergente dell’Esercito, fu an-
che vicecomandante di compagnia.
— E Ferruccio Alberti, veneto. No, non era veneto, ma friulano. Sì,
friulano, bravissimo anche lui. E Napoli, Lorenzi ...».3
Alcuni cadranno nei mesi futuri, fra questi il milanese Crepaldi, ex
sottotenente del regio esercito, poi ufficiale del battaglione « Budicin »,
disperso nella battaglia di Popovo Selo presso Ogulin il 7 dicembre
1944. L'8 marzo, intanto, sono tutti schierati sul Monte Paradiso, veterani
e reclute, per formare la « prima compagnia partigiana italiana », ovvero
la IV Compagnia del II Distaccamento polese. Comprendono tutti che si
tratta di un avvenimento importante.
Ai combattenti schierati ed armati parla il compagno Giusto Massa-
rotto, il quale annuncia solennemente la costituzione del nuovo reparto
aggiungendo che «la compagnia, per onorare il martirio dell'eroe Pino
Budicin, porterà il suo nome ». Massarotto ha sostituito Budicin nella
carica di segretario del Comitato distrettuale del Partito.
Terminata la cerimonia, viene distribuito un rancio eccezionale con
i neopartigiani in gruppi di cinque o sei intorno a grossi pentoloni. Poi
la festa popolare, i fuochi da campo e le canzoni di lotta imparate in
città durante il periodo clandestino: « Avanti compagni, si leva...»,
« Insorgiam, è l'ora di riscossa », « Per montagne e verdi piani » ...
È cominciata veramente l’ora della riscossa degli antifascisti italiani
dell'Istria, chiamati a raccolta per combattere nelle proprie unità mili-
tari contro l’oppressore.
Vengono successivamente presentati i quadri dirigenti della compa-
gnia, che diventa la IV del I Battaglione istriano: comandante Gioacchi-
no Jugo, commissario politico Luciano Simetti.
Raggiunto un traguardo, comincia una nuova tappa.
3. Giacomo Scotti, « La genesi del Budicin » ne «La Voce del Popolo » del 4 aprile 1968, In
« Mancano all'appello » di Arialdo Demartini, si legge che Ferruccio Alberti è padovano.
Divenne vicecomandante di compagni; risiede in Italia,
57
CAPITOLO VI
GROSSI COLPI DI MANO
Con la compagnia « Budicin » è un po’ tutta Rovigno che combatte,
il cuore della città marinara batte all'unisono con quello dei suoi figli e
idealmente è con essi, nel bosco. I combattenti rovignesi, che dalla città
dipendono per vari rifornimenti e aiuti, si sentono adesso più che mai
legati alle loro famiglie e, operando quasi costantemente nel circondario,
spesso e volentieri dirigono i loro colpi verso il nemico in città. Non
mancano puntate su altre località, ma è Rovigno soprattutto che li chia-
ma. La compagnia, a sua volta, diventa un punto di riferimento e una
calamita potente per nuovi combattenti della libertà.
Dal giornale partigiano croato « Glas Istre » citiamo:1
«In marzo i partigiani hanno messo fuori combattimento, in Istria,
953 banditi: 536 tedeschi e 50 fascisti uccisi, 3 8 tedeschi e 50 fascisti feriti.
Sono stati distrutti 6 locomotive e 16 vagoni, 11 automezzi e una centrale
elettrica, fatti saltare in aria 6 ponti e circa un chilometro di strada
ferrata. Il traffico è rimasto interrotto per 924 ore ».
È un bilancio al quale hanno contribuito anche i combattenti ita-
liani e, in particolare, la Compagnia « Budicin » con varie azioni nei din-
torni di Valle, Villa di Rovigno e nella stessa Rovigno. Alcune di queste
azioni, per dinamica e natura, sono dei clamorosi colpi di mano.
Primo bottino: medicinali
Due vengono eseguite quasi contemporaneamente e in luoghi vici-
nissimi tra loro, con l'appoggio e la partecipazione dell’organizzazione
clandestina di Rovigno. Stabiliti i contatti con i « clandestini » in città,
ed eseguiti i preparativi nei minimi particolari, la Compagnia si divide
in due colonne, la sera del 22 marzo, iniziando la marcia verso la « popo-
lana del mare ». I compiti sono questi: prelevare un grosso quantitativo
di materiale sanitario e di medicinali dall'Ospedale S. Pelagio sull’omo-
1. Nro ll del 1. aprile 1944.
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nimo promontorio di fronte al porto di Valdibora; organizzare la fuga
dall’ex caserma dei carabinieri dei giovani rovignesi recentemente reclu-
tati dai tedeschi.
Un gruppo della Compagnia deve dare man forte agli organizzatori
della fuga, all’altro è affidata l'esecuzione della cosiddetta « Operazione
sanità ». Le due azioni devono essere simultanee per riuscire in pieno,
altrimenti si offre ai tedeschi il tempo di correre ai ripari impedendo
l'una o l’altra azione.
Per la verità, l'operazione all'ospedale è un vecchio progetto. Ci sono
stati già dei tentativi, ma ogni volta qualche imprevisto ha costretto a
rinviare il colpo grosso, e il bottino racimolato per vari canali è stato
magro. Ora è deciso: bisogna impossessarsi non di pochi chili ma di
parecchi quintali di materiale ospedaliero d'ogni genere.
Si sa che a S. Pelagio sono finite quasi tutte le scorte sanitarie pre-
levate dai depositi militari di Pola poco tempo prima della capitolazione
italiana, riempiendo scantinati e magazzini di tutti gli edifici dell’ospe-
dale rovignese; ma si sa pure che questa merce, tanto preziosa per i par-
tigiani, comincia pian piano a sparire: i tedeschi prelevano continuamen-
mente forti carichi. Pertanto, informata di un imminente repulisti tede-
sco (si parla di un ultimo grande trasporto per mezzo di camion), l’or-
ganizzazione di Rovigno si è data da fare. Il colpo non può essere procra-
stinato.
A dirigere l’organizzazione all’interno è stato chiamato il compagno
Antonio Brajkovié, del Comitato popolare di liberazione locale,® mentre
il drappello partigiano è guidato dai compagni Antonio Abbà e Gianni
Naddi.
L'operazione non si presenta facile. L'ospedale è sempre guardato a
vista da pattuglie tedesche e dai carabinieri, che solitamente arrivano sul
posto all'improvviso. E non si tratta di prelevare qualche pacco in fretta
e furia, ma di vuotare interi depositi. Ad alleggerire il compito, tuttavia,
c'è il guardiano notturno,* aderente al Movimento; conosce per filo e per
segno i punti strategici per arrivare ai depositi, ha pure procurato le
chiavi, fornendo infine gli orari abituali delle pattuglie.
Il trasporto, fatto prima con carri fin dove questi possono arrivare
e poi a spalla da squadre di portatori quando si tratta di passare per
sentieri impervii, dura quasi tutta la notte. Al mattino del 23 marzo i
primi grossi pacchi di materiale, avvolti e custoditi in carta blu, fanno
la loro apparizione nell'accampamento della Compagnia italiana, da dove
prenderanno la via degli ospedali partigiani che ne hanno estremo biso-
gno. Figura, nel bottino, perfino un’apparecchiatura completa per sala
operatoria.
Mentre al campo si è indaffarati col materiale sanitario, e c’è con-
fusione, euforia, ecco arrivare la seconda colonna ancora più chiassosa
e molto più numerosa di quando è partita. Sono arrivati, insieme ai
« vecchi », nuovi partigiani: le reclute scappate dalla caserma tedesca.
2. Lascerà la vita in un campo di concentramento.
3. Si tratta di Francesco Giuricin, deceduto nel 1974.
59
Quelli della « slanso »
Sempre sul « Glas Istre » leggiamo:4
«Da ogni parte della nostra Istria arrivano centinaia di nuovi com-
battenti. Dalla sola città di Pola e dintorni si sono arruolati nelle file del-
l'EPL 410 volontari. Da Rovigno sono arrivati 30 compagni nella com-
pagnia italiana Giuseppe Budicin”.
Presto il bandito tedesco non strapperà più gli uomini dalla terra
istriana. L'Istria si rende conto che soltanto nell’insurrezione generale
popolare stanno la sua salvezza e la libertà. »
Come hanno fatto a lasciare la caserma i giovani della cosiddetta
Difesa territoriale ovvero Landschutz che nelle intenzioni del Gaulaiter
tedesco dovrebbero difendere l’Istria? Rispondono i due principali or-
ganizzatori della fuga, Giuseppe Turcinovich e Arialdo Demartini5 i quali,
intanto, si chiedono: da chi dovrebbe essere difesa la nostra Istria?
Se l’è chiesto anche la gente quando sui muri di Rovigno sono apparsi
i manifesti della mobilitazione, e tutti hanno capito: i nostri figli vengo-
no mandati contro gli altri nostri figli, i partigiani.
Per assicurarsi che i giovani rispondano alla chiamata, il comando
tedesco ricorre al metodo del bastone e della carota. Da un lato cerca
di tranquillizzarli facendo sapere che saranno impiegati esclusivamente
nel territorio di Rovigno per il mantenimento dell’ordine pubblico, dal-
l’altro minaccia misure di rappresaglia contro le famiglie di coloro che
non si presentano entro il termine stabilito. Questa minaccia convince
circa ottanta giovani a presentarsi alla leva.
«La mattina del 7 marzo si trovarono davanti al Dopolavoro, tutti
con una faccia da funerale. Tra loro c'erano anche alcuni figli di noti
fascisti rovignesi che si videro subito circondati da una palese ostilità...
Degli ottanta, i dichiarati abili furono una quarantina, che vennero portati
nell'ex caserma dei carabinieri. Vestiti con nuove uniformi aventi sul
braccio destro lo stemma dell'Istria con la capra e la scritta Landschutz
(che i rovignesi battezzarono subito "slanso”), i giovani mobilitati vennero
affidati ad un maister (maresciallo) il cui compito doveva essere evidente-
mente più politico che militare. Infatti ai mobilitati non vennero affidate
‘ armi: dovevano essere prima ”lavorati”...».
C'è però anche chi fa un « lavoro » diverso. Sono alcuni giovani che si
sono arruolati su espresso ordine dell’organizzazione clandestina per
sondare il polso dei giovani e prepararli alla fuga. Dopo alcuni giorni,
Turcinovich, Demartini e Riccardo Daveggia (questi gli incaricati) sono
in grado di riferire che i giovani non esiteranno a prendere la via del
bosco purché la fuga appaia come un rapimento da parte dei partigiani.
Vogliono evitare rappresaglie contro le famiglie.
D'accordo con l’organizzazione interna, viene elaborato il piano di
fuga, mentre i tre responsabili continuano il loro lavoro fra i mobilitati.
Dopo una decina di giorni la situazione può considerarsi matura. Per
4. Nro 11 del l.aprile 1944.
5. Da una rievocazione pubblicata sulla rivista « Panorama », Nro 6 del 31 marzo 1964: « La via
della libertà ».
60
non destare sospetti, i giovani si sono fatti più disciplinati, con sommo
piacere del « maister », il quale crede di cogliere i primi frutti della sua
opera « educativa ». Infatti comincia ad affrontare anche l'argomento
« partigiani », che vanno combattuti e distrutti... Si vede che i tedeschi
hanno fretta. D'altra parte i giovani danno segni d’impazienza: sono in
caserma da quasi due settimane e ne hanno fin sopra i capelli della
« slanso ».
Scappano le reclute
Viene fissata finalmente la data e il luogo di appuntamento con
i partigiani: la notte fra il 22 e il 23 marzo. Ridiamo la parola ai pro-
tagonisti:
«Coloro che dovevano fuggire erano pronti. Gli altri non sapevano
niente... alle 22 venne dato il segnale di agire. Era necessario procedere
con la massima cautela senza far alcun rumore. Il "’maister” dormiva in
una stanza attigua alla camerata della truppa, dalla quale era separata da
una sottile parete di mattoni. Inoltre, nello stesso edificio, con entrata
a parte, c’era il comando della "Feldpolizei”. Gli organizzatori si erano di-
visi i compiti.
Anzitutto si doveva superare l'ostacolo delle sentinelle. Erano di guar-
dia quella notte Mimi e Nino. Il primo rimase indeciso, l’altro accettò di
fuggire e venne perciò incaricato di sorvegliare il suo compagno ,.}».
A Giordano (Chiurco) viene consegnata una pistola con l'ordine di
tener d'occhio i quattro figli di fascisti e di non lasciarli fiatare; De-
martini e Daveggia devono aprire la strada, lasciando primi la caserma
con i giovani del secondo piano, Turcinovich condurrà gli altri. A tutti
è stato impartito l'ordine di portar via le coperte e, possibilmente, le
armi del corpo di guardia; altre non ce ne sono in caserma.
Per primo si muove Demartini e con lui altri 19 giovani. Scendono
le scale scalzi, con in mano le scarpe e il bagaglio. La sentinella Mimi
trema come una foglia. « Stai attento — gli sussurra all'orecchio Arialdo
Demartini — la caserma è circondata dai partigiani e se fiati sei morto ».
Il gruppo infila silenziosamente il viale, dirigendosi verso il luogo del-
l'appuntamento con i partigiani.
Qualche minuto più tardi anche Turcinovich si avvia, seguito da una
quindicina di giovani che lasciano la caserma, dopo un falso allarme tra
lo stupore di quelli che restano. Portano seco le coperte e tre fucili.
I due gruppi si ricongiungono in una stradicciola sotto le mura del-
l'ex Oratorio salesiano: è il luogo in cui si attendono i partigiani. Tra i
fuggiaschi ci sono Riccardo Daveggia (cadrà tre mesi dopo, commissario
di compagnia), Giordano Chiurto, Giovanni-Nino Quarantotto detto Go-
rilla, Antonio Veggian-Nino, Giuseppe Dalino, Nicolò Budicin, Eugenio
Rocco detto Stila, Andrea Quarantotto (cadrà all’inizio di aprile 1945
alle porte di Ogulin), Giovanni Bulessi detto Malon (cadrà anche lui),
Pietro Benussi, Antonio Colli, Giordano Paliaga (« Cièn »), Marcello Bar-
zellato, Nicolò Cherin, Bruno Caenazzo, Giovanni Giotta e Mato Mato-
Sevié.
6. Oggi si chiama Viale della Giovertù.
61
La compagnia raddoppiata
L'attesa comincia a far tendere i nervi. L'ora stabilita è già passata
e i partigiani ancora non si fanno vivi; ed è pericoloso restare a lungo
sul posto, potrebbe passare qualche pattuglia tedesca, forse in caserma
è già stato dato l’allarme... All'improvviso una voce grida « Stoj! ». Il
comando di « altolà », che però gli italiani non capiscono, rompe il si-
lenzio della notte e fa gelare il sangue addosso a chi ancora non ha fatto
il partigiano. Prima che venga data una spiegazione, alcuni hanno già
scavalcato come frecce il muricciolo a secco e la siepe di rovi, dandosi
alla fuga nella campagna, per sfuggire alla pattuglia tedesca... che inve-
ce è un gruppo di partigiani. Chiarito l'equivoco, si ricompongono le file.
I nuovi compagni vengono fraternamente salutati, i « veterani » si con-
gratulano del buon esito avuto dalla nuova beffa giocata agli occupatori.
La compagnia « Budicin » è quasi raddoppiata negli effettivi. In co-
lonna, vecchi e nuovi partigiani scompaiono nella notte.
Il mattino del 24 marzo, a Rovigno si sparge in un baleno la notizia
che i partigiani hanno « rapito » i ragazzi della « slanso ». Tutti capisco-
no, però, che i giovani sono scappati e ne sono contenti. I tedeschi, in-
vece, sono furibondi e pieni di paura allo stesso tempo. Fin dal primo
mattino sono stati chiamati rinforzi da Pola: un reparto di fanteria
prende posizione alla periferia della città, mentre grosse pattuglie con-
trollano le strade e le vie. Evidentemente il comando della guarnigione
di Rovigno non si sente più sicuro. I partigiani hanno osato rapire i
« loro » uomini. Questa storia i tedeschi l'hanno bevuta anche perché i
pochi mobilitati rimasti, per non mettersi in maggiori pasticci, l'hanno
confermata raccontando che i partigiani sono penetrati in caserma con
le armi spianate, costringendo i giovani a seguirli. Loro, i testimoni, sono
riusciti a nascondersi. Lo stesso giorno vengono spediti a Trieste. Nella
medesima giornata si riunisce il Comitato distrettuale del partito comu-
nista di Rovigno (KKKPH). Una relazione di quell’organismo, datata ap-
punto 24 marzo 1944, dice fra l’altro:
« Nel distretto (Kotar) abbiamo circa 129 mobilitati di cui 58 italiani.
Oggi è stata compiuta un'azione in Rovigno ed è stato portato via altri
23 giovani che erano stati mobilitati dai tedeschi, già vestiti e sono usciti
con le coperte e valigie. Essi sono passati subito nella cetta italiana in
modo che il numero degli italiani sale al Nro. 152... Abbiamo fatto due
lanci di manifestini di appello ai giovani, alle mamme, l’altro d’intimida-
zione di non presentarsi alla mobilitazione nemica incoraggiandoli a pas-
sare nelle nostre file partigiane... ».7
7. L'originale si trova presso il Museo Civico di Rovigno. Il testo è stato parzialmente pub-
blicato in « Quaderni II » nel 1972 dal Centro di ricerche storiche di Rovigno, pag. 27. Richia-
miamo l’attenzione del lettore che nel documento c'è un errore di calcolo. Sommando i 58
combattenti italiani (dei 129 mobilitati) ai muovi 23 evasi dalla caserma tedesca si ha la cifra
di 81 italiani. Non è esatto, perciò, che «il numero degli italiani sale al no, 152 ». Tanti sono
complessivamente i vecchi e nuovi, italiani e croati. Un tanto è confermato da due verbali
del CPL distrettuale di Rovigno (pubblicati da Vjekoslav Bratulié in « Rovinjsko Selo », ed.
Jadranski institut JAZU di Fiume, Zagabria 1959). Nel verbale di una riunione del 27 aprile
1944 si legge: « In totale finora sono state mobilitate 197 persone di cui 94 italiani » (pag. 191)
e in quello del 2 maggio 1944 (pag. 196) sì afferma: « Dalla ultima riunione ad oggi si sono
arruolati 9 italiani e 5 croati. Totale 211, di cui 103 italiani ». Il 1° agosto 1944, infine: « Persone
mobilitate in questi giorni, 10. Totale mobilitati nel distretto, 247, di cui 115 italiani ».
62
Relazione del partito
Leggendo questo documento, ci sembra di capire che non tutti gli
uomini che in breve tempo hanno preso la via partigiana, dalla sola
Rovigno, sono confluiti nella « cetta », cioè Compagnia italiana « Budi-
cin ». Se così fosse questo supererebbe fin d'ora l'organico di un batta-
glione che ,nell’EPL a quest'epoca, si aggira sui cento-centoventi uomini.
Si sa che in marzo c'è un massiccio arruolamento di nuovi combat-
tenti, i quali scelgono l’esercito della libertà anche per evitare la mobi-
litazione dell’occupatore che, dopo le classi dal 1920 al 1922, ha comin-
ciato a chiamare alle armi le classi 1923—24 e 1925. La già citata relazio-
ne del KKKPH del 24 III ’44 fa cenno anche a questo argomento:
«La politica dei tedeschi continua ad essere fatta da buoni mettendo
i fascisti sotto odio della popolazione. Questa politica tenta a creare una
situazione favorevole per la mobilitazione che i tedeschi hanno già comin-
ciato per le classi 1923—24 e 25. Per avere successo hanno incominciato a
diffondere voci continue di rastrellamenti per intimorire la gioventù e
soprattutto i genitori acciocché questi mandino i giovani con i tedeschi.
I nazisti basano la loro politica sempre più sull’odio di nazionalità per
ché tanto oggi che domani ancor più potranno ricavare dato che si sono
accorti che la popolazione italiana tende soltanto a sinistra mentre quella
croata appoggia il movimento perché sente la questione nazionale. Risulta
che hanno prese sufficienti informazioni che gli dimostra come la popola-
zione italiana, specialmente quella di Rovigno, simpatizza fortemente per
il partito comunista... ».
Salta la barca
Praticamente, per restare alla sola Rovigno, fra gli uomini che hanno
ingrossato le file dell'EPL e quelli che in città continuano a operare nei
gruppi clandestini e nelle organizzazioni politiche, i combattenti del Mo-
vimento popolare di liberazione sono parecchie centinaia. E così dicasi
per Dignano, Valle, Pola, Parenzo, Orsera, Buie ed altre città e cittadine
con maggioranza di popolazione italiana a quest'epoca.
Rovigno, già conosciuta come il « bastione rosso » o « Piccola Mo-
sca » nell’anteguerra, dà l'esempio. Le azioni si susseguono di giorno in
giorno. Non si è ancora spenta l’eco dei due grossi colpi di mano all'ospe-
dale e alla caserma, che il 25 marzo tornano a farsi sentire i partigiani.
Un colpo operato dal gruppo guastatori è riferito da « Il Nostro Gior-
nale »:
« Il giorno 25 marzo i combattenti della compagnia italiana Giuseppe
Budicin”, fermarono una motobarca carica di vino e materiale per il ne-
mico. Il battello era costretto ad avvicinarsi alla costa ed il suo carico
sequestrato. Dopo di che il battello nemico veniva fatto saltare. La memo-
ria del compagno Budicin viene degnamente onorata dalle continue audaci
azioni della valorosa Compagnia che ne porta il nome. »8
8. Nro 9, del 30 aprile 1944.
63
Con estrema semplicità, con altrettanta parsimonia di parole, ma con
qualche dettaglio in più, l'episodio viene annotato da Giordano Paliaga,
uno dei protagonisti, nel suo diario:
«Un bel giorno abbiamo fermato una barca di vino diretta a Pola
che portava 240 hl di vino bianco per i signori Tedeschi. Ne abbiamo na-
scosto parecchio e fatto saltare la barca. L'equipaggio con 3 passeggeri
furono mandati su. Uno era di Rovigno, l’altro giovane di Pola, F(ascista)
Repubblicano e l’altro il grossista padrone del vino che aveva con sé
40 mille (lire) ».
La cattura della motobarca è stato il frutto di un vero e proprio
arrembaggio. Cìo e i suoi uomini, impossessatisi di una barchetta a remi,
si sono diretti verso il grosso natante in navigazione a un centinaio di
metri dalla costa e gli hanno tagliato la strada. Giunti a una ventina di
metri di distanza, hanno intimato l’alt con le armi spianate, costringendo
l'equipaggio a dirigere la motobarca verso terra. Le botti di vino, poi,
sono state scaricate con l’aiuto di alcuni contadini della zona.
Conclusa l’azione con la distruzione dell'imbarcazione i combattenti
della Compagnia eleggono « motu proprio » e all'unanimità il proprio co-
mandante, Milan Iskra. Un uomo che finora ha svolto la funzione di cor-
riere e di guida del reparto, dimostrando coraggio, decisione, sangue fred-
do e destrezza; pieno di risorse, insomma, capace di tirarsi fuori dalle
più complicate situazioni. Il comandante « deposto », invece, non sempre
ha avuto il polso fermo. I combattenti hanno messo così in pratica la
democrazia, senza attendere le decisioni dei comandi superiori che, tut-
tavia, accettano quasi sempre la volontà espressa dal basso.
In questo stesso periodo, verso la fine di marzo, un gruppo della
Compagnia « Budicin » porta a termine un'azione a Valle liquidando due
tedeschi. Ne sono protagonisti il vallese Otello Barbetti e i dignanesi
Alessandro Toffetti e Gildo Biasiol. Quest'ultimo racconta:
«Eravamo in postazione sulla strada Rovigno—Valle, nei pressi di
Valle, in attesa dei fascisti o di qualche automezzo. Visto che nessuno
passava e tutto era calmo, alcuni di noi decisero di fare una capatina a
Valle per procurarsi un po’ di tabacco. Andammo Barbetti, Toffetti ed
io. Erano le 16 del pomeriggio quando arrivammo in paese e, acquistato
il tabacco anche per gli altri compagni, ci fermammo all’osteria per or-
ganizzare una specie di comizio arringando i presenti. In quel tempo non
esisteva a Valle nessun presidio nemico. All'improvviso la gente incomin-
ciò a scappare gridando: "I tedeschi, i tedeschi!”. Ci informammo di cosa
si trattasse e venimmo a sapere che due soldati germanici, un tenente e
un sergente, provenienti dal forte di Barbariga, si trovavano in una casa
del paese. Individuata l’abitazione, penetrammo all'improvviso dentro con
l'intenzione di farli prigionieri. Invece, quando puntammo le armi addosso
ai due tedeschi, il sergente con una mossa fulminea prese per la canna
il fucile di Toffetti. Immediatamente reagii sparando due colpi di pistola
sul sergente, mentre Barbetti mise fuori combattimento il tenente. Il tutto
si svolse in un battibaleno. Conclusa l’azione, dopo aver raccolto le uni-
formi, le armi e i documenti dei due tedeschi, prendemmo la via del ri-
torno. I compagni si attendevano soltanto il tabacco, ci videro capitare
invece con un bottino ben più prezioso ».9
9. Testimonianza rilasciata il 13. IV 1974. a Luciano Giuricin per il Centro di ricerche sto-
rche di Rovigno. Gildo Biasiol è tuttora residente a Dignano,
64
Parte seconda
NASCITA E PRIMI PASSI DEL BATTAGLIONE
(4 aprile — fine maggio 1944)
CAPITOLO VII
IL BATTESIMO A STANZIA BEMBO
Alla fine di marzo, l'afflusso dei nuovi combattenti nelle file dei
reparti istriani diventa massiccio. Oltre a ingrossare le file della Com-
pagnia « Budicin », molti confluiscono nei reparti raccoltisi sul Monte
Maggiore dove, in concomitanza con la prima conferenza regionale della
Gioventù antifascista dell'Istria, il 1° aprile 1944 si costituisce la prima
brigata istriana « Vladimir Gortan » con tre battaglioni e due compagnie
speciali per un totale di 683 combattenti. Contemporaneamente nasco-
no il I Distaccamento partigiano « Utka » (Monte Maggiore) e il II Di-
staccamento polese.
In una relazione del Comitato regionale del PCC per l’Istria datata
22 marzo 1944, indirizzata al Comitato centrale della Croazia si legge
che « nelle file partigiane passano giornalmente circa 100 giovani » e in
pochi giorni il numero dei volontari ha superato i 2.000.1 Si informa
pure che in seno all’Agit-prop regionale è stata creata una sezione in lin-
gua italiana che, oltre a curare la pubblicazione de « Il Nostro Giornale »
(esce dall'8 dicembre 1943), ha stampato vari opuscoli. Stampa italiana
viene pure pubblicata dagli Agit-prop di Pinguente e Pola.
In un rapporto datato 23 aprile 1944, inviato dal comando della
V zona operativa dell’Istria — firma il commissario Joza Skodilié —
al commissario dellKI Korpus della Croazia, si illustra la situazione po-
litica e organizzativa nelle unità partigiane istriane e, in genere, la si-
tuazione nella penisola. Attraverso le azioni armate, afferma il relatore,
si è riusciti a intensificare la mobilitazione dei nuovi combattenti, e le
stesse unità sono diventate « abbastanza attive ». Il periodo considerato
— marzo principio di aprile — viene definito un'epoca « di massimo
slancio dei nostri reparti, sia per il consolidamento organizzativo che
per le iniziative militari e politiche »; un periodo e uno slancio che se-
gnano « l’inizio della creazione di forti unità militari ». « Soltanto nella
seconda metà di marzo sono stati mobilitati circa duemila combattenti
che sono stati inviati oltre » e con quell’« oltre » si sottintendono il Li
torale croato, il Gorski Kotar, la Lika e il Zumberak, come si apprende
1. Originale presso il Vojno-istorijski institut di Belgrado, registrato col n. 1/1-F-SK 1951.
67
da messaggi del Comando della 13. divisione al Comando dell'XI Corpo
(9 aprile e 11 aprile). L'afflusso dall’Istria diventa a tal punto massic-
cio che da « oltre » si chiede di sospendere l'invio dei combattenti fino
a nuovo ordine: « Dopo aver completato i ranghi dei nostri reparti, ci
sono rimasti circa 1000 istriani ai quali non abbiamo da dare nulla da
mangiare, sicché attraverso il settore di Karlovac li abbiamo spediti
nella Lika », informa il comando della 13°. Nella relazione di Skodilié
si sottolinea particolarmente l’attività intensa del II Distaccamento po-
lese nel quale, alla fine di marzo, militano già tre compagnie italiane,
I, II e III del I battaglione, che si trasformano in battaglione a se stante
il 4 aprile. In proposito lo stesso commissario del Comando operativo
per l’Istria, così scrive a tre settimane di distanza:
«In seno al II distaccamento polese abbiamo avuto una Compagnia
italiana, già da tempo operante, la quale isi è andata rapidamente ingros-
sando, sicché alla formazione del Distaccamento abbiamo proceduto a
formare anche un battaglione italiano al quale abbiamo dato il nome
di « Pino Budicin ». Il compagno, il cui nome è stato imposto al batta-
glione, è caduto da coraggioso nella lotta contro l'occupatore. Era un
compagno che godeva di vasta popolarità. È caduto in qualità di segre-
tario del Comitato Distrettuale del partito di Rovigno. La formazione
del battaglione italiano ha suscitato una vasta e positiva nisonanza fra
i patrioti italiami. »2
Una festa di popolo
Il Battaglione nasce a Stanzia Bembo, e l'avvenimento si trasforma
in una vera e propria festa di popolo. Ne sono testimoni, infatti, « oltre
duecento operai, contadini, pescatori, uomini e donne di Rovigno e dei
villaggi circostanti, che salutano i combattenti e si intrattengono con loro
facendo festa ».3
Al luogo di raduno i combattenti sono giunti nel corso della notte e
di buon mattino dai diversi settori di dislocamento: zone di Spanidigo,
Leme, M. Torre ecc. La Stanzia è nel mezzo del bosco. Da Rovigno, do-
po alcuni chilometri di camionabile andando verso Valle, si pren-
de una carreggiata stretta fra alte siepi serpeggiante in mezzo a macchie
e querceti. Più si va avanti e più si fanno fitte e intricate le macchie, che
si alternano a boschetti, brevi radure e, qua e là, qualche « lago » d'ac-
qua stagnante. Un uomo, una pattuglia, un plotone, potrebbe benissimo
stare in agguato, dietro gli alti e folti cespugli. A quattro chilometri dalla
camionabile, ecco una radura più ampia delle altre con sullo sfondo ro-
veri annosi e un gruppetto di poche case dai tetti rosso stinti o grigi:
un'oasi fra tanti boschi abitati soltanto da scoiattoli, fagiani e lepri.
I combattenti sono in gran parte rovignesi, ma non mancano i gio-
vani di altre zone dell'Istria — Dignanesi e Vallesi in particolare —
insieme a ex militari dell'esercito italiano che hanno scelto la via dei
boschi piuttosto che passare al servizio dei fascisti e dei tedeschi.
2. Il documento citato è pubblicato nel libro 26, tomo V di « Zbornik dokumenata » doc. 103, pagg.
500—518. L'originale dattiloscritto in lingua croata si conserva nell'Archivio del Vojno-istorijski
institut di Belgrado, reg. n. 12-1/10, k. 1321 A. Cfr. pure: Giacomo Scotti, « Quel quattro aprile
dal '44 » ne « La Voce del Popolo » del 7 aprile 1968.
3. Da un manoscritto di Milan Iskra, datato Rovigno gennaio 1964, conservato presso il Centro
di ricerche storiche di Rovigno.
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I più indossano divise militari, qualcuno magari soltanto la blusa,
qualche altro pantaloni militari e giacca « borghese » ma con la busti-
na. Nell'insieme, danno l'impressione di un reparto, le armi ce l'hanno,
sanno usarle e non mancano di fede ed entusiasmo.
All'atto della costituzione, il « Budicin » diventa III Battaglione del
II Distaccamento polese (Pulski Odred) della Quinta zona operativa
(Istria).
Alla cerimonia sono presenti esponenti delle varie organizzazioni
politiche del Movimento popolare di liberazione dell'Istria, numerosi di-
rigenti politici di Rovigno e dintorni e, in rappresentanza del Comando
operativo dell'Istria, i compagni Vinko Brnéié e Ivan Defranceski, ri-
spettivamente comandante e commissario politico del Distaccamento
polese, insieme al dirigente dei servizi sanitari del Distaccamento, dott.
Paolo Sfecci che cadrà eroicamente ai primi di maggio.
I primi comandanti
Ai circa 120 combattenti presenti, divisi in tre compagnie di circa
40 uomini ciascuna, che costituiscono il primo organico del battaglione,
rivolge un discorso il commissario del Distaccamento. Defranceski li
esorta «a dare tutto per il raggiungimento di quegli ideali di giustizia
e di libertà nazionale e sociale per i quali, qualche mese prima, aveva
sacrificato eroicamente la sua vita Pino Budicin ». Parlano anche altri
dirigenti politici e segue la lettura dell'ordine di nomina del comando:
Comandante di battaglione Giuseppe Alizzi, siciliano, ex tenente del
regio esercito italiano, entrato nelle file dell'’EPL nel settembre 1943;
commissario politico Luciano Simetti, uno dei primi partigiani di Rovi-
gno, già commissario della 1* Compagnia italiana del I Battaglione istria-
no; vicecommissario Antonio Buratto, già segretario dell’organizzazione
giovanile di Rovigno; ufficiale operativo Antonio Abbà, rovignese, già
membro del gruppo guastatori e vicecomandante della I Compagnia ita-
liana.
Prima compagnia: comandante Milan Iskra, commissario Giorgio
Pascucci; Seconda compagnia: comandante Nando Sasso, commissa-
rio Benito Turcinovich; Terza compagnia: comandante Deotto, commis-
sario Riccardo Daveggia.
Queste nomine verranno confermate con l'Ordine N. 29 del 15 apri-
le 1944, nell'ordine il documento 273/44 del Comando operativo per
l’Istria, in base al quale viene ristrutturato completamente il II Distac-
camento partigiano polese che risulta così composto: Primo battaglio-
ne con uomini della I e III e con la IV compagnia del preesistente I bat-
taglione partigiano istriano; Secondo battaglione con uomini della II
e con la V e VII compagnia del preesistente II Battaglione partigiano
istriano; Terzo battaglione italiano « Pino Budicin » con tutti gli uomini
delle compagnie italiane I, II e III del preesistente I Battaglione parti-
giano istriano.4
4. In « Zbornik dokumenata » libro 26; tomo V, doc. 63, pagg. 287—289. Il documento originale
si trova presso il Vojno-istorijski institut di Belgrado, reg. n. 20-3/8, k. 1321 A, nell'Archivio
dei Comandi ed unità dell'’EPL della Croazia in Istria e delle unità della IV Armata dell’APL.
È riportato integralmente nel Libro II (doc. nro 35).
69
Il Battaglione italiano risulta così strutturato su tre compagnie,
più un plotone esploratori e un plotone per vari servizi. Ne fa inoltre
parte, pur agendo in maniera autonoma, il Gruppo guastatori al coman-
do di Matteo Benussi-Cìo.
Il quadro iniziale della struttura di comando, sia qui subito detto,
subirà spesso, forse troppo spesso, modifiche e spostamenti, avvicen-
damenti in senso verticale e orizzontale, sicché non sarà sempre possi-
bile ricostruire con esattezza cronologica (anche perché i documenti so-
no spariti), i movimenti dei quadri militari e politici del battaglione.
Nel ricordo di uno dei superstiti si riproduce la struttura della
prima « desetina » del primo plotone della prima compagnia. Quel
gruppo di « primi » nell'inquadramento del battaglione schierato a Stan-
zia Bembo comprende Nino Radecca, caposquadra (caduto), Valerio
Cettina (disperso), Angelo Dobrich (deportato in Germania e per fortuna
tornato vivo), Abramo Drandich, Angelo Succamillo (deceduto), Giovanni
Gobich. È lui che ricorda.
Ma chi può ricordare nell'ordine tutti i comandanti e commissari
succedutisi alla testa delle compagnie? Si può soltanto tentare un som-
mario: Milan Iskra, Nando Sasso, Deotto, Quintilio Privileggio, Pietro
Lorenzetto, Spartaco Zorzetti, Domenico Medelin, Bruno Caenazzo, tr-
manno Siguri, Arialdo Demartini, Gaudenzio Bresaz, Antonio Calvia, Ma-
rio Puhar (Poccari), comandanti di compagnia; Luciano Simetti, Giordano
Paliaga, Riccardo Daveggia, Benito Turcinovich, Domenico Biondi, Fran-
cesco Sponza, Giorgio Angelo Pascucci, Diogene Degrassi, Ferruccio Pa-
strovicchio, Alberto Szabo, commissari di compagnia.
E si può tentare ancora, consci dell'incompletezza, un elenco degli
altri graduati: Angiulli, Carlo Filipié, Fernando Moscheni, Francesco Del-
caro, Renato Matticchio, Andrea Quarantotto, Romano Toffetti, Ferruccio
Pastrovicchio, Giordano Chiurco, Eugenio Rocco, Pietro Sponza, Aldo
Sponza, Giovanni Cerin, Giacomo Poropat, Leo Parmigiani, Pietro Benus-
si, Antonio Scocco, Alberto Szabo, Alfredo Gomini, Nino Vuolo, Otello
Pellegrin, Venanzio Rovina, Vittorio Geromella, Pietro Leonardelli, Fran-
cesco Cerlon, Giovanni Demori, Ferruccio Golessi, Ferruccio Alberti, Ba-
silio e Renato Kaléié, Andrea Cerlon, Bruno Colombin, Guido Segando,
Nicolò Budicin, Francesco Curto, Gino Bassanese ... Siamo già nel fu-
turo, presenti anche i morti. Nemmeno i loro nomi saranno tutti regi-
strati.
Certo, i furieri del battaglione — e ce ne sarà uno, Mario Deltreppo,
molto pedante per aver imparato il « mestiere » nell'esercito italiano —
segneranno tutto nei registri; e molti combattenti si preoccuperanno di
annotare le cose in diari personali; ma la guerra è la guerra. Luciano
Simetti che cerca di farsi un archivio personale e annota i fatti salienti
a parte, in un diario, dice:
«A Lokve, nell'aprile 1945, una granata di mortaio si portò via lo
zaino e le carte; per un pelo rimasi vivo. Lo stesso battaglione ha perso
tre volte il suo archivio nel corso della guerra. »5
5. Vedi nota 2). Oltre al documento, si riportano interviste con l'ex comandante Milan Iskra e
con l'ex commissario Luciano Simetti; quest’ultimo un vecchio combattente antifascista che
si trovò nelle file partigiane fin dalla primavera del 1943, quando, con altri compagni fra cui
Anton Pavlinié, aveva disertato l’esercito italiano.
70
Giuramento e rancio
Terminata la rassegna del reparto inquadrato, viene consegnata la
bandiera di combattimento, il tricolore italiano rossostellato confezio-
nato amorosamente dalle donne di Rovigno. Segue infine il giuramento
che i combattenti scandiscono ad alta voce, parola per parola: «.../ot-
teremo con tutte le nostre forze e, se necessario, daremo anche la vita
per la libertà dei popoli ».8
Sullo spiazzo della Stanzia, il battaglione non è al completo per la
cerimonia. Alcune pattuglie sono distaccate di guardia e qualche reparto
deve ancora arrivare all'appuntamento. Ma il grosso è qui e, al « rom-
pete le file » si fa festa. Dalle case dei contadini le ragazze hanno por-
tato il « rancio ». Che cosa si mangia? Si tratta, per l'occasione, di rancio
speciale a base di « gnocchi » — ricorda per esempio Arialdo Demartini
— ma c'è un po' di tutto, ricordano gli altri. Pasta e fagioli, cappucci,
« iota » e perfino funghi con carne (per i comandanti — scherza Milan
Iskra): un « menu » molto vario, insomma, perché varie sono le cucine.
Nella casa del contadino Vinko Cetina, proprio al margine della
radura, si è spesso preparato il pranzo per i partigiani che in precedenza
hanno sostato in questo luogo amico a gruppi e singolarmente, « ed an-
che a quelli del Budicin demmo da mangiare quello che potevamo. Era-
no però in troppi ed allora si misero in moto i corrieri. Vennero presi
contatti con le frazioni vicine e i contadini inviarono viveri ai nuovi
combattenti ». È il brano di una testimonianza del padrone di casa che,
. dieci anni dopo l'avvenimento, in occasione di un raduno dei reduci del
battaglione italiano, riferirà i suoi ricordi a un giornalista.”
Un giorno indimenticabile anche per Cetina, uomo abituato ai par-
tigiani, e per sua moglie che non si rende conto di quanto sta succe-
dendo sotto i suoi occhi. Lo chiede al marito che, tornato dal bosco dove
è stato a far legna, ha sentito « canti e suoni di qualche fisarmonica
provenienti da diverse direzioni ». Sono i nuovi partigiani, risponde, e
sono italiani. La donna annuisce. Italiani, sempre allegri questi italiani.
E della musica non possono fare a meno.
Fucili e fisarmoniche
Oltre al fucile, infatti, qualche combattente ha portato pure la fi-
sarmonica. Come Eugenio Rocco, soprannominato Genio Stila, figlio di
Gregorio, un combattente della Guardia Rossa che nella Rivoluzione
d'Ottobre combattè insieme al fratello Matteo, il quale ci perse una gam-
ba. Racconterà Genio, nel dopoguerra:
6. Vedi nota 2 e 3. Sulla data del giuramento, viene pure indicato il 5 aprile in qualche fonte,
confermata da Pietro Benussi, Francesco Sponza e Bruno Caenazzo nelle loro testimonianze,
ma contrastata da Demartini e altri combattenti.
7. Da un articolo di Claudio Radin «I contadini di Stanzia Bembo ricordano il 4 aprile 1944 »
pubblicato su « La Voce del Popolo » del 3 aprile 1954 per il decennale del Battaglione. Nella
medesima edizione del quotidiano si pubblicano « Ricordi dal carcere — Ho conosciuto Pino
Budicin », rievocazione di Franjo Neffat, e « Tre volte all'assalto della Quota senza nome »
di Antonio Calvia che rievoca un combattimento sostenuto dal Battaglione italiano presso
la stazione ferroviaria di Lokve.
71
«La fisarmonica me la sono sempre portata sulle spalle. L'avevo
anche a Stanzia Bembo, per la formazione del battaglione. Si fece un
po' di allegria. E anche dopo, nelle marce, durante il niposo, tra una
battaglia e l’altra, faceva bene un po’ di musica, anche per cantar meglio.
Noi rovignesi come si fa a non cantare? Poi si cantava nei comizi. Suo-
nava anche Nello Milotti che componeva pure canzoni. La fisarmonica
di Stanzia Bembo si è perduta in qualche azione, ma qui ho ancora una
fisarmonica che suonavo ancor prima della nascita del Battaglione, con
la Compagnia italiana. Ci ero entrato nel marzo del Quarantaquattro,
avevo ventiquattro anni e da otto mesi facevo l’imboscato, dall'agosto
del Quarantatré, tornato a casa in licenza militare. Finita la licenza mon
mi ero ripresentato e quando decisi di riprendere le armi, lo feci per
combattere i tedeschi e i fascisti; così mi feci partigiano. Con la fisar-
monica e il fucile, sempre nel "Budicin” fino alla fine. Mi congedai nel.
l'ottobre del Quarantasei col grado di sergente maggiore ... »8
Il rancio « speciale » di Stanzia Bembo viene inaffiato da un quar-
tino di vino distribuito a ciascun combattente. Non è cosa di ogni gior-
no. L'euforia del momento solenne, alimentata dal buon goccio e solle-
citata dal suono delle fisarmoniche, fa rifiorire sulle labbra dei parti-
giani italiani i canti di lotta già levatisi a Monte Paradiso quando nac-
que la Compagnia « Budicin »:
« Avanti, compagni, si leva...»
Oppure:
« Insorgiamo, è l'ora di riscossa
di chi vuol la libertà...»
Tornano a spandersi per la campagna i canti tante volte cantati e
qualcuno, come già al nascere della IV Compagnia italiana P. Budicin,
dice di non gridare per non farsi sentire fino a Rovigno; al che Matteo
Benussi-Cìo, vecchio combattente antifascista chiamato l’'« Ilija Gromov-
nik istriano », risponde: « Sentiranno presto cantare anche le armi 2
non soltanto le canzoni! ».
Primo combattimento
Ancora una testimonianza, di Domenico-Uccio Medelin, che sarà l'ul-
timo combattente del « Budicin » ad essere smobilitato dall’Armata Po-
polare Jugoslava, nel 1965, col grado di maggiore. C'è anche lui il 4 aprile
a Stanzia Bembo, diciottenne, dopo aver partecipato, tre giorni prima,
sul Monte Maggiore, alla prima conferenza regionale della Gioventù an-
tifascista dell'Istria:
« Ricordo il 4 aprile 1944 a Stanzia Bembo. Battaglione inquadrato,
discorsi, entusiasmo, giuramento, canti. Divenni comandante di ploto-
ne...,»9
8. Da una rievocazione raccolta da Giacomo Scotti « Il combattente con la fisarmonica » pubbli-
cata su «La Voce del Popolo » del 2 aprile 1968.
9. Da una rievocazione raccolta da Giacomo Scotti, « Da Monte Maggiore a Gomirje Domenico
Medelin-Uccio » pubblicata su «La Voce del Popolo» del 1 aprile 1974.
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Sul più bello della festa, si sente sparare dalle alture circostanti,
segno evidente che il nemico vuol guastare l’allegria. Di conseguenza
diversi gruppi del battaglione ricevono l'ordine di entrare in azione.
Uccio Medelin ricorda di aver condotto il suo plotone sulla strada di
Moncalvo dove gli uomini, avvertiti dell'imminente arrivo di un camion
tedesco da Pola, attendono in agguato. Invece, arrivano un motocarroz-
zino, un camion e un’autoblindo. I combattenti attaccano, il combatti-
mento si protrae aspro per qualche ora. Al nemico vengono inflitte que-
ste perdite: il motocarrozzino ed il camion distrutti, quattro morti e
alcuni feriti.
Di questo combattimento ha memoria viva anche Vinko Cetina, il
contadino di Stanzia Bembo: « Sì, quella sera, ricordo benissimo, il bat-
taglione attaccò i fascisti sotto Moncalvo. In tutta la zona si sparse ful-
minea la notizia che il "’Budicin” aveva inferto un duro colpo ai banditi ».
Altra conferma viene dal rapporto sulle operazioni di aprile 1944
del Comando operativo dell'Istria. Alla data del 4. IV. si legge:
« Nello stesso giorno una compagnia italiana del I Battaglione par-
tigiano ‘istriano ha teso un'imboscata sulla strada presso Rovigno a un
gruppo di 8 fascisti che si avviavano per saccheggiare i vicini villaggi.
Sono stati uccisi cinque fascisti, fra i quali anche l'assassino di Pino
Budicin. »10
L'episodio viene registrato anche dal « Glas Istre » in una notizia
intitolata « Osvetili smo druga Budicina » (Abbiamo vendicato il com-
pagno Budicin):
« Una compagnia del I Battaglione italiano del Distaccamento polese
ha attaccato i fascisti che andavano a saccheggiare in occasione di Pa-
squa. Sono stati uccisi cinque fascisti, tra questi l'assassino del compa-
gno Budicin, eroico combattente italiano della prima ora, che ha dato
la isua vita per la libertà della nostra patria e per l'unione dei popoli
croato e italiano dell'Istria. »11
Un altro plotone, contemporaneamente, si è portato a Sarisol. Chi
è rimasto a Stanzia Bembo lascia la località nella notte. A gruppi, gli
uomini si dirigono in varie direzioni con l'ordine di ritrovarsi l’indoma-
ni in Stanzia Garzotta, sempre nella campagna rovignese, però dall'altra
parte delle carrozzabili, poco distante dalla casa di « Peîcio Pare ». Ci
si ritrovano, infatti, e il 5 aprile prestano lì giuramento coloro che non
hanno avuto occasione di farlo il giorno prima, e vengono completati i
comandi delle compagnie del Battaglione.
Dal bosco, l'Agit-prop rovignese diffonde questo volantino:
« Giovani istriani! Continuamente le mostre file si ingrossano con i
migliori figli dell'Istria: la compagnia "Pino Budicin” è diventata il Bat-
taglione "Pino Budicin”. Su, giovani, non aspettate che il barbaro te-
desco vi porti via e vi iincorpori nella S. S. come ha fatto con gli altri!
Alle minacce impotenti del nemico, rispondete arruolandoVi tutti
nell’Esercito del Popolo!
10. Cfr. « Borbeni put 43. istarske divizije », op. cit. pag. 113 e « Zbornik dokumenata NOR »,
V/26, 446. Il documento originale si conserva presso il Vojno istorijski institut di Belgrado,
k. 569, f. 5/I, doc. 28.
11. Nro 12 del 26 aprile 1944.
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L'ora di agire è giunta per tutti, venite con noi! Ormai il nazifasci-
smo è sull'orlo della sua tomba: l'Armata Rossa avanza irresistibilmente
verso la Germania, l’ENL Jugoslavo tiene in iscacco molte divisioni te-
desche, gli Alleati danno duri colpi sul Fronte aereo ed è vicino il mo-
mento dell'attacco decisivo.
Giovani, siete voi che dovete difendere la vostra terra! »
Seguono gli evviva all’Esercito popolare, al Maresciallo Tito e al Bat-
taglione « Pino Budicin ».12
Il comando del II Distaccamento polese assegna al battaglione ita-
liano, come zona di operazioni, il territorio dell'Istria meridionale com-
preso tra Pola, Rovigno e Parenzo. Comincia la vera e propria storia del
« Budicin », o se vogliamo, un capitolo che sarà lungo un anno e un
mese, senza contare oltre due anni del dopoguerra.
12. Questo ed altri volantini citati sono riprodotti in « Quaderni » del Centro di ricerche storiche
di Rovigno, vol. II, 1972.
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CAPITOLO VIII
LA TATTICA PARTIGIANA
La base principale del Battaglione è sulla sponda meridionale del
Canale di Leme (San Tumà, Muntero, Marboi, Fratusa), una zona ben
conosciuta dai pescatori, soprattutto dai pescatori di frodo e da. chi,
come Milan Iskra e Matteo Benussi-Cìo, hanno dovuto arrangiarsi per
vivere sotto il dominio fascista. Tra un'azione e l’altra è qui che si ri-
trovano i singoli reparti, ai quali non mancano altri rifugi relativamente
sicuri come Stanzia Garzotta, Stanzia Gatti, la famosa Stanzia Bembo
ed altri posti nei boschi.
È a Stanzia Bembo che il battaglione perde il suo primo uomo,
e non in combattimento: il dignanese Orlando Gorlato, deceduto in se-
guito a una grave ferita da un colpo di pistola partito inavvertitamente
dall'arma del combattente Alberto Demarin. Dopo aver trapassato da
parte a parte il ventre del povero Gorlato, la pallottola colpisce alla
gamba, Gildo Biasiol, dignanese pure lui, aprendo nell’'arto una pro-
fonda ferita.
L'incidente avviene il 14 aprile. Vengono subito organizzati i con-
tatti per trasportare il Gorlato all'Ospedale di Rovigno; un intervento
chirurgico potrebbe salvargli la vita. Purtroppo, mentre i corrieri sono
in marcia verso la città, Orlando Gorlato esala l’ultimo respiro, dopo do-
dici ore di lenta agonia. Gildo Biasiol, invece, viene trasportato all’« ospe-
dale partigiano » del Leme dove gli presta le cure necessarie il bravo
« dottore » Genio Poropat.
Le zone d'azione assegnate alle singole compagnie, che devono agire
di regola ciascuna per proprio conto, sono: zona di Parenzo—Orsera
e Leme (I Compagnia), zona di Rovigno—Valle (II Compagnia) e zona di
Dignano—Pola (III Compagnia), ma alla prova dei fatti lo schema può
cambiare, e spesso cambia.
Rispetto della lingua
Nella citata relazione del Comando operativo dell'Istria al Comando
dell'XI Korpus (23 aprile 1944) si legge che i reparti, essendo di nuova
formazione, « non sono temprati al combattimento, ma dimostrano il
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desiderio di combattere e cercano il combattimento ». Si lamenta la
scarsa istruzione militare dei quadri e, particolarmente, la scarsa cono-
scenza della lingua croata, « pochissimi sono i combattenti che sanno
leggere e scrivere in croato, sicché abbiamo commissari politici che leg-
gono e scrivono malissimo il croato ». Per quanto riguarda il « Budicin »:
« Il comando del battaglione italiano si serve della lingua italiana nei
rapporti col suo comando superiore il quale a sua volta gli trasmette gli
‘ordini in lingua italiana. I comandi si danno in italiano, unicamente ab-
biamo deciso che le sentinelle e le pattuglie diano l’alt in lingua croata.
Siamo stati costretti a ciò per via della popolazione croata dei villaggi
e per la necessaria collaborazione con le altre compagnie croate. Il giura-
mento viene pronunciato in lingua italiana. Le comunicazioni e il nostro
lavoro con questo battaglione italiano sono abbastanza difficoltosi (a
causa della lingua). Teniamo le conferenze del quadro comando in ita-
liano e in croato, sicché è necessario il traduttore in molti casi, ma tutto
sommato va benone. Riteniamo che su questo problema abbiamo agito
giustamente. »
Come si sta con le armi e munizioni? Ai pochi fucili, qualche fucile
mitragliatore e una mitragliatrice pesante « Breda » che sono quanto
rimasto della preda fatta nel settembre 1943, si aggiunge il bottino che
viene fatto di volta in volta nel corso delle nuove azioni. In genere, nel-
l’Istria, le unità partigiane solo raramente si portano dietro i viveri.
Sono le popolazioni delle località in cui esse provvisoriamente dimorano
a fornire cibo ed altri materiali. Di regola ogni famiglia, secondo le pos-
sibilità, cucina e porta il cibo per due, tre e fino a cinque combattenti.
Spesso dipende dalla « ricchezza », ma più ancora dai buoni sentimenti
della gente, se lo stomaco partigiano, sempre affamato, se la passa bene
o meno bene. I familiari dei partigiani, in particolare, non dimenticano
mai i loro congiunti. E così non fanno mancare ai figli e fratelli com-
battenti nemmeno le « pinze » a Pasqua.
Le « pinze » pasquali
Sul n. 9 di aprile 1944 del foglio partigiano « Il Nostro Giornale »
«A tutti i nostri lettori auguriamo che la Pasqua, che quest'an-
no ci ha trovati in guerra, veda il prossimo anno la nostra terra
liberata dalla partecipazione di tutto il popolo alla lotta! ». « Lottia-
mo per affrettare la fine vittoriosa della guerra! Per sterminare l’in-
fame occupatore! ».
Ricorda Arialdo Demartini una colonna composta da giovani attivi-
ste e nuove « reclute », scortati da partigiani, in marcia verso la zona del
Canale di Leme. Portano ai combattenti del « Budicin » vari doni pa-
squali fra cui le « pinze ». Improvvisamente, la colonna viene attaccata
da una pattuglia nemica, ma riesce a sottrarsi al fuoco grazie alla pronta
reazione dei combattenti di scorta e raggiunge il battaglione. Al suono
di un'orchestra improvvisata, si balla fino al tramonto. Non tutti si di-
vertono. Demartini, al quale le fasi dell'attacco nemico e della festa sa-
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ranno raccontate da suo cugino Angelo Zuliani giunto con la colonna,
se ne sta in posizione accanto alla sua mitragliatrice pesante « Breda »
per impedire eventuali sgradite sorprese.
Anche Giordano Paliaga ricorda quella Pasqua partigiana. Nel'suo
diario si legge:
« Il giorno di Pasqua era brutto quasì tutto il giorno, pioveva ... al
dopopranzo dovetti montare di pattuglia in cima al monte S. Pruti. Ve-
devo Rovigno con il cannocchiale, non pioveva (più), credevo di toccarlo.
Il giorno dietro veniva su diverse compagne portarci i doni di Pasqua,
era una grande quantità di dolci, la festa fu fatta bella. »
Intanto nuovi uomini infittiscono le file del battaglione. Il dignanese
Graziano Trevisan ricorda di essere arrivato il 13 aprile insieme al com-
paesano Francesco Zuccheri, mitragliere. In agosto, Trevisan sarà tra-
sferito alla 35.ma divisione nella Lika — e non sarà il solo — per pas-
sare in novembre all’autobattaglione del Comando supremo dell'EPL
della Croazia a Topusko. Emblematica storia, la sua, e di altri combat-
tenti italiani che saranno sparpagliati un poco in tutti i reparti croati.
Intanto, il comando del battaglione raccoglie tutte le informazioni
portate dai corrieri, seguendo le mosse del nemico. Si attende l’occasio-
ne buona per attaccarlo.
Un giorno il comando chiede i nomi di coloro che conoscono. bene
la via Spirito Santo a Rovigno. Si tratta di dare una lezione ai fascisti
locali, capitanati dal fanatico Steno, che nelle ore piccole sogliono fre-
quentare una specie di casa di tolleranza privata sita in quella via.
Fra i prescelti vi sono Bepi Turcinovich e Arialdo Demartini: il primo
ha abitato a pochi passi dalla casa malfamata, il secondo ha lavorato
per sei anni nella stessa via, nel panificio meccanico di Biagio Bar-
zellato, un centinaio di metri dal previsto « obiettivo ». Il piano è di
penetrare furtivamente in città, nascondersi in un'abitazione di via Spi-
rito Santo, di fronte alla casa in parola, attendere l’uscita dei fascisti,
lanciare sul gruppo mine e bombe a mano e bersagliarlo con raffiche di
mitra, quindi squagliarsela per la via del Nonno. Quando ormai i prepa-
rativi sono già ultimati, arriva l'ordine di trasferimento nell’Istria cen-
trale. Salta il piano.!
Attacco a Monfardini
Nella notte fra il 10 e 1°11 aprile, alla I compagnia del « Budicin »
viene ordinato di raggiungere il territorio di Parenzo e, insieme a due
compagnie del Distaccamento polese, disarmare i carabinieri della ca-
serma di Antignana.
AI comando di Milan Iskra, su una barca che fa più volte la spola
di notte tra una sponda e l’altra del Canale di Leme, il reparto si porta
sull’opposto lato del fiordo e, unitosi a due reparti croati — la I e la
VII Compagnia del I Battaglione in attesa sull'altra sponda, in Stanzia
Raico — si mette in marcia verso la meta fissata. Durante la marcia,
1. Da una serie di appunti dattiloscritti messi a disposizione degli Autori di questo volume.
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però, i combattenti vengono informati dalla gente del luogo, che un re-
parto di nazifascisti provenienti da Pisino a bordo di 4 camion, si è di-
retto verso i villaggi di Frankovici, Villa Monfardini, Perinci (Villa Pren-
zi) e dintorni (fra Antignana e Borutto) per dar fuoco alle case dei con-
tadini. Una delle tante « spedizioni punitive » contro le popolazioni iner-
mi croate.
Deviando leggermente dalla sua direttrice di marcia, la colonna par-
tigiana punta verso la zona indicata. A Perinci i fascisti hanno già appic-
cato il fuoco ad alcune case. Le tre compagnie si dirigono pertanto a
marcia forzata verso Monfardini—Frankovici per precedere, se possibile,
il nemico e tendergli la trappola. La compagnia italiana raggiunge Mon-
fardini. Agli occhi dei combattenti si presenta un triste spettacolo: alcu-
ne case sono già in fiamme, la popolazione è in fuga per i campi in preda
al terrore, i banditi fascisti sono penetrati nelle abitazioni abbandonan-
dosi al saccheggio.
« Si vedeva non tanto lontano brucciare delle case e sparare. Dopo
poco sparare da un altro villaggio. Tutti assieme 3 cete ci siamo messi
polosai aspettare che loro dovranno passare vicino di noi per andare
sul villaggio vicino. Dopo un periodo di tempo vedemo brucciare delle
case in un altro villaggio ».
Così nella semplice prosa del diario di Paliaga.
«Non aspettiamo un minuto, ci siamo diretti sul v(illaggio)... i co-
mandiri sì parlano un minuto e subito si partì verso dove era il fuoco ».
Gli uomini si schierano in formazione a ferro di cavallo e, prima
che il nemico si accorga della loro presenza, circondano il villaggio, poi
scattano all'attacco.
« Circondato il paese, ecco che la VII ceta erano quasi in paese e co-
minciò a sparare per i primi, quando il nemico si spostava dalla parte
opposta allora la nostra ceta dava fuoco, così come si spostavano ogni
ceta faceva il suo lavoro ».
Un lavoro fatto a regola d'arte. Il fuoco concentrico delle amri auto-
matiche e dei fucili coglie di sorpresa i banditi, molti dei quali cadono
fulminati prima di poter rispondere. Gli altri cominciano a sparare al-
l'impazzata, corrono qua e là come topi in trappola, sperando di trovare
una via di salvezza qualsiasi. Si trovano invece dappertutto di fronte
alla barriera partigiana. Un tentativo del nemico di aggirare la VII com-
pagnia croata viene fulmineamente sventato dalla compagnia italiana,
che elimina una mitraglia pesante.
Dei tanti episodi dello scontro, ne registriamo uno, raccontato dal
mitragliere Arialdo Demartini, addetto a una Breda pesante che ha pure
la sua piccola storia. L'arma è rimasta per diverso tempo in una pro-
fonda voragine nella zona del Leme, nascostavi durante la tempesta del-
l'offensiva tedesca dell'autunno 1943. Poi, per ordine del commissario di
battaglione Simetti, l'ha recuperata l’agilissimo e spericolato Benussi
Cìo: calatosi nella voragine sospeso a una fune, l’ha riportata alla luce
con i rispettivi caricatori e munizioni. Demartini, a sua volta, esperto in
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materia di mitragliatrici pesanti, essendo stato puntatore mitragliere
nella regia marina, l’ha messa in efficienza con l’aiuto del sergente Fer-
ruccio Alberti, il padovano. La Breda dalla quale Arialdo non si è stac-
cato mai finora, « nemmeno durante il sonno », sempre tenuta lucida
come uno specchio, canta ora che è una bellezza bersagliando il nemico
intrappolato a Villa Monfardini.
Nel bel mezzo del combattimento, l’orserese Diogene Degrassi si im-
provvisa aiutante alla Breda (il vero aiutante è Nicolò Budicin), passan-
do i caricatori e incitando il capo-arma a farla finita con i banditi.
Disgraziatamente, a un certo punto l'arma surriscaldata si inceppa. I
due compagni si fanno in quattro per rimetterla in azione e, incuranti
delle pallottole che fischiano sulle loro teste, riescono nell'intento. Dopo
qualche minuto la Breda riprende a sgranare il rosario di morte.
La battaglia, che il combattente Nino Colli, primo corrispondente
di guerra del « Budicin », descriverà un mese dopo in un ciclostilato par-
tigiano, si protrae per circa un'ora. Richiamati dal fragore della spara-
toria e da qualche scampato, rinforzi nemici arrivano sul posto dalle
guarnigioni vicine. Le tre compagnie partigiane — evitando di farsi pren-
dere a loro volta alle spalle — decidono di sganciarsi in buon ordine.
Cura dei feriti
Il nemico ha avuto una pesante batosta, lasciando sul terreno 11
morti e ritirandosi con numerosi feriti. Lo annota Paliaga nel suo dia-
rio, aggiungendo:
«Con tutto ciò si sono ritirati avendo pure delle forze maggiori che
abbattevano anche col mortaio. Scaparono con 1 autoblinda e 4 camion.
Noi avevamo soltanto un ferito della VII ceta, mentre sotto il fuoco delle
pallottole il nostro infermiere ed un altro della I ceta prendeva il ferito
che fu abbandonato dalla sua compagnia e lo trasportarono in una casa
vicina, lì fu medicato come si poteva. Alla sera siamo partiti con il fe-
rito verso la zona di Leme lasciando le due cete sulla sua zona ».
I feriti partigiani, secondo altre fonti, sono invece due, mentre il
nemico ha avuto ventidue tra morti e feriti.? Il compagno raccolto dalla
2. In « Borbeni put 43. istarske divizije », op. cit. pag. 113, il combattimento viene localizzato
« presso il villaggio di Frankovici» e si parla, appunto, di 22 soldati nemici messi fuori
combattimento e di «2 nostri feriti » In una sintesi della storia del « Budicin » apparsa su
«La Voce del Popolo » del 9 settembre 1945 e ripubblicata dallo stesso giornale in 6 puntate
dal 23 al 29 agosto 1973 si fa la cifra di 10 morti e 16 feriti nemici e di un ferito partigiano.
All'episodio si fa pure cenno nelle opere « Fratelli nel sangue » a pag. 239 e « Mancano al-
l'appello », pag. 22. In una testimonianza manoscritta in nostro possesso, Demartini chiarisce
ulteriormente alcuni particolari. Una traccia di questo avvenimento si trova infine sul foglio
partigiano « Il Nostro Giornale » (n. 10 del 10 maggio 1944, ultima pagina): « Un gruppo di
tedeschi stava bruciando le case del villaggio di Villa Prenzi, mentre a Villa Jankovié una
banda di fascisti uccideva un vecchio, Accompagnati da una spia, i delinquenti si recavano
poi a Villa Monfardini e incominciavano a bruciarne le case. Tre compagnie di un nostro
reparto, fra le quali una compagnia del battaglione italiano « Budicin » intervenivano e, ac-
cerchiato il nemico, impegnavano combattimento, Venivano uccisi la spia e 10 nemici, 6 furono
feriti. Le compagnie ebbero l'elogio dei comandi superiori per il magnifico comportamento
tenuto durante il combattimento ».
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compagnia italiana si chiama Butkovié, una pallottola alla testa gli ha
provocato l'immediata paralisi di tutta la parte sinistra del corpo. A
turno, sopra una barella di fortuna, i combattenti italiani se lo trascina-
no dietro per ricoverarlo nel loro « ospedale » sul Canale di Leme, che
è poi ufficialmente l'Ospedale militare partigiano n. 1 del II Distacca-
mento polese (« Vojna partizanska bolnica br. 1») ed opera nella zona
Frattusa—Montero—Leme dal novembre 1943.
Quest’ospedale, diretto dal compagno Eugenio Poropat-Genio, un in-
fermiere rovignese molto benvoluto e da tutti chiamato « dottore », è
da questi così descritto:
« L'ospedale era sistemato in bosco e comprendeva una casetta di
contadini im muratura nella quale erano sistemati 10 letti, e una grossa
tenda con 20 letti per feriti leggeri o ammalati non gravi, che poteva
essere spostata e trasferita a piacimento a seconda delle circostanze.
Più distante c'erano alcuni bunker dove venivano sistemati i feriti più
gravi che non potevano muoversi. Il personale era composto, oltre che
da me, dall’infermiera Maria Bersenda, dall’'aiutante infermiere Rosina
Bozié (Stagnera), dalla cuoca Maria Crnac, dall'economo Tomo Zovié, poi
sostituito da ‘altri. C'erano infine sei guardie, non sempre fisse; due di
questi erano soldati dell'ex esercito italiano di cui uno di Reggio Emilia
che, caduto in mano ai tedeschi nel corso di un rastrellamento poco di-
stante dall'ospedale, che il nemico non mniuscì a scoprire, venne dai ne
mici fucilato sul posto.
In genere qui si curavano feriti leggeri o ammalati inviati dalle
varie unità del II Distaccamento polese, ma soprattutto dal battaglione
italiano "Pino Budicin” che abitualmente aveva sede in questo territorio.
Dall’ospedale dipendevano numerosi punti” ovvero stazioni sanitarie di
pronto soccorso, sistemati in vari bunker mascherati o in vari posti
disseminati nel iterritorio rovignese: Stagnera, Spanidigo, Montero, San
Cipriano, Julac oltre la Draga ecc. Furono ricoverati all'Ospedale n. 1 i
primi feriti del '"Budicin”, Gildo Biasiol di Dignano, i rovignesi Nino Colli
e Ivo Poropat ed alcuni combattenti tornati malconci dalla 13* divisione,
dal Gorski Kotar, bisognosi di cure: Giorgio Bognar (ricoverato il 19 mar-
zo, dimesso il 12 aprile 1944, n. d. a.), Domenico Biondi, Alfio Buttera, Mar-
cello Diamadi e Spartaco Zorzetti. Diamadi farà una tragica fine... Quan-
do all'ospedale ci capitavano feriti gravi, facevamo venire da Rovigno il
dott. Degrassi. Ha prestato le sue cure a tanti partigiani quell'uomo ge-
neroso. In casi estremi, se c'era bisogno di interventi chirurgici, i com-
battenti venivano trasportati nottetempo, di nascosto; all'Ospedale di
Rovigno ».3
Tornando alla base dopo l’azione di Monfardini, i partigiani vengono
fatti segno ‘alle manifestazioni di entusiasmo e riconoscenza dei conta-
dini che, ancora una volta, vedono nei combattenti dell'Esercito popo-
lare di liberazione i loro protettori e difensori. Rapidamente la notizia
di questa grande azione della I Compagnia del « Budicin », la prima dopo
la costituzione del battaglione, si sparge in tutto il territorio, le cui popo-
lazioni.— simpatizzanti nella totalità per i partigiani — esprimono i loro
sentimenti, tra l’altro, portando viveri e altri doni. Quelli del villaggio
di Fosculin — tanto per citare un episodio — portano con le « brente »
del vino genuino rosso come il sangue. L'effetto è immediato, i partigia-
3. Testimonianza rilasciata del Poropat il 13. IV 1974 per il Centro di ricerche storiche di
Rovigno.
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ni si sentono « come leoni » ed alcuni di essi decidono di far pervenire
un « invito » ai fascisti di Orsera di « venir fuori per battersi ». Qualcuno
si accinge addirittura a portare la sfida di persona, ma il comando di
compagnia, che è sobrio, fa comprendere che non si combatte il nemico
in preda all’euforia ... della sbronza. Il rovignese Nino e l’orserese Dio-
gene « distintisi nell'azione » vengono severamente criticati. Commento
di un protagonista: « Non so se dopo questo fatto abbiamo assaggiato
sì e no altre due o tre volte qualche goccio di alcool fino alla libera-
zione » A
4. Arialdo Demartini, v. nota 1).
6 Rossa una stella 81
CAPITOLO IX
FRA UN RASTRELLAMENTO E L'ALTRO
Il 15 aprile il nemico opera un rastrellamento nella zona del Cana-
le di Leme con truppe affluite da Pola e da Pisino. I nazifascisti, decisi a
vendicare i loro camerati ingloriosamente caduti durante il saccheggio
di Villa Monfardini, non ottengono altro successo che quello di pren-
dere nella rete qualche partigiano disperso e alcuni contadini dei quali
bruciano le case.
Lo stesso giorno, sull’imbrunire, due camion carichi di tedeschi, di
ritorno verso Pola, vengono attaccati dai combattenti della II compagnia
del « Budicin » al comando del buiese Nando Sasso e del commissario
Turcinovich, sul tratto di strada Valle—Dignano. In appoggio alla com-
pagnia c'è il Gruppo dei guastatori.
Sulla Valle—Dignano
Il nemico è atteso da un pezzo, si sa che deve passare. I combattenti
hanno preso posizione e attendono con impazienza. L'azione deve costi-
tuire il battesimo del fuoco per la Il compagnia e mettere alla prova
lo spirito combattivo dei suoi componenti. La postazione scelta per l'im-
boscata non offre eccessivi ripari, ma è stata scelta proprio perché il
nemico non potrebbe sospettare né attendersi un attacco. A 50 metri
dalla strada asfaltata, dietro i muretti a secco che delimitano i campi, si
schiera un reparto con alla testa Matteo Benussi-Cìo. Gli uomini sono
armati di fucili e tre fucili mitragliatori (Gianni, Toni e Mario); a un
centinaio di metri è appostato un altro gruppetto con una mitragliatrice
pesante Breda sotto il comando di Giuseppe-Bepi Turcinovich. Sarà
lui, molti anni dopo, a descrivere l’episodio:!
«Dopo una mezz'ora di attesa, ecco apparire in lontananza due ca-
mion carichi di soldati tedeschi che, cantando, si avvicinano senza so-
spettare di nulla.
1. Da un dattiloscritto messo a disposizione degli Autori. L'episodio è pure descritto, sulla
scorta della medesima fonte, alle pagg. 238—240 di « Fratelli nel sangue » e rapidamente an-
notato in « Borbeni put ...», op. cit. a pag. ll.
82
Una volta arrivati a tiro delle armi partigiane, Cìo dette ordine di
far fuoco. Sebbene colti alla sprovvista, i tedeschi misero al riparo il
camion dal fuoco delle armi partigiane e presero posizione, gettandosi
nel fossato. In tal modo vennero a tiro della mitragliatrice pesante e
Bepi ordinò di far fuoco. Presi fra due fuochi, i tedeschi opposero un'ac-
canita resistenza.
La battaglia infuniava già da più di mezz'ora ed i partigiani stavano
venendo a corto di munizioni. Se i tedeschi lo avessero sospettato, la
situazione si sarebbe capovolta contro i partigiani, perché la via della ri
tirata era molto difficile. A Bepi, allora, balenò un'idea. Sfruttando l’espe-
rienza della lotta partigiana nella XIII divisione, cominciò a gridare a
piena voce: ”’Battaglioni, avanti! Juris!”.
A sentire quell’urlo, i tedeschi pensarono davvero di trovarsi di fron-
te a dei battaglioni partigiani e, in fretta e furia, saltando da un muric-
ciolo all’altro, raccolsero i loro morti e feriti e dopo averli caricati sopra
gli autocarri ed essere saliti essi stessi, misero in moto gli automezzi:
a tutta velocità si diressero alla volta di Pola.
I partigiani della seconda compagnia rimasero sbigottiti al vedere
i tedeschi in fuga precipitosa, proprio quando le loro munizioni erano
ormai agli sgoccioli ».
È questo, per alcuni, il primo combattimento nelle file partigiane.
Lo ricorderanno a lungo, in particolare, i dignanesi Francesco Fioranti,
Graziano Trevisan, Francesco Zuccheri, Francesco Belci, Luigi Belci. Fra
i « veterani » ci sono Alessandro Toffetti e l'ufficiale operativo Nino Abbà,
senza contare Cìo e Bepi Turcinovich. Quest'ultimo ha militato dall'agosto
1943 nella Tredicesima divisione, è stato protagonista del disarmo della
divisione « Murge » a Senj e Karlobag in settembre, poi, evitando di ca-
dere in mano tedesca nella grande offensiva dell'ottobre, ha compiuto una
rocambolesca fuga per mare da Kraljevica all'isola di Veglia e da Veglia
in Istria nel dicembre.
Sulla Valle—Dignano, il reparto italiano non ha subito nessuna per-
dita. Né si conoscono quelle del nemico, ma si ritiene si sia portato via
una trentina fra morti e feriti. Ha lasciato sul posto parecchie cassette
di munizioni. La via di comunicazione Valle—Pola, e non solo questa ar-
teria, si fa d’ora in poi scottante per i nazifascisti. Uno degli slogan pre-
feriti di Cìo è: « Al nazifascista voglio far scottare la terra sotto i piedi! ».
La mina fa cilecca
« In quel periodo venne formato a Valle il presidio fascista costitui-
to da giovani vallesi ancora sbarbatelli i quali, per far piacere ai loro
padroni tedeschi, pensavano di fare gli spavaldi addentrandosi nelle zone
partigiane. Il comando del presidio partigiano di Rovigno, sapendo che
il gruppo di guastatori si trovava in quei paraggi, lo convocò per esa-
minare la possibilità di effettuare qualche azione contro il presidio fa-
scista di Valle.
Proprio in quei giorni, un fascista del presidio di Valle era passato
nelle file partigiane, dando così la possibilità di conoscere i dati sulla
caserma. Difatti descrisse al gruppo dei guastatori nei minimi partico-
lari tutta la caserma, con relativi posti di guardia, con le file dei reti-
colati ecc. Disse anche che la finestra del gabinetto era sempre aperta.
83
Questo particolare suggerì l’idea a Cìo e compagni di organizzare l'azio-
ne facendo passare l'esplosivo attraverso la finestra del gabinetto, ac-
cendere la miccia e far saltare in aria il presidio fascista.
All'indomani, preparativi febbrili. Venne constatato che non sarebbe
stato possibile usare la solita mina a vaso ed una piccola miccia. I gua-
statori decisero allora di fare una mina a sacco in modo di poter con
una fune collocarla, attraverso la finestra aperta, nel gabinetto. La mina
avrebbe avuto i suoi cavi conduttori per l'accensione a distanza. L'idea
di far saltare la caserma era sostenuta da tutti i contadini della zona,
che incitavano il gruppo dei guastatori a dare una lezione a quei quattro
mocciosi di fascisti vallesi. Anzi i partigiani vallesi per primi si offrirono
in quest’azione ».2
Il comando del « Budicin », una volta decisa l’azione, ne assegna il
compito alla III compagnia, i cui uomini devono guardare le spalle ai
guastatori e tenersi pronti a intervenire. La zona d’operazione viene rag-
giunta la sera del 16 aprile.
«Alle 22 di sera il gruppo stava avvicinandosi alla zona pericolosa.
Il primo ostacolo da superare furono i reticolati. Cìo e Bepi, strisciando
carponi in silenzio, riuscirono a tagliare con le apposite tenaglie i reti-
colati ed aprire un varco. Intanto i fascisti bevevano e cantavano, ignari
della presenza dei partigiani ormai sotto i muri della loro caserma.
La descrizione della caserma era esatta. Il finestrino del gabinetto
era aperto. Non restò altro a Cìo e a Bepi che di calare il sacco con la
dinamite. Dopo di ciò, si ritirarono, nascondendosi assieme agli altri die-
tro un muretto, da dove Cìo girò la manovella del magnete d’accensione.
Si udì un forte boato e si vide nell'aria una grande fiammata alta una
quindicina di metri...»
Quel che a Bepi Turcinovich sembra un forte boato, arriva agli orec-
chi degli altri come « una specie di scoppio ». La fiamma è veramente al-
tissima, ma tutto finisce lì. Cìo ha capito subito che la mina ha fatto
cilecca e si lascia sfuggire un’imprecazione. Nell’ordigno è stata messa
troppa polvere e il tritolo si è rivelato di cattiva qualità. Non tutte le
ciambelle riescono col buco, dice il proverbio. Grande spavento per i fa-
scisti, i quali costatano di averla scampata bella e, dopo qualche minuto,
cominciano a sparare all'impazzata più per farsi coraggio che per inti-
morire i partigiani.
Salta un motoveliero
I guastatori di Cio — ci sono Bruno Pignaton, Alfio Buttera, Pietro
Lorenzetto ed altri — tornano alla base senza potersi rassegnare al falli-
mento dell’azione. Sarà per un'altra volta. L'occasione si presenta pre-
sto, il 18 aprile.
Nel pomeriggio di quel giorno, la I compagnia è in azione nei pressi
di Rovigno. Il compito principale viene assegnato al Gruppo guastatori,
sette combattenti per l'occasione, e consiste in un colpo di mano in città.
Altri venti uomini del reparto, il grosso della compagnia, al comando di
Pietro Sponza detto Balìn, restano in posizione sull'altura di Monte Mu-
lini, a guardia del crocevia, per assicurare la ritirata dei guastatori.
2. Da un racconto di Giuseppe Turcinovich. Il dattiloscritto è stato messo a disposizione degli
Autori.
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Preceduti da Cìo, i « minatori » attraversano la pineta di Monte Mu-
lini, calandosi sul piccolo cantiere navale, in località Squero, dove è in
via di ultimazione un motoveliero costruito per conto della Marina ger-
manica. Benussi-Cìo e un altro compagno si portano sotto lo scafo del
battello, vi sistemano una grossa carica di tritolo, quindi si ritirano.
Mentre i sette combattenti si allontanano di corsa dallo squero, una tre-
menda esplosione squarcia la chiglia del motoveliero. Non scenderà mai
più in acqua per tutta la durata della guerra.
A un centinaio di metri di distanza dal cantiere, nell'ex caserma dei
carabinieri, c'è un reparto appiedato della Luftwaffe e l’ufficio della
« Feldpolizei ». Quando i tedeschi, allarmati dallo scoppio, accorrono sul
posto con le armi spianate, i partigiani si sono già dileguati nella pineta.
Due giorni dopo, un gruppo di cinque uomini, tra cui il comandante
del battaglione Alizzi e il comandante della II compagnia, Sasso, si
portano presso lo squero. Sorprendono due gaurdie di finanza nei pa-
raggi, catturandole; ritirandosi, la pattuglia partigiana viene però attac-
cata da alcuni militi fascisti armati di fucili mitragliatori e mitra. Ciò
nonostante, i cinque partigiani riescono a sganciarsi incolumi, portando
alla base i due prigionieri.3
Il rancio va... in fumo
In questo stesso periodo, la I Compagnia subisce un attacco di sorpre-
sa da parte dei tedeschi in una zona tra il Canal di Leme e Villa di Rovi-
gno. Il reparto sta consumando il tanto atteso rancio, il cuoco non ha an-
cora finito di distribuire le porzioni spettanti a ciascun combattente, quan-
do, all'improvviso, cominciano a fischiare le pallottole da ogni parte. Si
Sente urlare in lingua tedesca, il cerchio è chiuso, la situazione è criticissi-
ma. Si ha un fuggi-fuggi generale. Il mitragliere Demartini deve caricarsi
sulle spalle la canna e il treppiede della « Breda » pesante e, con quel
carico scomodo e ingombrante, corre per una decina di minuti in cerca
del bosco più fitto, finendo per cadere a terra sfinito dalla stanchezza.
Si trova al fianco il commissario di compagnia Pascucci. In quell’istante,
muovendo per uno strettissimo sentiero coperto dal verde, una colonna
nemica sfila davanti ai due accovacciati a terra. I nemici sparano a ca-
saccio. Si vedono chiaramente i loro alti, lucidi stivali neri. Allungando
la mano si possono sfiorarli. I due partigiani quasi non fiatano, trepi-
danti. Anche gli altri compagni si trovano nella loro stessa condizione.
Le armi, tuttavia, sono pronte e ciascuno è deciso a far pagare cara la
sua pelle. Invece, i nemici sfilano rapidamente. « Dalla fretta con cui se
ne andarono ci fu chiaro che la loro fifa era di gran lunga superiore alla
nostra» — commenterà dopo la guerra Arialdo, chiamando a testimoni,
per questo episodio, Milan Iskra e Angelo-Giorgio Pascucci. Per parte
loro molti partigiani corrono fino a San Michele del Leme, alla fine del
Canale, senza mai fermarsi.
Un altro incontro col nemico, la medesima compagnia lo ha qualche
giorno dopo. Avvertiti della presenza dei tedeschi nelle immediate vici-
3, Cfr. .« La Voce del Popolo » del 9 settembre 1945.
4. Da appunti dattiloscritti forniti agli Autori.
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nanze di Marboi — siamo sempre nella zona del Leme — il comando del
reparto italiano invia un pattuglione di 10 uomini incontro alla colonna
nemica proveniente da Villa di Rovigno dove i tedeschi hanno un forte
presidio. Il pattuglione partigiano è guidato dal mitragliere Succamillo,
gli uomini procedono in fila indiana cercando di prendere i tedeschi alle
spalle. All'improvviso, mentre i partigiani procedono lungo una strada
di campagna, vengono fatti segno a un nutrito fuoco di armi automatiche
proveniente da una postazione in collina. È chiaro: andati per sorprende-
re, sono stati a loro volta individuati e sorpresi.
Alle prime raffiche restano feriti Nino Colli e Giovanni-Ivo Poropat.
Si trovano ambedue in coda alla colonna ed allo scoperto. Al Poropat
una pallottola spacca i denti e il labbro superiore. È il 21 aprile. Il Colli
è ferito al fianco. Quale responsabile della stampa e propaganda del bat-
taglione, segnerà nel suo diario perfino l'ora esatta del suo ferimento:
le 15.50, ricordando l’altro compagno ferito con lui, « Gianni Poropat
di Polari », farmacista, che — prima nella compagnia dal 27 marzo e poi
nel battaglione — fa l'infermiere. Come il suo omonimo Genio.5
Il fuoco nemico porta un certo sbandamento nel pattuglione. Grazie
però al sangue freddo di Succamillo, il quale comincia subito a sparare
in direzione della collina con la sua mitragliatrice, il reparto si ricompone
e prende posizione. Le raffiche di Succamillo mettono ben presto a ta-
cere il nemico, l’intero drappello riesce a trarsi fuori dall'imboscata sen-
za ulteriori perdite, portando alla base i due compagni feriti.
5. Giovanni-Ivo Poropat sarà successivamente capo-sanità del battaglione « Budicin » dall'agosto
e, alla fine di settembre 1944, trasferito alla direzione della Sanità della 43.ma divisione a
Skrad, nel Gorski Kotar. Attualmente risiede a Zagabria col grado di tenente-colonnello in
congedo. Nino Colli si è trasferito nel dopoguerra in Italia, e risiede ora a Bologna.
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CAPITOLO X
MAI TREGUA ALL'OCCUPATORE
Le cruenti lotte sostenute dai combattenti partigiani in Istria nel-
l'aprile del 1944 hanno avuto questo risultato: 640 tedeschi e 71 fascisti
italiani uccisi; 360 tedeschi e 67 fascisti feriti; 16 tedeschi fatti prigio-
nieri. Sono stati distrutti: 18 locomotive, 64 vagoni, 15 autocarri, 2 auto-
blinde; sono stati demoliti 11 ponti.
È una sintesi, questa, presentata dai giornali partigiani dell’epoca.
Il nemico reagisce e, verso la fine del mese, intraprende una grande of-
fensiva. I tedeschi trasferiscono due divisioni dall'Italia e dalla Grecia,
complessivamente 35 mila soldati, allo scopo di distruggere completa-
mente i partigiani in questo settore. La brigata « Gortan » riesce a por-
tarsi fuori dal cerchio nemico operando sul Carso, mentre le unità del
Distaccamento partigiano polese ed il Battaglione « Pino Budicin » mano-
vrano abilmente all’interno della penisola arrecando al nemico nuove
perdite.
Riferendosi al battaglione italiano, il Comando operativo per l’Istria
rileva — come sarà poi registrato nella storia della 43.ma divisione
istriana! — che:
«Nel corso di aprile e maggio, il battaglione effettuò un numero
rilevante di azioni nel proprio settore e in altre zone dell'Istria meridio-
nale. Un’azione significativa fu condotta dalla II compagnia insieme al
Gruppo guastatori. Presso Barbana venne teso un agguato e fu attaccato
un autocarro nemico. Nel breve combattimento che ne seguì, i tedeschi
ebbero dieci morti e diversi feriti. Due nostri combattenti dispersi ».
« Saltavano dalla contentezza »
L'episodio è uno dei tanti. Le compagnie e il Gruppo guastatori del
« Budicin » non danno mai tregua al nemico: salta in aria un traliccio
dell'alta tensione sulla strada Arsia—Pola, altri tre tralicci fra Valle e
Dignano col risultato di paralizzare per un certo tempo le industrie di
1. « Borbeni put 43. istarske divizije » pag. 1ll.
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Pola e dintorni per mancanza di energia, e decine di pali telefonici e tele-
grafici, e treni... I guastatori di Matteo Benussi-Cìo, in particolare, sono
una punta di diamante del « Budicin » operando dappertutto, ora con
l'una ora con l’altra compagnia italiana, o appoggiando reparti croati,
e non di rado in piena autonomia, anche per la natura dei loro compiti.
Il battaglione, in questo periodo, continua ad applicare una tattica
prettamente partigiana, evitando di impiegare i suoi effettivi al completo
in una volta; le varie operazioni vengono assegnate alle singole compa-
gnie e da queste compiute singolarmente, seppure a contatto, ma in di-
versi settori. La tattica ha una precisa giustificazione: il territorio del-
l’Istria, specialmente la fascia costiera, è fittamente punteggiato di guar-
nigioni nemiche (fanno la loro apparizione anche reparti cetnici e usta-
scia) e sarebbe troppo arduo, anche per ragioni logistiche, muoversi in
formazioni superiori ai trenta-quaranta uomini. Reparti più grossi ver-
rebbero agevolmente scoperti dal nemico e non avrebbero elasticità di
manovra.
Si riferisce a una di queste azioni quanto annotato nel diario di Gior-
dano Paliaga:
«Tutti noi avevamo un preciso sorriso di contentezza, per diversi
giorni Pola resterà all'oscuro, non potrà lavorare. Era stato un immenso
colpo che subito dopo si vedeva brillare idue scintille elettriche di colore
azzurro bianco nero che i fili spinati toccavano terra e facevano saltare
le valvole. Due andarono a vedere l’effetto che fa (...) videro che il palo
di ferro era a terra e la parte fatta di cemento ben cresciuta. Ad uno ad
uno andarono ben diritti e contenti verso la posizione di partenza per
riposare qualche ora. Alle 5 1/2 verso mattino nessuno dormiva, tutti
aspettavamo a vedere passare il treno, ad un tratto la sentinella avvisò
che il treno è in vista. Non passava secondo uno con l’altro si diceva an-
cora non arriva (...) quasi eravamo convinti che il treno era già passato
senza che la mina scoppiasse. Mi sono messo a fare due passi dove si
trovava la guardia a guardare verso la linea, non avevo ancora aperto
occhio che si sentì esplodere la mina, ecco che il treno non cammina
più. Sono corso con tutta velocità verso i compagni, che cosa vidi? che
saltavano dalla contentezza, altrettanto facevo anch'io ...».?
A distanza di anni, pur nella nebbia delle date, i superstiti ricorde-
ranno la generosità e il coraggio di due ex militari italiani della II com-
pagnia che non fanno ritorno dall'azione, sottolineranno l’ardimento e
l'esempio dei comandanti, e riferiranno episodi, come questo, avvenuto
nelle vicinanze di Valle.
Un plotone della II compagnia si appresta a tendere un'imboscata
ai tedeschi, ma viene a sua volta accerchiato dal nemico e corre il serio
pericolo di venire annientato. A salvare la situazione è il coraggioso co-
mandante dei guastatori. Incitando i combattenti a seguirlo, Matteo Be-
nussi-Cìo scatta in piedi e si lancia contro il nemico attaccandolo con le
bombe a mano. Colti di sorpresa dall’audace sortita, i tedeschi hanno un
attimo di sbandamento; ne approfittano i combattenti del plotone per
passare immediatamente al contrattacco, riuscendo a rompere il cerchio
ed a mettersi in salvo.8
2. L'originale si conserva presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
3. In «Fratelli nel sangue » pag. 240.
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Generosità, altruismo
Generosità e coraggio sono e saranno sempre le caratteristiche dei
combattenti del « Pino Budicin ». « L'alto grado di altruismo dei combat-
tenti istriani e in particolar modo dei combattenti del ”Budicin” — di.
chiarerà Mario Deltreppo — è la caratteristica della loro lotta. Non
esitarono al momento giusto di imbracciare il fucile per combat-
tere assieme ai fratelli croati affinché questi ultimi realizassero i loro
diritti nazionali con l'unione dell’Istria alla nuova Jugoslavia sociali-
sta. Questo altruismo degli italiani assume ancora maggior valore se si
tiene conto che la gran parte dei combattenti del ”Budicin” abitava nelle
città, più o meno in grado di fare una vita relativamente comoda rispet-
to a quella partigiana; eppure abbandonarono casa e lavoro volontaria-
mente scegliendo la vita più dura e sanguinosa del bosco, convinti che in
tale maniera avrebbero compiuto il loro dovere di antifascisti e di inter-
nazionalisti ».4 Chi dice queste parole ha dato di persona l'esempio. Dopo
aver fatto parte del III battaglione giovanile della brigata Gortan, milita
soltanto pochi mesi nel battaglione italiano (settembre—dicembre 1944)
per passare nella Tredicesima divisione lasciandola a fine guerra come
comandante dell'artiglieria. Anche per dire che gli italiani sono stati dap-
pertutto.
Le gesta dei combattenti italiani hanno soprattutto il potere di solle-
vare il morale e di rinforzare lo spirito di resistenza della popolazione
contro la quale, proprio in questo periodo, l’occupatore ha intrapreso
una serie di spedizioni punitive, dando alle fiamme villaggi, massacrando
e saccheggiando.
Contemporaneamente, ricorre a miseri espedienti di guerra psicologi-
ca che variano da un luogo all’altro della regione. A Fiume, Abbazia e
Laurana mettono bombe nelle chiese e gettano manifestini a firma del
Comitato popolare di liberazione; a Parenzo innalzano da soli la ban-
diera rossa con la falce e il martello; a Pola cancellano le scritte inneg-
gianti all'Inghilterra e all'America e lasciano gli evviva all'Armata Rossa:
tutto questo in occasione del 1° maggio. Nei dintorni di Rovigno, aerei
tedeschi operano un lancio di volantini esortando i « ribelli » a tornare
in seno alle proprie famiglie con la promessa dell’amnistia e la minaccia,
in caso di rifiuto, di arrestare e deportare i loro familiari. « A nessuno
di noi passò nemmeno per la mente di accettare l'invito — è il commento
di Arialdo Demartini — ma i volantini ci servirono per pulirci il c...».
Per il 1° maggio
I nazisti annunciano pure in questi loro volantini (la loro offensiva è
già iniziata) di aver completamente distrutta la brigata « Vladimir Gor-
tan » che, invece, proprio in questi giorni dà filo da torcere agli occu-
patori, dopo essere uscita dal cerchio attorno al Monte Maggiore ed ai
Planik, raggiungendo Ilirska Bistrica dove attacca un treno militare di-
struggendolo. A sua volta, il Battaglione « Pino Budicin » si accinge va
sfidare il nemico nella stessa città di Rovigno. L'azione è preceduta dal
4. Dichiarazione messa a disposiione degli Autori.
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lancio di manifestini, in risposta a quelli del nemico, che le « tipografie »
dei partigiani italiani sfornano alla vigilia del Primo Maggio. Uno di que-
sti, firmato dal Comitato popolare di liberazione dell'Istria, datato 28
aprile 1944, afferma:
«Cittadini! L'occupatore ed i suoi servi fascisti, cetnici e ustascia,
spargono da qualche tempo dei manifestini, nei quali giustamente chia-
mano se stessi banditi e li sottoscrivono col nome delle nostre organiz-
zazioni popolari di liberazione. In tali manifestini si profetizzano avve-
nimenti sensazionali e si dipinge la nostra lotta di liberazione come co-
munista, minacciando di morte e sterminio a destra e sinistra. Queste
vili manovre hanno il solo scopo di ingannare il popolo... Noi non
aspettiamo nessun avvenimento sensazionale, ma il 1. Maggio il nemico
sentirà il nostro pugno più pesante e più duro che mai... ».
In un altro volantino, intitolato « Viva il 1. Maggio! » e rivolto sem-
pre agli Istriani, il Comitato Popolare di Liberazione per il circondario
di Pola afferma tra l’altro:
«È questa la prima Festa del Lavoro dall'inizio della guerra che
trova la minoranza italiana dell'Istria, ancora oppressa dal terrore nazi-
fascista, combattere con le armi volontariamente e coscientemente a
fianco dei valorosi fratelli croati per raggiungere sotto la guida del ge-
niale Maresciallo Tito, la Libertà comune, Questa unione, sorta nella lotta
e consacrata col sangue, è la certezza della ‘vicina vittoria e della con-
quista di un benessere sociale per tutti in un prossimo domani ».5
'
Attacchi concentrici
Le parole « il nemico sentirà il nostro pugno più pesante e più duro
che mai » si trasformano in realtà. La sera del 30 aprile, vigilia della
Giornata dei lavoratori, alcuni reparti della I e II compagnia del Batta-
glione « Budicin » si portano fino a Rovigno; un altro reparto della I
compagnia si dirige verso Dignano, la III compagnia verso il forte di
Barbariga.
Il gruppo diretto a Dignano, guidato dal dignanese Fernando Mo-
scheni, ha per obiettivo la stazione ferroviaria. Si intravvedono già le
luci, quando alcuni attivisti avvertono che forze locali fasciste fanno
buona guardia alla stazione, che i combattenti intendono minare. Ci si
limita allora a far saltare in aria alcuni metri di binari.
I combattenti penetrati a Rovigno — tra cui Iskra, Cìo, Pascucci
ecc. — sventagliano invece numerose raffiche di armi automatiche e lan-
ciano bombe a mano all'altezza del conservificio « Ampelea » per indurre
il nemico a uscire dalle caserme. Contemporaneamente, all’altro estremo
della città, gruppi di attivisti delle organizzazioni politiche tra i quali
c'è anche Aldo Negri, raggiungono i cosiddetti « Bagni romani », coprono
i muri con scritte inneggianti al 1. maggio ed alla lotta di liberazione,
accendendo grandi falò nel recinto dei bagni e lungo la costa. All’udire le
raffiche e scorgendo i fuochi, il nemico ha l'impressione di essere accer-
chiato da alcuni battaglioni partigiani; non osa nemmeno uscire dalla
tana, limitandosi a sparare all'impazzata con le mitraglie pesanti in di-
5. In « Quaderni II » del Centro di ricerche storiche di Rovigno, 1972.
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rezione dei falò che, accesi anche sulle colline circostanti, continuano
a fiammeggiare per tutta la notte.
Guidata dal vicecomandante del battaglione, ovvero ufficiale operati-
vo Antonio Abbà, la III compagnia raggiunge le vicinanze del forte di
Barbariga, che ha un presidio tedesco a guardia della costa fra Rovigno
e Pola. Da posizioni favorevoli, i combattenti aprono il fuoco sul forte
e cominciano l'attacco, quando improvvisamente vengono a loro volta
assaliti alle spalle — purtroppo rimaste senza protezione — da prepon-
deranti forze nemiche provenienti da Valle. Il reparto partigiano rischia
di essere intrappolato con funestissime conseguenze, ma l’ardimento dei
combattenti, che impegnano un combattimento violentissimo, fa sì che
il cerchio venga rotto e, usciti dalla tenaglia di fuoco, i nostri raggiun-
gono il bosco della penisoletta di Gustigna. Purtroppo, ha subito tre mor-
ti, una perdita gravissima che il giovane ufficiale Abbà non riesce a per-
donarsi. Non cerca attenuanti, si assume interamente la responsabilità
e, dichiarandosi inadatto all'alto incarico finora affidatogli, rassegna le
dimissioni dal comando. Il posto di ufficiale operativo del battaglione
verrà presto coperto da Bruno Tomini. Classe 1918, figlio di operaio
metallurgico, Tomini è uscito con il grado di sottotenente dall’Accade-
mia ufficiali di fanteria a Fano, trovandosi poi con il grado di tenente
alla vigilia dell'occupazione della Jugoslavia a Villa del Nevoso (Iirska
Bistrica). Fin da giovane ha subito le violenze fasciste, cacciato dalla
scuola « Toti » di Monfalcone dove aveva cominciato a insegnare quale
maestro elementare all’età di 18 anni: motivo per cui — pur di non tar
la fame — si è arruolato volontario nell’Esercito, frequentando poi l’Ac-
cademia. Trovandosi in guerra, è stato testimone di ben più gravi vio-
lenze ai danni delle popolaz'oni slovene e croate nei territori occupat!.
Un bel giorno, trovandosi nel presidio di Vrbovsko nel Gorski Kotar,
era l'estate del 1942, ha tagliato la corda passando ai partigiani.
All’inizio di settembre del 1943, all'indomani dell'armistizio firma-
to dall'Italia, Bruno Tomini milita nella XIII Divisione del Gorski Ko-
tar e in quella occasione, improvvisatosi artigliere, insieme ad altri ex
soldati e ufficiali italiani, prende parte alla battaglia per la liberazione
di Karlobag presidiata dagli ustascia. Successivamente passato presso il
Quartier Generale dell’EPL della Croazia, Tomini ha raggiunto l’Istria
per rafforzare il battaglione « Budicin » e mettere a disposizione dei
suoi combattenti le proprie capacità di ufficiale e di partigiano della
prima ora.
91
CAPITOLO XI
NELL'OCCHIO DEL CICLONE
« Pregasi consegnare ai corrieri i seguenti oggetti occorrenti per que-
sta compagnia ... Per quanto riguarda la ricevuta, questo Comando prov-
vederà a rilasciarvela quando sarà in possesso degli oggetti richiesti,
poiché non si conosce il quantitativo che verrà consegnato. A morte il
fascismo — Libertà ai popoli. Il commissario. Il comandante Iskra
Milan ».
Così comincia e conclude una lettera datata 2 maggio 1944 (timbro
della « Prima Com. Ital. III BTG PAR. P. BUDICIN » con la stella rossa
nel mezzo) indirizzata al Comitato Popolare di Liberazione e al « distret-
tuale di Rovigno ». In essa lo scrivente (probabilmente Giorgio Pascucci)
chiede 2 tubetti di chinino, 1 boccetta di iodio e pastiglie mittolo, carza
sterilizzata (non correggiamo gli errori ortografici), 1 tubetto pastiglie
piramidone, 1 tubetto pastiglie croce baier, 15 bende, 1 bocettina di alcol,
1 di iodato, 1 di ammoniaca, alcuni fogli di pergamena (per febbri reu-
matiche), 10 pastiglie di Silicitato 1 metodo, 10 vasi di (marmellata?),
sale urgentissimo, carta protocollo « che son sprovvisto », matita e bu-
sta, notes, inchiostro stilografico, carta assorbente qualche foglio, inchio-
stro per timbri, notes (si ripete), 10 fogli di carta quadrettata.!
‘A parte l'ortografia, c'è la scrupolosità ... burocratica; anche da par-
tigiani la faccenda delle ricevute non si trascura. La lettera ci dice
ancora che non soltanto il battaglione, ma anche le singole compagnie
del « Budicin » si riforniscono non presso il Comando del Distaccamento
da cui dipendono, ma automaticamente presso i comitati popolari di li-
berazione ai quali sono per origine collegati.
All’inizio del maggio 1944, dunque, in Istria siamo sempre alla guer-
riglia e, per di più, le unità partigiane imprimono un cambiamento alla
loro tattica che diventa prevalentemente difensiva e di sganciamento.
Una tattica dovuta principalmente alla vasta attività del nemico; siamo
nel pieno infuriare della cosiddetta « terza offensiva istriana » (per il
rimanente territorio della Jugoslavia siamo alla quinta offensiva, la più
sanguinosa, che culminerà con lo sbarco aereo tedesco a Drvar con l’in-
tento di sgominare il Comando Supremo di Tito il 25 maggio) sferrata
1. Il documento si trova presso il Museo Civico di Rovigno. Lo pubblichiamo, nella sua stesura
integrale, anche nel Libro secondo di questo volume.
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dai ‘tedeschi con l'appoggio di vari satelliti: accozzaglia di fascisti ita-
liani, di ustascia croati, di cetnici serbi e perfino di predatori e stupra-
tori mongoli, nell’ultimo disperato sforzo di disperdere l’esercito di li-
berazione e di rialzare il vacillante morale delle varie forze legate al
carro nazista.
Crimini del nemico
L'offensiva sviluppatasi principalmente e inizialmente nel settore set-
tentrionale della penisola, dove si trova il grosso delle forze partigiane,
si va ora estendendo via via in tutte le altre zone, per investire verso la
fine della prima decade di maggio l’Istria meridionale, dove i reparti del
Distaccamento partigiano polese, compreso il battaglione italiano « Pino
Budicin », sono costretti a operare continui spostamenti o sparire nei
più impensati nascondigli per sottrarsi alla caccia accanita dei rastrel-
latori.
Ovunque in questo periodo si scatena la ferocia del nemico; fra i tan-
ti episodi resta emblematico della bestialità nazifascista quello di Lipa,
un villaggio all'estremo dell'Istria verso il Fiumano: il 30 aprile l’occu-
patore massacra e brucia vive nelle loro case 236 persone, vale a dire
tutti gli abitanti del paese composto prevalentemente di donne, vecchi
e bambini. Solo due uomini si salvano dalla strage. Il giornale « Glas
Istre » scrive:
«Ancora una volta l’occupatore, con testarda rabbia, è penetrato nei
nostri villaggi con l'intento di soffocare la resistenza popolare. Esso
sa benissimo che oggi ciò è ormai impossibile ed è perciò costretto di
giorno in gionno a scoprire la sua natura criminale come una belva fe-
rita intorno a sé nella pazzesca speranza di salvarsi. Ogni villaggio incen-
diato, ogni vittima innocente è una nuova goccia di veleno che infonde
la falsa sensazione di forza e di vittoria alla mandria bovina degli oc-
cupatori ».2
Il « Nostro Giornale » pubblica a ua volta l'articolo di fondo « Le
azioni sanguinose del nemico duro a morire », nel quale leggiamo:
«Ancora una volta il sanguinario oppressore è passato per alcune
zone della nostra Istria e vi ha lasciato la sua impronta di sangue di
delitti, devastazioni e saccheggio. Quando si parla di offensive o rastrella-
menti ssi suppone un esercito, ma non ha più diritto di chiamarsi esercito
una banda di assassini che combatte unicamente contro donne e bam-
bini indifesi, che sfoga la sua bestialità nelle più tunpi azioni contro gli
inermi ... In questo appunto è consistita la nuova "offensiva” nazifasci-
sta. Il numero dei Partigiani caduti è irrilevante o si tratta solo di com-
pagni che svolgevano servizi isolati e che sono finiti in imboscate. I re-
parti armati e l’organizzazione del Movimento, la cui distruzione avrebbe
dovuto essere lo scopo di un'azione militare, sono invece intatti. Di ciò
si renderà conto ben presto prima di tutti lo stesso nemico ».3
Uno degli obiettivi principali dei tedeschi e dei loro satelliti è quello
di distruggere il Comando operativo dell’EPL dell'Istria che si trova sul
massiccio Planik-Lisina, ma non ci riescono, nonostante i numerosi ten:
2. Nro 13 del 13 maggio 1944.
3. Edizione del 10 maggio 1944.
93
tativi. Il 1° maggio, nelle prime ore del mattino, viene bombardata la
località di Klana. Partendo dalla provinciale Fiume—Ilirska Bistrica, poi,
ingenti forze tedesche investono la zona Klana—Lisac—Zabici e il Monte
Nevoso dove sì trova la brigata « Gortan »; attaccano quindi Mune Pic-
cola, Mune Grade e Zejane.
Mentre così le forze nazifasciste si scatenano, mettendo i villaggi
« ribelli » a ferro e fuoco, uccidendo e arrestando un gran numero di
persone convogliate poi verso i lager della morte in Germania e a Trieste
(Risiera di San Sabba), la posizione delle unità del II Distaccamento par-
tigiano polese si fa sempre più drammatica. Lo spazio di manovra a di-
sposizione delle singole compagnie diventa via via più ristretto. Tutta-
via, con abili manovre e grazie soprattutto all'appoggio della popolazio-
ne, esse riescono a mantenersi sul proprio territorio operativo senza
eccessive perdite.4
Azione a Fasana
Le azioni dimostrative del 1° maggio a Rovigno, a Dignano e presso
il forte di Barbariga testimoniano che i reparti del « Budicin » manten-
gono nelle proprie mani l'iniziativa ovunque ciò è possibile, almeno nel
primo scorcio di maggio. Ne è una dimostrazione pure un'operazione
ideata per la cattura delle guardie di finanza della caserma di Fasana, do-
ve si trova un grosso quantitativo di armi e munizioni. Organizzata dal
comando del battaglione italiano, l’azione viene condotta dalla I compa-
gnia e diretta personalmente dal nuovo ufficiale operativo del battaglio-
ne Bruno Tomini, monfalconese. In seno al « Budicin » è stato inviato per
sostituire il dimissionario Antonio Abbà. In appoggio opera la IV compa-
gnia di recente formazione guidata dal commissario Giordano Godena.
È notte quando viene dato l'ordine di mettersi in marcia. Per ragioni
di sicurezza il comando non ha rivelato ai combattenti l’obiettivo che si
va ad attaccare; tuttavia, dopo alcune ore di marcia, la direzione intra-
presa rivela chiaramente ai combattenti che si va verso Fasana. La com-
pagnia è rinforzata da alcuni plotoni degli altri reparti del battaglione
italiano. Guidati da un attivista del luogo, i partigiani si avvicinano al-
l'abitato accanto al mare, otto chilometri da Pola, e si appostano nei
punti strategici per bloccare la via di accesso al paese. Intanto un pic-
colo gruppo composto da Tomini, dal commissario Pascucci, da Luciano
Giuricin e Giordano Paliaga, gli ultimi due offertisi volontari, si avvia
nel centro del paese col compito di entrare in caserma senza colpo fe-
rire. In che modo? Con l’aiuto dell’attivista informatore, il drappello si
reca dapprima a prelevare nella sua abitazione un maresciallo della fi-
nanza, e con lui si dirige verso la caserma. Qui giunti, i partigiani si
fanno da parte, celandosi alle spalle del sottufficiale con le armi puntate,
mentre il maresciallo chiama i suoi commilitoni invitandoli ad aprire il
cancello.
Alcune guardie si affacciano alle finestre, ma tentennano; hanno so.
spettato qualcosa e fanno di tutto per temporeggiare. Visto che la fac-
cenda va per le lunghe e resosi conto che ormai il fattore sorpresa non
4. Cfr. « Borbeni put 43. Istarske Divizije », op. cit. pag. 117.
94
funziona più, il gruppo si mette allo scoperto spianando le armi. Tomini
si fa avanti e intima la resa:
— Siamo partigiani! La caserma è circondata. Se non volete saltare
in aria, aprite subito la porta e consegnate le armi!
Dall’interno si risponde di attendere, deve essere informato il co-
mandante, deciderà lui. Quelli del « Budicin », intanto, hanno provvedu-
to.a tagliare le comunicazioni telefoniche con Pola. Ignorano, però, che
le finanze hanno un collegamento radio. La situazione è stata comunicata
a Pola e dalla città arriva infatti in rinforzo una colonna motorizzata.
Fortunatamente i rinforzi nemici vengono avvistati e segnalati dalle
pattuglie d'’esplorazione ed i combattenti si ritirano in tutta fretta. L'azio-
ne non è completamente fallita, però. Il brevissimo soggiorno nel paese
frutta ai combattenti la raccolta di viveri e di vari materiali.
La marcia di ritorno alla base si trasforma in una vera maratona.
Arialdo Demartini e Giordano Paliaga finiscono all’infermeria di Stanzia
Garzotta. Rievocando in seguito la degenza di pochi giorni, Arialdo ri-
corderà il letto matrimoniale ceduto dai padroni di casa e le cure affet-
tuose delle compagne infermiere.
Ma a proposito di « infermerie », resterà impresso nella memoria di
tutti, indistintamente, l'attacco sferrato dal nemico nella zona in cui è
situato l’ospedaletto da campo del battaglione, in quel di Leme.
L'attacco all'ospedale
Siamo verso la fine della prima decade di maggio. L'ondata dell'of-
fensiva tedesca ha raggiunto la bassa Istria. Sempre più spesso bruciano
i villaggi anche a ridosso della fascia costiera occidentale. In uno dei
suoi quotidiani rastrellamenti, il nemico investe direttamente la base
principale del « Budicin » nella zona dell'ospedale che viene minacciato
di distruzione insieme ai feriti ed ammalati. La tragedia è evitata grazie
all’abnegazione degli infermieri e dei combattenti del battaglione. L'allar-
me improvviso viene dato da una staffetta arrivata di tutta corsa per an-
nunciare che una poderosa colonna tedesca, lasciati gli automezzi sulla
strada maestra, sta dirigendosi verso la base partigiana portandosi die-
tro anche armi pesanti tra cui alcuni mortai.
Dai movimenti del nemico appare evidente che la meta principale
è l’ospedaletto da campo. Il comando del « Budicin » decide, pertanto, di
non ritirarsi prima di aver evacuato l'ospedale portando in salvo gli am-
malati e i feriti. I combattenti si mettono immediatamente all'opera.
Tutti quelli che possono camminare vengono presi sottobraccio e por-
tati al sicuro altrove. Qualcuno viene trasportato in spalla; i feriti più
gravi, invece, vengono letteralmente « imboscati », nascosti cioè nelle
macchie più folte. E tuttavia non si riesce a impedire al nemico di com-
piere un nuovo orrendo delitto col trucidare un ferito paralizzato, quel
Butkovié che i combattenti del « Budicin » hanno raccolto dopo la bat-
taglia di Monfardini, l'11 aprile, curandolo amorevolmente per alcune
settimane.
Da quel giorno, sfuggendo alla caccia delle forze fasciste che l'hanno
individuata, la I compagnia del battaglione italiano si è trascinata co-
stantemente dietro il ferito, diventato quasi un impegno d'onore per tutti
95
i combattenti, che a turno si sono avvicendati per trasportarlo a spalla
per impervi sentieri fino a porlo al sicuro in una di quelle arcaiche co-
struzioni istriane di pietre a secco, i « casoni » o « casite » specie di trulli,
sparse nella campagna. Lì poteva essere curato e assistito meglio. I te-
deschi, purtroppo, sono capitati proprio lì.
Visto che l'uomo è in condizioni di non potersi muovere, si avventa-
no su di lui selvaggiamente, quindi spargono il :pagliericcio di benzina e
vi appiccano il fuoco. A tarda sera, conclusosi il furioso rastrellamento
al quale quelli del « Budicin » sono riusciti a sfuggire sganciandosi con
la maggior parte dei degenti dell'ospedale da campo, il corpo carboniz-
zato del partigiano Butkovié viene rinvenuto davanti alla porta della
« casita ». Benché paralizzato, spinto dalla forza della disperazione, è
riuscito a trascinarsi fuori... Gli viene data pietosa sepoltura tra la
commozione dei compagni che tanto hanno fatto per salvargli la vita.
Nella stessa giornata, nella medesima zona del Leme, cade pure un
combattente italiano, Marcello Diamadi. È stato uno dei primi rovignesi
a raggiungere i partigiani. Ha combattuto per alcuni mesi nelle file della
XIII divisione sul Gorski Kotar, è poi tornato per unirsi ai combattenti
del « Budicin » nella terra natale, ma nel momento stesso in cui — ac-
colto all'ospedale partigiano del Leme per essere «rimesso in sesto »
prima di entrare definitivamente nel battaglione italiano — sta facendo
il primo bagno disinfestante, viene trucidato dai tedeschi. L'episodio è
così rievocato da Genio Poropat:
« Ricordo molto bene come Diamadi fu ucciso dai tedeschi. Era
appena tornato a piedi dal Gorski Kotar, dopo lunghi giorni di este-
nuanti marce, pieno di pidocchi e di scabbia. Era venuto all'ospedale per
curarsi e trascorrere un breve periodo di riposo. Allora la pulizia per-
sonale e il bagno, indispensabile per ammalati come lui, veniva fatta al-
l'aperto, nei pressi di un casolare, dentro un grosso tino. Diamadi era
entrato per ultimo nel tino e non si decideva mai a uscire fuori dall’ac-
qua, tutto beato di guazzarci dentro. Non servirono le sollecitazioni del
personale. Fatalità volle che proprio in quel momento passasse una pat
tuglia tedesca proveniente da Villa di Rovigno. Capitarono all'improvvi-
so, il nostro compagno fu preso, trascinato poco lontano e falciato da
aloune raffiche. Tutto si svolse fulmineamente. Al pomeriggio trovammo
il corpo crivellato del povero ragazzo e gli demmo sepoltura ».4 bis
Il « giuoco » fra gatto e topo
In questa situazione di continui rastrellamenti, i reparti del II Di-
staccamento e con essi le compagnie del « Budicin », sono costretti a
spostamenti che diventano quotidiani; divisi in gruppi minori, sotto la
guida di compagni esperti del terreno, devono stare al « giuoco » del gat-
to e del topo, riuscendo fortunatamente sempre a sgusciare attraverso
le zone pericolose, a breve distanza dagli avamposti nemici. A volte ca-
pita persino di mangiare un boccone nelle case della periferia di Ro-
vigno, mentre le pattuglie vigilano nei dintorni. « Poi, ci dileguavamo co-
me fantasmi attraverso campi di grano e filari di viti, per poi infine ad-
4 bis Testimonianza rilasciata da Eugenio Poropat il 13. IV 1974 per il Centro di ricerche storiche
, di Rovigno.
96
16 aprile 1944, sul Monte Maggiore: la I brigata »Vladimir Gortan« è schierata per
la cerimonia della costituzione.
Giuseppe Alizzi primo comandante del
battaglione italiano «Pino Budicin». An-
tifascista siciliano, aderì alla resistenza
jugoslava dopo la capitolazione dell’Ita-
lia fascista in qualità di ex ufficiale
dell'esercito italiano. Attualmente risie-
de a Giarre (Catania).
Orlando Gorlato di Dignato, primo ca-
duto del «Budicin» (14 aprile 1944).
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Uno dei primissimi documenti inerenti il battaglione »Pino Budicin« ad un mese
dalla costituzione: il comando della I compagnia si rivolge al Comitato Popolare
di Liberazione del distretto di Rovigno per ottenere medicinali ed altro materiale
necessario.
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Una delle prime azioni del «Budicin, avvenuta 1’11 IV 1944 presso Villa Monfardini,
fu descritta dal combattente Nino Colli la cui testimonianza ebbe l'onore di es-
sere pubblicata in un opuscolo dal titolo «Notte di combattimento», edito nel
luglio del 1944 dalla Sezione propaganda del CPL di Pola.
Il timbro del »Comando del Battaglione Italiano »P. Budicin«. All'epoca (6 giugno
1944) era stato appena integrato nella »Vladimir Gortan«, portava la dicitura: IV
Battaglione della zona Operativa dell'Istria.
dentrarci nelle fitte boscaglie di Gustigna e Vistro », ricorda Arialdo De-
martini, il quale sottolinea l'episodio di quando il comandante della
I compagnia, Milan Iskra, riesce un giorno, quasi per miracolo, a porre
i suoi uomini al sicuro in una grotta alta sì e no un metro, sulla ripida
scarpata del Canale di Leme, in località Piaio, dove i combattenti riman-
gono per due giorni, nutrendosi di solo pane e formaggio, tormentati
dalla sete.5
La grotta provvidenziale si apre sulla sponda destra del Canale.
Sulle acque del fiordo incrociano natanti armati; nella parte terminale
del canale, in Cul di Leme, una forte guarnigione fascista blocca ogni
passaggio; di spalle, alcune colonne tedesche percorrono a ventaglio il
terreno. I partigiani si trovano così imbottigliati, sospinti sempre più dal
bosco verso l’insenatura di mare, e inseguiti a breve distanza. Quando i
combattenti raggiungono la ripidissima sponda del canale, dall'alto della
quale si scorge il mare, il nemico può ormai assaporare la vittoria: la
preda è a portata di mano. Anche stavolta, però, hanno fatto i conti
senza l'oste. (Gli osti, anzi, sono due: Milan Iskra e Matteo Benussi-Cìo,
due vecchie volpi che conoscono la zona come il palmo della propria
mano; l'hanno attraversato da una parte all'altra tante volte, prima della
guerra, per sottrarsi alla cattura dei carabinieri ...). La compagnia si get-
ta a capofitto verso il basso; gli uomini quasi rotolano lungo la sponda
erta e rocciosa, coperta da fittissimi arbusti, e finiscono per sparire let-
teralmente inghiottiti dalla terra. A una quindicina di metri dal livello
dell’acqua, hanno imboccato lo strettissimo pertugio della caverna per-
fettamente mimetizzata, raggiungendo poi una più ampia galleria interna.
I tedeschi li cercano invano per due giorni. Nel frattempo, come det-
to, i combattenti si nutrono di pane e formaggio. Da dove salta fuori
questo bendiddio? Salta fuori dal provvidenziale « deposito » del « cam-
busiere » Stefano Paliaga il quale, contrariamente alla regola, da qualche
giorno si sta portando dietro un sacco pieno di formaggelle e pane casa-
lingo, di quello che dura.
Il « tesoro » di Cio
Già che siamo in argomento, diciamo pure che in questo periodo
di rastrellamenti e di magra, un contributo notevole all’approviggiona-
mento dei partigiani viene dato dal cosiddetto « tesoro nascosto » di Cìo.
Si tratta di grossi vasi di tonno conservato, ogni vaso del peso di 5 chi-
logrammi, prelevati in grandi quantità presso il conservificio « Ampe-
lea » di Rovigno nel settembre del « ribalton » 1943. Cìo, come sempre
previdente, ne ha disseminati molti (come ha salvato tante armi) in vari
punti della campagna circostante, sotterrandoli e ben camuffando i posti.
Tanto bene che, per ritrovarli, ha compilato addirittura una cartina, tut-
ta punteggiata di segni, chiamata appunto la « carta del tesoro ». Così,
quando urge il bisogno, salta sempre fuori qualcuno di questi provviden-
ziali vasi di tonno che buono sempre, ora sembra addirittura squisita
leccornia. La distribuzione della carne di pesce, fatta con la massima
equità, è sempre una festa per i partigiani.
5. In « Mancano all'appello », op. cit. pag. 29.
7 Rossa una stella 97
Restano sempre imboscati i partigiani? No, anche nei momenti più
duri dell'offensiva, mentre il nemico lancia i suoi attacchi dopo aver
bloccato tutte le vie di comunicazione, i reparti del battaglione « Budi-
cin » fanno sentire i loro morsi. Dai rapporti di maggio 1944 del Comando
della. zona operativa istriana, stralciamo alcuni brani che riguardano
l'unità italiana:
«21. V. Il Gruppo guastatori del III Battaglione italiano del Distac-
camento polese ha fatto brillare una mina sulla linea ferroviaria presso
il villaggio di Cukrici (siamo nella zona di Jursicti, Comune di Dignano,
n. d. a.). Sono stati danneggiati una locomotiva e tre vagoni. Le comu-
nicazioni sono rimaste interrotte per 48 ore ».
«31. V. I Guastatori del III Battaglione italiano del Distaccamento
polese hanno fatto saltare in aria un traliccio dell’elettrodotto ad alta
tensione presso Pola ».6
Si conclude qui il ciclo delle operazioni del battaglione « Pino Budi-
cin » nelle zone che lo hanno visto nascere, dove è, diciamo così, di
casa. Nelle sue file continuano ad affluire nuovi combattenti, tra cui
Romano Benussi da Rovigno, Antonio Vivoda (corriere) da Umago, Jure
Makovac (squadra esploratori) da Grisignana, Ruggero Stupar da Pola.
In questo stesso periodo, premuta dalle forze nemiche, la brigata
« Gortan » si è trasferita dapprima a oriente della ferrovia Fiume—Ilir-
ska Bistrica e, rinforzata dal I battaglione d'assalto del Distaccamento
« Utka » (entrato nel suo organico il 1° maggio), sferra una serie di colpi
di mano contro la strada ferrata e le guarnigioni isolate nazifasciste.
Investita, poi, nel settore di Klana da forti reparti tedeschi, è stata co-
stretta a portarsi sul monte Nanos da dove è tornata in Istria verso la
metà di maggio per riprendere le azioni di disturbo sulla ferrovia Fiu-
me—Ilirska Bistrica e sulla camionabile Fiume—Trieste.
6. Cfr. « Borbeni put 43. istarske Divizije », op. cit. pag. 127.
98
Parte terza
NELLA BRIGATA «GORTAN»
(primo ciclo: 1 giugno — 20 agosto 1944)
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Airprrena, Ampatgre an
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CAPITOLO XII
SULLE VIE DEL CARSO
« Si partì una seconda (volta) per la zona di Parenzo. In questo frat-
tempo facevano un rastrellamento, dopo pochi giorni abbiamo saputo
che hanno bruciato le piccole casette uccidendo pure il ferito alla testa,
Da quel giorno avevamo quasi sempre rastrellamenti, facendo sempre
qualche azione. Fino a che è venuto il giorno che siamo partiti in Bri-
gata ».
Così, nel suo diario, Giordano Paliaga riassume l'ultimo scorcio del
maggio 1944.
Siamo nel periodo in cui il Movimento popolare di liberazione è im-
pegnato in uno sforzo grandioso per sviluppare la lotta. Da una parte
ci si prepara a costituire nuove formazioni armate, dall'altra si mobili-
tano tutte le organizzazioni di massa antifasciste attraverso congressi lo-
cali e distrettuali; si moltiplica inoltre la rete dei Comitati popolari di
liberazione, viene potenziata la stampa e l’attività politica in genere. Al
tempo stesso il nemico, dopo le sanguinose scorribande, comincia a riti-
rarsi nei suoi presidi, preoccupato soprattutto di mantenere il controllo
sulle principali vie di comunicazione e sui maggiori centri abitati.
La quarta Compagnia
A loro volta, le compagnie del battaglione « Budicin » tornano a rag-
grupparsi nell’Istria sud-occidentale, sulla fascia costiera del Rovignese.
Esse sono uscite dall’offensiva più forti non soltanto dal punto di vista
della preparazione militare e morale; sono più forti numericamente. Ii
battaglione italiano conta ora quattro compagnie.
La quarta Compagnia, guidata inizialmente e per breve tempo dal-
l'’orserese Diogene Degrassi e successivamente dal rovignese Giordano
Godena che fa da capo militare e da commissario politico (tra i dirigenti
c'è il sergente dell’ex esercito italiano Gino Marini: secondo alcuni anco-
nitano, secondo altri napoletano; cadrà in combattimento il 27 luglio
1944 in Roveria, sulla strada Dignano—Sanvincenti), ha tuttavia una sto-
ria specifica. Composta in prevalenza da dignanesi e gallesanesi, e inclu-
101
dendo nei propri ranghi il famoso Gruppo guastatori con alla testa Mat-
teo Cìo Benussi, questa compagnia entra solo formalmente a far parte
del battaglione « Pino Budicin », restandone quasi sempre distaccata.!
Nel momento stesso in cui i vari reparti del battaglione italiano sono
tornati a raggrupparsi nelle zone di origine, è già in vista l'ordine di uno
spostamento che segnerà la svolta radicale nelle operazioni e l’'abbando-
no definitivo delle sedi originarie.
Il Comando operativo dell'Istria ha deciso di dare una nuova struttu-
ra alle proprie unità, distaccando dalla brigata «Vladimir Gortan» il I bat-
taglione d'assalto per farne il nucleo della II Brigata istriana e separan-
do dal II Distaccamento polese il III Battaglione italiano per inserirlo
nella brigata « Gortan ». Nel Distaccamento polese resta tuttavia la IV
Compagnia del « Budicin » che, nelle intenzioni, dovrebbe presto trasfor-
marsi in battaglione, ovvero nel « Secondo Battaglione Italiano Augusto
Ferri ».
Un rapporto N° 287 datato 29 maggio 1944, firmato dal comandante
e dal commissario della I Brigata « V. Gortan » — Vitomir Sirola e Josip
Matas — informa il Comando operativo dell'Istria:
« Ieri, proveniente dal V battaglione, è giunta la II compagnia ita-
liana del III batt. (« Budicin », n. d. r.) composta da 39 uomini con un
fucile mitragliatore leggero e una mitraglia pesante (...) Questa mattina
è arrivata la III compagnia del III battaglione forte di 33 uomini con la
quale è giunto pure il comandante del batt. compagno Alizzi Giuseppe.
Pure questa compagnia è armata di una mitraglia leggera e di una pe-
sante »,
Da questo documento risulta che le prime due compagnie del « Bu-
dicin » raggiungono le posizioni della brigata tra il 28 e il 29 maggio.
Sul posto, ai 72 uomini dei due reparti, si aggiungono altri 38 combat-
tenti italiani. Dice infatti il rapporto che «...ieri si è presentato da noi
il capitano Turilli Oscar, il quale, secondo le vostre disposizioni, è stato
da noi nominato comandante dello stesso battaglione. Egli ha assunto
questa funzione e oggi ha riordinato le due compagnie che contano com-
plessivamente 110 combattenti, in quanto abbiamo raccolto gli italiani
dei nostri battaglioni », cioè gli italiani che si trovavano sparsi nei reparti
croati.
Il documento, al quale ritorneremo ancora, non ci dice in che zona
si sono radunate le compagnie, ma lo sapremo scorrendo il diario di
Giordano Paliaga, il quale è con la I compagnia. Quest'ultima raggiunge
i dintorni di Rovigno nella notte del 1° giugno e, con l'ordine di prose-
guire anch'essa verso le posizioni della Brigata, si porterà dapprima a
Stanzia Bembo dove ai combattenti saranno concesse alcune ore di ri-
poso.
Addio a Stanzia Bembo
La marcia avviene in silenzio, spesso a piedi scalzi per attutire i ru-
mori, sgusciando fra un presidio nemico e l’altro. Nella zona di prove-
nienza rimane per ora la IV Compagnia. Per il momento, infatti, non è
1. Alle vicende di questo e di altri reparti italiani dedichiamo alcuni capitoli a parte in questo
volume.
102
previsto il suo inserimento nella brigata, anzi si è deciso di staccarla dal
battaglione « Budicin ». Se le cose andranno bene — e nessuno ne dubita
perché nuovi volontari arrivano da tutte le località della costa, soprat-
tutto da Pola, Dignano e Gallesano — gli Italiani dell'Istria avranno pre-
sto due battaglioni e già si pensa a una brigata. L'argomento è del resto
presente non soltanto nei discorsi che i combattenti fanno tra di loro
ma anche nel pensiero dei dirigenti italiani, Aldo Rismondo e Giusto
Massarotto fra questi. Il tema viene peraltro tirato in ballo anche per
spiegare la necessità di estendere l’area delle operazioni e, quindi, dello
spostamento imminente del « Budicin » dalla sua zona.
I combattenti della I Compagnia, intanto, si sistemano nei boschi
di vecchia conoscenza, a Stanzia Bembo e dintorni, dove sono giunti
dopo cinque ore di marcia ininterrotta. Riescono a concedersi solo poche
ore di riposo. Giordano Paliaga annota nel suo diario una scorpacciata
di ciliege sotto la luna, lo spostamento della sua compagnia in altra zona
e l'attesa delle guide per il proseguimento della marcia. « Stasera si par-
te, si va in Brigata! », porta la notizia un compagno.
La sera del 2 giugno il reparto si rimette in marcia, con l'ordine di
raggiungere la zona di Albona, e unirsi al Battaglione e con esso alla
« Vladimir Gortan ». Prende il cammino per i monti verso la costa orien-
tale dell'Istria, tagliando la penisola in direzione nord-est per le parti
di Carmedo, Smoljanci—Sanvincenti, Rojnici—Bencici ...
« Verso l’imbrunire tutti in cammino. Dopo aver passato la ferrovia
(Rovigno—Canfanaro, n. d. a.) abbiamo proseguito per circa tre chilo-
metri e mezzo di strada. In un piccolo villaggio ci siamo fermati a ri-
posare e lì abbiamo trovato il nostro commissario partito due giorni
prima. Al mattino del 3, dopo aver mangiato, si riprende la marcia, qual-
cuno sa che si prosegue verso il Monte Maggiore. Dopo mezza giornata
di marcia facciamo riposo a S. Giovanni d'Arsia. Dalla parte in salita si
scorgono i caratteristici villaggi con le piccole chiesette in cima, la bella
campagna tutta colori, una vera bellezza della natura, si vede pure un
piccolo tratto di mare del canale d’Arsia ».
È Giordano Paliaga che annota le impressioni nel suo notes, e noi ci
limitiamo soltanto a raddrizzare qualche verbo, a correggere qualche
svista ortografica di chi, sapendo meglio combattere che tenere la penna
in mano, vorrebbe pur esprimere tutti i segreti fremiti provati di fronte
alla bellezza del paesaggio che, scrive con ingenuo pathos, « penetra sem-
pre nei cuori più coscienti che da loro si potrebbe avere quella parola
che si chiama libertà ».
Verso le 6.00 dopo una sosta, si prosegue, seguendo « la via verso i
nostri gloriosi compagni », quelli della « Gortan ». Ogni tanto la colonna
si ferma in qualche villaggio, « si fanno dei canti, tutti sono contenti a
vedere gli italiani che vanno a combattere contro il nemico », mentre i
combattenti italiani constatano come la gente, che pure ha sgobbato
per tutta la vita, altro non ha ottenuto dal fascismo italiano che « case
ancora primitive, fatte di foglie ed un tetto di sasso, senza nessuna co-
modità ».
103
Incontro con la Brigata
L'incontro con la brigata « Vladimir Gortan » avviene nel pomeriggio
del 5 giugno, nel momento in cui gli Alleati entrano a Roma. Annota
Paliaga:
«Tutti insieme, tutti contenti, entusiasti. La sera, i rovignesi che
erano arrivati prima, si sono messi a cantare tutte le canzoni ... Il giorno
6 giunto il Batt. Italiano si è riunito per formare nuovi quadri e incor-
porarsi con la Brigata V. G.».
Quel « formare nuovi quadri » è un argomento che i dirigenti della
« Gortan » hanno già sollevato nel rapporto al Comando operativo del-
l’Istria il 29 maggio. Da esso risulta che il comando superiore, con l’or-
dine n° 298 del 2 maggio, ha stabilito la nomina di Sikié (Marko?) a co-
mandante del battaglione italiano, dando successivamente disposizione di
affidare il comando al capitano Turilli. E il comandante in carica Alizzi?
« Ciò significa — avevano fatto rilevare Matas e Sirola nel rapporto —
che ora abbiamo tre comandanti per questo battaglione. Se tutti e tre
questi compagni rimarranno nel nostro IV battaglione » — e il « Budi-
cin » è destinato a divenire quarto reparto della brigata — « siamo del
parere che comandante diventi il capitano, vicecomandante il compagno
Sikic e ufficiale operativo l'ex comandante Giuseppe. Con il batt. italiano
sarà un po’ difficile lavorare a causa della lingua, tuttavia abbiamo il
commissario della brigata che sa parlare bene l'italiano e anche noialtri
"parleremo" un po’ tutti. Oggi questo battaglione ha fatto delle eserci-
tazioni che eseguisce molto bene, consideriamo buona anche la disciplina;
per quanto riguarda la combattività, lo vedremo all'atto pratico ».
Il comando rinnovato
Nel frattempo, riunitesi al completo le tre compagnie del battaglione,
le cui file si sono ulteriormente ingrossate, viene risolto pure il problema
del comando, che risulta così composto: OSCAR TURILLI, comandante;
LUCIANO SIMETTI, commissario politico; nessun vicecomandante; BE-
NITO TURCINOVICH, vicecommissario; BRUNO TOMINI, ufficiale ope-
rativo.
Il 6 giugno, alla presenza del commissario politico del Comando ope-
rativo dell'Istria, viene radunato «il nostro IV battaglione italiano che
conta 160 uomini» come riferisce il rapporto N° 252 del 7. VI 44 del
Comando brigata, il quale fornisce pure i nominativi del nuovo comando
del « Budicin », e prega il comando operativo di « confermare a questi
incarichi i suddetti compagni con una vostra ordinanza ». Verranno in-
fatti regolarmente confermati con l’Ordinanza N° 40 dell’11 giugno 1944
del Comando operativo istriano. In quella medesima ordinanza si decre-
ta la costituzione della II Brigata istriana (avvenuta alle sorgenti della
Rjeéina nel territorio fiumano) della quale diventa commissario politico
Josip Matas, il compagno che « sa parlare bene l’italiano ». Non a caso.
Gli italiani sono numerosissimi anche in quella brigata. Al punto due
dell'Ordinanza si legge:
104
« Si costituisce il IV Battaglione italiano della I Brigata "Vladimir
Gortan” che porterà il nome di: IV Battaglione italiano "Pino Budicin”
della I Brigata "Viladimir Gortan” ».
La precisazione è necessaria, perché il « Budicin » è stato finora
III Battaglione nelle file del II Distaccamento partigiano polese. Al punto
tre dell'Ordinanza si legge, poi, della costituzione della I Compagnia Fiu-
mana (in seno al II Distaccamento), della quale viene nominato coman-
dante FRANJO SAINA. Commissario politico è RADOMIR ANTONELIC,
vicecomandante GUIDO DEL FABBRO.
Alla testa del Battaglione italiano è avvenuto un rimescolamento.
Oscar Turilli, romano, arrivato dal Quartier Generale dell'EPL della
Croazia, presso il quale è stato finora ufficiale operativo del battaglione
corazzato, prende il posto del siciliano Alizzi, il quale diventa istruttore
militare presso il Comando brigata. Il rovignese Luciano Simetti ripren-
de l’incarico che gli era stato affidato alla nascita del battaglione. Lo stu-
dente giminese Turcinovich ha fatto « carriera », avendo assolto in pre-
cedenza il compito di commissario della II Compagnia, mentre il suo
predecessore Buratto lascia il battaglione per riprendere a Rovigno l’at-
tività politica clandestina. Il monfalconese Tomini, infine, è riconfermato
al suo posto, nel quale fin dall'inizio di maggio ha sostituito Antonio
Abbà.
Siamo a una svolta nella storia del « Pino Budicin », il cui inserimen-
to nella prima brigata istriana ne porta gli effettivi a 1052 combattenti.
Citiamo le parole del comandante della brigata, Vitomir Sirola-Pajo:
« Uno dei giorni più belli ch'io ricordo della lotta è quello dell’ar-
rivo nei ranghi della nostra Prima Brigata del battaglione italiano "Pino
Budicin”. Giunse da Vermo, mell’estate del 1944... Ci fu grande gioia,
un immenso entusiasmo fra tutti i combattenti per l’arrivo dei compa-
gni italiani. Vedevamo in questo avvenimento la forza vivente dell'unità
e della fratellanza del popolo istriano nella lotta contro il comune nemi-
co, il fascismo. Particolari? Non sarei in grado di ricordare. Ci fu l’adu-
nata, un comizio. Rivolsi la parola ai nuovi compagni ».2 bis
Dopo l’adunata e il comizio — sono i documenti a ricordarlo — dieci
combattenti italiani, guidati da Alizzi, vengono inviati a un corso per
capisquadra e capiplotone. Nella notte fra il 7 e 1'8 giugno, poi, i tre
battaglioni croati si mettono in marcia alla volta del Pisinese, mentre
il « Budicin » viene lasciato nel settore del Carso « con il compito di svol-
gere azioni lungo la ferrovia Lupogliano—Trieste e la strada Fiume—Trie-
ste presso Castelnuovo ». Al posto di Matas, a commissario politico della
« Gortan » è venuto Danijel Kovaédevid.
3. L'originale si conserva nell'Archivio del Vojno-istorijski institut di Belgrado, reg. n. 33-1/8,
K. 1321 A. Il testo è pubblicato nel libro 28, tomo V dello « Zbornik dokumenata », doc. 44, pag.
196—198. Nel Libro Secondo di questo volume, fra gli altri documenti, riportiamo anche que-
sto, integralmente, in traduzione italiana.
2. In «Istarska svitanja », op. cit. pag. 48.
2. bis) Giacomo Scotti, « Cammino di lotta della Quarantatreesima » ne « La Voce del Popolo »,
29 agosto 1954.
105
In una relazione inviata dal Comando operativo dell'Istria (n. 46/VII.
44) al commissario dell'XI Corpo sulla situazione politica in Istria rela-
tivamente al mese di giugno, si legge:
«Qui abbiamo già ottenuto buoni successi. Calamitiamo un gran
numero di italiani nella LPL e di giorno in giorno questo numero va
crescendo; cerchiamo di attuare in pratica nel modo migliore e di rea-
lizzare pienamente la politica della fratellanza ».
Seguono accenni all'inserimento del battaglione « Budicin » nella
I Brigata istriana e all’'intenzione di creare nuove compagnie italiane nel
II Distaccamento partigiano polese, poi la constatazione:
«Sebbene sia stato raggiunto in questo campo lo scopo, cioè di in-
serire la popolazione italiana nella LPL, e la migliore manifestazione
sono i reparti italiani le cui azioni vengono popolarizzate, tuttavia non
è stato ancora completamente risolto un problema che in passato si pre-
sentava anche più aspramente ».
Di che si tratta?
«Le popolazioni dei villaggi croati preferiscono accogliere ed accol.
gono meglio i reparti croati che quelli italiani, e d’altra parte gli stessi
combattenti italiani fanno parecchi sbagli che si vanno eliminando. A
questo riguardo si è fatto molto e speriamo che il problema dei rapporti
tra il popolo croato e quello italiano sarà risolto soddisfacentemente. »
«La mobilitazione degli italiani si intensifica di giorno in giorno. In segui-
to all’intensificata mobilitazione degli italiani nelle nostre unità, sono sta-
te create le condizioni per la formazione di una brigata italiana. »
Come si vede, negli alti comandi si dà grande importanza alla pre-
senza del « Budicin » sia come catalizzatore di nuovi volontari italiani nel-
le formazioni militari, sia come fattore poltico, simbolo di fratellanza.
Intanto il suo trasferimento da una formazione prettamente partigiana,
qual è il Distaccamento, a un reparto regolare dell'Esercito di libera-
zione, è un salto qualitativo di vasta portata. Con l'inquadramento nella
« Gortan », poi, il destino dei combattenti istriani di nazionalità italiana
viene legato inscindibilmente a quello dei combattenti istriani croati.
Gli uni e gli altri si rendono conto delle chiare prospettive di azioni mi-
litari su vasta scala. D'ora in poi il « Budicin » non sarà più un reparto
legato prevalentemente a un territorio limitato e prevalentemente abita-
to da connazionali, ma combatterà ovunque la situazione lo richiederà, e
i suoi combattenti saranno portatori di fratellanza e di idee internazio-
nalistiche. Combattendo spalla a spalla con i compagni croati, condividen-
do successi ed eventuali sconfitte, gioie e dolori della dura vita partigiana,
in una parola spargendo il sangue insieme nella lotta contro gli stessi
nemici, contribuiranno a forgiare ancor più la fraterna unione d'armi
italo-croato-slovena delle genti istriane. I fatti lo dimostreranno. L'appa-
rire del battaglione « Budicin » avrà ovunque una larga risonanza fra le
popolazioni.
106
« L'entusiasmo era grande »
Giordano Paliaga annota nel suo taccuino l'avvenuto dislocamento
delle compagnie nel nuovo settore, le ore di riposo fra « monti e ciliege »,
il rancio e la notizia dell'invasione alleata della Normandia, giunta pochi
minuti dopo: « Gli Inglesi hanno sbarcato in Francia con 4000 navi, e
altro non vi posso spiegare, l'entusiasmo era grande... Il giorno 7 giu-
gno, al mattino verso le ore 2 e mezza, siamo andati a Polosai », cioè in
postazione, dove si resta tutto il giorno per scendere verso sera « e su-
bito dopo si è sentito dei spari, ecco che due nostri battaglioni si sono
scontrati con i tedeschi, allora noi di corsa ci siamo messi nuovamente
in Polosai... ».
Il comandante della « Gortan », Vitomir Sirola-Pajo, che ha già avu-
to modo di conoscere parecchi combattenti italiani nelle file della sua
brigata — e c'è il triestino Mario Magagna che comanda il II battaglione
— non nasconde la gioia di poter avere ora con sé l’intero « Budicin »
temprato già da tante battaglie. Scriverà qualche anno dopo:
« L'inserimento del battaglione Pino Budicin nell'organico della bri-
gata Gortan costituisce un altro significativo avvenimento per l’Istria e,
in particolare, per la brigata. Essa diventa da questo giorno non solamen-
te più forte numericamente ma anche politicamente, essa rappresenta
la comunione di lotta dei Croati e degli Italiani dell’Istria, la migliore
garanzia che la loro unione sarà vera e durevole, indistruttibile ».4
4. Vitomir Sirola-Pajo, « Gortanova brigada miljenica Istre » in « Revolucionarna Istra », op. cit.
pag. 66.
107
CAPITOLO XIII
FRATELLANZA IN ATTO
Nelle file della « Gortan », il battaglione italiano continua a mante-
nere larga autonomia nelle prime settimane di giugno, anche perché le
condizioni del terreno impongono ancora elasticità di movimenti e la
tattica dispersiva della guerra partigiana: colpire e ritirarsi, spostarsi
rapidamente in una zona diversa e colpire ancora. Sicché la brigata —
quasi sempre sparsa per battaglioni — dà l'impressione di essere onni-
presente e di moltiplicarsi. La tattica serve anche a distrarre l’attenzione
del nemico da determinate zone nelle quali, proprio in questo periodo,
si susseguono a ritmo intenso le conferenze locali e territoriali delle or-
ganizzazioni di partito, della Gioventù antifascista e del Fronte fem-
minile.
Il « Budicin » rimane comunque in costante contatto con la brigata
e col I Distaccamento partigiano « Uéka » le cui forze sono concentrate
sul Carso (pendici del Monte Maggiore — Istria nord-orientale). È una
zona che, data la favorevole conformazione del terreno, permette alle
unità partigiane di fronteggiare meglio gli attacchi del nemico e, anzi,
di attaccarne i presidi isolati. Al « Budicin » in particolare, viene asse-
gnata come zona di operazioni il Carso di Pinguente, la Ciciaria, con basi
prevalentemente a Vodice, Brest, Lanisée ed altre sui versanti meridio-
nali del Monte Maggiore.
In questo settore, il battaglione trascorre un breve periodo di rela-
tivo riposo, impegnando le singole compagnie, di volta in volta, in ope-
razioni di copertura della brigata all'opera nell’Albonese, dedicandosi,
soprattutto a integrare l'organico dei reparti, a curare l'addestramento e
la preparazione militare.
Una giornata di « riposo »
’
Ecco come — sulla scorta di un'istruzione del Comando della brigata
« Gortan » — trascorre la giornata di « riposo » un battaglione:
«Sveglia di tutti i reparti alle ore 6. Entro le 6,30 pulizia personale.
Dalle 6,30 alle 8 istruzioni sui servizi militari di guerra. Dalle 8 alle 9
addestramento alle armi. Dalle 9,30 alle 11 esercizi di fanteria. Dalle 11
108
-alle 12 allenamento ai tiri. Alle.12-rancio e fino alle 14,30. riposo. Ora
politica fino alle 16,30. Cena alle 17. Dalle 17,30 alle 18,30 prove di canto,
dalle 18,30 alle 20,30 riposo. Nessun soldato può allontanarsi dal reparto
senza ordini ».
Le ore politiche sono dedicate alla lettura ed al commento degli ar-
ticoli pubblicati su « Il Nostro Giornale » e su altri ciclostilati partigiani.
Le ore di riposo servono, oltre tutto, a consolidare i rapporti con le po-
polazioni croate dell'interno le quali, dopo oltre due decenni di oppres-
sione fascista, fanno ora la conoscenza con italiani nuovi, che combatto-
no il fascismo; e subito fraternizzano, circondando i combattenti di at-
tenzioni e cure fraterne e affettuose. In questo territorio, nella fase di
riassetto del battaglione, nuovi combattenti italiani arrivano nelle sue
file dagli altri reparti della brigata.
L’8 giugno, giornata di pioggia e vento, vede il battaglione in riposo
a San Giovanni d'’Arsia.
Il 9 giugno, al mattino, i reparti si mettono in movimento. Dopo una
lunga arrampicata per le montagne, viene concessa una sosta in « un po-
sto incantevole, in un prato tutto verde e d'intorrto tutto cime di monti ».
Una veduta meravigliosa, annota Giordano Paliaga. Nel pomeriggio viene
dato alla I compagnia l’ordine di partire: « siamo discesi giù di un monte
che stava quasi all'impiedi, impiegando circa un'ora per arrivare ai suoi
piedi. Ci siamo fermati lì vicino, in un paesetto piccolo, il quale ci ha
portato di mangiare. All'imbrunire si parte, strada facendo sentiamo dei
rumori, ecco gli apparecchi... buttano dei bengala illuminando circa su
Trieste e bombardando forte, gettando pure dei manifestini ... ».
A guardia della conferenza femminile
Il 10 giugno, dopo mezza giornata di marcia, le compagnie si riuni-
scono. Nella notte dell’11, alle ore 2, si riparte per una nuova tappa
verso il Carso. La pioggia viene giù a catinelle, si cammina sotto il dilu-
vio fino al mattino.
« Non tanto lontano dal paese fanno una conferenza antifascista, era
i dintorni dell'Istria quasi tutti slavi. Da noi è andata la II compagnia e
il coro... Sono stati fatti pure dei applausi alle unità Italiane e dei
W Armata Rossa W Stalin W Tito ecc. ecc. II tempo minacciava pioggia,
la nebbia era sotto i limiti fino che attaccò piovere, finita la conferenza
cantarono su piovere e lì fu fatta continuare a ballare ».
Le note di Paliaga si riferiscono alla conferenza distrettuale del FFA
del Carso, svoltasi a Vodice l’'11 giugno. La rivista femminile « Istranka »
e la consorella italiana « La donna Istriana » uscite fresche dalle « tipo-
grafie » partigiane del bosco, riferiscono il saluto dei combattenti italiani
del battaglione « Pino Budicin » (che ha fatto buona guardia all’assise)
portato alle delegate dal comandante Oscar Turilli. Nel suo discorso egli
ha espresso « la riconoscenza che hanno tutti i nostri soldati per le no-
stre coraggiose donne che tante volte, sudate, ma consce del loro dovere
di madri antifasciste, hanno salito la montagna per portar loro da man-
109
giare nel bosco ».i A sua volta il giornale « Lottare », organo dei combat-
tenti italiani nelle file dell'EPL riporta in quarta pagina, sotto il titolo
« Gli Italiani in Istria », un bilancio dei successi conseguiti negli ultimi
nove mesi e aggiunge:
« Ma il più grande successo del Movimento consiste senza dubbio nel
fatto che esso è riuscito ad affratellare nella lotta gli Italiani ed i Croati.
Fin dall'inizio gli Italiani si trovarono in campo contro l’oppressore, e in
seguito le loro file si ingrossarono fortemente ed oggi, in Istria, abbiamo,
accanto alle formazioni croate, un battaglione e alcune compagnie ita-
liane.
Non è molto che si è formato un nuovo reparto fiumano nel quale
accorrono ogni giorno più numerosi i giovani di Fiume.
È così che gli Italiani dell’Istria hanno compreso la necessità e la
giustezza della lotta popolare di liberazione. Essi vi hanno preso parte
con coraggio e con fede e hanno dato all’Istria degli autentici eroi che
cancellano con la loro figura ogni ricordo del fascismo italiano.
Sulla strada indicata da Budicin, Negri, Ferri, dalle giovani eroine
Lina e Maria e da tanti altri eroi caduti marciano gli Italiani verso la
libertà ».2
Le tovaglie sull’erba
Lo stesso giorno in cui si svolge la conferenza delle donne antifa-
sciste della Ciciaria, il II e III battaglione della brigata « Gortan », con
l'appoggio di alcuni reparti della I compagnia del « Budicin » in posizioni
di riserva, assalgono le caserme dei carabinieri di Pedena (Pian) e di
Gallignana (Gratisce), disarmando trenta uomini nella prima e trenta-
quattro nella seconda, per poi ritirarsi verso la piana di Cepié con due
feriti e la salma di Mario Magagna, eroicamente caduto a Pedena. Il
13 giugno viene attaccata e conquistata la guarnigione di Santa Domeni-
ca di Albona. Identica sorte tocca alla guarnigione di Sumberaz.
Dal 12 al 14 giugno i combattenti del « Budicin » rimangono in asso-
luto riposo, se si eccettuano i regolamentari pattugliamenti. Nel pomerig-
gio del 14 c'è la rivista generale delle armi, la sera si tiene comizio in
paese e i combattenti trascorrono qualche ora mescolati alla gente del
posto, fraternizzando: si levano evviva, si canta, si intrecciano le danze
all'aperto fino all’una di notte.
Giornata di riposo anche quella del 15 giugno. Un riposo, però, che
non è mai ozio. All’addestramento militare ed al lavoro politico-ideolo-
gico si alterna l'attività culturale. Per la prima volta tutte le compagnie
e i reparti ausiliari del battaglione si trovano insieme radunati in una
stessa zona, ed i combattenti hanno così la possibilità di conoscersi me-
glio. Inoltre, il soggiorno in questi villaggi, nelle case dei contadini che
qualcuno ricorderà « linde, ben arredate, a contatto con quella gente buo-
na, semplice e ospitale » — che non lascia mancare ai partigiani italiani
1. Dal Nro 1 del 1 luglio 1944, pag. 20. Dopo questa prima edizione, la rivista non continuò le
pubblicazioni.
2. Nro 7 del 30 giugno 1944,
3. Prima di diventare conmandante del II Battaglione d'assalto della brigata « Gortan »,
Mario Magagna aveva comandato la 13-ma compagnia istriana (Compagnia di Pinguente) dal
dicembre 1943.
110
i pasti regolari, « eccellenti minestroni nostrani, di granoturco, fagioli e
patate » — dà la sensazione di essere a casa, in famiglia e in territorio
libero.
I combattenti non possono non ammirare queste donne contadine,
vecchie e giovani, che, sfidando la costante e severissima vigilanza nemi-
ca per portare loro da mangiare o indumenti, offrono ciò che di meglio
hanno in casa trattandoli come ospiti di riguardo. Quando la situazione
lo permette, stendono sull'erba le tovaglie bianche di bucato, ponendoci
sopra pietanze appetitose. Poi si siedono accanto ai combattenti, guar-
dandoli soddisfatte mentre essi mangiano avidamente. Dopo il pasto, se
la zona non è direttamente minacciata, si intonano le belle canzoni par-
tigiane e, a suon di fisarmonica, si fa anche qualche giro di danza con
le più giovani.4
Panettieri e gruppo corale
Sembra essere tornata la pace, come quando Arialdo Demartini, che
da civile ha fatto il fornaio, viene chiamato un giorno a dar prova della
sua arte, confezionando il pane per tutta la brigata a Lanischie (Lanisce).
Come primo aiutante gli viene assegnato Angelo Zuliani, suo cugino, pa-
nettiere anche lui. Sentendo il profumo soave del pane appena sfornato,
sarebbero quasi indotti a dimenticare di essere dei partigiani, se non
fosse per i fucili sempre a portata di mano ... E poi ci sono le esercita-
zioni, senza trascurare il nemico, ovviamente. Pattuglioni del « Budicin »
fanno saltuarie sortite verso Pinguente.
Per la prima volta il battaglione italiano mette insieme anche un
gruppo corale composto in gran parte da rovignesi: Riccardo Daveggia,
Pietro Sponza-Balin, Angelo Zuliani, Giovanni Giotta, Spartaco Zorzetti,
Luciano Simetti, Arialdo Demartini e tanti altri. Si costituisce perfino
una piccola filodrammatica, sicché non passa quasi giorno senza pre-
sentare qualche spettacolo per i villaggi del Carso, ed ovunque i combat-
tenti italiani vengono accolti con simpatia. Animatore di tutta l’attività
culturale è Nino Colli, coadiuvato da Riccardo Daveggia che suona la
chitarra.
« Il nostro battaglione italiano si trova nel settore del Carso nei
pressi di Vodice. Ora conta più di 200 uomini e lo abbiamo completa-
mente armato ». Così riferiscono al Comando operativo dell’Istria, in da-
ta 16 giugno, il commissario e il comandante della brigata « Gortan »,
Danijel Kovatevié e Vitomir Sirola.5 Alla medesima data, Giordano Pa-
liaga annota nel suo diario:
4. Da appunti inediti di A. Demartini, il quale ribadisce quanto già scritto in « Mancano all’ap-
pello », op. cit., pag. 28.
5. Rapporto Nro 252. In questo stesso documento, riportato integralmente in « Put prve istarske
brigade ...» a pag. 131, i dirigenti della brigata danno un resoconto dettagliato delle bat-
taglie che hanno portato alla liquidazione dei presidi nemici di Santa Domenica e di Sumbe-
raz nell’Albonese. In esso si legge anche: « Nei combattimenti di ieri abbiamo catturato
vivi 74 carabinieri e fascisti, dei quali ne abbiamo fucilato 24, 5 sono rimasti con i partigiani
del I Distaccamento, 30 li abbiamo spediti in Italia per includersi nei partigiani italiani, e 9
nella XIIl divisione. Nell'azione del giorno 11 abbiamo catturato 50 carabinieri dei quali
20 li abbiamo fucilati e gli altri spediti attraverso le stazioni in Italia. Abbiamo fucilato
soltanto i fascisti incalliti che hanno seminato il terrore nei villaggi circostanti e non volevano
arrendersi, mentre alcuni fascisti e gli altri carabinieri li abbiamo spediti in Italia ».
111
« Giorno 16 - 6-44 verso le ore 14 del pomeriggio ci siamo messi a po-
losai nei monti attorno al paese con tutto il Btig., abbiamo preso notizia
che non tanto lontano si trovavano 300 Tedeschi. Dopo una lunga salita
di montagna finalmente presi il mio posto a polosai. D'innanzi a me
spicchiava una meravigliosa veduta, d'un fianco il M. Maggiore ed una
catena di monti attaccata ad essi che termina quasi all’altura di ‘Pola.
Dalla parte opposta verso Trieste si vedeva un piccolo tratto di mare che
da tanti giorni non lo vedevo, è stato un piccolo sollievo. E non tanto lon-
tano da dove mi trovavo sulla vallata diversi piccoli paesetti che dava un
grande risalto dai tetti rossi ai prati verdi ».
Dal 17 al 20 giugno riposo. C'è quasi sempre pioggia. Il giorno 21,
nel pomeriggio, alcuni reparti raggiungono la linea ferroviaria Fiume—
Trieste. Una pattuglia viene spedita avanti per esplorare la strada fer-
rata. I tedeschi sono avvistati nei paraggi. I combattenti restano sulle
loro posizioni, sotto la pioggia, fino alla sera inoltrata. In posizione, di
notte, viene distribuito il rancio portato dalle contadine: formaggio e pa-
tate. Poi si prende la via del ritorno alla base ,dove si arriva alle 2 del
22 giugno. Finalmente si va a dormire.
Assise della Gioventù antifascista
La presenza sul Carso del battaglione italiano rende la zona parti-
colarmente sicura. Le varie compagnie del « Budicin », a turno, tengono
d'occhio la ferrovia lungo la quale si muovono in continuazione le pattu-
glie tedesche e vigilano affinché il nemico non « sconfini » sul territorio
partigiano, mentre all’interno dell'Istria e lungo la fascia costiera gli
altri reparti della brigata « Gortan » e del Distaccamento polese attac-
cano in continuazione i convogli nemici. La Compagnia Italiana del Di-
staccamento polese libera in questo periodo 63 operai di Pola sotto il
naso delle sentinelle tedesche; sulla strada Barbana—Pola, il II Batta-
glione d'assalto della « Gortan » attacca una colonna tedesca bruciando
le automobili degli ufficiali, uccidendo 46 e ferendo 27 nemici (17 giu-
gno); altri attacchi si registrano presso Abbazia e Laurana, Albona e Pro-
dol. I risultati complessivi del mese di giugno saranno: 563 tedeschi e
35 fascisti italiani uccisi; 6 tedeschi, 37 fascisti e 150 carabinieri fatti
prigionieri; 20 mitragliatrici, 174 fucili e altro materiale catturati; 4 lo-
comotive, molti vagoni e autocarri distrutti.
Per quelli del « Budicin » sono quotidiane sgroppate per i monti, a
difesa di una vasta zona dell’altipiano della Carsia che si eleva nel
Terstenico a 1263 metri di altezza, legandosi alla catena dei Vena per
scendere ripida verso la regione liburnica da una parte e con lento pen-
dio sul lato della Slovenia. Sono sgroppate quasi sempre sotto la piog-
gia, col chiaro e con le tenebre, con turni che durano anche otto ore
per le singole pattuglie. Il rancio è più o meno sempre quello, quando
non si è alla base: patate e formaggio, latte e polenta. Nonostante sia
imminente l'estate, sui monti il freddo si fa sentire ancora pungente.
E la pioggia cade da quindici giorni, sembra non voglia smetterla più.
Le ragazze del Carso si danno da fare per confezionare calzini di lana e
« zavatte ».
112
#7 PISINO—PAZIN
Antignana—Tinjan
Monpaderno- Baderna V4
I &X
© Monfardin= Villa Montardin
S. Lorenzo del Pasenatico
Gimino=ZMin,
Sanvincenti N
—— -RoviGno gli Svetvincenat
——_ROVINI usa
Barbana
Barban
Barbariga
_— Marzana- Martana
Dignano N
Vodnian
n
O Gallesano-—Galizana
Kavran O
LEGGENDA
Unità del battaglione
»P, BUDICIN=a
Altre formazioni partigiane
Base partigiana di rilievo
Azione partigiana di rilievo
Ospedale partigiano
Direzione di marcia del nemico
I più importanti combatimenti e azioni condotti dal «Budicin» all'epoca in cui sì trovava
alle dipendenze del II distaccamento partigiano polese. L'ospedale partigiano è quello
segnato dal simbolo più grande. I simboli minori con la croce indicano le infermerie
sparse nel territorio dipendenti dall'ospedale.
è
»
Il combattente polese Mario Poccari
(Puhar), comandante della II compagnia
del «Budicin» caduto il 7 dicembre 1944
a Popovo Selo.
Pietro Bobicchio, caduto il 7 ottobre
1944 nel combattimento contro i belo-
gardisti sulla strada Pivka-Zagorje-Kna-
zak.
Giordano Paliaga, caduto il 5 aprile 1945 presso Ogulin. Nel
« Budicin » coprì le più importanti cariche politiche: delegato,
vicecommissario e commissario di compagnia, nonché com-
missario dello stesso battaglione. Il suo diario è stato oltre-
modo prezioso per la compilazione di quest'opera.
Troppi combattenti
Il 24 giugno arriva al battaglione il nuovo commissario politico della
brigata. Con un rapporto stilato due giorni dopo, N° 487/26. VI. 44, egli
informa il Comando operativo dell'Istria, scrivendo fra l'altro:
« Attualmente il nostro IV Battaglione italiano conta 234 combattenti,
senza calcolare la Compagnia fiumana ».
Come si vede, in meno di un mese gli effettivi del « Budicin » sono
raddoppiati. Ma che c’entra l’accenno alla Compagnia fiumana che milita
nel II Distaccamento? C'entra, perché il Comitato regionale del Partito
ha disposto l'inserimento di quel reparto nel « Budicin ». Però:
« Noi non sappiamo nulla di ciò — dicono i dirigenti della « Gortan »
— e nessuno ci ha riferito se questa compagnia rimarrà per sempre nel
battaglione oppure vi sarà inclusa provvisoriamente ».
Il Comando della « Gortan » sembra contrario all'inserimento, anzi
ritiene che il « Budicin », con gli effettivi già raggiunti, sia troppo nu-
meroso, ed è « impossibilitato a operare con un così gran numero di
combattenti ». Perciò:
«Abbiamo intenzione di prelevare dal battaglione italiano tutti i
combattenti che conoscono sia pure parzialmente la lingua croata e che
desiderano entrare a far parte dei battaglioni croati. »
Ma anche togliendo al « Budicin » una ‘parte dei suoi uomini, le file
si ingrossano rapidamente:
« Quasi ogni giorno arrivano nella mostra brigata degli italiani in-
viatici dai vari comandi. Dato che il nostro battaglione italiano è troppo
mumeroso, da oggi in poi tutti gli italiani in arrivo verranno trasferiti nei
Distaccamenti partigiani ».
Intanto, ordini diramati alle varie compagnie mettono un po’ di
agitazione, ci sono novità nell'aria. Alle 4 del mattino del 25 viene data
la sveglia e tutte le compagnie si mettono in marcia per prendere posi-
zione in un vasto raggio nella zona di Vodice, dove si tiene la I Confe-
renza distrettuale della Gioventù antifascista del Carso. Riferendo l’av-
venimento nell'articolo « Fratellanza in atto », « Il Nostro Giornale » sot-
tolinea:
«Il 25/6 c. a. ha avuto luogo la I Conferenza distrettuale della Gio-
ventù Antifascista del Carso. Ad essa hanno partecipato centinaia di gio-
vani... La sala era adorna di scritte inneggianti alla fratellanza e all’uni-
tà in armi italo-croata, dell'immagine del compagno Tito con a fianco la
bandiera italiana con la stella rossa e quella della libera Croazia.
Alla Conferenza ha parlato il comandante del battaglione italiano.
Egli ha salutato i convenuti in nome dei combattenti del Battaglione...
Ha parlato della nuova gioventù italiana in lotta contro il fascismo, della
fratellanza degli Italiani e dei Croati, fratellanza che è una realtà perché
«mentre voi tenete questa conferenza i giovani italiani del Battaglione
Budicin tengono le posizioni circostanti, pronti a ricacciare il nemico se
egli avesse la velleità di disturbarci ». Il discorso del capitano Oscar è
8 Rossa una stella 113
stato più volte interrotto dagli applausi. Infine, il gruppo corale del bat-
taglione ha cantato l'inno del Partigiano italiano fra le manifestazioni di
entusiasmo della gioventù del Carso ».6
I combattenti restano sul Carso ancora per qualche giorno. Dal dia-
rio di Paliaga, 26/27 giugno:
« Nella stessa notte ho fatto di pattuglia per sicurezza F. S. (sul ver-
sante della linea ferroviaria). Verso il mattino incominciava a spuntare
il sole dai monti alti, sembravano innaturali, faceva un freddo che si può
dire come l'inverno, i piedi erano freddi freddi. Si è fatta pure una riu-
nione assieme a tutti i graduati con il commissario (di) Brigata. Alla sera
abbiamo lasciato la zona per andare ad un’altra ».
La partenza di tutto il battaglione avviene infatti alle 21.00 circa del
27 giugno, direzione l’Istria occidentale: la valle del Quieto—zona di Mon-
tona. Nella stessa direzione di marcia si sono avviati anche i battaglioni
croati. Da questo momento il « Pino Budicin » si aggrega definitivamente
alla prima brigata istriana seguendola per il primo ciclo di operazioni
che vedono impegnati al completo i reparti della « Gortan ».
6. Nro 14 del 10 luglio 1944.
114
CAPITOLO XIV
NELLA VALLE QUIETO
« Nella zona Monte Maggiore—Arsia, nel territorio montano che si
estende dalla cresta di Laurana fino ad Albona, si concentra una grande
massa di forze partigiane. Sembra che si tratti della nota brigata "Vladi-
miro Gortan” la quale, seriamente provata e più che decimata nel corso
delle ultime operazioni di rastrellamento condotte dalle unità tedesche per
circa due mesi, si sta ora riorganizzando e costituendo nella suddetta
zona con elementi slavi (Croati e Sloveni) arrivati in piccoli gruppi di
otto-dieci persone dal territorio d’oltre confine. Nulla si sa della forza,
della struttura dell'’armamento ed equipaggiamento di questo raggrup-
pamento. Sembra che la forza totale non superi comunque alcune centi-
naia di persone... ».
Così si legge in un rapporto, datato 29 giugno 1944, del Comando
del 35.mo settore militare tedesco per la provincia di Fiume e zone cir-
costanti.! Evidentemente il nemico non è informato — o per ragioni po-
litiche non si vuole sottolinearlo — della presenza nella brigata del bat-
taglione italiano. Il rapporto, inoltre, è in ritardo sugli avvenimenti, per-
ché la brigata già da due giorni ha lasciato il settore indicato.
Nelle prime ore dell'alba del 28 giugno, dopo una marcia senza soste
protrattasi per tutta la notte sotto la pioggia che ha cominciato a cadere
subito dopo la partenza accompagnata da gelide sferzate di vento, le
compagnie I e III del battaglione « Budicin » passano Colmo (Hum)
dirigendosi verso il villaggio d Ratice. La II compagnia, distaccata per
ordine del Comando brigata, è stata invece inviata, al comando del com-
missario del battaglione, nei pressi di Brgudac per compiere un attacco
sulla ferrovia.
I saccheggiatori in fuga
Intanto, mentre il grosso del « Budicin » passa Ratice, dirigendosi
verso la vicina stazione di Breghi (Ratitko Brdo), un giovane della zona
informa i combattenti che nel paese c'è una banda di razziatori tedeschi.
1, Il testo del documento è riportato in « Revolucionarna Istra » op. cit. a pag. 53
115
Il battaglione affretta la marcia, spingendo pattuglie esplorative sui
fianchi... L'evolversi e l’epilogo dell’azione sarà descritto in un articolo
firmato « Dusan » sulle colonne de « Il Nostro Giornale ».
«Il 28/6 un gruppo di predoni fascisti ha incappato nei pressi del
villaggio di Breghi in una pattuglia del IV Battaglione italiano « P, Bu-
dicin », ed è stata accolta da colpi di fucile. Un predone tedesco si è dato
alla fuga, abbandonando nel panico il suo tascapane pieno di generi ali-
mentari rubati. Da quel che si è trovato dentro si può giudicare lo stato
miserevcle dell'esercito fascista: pezzetti di pane, grasso, olio, zucchero
e minuzie varie.
Si trattava di roba rapinata ai poveri pacifici contadini di Breghi, ai
quali è stata restituita dai combattenti del nostro E. P. L. che difende
il suo popolo e fa pagare a prezzo di sangue ogni delitto compiuto dagli
occupatori fascisti ».2
Maggiori particolari vengono forniti da Arialdo Demartini che, in-
sieme a Spartaco Zorzetti, Giovanni Giotta ed altri del suo I plotone
della I Compagnia, è stato il protagonista dell'azione:
« Stavo alla testa del mio reparto. Corremmo a più non posso, tanto
che in cinque minuti ci portammo presso il villaggio. Nel tentativo di
circondarlo, i nazisti ci scorsero per primi ed aprirono il fuoco su di
noi. Ordinai al mio plotone di prendere posizione rispondendo al fuoco.
Ma dovemmo constatare subito che le raffiche del nemico erano male-
dettamente precise. Diversi proiettili andarono a conficcarsi in terra,
passando a pochi millimetri dalle nostre teste e sollevando una nube di
polvere. Rimanemmo bocconi, immobili, e per alcuni secondi il fuoco
tacque. Dissi poi a Spartaco e a Gianni, che erano al mio fianco, di non
sparare a casaccio, ma di attendere che il bersaglio si facesse preciso,
visibile. Non avevo neanche terminato di parlare, che un’altra raffica,
uguale alla prima, ci accecò. Mancò un pelo che non ci rimettessimo la
pelle. Vista la brutta piega che potevano prendere le cose, ordinai "Juris”
sparando con tutte le armi disponibili. L'effetto fu immediato. Vedemmo
un gnuppo di nazisti liberarsi dagli zaini e darsela a gambe. Noi ci met-
temmo dietro a loro, ma purtroppo non riuscimmo a raggiungerli. In
compenso ci impossessammo dei capaci zaini carichi di viveri che discipli-
natamente consegnammo al comando battaglione, il quale distribuì parte
del contenuto agli uomini del mio plotone come ricompensa per il co-
raggio dimostrato ».3
Sul medesimo episodio troviamo un cenno nel diario di Giordano
Paliaga, il quale ricorda che quattro « gnocchi » sfuggiti all'inseguimento
del plotone italiano, finiscono nella rete del III battaglione. Anche questo
reparto si è imbattuto in una banda di saccheggiatori nazisti in un vil-
laggio vicino, mettendoli in fuga verso Pinguente e costringendoli ad
abbandonare la preda: fiasche impagliate piene di vino, sacchi di farina
e di zucchero, zaini pieni di pane, lardo, olio .
Ne faranno un breve accenno anche il commissario e il comandante
della brigata nel loro rapporto al Comando operativo per l’Istria scritto
nel pomeriggio del 30 - VI - 1944;
2. Nro 15 del 29 luglio 1944
3. Da appunti inediti messi a disposizione degli Autori. Cfr. pure « Put prve istarske brigade ...»,
op cit. pag, 159; « Istarska svitanja », pag. 70—71; « Fratelli nel sangue » pag. 245.
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«Il giorno 28 c. m. al mattino tutti i battaglioni sono arrivati nei
punti prestabiliti. Quando il III battaglione è arrivato al posto stabilito,
villaggio di Vrh, vi ha trovato già una banda tedesca e fascista, ma è stata
messa in fuga dal battaglione ed è scappata in preda al panico nella
sua guarnigione di Pinguente. Lo stesso giorno il IV Battaglione italiano
si è mosso da Raéice per Racitko Brdo, anche lì c'era una banda, ma è
stata messa in fuga dallo stesso battaglione. La banda in fuga ha lasciato
um pranzo pieno di cibi (sic) predati (zucchero, prosciutto, olio ecc.) ».4
In vista della battaglia
Raggiunto il settore di Montona—Levade, i reparti della brigata si
sistemano nei vari villaggi per trascorrere alcune ore di riposo. È la pri-
ma volta che la gente di questa zona dell'Istria centro-occidentale vede
un'intera brigata partigiana, il cui comando ha già elaborato un piano
di azioni che, oltre a infliggere dure perdite al nemico, si prefigge di rin-
forzare lo spirito resistenziale delle popolazioni e mobilitare eventual-
mente nuovi combattenti. A questo scopo, ed anche per raccogliere esatte
informazioni sul nemico, vengono presi contatti con i locali Comitati Po-
polari di Liberazione. Purtroppo, si ricava ben poco. Nel rapporto sopra
citato, leggiamo ancora:
« Teri 29 giugno abbiamo ricevuto varie notizie secondo le quali sa-
rebbero arrivati 50 camion di soldati a Rozzo (Roè). Così pure sarebbero
arrivati 19 camion da Trieste in un villaggio nelle vicinanze di Pinguente.
Inoltre abbiamo ricevuto un rapporto secondo cui sarebbero arrivati
3 treni da Pola e Nugla. Tutte queste informazioni non avevano proprio
un buon odore, perché incombeva la minaccia che il nemico potesse in-
traprendere qualche misura contro la nostra brigata. Tutti questi rap-
porti li abbiamo ricevuti dai CPL, mentre dal Servizio di informazione
sul terreno non abbiamo ricevuto nulla, perché tutti questi informatori
sono molto scadenti e finora non abbiamo ricevuto da essi nemmeno un
rapporto giusto, così che in questo modo siamo dell'opinione di non
rivolgerci più ad essi, perché non ne abbiamo alcun utile. Secondo le
loro informazioni non sarebbe possibile condurre nessuna azione, e non
sanno neppure i dati esatti sulle guarnigioni nemiche . .. (. ..). In base alle
informazioni ricevute ieri, non era opportuno rimanere su questo territo-
rio, ma già in precedenza avevamo dato l'ordine per condurre l’odierna
azione e così non abbiamo dato importanza a queste informazioni, né
abbiamo cambiato il piano, anzi oggi all'alba abbiamo cominciato la bat-
taglia contro le guarnigioni nemiche di Gradina e Portole (Oprtalj). »
Qui Gradina è erroneamente indicata, trattandosi invece della lo-
calità di Santo Stefano, distante pochi chilometri dalle omonime Terme
e dal villaggio di Gradina (Gradinje). A Santo Stefano, in un solido edi-
ficio, sono sistemati gli impianti dell'acquedotto istriano con la centrale
delle pompe ai piani inferiori, gli uffici direzionali e gli alloggi del per-
sonale ai piani superiori, alcuni dei quali sono adibiti a caserma. La sera
del 29 giugno, dopo alcune puntate esplorative in quella direzione, il bat-
taglione italiano riceve l'ordine di attaccare e liquidare quel presidio fa-
scista, muovendo all'assalto l'indomani alle prime luci dell'alba.
4. Il documento è riportato in « Put prve istarske brigade ...», alle pagg. 158—160
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«Tutto era fiorito, gli alberi erano pieni di frutti e l'aria aveva un
dolce profumo (...) La gente dei paesi vicini ci portava da mangiare
e cantando ritornavano alle loro case, felici di aver fatto qualcosa per
noi (...). Verso sera venimmo a sapere che alla notte si sarebbe andati
ad attaccare un presidio ... ».
Così scriverà nell'immediato dopoguerra l'allora « aspirante » uffi-
ciale Pietro Sponza della III Compagnia. dis Un altro combattente, Arial-
do Demartini, conferma a sua volta l’affettuosa accoglienza avuta dalla
popolazione che per dar prova del suo affetto permette ai combattenti
di accomodarsi liberamente nei campicelli fra i ciliegi. « Memorabili ie
scorpacciate di grosse ciliege di color bianco-rossiccio ». Rievoca poi i
preparativi per l’azione:
« Oltre all’'usuale minuziosa pulizia delle armi, il commissario di
compagnia, Riccardo Daveggia, ritenne necessario radunare i suoi uomini
all'ombra di un grande ciliegio, nel mezzo di un bel prato, per una pre-
parazione ipoliticormorale particolare. Estrasse dalla sua borsa di pelle
un opuscoletto, intitolato "Lipa accusa” e cominciò a leggerlo ad alta
voce. La svogliatezza e la sonnolenza che abitualmente prendeva tutti in
quei pomeriggi afosi, passò subito dopo i primi passi di lettura, troppo
serio era l'argomento. Tutto orecchi, i combattenti della III ascoltavano
il loro commissario, piuttosto basso di statura, col naso un po’ aquilino,
il quale con voce patetica marcava ogni parola, perché voleva che tutti
ascoltassero e seguissero attentamente quanto egli leggeva.
Non era facile per un dirigente accattivarsi la fiducia dei propri
uomini in brevissimo tempo, ma egli ci era riuscito, agendo da comunista,
da uomo anche nelle piccole cose. Non ammetteva ingiustizie di alcun
genere nella sua compagnia: le razioni di cibo dovevano essere veramen-
te eguali, ifem per la razione di sigarette. Soprattutto ci teneva molto
ai rapporti camerateschi. Con la sua chitarra, poi, allietava le ore di ri.
poso dei suoi partigiani.
Quand’ebbe finito di leggere l'opuscolo, serutò il volto dei suoi uomi-
ni ad uno ad uno... Vide che a più di uno di loro qualche lacrima aveva
rigato il viso, non escluso se stesso. Il feroce eccidio, le mostruosità
commesse dai nazifascisti due mesi prima nel villaggio di Lipa, erano
inconcepibili per quei giovanissimi pa) tigiani alcuni dei quali avevano ri-
cevuto da poco il battesimo del fuoco. Perciò la reazione fu immediata
e spontanea, ormai si trattava di una questione d'onore: vendicare do-
mani tanti esseri innocenti, vecchi, infermi, donne e bambini inermi mas-
sacrati ed arsi vivi nel rogo di Lipa... Una volta lasciati liberi, ci fu
chi strappò un pezzo di fodera della propria blusa militare per ripulire
di nuovo e meglio l'arma che non doveva assolutamente incepparsi du-
rante il combattimento ».
Al crepuscolo, divisi in vari gruppi, i combattenti vengono asse-
gnati alle famiglie del luogo, un villaggio di casupole in pietra appol-
laiato sulla cima del monte, per consumare un'abbondante cena pre-
parata con tanta cura dalla buona gente campagnola. Testimonia un
altro protagonista:
« Quella sera i ragazzi del Budicin non ebbero nemmeno voglia di
riposare e si prepararono accuratamente per eseguire meglio possibile
il compito loro affidato. Mentre i combattenti pulivano le armi e si rifor-
4. bis Nel racconto « Primo combattimento in Istria » sul quotidiano « La Voce del Popolo » del
4 aprile 1946.
118
nivano di munizioni, commissari e delegati politici ne curarono il morale.
Poi venne il turno dei comandanti che spiegarono ai combattenti nei det-
tagli il piano dell'operazione ed assegnarono i compiti precisi ai vari
reparti ».5
Le informazioni in possesso del Comando brigata sono queste: la
guarnigione di Santo Stefano è composta da un reparto di 16 uomini di
un battaglione « M ». Si tratta in gran parte di fascisti ancora imberbi,
molti del luogo, al comando di un sergente maggiore, sfegatato fascista
toscano assistito da uno squadrista quarantenne. L'edificio dell’'acque-
dotto e, al tempo stesso, caserma, è una buona costruzione a tre piani
sulla strada Pinguente—Levade, fiancheggiata dal fiume Quieto. Il ter-
reno intorno è collinoso, scarsamente alberato, attraversato da buone
vie di comunicazione.
La guarnigione di Portole, sulla strada Trieste—Levade—Montona, è
sistemata in due edifici fortificati con bunker, conta 90 fascisti ed al-
cuni carabinieri. Della conquista di questa piazzaforte, l'osso più duro,
viene incaricata la I compagnia con la quale resta il comandante di bat-
taglione, composta in prevalenza da uomini che militano fin dal primo
giorno nelle file del « Budicin ».
Il presidio di Santo Stefano è invece l’obiettivo della III compagnia,
con la quale va l'ufficiale operativo del battaglione, tenente Bruno To-
mini. Per la maggior parte degli uomini della Terza, l'imminente attacco
rappresenta il battesimo del fuoco. Da pochi giorni appena, infatti, que-
sto reparto ha subito una completa ristrutturazione con l'inserimento
di giovani arrivati freschi freschi nelle file partigiane.
Alla III compagnia viene fornito il cannone anticarro « Jurina », alla
I il mortaio pesante « Franina ». Sono tutta l'artiglieria di cui dispone la
brigata « Gortan ». I reparti croati della brigata faranno invece azioni
dimostrative presso Levade sia per distrarre l’attenzione del nemico dal
vero obiettivo dell'attacco, sia per bloccare a distanza le vie di accesso
alla zona. In particolare il III battaglione sarà in agguato sulla strada
di Pinguente.®
Poco dopo la mezzanotte, tutto è pronto e le due compagnie italiane
si mettono in marcia verso le alture sovrastanti la valle del fiume Quieto.
La marcia prosegue silenziosa e spedita attraverso colline e boschi illu-
minati dal primo plenilunio d'estate. L'aria è tiepida e gradevole, tale da
indurre a rincorrere dolci pensieri se non ci fosse la preoccupazione del
compito da portare a termine, di non deludere, di farsi onore superando
la prova.
Le guide, secondo gli ordini ricevuti, si tengono a debita distanza
dagli abitati. La prudenza non è mai troppa. La marcia prosegue da più
di tre ore, quando viene dato l'ordine di sosta. Mezz'ora di riposo. Quasi
5. La citazione è presa da una ricostruzione dei fatti, pubblicata sotto il titolo « A. S. Stefano
nemico annientato » (senza firma) sul N. 12/30 giugno 1964 della rivista « Panorama ». Sulla
medesima rivista, nel nro 8/1952, Arialdo Demartini ha pubblicato una breve storia del bat-
taglione « Budicin » sotto il titolo «Il battaglione Budicin onore degli italiani ». Lo stesso
Demartini ha inoltre curato una ricostruzione della battaglia di Santo Stefano — Portole
mettendo il manoscritto a disposizione degli Autori di quest'opera. Abbiamo pure consultato
il libro « Istarska svitanja » (pagg. 70—73), servendoci infine del più volte citato diario ine-
dito di Giordano Paliaga e di altre fonti.
6. Vitomir Sirola-Pajo in « Revolucionarna Istra », pag. 104.
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tutti si addormentano. Quando si risvegliano, hanno gli abiti bagnati di
rugiada. Calandosi giù dalle colline, viene passata la voce di osservare
il massimo silenzio. I combattenti riconoscono finalmente la lunga valle
del Quieto con gli interminabili filari di platani, sovrastata da una tit
tissima nebbia. Giunti a valle, percorrono un breve tratto di strada mae-
stra per poi inoltrarsi nel bosco.
L'attacco a Santo Stefano
« Dopo varie ore di marcia — scrive Sponza — arrivammo nelle vici-
nanze della caserma e attendemmo ansiosi l'alba. Il commissario Daveg-
gia si vedeva dappertutto, qua dava una parola di conforto, là incorag-
giava i compagni parlando delle loro famiglie e delle loro case. L'alba
spuntò, ma una densa nebbia copriva la valle e ci impediva di vedere
l'obiettivo. Si ricevette l'ordine di avanzare, protetti dalla nebbia, a cinque
metri di distanza l’uno dall'altro. Quasi tutti eravamo al nostro primo
combattimento e in preda a una leggera emozione ... ».7
I combattenti, quasi strisciando, si avvicinano alla caserma fino a
poche decine di metri, attendendo il segnale d'attacco. Sui punti domi-
nanti, alle spalle delle compagnie, sono sistemate le mitragliatrici e i.
cannone. Una parte del comando brigata si è pure sistemata nei paraggi
per meglio seguire l’azione. Il collegamento fra il comando brigata e
quello del battaglione sarà mantenuto dal corriere Ferruccio Pastrovic-
chio. Il tenente Tomini impartisce disposizioni precise al comando di
compagnia di come prepararsi e iniziare la battaglia.
Il comandante di compagnia è il fiumano Deotto, commissario Da-
veggia, rovignese, vicecomandante il « regnicolo » Angiulli. Oltre a tra-
smettere gli ordini ai capiplotone ed ai delegati politici, essi elaborano
insieme ai combattenti i dettagli del piano d'attacco. Con la III compa-
gnia si trova sul posto il plotone mitraglieri del « Budicin » con Ferruc-
cio Alberti, col mitragliere Felice Dobran e il suo aiutante Rodolfo Do-
bran, sissanesi. Loro compito è di far da copertura, specialmente al mo-
mento dell’assalto finale. Alla compagnia è stato aggregato, inoltre, il
gruppo guastatori della brigata comandato dal capoplotone Flego da
Pinguente, e composto dal caposquadra Petar Herak e dai combattenti
Vivoda, Ivan Frankovié, Ivan Ribarié e Miro Sirotit tutti da Pinguente.
Al gruppo è stato dato l’ordine di distruggere gli impianti dell’acque-
dotto dopo che i combattenti della Terza avranno preso il presidio.
Verso le 4.30 del 30 giugno una valanga di fuoco investe il presidio
nemico. Una sveglia brusca per la guarnigione i cui uomini, tuttavia,
riescono ad apprestare le difese senza danni in quanto la stessa nebbia
che ha favorito l’attacco di sorpresa dei partigiani, impedisce di dirigere
il tiro nei punti giusti. Invece della caserma viene attaccato il deposito
di munizioni. Dalla caserma i fascisti rispondono con mitragliatrici pe-
santi e fucili, battendo anch'essi a casaccio. Il duello continua così in-
fruttuoso per circa un'ora.
Ancora una volta diamo la parola ai protagonisti, cominciando dal
capoplotone Basilio Kaltié, il quale ricorda alcuni suoi uomini: i dele-
7. Vedi nota 4 bis
120
gati politici Ruggero Stupar e Celeste Degravisi, il desetar Francesco Fio-
ranti, il mitragliere toscano Trapani, i combattenti Luigi Belci detto
Gianni, Giordano Marfan, Slavko Grubissa e Giuseppe Vitassovich. Gli
ultimi due immoleranno la vita: Vitassovich a Koritnica in Slovenia e
Grubissa nel Gorski Kotar.
Il comandante di compagnia si è unito al plotone di Basilio, il quale
così racconta:
« Una volta scesi a valle, protetti dalla nebbia più che dall’oscu-
rità, strisciando come le serpi e cercando di fare il meno rumore possi-
bile, riuscimmo a raggiungere il recinto della caserma-acquedotto. Assie-
me al delegato politico Ruggero, munito di tenaglie, incominciammo a
tagliare le maglie della rete metallica per aprire un varco attraverso cuì
introdurci e, forti del fattore sorpresa, attaccare i fascisti nel sonno.
Purtroppo, facemmo i conti senza l'oste. La sentinella sulla terrazza per-
cepì dei rumori e, sebbene non potesse scorgerci, diede l'allarme aprendo
il fuoco nella nostra direzione. Constatato che stavamo diventando facile
meta delle armi nemiche, non ci rimase altro che far marcia indietro,
guadare il fiume Quieto e ritirarci nel bosco. Essendosi il comandante di
compagnia spostato su un'altra postazione, dovetti assumere io la respon-
sabilità di tornare nuovamente alla carica. Valutata la situazione, ordinai
ai miei uomini di portarsi ad uno ad uno, a balzi, dietro dei tronchi
d'albero che su quello spiazzo aperto costituivano l'unica barriera difen-
siva al fuoco alquanto preciso del nemico. Ogni qualvolta subentravano
delle pause di fuoco, data la breve distanza di una cinquantina di metri
che ci separava dal nemico, ne approfittavamo per dialogare con i fa-
stisti.
Ad aprire il dialogo fu il delegato Celeste, che com voce stentorea
disse loro che sarebbe ‘stato meglio si arrendessero subito, in tal caso
non sarebbe mancata la clemenza partigiana. Non avete via di scampo,
gli diceva, ingenti forze partigiane hanno occupato la zona attaccando gli
altri presidi fascisti... Quando una pallottola colpì alla testa il mitraglie-
re Luigi Belci, capimmo che soltanto con le anmi si poteva discorrere con
i fascisti. Immediatamente riprese la sparatoria da entrambe le parti. La
nostra posizione sfavorevole mi preoccupava seriamente. Eravamo troppo
allo scoperto. Me ne convinsi quando vennero feriti Ruggero Stupar e i
combattenti Marfan e Vitassovich. Fu il delegato Ruggero, nonostante fos-
se ferito, a portare i combattenti nell'interno del bosco. Nel frattempo
la nebbia stava diradandosi. Si ebbe la speranza che sarebbe entrato in
azione il cannoncino "Jurina”...».8
Che succede, intanto, con gli altri gruppi? Il fratello di Basilio, Re-
nato Kaléié, anche lui comandante di un plotone di cui fanno parte il
caposquadra « Tito » da Fiume, l'insegnante Galiano Sculin da Pola, il
mitragliere Mendica e Marino Manzin pure polesi, il buiese Bassanese
— il più piccolo di statura del battaglione — ed altri, così racconta:
La resa del presidio
« Scesi a valle, passammo accanto agli edifici delle Terme di Santo
Stefano, completamente disabitati. Di lì ci dirigemmo verso la caserma
nemica, prendendo posizione a centocinquanta metri. Siccome gli altri
8. La testimonianza è stata raccolta da Arialdo Demartini per il Centro di ricerche storiche
di Rovigno dove si conserva.
121
reparti della compagnia erano già stati avvistati dal nemico, c'era da
aspettarsi che anche noi saremmo stati bersagliati dal fuoco, e così fu.
Comunque, replicammo in eguale misura. L'intensa sparatoria si protrasse
a lungo, esattamente fino al diradarsi della nebbia. Fu in quel momento
che capitò in mezzo a noi l'ufficiale operativo del battaglione Bruno To-
mini, accompagnato, se non erro, dal vicecommissario di compagnia An-
giulli. Egli ci chiese se vi fossero due volontari disposti a seguirlo. Subi-
to si annunciarono alcuni, fra cui il Bassanese al quale tutti dovemmo
consegnare una bomba a mano ed egli ne riempì il tascapane. Quindi i
volontari partirono con i superiori ... ».9
L'intero plotone di Basilio Kaltié rimane inchiodato sulle proprie
posizioni per tenere a bada il nemico. Così pure il grosso del plotone di
Renato. L'ufficiale operativo e il commissario Daveggia, invece, seguiti
dal loro gruppo di prodi, fra cui due componenti del gruppo guastatori
della brigata annunciatisi volontari (Miro Sirotié e Flego), si portano
sotto la caserma, riescono ad aprire il cancello del cortile e si lanciano
all'assalto. Saranno le ore 8, il sole si è levato e la nebbia diradata. Il
cannoncino anticarro partigiano centra con alcune granate il tetto della
caserma-acquedotto. Due o tre granate s’infilano direttamente per la fi-
nestra esplodendo all’interno.
Per qualche attimo sembra che i fascisti abbiano cessato il fuoco e
c'è chi, fra i partigiani, crede di veder sventolare uno straccio bianco
legato a un bastone, in segno di resa. Ma è un inganno o un'illusione. Il
fuoco nemico si concentra sul valoroso gruppo attaccante. Il commissa-
rio di compagnia Riccardo Daveggia, che incita gli uomini all'attacco
gridando « Avanti, compagni!» viene mortalmente colpito insieme al
capoplotone guastatori Flego ed all’altro guastatore Miro Sirotié. Tomini
e gli altri, superato lo spazio scoperto del cortile, si sono portati sotto
le finestre del caseggiato; vengono investiti a loro volta da una gragnola
di bombe a mano; per fortuna solo una scheggia raggiunge l'ufficiale
operativo, ferendolo leggermente all'orecchio destro. Senza perdersi d’ani-
mo, Tomini e gli altri lanciano pure loro le bombe a mano, attraverso
le finestre, mentre gli altri reparti della compagnia, che hanno pratica-
mente accerchiato la caserma, intensificano la sparatoria.
Approfittando del nutrito fuoco di sbarramento partigiano, Tomini
riesce ad aprire la porta secondaria, quella di servizio, della caserma e,
benché bersagliato dalle bombe a mano dall'atrio superiore, sale per le
scale con la pistola in pugno irrompendo nelle stanze in cui si sono bar-
ricati i fascisti e intimando la resa. Il coraggioso esempio dell’ufficiale
operativo è stato intanto seguito dagli altri combattenti che irrompono
nella caserma. Trovano i fascisti con le mani alzate. Francesco Fioranti,
del plotone di Basilio, racconta commosso:
« Non so come, dopo aver espugnato il presidio, mi trovai accanto al
commissario Riccardo Daveggia che giaceva a terra mortalmente ferito,
sostenuto da un compagno. Mi chinai per soccorrerlo, ma capii che non
c’era più nulla da fare quando vidi che una pallottola gli aveva perforato
il torace. Lo tenni fra le mie braccia ancora per qualche secondo, finché
esalò l’ultimo respiro ».10
9. Idem
10. Idem
122
Altri combattenti ricordano Daveggia col sorriso sulle labbra, nono-
stante la pallottola nello stomaco e il sangue che forma una larga chiaz-
za per terra, guardarsi intorno negli ultimi istanti di vita come per ras-
sicurare i compagni prima di lasciare per sempre il battaglione. Prima
di spirare, ricordano ancora, trova la forza di sollevarsi un poco per
guardare in faccia i fascisti usciti dalla loro tana con le braccia alzate.
Dodici sono stati presi vivi.
Eseguendo gli ordini del vicecomandante della brigata Ivan Brozina
Slovan, entrano ora in azione i guastatori. Due di essi, il capoplotone
Flego e Miro Sirotié, sono caduti nell’assalto. Pietro Herak assume il
comando del gruppo e, spinto anche da irresistibile furore per la morte
dei compagni, colloca una grande quantità di esplosivo e di mine fra
i macchinari dell'acquedotto per far saltare in aria gli impianti. È lui
stesso a dirlo:
« Dopo aver acceso la miccia, di corsa mi misi al riparo. Seguì una
serie di boati a catena. Tutto si era svolto secondo il piano prestabilito.
Infine, prima di abbandonare la località, e sempre in esecuzione degli or-
dini dei miei superiori, appiccai il fuoco all'edificio delle Terme di Santo
Stefano.!!
Bilancio consuntivo della battaglia: catturati una mitragliatrice pe-
sante, due fucili mitragliatori, un mortaio leggero, 16 fucili, 4 fucili da
caccia, 2 pistole, 100 bombe a mano, 80 granate per mortaio, notevoli
quantitativi di munizioni per fucili ed armi automatiche, un apparecchio
radio, 300 kg di olio e 800 kg di nafta; gli impianti dell'acquedotto com-
pletamente distrutti (azione, questa, biasimata poi dal Comando opera-
tivo dell'Istria), i prigionieri processati e messi al muro, ad eccezione
di uno. Perdite partigiane: tre caduti e sette feriti.
Il rapporto stilato poche ore dopo dal commissario e dal coman-
dante della brigata, contiene invece alcune inesattezze nella descrizione
della lunga e sanguinosa battaglia. Dice:
« Oggi abbiamo attaccato Gradina nonostante non disponessimo di
dati esatti sull'armamento del nemico, cioè il nemico aveva un mortaio
leggero con il quale ha martellato duramente le nostre posizioni, poste
promrio a ridosso della caserma. In tal modo abbiamo avuto parecchi
feriti (...). Il nemico a Gradina ha opposto una resistenza accanitissima,
ma dopo combattimenti durati quattro ore la guarnigione è stata presa
d'assalto e il combattimento è proseguito nell'interno dell’edificio. Il ne-
mico sarebbe stato liquidato anche prima, ma c'era una fitta mebbia e il
cannone "Jurina” non ha potuto colpire, poi appena la nebbia si è levata
"Jurina” ha dimostrato il suo vecchio coraggio e la guarnigione è caduta
nelle nostre mani. L'attacco è stato condotto dalla III Compagmia del bat-
taglione italiano. Sono stati catturati 14 fascisti, due fucili mitragliatori,
una mitragliatrice pesante, un mortaio leggero, fucili ed altro materiale
bellico che non abbiamo ancora controllato. Da parte nostra abbiamo due
morti, precisamente un delegato e un caporale del Plotone di comando,
i quali sono stati inviati per servizio presso la Compagnia ed hanno
espresso il desiderio di partecipare all'assalto. Avevano chiesto ciascuno
6 bombe a mano e insieme a loro alcuni altri combattenti, e sono andati
all'assalto e sono stati ambedue colpiti mortalmente. Inoltre abbiamo
avuto 7 feriti ».
11, Idem
123
Questo rapporto, scritto mentre nell'aria c'è ancora il fumo degli
spari e delle esplosioni, e mentre si combatte ancora a Portole, non fa
alcun cenno all’eroismo di Daveggia, la cui morte viene ignorata. Riccar-
do Daveggia è il primo dirigente del battaglione italiano caduto nel cam-
mino del « Budicin » con la brigata 4Gortan ».
Raccogliendo le salme dei caduti, i compagni ricordano il racconto
letto la sera precedente da Daveggia:
« Lipa. Questo nome che fino al mese scorso indicava un tranquillo
villaggio dell'Istria, ha ora uno spaventoso significato. Lipa è il simbolo
del martirio dell'Istria. Trecento creature umane, tutte donne, bambini e
vecchi, torturati, massacrati, bruciati vivi nelle proprie case. Questa è
Lipa. Cadaveri di bimbi di tre anni abbracciati alla mamma violentata e
uccisa, occhi di fanciulle strappati dalle orbite, vegliardi scannati, orgie
di sangue e di bestialità. Questa è Lipa... L'urlo delle vittime di Lipa è
ancora nell'aria, lacerante e atroce. Ci chiama... ».12
Più volte, nella lettura, Riccardo ha dovuto fermarsi, preso da un
nodo alla gola. Ora sono i suoi compagni che hanno gli occhi lustri. Le
salme dei caduti vengono portate a Sovignacco per i funerali e la se-
poltura.!3
La battaglia di Portole
Alla stessa ora in cui la III Compagnia attacca il presidio di Santo
Stefano, i combattenti della I Compagnia aprono il fuoco contro le for-
tificazioni di Portole. Citiamo dal diario di Paliaga:
«... allora noi ci siamo trasportati dall'altro monte per battere
l’altro presidio, in postazione il mortaio cominciò battere, mitragliatrici
e fucili era tutto un fuoco. Sull'altro presidio durò il combattimento quasi
5 ore, con buona riuscita. Noi eravamo sempre sotto a sparare, abbiamo
provato dirgli che vengono con noi che siamo italiani ecc. ecc....».
Passa tutta la mattinata, invece, e il nemico a Portole non molla. La
configurazione del terreno, quasi brullo e privo di ripari naturali, non
favorisce gli attaccanti; il nemico si sente invece al sicuro nella cittadella
medioevale che domina dall’altura tutta la zona circostante. Dopo tre
ore di ripetuti quanto inutili attacchi, i partigiani interrompono il fuoco.
Cercano di trattare. Poco prima di mezzogiorno l’azione viene ripresa,
ma ancora una volta senza esito se non quello di inchiodare la guarni-
gione al suo posto.
Verso le tre del pomeriggio la III compagnia si avvia col suo canno-
ne verso Portole per dare man forte alla I compagnia. Durante la marcia
incontra un reparto del III battaglione croato già posto in agguato sulla
12. Dal Nro 12 del 10 giugno 1944 de « Il Nostro Giornale »
13. La giornalista Mirella Giuricin, in un servizio intitolato « Le bombe di Pisino » (in « Panora-
ma », N. 18 del 28 settembre 1968 riporta la testimonianza di Sretko Stifanié, ex parroco di
Sovignacco, collaboratore del Movimento popolare di Liberazione, il quale, rammentando la
battaglia di Santo Stefano, precisa che fu lui stesso a celebrare la messa funebre, l’indo-
mani.« Una cerimonia mesta ma solenne, alia quale partecipò l’intera popolazione. Ho cele-
brai il rito funebre e un picchetto partigiano fece gli onorì al suo comandante sparando a
salve »,
124
strada Montona—Portole e che ha abbandonato le posizioni dopo aver
fatto passare una colonna nemica senza molestarla. Informano che forze
tedesche, provenienti dalla direzione di Trieste e contemporaneamente
da Pisino attraverso Montona, sono penetrate a Portole con carri armati
e autoblinde. Alla stessa ora, ignaro di quanto sta avvenendo, il coman-
dante della « Gortan » detta il rapporto sull'azione:
« La I Compagnia dello stesso battaglione (cioè il « Budicin », n. d. a.)
sta ancora attaccando la guarnigione di Portole. Il combattimento è stato
violento già stamane all’alba, ma ora è cessato. Prepariamo un più forte
contrattacco verso le 4 del pomeriggio. Nonostante il terreno sia molto
scomodo, porteremo "Jurina” fin sotto la guarnigione, dove il nemico
si trova in due edifici. Concentreremo anche alcuni mortai leggeri e il
mortaio pesante e distruggeremo il nemico. Fino a mezzogiorno il nemico
non ha tentato da nessuna direzione di muovere in aiuto alle guarnigioni
attaccate. Qualora continuerà a non muoversi per dare soccorso, noi ci
sforzeremo in ogni modo di distruggere la guarnigione a Portole anche
ise il nemico, secondo le informazioni, è molto forte e il terreno abbastan-
za cattivo. Dopo aver condotto queste azioni, ci sposteremo secondo gli
ordini da voi ricevuti. Avevamo preso di mira la guamnigione di Montona,
ma per quella ci vorrebbe un maggior numero di granate di cannone,
mentre noi ne abbiamo pochissime a disposizione. Vi spediremo il rap-
porto operativo più tardi, quando l’avremo fatta finita anche con Portole.
Per Portole ci batteremo tutta la notte, e se non riusciremo anche domani
per tutta la giornata, cioè fino a quando il nemico non ci manderà via.
Su questo territorio abbiamo raccolto un po’ di viveri che trasfe-
riremo nel settore del Castuano e ciò quando anche noi ci trasferiremo ».
In questa relazione, scritta nel momento in cui il comando brigata
non dispone ancora di tutte le informazioni necessarie per fare il bilan-
cio esatto e per valutare giustamente i dettagli dell'operazione, si leg-
gono giudizi molto severi su alcuni dirigenti politici del battaglione ita-
liano, il commissario Simetti e il vicecommissario Benito Turcinovich
che è anche segretario del partito:
«Il commissario del battaglione italiano ha seguito alcuni giorni fa
la II Compagnia per compiere alcune azioni sulla ferrovia nei pressi di
Brgudac e avrebbe dovuto rientrare oggi nelle file del battaglione; invece
nemmeno oggi non lo si è visto. In questo periodo il commissario si è
dimostrato molto poco attivo nel suo lavoro e con questo grosso errore
che ha, siamo dell'opinione di metterlo a vostra disposizione. Su questo
territorio avevamo intenzione di lanciare l’intero battaglione italiano in
battaglia, ma ecco qua, al commissario piace di più starsene da qualche
altra parte e lì si è trattenuto sebbene gli sia stato dato il termine entro
il quale doveva tornare. Egli non può più rimanere commissario di bat-
taglione e voi fate con lui come vi pare, e poi vi faremo avere in seguito
i suoi errori e manchevolezze nel lavoro.
Nel combattimento odierno a Gradina il vicecommissario di batta-
glione ha dimostrato di essere il più pavido e seminatore di panico nel
battaglione e non ha eseguito gli ordini dell’ufficiale operativo di questa
brigata, sicché non può più essere più dirigente di partito.
Presso il CPL di Vodice abbiamo sistemato 2000 (due mila) litri
di benzina, sicché qualora vi fosse necessario potrete riceverla là ».
Qui finisce il rapporto del 30 giugno 1944, Anzi, no, c'è un post scrip-
tum dopo le firme di Kovaéevid e Sirola:
125
«A Gradina!4 c'erano la centrale e l'acquedotto, anche questi sono
stati completamente distrutti ».
Non riesce ad essere distrutta, invece, la guarnigione di Portole, ed
il comando brigata non può mantenere la promessa fatta al Comando
operativo per l’Istria, quella cioè di farla finita ad ogni costo, combatten-
do tutta la notte e anche l'indomani se necessario. Passate indisturbate
attraverso la rete degli altri battaglioni della brigata, le forze tedesche
penetrate a Portole con un carro armato, un’autoblinda e tre camions
(diario di Paliaga), impegnano duramente la I compagnia del « Budicin »
i cui combattenti sono costretti a sganciarsi per evitare di essere intrap-
polati e distrutti. A proteggere la ritirata della Compagnia restano tre
uomini, tra questi Giordano Paliaga, che per poco non pagano con la
vita il loro ardimento.
Scrive Paliaga:
«I fascisti del paese, appena arrivarono i tedeschi, cominciò a fare
fuoco su di noi, ci trovavamo sul netto e in specchio, credevo di non ri.
tornare indietro. Mi feci coraggio pure i miei compagni, ci buttavamo da
una parte all'altra ma si batteva sempre. Fuori pericolo siamo andati alla
base, dove in tre di noi, io l’economo e un altro, siamo partiti insieme
in cerca della Compagnia, dopo però ci siamo trovati ».
Verso le 18 i tedeschi sfondano da Portole atraverso Livade muoven-
do verso le Terme di Santo Stefano; qui vengono fermati e ricacciati dalle
forze del battaglione italiano che, nel frattempo, si sono ricongiunte e
reagiscono con un violento fuoco delle armi automatiche e del cannon-
cino anticarro. Al tramonto, finalmente l’ordine di sganciamento.
Elogi al « Budicin »
Ad operazione conclusa, il Comando della brigata deve correggere i
giudizi affrettati espressi in un primo momento, sicché i giornali parti-
giani, i corrispondenti di guerra della « Gortan » e, infine, il comandante
del Comando operativo per l’Istria saranno lauti di elogi verso il batta-
glione italiano. Nella « relazione operativa n. 387 dell’'8 luglio 1944 per
l'azione del 30 giugno 1944 » inviata dal Comando operativo dell'Istria al
Comando dell'XI Corpo si precisa che i caduti nelle file partigiane sono
tre « e precisamente un commissario di compagnia, un delegato e un ca-
porale, e 7 i feriti, fra cui l'ufficiale operativo del battaglione ferito leg-
germente ». Non si fanno i nomi. A quelli da noi già fatti, aggiungiamo
Ermenegildo Sparagna di Buie e Ruggero Paladin tra i feriti.
«Nei combattimenti di Gradinje si sono molto distinti l'ufficiale ope-
rativo del battaglione e tre compagni. Così pure si è comportata bene la
I Compagnia che ha attaccato Portole. (...) Si critica il III battaglione
che ha lasciato passare il nemico senza impegnare combattimento, per-
mettendogli di entrare a Portole dalla direzione di Trieste e di Pisino ».45
14. Da intendersi Santo Stefano
15. Il documento originale si conserva nell'Archivio del Vojno-istorijski institut di Belgrado,
reg. nro, 14-1/4, k. 1321. Viene pubblicato integralmente nel libro 29, tomo V dello
« Zbornik dokumenata », doc. 25 a pagg. 145—148.
126
Riferendo dieci giorni dopo l’azione, «Il Nostro Giornale » com-
menta:
«In questo combattimento i combattenti italiani hanno dimostrato
grande eroismo, spirito di sacrificio e tenacia (...). Il Battaglione italiano
"Pino Budicin” occupa con onore il suo posto fra gli altri battaglioni del-
l'eroica Brigata "Vladimiro Gortan” ».16
Il testo è identico a quello pubblicato sul giornale « Glas Istre » ad
eccezione della frase conclusiva che, nel foglio croato suona « Gli Italiani
istriani hanno nuovamente dimostrato con i fatti come si crea la fratel-
lanza fra i popoli croato e italiano in Istria » AT
In questo stesso periodo Joza Skotilié, comandante del Comando
operativo per l’'Istria, fa il bilancio della « controffensiva partigiana di
giugno » e ricorda fra l’altro:
«La Compagnia italiana del II Distaccamento polese ha liberato 67
operai di Pola sotto il naso delle sentinelle tedesche (...). Il 30 giugno il
Battaglione italiano della I Brigata Vladimir Gortan ha liberato Gradi-
nje,18 catturando un gran numero di servi dell'’occupatore, mentre altri
reparti hanno attaccato Portole, conducendo duri combattimenti per
tutta la giornata (...).
Skoctilié conclude lo scritto rivolgendosi ai combattenti del Battaglio-
ne « Pino Budicin »:
« Combattenti del battaglione italiano, di voi vanno orgogliose le
popolazioni italiana e croata dell'Istria, voi avete dimostrato a tutto il
mondo di esservi posti fermamente al fianco dei battaglioni croati e che
per voi tutti la Nuova Jugoslavia Democratica Federativa è l'ideale per
cui combattete. Avanti tutti! Picchiamo l’occupatore ovunque e senza tre-
gua: ogni giorno, ogni notte; ogni ora, ogni minuto! »19
Nro 14 del 10 luglio 1944
Nro 18 del 17 luglio 1944,
Vedi nota 14
Il testo completo, riprodotto in «Revolucionarna Istra » (op. cit. pag. 69—70), venne stampato
al ciclostile nell'opuscolo « Titova zapovjest se izvrsava » edito dalla Sezione propag. del
F. U. P. L. per l’Istria.
127
CAPITOLO XV
SI PASSA IL « CONFINE »
L'allarme destato nelle file del nemico dall'attacco a Portole e dalla
liquidazione del presidio delle Terme di Santo Stefano fa affluire nella
Valle del Quieto grossi reparti tedeschi provenienti da Trieste, Pola e
Fiume per azioni di rastrellamento che non danno alcun risultato. Inu-
tile riesce infatti la caccia alla brigata « Gortan », la quale — come è
nella tattica partigiana — si è dileguata. Un ordine del Comando (Nro
19/12 - VI - 1944) sottolinea la situazione « verificatasi in direzione di Pin-
guente e di Rozzo, dove il nemico ha raccolto notevoli forze » e stabilisce
lo spostamento dei reparti.
Nella notte dal 2 al 3 luglio la brigata si porta « dal rione Krusvari
nel settore del Carso attraverso i villaggi di Krusvari e Nugla » (sulla
linea ferroviaria fra Rozzo e Pinguente) puntando su Trstenik.! Siamo
a nord di Pinguente, sulla Carsia istro-slovena. Ecco come annota lo
spostamento il combattente Giordano Paliaga:
« Partiti insieme, ci siamo fermati ad un villaggio per mangiare.
Verso sera partimmo per un altro, abbiamo riposato, siamo rimasti fer-
mi tutto il giorno, alla sera è venuto l'ordine di partire punto base I
tutta la Brigata partigiana dovrà trovarsi lì. Abbiamo camminato tutta
la notte fino al mattino ore 8 del 2-7 — arrivati ad un paese ci siamo
messi a dormire, verso il dopopranzo diretti a Trestenico. Nella scuola
erano molte drugarize e popolazione a una conferenza ».
Il villaggio di Terstenico—Trstenik citato nel diario di Giordano Pa-
liaga pagherà cara l'ospitalità concessa ai partigiani. In agosto tedeschi
e fascisti distruggeranno col fuoco 1’80 per cento delle sue case, dopo
averle saccheggiate deportando 24 persone. Quando vi arrivano i com-
battenti della brigata « Gortan », il paese conta una cinquantina di fami-
glie, tutte croate, che fanno festa al valoroso esercito popolare e, soprat-
tutto agli italiani che vengono sistemati proprio nel villaggio, mentre gli
altri battaglioni, arrivati nella zona il mattino del 3 luglio, vengono smi-
stati: il II a Raèja Vas, il III a Vodice e le unità ausiliarie col comando
brigata a Raspo.?
1. « Put prve istarske brigade ...» op. cit., pag. 161.
2. Lo spostamento e la nuova dislocazione vengono stabiliti dall'ordine n. 20 del 2 luglio 1944.
128
A Terstenico si ricongiunge al « Budicin » la II Compagnia col com-
missario di battagl'one. Il mattino del 4 luglio, tutto il battaglione ita-
liano viene radunato in vista di nuove azioni.
Dieci vanno al corso
Varie pattuglie vengono comandate in posizione; è stata segnalata
la presenza di tedeschi nei dintorni. Nel pomeriggio le pattuglie ritor-
nano e informano che non incombe alcun pericolo, i tedeschi non ci sono.
Si può passare il « confine » come i partigiani chiamano la linea ferro-
viaria Fiume—Trieste.
Con l’ordine n. 20/6 - VII - 1944, il comando brigata dispone che i re-
parti si mettano in marcia nella notte fra il 6 e il 7 luglio. Al tramonto,
per la strada che attraversa i villaggi di Ruzici, Breza e Studena, la bri
gata lascia la zona del Carso, passa la linea ferroviaria e la provinciale
all'altezza di Permani (il terzo battaglione protegge i fianchi con pattu-
glie distanziate, passando successivamente in coda alla colonna dopo il
passaggio degli altri battaglioni), raggiungendo finalmente il settore di
Ravno a oriente di Klana, a nord di Fiume.
« Arrivati alla base sul confine jugoslavo — citiamo per questa data
il diario di Paliaga — dopo un giorno, il 7 luglio, ci è venuto l'ordine al
corso e la Brigata in azione sul confine ». Da ogni battaglione vengono
scelti dieci uomini da inviare a un corso per dirigenti politici (« l'ordine
al corso » cui si riferisce Paliaga, che è uno dei prescelti). In un rap-
porto di Danijel Kovatevié e di Vitomir Sirola al Comando operativo
per l’Istria (No 252/7 - VII - 1944) si legge infatti:
« Dal battaglione italiano abbiamo inviato al corso 10 Italiani, capi-
squadra (desetari), capiplotone (vodnici) e alcuni combattenti. Con essi
è partito anche l'ex comandante del III battaglione italiano compagno
Giuseppe (si allude al capitano Giuseppe Alizzi, n. d. a.) il quale dirigerà
questo corso ».3
Dopo alcune altre informazioni, il rapporto prosegue:
« Nel corso della notte, col I, II e III battaglione e con la compagnia
tecnica di scorta ci spostiamo in direzione del Pisinese. Il IV battaglione
italiano lo abbiamo lasciato sul Carso a condurre azioni sulla ferrovia
Lupogliano—Trieste e sulla camionabile Fiume—Trieste nel settore di
Podgrad ».
Qui i combattenti italiani si fanno conoscere anche dalla popolazione
slovena. Nel rapporto, intanto, si fanno altri accenni al battaglione « Bu-
dicin ». Denunciando al Comando operativo un atto di grave indisciplina
dei dirigenti del II battaglione — che si è tenuto per sé gran parte della
preda di guerra — i capi della brigata chiedono al comando superiore
di intervenire affinché una parte del bottino sia divisa fra tutti i reparti
3. Nell'opera « Borbeni put 43. istarske divizije » a pag. 176 si fornisce un consuntivo dei corsi
militari e politici organizzati nel periodo aprile-agosto 1944 sul Planik e presso Susnjevica.
Tra gli altri ci furono due corsi di capiplotone e capisquadra per italiani, della durata di
15 gorni ciascuno, frequentati da 20 combattenti. L'ex combattente del « Budicin » Basilio Kal-
cich di Pola conserva il documento originale di frequenza del corso.
9 Rossa una stella 129
della « Gortan », anche perché « abbiamo accolto nelle file della Brigata il
Battaglione italiano che è molto male vestito, e abbastanza malvestiti
sono anche gli altri battaglioni ». Proprio in questi giorni in Istria divam-
pa in tutta la sua intensità la lotta condotta dai « gruppi di combatti-
mento » locali e si sviluppa la rete dei Comitati popolari di liberazione.
La partecipazione degli Italiani diventa ovunque massiccia, come di-
mostrano emblematicamente alcuni dati che riguardano i territori di
Umago e di Buie dove il numero dei Comitati popolari di liberazione sale
a 72 nel giugno 1944 e si costituiscono i Comitati distrettuali, a Buie di-
retti dai compagni Manzini, Zoppolato, Potleka e Brunetti.
Il 30 giugno sono partiti 55 nuovi volontari da Momiano e 56 dalla
zona di Umago seguendo l'esempio di Ottavio e Francesco Rotta, mentre
il gruppo di combattimento di Giovanni Uberto semina il panico nelle
file nazifasciste.
Il 7 luglio circa 400 attiviste del Fronte Femminile Antifascista del
Buiese si riuniscono nel villaggio di Oscurus per la loro prima conte
renza.
Gli echi di questi sviluppi poderosi della lotta di liberazione arri-
vano anche al « Budicin ».4
La battaglia di Klana
L’8 luglio il battaglione italiano e gli altri tre della « Gortan » tor-
nano a riunirsi nel settore di Ravno. Nello stesso giorno, con l'ordine
operativo n. 21, il comando brigata stabilisce che venga sferrato un at-
tacco contro il presidio tedesco-belogardista di Klana. Secondo le infor-
mazioni raccolte, il presidio nemico conta 40 tedeschi e 80 collaborazioni-
sti sloveni armati di due mortai pesanti, sei mortai leggeri, sette mitra-
gliatrici pesanti, 12 fucili mitragliatori, 24 mitra e fucili. La guarnigione
è sistemata in due edifici: il palazzo comunale e il palazzo « Incis » cir-
condati da 14 bunker.
La « Gortan » dispone di due cannoncini anticarro, due mortai pe-
santi, 7 mitragliatrici pesanti, 1 fucile anticarro, poche munizioni per
cannoni e mortai. L'attacco frontale dev'essere sferrato dal III batta-
glione con due compagnie, mantenendo la terza in riserva. Gli altri bat-
taglioni vengono dislocati: il primo sulla strada Klana—Fiume fra i vil-
laggi di Mavrovitina e Voisce e sopra il villaggio di Mardelji con due
mitragliatrici pesanti; il secondo sulla strada Klana—Jusici fra Breza e
Ruzici e sulle quote 61 e 537 al bivio delle strade Skalnica—Breza e
Klana—Marcelji con due mitragliatrici pesanti; il quarto battaglione « Pi-
no Budicin » sulle posizioni sovrastanti il villaggio di Lipa con due com-
4. Ne « La Voce del Popolo » del 31 marzo 1946.
130
pagnie e una mitragliatrice pesante e sulle quote 936 e 932 sovrastanti
il villaggio di Lisac con una compagnia e una mitragliatrice pesante.
Viene pure impegnata la II brigata sulle quote 832 e 539 presso Zabici
a difesa della strada Ilirska Bistrica—Susak con una compagnia e due
compagnie sulle posizioni presso il villaggio di Podgraje a difesa della
strada per Gumanac.
Le posizioni assegnate al battaglione italiano servono a impedire il
passaggio di eventuali rinforzi nemici dalla direzione di Jelsane—Rupa.
Alle ore 03.00 del 9 luglio, il terzo battaglione penetra a Klana e par-
te all'attacco. Alla sede del Comando brigata, posta a quota 660 (Zido-
vje) sono rimasti alcuni reparti ausiliari e gli uomini destinati al corso.
Scrive Paliaga:
« Mentre che andavano in azione (gli altri reparti s'intende, n. d. a.),
io e gli altri abbiamo fatto la notte coi rimanenti del Stab Brigata. Al
mattino abbiamo visto arrivare il cannone, purtroppo l’azione non è riu-
scita ».
Infatti, nonostante successi iniziali del III battaglione d'assalto, il
quale ha investito direttamente la piazzaforte nemica, conquistando an-
che due fortini, l'attacco a Klana si esaurisce entro poche ore senza nes-
suna conseguenza di rilievo per il presidio nemico. Il sopraggiungere di
forti contingenti tedeschi da Fiume induce il comando brigata a impar-
tire l'ordine di sganciamento.
Fallisce l’azione
Provenienti dal capoluogo del Quarnero, due colonne motorizzate
raggiungono il settore della brigata, sorpassano indisturbate le posizioni
del I e del II battaglione e, dopo essersi spinte fino a Klana, costringono
il III battaglione a sganciarsi. Proseguendo la marcia ad oriente di Kla-
na, i reparti nemici investono successivamente le posizioni mantenute
dalle compagnie del IV battaglione italiano. I combattenti del « Budicin »,
che possono attendersi sorprese dalla direzione di Jelsane—Rupa ma
non da quella opposta, vengono così a trovarsi soli di fronte alla colon-
na; cercano di contrastarne la marcia, ma sono costretti infine a riti-
rarsi dalle posizioni che, peraltro, non offrono eccessivo riparo.
Ivan Brozina-Slovan, all'epoca comandante della II brigata istriana,
così scrive in merito a quest’operazione: « L'attacco a Klana, purtroppo,
fu accolto da un nemico preparato, sicché non fu possibile liquidare
quella guarnigione. Con i rinforzi sopraggiunti, l’occupatore riuscì a
mantenersi nella posizione attaccata ». Aggiunge: « A ciò contribuì senza
dubbio anche il fatto che le nostre intenzioni, già prima dell'attacco, era-
no state rivelate da un combattente del battaglione italiano che era fug-
gito », richiamandosi a un rapporto (Nro 4 del 4 agosto 1944) inviato dal
Comando operativo per l’Istria al Comando dell’XI Corpo, nel quale si
sintetizzano le azioni del mese di luglio.5 Nel rapporto citato si legge:
« Le nostre intenzioni furono rivelate da un nostro combattente del bat-
taglione italiano prima che iniziasse l'attacco ». Non si danno altre spie-
5. In« Put prve istarske brigade », pagg. 163—164. Il rapporto citato è pubblicato nel libro 31,
Tomo V dello « Zbornik dokumenta », doc. 15, pag. 58.
131
gazioni; ed il vicecomandante della II Brigata Danilo Ribarié, referendo
a sua volta sulla battaglia, si limita ad affermare in tono dubitativo:
« pare che il nemico avesse saputo dei preparativi da un combattente di-
sertato dal battaglione italiano ».6 Un ex combattente del « Budicin »,
Ermenegildo Sparagna di Cittanova, ritiene di ricordare che a disertare
sia stato un fiumano, comandante di compagnia.
Arialdo Demartini, della prima Compagnia del battaglione italiano,
alla quale è stato affidato il controllo delle quote presso Lisac, ricorda
fra i protagonisti Michele Veggian, Elio Geromella, Pietro Sponza, Spar-
taco Zorzetti, Renato Kalcich e Rudi Dobran, fornendo questa testimo-
nianza:
« Dalla cima della quota, nelle immediate vicinanze del villaggio,
controîlammo la strada che era stata minata. Ci venne detto che non ap-
pena il nemico si fosse imbattuto nella mina, pure noi avremmo dovuto
aprire il fuoco. Avevamo armi pesanti. Ricordo benissimo che mi trovavo
vicino al Comandante del battaglione, il capitano Oscar Turilli (...). Ad
un tratto scorgemmo in lontananza la colonna nemica avanzare lenta-
mente preceduta da carri armati. La seguivamo col cuore sospeso, per-
ché appena ora ci rendevamo conto che eravamo attestati troppo allo
scoperto. Comunque, sdraiati con l'arma in pugno attendevamo l’effetto
della mina. Figurarsi il nostro stupore, accompagnato da imprecazioni,
allorché vedemmo i carri armati proseguire indisturbati fin sotto la no-
stra postazione. Ci fu chiaro che la mina aveva fatto cilecca. In quello
stesso istante, il nemico ci individuò e cominciò a sparare, centrandoci
in pieno. Noi rispondemmo ma, essendo diventati facile meta del fuoco
micidiale nemico, la nostra reazione rimase senza effetto. Vidi un com-
battente contorcersi, gridare dal dolore perché colpito da un proiettile,
credo alla gamba, mentre noialtri non sapevamo che pesci pigliare, es-
sendo bersagliati da tutte le parti. Fece molto ibene, a mio avviso, il co-
mandante del battaglione a dar l'ordine di ritirarsi in fretta dalla quota.
Però, ciò che non valse fu che questo mostro arretramento si trasformò
in una specie di maratona quasi fino a Gumanac. Penso che il comando
brigata abbia valutata questa nostra "ritirata” come "abbandono di po-
stazione in pieno combattimento”. Lo deduco dal fatto che il comandante
Turilli venne subito "trasferito” ».7
Il Comando brigata stesso, però, riconosce di avere gravi torti. Non
è stata rivolta sufficiente attenzione alla direttrice Fiume—Klana né è sta-
ta giustamente valutata la situazione. Le forze di guardia sono state ri-
partite in misura eguale in tutti i punti di accesso a Klana, mentre avreb-
bero dovuto essere concentrate soprattutto in direzione di Fiume—Mar-
Celji. Le guarnigioni nemiche intorno a Klana, infatti, dispongono di 50
uomini a Jelsane, altrettanti a Sapjane, 400 a Ilirska Bistrica, 40 a Ca-
stua e altrettanti a Marinici, un’'ottantina a Jusici, ma ben 7.500 a Fiume.
« Inoltre, il comando brigata avrebbe dovuto mantenere una parte delle
sue forze in riserva — è proprio il Brozina a dirlo — per poter parare
al nemico, ma queste forze la brigata non le aveva e fu perciò costretto a
ordinare la ritirata ».8
6. In «Borbeni put 43. istarske diviije », pag. 138.
7. Dichiarazione messa a disposizione degli Autori e depositata presso il Centro di ricerche stori-
che di Rovigno. Per l'azione di Klana si confrontino pure le descrizioni in « Fratelli nel sangue »,
pag. :47. « Borbeni put 43, istarske divizije » pagg. 137—138 e « Put prve istarske brigade » pagg.
161-165.
8. In « Put prve istarske brigade », pag. 164.
132
Il corso politico
Dopo il fallito attacco a Klana, la brigata si ritira nel settore di
Ravno, sulle vecchie posizioni. Nello stesso giorno, di buonora, i com-
battenti destinati al corso lasciano la brigata. Scrive Paliaga:
« Dall'alto dei monti si vedeva (...) l'isola di Cherso. Dopo 3 ore di
cammino arrivammo alla S. 7 nella quale abbiamo trovato un tedesco
che aveva disertato da Fiume. Alle ore 18 dello stesso giorno siamo par-
titi per la S. 12 con tutto ciò che pioveva.? Per arrivare al punto 12 ci vo-
leva 4 ore. Per circa 2 ore e anche più abbiamo preso la pioggia in pieno,
ormai eravamo bagnati fino oltre. Alle ore 20 e 30 arrivammo al punto
12; per dormire non si poteva perché era tutto pieno dei nuovi arrivati
e così bagnati ce l'abbiamo fatta tutta la notte all'impiedi.
Verso mattino mi sono trovato tutto rammollito dal freddo. In que-
sto stesso mattino 10-7-44 ho pure trovato un compagno, Giusto e
comm., anche loro venivano al corso. Così verso mezzogiorno siamo par-
titi assieme con diversi altri compagni. Arrivati alla base del corso ab-
biamo trovato tutto pronto, una bella casuccia fatta di pali d'albero con
i rami e per tetto in tela. Così il giorno 10-7 è passato in allegria come
una famiglia, eravamo in 21.
Il corso ha durato fino il giorno 27-7-44. In questo fratempo si è
molto studiato, abbiamo avuto delle giornate piovose e fredde e anche
delle belle, che spesso andavo in cima del piccolo monticello e osservavo
il M. Maggiore con occhi lucenti. Prima di notte ho visto il bombarda-
mento di Fiume — Mattuglie ».
9. Le sigle S. 7 e 12 indicano le « stazioni » (Stanice), punti di collegamento e di smistamento
nella rete del movimento di liberazione.
133
CAPITOLO XVI
I PARTIGIANI GIORNALISTI
Gli ultimi giorni della seconda settimana di luglio trascorrono per
i combattenti del « Budicin » in relativo riposo nel settore di Ravno. Il
nemico si limita a puntate esplorative verso le posizioni della brigata
« Gortan », i cui reparti a loro volta, conducono « alcune riuscitissime
azioni sulle arterie di comunicazione stradali e ferroviarie ».4 Il 14 luglio,
infine, per evitare sorprese da parte delle forze tedesche i cui « assaggi »
destano sospetti, l'intera brigata si sposta in direzione della camionabile
e della ferrovia Trieste—Fiume con l'intenzione di raggiungere il Lisina.
Le pattuglie esplorative informano che notevoli forze nemiche si sono at-
testate sulle posizioni presso Permani e Breza sicché il comando brigata
decide di correggere la direzione di marcia spostandosi nel territorio del
Castuano. È questa una zona nella quale, proprio per la sicurezza che
offre, sono state impiantate le redazioni e tipografie dei giornali parti-
giani, fra questi l'italiano « Il Nostro Giornale » che nel suo numero 15
del 29 luglio, può dedicare per la prima volta quasi due pagine a corri-
spondenze pervenute dal battaglione « Pino Budicin ».
Le donne di Fiume
al Btg « Budicin »
Il delegato politico di plotone Nino Colli ne firma due. Eccole:
« Le organizzazioni del F. F. A. di Fiume hanno dimostrato una volta
di più quanto siano conscie del valore del Movimento di Liberazione Po-
polare, aiutando direttamente i reparti armati, portando ogni genere di
cose loro necessarie.
Il IV Batt. italiano "Pino Budicin” della Brigata istriana "V. Gortan”
ha ricevuto capi di vestiario, ciabatte, lamette da barba, filo da cucire,
salsa e sale. Comandanti e combattenti tutti del battaglione ringraziano
e inviano un saluto partigiano alle organizzazioni del F. F. A. di Fiume.
Morte al fascismo — Libertà ai popoli! ».
1. Cfr. « Fratelli nel sangue », op. cit. pag. 247
134
L'altro articolo del Colli comincia esaltando la fratellanza italo-croa-
ta creata « nel fragore della battaglia, nella divisione delle privazioni e
delle gioie, nell’olocausto della vita » e continua:
« Grande agitazione regna nei villaggi al passaggio del nostro batta-
glione italiano P. Budicin. Come ci è stato vicino il popolo quando siamo
stati di guardia alle sue case per la Conferenza del FFA! Grande svento-
lio di bandiere, colori sgargianti nei vestiti caratteristici delle compagne
del Distretto del Carso: era la festa delle donne antifasciste, delle nostre
donne. E i combattenti italiani ringraziano il popolo del Carso che fece
loro tanta accoglienza e portò in dono vestiti, calze, scarpe e tante cose
necessarie alla vita del partigiano ».2
I figli scambiano le madri
Dalla III Compagnia scrive il delegato dignanese Fernando Moscheni:
« Siamo in un villaggio sepolto in una profonda vallata. Ad un tratto
una voce si alza in mezzo al nostro canto: "Si balla”; come una marea
dilagante corriamo verso il punto da cui questa voce è partita. Il compa-
gno comandante, con un lume in mano, ci fa segno di seguirlo.
La sala da ballo è presto improvvisata. Vi è grande allegria, di
quella semplice, sana dei combattenti del popolo, di coloro che cantando
vanno incontro al nemico. Dopo alcuni giri di danza, il comandante è
chiamato fuori, restiamo con il fiato sospeso. Ad un tratto la sua voce:
"Prima compagnia, adunata sul piazzale!”. Come un sol uomo tutta la
compagnia si precipita al suo posto. Su nella sala continua il suono della
fisarmonica e lo scalpiccio delle coppie danzanti. Nel nostro cuore non
c'è il rimpianto della festa interrotta, c'è soltanto l'orgoglio di essere
i prescelti; fra poco, forse, canterà la mitraglia; ed è questo il canto più
gradito al partigiano; fra poco, forse, risuonerà il grido "juris” e tutti
si lanceranno, bombe e moschetto alla mano, contro l’aborrito fascista ».
Segue uno scritto del delegato Fra Giacomo Danilo di Rovigno della
II Compagnia: l’incontro con una vecchia madre:
« Nell'interno di una casuccia una vecchietta è affacendata a prepa-
rare da mangiare. Due giovani armati sono accanto al fuoco e si asciu-
gano gli indumenti. Uno di essi è senza scarpe. La vecchietta lo guarda
e silenziosa va nell'altra stanza e ritorna con un paio di scarpe nuove.
Le consegna al giovane dicendo: "Erano fatte per mio figlio, ma siccome
non È qui, prendile tu che ne hai più bisogno”.
La vecchietta guarda attentamente i movimenti del giovane guer-
riero. A che pensa? Al figlio lontano che indossa la stessa divisa ed è
animato dalla stessa fede combattiva. Pensa che un'altra mamma pre-
parerà la cena per il figlio.
In questa dura lotta i figli scambiano le madri e le madri accettano
per figli tutti coloro che indossano la medesima divisa del figlio, perché
essi combattono per procurare la libertà a tutti i popoli oppressi ».
Nella medesima edizione de «Il Nostro Giornale » si leggono una
corrispondenza di G. D. Ercoles (che è Guido Del Fabbro), vicecommis-
2. La raccolta di tutti gli originali de « Il Nostro Giornale » in edizione fotostatica, è stata pub-
blicata nella collana « Documenti » del Centro di ricerche storiche di Rovigno (vol. II, Rovigno
1973), mentre gli originali sono di proprietà del Museo di Rovigno e del Museo della Rivolu-
zione di Pola.
135
sario della I Compagnia Fiumana, alcune notizie sulle operazioni del II
Distaccamento partigiano di Pola e della stessa brigata « Gortan » e un
trafiletto che interessa ancora il battaglione « Budicin », dal titolo: « Un
rancio finito male ». Dice:
«Presso Kupjak una colonna tedesca si apprestava a distribuire il
rancio, quando tre colpi improvvisi di mortaio, arrivati da una compa-
gnia della I Brigata in agguato, hanno seminato il panico tra i banditi
nazisti, che si sono dati a fuga pazza, lasciando la marmitta colpita e 5
uomini abbattuti intorno ad essa ».
Richiama pure l’attenzione « Una lettera del Capitano Casini » da-
tata « Istria, 6 luglio 1944 ». L'autore è quel medesimo ufficiale che il 9
settembre 1943, sullo spiazzo dei « Giardini » a Pola, di fronte ad alcune
migliaia di persone insorte e manifestanti per l'avvenuto armistizio, co-
mandò alla truppa di aprire il fuoco, uccidendo Giuseppe Zahtila, Carlo
Zupcich e Giuliano Cicognani. Ora riconosce:
« Con l’armistizio dell'8 settembre comincia anche in Italia la guerra
di liberazione del popolo contro gli ultimi baluardi della tirannia anti
umana, ancora rappresentata dalla Germania e dagli impenitenti furfanti
della collaborazione”, eterni rappresentanti dei più bassi istinti egoistici
della specie, disposti a sacrificare tutto e tutti pur di sopravvivere.
In quel momento io, soldato nel più profondo dell'animo, ho sentito
nascere in me un’invincibile ripulsa a persistere nel portare le armi con-
tro coloro che, ricchi soltanto del proprio ideale, hanno gettato nella
lotta tutti se stessi: contro l'immorale precetto dell'attesa, contro lo or-
dine di combattere i liberi patrioti, impartiti dalla immonda ganga dei
cosiddetti "tutori dell'ordine”, fin da allora ho dato tutto l'appoggio che
era consentito alle mie forze per la causa della lotta contro il nazismo e
il neofascismo, prima dalla mia stessa sede di comando, in Pola, e poi
portando apertamente le armi contro le autentiche bande”, quelle che
veramente costituiscono il terrore delle popolazioni, quelli che avendo
provocato la più immane tragedia che la storia ricordi, essendosi resi rei
dell'imperdonabile delitto di "lesa umanità”, dovranno nei secoli portare
il peso della tremenda responsabilità connessa a tale mostruoso crimine
collettivo ».
Nuovi combattenti
Così scrive il capitano Filippo Casini, comandante dei Carabinieri
dell'Istria, passato ai Partigiani con gran parte dei suoi soldati. Scrive
contemporaneamente « Kira », in una corrispondenza a « Il Nostro Gior-
nale » dal Distretto Buie-Umago:
136
« La fila dei nuovi mobilitati si snoda lentamente per il sentiero di
campagna e il vento leggero della mattina porta l'odore di fumo dai villag-
gi bruciati sparsi per le colline; da lontano luccicano al sole i vetri in-
franti; attorno sono sparsi pezzi di tegole e travi carbonizzate. Le finestre
paiono orbite vuote che gridano vendetta.
Da per tutto il nemico ha lasciato le impronte della sua opera ne-
fanda. Ma nuovi vendicatori sorgono; l’Istria ha dato e dà ogni giorno
i suoi figli sani e forti che la liberino dal terrore nazifascista, dal giogo
che l’ha oppressa per così lunghi anni, ma che ha ottenuto solo di ac-
crescere l’odio per il nemico occupatore ... ».
Dopo alcuni giorni di permanenza nella zona del Castuano, il batta-
glione « Pino Budicin » passa nuovamente il « confine » con tutta la bri-
gata « Gortan » (ordine operativo n. 22 del 15 - VII - 1944) rientra in Istria
e si stabilisce nell'ormai familiare settore del Carso, con base a Vodice.
Il 20 luglio, in base all'ordine n. 23 emanato lo stesso giorno dal
Comando brigata, il battaglione italiano prende posizione nel villaggio di
Mandici, gli altri battaglioni a Brest, Vranje e Nova Vas (presso Susnje-
vica).
Nella zona del Carso, oltre alla brigata « Gortan », convergono an-
che i reparti dello « Istarski Odred » (Distaccamento istriano) sloveno
operanti fra i settori del Capodistriano e di Ilirska Bistrica. Anche ad
essi giunge l'eco delle gesta del battaglione italiano, il quale viene segna-
lato in un rapporto del 24 luglio al Comando del VII Corpo dell’EPL
della Slovenia. Questo Comando, risponderà a sua volta ai dirigenti dello
Istarski Odred con un messaggio del 3 agosto 1944 in cui si legge:
« Verso la fine di luglio è giunto nell’'Istria superiore un battaglione
partigiano italiano. Lo Stato Maggiore del VII Conpo della Slovenia, con-
scio dell'importanza di questo fatto e della lotta fraterna e comune con-
tro il fascismo, dispone che il Comando del Distaccamento Istriano presti
il massimo aiuto al battaglione italiano "Pino Budicin” per tutto il pe-
riodo che opererà nella zona ».3
3. I documenti originali si conservano presso il Museo della Rivoluzione di Lubiana.
137
CAPITOLO XVII
DAI MONTI SI SCENDE AL MARE
Il 22 luglio, con l’ordine del giorno n. 24 del Comando della brigata
« Gortan », viene disposto un nuovo spostamento e l'attacco a Draga di
Moschiena (Valsantamarina).
Prima di lasciare la posizione di Mandici, un villaggio di una decina
di case nei pressi di Bogliuno, i combattenti del battaglione italiano ri-
cevono mezzo chilogrammo di carne lessa ciascuno «come riserva » e
fanno una minuziosa pulizia delle armi. È una magnifica tiepida serata.
Ancor prima del tramonto, tutti i reparti si mettono in marcia verso
il versante orientale del Monte Maggiore, avendo come meta la costa
liburnica. Partendo dai rispettivi settori, i battaglioni si incontrano pres-
so il villaggio di Susnjevica e a Nova Vas e di qui, con una marcia ardua
sulla montagna che si protrae per tutta la notte, portando a braccia il
cannone « Jurina » e le granate, giungono sul far dell’alba in vista del-
l'obiettivo.
«...potemmo ammirare per la prima volta la costa illuminata dalle
luci di tante città, tra cui spiccava la più grande, Fiume. Udii alcuni fiu-
mani, che erano in mia compagnia, esclamare emozionati: "Guarda la
mia città!”. Poi ci calammo giù per il versante; prima dell'alba ogni com-
pagnia era già in postazione ».!
L'attacco a Draga di Moschiena
Nell’ordine del Comando brigata si precisa che il nemico, insediato
in un grosso edificio fortificato quasi al centro di Draga di Moschiena,
conta 60 uomini tra fascisti e carabinieri. Il presidio sarà attaccato fron-
talmente e dovrà essere liquidato da una compagnia del I battaglione do-
tata di due mitragliatrici pesanti e di un mortaio; un'altra compagnia
sarà sistemata sulla strada tra Vozilici e Fianona per impedire eventuali
rinforzi da Pola; una terza compagnia resterà in riserva presso il Co-
mando brigata.
1. Così Arialdo Demartini in alcune note inedite fornite agli Autori.
138
Due compagnie e il plotone armi pesanti del II battaglione bloccheran-
no la guarnigione nemica in località Utka sulle pendici del Monte Maggiore
impedendo ai suoi uomini di uscirne e di portare aiuto a quelli di Draga
di Moschiena. Due compagnie del III battaglione e una compagnia del
IV battaglione italiano « Pino Budicin » prenderanno posizione sulla stra-
da Laurana—Draga di Moschiena nei pressi di Medea, minando la camio-
nabile ed erigendo ostacoli per proteggere il fianco maggiormente mi-
nacciato, dalla direzione Fiume—Abbazia—Laurana. A questo gruppo ven-
gono affidati un fucile anticarro e un mortaio pesante. Un'altra compa-
gnia del battaglione italiano e una compagnia del III battaglione si si-
stemeranno lateralmente dalla camionabile verso l'interno fino a Draga
di Laurana, impedendo alla fanteria nemica eventuali movimenti attra-
verso il bosco. Una terza compagnia del « Budicin » resterà in riserva
col comando del battaglione nei pressi del punto scelto per l’imboscata.
Il Comando brigata e la sanità si stabiliscono presso il villaggio di
Simetici, un chilometro a monte di Draga di Moschiena. Ciascun batta-
glione mantiene tre corrieri presso il comando brigata. L'inizio dell’at-
tacco è stabilito per le ore 03.30 del 23 luglio 1944.
La faticosa marcia di alcuni reparti comporta un ritardo nell'inizio
dell'operazione. Alle 04.30, dopo aver tagliato le linee telefoniche, e gui-
dati personalmente dal-comandante della brigata Vitomir Sirola—Pajo,
i combattenti partono all'attacco. Alle raffiche della mitragliatrice pe
sante risponde quasi subito un micidiale fuoco dai bunker e dalle fine-
stre dell’edificio incassato fra alte case, proprio sul mare. L'accesso è
difficile, non c'è modo di aggirare l'ostacolo. Dopo qualche minuto, da
una parte e dall'altra cessa la sparatoria. Vladimir Sirola-Pajo ordina
di raccogliere tutte le bombe a mano disponibili e un buon quantitativo
di munizioni, si procura una bottiglia di benzina, chiama un volontario
e insieme a questi decide di portare a termine personalmente l'azione.
Testimonio dell’ardita determinazione di Pajo è il combattente Fer-
ruccio Pastrovicchio, corriere del comando battaglione del « Budicin »
che si trova a fianco del comandante di brigata proprio nell’istante in
cui questi, avviatosi per una stretta e tortuosa strada acciottolata, si ar-
rampica sul tetto di una casa addossata alla caserma e, di lì, salta sul
tetto della caserma stessa. Spostate le tegole producendo un largo foro,
versano la benzina sulle assicelle di legno, quindi Pajo lancia nella sof-
fitta una bomba a mano. Il tetto prende subito fuoco e, mentre le fiam-
me si estendono rapidamente, il comandante di brigata scende dal tetto
seguito dal compagno, raggiunge gli altri combattenti e ordina: « Juris! »
All'assalto!
L'assalto viene respinto ancora una volta dall’intenso fuoco nemico.
I fascisti, ritiratisi dal piano superiore, continuano a difendersi acca-
nitamente dal pianoterra e dai fortini. È chiaro che attendono rinforzi.
Dalla direzione di Medea, intanto, si odono raffiche di mitragliatrici.
I rinforzi sono accorsi, cadendo però nell’imboscata tesa dai combattenti
del « Budicin ». I quali, dopo aver minato la strada e resala impratica-
bile alzando ostacoli con blocchi di pietra, si sono attestati sul costone
e nella gola del monte dominante l'arteria.
139
Nella trappola del « Budicin »
Dura da circa due ore il fuoco intorno alla caserma di Draga di Mo-
schiena, quando sulla curva della strada bloccata dal battaglione italiano
spuntano i primi due camion di una colonna tedesca proveniente da
Fiume. I combattenti del « Budicin » e in particolare la III Compagnia
aprono subito il fuoco con tutte le armi, correndo poi all'assalto dopo
che il primo automezzo, passato sulla mina, è saltato in aria. Ben presto
la battaglia si trasforma in un furioso corpo a corpo; salta in aria anche
il secondo automezzo. I nemici, circa cento uomini, vengono decimati.
Nelle mani dei combattenti del « Budicin » lasciano una mitragliatrice
pesante 20 mm e numerose armi leggere.?
La battaglia, però, non è finita. Si riaccende all'arrivo di nuovi rin-
forzi tedeschi, anch'essi inchiodati dal fuoco del battaglione italiano,
mentre presso la caserma di Draga di Moschiena gli assalti degli uomini
di Pajo si susseguono ininterrottamente.
Gli scontri si protraggono anche nel pomeriggio. Vista l’impossibi-
lità di forzare il blocco sulla strada, il nemico cerca di intervenire dal
mare. Viene infatti avvistata un'unità della Marina da guerra tedesca
dalla quale è calata in mare una motobarca carica di armati. Dalla stessa
nave viene aperto il fuoco sulle posizioni della brigata. Il cannoncino
« Jurina » entra a sua volta in azione bersagliando la nave, mentre i com-
battenti della I Compagnia del « Budicin » bersagliano con il fuoco pre-
ciso di tutte le armi la motobarca diretta verso la spiaggia di Medea im-
pedendo lo sbarco. Una temuta apparizione del nemico dalla parte del
bosco, invece, non avviene.3
Finalmente gli uomini di Pajo, che già contano quattro morti e un-
dici feriti, riescono a penetrare nella caserma in fiamme, liquidano quasi
tutti i fascisti (altri moriranno asfissiati nei sotterranei) per ritirarsi in-
fine sotto la protezione del III battaglione, del battaglione giovanile e
del battaglione italiano. Bilancio della giornata: 2 camion distrutti, 120
nemici uccisi, grande bottino di materiale bellico. La brigata ha avuto
4 morti e undici feriti.
Verso le 9 di sera, dopo alcune scaramucce nel bosco, i combattenti
riprendono a salire i versanti del Monte Maggiore, stanchi e affamati,
rivolgendo di tanto in tanto lo sguardo in basso, al mare. Da Draga di
Moschiena sale ancora nel cielo la colonna di fumo dalla caserma divo-
rata dal fuoco.4
2. In alcuni appunti inediti messi a disposizione degli Autori da Arialdo Demartini si fanno i
nomi di alcuni componenti del reparto italiano che maggiormente si distinsero nell'azione:
i fratelli Basilio e Renato Kalcich, Marino Furlan, Francesco Fioranti, Michele Veggian, Ma-
rino Manzin, Petar Herak (partecipò alla posa delle mine), Bruno Tomini in qualità di utticiale
operativo, l’ex soldato dell'esercito italiano Anzuli (o Angiuli) all'epoca comandante di com-
pagnia e già distintosi nella liquidazione del presidio dei Bagni di Santo Stefano, Miho Valich.
3. Tra i protagonisti si ricordano Domenico Medelin, Rudi Dobran, Giulio Dobran, Tino Zagorel,
Ferruccio Pastrovicchio e Milan Iskra.
4. Per la ricostruzione della battaglia di Draga di Moschiena abbiamo utilizzato oltre alle testi.
monianze di qualche protagonista, le opere « Fratelli nel sangue » (pagg. 247—248), « Revolu-
cionarna Istra » (pagg. 117—118, descrizione di Mira Sepié sulla base della testimonianza del
maggiore Vinko Sepic), « Istarska svitanja » (pagg. 58—62), « Borbeni put 43. istarske divizije »
pagg. 138—139) e « Put prve istarske brigade ...» (pagg. 165—167). I documenti originali sul
bilancio dell'azione si conservano nell'Archivio del Vojno istorijski institut di Belgrado: k.
1321, f. 4, doc. 17. Cfr. Zbornik dokumenata NOR, vol. V/libro 31, pagg. 58—72.
140
Il raduno di Raspo
«Siete venute qui per dirvi, tu madre italiana, tu madre croata,
che mai più crescerete i vostri figli nell’odio, l'uno contro l’altro, così
come volevano i nemici della nostra libertà. » « Più delle parole vi saluta-
no oggi, mamme, sorelle, spose italiane, le raffiche delle mitraglie che
la nostra gioventù con mano ferma adopera contro il nemico dei popoli:
il fascismo, contro il nemico particolare, odiatissimo, di noi italiani: il
fascismo italiano. »
Queste parole, pronunciate dal vicepresidente dell’Unione della Gio-
ventù Antifascista dell'Istria Giorgio Sestan portando il saluto alla I Con-
ferenza regionale del Fronte Femminile Antifascista per l’Istria, sono ri-
ferite da « Il Nostro Giornale, »5 nel resoconto della « grandiosa manife-
stazione di popolo » come intitola l'articolo dedicato all'assise.
La conferenza si tiene « nella libertà delle montagne del Carso » —
nel bosco di Gvozd presso Raspo — il 25 e 26 luglio, preceduta dalla sfi-
lata della II brigata istriana, « salutata dalle acclamazioni dei 3000 pre-
senti, di cui 1500 donne ». Il saluto di Giorgio Sestan, « in nome del po-
polo italiano e in particolare della gioventù italiana dell'Istria è stato
accompagnato da applausi clamorosi e da grida alla fratellanza d'armi
italo-croata dell'Istria ». « Hanno parlato pure compagne italiane di Ro-
vigno, Montona, Pola, che hanno espresso il loro entusiasmo per questa
magnifica manifestazione e la loro volontà di lotta (...) è stato notato il
simpatico fatto di donne italiane che portavano la coccarda croata, men-
tre le croate portavano quella italiana ».
L'arrivo da ogni parte della penisola e la permanenza di una massa
di tremila e più persone al raduno dimostra la forza che il Movimento
popolare di liberazione ha raggiunto, il vasto sostegno di cui gode. At-
traverso 35 basi di smistamento e collegamento passano ogni giorno
intere colonne di donne e ragazze che trasportano viveri, vestiario e per-
fino capi di bestiame destinati ai combattenti. Alla conferenza è interve-
nuto perfino un complesso artistico-culturale italiano, diretto dal rovi-
gnese Marco Garbin, esibendosi col coro e il complesso filodrammatico.
Attraverso la rete delle « stanize » passano anche centinaia di nuove « re-
clute » partigiane. E le staffette con gli ordini. E gli informatori con le
notizie. E i corrieri con i giornali. Vi passano pure quei combattenti del
« Budicin » che, terminato il corso durato venti giorni, ripartono per
l’Istria la sera del 28 luglio attraversando la linea Trieste—Fiume come
racconta Giordano Paliaga nel suo diario:
« Per raggiungere la Brigata si è dovuto camminare più di due giorni
(percorrendo appena) quasi 12 km, e quando raggiunta a S. Domenica
(di Albona) e siamo andati allo Stab e lì abbiamo mangiato e subito dopo
proseguito verso il mio Btg. Da lontano si sentiva dei suoni, dopo 2 ore
di cammino ed ecco che mi sono immaginato che i nostri compagni bal-
lano. Questo era in domenica giorno 30-7. Appena arrivato gli ho dato
5. Nro 15 del 15 agosto 1944,
141
subito la mario e tutti mi venivano davanti a me dicendo come me ja
sono passata. Ho pure trovato dei compagni nuovi di Rovigno, Scandia
(o Dandolo?) e altri ».
La situazione vista dal nemico
Dal diario di Paliaga passiamo a un documento di fonte nemica. In
un rapporto del 29 luglio 1944, il Comando del 35° settore militare te-
desco illustra la « situazione delle truppe degli insorti nella provincia
di Fiume e nei territori vicini ».
Dopo aver affermato che nella città di Fiume si trova un « battaglione
della libertà » del quale si ignorano la struttura, la forza e l'armamento,
il rapporto passa alla zona di Monte Maggiore. Le notizie sulla presen-
za dei gruppi partigiani in tutta l’Istria, e in particolare nella zona del
M. Maggiore — si afferma — sono contradditorie; anche perché questi
gruppi, per la loro grande mobilità, fanno apparizione ora qua ora là, sic-
ché è difficile farsi un quadro preciso del loro dislocamento e della loro
forza effettiva (...). Da varie informazioni raccolte, sembra che ora sia
giunta in Istria anche la VIII Divisione partigiana del Kordun che si
sarebbe divisa in vari gruppi, dei quali uno dovrebbe trovarsi sulle pen-
dici meridionali del M. Maggiore tra Laurana ed Arsia, e un altro pre-
merebbe su Pola dal nord, mentre un terzo dovrebbe trovarsi tra Buie,
Montona, Pisino e Pinguente; infine un quarto lungo la ferrovia Fiume
Trieste tra Prem e Senosecchia. Il comando delle forze partigiane in Istria
si trova sul monte Lisina (15 km a nord-ovest di Fiume) in una baracca
a circa un chilometro dal Rifugio Rossi. La sussistenza si trova sul Pla-
nik (6 km a sud-ovest di Lisina)... Per quanto riguarda la situazione
generale, essa è notevolmente peggiorata nel corso dell'ultimo mese e si
ritiene molto seria. La pressione dei partigiani nella zona è in continuo
aumento. Gli insorti continuano a controllare la ferrovia Fiume—Trieste,
interrompendola spesso (...). Per quanto riguarda Fiume, anche se non
tenteranno un attacco improvviso alla città, almeno finché non inter-
verrà qualche nuovo avvenimento nell’evolversi generale della guerra,
non si nasconde il pericolo che la città possa essere bloccata e quindi
posta alla mercé degli insorti.$
Come si vede la paura fa novanta. I nazifascisti si sentono minac-
ciati da ogni parte; vedono perfino una divisione e la immaginano scesa
in Istria nientedimeno che dal Kordun. La divisione ci sarà presto, alla
fine di agosto, ma sarà istriana. La brigata « Gortan », intanto, ha preso
posizione nel settore Cepié—SuSnjevica—Pisino — come precisa l'ordine
N. 25 del 28- VII — e precisamente: il I battaglione nel villaggio di Vo-
zilici, il II battaglione a Sumber, il III battaglione a Santa Domenica
d’Albona, il IV battaglione « Pino Budicin » a Cepic, il comando brigata
con i)reparti ausiliari nel villaggio di Bolesko.
Il nemico lo sa? Non lo sa? In ogni caso non si arrischia a mettere
il naso fuori dai centri maggiori. Alle orecchie dei nazifascisti intanati
non arrivano i canti e i suoni della fisarmonica dei combattenti del « Pi-
6. Vedi nota 1. del capitolo XIV.
142
no Budicin » che hanno tra l’altro l'occasione, in questi pochi giorni di
riposo, di portarsi anche a Su$njevica per ballare con le ragazze del luo-
go abitato da gente di origine romena.
« Il soggiorno in questo villaggio — ricorderà in seguito Arialdo De-
martini — avrebbe potuto, di per se stesso, essere subito dimenticato se
non fosse stato per la gente che parlava un dialetto strano... Infatti,
una volta sistemati per le case, per ristorarci e sottrarci anche all’afa po-
meridiana, avemmo occasione di dialogare e di intenderci facilmente
con la gente del luogo. La maggior parte di noi combattenti del "Budi-
cin” seppe per la prima volta dell'esistenza di quel villaggio con abitanti
di origine rumena in Istria. Pure loro interessò assai, sentendoci parlare
solo l'italiano, la composizione nazionale della nostra formazione parti-
giana. Tutto sommato, fu un incontro interessante per entrambe le parti ».
143
CAPITOLO XVIII
IL BATTAGLIONE TRIPLICATO
Nel nuovo settore di acquartieramento, a poche decine di chilometri
dalla costa — dall'alto si può abbracciare con l'occhio un lungo tratto
di riviera da Moschiena al canale di Fianona — i reparti della « Gortan »
procedono indisturbati a ulteriori consolidamenti. I comandanti smista-
no nei vari battaglioni centinaia e centinaia di nuovi volontari prove-
nienti da tutta la penisola.
Particolarmente intensa è stata, in tutto il mese di luglio, la mobili-
tazione degli Italiani grazie a una pressante azione dei Comitati popo-
lari di liberazione, testimoniata da tutta una serie di manifestini in lin-
gua italiana stampati e diffusi da un capo all’altro della penisola e a
Fiume.
Porta la data dell’8 luglio 1944 questo appello ai cittadini di Pola:
«Tutti nelle file partigiane per l’ultima decisiva battaglia! Viva l’eser-
cito popolare liberatore! Viva le Compagnie dei giovani di Pola! ». Altri
manifestini diretti ai polesi sono del 15, del 16, del 20 e 27 luglio: « I com-
pagni che già combattono vi attendono. Viva la fratellanza degli Italiani
e Croati in Armi! ». « Bisogna rinforzare le unità armate... Il vostro
posto è nelle loro file! ».
Appelli dello stesso tenore, datati 14 luglio, vengono rivolti agli ope-
rai fiumani. Il 15 luglio ci si rivolge ai « cittadini di Abbazia » per dire
loro: « Intorno a voi sono le eroiche formazioni partigiane. Là si lotta
per la libertà... Là è il vostro posto! ». Un appello del 16 luglio è rivolto
ai cittadini di Fiume.
« Alle armi operai! Soltanto nella lotta nelle file partigiane è la ga-
ranzia del vostro avvenire! Morte all'occupatore! ». Così si legge in un vo-
lantino lanciato il 10 luglio dal CPL per l’Istria che chiama i lavoratori
« alla lotta per la vita e la libertà ».
144
L'Eroe popolare Vitomir Sirola-Pajo,
primo comandante della I brigata i-
striana «Vladimir Gortan», di cui fece
parte il battaglione italiano. Amò e
fu profondamente amato dai combat-
tenti italiani.
L'edificio della centrale dell'Acquedotto istriano a Santo Stefano (Pinguente), sede
del presidio fascista liquidato dai combattenti del «Budicin», il 30 giugno 1944.
LEGGENDA
# Battaglione »P., BUDICIN«
pr” Brigata »V. GORTAN=
X* Base partigiana di rilievo
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I movimenti del battaglione italiano in Ciceria nel periodo dal 6 al 25 giugno 1944 e la
prima azione di un reparto del «Budicin» condotta assieme alla brigata «Gortan».
LEGGENDA
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Direzione di marcia del nemico
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La battaglia dei Bagni di S. Stefano e gli attacchi a Portole e Levade condotti dalla I
e dalla III compagnia del «Budicin», con l'appoggio del plotone guastatori della Bri-
gata (28—20 giugno 1944). In questa battaglia cadde il commissario della III compagnia
Riccardo Daveggia.
Il commissario politico della III com-
pagnia Riccardo Daveggia, caduto il
30 giugno 1944 nel combattimento
contro il presidio fascista dei bagni
di S. Stefano.
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Il Comando operativo dell’istria che diresse, dal settembre 1943 alla costituzione
della 43* Divisione isiriana (agosto '44) tutte le principali unità e le operazioni
partigiane nella penisola istriana.
BORCIMA Ill CETE TAL. BAT. "PINO BUDICIN”|
MINERSKOC VODA | BRIGADE "V. GORTAN” PALIM
U ZAUZIMANJU FASISTICKOG GARNIZONA U
SV. STJEPANU 30. VI 1944.
ODBOR ZA PROSLAVU 25. GODISNJICE
43. DIVIZIJE
U SV. STJEPANU, 28.VIII (969.
AI COMBATTENTI DELLA Ill COMPAGNIA DEL
BATT. ITALIANO "PINO BUDICIN"E Al
GUASTATORI DELLA | BRIGATA "V. GORTAN”
CADUTI NELL'ESPUGNAZIONE DEL PRESIDIO
FASCISTA A S. STEFANO IL 30. VI.1944,
4
IL COMITATO DEI FESTEGGIAMENTI
25 ANNIVERSARIO DELLA 49° DIVISIONE.
A S.STEFANO,29.VII[.1989.
Questa lapide ricorda la prima grande battaglia ed il primo Laga
de successo dei combattenti del «Pino Budicin». Nell attacco a
presidio nemico di S. Stefano cadde, tra gli altri, il commissario
della III compagnia Riccardo Daveggia.
Le donne tistriane furono sempre a fianco dei combattenti. Sfidando ogni pericolo,
passando accanto ai presidi nemici, portavano aj partigiani viveri, calze di lana
ed altre cose necessarie, ma soprattutto l'affetto e la solidarietà popolare.
Un reparto della I brigata «Vladimir Gortan» in marcia in Istria.
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Una pagina del famoso diario di Giordano Paliaga.
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prezidat de costu n ispreà some sasjede minirati.
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sjeverno cd GPRTAJA ne sssatavu conta EUTE-TRST-OPRTAJ,tej.
jedan km sjeverno od OPRTAJA.SA jednom Zetom postaviti do
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u sasjedu sjeverno cd OPRTAJA.
PRATECA CRTA: Svoje erufje dodjeliti de IV. bataljomi a svoju protutenkove
sia puliru dodjeliti de II, bataljome
Fhorrtra Sata; Biti do sva kod Ètaba brigade osim minera koji de biti sa
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de se ovlje tal, bataljorme
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de biti keo na previjaliBtu,
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ce po tri mrira u tab brigade,
* FOlamaK RORDA:Biti do u svitanju sore Jow 6, 19440
H AP OM E Ka:Sve jedinice mornju saposjesti polofaj do tri sata 50,6,44»
tajfutre,fignalizacije za otraranje paljbe iz topa biti de cn
paljena selena raketla kod Bete koja bude napadala GRADINI»
Prekia paljbe is topa biti de anak dve bijele raketle.Ponov=
otvaranje vatre in topa biti de osnaYeno sa relenom raketlom
Jedna Beta II, Odreda postaviti de takodjer sasjecu u negò =
srednoj blisini EUZETA ni cesti BUZET=CTROVLJE.Sve jedinide
na osiguranju mofaju se dobro utvrrditi i svoje pololfaje cda
lu®no braniti,
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L'Ordine n. 18 (29 giugro 1944) del Comando brigata «Vladimir Gortan». Al IV bat-
taglione italiano si ordina di attaccare Portole con una compagnia, di dar man
forte al III battaglione con la compagnia mitraglieri in posizione di agguato a nord
di Portole e di attaccare con una compagnia Gradinje (Santo Stefano al Quieto).
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L'Ordine n. 21 (8 luglio 1944) della «Vladimir Gortan». Nell'ambito dell'operazione
per l’attaco a Klana, il IV battaglione italiano dovrà sistemarsi sulle quote 757,
710 e 737 sopra Lipa e interrompere la strada sotto Lipa, nonché prendere po-
sizione sulle quote 941 e 933 sopra Lisac per far fronte ad eventuali irruzioni ne-
miche da Jelsane e Rupa.
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I movimenti della «Gortan» per il primo attacco alla guarnigione di Klana del 9 luglio
1944. Il «Budicin» aveva il compito di contenere le forze nemiche tra Lisac e Lipa.
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L'Ordine n. 24 (22 luglio 1944) del Comando della «Gortan» per l'attacco alla guar-
nigione nemica di Moscenitka Draga. Il compito affidato alle compagnie del IV
battaglione italiano è di occupare le posizioni sulla strada Laurana—Mosétenitka
Draga nei pressi di Medea, di minare in quel ‘punto l'arteria e barricarla; di ap-
postarsi in agguato aj margini della camionabile fino a Lovranska Draga per im-
pedire alla fanteria nemica di irrompere dalla parte della boscaglia; infine di
mantenere una compagnia in riserva presso il Comando brigata, in posizione di
agguato nei villaggi di Simetiéi sopra Moschiena.
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Lo svolgimento della battaglia di Draga di Moschiena (22—23 luglio 1944), con la par-
tecipazione della I e della III compagnia del battaglione impegnate contro i rinforzi
nemici accorsi in aiuto della guanigione attaccata.
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Una delle maggiori battaglie condotte dalla brigata «Vladimir Gortan» in Istria è quella
del 2-3 agosto 1944, diretta ad annientare contemporaneamente tutte le maggioni guar-
nigioni nemiche dell’Albonese.
L'Unione degli Italiani
Nei giorni 10 e 11 luglio, nel villaggio di Camparovac presso Albona
si è costituito un Comitato provvisorio per la creazione dell’Unione degli
Italiani dell'Istria. Spiegandone le finalità, « Il Nostro Giornale » così
scriverà il 26 agosto:
« La minoranza italiana dell'Istria è oggi in lotta senza quartiere con-
tro l'oppressione esasperata dei tedeschi e dei loro cointeressati neofasci-
sti (...). È necessario perciò che gli Italiani dell'Istria tendano tutte le
loro energie e compiano il massimo sforzo per raggiungere la libertà.
È necessario che mobilitino tutte le loro risorse per cacciare quanto
prima gli oppressori (...). Gli sforzi devono però essere coordinati, indi-
rizzati; la necessità di un'associazione (l'Unione degli Italiani) la quale
riunisca tutti i membri della nostra minoranza, senza distinzione alcuna
di tendenze politiche, di grado sociale, di convinzioni religiose (...). I re-
parti armati italiani dell’E. P. L. hanno ormai una tradizione di battaglie
vittoriose. La stampa italiana ha raggiunto, pur melle difficili condizioni
attuali, uno sviluppo lusinghiero. Un gruppo teatrale italiano va già rac-
cogliendo i nostri migliori artisti della scena e si prepara a presentare
i nostri migliori lavori. Scuole italiane verranno aperte progressivamente
(...). Accogliamo unanimi l'appello del Comitato provvisorio. Dimostra-
moci degni della vicina libertà ».
Nell'appello lanciato dal Comitato provvisorio, gli italiani sono stati
invitati a seguire « la via indicata da Pino Budicin e Aldo Negri e da tutti
coloro che hanno dato la vita per la libertà e il migliore futuro dei po-
poli italiano e croato dell'Istria ». In particolare, sono stati invitati « a
seguire questa via formando nuovi battaglioni dell'E. P. L. ».
È chiaro che la parola d'ordine di formare nuovi battaglioni italiani
è direttiva del partito, del Fronte unico di liberazione. E gli appelli non
sono rimasti inascoltati. In una corrispondenza intitolata « La mobilita-
zione di Hitler a Pola » (firma « Paolo ») su « Il Nostro Giornale » si
legge:
« Nel fondo della valle una lunga fila di giovani è in cammino verso
la base. Sono più di cento: operai, studenti, artigiani, i più di Pola, al-
cuni di Rovigno. "Siamo stanchi, ma basterà qualche ora di riposo, e
poi... un fucile e addosso ai nazifascisti”. Sono contenti: non corrono
più il pericolo di essere rivestiti nell'odiata uniforme nazista. Ora è la
libertà, ognuno ha già sentito la fraternità dei vecchi Partigiani accoglierli
nelle gloriose formazioni dell'Esercito liberatore (...). Nuovi battaglioni
si schiereranno accanto ai vecchi gloriosi reparti italiani ».1
Il « Budicin » ha 400 uomini
Il battaglione « Budicin » che a Stanzia Bembo, all’inizio di aprile,
contava 120 uomini, saliti a 200 nel giro di due mesi e mezzo (Vodice,
16 giugno), registra la presenza di oltre 400 combattenti sul finire di
luglio nella zona di Cepié! In meno di quattro mesi il numero è più che
triplicato.
1. Nro 16 del 15 agosto 1944.
10 Rossa una stella 145
Praticamente si potrebbero formare tre battaglioni, quanti bastano
per una brigata. Anzi, poiché l'afflusso dei volontari continua di giorno
in giorno, l’idea di costituire una brigata italiana viene posta con estrema
chiarezza. C'è chi ricorda in quest'occasione che il 5 aprile 1944, nel Lito-
rale sloveno, il battaglione « Triestino d'assalto » è stato trasformato in
brigata « Garibaldi-Trieste » appena raggiunti i 300 uomini. In Istria,
invece, l’idea non può essere attuata
«a causa dei continui spostamenti del battaglione ed anche della si-
tuazione esistente nei vari territori in cui esso operò, sicché numerosi
combattenti italiani vennero aggregati ad altri reparti di questa e delle
altre brigate, non essendo possibile farli confluire tutti nel battaglione ita-
liano ».2
Quanti combattenti italiani vengono smistati nei battaglioni croati
delle brigate istriane e fuori dell’Istria? La risposta è difficile. Parecchie
centinaia, forse un migliaio. Arrivato nel « Budicin » il 14 luglio, il digna-
nese Antonio Baressi finisce nella II Brigata istriana dove, con altri con-
nazionali, si forma una « IV compagnia italiana », restandoci fino alla
fine della guerra per rientrare nel « Budicin » appena il 15 luglio 1945!
Il rovignese Pietro Budicin finisce invece nel II battaglione della I bri-
gata della XIII divisione. Giusto Curto, anche rovignese, è un veterano
del « Budicin » ma finisce pure lui nella Tredicesima. Quasi tutti i galle-
sanesi mobilitati nel luglio 1944 — una cinquantina, finiscono nella me-
desima divisione insieme ad alcune decine di polesi. Dispersi anche i fiu-
mani, i buiesi, i parentini... Per non parlare delle centinaia di soldati
italiani — rimasti al servizio dei tedeschi dopo l’8 settembre 1943, che
passano in quest'epoca nelle file partigiane. L'esempio del capitano Ca-
sini, comandante dei carabinieri di Pola, la cui giurisdizione si estende
all'Istria intera, è stato seguito da 400 militi dell'Arma. Il comandante
della guarnigione militare di Starad, sulla strada Trieste—Fiume porta
tutti i suoi 38 uomini nelle file della brigata « Gortan »3 ma dopo qualche
mese andranno a ingrossare altri reparti. Quali?
Avvicendamenti al vertice
L'ultima settimana di luglio e i primi giorni di agosto sono per il
battaglione « Pino Budicin » un periodo di grandi trasformazioni anche
per quanto riguarda la struttura del comando:
2. In «Fratelli nel sangue » parte terza, capitolo XXIV curato da Renzo Vidotto: « Il battaglione
italiano Pino Budicin », pag. 248. Per un approfondimento dell'argomento rimandiamo il let-
tore al capitolo di questo volume dedicato alla mancata Brigata Italiana. Qui sia almeno an-
notato quanto si legge nell’Enciclopedia jugoslava (« Enciklopedija Jugoslavije », vol. II, Za-
greb 1956) dove alla voce « Brigade, pagg. 207—220, si legge: « La forza, la composizione, l’equi-
paggiamento e l'armamento delle brigate non erano costanti. La forza differiva nei vari pe-
riodi dell'insurrezione e nelle varie regioni in cui si conduceva la lotta ». Nello stesso capi-
tolo, l'Enciclopedia presenta un prospetto di tutte le 251 brigate costituiscono l'Esercito
popolare di liberazione della Jugoslavia (e di quelle brigate ben 10 furono italiane), dal qua-
le prospetto si ricava che 24 brigate contavano meno di 500 uomini, ce n'erano anche con 400,
con 350, con 300, con 250 e perfino con 200 combattenti.
3. In «Istarska svitanja », op. cit. pagg. 63—68 è descritto nei dettagli l'episodio del tenente
« Silvio » e dei suoi uomini che, liquidati gli unici 4 fascisti del presidio e fatta saltare
la caserma di Starad, passano con armi e bagagli nelle file partigiane al canto di « Ban-
diera rossa ».
146
— l'ufficiale operativo BRUNO TOMINI diventa COMANDANTE, sc-
stituendo Oscar Turilli trasferito presso il X Korpus dove gli è stato at-
fidato il comando di un reparto corazzato;
— il comandante della I Compagnia MILAN ISKRA è promosso UF-
FICIALE OPERATIVO al posto di Tomini;
— il commissario della II Compagnia ANGELO-GIORGIO PASCUCCI
diventa COMMISSARIO del battaglione, sostituendo Luciano Simetti che
è trasferito presso il Comando operativo dell'Istria;
— MARIO JEDREICICH diventa VICECOMMISSARIO del battaglio-
ne al posto di Benito Turcinovich, al quale viene affidato l'incarico di
presidente del « Comitato di cultura » del battaglione.
Anche nelle compagnie avvengono spostamenti, promozioni, sostitu-
zioni. La sosta del battaglione nella zona Cepié—Susnjevica (Valdarsa)
si protrae dal 24 luglio al 2 agosto. Ecco come Giordano Paliaga, nomina-
to commissario di compagnia, ricorda questi giorni:
«Già il mattino presto sentivo il rumore della macchina che treb-
biava il grano, era messa nel paese proprio dove era il Battaglione. L'aria
era calda, davanti a noi in specchio stava il M. Maggiore, era una bella
vista. Si mangiava abbastanza bene, tutte le donne ci portava da mangia-
re anche da lontano. Io in questo giorno mi sentivo male, forse era per-
ché in due giorni di cammino non avevo mangiato quasi niente. Così il
giorno 31-7 passò. Il giorno 1-8-44 non mi sentivo ancora bene. Al mat-
tino presto mi mandano a chiamare al Comando, sono andato e mi hanno
proposto che sono Commissario, io in quel momento mi sentivo non
capace dell'incarico. Subito dovetti andare nella II Compagnia a prendere
le consegne. Il giorno dietro si partì per fare l'offensiva. Dopo 4 ore sia-
mo arrivati in Fianona a prendere il polosai ».
147
CAPITOLO XIX
LA GRANDE BATTAGLIA DELL'’ALBONESE
«La grande offensiva » ha scritto Paliaga. Ed è proprio così. La più
vasta operazione che mai abbiano finora condotto le forze di liberazione
in Istria viene disposta, per ordine del Comando operativo, dal comando
della brigata « Gortan » in data 2 agosto 1944.
« La nostra brigata ha ricevuto il compito — si legge nell'ordine n. 26
— di distruggere il nemico con attacchi simultanei alle guarnigioni di
Arsia, Pozzo Littorio e Rabac. Distrutte queste tre guarnigioni, gli stessi
reparti hanno il compito di dirigersi verso le guarnigioni di Vlaska, Stal-
lie e Vrsica e distruggere il nemico ».1
Il piano, come si vede, è ambizioso. Ad Arsia, 120 tedeschi e camicie
nere italiane sono sistemati in tre edifici fortificati, circondati da bun-
ker e in alcuni punti da cavalli di frisia; il nemico dispone di un cannone
anticarro, due mortai pesanti, sei mitragliatrici pesanti e dieci leggere,
un’autoblinda. Il compito di attaccare questa guarnigione è affidato
a due compagnie del III battaglione dotate di un mortaio pesante e di
un cannone anticarro, mentre una terza compagnia dello stesso reparto
deve liquidare la guarnigione di Rabac (Porto Albona) composta da set-
tanta tedeschi distribuiti in tre posizioni. Contro la caserma di Pozzo
Littorio (Piedalbona — Podlabin) con 27 tedeschi e 9 camicie nere, muo-
verà una compagnia del II battaglione. Le altre compagnie resteranno
in riserva presso il comando di brigata. Il I battaglione al completo oc-
cuperà le posizioni sulla camionabile Albona—Pola alla curva di Bar-
bana, sistemandovi due mine, attaccherà con un plotone le sentinelle
sul ponte del fiume Arsa e farà saltare il ponte.
Al IV battaglione italiano è affidato il compito di occupare le po-
sizioni presso Fianona con una squadra di armi pesanti, minando la
camionabile Fiume—Albona, attestandosi inoltre con una compagnia di
armi pesanti al bivio delle strade Sumber—Pedena e Pedena—Chersano.
1. Il testo integrale dell'ordine è pubblicato in «Put prve istarske brigade », op. cit. pagg.
167-170, e nel libro 31, tomo V di «Zbornik dokumenata ...» del Vojnoistorijski institut
di Belgrado, doc. n. 24 alle pagg. 117—120. Il documento originale si trova presso il Vojno-
istorijski institut di Belgrado, reg. n. 18-1/4, K. 1321.
148
Il comando della brigata si sistemerà a Stermazio. L'inizio dell’at-
tacco è previsto per le 4 del mattino del 3 agosto. L'operazione rientra
nei più vasti piani del Comando operativo dell'Istria che ha diramato
disposizioni anche alle altre forze armate del Movimento di liberazione
per procedere a un rastrellamento e smantellare il maggior numero di
presidi dell'’occupatore. Nell’ordine della brigata « Gortan » si legge tra
l'altro:
«Si richiama l'attenzione dei ‘comandi di battaglione di informare
i quadri di comando e i combattenti, che quando entrano nelle singole
località non permettano saccheggi né che i combattenti si ubriachino. In
questo caso saranno chiamati alla responsabilità i comandi di battaglione,
cioè chi dirige l’azione. L'arrivo del nostro esercito in tali località deve
rappresentare il migliore comportamento (sic) col popolo e così pure
con i prigionieri. Tutto il bottino, dalle piccolezze in sù deve-arrivare al
comando brigata ...».
Fasi dell'operazione
Nella notte fra il 2 e il 3 agosto i battaglioni lasciano le rispettive
basi dirigendosi verso Santa Domenica di Albona, luogo di raduno di
tutta la brigata. Il comandante Vitomir Sirola e il vicecommissario An-
tun Ratki rivolgono infiammati discorsi ai combattenti raccolti a comi-
zio. Successivamente i reparti raggiungono le posizioni di combattimen-
to loro assegnate.
L'operaziorie si sviluppa solo parzialmente secondo i piani. L’attac-
co alle guarnigioni nemiche prese di mira viene sferrato con un'ora di
ritardo; il nemico non si lascia sorprendere reagendo vigorosamente.
Ben presto mezza Istria riecheggia di cannonate. Gli assalti si susseguo-
no ora fruttuosi ora con gravi perdite, ma sempre violenti da parte par-
tigiana. Alle ore 9, proveniente da Pola, una colonna di 40 automezzi con
alcuni carri armati si ferma presso Barbana, prima del luogo dell’ag-
guato teso dal I battaglione (evidentemente il nemico è informato) ed
i soldati tedeschi attaccano decisi. Dopo due ore di combattimento, i
nostri sono costretti a ritirarsi — alcuni gettandosi a nuoto nel fiume
Arsa — avendo subito 8 morti e 21 feriti. Altri rinforzi nemici affluisco-
no pure dalla direzione di Gimino.
Quasi contemporaneamente, per via mare da Cherso e da Fiume,
arrivano nuove forze tedesche che sbarcano sulla costa di Rabac da 9
natanti. Ciononostante, i combattimenti di Arsia (estesi a Carpano), di
Piedalbona e di Rabac continuano.
Nel frattempo, i reparti del « Budicin » si sono attestati: la I com-
pagnia con il commissario di battaglione e l’ufficiale operativo, sopra
un'altura poco distante dal ponte sulla strada Sumber—Pedena; la II e
la III compagnia col comandante di battaglione a Fianona, sulle cui
alture le pattuglie si alternano, per tutta la giornata pronte a piombare
addosso al nemico, ma per la camionabile non passa nessuno. Sulle posi-
zioni di Sumber—Pedena, invece, le cose vanno diversamente.
La guarnigione di Carpano, non prevista nel. piano delle operazioni,
cade dopo qualche ora di combattimento; a Piedalbona gli scontri si
protraggono fino alle 7 di sera; a Rabac si combatte fino a notte. I violen-
149
tissimi assalti sferrati dalle compagnie del I e III battaglione producono
lo smantellamento dell'intera linea difensiva esterna, tuttavia le caserme
non vengono espugnate. L'avanzata della colonna nemica da Barbana
costringe alla ritirata prima i reparti impegnati ad Arsia e a Piedalbona,
poi quelli di Rabac, mentre l'arrivo della colonna da Pisino, attraverso
Santa Domenica intralcia lo sganciamento sulle posizioni prestabilite
producendo uno sbandamento delle forze partigiane, costrette a scio-
gliersi in piccoli gruppi per passare fra le maglie del nemico che preme
da ogni parte.
Valutazione e critiche
Nel rapporto operativo N. 881 del 6 agosto 1944, il comando della
brigata fa il bilancio: il nemico ha avuto 207 tra morti e feriti, due tede-
schi e due fascisti sono caduti prigionieri, sono stati catturati un mor-
taio, una Breda, uno « Scharaz », un fucile mitragliatore, sei fucili ed
altro materiale bellico, distrutto un camion. Perdite della brigata: 13
morti e 28 feriti, cinque dispersi. Munizioni impiegate da parte della
brigata: 6120 proiettili di fucile mitragliatore, 3506 di fucile, 1180 di mi-
tragliatrice, 420 di mitra, 12 granate di mortaio leggero e 18 di mortaio
pesante, 71 di cannone (totalmente esaurite le munizioni di artiglieria),
150 bombe a mano, due mine... Si calcola che il nemico abbia impe-
gnato nella battaglia oltre duemila soldati con una sessantina di auto-
mezzi, tre carri armati, 4 autoblinde, 9 navi minori e un gran numero
di mortai e cannoni. « Y combattimenti del 3 agosto sono stati i più vio-
lenti che si siano avuti sino ad oggi in Istria », scriverà « Il Nostro Gior-
nale » nella sua edizione del 15 agosto.
Nell’analisi compiuta dal Comando operativo dell'Istria, sulla base
del rapporto operativo di brigata e sull'esame critico di quello stesso
rapporto (« Osservazioni n. 455 del 23-VII-1944), si afferma che c'è
stata ancora una volta una errata valutazione del nemico; si sono com-
messi gravi errori tattici. La brigata è stata dispersa lungo un arco di
alcune decine di chilometri, un fronte troppo vasto, e le forze destinate
all'attacco, invece di concenrarsi su un obiettivo alla volta, si sono fran-
tumate; i collegamenti fra i reparti hanno funzionato male; i punti per
gli agguati sono stati scelti malissimo. Le perdite più gravi, quelle su-
bite presso Barbana, vengono messe anche sulla coscienza del parroco
del luogo, il quale è stato visto inforcare la bicicletta e correre a Pola
subito dopo l’arrivo del battaglione partigiano: « Si sospetta che sia sta-
to lui a informare i tedeschi ».
Il rapporto del comando brigata critica l'ufficiale operativo del III
battaglione « il quale non ha eseguito gli ordini dell'ufficiale operativo
di brigata »; sì criticano pure « il commissario e l'ufficiale operativo del
IV battaglione italiano per aver lasciato passare il nemico presso il ponte
di Pedena senza nemmeno averlo molestato o tentato di tagliargli la
strada ».
Il Comando operativo dell'Istria, invece, afferma che « è stato com-
messo un grave errore tattico »: quello di non prevedere che il nemico
sarebbe accorso in aiuto alle guarnigioni attaccate « anche dalla dire-
150
zione di Pisino attraverso Pedena e Santa Domenica ». « Si è constatato
che le forze di sicurezza dovevano essere sistemate più in là verso Pi-
sino, minando e scavando la strada in più punti ».2
L'arrivo dei rinforzi nemici da Pisino, non è stato decisivo per l'esi-
to della battaglia, contribuendo però a sconvolgere i piani di ritirata
dei reparti partigiani. Sulle posizioni di Fianona, invece, i combattenti
del « Budicin » continuano a vigilare per due giorni di fila. Alla II e III
compagnia si congiunge anche la I. Nel diario di Giordano Paliaga si
legge:
«Dopo 2 giorni di polosai, il giorno venerdi 4-8- siamo discesi giù
e andati in paese. Tutto era pieno di gente che ci guardava. Un primo
compagno ha parlato verso il popolo, dopo un secondo. Parlava che fece
piangere la gente. Subito dopo siamo andati in chiesa, il prete ci ha fatto
una messa, tutti erano contenti, parlava che per l’idea che combattiamo
dovremo vincere. Tutto finito, si uscì e tutti ballarono ».
Messa e ballo
La testimonianza del commissario della II compagnia è confermata
da Arialdo Demartini capoplotone della I:
« Ciò che mi è rimasto impresso di quella permanenza in quel pitto-
resco e suggestivo paese in cui tutti gli abitanti parlavano in lingua ita-
liana, fu il fatto inusitato che noi combattenti del "Budicin” assistemmo
alla S. Messa (...). Anzi, un picchetto d'onore partigiano, durante le fun-
zioni religiose, fu posto ai fianchi dell’altare.
Nel pomeriggio fraternizzammo con la gioventù che ci offerse una
lauta cena ed organizzò pure la serata danzante in onore del ”’Budicin” ».3
I combattenti vengono ospitati nelle case per trascorrere la notte.
Il mattino del 5 agosto il battaglione viene posto in stato d'allarme. I
vari reparti ritornano sulle posizioni in collina occupate nei giorni pre-
cedenti. Paliaga annota nel diario:
«Questa volta ci ha toccato andare in cima al monte, il panorama
era qualcosa di immenso. Verso le 18 del dopopranzo ho voluto andare
quasi sulla cima ed ecco lì aspiravo un'aria di nostalgia, ho dato un’oc-
chiata verso Albona di dove dietro stava Rovigno. Si vedeva pure Lus-
sinpiccolo, Lussingrande ... ».4
La sera dello stesso giorno, cessato lo stato d'allarme, i combattenti
lasciano Fianona, salutati festosamente dalla popolazione. Con l’ordine
n. 27 del 6 agosto, il comando della « Gortan » ordina al battaglione « Bu-
2. In «Put prve istarske brigade », pag. 173. Il documento si conserva nell'Archivio del Vojno-
istorijski institut di Belgrado, reg. n. 18—1/4, k. 1321.
3. Da appunti inediti. Va precisato che l’assistere alle messe nelle chiese dei villaggi liberati,
fatto « inusitato » per i partigiani italiani, era invece una vecchia prassi degli altri reparti.
In una relazione politica del 10 gennaio 1944 inviata al Q. G. dell'EPL della Croazia dal Co-
mando operativo dell'Istria (libro 23, tomo V di «Zbornik dokumenata », doc. 37, pagg.
148—155) si legge infatti: « Buona parte dei sacerdoti in Istria appoggiano la nostra lotta.
Le nostre compagnie spesso assistono alla messa e montano la guardia mentre il sacerdote
celebra la messa ».
4. A questo punto del diario di Paliaga c'è un'interruzione. La narrazione riprende verso la
fine di novembre 1944.
151
dicin » di prendere posizione, con la prima e terza compagnia, sulle al-
ture dominanti Rabaz, dislocando invece la seconda, dotata di una Breda
pesante, nelle vicinanze di Fianona. Le disposizioni generali per tutti i
battaglioni della brigata suonano — bisogna attaccare e liquidare il
presidio nemico di Piedalbona, che conta 60 soldati, tedeschi e camicie
nere. Il nemico dispone di un cannone anticarro, due mortai, cinque
mitragliatrici pesanti e quattro leggere, mitra e fucili.
Si ritenta a Piedalbona
Le singole compagnie dei primi tre battaglioni vengono sistemate
sulle posizioni in direzione di Vines, sulla strada per Arsia, presso il
ponte di Pedena. I reparti del II battaglione formano la forza d'urto.
L'attacco è previsto per il 7 agosto alle ore 04.00.
Un'ora prima del previsto tutti i reparti sono già sulle posizioni,
alle 04.00 esatte comincia l'attacco. Dopo aspri combattimenti il II bat-
taglione infrange le difese esterne, penetra a Piedalbona, conquista quat-
tro edifici. Presso Fianona i combattenti del « Budicin » affrontano e
respingono un reparto motorizzato tedesco. Notevoli rinforzi, invece, rie-
scono ad aprirsi un varco sulla strada Arsia—Albona, superando il bloc-
co del III battaglione, sicché i combattenti del II battaglione sono co-
stretti a ritirarsi per evitare la sacca.
Per la seconda volta in pochi giorni la brigata deve abbandonare il
settore dell’Albonese rinviando a tempi migliori la realizzazione dei suoi
piani. I reparti si dirigono dapprima nella zona di Fianona—Cepié—Su-
Snjevica, per salire poi l'8 agosto ancora più in alto sulle pendici del
Monte Maggiore, attraversando Brest, fino a raggiungere il bosco sovra-
stante il villaggio di Skrapno.
Il 9 agosto tutta la brigata si trova nella zona del « Rifugio Rossi ».
In seguito all'esame critico delle precedenti azioni, la « Gortan » proce-
de a rimaneggiamenti nel quadro comando a livello dei battaglioni. In
quello italiano, il commissario Giorgio Pascucci viene rimosso (« anche
perché affetto da forte miopia ») e messo a disposizione del Comando
operativo dell'Istria. Il suo posto viene preso dal compagno LUIGI CI.
MADORI di Fiume, che dall’inizio di giugno è stato segretario dell’or-
ganizzazione della Gioventù comunista (SKOJ) del battaglione.
152
CAPITOLO XX
I GIORNI DI « RIFUGIO ROSSI »
Siamo sul versante del Monte Maggiore che guarda Fiume, a nord-est
del Planik. Nella zona del Rifugio Rossi, ormai in rovina per gli eventi
bellici, i combattenti sperano di potersi muovere indisturbati, punzec-
chiando anzi con maggiore insistenza il nemico. Il batiaglione « Pino Bu-
dicin » ha il compito di minare in continuazione la ferrovia Fiume—Trie-
ste. Le azioni di disturbo sulle vie di comunicazione si susseguono per
alcuni giorni, con gravi perdite per l’occupatore.
Saltano i treni
«Il 13 agosto il nemico subisce la perdita di una cinquantina fra
morti e feriii in uno scontro di pattuglie, mentre da parte nostra non si
ha a lamentare alcuna perdita. Il 16 agosto un plotone riesce a far sal
‘tare un treno, ma attaccato da una cinquantina di ustascia è costretto,
malgrado la superiorità nemica, ad accettare combattimento, subendo la
perdita di un morto sgozzato dagli ustascia, un ferito che viene riportato
alla base e un fucile mitragliatore lasciato in mano nemica ».!
Sullo scontro del 13 agosto « Il Nostro Giornale » riporta un articolo
intitolato « Fruttuoso combattimento del battaglione italiano P. Budicin »
nel suo numero 17 del 26 agosto:
« Fra Sappiane e Giordani, il giorno 13 corr., il IV battaglione italia-
no "Pino Budicin” della I Brigata "VI. Gortan” nelle vicinanze della
Casa Rossa ha posto un agguato presso la linea ferroviaria. La lotta è
cominciata alle 6.45 del mattino, quando è giunta una pattuglia nemica
di 15 soldati seguita da una colonna di 80 tedeschi. Il violento fuoco
aperto sulla pattuglia ha steso subito al suolo sette tedeschi. Dopo di
che la colonna nemica, distesasi in ordine sparso, è avanzata verso il bo-
sco, in direzione del nostro reparto. Quando il nemico è giunto a distanza
ravvicinata, si è accesa una battaglia accanita con lancio di bombe a
mano. Il nemico si aiutava con il fuoco delle mitragliatrici e dei mortai
leggeri, ed era sostenuto anche dai mortai di Sappiane e della Casa Rossa.
1. In «Storia del Btg Pino Budicin» (La Voce del Popolo, n. 67 del 9 settembre 1945),
153
Ma il valore e l'abilità dimostrati dai nostri combattenti ha avuto ragione
del nemico. Subendo la perdita di un solo ferito leggero, il "P. Budicin”
ha inflitto all'odiato oppressore la perdita di 40 uomini fra morti e fe-
riti ».
Il foglio ciclostilato partigiano torna sull'argomento nell'edizione suc-
cessiva, riportando un articolo di B(enito) Turcinovich, uno dei diri-
genti politici del battaglione italiano, il quale rievoca « alcune delle ma-
gnifiche azioni » cominciando da Santo Stefano e via via, fino agli ultimi
combattimenti:
«A fianco dei compagni croati combatte il Battaglione italiano Pino
Budicin continuando l’opera dell’indimenticabile eroe rovignese di cui
porta il nome (...). Il Battaglione è al rifugio Rossi: 15 tedeschi e poi 80 di
rinforzo vengono falciati dalle nostre anmi. Nonostante li aiuti il fuoco
infernale dei presidi vicini, essi perdono 40 uomini. Qualche giorno dopo
una nostra pattuglia, che assieme ai minatori ha fatto saltare un treno,
viene attaccata da 50 ustascia. Il numero è soverchiante e un compagno
è trucidato dai carnefici di Pavelié; ma lo pagano con una ventina di
loro ».2
L'episodio del treno fatto saltare con quel che segue, è descritto con
maggiori dettagli da uno dei protagonisti, il polese Bruno Deghenghi:
« Il giorno 15 agosto del 1944 eravamo con il battaglione a "Rifugio
Rossi”. Al mio plotone venne ordinato di tenersi pronto per un'azione.
Alla mezzanotte circa ci mettemmo in cammino insieme al reparto gua-
statori della brigata. Capimmo subito che si sarebbe effettuata la solita
diversione. Infatti, allorché ci dirigemmo verso la linea ferroviaria Trie-
ste—Fiume, ci fu chiaro che a farne le spese sarebbe stato qualche treno.
Il mio plotone era composto da Pietro Lovrecich, mitragliere, Vitto-
rio Sartori, fuciliere, Casolino Etti e, naturalmente, dal sottoscritto e da
tanti altri di cui non ricordo i nomi, ad ogni modo quasi tutti polesi.
Con la solita andatura accelerata, con in testa la guida, attraversammo
boschi e villaggi. Dopo tre ore di marcia, arrivammo sul posto presta-
bilito. Il primo nostro compito fu quello di accertarci che non vi fossero
pattuglie nemiche in giro. Siccome tutto era calmo, prendemmo posizio-
ne su un largo tratto, accanto alla ferrovia, mentre i guastatori della bri-
gata si mettevano all'opera. Dopo aver terminato il loro lavoro, che era
di porre la mina fra i binari, ci fecero cenno di allontanarci onde porci
in luogo più sicuro ed attendere l’arrivo del treno.
Non passò molto tempo che udimmo in lontananza il fischio della
locomotiva. Dopo pochi minuti rimbombò un forte boato nell'aria e si
alzò una lunga colonna di fumo denso. Il compito era stato portato a
termine, tutti fieri prendemmo la via del ritorno.
Strada facendo, arrivammo al villaggio di Brest e decidemmo di en-
trarvi per chiedere ai contadini qualcosa da mangiare. Ma appena giunti
alle prime case del villaggio, una donna che si trovava in mezzo alla
piazzetta ci fece un segnale: voleva dire che soldati nemici si trovavano
nel villaggio. Ma ormai era troppo tardi! Dall'angolo di una casa sbuca-
rono trenta nazisti armati di tutto punto. Solo grazie alla prontezza di
spirito del mitragliere Piero, che aprì il fuoco sul nemico, riuscimmo a
2. Nro 18 del 9 settembre 1944,
154
ritirarci nel folto del bosco. Nonostante l'intensa sparatoria nemica, per
cui venne ferito il partigiano Etti Casolino, ma non in modo grave, nella
tarda mattinata raggiungemmo il battaglione ».3
L'indomani, 17 agosto, un plotone comandato da Nevio Tommasi fa
saltare il treno-staffetta sulla stessa ferrovia e una pattuglia nemica pro-
veniente da Muéici incappa sotto il fuoco della mitraglia pesante appo- ‘
stata lungo la linea; il nemico si dà alla fuga subendo perdite.
Nello stesso giorno arriva al comando brigata l'ordine n. 61 del Co-
mando operativo dell'Istria che fa un quadro generale della situazione
venutasi a creare negli ultimi giorni.4
Una situazione nuova
I ripetuti colpi sferrati dalla brigata « Gortan » nell'Albonese, nono-
stante i limitati risultati immediati, hanno avuto come effetto la mobi-
litazione di tutte le forze a disposizione del nemico nella regione. Messo
di fronte alla sempre più crescente forza militare dei partigiani ed alla
loro audacia, tedeschi e loro vassalli temono di perdere il controllo delle
principali vie di comunicazione che ora gli sono più che necessarie. Sui
campi di battaglia europei si combattono battaglie decisive. L’Esercito
popolare di liberazione jugoslavo passa di vittoria in vittoria: in Serbia
è cominciata la grande operazione di Belgrado, in Dalmazia, in Bosnia
e in Lika le divisioni naziste vengono inseguite e costrette a continui
arretramenti verso il nord dove cercano di apprestare nuove linee difen-
sive. Nel settore dell'Alto Adriatico, in particolare, temendo sbarchi ame-
ricani nel Quarnero, le forze germaniche danno grande importanza stra-
tegica all’Istria e cominciano a concentrarvi forze sempre più consistenti,
che hanno già raggiunto i 30 mila uomini verso la metà di agosto. Con-
temporaneamente rafforzano i presidi esistenti e ne stabiliscono altri —
più di cento — lungo la costa e in quasi tutte le località strategiche della
penisola, intraprendendo infine una serie di spedizioni di rappresaglia
contro i villaggi delle zone che più frequentemente hanno ospitato i par-
tigiani. In un solo giorno, il 10 agosto, hanno saccheggiato e incendiato
Trstenik, Ratja Vas, Dane, Raspo ed altri paesi del Carso, deportando
centinaia di persone.
Il nemico ha inoltre individuato la dislocazione della brigata « Gor-
tan» e si prepara a sferrare un'offensiva in grande stile per togliersi
questa spina dal fianco, nella speranza di stabilizzare il fronte nella pe-
nisola. Stando così le cose, il Comando operativo per l'Istria ordina alla
Prima brigata ed alle altre forze partigiane di fare tutti i preparativi
necessari per un eventuale sganciamento dall’Istria:
— ridurre gli effettivi della brigata;
3. Da appunti inediti conservati presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
4. Presso il Vojno istorijski institut di Belgrado, k. 1322, f. 3, doc. 15
5. Nella sua visita in Italia, il Comandante supremo dell'EPLJ Tito discusse il 10 agosto 1944
a Caserta col generale Wilson, comandante in capo delle forze nel Mediterraneo, la eventuali
tà di uno sbarco alleato in Istria. Wilson giustifico l'operazione con la necessità di conquistare
al più presto Trieste, minacciando così le difese tedesche in Italia. Tito chiese che, in caso
di sbarco, le unità alleate in Istria collaborassero con le forze dell'EPLJ e rispettassero gli
organismî del potere popolare.
155
— trasferire gli uomini meno validi (feriti ed ammalati in primo
luogo) sul Gorski Kotar attraverso le basi del Comando Zona di Fiume;
— cominciare il trasferimento dei depositi di viveri e del bestiame;
— assicurare il passaggio oltre la ferrovia;
— mobilitare in Istria tutte le persone in grado di combattere e spe-
dirle nel Gorski Kotar per la formazione della Terza brigata istriana e
quindi della divisione;
— nascondere le armi pesanti ormai prive di munizioni (cannoni e
mortai) per alleggerire i movimenti dei reparti;
— spezzettare i battaglioni nel senso del dislocamento, dando auto-
nomia alle singole compagnie;
— intensificare il lavoro politico e l'addestramento militare nei re-
parti (cessa il corso per sottufficiali presso il Comando operativo e due
istruttori vengono assegnati alla brigata per organizzare nel suo seno
i corsi per capisquadra);
— la brigata dovrà infine adottare, o meglio tornare alla tattica della
guerriglia.$
I tedeschi, a loro volta, ricorrendo ai soliti sistemi terroristici di
mobilitazione della popolazione civile nella Todt — dopo aver deportato
tutti gli abitanti dei villaggi incendiati del Carso — cominciano a costrui-
re una linea di fortificazioni sulla catena di Monte Maggiore—Planik =
sui versanti meridionali del massiccio montano; costituiscono uno spe-
ciale comando operativo per il Litorale adriatico e diramano particolari
istruzioni per la lotta antipartigiana (Bandenkampf in der Operations-
zone Adriatisches Kiinstenland). « La zona di operazioni è un settore di
lotta politica di primo piano — vi si legge — e già domani essa può di.
ventare un settore militare di primordine ».
Nell'ambito delle operazioni di trasferimento, precisate con l'ordine
n. 30 del Comando brigata nella stessa giornata del 17 agosto, al batta-
glione italiano è affidato il compito di assicurare le spalle, precisamente
la strada Ratja Vas—Veprinac a nord-est del Planik, nella zona del Ri-
fugio Rossi. Il III battaglione (giovanile) rimane nelle immediate vici-
nanze del « Budicin » mentre I e II battaglione provvedono a incanalare
verso la zona del Castuano e nel Gorski Kotar i viveri, il bestiame e
alcune centinaia di combattenti neomobilitati. Nel giro di pochi giorni,
ma soprattutto di notte, vengono trasferiti alcune decine di capi di be-
stiame, materiale vario e 899 uomini del Comando di Zona di Fiume di-
stribuiti nei reparti operativi per rafforzare la XIII divisione e formare
la terza brigata istriana che sarà inquadrata a Cabar il 29 agosto, giorno
in cui sarà pure proclamata la nascita della 43.ma divisione istriana.
Un tentativo nemico di frantumare la brigata « Gortan », intant»,
viene sventato dal battaglione « Pino Budicin » il 19 agosto. È una gioi-
nata di continui, asprissimi scontri, nel corso dei quali i combatten*i
del reparto italiano scrivono una delle più belle pagine della loro storia.
fe Pregro z Velno istorijski institut di Belgrado, documenti k. 1327 A, f. 10, doc. 32 e k. 1322,
f. 3, doc. 21.
156
Quel 19 agosto
Nella zona di Rifugio Rossi i combattenti hanno costruito ‘alcuni
ripari per il pernottamento con tronchi d'albero e rami. Intorno le sen-
tinelle fanno buona guardia negli appostamenti, mentre le pattuglie per-
lustrano i limiti della zona. In uno di questi pattugliamenti, vengono sor-
presi due tedeschi anch'essi in servizio di sorveglianza.
« Furono lasciati avvicinare sino a una cinquantina di metri, poi si
aprì il fuoco, ma prima che venissero catturati riuscirono a lanciare un
razzo di avviso. Dopo qualche tempo giunse da Fiume una colonna blin-
data nazifascista e per tredici ore si combattè con grande violenza. Pure
a noi giunsero rinforzi dalla brigata che si trovava poco lontano, ma or-
mai quella che avevamo considerato "la terra di nessuno” non fu più
per noi un'oasi sicura ».
Questo è appena un sommario degli avvenimenti della più lunga gior-
nata in montagna nel racconto di uno dei protagonisti, Basilio Kalcich.?
I due tedeschi sorpresi e catturati sono appena l'avanguardia di una gros-
sa pattuglia esplorativa i cui uomini, incappati sotto il fuoco del « Bu-
dicin », in parte si danno alla fuga, in parte si trincerano nel rifugio al-
pino e di lì resistono accanitamente favoriti dalla posizione solida, in
attesa dell'arrivo del grosso della colonna. Di questa fanno parte i tede-
schi, ustascia ed anche qualche reparto istriano della « Landschutz », i
cui uomini portano sul berretto e sul braccio il distintivo della capra
(stemma dell'Istria).
Dopo circa un'ora dal primo scontro, dilaga nella zona la colonna
nemica salita da Zvonete, dove ha lasciato 14 autocarri e un’autoblinda.
Contro i fascisti tedeschi, gli ustascia croati e contro i « territoriali »
istriani ad essi asserviti si dirige il fuoco intenso delle armi del « Budi-
cin ». Nelle file del nemico si aprono rilevanti vuoti, ma le sue forze sono
preponderanti e continuano a dilagare da ogni parte, fino ad accerchiare
il battaglione. i combattenti del « Budicin » si battono tuttavia con ardi-
mento e accanimento nonostante le difficili condizioni del terreno. Sulla
montagna coperta da fitto bosco, il nemico può essere scorto solamente
a distanza ravvicinata e le sorprese possono sbucare ad ogni passo. Più
di una volta gli uomini dell’una e dell'altra parte finiscono per mesco-
larsi, e si confondono anche le lingue, creando situazioni assurde e im-
barazzanti. Capita che, sentendo parlare l'italiano, quelli del « Budicin »
sono convinti di avere a che fare con i propri compagni, trovandosi in-
vece di fronte ai nemici con lo stemma della capra. Ne derivano fulminee
sparatorie ed anche scontri corpo a corpo. Con gli altri si distingue Arial-
do Demartini, vicecomandante della I compagnia, che viene nominato
perciò sul campo comandante della stessa compagnia; prende il posto
di un ex carabiniere « magro e alto, dal naso aquilino, con due lunghi
baffi neri » (la descrizione dovrebbe sostituire il nome svanito dalla me-
moria), rimosso dalla carica per aver indugiato più volte nell'eseguire gli
ordini del comando del battaglione di affrontare e respingere energica-
mente il nemico.
7. C. Radin « Figure di combattenti del battaglione Budicin » (La Voce del Popolo, 4 aprile 1964).
157
Prigionieri per qualche minuto
Lo stesso Demartini, nel corso dei combattimenti protrattisi per
l'intera giornata, cade due volte in mano al nemico ed entrambe le volte,
grazie al sangue freddo e assistito dalla fortuna, riesce a svignarsela.
Sintetizziamo qui il suo racconto.8
Per l'ennesima volta la I compagnia parte all'attacco in formazione
spiegata. Raggiunta la cima di una quota boscosa, il comandante sbuca
a un tratto in una piccola radura, trovandosi di fronte a una ventina di
soldati nemici. Alcuni stanno sdraiati fumando, altri in piedi. Accanto al
comandante partigiano si trova il sissanese Matteo Bencich. I nemici,
che portano sui berretti distintivi vari, non fanno subito caso a quello
dei due partigiani. La stella rossa sul berretto di Demartini è piccolissi-
ma e per di più sgualcita. La sua faccia è tuttavia nuova e si intreccia il
dialogo: « Chi sei? », « Sono italiano, non vedete? » — risponde il parti-
giano con prontezza di spirito, conscio di essere cascato in bocca al
lupo. « E di che reparto sei? », « Ma dei vostri! ». La stella rossa, tutta-
via, richiama l’attenzione di un tedesco. Questi si avvicina con la pistola
in pugno, fissa il partigiano e impallidisce... La faccia del tedesco è
un segno d'allarme. Demartini si getta fulmineamente a terra e, mentre
il nazista scarica la pistola a vuoto, si lascia rotolare giù dalla scarpata
del monte, restando fortunatamente incolume, salutato dall'intensa spa-
ratoria delle armi nemiche. Il dialogo tra il comandante di compagnia
e i nemici è stato seguito dai partigiani nascosti nel fitto del bosco; dal-
la sparatoria, poi, capiscono che il loro compagno si trova in una situa-
zione disperata e rispondono con un fuoco serrato. Un pandemonio.
Sparatorie si accendono un poco dappertutto nel bosco. Domenico
Medelin, Ferruccio Pastrovicchio, Bruno Tomini, Milan Iskra, Mario Ja-
dreicich, Pietro Sponza, Rudi Dobran e tanti altri, dirigenti e combat-
tenti: ognuno di loro potrebbe raccontare di un attimo drammatico.
Lasciamo invece la parola al primo anonimo storico del battaglione che
sintetizza le fasi della battaglia:
«I nostri reparti, per sfuggire ai tentativi di aggiramento, si riti.
ravano un po’ più a monte e di là continuavano a tenere sotto il loro fuo-
co le file nemcihe. La I compagnia in un primo momento era stata man-
data a rastrellare la valle alla ricerca dei nemici fuggiti, rimaneva tagliata
fuori dai rinforzi sopraggiunti, ma riusciva a svincolarsi e a raggiungere
il nostro schieramento senza alcuna perdita. Continuando il combattimen-
to che apriva evidenti vuoti nelle file nemiche, i mostri continuavano ad
opporre resistenza alle soverchianti forze, finché affluirono nuovi rin-
forzi sul campo di battaglia. Questi consistevano in una colonna moto-
rizzata tedesca composta da 30 camions, di diverse autoblinde e carri ar-
mati. Anche contro queste nuove forze i nostri combattenti aprivano un
violento fuoco, ma dato lo stato di inferiorità enorme sia in uomini che
in armamento, erano costretti a ritirarsi sempre più in alto sul monte.
Tutti i tentativi nemici di aggiramento riuscivano vani incontrando sem-
pre forte resistenza da parte dei nostri combattenti. Scesa la sera, i te-
8. Da una serie di « memorie » inedite di A. Demartini.
158
deschi si guardarono bene dall'avanzare oltre, anzi scesero a ripararsi
al "Rifugio Rossi”. Le compagnie approfittarono di questo fatto per riu-
nirsi sul monte secondo gli ordini ricevuti ».9
Bilancio della giornata i
Un bilancio? Il nemico non è riuscito nell'intento, è fallito il suo sfor
zo di aprirsi un passaggio e ripiega verso Klana, Castua e Fiume. Ancora
a caldo, Benito Turcinovich scrive:
« Giornata d'eroismo è il 19 agosto. Grandissimo numero di camions,
autoblinde e qualche carro anmato si accaniscono contro le nostre file.
Invano: il battaglione attacca sempre, semina la morte fra i nazifascisti.
Tre compagni rimangono feriti, ma il nemico ha avuto una quarantina
di morti e molti feriti ».10
Questa è anche la versione ufficiale:
«Le perdite nemiche sommarono a una quarantina di morti e a un
numero imprecisato di feriti; da parte nostra si ebbero a lamentare solo
tre feriti leggeri ».11
Qualche altra fonte, invece, mette nel bilancio delle perdite del bat-
taglione « tre morti e parecchi dispersi », mentre « non si riuscì a cono-
scere le perdite del nemico, perché ripiegando esso aveva portato con
sé morti e feriti ».12
Accanto all'articolo di Turcinovich, nella stessa pagina de « Il Nostro
Giornale » si legge « La lettera di un compagno ferito ». È Piero Pinna,
anche lui combattente del « Budicin », ferito nel combattimento del 19
agosto, che scrive al suo comandante dall’ospedale:1*
« Caro comandante, ho dovuto lasciare momentaneamente il mio bat-
taglione, dopo tanto tempo che non si dava tregua ai brutali nazisti, a
9. Vedi nota 1.
10. Vedi nota 2.
11. Vedi nota 1.
12. In «Fratelli nel sangue », op. cit., pag. 251. Nelle più volte citate opere « Put prve istarske
brigade Vladimir Gortan » del Brozina e « Borbeni put 43. istarske divizije » del Ribarié,
l'una e l'altra ricche di dettagli, ambedue da considerarsi testi ufficiali per la storia dei
grandi reparti nelle cui file fu inserito il « Budicin », non esiste il minimo accenno ai com-
battimenti sostenuti dal battaglione italiano il 19 agosto 1944.
i3. Sugli ospedali partigiani in Istria e in genere sull'organizzazione dei servizi sanitari, si
leggano le pagg. 166—172 di « Borbeni put 43. istarske divizije ». Una delle sedi dell'ospedale
fu il villaggio di Trstenik, quota 1212, del quale fu il primo dirigente il dottor Luigi Lenzi,
capitano medico dell'ex esercito italiano, oriundo di Caserta, già nella divisione « Murge ».
Passato nelle file partigiane il 9 settembre 1943, rimase nella zona del Castuano diventando
il primo comandante dell'Ospedale centrale del Comando operativo per l'Istria e più tardi
della 43. divisione istriana. Nell'ospedale centrale prestò la sua opera anche il dottor Galzini,
già capo dei servizi sanitari del II Distaccamento polese e, nel periodo aprile-agosto 1944 capo
dei corsi per dirigenti sanitari. Restando agli italiani troviamo menzionato pure « lo studente
di medicina Sanvincenti », medico del Distaccamento « Utka » e poi referente della sanità del-
la II brigata istriana. All'inizio dell’estate 1944 l'ospedale del Comando operativo dell'Istria
fu trasferito in alcune baracche presso Skurini, a nord di Trstenik, e alla fine dell'estate a
Trstenik, aumentando le capacità da 20 a 50 letti. Le baracche furono costruite da una « com-
pagnia lavoratori » Castuani. Nel febbraio 1945 il dott. Lenzi fu trasferito presso la Sezione
sanitaria dell'XI Corpo d'armata, dove prestarono la loro opera anche altri due italiani: lo
studente di medicina Rossi e il tenente medico dott. Senegagliesi, come si apprende dal rap-
porto n. 276 della Sezione sanitaria del Corpo datata 10 - II - 1945.
159
160
causa della leggera ferita riportata. Sono dispiacente non per la ferita,
ma per aver dovuto lasciare i miei eroici compagni, perché eroici bisogna
chiamarli. Il giorno 19 è stata una giornata di eroismo. In quel giorno,
sotto il fuoco nemico, per me era una gioia combattere, perché ho cono-
sciuto i compagni valorosi e un comandante valoroso che sa condurci
alla lotta e alla vittoria.
Ti assicuro, compagno comandante, che a sentire la tua voce mi
sembrava di sentire un padre che ci chieda uno sforzo supremo, e non
si poteva non combattere con tutta la dedizione e la forza. Ho sempre nel
cuore te e i compagni e mando a tutti voi un saluto e un augurio per
sempre maggiori successi col grido di: Evviva il IV Battaglione italiano
"Pino Budicin” ».
Parte quarta
DAL CARSO AL MONTE NANOS
(secondo ciclo: fine agosto — fine ottobre 1944)
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CAPITOLO XXI
OLTRE IL RJECINA
In data 22 agosto 1944 il commissario e il comandante del Comando
operativo per l’Istria, JoZa Skoétilié e Savo Vukelié compilano due tavole
sinottiche per compendiare la situazione numerica degli armamenti e
la composizione sociale e nazionale dei reparti. Dai due specchietti ri-
sulta che le unità comprendono complessivamente 3521 uomini dei quali
1176 nella brigata « Gortan ».!
Per quanto riguarda in particolare la composizione sociale e nazio-
nale dei reparti, dal prospetto risulta che nella brigata « Gortan » mili-
tano 2/1 italiani dei quali 159 combattenti, 52 ufficiali e sottufficiali.
Ci sono ancora 5 italiani in seno al Comando operativo; 44 nella Secon-
da brigata di cuî 12 graduati; 118 nel I distaccamento « Utka » di cui
38 nel quadro comando; 45 nel II distaccamento polese di cui 12 gra-
duati. In totale gli italiani nelle formazioni istriane ammontano a 423,
di cui 112 nei quadri di comando, formando l’ottava parte degli effettivi
complessivi. La struttura sociale della brigata « Gortan » ci dice che,
su 1176 uomini, 459 sono operai (127 nei quadri comando), 583 conta-
dini (109 nei quadri comando), 34 impiegati e studenti (20 graduati),
67 artigiani (12 graduati), 28 piccoli commercianti (3 graduati), 4 intel-
lettuali (3 graduati) e 1 militare di carriera.?
Il Comando operativo dell'Istria firma successivamente un ordine
in base al quale, nella notte fra il 23 e 24 agosto, l’intera brigata « Gor-
tan » sgombera la zona di Monte Maggiore e della Ciciaria e si trasferi-
sce a Nord della linea ferroviaria Fiume—Trieste nel rione di Ravno
a oriente di Clana. Raggiunto il nuovo settore, il comando brigata di-
spone i « confini » del territorio controllato verso Clana, Gumanac e
Studena.
Con l'ordine n. 33 del 26 agosto, inoltre, stabilisce le misure per
alleggerire la pressione delle forze nemiche sulla XIII divisione operan-
te nel Gorski Kotar. Un battaglione resta sul territorio del Castuano
1. Doc. 25, k. 569, f. 7 presso il Vojnoistorijski institut di Belgrado e in « Borbeni put 43. istar-
ske divizije« pag. 127.
2. Documento pubblicato in «Zbornik dokumenata NOR » del Vojnoistorijski institut di Bel-
grado, tomo V, vol, 31, pag. 312 e in « Borbeni put 43. istarske divizije », pag. 258.
163
per inscenare finti attacchi quotidiani contro le guarnigioni nemiche di
Mariniti e Castua e, inchiodandone gli uomini, permettere l’indisturba-
to ulteriore trasferimento dei magazzini di viveri; un altro battaglione
bloccherà l'aeroporto di Grobnico e fingerà attacchi contro Drenova,
lanciando ogni tanto qualche cannonata su Fiume; il Terzo battaglione
prende posizione fra Ravno e Studena appoggiando i finti attacchi su
Clana.
Il IV battaglione « Pino Budicin » resta in riserva presso il Coman-
do brigata che si trasferisce, insieme ai servizi sanitari, sopra il villag-
gio di Kukuljani al di là del fiume Rjetina. Per i combattenti italiani
trascorrono così una decina di giorni di relativo riposo. Sono anche gior-
ni di intensa nostalgia per la terra istriana che chissà quando potranno
rivedere. Sono comunque confortati dal pensiero che ora l'Istria ha
un’intera divisione. « Essa è il frutto della lotta unanime della popola-
zione martoriata dell'Istria; — scrive « Il Nostro Giornale » — essa ne
è la garanzia della vittoria e della libertà. Reparti italiani gloriosi, co-
me il "P. Budicin", combattono a fianco dei fratelli croati nelle file
della nostra divisione. » « La nostra Divisione, formata dai figli delle
popolazioni croate e italiane dell'Istria, darà la sua risposta di fuoco a
tutti i reazionari che cercano ancora di attizzare gli odi fra italiani e
croati per salvare sporchi interessi egoistici. È inutile che i servi di
Hitler si affannino intorno all’ambita preda. Inutilmente gli ustascia in-
sanguinati dal sangue degli innocenti ne rivendicano il possesso (...).
L’Istria appartiene al suo popolo, croato e italiano, nello stato federale
di Croazia » nel quale « la minoranza italiana ha conquistato con la lot-
ta il diritto alla libera vita democratica a parità di diritti ».3 Nella stes-
sa pagina il giornale partigiano italiano riferisce azioni di valore com-
piute da combattenti « accorsi dall’Istria nelle file del M. P. L.» nel
Gorski Kotar, conquistandosi « l'ammirazione degli altri fratelli croati
al cui fianco combattono per la stessa causa ». Segue il testo di un en-
comio, datato 28 agosto 1944, ai compagni Giambastiani Giorgio, Lu-
nardi Cesare, Matticchio Paolo e Deghenghi Giovanni, tutti del reparto
mitraglieri della III Compagnia del I Battaglione della II Brigata della
XIII divisione, distintisi nella battaglia del 25 agosto. Alcune copie del
giornale vengono distribuite ai combattenti dallo stesso redattore del
foglio partigiano, Eros Sequi. Proprio in questi giorni, insieme a Dina
Zlatié dell’Agit-prop regionale, Sequi fa una visita al battaglione « Bu-
dicin ». Arrivato da qualche settimana in Istria dopo aver combattuto
nella VII divisione della Banija, il prof. Sequi annota nel suo diario par-
tigiano « Eravamo in tanti »:
«Monti di Castua, agosto 1944. Mi sono lavato con l'acqua calda,
a Sarsoni; Dana stava in vedetta sul poggio dietro la casa, col fianco
al muricciolo di pietre bianche, tirato su a secco, sferruzzando un paio
di calze: i compagni del bosco me hanno bisogno. (...) Ridiscendendo
la viottola precipitosa verso l’Eneo gelido, che manda un brivido su
per la valle onmai densa d'ombra, e m’'avvio su per lo stradello lungo le
giravolte del fiume (...). Gi arrampichiamo verso il nostro campo. È
passato il brivido del tramonto. I boschi sono meni; lo spicchio della
luna non ha nemmeno la forza di illuminare le rocce cinerine (...).
3. «Il popolo dell'Istria ha creato la sua divisione », nel n. 18 del 9-IX - 1944,
164
— Alto là, stoj! — ci fenma la sentinella.
Là dentro, in una pelata della macchia, voci allegre, canti, richiami:
sono ‘ italiani, perdio, partigiani di Tito. È il battaglione "Pino Budi-
cin”. (...) Mi accorgo di camminare spedito e orgoglioso. È un bel bat-
taglione, ci sono dei ragazzi in gamba. »
E con queste brevi annotazioni sul battaglione terminano anche
le pagine del diario. A sua volta, un dirigente politico istriano, il croato
Tone Dobrila, annota nel proprio diario il primo incontro con la « Gor-
tan » e il battaglione italiano in quest'epoca:
« Si sentono anche i comandi in italiano, perché nella stessa brigata
vi sono anche i compagni Italiani, che si battono spalla a spalla con i
nostri combattenti per la completa liberazione del nostro popolo. Così
anch’essi potranno vivere ‘in libertà nella muova patriai (...). È magni-
fica la nostra brigata con i suoi combattenti e dirigenti. Chi una volta
la vede, non può più staccarsene. La fraternità e la disciplina si Isentono
ad ogni passo. Alla fiinme dei discorsi cantano i cori: prima il coro del
battaglione italiano "Pino Budicin” e poi il coro croato (...). Alla fine
del comizio i battaglioni si ritirano sulle rispettive posizioni. In lontanan-
za si sentono ancora le canzoni "Marsirat ée nasa teta prema slobodi”
e l'italiana "Avanti popoli . . .”, »4
Nel settore di Gumanac
Il 2 settembre, con ordine n. 34 del Comando brigata, i vari batta-
glioni della « Gortan » assumono un diverso dislocamento. Nel corso
della notte il « Pino Budicin » si trasferisce nel settore di Gumanac, con
pattuglie avanzate in osservazione verso la linea Clana—Ilirska Bistrica
e in direzione di Masun. I reparti ausiliari e il Comando brigata si si-
stemano nella zona di Ravno, gli altri battaglioni nel bosco sovrastante
Podgraj, nel rione di Donje Jelenje—Podkilavac e nel villaggio di Luéici
in direzione di Drenova. In queste posizioni, ad eccezione di un tempo-
raneo spostamento del Comando brigata a Zeljezna Vrata sotto Trste-
nik, i vari battaglioni resteranno fino all’inizio di ottobre.
In questo periodo riprendono i corsi per sottufficiali, si intensifi-
cano gli addestramenti militari e si svolgono regolarmente le attività
politiche e culturali.4 bis In vista di più grosse battaglie, si dedica par-
ticolare attenzione alle armi. Cronometro alla mano, i combattenti ga-
reggiano nello smontare e montare i fucili mitragliatori, in special modo
la mitragliatrice pesante « Breda ». Istruttore è il polese Privileggio, ex
ufficiale dell'esercito italiano ed ora al comando del plotone mitraglieri.
Dall’Istria continuano ad arrivare alla spicciolata nuovi volontari e
qualcuno, come il gallesanese Antonio Leonardelli, finisce anche nel bat-
taglione italiano.
L'attività politica viene particolarmente intensificata, anche per far
superare ai combattenti un certo stato d’animo causato dal distacco
4. Tone Dobrila, « Iz zapisa kroz NOP » in « Revolucionarna Istra », op. cit. pagg. 107-111 (« Su-
sret s prvom istarskom brigadom Vladimira Gortana »).
4 bis. Doc. 18 e 33, k. 1322, f. 3 presso il Vojnoistorijski institut di Belgrado.
165
dalla terra natale (e ne farà menzione un rapporto del Comando del-
l'XI Corpo d'armata al Q. G. dell’EPL della Croazia n. 571/24. IX. 1944:
« situazione generale militare organizzativa »). Nel « Budicin » arriva qua-
si regolarmente e si legge la stampa (« Il Nostro Giornale » regolarmen-
te, periodicamente « Lottare ») e si scrivono articoli per i « giornali mu-
rali » delle compagnie. I « corrispondenti di guerra » compilano scritti
per « Il Nostro Giornale » che il 9 settembre (No. 18) esce in ben 10
pagine dedicate al primo anniversario dell’insurrezione istriana. Indaf-
faratissimo, poi, è l'intendente militare del « Budicin », l'intraprendente
giovane polese Sime Slivar che si fa in quattro, e spesso affrontando
pericoli, perché il rancio sia regolarmente assicurato, mentre per le
calzature e vestiario i problemi non finiscono mai.
Dai giornali partigiani i combattenti apprendono ,intanto, che in
data 9 settembre si sono riuniti «i rappresentanti del popolo istriano,
del Partito comunista, dell’Unione degli Italiani dell'Istria e di Fiume,
dell’E. P. L., del F. F. A., della Gioventù Antifascista e dei patrioti fuori
partito » costituendo il Comitato Regionale per l’Istria del Fronte unico
popolare di liberazione presieduto dall'avvocato Ante Mandi, con vice-
presidente Domenico Segalla, comprendendo nell’Esecutivo anche il com-
pagno italiano Erio dott. Franchi ed il comandante della brigata « Gor-
tan » Vitomir Sirola-Pajo.
Mentre le pattuglie del « Budicin » si alternano notte e giorno nel
settore di Gumanac per asicurare il fianco destro della brigata, alla ba-
se si accendono più di una volta grandi falò, nella notte buia, per se-
gnalare agli aerei alleati il punto esatto per paracadutare materiale va-
rio che gli addetti raccolgono e convogliano al sicuro per le necessità
dell'intera divisione. Vengono effettuate quotidiane incursioni in ter-
ritorio sloveno, ben controllato dai belogardisti, allo scopo di procu-
rare viveri al battaglione e agli altri reparti. Slivar, in proposito, po-
trebbe scrivere romanzi.
Promozioni e comandi
Con decreto del 1" settembre 1944, firmato dal Maresciallo Tito e
pubblicato sul Bollettino del Comando supremo dell’EPLJ n. 40—43 stam-
pato sull’isola di Lissa, sono avvenute intanto alcune promozioni di com-
battenti italiani in altre formazioni: Luciano Budicin al grado di tenente,
Giovanni Benussi a sottotenente. Contemporaneamente Bruno Tomini
viene proposto al grado di maggiore — che gli verrà concesso con de-
creto del 1° ottobre (Bollettino n. 44—45) e trasferito ad altro incarico,
presso il Comando dell’XI Corpo, lasciando la carica di comandante ad
ARIALDO DEMARTINI, che nel giro di due mesi è passato dal Comando
di un plotone alla testa del battaglione. In questo stesso periodo l’uffi-
ciale operativo Milan Iskra diventa vicecomandante del battaglione; la
carica di ufficiale operativo viene invece affidata a NEVIO TOMMASI,
monfalconese. Nella carica di commissario politico viene confermato Lui-
gi Cimadori, già segretario dell’organizzazione della gioventù comunista
(SKOJ) del battaglione e vicecommissario Mario Jedrejtié. Le nomine
saranno rese definitive con l'ordinanza n. 5/28 settembre del Comando
della 43° divisione istriana. Al nuovo comandante la parola:
166
«La piana di Gumanac mi rammenta pure il giorno in cui assunsi
iil comando del btg. "Pino Budicin” sostituendo il coraggioso Bruno To-
mini. Essendo conscio delle mie cognizioni militari alquanto limitate
per espletare l'importante carica, non fui tanto entusiasta della nomina.
Comunque, dovetti accettare. Intressante la mia presentazione alla trun-
pa che, causa la pioggia, avvenne all’interno delle caserme dell’ex ieser-
cito italiano-fascista. Mi fu suggerito, come di prammatica, di rivolgere
alcune parole ai combattenti schierati. Cominciai bene, ma, dopo le pri-
me frasi m'impappinai, vuoi per l'emozione vuoi perché era la prima
volta in vita mia che tenevo un discorso. Però, non mi persi d'animo,
tagliai corto, dicendo ai combattenti di scusarmi per la mia oratoria
per niente brillante e che mi sarei trovato più a mio agio se avessi ri-
cevuto il compito di andare a ”juris”. La battuta piacque, lo dedussi dal-
l'applauso.
I giorni seguenti alla mia nomina, avemmo il’onore di ospitare al
Comando battaglione un gruppo di ufficiali inglesi. La loro visita, ma
più ancora le loro divise nuove, ordinate, icon tanto di gradi; il loro
aspetto sano, per niente patito, e il fatto che erano ben riforniti di sca-
tolame; in una parola il loro perfetto equipaggiamento, costituì per noi
del "Budicin” un avvenimento. Mi ricordo che da ”interprete” fungeva
il referente sanitario del "Budicin”, il rovignese Pietro Benussi (Mignu-
lin) che si arrangiava un po’ nel parlare la lingua inglese. Ai nostni al-
leati offrimmo delle grosse bistecche di carne di manzo istriano appena
macellato, ed essi non vollero sfigurare: contraccambiarono con delle
eccellenti sigarette Chesterfield”. Però ci fu poca confidenza fra moi
(...). Affinché non sfigurassi di fronte a loro, il commissario del batta-
glione, Luigi Cimadori, visto che indossavo una divisa alquanto trasan-
data, mi regalò il suo bel giaccone trequarti, facendomi anche una bella
romanzina: "Sappi che un comandante di battaglione deve itener conto
dell'abbigliamento personale!” Presi alla lettera le sue parole, facendo-
mi crescere due bei baffoni alla serba.
Infine, in quel periodo, a Gumanac, mi fu consegnata dal membro
del Comando territoriale partigiano di Pola, compagno Mate Pifar, la
famosa Compagnia partigiana rovignese, nota per le sue azioni audaci
nella bassa Istria, la quale venne così a rafforzare l'organico del nostro
battaglione. »
L'inserimento della nuova compagnia avviene il 19 settembre, ma nel
frattempo per i 208 combattenti presenti nel « Budicin »5 si è concluso
il periodo di riposo — se così si può chiamarlo — ed essi hanno già
all'attivo alcuni combattimenti che contrassegnano il brillante inizio del
nuovo ciclo di operazioni. La nostra cronaca riprende dal 13 settembre,
5. Il numero risulta da un rapporto del comando brigata n. 1249 del 16 settembre 1944. A questa
data, la « Gortan » conta complessivamente 1.128 uomini compresi 4 russi.
167
CAPITOLO XXII
UNA NUOVA COMPAGNIA
Il 13 settembre, in esecuzione dell'ordine n. 37 del Comando brigata,
tre battaglioni della « Gortan » si preparano ad attaccare il nemico a
Clana. Il « Pino Budicin » resta a Gumanac, al suo vecchio posto, invian-
do tuttavia alcune pattuglie in direzione del Masun e di Ilirska Bistrica.
L’operazione comincia alle 05,40 del 14 settembre protraendosi fino al po-
meriggio, senza risultati apprezzabili se si eccettua la distruzione di al-
cuni bunker ad opera del cannone « Jurina ». Un contrattacco nemico,
con rinforzi giunti da Castua e da Fiume, da Jelsane e da Rupa, impegna
i battaglioni in violentissimi scontri in direzione di Clana, Lipa, nel bo-
sco di Novokrecina e altrove. Tedeschi, belogardisti sloveni e Cetnici
barbuti sono costretti a ritirarsi.
Il 15 settembre, per ordine del comando della 43° divisione, la bri-
gata « Gortan » è chiamata a coprire il fianco destro della 13* divisione
operante presso Zlobin, col compito di attaccare e conquistare l'aero-
porto di Grobnico alle spalle di Fiume. Nello schieramento della brigata,
dislocata sulle direttrici di Susak—Cavle e Fiume—Castua—Donje Jele-
nje, il battaglione italiano è sistemato a Podkilavac col comando brigata.
La buona guardia sui fianchi permette alla Tredicesima di impegnare il
nemico fino al pomeriggio inoltrato, di conquistare finalmente il campo
d'aviazione e liquidare il presidio domobrano-ustascia.
Il 17 settembre, eseguendo l’ordine n. 38 del comando brigata, il bat-
taglione « Pino Budicin » si sposta a Gumanac, sostituito a Podkilavac
dal II battaglione, mentre il I e il III prendono posizione a Grobnico e
a Donje Jelenje. Con l'ordine n. 19 del Comando divisione, poi, tutta la
brigata si accinge a tornare all'attacco di Clana il 19 settembre.
L'operazione viene elaborata dal Comando brigata con l'ordine n. 39
del 18 settembre. Stavolta al battaglione « Pino Budicin » viene affidato
il compito di prendere posizione a quota 567 al bivio delle strade a Sud
di Clana (una compagnia rafforzata da una squadra di mitraglieri) ed a
quota 542 sulla strada Clana—Breza (due compagnie e una squadra mi-
traglieri). Nell’ordine si precisa che all'azione coopererà l'aviazione an-
glo-americana, Nella notte i reparti raggiungono le posizioni loro asse-
gnate, attendendo per lunghissime ore l'arrivo dei bombardieri alleati
168
che devono smantellare le fortificazioni verso le ore 16,00 del 19 settem-
bre. All’ora fissata arrivano effettivamente due aerei, limitandosi però
a sorvolare l’obiettivo ad altissima quota sparendo ben presto all’oriz-
zonte. Si sentono alcune esplosioni in direzione del bosco, poi più nulla.
Il Comando brigata ordina ai reparti di tornare alla base.
Le bombe alleate destinate a Clana — si constata in serata — hanno
colpito il villaggio partigiano di Novokretina a 10 km da Clana, distrug-
gendo alcune case e uccidendo una mezza dozzina di innocenti. Altre
bombe sono state sganciate sulle posizioni della II brigata partigiana fra
Lisac e Clana senza arrecare danni. Nella marcia di ritorno, qualche com-
battente del « Budicin » fa il seguente commento ironico: « Hanno bom-
bardato i nostri al posto dei fascisti, e si capisce: noi siamo comunisti
e ai capitalisti non andiamo a genio ».
Il « Budicin » si fa onore
L'unico ad essere impegnato il 19 settembre è proprio il battaglione
italiano, precisamente la III compagnia, che si fa onore in uno scontro
presso il villaggio di Ruzici dove attacca una colonna nemica riuscendo
a decimarla, falciando ventidue nazifascisti e ferendone altri sei.! I su-
perstiti si danno a fuga precipitosa.
Porta la data del 19 settembre anche una lettera del Comitato di
battaglione del Partito comunista nella quale il vicecommissario Mario
Jedreicich e il presidente del Comitato di cultura, Benito Turcinovich,
chiedono all'Agit-prop, sezione italiana, del Comitato regionale del PCC
per l’Istria:
« Vi preghiamo di tradurre per noi ‘i fascicoli // fascismo, Il problc-
ma contadino, Dittatura del proletariato (modello ridotto — credo dal
compagno Ante, tehnika 43. div.), /l problema del confine italo-jugoslavo
del Dott. Smodlaka (’Tehnika Sloboda"). »2
Due giorni dopo, il 21 settembre, i combattenti del « Budicin » si
fanno nuovamente sentire attaccando un treno sulla linea Trieste—Fiu-
me, nel tratto fra Giordani (Jurdani) e Sappiane (Sapjane), uccidendo 23
e ferendo 18 soldati nemici, catturandone altri quattro?
I documenti ufficiali si limitano alle cifre nude e crude, ma «il
corrispondente di guerra del ”’P. Budicin” » come si firma l'ignoto autore
di « Azione sulla ferrovia » — un testo pubblicato da « Il Nostro Gior-
nale » sul n. 19 del 5 ottobre 1944 — offre maggiori particolari:
«Le 22,30. I fuochi si smorzano pian piano mella fredda notte. Il
battaglione ha lasciato il campo. Verso le sei del mattino si schiera
sulla ferrovia. Le mine sono a posto, le armi pronte a vendicare tutti i
nostri caduti. Sotto la pioggia continua, i giovani combattenti del bat-
taglione italiano ”P. Budicin” sono sempre all'erta. Appena alle 15,39
ha inizio l’azione. Un convoglio ferroviario avanza. 30 secondi idi forte
ansia, un boato e la locomotiva con i due vagoni salta in aria. Al boato
fa seguito il crepitio delle nostre armi automatiche.
!. In «Put prve istarske brigade », pag. 190 e « Fratelli nel sangue » pagg. 252—253.
2, Copia del documento presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno,
3. In « Borbeni put 43. istarske divizije », pag. 187.
169
La scorta di una quindicina di tedeschi è annientata dal nostro po-
tente attacco; il resto del personale, catturato con molto materiale. A
nulla vale l'uscita dei fascisti dal presidio vicino. I mostni valorosi com-
battenti rientrano vittoriosi anche da questa giornata. Un compagno
manca all'appello: è caduto da prode nell'attacco. Sarà vendicato al più
presto. Il nemico ha dovuto incassare una nuova lezione quale il no-
stro "Budicin” impartirà a chiunque tenta di ostacolare la marcia verso
la libertà agognata da tutti i popoli nella democratica federativa Jugo-
slavia. »
I caduti di questa azione sono in realtà due: l'ufficiale operativo del
battaglione, Nevio Tommasi, che ha dato esempio di ardimento lancian-
dosi alla testa degli uomini sul nemico, e il capoplotone Francesco Cer-
lon, dignanese.' Quest'ultimo è arrivato appena da qualche giorno nel
battaglione con la compagnia « Rovignese » che, ad onta del nome, è
composta da combattenti di varie località dell'Istria: i dignanesi Andrea
Cerlon, fratello di Francesco, e Bortolo Giacometti, i gallesanesi Giuseppe
Tesser, Nicolò Pugliese e Giovanni Demori, i fasanesi Pietro Valenta, Ma-
rio Coslovi (che cadrà prigioniero il 10 ottobre) e Antonio Moscarda,
l'umaghese Jure Makovac, Antonio Biloslavo di Castagna, Guido Segando
di Orsera, i rovignesi Aldo Sponza e Mario Zaccai, i polesi Giacomo Fa-
rina e Nello Milotti ed altri ancora, in tutto una quarantina, veterani
anch'essi della lotta partigiana. dis Partendo da Carnizza, sotto la guida
dell'ufficiale del Comando del II distaccamento polese Mate Pifar, hanno
attraversato a marce forzate tutta l’Istria, oltre Monte Maggiore, portan-
dosi oltre la ferrovia sulla quale ora sono stati impegnati nella prima
azione in seno al « Budicin ». Questo secondo battesimo del fuoco è co-
stato la morte di due fra gli uomini migliori.
Racconta il comandante
Il comandante del battaglione ricorda i preparativi accurati — puli-
tura perfetta delle armi, lavoro politico per rafforzare il morale, riunione
con i partecipanti che hanno accettato entusiasticamente, esprimendo
ciascuno il proprio parere. Il mitragliere Pietro Valenta, tipo tarchiato,
muscoloso e pieno di energia, ha detto che lui i tedeschi se li mangia.
Il Comando battaglione ha tuttavia fatto distribuire un rancio abbon-
dante a tutti, e tutti si sono avviati cantando verso le posizioni, marcian-
do attraverso i boschi e i monti per tutta la notte. Hanno fatto cinquan-
ta chilometri come una passeggiata, in sei ore.
A un centinaio di metri dalla linea ferroviaria, in posizione d'at-
tacco, si sistema la nuova compagnia « rovignese », col comandante di
battaglione. La prima compagnia, col vicecommissario di battaglione e la
seconda con l'ufficiale operativo e il vicecomandante del battaglione, si
attestano sui fianchi sinistro e destro osservando il massimo silenzio.
Mentre i guastatori si danno da fare sui binari per sistemare la mina
passando poi sulla camionabile non lontano per infossare un secondo
4. In « Mancano all'appello », op. cit. pagg. 30 e 71.
4 bis Vedi il Capitolo II, «La Compagnia italiana-rovignese », del Libro Secondo di questo
volume.
170
ordigno, i combattenti della « rovignese » — in postazione fra vigneti e
frutteti — ammazzano il tempo facendo una scorpacciata di uva e frutta.
Poi tutto succede come descritto dal « corrispondente di guerra ».
Il mitragliere fasanese spara in piedi col suo fucile mitragliatore e di
tedeschi se ne « mangia » parecchi solo lui. Le urla di « Urrà » e di « Ju-
ris » sì susseguono, gli scontri si trasformano ben presto in furiosi corpo
a corpo, quand’ecco capitare sul posto la familiare figura di Vitomir
Sirola-Pajo. Il comandante di brigata ad alta voce incita i combattenti e
questi, con un lancio di bombe a mano, spazzano gli ultimi nemici, salta-
no sul convoglio immobilizzato e fanno piazza pulita. Solo qualche na-
zista si salva con la fuga.
Nella caccia ai tedeschi, il comandante di battaglione s'imbatte im-
provvisamente con un pingue ufficiale nazista che, nascosto sotto un va-
gone supino fra le rotaie, prende di mira i partigiani con la pistola. Vi-
stosi scoperto, leva le braccia, senza però mollare l'arma.
Demartini preme a sua volta il grilletto del suo mitra, ma il colpo
non parte, il caricatore è vuoto. Per distogliere l’attenzione del nemico,
gli si rivolge in italiano dicendogli: « Siete prigioniero! ». L'altro deve
capire qualcosa, perché risponde: « Partigiano italiano buono », ma non
accenna a mollare la pistola. Fortunatamente Demartini scorge il viceco-
mandante di compagnia Domenico Medelin e, chiamandolo in dialetto
rovignese, gli spiega la situazione, incitandolo a sparare sul tedesco. L’al-
tro non se lo fa ripetere due volte: scarica nella pancia dell’ufficiale ne-
mico mezzo caricatore.
Intanto, dal presidio vicino della Casa Rossa (Giordani) sono accorsi
i fascisti e i combattenti della II compagnia lottano accanitamente per
contenere l'assalto. È in questa accanita resistenza che cadono eroica-
mente l'ufficiale operativo Tomasi e il capoplotone dignanese. Il nemico
riesce a prendere quota, insiste nell'attacco e prende a bersagliare anche
i combattenti che, sulla ferrovia, sono intenti a raccogliere il bottino.
In questa situazione, il comandante di battaglione ordina lo sganciamen-
to. Il compito è stato assolto con onore.
Sulla via del ritorno, pernottando in un villaggio, i combattenti del
« Budicin » vengono salutati come trionfatori. I giovani e le ragazze del
luogo organizzano perfino un ballo in loro onore. Tutto si conclude come
all'inizio, con canti di lotta. E una buona cena.5
AI rientro alla base, il battaglione « Pino Budicin » merita l’encomio
solenne nell'ordine del giorno del comando della brigata. Un encomio
generale, perché tutti si sono distinti, dai Caduti al comandante di bat-
taglione, dal guastatore della brigata Miho Valié al mitragliere Valenta,
dai comandanti di compagnia e loro vice Mario Pocari, Domenico Me-
delin, Ermanno Siguri, Ferruccio Alberti e Spartaco Zorzetti ai capi-
plotoni, ai delegati e fino all'ultimo combattente. Menzionare Francesco
Fioranti, Giovanni Quarantotto, detto Gorilla, Michele Veggian, Marino
5. Da « Memorie » inedite di A. Demartini. L'episodio è descritto dettagliatamente dallo stesso
autore anche sulla rivista « Panorama », n. 17 del 18 settembre 1964 nel racconto « Attacco
all'alba, treno distrutto ». Nella breve « Storia del btg. Pino Budicin » (La Voce del Popolo,
9- IX - 1945) si precisa che «la locomotiva e otto vagoni vengono gravemente danneggiati. Vie-
ne catturato un piccolo bottino di viveri e di vestiario ».
17i
Furlan, Rudi Dobran, gli umaghesi Jure Mahovac e Antonio Vivoda, il
commissario Giordano Paliaga, Antonio Biloslavo di Castagna? E come
ricordare tutti gli altri, icui nomi sfuggono?
Arriva il compositore
Già, molti nomi sono svaniti dalla memoria. Uno però lo ricordano
tutti. Fra i tanti della nuova compagnia « rovignese » c'è un combattente
che presto diventa celebre in tutta la brigata: è quasi un ragazzo e suona
meravigliosamente la fisarmonica; è il polese Nello Milotti, sedicenne.
Chiamato alla sede del Comando, il comandante del battaglione lo invita
a suonare qualcosa. Milotti esegue alcuni pezzi d'opera con tale disinvol-
tura che tutti restano a bocca aperta. Questo ragazzo che ha partecipato
all'attacco vittorioso al treno, sa anche comporre e sarà lui a dare l’inno
ufficiale della brigata « Gortan ». E il Comando brigata, quando il « Bu-
dicin » passerà nel Gorski Kotar, precisamente a Srpske Moravice, vorrà
avere Milotti e se lo terrà. Ma anche lui conoscerà le dure marce della
campagna invernale in Slovenia, portando fucile e fisarmonica sulle sue
deboli spalle, soffrendo gli atroci dolori del congelamento ai piedi ridotti
a una piaga; e vedrà morire al suo fianco un suo caro compagno di scuo-
la, di nome Cecchi, sfinito dalle massacranti sgroppate sulla neve. Certa-
mente non si immagina questo futuro mentre suona pezzi operistici e,
all'indomani dell’arrivo in battaglione, viene incaricato di cancellare le
falci e martelli sulle mura delle ex caserme di Gumanac perché il Co-
mando non vuole impressionare eccessivamente gli ufficiali alleati!
6. Nello Milotti, oggi uno dei più noti compositori della Jugoslavia, è direttore della Scuola di
Musica di Pola.
172
CAPITOLO XXIII
L'AUTUNNO DI GELO
All'indomani della brillante azione sulla ferrovia, un ordine del Co-
mando brigata (n. 40 del 22 settembre 1944) stabilisce il ritorno dei bat-
taglioni nel settore di Grobnico—Cavle—Podkilavac—Donje Jelenje per
proteggere il fianco destro della XIII divisione impegnata in combatti-
menti presso Zlobin.
Al battaglione italiano è assegnato il settore di Donje Jelenje che
viene raggiunto il 25 settembre. I reparti ausiliari con la fureria si si-
stemano a Podkilavac. È una giornata piovosa, la nebbia è fitta, un bru-
sco passaggio dall'estate all'autunno.
La Tredicesima, premuta fortemente dal nemico, si spinge verso
Gornje Jelenje. Contemporaneamente, altri reparti nemici avanzano da
Clana attraverso Ravno e, inaspettati da quella direttrice, piombano su
Podkilavac all'improvviso sorprendendo il plotone della sussistenza della
brigata e la compagnia di scorta i cui uomini si disperdono senza subire
per fortuna alcuna perdita. Lasciano però in mano al nemico la cucina
e parte dell'archivio della brigata, compreso l'archivio del battaglione
« Budicin ».
La terribile marcia
Per evitare l'accerchiamento, il Comando brigata ordina a tutte le
forze di sganciarsi e, attraverso la piana di Grobnico, puntando verso
Trstenik, ritirarsi su Gumanac. Il nemico tallona la brigata « Gortan »
fino a Grobnico, alcuni reparti impegnano battaglia, quindi favoriti ar-
che dalla nebbia, riescono a far perdere i contatti.
Insieme agli altri battaglioni, il « Budicin » si muove verso le nuove
posizioni sferzato da un'improvvisa e violenta pioggia accompagnata da
un vento geiido che cancella a un tratto l’estate. Nella marcia verso Gu-
manac, poi, i combattenti hanno l'impressione di essere piombati nel
cuore dell'inverno. Salendo la montagna, li sorprende anche la neve che
cade prima lentamente e poi sempre più fitta e gelida. Neve e vento ren-
dono ancora più ardui i movimenti in salita, sul terreno accidentato del-
la montagna.
173
Al tramonto i combattenti si concedono un breve riposo a nord-est
del monte Fratar per consumare un magro rancio caldo. La neve conti-
nua a scendere sempre più fitta. Gli istriani e gli italiani della costa in
particolare, non sono abituati a questo clima. La neve: ecco il nuovo ne-
mico. E pochi sono vestiti in modo da far fronte ai rigori del freddo
Anzi, nella maggior parte, i combattenti hanno le scarpe rotte e i vestiti
a brandelli. Si trascinano per tutta la notte, bagnati fradici e affamati
(la fitta pioggia non fa funzionare la cucina del battaglione italiano) e
sfiniti dalla stanchezza.
Descrivendo questa marcia, molti anni dopo, il comandante del « Bu-
dicin » ricorderà « un combattente del buiese » che esala l’ultimo respiro
si può dire in piedi, camminando, e solo quando si accascia al suolo i
suoi compagni si accorgono che più non è tra i vivi.! Ancora una testi
monianza:
« Già durante la marcia verso gli alloggiamenti, ci furono casi di
combattenti che, vinti dalla stanchezza, crollavano stremati ai lati della
colonna, alcuni di essi morirono, altri dovettero essere trasportati. »?
Sul far dell'alba, finalmente, agli occhi allucinati dei combattenti ap-
pare l’edificio della caserma dell’ex esercito italiano: Gumanac. Potrebbe
sembrare una fata morgana. Gli uomini si precipitano dentro, si affret-
tano ad accendere il fuoco con rami semiverdi per scaldarsi ed asciu-
garsi, ma dalla legna inzuppata d'acqua, invece della fiamma, esce solo
un fumo acre che provoca la cecità temporanea di oltre il 90 per cento
dei combattenti.
Come si conquista il rancio
Il 26 settembre tre pattuglie vengono inviate in tre direzioni diverse,
alla guida di ufficiali: verso il villaggio di Ravno, sulla strada del Platak
ed a Podkilavac per esplorare le posizioni del nemico e raccogliere i
gruppi dispersi della brigata. Alcuni uomini del battaglione risultano di-
spersi per diversi giorni: Michele Muscovich, Pietro Valenta, caporale, il
sergente Giuseppe Bencich, Giuseppe Monfardin, Pietro Suffich, Giuseppe
Sober, Matteo Cerlon.
Movimenti nemici da Grobnico inducono il Comando brigata a spe-
dirgli incontro un centinaio di uomini, ma la nebbia la pioggia e la neve
costringono il reparto a rinunciare all'attacco. Quattro combattenti, fra
cui uno del « Budicin » tornano congelati dall'azione. Si salvano grazie al
pronto intervento dei sanitari.
Alle altre sofferenze si aggiunge la fame. Le scorte della brigata so-
no quasi esaurite; Gumanac è isolato dai luoghi abitati; le condizioni at-
mosferiche e la situazione militare — col nemico che preme da ogni
parte — non permettono di raccogliere che magri rifornimenti nei vil-
laggi distanti, anch'essi impoveriti dal passaggio continuo di tedeschi,
Cetnici, ustascia e altre bande nemiche di vario colore. Si deve all'estre-
1. A. Demartini, « Mancano all'appello », pag. 30.
2. In «Put prve istarske brigade », op. cit. pag. 192. Un accenno si ha anche in « Borbeni put
43. istarske divizije », pag. 187.
174
ma audacia degli uomini della sussistenza (« intendenza ») — e nel bat-
taglione italiano fanno capo al noto Slivar, a Martino Radolla e Giacomo
Poropat3 — se non viene quasi mai saltato il pasto, anche se spesso molto
magro.
Spesso, alla testa di un pugno di uomini decisi a tutto, fra cui si di-
stingue Giacomo Poropat-Busleta, lo Slivar riesce a penetrare anche in
villaggi presidiati dal nemico e riesce a fargliela sotto il naso. Quelli
della sussistenza, al pari degli addetti ai servizi sanitari, di fureria, di
cucina eccetera, combattono sempre con due armi: quelle del mestiere
e il fucile. Ricordiamone alcuni: Stefano Paliaga, Giordano Chiurco, Pie-
tro Bobicchio, Tullio Comet, Eugenio Rocco (servizio di cucina); Cre-
paldi, Benito Turcinovich, Pietro Suffich, Mario Deltreppo (servizio di
fureria); il barbiere Petronio ... Poterli rintracciare tutti! « Ci sarebbero
romanzi da raccontare ».
La perdita dell'archivio
Le pattuglie intanto ritornano e, con loro arrivano pure gli uomini
dispersi durante la ritirata verso Gumanac. La perdita dell'archivio del
« Budicin » desta viva impressione. Nelle mani del nemico è caduto,
fra l’altro, l'elenco nominativo di tutti i combattenti italiani. Molti te-
mono che i tedeschi, per rappresaglia, possano arrestare e deportare i
loro familiari, e si affrettano a scrivere ai loro cari di stare in guardia.
Per fortuna la posta partigiana funziona attraverso l’ottima rete dei cor-
rieri. Irreparabile, invece, resterà la perdita dei documenti per i futuri
storici del battaglione.
A Gumanac, nella foresta, il freddo si fa sempre più tagliente di
ora in ora, e sempre più arduo diventa il problema degli approvvigiona-
menti. Molti combattenti ,invece delle scarpe, portano ai piedi stracci
legati con fil di ferro e spago. Chi ha le scarpe deve tener su le tomaie
con filo di telefono.
Il Comando brigata si rende conto che, in tali condizioni, a Gumanac
non si può più restare. Dirama perciò l'ordine n. 24 del 28 settembre per
lo spostamento nel settore di Grobnico—Podkilavac—Donje Jelenje dove
la « Gortan » affronta il nemico in vari scontri fino al 3 ottobre, a contat-
to con le altre due brigate della 43° divisione istriana.
Per il battaglione « Budicin », ben poco di notevole da segnalare in
questo ritorno a Podkilavac per una settimana, ad eccezione di due inci-
denti.
Accendendo il fuoco per riscaldarsi nella stalla in cui sono allog-
giati, i combattenti della compagnia comandata da Spartaco Zorzetti
provocano un incendio, suscitando lagnanze feroci del proprietario e l’in-
tervento di Pajo che mette tutta la sua autorità di comandante di briga-
ta per calmare gli animi agitati dei contadini, i quali conservano recenti
e brutti ricordi di altri italiani.
L'altro incidente, occorso nello stesso giorno, è tragicomico. Dalla
strada maestra si vede sbucare all'improvviso un'autoblinda che si diri-
3. Questi compagni croati furono assegnati al « Budicin » perché potevano più facilmente ope-
rare fra le popolazioni rurali conoscendone la lingua.
175
ge a tutta velocità verso la sede del Comando di battaglione, fermandosi
proprio davanti alla porta. Convintissimi che si tratta del nemico, i com-
battenti cominciano a sparare, mentre diversi corrieri improvvisati cor-
rono in tutte le direzioni: un pandemonio. Quando l'equipaggio dell’auto-
mezzo, dopo aver fatto dei segnali, esce finalmente dall’abitacolo, ci si
accorge che si tratta di ufficiali partigiani.
In marcia per la Slovenia
Anche nelle altre brigate la situazione in fatto di viveri e vestiario
è disperata. Informato, il comando dell'XI Corpus autorizza quello divi-
sionale a distribuire le tre brigate in altrettanti settori distinti: la se-
conda in Istria, la terza a Lokve nel Gorski Kotar e la prima « Gortan »
nel Litorale sloveno.
Con l'ordine n. 46 del 3 ottobre 1944 il comando della « Gortan » di-
spone: « Nel corso della notte e domani, la nostra brigata si metterà in
marcia trasferendosi nel settore di Koritnica—Jureste (Slovenia) ». Se-
gue l’ordine di marcia e di disloccamento dei reparti. Per quanto riguar-
da il battaglione italiano, esso « si metterà in marcia alle ore 6,30 del
4-X-1944 in direzione di quota 782 sotto "Guslari”—Mlaka—Paka (Gu-
manac), quota 952, Oslica—Razbor—Kljunovec—Mrzli Dot—Milonja—Mi-
lanka—Koritnica—Jureste. Si sistemerà nel villaggio di Jureste, spingen-
do forti pattuglie, secondo i bisogni, in direzione di Parje e Masun. »
Segni di riconoscimento: fucile sollevato due volte in alto vertical
mente nella mano destra; risposta: due lunghi fischi. La marcia non deve
conoscere soste.
Quando l'ordine viene spiegato ai combattenti del « Budicin », nelle
file del battaglione serpeggia lo scontento. Per alcuni di essi « Slovenia »
suona come un mondo lontano ed associa alla mente il panorama alpino;
temono, col freddo che fa, di scendere nell’imbuto ghiacciato dell’infer-
no. E, nonostante l’intensa opera di convincimento (« Vedrete che lì ci
rimetteremo in sesto, ci sarà concesso un lungo periodo di riposo » dice
Milan Iskra) alcuni combattenti, nottetempo, spariscono dalla circolazio-
ne. Le assenze si verificano quasi tutte nella nuova compagnia giunta
nella seconda metà di settembre dall’Istria.
Nonostante le defezioni, la marcia ha inizio esattamente all'ora fis-
sata e ,almeno all’inizio, si svolge regolarmente secondo tutte le regole
militari: pattuglie d'avanguardia, di retroguardia, ai fianchi, e carta to-
pografica alla mano. Ad eccezione del terzo battaglione, però, tutti gli
altri reparti incappano sotto il fuoco del nemico appostato sulle quote
a sud-ovest di Mlaka e, dopo una breve sparatoria, la colonna partigiana
è costretta ad invertire la marcia in direzione di Trstenik—Gumanac—
Goljak. Muovendosi da Gumanac oltre Paka per Goljak, il battaglione
italiano, il I e il II battaglione incontrano nuovamente il nemico: una
colonna di duecento soldati in movimento da Ilirska Bistrica. Si riac-
cendono gli scontri.
L’'urto nemico è diretto in panticolare verso Trstenik e su queste
posizioni i. combattimenti durano tutta la giornata del 4 ottobre. Al ne-
mico arrivano nel frattempo nuovi rinforzi, ottocento uomini con tre
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Lu batolion,. Odmal y0 primitiu ove Zuyovjusti presiduti de ili
prekopati cestu koja vodi is - Lrenovo - Sera |
= Breti sutej - barloni - 41 serdoni-"
Globidi, Ovo treba odmali neproviti 1 preko Ne0s0,-a
organizirati nnrod koji de to da radi n u koliko neh
di bilo narocdu ian to vojeka naprauviti. Presidagu cé
stu ruba Kkontroliusti san zasjecom.
XIl: batelion, Dobro 6a ne osigrretiao sasjedom premn Klani i
oumog garniszona takq de bude stula
trole ifbaciti
a 10 U kontaktu ss nepri)steljem., Isto tako dodjeliti
Se dok se budomo nalasili na ovom tere proti ténk.
% pui II. Ud, dataljora. “i
C- IVs Bataljon Minirati do centu oja vodi Klann-5tudena i po kraj.
mine postaviti strofara, da eo nobi dogodilo da nu
istu nailje koji 04 civila Li un gn cdnege u seria
arak jer de dbiti u tom slulSagtu odsovoran sam Étab
Fataljona. Isto tako cd postavljene mine prama Stue
deni presidinti de ha vile mjestn contu. Isto tako
presidnti “e cestu od Studene prema Mirdeljima i to
nn vile mjestn 1 rora biti kontrolisana è. osigura =
ndom.
Frateda Fota Proti avionski mitraljez sa posalom dodjeliti Ge Il,
Ua, Paeteljonu. VedkibnoaB irati “e na polotaju kod
}lobifa n Jedan tollki baonò rodjelti de III. Ud, Bat
» proti kolaki top spreaiti be, . ;
h Tehnifia Seta bodjeliti Se jesnu nagaznu minu sa minsrima IV. BL
È taljon a ivije vodjeliti de II, Una, Hotaljom. ©
L'Ordine n. 32 (24 agosto 1944) della «Gortan». Compito del battaglione italiano, nel-
l'ambito dell'operazione di Klana, è di minare la strada Klana—Studena, di bar-
ricare la Studena—Marécelj, ponendo le sentinelle accanto alle mine per impedire
che qualche civile salti in aria.
pu» è TAR cer. vam = PA
r "e x, KORPUSA ILOM RA PERS ASA
i 1, da SLA db Ùi sid osi
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Ivabe I, arigado " Vladimira dortana * 45 Dbivizije Xle 4orpusa Mo0.Vedo
dana 10.14,1944, god,
| dercizja aijora li loo0.000 engl. israde.
ps ULI ada 4 v 4 è 20 i
uvicnszog nitraljesa biti:de u Divisijsko] reservi
aperire 03 codjelità de IV. bataljonu. pod
deine dete napasti de neprijateljatto uporibte A)
A Menibigagalita, Ne guincn Unvea Di geuvona Nota f37 Gotetie
*
L'Ordine n. 39 (18 settembre 1944) del Comando della brigata «Vladimir Gortan».
Il battaglione «Budicin» (IV), con l'appoggio di una mitragliatrice antierea, vigilerà
sulla direzione di marcia del nemico Klana—Breza, occupando con due compagnie
la quota 562 a nord—est di Breza e con la III compagnia la quota 537 di Monte
Murato, minando la strada antistante questa posizione, quella che porta a Skal-
nica e la strada verso Marcelji all'incrocio per Studena.
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LEGGENDA
Battaglione «P, BUDICIN«
Brigata »V. GORTAN«
Unita'delle brigate istriane
Direzione di marcia del nemico
CLANA
KLANA
Po
La Sv. Roko g
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Zidovije
| BRIGATA
%
%,
©
HI BRIGATA
o %
Kukuljani
Sarsoni
Viskovo
F
CASTUA
KASTAV
La seconda battaglia di Klana (14 settembre 1944) alla quale parteciparono tutte le unità
della 43a divisione istriana da poco costituita,
Sappiane
Sapjane
O Novokraîina
O Rupa
O Susak
Lipa
LEGGENDA
or > Battaglione »P, BUDICIN«
Brigata «“V. GORTAN»
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Direzione di marcia dei memico TRO
» Azione partigiana di rilievo
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Va di Jusici
e I, O ——
Lo scontro con una colonna nemica presso Ruzici (19 IX 44) e l'attacco al convoglio
ferroviario sulla Giordani—Sappiane del 21 settembre 1944, durante il quale caddero
l'ufficiale operativo del battaglione Nevio Tommasi e il capoplotone Francesco Cerlon.
Presso Giordani è segnata la «Casa Rossa» (cantoniera) da dove sortirono i fascisti
accorsi in aiuto ai tedeschi.
A ES praga ZAPOVIRST ZA POXBLI
Pi a. ita
Wi fe Ù Aftm si“: na
Gb de lutat torte. L34
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Buadbe I, Brigade ‘ Viodimire Gurtena " 43 Divinijo XI Korpusa Ko0xVedo
Bakoija Rijeke ( Piuno ) la locvoco encl, inrsdo,
Po 4} Divizije XI, Koryuss FUV!I.
Na bs 2r hors tal ove nodi i sutte, prebociti be
. sona corte { Slovenije ) po si-13040d1» saaporoti:
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FARBDIUIZUO
La datobisa; = Veliti de potret +: 6 Sasori dana
Kote 782 Aspod”@Gualari® Malo: ?ako 130 ) Ka 95%
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lienae n culo Iyimmi"0, caiguzati so preso potrodi.
Hdi deine i ferri rire tie Pr
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L'Ordine n. 46 (3 ottobre 1944) del Comando della «Gortan» per la marcia di tras-
ferimento nel settore Koritnica—Jurditéi (Slovenia). Il IV battaglione italiano par-
tirà alle 6,30 del 4 ottobre seguendo l'itinerario: quota 782 sotto «Guslari» Mlaka—
Paka (Gumanac); quota 952 M. Oslica—M. Rosora—Klunovica—V. le Fredda—M. Mi-
loni—M. Milanza—Koritnica—Jurèici, sistemandosi nel villaggio di Jurcici. Nel
corso della marcia sarà protetto da forti pattuglie laterali spostate in direzione
di Parie—Massun.
I fratelli Silvio e Gino Gnot di Rovigno, caduti durante la campagna del «Budicin»
in territorio sloveno.
Predstrane
LEGGENDA
\
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Ot Stavina Battaglione »P. BUDICIN®
Brigata «Vv. GORTAN=«
Altre formazioni partigiane
Direzione di marcia del nemico
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O Grobnik
I movimenti della brigata e del battaglione italiano durante la prima fase della loro
permanenza in territorio sloveno, con partenza da Jelenje il 25 settembre e tappe a
Juriste e nei Brkini (5 ottobre 1944). I numeri indicano le altezze delle quote e dei monti
principali.
O VIPAVA
O Dukovije
Suhi Vrh O Predjama
1A
Podnanos O O Smihel
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Brigata »V. GORTAN«
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Materia- Materija
Markov3éina f, IL, BISTRICA
Castelnuovo - Podgrad
La seconda fase delle operazioni in territorio sloveno nelle zone dei Brkini, Podnanos
e Podkraj con la marcia finale verso Gumanac e il Gorski Kotar (5—24 ottobre 1944).
blinde e due carri armati. Impiegando i cannoni e i mortai, i tedeschi
cercano di sfondare ad ogni costo, ma gli uomini del battaglione italiano
resistono con accanimento e tutti gli assalti vengono respinti.4
Sul calar della sera, i nostri passano al contrattacco, rigettano indie-
tro il nemico e lo inseguono fin nei pressi di Ilirska Bistrica. Oltre 40 tra
morti e feriti sono le perdite tedesche; un caduto e sette feriti nelle no-
stre file.
Così il battaglione « Pino Budicin » arriva nella notte fra il 4 e il
5 ottobre a Jureste, a nord di Ilirska Bistrica. Si spera — almeno così
è stato promesso alla partenza da Gumanac — di poter godere un pe-
riodo di riposo « per rimettersi in sesto ». Lo promette anche il tempo
che, finalmente, è tornato buono. Di mettersi in sesto i combattenti han-
no estremo bisogno.
4. In «Put prve istarske brigade », pag. 195. A questi combattimenti accenna pure il « diario
operativo » (operacijski dnevnik) del Comando della 43. divisione per il periodo 1—31 ottobre
1944, pubblicato come documento n. 118 nelle pagg. 587—602 (vedi pag. 589, terzo capoverso)
del libro 34, tomo V dello « Zbornik dokumenata », Vojnoistorijski institut, Belgrado. L'origi-
nale è conservato nell'Archivio dell'Istituto di storia militare di Belgrado, n. 26-2/3, k. 1324.
12 Rossa una stella 177
CAPITOLO XXIV
DA JURESCE A BRKINI
Il riposo, se così si può chiamare, dura solo pochi giorni.
Il Comando brigata è dell'idea che il nemico, conoscendo la dislo-
cazione dei reparti della « Gortan », si farà ben presto vivo; sicché è
meglio non lasciargli l'iniziativa. Saranno i partigiani ad attaccarlo, con-
centrando le azioni offensive lungo la ferrovia Ilirska Bistrica—San Pie-
tro del Carso (oggi Pivka) e costringendolo a rivolgere la sua attenzione
e le sue forze lungo quell'importante via di comunicazione. Così, di « ri-
mettersi in sesto » non è proprio il caso di parlare. La situazione ali-
mentare migliora alquanto, ma non passa giorno senza subire attacchi
da parte delle bande fasciste di Rupnik al servizio dei tedeschi e quasi
sempre mescolate ai cetnici, agli ustascia ed ai fascisti italiani.
La morte del corriere
Nelle sue quotidiane offensive da San Pietro del Carso, il nemico ri-
corre anche a reparti di cavalleria. I belogardisti ,in particolare, cono-
scono ottimamente il terreno, che è invece sconosciuto completamente
ai combattenti del battaglione « Budicin ». In una di queste incursioni,
una pattuglia del reparto italiano viene catturata dai fascisti sloveni.
Mai un fatto del genere è avvenuto prima nella storia del « Budicin ».
Si ha dunque a che fare, qui, con un nemico scaltro e audace. Siamo su
quote superiori ai mille metri. Nel diario operativo del Comando della
43° divisione, alla data 11- X-1944 troviamo un accenno a questo epi-
sodio:
« Il giorno 7/9 (qui deve trattarsi di un errore del dattilografo; axreb-
be dovuto scnivere 7/10, n. d. a.) è stata attaccata una pattuglia del bat-
taglione italiano della I brigata presso Paltée. Attaccati dalla Bela garda
da distanza ravvicinata. In tale occasione sono rimasti feriti 3 compa-
gni, due dei quali sono stati presi dal nemico, mentre il terzo è stato
salvato da una compagnia accorsa di rinforzo. Perduti 1 fucile mitra-
gliatore e un fucile. »
Nella medesima giornata del 7 ottobre, l’intera brigata viene impe-
gnata in durissimi scontri.
All'alba, eseguendo l'ordine del Comando brigata, il « Budicin » pren-
de posizione sulla strada San Pietro—Zagorje—KneZak, deciso a impe-
178
gnare la battaglia al primo apparire di qualche colonna nemica. E il ne-
mico non si fa attendere. Presto lo si vede avanzare verso le posizioni
della III compagnia i cui combattenti lo lasciano avvicinare e, quando
arriva a tiro, aprono un intenso fuoco. Nonostante la superiorità nume-
rica, i belogardisti riescono a stento a prender terreno, tenuti sotto il
tiro preciso. Nel frattempo anche le altre compagnie del « Budicin »
hanno preso posizione, in ciò seguendo anche le disposizioni di Milan
Iskra, permettendo alla Terza di spostarsi su un’altra quota. Il coman-
dante del battaglione, Demartini, è categorico: « Di qui, nemmeno un
passo indietro! » E per dare l'esempio, sposta il puntatore mitragliere
della « Breda » pesante e si mette lui stesso a sparare su un nugolo di
fascisti che stanno avanzando su un tratto scoperto di terreno. Centrati
in pieno dal fuoco della mitragliatrice, alla quale fanno coro tutte le al-
tre armi, il nemico finalmente indietreggia e si ritira.
Nel combattimento si distingue in particolare il combattente Pietro
Bobicchio. Nel momento culminante della battaglia, abbandonando il suo
posto di corriere presso il comando battaglione, corre in prima linea
battendosi da leone. Dopo aver ucciso da solo quattro belogardisti, cade
a sua volta crivellato da una raffica di mitraglia nemica. Molto corag-
gioso è stato pure Bruno Caenazzo, comandante di plotone. Jure Mako-
vac-Maucovaz rimane ferito.
AI ritorno a Jureste del battaglione, si constata che nessuno ha rac-
colto la salma di Bobicchio e di un altro combattente della III compa-
gnia. Il Comando del « Budicin » ordina perciò che una compagnia si
recchi immediatamente sul posto per raccogliere i resti mortali dei com-
pagni. Ci va alla testa del comandante di battaglione. Le salme vengono
deposte sulla barella e, riattraversando la zona pericolosa, i combattenti
raggiungono il cimitero del vicino paese Bat, dove ai caduti viene data
degna sepoltura.
Nel frattempo, una formazione di cavalleria nemica attacca le due
compagnie rimaste alla base di Jureste. Lo scontro inizia alle 16,30 pro-
traendosi fino a tarda sera. Sotto il primo urto dei belogardisti a caval-
lo, i nostri abbandonano una quota per riprendere la resistenza in posi-
zione arretrata. Si lancia allora avanti il vicecommissario di battaglione
Mario Jedreicich ordinando al comandante di compagnia Spartaco Zor-
zetti di riconquistare ad ogni costo con i suoi uomini la quota perduta.
E la riconquistano, lanciandosi all'attacco al canto di « Bandiera ros-
sa ». Il nemico è costretto infine a ritirarsi. Nelle file del « Budicin » un
altro caduto: Giovanni Bulessi, chiamato familiarmente Nino Malon. Lui
e Bobicchio, due amici della contrada Sottolatina di Rovigno marinara,
un corriere e un aiutante mitragliere, segnano con la loro morte la prima
presenza del battaglione italiano in terra slovena.
Si passa la ferrovia
L'8 ottobre alcuni reparti croati della « Gortan » prendono posizione
ai lati della strada ferrata e vi restano per lunghissime ore, in attesa
del passaggio di qualche treno e per indagare sui movimenti delle pat-
tuglie nemiche. Il tempo, intanto, si è rimesso male. Il cielo è nuvoloso,
le montagne sono coperte da una densa nebbia. Nei loro spostamenti
per le alture, i reparti della brigata si scontrano più volte con nutrite
179
forze di belogardisti. Dalle informazioni raccolte risulta che il nemico si
accinge a un'azione a vasto raggio per distruggere la « Gortan ». Consi-
derata la situazione, e constatato inoltre che il movimento dei treni sulla
linea ferroviaria è pressoché nullo, il Comando brigata decide di spo-
stare i battaglioni sull’opposto versante della ferrovia, nel settore di
Brkini. In tal senso viene diramato l'ordine n. 47 del 9 ottobre con la
precisazione che i movimenti avranno luogo il giorno 12 per il batta-
glione italiano e il II battaglione. Lo stesso giorno 9 ottobre, invece, par-
tono il I e il III battaglione.
Nel giorno fissato per la partenza, le posizioni del « Budicin » risul-
tano minacciate da presso; si sente già sparare nelle vicinanze ed i pre-
parativi della partenza avvengono in tutta fretta. Nella precipitazione del
trasferimento, i cuochi abbandonano perfino le marmitte. Non si ha nep-
pure il tempo di richiamare le pattuglie, cinque, distaccate con compiti
di vigilanza sulle quote sovrastanti il villaggio. Comunque il commissa-
rio di battaglione Luigi Cimadori e l’economo Giacomo-Jakov Poropat
(Busleta) ricevono l'ordine di rintracciarle e condurle successivamente
nel reparto. Il compito, purtroppo, non verrà portato a termine, « con
relativa conseguenza della perdita di tutti gli uomini delle pattuglie »!
che si teme siano finiti nelle mani del nemico. Nei registri del battaglione
viene scritta l'annotazione « disperso » accanto a una quindicina di nomi-
nativi, fra cui Domenico Delcaro e Mario Coslovi (di essi si dà per certa
la cattura da parte del nemico), il sergente Francesco Delcaro, Antonio
Leonardelli, Giordano Labud, Aldo Sponza, il portaferiti Nicolò Moscar-
da, Antonio Fiorido, Giuseppe Clobaz, Domenico Vellico, Angelo Zuliani,
Gino Bassanese, Andrea Cerlon, Romano Matticchio ... Di qualcuno si
saprà che è caduto, come Giacomo Camenari di Pola trovato da Slivar
crivellato di pallottole, presso Koritnica, ma i più si rifanno vivi dopo
mille odissee.
Verso sera, visto che nessuno dà loro il cambio — racconteranno in
seguito — si decidono di tornare a Jureste, dove non trovano più il bat-
taglione. Partono allora alla volta dell'Istria. Arrivati sul Monte Mag-
giore, il 14 ottobre, in località Ju$ici, saranno attaccati dai tedeschi e più
di uno verrà fatto prigioniero. Qualcuno cade combattendo, come Gino
Bassanese di Momiano, caposquadra, classe 1925. Il rovignese Angelo
Zuliani, classe 1919, finirà i suoi giorni nella Risiera di San Sabba a Trie-
ste. La medesima sorte toccherà al vicecomandante della II compagnia, il
dignanese Andrea Cerlon, classe 1922, nel campo della morte di Flossen-
burg, in Germania. È il fratello di Francesco caduto un mese prima sulla
ferrovia Sappiane—Giordani. Quelli che sguscieranno incolumi dalla rete,
torneranno nelle zone native aggregandosi ad altri reparti partigiani; op-
pure, affrontando ulteriori peripezie e successive marce, riusciranno a rag-
giungere dopo un mese le file del battaglione. Come Romano Matticchio,
che rientrerà nei ranghi il 2 novembre. Il polese Ottavio Paolettich, tor-
nato nella sua città per mettersi a disposizione del partito, al quale pre-
senta un rapporto dell’odissea sua e dei suoi compagni in data 5 novem-
bre 1944, comincia il suo racconto dall'inizio, e cioè dal 9 ottobre, giorno
in cui, insieme ai compagni Rusich di Pola e Gnot di Rovigno, si è aggre-
gato ai quindici delle pattuglie per portare loro il rancio. Ascoltiamolo:
1. In « Mancano all'appello », pag. 31.
180
L'odissea dei 18
«Trovammo le mostre pattuglie di vigilanza al comando del com-
pagno Cerlon di Dignano in postazione ai margini della foresta sovra-
stante la camionabile che si doveva controllare. Assieme alle nostre
pattuglie trovammo alcuni componenti la ”Ceta mongola” che operava
in quel territorio. Le pattuglie dovevano rientrare alla base entro le
17.00, prima che calasse la sera, ma il rientro fu ritardato di quasi un'ora
a causa di un allarme: passavano unità nemiche sulla camionabile. Rien-
trammo tutti, diciassette o diciotto di noi, verso le ore 18,00. Delusione:
dove poche ore prima era la cucina del battaglione a imezza valle, non
trovammo più messuno. C'erano ancora le ceneri calde, ma eccetto qual-
che patata sporca qua e là, era deserta. Era evidente che il battaglione
aveva dovuto spostairsi improvvisamente senza attendere.
Constatammo logicamente di trovarci in una posizione pericolosa,
per cui, senza attendere oltre, ci portammo sull’altura che fino a poche
ore prima era stata la base del battaglione a qualche chilometro da
Jureste in attesa del collegamento che a nostro parere non doveva man-
care. Eravamo consci che il nostro gruppo era composto da uomini tra
i più efficienti fisicamente e con una buona parte dell'anmamento del
battaglione.
Spuntò l'alba del giorno seguente, la valle di fronte a noi era de-
serta. Malgrado ciò, rimanemmo tutti in postazione. Il compagno, Cer-
lon, comandante del gruppo, io ed il compagno Rusich scendemmo fin
dove si trovava prima la cucina sperando di trovare qualcuno, ma senza
esito. Non ci si voleva spingere più lontano per non allontanarci dagli
altni e, in caso di collegamento, evitare ritardi. Da ventiquattr'ore era-
vamo in postazione, da altrettanto non si mangiava, e la notte fredda e
piovosa, all'aperto, ci aveva messo nuovamente addosso lla stanchezza e
ila fame, Ugualmente fu deciso di rimanere ancora sul posto fino all'in-
domani sempre sperando nei collegamenti. In caso contrario, avremmo
deciso il da farsi.
Fu a notte inoltrata che le nostre sentinelle dettero l’alt (stoj). Bal-
zammo tutti in piedi e, al sentire la parola "partizan” esultammo pen-
sando al collegamento riallacciato con i nostri. La gioia fu di breve du-
rata: era un corriere sloveno, dal quale il compagno Cerlon apprese che
un'intera brigata s'era ritirata (quale?) e che la zona era infestata di
tedeschi.
Spuntò il sole. Aveva cessato di piovviginare. Ci trovavamo in ter-
nitorio sconesciuto, senza guide. Dopo una rapida consultazione, deci-
demmo di marciare in direzione di zone meglio a noi note. Per fortuna,
Rusich, ex ufficiale dell'esercito italiano, possedeva un sestante e un bi-
nocolo. Si trattava di detenminare un punto di direzione e, indipenden-
temente dalla configurazione del terreno, marciare in linea retta.
Marciammo fino al calar del sole, cioè fino a quando riuscimmo
ad onientarci con l’aiuto del sestante. Si cercava di fare a ritroso, in
linea retta, il percorso seguito dal battaglione alcuni giorni prima. Fu ,
nel primo giorno di marcia che il compagno Gnot, già esausto, dichiarò
la sua intenzione di dinigersi verso un paese in cui diceva di avere dei
parenti per chiedere aiuto. Fu irremovibile nella sua decisione e ci la-
sciò. Marciammo verso l'ignoto tutto il giorno e, a notte inoltrata, at-
traversata la valle, ci trovammo nei pressi di un paese che seppi poi
essere Novokracina, ai bordi della valle di Bistrica.
Accompagnai il compagno Cerlon in paese. Per fortuna potemmo
parlare con un ”odbornik” membro del Comitato Popolare di Liberazio-
ne, il quale ci indicò la persona adatta a farci da guida. Fummo però
181
costretti a mobilitarlo con la forza. Fino a quel momento ci eravamo
mutriti di tutto ciò che si trovava sulla mostra via di marcia: erbe e
bacche; ora finalmente, dopo 18 ore, potemmo mangiare alcune patate.
Riprendemmo la marcia, ma alla prima sosta la guida fuggì, la-
sciandoci soli. Attendemmo l'alba e ci accorgemmo di trovarci sopra
una galleria ferroviaria sulla linea Trieste—Fiume. Di lì potevamo ve-
dere e udire i tedeschi all'imbocco della galleria. Proseguimmo silen-
ziosi e, attraversata la ferrovia ci dirigemmo verso Mune come ci aveva
indicato la guida. I luoghi erano più conosciuti, ma ci tenemmo ugual-
mente lontano da qualsiasi abitato, sempre con la speranza di incontra-
re qualche unità partigiana. A notte inoltrata, cercammo mnifugio presso
qualche caseggiato isolato, ma ci sentimmo dire: "Andate via, il paese
è pieno di tedeschi!”.
Alle nostre nichieste di aiuto, ottenemmo la medesima mnisposta alla
periferia di Mune, di Ratevac, di Prapote e di Podgate. Sembrava di
percorrere un terreno in cui mai avessero operato i partigiani.
Eravamo esausti, camminavamo dormendo e ci tenevamo in piedi
solo per una misteriosa forza di volontà. Proseguimmo in direzione di
Brest sul Monte Maggiore, sonpassammo il paese a distanza e... Quan-
do cominciò la scarpata, avvenne il finimondo. Una pioggia di proiet-
tili ci investì alle spalle. Fu il caos, il si salvi chi può.
Alcuni compagni cadono, altri vengono fatti prigionieri; altri an-
cora — dopo aver errato per giorni, feriti, allo stremo delle proprie
energie — riusciranno ia trovare un ricovero temporaneo e a rientrare
nelle fille delle unità partigiane o nella organizzazione clandestina del
Movimento popolare di liberazione. Così fu disperso il nucleo partigiano
delle pattuglie del "Budicin” che in quell’ottobre 1944 rimase staccato
dal grosso e attese invano i collegamenti. »1 bis
Fra quelli che torneranno a combattere si ricordano Erminio Tren-
to-Mimi di Pola, Jure Makovac di Umago, Gino Gnot di Rovigno, Pietro
Matticchio, Antonio Leonardelli e Francesco Delcaro di Gallesano e Di-
gnano. Ma torniamo al 12 ottobre ed al grosso della brigata « Gortan »
in marcia verso la zona di Brkini.
Purtroppo, nemmeno il passaggio oltre la ferrovia è senza ostacoli.
Mentre il III battaglione sfila indisturbato nel rispettivo settore, il « Bu-
dicin » subisce un ferito: il portaferiti Michele Veggian-Nino che per die-
ci giorni sarà costretto a giacere immobile in una caverna della zona,
nel bosco. Rintracciato dalla madre di un dirigente del locale Comitato
Popolare di Liberazione, sarà dalla donna amorevolmente curato e suc-
cessivamente trasferito in un ospedale partigiano sloveno. Quando si ri-
congiungerà al battaglione e alla brigata, a Skrad nel Gorski Kotar, la
commissione militare lo dichiarerà inabile al combattimento e conti-
nuerà la sua vita partigiana come infermiere nell'ospedale di KuZelj fino
alla fine della guerra.?
1 bis Il compagno Paolettich ha messo questa testimonianza scritta a disposizione dell'Autore,
annotando che un rapporto dello stesso tenore fu da lui consegnato il 5- XI - 44 al segretario
dell'organizzazione del PC del III rione di Pola, compagno Glavié, per il Comitato regionale
del PC dell'Istria.
2. Interessante notare che, ad eccezione di una breve menzione in « Fratelli nel sangue » (pag.
254), nessuna delle pubblicazioni sulla brigata « Gortan » fa menzione dei combattimenti so-
stenuti dal « Budicin » nella zona di Jureste—San Pietro del Carso; le note del comandante
del battaglione italiano, Arialdo Demartini, che anche in questo caso ci sono state preziose,
trovano invece conferma nella testimonianza dei combattenti e ufficiali: Milan Iskra, Dome-
nico Medelin, Mario Jedreicich, Spartaco Zorzetti, Michele Veggian, Rudi Dobran, Bortolo
Giacometti, Domenico Benussi (Batocio), Antonio Leonardelli (Gallesano), Stefano Paliaga, Gia-
como Poropat, Pietro Maticchio. Tanto per fare alcuni nomi.
182
Nella zona di Celje
Il battaglione italiano, intanto, si è sistemato nella zona del villaggio
di Celje. Gli altri battaglioni si trovano nei villaggi di Pregarje, Erjavîe
e OstroZno Brdo. Si tratta di una regione, genericamente chiamata Brki-
ni — ma sarebbe meglio dire dei Brkini, perché così sono chiamati gli
abitanti — che è un'oasi verde a confronto del Carso propriamente detto
che la delimita a occidente e dell'Istria carsica settentrionale a sud. A
oriente sorge il Monte Nevoso (SnjeZnik), a settentrione scorre il Pivka.
È attraversata dalla Brkina Reka che scende dal Monte Nevoso e va a
perdersi neile grotte di San Canziano presso Divaccia (Divata). Ben
nota ai reparti croati della « Gortan » che qui hanno operato nella pri-
mavera passata, è una completa scoperta per quelli del « Budicin ».
Nella stessa zona operano i reparti del Distaccamento Istriano slo-
veno e, grazie al loro aiuto, anche la situazione alimentare della « Gor-
tan » finalmente migliora. Dal punto di vista agricolo la regione è ricca
e la popolazione, inoltre, è tutta per i partigiani che, accolti con simpa-
tia, conserveranno ricordi indimenticabili, come quello di una sosta nella
valle del Vipacco dove possono bere del buon vino, bianco e nero, como-
damente seduti in osteria. L'occasione non si ripeterà più per tutta la
guerra. Come faccia a isaltar fuori il denaro per pagare (si paga, già,
l’oste non regala nulla, nemmeno ai partigiani), resterà sempre un miste-
ro. Fatto sta che al tavolo, col vino, si canta allegramente, una sera di
ottobre, dimenticando la triste realtà della guerra.
Il comandante di battaglione annota nelle sue memorie le incantevoli
bellezze naturali del nuovo territorio, collinoso e « coperto da ogni spe-
cie di alberi colmi di frutta ». Ai combattenti pare « di essere giunti in
un paese dall'aspetto fiabesco », e tuttavia « abituati ad operare quasi
sempre nelle zone carsiche » non si fanno illusione di poter rimanere a
lungo in quel paradiso.3
Capitano anche strani incontri nei boschi. Un giorno un pattuglione
del « Budicin » attraversa, in colonna, un faggeto di grossi e alti alberi.
A un tratto i combattenti odono un fruscìo di foglie secche. Il nemico?
Senza attendere il comando, tutti si fermano, nascondendosi dietro i
grossi tronchi, col dito sul grilletto. Sono tutt'orecchi, aguzzano la vista.
E vedono: uomini in uniforme che, come loro, si celano dietro gli alberi.
Che fare? Affrontarli! Questa è la decisione del comandante di battaglio-
ne che, a mo’ di ordine, lascia partire due raffiche di mitra in direzione
degli sconosciuti. Se sono nemici, risponderanno. Invece non rispondono.
« Potrebbero essere dei nostri » sussurra Demartini all'orecchio del co-
mandante della compagnia, Domenico Medelin. Questi annuisce. Seguono
alcuni attimi di silenzio, poi Demartini grida: « Partizani! » Gli risponde
subito una voce stentorea che rimbomba nel bosco: « Partizani! ».
I combattenti del « Budicin » cominciano ad avanzare guardinghi, le
armi spianate; anche quegli altri si avvicinano... Quando si trovano
faccia a faccia e scorgono, gli uni sui berretti degli altri le stelle rosse,
si stringono in un abbraccio fraterno. Sono i partigiani sloveni. Poi cia-
scuna colonna riprende il proprio cammino.
3. In « Mancano all'appello », pag. 31.
183
Sul conto dei partigiani sloveni corrono leggende. Fama giustificata,
la loro; ed i combattenti italiani e croati non celano l'ammirazione di
fronte all’organizzazione sotto ogni riguardo perfetta dei reparti del-
l’« Istarski Odred », I corrieri sloveni assegnati alla « Gortan » per i con-
tinui spostamenti delle pattuglie, sono ammirevoli per il sangue freddo e
la cautela che mettono nell'assolvere ai compiti. Anche nei passaggi più
pericolosi, riescono quasi sempre a tirarsi fuori. Quelli del « Budicin »
ed i combattenti croati rimangono poi stupiti nel vedere, per la prima
volta, l’alza e l’ammaina bandiera a suon di tromba nei presidi partigia-
ni sloveni. Alla disciplina si accompagna un modo impeccabile di vesti-
re: divise ordinate, stirate e tanto di stivali lucidi. Al loro confronto,
quelli della « Gortan » fanno pena; e quelli del « Budicin », in particola-
re, sembrano pezzenti: vestiti a brandelli addosso a tutti e molti scalzi.
Con le facce da nutriti dei compagni sloveni, contrastano quelle degli
istriani: scarne, scavate, gli occhi patiti e infossati.
Nuovi combattimenti
Ma quella che all'aspetto può sembrare una « Brigata di straccioni »
conferma con i fatti il vecchio proverbio che l'apparenza inganna, ovve-
ro « l'abito non fa il monago » a dirla in rovignese. L'ardore combattivo
dimostrato nel giro di qualche settimana dai combattenti della « Gor-
tan » e, soprattutto il loro stile di guerreggiare, fa parlare.
Alla data del 14 ottobre, il Comando della 43° divisione annota nel
diario operativo in relazione alla « Gortan »:
«Le condizioni morali della brigata sono ottime. L'alimentazione
sul terreno è soddisfacente. Un grosso problema è quello delle calza-
ture e del vestiario, molti combattenti sono stati messi fuori combatti-
mento in seguito a congelamenti e infezioni ai piedi. »
C'è pure, nel diario, un rapido accenno a combattimenti sostenuti
alla medesima data dal III e dal I battaglione. Il primo, in agguato sulla
camionabile Trieste—Fiume, presso Obrovo, attacca una colonna nemica
uccidendo 5 e ferendo 6 soldati nemici; il secondo sostiene uno scontro
presso Pregarje—Gabrk con 800 tedeschi, fascisti italiani e belogardisti,
uccidendone 45 e subendo a sua volta la perdita di 5 uomini. Si accenna
ancora a un combattimento corpo a corpo, presso OstroZno Brdo, soste-
nuto dagli altri due battaglioni della brigata. Si tratta, ovviamente, del
II battaglione e del IV battaglione italiano. Una forte colonna di belo-
gardisti, proveniente da Bistrica, avanza verso Ostrozno Brdo dopo aver
disperso un plotone del Comando brigata. Il battaglione croato e il « Pi-
no Budicin » hanno il compito di fermare la marcia dell’avversario e, con
un contrattacco, respingerlo indietro. L'ordine viene eseguito alla perfe-
zione, i belogardisti sono costretti a darsi alla fuga verso Ribnica, la-
sciando sul terreno 6 morti e 13 feriti4
4. In «Put prve istarske brigade », pag. 199, e nel « diario operativo » del Comando della 43* di-
visione. Archivio del « Vojnoistorijski institut » di Belgrado, n. 26-2/3, k. 1324.
184
CAPITOLO XXV
SULLE PENDICI DEL NANOS
Nella notte tra il 14 e il 15 ottobre, avendo il Comando brigata con-
statato che il nemico sta concentrando le sue forze per sferrare un’azio
ne in grande stile sulle posizioni della « Gortan », i battaglioni lasciano le
rispettive località di aqquartieramento e si avviano oltre la camionabile
e la ferrovia Trieste—Postumia. L'ordine è di concentrarsi nei villaggi
ai piedi del Nanos, un altipiano ondulato tra gli 800 e i 900 metri con la
vetta del Suhi Vrh a 1313 metri. È un massiccio noto ai pastori della
valle del Vipacco, del Carso e della Ciciaria che, da tempi remoti, vi
menano i greggi d'estate, Scarsi i villaggi, la popolazione si dedica pre-
valentemente al taglio della legna. Qua e là si coltivano fazzoletti di
terra.
Seguono alcuni giorni di spostamenti, nel settore a ovest di Postu-
mia, fra Veliko Ubeljsko e $mihel. Dapprima a Malo Ubeljsko, il « Bu-
dicin » raggiunge il 20 ottobre il villaggio di Stranje. Nello stesso giorno
la brigata sostiene una violenta battaglia.
La battaglia del 20 ottobre
«20 ottobre — I tedeschi tentano di distruggere fia brigata, strin-
gendola a Podnanos. Alle 7 del mattino comincia la lotta. Le ferze te-
desche crescono sempre; da Trieste arrivano 2 'treni di rinforzi e a sera
altri due. Tutti quattro i battaglioni sono impegnati nella lotta. Il nemi-
co è tre volte più numeroso e armato fino ai denti; ma i suoi assalti
incessanti sono tutti stroncati, fino a tarda sera, quando i mostri si de-
vono mitirare per mancanza di munizioni. »
Così descrive la battaglia « Il Nostro Giornale » nell'edizione del 7 no-
vembre 1944 (N. 21) dopo un silenzio durato oltre un mese sulle sorti
della Prima brigata istriana. Sotto il titolo « La Gortan in Slovenia »
si fa Ia cronaca dei combattimenti sostenuti dal 10 al 24 ottobre, pre-
ceduta da questo « cappello »:
« Per quindici giorni la nostra gloriosa I brigata "Vladimiro Gortan”,
di cui fa parte il battaglione ‘italiano "Pino Budicin”, ha portato le sue
armi liberatrici nelle terre del litorale sloveno, ‘accolta fraternamente
185
dalla popolazione locale (...). È stato un cammino di lotte e di vitto-
rie, nel quale i combattenti croati e italiani hanno rinsaldato ancora
con ‘il popolo sloveno la fratellanza nelle anmi con le quali vanno crean-
do la loro felice libera vita. I combattenti della "Gortan”, stanchi del
cammino e dal sonno (sic), spesso a piedi nudi in lunghe marce fati-
cose, hanno sempre ritrovato nella lotta lo slancio sublime che ha fatto
dimenticare loro ogni durezza e li ha portati alla vittoria sull’odiato
nemico. L'esposizione semplice dei fatti sarà la migliore glonificazione
di questi 15 giorni, »
Segue la cronaca fino al 24 ottobre. La nostra, invece, deve tornare
al 20 ottobre. Nello schieramento della brigata, che corre dal villaggio
di Gorenje attraverso Bukovje, Smihel e Stranje fino a Predjame lungo
un fronte di 8 chilometri, il battaglione italiano viene spostato da Stranie
sulla strada a ovest di Bukovje a difesa del fianco destro della brigata,
« sulla direttrice più pericolosa »! in quanto il nemico concentra ora i
suoi attacchi proprio su Bukovje, muovendo dalla direzione di Postu-
mia. La resistenza del « Budicin » e del III battaglione sulle posizioni
vicine, permette al Comando brigata di ritirarsi verso Predjame con i
reparti di scorta e il II battaglione. Durante tutta la giornata le posi-
zioni passano più volte in mano dell’uno e dell'altro, gli attacchi e i con-
trattacchi si susseguono furiosi; finalmente i primi due battaglioni, dopo
aver respinto un tentativo di accerchiamento, accorrono in aiuto al III
battaglione e al battaglione « Budicin » permettendogli di sganciarsi gra-
dualmente in direzione di Bukovje—Podkraj.
Lo sganciamento avviene a piccoli gruppi, sicché il nemico è costan-
temente contrastato, ripetutamente respinto. Al calar della notte la bri-
gata può finalmente ritirarsi a Podkraj, mentre il nemico rinuncia al
prosieguo dell'operazione anche per le pesanti perdite subite: circa 200
uomini messi fuori combattimento tra morti e feriti. « Il Nostro Gior-
nale » fa invece salire le cifre: « 247 massacratori di innocenti; 247 pre-
doni e incendiari sono stati annientati ». La brigata ha subito 6 morti e
10 feriti.?
Quasi tutti scalzi
Qualche giorno prima di questa battaglia, facendo un bilancio per
il periodo 15 settembre—15 ottobre, il « rapporto operativo » del Co-
mando brigata ha sintetizzato le azioni condotte, illustrando brevemente
la situazione dei reparti. In fatto di vestiario e di calzature i combat-
tenti stanno malissimo. Il 20 per cento degli uomini vanno scalzi, il 69
per cento in ciabatte, il 20 per cento portano scarpe malandate. Nono-
stante tutto, però, il morale è alto e, per quanto riguarda l’alimentazio-
ne, nelle ultime settimane è stata buona. A causa delle misere condizioni
di vestiario e calzature, 15 combattenti hanno riportato congelamento
1. In « Put prve istarske brigade . . .», op. cit., pag. 201.
2. In «Fratelli nel sangue » (pag. 254) e in « Put prve istarske brigade » (pag. 203) le perdite
nemiche si precisano in 114 morti e 149 feriti. Nel diario operativo del Comando della 43» di-
visione (Archivio del Vojnoistorijski institut, Belgrado, n. 26-2/3, k. 1324) si afferma che nei
combattimenti del 20 ottobre 1944 i combattenti della brigata « Gortan » « si sono comportati
magnificamente. L'unica difficoltà sono le calzature e il vestiario ». Si precisano le perdite del
nemico — tedeschi e belogardisti: 94 morti e 149 feriti. Da parte della brigata «le perdite
sono di 5 morti e 8 feriti. Perduti tre fucili mitragliatori ».
186
agli arti inferiori e sono ricoverati negli ospedali. In questo periodo, so-
no entrati nelle file 54 nuovi combattenti mobilitati nel Castuano.
La situazione, nel frattempo, si è ulteriormente aggravata. I combat-
tenti scalzi non sono più il 20 per cento, ma quasi tutti. I vestiti sono
a brandelli, le marce e i combattimenti hanno ridotto gli uomini al-
l'esaurimento fisico, le capacità combattive sono ai limiti. Di tutto ciò,
per mezzo della radiotrasmittente della brigata, viene informato il co-
mando della 43° divisione e il comando divisionale risponde ordinando
alla « Gortan » di raggiungere il Gorski Kotar.
Come se non bastasse, anche il tempo si mostra inclemente. 71 co-
mandante del « Budicin » in quest'epoca ricorda le piogge insistenti, ac-
compagnate da forti raffiche di vento, che rendono i combattenti perma-
nentemente fradici e infreddoliti. E ricorda ancora, confermando i rap-
porti ufficiali:
«Ben presto risentimmo fisicamente le conseguenze. Le continue
interminabili marce ci ridussero senza le calzature ovvero ci logorarono
le pappucce di pelle di confezione nostrana. Per poter proseguire il
cammino, ognuno si dovette arrangiare come meglio poteva, alcuni fi-
nirono per andar scalzi, altri avvolsero i piedi negli stracci. Ma una volta
consunti anche quelli, i loro piedi smisuratamente gonfi divennero tutta
una piaga purulenta. Purtroppo, nonostante il prodigarsi del personale
sanitanio e dei commissari politici, col nemico !isempre alle calcagna po-
co o mulla si poteva fare onde lenire le loro sofferenze. Diversi combat-
tenti, impossibilitati di proseguire, dovemmo lasciarli presso qualche
comitato popolare di liberazione sloveno, altri si lamentavano, stninge-
vano i identi dal dolore, ma mon mollavano, ‘tirando stoicamente in-
namzi. »3
Per dirla intera la verità, non tutti sopportano stoicamente le soffe-
renze. C'è anche chi si ribella. Il comandante del battaglione lo sa, lo
scrive anche in certe sue memorie « difficili ».4 I ribelli affermano che
« gli istriani devono combattere sul proprio suolo », che « l'unica via da
prendere è la via dell’Istria », arrivano al punto di minacciare l’impiego
delle armi se il comando del battaglione decide di marciare verso il
Gorski Kotar.
Però è vero, verissimo, che la stragrande maggioranza del « Pino Bu-
dicin » non ia pensa così. E in una riunione del battaglione lo dicono in
faccia ai pusillanimi: non si tollerano tradimenti, non si può tradire il
solenne giuramento partigiano. Costi quel che costi, si deve andare avan-
ti. E si va avanti.
Il 23 ottobre, tutta la brigata fa un nuovo spostamento. Lasciando
le posizioni di Podkraj, i battaglioni si dirigono nuovamente nel settore
Koritnica—Bat—San Pietro del Carso, da dove intendono puntare su Gu-
manac.
3. A. Demartini « Mancano all'appello », op. cit. pag. 32.
4. A. Demartini, « Momenti difficili sulla via della libertà » ne « La Voce del Popolo » del 6 apri-
le 1969.
187
CAPITOLO XXVI
SULLA VIA DEL RITORNO
La marcia della brigata dura l’intera notte. I quattro battaglioni
formano due colonne, chiamate rispettivamente « colonna di sinistra »
e « colonna di destra ». La prima è formata dal I e dal III battaglione,
guidata dal vicecomandante di brigata Ivan Brozina-Slovan; la seconda
dal IV battaglione « Pino Budicin », dal II battaglione e dai reparti del
Comando brigata, sotto la guida di Vitomir Sirola-Pajo, il comandante di
brigata.
La notte è buia e il fitto bosco la rende ancora più tenebrosa; a
momenti non si vede a un palmo dal naso. Il battaglione « Budicin »
è in coda alla colonna. I combattenti, per non perdere i collegamenti
nell'oscurità, si tengono per mano. Ogni tanto passa la voce nella colon-
na: « brzo », « presto », e la marcia viene accelerata. L'acceleramento,
tuttavia, porta allo spezzarsi della colonna e non sempre le « veze »
cioè i collegamenti, funzionano a dovere.
Prima dell'alba la colonna di sinistra attraversa la camionabile e la
ferrovia Postumia—San Pietro del Carso nel settore fra Rakitnik e Pre-
stranek; la colonna di destra, invece, punta sul tratto fra Prestranek e
Slavina, avendo come ulteriore direttrice di marcia NemSka Vas—Pal-
Ce—Jureste. Quando la testa e buona parte del corpo della colonna sono
già passati, il movimento viene notato dal nemico; dalla guarnigione di
Prestranek un violento fuoco investe gli ultimi reparti del battaglione
italiano.
Cade Silvio Gnot
Il fuoco nemico ha per effetto l'acceleramento della marcia dei re-
parti di testa e lo spezzamento del troncone di coda che ha uno sbanda-
mento e, per ripararsi, arretra dall'arteria. Alcune pallottole nemiche,
purtroppo, raggiungono il mitragliere rovignese Silvio Gnot che, mortal.
mente colpito, precipita in un torrente con il fucile mitragliatore ancora
188
in spalla.! (Ricongiuntosi al battaglione « Budicin » suo fratello Gino lo
seguirà nella morte, qualche mese dopo, nel Gorski Kotar). Il loro padre
è stato uno dei primi caduti della lotta di liberazione, ucciso dai tedeschi
nel settembre 1943 durante l'attacco alla città di Rovigno da pochi gior-
ni liberata. Una famiglia di eroi.
Da questo momento il battaglione italiano è dimezzato e ciascuna
metà ha una propria storia drammatica. Seguiamo, per ora i combat-
tenti che tengono dietro alla brigata. Con essi è rimasto il vicecoman-
dante Milan Iskra.
Il grosso della colonna prosegue la marcia e raggiunge il villaggio
di Palce. In testa cavalca il comandante di brigata Pajo, ed è lui che,
a galoppo, entra per primo nella località. Purtroppo finisce direttamente
in bocca al lupo. Nel villaggio ci sono i belogardisti. Il grande coraggio e
il sangue freddo di Pajo si esprimono anche in questa occasione. In mano
al nemico resta il suo cavallo; lui, a piedi, riesce a svignarsela e torna
fra i suoi combattenti. Poi, tutti insieme, muovono all'attacco del nemi-
co. Lo scontro, breve ma violentissimo, si risolve con la fuga dei fascisti.
La strada per Jure$te è libera.
Il battaglione dimezzato
Col grosso della colonna sono riuscite a passare due compagnie del
« Budicin » mentre la terza, col comandante Demartini e il vicecommis-
sario di battaglione Mario Jedreicich, insieme al plotone mitraglieri in
coda, è rimasta staccata, tagliata fuori, senza collegamenti. Nessuno ha
idea del luogo in cui ci si trova, il nemico continua a sparare maledetta-
mente. Viene perciò deciso di arretrare nel bosco, prendendo posizione
su una collinetta, in attesa dell'alba. Al mattino del 24 ottobre si forma
una pattuglia di audaci con alla testa l'economo del battaglione, lo scal-
tro polese Sime Slivar, col compito di perlustrare il terreno e soprattut-
to di prendere contatto con qualcuno del CPL Sloveno. Dopo alcune ore
di attesa, mentre la fame e la sete si fanno sempre più sentire e cresce
l'ansia per il mancato ritorno della pattuglia, il mulo della compagnia
lancia un potente raglio. Tutti gli si gettano addosso, coprendogli il muso
con una tela cerata.
Finalmente, in lontananza, una vedetta avvista la pattuglia di ri-
torno accompagnata da uno sconosciuto. È l’« odbornik », un componente
del Comitato popolare di liberazione. Egli si offre di condurre il reparto
in luogo sicuro da dove sarà facile raggiungere la brigata.
Dopo parecchie ore di marcia per le colline, viene raggiunto un vil.
laggio in cima a un'altura, sede della guarnigione partigiana slovena. Con
gioia i combattenti italiani vi trovano pure la radiotrasmittente della
« Gortan » e una trentina di uomini della stessa brigata con il coman-
dante degli esploratori Miho Valié. Si sono dispersi anche loro. Nello
stesso villaggio, infine, viene trovato il commissario del battaglione « Bu
dicin », Luigi Cimadori,2 assieme all’economo Poropat.
1. Cfr. « Mancano all'appello », op. cit. pagg. 32 e 72. Quest'episodio viene ignorato nella cronaca
della « Gortan » (« Put prve istarske brigade ...») dove si legge che «la colonna riuscì a
passare senza perdite ». Ed è strano che un alto dirigente della brigata trascuri, oltre ai Ca-
duti, anche la dispersione di una quarantina di combattenti.
2. « Senza alcun collegamento », racconto inedito di A. Demartini.
189
Ancora una battaglia
Quali movimenti ha intrapreso, intanto, la brigata?
Le due colonne si sono regolarmente incontrate presso Jureste nelle
prime ore del 24 ottobre. I combattenti hanno estremo bisogno di ripo-
sare. La lunga marcia e le sofferenze in precedenza patite hanno ridotto
gli uomini in uno stato pietoso. Nella riunione del Comando brigata c’è
chi fa presente insistentemente questo stato di cose. Gli uomini, più che
il nemico, combattono ormai con se stessi, col proprio esaurimento, le
piaghe ai piedi, il freddo e l'insonnia. Il tempo è sempre piovoso e il ven-
to di bora si fa ognora più gelido. Si decide di rinviare la partenza per
Gumanac, concedendo ai combattenti qualche giorno di riposo.
I battaglioni vengono dislocati nei villaggi di Koritnica, Baè e Ju-
reste. In quest'ultima località restano il « Budicin », il I battaglione e il
Comando brigata.
Purtroppo i battaglioni hanno appena raggiunto le sedi loro assegna-
te che vengono assaliti da rilevanti forze belogardiste che impegnano il
II e III battaglione in insistenti, sanguinosi scontri. Il Comando brigata
ordina pertanto al I battaglione e al battaglione « Budicin » di portare
soccorso ai compagni attaccando il nemico sul fianco. I combattenti ese-
guono una riuscita manovra, raggiungono il nemico alle spalle e lo at-
taccano con violenza. La posizione degli altri battaglioni viene così alleg-
gerita notevolmente e, sia pure con sacrifici, riescono a uscire dall’accer-
chiamento. Sconosciute le perdite nemiche. Quelle della brigata ammon-
tano a ben 22 morti e 14 feriti. In mano al nemico, inoltre, sono caduti
un mortaio e tre fucili mitragliatori.
Per evitare nuovi dissanguamenti, la sera del 24 ottobre la brigata
si ritira verso Masun, da dove punta direttamente verso Gumanac.
La decisione solleva qualche critica in seno allo stesso Comando bri-
gata. Non sarebbe meglio far riposare i combattenti nelle baracche di
Masun? Sono da circa quaranta ore in movimento. Avanti, avanti! — or-
dina il comandante Pajo contro il parere del suo vice. Costui fa ancora
una volta notare il miserevole stato dei combattenti, assolutamente inca-
paci di affrontare nuove fatiche; a sua volta il comandante fa presente
che, ormai individuati dal nemico, questi non concederà più tregua e
potrebbe avvenire una catastrofe. È meglio utilizzare tutte le forze fisi-
che, le ultime forze rimaste, per allontanarsi al più presto e raggiungere
luoghi sicuri.
Di stanchezza si muore
Così la marcia verso Gumanac diventa una fatica tremenda, una
tortura inenarrabile. Ecco come la descrive il corrispondente di guerra
della brigata, Vladimir Kolar:
« Andiamo esattamente nella direzione dalla quale i venti portano
l'inverno. L'alito freddo dei primi geli ci sferza la faccia. Mai ci siamo
sentiti tanto perseguitati, tanto insicuni e senza mniparo come quando,
col calare delle prime ombre, siamo affondati nel bosco sopra Koritni-
ca. Alle nostre spalle restano i campi verdi, i tetti rossi delle case nelle
quali si stava al caldo. Su questo territorio (...) il nemico non ci ha
mai lasciati in pace (...).
190
Negli ultimi mesi i combattenti hanno acquistato una grande espe-
rienza di guerra. Purtroppo, tutto quel che portiamo addosso è lin sfa-
celo. Invece di "andare in riparazione”, la brigata si allontana dai luo-
ghi abitati penetrando sempre più dentro la foresta, muovendo verso
giorni che promettono tutto fuorché il niposo.
Gli alti abeti proteggono la colonna dal vento. Sulle mostre teste
si sente frusoiare come se le inquiete onde del mare battessero sugli
scogli. E questo non fa che approfondire il senso della solitudine. I
combattenti si stringono l'uno presso l’altro e così stretta la colomna
cammina avanti. »
«..,.i pensieri corrono. E sulle guance scorre la pioggia, scende
nel collo, sento un ruscelletto giù per la schiena, non so dove finisce,
eppure si dirama in due piccoli corsi e ciascuno trova il suo sbocco
negli stivali e da quelli... facile uscire, ormai le tomaie quasi non
esistono più,
Ci allontaniamo. Era necessario strappare la bnigata da questo sco-
modo settore dove il nemico ha organizzato una vera e propria caccia
contro di noi. Lo abbiamo picchiato, forte, alla partigiana, ma ci ha
inseguiti alle calcagna senza permetterci di respirare... È stato duro
combattere, attaccare e mitirarsi in queste condizioni: sfiniti, con le scar-
pe ei vestiti a brandelli. Ed anche questa marcia notturna nel bosco
michiede i massimi sforzi, le ultime poche energie rimaste. Anche dor-
mendo in piedi, afferrandoci alle spalle o allo zaino del compagno da-
vanti, per non spezzare la colonna, per non smarrirci, dormendo mentre
si cammina .., »3
I piedi lasciano sulla terra impronte di sangue. Sul lungo cammino
quattro combattenti esalano l’ultimo respiro, uccisi dalla stanchezza.
Dopo aver camminato per una notte e un giorno, la sera del 26 ot-
tobre la brigata arriva a destinazione. Al pari degli altri, gli uomini del
« Budicin » arrivano che fano pena, sono ombre d’uomini. Pesano sulle
spalle tre giorni e tre notti di marce e di combattimenti, contando dalla
partenza dal Nanos. E per di più, il battaglione è dimezzato e decapitato.
Mancano una compagnia e molti uomini di altre compagnie; mancano
il comandante, il commissario e il vicecommissario di battaglione, quasi
tutto il quadro ufficiali! Dal passaggio della ferrovia, nella notte fra il
23 e il 24 ottobre, non hanno più dato notizie. Dove sono?
3. In « Istarska svitanja », pagg. 90—92.
191
CAPITOLO XXVII
IL BATTAGLIONE SI RICONGIUNGE
Dove si trovi l’altra metà del battaglione lo sappiamo. È lo stesso
comandante di battaglione a rievocare l’odissea propria e dei suoi uomi-
ni che la guida ha condotto alla base di una guarnigione partigiana slo-
vena. Nel villaggio, subito battezzato da quelli del « Budicin » il « paese
della cuccagna », gli uomini possono finalmente riposare e rifocillarsi
abbondantemente. Dopo qualche giorno al « mezzo battaglione » si uni-
sce un altro disperso, il combattente Giovanni Quarantotto. Venutosi a
trovare isolato al momento della rottura dei collegamenti, è rimasto
tutto solo in una zona infestata dai belogardisti.
Ed ora, che fare? Inutile cercare la « Gortan » per i boschi; certa-
mente è già in cammino per Gumanac e lì bisogna seguirla; si dovrà
portare anche la stazione radio abbandonata, l’unica della brigata.
Per preparare gli uomini alla marcia, viene prima tenuta una riu-
nione dei comunisti e dei giovani comunisti, poi di tutti i combattenti.
A rincuorarli arriva magnifica la notizia della liberazione di Belgrado.
Il giorno 26 ottobre, il comandante Demartini, d'accordo col vicecommis-
sario Jedreicich dà l’ordine della partenza. È una giornata di vento e
pioggia. Con questo tempaccio il nemico difficilmente esce dalla sua ta-
na; meglio soffrire un po’ che affrontare scontri a fuoco. Il Comando
della guarnigione partigiana slovena mette a disposizione due guide.
La marcia dei « dispersi »
Alcuni combattenti, però, adducendo a giustificazione lo stato pietoso
di molti compagni con ancora le piaghe ai piedi, si rifiutano di partire.
Non gli va a genio di lasciare il « paese della cuccagna », oppure dicono
di non aver rinunciato all'idea di raggiungere l’Istria. Di conseguenza,
il primo tentativo di mettersi in marcia fallisce. La partenza viene ri-
mandata alla sera, ma il comandante ammonisce: chi non ubbidirà sarà
fucilato secondo la legge di guerra. L'argomento, finalmente, convince
anche i più riottosi.
Nella notte fra il 26 e il 27 ottobre, il gruppo è in marcia insieme
con gli altri « dispersi » della brigata e le guide. L'atmosfera è alquanto
192
tesa. Una grossa pattuglia precede il gruppo di un chilometro. Intanto è
sparita la radiotrasmittente della brigata con i suoi uomini. In vista
della ferrovia, inoltre, come per incanto spariscono le guide. Anche i
partigiani croati unitisi al gruppo del « Budicin » desistono a questo
punto dal proseguire. Ma la marcia riprende ugualmente. La stazione
radio viene ritrovata dopo aver superato la ferrovia, e quelli del « Bu-
dicin » si sobbarcano anche il peso dell'apparecchiatura che passa di
spalla in spalla, e lo stesso comandante di battaglione la porta per pa-
recchi chilometri.
Dopo un giro di marcia in territorio sloveno, gli uomini del « mezzo
battaglione » puntano su Gumanac, prendendo strade più note.
x
Attraversando territori nei quali la minaccia è in agguato ad ogni
passo, ci si imbatte qua e là in qualche cadavere e nelle tracce dei pre-
cedenti combattimenti. La marcia prosegue senza soste. Finalmente, allo
stremo delle forze e affamati, anche gli uomini del « mezzo battaglione »
arrivano a Gumanac il 28 ottobre.
Non ci trovano i compagni del « Budicin ». Sono partiti già da un
giorno col grosso della brigata per il Gorski Kotar. Trovano invece il
valoroso comandante del III battaglione, Rudolf Mandié con i suoi gio-
vani combattenti in postazione, che li accolgono come risuscitati. Gli
uomini di Demartini possono finalmente concedersi un lungo sonno,
dopo aver divorato la cena che i commilitoni croati hanno offerto senza
lesinare.
Nel Gorski Kotar
Il I e il II battaglione della « Gortan », con la prima fetta del « Bu-
dicin » e il Comando brigata sono partiti da Gumanac il 27 ottobre rag-
giungendo Prezid e Cabarske Police presso Cabar. Anche questo sposta-
mento mette a dura prova gli uomini i quali hanno avuto soltanto poche
ore di riposo dopo le massacranti marce che li hanno portati dalla Slo-
venia alla Croazia. Il corrispondente della brigata annota:
«In questo scorcio di ottobre vien giù tanta pioggia, ci sembra che
la brigata nuoti attraverso i boschi del Platak e del Risnjak, lungo av-
vallamenti dove i nudi rami dei faggi rassomigliano più a fantasmi che
a un bosco. Le felci accarezzano i piedi scalzi (...) e i piedi, pesanti
per l'acqua e la stanchezza, le falciano, anzi le piegano, con le ultime
briciole di energia. Il cielo è sceso fra le montagne, adagiandosi con
tutto il suo peso sul paesaggio affondato nella semiosourità. L'alba
sembra che non debba più sorgere mai.
— Colonna, alt! — giunge dalla testa il comando, una voce che sem-
bra uscire da una caverna. E falcia gli uomini, crollano sotto la raffi-
ca di un comando che si attende come la salvezza dopo ogni lunghis-
sima ora di marcia. Non si sceglie il posto in cui giacere. Non importa.
Ovunque è bagnato, ovunque la terra è dura. Non importa, perché si
precipita rapidamente e a capofitto negli abissi del sonno, nel turbine
dell'inconscio (...). E così, crollando e rialzandoci: un'ora di marcia e
quindici minuti di sonno, e continuamente sognando un tetto sulla te-
sta, una stufa calda, un pezzo di pane ... »1
1. In « Istarska svitanja », op. cit. pagg. 93—9%4,
13 Rossa una stella 193
In una sosta più lunga, sotto la pioggia, si cerca di scaldare un po'
di brodaglia: acqua calda, senza sale, con invisibili pezzettini di carne
che galleggiano. Qualcuno, per calmare la fame, mangia funghi raccolti
ai piedi degli alberi. Due uomini muoiono fra tormenti atroci.
La marcia riprende, la pioggia continua a cadere, ora scrosciante
ora leggera, ma insistente, per ore; non cessa mai. E la colonna avanza,
finalmente esce fuori dal bosco, ma nessuna casa si vede. « Ma questo
Gorski Kotar è solo un'infinita foresta senza vita? ». Ci sono i villaggi,
ma Pajo li evita; è necessario scansare ad ogni costo il nemico. Nelle
condizioni in cui si trovano gli uomini, di chilometro in chilometro sem-
pre più lenti, sempre più spenti, uno scontro sarebbe la fine. Pajo, sen-
za più il cavallo, va a piedi come gli altri ma sempre avanti, in testa
alla colonna.
« È morto in piedi »
« Così, in silenzio, scorre l’interminabile ottobre del Quarantaquat-
tro. Andiamo, marciamo attraverso il bosco, le facce trasparenti e ossu-
ite, gli occhi infiammati. I muli che ancora non ci siamo mangiati in-
cespicano e cadono sotto il peso delle mitragliatrici, le uniche armi pe-
santi che abbiamo, "Jurina” e "Framina” sono rimasti nelle caverne del-
l’Istria, insieme ai mortai, leggeri e pesanti (...). Il mulo, incespica e
cade, i combattenti sollevano l'arma dal basto e sostengono l’animale
che riprende il cammino. Ma incespica ancora e cade, e più non si sol-
leva. Lo finiamo e la sua carne finisce mella caldaia... Lividraga, Pre-
zid, finalmente arriviamo a Cabarske Police. E qui succede un fatto
che nicorderò fin che vivo. Dal bosco, verso mezzogiorno, la brigata è
uscita sulla radura. Vediamo campi di patate. E sotto, ai nostri piedi,
come una fata morgana, i tetti rossi idelle case. Dai camini salgono
ciuffi di fumo. Si odono cani abbaiare, Ci fermiamo restando inchio-
dati: per assorbire un quadro da tanto tempo atteso, ritrovare noi stes-
si, renderci conto della nostra sorpresa. L'alito della vita e il calore
del focolare ci pervadono al punto che la colonna, man mano che rag-
giunge la vetta, si ferma senza alcun comando. Rassomigliamo ai pel
legrini” che per la prima volta scopersero la terraferma americana. Im-
mobili, i nostni occhi sono inchiodati ai tetti delle case. Cabar, in que-
sto momento, è certamente il più meraviglioso luogo del mondo (...)
«...anriva il segnale di movimento. Davanti a me sta un combat-
tente. Non si muove. La colonna lo sorpassa, io lo attendo. Continua a
star fermo. Fisso le sue spalle, ondeggiano impercettibilmente. Guarda
verso il basso, ai itetti delle case, immobile e muto. Mi avvicino e gli
metto la mano sulla spalla.
— Andiamo, compagno, la marcia riprende... — gli sussunro.
Fa un passo, un altro, poi crolla. Chiamo un infermiere. Chini sul
compagno, cerchiamo di richiamarlo 'in vita. La colonna ci passa ac-
canto, nessuno volge lo sguardo. L'infermiere si rialza e mi fissa con
uno “sguardo che dice tutto: non c'è più nulla da fare. Attendiamo che
passi la coda della colonna e nel bosco lasciamo il nostro compagno
morto. Era giunto alla meta, fino ai tetti rossi, alle voci ed ai focolari
degli uomini, ci aveva messo l’ultimo atomo di forza. Ma qui, alla soglia
di Cabar, si è fermato. È morto in piedi. »2
2. Ibidem, pag. 99.
‘194
La solenne sfilata
Sulle orme dei loro compagni, attraverso gli stessi boschi, soffrendo
gli stessi disagi della marcia e come gli altri « scalzi, seminudi, esauriti
fisicamente da tanti mesi di campagna » come scriverà un anonimo com-
battente, sul calar della sera del 30 ottobre muovono da Gumanac. per
Cabar gli uomini della seconda metà del battaglione « Budicin » che sa-
ranno seguiti il 2 novembre dai giovani del III battaglione che intanto
assolvono l’incarico loro affidato di raccogliere viveri, compresi sette ca-
pi di bestiame, per la brigata affamata.
L'arrivo di Demartini, Cimadori, Jedreicich e compagni a Cabar, la
sera del 31 ottobre, desta enorme sorpresa, specie al Comando di bri-
gata. L'apparizione dei « morti » — o prigionieri, o dispersi, o disertori
(si sono pensate tante cose, sono stati previsti perfino i nuovi quadri di
comando del battaglione) — suscita gli urrà di gioia. Il « Budicin » è di
nuovo al completo!
Il comandante e il commissario della « Gortan » rivolgono parole
di elogio ai combattenti italiani che, superando rischi e pericoli per ri-
congiungersi alla brigata, hanno dimostrato la loro lealtà e fedeltà alla
rivoluzione popolare — dicono — e fermezza, tenacia, coraggio e decisio-
ne di continuare la lotta contro l’occupatore fino alla vittoria finale.
C'è chi ricorda la sfilata della « Gortan » attraverso le vie di Cabar,
la più grossa borgata nella zona più settentrionale del Gorski Kotar,
presso le sorgenti della Cabranka, al confine tra la Slovenia e Croazia.
Siamo in una conca fra i monti, al centro di un grosso fazzoletto di terra
coltivata a frutta e verdura circondato dalle più fitte foreste che esistono
in Jugoslavia. La gente, più stupita che commossa, sta ferma sugli usci
delle case guardando i partigiani che passano per la via principale:
«Ogni secondo combattente zoppica, e chi non zoppica trascina i piedi
avvolti negli stracci, sforzandosi tutti di procedere a testa alta, ma la
testa, pesante come il bronzo di un monumento, si piega sul peito » —
così scrive il corrispondente della brigata. E continua: « Ancora alcune
centinaia di metri fino al Comando guarnigione, poi ci fermeremo. Da-
vanti alla grande casa presso la quale si leva un tiglio annoso, circon-
data da un basso muretto, ci fermiamo, ci sediamo, ci sdraiamo... ».
Nel pomeriggio del 1° novembre, dopo il primo rancio abbondante e
parecchie ore di riposo, viene ordinata l’adunata di tutta la brigata. Nel
frattempo sono stati portati al forno alcuni sacchi di farina per prepara-
re il pane. Ogni combattente riceve mezzo filone caldo caldo, profumato.
Alcuni divorano subito la porzione, altri ne assorbono a lungo il profu-
mo ... Poi viene l’'adunata, al centro del paese, sulla piccola piazza.
© I combattenti sfilano davanti ai comandanti e commissari dell'XI
Corpus. Poi il commissario del Corpo d’armata Artur Turkulin rivolge il
saluto alla brigata, elogiandola per le vittoriose azioni e augurandole nuo-
vi successi nelle future battaglie.
Si conclude un ciclo
Si conclude così la campagna estivo-autunnale della brigata « Gor-
tan » e del battaglione italiano « Pino Budicin »; comincia un nuovo ciclo
di operazioni che tutti sperano sia breve. Tutti sperano che la fine della
, 195
guerra sia imminente. Sfondato il fronte in Ungheria, l'Armata Rossà
sta avanzando in tre direzioni nelle regioni meridionali di quel Paese;
una colonna è già sui confini jugoslavi; sul fronte occidentale gli alleati
tengono Sahbriicken sotto il tiro delle artiglierie; in Italia hanno occu-
pato Ravenna e avanzano verso il Nord; l'Esercito popolare jugoslavo
avanza sulla direttrice Belgrado—Zagabria; in Dalmazia settentrionale le
nostre truppe stanno superando Knin puntando su Graéac. « Fiume, Pola
e le nostre altre città sono piene di manifestini e di nostre scritte », scri-
vono i giornali partigiani. « Il Nostro Giornale » annuncia, in particolare:
«A quintali si raccolgono i viveni e gli indumenti per l'Esercito.
La gioventù di Albona ha deciso di privarsi del cibo una volta alla setti-
mana per mandarlo ai combattenti... La sola città di Pola ha raccolto
in 20 giorni 229 paia di calzature, 562 capi di vestiario, 721 pezzi di ma-
teriale sanitario, 11 fucili e 184 oggetti militari. »3
Purtroppo, questo commovente contributo della popolazione non rie-
sce che in piccola parte a mitigare le disagiate condizioni dei combatten-
ti della « Gortan », mentre la situazione del battaglione italiano si ag-
grava, proprio nel Gorski Kotar, dal punto di vista psicologico. « A ciò
si aggiunge la diffidenza della popolazione verso i combattenti italiani,
dato tutto ciò che l’esercito fascista ha commesso in questi paesi », an-
nota il vicecommissario del « Budicin ».4
3. Nro 22 dell'8 dicembre 1944 (riporta però le notizie inerenti il periodo 25 ottobre—15 novembre.
4. Capitano Mario Jedreicich, « Pagine di eroismo » (La Voce del Popolo, 4-IV - 1946).
196
Parte quinta
L'INVERNO D’INFERNO
(novembre — dicembre 1944)
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CAPITOLO XXVIII
NELLA TERRA DELLE MONTAGNE
Nello stesso giorno in cui il Comando dell'XI Korpus passa in rivi-
sta la brigata « Gortan », il comando di questa unità stabilisce il nuovo
dislocamento dei battaglioni ed apporta alcune modifiche nel quadro
comando del battaglione « Pino Budicin ».
Riconfermati comandante Arialdo Demartini e Milan Iskra viceco-
mandante; Mario Jedreicich vicecommissario; l’incarico di ufficiale ope-
rativo viene invece affidato al milanese Francesco Giovanni Crepaldi, già
sottotenente dell’esercito italiano. Commissario politico è nominato Gior-
dano Paliaga che sostituisce Luigi Cimadori degradato a soldato semplice
e trasferito in un altro reparto della 43* divisione istriana, esattamente
il II Battaglione d’assalto. Dal Gorski Kotar Cimadori non tornerà più
tra i vivi cadendo eroicamente in combattimento.
Da Cabar, dopo un altro giorno di riposo, la brigata passa al com-
pleto a Brod na Kupi, un villaggio posto nella valle del corso superiore
del fiume Kupa, all'incrocio della strada che da Kotevje in Slovenia por-
ta al Litorale croato con quella che da Ogulin, in Lika, conduce nella
Slovenia occidentale.
Nel frattempo, grazie alle forniture del Comando del Korpus ed agli
aiuti della popolazione, è stato possibile distribuire le scarpe almeno ai
combattenti più bisognosi, quelli proprio scalzi, mentre gli altri hanno
approfittato della sosta per rattoppare alla meglio calzature e vestiti.
Ciononostante, la marcia da Cabar verso Brod na Kupi, sotto la pioggia
ed attraverso terreni inzuppati d’acqua nei boschi fittissimi, aggrava nuo-
vamente le condizioni. Molti si ritrovano scalzi come prima e con gli
indumenti più sbrindellati di prima.
La stanchezza, che sembrava svanita, torna a farsi sentire. La co-
lonna scende verso la valle della Kupa, attraversa piccoli villaggi che
portano fresche le tracce degli incendi, e arriva finalmente a destinazio-
ne. La popolazione di Brod na Kupi accoglie i combattenti facendo festa,
offrendo la frutta di stagione. La sosta, però, dura soltanto poche ore.
Sembra che il Comando brigata voglia far conoscere subito ai combat-
199
tenti, in pochi giorni, tutta questa « terra delle montagne » che è il Gor-
ski Kotar detto pure la Svizzera croata. Montagne e boschi, boschi e mon-
tagne.
Il secondo e il terzo battaglione ripartono per acquartierarsi a Ravna
Gora, mentre il quarto battaglione italiano, insieme al primo ed al Co-
mando brigata con i reparti ausiliari, punta verso Srpske Moravice per
rimpiazzarvi i reparti della XIII divisione trasferitasi nella Lika.
A Srpske Moravice
A Srpske Moravice, importante nodo ferroviario sulla linea Zaga-
bria—Fiume, abitato in prevalenza da serbi, si arriva il 4 novembre. Il
primo battaglione, in testa alla colonna, ha la sgradita sorpresa di incon-
trarsi nel paese con i reparti ustascia usciti per una delle solite azioni
di rastrellamento dal loro presidio di Vrbovsko. Il combattimento si
protrae per un'ora e mezza circa, il nemico viene cacciato dal paese. Le
compagnie del « Budicin », intanto, si sono attestate sulle alture circo-
stanti, pronte a far fronte anch'esse al nemico, il quale, tuttavia, non
si fa più vedere. Qui, in posizione, il comandante della brigata passa fra
i combattenti italiani, incoraggiandoli e lodandone il comportamento.
...Imi vidi capitare inaspettatamente il comandante di brigata Pajo,
_ Prcdzon il comandante del battaglione — con tanto di stivali alti,
lucidi, mitra a tracolla, accompagnato dai suoi più stretti collaboratori,
gli ufficiali del Comando brigata. Capii che ispezionava i reparti appo-
stati di tutta la brigata. Lo ‘salutai militarmente, rapportando la forza.
Indi, tramite interprete, mi fece ripetere il saluto mliitare, per vedere
se tenevo la mano secondo i regolamenti militari. Me la raddrizzò un
pochettino, dicendomi sorridente ”italko je dobno” (così va bene), dopo-
diché mi dette "Na mjestu voljno” (Riposo), sedendosi su un tronco
d'albero. Mi fece cenno che ‘sedessi pure io accanto a lui. Quindi mi pose
diverse domande circa ‘il morale dei miei combattenti, l'alimentazione, il
vestiario ecc. ecc. Sinceramente gli risposi che non era tanto alto, non
solo causa lla scarsità di cibo e vestiario bensì in seguito all’estenuante
campagna militare in Slovenia che ci aveva fisicamente esauriti. Mi ri-
spose che qui avevamo le retrovie sicure e pertanto il tempo di mimet-
terci. Infine mi chiese di dove ero, e quale fosse il mio mestiere. A sen-
tire che ero di professione panettiere, fu pronto a rispondermi che qui
in Gorski Kotar sarei stato disoccupato perché crescevano solo pata-
te... Così ebbe termine il mio primo ed amichevole colloquio con
Pajo. »1
A proposito di patate: i combattenti istriani si renderanno conto
dell’esattezza delle parole del comandante di brigata. Il tubero sarà l’uni-
co cibo sempre a portata di mano; e qualcuno, scherzando, propone di
innalzare un « monumento alla patata ». Nel Gorski Kotar riesce anche
il granoturco, ma quello è semmai a portata di mano dell'intendenza
che, quando riesce a procurarselo, fa servire ai combattenti quella fa-
mosa « kasa » (la « càsia » pronunciano gli istriani), farinata diluitissima
che non si dimenticherà per tutta la vita.
1. Da « appunti » inediti di A. Demartini messi a disposizione degli Autori.
200
Diffidenza e simpatie
L’accogiienza fatta dalla popolazione serba di Srpske Moravice ai
partigiani istriani è stata piuttosto fredda. E nelle prime ore di sosta in
paese l’atteggiamento non cambia. La gente si tiene nascosta. Gli abitan-
ti del luogo e dei villaggi circostanti hanno una tremenda esperienza
della guerra; per molti di loro croati e italiani (e tali sono i combatten-
ti della « Gortan ») sono sinonimi di ustascia e fascisti. Sul conto dei
partigiani istriani poi, si dicono varie storie. Il nemico, con la sua pro-
paganda, ha sparso la voce che sono combattenti senza nerbo, poco resi-
stenti alle fatiche; gli ustascia li spazzeranno via.? Dopo la fuga degli
ustascia verso Vrbovsko, tuttavia, si spalancano le porte di certe case,
qualche famiglia offre patate bollite... Nei due giorni seguenti anche
gli ultimi sospetti crollano e, per quanto riguarda in particolare i com-
battenti del « Budicin », la popolazione ha modo di accorgersi che si
tratta di iialiani ben diversi da quelli venuti a distruggere i loro paesi, a
saccheggiare le loro case e a devastare i loro campi fino al settembre
del 1943, Comincia ad amarli.3
«Con particolare ‘interesse la gente del luogo si accosta ai combat.
tenti del battaglione ‘italiano "Pino Budicin” — scrive il corrispondente
della brigata — spinti dal desiderio di conoscerli meglio. Essi ricordano
l'occupatore italiano che a Srpske Moravice ha mantenuto una guarni-
gione fino alla capitolazione dell’Italia. Ora, invece, a difenderli dagli
ustascia sono i combattenti di nazionalità italiana! E in ciò vedono an
che il senso simbolico della nostra lotta, nel corso del'a quale si è tem-
prata nel sangue la fratellanza e l’unità. La gente considera questi Ita-
fiani come propri, come gli altri Istriani, e li circonda di attenzione e
di calore. Negli incontri quotidiani fra i combattenti e la popolazione
si sente quella continua bellezza che ogni combattente prova ma non è
in grado di spiegare, di sistemare in quella categoria di altissimi senti-
menti, che comprende lla solidarietà e i legami di sangue ...»4
Così a Cabar, così a Srpske Moravice. Ma i combattenti sanno bene
che in ogni nuovo paese si dovrà cominciare da capo. E si confortano
pensando che il tempo è il miglior galantuomo. Lo sarà sempre: alla dif-
fidenza subentra la curiosità, alla curiosità il sorriso e la simpatia strap-
pati anche dai canti italiani che accompagnano i combattenti del « Bu-
dicin » pur nelle ore più dure. E sempre il tema sarà presente nelle riu-
nioni di partito e nelle adunate del battaglione: saper affrontare la situa-
zione, dimostrare con i fatti che i combattenti italiani sono pronti a
versare anche il sangue per difendere i beni e la vita della popolazione.
È la costante preoccupazione del commissario Paliaga: « quella di
acquisire credito e simpatia presso la gente di nazionalità croata e ser-
ba », « dimostrare coi fatti alla popolazione di queste località che tanto
sofferse per mano di coloro che parlano la nostra lingua, che noi parti-
giani italiani del "”Budicin"” non abbiamo avuto mai nulla a che fare
con costoro ».5 Lo dice in tutte le riunioni; e non si stanca mai di predi-
In « Istarska svitanja », pag. 104,
M. Jedreicich, « Pagine di eroismo », (La Voce del Popolo, 4 - IV - 1946).
Vedi nota 2, pag. 107.
In « Mancano all'appello », pag. 33.
use
201
care: mantenere un comportamento corretto, rafforzare i vincoli con la
gente, farsi meglio conoscere, affratellarsi. I combattenti italiani sono
pronti a tutto; e non sarà loro difficile farsi voler bene, con la spiccata
inclinazione all’affabilità e cordialità che hanno e con le loro canzoni.
Quello che temono maggiormente, però, è il clima inclemente in questa
regione, dove gli inverni sono sempre stati rigidissimi, con neve altissi-
ma. L'inverno di quest'anno, però, è cominciato con anticipo e promette
morsi crudeli.
Residenza a Sensko
Nella notte fra il 6 e il 7 novembre, evidentemente spaventati dalla
presenza della famosa brigata « Gortan » gli ustascia sgomberano anche
il loro presidio di Vrbovsko, ritirandosi nella piazzaforte di Ogulin, che
conta circa 4.000 uomini della 392. divisione legionaria e della 33. « boj-
na » di Pavelic.
All'alba del 7 novembre, in esecuzione dell’ordine n. 51 del Comando
brigata, tutti i battaglioni lasciano Srpske Moravice per sistemarsi: il
I a Vrbovsko, il II nel villaggio di Lukovdol, il III a Poljane—Ljubisine
rivolto verso Hreljin ed il IV battaglione italiano a Sensko insieme alla
compagnia di scorta del Comando brigata, alla compagnia d'assalto, alla
compagnia di collegamento, all'intendenza ed alla sanità. Altra faticosa
marcia per raggiungere le nuove posizioni.
All'arrivo, tuttavia, l’8. novembre, i combattenti possono filnamente
dormire nelle case dei contadini e rifocillarsi. Il comandante e il vice-
comandante del « Budicin », Demartini e Iskra, vengono addirittura ospi-
tati in casa di un prete, dormendo su un comodissimo letto matrimonia-
le, su « materassi troppo soffici », tanto che a fatica prendono sonno.
Lo sosta a Sensko, dove si è insediato anche il Comando brigata, si
protrae per una decina di giorni. Servono per rimpannucciare gli uomini
con i pochi indumenti che l’intendenza riesce a procurarsi (intanto co-
minciano a cadere le prime nevi) e per la riorganizzazione dei reparti.
Si riprende anche l’attività artistico-culturale e si fanno le esercitazioni
militari. Pajo, s'è visto, ci tiene anche alla perfezione formale del saluto.
Il 17 novembre, in esecuzione dell'ordine n. 52 del Comando brigata
i battaglioni della « Gortan » subiscono nuovi spostamenti. Sulle posizio-
ni occupate a Sensko dal « Budicin » arriva il II battaglione, mentre il
battaglione italiano si trasferisce a Vrbovsko insieme con il Comando
brigata, la compagnia di collegamento, la compagnia d'assalto e l’inten-
denza. Nello stesso giorno si ha un rimaneggiamento ai vertici della bri-
gata: se ne va il commissario Danijel Kovatevid e il suo posto viene pre-
so da Radoslav Kosanovic.
La partenza del « vecchio » commissario, che ha avuto modo di co-
noscere a fondo e di capire i combattenti italiani in tanti mesi di vita
in comune, dispiace un po’ a tutti, ma in modo particolare al commissa-
rio del « Budicin ». Paliaga e Kovaéevic, oltretutto, sono diventati grandi
amici. Il 3 dicembre, purtroppo, verrà sostituito anche l’uomo verso il
quale i combattenti del « Budicin » nutrono una specie di venerazione:
Vitomir Sirola-Pajo, il coraggioso e magnanimo comandante della bri-
202
gata. Pur senza incarico, tuttavia, resterà con i suoi uomini fino al 12
dicembre. Facente funzione di comandante sarà nominato Rade Mrvos,
già ufficiale operativo della 43° divisione istriana.
L'arrivo a Vrbovsko
L'arrivo del battaglione « Budicin » a Vrbovsko è un grande avve-
nimento sia per i combattenti che per la popolazione. Il paese si dà l'aria
di città e, a confronto di tanti altri conosciuti dai partigiani finora, può
anche chiamarsi città; già capoluogo distrettuale, vi passano la camio-
nabile per Zagabria e la ferrovia. Circondato da boschi secolari, è uno
dei più grandi centri jugoslavi dell'industria forestale con segherie è
mobilifici. Importante presidio ustascia fino alla sera del 5 novembre,
ora ha nuovamente cambiato padrone. La maggioranza della popolazione
tiene per i partigiani, ma non mancano le famiglie dei « neutrali » e
quelle i cui figli, vestendo la divisa di Pavelié, stanno sull'altra barricata,
a Ogulin e altrove.
Le prime impressioni non sono buone. Il corrispondente della bri-
gata lo annota. Anche a lui, che è di queste parti e dopo tanti mesi rive-
de la propria casa, non sfugge la fredda accoglienza iniziale, anche se
cerca di giustificarla, e riflette che « qui, fino a ieri, ci stavano gli usta-
scia, anch'essi sistemati per le case; che il paese, posto sopra una specie
di confine fra due mondi, è un albergo per forza, costretto ad ospitare
tutti gli eserciti che passano; e perciò la gente è diventata completamen-
te indifferente a qualsiasi esercito ».8
Qualche « buon giorno » e sguardi curiosi dai cortili, dalle finestre,
dai marciapiedi, mentre passa la colonna dei combattenti che, se non
fosse per le armi che portano, si direbbero un corteo di straccioni.
«Così passa il primo giorno. Ma i giorni seguenti cancellano le prime
impressioni e ben presto a Vrbovsko e nei villaggi circostanti la brigata
si sente come a casa propria ».
Riunioni del « Cader »
Per fortuna i combattenti vengono lasciati in pace dal nemico, ed
anche i comandi superiori hanno deciso di concedergli un lungo riposo.
Fogli sparsi di appunti. Si legge la direttiva: devono uscire il gior-
nale murale e i Igiornale tascabile; testualmente: « Deve escere G. Murale
e G. Tascabile ». Segue la frase:
«I graduati quando vedono che il compagno è di basso morale e
sporco non si deve lasciarlo lì e allontanarsi anzi avvicinarsi e fare com-
prendere la necessità aiutarlo perché li abbiamo in mano nostra. »
Sembra di riconoscere lo stile di Giordano Paliaga. Subito dopo,
sullo stesso foglio: « Riunione fatta con i Cader (sic!) del IV Btg con lo
Stab Btg 18-11-44. Ordine del giorno. I Rapporto su tutti i problemi
dei repparti. II Organizzazione sulle gare. III Varie ».
6. « Istarska svitanja », pagg. 111 e 112.
203
Quel « Cader » che sta per quadri dirigenti (arriva così trasformata
agli orecchi degli istriani la parola: croata « kadar ») e quello « Stab »
che sta per Comando, sono i termini che vengono ad « arricchire » la
parlata quotidiana.
Si riuniscono, dunque, i dirigenti del Comando battaglione e riten-
gono che «In conclusione lavoro militare va discretamente, dimostra
più volontà la I Compagnia. Quanto politica e cultura non (?) va ancora
bene ».
Altro appunto per la riunione del Comitato di partito del battaglione
(data « 21-11-44 ») con l’ordine del giorno in sette punti: rapporto de!
lavoro per settori e situazione dell’organizzazione; rapporto dei compagni
Commissari; rapporto del « Presidente di Coltura del Btg »; rapporto del
Commissario di battaglione; gara; discussione; varie. Si constata che
nella I Compagnia non c'è stata alcuna riunione del comitato di cultura,
però « il resto lavoro è stato fatto ». Nella II e III Compagnia « riunioni
niente e pochissimo lavoro ». Nel plotone mitraglieri di scorta al coman-
do (negli appunti indicato col curiosissimo neologismo « Prestabe »), la-
voro « scarso ». Si decide: « Ogni 15 e 30 del mese Gio.le Mle e G. T.le »;
il giornale murale e quello tascabile, cioè, devono uscire due volte al
mese. Inoltre, il Presidente del C(omitato) del Big deve sempre fare pre
sente al Commissario di Btg il lavoro da fare in avanti ».?
Spirito emulativo
e idillio con le ragazze
Critica e autocritica, sempre, in ogni riunione. E, nei rapporti scritti,
regolarmente, la mania di accentuare ulteriormente la critica, spia an-
che di un modo schematizzato di esprimersi e di pensare. Così i successi
restano in ombra quasi sempre; i politici non si ritengono soddisfatti
mai. Se un commissario di compagnia o di plotone dice che va tutto be-
ne, rischia di essere criticato in alto per « scarso spirito autocritico »
Ma le gare, lo spirito di emulazione permanente danno pure i loro ri
sultati.
Si fanno sistematici e quotidiani gli addestramenti militari, partico-
larmente le esercitazioni di tiro; si intensifica l'attività ideologico-poli-
tica e si manifesta in varie forme l’attività artistico-culturale. Gradual-
mente i combattenti acquisiscono le cognizioni militari indispensabili
per affrontare le future operazioni nelle quali, oltre alla tattica parti.
giana, sarà necessario applicare tutte le regole di un esercito regolare.
Si fa anche cultura fisica, e sei combattenti del « Budicin » fanno parte
della squadra di calcio della brigata (ma non riescono mai a giuocare
tutta intera una partita per mancanza di fiato).
Quale premio per i risultati ottenuti nelle gare con gli altri bat-
taglioni, i migliori combattenti del « Budicin » ricevono personalmente
da Pajo, il comandante di brigata, il distintivo con l'effigie di Tito.
La sistemazione è soddisfacente. Ogni compagnia è alloggiata presso
una o più famiglie, in case provviste di stufe. Inoltre, almeno nel primo
7. Da annotazioni che, fra altre poche carte del battaglione « Budicin », si conservano presso
il Museo Civico di Rovigno.
204
periodo, i pasti sono regolari seppure razionatissimi. Il contatto quoti-
diano, intimo, con la gente del posto, fa sorgere anche — perché tacer-
lo? — molti idillii fra i combattenti del « Budicin » e le ragazze serbe
e croate. Circola la voce che una ordinanza del Comando supremo pro-
mette sei mesi di licenza a chi contrae matrimonio con ragazze di na-
zionalità diversa. « Questa è la volta buona per noi », scherzano gli
italiani. Invece non ci saranno licenze e solo qualche raro matrimo-
nio sarà celebrato a guerra finita. Se ne conoscono tre, e tutti e tre av-
venuti con ragazze partigiane, anch'esse combattenti del « Budicin ». Il
comandante di compagnia, Domenico Medelin, rovignese, sposerà Clara
Vlahovié, portabandiera della compagnia, ragazza di Fiume arrivata nel
battaglione italiano nel marzo 1945 insieme ad altre compagne, fra cui
Maria di Cittavecchia, la quale sposerà un altro combattente rovignese,
Domenico Antolli.8 Il dignanese Mario Vellico-Musculin, sposerà la ro-
vignese Silvia Fabris.
La guerra è una cosa tremenda, ma non riesce a distruggere nell’uo-
mo l’amore.
Commissario ipnotizzatore
Continua a scarseggiare il vestiario, il rancio è quello che è, ma il
morale dei combattenti rimane alto. Si organizzano spettacoli a Vrbov-
sko, Srpske Moravice e in altre località. Il « Budicin » ha un potente com-
plesso corale di ben 30 cantori, una piccola compagnia filodrammatica,
il cornettista Bruno Caenazzo che gareggia con Vittorio Sartori, un fisar-
monicista che è Genio Stila, al secolo Eugenio Rocco, capoplotone che
ha preso il posto di Nello Milotti passato al Comando brigata, e perfino
un ipnotizzatore i cui « numeri » ottengono sempre grandi successi negli
spettacoli. Quest'ultimo è nientemeno che il commissario politico del bat-
taglione, Giordano Paliaga. L'ultimo punto di ogni programma è riser-
vato a lui. I soggetti che sceglie per gli esperimenti — esclusivamente
fra i partigiani — sono costretti a ballare, a cantare e perfino a spogliar-
si sotto il suo flusso magnetico.
«Un soggetto malleabilissimo per lui era un piccolo siciliano, il
quale con le sue mosse bizzarre e con canti popolari siciliani faceva an-
dare in visibilio e sbellicare dalle nisa il pubblico presente. Nondimeno,
l'apice del successo del suo numero lo raggiungeva quando il delegato
politico Rino (si tratta di Pietro Sponza-Balin, rovignese, n. d. a.) della
I compagnia, in un silenzio di tomba nella sala, perdeva completamente
i sensi, la mobilità, e cadeva in catalessi. Ciò suscitava grande emozio-
ne e, fra diversi civili, anche timore. »9
Alcuni, più superstiziosi, dicono addirittura che il commissario Gior-
dano deve avere a che fare col diavolo. Applauditissimo, poi, il numero
del « gallo fumatore ». Fra il pubblico, quando gli spettacoli si danno al.
la Casa di Cultura di Vrbovsko, c'è quasi sempre anche il nuovo com-
missario di brigata Kosanovié, un uomo che i combattenti ricordano
8. Giacomo Scotti, « Maria e Domenico Antolli: una famiglia nata da un amore nel battaglione
Budicin » (La Voce del Popolo, 4 aprile 1964) e «Da Monte Maggiore a Gomirje Domenico
Medelin Uccio » (La Voce del Popolo, 1° aprile 1964).
9. In « Mancano all'appello », pag. 34.
205
« alto, slanciato, capelli e lunghi baffi neri », col petto fregiato dal distin-
tivo di combattente del 1941, nativo di un villaggio della Lika. Prima
dell'inizio delle rappresentazioni, suole tenere discorsi alla gente, par-
lando di lotta, arringando; fa il suo « mestiere », il suo dovere.
Anche il fisarmonicista se la cava abbastanza bene e lo stesso Pa-
liaga lo ricorda in una nota del suo diario: « prendeva la fisarmonica e
suonava diversi pezzi conosciuti che mi faceva ramentare molte cose da
casa e si parlava dei giorni passati come oggi all'altro anno così ci passa
l'ora ed entravo allo Stab e andavo a dormire ». « Stila » è instancabile,
poi, nell'accompagnare i canti del battaglione durante le marce attraverso
i villaggi. Si canta preferibilmente « Bandiera Rossa » ma anche un canto
nel quale i combattenti hanno sostituito una parola:
La guerra voluta dai ricchi
non porta che fame e terror,
abbasso il fascismo e la guerra,
abbasso l'odiato oppressor!
Fin dalla campagna d'Istria, per iniziativa di qualche « ultra », le
ultime parole del primo e del terzo verso sono state sostituite con « pre-
ti » e simili; naturalmente il commissario si arrabbia, perché così si dà
un significato « fuori linea ».
Si canta ogni volta che si può, e non sono soltanto canti partigiani.
È di moda anche la canzone del « cacciatore nel bosco » che incontra la
contadinella e dopo nove mesi... I combattenti sostituiscono la parola
cacciatore con partigiano, contadinella con pastorella e via marciando.
Si canterà sempre, anche nei momenti più difficili, tra un combatti.
mento e l’altro; il canto sostituisce spesso il rancio.
A coordinare l’attività culturale è Benito Turcinovich, l’ex vicecom-
missario, quello che nei fogli di appunti è indicato come il « Presidente
di Coltura ». Nel febbraio del ’45 verrà invece un professore di Fiume,
Arminio Schacherl.
206
CAPITOLO XXIX
IN MISSIONE NEL KORDUN
Sulla sicurezza del « Budicin » e del Comando brigata a Vrbovsko vi-
gilano forti pattuglie che giornalmente si spingono in direzione di Ogu-
lin da dove viene la maggiore minaccia. Interi plotoni si sistemano in
agguato; nei punti strategici sono poste squadre di mitraglieri. Tuttavia,
ad eccezione di un duro scontro sostenuto dal Terzo battaglione l’11 no-
vembre presso Ljubosina e un successivo del 24 novembre che impegna
il Primo battaglione, il mese trascorre senza operazioni militari di ri-
lievo. Il « Budicin » è sempre sistemato a Vrbovsko. Qui avviene anche
il commovente commiato con l'ex comandante di brigata Vitomir $i-
rola-Pajo.
Pajo se ne va
Pajo consegna il comando della « Gortan » al capitano Rade Mrvos,
accingendosi a raggiungere l’Istria per assumere il comando di quel set-
tore operativo. L'ex falegname di Castua che si è meritato i gradi di mag-
giore nella lotta, l'uomo che ha sempre voluto un gran bene ai combat-
tenti del « Budicin », vuole che il battaglione italiano si schieri per por-
gere ai suoi combattenti un saluto fraterno prima di lasciarli.
«Al battaglione schierato sulla meve, Pajo, visibilmente commosso,
rivolse un breve discorso. In quel frangente, la traduzione simultanea
fu superflua, giacché da quell’eroe partigiano non potevano altro che
scaturire dal cuore parole di bontà, di fratellanza, di auspicio di ulte-
riori successi nella lotta contro il comune nemico e infine un arniveder-
ci in Istria. Prima di congedarsi definitivamente, un abbraccio con tutti
noi del Comando, »!
Così nel ricordo del comandante di battaglione Arialdo Demartini
il quale, insieme al commissario Paliaga, non nasconde la preoccupazione
per la partenza di Pajo. Egli ha dimostrato costantemente una spiccata
sensibilità nei confronti del « Budicin » i cui uomini temono ora che la
mancanza di quest'uomo coraggioso e generoso si faccia sentire. In que-
1. « Mancano all'appello », pag. 36.
207
sto veriodo viene a mancare al battaglione un altro uomo prezioso, il
vicecomandante Milan Iskra, inviato in Lika per frequentare un corso
ufficiali. Nelle zone dell'Istria, abitate esclusivamente da croati, nel Car-
so e nel Castuano, a Gumanac e qui nel Gorski Kotar, Iskra è stato inso-
stituibile per la sua conoscenza della lingua croata. E adesso, come si
fa? È l'interrogativo che si pongono soprattutto i dirigenti del battaglio-
ne, preoccupati di fronte alle difficoltà. La non conoscenza della lingua
ostacola gravemente i collegamenti con i comandi superiori. Milan tra-
duceva le istruzioni, gli ordini, le direttive, teneva i contatti giornalieri
con la brigata. E adesso? Le difficoltà non sono soltanto di ordine mili-
tare, e l'origine di molte tra le cose storte che registrerà la cronaca
dei giorni futuri, sta nel problema della lingua: incomprensioni, ignoran-
za o sbagliata esecuzione dei compiti assegnati eccetera. Anche lo sforzo
continuo di superare questo svantaggio va messo nel conto dei meriti
dei combattenti italiani.
Intanto la 43° divisione istriana è al completo nel Gorski Kotar.
Il 21 novembre è tornata dall’Istria la Seconda brigata sistemandosi fra
Lokve—Mrzle Vodice e Vrata col comando a Lokve; la Terza brigata
si è invece spostata nella zona di Karlovac e DreZnice. Anche queste bri-
gate, al pari della « Gortan », hanno sulie spalle una durissima campa-
gna. Col passare dei giorni e con l’infittirsi delle precipitazioni nevose,
cominciano nuovamente a scarseggiare i viveri, gli indumenti non rie-
scono a riparare dal freddo, lo stato sanitario nelle file dei reparti si
aggrava, la situazione generale precipita.?
L'aiuto viene dal cielo
Come affrontare il lungo inverno che nel Gorski Kotar si protrae
sino alla fine di aprile? Come affrontare gli immnienti combattimenti in
queste condizioni? Tutti sono conciati male, ma quelli del « Budicin »
stanno peggio di tutti. Se ne rende conto lo stesso commissario di bri-
gata che, recatosi un giorno presso il comando del battaglione italiano,
ha un lungo colloquio con Demartini e Paliaga, facendosi esporre nei
dettagli la situazione: il morale dei combattenti, il loro equipaggiamento
e il vettovagliamento. Verifica poi personalmente passando fra i com-
battenti:
« Rimase molto male quando li vide vestiti con delle divise vario-
pinte, vecchie, rattoppate e zeppe di pidocchi. Pure le calzature erano
ridotte in cattivo stato: se ne accorse dalle dita che spuntavano dalle
scarpe a più di un combattente. Prima di andarsene, con un fare bene-
vole, ci disse che avremmo risolto in breve il problema del vestianio e
delle calzature. »3
Quelli del « Budicin » accolgono la promessa con scetticismo, ma si
sbagliano. Il problema non riguarda soltanto loro, ed il Comando supe-
2. Per volume di precipitazioni, il Gorski Kotar è al secondo posto in Jugoslavia: 2.892 mm di
acqua in media in un anno! Solo nei mesi di luglio e agosto le precipitazioni scendono al
di sotto dei 200 mm, mentre ottobre segna il primato con 385 mm. Il periodo delle più
intense precipitazioni è compreso fra ottobre e marzo, e in questa epoca esse si manifestano
in forma di neve, la quale cade così abbondante da paralizzare il traffico per lungo tempo,
3. « Mancano ell’appello », pag. 37.
208
riore sta prendendo i provvedimenti per affrontarlo. A Lokve si riunisce
il Comando di divisione facendo un bilancio della situazione. Si rivolge
poi al Comando dell'XI Korpus di stanza nel Kordun:
«Tutti i mostri reparti attraversano una profonda crisi. La neve
e il freddo hanno reso ancora peggiore la situazione. Un gran mumero
di combattenti sono stati messi fuori combattimento, resi inabili per-
ché vanno scalzi e sono malvestiti. Attualmente all'ospedale e all'infer
meria abbiamo 320 combattenti della I e della III brigata, ma ce ne sono
ancora parecchi, nelle brigate, inabili al combattimento ed alla marcia. »
Questo è il brano del rapporto n. 425 del 19 novembre 1944 inviato
dal Comando della 43° divisione a quello del Corpo d’armata. Quest'ul-
timo, tramite la missione militare inglese, si rivolge a sua volta agli Al-
leati chiedendo l'invio di aviorifornimenti: armi, munizioni, uniformi e
calzature invernali, coperte.
Gli aiuti non si fanno attendere. I lanci vengono effettuati nei luo-
ghi indicati da fuochi nel settore di Perjasica. Qui il Comando del Kor-
pus sistema il materiale destinato alla 43° divisione istriana. Al trasporto,
mancando i carri, deve provvedere la brigata « Gortan » per tutta la di-
visione.
Il 22 novembre partono da Vrbovsko il II e il III battaglione che, do-
po infinite difficoltà e scontri con gli ustascia a Tro$marja e Popovo Se.
lo, riescono a trasportare una parte del materiale in due viaggi che si
concludono il 28 novembre e il 2 dicembre. Coperte, vestiti e scarpe. I)
nuovo equipaggiamento accende entusiasmi. Anche i combattenti italiani,
che a questa data sono ancora nelle solite misere condizioni, si vedono
già rivestiti a nuovo. Lo dimostra — esaltazione un po’ ingenua e dovuta
anche alla « carica ideologica » — la lettera che il commissario del « Bu-
dicin », Giordano Paliaga, scrive al suo amico Luciano Giuricin a Ro-
vigno:
«Caro compagno Luciano, dopo molto tempo vengo con questa
lettera a darti mie nuove (...) sia qui che prima, melle varie zone da
noi toccate, dappertutto, la nostra brigata era instancabile. Facevamo
azioni quasi ogni giorno, tanto da mettere all'erta tutti i presidi del
memico. Ed ecco perché non mi era possibile scriverti prima; non mi
era veramente possibile dato che non trovavo un minuto di tempo. For-
se adesso che siamo un po’ in riposo potrai ricevere più spesso notizie
dal tuo amico Giordano. Ti dirò un’altra cosa interessante. Ora il batta-
gliene è quasi al completo, vestito e scarpato all'inglese ed incomincia-
mo ad anmarci sempre più per essere pronti alla nuova e definitiva en-
trata in Istria, che attendete tutti con grande ansia. Giordano. »5
Si presenta come una realtà quello che deve ancora avvenire. Appe-
na il 2 dicembre, dando il cambio ai reparti del II e III battaglione rien-
trati dalla missione con alcuni uomini in meno catturati dagli ustascia
— che così vengono a conoscere le intenzioni dei partigiani, il loro di-
slocamento eccetera — partono alla volta del Kordun anche il I batta-
glione ed il battaglione italiano « Pino Budicin ».
4. Il documento si conserva presso il « Vojnoistorijski institut » di Belgrado, Reg. n. 22-1/5 II,
K. 569.
5. La lettera è pubblicata in « Fratelli nel sangue », pag. 158.
14 Rossa una stela 209
Nel Kordun per i trasporti
Il vicecomandante della brigata Ivan Brozina-Slovan, che ha coman-
dato la prima e comanda pure la seconda spedizione dei « portatori »,
ha nel frattempo informato il Comando della divisione sulle peripezie
vissute. L'itinerario precedentemente percorso — attraverso Popovo Se-
lo, Tro$marja, oltre i fiumi Dobra e Mreznica e la camionabile Karlo-
vac—Ogulin, si è dimostrato pieno di pericoli: gli ustascia hanno scoper-
to la strada e presidiano la zona; gli uomini, impacciati dal carico del
materiale, possono essere bersagliati facilmente dal nemico; anche il
maltempo, poi, ostacola i movimenti. Ma il Comando divisione ha detto
« NO », l'itinerario non si cambia.s Gli ordini vanno eseguiti.
Naturalmente tutto questo i combattenti del « Budicin » non lo san-
no, ed essi si mettono in marcia esultanti, dominati da un solo pensiero:
risolvere finalmente il problema delle scarpe e del vestiario, rimpan-
nucciarsi all'inglese. Via i vecchi stracci!
Nel villaggio di Ponikve, dove staziona un « gruppo di combattimen-
to » locale, alla colonna vengono assegnate le guide. Precisato che i por-
tatori saranno di ritorno col carico il 7 dicembre, Brozina-Slovan ordina
al gruppo di combattimento di disporre agguati per quel giorno in dire-
zione di Ogulin per evitare ai battaglioni eventuali sgradite sorprese da
parte degli ustascia.
Nella notte fra il 4 e il 5 dicembre, dopo aver passato su chiatte il
fiume Dobra ad est del villaggio di Gabrk, superando successivamente a
guado il fiume MreZnica, il « Budicin » e il I battaglione si avvicinano a
Perjasica.
Polenta e ancora canzoni
Nelle sue memorie, il comandante del « Budicin » ricorda le brevi
soste compiute nella marcia: Giordano Paliaga fa esibire il coro del bat-
taglione che canta, oltre agli inni partigiani, anche le canzoni popolari
istriane. Non mancano le classiche « bitinade » rovignesi. In una sosta
più lunga, il commissario spiega ai combattenti che qui, tra Kordun e
Lika, le popolazioni insorsero per prime nell'estate del 1941; fiumi di
sangue sono stati sparsi su queste montagne, ne sono testimoni i villag-
gi bruciati e rasi al suolo.
Dal dicembre 1943 il Kordun è zona libera, sotto il pieno ed esclusi-
vo controllo partigiano. Un tentativo di infiltrazione tedesco-ustascia, nel
maggio 1944, è stato rapidamente stroncato. Sono circa sette mesi, dun-
que, che le popolazioni della zona vivono libere, funzionano regolarmente
una sessantina di scuole, un’ottantina di officine, trenta amministrazioni
comunali popolari, duecentocinquanta comitati popolari di villaggio.
« Finalmente, eccoci arrivati a Perjasica, accolti con grande simpa-
tia dalla gioventù femminile antifascista, la quale, neanche avesse sa-
puto ciò che tanto desideravamo, ci offrì abbondanti razioni di polenta.
Approfittammo di quel breve soggiorno nel Kordun per affratellarci con
la gente che all’inizio ci guardò con meraviglia sentendoci parlare e can-
tare in lingua italiana; perché era stata avvezza, tempo addietro, a sen-
6. « Borbeni put prve istarske brigade », pag. 211.
210
tire l'occupatore parlare nel nostro idioma. Ma ora ciò che contava
erano gli ideali di libertà che ci accumunavano, e non la lingua.
Dopo aver pernottato nel paese, l'indomani indossammo le nuove
fiammanti uniformi paracadutate da aerei inglesi. Ci guardavamo reci-
procamente soddisfatti. Se non fosse stato per la bustina con la stella
rossa, ‘il nemico ci avrebbe potuto scambiare per dei soldati inglesi. »
Così Arialdo Demartini.? L'ex combattente Pietro Benussi-Rino, a
quell'epoca referente sanitario del battaglione, ricorda a sua volta questo
episodio ed altri in una quarantina di pagine dattiloscritte.? bis All'arrivo
del battaglione, all'alba, dopo una marcia faticosa ma spedita, vengono
dati ordini precisi per il carico:
« Ognuno di noi, oltre ad equipaggiarsi di una completa divisa nuo-
va, doveva prenderne in consegna un'altra che doveva servire all'equi-
paggiamento di un altro battaglione della nostra brigata (...). Quindi
ognuno di noi prese in dotazione una divisa per sé completa di indu-
menti intimi di grossa lana e scarpe, e una supplementare per i compa-
gni dell'altro battaglione. »
Così, spogliati i vecchi stracci, ogni combattente indossa due divi-
se; anche le vecchie scarpe vengono sostituite con le nuove. Un secondo
paio si appende al collo. Sulle spalle, infine, ciascuno dovrà portare, con
le armi, due coperte arrotolate.
Una volta indossate le nuove divise, qualcuno si « arrangia » con ie
vecchie per rifornirsi di tabacco e di altri viveri. « /{ paese che ci ospitò
era un piccolo e povero villaggio di campagna che portava i segni evi-
denti dei sacrifici provati nel corso di questa immane lotta ». È ancora
Rino a scriverlo. « Qui ci ristorammo con quel tanto che quella povera
gente poteva offrirci. Ci riposammo qualche ora...». All'alba del 6 di-
cembre comincia la marcia di ritorno. Il battaglione è accompagnato da
una guida.
I combattenti sono impacciati nei movimenti, sudano sotto il cari-
co, è una fatica tremenda scalare con tutta quella roba addosso le alte
e fangose scarpate e passare i fiumi. Le divise e le facce si imbrattano
ben presto di fango. In coda alla colonna del battaglione italiano marcia
il commissario Giordano Paliaga che incita continuamente i compagni,
per imprimere al movimento un ritmo regolare. Ogni tanto si porta in
testa per riferire al comandante di battaglione che là, in coda, i porta-
tori danno segni di stanchezza. « Ma se siamo appena all’inizio », ribatte
Demartini. E poi, non è lui a dirigere la marcia, ma il vicecomandante e
il vicecommissario della brigata. « Avanti! Avanti! ».
La marcia continua, le soste sono brevi, solo cinque minuti ogni tan-
to per riprendere fiato. Così si va avanti anche durante la notte e senza
mettere nulla in bocca per calmare la fame. Nei brevi intervalli di riposo
i combattenti precipitano istantaneamente nel sonno, vinti dalla stan-
7. « Mancano all'appello », pagg. 38—39.
7 bis Testimonianza rilasciata nell'agosto 1974, su invito del Centro di ricerche storiche di
Rovigno, dove il manoscritto si conserva. Il protagonista, rovignese di nascita, classe 1920,
fu combattente del « Budicin » dalla costituzione del reparto fino al settembre 1945, congedato
col grado di sottotenente commissario di compagnia. Attualmente risiede a Torino, operaio
tornitore alla Fiat.
211
chezza. Dopo alcune di queste soste, nel rimettersi in marcia, più di un
combattente del « Budicin » si accorge di non portare più le scarpe al
collo. Che succede? Racconta Pietro Benussi-Rino:
«Strada facendo, durante la notte, la guida, approfittando della
stanchezza dei compagni che si appisolavano durante i momenti di so-
sta, tagliava i lacci delle scarpe che portavano al collo e le buttava nei
cespugli. Di questo fatto si accorse il comandante di compagnia Spar-
‘taco Zorzetti, il quale riferì al commissario di battaglione e Giordano
Paliaga, a sua volta, avvertì il comandante di battaglione compagno
Arialdo Demartini. Questi, prima di prendere i provvedimenti del caso,
volle accertarsi della veridicità del fatto...»
Ha il sospetto, Demartini, che le lagnanze siano dei pretesti; qual-
cuno vuole alleggerirsi e butta via la roba. Il fatto però si ripete, i deru-
bati si moltiplicano. Il comandante prende misure di vigilanza e, fina-
mente, controllando i movimenti della guida durante una sosta, commis-
sario e comandante di battaglione prendono il ladro con le mani nel sac-
co. È proprio la guida! L'uomo viene arrestato, disarmato, legato e, pre-
so in consegna da Demartini, è messo sotto scorta in testa al battaglione.
La marcia riprende. Ora, al fianco del comandante del « Budicin » cam-
mina il vicecomandante della brigata. Brozina vuol essere sicuro che non
avvengano altre sorprese. Invece...
Scappa la guida
Ricorda Rino: « II bosco era fittissimo, eravamo avvolti in un buio
pesto; a tratti, per non perdersi, i combattenti si tenevano per il pastra-
no. A un tratto si udì una raffica di mitra provenire dalla testa della co-
lonna. Giordano corse avanti per accertarsi di cosa stava accadendo... ».
Diamo la parola al comandante. È stato lui a sparare la raffica di mitra:
«Ad un itratto vedemmo la guida, con un balzo felino lanciarsi den-
tro la boscaglia prima che potessimo fermarla. Istintivamente, con a.
cuni combattenti, mi lanciai all'inseguimento per riacciuffarla, ma riù-
scì a sgattaiolare via. Gli sparammo alcune raffiche di mitra per inti-
morirlo, affinché si fenmasse, ma intuendo la severa punizione che lo
attendeva, si dileguò mel fitto bosco. Allora Slovan, per non attirare
con ulterioni spari l’attenzione del nemico, dette l'ordine di non sparare
e di desistere dall'inseguimento. »8
Il fatto avviene alle 05,00 del mattino del 7 dicembre sul tratto di
strada fra Gornja Dubrava e Gojak. La marcia continua, ma l’inquietu-
dine serpeggia in tutti. Come ce la caveremo? È la domanda che ciascuno
si pone, rendendosi conto della difficoltà per il battaglione di proseguire
sicuro senza il prezioso aiuto della guida in una zona completamente sco-
nosciuta e forse infestata di ustascia. E se la guida, oltre ad essere un
ladro, è anche un traditore o addirittura un agente del nemico?
Continuando la marcia, i battaglioni si fanno strada a stento attra-
verso il bosco. « La strada era impervia » — scrive Pietro Benussi — « a
8. In « Mancano all'appello », pag. 40. Cfr. pure « Put prve istarske brigade » (pag. 212), « Fra-
telli nel sangue » (pag. 261) e « Istarska svitanja » (pag. 117).
212
tratti c'era la neve e a tratti pozzanghere di fango coperte da un leggero
strato di ghiaccio. Ad un certo punto abbiamo attraversato un fiume »
(è il Dobra, all'altezza di Gojak) « e î compagni si aiutarono con l'arma
a mo' di bastone per cercare nell'acqua una posizione sicura dove po-
sare il piede e quindi evitare un'eventuale caduta nelle gelide acque »9
Data la bassa temperatura, però, ben presto sulle armi si forma un'in-
crostazione di ghiaccio. Gli uomini, ripresa un po’ di fiducia, continuano
più spediti la marcia. Intanto comincia ad albeggiare.
Nel frattempo, grosse formazoni ustascia si sono portate da Ogulin
verso Bosiljevo, disponendo una parte delle forze sulle quote 409 e 327
a sud-ovest di Popovo Selo. È il villaggio, questo, nelle cui immediate vi-
cinanze arrivano i battaglioni partigiani dopo qualche ora di marcia do-
po il passaggio del Dobra. Il vicecomandante di brigata e capo della spe-
dizione ignora, ovviamente, la dislocazione delle forze nemiche, ma è
certo di trovarsi in una zona pericolosa. Ivan Brozina-Slovan ha scritto:
«La marcia continuò secondo tutte le regole militari; il Primo Bat-
taglione spinse avanti la pattuglia d'avanguardia, la squadra di testa
e forti reparti fiancheggianti (una compagnia su ogni lato) ed il Quarto
battaglione provvide ‘alla retroguardia di sicurezza. Quando la pattu-
glia di avanguardia raggiunse la strada Ogulin—Popovo Selo, a monte
del villaggio di Gojak, alcuni contadini delle case poste sulla strada ci
dissero che quel giorno erano passati di lì gli ustascia diretti verso
Trosmarja e Bosiljevo. »10
Una delle incognite finalmente sparisce e ottiene conferma il dubbio
che gli ustascia aspettano il passaggio dei battaglioni. La guida fuggita
da circa un'ora, quel ladro di scarpe scampato alla fucilazione, ha avuto
tutto il tempo di informare il nemico. Ma dove questi si trova precisa-
mente? I contadini del luogo sanno dire soltanto che bande ustascia
stanno perlustrando la zona. Il comandante del battaglione italiano pren-
de i provvedimenti del caso: dà ordine alla compagnia comandata da
Spartaco Zorzetti di proteggere il fianco destro del « Budicin » ed or-
dina pure che una pattuglia preceda a distanza la testa della colonna,
manovrando in senso opposto alla posizione segnalata come probabile
del nemico, in maniera da evitare uno scontro che per i partigiani può
essere disastroso.
Di fronte al dilemma
Nelle file dei combattenti, stanchi della lunga marcia e impacciati
sotto il carico, l'atmosfera comincia a farsi sempre più opprimente. Il
volto degli uomini è segnato dallo sfinimento e dall’apprensione. Un in-
contro col nemico è l’ultima cosa che ci vuole in queste condizioni: la
neve copre la terra a larghe chiazze, la temperatura rimane a parecchi
gradi sotto lo zero; le armi infangate e incrostate di ghiaccio non danno
9. Vedi nota 7 bis.
10. In « Put prve istarske brigade », pagg. 212—213.
213
affidamento, possono incepparsi. Il nemico, invece, è preparato alla cac-
cia, mobilissimo, ed è vicinissimo alla propria roccaforte, Ogulin. Che
fare? Racconta Rino:!!
«Man mano che i raggi solani intiepidivano l'atmosfera, una leg-
gera coltre di nebbia si calava nel bosco, riducendo la scarsa visibilità
che il bosco stesso offniva, rendendolo apparentemente tranquillo. Ad
un certo punto, in una breve radura, il comandante diede l'ordine di
fermarsi, per concederoi un po’ di riposo e rendersi conto della situa-
zione. »
Stando alla versione del comandante della colonna e cioè il viceco-
mandante dela brigata, si pongono due soluzioni. La prima è di fermarsi
presso Gornja Dubrava, tra il fiume Dobra e la camionabile Ogulin—
Karlovac e attendere la notte. La seconda è di continuare la marcia nella
direzione prestabilita. Ivan Brozina-Slovan rigetta la prima e sceglie la
seconda proposta, correggendo tuttavia la direttrice di marcia; invece
di puntare verso Trosmarja e Bosiljevo, indirizza la colonna oltre la stra-
da a sud-ovest di Popovo Selo. Ha forse dimenticato che proprio a Po-
povo Selo, il 25 novembre, al ritorno dalla prima missione, il III batta-
glione ha avuto uno scontro con gli ustascia? No, non lo ha dimenticato,
ma non cambia decisione.
Il comandante del battaglione italiano testimonia:
«Dopo aver attraversato un ponticello in muratura, su di un corso
d'acqua, riprendemmo la marcia normale, percorrendo allo scoperto
un breve tratto di strada serpeggiante. Poi, di nuovo per il bosco su
un ‘tenreno prevalentemente in salita, intersecato ogni tanto da un sen-
tienro 0 stradicciola di cammagna. In un dato momento il vice coman-
dante di brigata ci fece invertire la rotta. Supponemmo che volesse
evitare uno scontro diretto con un nemico fresco, di certo mumerica-
mente superiore e soprattutto con perfetta conoscenza del terreno. »
«...Assonto nella mia meditazione, mi sentii battere con la mano
alla spalla: era Giordano, e voleva esprimermi lo stato d'animo dei co-
mandi di compagnia e dei combattenti che ritenevano oltremodo ri-
schiante un eventuale scontro con il nemico in quelle condizioni ...»12
Il comandante di battaglione risponde al commissario che è meglio
non pensarci troppo; l'ordine è di proseguire e bisogna ubbidire: « Sc
dipendesse da me, farei subito marcia indietro ». Paliaga scuote la testa
e torna al suo posto in coda. Entrati i battaglioni nella zona pericolosa,
i dirigenti della brigata danno le istruzioni: il I battaglione, guidato da
Mate Luksié, « uno dei migliori comandanti di battaglione », deve pren-
dere possesso di una quota sulla quale si suppone sia attestato il nemico,
ricacciarlo e permettere al resto della colonna il proseguimento indistur-
bato della marcia. Il « Budicin » continua la marcia in colonna, spingen-
do sul lato destro l’intera Prima compagnia, al comando di Spartaco Zor-
zetti, a difesa del grosso del battaglione italiano.
11. Vedi nota 7 bis.
12. In « Mancano all'appello », pagg. 40—43.
214
Nella trappola degli ustascia
Mentre così prosegue la marcia, si sente un crepitio di mitragliatrici
e un'intensa sparatoria di fucili in direzione della quota assegnata al
I battaglione.
« Sussultai ... Quanto temevamo si stava avverando — è ancora
Demartini a testimoniare. — Il nemico era già in postazione. Aveva
atteso che i combattenti del I si portassero a portata di tiro per aprire
il fuoco e scattare all'attacco. Nelle condizioni disagiate e l'inferiorità
in cui si trovavano, i partigiani del I battaglione non furono in grado
di opporsi all'assalto nemico; li vedemmo, davanti ai nostri occhi, riti-
rarsi precipitosamente con gli ustascia alle calcagna. Più di uno di loro,
per non cadere vivo nelle mani del nemico, si liberò del fardello: co-
perte, scarpe e perfino l'arma. Assieme a loro vedemmo pure il vice
commissario di brigata Anton... »13
Il referente sanitario Rino testimonia:
« Tutto accadde all'improvviso, proprio quando la stragrande mag-
gioranza dei combattenti, stanchi di quella lunga marcia, si erano ap-
pisoliti. Ad un tratto sentimmo il crepitìo delle prime raffiche di mitra,
accompagnate da urla incomprensibili. Gli ustascia ci stavano attaccan-
do, buttandosi sul battaglione come belve, urlando ed imprecando con-
tro di noi, assalendo i combattenti quasi inermi e senza la possibilità
di reagire, con armi automatiche e all'arma bianca. Era evidente che il
nemico, dopo aver controllato tutti i nostri movimenti, ci aveva teso
un agguato; ed in questi casi è sempre la sorpresa a decidere le sorti
della battaglia. Pochi ebbero il tempo di rendersi conto di ciò che stava
accadendo. Vidi um fuggi-fuggi generale. In quel momento pensai: è la
fine! Io, il commissario Giordano, il mio aiutante Pietro Trevisan di
Dignano e il compagno Stefano Paliaga fratello di Giordano, vista la si-
tuazione, ci precipitammo in senso opposto all’attacco, sparando qual-
che colpo per proteggere la nostra ritirata e per cercare di portare con
noi tutto ciò che avevamo in consegna. Nella corsa sfrenata, accom-
pagnati da ùna pioggia di proiettili che sibilavano da tutte le parti, sen-
timmo qualcuno che chiedeva aiuto: era il compagno Giordano Chiurco
che non ce la faceva a correre; le fasce che gli avvolgevano i polpacci
si erano sciolte e gli impedivano i movimenti delle gambe. Ci fermammo
e lo aiutammo alla bene e meglio, non so come ce la siamo cavata, ad
ogni modo ci portammo fuori tiro... »14
Il vicecomandante di brigata, Ivan Brozina-Slovan, descrive lo scon-
tro in poche frasi:
«Il Primo battaglione, invece di sferrare un enegico attacco, co-
minciò a ritirarsi. Il Quarto battaglione nel frattempo aveva aggirato
dal lato sud-ovest la quota occupata dal nemico. Quando il nemico aprì
il fuoco, anche il Quarto battaglione prese a ritirarsi invece di accettare
battaglia, »15
13. Ibidem.
14. Vedi nota 7 bis.
15. In « Put prve istarske brigade », pag. 213.
215
Il comandante del Quarto battaglione afferma, invece:
« Quel quadro poco edificante che si presentò al nostro cospetto in-
fluì negativamente sul morale di noi combattenti del ’Budicin”. Non
ebbi neanche il tempo di meditare, di prepararmi a reagire, che il ne-
mico attaccò la nostra retroguardia proprio quando ci trovavamo in
una piccola radura. Gridai con quanto fiato avevo di accelerare la marcia
nell'intento di sottrarci al fuoco nemico e trovare il terreno adatto per
appostarci e difenderci. Purtroppo, nell'eseguire quest'ordine, cademmo
in pieno in un'imboscata. Da tutte le parti una visione raccapricciante:
ustascia inferociti, con pugnali in mano, lancio di bombe e urla selvagge
ci piombavano addosso... Sebbene fossimo ancora in formazione di
marcia, circondati e assaliti da tutti i lati, detti l'ordine di sparare. Ci
difendevamo come potevamo. Scorsi per un attimo il comandante di
compagnia, Domenico (Medelin, n. d. a.), ‘il vicecommissario Mario (Je-
dreicich, n. d. a.) con il delegato Ferruccio (Pastrovicchio, n. d. a.) ed
il combattente Benito (Turcinovich, n. d. a.) che si difendevano sparan-
do in piedi, poi li persi di vista, mentre, nello stesso istante vidi cadere
colpiti da raffiche di mitra diversi compagni che erano al mio fian-
co... ».16
Testimonianze e odissee
Fra gli altri uomini che il comandante del « Budicin » vede cadere
al suo fianco c'è l'ufficiale operativo del battaglione, Crepaldi. Vorrebbe
soccorrerli, ma non ne ha il tempo, è sorpreso alle spalle dagli urli e
dagli spari di un gruppo di ustascia che gli si lanciano alle calcagna per
acciuffarlo vivo. Sente infatti distintamente gridare: « Uhvataj ga zi-
vog! ». Probabilmente i fascisti hanno riconosciuto sulla divisa inglese
del partigiano i gradi di comandante. Continuando la corsa, spremendo
ogni atomo di energia, Demartini riesce a distanziare gli inseguitori.
Questi, per non perdere la preda, si decidono ad aprire il fuoco. Lascia-
mo al protagonista la parola:
« Sentii un dolore acuto sotto l'ascella. Istintivamente posi la mano
sulla parte dolorante del mio corpo, dla ritirai, era intrisa di sangue.
Pare incredibile, alla vista del sangue mi si centuplicarono le forze.
Con alcuni balzi a zig-zag feci perdere le mie tracce, trovandomi vicino
al graduato Bruno (Caenazzo, n. d. a.) con alcuni dei suoi uomini che,
vedendomi ferito, vollero soccorrermi. Dissi loro di non badare a me
perché la ferita non mi sembrava tanto grave. Tuttavia dovettero sor-
reggermi perch'io potessi proseguire. In quell'istante corse in mia dire-
zione il vicecomandante di brigata Slovan, che come me, in quei ter-
ribili momenti non era in grado di tenere in mano la situazione. Ci
scambiammo alcune parole, poi non lo vidi più. »17
Il combattente Mario Deltreppo, furiere del battaglione testimonia:
« Fummo attaccati di sonpresa e circondati. Avrebbe potuto succe-
dere un massacro. Ma ancora una volta i comandanti del "Budicin” si
dimostrarono all'altezza del momento cruciale. Riuscimmo ad uscire dai
cerchio. »18
16. Vedi nota 12.
17. Ibidem.
18. Mario Moscarda, « Davanti ai pugnali ustascia » ne « La Voce del Popolo » del 2-1IV - 1964.
216
Ma in che modo, ed a quale prezzo? Arialdo Demartini offre in pro-
posito una descrizione dettagliata che qui sintetizziamo. La situazione
sta rapidamente precipitando a danno del « Budicin »; il battaglione ri-
schia di essere totalmente annientato. I combattenti unitisi al coman-
dante riescono ad aprirsi un varco facendo buon uso delle poche armi
efficienti, ma anche nei boschi gli ustascia incalzano i gruppi sparsi.
Molti combattenti cadono a terra esausti, si deve sollevarli di peso per
poter proseguire. Intanto la II compagnia guidata da Zorzetti.ha ingag-
giato una furiosa battaglia con forze preponderanti nemiche, nel tenta-
tivo disperato di resistere sul lato destro del battaglione. L’eroica resi-
stenza, però, viene sopraffatta dagli ustascia e quasi tutti gli uomini
del reparto, fra questi il commissario Domenico Biondi-Lucio, fanno una
fine atroce. Soltanto Zorzetti ed altri quattro combattenti riescono mira-
colosamente a svincolarsi dalla morsa mortale.
Terribili momenti passano anche le altre compagnie con il commis-
sario e vicecommissario di battaglione. Pietro Matticchio di Gallesano
racconta:
«...fummo circondati. Mio fratello Romano si trovava a una de-
cina di metri quando venne colpito. "Salvite, Piero!”, gridò. Le sue ul-
time parole. Trovai riparo dietro un masso. Vi rimasi rammicchiato, fiu-
cile mitragliatore tra le gambe, quattro giorni e quattro notti. Quando
alfine mi alzai, non riuscivo a raddrizzarmi, rotolai diverse volte. Ero
privo di forze, da quattro giorni non mettevo niente in bocca. Incontrai
una vecchia e le chiesi: "Dove non ci sono ustascia e tedeschi?”, Man-
giai del lardo, erano sei mesi che non vedevo sale... mi colse la dis-
senteria. Finii all'ospedale. Sono alto un metro e 85, peso 95 chili; al-
lora ne avevo trenta ».19
Diamo ancora la parola a Mario Deltreppo:
« Nel tentativo di sottrarmi all'accerchiamento nemico, caddi in
un'imboscata. Gli ustascia mi intimarono di fermarmi ed arrendermi,
ma io continuai a correre più che potevo e, dopo sforzi inauditi riuscii
ad allontanarmi dal luogo del combattimento, però sempre con gli usta-
scia alle calcagna. L'unico pensiero che assillava la mia mente era l'ar-
chivio del battaglione che portavo appresso, in un capace zaino. In ner
sun caso doveva cadere nelle mani del nemico... Ad un tratto mi man-
carono ile forze e, sfinito, persi i sensi e caddi a terra. Quando rinven
ni, vidi il vicecomandante di brigata Slovan ed il vicecommissario di
brigata Racki, i quali mi aiutarono a proseguire il cammino assieme
ad altri combattenti. Arrivammo in un villaggio dove c'erano gli usta
scia. La gente, allora, ci nascose nel solaio. Sul far del giorno uscimme
di soppiatto, proseguendo la marcia. Dopo alcune ore, raggiungemmo
Stubice dove trovammo agqquartierato il resto del battaglione. »20
Riprendiamo la testimonianza di Pietro Benussi-Rino:
« Mentre stavamo riitirandoci, vedemmo un compagno del I batta
glione anche lui disperso. Era un giovane istriano croato, e quindi sa-
peva parlare sia il croato che l'italiano. Questo, a noi, ci fu di grande
19, Ezio Mestrovich, « Rievocazioni di ex combattenti del Budicin nel XXX del Battaglione » in
« Panorama » n. 5/15 marzo 1974.
20. Testimonianza inedita, fornita dal protagonista agli Autori e conservata presso il Centro c*
ricerche storiche di Rovigno.
217
aiuto. Mentre stavamo dialogando per avere delle informazioni sul con-
to del battaglione al quale lui apparteneva, sentimmo a distanza l'’inti-
mazione di fermarsi: "Stoj!”. Ci voltammo e vedemmo a poche decine
di metri, forse un centinaio, una ventina di ustascia che ci stavano pe-
dinando. Alla vista di questi uomini, nicominciammo a correre. Alle no-
stre spalle ebbe inizio un fuoco d'inferno. Fortunatamente, a pochi me-
tri, vi era una strada carraia che svoltava a destra nel bosco, fancheg-
giata da un'altura che ci dava un valido riparo. Ci infilammo di corsa,
cercando di far perdere le nostre tracce, ponendo i piedi qua e là dove
la neve si era sciolta. Dopo una breve corsa, ci mettemmo al passo. Il
gruppetto camminava in fila indiana, silenzioso per non farsi sentire,
quando percepimmo degli strani mumori; sembravano suoni emessi da
qualcuno, dei segni convenzionali, perché si ripetevano da una posizione
all'altra. Provenivano da un'enorme conca boscosa a noi sottostante,
sul lato destro, mascherata da una fitta nebbia. Di lì a pochi istanti,
si udì l'implorazione di "Aiuto, mamma!” accompagnata da qualche raf-
fica di mitra. Poi più nulla. Non si udì e non si vide più nulla. Non
saprò mai chi fu lo sfortunato compagno. Ci guardammo in faccia l’un
l’altro sgomenti. Era evidente: ci davano la caccia come tanti amimali.
Qualcuno di noi cercò di pronunciare una parola, ma immediatamente
fu zittito dal compagno Giordano. Sul lato sinistro, il bosco si arram-
picava su per la collina abbastanza ripida. Prendemmo quella via, ar-
rampicandoci su per il pendìo. Dopo un bel po’, quando ci sembrò di
essere più o meno al sicuro, ci fermammo per riposarci. Eravamo tutti
immersi nei nostri lugubri pensieri. Per prima cosa pulimmo le armi
per renderle efficienti nel caso di qualche sgradita sorpresa. »21
Intanto la fame comincia a farsi sentire. Per fortuna, Rino ha nello
zaino qualche pezzo di pane racimolato fra i contadini nel Kordun in
compenso di un paio di iniezioni antireumatiche praticate a quella gente.
Lo
tur
tira fuori e cerca di dividerlo in parti eguali fra i compagni di sven-
a. Lo divorano in un batter d'occhio, spegnendo poi la sete con una
manciata di neve, rimettendosi in cammino.
21.
218
« Arrivati quasi alla sommità della collina, sentimmo un tintinnio
di campanaccio. Pian piano ci portammo avanti. Davanti a noi si pre-
sentò un vasto prato dove alcuni armenti stavano pascolando, brucando
qua e là qualche scarso ciuffo d'erba, là dove la neve si era sciolta.
Sullo sfondo ssi intravvedeva un piccolo villaggio. Giordano, assieme al
compagno croato, si portò avanti per chiedere informazioni, mentre noi
prendemmo posizione per far loro copertura con le armi. Li vedemmo
dialogare con qualcuno e dopo qualche minuto ci fece cenno di portarci
avanti. Sempre con le armi spianate, per tema di qualche tranello, en-
trammo tutti nel villaggio. Ci dissero che avevano sentito degli spari
in lontananza, ma gli ustascia non si erano fatti vedere. Le organizza-
zioni del luogo ci diedero una guida e quindi ci nimettemmo ‘in marcia.
Dopo un paio d'ore arrivammo in un altro villaggio dove, con nostra
grande gioia, trovammo altri superstiti del battaglione, una trentina di
compagni tra cui il comandante Arialdo che aveva una leggera ferita ...
Ci fermammo tutta la notte per riposarci. Il giorno dopo Arialdo radu-
nò i superstiti e, accompagnati da una guida, ci rimettemmo in marcia
verso la nostra base. Eravamo avviliti. Avviliti soprattutto per la per-
dita di tanti compagni. »
Vedi nota 7 bis.
Per fortuna non tutti gli assenti sono caduti. E non tutti i compagni
catturati dagli ustascia sono stati fucilati. Due o tre sono stati condotti
a Ogulin. È il caso di Carlo Bertocchi, capodistriano, combattente del
plotone comandato da Ferruccio Alberti e Ferruccio Pastrovicchio. Rac-
conterà nel dopoguerra:
«Sorpresi e attaccati in forza dagli ustascia, nell'impossibilità di
opporre resistenza, tentai, assieme ad altri compagni, di pormi in salvo
con la fuga. Ricordo che il vicecommiissario di brigata sparò alcune raf-
fiche di mitra contro i nemici che ci stavano inseguendo a distanza
ravvicinata; in tal modo il gruppo riuscì a distanziare gli ustascia, meno
io che, essendo rimasto ferito, venni catturato vivo. Condotto a Ogulin,
dopo aver subito diversi interrogatori, venni assegnato come sguattero
nella loro cucina. Stessa sorte toccò al combattente del nostro reparto
Bruno Menis di Isola. In aprile del 1945, allorché il "Budicin” entrò
vittorioso ad Ogulin, rientrammo nei ranghi della nostra unità. Mentre
io combattei fino alla vittoria finale, il compagno Menis cadde a Lokve
o Gumanac. »22
Il battaglione decimato
Le perdite complessive subite dai reparti della « Gortan » sono pe-
santissime: una quarantina tra morti e dispersi, senza contare i feriti.23
I vuoti sono quasi tutti nelle file del battaglione « Budicin » che risulta
letteralmente decimato, altra prova che sulle spalle dei suoi combattenti
è caduto il peso maggiore dello scontro; essi si sono trovati praticamente
soli di fronte alla valanga nemica, anzi: nel cerchio del nemico.
Di chi la responsabilità? La domanda viene posta, a nome di tutti,
dal corrispondente di guerra della brigata Vladimir Kolar. La guida, dice,
è fuggita da un'ora « ed il nemico, informato, ha avuto tutto il tempo di
inviare forti reparti a Popovo Selo per attendere il nostro arrivo ». Che
cosa doveva decidere il comandante della colonna partigiana in tali fran-
genti?
«In guerra è una grave responsabilità prendere decisioni, special-
mente quando si deve prenderle all'improvviso e subito. Il vicecoman-
dante della brigata, che guidava i battaglioni in quella missione com-
plessa e difficile, fece quanto di meglio potè e seppe fare. La sua deci-
sione di modificare la rotta era logica dopo le informazioni sulle forze
nemiche e le sue intenzioni. Ma doveva proprio cambiar direzione verso
Popovo Selo? Forse ce la saremmo cavata meglio se la colonna avesse
continuato per la vecchia strada, ingannando il nemico e addirittura ri-
chiamando su di sé l'attenzione con l’invio di forze minori verso Po-
povo Selo? Resta il fatto che le nuove uniformi e scarpe costarono care
alla brigata. »24
22. Testimonianza scritta per il Centro di ricerche storiche di Rovigno, dove si conserva.
23. Volutamente abbiamo evitato di indicare cifre precise, perché le varie fonti, in proposito,
sono contrastanti. In « Put prve istarske brigade » (pag. 212), Ivan Brozina-Slovan scrive:
« Nel corso dello scontro caddero dieci combattenti e dirigenti e numerosi altri scomparvero,
in maggioranza del IV battaglione ». In « Fratelli nel sangue » (pag. 262) si afferma che la
battaglia « costò al battaglione (italiano) la perdita di 27 combattenti tra morti e dispersi »,
mentre «il I battaglione ebbe dieci morti ». In « Borbeni put 43, istarske divizije » (pag.
202) si dice che «i battaglioni subirono notevoli perdite: 25 morti, 10 dispersi ». In « Mancano
all'appello » (pag. 45) si parla di «una trentina di compagni combattenti tra morti e di-
spersi » nel battaglione italiano e « diversi i feriti ». Tutte le fonti concordano in un punto:
« Non si conoscono le perdite del nemico ».
219
È l'amara riflessione che fanno appunto i dirigenti e combattenti
del « Budicin », rimasto praticamente con due compagnie. Non faranno
più ritorno: Domenico Delcaro, Giovanni Demori, Romano Matticchio,
Giordano Capolicchio, Giordano Delmoro, tutti gallesanesi e tutti gio-
vani di poco più di vent'anni (Matticchio ne ha diciotto) e Mario Puhar
(Poccari), polese. Morti e dispersi pure un triestino che Pietro Benussi-
Rino ha avuto come compagno di equipaggio sull’incrociatore « Eugenio
di Savoia «, il milanese Giovanni Crepaldi, sottotenente e ufficiale opera-
tivo del battaglione, ed i rovignesi Remigio Devescovi, capoplotone, Do-
menico Biondi-Lucio, commissario di compagnia, Silvano Curto-Brusa,
caposquadra, e ancora Pietro Ive, Roberto (Pietro) Dandolo e Giorgio
(Gino) Massarotto, giovani anch'essi fra i diciotto e i venticinque anni.
Anche altri mancano all’appello.85
Breve la storia partigiana di Mario Poccari-Puhar (diciannovenne) ed
emblematica. Già impiegato al cantiere navale De Marchi (oggi « Stella
Rossa ») collaborando con il movimento antifascista, passa nelle file par-
tigiane nel febbraio 1944 e, insieme ad altri 21 polesi, entra dapprima nel
I battaglione d'assalto della « Gortan » e poi nel « Budicin ». In marzo ar-
riva il fratello Carlo e, in giugno Giuseppe, il terzo fratello. Quest'ultimo,
chiamato da una lettera di Mario che lo ha invitato a seguirlo «in bo-
sco », finisce nel III battaglione. Racconta Giuseppe:
« Un giorno, durante i nostri spostamenti col Comando, arrivammo
a Gumanac. Io sapevo che lì, nel campo d’aviazione, c'era mio fratello
Carlo e desideravo tanto vederlo. Così, arrivato sul posto, mi recai dal
comandante per avere il permesso di incontrarlo. Mi risposero che lo
avevano seppellito due giorni prima. Era stato mandato in paese a ca-
vallo per avere dei viveri. S'imbattè in alcuni tedeschi, ne uccise due, ma
ci rimise la vita. Il cavallo tornò al campo da solo e lui lo trovarono morto
nei pressi del paese... Venne l'inverno, l'inizio di dicembre 1944... Una
colonna di partigiani ci raggiunse; andavano in fretta. Era la compagnia
di mio fratello Mario. Così ci incontrammo e ci abbracciammo con pro-
fonda commozione. Lui era malvestito, gli diedi una coperta e delle pa-
tate cotte. Questo è l’ultimo ricordo che ho di lui. Dopo poco tempo il
commissario mi chiamò per annunciarmi che anche Mario era caduto ».
Tre fratelli partigiani, due caduti. Ma quanti sono i caduti di Popovo
Selo? Un bilancio è ancora oggi impossibile.
Può mai consolare il motto che, in fondo, « in ogni guerra è l’ultima
battaglia quella che conta »? Il pensiero dei combattenti che riescono
finalmente a raggrupparsi in alcuni casolari di una località di cui nes-
suno saprà mai il nome, dove possono medicarsi le ferite, ristorarsi e
pernottare grazie alla generosa ospitalità dei contadini, torna costante-
mente ai compagni assenti:
24. In « Istarska svitanja », pag. 119.
25. Alla memoria dei caduti italiani e croati della « Gortan » venne scoperto nel 1969 un cippo
«a Trosmarja, presenti alla cerimonia gli ex comandanti del I battaglione Mate Luksic, del
« Pino Budicin » Arialdo Demartini e della II compagnia Spartaco Zorzetti. Nel 1971 venne
poi scoperta una lapide nel punto esatto in cui si svolse il combattimento del 7 dicembre
1944 e cioè sulle alture che sovrastano il villaggio di Gojak, a sud-ovest di Popovo Selo; a
questa cerimonia presenziarono al completo le autorità di Ogulin, gli alunni delle scuole
elementari di Trosmarja e di Pola (italiana) e tre superstiti della battaglia, fra questi Mar-
cello Udovicich che in quello scontro, trovatosi accanto al vicecommissario di brigata Anton
Racki tallonato a pochi passi da un ustascia, gli salvò la vita affrontando in un disperato
corpo a corpo il soldato di Pavelié.
220
«Quando scorsi Giordano fra i combattenti sopravvissuti a questa
cnuenta battaglia — scrive Arialdo Demartini — il cuor mi si riempì di
gioia, temevo che anch'egli fosse caduto. Ci abbracciammo e, con un
accento di dolore, mi accennò alle gravissime perdite subite. Capivo
che il suo dolore non era solo per la sconfitta militare o per il notevole
quantitativo d'anmi e di vestiario perduto, quanto perché ci accingeva-
mo a ritornare alla base con un notevole assottigliamento delle file (...)
‘ad entrambi era chiaro che non ci saremmo rimessi così presto da
quella grave batosta. Avevamo pagato veramente un prezzo di sangue
troppo elevato per le nuove uniformi. »
La pesante mazzata abbattutasi sul « Budicin » produce nei combat-
tenti e dirigenti una grave crisi. Non ha difficoltà ad ammetterlo Mario
Jedreicich, vicecommissario di battaglione:
«Il territorio ci era ignoto, la gente non ci capiva, avevamo cam-
biato due comandanti di bmigata, Sirola e Kovacevié, dietro i quali si
sarebbe andati anche nel fuoco. Via loro avevamo subito um paio di
"briscole”. Avevamo fatto la conoscenza della neve e del gelo, della fa-
me assoluta e della bestialità ustascia. Mi presi la polmonite, entrai in
crisi. Per due giorni me ne stetti come inebetito. Il comandante De-
martini mi notò e disse: Stai perdendo il coraggio anche tu? Se conti-
muiamo così siamo tutti finiti”. Questo mi scosse. In quei momenti una
potente molla è l'istinto di sopravvivenza, ma in più c'era la carica ideo-
logica ... ».26
E gli uomini, nonostante tutto, si scuotono, riprendono a sperare.
Si riparte il mattino dell'8 dicembre, raggiungendo nella tarda mattinata
Vrbovsko. Una parte dei combattenti del « Budicin », col vicecommissa-
rio politico Mario Jedreicich, è già smistata a Stubica, ed a Stubica si
raccoglie tutto il battaglione. La nuova località sarà sede di acquartiera-
mento per una quindicina di giorni. Per l'ulteriore trasporto di vestiario
e scarpe dal Kordun — questa la decisione del comando divisione — cia-
scuna brigata faccia da sé; la « Gortan » ha anche fatto troppo.
26. Vedi nota 19,
221
CAPITOLO XXX
STUBICA, HAMBARISTE, GOMIRJE
Il 9 dicembre, con una visita d'ispezione al battaglione italiano da
parte del comandante della 43* divisione istriana Savo Vukelié, comin-
ciano le indagini per accertare tutta la verità e le responsabilità della
sconfitta subita presso Popovo Selo. I dirigenti del « Budicin », per pro-
prio conto, hanno già provveduto a riunirsi il giorno precedente per ana-
lizzare la battaglia, abbozzarne il resoconto e trarne i dovuti insegna-
menti. Per la ricostruzione delle posizioni ci si deve affidare alla me-
moria; al comandante del battaglione in questa zona non è mai stata
data una carta topografica.!
Nelle sue memorie, il vicecomandante della brigata, Ivan Brozina-
Slovan, scrive: « Per il cattivo comportamento dei capi dei reparti, alcuni
dirigenti del I e del IV battaglione furono degradati o allontanati dall’in-
carico ». Nel battaglione « Pino Budicin » il provvedimento colpisce — e
non subito — il comandante e il commissario. I provvedimenti presi dai
dirigenti della 43* divisione istriana, però, colpiscono anche più in alto,
e questo non va taciuto. Nel rapporto n. 20/2-II-1945 firmato dal co-
mandante e dal commissario della 43* divisione istriana, Savo Vukelié e
Joze Skodiliè, rapporto inviato al commissario politico dell'XI Corpo d'’ar-
mata per informarlo sulla situazione presente e su fatti precedenti, si
legge questo amaro brano:
«Non è raro il caso che per l’incuria di qualche singolo dinigente
muoiono molti compagni, oppure si lasciano in posizione le pattuglie e
varie sentinelle semplicemente condannate alla distruzione. Un esempio
di siffatta indolenza e irresponsabilità è stato offerto dal capitano Bro-
zina e dal vicecommissario politico della I brigata Racki Anton i quali,
pur avendo sulla coscienza la perdita di 32 compagni e di nove fucili
1. Nelle annotazioni messe a disposizione degli Autori per quest'opera da Arialdo Demartini, leg-
giamo che a complicare le cose per i dirigenti del « Budicin », oltre alla mancanza di stru-
menti di orientamento e alla non conoscenza della lingua, contribuiva anche l'imprecisione
degli ordini. « Basti pensare che appena ora, leggendo le opere storiche pubblicate in questi
ultimi tempi, che trattano la materia in questione, vengo a conoscenza dei compiti precisi
assegnatimi in certe azioni che allora ignoravo del tutto, nonostante coprissi la carica di co-
mandante di battaglione, soprattutto durante l'assenza del mio vicecomandante Milan ».
222
mitragliatori, ben poco si ritengono responsabili di ciò. Noi prendiamo
in esame ogni caso concreto e puniamo severamente. Raéki e Brozina
sono stati denunciati al tribunale militare che li ha esemplarmente con-
dannati. »
Tra la fine di dicembre 1944 e l’inizio di gennaio 1945, a inchiesta
conclusa, contemporaneamente alla rimozione di Arialdo Demartini e
Giordano Paliaga, verrà destituito il vicecomandante della « Gortan »
Ivan Brozina-Slovan.® Anche il vicecommissario di brigata Antun Racki
lascerà il suo posto; inoltre sarà sostituito il facente funzioni di coman-
dante di brigata, capitano Rade Mrvos, cedendo il comando al capitano
Rade Vukitevié.3
Analisi di una sconfitta
Tornando al 9 dicembre ed all'argomento delle responsabilità, i di-
rigenti del « Budicin » sanno essere profondamente autocritici e disposti
ad accollarsi la loro parte di colpe. Ma di chi è veramente la responsa-
bilità maggiore? Rapportando al Comando divisione sulla missione nel
Kordun, il vicecomandante di brigata ha scritto:
«In questo scontro i comandanti non tennero in pugno abbastanza
emergicamente i reparti, sicché il combattimento e la ritirata non furono
organizzati. Perciò si verificò una certa dispersione dei reparti, soprat-
tutto nel IV battaglione. »
Con nell'orecchio quel « soprattutto » che sembra suonare come cen-
sura al « Budicin », seguitiamo la lettura. Brozina difende i motivi che
lo hanno indotto a scegliere la seconda variante di marcia, perché « più
favorevole » e aggiunge:
« Purtroppo non fu eseguita secondo le intenzioni. Le forze nemiche
erano lì deboli, non rappresentavano un serio ostacolo, ed il I battaglio-
ne avrebbe potuto respingerle. Il battaglione si trovava anzi in posizione
favorevole per eseguire questo compito: era spiegato in ordine sparso
e pronto al combattimento. Venne però a mancare la costanza. »4
Qui la critica non tocca il « Budicin » e quanto detto dal Brozina può
essere inteso come motivazione della dispersione verificatasi nei reparti,
« soprattutto nel IV battaglione », In questo senso interpreta il rapporto
anche il corrispondente di guerra della « Gortan », laddove scrive:
« Venne meno il Primo Battaglione che era in ordine di combatti-
mento ed aveva l'occasione più favorevole per respingere il nemico, sic-
ché il Quarto battaglione, che seguiva in colonna e cioè in ordine asso-
lutamente inadatto al combattimento, cadde nell’'imboscata. »5
2. Ivan Brozina-Slovan fu trasferito nella II brigata, dove assunse la carica di comandante di
compagnia fino alla fine di aprile 1945 quando tornò alla I brigata ed al posto di prima. La
carica di vicecomandante politico della I brigata, lasciata da Ratki, fu assunta da Vlado
Blazié, già vicecomandante del II Distaccamento partigiano polese.
3. Il Vukiéevié fu comandante della « Gortan » soltanto per un mese. Feritosi mortalmente alla
fine del febbraio 1945 maneggiando la pistola, fu sostituito dal capitano Dusan Milanovié che
guidò la brigata fino alla fine della guerra.
. In « Put prve istarske brigade », pag. 213.
In « Istarska svitanja », pag. 119.
na
223
Per quel che li riguarda personalmente, i dirigenti del battaglione
italiano non respingono una sola critica, non si arrampicano sugli spec-
chi e, per quanto i combattenti ne prendano le difese, mettono subito
a disposizione dei comandi superiori i gradi e le cariche. « Giordano (. ..)
mi confidò che avrebbe preferito essere un soldato semplice, se non al-
tro per non dover rispondere di tanti compagni caduti, non tanto di
fronte ai superiori, ma un domani, a guerra finita, ai loro genitori. Nel
mio intimo avrei preferito la stessa cosa, ma non glielo dissi », scrive
Demartini. Giordano Paliaga, purtroppo, non vedrà quel domani, non ar-
riverà alla fine della guerra.
Quando il comandante della divisione conclude la visita al « Budi-
cin» a Stubica, si limita a raccomandare « di far tesoro dell’esperien-
za », di prepararsi « con la massima serenità e fiducia per le future bat.
taglie ». Di provvedimenti disciplinari, per adesso, non si parla.
Nel battaglione, lo stesso Giordano, col vicecommissario Mario Je-
dreicich, i commissari di compagnia, i delegati politici di plotone e tutti
i comunisti, si danno da fare per risollevare il morale, lo spirito combat-
tivo degli uomini, e rafforzare la disciplina.
Sessanta uomini in fila
Il 13 dicembre il Comando della 43° divisione istriana trasmette al-
l'XI Corpus un quadro sinottico delle forze della divisione, specificando
la situazione per brigate e battaglioni. Il IV battaglione della brigata
« Gortan », risulta dal rapporto, è ridotto a 163 uomini dei quali soltanto
60 « sul posto » e cioè nei ranghi; gli altri risultano presenti soltanto ne-
gli elenchi. Secondo l’elenco, i 163 sono: 114 combattenti, 28 sottufficiali,
14 dirigenti politici e 7 ufficiali. Quelli « sul posto » sono 37 combattenti,
12 sottufficiali, 7 dirigenti politici e 4 ufficiali.* Mai stati così striminziti
i ranghi del battaglione italiano « Pino Budicin »!
Portano la data del 13 dicembre anche gli appunti di Giordano Pa-
liaga inerenti una riunione « con Commissario e comandante Brigata ri-
guardo con tutto corredo armi e munizioni e massimo controllo ». Ogni
combattente, si decide, deve avere «un libretto con tutto quello che
ha-possiede. Ogni sera fare riunione Stab Btg e guardare lo specchio del-
lo stesso e ogni piccolezza richiamare ».?
Rimarginatasi la ferita riportata presso Popovo Selo, anche il co-
mandante del battaglione riprende le sue funzioni normali. Gli addestra-
menti militari vengono intensificati, particolarmente viene dedicata mol-
ta cura all’uso delle armi; non si trascura l'attività politica e culturale.
Con la partecipazione di rappresentanti di tutti i battaglioni, il 17
dicembre si tiene a Vrbovsko un comizio della brigata « Gortan ». Seguo-
no il solito spettacolo ed il ballo. Si rivede anche Nello Milotti, distac-
cato presso il Comando brigata, che « con la sua fisarmonica entusiasma
tutti i presenti ».
6. Archivio del Vojnoistorijski institut di Belgrado, k. 1322, f. 5, doc. 5. Il documento è ripor-
tato in « Borbeni put 43. istarske divizije », pag. 259.
7. Da alcuni documenti del battaglione « Budicin » conservati presso il Museo Civico di Rovigno.
224
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IuDdabati Bmjestiti de so u pelo LUXOV DOL-1 tumo se osigurati su po=
trebnirx osiguraenjina, EMIKK P
IMlaUd.Onlsbatiy Smjestiti de ae u nelo POLJANE-LIUBUBINE,s taze Eto do iz-
beciti osiguranja prema HRELJINU.&ve ceste i u koliko je
pruga ispravna treba onesposobiti junsSfXrede se palinje da
dobro osiguranje pmemo ©gulinu.
Perrone de se u SENSKOME i ostgurati se va potrebnim pa=
trolaena.
Prateda bifore ces,
Voà pri tendatura
stitinfe se u SINUCOE
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L'Ordine n. 51 (7 novembre 1944) del Comando della «Gortan». Si comunica che
nella notte il nemico ha evacuato Vrbovsko (Gorski Kotar) ritirandosi a Ogulin.
La brigata dovrà occupare Vrbovsko l'indomani mattina. Il IV battaglione si si-
stemerà a Sensko. Si raccomanda a tutti i battaglioni di mantenere i migliori rap-
porti con la popolazione, evitando qualsiasi incidente, perché «in questo settore
il popolo è anima e corpo con la nostra lotta ed il popolo darà tutto per noi».
5 j ; Romano Matticchio di Gallesano, caduto a
x * : ' Popovo Selo il 7 dicembre 1944.
Ragazze e giovani istriani portano viveri per i partigiani fino al Gorski Kotar (in-
verno 1944/45), sfidando i presidi nemici con lunghe ed estenuanti marce. In quell’epo-
ca arrivarono e rimasero nel «Budicin» cinque giovani donne.
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Svolgimento della marcia da Vrbovsko a Perjasica nel Kordun (linea tratteggiata) e
ritorno (frecce) per il trasporto del vestiario e delle calzature paracadutati dagli Alleati.
Nella zona tra Gojak e Popovo Selo (7 XII 1944) il «Budicin» e il I battaglione della «Gor-
tan» furono accerchiati e dovettero sostenere sanguinosi combattimenti, che costarono la
perdita di una quarantina di combattenti.
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Una lettera scritta da Giordano Paliaga da poco nominato commissario del «Budicin»
a Luciano Giuricin (24 novembre 1944). Nella missiva, dopo aver nominato la par-
tenza dalla Slovenia, Paliaga afferma che il battaglione si trova in riposo nel Gorski
Kotar ed è quasi completamente vestito e scarpato all'inglese .
Il documento-testimonianza, rilasciato dall'Unione dei combattenti della
Jugoslavia e dal Capo supremo delle Forze armate, Maresciallo Tito,
quale ricordo perenne del sacrificio dei due fratelli polesi Carlo e
Mario Pokari caduti in lotta. Mario morì nella battaglia di Popovo
Selo, il 7 dicembre 1944, quale comandante della II compagnia del
battaglione italiano.
Il gallesanese Giovanni Demori, caduto Il comandante della compagnia mitra-
nella battaglia di Popovo Selo il 7 di- glieri Pietro Lorenzetto, caduto nel
cembre 1944, Gorskj Kotar il 22 dicembre 1944,
Remigio Devescovi, pescatore di Rovi-
gno, caduto nel combattimento presso
Popovo Selo il 7 dicembre 1944.
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cestu Ogulin-Gojak te spreziti sv prelaz tom ce-
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AI.Ud. Batelijoni
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L'Ordine n. 54 (22 dicembre 1944) del Comando brigata «V. Gortan» per l'attacco
al presidio ustascia di Sv. Petar, presso il ponte sul fiume Dobra. Compito del
IV battaglione italiano: muovere lungo la strada Hreljin—Sv, Petar e, inosservato,
penetrare nel villaggio; fingere un attacco contro i fortini presso la chiesa di
Sv. Petar e contro gli edifici vicini, mantenendo costantemente il nemico sotto
il fuoco; contemporaneamente fare chiasso, cioé urlare per seminare il panico nelle
file nemiche.
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Direzione di marcia del nemico
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II battaglione della «Gortan» condotte a
«Budicin» e del
Vrbovsko, Hambariste, Gomirje e Srpske Moravice dal 29 al 31 gennaio 1945.
del
militari
operazioni
Le
Il 18 dicembre il battaglione « Pino Budicin » partecipa a una eser-
citazione di tiri insieme al I battaglione ed ai reparti ausiliari presso il
Comando brigata. Quasi giornalmente si tengono conferenze dei comandi.
Il 19 dicembre il battaglione italiano lascia Stubica per raggiungere
un nuovo aqquartieramento a Gomirje: è un altro passo per avvicinarsi
alla roccaforte ustascia di Ogulin. Gomirje è un paese di notevole impor-
tanza sulla ferrovia Zagabria—Fiume, abitato da serbi. All’inizio dell’oc-
cupazione italiana, nel 1941, è stato dato alle fiamme. Aveva 500 abitanti,
ora ne ha poco più di un centinaio, gente « molto affabile e ben disposta
verso i combattenti del ”Budicin” », annota Demartini, i cui uomini ven-
gono sistemati per le case. Si sta almeno al caldo, anche se la povertà
della regione rende di giorno in giorno più rigoroso il razionamento dei
viveri. In questo periodo di tempo, l'alimentazione giornaliera per 100
combattenti si riduce a 15 chilogrammi di patate, 5 chilogrammi di soia
e 3 chilogrammi di carne. Dalla lista cibaria sono spariti il sale, il pane,
il latte. Pastasciutta e formaggio sono un sogno, come le sigarette. 1l
pasto principale, praticamente, consiste nel brodo con soia, rape, polen-
ta, un pezzettino di carne, sempre senza sale. Per cena: qualche patata
lessa che si mangia con tutta la buccia.
L'uomo, la vecchia e il cane
Seduto su un tronco d'albero in attesa dell'ora del rancio, un com-
battente scorge una vecchietta che a stento cammina sulla neve portan-
do un piatto colmo di avanzi della sua tavola. La donna si dirige verso
la cuccia del suo cane da guardia. L'animale scodinzola la coda e guaisce
di gioia; il combattente guarda la scena e sente più forte il languore allo
stomaco, una « fabbrica dell'appetito » che non ha mai sufficienti mate-
rie prime. Posato il piatto davanti alla cuccia, la vecchietta rientra in
casa; il partigiano, invece, lascia il suo posto per curiosare nel piatto
del cane. Rimane con la bocca aperta nel vedere che, insieme agli ossi
e a un po' di carne, ci sono pure fette di polenta. « Non c'è più bisogno
di rompersi la testa per trovare il cibo », pensa, « sta qui ». Con circospe-
zione si avvicina al cane e cerca di farselo amico; il cane fissa l’uomo,
l'uomo gli parla come a un altro uomo. « Non ti pare giusto dividere la
tua razione in due? In fin dei conti siamo compagni di lotta. Si dice che
la tua padrona simpatizzi più per gli ustascia che per noi, eterni affamati
partigiani, ma tu che colpa ne hai? Vogliamo essere amici? ».
E succede il « miracolo ». Quando l’uomo allunga la mano, invece di
abbaiare o mordere, il cane comincia a saltellare, quasi a dire che non
c'è nulla da temere. L'uomo però non si fida ancora, è a mezzo metro dal
traguardo e riprende a corteggiare il cane. Poi non resiste più, la fame
è più forte. Allunga la mano pian piano, afferra il piatto ritirandolo di
scatto senza distogliere lo sguardo dal cane, che lo guarda con i suoi
occhi languidi, ma espressivi, come per dirgli: « Sono d'accordo, a patto
però che mezza porzione resti per me ». Il partigiano gli lascia mezza
porzione. Così diventano amici.
Per quindici giorni il buon cane divide con l’uomo Ila propria razio-
ne, finché la padrona non li coglie sul fatto. Dalla bocca della vecchia
esce dapprima una raffica di rimproveri; poi la donna osserva attenta-
15 Rossa una stela 225
mente il partigiano italiano che non ha capito una sola parola. La faccia
tremendamente patita dell'uomo le fa compassione. Gli fa un cenno di
attendere, rientra in casa, ritornando poco dopo con un recipiente di
terracotta colmo di polenta e latte.8
Di nuovo in battaglia
Nella notte fra il 21 e il 22 dicembre, tre battaglioni della « Gortan »
sono chiamati all’azione: il I e II in agguato sulla strada Ogulin—Gojak
per attaccare colonne ustascia, se passeranno, e il IV italiano con com-
piti di protezione. I combattenti del II battaglione riescono a catturare
una mandria di cavalli e bovini; per il « Budicin », invece, c'è l'ordine
di accostarsi alla roccaforte di Ogulin per azioni di disturbo. Bisogna
x
far capire agli ustascia che il reparto italiano è sempre vivo e tenace.
Al « Budicin » viene assegnata una staffetta che guida il battaglione
per tutta la notte attraverso luoghi sconosciuti. Il comandante del bat-
taglione si sforza di tenersi a mente ogni dettaglio del terreno. Non si
sa mai, si potrebbe anche tornare senza la guida; l’esperienza insegna.
Dopo una lunga marcia, alle prime luci dell'alba si arriva sulle alture
che dominano Ogulin. La I compagnia, col vicecommissario del batta-
glione, prende posizione di fronte a una vallata rivolta verso la strada;
le altre due ed il plotone mitraglieri, col comandante e il commissario
di battaglione, si appostano sopra un'altura boscosa di fronte a Ogulin
che è avvolta nella nebbia. Una pattuglia comandata da Ferruccio Pa-
strovicchio va ad esplorare una quota alta e spoglia. Tra la pattuglia e
il grosso del battaglione mantiene i collegamenti il corriere Rudi Dobran.
Dopo mezz'ora vengono avvistati dei « contadini » diretti verso le posi-
zioni del battaglione. Si manda a intercettarli un gruppo di uomini gui-
dati dal comandante della III compagnia Ermanno Siguri; i « contadi-
ni » vengono fermati, ma non si riesce a trattenerli. Si danno alla fuga
nonostante alcuni colpi sparati da Ermanno per intimidazione. Il co-
mandante del battaglione sospetta che i fuggiaschi siano ustascia trave-
stiti e manda immediatamente un messaggio al Comando brigata. Il ne-
mico, manda a dire tramite corriere, potrebbe aver scoperto lo schiera-
mento del battaglione; si chiedono nuovi ordini.
Prima che la staffetta ritorni, un forte reparto di ustascia si presen-
ta in lontananza davanti alle posizioni del « Budicin », correndo verso
la quota occupata dalla pattuglia di Pastrovicchio. I combattenti riesco-
no a sganciarsi, congiungendosi al grosso. La manovra ustascia sulla
quota è però soltanto un trucco per distrarre l’attenzione. Infatti, in for-
ze ancora più consistenti, altre unità nemiche attaccano improvvisamente
alle spalle il « Budicin » cercando di accerchiarlo.
Il referente sanitario Pietro Benussi-Rino, che insieme al suo aiutan-
te Pietro Trevisan è appostato nelle immediate retrovie pronto a inter-
venire per soccorrere eventuali feriti, osserva la scena. Sulla cima della
collina, a destra della sua posizione, scorge gli uomini del plotone di
Ferruccio Pastrovicchio che si ritirano incalzati dagli ustascia. Che suc-
cede? Racconterà:
8. Il protagonista di questo episodio, L. M. intende conservare l’incognito.
226
«Non ebbi neanche il tempo di rendermi conto di ciò che stava
accadendo, che sentii un nutrito fuoco di fucileria e armi automatiche
alle spalle del battaglione, e noi che ci trovavamo nella retrovia fummo
oggetto di immediato bersaglio. I proiettili sibilavano da tutte le parti,
io e il mio aiutante ci buttammo a terra distesi per evitare di essere
colpiti. Mentre eravamo in quella posizione, vidi il grosso del battaglio-
ne sbandare. Fra gli altri scorsi Rino Lorenzetto, delegato del plotone
mitraglieri; a un tratto lo vidi tornare indietro, abbassarsi e riemergere
con la canna di una delle mitragliere Breda 8 mm. Fece pochi passi e
lo vidi cadere. È strano, chissà perché, in quei momenti non si pensa
mai al peggio; pensai che fosse inciampato e caduto... Puntroppo non
lo nividi più. »
Gli ustascia si muovono da padroni sul terreno che evidentemente
conoscono palmo a palmo; ma si ingannano, stavolta, se credono di
scompaginare il battaglione italiano. I combattenti rispondono al fuoco
e, eseguendo ordinatamente gli ordini, si ritirano su nuove posizioni. At-
traverso il bosco, con Demartini in testa e Paliaga in coda allo schiera-
mento, il battaglione sguscia dall’accerchiamento. La marcia nella bosca-
glia fitta procede a rilento. Dopo una mezz'ora, tuttavia, il « Budicin »
è finalmente fuori dal tiro nemico.
All’appello manca il comandante del plotone mitraglieri Pietro Lo-
renzetto-Rino. Insieme a lui sono scomparsi il fucile anticarro e la can-
na della « Breda » pesante. Il comandante del battaglione ordina che
quattro volontari rifacciano a ritroso la strada per rintracciare il compa-
gno. Si fanno avanti il commissario di battaglione Giordano Paliaga, il
comandante di compagnia Domenico Medelin e due combattenti. Tor-
nano dopo lunghe ricerche senza aver incontrato nessuno. Viene allora
distaccata una seconda pattuglia, ma anche questa ritorna con esito ne-
gativo. Per disdetta anche la guida è sparita. Si decide di tornare alla
base e, fortunatamente, ci si arriva nonostante il terreno sia sconosciuto.?
Qualcuno ci arriva anche solitario. È il caso del referente sanitario
e del suo aiutante. Diamo ancora la parola a Pietro Benussi-Rino che
riprende il racconto dal punto in cui ha visto cadere Lorenzetto:
«In quei pochi secondi, mentre osservavo la scena ‘sbigottito, sentii
il mio afutante gridare: "Mi hanno colpito!”. Lo presi per il braccio e lo
trascinai vicino a me. Era stato colpito al piede sinistro. "Ce la fai a
muoverti?”, gli chiesi. ” Un po’ “, mi rispose. Non c'era altro da fare che
mettersi in salvo al più presto possibile. Dalla scarpa forata di Trevisan
usciva un po' di sangue. Non persi tempo, presi il suo braccio, me lo
misi attorno al collo e trascinai il compagno con tutte le forze. Lui cer-
cava di correre attaccato a me, nonostante la ferita gli impedisse il
movimento del piede. Comunque riuscimmo a portarci fuori tino. Cam-
minammo ancora per un bel po', lui cercava di mettercela tutta per evi-
tare il peggio. Quando mi sembrò di essere fuoni pericolo, gli praticai
l'iniezione antitetanica e un'altra a base di morfina per metterlo in con-
dizone di poter sopportare la sofferenza che la ferita gli procurava. Na-
ituralmente non gli ‘tolsi la scanpa, altrimenti non sarebbe stato più in
grado di aiutansi a camminare ...».
Dopo una lunga marcia, finalmente i due riescono a raggiungere la
base. Rino ha tutto il tempo di medicare e fasciare la ferita del com-
9. In « Mancano all'appello », pagg. 48—52.
227
pagno, che ha un piede trafitto, ricoverandolo provvisoriamente in una
casa di contadini, prima che ritorni il battaglione indugiatosi nella ri-
cerca di Lorenzetto. Poi, in una conferenza dei « quadri » del « Budi-
cin » e del II battaglione, a Gomirje, si analizza il risultato dell’azione
che ha fruttato cinque cavalli e sette bovini, causando la perdita di un
uomo e di due armi pesanti.
Nella tarda serata del 22 dicembre, il comandante del Battaglione
italiano viene chiamato a rapporto a Vrbovsko presso il Comando bri-
gata. Gli viene ordinato di preparare il battaglione al completo: si lascia
Gomirje e si parte verso Ogulin, per prendere nuove posizioni nelle im-
mediate vicinanze di Sv. Petar.
228
CAPITOLO XXXI
NATALE E CAPODANNO
È ancora lontana Lbalba del 23 dicembre, i combattenti del « Budi-
cin » riposano la stanchezza accumulata in quaranta chilometri di marcia
su duri pavimenti di legno che sembrano morbidi letti, nel tepore delle
case, quando vengono bruscamente destati dal sonno profondo. L'ordine
portato dal comandante del battaglione è di rimettersi in marcia verso
Ogulin.
L'ordine sembra un'assurdità. Scrive Pietro Benussi-Rino:
«E mai possibile, pensai. Ma siamo al limite della sopportazione
umana! Gli uomini erano esausti nel più stretto significato della pa-
rola, uno stato fisico generale deprimente. Nella mente di ognuno era
ancora impresso il ricordo delle perdite subite il 6 dicembre, poi c’era
la fame che si faceva sentire in modo particolare; alcuni uomini era-
no ridotti a scheletri viventi, in alcuni si notavano addirittura sintomi
di squilibrio mentale al punto da farneticare un impossibile ritorno in
Istria, una pazzia con quella lontananza e i pericoli di incappare nella
rete del nemico... Molti combattenti vennero a chiedenmi di misurargli
la temperatura, si sentivano a terra; tra gli altri vennero anche il com-
missario di battaglione Giordano e il comandante di compagnia Spar-
taco. Li guardai e pensai: "A questo punto siamo!”. In realtà nessuno
aveva la febbre, ma erano prostrati, sfiniti; la demoralizzazione e Ja
spossatezza erano peggio della febbre. Dopo un po' venne .anche il com-
pagno Arialdo per accertarsi sullo stato di salute di tutti quei compagni
e in modo particolare di quello di Giordano. Io, naturalmente, sostenni
la tesi della febbre. Non solo, ma gli risposi che io stesso non me la
sentivo di partecipare e che sarei rimasto alla base assieme a loro. Anial-
do, anrabbiatissimo, se ne andò dicendomi che al ritorno si sarebbero
fatti i conti. Aveva ragione di essere contrariato, aveva capito che non
di febbre si trattava. Io invece ci soffrivo per il fatto che non si voleva
capire che gli uomini non erano più in grado di sopportare ulteriori
sacrifici, avevano bisogno di un prolungato riposo per poter tenere in-
tegre le fonze del battaglione. Cercai di farlo capire al comando, ma...
poi mi pentii, così tutta la notte fui col pensiero insieme ai compagni
che erano partiti, speravo con tutta l'anima mia che non succedesse
nulla di grave, che non ci fossero feriti... ».
229
Il battaglione parte per l’azione con una dozzina di uomini in meno.
Dieci combattenti, due comandanti di compagnia, il referente sanitario
e il commissario restano alla base. Il vicecommissario Mario Jedreicich
ha fatto invece uno sforzo presentandosi in fila. Si marcia nel buio, con
una temperatura bassissima.
È una fatica immane muoversi sotto il nevischio e la pioggia, con
le membra intirizzite, il fisico giunto ai limiti dell'esaurimento. Come al
solito, al battaglione viene assegnata una guida. Nel « Budicin », ormai,
alle guide non crede più nessuno; ma senza carta topografica e senza pre-
cise istruzioni, non c'è altra scelta. E si arriva finalmente a destinazione:
dintorni di Sv. Petar nelle immediate vicinanze di Ogulin.
Attacco a Sv. Petar
L'azione, alla quale partecipano anche il III battaglione, con l'ordine
di assalire direttamente le fortificazioni nemiche, ed il II battaglione ap-
postato sulla strada Gojak—Ogulin nel medesimo posto di due giorni
prima — si prefigge la liquidazione del presidio*di Sv. Petar difeso da
150 domobrani e 30 ustascia. Il tentativo fallisce. Alcuni bunker vengo-
no distrutti, numerosi soldati avversari messi fuori combattimento, ma
il fuoco potente di risposta dalle altre fortificazioni costringe i reparti
della « Gortan » a ritirarsi.
A un certo punto le postazioni del « Budicin » vengono a trovarsi
esposte a un fuoco intenso. Nella fitta oscurità si sospetta addirittura
che sia il III battaglione a sparare, per sbaglio, sulle posizioni dei com-
pagni italiani. È invece il nemico che contrattacca da varie direzioni.
Alla fitta sparatoria segue un profondo silenzio. Protraendosi la
quiete, il comandante del « Budicin » ritiene l’azione conclusa e dà l’or-
dine di tornare a Gomirje. I combattenti ritornano alla base stanchis-
simi, praticamente infermi tutti, qualcuno con segni di congelamento.
Ma Demartini li costringe a restare inquadrati; ha un rapido consiglio
col commissario e decide di punire esemplarmente una decina di combat-
tenti e i due comandanti di compagnia che non hanno partecipato al.
l'azione. Di fronte al battaglione schierato, sotto la neve, i due coman-
danti vengono retrocessi a vicecomandanti, mentre i loro sostituti di-
ventano comandanti: Domenico Medelin e Bruno Caenazzo. I dieci sol-
dati, invece, sono costretti a restare per un'ora sull’attenti, al freddo, nel
centro del paese.
Punizione severa, certamente eccessiva e forse ingiusta; lo stesso
comandante di battaglione è convinto che, tolto qualcuno, gli altri non
hanno simulato la malattia. Ma il momento è cruciale, il battaglione at-
traversa un periodo di rovesci che potrebbero portarlo allo sfacelo; per
evitarlo ci vuole rigore.
Scrive Pietro-Rino Benussi:
«Il giorno seguente, nella mattinata, tutti gli uomini che avevano
partecipato all'azione rientrarono sani e salvi. Tirai un sospiro di sol.
lievo. Non passò molto che Arialdo mi fece chiamare per comunicarmi
che dovevo presentanmi a rapporto al comando brigata, dal medico.
per i provvedimenti del caso. Mi misi in cammino verso Vrbovsko. Mi
recai al comando brigata dove, in una stanza appartata, c'era il medico
230
con gli altri tre referenti di battaglione che mi attendevano. Il medico
(Ciro Rainer) prese a intenrogarmi sul motivo per cui mi ero astenuto
dal partecipare all'azione con gli altni compagni. Vista l'atmosfera, so-
stenni naturalmente la itesi della febbre, ma il medico rispose: "Tu, com-
pagno, in qualità di referente sanitario, dovevi essere presente magari in
barella!”. Continuò: "Supponiamo che ci fossero stati dei feriti, cosa
avrebbero fatto senza la tua presenza? Sarebbero stati abbandonati a
se stessi!”. Per questo, aveva perfettamente ragione. Comunque non
volli esporre a lui il vero motivo. Alla fine, con l'approvazione degli
altri compagni, decisero di mettermi in prigione fino a nuovo ordine.
Scortato da due uomini, mi accompagnarono mella prigione, che
era un magazzino sotto il livello stradale. Mi fecero entrare in quella
specie di cella e lì trovai altri tre uomini, uno dei quali parlava l’ita-
liano. Chiesi il motivo del loro imprigionamento e quello che sapeva
l'italiano mi disse che tutti e tre erano stati condannati a monte. (Ef-
fettivamente, qualche giorno dopo la mia uscita, furono fucilati davanti
a tutta la brigata). Questa informazione fu per me tutt'altro che con-
fontevole ... Passarono alouni giorni di fame nera. Una mattina, si aprì
la porta. Davanti a noi si presentò un ufficiale di media statura, bruno,
con i gradi di tenente colonnello e sul petto ben visibile una grossa
stella rossa sulla quale, in rilievo e nel centro, stava soriltto l'anno 1941
a dimostrare che lui aveva iniziato la lotta in quell’anno; era uno dei
primi combattenti dell'EPLJ; era il nuovo commissario di divisione
Mirko Lenac. Interrogò i presenti uno per uno, poi si rivolse a me; gli
dissi che non capivo il croato, quindi mi iinterrogò in lingua italiana,i
chiedendomi per prima cosa, se ero del battaglione italiano "Pino Bu-
dicin”. Confermai. Chiese poi nome e cognome e il motivo per cui ero
stato messo dentro. Gli dissi il vero motivo del mio rifiuto di parte-
cipare a quell’azione, mettendolo al corrente per filo e per segno sullo
stato fisico e morale di tutti i compagni del battaglione; aggiunsi che
con il vecchio comandante di brigata Vitomir Sirola-Pajo questo non
era mai successo e che certamente non sarebbe successo neanche ora,
se ci fosse stato lui. Se ne andò silenzioso senza rispondermi. Io pensai
al peggio; invece, di lì a poco si riaprì la porta e il compagno di servizio
alla nostra guardia chiese di me, mi disse che ero libero e che potevo
rientrare nel battaglione. Ero felice, tanto felice quanto affamato... ».
Pietro-Rino Benussi ha trascorso in prigione il Natale e il Capodan-
no. Il 25 dicembre, però, è stato triste anche per chi non l’ha trascorso
in prigione. Un combattente che si firma Zogoni — si tratta del sissa-
nese Costante Zogoni, maestro di scuola elementare — lo ricorda sul gior-
nale tascabile del battaglione, in un articoletto dal titolo « 25 - 12 - 1944 »
« Natale di guerra »:
«...Festa sacra ad ogni famiglia, lo è anche per la numerosa fami-
glia della nostra brigata e perciò oggi noi lottando in essa la festeg-
giamo lontani dalle nostre case per redimere la nostra terra da coloro
che di pace non intendono parlare. La cattiva sorte ci tiene ancora stac-
cati dal nostro suolo infestato da un nemico odioso, che non si decide
1. Mirko Lenac, deceduto nel dopoguerra col grado di colonnello dopo essere stato deputato al
Parlamento federale per la circoscrizione di Fiume—Crikvenica, comandante dell'Amministra-
zione militare della Zona B a Capodistria e istruttore generale della Direzione politica del-
l'Armata popolare jugoslava, nacque a Fiume nel 1919. Studente in legge, aderì al Movimento
di Liberazione nel 1941, e fu commissario politico della Tredicesima e della Quarantatreesima
divisione. Tuttavia, allora commissario della 43» divisione istriana era ancora Joza Skotiliè.
231
ancora ad abbandonarlo, finché noi vittoriosi non verremo a pestargli
le calcagna. Quel giorno non è lontano, noi tutti lo sentiamo, Sentiamo
i passi decisi dell’Armata Rossa, la mostra grande speranza di aiuto,
di libertà.
In questo santo giorno, col nemico in faccia, noi leviamo un caro
pensiero di augurio di pace al cuore in pena dei nostri familiari e pen-
siamo commossi al nostro focolare scoppiettante del grasso delle carni
suine che cola sui ciocchi in brage e alla boccaletta del vino amabile
dei nostri vigneti, che si intepidisce in un angolo presso il fuoco e al
formaggio pizzichino delle nostre pecore.
Questi pensieri non ci portano rammanico, ma ci fanno palpitare il
cuore di gioia per la speranza certa di un felice ritorno in armi alle
nostre famiglie, dopo i disagi provati, per procurare una vita migliore
a un popolo che degno sarà della Democratica Federativa Jugoslavia. Ev-
viva il Maresciallo Tito. Evviva il IV Battaglione italiano "P. Budicin”
della I Brigata Istriana "V. Gortan”. »
Sempre al lavoro
Il riposo tra un'azione e l’altra viene sfruttato per un intenso lavoro
in tutti i campi, dall’istruzione militare a quella politica. « Riunione fatta
il giorno 26-12-44 con Comandante Divisione, Comando Brigata e tutti
Stab Btg fuori che l’operativo. Ordine del giorno: I Situazione nei re-
parti II Discussione III Compiti IV Situazione e completamento dei qua-
dri V Varie ». È un appunto di Giordano Paliaga, il quale annota, per
lo stesso giorno, una riunione di partito con il vicecommissario della
brigata: rapporto sul lavoro, problemi, discussione conclusiva, varie.
Fra i temi compaiono quelli dei « furti, autolesioni », « feriti, disertori »,
« lavaggio camere, disinfezione ». Si decide di convocare le riunioni dei
dirigenti militari e politici ogni sette giorni. Si preparano i giornali ta-
scabili e i giornali murali.
Lo scrivere articoli per i giornali tascabili e murali fa parte della
gara che da circa un mese è in corso in tutti i reparti della 43* divisione
istriana. I quadri sinottici che nell'occasione vengono compilati per cia-
scun battaglione e ciascuna brigata hanno svariatissime voci: numero dei
combattenti che hanno imparato a usare le armi (dalla pistola al mortaio
pesante); azioni compiute, nemici uccisi, feriti e catturati; esercitazioni
e disciplina; lavoro politico, numero delle riunioni; corsi per analfabeti,
articoli scritti e pubblicati. La divisione ha il giornale « Narodni vojnik »,
la brigata « Gortan » pubblica il suo « Sloboda »; nel « Budicin » escono
i giornali tascabili di battaglione, dell'Unione della gioventù, delle com-
pagnie e del plotone mitraglieri.
Alla vigilia di Capodanno l'atmosfera nei reparti si rasserena, chi
non è in servizio di pattuglia si prepara a festeggiare la fine del 1944,
Al mattino, è domenica, il commissario di battaglione distribuisce ad al-
cuni combattenti che ne hanno bisogno un po’ del vestiario inglese im-
magazzinato. Giordano Paliaga lo annota sul diario, annotando pure, su-
bito dopo:
« Al dopopranzo, verso le ore 2 e mezza, veniva da noi Comandante
Brigata con altri due che uno fra i quali sostituiva il Comandante IV b.
Allora riuniti assieme si è discusso ed hanno deciso io e il Comandante
232
non abbiamo più questo incarico e che alla sera dobbiamo partire in
Stab Brigata. Nel frattempo si chiama pure tutti i graduati fuori che
i desetari e li gli parlò. »
Avvicendamenti al comando
All'inizio del mese, quando il comandante di divisione ha visitato il
« Budicin » a Stubica ed ha avuto un lungo colloquio con Demartini e
Paliaga, lasciandoli con la raccomandazione di prepararsi con fiducia
per le future battaglie, Paliaga aveva detto a Demartini: « Vedrai, non
passerà molto tempo che saremo chiamati a rapporto al comando di-
visione ». Facile profeta. Il momento è venuto. Rimossi dalle loro cari-
che, il comandante e il commissario del « Budicin » vanno al Comando
solo per sentirsi comunicare la nuova destinazione. Raccolgono la loro
roba e, con lo zaino e l'arma a tracolla si avviano verso Vrbovsko.
« Verso sera — lo annota Paliaga nel suo diario — prima di partire
siamo andati a salutare i compagni, più di uno piangeva e a tutti gli
altri dispiaceva; il brutto colpo della mia vita era questo. Così poche
cre dell'ultimo e del principio d'anno abbiamo passato in cancelleria
dello Stab Brigata, ci guardavamo dicendo "che buon anno muovo che
passiamo”. »
C'è tanta amarezza in queste parole, ma anche rassegnazione. A]
Comando brigata, poi, quasi a volerlo rendere ancora più amaro il Ca-
podanno dei due chiamati a rapporto, nessuno li riceve, nessuno dei su-
periori si fa vivo; soltanto il piantone viene a chiamarli per accompa-
gnarli nella mensa del-personale ausiliario dove viene servito a tutti « un
piatto colmo di gnocchi ancora fumanti conditi con sugo e formaggio »
— annotazione di Demartini, il quale riporta il commento di Paliaga:
« Valeva la pena d'essere chiamati a rapporto ». Una battuta che per un
attimo mette in fuga la tristezza.
«AI mattino 1-1-45 mi sono svegliato tutto pensieroso e cadeva
la neve ben forte. Il Commissario di divisione non si faceva ancora
vedere, ed ecco che verso l'una è venuto dicendoci che ci interrogherà
dopo. Verso le 14 ore andavamo mangiare in cucina ufficiali, mangiando
pasta in brodo bianca come neve e gnocchi con carne macinata, tutto
fatto di farina inglese.
A Verso le 15,30 ci chiamano ed interrogano, la colpa è caduta tutta
su di me, ho provato un colpo così forte sapendo che non è mia. Ed
hanno deciso di mandarmi al Btg. come delegato e il Com. come coman-
dir ceta, pure alla sera abbiamo cenato fagioli e pasta carne. »
Così termina un anno e ne comincia un altro. Il battaglione « Pino
Budicin » cambia per l'ennesima volta i suoi capi. Giordano Paliaga è
retrocesso a delegato politico del gruppo esploratori (praticamente du
capitano a sergente) ed Arialdo Demartini da comandante di battaglione
a comandante della I compagnia.
Nuovo comandante del battaglione è stato nominato colui che lo gui-
dò all’inizio, alla fondazione, il capitano Giuseppe Alizzi fatto venire dal
Comando Supremo dell'EPL della Croazia; Milan Iskra, ancora al corso
233
ufficiali, riprenderà fra breve la carica di vicecomandante; le funzioni
di commissario politico vengono affidate al vicecommissario Mario Je-
dreicich in attesa della scelta del nuovo commissario.
Il referente sanitario del battaglione Pietro-Rino Benussi, uscito di
prigione nei primi giorni di gennaio, si sente comunicare la retroces-
sione a infermiere di compagnia. Egli scriverà:
234
« Arrivai alla base del battaglione verso mezzogiorno, in tempo per
ricevere la mia razione consistente in due dita di farina bollita, la fa-
mosa "cascia” e pochi grammi di carne; ne avrei mangiate almeno dieci
di quelle razioni. Con mia grande meraviglia, constatai che i compagni
Arialdo e Giordano erano stati retrocessi: lil primo da comandante di
battaglione a comandante della I compagnia, il secondo da commissario
di battaglione a delegato nella II compagnia comandata da Bruno Cae-
nazzo. lo non sapevo ancora quale sarebbe stata la mia posizione. Poco
più tardi mi chiamò il vicecomandante di battaglione Iskra Milan per
informarmi che, da referente sanitario ero stato retrocesso a infermiere
di compagnia, assegnandomi alla I compagnia di Arialdo. Ironia della
sorte, pensai, proprio in compagnia con Arialdo. Ma tra me e lui, no-
nostante quanto accaduto, rimasero sempre ottimi rapporti mantenendo
quell’'amicizia tra compagni di lotta tanto necessari in momenti così
avversi, »
Parte sesta
NELLA MORSA DEL GELO
(1 gennaio — 21 marzo 1945)
CAPITOLO XXXII
DIARIO E GIORNALE TASCABILE
« Giorno 3-1-45. In questo mattino il sole splendeva ed era una
cosa meravigliosa, e mi hanno fatto delegato del gruppo pattuglieri,
pure si ha fatto esercitazione su un monte alto, era la neve alta. Al dopo-
pranzo volevano farmi S.(egretario) SKOJ di compagnia, pure ho assistito
a una riunione ».
Così Paliaga nel suo diario.
Con l'avvento di gennaio e col passare dei giorni, il freddo si ina-
sprisce sempre più; la neve si fa ghiaccio e sul ghiaccio continua a po-
sarsi sempre nuova neve. Sembra di essere in una zona polare. Nel set-
tore della brigata « Gortan » il nemico compie ogni tanto qualche sortita,
uscendo da Ogulin, ma tutto sommato si può parlare di relativa calma
sul piano militare. Maggiormente impegnati sono il I e il III battaglione
che attaccano la guarnigione ustascio-domobrana di Bost nella notte fra
il 3 e il 4 gennaio. Il battaglione « Pino Budicin » è sempre schierato
sulle posizioni fra Gomirje e Hambariste, ma non può permettersi pun-
tate offensive; oltretutto, i suoi effettivi, già ridotti in seguito alle pre-
cedenti perdite, si sono ulteriormente assottigliati.
Parecchi combattenti hanno dovuto essere ricoverati nelle infermerie
o nell'ospedale di divisione a KuZelj per congelamenti, malattie ed estre-
mo deperimento organico. La situazione è pressappoco identica in tutti i
reparti. La « situazione di gennaio » illustrata in un rapporto inviato dal
Comando dell'XI Corpo d'armata (n. 51/10 febbraio 1945) al Quartier
Generale deil’EPL della Croazia, si presenta così:
«Per quanto riguarda la 43. divisione, lo spirito combattivo si sol-
leva di giorno iin giorno sempre di più, grazie soprattutto alle capacità
ed all'atteggiamento combattivo del quadro di comando. Il vettovaglia-
mento dei reparti, nel corso del mese, è stato molto scarso, sicché, in
seguito alla denutrizione, la condizione fisica dei combattenti si è no-
tevolmente indebolita; ci sono stati casi che i soldati cadevano in sveni-
mento per l’esaurimento e si ammalavano ».1
1. Archivio del Vojnoistorijski institut, Belgrado, reg. n. 392, K. 573.
237
Per completare il quadro, ecco un rapporto della Sezione sanitaria
dello stesso XI Corpo d’armata (n. 148 del 20 gennaio 1945):
« Nel settore della 43,ma divisione si fa sentire la mancanza di carni
e grassi. Mancano completamente nell’alimentazione dei combattenti la
frutta e la verdura. Per ora non esistono possibilità di fornire tutto ciò ».
Nel battaglione italiano tale situazione si rispecchia nel fatto che
gli uomini rimasti in forza sono appena poco più di una quarantina.
Tuttavia non se ne stanno al caldo e inattivi. Leggiamo ancora il diario
di Giordano Paliaga:
« Gionno 4-1-45. Al mattino si ha fatto marcia, al dopopranzo can-
tare assieme con la truppa in compagnia. Verso sera parlavo con una
studentessa che era vicina di casa dove ero (alloggiato) io, mi raccontava
che era a Carlovaz bellissima giornata.
Gionno 5-1-45. Al mattino lavoravo per G. T. e G. Murale e pure
al dopopranzo.
Giorno 6-1-45. Tutto il giorno come al solito, pieno di neve.
Giomo 7-1-45. Oggi Natale dei Serbi, al mattino verso ore 9 e 30
tutto il Btg è partito per Vrbovski e anche gli altri battaglioni per la
bandiera al migliore. Mentre si entrava nel paese si sentiva il suono
dell'organo nella chiesa e dei canti, la neve cadeva per bene, tutti eravamo
bianchi, avevamo sul bareto il ghiaccio ».
La bandiera in premio
A questo punto interrompiamo la lettura del diario per citare uno
degli articoli del giornale tascabile cui Paliaga ha fatto cenno nella cro-
naca del 5 gennaio. Anche questo è firmato Zogoni. Ci porta nell’atmosfe-
ra della cerimonia per la consegna della bandiera a quel reparto della
brigata che è risultato il migliore a conclusione della gara mensile fra i
battaglioni. L'articolo, datato 7 gennaio 1945 e intitolato « La bandiera in
premio », dice:
« Per un mese i giovani di tutta la nostra brigata hanno fatto a gara
per rendere il proprio battaglione degno del lauto premio, dell'onore di
meritarsi la bandiera del nostro amato Maresciallo Tito. Ieri, con rito
austero e pieno di vita giovanile, con tutto l'impedimento della neve,
quasi tutta la brigata ha sfilato in armi sotto i canti che ci hanno ac-
compagnato ‘su tutti i campi di combattimento della nostra amata Istria,
Slovenia e Croazia. Infine di fronte ai nostri comandanti, con i battaglio
ni schierati isull’attenti, si passò alla consegna della bandiera tanto con-
tesa. Il più degno, unanimamente riconosciuto, è stato il terzo battaglione
giovanile d’assalto, colui che ha sopportato il maggior numero dei più
duri combattimenti della brigata. L'onore altissimo di portare la ban-
diera che dichiara migliore combattente della brigata è toccato a un
giovane che abbiamo potuto conoscere per lo stoico suo comportamento
di fronte alla morte (...). La gara però non è finita. La bandiera potrebbe
passare ancora a un battaglione che si rendesse degno del terzo batta.
glione nel giro di sei mesi. Molti evviva si sono innalzati interrompendo
i discorsi dei comandanti di brigata. Molte parole di promessa di con-
tendere la bandiera al terzo battaglione si sono alzate fira i combattenti
di altri battaglioni. I compagni del nostro battaglione italiano hanno fis-
sato quella bandiera che portava chiara la figura del nostro condottiero
238
Maresciallo Tito e muti hanno promesso di mettersi in gara con tutta
volontà per rendersi degni sempre più di stare a fianco dei migliori com-
pagni croati e far onore alla minoranza italiana dell'Istria in seno alla
gloriosa nostra prima brigata "V. Gortan” ».
C'è solo da aggiungere un particolare molto significativo. A consegna-
re la bandiera al Terzo battaglione è un combattente del « Budicin »,
l'ex commissario di battaglione ed ora delegato di un plotone, Giordano
Paliaga. Nonostante tutto, gli vogliono bene, lo stimano e glielo dimo-
strano. Annota nel suo diario:
«Dopo tutta la Brigata sfilava assieme e, fenmati (davanti) al Co-
mandante, ho fatto il discorso e ho dato la bandiera al III Btg e dopo si
itornava via ».
In quest'uomo si rispecchiano un poco tutti i combattenti italiani
che in questa dura guerra passano dai giorni esaltanti a quelli deprimen-
ti, dalla gioia alla tristezza, dall’euforia alla nostalgia; sono uomini con
pregi e difetti, e tutto gli si può rimproverare fuorché la fede nella via
che hanno scelto. Scrive Demartini:
«I primi giorni della mia retrocessione, non furono tanto facili per
me. Temevo qualche affronto, offesa 0 qualcosa di simile da parte dei
miei compagni fino a ieri miei subalterni; nulla di tutto ciò, però, ac-
cadde. In quanto a Giordano, chiunque avrebbe risentito fortemente la ri-
mozione dalla carica, giusta io ingiusta che fosse stata. Ma egli dimostrò
anche in questa occasione una fede indisoussa. Il suo sorriso rimase sem-
pre sulle labbra, i suoi occhi esprimevano solo bontà e sincerità; con-
tinuò a dare il numero più brillante negli spettacoli artistico-culturali che
cerganizzavamo per i villaggi. Insomma, era rimasto anche in avanti be-
niamino dei combattenti del "’Budicin” e della popolazione croato-serba
del luogo ».2
Fucilazioni
Il comandante del battaglione « ci ha futto esercitazione ed abbiamo
camminato molto », annota Paliaga per l'8 gennaio, lunedì. Esercitazioni
e marce si susseguono anche mei giorni seguenti, nonostante la neve che
continua a cadere. Nel battaglione, alla spicciolata, cominciano ad arri-
vare nuovi combattenti. Uno viene da Pola il giorno 11, e Paliaga annota
nel diario che il nuovo compagno è passato per la sua Rovigno. Aggiunge:
« AI dopopranzo ci chiamano tutto il Btg e poi siamo andati il nostro
Btg e pure altri lontano in un bosco per fiucilare 2 di loro... ».
Sono due di quei tre combattenti, dei quali uno istriano, che Pietro-
Rino Benussi ha conosciuto nella prigione militare di Vrbovsko e che gli
hanno confessato di essere stati condannati a morte. I loro nomi, proba-
bilmente, non si sapranno mai. Anche nel cuore di chi sa commuoversi
facilmente, la fine di questi uomini « loro », è annotata con distacco,,
quasi con indifferenza. È la legge partigiana:
2. In « Mancano all'appello », pag. 59.
239
«La neve era alta, arrivammo sul posto, era scuro, avemmo subito
fatto un buco in una cuna e fatta la sentenza li hanno fucilati alla schiena
con molti tiri, poi tornavamo cantando ».
Altra esecuzione il 14 gennaio, domenica pomeriggio: « Siamo andati
assistere uno che hanno fucilato: comandante di battaglione ». A propo-
sito di queste fucilazioni, un accenno viene fatto nel rapporto del 2 feb-
braio 1945 inerente l’attività politico-militare di gennaio (firmano il com-
missario e il comandante della 43. divisione) al Comando dell'XI Corpo
d'armata. Viene informato che in seguito alla perdita di vestiario e cal-
zature verificatasi al rientro dei battaglioni della « Gortan » da Perjasica,
non è stato possibile avere un immediato controllo sull’equipaggiamento
e si sono avuti casi in cui qualcuno ha venduto la roba (« un caporale
e un sergente »). Si precisa:
«Per impedire la vendita dell'equipaggiamento e la corruzione fra
i dirigenti, il Tribunale militare ha condannato a morte un sergente che
aveva venduto alcune paia di indumenti ed è stato fucilato davanti alla
brigata. Per tutto il mese scorso l'argomento della condanna è stato di-
battuto in tutti i reparti ».3
Nel medesimo documento si parla di fucilazione anche in un altro
brano che traduciamo:
«Abbiamo condannato alla fucilazione un predatore per dare l'esem-
pio, e questa condanna la popolarizziamo a fondo fira i combattenti (...).
Ai dirigenti abbiamo dato il compito di dedicare maggiore attenzione
alla cura per i combattenti, e di risolvere gli enrori dei singoli combat-
tenti all'interno dei reparti, spiegando questi errori dei combattenti al
popolo in maniera da non violare la dignità del soldato del popolo. Ii
dirigente deve essere orgoglioso del suo soldato, e i combattenti devono
eliminare questi atti indegni e umilianti. A questo proposito abbiamo già
ottenuto evidenti risultati ».
Torniamo al diario di Giordano Paliaga:
« Giorno 15-1. Nella mattina mi hanno detto che i gradi di Tenente
me li hanno dati con un sbaglio, così sono stato fatto delegato ceta ».
« Gionno 16-1-45 al mattino marcia, al dopopranzo ho provato tro-
vare i soggetti per il miting di Domenica prossima. Al dopopranzo è ve-
muto l'ordine di andare a fare una manifestazione per Vorbosco perché
a ha parlato per radio contro il movimento. Alla sera canti gridi
e fischi »,
È la risposta che viene data a una dichiarazione fatta a Londra da re
Pietro II Karadjordjevié 1’11 gennaio. In merito ci documenta il rappor-
to del commissario politico della 43. divisione istriana (n. 561/14 -II - 45)
al commissario dell'XI Corpo d’armata dal titolo « Risposta del Gorski
Kotar alla dichiarazione di re Pietro »:
«In occasione della dichiarazione di re Pietro che non riconosce
l'AVNOJ come potere legislativo, le spontanee dimostrazioni del popolo
dell'intera Serbia si sono estese anche al Gorski Kotar. Le popolazioni
3. Il documento originale si trova presso l'Arch. del Vojnoistorijski institut di Belgrado, reg.
nr. 8-1/12; K. 1324 A. ed è pubblicato nel libro 8, tomo IX dello « Zbornik dokumenata »
dello stesso istituto (pagg. 447—461).
240
croata e serba del Gorski Kotar si sono levate compatte per protestare
contro questa dichiarazione, perché il popolo ha compreso che la dichia-
razione significa un attacco aperto contro la più grande conquista della
lotta popolare di liberazione. Il popolo del Gorski Kotar ha detto con le
dimostrazioni la sua parola contro il re traditore (...). In quasi tutti i
villaggi grandi e piccoli del Gorski Kotar si sono tenuti dal 15 gennaio
in poi raduni e comizi di protesta nei quali è stato spiegato al popolo,
nella vera luce, l'atteggiamento schifoso del re. Dopo i radumi e comizi
di protesta il popolo ha sfilato per le strade organizzando grandi mani-
festazioni ».
Si riferiscono poi gli slogan delle manifestazioni: « Morte ai tradi-
tori », « Morte a re Pietro », « Abbasso il re e la reazione », « Vogliamo
Tito, non vogliamo il re » eccetera. Numerosi combattenti ed esponenti
italiani del MPL prendono la parola nei comizi a nome dell'Esercito po-
polare e del Fronte unico di liberazione. A Delnice parla il dott. Tausani
di fronte a duemila persone. A Vrbovsko « le dimostrazioni sono partico-
larmente riuscite » dice il rapporto, precisando che « vi hanno preso par-
te circa 500 persone e c’era lì anche l’esercito, cioè i combattenti della
I Brigata "Vladimir Gortan”. ..Dopo il raduno di protesta, il popolo e
i soldati sono usciti per le strade per sfogare la loro rabbia contro il re
traditore ».A (
I comizi di protesta si susseguono per quasi tutto il mese di gennaio.
Il battaglione « Pino Budicin » viene impegnato in questo periodo in un
giro di propaganda, tenendo raduni e spettacoli a Vrbovsko, Srpske Mo-
ravice e altrove. Per l'occasione i combattenti italiani hanno imparato a
dire in croato « Dolje Petar » (Abbasso Pietro) e così gridando percor-
rono le vie dei paesi.
Il più giovane partigiano
Alle varie manifestazioni, che suscitano entusiasmo e nuove simpa-
tie della popolazione verso i combattenti italiani, compare spesso anche
il più piccolo partigiano della 43. divisione istriana: Ferruccio D'Alessan-
dro, un ragazzino di appena nove anni che da oltre un anno milita nella
brigata « Gortan ». Il fucile gli è stato regalato dal commissario di bri-
gata, si è anche guadagnato una Medaglia al valore... In vari periodi,
dal Carso alla Slovenia, dal Castuano al Gorski Kotar è stato la mascotte
del battaglione « Budicin ». Lo ricorda con affetto e ammirazione Arialdo
Demartini:
« La prima volta che lo vidi fu nel giugno 1944 nei villaggi del Carso
mentre faceva la guardia, col moschetto in spalla, al Comando brigata.
In seguito circolavano delle voci che Pajo gli avesse tolto il fucile per-
ché aveva lasciato entrare nella sede del Comando brigata un graduato
partigiano senza prima avergli chiesto la parola d'ordine, "lozinka”, de-
gradandolo addirittura; Femruccio era caporale, pianse di rabbia.
Si diceva che Pajo volesse far di lui un vero soldato partigiano, per-
ciò non ammetteva trasgressioni alla disciplina militare neanche da quel
4, Il documento originale si conserva nell'archivio del Vojnoistorijski institut di Belgrado, reg.
nr. 13-1/12, k. 1324 A ed è pubblicato nel libro 8, tomo IX dello « Zbornik dokumenata »
del medesimo istituto (pag. 569 e segg.).
16 Rossa una stella 241
piccolo partigiano. Nonostante ciò, al vedere quel visino afflitto e melan-
conico da diversi giorni, il comandante si intenerì ed ordinò di ridargli
il grado e la sua arma.
Siccome il piccolo Ferruccio si esprimeva molto meglio in lingua ita-
liana, a varie riprese militò nelle file del "Budicin”. Tutti gli volevano
un ben di vita, era divenuto il beniamino del ”Budicin”, ma egli voleva
essere trattato alla pari dei suoi compagni anziani, perciò sdegnava le
carezze, le moine.
Un giorno, durante una marcia faticosa, lo stavo osservando, così
piccolo, con le guance paffute, viso lentigginoso, occhi mi sembra verdi,
capelli giallo-rossicci; a stento teneva il passo con la colonna. Lo avrei
aiutato volentieri, come feci più di qualche volta mettendolo in groppa
a una cavalla color bianco-sporco con delle chiazze scure, ma siccome
un mese prima eravamo stati costretti a macellarla non so se perché
vecchia decrepita o per deperimento, fatto sta che ora si doveva andare
tutti a piedi. Comunque mi avvicinai, chinandomi a sussurrargli che sa-
lisse pur sulle mie spalle, l’avrei portato per una decina di minuti tanto
per riposare un po’. ”Macché! Se fossimo soli noi due, ancora si potreb-
be, ma in presenza degli altri mi vergogno”, mi rispose. E preferì, nono-
stante fosse stanco morto, camminare come tutti noialtri.
Aveva perduto la madre nel corso della guerra, mentre suo padre
era nelle file nemiche, perciò venne adottato dai partigiani ».5
« La fede del Budicin »
A testimoniare l'intensa attività politica del battaglione italiano so-
no due documenti datati 17 gennaio 1945. Il primo è una lettera firmata
« Combattenti e dirigenti del IV Btg italiano P. Budicin » indirizzata
al Fronte Unico Popolare di Liberazione per l’Istria. Dice:
«Per lunghi venti anni l’odioso nemico fascista ha chiuso le nostre
menti, ha impedito la nostra istruzione, ha stigmatizzato in noi ogni sen-
timento di libertà e progresso, rendendo nulla la nostra giovanile inizia-
tiva soffocata dalla teoria sciovinistica e d'oppressione mussoliniana.
Ma il sentimento di Libertà tanti anni trattenuto in noi, è esploso spon-
taneo mel settembre 43, quando noi italiani dell'Istria abbiamo stretto
fraternamente la mano ai compagni croati e con loro abbiamo intrapreso
la lotta. E nel corso della lotta sempre più ci siamo resi consci che il
nostro avvenire sarà fortunato solamente se l’Istria si unirà alla madre
Croazia, federale e democratica costruzione statale, per cui noi abbiamo
combattuto e combattiamo.
Voi con la giusta politica caratteristica di tutte le forze amanti di
libertà e giustizia, ci avete guidato in questa lotta, rinsaldando in noi e
nel popolo la fiducia e la fede. Con la vostra guida e al comando del
Maresciallo Tito noi siamo pronti a dare tutto di noi stessi, anche la vita,
per il conseguimento della nostra meta, che è quella di liberazione delia
nostra terra e della costruzione della nuova compagine statale democra-
tica sul fondamento delle deliberazioni dell’AVNOJ e dello ZAVNOH. È
5. Appunti inediti messi a disposizione dal Demartini, il quale informa pure che, a guerra ul-
timata, le autorità jugoslave consegnarono alla Croce Rossa, su richiesta dei parenti in Ita-
lia, il giovanissimo Ferruccio che fu accompagnato sul confine dal combattente del « Budicin »
Lorenzo Vidotto. Fino a qualche anno addietro, Ferruccio D'Alessandro viveva a Capua presso
Napoli.
242
per questo che noi, Battaglione italiano ‘“P. Budicin” salutiamo con er
tusiasmo il Fronte Unico Popolare di Liberazione in occasione dell'inizio
del nuovo anno, che segnerà il raggiungimento dei nostri ideali di libertà
e progresso.
Evviva il Fronte Unico Popolare di Liberazione per l’Istria!
Evviva l'Unione degli Italiani!
Evviva la federativa democratica Jugoslavia!
Posto di Combattimento, 17 -1.1945 ».
Il secondo messaggio è indirizzato all'Unione degli Italiani dell’Istria,
l'organizzazione che, in seno al FUPL, raccoglie e mobilita gli italiani
democratici e progressisti della penisola istriana e di Fiume:
«Da quando la nostra minoranza nazionale in Istria ha levato la
sua voce di riscossa, nell’Istnia oppressa dal perfido fascismo, unendo
le sue forze a quelle dei fratelli di Croazia, il nostro Battaglione ”P. Bu-
dicin” seguendo le gesta e il pensiero del suo eroe ha portato questo
sentimento di libertà attraverso J'Istria, Litorale croato e sloveno. Di
battaglia in battaglia siamo giunti nel Gorski Kotar, dove si pongomo
meglio le basi di fratellanza della nostra minoranza e dei popoli di Croa-
zia. La nostra missione continua.
Ora più che mai siamo a voi uniti in spirito, e seguendo il vostro
costante lavoro ci forgiamo nella lotta che servirà a liberarci dall’occu-
patore nazista, animo e intelletto, per poter domani nella federale de-
mocratica Croazia godere i nostri diritti che saranno frutto della nostra
lotta a spalla a spalla con tutti i popoli di Jugoslavia, alla cui nuova co-
struzione statale anche noi parteciperemo.
Evviva l’Unione degli Italiani!
Evviva il Fronte Unico Popolare di Liberazione!
Postazione, 17. 1. 1945 ».
I due documenti, qui riferiti nel testo integrale, vengono pubblicati
sotto il titolo « La fede del Budicin » e con qualche lieve correzione sti-
listica sul n. 1 (23) del 1945 che porta la data del 1° febbraio, de « Il No-
stro Giornale ». Nelle pubblicazioni di quest'organo dell’Unione degli Ita-
liani dell'Istria e di Fiume c'è stata una lunga pausa; il numero prece-
dente è uscito con la data dell’8 dicembre 1944. Ora, a due mesi circa di
distanza, insieme ai messaggi dei combattenti del « Budicin » riporta
pure, in altra pagina, una breve cronaca delle azioni della 43. divisione
istriana nel Gorski Kotar:
«Nel Gorski Kotar, sulle montagne alle spalle di Fiume e del Lito-
rale croato, si levano i resti dei paesi serbi sui quali sono passati il mas-
sacro e la distruzione (...). Ma oggi, dove fascisti italiani e ustascia
croati hanno incendiato e distrutto, i combattenti italiami e croati della
43. divisione versano il proprio sangue a difesa dei fratelli serbi ».
Sullo stesso numero de «Il Nostro Giornale » viene pubblicata la
corrispondenza di S. C. E. del battaglione « P. Budicin », intitolata « Eser-
cito di popolo »:
«I battaglione è in postazione. Il nemico è molto vicino. Tuttavia la
popolazione di J. si prepara ad eleggere il suo comitato del FUPL. Il
paese di J. ha tutte le organizzazioni e non vuole tardare a costituire
6. Ambedue i documenti si conservano presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
243
questa, che tutte le raccoglie e sintetizza. E lo fa con molti preparativi.
Il popolo sceglie i suoi rappresentanti con molta cura; e tutta la sala
è intenta e concentrata nel lavoro di elezione. Ma se questa è una riu-
nione di popolo, non mancano alla manifestazione i rappresentanti del-
l'Esercito. Infatti vi è un reparto schierato, disciplinato e attento. Pare
strano, dato che la regione è prettamente croata. È un reparto di un bat-
taglione italiano. Eppure, questi italiani dell'Istria badano a che il po-
polo del paese di J. possa formare tranquillamente il suo Fronte. È il
battaglione "Pino Budicin” della I brigata, 43.a Divisione. Il nemico lo
ha conosciuto in molte occasioni. Il ”’Budicin”, che combatte a fianco
dei battaglioni croati, è il simbolo della libertà degli italiani dell'Istria
e di Fiume mella Croazia Federale. È la risposta a tutte le manovre
della reazione che vorrebbe toglierci i frutti della nostra lotta, che vor-
rebbe negarci il futuro di fortuna e benessere, che attende noi istriani,
italiani e croati, nella Jugoslavia guidata dal compagno Maresciallo Tito.
Perciò questa riunione nel paese di J. non solo lega strettamente fronte
e retrovia, ma è la dimostrazione della fratellanza d'armi intima e sin-
cera degli italiani e dei croati dell'Istria e di Fiume, che godranno domani
insieme i risultati dei sacrifici sopportati e del sangue insieme versato
per lo stesso ideale di libertà e giustizia ».
L’apparizione del giornale è di per se stessa un avvenimento per i
combattenti del « Budicin », rimasti a lungo senza un caro amico. Da esso
apprendono quello che avviene nei territori di origine e, tramite gli stes-
si corrieri che portano il giornale in Istria ed a Fiume, possono far per-
venire ai familiari le loro lettere.
244
CAPITOLO XXXIII
GENNAIO DI CHIACCIO
Il rapporto n. 20 del 2-II-45 firmato da Savo Vukelié e Joza Sko-
Gilié, comandante e commissario politico della 43. divisione istriana, pre-
senta al commissario dell'XI Corpo d’armata il bilancio dell'attività mi-
litare, politica e culturale nelle tre brigate per il mese di gennaio. Dopo
alcuni giudizi e valutazioni dai quali la brigata « Gortan » esce con Ono-
re, dimostrandosi la migliore, si legge:
«La situazione morale-politica nei reparti può dirsi soddisfacente e
di giorno in giorno si consolida. Si può dire pure che esiste l’unità po-
litico:morale presso i nostri combattenti. Oggi tutti i mostni combattenti
sono abbastanza coscienti politicamente e sanno le finalità della nostra
lotta e sanno pure il grande valore che hanno le conquiste della mostra
lotta per tutto il mondo e per se stessi e perciò sono pronti a combattere
ed a sacrificare la loro vita (...). Lo spirito di combattimento in generale
si può dire che è ottimo ed oggi non costituisce più un problema. I com-
‘battenti sono in grado di entusiasmarsi continuamente per la battaglia.
Più volte si è visto che i combattenti, sotto comando, si infilano attra-
verso i reticolati nelle fortificazioni del nemico senza panico e senza ten-
tenamenti. Oggi è un fenomeno ordinario l'ottimo comportamento dei
combattenti, mentre ogni insuccesso va addebitato ai dirigenti che talvol-
ta tentennano (...). La disciplina dei combattenti è buona e lo stesso di-
casi per il senso di responsabilità. Nella disciplina i superiori non servo-
no di esempio ai combattenti e si può dire che a confronto con i com-
battenti sono meno disciplinati (...) ».
« Abbiamo inserito nel nostro programma politico lo studio della di-
chiarazione sui diritti e doveri fondamentali dei cittadini della Croazia
Federativa e la dichiarazione del Q. G. della Croazia e dello ZAVNOH sui
principi del Movimento popolare di liberazione ».
«Le condizioni fisiche dei nostri combattenti sono pessime a causa
della cattiva e insufficiente alimentazione. Di fronte al nostro Comando
si pone come il compito più serio e più arduo quello di fomnire i viveri
ai nostri reparti. Nel Gorski Kotar non esiste cibo e il trasporto dal
Zumberak è molto difficile richiedendo notevoli quantitativi di mafta
che non possiamo ottenere. Negli ultimi tempi non riusciamo a ricevere
viveri nemmeno lì, e siamo perciò costretti a compiere requisizioni sul
terreno (...). Sul problema dell'alimentazione abbiamo avuto due confe-
renze con i rappresentanti dei CPL e delle organizzazioni politiche del
245
Gorski Kotar, del Litorale Croato e dell'Istria, discutendo sul modo come
rintracciare i viveri e nutrire l’esercito. Abbiamo elaborato un piano co-
mune, ma poiché sembra che il Litorale croato e l’Istria non potranno
dare quei quantitativi di viveri per i quali si sono impegnati, il problema
si farà presto ancora più grave. I viveri che ci manda il Q. G. della Croa-
zia sono benvenuti e con quelli possiamo almeno rifornire gli ospedali è
il convalescenziario. Se fosse possibile migliorare l'alimentazione, entro
breve tempo potremmo ricevere dagli ospedali circa 200 combattenti che
ivi sono ricoverati per denutrizione ».
Nuovi combattenti
«La mobilitazione di nuovi combattenti è il compito primario. I
nostri reparti sono numericamente abbastanza striminziti e dobbiamo in-
tensificare il lavoro in questo campo. Abbiamo diffuso un volantino-invi-
to :per la mobilitazione degli Istriani e, a quanto ci informano i compa-
gni, il successo non mancherà, perché il nemico ha cominciato a rastre!-
lare la gente e deportarla in Germania. L’Istria è l'unica fonte di nuove
forze per la nostra divisione e perciò le dedichiamo tutta l’attenzione.
Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto circa 150 nuovi combattenti dal-
l’Istria. Facciamo presente che nel Litorale croato non si fa nessuna mo-
bilitazione, riteniamo che bisognerebbe pur fare qualcosa anche là ».
Così trascorrono i giorni in attesa di ricostituire il quadro del bat-
taglione nel quale, alla spicciolata, vengono inviati nuovi combattenti in
arrivo dall’Istria (si rivede Ernesto Geromella che ha già fatto parte del
« Budicin » nel maggio—-giugno 1944) e da Fiume (Alberto Szabo, Antonio
Bradetich, Mario Kirsié, Alfredo Gomini, Nino Vuolo). Ritornano, uno
alla volta, anche i feriti guariti dimessi dalle infermerie.
Continua la tregua sui « confini » del territorio liberato e presidiato
dalla brigata «Gortan». Per il battaglione italiano, sistemato a Hambariste,
si alternano i giorni di assoluto riposo, dedicati comunque a manifesta-
zioni politiche, culturali e propagandistiche, a quelli di addestramento
militare. Istruzione, cultura, « miting »: sono i termini più ricorrenti di
queste giornate che vanno facendosi sempre più fredde. Il coro, i reci-
tatori, i filodrammatici, l'ipnotizzatore sono spesso ospiti a Vrbovsko
esibendosi davanti al Comando brigata e per il pubblico. Spettacoli e
comizi si concludono regolarmente col ballo. Ormai non c'è più famiglia
che non abbia fatto amicizia con qualche combattente del « Budicin »;
ed è una fortuna. Perché al freddo si aggiunge ora nuovamente la fame.
Ecco alcuni episodi spiccioli per la cronaca.
Nella notte del 20 gennaio il commissario del battaglione si sveglia
sentendo odor di bruciato; accanto al giaciglio sono sparse bombe a ma-
no e cartucce, ed una scoppia. Per fortuna non succede il peggio. Il 21
si celebra l'anniversario della morte di Lenin. Il 22, prove generali e poi
un grande spettacolo al teatro di Vrbovsko; una ragazza premia l’ipnotiz-
zatore con un pezzo di pane spalmato di grasso. Il 23 istruzione militare
sulla neve con un freddo tremendo; il commissario di brigata fa visita
al « Budicin » dando la notizia che l'Armata Rossa è arrivata a 300 chi-
lometri da Berlino. Il 24, nevicata eccezionale. L'ipnotizzatore Paliaga,
chiamato al Comando brigata, fa passare un tremendo mal di stomaco
al comandante con la sua... magia.
246
Finto allarme notturno
La notte del 25 gennaio viene dato l'allarme al battaglione. I combat-
tenti si svegliano di soprassalto, sentendo spari e lunghe raffiche di
« Scharaz » accompagnati da urla e invettive. « Gli ustascia! ». In un bat-
ter d'occhio sono fuori dalle case, sulla strada rischiarata da razzi lumi-
nosi di segnalazione. Chi non riesce ad uscire dalla porta, salta fuori
dalla finestra con le armi in pugno. La sparatoria e le grida vengono dal-
la parte alta del villaggio, dove ha sede il comando del battaglione. Cer-
tamente il nemico ha attaccato il comando, forse i compagni sono già
caduti nelle mani degli ustascia ... La I compagnia avanza a formazione
spiegata e celermente verso la sede del comando, mentre gli altri reparti
prendono posizione nei rispettivi settori. Il comandante della Prima,
Demartini, racconta:
« Nell’effettuare la manovra, in quel frastuono di voci, una mi fu
subito familiare per via della ‘’scc’’ finale del grido "jurisc!”. Chi gridava
a squarciagola era uno dei nostri al quale mancavano i denti anteriori,
il responsabile della cultura del comando brigata. Mangiai la foglia, si
trattava di un finto attacco. Allora ordinai lo ”juriz” lanciandomi in te-
sta alla compagnia. In pochi minuti fummo presso la sede del comando
occupata dal nemico”, il quale, visto che noi non si risparmiava le mu-
nizioni, si fece riconoscere nei dirigenti della nostra brigata ».
I quali dirigenti non lesinano parole di elogio per la prontezza e l’ar-
dimento dimostrati dai combattenti della I compagnia. « Stvarno su se
ovog puta talijanski borci pokazali hrabrim ». Stavolta sul serio i combat-
tenti italiani si sono dimostrati coraggiosi. Commento di Demartini:
« Il segreto del nostro coraggio lo tenni per me ».
Venerdì 26 gennaio, esercitazioni sulla neve, di buon mattino. In se-
rata torna dal corso Milan Iskra, il vicecomandante di battaglione. Il
coro e l’instancabile ipnotizzatore vengono mandati a Srpske Moravice
per uno spettacolo, sabato 27. Partono con un secchio pieno di polenta
(è tutta la razione ricevuta presso il Comando brigata) ma quando giun-
gono a destinazione dopo tre ore di marcia ricevono un piatto di mine-
stra e un pezzo di pane dai compagni del Comitato popolare di libera-
zione. Paliaga e Demartini, inseparabili amici, visitano tre famiglie di
vecchi conoscenti e finalmente si saziano con quello che gli danno da
mangiare in ogni casa. Spartaco Zorzetti, a sua volta, rimedia qualche
patata. La caccia al cibo continua anche al mattino del 28 gennaio; la
gente di Moravice offre agli italiani pane e caffè. Poi si torna a Hamba-
riste, alla base.
Irruzione di ustascia
Nelle prime ore dell’alba del 29 gennaio, ingenti forze ustascia uscite
dalla piazzaforte di Ogulin investono la zona della I brigata « Gortan »
puntando verso Vrbovsko. L’avvicinarsi del nemico è annunciato dai con-
tadini dei villaggi circostanti che, in fuga, spingono avanti a sé il bestia-
me e, portando quanto possono salvare, si allontanano verso il Nord alle
spalle delle posizioni partigiane. Dato immediatamente l'allarme, tutti i
battaglioni si portano sulle linee di combattimento in attesa del nemico.
247
Il battaglione italiano è schierato presso il villaggio di Hambariste.
Sul suo lato meridionale, separato dal fiume Dobra, presso Gomirje,
si trova il II battaglione. Alla destra del fiume serpeggiano la strada e
la ferrovia. Nel diario di Giordano Paliaga leggiamo:
« Giorno 29-1-1945. Lunedì. Al mattino, mentre si faceva riunione
politica, è venuto l'ordine di andare in polozai Hambariste, era 10,30.
In cima al monte faceva un freddo cane, verso mezzogiorno veniva fuori
un poco di sole. Si sentiva sparare a Gomirje e altre parti, era la banda
di circa 500 ustascia ».
La banda, direttasi verso Gomirje, attacca le posizioni del II batta-
glione che costituisce il vertice del cuneo dello schieramento nella « Gor-
tan ». Dopo alcuni scontri con pattuglie avanzate, il nemico aggira e
investe da due lati il battaglione croato, i cui combattenti sono costretti
ad abbandonare il paese per non essere presi nella morsa, ritirandosi
più a Nord — su posizioni elevate. A questo punto, siamo già nel pome-
riggio, il battaglione « Budicin » è chiamato a contrastare la puntata of-
fensiva nemica. Gli smilzi reparti italiani dominano dalle loro posizioni
la strada, la ferrovia ed il ponte sul fiume. Il nemico ha già conquistato
Gomirje.
Il « Budicin » riceve l'ordine di portarsi in avanti costeggiando il
Dobra e la ferrovia per impedire agli ustascia di insistere nella manovra
di accerchiamento del battaglione croato.
Annota Giordano Paliaga nel suo diario:
« Verso sera siamo scesi e subito un altro ordine di andare verso
Gomirje per attaccare la banda. Quando eravamo sotto ci hanno sparato
e noi ci siamo messi in polozai, faceva un freddo cane, diversi compagni
cadevano dal freddo, fra i quali uno l’ho portato io e l'infermiere a Ham-
bariste, non mi sentivo più le mani. Arrivato sul posto ho cercato e prov-
veduto fuoco per i congelati, poi me me sono andato al polozai dentre
una casetta bruciata vicino alla ferrovia ...».
Trentadue sotto zero
Il comando dell’infermeria del battaglione, in questa occasione, è
stato riaffidato a Pietro Benussi-Rino in seguito al trasferimento del re-
ferente sanitario che l’ha sostituito dopo la retrocessione. Anche nei ri-
cordi di Rino gli accenni più frequenti riguardano la temperatura bas-
sissima:
« C'era un freddo intenso, eccezionale. Penso che se si avesse avuto
un termometro, sarebbe sceso oltre i 20 gradi sotto lo zero. L'ordine era
di non dormire e tenersi pronti in ogni momento. Prima ancora che in-
cominciasse ad accendersi la battaglia, mi erano stati affidati due com-
pagni colpiti dal freddo in modo tale da non poter controllarsi. Per la
verità, in quei casi io non sapevo come comportarmi; l’unica cosa che
avevo in dotazione era il pastrano e la coperta. Li copersi con questi due
indumenti, rimanendo così in giubbotto. Entrai in uma casa con i due
congelati, quindi con quel po’ di croato che masticavo pregai i proprie-
tari di far bollire dell'acqua e di mettere ‘in infuso qualche erba, se l’ave-
vano. Così fecero, e non so come, somministrata quella bevanda senza
zucchero ai due infortunati, gli effetti si fecero sentire subito. Pian piano
si rimisero a posto, tanto da poter rientrare nel loro reparto ».
248
La sera e la notte si confondono, il sole è tramontato quasi all’im-
provviso ed ora la luna, bellissima nel cielo, illumina la neve. Uno spet-
tacolo romantico se non si sentissero i colpi d'arma da fuoco che vanno
facendosi via via sempre più intensi e più vicini a Hambariste. Narrando
a un anno di distanza i suoi ricordi, « Ricordi di lotta », e firmandoli
semplicemente « Un combattente del Budicin », qualcuno scriverà:
« Le pallottole fischiano, noi rispondiamo. Giunge intanto la sera, una
delle sere più rigide di quei luoghi. La temperatura scende, l'umidità
dell'aria si condensa in una leggera mebbia che avvolge il fiume. I nostri
compagni più deboli, stanchi, affamati, cadono svenuti, sopraffatti dal
gelo reso più tagliente dal vento montano. Fortunatamente, lì vicino ci
sono due casette di taglialegna abbandonate: sono un ottimo posto dove
le compagnie vanno a turno a riscaldarsi e i compagni quasi assiderali
possono riprendere vicino al fuoco un po’ di forza ».!
Con l’avanzare delle ore e della notte, la temperatura scende ancora
di più, il freddo diventa insopportabile. Il vento, sollevando un polverio
bianco, sferza gli occhi e morde.
«Le nostre scarpe sono dure come il ferro per il freddo, il termo-
metro segna 32 gradi sotto zero. Il fiato si condensa sul bavero del cap-
potto e là fonma una crosta di ghiaccio. Le lacrime si trasformano in
goccioline di ghiaccio appiccicato come perle alle ciglia. Fermando i pie-
di si corre il pericolo di rimanere cementati dal ghiaccio sulla neve ».2
Come se non bastasse il freddo polare, per tutta la giornata non è
arrivato nessun rancio. Diversi combattenti riportano congelamenti ai
piedi e alle mani, e lo stesso commissario di battaglione, Mario Jedrci-
cich, deve essere trasportato in infermeria. Si cerca di soccorrere i com-
pagni come si può. Diamo ancora la parola a Pietro-Rino Benussi:
« Il fuoco continuò sempre più intenso e, di lì a poco, cominciarono
ad affluire i primi feriti, che non erano del nostro battaglione ma di
altri reparti della brigata. Non erano gravi, così potei medicarli con fa-
cilità e inviarli al Comando brigata. Intanto, sotto quel meraviglioso chia-
ro di luna, vidi i primi reparti del nostro battaglione che ripiegavano
sotto l’incalzare del nemico nell’intento di prendere muove posizioni e
contrastare così l'offensiva ustascia. Io me ne stavo impalato carico di
freddo in attesa di congiungermi alla mia compagnia; qualcuno mi inci-
tava ad accodanmi, ma io insistevo ad attendere; poi, vista la situazione,
e poiché la compagnia di Arialdo non si faceva vedere, decisi di mettermi
in cammino nella loro direzione. Poi seppi che la compagnia di Arialdo
era ancora in postazione per coprire la ritirata del battaglione ».
Nonostante la gelida temperatura, gli uomini della I compagnia re-
sistono tenacemente, infatti, sulle loro posizioni, permettendo agli altri
reparti di sistemarsi su nuove linee. La battaglia riprende a infuriare.
Combattono tenaci anche i battaglioni croati. I feriti arrivano continua-
mente alle varie infermerie. Mentre il referente sanitario « ad interim »
del « Budicin » sta avviandosi verso la sua compagnia, praticamente sul-
la prima linea, sente qualcuno che, in lingua croata, chiede l’aiuto dell'in-
fermiere. Rino racconta:
1. Ne «La Voce del Popolo » n. 22 del 24 gennaio 1946.
2. Ibidem.
249
« Mi avviai nella direzione della voce, veniva da una casa di campa-
gna tra Hambariste e Vrbovsko. Sulla soglia trovai due compagni croati
istriani, i quali mi chiesero se ero infermiere. Risposi di sì ed entrai nel
vano. Disteso sopra una barella posata sul pavimento vidi un compagno
gravemente ferito. Mi chinai e, alla tenue luce di un lumicino ad olio
o grasso, scorsi la posizione della ferita: sanguinava dallo stomaco, al
basso ventre. Il poveretto mi guardava con occhi spaventati e suppliche-
voli allo stesso tempo, come se io avessi potuto compiere il miracolo di
salvarlo dalla morte imminente. Gli slacciai i pantaloni: ai miei occhi si
presentò uno spettacolo ancora mai visto. Il ventre tutto insanguinato e
crivellato di colpi, quasi squarciato, sembrava sbranato da una granata;
da quella ferita fuorusciva sangue mescolato a feci. Confesso che non
sapevo e non potevo far nulla. Mentre stavo medicando alla meglio, vidi i
suoi occhi spalancarsi enormemente, nivoltarsi verso l'alto; declinò il
capo. Era morto. Lo osservai per qualche istante, maledicendo la guerra
e chi ne era responsabile, poi con l’aiuto di quei due compagni lo por-
tammo fuori di casa. I due presero sulle spalle la barella e si allontana-
rono. Seppi poi che, con l’incalzare dell'offensiva, furono costretti ad ab-
bandonare il caduto sul ciglio della strada...
Stavo osservando l’allontanarsi di quella misera salma, quando mi
sentii chiamare. Mi girai, e vidi Bruno Caenazzo, comandante della II
compagnia. Prima che aprissi bocca, mi chiese se avevo l'arma. Risposi
di sì. "Bene, vieni con me! Dobbiamo prendere posizione in qualche po-
sto per cercare di fermare l’avanzata ustascia!”. Così mi misi al suo fian-
co e di corsa cercammo di appostarci sopra una collinetta sulla quale
c'era una casa che, prima della guerra, dicevano fosse stata un'oste-
ria...»
Sparse case abbandonate, o diroccate, servono da postazione anche
agli altri reparti del battaglione italiano. I vani sono occupati da decine
di combattenti che giacciono per terra, inabili a camminare ed a com-
battere. Per colmare i vuoti, vengono chiamati in posizione anche i cuo-
chi e tutti quelli del personale ausiliario. Quanto ai nemici si calcola
che il loro numero si avvicini ai 1800 — e non cinquecento. Sono gli usta-
scia della 392. divisione, con reparti sciatori.
La notte e il freddo intensissimo, intanto, hanno portato una tregua
nei combattimenti. Scrive « Un combattente del Budicin »:
«La luna già sorge maestosa sulle creste boscose dei monti ,ai lati
del fiume: ma il canto della morte non dà tregua ai nostri combattenti.
Finalmente, scambiate le ultime raffiche, il nemico sparisce. Dov'è an-
dato? A Gomirje? O è rientrato lordo di sangue nella sua tana di Ogu-
lin? Questa è la domanda di tutti noi, questo cercano di sapere i nostri
Comandi. Ma i nostri esploratori con il loro caposquadra erano caduti
assiderati dal gelo. Perciò ricevo l'ordine di portarmi con due uomini
in esplorazione sulla stazione ferroviaria di Gomirje a poco più di un
chilometro di distanza dalle nostre posizioni. Porto a termine la missione
costatando l'assenza del nemico: rilevo solamente delle fitte tracce di sci.
Ma appena rientrato nelle nostre linee, giungono pattuglie veloci di scia-
tori vestiti di bianco che scaricano le loro armi automatiche. Noi, in
posizione difficile, affondando nella neve, dobbiamo ritirarci per non
venir presi vivi. Nuovi nemici sbucano da ogni parte con sci o racchette
ai piedi...».
Diamo la parola a Giordano Paliaga appostato con un piccolo repar-
to in una casetta nei pressi della galleria che sovrasta il tratto di strada
Hambariste—Gomirje. Nel suo diario si legge:
250
« Per circa due ore io e Commissario fissavamo sulla ferrovia per-
ché era una forte nebbia, quasi quasi non si vedeva niente. Ad un tratto
vedemmo avvicinarsi una pattuglia di 7—8 ustascia. Scesi fuori dalla ca-
setta perché ci circondavano sicuro. Io e Comandir siamo rimasti ultimi
ed abbiamo sparato 1 colpo ciascuno e loro raffiche di mitraglia a tutta
forza ».
Le armi si inceppano
Sparano anche gli altri combattenti nei rispettivi settori, ma sono
colpi rari. Le armi sovente si inceppano, specie i fucili mitragliatori che
restano bloccati completamente. « Siamo sfiniti, abbattuti dalla fame e
dal gelo. Le nostre armi sono tutte gelate e non vogliono sparare... non
possiamo rispondere al fuoco nemico, dobbiamo ritirarci ». Così l’ano-
nimo combattente del « Budicin » nei già citati « Ricordi di lotta ». Arriva
infatti l'ordine a tutti i battaglioni di sganciarsi e ripiegare in direzione
di Vrbovsko. I congelati vengono avviati su carri agricoli verso l'ospedale
di divisione a Kuzelj.
In questa ritirata, il « Budicin » per poco non cade in un'imboscata
degli ustascia. Diamo ancora una volta la parola a Pietro-Rino Benussi,
che abbiamo lasciato insieme a Bruno Caenazzo ed alcuni altri uomini
della II compagnia:
« Ci portammo avanti, ma appena uscimmo dall'angolo della casa,
un'intensa pioggia di proiettili sventagliò intorno a noi. Ci buttammo per
terra distesi, sparando qualche colpo. Inutilmente. Vedemmo i reparti
nemici che velocemente si stavano dividendo per manovrare a tenaglia
e prenderci quindi alle spalle. Bruno diede ordine di ripiegare immedia-
tamente; la casa ci faceva da scudo e rappresentava un buon riparo
Volgendo le spalle a quell’ex osteria, ci buttammo giù per il declivio di
corsa per evitare di restare nella morsa. Così, sempre di corsa e abba-
stanza ordinatamente, raggiungemmo il resto del battaglione.
Pochi giorni prima, io e Bruno con gli altri componenti il coro del
battaglione eravamo stati in un paesello a pochi chilometri a nord di
Vrbovsko per uno dei tanti spettacoli che il nostro complesso corale
dava per le popolazioni di quei luoghi le quali, anche per questo, nutri-
vano particolari simpatie per il battaglione italiano. Per raggiungere quel
villaggio, prima di arrivare sul ponte che cavalca il fiume Dobra, c’era
un sentiero che aggirava la collina sulla quale si trova Virbovsko; sen-
za dubbio avrebbe offerto un buon riparo al battaglione in ritirata. Il
ponte, invece, in specchio alla collina di Vrbovsko, coperto di neve e con
quel chiaro di luna, avrebbe offerto un magnifico bersaglio al nemico.
Il battaglione avrebbe potuto subire DEA forse ancora più pesanti di
quelle del 6 dicembre.
To e Bruno, quando vedemmo che la testa della colonna si stava
dirigendo verso la strada che conduceva al ponte, ci precipitammo giù
per una scorciatoia in modo da tagliare la strada al battaglione e deviarlo
per quel sentiero che noi conoscevamo molto bene. Incuranti degli ordini
del comandante del battaglione, un siciliano ex ufficiale dell'esercito ita-
liano, riuscimmo appena in tempo a far deviare la colonna. Alcuni com-
pagni, tre o quattro, avevano già infilato il ponte; uno di loro, Renato
Tessari, rimase colpito a morte; un altro, Benito Turcinovich, perse il
mitragliatore e non fu più in grado di ricuperarlo; gli altri se la cava-
rono con qualche ferita. Gli ustascia presero posizione sulla collina di
251
Vrbovsko e di là dominavano quasi tutta la valle del fiume, in modo
particolare il ponte sul Dobra; ma non poterono controllare il sentiero
che avevamo imboccato. Oltre ad aggirare la collina, esso portava in un
fitto bosco, dove il nemico non poteva più colpirci ».
Durante la marcia di ripiegamento, una pattuglia del battaglione ita-
liano si imbatte nella cucina del II battaglione. « Ferma, indietro, venite
con noi », dicono quelli del « Budicin », ma quelli fingono di non sentire.
Temono forse di vedersi vuotare le caldaie prima di giungere a destina-
zione? I cuochi del battaglione italiano, invece, il rancio non sono riu-
sciti nemmeno a prepararlo, impegnati con gli altri compagni in combat-
timento. Annota Giordano Paliaga:
« Per strada abbiamo incontrato i cucinieri del II Big che portava
4 caldiere grandi di polenta, li abbiamo avvisati di tornare subito indie-
tro ma loro non ci hanno ascoltato, e così delle scariche hanno feriti
tre, era già la mezzanotte passata.
Giorno 30-1 ci siamo ritirati fino a Hambariste e ci ho dovuto por-
tare un ferito del II Btg cuciniere ferito al ventre e gamba, urlava come
un mato dal dolore, era freddo. Verso ore 3,30 la banda ci attaccava a
Hambariste e ci siamo messi correre verso Verbosko e giù per la fer-
rovia e su per monte. Eravamo stanchi e morti, siamo andati finire
quasi al di sopra di Verbosko dove era altri della Brigata ».
Ritirata fino a Moravice
L'avanzata degli ustascia non procede senza intoppi. Gli uomini di
un reparto di retroguardia, di cui fanno parte Pietro Sponza-Balin e Gau-
denzio Bresaz, riescono a far cantare le loro armi (Gaudenzio, al quale
il mitragliatore si è inceppato, lo smonta e lo rimette in efficienza rapi-
damente) infliggendo qualche perdita al nemico. Altrove, resistendo, cade
ferito l'umaghese Antonio Vivoda, ma i compagni riescono a trascinarlo
via. Incappati nella rete ustascia, nel buio della notte, altri combattenti
restano staccati dal grosso del battaglione; è il caso di Mario Deltreppo
che, attraverso mille peripezie riesce a sgusciare dirigendosi verso Sen-
sko; sulla stessa strada incontra il combattente Benito Turcinovich allo
stremo delle forze e senza il fucile mitragliatore.
Il nemico ha attuato una rapida manovra a tenaglia tentando di oc-
cupare Vrbovsko per imbottigliarvi e distruggervi il grosso della briga-
ta. La tenace resistenza partigiana, che costa la vita a parecchi combat-
tenti, fa fallire il tentativo degli ustascia.8
Il « Budicin » e gli altri battaglioni possono così sganciarsi per rior-
ganizzarsi in vista del contrattacco da sferrare dalle posizioni sovrastanti
la cittadina.
Il battaglione italiano, in particolare, si sposta verso Srpske Mora-
vice.
« L'alba ci colse in marcia; vedemmo allora ghiaccioli lunghi mezzo
metro penzolare dai tetti delle case — ricorda Arialdo Demartini — e con
tutta quella neve attorno ci sembrava d'essere al Polo Nord. Era stata
quella una notte spossante, che ci aveva ridotti in uno stato davvero
desolante ».
3. In «Fratelli nel sangue », pag. 265 e in « Mancano all'appello », pag. 61. Poche righe sull'epi-
sodio riportano anche le opere « Put prve istarske brigade » (pag. 223) e « Borbeni put 43,
istarske divizije » (pag. 202).
252
Il quadro è completato dal diario di Paliaga:
«La banda avanzava e noi ancora via di là, verso vicino Moravice
siamo andati in una casa a riscaldarsi, ho patito tanto di quei dolori alle
mani, erano gonfie ».
In queste condizioni, dopo qualche ora di riposo, i combattenti tor-
nano in posizione e vi restano tutta la giornata. In postazione ricevono
finalmente il primo rancio dopo quarantotto ore: « carne in scatola in-
glese », come annota Paliaga. Poi viene il cambio ed i combattenti del
« Budicin » possono trascorrere la notte nelle case « a riscaldarsi ed ab-
biamo mangiato e dormito ». È ancora Paliaga che ci fornisce i dettagli
di cronaca, aggiungendo:
« Giorno 31-1-1945 al mattino si partiva per Vorbosko, ad un tratto
siamo tornati indietro al polozai, qualcosa non ci sta. Verso dopopranzo
siamo scesi al paese e mangiato, dopo partiti per Vorbosko, arrivati a
Senschio ore 21,30 stanchi ci siamo messi a riposare ».
In poche righe un'altra lunga giornata di stenti. Il nemico che, dopo
tanti mesi è riuscito ad occupare Vrbovsko, senza però arrischiarsi ad
avanzare, si è ritirato anche dalle posizioni provvisoriamente occupate
dopo aver saccheggiato e bruciato alcune case, sgozzando una cinquanti-
na di donne e bambini « rei di essere complici o familiari di partigiani »
come si esprime « Un combattente del Budicin » nei più volte citati « Ri-
cordi della lotta ». La scorribanda è però costata agli ustascia un centi-
naio tra morti e feriti. Anche i partigiani hanno subito pesanti perdite,
che nello scritto dell’anonimo partigiano sono così riferite, per quanto
riguarda il battaglione « Budicin »:
«Quasi metà dei nostri combattenti ebbe qualche parte del corpo
congelata. Otto compagni mancarono all'appello ».
Altre fonti affermano che nelle file del reparto italiano, portatosi e
sistematosi a Sensko dopo la battaglia, l'’80 per cento degli uomini han-
no riportato congelamenti di vario grado e una ventina sono finiti in
gravi condizioni all'ospedale divisionale: Riccardo Bursich di Vertene-
glio, Cristoforo Forlani di Dignano, Bortolo Giacometti pure lui digna-
nese, il comandante di compagnia Caenazzo, lo stesso commissario di
battaglione Mario Jedreicich ed altri. Per tutti occorreranno due settima:
ne, chi più chi meno, per potersi rimettere in piedi. Le perdite più gravi
sono però i compagni morti: oltre al mitragliere Renato Tessari, classe
1922, di Pola, altri sette di cui nessuno più ricorda il nome. Ma il gen-
naio 1945 è un mese che nessuno dimenticherà.
253
CAPITOLO XXXIV
EROISMO A LJUBOSINA
Le prime settimane di febbraio trascorrono relativamente calme. Il
primo del mese è di completo riposo, i combattenti sono sistemati per
le case e il rancio viene distribuito a sera per le case; è giovedì. Venerdì
mattina si fa pulizia personale, dell'equipaggiamento e delle armi; nel
pomeriggio, dietro insistenza delle ragazze del luogo — è il giorno di
S. Maria, la loro festa, dicono — i giovani del « Budicin » le accolgono
nella caserma, sede del comando di battaglione, e ballano fino a sera. ll
3 febbraio, esercitazioni di tiro al mattino e poi marcia. Domenica, 4 teb-
braio, di nuovo marcia al mattino e ballo con le ragazze nel pomeriggio;
di sera comizio a Vrbovsko con la partecipazione del coro e degli altri
« artisti » del battaglione italiano, presente il commissario di divisione.
Si celebra il primo anniversario della costituzione dell'XI Corpo d’arma-
ta del quale fa parte la 43. divisione istriana. Ne troviamo accenno nella
relazione del 22 - II - 1945 inviata dalla sezione propaganda divisionale, di-
retta da A. KargaCin, alla corrispondente sezione del Corpo:
« Nel corso della manifestazione si è espressa pure l’unità di lotta
del popolo croato del Gorski Kotar e della minoranza italiana dell'Istria
(rappresentata dai combattenti del IV battaglione italiano della I bri-
gata). Le esclamazioni dei combattenti italiani dell'Istria "Noi vogliamo
e combattiamo per la Jugoslavia di Tito!” hanno dato anche questa volta
la migliore risposta alla reazione italiana e internazionale riguardo al-
l'Istria ».1
«In questi giorni si mangiava diverse patate ». È l'annotazione di
Paliaga a conclusione della giornata domenicale. Intende dire che, per
fortuna, almeno di quel cibo non c'è stata penuria.
Il lunedì mattina, 5 febbraio, si fa la disinfestazione. Al pomeriggio
viene l'ordine del vicecomandante di battaglione di partire per Vrbovsko.
Pare che gli ustascia si stiano nuovamente spostando da Ogulin e mano-
vrino rapidamente sui fianchi dello schieramento partigiano con pattu-
glioni. Invece, non se ne fa niente; falso allarme.
1. In « Zbornik dokumenata o NOB » del Vojnoistorijski institut di Belgrado, tomo IX, libro 8,
pag. 661, doc. 132.
254
Il 6 febbraio, subito dopo la sveglia, ginnastica e istruzione militare;
nel pomeriggio distribuzione della posta arrivata dall'Istria: altra annota-
zione di Paliaga che riceve una lettera di Luciano (Giuricin) dalla base
partigiana di Rovigno. Annota ancora la sveglia nel cuore della notte e
la marcia verso Vrbovsko—Hambariste: dodici ore di pattugliamenti, se-
guiti al mattino dell’8 febbraio da istruzione militare e politica. Nel po-
meriggio, tutti i dirigenti politici sono convocati al Comando brigata per
una riunione col commissario di divisione, che dura dalle 15,00 alla mez-
zanotte. Appena tornato nella notte a Sensko, Paliaga è comandato di
pattuglia; smontato al mattino del 9, viene chiamato al Comando briga-
ta: « Passando per strada ho visto 2 uomini fatti a pezzi da una mina
scoppiata un'ora prima, dopo sono andato in casa di una signora che
conoscevo e mi ha dato da mangiare... Verso l'una sono andato sù e
mi hanno dato le consegne di Commissario della II Compagnia perché
l'altro è andato al corso ». Un altro grado riconquistato, anche se non
definitivamente. Si tratta di « far le funzioni di ».
Sensko — Hambariste — Gomirje
La calma sul fronte della brigata « Gortan » continua, mentre dagli
altri fronti jugoslavi ed europei arrivano con sempre più frequenza noti-
zie di successi delle forze antifasciste. L'Armata Rossa incalza gli hitle-
riani dalle sponde dell’Oder. Su « Il Nostro Giornale » così scrive, tra
l'altro Andrei (Andrea Casassa), responsabile della Sezione italiana del-
l’Agit-Prop per l’Istria:
« Il giorno è venuto, ce lo dicono i combattenti sovietici davanti a
Berlino, ce lo dicono i combattenti del ’Budicin” che attendono nuovi
compagni per ingrossare le file; ce lo dice il sangue dei compagni operai
Carrabino, Del Fabbro e di tanti altri che hanno dato le loro vite per
indicare alla classe operaia la via della sua liberazione ».
Il battaglione viene nuovamente spostato: da Sensko a Gomirje.
Approfittando dell’inattività del nemico, nel « Budicin » come negli altri
reparti della « Gortan » gli addestramenti diventano quotidiani, la vita
militare riceve un ritmo regolare, secondo orari precisi, ed anche lo sva-
go — riservato alle ore serali — ha la sua parte importante accanto al-
l'istruzione politica. Il 13 febbraio, ultimo giorno di Carnevale, gli « arti-
sti » del battaglione italiano sono impegnatissimi a Vrbovsko e nel vil-
laggio che li ospita per un comizio seguito dal solito spettacolo e dal
ballo. Ancora una volta successo strepitoso dell'ipnotizzatore Giordano,
il quale, per l'occasione, ha fatto i suoi numeri con un gallo, una gallina
e un coniglio. Al ballo le ragazze se lo contendono.
La mattinata di mercoledì 14 febbraio trascorre come al solito, ma
il pomeriggio si fa movimento. Paliaga annota: « verso dopopranzo sta-
mo partiti per andare in azione. Verso le 17 siamo partiti da Gomirje,
arrivati sul posto verso l'una » — di notte, si capisce — « e abbiamo fat-
to un forte fuoco a Ogulin; loro ci sparavano con il cannone. Dopo riti-
rati per lungo bosco, arrivati Gomirje al mattino 15-2 ore 8. Verso ore
12 si partiva per Hambariste, arrivati qui stanchi io montavo ufficiale
giornata. Dopo mi sono lavato pure i piedi e mi sono messo dormire fino
alle 15,30 ». Venti ore di marcia e combattimenti condensati in poche
255
righe. E chi le ha scritte è a tal punto sfinito da dimenticare di annotare
— lo fa in seguito con una postilla rapida, ripetendo la data — un tatto
che lo riguarda personalmente: « Il giorno 14-2 mi hanno fatto E. Com-
missario ». La nomina è comunicata oralmente, ma è definitiva. Vice-
commissario della II Compagnia. La lettera « E » sta per Esameni, stor-
piatura della parola croata Zamjenik.
Con l’uscita del 14/15 febbraio, il « Budicin » ha intrapreso la sua
prima azione di combattimento in piena autonomia, senza cioè l’'appog-
gio degli altri battaglioni, andando a sfidare il nemico nella sua tana,
sotto Ogulin. Per il valoroso comportamento nell'azione viene elogiato
Giordano Paliaga in una riunione di tutti i graduati del battaglione che
si protrae dalle 18,00 alle 24,00 del 16 febbraio e serve per un'analisi par-
ticolareggiata della situazione.
Gli ultimi giorni sono stati molto clementi, di sole, nonostante la
neve; e continuano ad essere belli i successivi, ma alcuni combattenti e
dirigenti passano dei brutti quarti d'ora. Il prezioso diario di Giordano ci
aiuta ancora: « Giorno 17-2 — al mattino istruzione politica, verso sera
riunione di battaglione per fare la morale a due disertori dopo una balla
suonata e cantata ». Qui la parola « disertori » va presa con le molle; il
termine, fra i partigiani, si applica anche a chi per qualche ora rimane
assente dalle file. È il caso dei due ai quali il vino ha giocato un brutto
scherzo. Lo stesso Paliaga, il quale, finita la riunione, va con gli altri
a ballare fino alle 03,00 di notte, si lascia sorprendere dal sonno al matti-
no del 18, domenica, in servizio di ufficiale di turno; e sonnecchiando
lo trova il tenente Milan. Alle 07,30 riunione dei politici e critica. Dal
Comando brigata, nello stesso giorno, viene chiamato il commissario di
compagnia Degrassi con l'ordine di recarsi a Vrbovsko « senza armi e
lasciare la stampa », il settore di cui è responsabile nel ‘battaglione.
lasciare la stampa », il settore di cui è responsabile nel battaglione. E
nominato commissario della III Compagnia.
La giornata riserva anche delle liete sorprese: dopo le istruzioni di
tiro, il battaglione viene radunato « e ci hanno letto i movimenti di gra-
do », stavolta su tanto di carta timbrata e firmata, Sciolta la riunione,
«ci hanno detto di andare al reparto e di tenersi pronti ». Paliaga non è
più « Esamini — Zamenik », cioè Vice, ma Commissario,
Lunedì, 19 febbraio: i reparti del « Budicin » sono in postazione sulle
quote sovrastanti Gomirje. L'ordine del Comando brigata stabilisce di
attaccare Bost, presso Ogulin, i cui fortini hanno resistito agli attacchi
del I e III battaglione lo scorso 2 gennaio. L'inizio dell’azione è previsto
per le ore 23,00. Non se ne fa nulla, invece. Informazioni raccolte durante
la giornata dicono che il nemico ha ricevuto rinforzi e si prepara a sua
volta a sferrare un'offensiva nel Gorski Kotar. Si decide pertanto di con-
centrare tutte le forze a difesa del territorio liberato. Il battaglione ita-
liano ha il compito di sistemare le sue compagnie su un fronte tra Go-
mirje e il villaggio di Ljubosina, a monte delle due località abitate e per
proteggerne la popolazione.
Nella notte del 20/21 febbraio, interpretando male gli ordini del Co-
mando brigata, il comandante del « Budicin » fa spostare il battaglione
a Sensko; chiarito lo sbaglio, i combattenti sono costretti a macinare al-
tri chilometri per tornare sulle posizioni di Gomirje—Ljubosina. L'errore
di Alizzi gli costa la perdita del comando.
256
Un gruppo di combattenti del «Budicin»
Inverno 194445.
presso Vrbovsko.
Renato Tessari di Pola, già vicecoman-
dante della compagnia polese, fece poi
parte del «Pino Budicin» nelle cui file
cadde da eroe presso Vrbovsko (Gorski
Kotar) il 30 gennaio 1945.
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sep pregi FFS pionira dadutar napetl nepri jutelja u selu modvu
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pionira nupoti sa lstoòne strane sela
Hoàta 1 u najvedem nuietu Ypusti u samo
Belo soèt. Ha Li, Cetom napsti sa guine
Strune selà pruvao ceptog i sprijecivi
0}eg neprijaterzu aro ci porusao ojeza.
Vi cestom prema Uguiim. Ueta 1 Yod ju-
riànin pionira xoji nupadaju sa l1scvoòni
dio sela boéra moragu DIivi energioni
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@m Vremenu. girraljesza deta OYOg bata=
Agona nulazi de se Koa Staba nrigade u
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MibrAK: Yrdlv de osiguranje ca Uguiina
1 Uttariza za vrijeme dor torba traje,
ba ginom detom zaposjest polofaj oxo _
rucetié i Hiadkrovié sela sa zadatkom ne.
dosvoliti neprijuteiju da se provije u
pomoé nupadmutoj posagi. UVaceta lma
du drg1 uporno poloza) 1 nesmi}e se po- |
vuéi nivi napustiti poloZaj Des naredje-
du. ista ceva oDracit de palinju na svo. |
je iijevo krilo, rontroiisati pruvac |
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L'Ordine del 19 febbraio 1945 deì Comando della «Gortan» per l'attacco al presidio
ustascia nel villaggio di Bost presso Ogulin. Compito del battaglione italiano è
di assicurare le spalle agli altri reparti durante la battaglia, sulla linea da Ogulin
a Oîtarije, occupando con le varie compagnie le posizioni intorno a Vuédetié e
Blaskovié, impedendo l’arrivo di rinforzi nemici al presidio attaccato, vigilando
in direzione del fiume Dobra e occupando la posizione nel settore nord del vil-
laggio di Otok. Partenza da Gomirje alle ore 4 del mattino.
Gorski Kotar, 22 febbraio 1945: il coman-
dante della III compagnia Domenico Me
delin—Uccio, gravemente ferito in bat-
taglia, riceve i primi soccorsi dall'infer-
miere Bonetti, il quale a sua volta, poche
ore dopo, rimarrà colpito a morte. Mede-
lin successivamente venne trasferito al-
l'ospedale della base dell'EPLJ a Bari.
I combattenti della brigata «Gortan» in marcia nel Gorski Kotar durante l'inverno
1944/45. Proprio al centro della foto marciano i reparti del «Budicin»,
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Gli scontri del battaglione italiano con le forze ustascia registrati nei settori di Gomirje
e Ljubosina dal 20 al 23 febbraio 1945.
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Una rara foto in cui si vede lil battaglione italiano «Pino Budicin» in marcia durante
la lotta (Gorski Kotar — marzo 1945). In testa, col mitra a tracolla, è il com-
missario politico del battaglione Guerrino Bratos. Il combattente con la fisarmo-
nica, in capo al reparto, è Eugenio Rocco-Stila.
Lukovdol, Gorski Kotar: la cerimonia per la consegna delle decorazioni ai com-
battenti della «Gortan». Il raduno ebbe luogo, presente il battaglione «Pino Budi-
cin», nel marzo 1945.
Gorski Kotar, marzo 1945: raduno della brigata «Vladimir Gortan» a Lukovdol in
occasione della consegna delle decorazioni ai combattenti distintisi nelle prece-
denti battaglie. Tra i decorati vi furono diversi del «Budicin». Nella foto si ri-
conosce il comandante della 43a divisione istriana Dusan Vlaisavljevié che ap-
punta la medaglia sul petto del commissario della brigata Radoslav Kosanovic-
Braco. Fra gli uomini schierati, in attesa di ricevere la decorazione, si riconosce
il comandante del «Budicin» a quell'epoca, tenente Milan Iskra (terzo da sinista).
Il comandante e il commissario
della 43-a divisione istriana, men-
tre osservano le posizioni del nemi-
co all’inizio della grande offensiva
dell'aprile 1945.
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I combattimenti sostenuti dal «Budicin» a nord—ovest di Ogulin, protrattisi dal 4 al
10 aprile 1945 che precedettero la liberazione della città, durante i quali caddero nu-
merosi combattenti del battaglione, tra cui Giordano Paliaga già commissario del «Bu-
dicin», I numeri indicano le quote conquistate dai reparti del battaglione italiano.
Reparti della 43a divisione istriana in marcia nel Gorski Kotar. Aprile 1945.
Reparti della 43a divisione istriana in marcia verso l'Istria nell'aprile 1945.
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Un rapporto operativo del comando del IV battaglione italiano «Pino Budicin»,
del 13 aprile 1945, spedito al comando della brigata «Vladimir Gortan». Il docu-
mento, scritto in lingua croata (molto approssimativa), informa che la I e II com-
pagnia erano sistemate a quota 794 e la III compagnia a quota 982 prima della
battaglia per Lokve. Il nemico, che contava il 12 aprile circa 30 soldati, ha attac-
cato il giorno 13 più volte le posizioni del battaglione con una forza di 50—60
soldati «tedeschi», partendo da posizioni più favorevoli. «Il Budicin ha ripetuta-
mente contrattaccato, cominciando dalle ore 5 del 12 aprile, con l'appoggio di un
mortaio pesante, e, dopo molti attacchi, abbiamo conquistato la quota, cioé il
12. IV. 45 abbiamo occupato la loro posizione. Abbiamo mantenuto la quota tutta
la notte e il giorno; il nemico si è lanciato quattro volte contro le nostre quote
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982 e 794 e noi lo abbiamo sempre respinto. Abbiamo pure condotto battaglia con-
tro il nemico che si è mosso verso la quota 902, mantenendo questa posizione fino
a quando abbiamo ricevuto l'ordine di ritirarci.» Il documento precisa poi le per-
dite nemiche (8 morti e 2 feriti; catturati 59 coperte, 3 cappotti, 2 cuscini, 4 teli
da tenda, 5 pale, 14 razzi, 1 sacco, 2 bidoni) e quelle del battaglione (un ferito).
Munizioni impiegate: 3087 pallottole di fucile, 1230 di fucile mitragliatore, 430,
di mitra, 21 granate di mortaio leggero, 5 bombe a mano. Nei combattimenti «si
sono distinti l'80 per cento dei combattenti; non è stato notato un comportamento
deplorevole da parte dej combattenti; in quanto alla critica in questa azione non
abbiamo nulla da criticare.» Istituto storico-militare di Belgrado.
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LEGGENDA
Direzione di marcia del nemico
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Una delle più cruenti battaglie combattute durante la folgorante e vittoriosa marcia finale
verso l'Istria fu quella di Lokve (12—15 aprile 1945). Nel disegno sono segnate le posizioni
delle unità della I e della II brigate istriane assieme ai reparti della XIII divisione per la
conquista e la riconquista delle più importanti quote. La « Quota senza nome », ad esempio,
fu espugnata per ben sette volte dai combattenti del battaglione italiano.
Combattenti del «Budicin» in postazione. Siamo verso la fine della guerra.
LEGGENDA
Battaglione «P. BUDICIN®
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Direzione di marcia del nemico Cabarske Police
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Lo svolgimento di alcuni tra i più duri combattimenti sostenuti dal « Budicin » durante
l'avanzata finale della IV Armata nel settore dell'ex confine di stato tra l'Italia e la Jugo-
slavia (Paka—Gojak—Oslica). Qui, il 21 aprile 1945, fu sorpreso dal nemico un reparto
del battaglione italiano che subì fortissime perdite. Tra i caduti da annoverare Ermanno
Siguri e Diogene Degrassi, comandante e commissario della III compagnia.
Piana di Gumanac. In questa zona, dove il battaglione «Budicin» sostenne sangui-
nosissime battaglie nel ciclo conclusivo della guerra accingendosi a penetrare in
Istria, i combattenti italiani sostarono a lungo anche nell’estate—autunno 1944
prima del ciclo in Slovenia e di quello nel Gorski Kotar.
n
Silvestro (Emilio) Perini di Pola, ca- Attilio Dobran di Sissano, caduto a
duto a Lokve, il 15 aprile 1945 nel Gumanac il 21 aprile 1945.
combattimento per la conquista della
«Quota senza nome».
© #0
Il 22, bella giornata di sole, sempre in posizione. Ci si lava con la
neve. Si pernotta in alcune casette sparse sul monte. Giordano ricorda la
famiglia che lo ospita: « una donna sposata, il marito partigiano, con un
figlio di un anno e mezzo, donna buonissima e povera ».
Arrivano gli ustascia
Da due giorni il battaglione è in postazione, in attesa delle forze del-
la 33.a Bojna ustascia che — secondo tutte le informazioni raccolte —
è uscita da Ogulin col proposito di annientare il « Budicin » e mettere
a sacco il villaggio di Ljubosina. Proprio sulle alture di questa località
è schierata la I compagnia; sulla sua destra, sopra le quote di Trnova
Poljana (Gomirje) sono appostate la II e la III che, in realtà formano
una sola compagnia.
Data la scarsità di uomini — ogni compagnia può impiegare da quin-
dici a venti combattenti in posizione — le pattuglie si avvicendano per
tutta la notte quasi senza riposo. La regola è: due ore di servizio e quat-
tro di riposo; ma tra andare in perlustrazione e tornare ci vogliono an-
che due ore, sicché si fanno quattro ore di servizio e due di riposo.
questa vitaccia dura da più giorni. Il mattino del 23 febbraio, anniversa-
rio dell’Armata Rossa, l’ultima pattuglia notturna, col caposquadra kuge-
nio Rocco, detto Genio Stila, torna sulle posizioni della I compagnia e
prende servizio Pietro Sponza. « Meno male che è finito il mio turno —
dice Genio al compagno, che è poi suo cugino — non ce la facevo più.
Sono sfinito e gli occhi si chiudono soli ». Sponza prende servizio e « Va
pure », dice, « che gli occhi li terrò aperti io ». È una fortuna, Qualche
minuto dopo, mentre gli altri combattenti si stanno lavando mani e tac-
cia con la neve, felici di un sole che annuncia una giornata meravigliosa,
dando alla neve bagliori d’argento, la calma viene rotta dalla comparsa
degli ustascia subito segnalati da alcuni spari della pattuglia che ha ap-
pena iniziato il suo turno di esplorazione.?
Sono le 08,30. Cento—centocinquanta ustascia scivolano silenziosa-
mente sulla neve con gli sci, avvicinandosi a ventaglio. Quando fanno 1r-
ruzione nel paese di Ljubosina, già evacuato dalla popolazione, gridando
e sparando all'impazzata convinti che i partigiani siano fuggiti, da alcuni
rilievi sopra le ultime case da una distanza di poche decine di metri,
quindici partigiani della I Compagnia eseguono l'ordine del suo coman-
dante, Demartini, aprendo all'unissono il fuoco con tutte le armi disponi-
bili. Il combattente Mario Vergerio, capodistriano, punta il suo fucile mi-
tragliatore di marca francese e scava profondi vuoti nelle file nemiche.
Arrestate nel loro impeto, le forze attaccanti tentennano ed aprono a loro
volta un fuoco serrato con armi automatiche. Il duello dura diversi mi-
nuti. Considerata la superiorità numerica del nemico, Demartini ordina
il ripiegamento che avviene con una perfetta manovra. Inutilmente gli
ustascia, fallita la sorpresa cercano di aggirare le posizioni del reparto
italiano per tagliargli la ritirata. Sempre combattendo ed arretrando di
quota in quota, per circa cinque km., la compagnia partigiana sguscia
senza subire perdite, guadagnando Gomirje dov'è il comando big. La
2. Giacomo Scotti « Il combattente con la fisarmonica » (La Voce del Popolo, 2 aprile 1968).
17 Rossa una stella 257
tattica ha come risultato quello di frenare l'avanzata degli ustascia per-
mettendo alle popolazioni dei villaggi di mettersi in salvo insieme con il
bestiame ed altre cose più preziose.
« Non passeranno »
«"Questa volta non passeranno”, ha detto il tenente M. Iskra, ope-
rativo del P. Budicin. Gli ustascia attaccano violentemente di quota in
quota, ma i nostri combattenti rendono pan per focaccia. Le mitraglia-
trici lavorano come orologi in mano di ottimi tiratori. Quindici ustascia
danno l'assalto a una posizione, dove si trova un solo mitragliatore, ma
questo è nelle mani di un valoroso: il compagno Mario Vegerio (sic) apre
il fuoco sugli ustascia; una raffica segue all'altra. Egli è ferito alla testa,
il sangue gli bagna il volto, ma l'attacco nom riesce. Gli ustascia si trasci-
nano dietro nella valle 5 morti, mentre l'infermiere fascia sulla posta-
zione il compagno Mario ».
La citazione è presa da « Il Nostro Giornale », edizione del 6 mar-
zo 1945, articolo intitolato « Non passeranno! » in prima pagina. Nella me-
desima edizione, in sesta pagina, si fornisce un sintetico rapporto sulle
« Azioni della 43. divisione » e, alla data 23/2 si legge: « Lo stesso giorno,
200 ustascia usciti dal covo di Ogulin sono stati affrontati presso Gomi-
rje da forze molto inferiori del battaglione italiano "’P. Budicin" e si so-
no dovuti portare indietro 9 morti e 12 feriti ». Questo sarà l'epilogo, ma
la battaglia non è ancora finita.
Approfittando dello sbandamento nemico, la I compagnia ripiega di
mezzo chilometro verso un’altra posizione elevata. Quando gli ustascia si
riorganizzano e riprendono ad avanzare, lo fanno con cautela. Le torze
del battaglione, intanto, si raggruppano. « Così ci ritiriamo manovrando
— raccogliamo la testimonianza di Eugenio Rocco — verso la ferrovia.
A gruppi, a sbalzi: un gruppo apre il fuoco di sbarramento, riparando
gli altri che corrono per un tratto; questi si fermano, aprono il fuoco,
quegli altri balzano avanti a loro volta. Insomma uno sganciamento per-
fetto, secondo tutte le regole. Il nemico, che voleva tagliarci la strada,
resta a mani vuote ».3 I combattenti del « Budicin » si portano fin quasi
a Gomirje. Più in là gli ustascia non passano. « Questa volta non passe-
ranno », dice Milan Iskra, il nuovo comandante del battaglione. « Il No-
stro Giornale », che erroneamente lo indica con la carica di « operativo »
svolta un tempo, scrive in prima pagina:
«Il combattimento dura un'ora e mezza. Il compagno Domenico Me-
delin, comandante della II compagnia, è ferito al braccio. Non vuole
abbandonare i suoi uomini. Solo a battaglia finita si lascia fasciare. Gli
ustascia si portano nella guarnigione 9 morti e 12 feriti. Il loro piano di
circondare e annientare il battaglione italiano è fallito. Il "Budicin” odia
il nemico e lo batte ».
Sì, anche la II compagnia si fa onore, sostenendo aspri combatti-
menti; ed è esatto che il suo comandante, ferito gravemente alla spalla
destra, continua a sparare col suo mitra fino a quando può affidare il
reparto al commissario di battaglione. Tutte le fonti concordano su que-
3. Ibidem.
258
sto episodio, ma Uccio preferisce ricordare, a sua volta, l'eroismo di due
combattenti che, per salvargli la vita, mettono a repentaglio la propria:
Ferruccio Alberti, il padovano che nel febbraio del 1944 prese parte alla
liberazione di Medelin e compagni dal carcere di Rovigno, e l'infermiere
Luciano (o Ermanno) Bonetti. Quest'ultimo, nel generoso teniativo vie-
ne colpito a morte.5
La morte di Bonetti
« Una raffica di fucile mitragliatore mi prese alla spalla e caddi —
racconta Domenico Medelin-Uccio. — Subito dopo la raffica, col sangue
caldo, continuai a combattere, nonostante la ferita. Il combattimento du-
rò ancora mezz'ora, poi non so nulla: per la perdita del sangue caddi
svenuto. Quello che ora dico l'ho saputo dopo. Il mio vice, Ferruccio Al.
berti, mentre gli ustascia avanzavano ed i nostri si ritiravano sulle po-
sizioni prestabilite, tornò indietro — sotto il fuoco nemico e dei nostri
stessi che avevano cominciato l’azione — per raccogliermi. Mi caricò in
spalla, si caricò anche delle mie armi... Quando fummo nelle nostre file
la sua e la mia divisa erano sforacchiate di pallottole. Solo per fortuna
non ci avevano uccisi. Ferruccio aveva affrontato la morte per salvarmi
la vita. Quella volta anche un altro arrischiò la vita, anzi la perdette,
per salvare la mia: Bonetti, l'infermiere. Lui e un altro mi presero per
trasportarmi fino alla valle di Gomirje all'ospedale di brigata; ma gli
ustascia avevano già aggirato la località e c'era solo un ponte, punto ob-
bligato di passaggio sul fiume. Il passaggio, sotto i tiri del nemico, era
impossible: ma Bonetti volle trasportarmi ad ogni costo e... Proprio lì
sul ponte fu colpito da una palla alla testa. Cadde ed io con lui. Era
ferito mortalmente. Per fortuna i nostri attaccarono, sgominarono gli
ustascia e fummo salvi. Cioè io fui salvo; Bonetti morì più tardi per
le gravi ferite riportate... ».
Nello scompiglio dello scontro finale, mentre altri riescono a trasci-
nare il comandante di compagnia verso l'ospedale, Bonetti resta a terra
nel suo sangue, ormai morente, per essere poi finito dagli ustascia che
sfogano sul cadavere tutta la loro sadica ferocia prima di essere rigettati
dal paese. Racconta Eugenio Rocco:
« Stiamo per imboccare la strada del paese, un paese che è una lunga
strada con le case ai lati, ma ci fermiamo. Il nemico comincia a mitra-
gliare senza colpirci. Un ragazzo, un nostro infermiere, invece, attraversa
la strada. Un bel giovane, rosso di capelli, umaghese, Luciano Bonetti...
Abbiamo poi saputo che lo torturarono, spirò sotto le torture ».
È difficile verificare i dettagli. Resta il fatto della morte eroica di
un uomo che ha cercato di salvare a un compagno la vita. E resta la te-
stimonianza immediata di Giordano Paliaga che nel suo diario ricorda il
« vicereferente » sanitario Bonetti là dove descrive la parte conclusiva
del combattimento del 23 febbraio. Gli ustascia, irrompendo a Gomirje,
vengono a trovarsi improvvisamente di fronte al grosso della brigata e,
4. Arialdo Demartini « Il battaglione Budicin onore degli italiani » in « Panorama » n. 8/27 luglio
1952; Capitano Mario Jedreicich, « Pagine di eroismo » (La Voce del Popolo, 4 aprile 1946);
articolo non firmato, « Storia del Btg Pino Budicin » (La Voce del Popolo, 9 settembre 1945).
5. Giacomo Scotti, « Da Monte Maggiore a Gomirje Domenico Medelin-Uccio » (La Voce del Po-
polo, 1° aprile 1964).
259
contrattaccati, si danno a una fuga disordinata fin sotto Ogulin. Il bat-
taglione « Budicin » viene fatto spostare a Hambariste per il riposo.
Scrive dunque Paliaga:
«Io ero in una quota per sicurezza, la cucina passava dove ero io,
dopo che le compagnie si sono ritirate mi sono ritirato anch'io per il
bosco arrivando dopo 7 ore a Hambariste. Appena cenato, ore 6 ho dovu-
to partire io con 6 uomini in cerca di morti. Vicino Gomirie abbiamo tro-
vato Bonetti V. Referente spogliato.
Proseguendo fuori Gomirie 3 ore con informazioni di civili in un
altro paese abbiamo trovato un secondo con la gola tagliata. Al ritorno
il Bonetti sotto il chiaro della luna lo portavamo in 4 di noi e lo si tra-
sportava al cimitero, era piena notte 11.30. Al ritorno abbiamo dormito (?)
diversi feriti. Giorno 24-2 al solito repparto Hambariste riposavamo ».
La sintesi della battaglia? Citiamo una fonte ufficiale:
« Il 4° battaglione italiano ha sostenuto presso Gomirje uno scontro
con gli ustascia mettendone 20 fuori combattimento. In un agguato il bat-
taglione ha subito 2 morti e 3 feriti. In un agguato nelle immediate vici-
nanze di Ogulin sono stati catturati tre uscascia con le armi ».6
Dei caduti si ricorda soltanto Bonetti. L'altro, quello trovato con la
gola squarciata, è invece un contadino del luogo. I feriti sono Medelin,
che sarà poi trasportato in aereo all'ospedale di Bari, il mitragliere Ver-
gerio colpito leggermente di striscio e Francesco Cherin che in un primo
momento viene dato come disperso. Si presenta successivamente al bat-
taglione con una gamba sanguinante, raccontando la propria avventura:
nascostosi in un cespuglio dopo essere stato ferito, due ustascia l'hanno
scoperto cercando di catturarlo vivo, ma Cesco ha avuto la presenza di
spirito di sparare a bruciapelo e di ucciderli, riuscendo poi a raggiun-
gere le file del suo reparto.
Per il valore dimostrato e le gravi perdite inflitte al nemico, il bat-
taglione « Pino Budicin » viene encomiato con l'ordine del giorno n. /
del 25 febbraio 1945 del Comando Brigata.? Lo stesso Comando brigata
spedisce al comando divisione una proposta per la promozione, l’enco-
mio e la decorazione al valore di singoli combattenti, facendo i nomi di
Milan Iskra, Domenico Medelin,s Giordano Paliaga, Mario Vergerio e
Arialdo Demartini.
La popolazione esprime spontaneamente e in svariati modi la sua
ammirazione e gratitudine ai combattenti italiani che l'hanno validamen-
te difesa dagli spietati scannatori di Pavelid.
. In « Borbeni put 43. istarske divizije », pag. 203.
. In « Put prve istarske brigade », pag. 223.
. Mentre scriviamo queste pagine, ci giunge notizia della morte del compagno Domenico Me-
delin, avvenuta il 25 maggio 1974 all'Ospedale di Pola. Rientrato nei ranghi del « Budicin »
— al ritorno dall'ospedale partigiano di Bari — il 10 maggio 1945, fu nuovamente comandante
di compagnia fino al settembre 1947, data di scioglimento del battaglione. Frequentò poi l'Ac-
cademia militare di Sarajevo uscendone alla fine di novembre 1948 col grado di tenente. Ri-
mase nel servizio attivo fino al 1965, congedandosi col grado di maggiore. Successivamente fu
promosso ten. colonnello della riserva.
mao
260
CAPITOLO XXXV
SFOGLIAMO IL GIORNALE TASCABILE
Le due giornate successive alla battaglia, sabato 24 e domenica 25
febbraio, sono per i combattenti del « Budicin » di assoluto riposo a
Hambariste. Pulendo l'arma, un soldato si ferisce alla mano: è l’unica
novità della domenica. Col 26 riprendono le solite istruzioni militari e
politiche. Porta la data di questo giorno un rapporto del commissario
politico della 43. divisione istriana al commissario dell'XI Corpo d’ar-
mata. Dopo aver riferito che stanno arrivando a gruppi nuovi combat-
tenti appena mobilitati in Istria, fa riferimento al battaglione italiano:
«Il battaglione italiano "Pino Budicin” fa fatica a consolidarsi ri-
spetto agli altri battaglioni. Numericamente è debole, perché numerosi
suoi combattenti sono disseminati negli ospedali. Il comando del batta-
glione è altrettanto debole. Da parte della brigata gli è stata dedicata
troppo poca attenzione, perché i compagni (dirigenti della brigata, n. d. a.)
non conoscono l'italiano. Abbiamo deciso di raccogliere tutti gli Italiani
sparsi nelle altre unità e nelle retrovie per rafforzarlo numericamente...
Abbiamo deciso di dedicare piena attenzione (al battaglione) e di raffor-
zarlo anche con dirigenti e combattenti croati affinché si consolidi ».1
Pochissimi combattenti, invece, passeranno al « Budicin » dagli altri
reparti; cominciano ad arrivare, però, nuovi volontari.
Il 27 febbraio giungono al battaglione quattro nuovi combattenti,
tutti e quattro pompieri, assegnati alla I e alla II compagnia. In quest'ul-
tima finiscono due rovignesi, Damuggia e Sponza. Lo annota Giordano
Paliaga, ufficiale di giornata, e lo ricorda il delegato politico Nereo Do-
lenz sul giornale tascabile della I compagnia che viene compilato nella
stessa giornata, uscendo però con la data del 28 febbraio. Il titolo dello
scritto di Nereo è, appunto: « Arrivano nuovi compagni ». Leggiamo:
«Oggi sono giunti nuovi compagni che prestavano servizio come vi-
gili del fuoco. Sono venuti in attesa di essere destinati nella nostra com-
pagnia. Subito tutti li si fanno intorno e domandano informazioni: "Come
va la vita in città?”. C'è anche uno di Rovigno il quale alle domande
di un suo compaesano cerca di soddisfarlo come può. Tutti dimostrano
1. In « Zbornik dokumenata o NOB », tomo IX, libro 8, doc. 140, pag. 718.
261
simpatia per questi nuovi compagni che sono venuti ad ingrossare le file
del nostro btg. e per rallegrare meglio l'ambiente c'è il compagno desse-
tar che fa una bella suonata. Ma l'allegria e il buon umore sorpassa i suoi
limiti quando uno dei nuovi arrivati tira fuori di tasca un pacchetto
(pensate) di autentici popolari e ne regala uno a testa. Non potete im-
maginare la tirata di gusto dopo parecchio tempo di cura che si faceva
di tronconi »,
Il nuovo barbiere
Il giornale tascabile è molto curato, con riusciti disegni firmati ED
e articoli dei combattenti Gualtiero Mattuffi, Elio Geromella e Livio
Litar, del « dessetar » (caporale) Eugenio Rocco, del comandante Arialdo
Demartini, dei delegati Pietro Sponza e Nereo Dolenz (questi firma due
articoli) e del « vodnik » (sergente) Giordano Chiurco. In copertina cam-
peggia la figura di Tito con sullo sfondo un'aquila col moschetto e la
bandiera italiana stellata.
Altri due disegni nelle pagine interne riecheggiano il successo otte-
nuto nella battaglia contro gli ustascia del 23 febbraio (una didascalia:
« Gomirje 23-2: 15 contro 150 »): un ustascia che si arrende di fronte
al partigiano col mitra spianato e ancora un ustascia che crolla, lascian-
do cadere dal pugno il pugnale, investito da una fucilata. Le fasi della
battaglia sono poi descritte con commovente candore retorico da De-
martini, Litar e Sponza.
« Sono fiero come tutti i miei combattenti — conclude il comandante
di compagnia — di aver fatto il mio dovere ». E Litar, con comico reali-
smo: « Jo mentre mi ritiravo vedevo l'effetto delle pallottole nemiche che
mi sollevavano la terra intorno a noi dandomi un'impressione che non
dimenticherò tanto presto ». Sponza, poeticamente, prende l'avvio con
«un raggio di sole cominciava a irradiare i campi quando all'improvviso
si sentirono spari », continua con « il lampo d'odio che brillò nei nostri
occhi faceva capire chiaramente le nostre intenzioni » e conclude con
toccante enfasi: « /5 eravamo e sotto una pioggia di pallottole ci ritiram-
mo in buon ordine senza che nessuna parola di paura esca dalle nostre
labbra. L'unico motto era "Morte al Fascismo" ».
Una nota di umorismo è introdotta da Eugenio Rocco, Genio delia
fisarmonica, nell'articolo « Specialità di barbiere ». Merita che sia ripor-
tato integralmente:
«Ieri mattina il nuovo barbiere di battaglione ha cominciato a svol
gere il proprio compito facendo i cappelli al nostro intendente. In un
primo momento, volendo fare la sfumatura bassa, non vi riuscì perché
tagliò un po' troppo; si mise allora a farla alta ma non vi riuscì ed allora
concludendo disse: "La faremo all’Umberto”. Peggio che peggio, dovette
perciò raparlo a zero e poco mancò che gli portasse via non solo i capelli
ma la testa addirittura. Ora il nostro intendente risparmierà tutto il
grasso che prima spendeva per illuminare la sala dei miting, dato che
adesso in avanti per l'illuminazione basterà la sua testa ».
Mattuffi, Geromella e Chiurco sono tre reduci dall'ospedale ed espri-
mono nei loro scritti la gioia di ritrovarsi nel battaglione.
« Dopo tre mesi che sono stato lontano dal batg. perché ricoverato
all'ospedale, ho ripreso il moschetto per combattere nuovamente per la
262
libertà dei popoli. Prima di essere ricoverato all'ospedale combattevo
nelle file della 13. divisione, ora sono passato a far parte della 43a e pre-
cisamente nelle file del IV batg "Pino Budicin”, batg italiano. Qui mi
trovo molto meglio che nel vecchio batg giacché parlo la mia madre
lingua. Sono spiacente di non essere arrivato un giorno prima perché
così avrei avuta la possibilità di prendere parte ad un combattimento
contro gli Ustascia nel quale il batg si è comportato bene meritandosi
gli elogi del Comando Brigata. Pazienza, sarà per un'altra volta ».
Questo lo scritto di Mattuffi. Ed ecco quello che scrive Geromella:
«Sono pochi giorni che sono ritornato a far parte del mio batg.
dai quale da diverso tempo mancavo a causa della mia malattia. Ho r-
visto con grandissimo piacere alcuni vecchi compagni dai quali ho saputo
però con rincrescimento che molti avevano dato il proprio sangue per la
santa causa che abbiamo deciso, noi tutti, di difendere. Oggi ci è stato
letto, dal vicecomandante, l'ordine del giorno mel quale viene elogiato
il comportamento del nostro batg il quale si è distinto nell’ultimo com-
battimento contro un rilevante numero di ustascia infliggendo loro delle
perdite in morti e feriti. È stata elogiata in special modo la I compagnia
nella quale sono orgoglioso di appartenere. Il comandante ci ha esortati
a comportarci così e meglio se possibile così che tutti possano vedere
come sà comportarsi il Pino Budicin” ».
Alcuni brani, infine, dallo scritto di Chiurco:
«Sono molto contento di essere tornato in prima compagnia dove
ho ritrovato i compagni più alti di morale e volete sapere il perché? Il
morale è alto perché il giorno che mi trovavo in ospedale hanno avuto
un combattimento nel quale si sono dimostrati dei veri combattenti e
specialmente la I compagnia è stata quella che si è distinta (...). Sono
stato anche fiero che proprio il dessetar del mio vod si è comportato
con molto coraggio ed eroismo riuscendo ad ammazzare un ustascia pur
essendo ferito gravemente alla gamba, salvando così anche se stesso.
A morte i banditi Ustascia ».
Alti il nome e l'onore
Nell'articolo « Ritorno all'antico posto », Nereo Dolenz descrive la
nuova sistemazione a Hambariste dove il battaglione si è aqquartierato
« dopo sei giorni che abbiamo presidiato il paese di Ljubosino ». Con-
tinua:
«Sono ricominciate le vecchie giornate e di nuovo ricominciate le
istruzioni che tanto seccavano ai miei compagni come anche a me (lo
dico sinceramente). Ora no! All’istruzione la mattina, da quando siamo
ritornati dall'azione, tutti i combattenti dimostrano più amore e interes-
samento giacché hanno avuto la dimostrazione pratica nell'ultimo com-
battimento. Si domandavano: ”A che cosa serve fare addestramento al
combattimento? Non sarebbe meglio andare a fare un pisolotto che que-
sta notte non ho dormito bene?”. "Com'è seccante provare la mira, non
sarebbe meglio andare a vedere se in quella casa mi potrebbero dare
qualche cosetta da mettere nello stomaco dato che il rancio oggi sarà
un po’ scarso?” (...). Hanno capito quanto necessaria è la mira dopo
che hanno visto sollevarsi la terra a pochi passi dai piedi e inteso fischia-
re le pallottole a pochi palmi dalle orecchie. Ora tutti con buona volontà
voglieno imparare e sapere per poter in quest'altra azione sollevare an-
263
cor più il nome del batg. italiano e dimostrare al popolo croato che an-
che nel Gorski Kotar la minoranza italiana sa tener alto il nome e l’ono-
re della nostra cara Istria nella quale speriamo di ritornare per poter ab-
bracciare i nostri cari i quali fiduciosi ci attendono ».2
Le giornate si mantengono belle, tiepide. Il 28 febbraio si fa istru-
zione politica all'aperto, c'è un magnifico sole. Nel pomeriggio viene l'or-
dine di spostarsi a $tubice. Con disposizione n. 385/28. II, il I e il 1II
battaglione della « Gortan » sono partiti da Gomirje per attaccare il pre-
sidio ustascia di Sv. Petar ed il « Budicin » deve servire da riserva tat-
tica. La guarnigione nemica, stavolta, viene attaccata e liquidata (dal I
battaglione) e fra le 23 e l’una di notte si ritorna alla base. I combat-
tenti del « Budicin » arrivano a Hambariste all'alba del 1° marzo. Nello
stesso giorno, da Delnice dove sono impegnati in alcuni comizi, i dirigenti
dell'Unione degli Italiani Andrea Casassa e Dino Faragona, chiedono al
comando della brigata « Gortan » di inviare alcuni combattenti e ufticiali
del « Budicin » alla riunione plenaria del Comitato dell’organizzazione de-
gli antifascisti italiani convocata a Zalesina per il 6 marzo. L'imminente
assise ha un altissimo valore politico, ci si prepara a lanciare — tra
l'altro — una forte campagna per l'arruolamento in massa degli italiani
nelle file dell'Esercito popolare di liberazione, rafforzando il battaglione
italiano e quindi trasformarlo in brigata. Nelle file del « Budicin » già
affluiscono nuovi combattenti di giorno in giorno.
Alla data del 2 marzo, Giordano Paliaga annota nel suo diario: « sono
venuti diversi nuovi compagni », ai quali, come succede quasi sempre
ai nuovi « gli mancava sempre qualcosa. Si ha fatto disinfezione e uno
gli mancava il sapone ed io ho beccato ». Resta nella penna il ladro, ma
la parola non scritta si indovina: in giornata un combattente viene punito
con la prigione e chiuso in una stalla. Sabato, 3 marzo, « subito al matti-
no siamo andati Vorbosko per prova di giuoco alla palla. Verso mezzo-
giorno si tornava al reparto e vedevo il ladro del sapone chiuso in una
stalla. Verso sera veniva dall’ospedale Caenazzo poi si andava ballare ».
Si rafforzano i ranghi
Il « Budicin », dunque, va rinsaldandosi. Oltre ai vecchi combattenti
che rientrano dall'ospedale, vengono sempre facce nuove dall’Istria e
da Fiume. Arrivano, fra gli altri, due intellettuali, due professori: il fiu-
mano Arminio Schacherl e il polese Dagri. Il primo ha fatto parte del
Comitato Popolare di Liberazione di Fiume, poi è stato mandato in Istria
a creare un giornale partigiano italiano in quel di Parenzo, ma l'offensiva
tedesca ha mandato all'aria i piani. Comunque, ha lavorato alla Sezione
agitazione e propaganda presso Sovignacco e altrove con la pelle sempre
appesa a un filo ma affamato mai. Ora, nel Gorski Kotar, fa conoscenza
con le poche cucchiaiate di farina gialla diluita in acqua e senza sale
detta « kasa », con patate e polenta (quando c’è), dimenticando il gusto
del pane. Nel battaglione diventa responsabile per la stampa. Il « prot »
Dagri (mettiamo quel prof. tra virgolette perché è uno studente liceale,
il Dagri, anche se i compagni lo ritengono, lo stimano e lo chiamano
2. Questo ed alcuni altri giornali tascabili del battaglione italiano si conservano presso il Museo
Civico di Rovigno.
264
professore) viene assegnato alla I Compagnia per insegnare geogratia,
topografia ed altre cose necessarie per l’elevamento culturale dei com-
battenti. È paziente, buono, parla e spiega senza stancarsi anche quando
gli « scolari », stanchi per le fatiche della giornata, si addormentano ai
loro posti. Finché ce n'è uno che riesce a tenere gli occhi aperti, Dagri
fa il suo dovere.
Anche nei quadri di comando avvengono dei movimenti di rilievo.
Il capitano Alizzi, già criticato « per non essersi dimostrato all'altezza del
proprio compito durante un allarme con susseguente errata manovra di
spostamento del battaglione »,3 cede per la seconda volta il comando,
sostituito da Milan Iskra. Resta vacante la carica di ufficiale operativo,
ma viene coperta quella di commissario politico di battaglione con l'ar-
rivo da Fiume di Guerrino Bratos, un comunista temprato che nella
sua città ha fatto parte nel novembre 1941 della prima direzione del
partito e del Movimento popolare di liberazione.
Molte le novità di questi giorni, sviluppatissima l’attività sociale e
politica. I canali fra l’Istria e il Gorski Kotar funzionano quasi indistur-
bati, la stampa comincia ad arrivare di nuovo regolarmente, i combat-
tenti scrivono a «Il Nostro Giornale » che pubblica scritti di Alberto
S. (Szabo), di Marino Bonaparte e di altri combattenti del « Budicin »,
insieme a brani di lettere da essi inviate ai familiari. Ne riporta alcune
l'edizione del 6 marzo:
« Adesso si avvicina il bel tempo e con esso si avvicinano le altre divi-
sioni del nostro Corpo; ed esse hanno cannoni e carri armati. Così ver-
remo di colpo fino in Istria ». Così scrive Giordano P(aliaga).
Bepi R. afferma: « Caro amico, sono qui sano e salvo, insieme con
G., tuo fratello, Gidio, Bre. e D., tutti in ottima salute ». È la redazione
che « censura » i nomi. « Qui noialtri siamo tutti vestiti in inglese, meglio
che ufficiali fascisti. Io spero che ci rivedremo fra poco... Scrivimi co-
me state tu, Toto, B. e digli cosa aspettano la carrozza? Oppure che qual-
che notte li veniamo a prelevare? ... ».
Radio Belgrado — è sempre « Il Nostro Giornale » a riferirlo — esal-
ta la 43. divisione istriana, affermando, tra l’altro: « Nella divisione
istriana combattono anche gli italiani dell'Istria. Uno dei suoi maggiori
meriti è che nella lotta comune dei figli italiani, croati e sloveni del-
l'Istria si è consolidata la fratellanza d'armi dei popoli croato e sloveno
e della minoranza italiana dell'Istria ».
Novità esaltanti vengono anche dai vari fronti. Le armate di Roko-
sovski e di Zukov hanno sferrato una violenta offensiva che le ha por-
tate a minacciare da presso la capitale tedesca; gli anglo-americani, nel
bacino della Renania, martellano con le artiglierie Essen e Duesseldorf;
in Jugoslavia l'Esercito popolare stringe le divisioni naziste in una morsa
mortale in Bosnia; in Italia la V Armata progredisce presso Bologna...
Cinque donne
In questa atmosfera in Istria ed a Fiume si organizzano vere e pro-
prie carovane di donne che, portando sulle spalle viveri, vestiario, medi-
cinali, sigarette, carta, matite ed altre cose raccolte nei rispettivi terri-
3. Così in « Mancano all'appello », pag. 62.
265
tori, affrontano durissime marce per raggiungere il Gorski Kotar e por-
tare i loro doni il loro affetto e i saluti ai combattenti della 43. divi-
sione. Fanno visita anche al battaglione « Budicin » e parecchie di loro
sostano anche una settimana per lavare, rattoppare, stirare per quei loro
figli e fratelli. Cinque ragazze italiane, quasi tutte native di Fiume, re-
stano addirittura per sempre nel battaglione: Clara, Maria, Marta, Pina
(di Buie) e Vittoria.
Il loro arrivo nelle file del « Budicin » è un grosso avvenimento; è
la prima volta che delle donne vestono la divisa del soldato nel battaglio-
ne italiano. La presenza delle compagne serve a sollevare il morale dei
combattenti, i quali, oltretutto, cominciano a dedicare più attenzione al
proprio aspetto con benefici effetti per la disciplina: divise più in ordine,
più cura della persona, maggior senso di emulazione. Le cinque ragazze
vengono addette ai servizi ausiliari, naturalmente, ma non per questo
vengono meno il rispetto e l'ammirazione che tutti i combattenti nutro-
no nei loro confronti. Esse condividono con gli altri tutti i disagi della
lotta: la fame, le marce faticose, gli spostamenti, le ritirate. E sono sem-
pre premurose, altruiste, prodigandosi senza risparmio per i feriti e gli
ammalati, provvedendo alla lavatura delle uniformi e della biancheria,
aiutando in cucina. Una di loro, Clara Vlahovich, racconterà, anche a no-
me delle altre, la sua esperienza partigiana.
« Avevo sedici anni, avveniva che i tedeschi mobilitavano per la Todt;
io andai tra i partigiani per essere contro questi tedeschi. Niente ci co-
stringeva a farlo. Quelle di Fiume non avevano subito le sofferenze delle
donne dell'interno, non piangevano i figli uccisi e le case bruciate. Ma
c'era questo senso di necessità, questa innata coscienza di classe a spin-
gerti. Certo, l’inizio fu difficile, avevo paura, avevo lasciato la casa, ero
in un ambiente nuovo, non conoscevo la lingua. Mi spiegarono in croato
come si usava il fucile, non ci capii niente; quando sparai, il rinculo mi
fece cadere a terra. Nel '44 ero stata assegnata a un "dopunski bata-
ljon”, ma nell’anno seguente passavo al "’Budicin”. Noi ragazze eravamo
in quattro. Per una donna era molto difficile, a causa del suo fisico, per
l'igiene personale e tante altre cose. Tutto era uguale per tutti, ma lo
stesso si trovava qualche compagno pronto a sostituirti, alle volte, nel
tuo turno di guardia o, tra i malati di polmoni che godevano di razioni
maggiorate, chi ti dava una patata in più. La cosa più difficile era lo
sforzo fisico. Alle marce però reggevo abbastanza bene, mi capitava di
dormire camminando, ma ce la facevo. Poi, si sa, la donna ha una na-
tura diversa. La donna piange, la donna è più sensibile. Qualcuno cadeva
in battaglia e io quell’assenza me la portavo nel petto. Noi donne mette-
vamo a posto il morto, lo pulivamo; come stiravamo il collare e lavava-
mo il giubbotto di chi doveva presentarsi al pubblico come corista o per
gli spettacoli di arte varia. Erano queste le uniche espressioni femminili
concesse dalle circostanze. Eppure non mi sentii mai lesa nella mia fem-
minilità, non avvertii mai di essere diventata più rude, meno donna ».4
4. Rievocazioni citate, in « Panorama » del 15 marzo 1974. Vedi anche « Fratelli nel sangue »,
pag. 278. In un capitolo dedicato alle istriane nelle unità partigiane in « Borbeni put 43. istar-
ske divizije » (pagg. 227—229) si fanno i nomi di numerose donne croate, ufficiali e combat-
tenti, ma troviamo anche quello di Teresa Morelli, il che dimostra che ci furono ragazze ita-
liane anche in battaglioni diversi dal « Budicin ». A noi è nota la partecipazione alla lotta, nel
battaglione d'assalto della 13. divisione, di Lina Martongelli, nativa di Taranto, di famiglia
trapiantata a Capodistria e poi a Fiume, dove tuttora vive.
266
CAPITOLO XXXVI
MEDAGLIE E PROMOZIONI
Dal diario di Giordano Paliaga citiamo:
«4-3-45 Domenica. Al mattino verso ore 10 apparecchi nemici bom-
bardavano Moravize, la sera dovevamo andare al miting, invece è venuto
l'ordine di no perché il Comandante Brigata è morto; pochi giorni prima
è stato ferito da un compagno maggiore che andavano in azione per
scherzare con le armi.
Giorno 5-3-45 Lunedì al mattino istruzione; verso sera siamo andati
a miting e bel ballato, terminato alle 11 e mezza.
6-3-45 A] mattino come il solito, al dopopranzo il lavoro continuava
come sempre. Bella giornata ».
Il 6 marzo è una bella giornata non soltanto per il sole. In località
Zalesina presso Delnice, a parecchi chilometri da Hambariste e da Vrbov-
sko, ma sempre nel cuore del Gorski Kotar, gli italiani antifascisti scri-
vono una nuova pagina della loro nuova storia. Ne darà notizia « Il No-
stro Giornale » nella sua edizione straordinaria il 10 marzo. Il Comitato
provvisorio dell’Unione degli Italiani dell'Istria e di Fiume, « dopo aver
portato a compimento il compito per il quale si era costituito in data
11 luglio 1944, si è disciolto, dopo aver formato nella riunione tenutasi in
territorio liberato, il giorno 6 marzo 1945, con la partecipazione dei rap-
presentanti dei reparti armati italiani dell’Armata Jugoslava e dei dele-
gati delle località dell'Istria abitate da italiani, il Comitato Esecutivo
dell'Unione, di cui diamo sotto la composizione ».
Otto del « Budicin »
Su un totale di 31 componenti del Comitato esecutivo, uno è ufficiale
del battaglione « Budicin »: Giordano Paliaga, altri sette combattenti e
ufficiali del battaglione entrano a far parte del Consiglio: Andrea Belci,
dignanese; Mario Vergerio, umaghese; Ermanno Siguri, polese; Mario
Iedreicich, ufficiale, polese; Ferruccio Pastrovicchio, polese; Francesco
Sponza, ufficiale, rovignese; Diogene Degrassi, isolano.
267
Tale massiccia presenza di ufficiali e combattenti del battaglione ita-
liano nei massimi organismi dell’organizzazione politica che riunisce i
connazionali in lotta contro il fascismo, è un’altra prova dell'alta consi-
derazione di cui giustamente gode il « glorioso battaglione ”’P. Budicin” »
al quale viene indirizzato uno degli otto messaggi di saluto votati dal-
l'assemblea di Zalesina.
« Voi difendete, alla testa di tutti gli onesti italiani antifascisti, la
libertà e la giustizia », si legge nel documento. « Voi siete la migliore ga-
ranzia che la nostra minoranza potrà godere delle conquiste democra-
tiche della lotta popolare liberatrice guidata dal nostro maresciallo Tito.
Voi siete la certezza che saranno realizzati i diritti nazionali garantitici
dalle deliberazioni dello ZAVNOH. Voi avete lavato con le vostre mitra-
glie la macchia infiltta al nome italiano dal fascismo. Voi avete saldato
col sangue versato insieme una fratellanza indissolubile con il popolo
croato. Tutti noi antifascisti italiani vi accompagnamo nella vostra lotta,
orgogliosi di voi, e certi che aggiungerete nuove glorie alla tradizione del
vostro battaglione, degno del nome che esso porta. Avanti insieme fino
alla vittoria! ».
Gli altri messaggi sono diretti al Maresciallo Tito, all'AVNOJ, al
Partito comunista croato, ai Volontari della libertà dell’Italia occupata,
al Fronte unico popolare di liberazione per la Croazia, ai combattenti
italiani dell'Esercito popolare di liberazione della Slovenia. A questi do-
cumenti si aggiunge un Proclama nel quale i connazionali vengono intor-
mati dei compiti dell’Unione, fra questi:
« Intensificare la mobilitazione degli italiani dell'Istria e di Fiume
nell’Armata jugoslava, per accelerare la cacciata dell’occupatore e difen-
dere le conquiste democratiche della lotta, che costituiscono la garanzia
del felice avvenire della minoranza italiana ».1
Il 7 marzo, dopo tante giornate di sole, ricomincia a cadere la neve.
Lo annota nel suo diario Paliaga, aggiungendo: « Verso ore 9 venivano
da noi alcune drugarize per lavarci la biancheria ». Le compagne sono
venute « tutte di Istria ». L'indomani, giovedì 8 marzo, ritorna il sole.
Il 9 marzo trascorre come al solito, « però alla sera le compagne che ci
lavavano hanno voluto che andiamo a ballare, ed ecco ballando il Com-
missario di Battaglione mi portava una lettera con la nomina di membro
del Comitato per l'esercito Italiano »: la nomina, cioè, di membro del
Consiglio dell'Unione degli Italiani in rappresentanza dei combattenti
italiani nell’Armata jugoslava. « Tutti mi facevano gli auguri ed hanno
voluto urlare Viva il Commissario della II Compagnia! ».
« Sicuri che accoglierai con entusiasmo il nuovo incarico che in ri-
conoscimento della tua attività passata ti permette di mettere a disposi-
zione della lotta ancor meglio per il futuro le tue capacità, ti preghiamo
di farci pervenire la tua adesione ».2
Questo è il brano di una lettera circolare datata 9 marzo 1945, che
perviene ai neoeletti membri del Consiglio dell’Unione. In essa si elen-
cano i compiti principali da svolgere, fra cui l’« organizzazione di uno
1. I testi citati sono pubblicati nelle pagg. 281—286 del vol. 11/1972 di « Quaderni » del Centro
di ricerche storiche di Rovigno: Giovanni Radossi, « L'Unione degli Italiani dell'Istria e Fiume
— Documenti luglio 1944—1° maggio 1945 »,
2. In « Quaderni », op. cit., doc. n. 24, pag. 289.
268
scambio di corrispondenza fra la popolazione italiana dell'Istria e i com-
battenti del Btg. It. Budicin ». Questi compiti e il significato di quanto
avvenuto a Zalesina vengono spiegati ai combattenti del battaglione nel
corso dell'ora di istruzione politica il mattino del 10 marzo. Viene spie-
gato pure che, scrivendo lettere ai familiari ed ai conoscenti, i combat-
tenti devono convincerli della necessità di mobilitare nuove forze nel-
l’esercito partigiano « poiché l’attuale maggiore afflusso di forze italiane
dell'Istria ci fa sperare nella possibilità di raggiungere presto il numero
degli uomini necessario per la formazione di una Brigata Italiana », co-
me sarà spiegato in una circolare del 6 aprile. In una lettera pervenuta
al battaglione tramite il Comando della 43. divisione si insiste ancora
sull'argomento:
«Siamo sicuri che vi rendete pienamente conto della situazione e
che provvederete con la massima rapidità possibile a che ogni combat-
tente del Budicin scriva il massimo numero di lettere ai suoi conoscenti.
Non possediamo buste, ma vi mandiamo un certo quantitativo di carta
da lettera, che potrete poi ripiegare, scrivendo all'esterno chiaramente
l'indirizzo relativo. Fate poi un pacco di tutte le lettere e inviatelo a
noi, che provvederemo a inoltrarle a destinazione. Ma vi ripetiamo, per-
ché la cosa abbia successo, non bisogna perdere un minuto: provvedete
a mandare le lettere nel più breve tempo possibile, almeno nel giro di
due giorni. I compagni dirigenti politici spieghino la cosa ai combattenti
e li aiutino. Avanti al lavoro! Viva la Brigata italiana della 43. Divisione.
Viva il IV Battaglione ital. "Pino Budicin”! »,2 bis
Le lettere vengono scritte. Ne è rimasta qualche traccia.
Corrispondenze per la mobilitazione
Sfogliando « Il Nostro Giornale » del 2 aprile 1945, troviamo pubbli-
cati i brani di numerose lettere in due rubriche: « Dal "Budicin” » e
« Scrivono dal ""Budicin” ». Il combattente Rodolfo D. scrive:
«Cara mamma, mi fa molto piacere che qualcuno si ricordi del lon-
tano combattente, che combatte anche per lui. Nella lettera c'era anche
la firma di zio M., mi dite che si trova a casa. Questo non mi fa molto
piacere, perché lui è giovane, potrebbe entrare nella nostra lotta, come
sono entrati anche altri vecchi. Ed ora digli che guardi di scrivermi più
spesso se è possibile ».
Una delle donne-combattenti che si firma Kala (Valeria Tomsich?)
dice nella sua lettera a un compagno:
«Caro compagno, mi trovo qui già da 5 giorni, e ti posso dire che
sono proprio soddisfatta del vivere in generale che si fa e di tutti i com-
pagni e le compagne, I compagni sono tutti ben vestiti nelle divise nuove
gettate dagli inglesi. Ti dico che avevano ragione i compagni quando
dicevano che sono pure dei grandi stupidi gli uomini che non vogliono
approfittare e venire su, ma sopportano il peso del nemico, servendolo
fino all'ultimo, e tradiscono così i loro compagni e i loro fratelli. (...) La
cosa migliore che puoi fare è di venir su portando con te più compagni
che ti è possibile. Tutti ti sappiamo il migliore fra i tuoi compagni di
2 bis Ibidem, doc. 43 confermato dal 43a in lingua serbocroata.
269
lavoro, e come tale devi dare esempio agli altri. Hai già detto che in
marzo saresti venuto: ti aspettiamo. (...) si avvicina la fine della guerra,
e la vita partigiana non è poi così dura, credimi, compagno. Altri hanno
dato ben più di noi e continuano a dare ».
Arialdo Demartini, comandante della I compagnia, ad amici di Ro-
vigno:
«...Qquando dicevamo di essere di Rovigno, ci sentivamo orgogliosi.
In tutta l’Istria si sapeva che cosa era questa città: la prima insorta in
questa lotta liberatrice, essa ha dato i primi elementi del "P. Budicin”,
i quali sono sempre stati fra i migliori; tutti sanno qual è la nostra vo-
lontà e ci ammirano. (...) Noi del Big italiano abbiamo sempre fatto 1l
nostro dovere, molti sono caduti, abbiamo sopportato fame e freddo, ma
siamo sempre rimasti ai nostri posti di combattimento. La fede nella
lotta è grande ».
Segue il brano di un messaggio del commissario della II compagnia,
Giordano Paliaga. Dichiarando di accettare l’incarico di membro del-
l'Esecutivo dell’Unione, egli promette che « tutto il meglio della mia vo-
lontà andrà in attività del mio nuovo incarico », e conclude: « Affinché
la minoranza nostra dell'Istria possa dire di avere in noi dei figli, noi
tutti dobbiamo metterci al lavoro ». Il giornale partigiano italiano pub-
blica infine una lettera datata Delnice, 9- III -1945, seguita da quindici
firme, nella quale « un gruppo di combattenti ed operai dell'Istria e di
Fiume saluta con entusiasmo la costituzione del Comitato esecutivo del-
l'Unione degli Italiani », promettendo di dimostrare con l’opera « che la
fratellanza nata nella lotta comune è la salda base sulla quale i croati
e gli italiani della Jugoslavia federativa costruiranno il loro felice avve-
nire di pace, concordia e lavoro ». Da una lettera di Erio Franchi datata
10 marzo si apprende che i combattenti italiani nel solo Comando città
di Delnice sono una trentina. Di venticinque vengono forniti i nomina-
tivi, ma « qui a Delnice ce n'è ancora diversi », sottolinea lo scrivente.
Il battaglione « Budicin », già ridotto a una sessantina di uomini
« presenti » in seguito alla disastrosa missione nel Kordun del 7 dicem-
bre 1944, ne conta 133 alla data dell’11 marzo 1945. Di essi 88 sono com-
battenti, 8 sottufficiali, 22 dirigenti politici e 5 ufficiali. I « presenti »
sono 83 di cui 58 combattenti, 5 sottufficiali, 17 dirigenti politici e 3 uf-
ficiali.4
Una partita di calcio
Per il battaglione sono trascorsi ormai sedici giorni di riposo com-
pleto — se si eccettuano le consuete istruzioni — ed i combattenti hanno
quasi dimenticato i giorni neri. Non si patisce più il freddo e, sebbene
il rancio continui ad essere scarso, l'avvenire si presenta roseo. I com-
piti assegnati vengono svolti con abnegazione ed entusiasmo, come si ri-
leva dal verbale di una riunione: « Sponza incaricato per la tenuta delle
3. Ibidem, doc. n. 31, pagg. 293-294.
4. Da un quadro sinottico conservato presso l'Archivio del Vojnoistorijski institut di Belgrado,
k. 1324, f. 6, doc. 22. Vedi pure « Borbeni put 43. istarske divizije » che lo pubblica nelle
pagg. 257—263.
270
armi ha assolto in pieno l'incarico. Narciso e Cesco non sono stati di
meno per eseguire il giornale murale. Rosa nel tenere i libri ha avuto
la massima cura. Mario incaricato per la pulizia non poteva fare di me-
glio. Pure i compagni incaricati per i servizi. Piero e Marino per il con-
trollo ».4 bis Nella riunione si fa pure il controllo delle spese: per 46 kg. di
patate spese 1.150 Lire e 160 Lire per 1 kg. di formaggio. L’incaricato,
Remo, presenta la « rimanenza di cassa », 3.704 Lire, precisando che « si
è scambiato 1/2 kg di zucchero per 20 kg di patate e 1/2 kg di sale per
I kg di farina », sicché la rimanenza viveri al 6 - III - '45 « risulta di 22 kg.
di patate, 1 kg. di sale e 1 kg di salmone ». Nell’assegnare i compiti si
decide che « Remo dalle 3704 Lire d'accordo con i compagni spenderà
1704 Lire per il tabacco e le altre per i viveri ». Diogene è incaricato per
la biancheria, Narciso deve insegnare due o tre canzoni, Rosa deve fode-
rare i libri, Ervino e Cesco incaricati per il giornale, « Mario come pri-
ma, Sponza idem ».
I combattenti pensano ora perfino a « farsi belli », facendo uso del
sapone comparso dopo tanti mesi di assenza, mentre le compagne danno
volentieri una mano per stirare le divise e cucire nuove striscie e stel-
lette per i graduati.
L'11 marzo, domenica, i prescelti per la squadra di calcio della bri-
gata, fra questi Giordano Chiurco e Arialdo Demartini, vanno a Vrbov-
sko per disputare il primo incontro di campionato di fronte a un folto
pubblico di partigiani e civili. Nei primi quarantacinque minuti fanno
buona figura, sgambettando senza risparmio di energia. Anzi, è proprio
il Chiurco a segnare la prima rete per la rappresentativa della « Gortan »,
seguita da una rete avversaria che fa chiudere alla pari il primo tempo.
Alla ripresa, invece, le gambe non reggono, dal pubblico parte qualche
fischio, e per fortuna un fischio più lungo e più gradito, quello dell’ar-
bitro, mette fine alla partita: 1 a 2. Ricorda Demartini:
« Spossati dalla fatica, girovagammo per Vrbovsko. Chiurco mi riem-
piva la testa con argomenti di calcio, finché gli dissi chiaro e tondo che
nelle nostre condizioni fisiche non potevamo permetterci il lusso di fare
anche del calcio. Fu d'accordo con me, anche perché avevamo una fame
da non vederci più dopo quei novanta minuti di gioco. Per risolvere il
problema di quella fame nera, il mio compagno mi mostrò l'anello d’oro
che portava sempre al dito, un caro ricordo. "Se riusciamo a venderlo,
potremmo fare una scorpacciata”, mi disse. "Sei matto? Fra poco c'è la
cena” (quattro patatine), replicai. Ma egli si era intestardito, voleva riem-
pirsi lo stomaco. Scendemmo verso la segheria. Come se conoscesse il
posto, mi condusse in una casupola dove abitava una vecchietta, curva
nelle spalle, il volto scarno e rugoso; sembrava una fattucchiera. Dopo
un tira e molla di una decina di minuti, il baratto venne combinato. Per
due chilogrammi di farina gialla, il mio amico si privò dell'anello d’oro.
Ci procurammo un vaso di latta, che riempimmo d'acqua nel fiume
Dobra, accendemmo un gran fuoco e, quando l’acqua bollì, ci versammo
la farina. Dopo mezz'ora di cottura la polenta era pronta. Divorammo
tutto come lupi affamati, lontani da sguardi curiosi ».5
4 bis Il documento citato ci è stato dato in visione dall'ex combattente del « Budicin » Marino
Bonaparte, attualmente residente a Torino, ed è stralciato da un quadernetto di appunti ri-
salente al marzo—aprile 1945. In quello stesso quaderno troviamo l'elenco nominativo di
un'intera compagnia del « Budicin ». Vedi in Libro II « Documenti ».
5. Testimonianza rilasciata dal protagonista agli Autori.
271
Raduno a Lukovdol
Grande giornata quella del 13 marzo. Al mattino presto tutto il bat-
taglione si mette in marcia per raggiungere Lukovdol: la brigata « Gor-
tan » sfila davanti al Comando di divisione. Dandone notizia nell’edizione
del 2 aprile, « Il Nostro Giornale » scriverà:
«67 combattenti e dirigenti della nostra 43. divisione sono stati de-
corati con la medaglia al valore. Fra essi il ten. Milan Iscra, comandante
del "Budicin”, e i vicecomandanti di compagnia Mario Vegerio e Erman-
no Siguri. Sono stati inoltre promossi al grado di sottufficiale 230 com-
battenti e avanzati 78 ufficiali ».
Fra i decorati con la Medaglia al valore, aggiungiamo, c'è anche il
comandante di compagnia Domenico Medelin, ricoverato in ospedale,
mentre un altro comandante di compagnia, Arialdo Demartini, si merita
la citazione di encomio solenne nell'ordine del giorno. Giordano Paliaga
viene promosso da sottotenente a tenente. Terminata la cerimonia, il
« Budicin » ritorna a Hambariste, lasciando a Lukovdol il coro e il te-
nente commissario ipnotizzatore che si esibiscono nel « comizio » alla
sera. Giordano Paliaga annota nel suo diario:
« Finito alla sera, io e due Comandiri e Genio si andava a dormire
in una stalla. La notte era fredda. Al mattino si girava, ho comperato
delle patate, poi mi sono andato a bere un mezzo di vino. Verso mezzo-
giorno partivamo verso Jedrie dove il battaglione era già arrivato. Giun-
to, sono stato distaccato al nostro posto. Verso sera siamo andati a man-
giare per di tutto, poi adunata Battaglione e il Comandante leggeva la
mia promozione da S. Tenente a Tenente... poi ho fatto due giri a
ballare ».
Nel paese di « Sistabene »
All’esaltante giornata di Lukovdol è seguito, dunque, un nuovo spo-
stamento del « Budicin » il 14 marzo. La località in cui è stato trasferito
il battaglione, indicata da Paliaga come « Jedrie », è in realtà il villaggio
di Jadrè, a circa 11 km da Lukovdol, presso Severin na Kupi in direzione
di Karlovac.
I combattenti italiani, diventati ormai gente di casa nella vecchia
zona residenziale di Vrbovsko—Hambariste—Gomirje, vengono a trovar-
si nuovamente in territorio sconosciuto. Ci si trovano però subito benis-
simo. Il « cambiamento d’aria » dà l'impressione di rinascere. Per il cli-
ma, forse? No, semplicemente migliora il vitto; ed anche la gente del
luogo accoglie i combattenti con simpatia, circondandoli di premure.
«Se qualcuno ci avesse chiesto in quel momento di esprimere il no-
stro più grande desiderio — confessa Demartini a trent'anni di distanza
— sicuramente avremmo risposto: restare di stanza in quel paesello fino
al termine della guerra, anche a costo di scontrarsi ogni giorno col ne-
mico. Tanta era la fame arretrata e il bisogno di sfamarci, che il nemico
e la morte passavano in secondo piano ».6
6. Vedi nota precedente.
272
La sera stessa dell'arrivo, i combattenti vengono invitati a un trat-
tenimento danzante dalle ragazze del paese. Ogni casa, poi, ospita tre-
quattro soldati per l'alloggio. Ci si mette anche il bel tempo. Il mattino
del 15 marzo fa caldo come nel cuore della primavera. Si fanno le solite
istruzioni, poi si presenta lo spettacolo per la popolazione in serata: co-
ro, sketch, numeri dell’ipnotizzatore. Quest'ultimo scrive nel suo diario:
«La sera al miting tutta la gente si meravigliava, mi chiamavano
il diavolo mentre facevo il numero del barbiere e calzolaio. Uno veniva
in parco addormentato. Poi abbiamo ballato ».
Bellissima giornata anche quella del 16 marzo, « al mattino mentre
camminavo (per il paese) tutti i civili mi guardavano come di stucco »,
annota Paliaga, aggiungendo: « Al dopopranzo montavo ufficiale di gior-
nata, verso cena io e Milan andavamo in una casa a bere vino al Litro
100 Lire ». Purtroppo si deve partire. Verso le 12,30 arriva l'ordine di
lasciare l'ospitalissimo villaggio per raggiungere Stubica. Il I e il II bat-
taglione della brigata sono partiti per un'azione e si va a sostituirli. Si
arriva a Stubica all'una di notte del 17 marzo. Subito dopo la sveglia
cominciano le istruzioni e stavolta durano tutta la giornata. A nome di
tutti i combattenti, i dirigenti politici firmano un messaggio (« Zona
d'operazioni, 17. III. 1945 ») indirizzato all'Unione degli Italiani dell'Istria
e di Fiume « come rappresentante di tutti gli italiani in seno al FUPL
della Croazia ». Dopo aver dichiarato di essersi riuniti « nell'annuale della
fondazione del nostro battaglione », i combattenti del « Budicin » invita-
no quei connazionali che ancora non l'avessero fatto « a prendere le ar-
mi e a unirsi a noi nella lotta, e noi li accoglieremo nelle nostre file co-
me fratelli ».? Verso sera viene giù una bella pioggia e, annota Paliaga,
« per la prima volta ho inteso tuonare ».
Il 18 marzo, domenica, si fa una marcia di dieci chilometri al mat-
tino, si torna per il rancio, poi il battaglione si raduna per festeggiare
il primo anniversario della propria esistenza e « abbiamo discusso sulla
situazione politica in generale » ci informa Paliaga nel suo diario. Molti
combattenti scrivono lettere a casa.
«Cari genitori, mi trovo molto bene di tutto — qui è già prima-
vera, la neve non ci sta più, quello che mi manca è che è già due mesi
passati che non ò notizie di voi, mi piacerebbe molto sentire se vi tro-
viate tutti bene e che Felice e Papà non foste stati molestati dai Tede-
schi, di tutto ciò spero che sul momento buono terete in mente le mie
parole, quelle di stare molto attenti. Come già vi scrissi faccio parte del
glorioso Battaglione Pino Budicin, non facciamo che divertirsi sempre,
tutti siamo contenti, alegri, perché sapiamo che giorno per giorno il no-
stro nemico sarà stritolato, allora noi tutti potremo entrare nelle nostre
case, le quali starà su noi a farci restare contenti... Caro Papà nella
mia precedente lettera vi cenai di mia moglie, ove vi dissi di volerci be-
ne, perché lei ha molto sofferto e sta soffrendo ogni ora, questo vi chie-
do è il più grande bene che potete farmi. Quello che mi ha successo
che sono stato fatto prigioniero siete già al corrente e la mia fuga da
Fiume un giorno a casa vello descriverò.
Caro Papà e Mamma, quello che ancora vi chiedo è che mi occorre
mon chissà cosa ma solamente per comperare Tabacco e qualche po’ di
7. Il messaggio è pubblicato per esteso nel numero del 2 aprile 1945 de «Il Nostro Giornale »,
L'originale si conserva presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
18 Rossa una stella 273
latte che qui è un po’ molto caro dovreste mandarmi dei soldi e più
presto che sia possibile.
Allora come vi dissi la lettera passatela a zia Ninna che la passa a
Bepi pregandolo di farla partire subito. Vi saluto, guardate di farmi sa-
pere come si trova Mariuci e la famiglia e di salutarla. Saluti a Barba
Mate zia Valenzia e baci alla picia. Il mio indirizzo Combattente Attilio
Dobran I Compagnia, IV Battaglione Italiano Pino Budicin 43° divisione
Vladimiro Gortan 11° Corpus. W Stalin W Tito W il IV Battaglione Pino
Budicin. Io vi penso sempre tutti. Baci, Attilio. Croazia, 18-3-1945 ».8
E comincia la primavera
Nel tardo pomeriggio del 18 marzo, subito dopo la cerimonia per
l'anniversario (evidentemente i combattenti si richiamano alla fondazio-
ne della Compagnia « Pino Budicin », primo nucleo del battaglione, fe-
steggiandola con una settimana di ritardo sulla data) il reparto lascia
nuovamente Stubica per far ritorno al paese di « Sistabene » come i com-
battenti hanno battezzato Jadrè.
La sera del 19 marzo « meeting » con spettacolo per la popolazione.
Il « diavolo » ipnotizzatore riesce simpaticissimo e il coro « fa sbrego ».
Giornata allegra e movimentata anche quella del 20 marzo. Dopo le
regolamentari istruzioni del mattino e mentre è in corso una riunione
dei « quadri » del battaglione, arrivano 20 nuovi combattenti, quindici
dall’Istria e cinque da Fiume. Come va in città, che c'è di nuovo in
Istria, conosci quello e quell'altro? Il paese, la famiglia, gli amici: si
raccontano le novità. Il battaglione si rafforza, questo è l'essenziale. Alla
data del 21 marzo, leggiamo nel diario di Paliaga:
«Al mattino abbiamo cambiato posto di compagnia. Giornata caldis-
sima. Verso sera veniva il Commissario di Brigata e si ha fatto riunione
per i quadri ed abbiamo fatto la II Compagnia ».
In realtà avviene un radicale « mescolamento di carte »: passaggio
di vecchi combattenti nella neoformata compagnia accanto ai nuovi ar-
rivati, e di nuovi arrivati nelle già esistenti compagnie. Nella III com-
pagnia, composta di 36 uomini, tra i nuovi arrivati c'è anche un ragazzo
di 15 anni, Gabriele Dattolo fu Nicola, nato a Torino l’11 maggio 1930,
di professione scolaro, III Avviamento al lavoro, mobilitato il 5 marzo
1945, celibe, soldato. Novizio è anche Valerio Cettina fu Pietro, nato a
Pola il 10 aprile 1919, operaio meccanico, V elementare, volontario dal
5 marzo 1945, celibe, soldato; Parmido Loddo di Battista, da Barissardo
(Nuoro), classe 1918, contadino, proveniente dall’ex esercito italiano, anal-
fabeta, celibe, soldato il quale è venuto nelle file del « Budicin » il 25
febbraio 1945 seguito a qualche settimana di distanza da Antonio Mussi
fu Francesco, da Pizzo (Catanzaro), classe 1909, minatore, già della Ma-
rina, analfabeta, ammogliato con 3 figli, e da Giovanni Solvani, classe
1924, nativo di Rivorgolo del Re (Cremona), meccanico, ex granatiere, III
ginnasiale.
Il comando della compagnia viene affidato al polese Ermanno Siguri,
classe 1921, di professione barbiere, titolo di studio III Avviamento, vo-
8. La lettera si conserva presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
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lontario nell’EPLJ dal 27 luglio 1944, celibe. Ha per sostituto Gaudenzio
Bresaz da Vines, classe 1926, elettricista, II Avviamento, volontario dal
7 febbraio 1944, celibe. Commissario è Diogene Degrassi da Orsera, clas-
se 1919, pescatore, III Avviamento, volontario dal 19 settembre 1943; vi-
cecommissario Ferruccio Pastrovicchio da Pola, classe 1924, elettricista,
III Avviamento, volontario dal 28 marzo 1944, celibe. Altri graduati sono:
il sergente Antonio Calvia, nativo di Verchidda (Sassari), classe 1909, ex
carabiniere, insegnante di scuola elementare, volontario dal 4 agosto
1944, ammogliato con un figlio; i caporali Giovanni Solvani, Leonardo
Palurisan da Conversano (Bari), classe 1922, agricoltore, V elementare,
volontario nell’EPL dal 10 ottobre 1943; Acrelio Palucca da Viterbo, clas-
se 1921, ex carabiniere, V elementare, volontario dal 6 giugno 1944, ce-
libe; Michele Lattessa da Lacedonia (Avellino), classe 1921, agricoltore,
ex carabiniere, V elementare, volontario dal 15 luglio 1944, celibe. Diri-
genti politici di plotone (delegati): Alfredo Gomini di Luigi, da Fiume,
classe 1920, meccanico, già dell'aviazione, II Avviamento, volontario dal
9 febbraio 1945, celibe ed Attilio Dobran di Lorenzo, da Sissano (Pola),
falegname, già della Marina, V elementare, volontario dal 1° luglio 1944,
ammogliato. Economo della compagnia Umberto Barban di Arsinio, da
Masaniago, classe 1924, impiegato, III Avviamento, volontario dal 15 apri-
le 1944; infermiere Bruno Vellico di Domenico, da Pola, classe 1924, ope-
raio tubista, III Avviamento, volontario dal 28 marzo 1944, celibe. Altri
componenti la III compagnia sono: Giuseppe Sponza fu Giuseppe, da Ro-
vigno, classe 1926, pescatore, volontario dal 30 luglio 1944; Gino Medelin
di Angelo, da Rovigno, classe 1928, pescatore; Valter Mariotti fu Ettore,
classe 1925, da Calcara (Bologna), falegname, ex aviere; Antonio Bartoli
di Antonio, da Umago, bracciante, ammogliato con due figli; Antonio Cal-
cina di Antonio, classe 1925, da Grisignana, agricoltore; Giordano Cattonar
di Giovanni, da Rovigno, classe 1925, contadino; Francesco Bigoni fu Lui-
gi, da Budrio (Bologna), classe 1924, ex geniere, studente universitario
(è entrato nel « Budicin » il 17 febbraio 1945) e Enrico Milani di Ettore,
da Rovigno, classe 1925, agricoltore; Aldo Sponza di Giuseppe, da Rovi-
gno, classe 1926, muratore; Giordano Paliaga fu Domenico, da Rovigno,
classe 1922, pescatore; Francesco Gentile di Carmine, da Noci (Bari),
oste; Umberto Rissato di Giovanni, da Adria (Rovigo), classe 1924, avie-
re, contadino; Marcello Cicuto di Pietro, da Fossalta di Portogruaro (Ve-
nezia), classe 1925, ferroviere; Pelagio Srebenich di Carlo, da Cittanova
d'Istria, classe 1925, contadino; Bruno Cherin di Nicolò, da Rovigno,
classe 1927, panettiere; Giovanni Sober di Mario, da Sissano, classe 1919,
bracciante, ammogliato, con tre figli; Guido Racchi, Diego Miccelli e Cri-
stoforo Forlani9
Per il « Pino Budicin », che torna ad essere un battaglione completo,
si conclude un altro ciclo. E comincia la primavera.
9. Vedi nota 4 bis.
275
Parte settima
PRIMAVERA INSANGUINATA
(22 marzo — 8 maggio 1945)
fi
CAPITOLO XXXVII
COMINCIA L'ULTIMA OFFENSIVA
Con la primavera nell'aria, anche le notizie fanno presagire la fine
imminente della guerra. I partigiani sono ormai un grande esercito strut-
turato su quattro Armate tutte in rapido movimento verso le regioni set-
tentrionali del Paese. Mentre la Prima e la Terza, infranto il fronte dello
Srem, avanzano verso il cuore della Croazia e della Slovenia, e la Se-
conda prosegue a sud della Sava liberando la Bosnia per congiungersi
al grosso in Croazia e Slovenia, la Quarta armata è impegnata lungo
la costa adriatica in marcia verso la Dalmazia settentrionale.
Composta da quattro corpi d'armata, fra cui l'XI comprendente la
Tredicesima, Trentacinquesima e Quarantatreesima divisione istriana, la
Quarta armata riceve da Tito, il 20 marzo, l'ordine di liberare al più
presto i territori nord-occidentali, muovendosi sulla direttrice Lika—Gor-
ski Kotar, Litorale croato—Fiume—Istria verso l’Isonzo. Nell'ambito del-
l'offensiva, la Quarantatreesima divisione ha :il compito di intensificare
le azioni nelle retrovie del nemico sulle vie di comunicazione che dalla
Lika portano al Gorski Kotar, al Litorale ed a Fiume. In questo quadro,
alla brigata « Gortan » viene ordinato di impegnare e bloccare la guarni-
gione ustascia di Ogulin, paralizzando così quella che Pavelié considera
una delle sue ultime roccaforti.
Ritorno a Gomirje
e « gita » a DreZnica
Alla data del 22 marzo, Paliaga annota:
«Oggi ho ventidue anni. Al mattino dolore di pancia, al dopopranzo
si partiva a Gomirje ».
Col ritorno a Gomirje, la vecchia Gomirje, avamposto della brigata,
ricomincia la vita in « poloZaj », la vita di posizione. Gli altri battaglioni
vengono invece dislocati: il I a Bosiljevo, il II a Musolinski Potok, il
III a Jadré. I turni in posizione sono di dieci-dodici ore, ma il « fronte »
si mantiene ancora quieto e chi è libero può andare anche a ballare di
279
sera. Gli uomini della I compagnia si fanno invece una « gita » fino a
Dreznica per scortare alcune alte personalità e una colonna di muli ca-
richi di armi pesanti e relative munizioni.
Insieme al comandante di compagnia, Arialdo Demartini, parte an-
che il vicecommissario di battaglione Mario Jedreicich. La marcia si pre-
senta subito difficoltosa, per montagne impervie, sentieri di capre tor-
tuosi e viscidi. Ogni tanto un mulo scivola finendo a terra con tutto il
carico. Il difficile è risollevarli: testardi come sono, se ne restano a terra
immobili fin quando non gli si toglie di dosso il peso che tocca agli uomi-
ni portare per lunghi tratti. Verso il tramonto, transitando sul fianco del
monte Klek, viene dato l'allarme: « nemico in vista ». Un plotone prende
posizione, mentre il grosso della colonna si ferma nel bosco. Cessato 1l
pericolo, la marcia riprende e dura fino alle prime ore dell'alba. Ancora
una sosta e, finalmente: Dreznica, roccaforte partigiana fin dal 194).
Sul « Giornale tascabile I° Comp. IV Btg Pino Budicin », il combattente
Alfredo Gomini descrive le impressioni di questa « gita »:
« Siamo due ore che si cammina, la pioggia viene giù che è un pia-
cere, siamo tutti inzuppati; non fa caso, bisogna andare avanti, il materia-
le che scortiamo è prezioso e perciò niente ci deve impedire che questo
giunga a destinazione in ordine. La strada non è davvero delle migliori,
passiamo già una seconda montagna, quando, data l’altezza piuttosto no-
tevole, la pioggia si trasforma in candida neve. Di bene in meglio, inzup-
pati come siamo, non è impossibile che ora si diventi delle statue di
ghiaccio. Ma ciò non avviene dato il buon passo tenuto; dopo tre ore
giungiamo a destinazione, non nevica più, è un sole che sforzandosi
di rompere lo strato di nubi, ci asciuga e ci scalda con i suoi primi e
ben accolti raggi benefici.
Cammin facendo, in breve tempo abbiamo passato niente meno che
tre stagioni. Già! Siamo partiti con la pioggia, "autunno”, abbiamo incon-
trato la neve, inverno”, siamo ritornati con il sole, "primavera”. Non
c'è male, no? ».i
Bottino: 13 vacche
Il 26 marzo, riunione del battaglione per celebrare la Settimana mon-
diale della Gioventù; ancora riunione il 27 per celebrare il quarto anni-
versario del « no » detto dai popoli jugoslavi al patto con i nazifascisti,
comizio e spettacolo la sera. Lo annota Paliaga dopo un altro dei suoi
successi come ipnotizzatore, scrivendo poi alla data del 28:
« Giorno 28-3-1945 passato così e così. Alla sera, ore 20, si partiva
per azione (presso) Ogulin. Per strada pioggia, arrivati al giorno dietro
ore ‘sette ».
Dopo una marcia di undici ore, stanchi e fradici d'acqua, i combat-
tenti arrivano a pochi chilometri dalla città-fortezza degli ustascia, i
quali, uscendo giornalmente in pattuglioni, scorazzano ancora per i vil-
laggi circostanti sequestrando ai contadini il bestiame. Compito del bat-
taglione è di molestare il nemico, tastandone il polso. Il « Budicin » apre
un intenso fuoco sulle posizioni avversarie, gli ustascia rispondono, ma
1. Il documento si conserva presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
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senza arrischiarsi a mettere fuori il naso. Si rientra a Gomirje nelle pri-
me ore pomeridiane del 29 marzo.
Il 30 marzo, alle 11 antimeridiane, riunione dei dirigenti politici col
segretario della cellula di partito del battaglione, il segretario di partito
della Brigata e il commissario di brigata. Alla sera, la I compagnia e un
plotone della II ripartono alla volta di Ogulin « per portar via viveri agli
ustascia » — annota Giordano Paliaga, che è della partita insieme a De-
martini, Giordano Chiurco, Mimi Trento, Rudi Dobran e altri. C'è pure
l’economo del battaglione Sime Slivar.
All'alba del 31 marzo, dopo alcune ore di attesa dietro le siepi fian-
cheggianti la strada per la quale solitamente transitano gli ustascia con
i viveri per le loro cucine, il nemico si fa vivo: alcuni carretti seguiti da
una piccola mandria di bovini scortati da un gruppo di fascisti croati.
Arrivati a tiro, vengono investiti dal fuoco rapido dei partigiani italiani.
Alcuni ustascia restano uccisi sul terreno, gli altri si danno alla fuga,
lasciando tutto il bottino. « Alla sera del 31 -3-1945 — annota Paliaga —
subito arrivavamo con 13 vacche e tanti altri viveri ». I quali servono a
migliorare la razione giornaliera dei combattenti il 1° aprile per la festa
del primo anniversario della brigata « Gortan ».
Dopo un anno
Da Delnice, dove hanno sede gli organismi politici del Movimento
popolare di liberazione dell'Istria, il Comitato regionale dell'USAOH (Or-
ganizzazione giovanile antifascista della Croazia), fa pervenire un mes-
saggio:
«A nome dell’indomita e libera gioventù antifascista dell'Istria vi
salutiamo e porgiamo gli auguri per il primo anniversario della vostra
brigata. H giorno 1. aprile è un grande giorno per l’Istria. Sulla cima
del nostro Monte Maggiore, quasi mille giovani istriani si raccolsero nella
loro prima conferenza della gioventù antifascista dell'Istria. Voi eroici
combattenti, i migliori giovani dell'Istria, vi siete raccolti per formare
la vostra I Brigata (...). Cari compagni, oggi dopo un anno, molti di
quei primi combattenti sono coperti dalla fredda terra (...). La nostra
dura strada e i nostri accaniti combattimenti hanno rafforzato ancor
più l'unità combattiva e la fratellanza di noi Croati con i fratelli Sloveni,
con i fratelli Serbi e con gli onesti antifascisti Italiani, i cui migliori figli
sì trovano nelle file della vostra Brigata, nel battaglione "Pino Budicin”.
Il popolo dell’Istria e soprattutto noi giovani desideriamo ardentemente
che ritorniate ancora più forti che mai ».2
Nella medesima occasione, i combattenti del « Budicin » inviano a
loro volta un messaggio di saluti all'Unione degli Italiani dell'Istria e
di Fiume, nel quale si dice:
«I combattenti del battaglione italiano "Pino Budicin" che in un
anno di lotta a fianco dei fratelli croati hanno mostrato con le armi in
pugno la volontà della minoranza italiana di eliminare l'odio nazionale
fomentato dal fascismo fra italiani e croati dell'Istria e di creare una
nuova fraterna convivenza dei due popoli in seno alla Jugoslavia Fede-
2. Il messaggio & pubblicato sul n. 6 (28) de «Il Nostro Giornale », del 6 aprile 1945.
281
rativa e Democratica, fanno la loro adesione all'Unione degli italiani de!
l'Istria e di Fiume. In essa vedono l’organizzazione politica che rappre-
senta gli interessi della minoranza italiana dell'Istria che deve trascinare
tutti gli italiani dell'Istria alla lotta contro l'oppressione nazifascista e
creare nuovi vincoli di fratellanza fra il popolo italiano e i popoli della
Jugoslavia realizzando così l'ideale di tutti i martiri italiani dell'Istria ».
Seguono le firme di tutti i combattenti.3
« Passata una bella giornata. Al dopopranzo al miting Verbosko: un
anno dalla formazione della Brigata, ballato e arrivati a Gomirje alle
3 di notte ».
Così si chiudono le note di Giordano Paliaga alla data dell'ultimo
giorno di marzo 1945. E sono le ultime del suo diario rimasto incompiu-
to. Le altre pagine del notes restano bianche. Qualcuna, anzi, è macchia-
ta di sangue. Quella di Vrbovsko del 31-III-1945 è l’ultima sua festa.
L'ultimo spettacolo dell’ipnotizzatore, l’ultimo ballo con Mara e con
Ljuba.
3. Vedi « Il Nostro Giornale » n. 7 (29) del 2 maggio 1945.
282
CAPITOLO XXXVIII
ALLE PORTE DI OGULIN
Il 2 aprile l'intera brigata « Gortan » si sposta dalla zona di Vrbov-
sko, spingendosi verso Ogulin per sferrare l'ultimo colpo alla guarnigio-
ne ustascia. I battaglioni croati operano dapprima sulla strada Ogulin—
Ostarije e Karlovac—Zvecaj, portandosi poi, insieme al « Budicin », nella
notte del 4/5 aprile, alle porte di Ogulin col compito di occupare la linea
delle quote 541-466—376—523—519 che formano la cintura di colline a
nord della città sul fiume Dobra ai piedi del Klek.
Per l'occasione i dirigenti del battaglione italiano assumono il co-
mando diretto delle singole compagnie: il commissario Guerrino Bratos
con la I, il comandante Milan Iskra con la II, il vicecommissario Mario
Jedreicich con la III. La marcia del battaglione da Gomirje a Ogulin e
l’arrivo in postazione sono così descritti da Arialdo Demartini:
«A farci da guida fu un anziano contadino che ci portò per gli or-
mai noti sentieri fino alle porte di Ogulin, su un terreno pianeggiante,
proprio nell’istante in cui i primi raggi solari iniziavano a rischiarare la
natura in germoglio (...) il nostro esperto accompagnatore prontamente
ci indicò l’unico posto adatto per attestarci e controllare il ponte sulla
Dobra. Mai prima d'allora mi ero trovato in postazione con i miei uomi-
ni tanto vicino alla terribile roccaforte degli ustascia (...). In un primo
momento temetti che la guida avesse sbagliato a indicarci il punto esat-
to della postazione. Informai subito dei miei dubbi il commissario del
battaglione, ma egli mi rispose: "Tutto è a posto”. Non mi rimase altro
che far sdraiare bocconi i miei uomini con l'ordine di mascherarsi bene.
Frattanto scrutavamo Ogulin che si stava liberando della sua solita fitta
coltre di nebbia. Ai nostri orecchi giungevano le note di marce militari
cantate dagli ustascia. Io e il commissario prendemmo gli ultimi accordi
sul compito che dovevamo portare a termine e che era quello di atten-
dere che venisse il cambio della guardia degli ustascia, ciò che si effet-
tuava sempre puntualmente alla stessa ora del mattino. Attraversando
il ponte, essi davano il cambio ai loro colleghi asserragliati nella chiesa
del villaggio di S. Pietro, dal cui campanile trasformato in osservatorio
potevano controllare un vasto raggio della zona circostante. Il nostro
compito concreto era quello di bersagliarli con il fuoco delle nostre armi
nel momento in cui avrebbero attraversato il ponte... ».!
1. In « Mancano all'appello », pagg. 65—66.
283
All'ora prevista, il drappello ustascia arriva cantando. Non si sogna-
no nemmeno che in pieno giorno, alle porte della loro roccaforte, pos-
sano esserci dei partigiani. Arrivati sul ponte e investiti all'improvviso
da un fuoco serrato di tutte le armi, i nemici si sbandano, poi si danno
a fuga precipitosa lasciando sul terreno alcuni morti. Subito dopo, però,
allarmata dalla sparatoria, la guarnigione ustascia reagisce con un fuoco
violento in direzione del ponte, investendo da ogni lato la compagnia
i cui uomini, portato a termine il compito, si accingono a ritirarsi per
ricongiungersi al resto del battaglione. La manovra diventa difficilissima.
«Sudammo le proverbiali sette camicie per sganciarci », testimonia De-
martini e aggiunge:
« E fu proprio operando questo sganciamento che captammo in lon-
tananza l'eco di un crepitio di mitragliatrici. Ciò era segno che anche gii
altri reparti del "Budicin" si erano scontrati col nemico. Man mano che
ripiegavamo, la sparatoria in lontananza diveniva sempre più percepibile.
Poi, a un tratto, silenzio assoluto ».2
La testimonianza coincide perfettamente con quella di Pietro-Rino
Benussi, rientrato nella I compagnia come infermiere, il quale, dopo
aver spiegato il perfetto sganciamento del reparto, in una memoria di
questa battaglia così scrive: « Postici relativamente al sicuro, sentimmo
ancora il prolungarsi di spari provenienti dalla direzione in cui si trovava
la II compagnia » (della quale ha riassunto il comando Bruno Caenaz-
zo). « Naturalmente tutto faceva supporre che da quella parte i combat-
timenti continuavano. Ma dopo pochi minuti, fu silenzio completo. Ci
guardammo, era strano ...». Che succede? È la domanda che si pongono
Bratos, Demartini, Francesco Fioranti, Francesco Sponza, Giovanni Qua-
rantotto e tutti gli altri. La risposta l'avranno a Gomirje, dove giungono
dopo una marcia forzata, trovandovi già le altre due compagnie con al-
cuni uomini in meno.
. Gara di eroismi
Ritenendo di trovarsi di fronte a un assalto partigiano in grande
stile e temendo soprattutto un bombardamento di artiglierie sulla città,
il comando ustascia ha fatto spiegare il grosso delle sue forze, 600 uomi-
ni, sulle quote circostanti dove si scontrano con i battaglioni della « Gor-
tan ». Questi arretrano, e l'urto maggiore viene sostenuto dalla I e III
compagnia del battaglione « Budicin ». I combattenti italiani contendono
all'avversario ogni palmo di terreno, combattendo con strenuo accani-
mento. Gli uficiali Gaudenzio Bresaz e Ferruccio Pastrovicchio, i combat-
tenti Ferruccio Gollessi e Armando Defranceschi, l'infermiere Mario Vel-
lico e il professore Arminio Schacherl, il corriere Rodolfo Dobran e il
comandante Milan Iskra, il comandante di compagnia Bruno Caenazzo,
il viceommissario Mario Jedreicichj; e ancora combattenti e dirigenti:
Bruno Deghenghi, Antonio Civitico, Spartaco Zorzetti; Giordano Paliaga,
Andrea Quarantotto, Silvano Chiurco, Erminio Trento e tutti gli altri
si battono da leoni. Con gli italiani c'è anche un belga, il mitragliere Eve-
2. Ibidem, pag. 66.
284
rard Levin detto « Uli », un giovane che i tedeschi hanno imbrancato nel
suo Paese, così come hanno fatto in tutti i paesi occupati, mobilitando
migliaia di schiavi mercenari; una volta giunto in Jugoslavia, però, Le-
vin è passato ai partigiani, assegnato al battaglione « Budicin » perché
conosce la lingua italiana, e del battaglione italiano è diventato uno dei
combattenti più intrepidi. Ora, affrontando gli ustascia, da solo ne falcia
una decina.
Il corrispondente dal battaglione de « Il Nostro Giornale », certamen-
te protagonista della battaglia, ne narra alcuni dettagli in un articolo
che in gran parte citiamo:
«Il nemico sente avvicinarsi l’ora della resa dei conti e cerca di
prevenire un attacco facendo uscire dalla città un forte contingente di
ustascia coll’'intento di aggirare le nostre posizioni, ma urta contro il
"P. Budicin”. I combattenti si trasportano da una quota all’altra tenendo
sempre il nemico sotto il fuoco. I mitraglieri Galvani Giovanni e Palluc-
ca Acrelio sparano col fucile mitragliatore in piedi; il belga Levin Eve
rard, fenito gravemente alla gamba, spara fino all'ultima cartuccia del
suo mitragliatore prima di lasciare la posizione. La II compagnia con
alla testa il comandante di battaglione ten. Milan Iskra, il vicecommis-
sario Mario Jedreicich con il comandante Caenazzo Bruno attacca gli
ustascia sul fianco; il mitragliere Sponza Eugenio porta il mitragliatore
a dieci passi dal nemico che avanza e semina la morte nelle sue file. Ma
un compagno è rimasto ferito; ecco un secondo: si fanno avanti il com-
missario tenente Paliaga Giordano e il vicecomandante della II compa-
gnia Quarantotto Andrea. Circondati dagli ustascia, sparano fino all’ul-
timo colpo dei lono mitra. Il compagno Quarantotto è ferito mortalmen-
te, il commissario Paliaga ferito alla gamba, quando si vede circondato si
spara un colpo di pistola. Meglio la morte che cadere nelle mani nemi-
che. Alla fine della battaglia il nemico si ritira lasciando sul terreno
venti morti e parecchi feriti ».8
Sei mesi dopo la battaglia, quando « Il Nostro Giornale » non sarà
più un foglio ciclostilato alla macchia ma un vero giornale, il combatten-
te Erminio-Mimi Trento narrerà questa versione dei fatti sulle sue co-
lonne:
« Il fuoco si faceva di minuto in minuto sempre più forte, più aggres-
sivo e micidiale. Il nemico, conscio della sua preponderanza in anmi e
uomini, cercò di stringere attorno a noi un cerchio col proposito di an-
mientarci; ma il suo intento fu sventato dai nostri compagni che compi-
vano gesta di valore e di eroismo. I nostri feriti venivano immediatamen-
te trasportati nelle retrovie e venivano loro prestate le prime cure dagli
infermieri, senza che dalle loro bocche uscisse una sola parola di lamen-
o... Militava tra le nostre file pure un compagno di nazionalità belga,
sfuggito ai tedeschi dai quali era stato forzatamente mobilitato. Aveva
appreso discretamente il nostro dialetto ed era amico di tutti: si chia-
mava Uli. Era mitragliere e con grande coraggio partecipò a questa bat-
taglia, destando l'ammirazione di tutti i compagni. Ferito gravemente a
un polpaccio, rifiutò di abbandonare l'arma e di farsi medicare, dichia-
rando che la sua ferita non era che una graffiatura; pochi minuti dopo
3. L'articolo è pubblicato sul n. 7 (29) del 2 maggio 1945 de « Il Nostro Giornale ». Il medesimo
scritto, firmato « Un combattente del Budicin » riappare su «La Voce del Popolo », n. 19
del 22 gennaio 1946, modificato pesi lievemente da qualche taglio e aggiunta, e con alcune
errate trascrizioni di nomi.
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sveniva sulla sua arma. Un altro compagno che si espose per osservare
meglio il nemico, fu colpito mortalmente al petto e cadde riverso col
fucile stretto nelle mani. L'infermiere Vellico accorse per soccorrerlo.
ma mentre se lo caricava sulle spalle, un proiettile colpiva pure iui. Me-
morabile rimarrà il gesto di un terzo compagno, il commissario Paliaga
di Rovigno, il quale mentre era già stato dato l’ordine di ripiegare, si
lanciava contro il nemico, incurante del fuoco infernale cui veniva fatto
oggetto, per salvare due eroici compagni, ma ancora prima che giunges-
se sul posto una raffica lo abbatteva al suolo ».4
Sull’episodio Pietro-Rino Benussi riferisce il racconto fattogli dal
comandante della II compagnia, Bruno Caenazzo, subito dopo il combat-
timento. Come prestabilito, una volta portata a termine l’azione dalla
I compagnia, le altre due si sono accinte a rientrare alla base. A un cer-
to punto scorgono a breve distanza, e mascherati da una leggera nebbia,
alcuni uomini che lì per lì vengono scambiati per uno dei reparti parti-
giani. I due gruppi si avvicinano l’uno all’altro, convergendo fino ad at-
fiancarsi. A questo punto Caenazzo si accorge che si tratta di ustascia.
Con prontezza di spirito, punta il mitra e lascia partire alcune raffiche.
Il reparto nemico sbanda, ripiega lasciando sul terreno alcuni morti.
Approfittando dello sbandamento degli ustascia, la II compagnia cerca
di sganciarsi rapidamente. Al nemico, tuttavia, giungono di lì a poco note-
voli rinforzi che prendono immediatamente posizione e attaccano a loro
volta.
« Fu in quel brevissimo lasso di tempo — scrive Rino — che Silvano
Chiurco rimase ferito. Vistolo cadere, i compagni Giordano Paliaga e
Andrea Quarantotto si precipitarono in suo aiuto. Purtroppo furono cir-
condati dal nemico e, dopo aver esaurito tutti i caricatori dei loro mitra,
furono sopraffatti dalle preponderanti forze ustascia ».
In questa testimonianza si esalta pure l’eroismo del belga Levin e di
Galvani.
In altre testimonianze oralmente raccolte — e sono parecchie —
qualche dettaglio cambia, ma i nomi si ripetono, e restano i punti fermi
di una gara di eroismi che coinvolge tutti nella sfida alla morte per pro-
teggersi e soccorrersi a vicenda, per tenere a bada il nemico.5
Il sacrificio di Paliaga
A battaglia conclusa, il Comando della « Gortan » comunica che agli
ustascia sono state inflitte pesanti perdite (45 morti e una trentina di
feriti); la nostra brigata ha subito 6 morti e tre feriti Ma come una
buona metà delle perdite nemiche va messa sul bilancio positivo del
« Pino Budicin », così appartengono al battaglione italiano tutti i feriti
e quattro dei sei caduti: Biasiol Marino, classe 1924, dignanese, combat-
tente; Silvano (Siano) Chiurco, classe 1914, rovignese, caposquadra; An-
drea Quarantotto, classe 1924, rovignese, vicecomandante di compagnia;
4. « Episodi d'arme del battaglione Budicin », ne « Il Nostro Giornale » del 28 settembre 1945,
5. Cfr. « Fratelli nel sangue », pag. 270; « Mancano all'appello », pagg. 67-68; Giacomo Scotti,
« La morte di Giordano » ne « La Voce del Popolo » del 6 aprile 1968.
6. In « Put prve istarske brigade », pag. 231.
286
Giordano Paliaga, classe 1922, rovignese, tenente commissario. So-
no caduti tutti da veri eroi, ma le circostanze della morte di Paliaga
danno al suo sacrificio un'aureola degna della sua nobiltà d’animo e di
una fede che non ha mai contraddetto nemmeno nei momenti più duri.
Il 6 aprile, mentre il grosso della brigata « Gortan » si mette in cam-
mino alla volta di Modrus per assalire quel presidio nemico, il Comando
del battaglione italiano spedisce una grossa pattuglia verso Ogulin, sul
luogo della battaglia, con l'ordine di cercare e, se possibile, recuperare le
salme dei caduti. Pietro-Rino Benussi, che ha affidato alla carta i suoi
ricordi, offre questa testimonianza circostanziata:
«Due giorni dopo la battaglia, il comando del battaglione si riunì
e prospettò l'idea di cercare di recuperare le salme dei compagni caduti.
In qualità di infermiere, io chiesi di partecipare all'azione se altri com-
pagni sì fossero associati. Non ci volle molto per raccogliere un bel grup-
po di uomini che si offersero volontari per formare il plotone. Così, in-
quadrati e muniti di barelle, partimmo la mattina stessa. Arrivati sul
luogo della battaglia, ci disponemmo frontalmente per perlustrare la zo-
na. Da quella posizione si vedeva la cittadina di Ogulin, sembrava a due
passi. Confesso che avevamo un po’ di fifa. Se il nemico ci avesse scorti,
saremmo stati facilmente sopraffatti. Comunque era più forte il pensiero
di portare a termine la nostra missione. Ci si stava avvicinando sempre
di più al presidio nemico e non era stato trovato ancora nulla. Alquanto
scoraggiati, stavamo quasi per abbandonare l'impresa, quando a un trat-
to fu passata la voce che era stato rinvenuto il corpo del compagno Gior-
dano; pochi metri più giù del declivio giaceva ill conpo di Andrea. Cercam-
mo ancora nella speranza di recuperare anche il corpo di Silvano e quelli
degli altri, ma senza risultato. Visto che stavamo esponendoci troppo al
pericolo, decidemmo di nientrare. Tornati presso le salme dei due com-
pagni, volli accertarmi della natura delle loro ferite: la salma del com-
pagno Giordano portava una ferita alla gamba sinistra e una, molto evi-
dente, sotto il mento con un foro di uscita del proiettile molto marcato
quasi al centro della scatola cranica. La ferita faceva pensare che si fos-
se sparato da solo per non cadere nelle mani degli ustascia. Il compagno
Andrea aveva uno squarcio al petto provocato da una raffica di mitra e
l'asportazione del muscolo superiore del braccio sinistro; più che una
ferita da arma da fuoco, sembrava il morso di qualche animale notturno.
Cercammo di comporre alla meglio le due salme, le caricammo sulle ba-
relle coprendole con delle coperte e, con il mesto carico, facemmo ritorno
alla base indisturbati ».
Uno dei componenti la pattuglia dei ricercatori delle salme, Sime
Slivar, conferma:
«Quarantotto era stato colpito proprio in mezzo al petto; Giordano
aveva una ferita alla gamba, un proiettile gli aveva spaccato l'osso, e
un buco mortale alla tempia, segno di suicidio. Con quei suoi occhi bel-
lissimi e i denti magnifici conservava ancora un sorriso di scherno per
il nemico ».7
Altri compagni dei caduti concordano nel dire che Paliaga si difese
strenuamente sparando sul nemico tutte le cartucce, riservando a se
stesso l’ultimo colpo per non cadere vivo nelle mani degli ustascia; di
Andrea Quarantotto dicono che si è pure battuto strenuamente fino alla
7. Dichiarazione rilasciata all'Autore il 13 aprile 1974.
287
fine; sulla fine di Silvano Chiurco e degli altri, le cui salme non furono
trovate, si fanno varie congetture. La verità la conoscono soltanto i mor-
ti, ma i morti non possono parlare.
I fratelli del « Budicin »
Il cuoco e responsabile della cucina del battaglione, Stefano Paliaga,
è solito cantare « Armata Rossa torrente d'acciaio », scandendo le prime
battute della canzone ad ogni colpo d’accetta quando spacca la legna.
AI ritorno del battaglione a Gomirje, la sera del 5 aprile, il canto gli
si spezza in gola. Giordano, suo fratello minore, non è tornato.
Il capoplotone della I compagnia, Giordano Chiurco, arrivato alla
base col suo reparto dopo gli altri, cerca invano suo fratello maggiore
Silvano. Un terzo fratello, Raffaele, è già caduto il 15 febbraio, pure nel
Gorski Kotar, nelle file della XIII divisione.
Dalla formazione del battaglione 0 nel periodo successivo della lot-
ta, nelle file del « Budicin » sono entrati, combattono o hanno combat-
tuto numerose coppie di fratelli. I dirigenti del « Budicin » hanno con-
cordato, tacitamente, da tempo: in caso di morte di un fratello, fare
il possibile per non esporre l’altro a gravi pericoli, affinché a guerra
finita possa tornare alla madre almeno uno dei figli. Ma come si può im-
pedire a un fratello di affrontare il rischio di vendicare il fratello uc-
ciso?
Sono caduti per primi Silvio e Gino (Luigi) Gnot. Il 7 dicembre 1944,
sempre nel Gorski Kotar, si è sacrificato Pietro Lorenzetto, comandante
di compagnia; suo fratello Tino, combattente del « Budicin » nel periodo
iniziale e segretario dello SKOJ a Rovigno, è caduto il 3 febbraio 1945
nei pressi del Canale di Leme, non lungi dalla città natale.8 Dei due Pa-
liaga adesso è rimasto uno; dei tre Chiurco due sono caduti. C'erano
due fratelli dignanesi, Francesco e Andrea Cerlon: il primo si è sacriti-
cato nel settembre 1944, il secondo non tornerà vivo dai lager nazisti.
Dei fratelli Bobicchio resta Antonio; Pietro, corriere, è caduto nell’otto-
bre 1944 in Slovenia. Dei fratelli Matticchio, gallesanesi, è caduto Ro-
mano il 6 dicembre 1944 a Popovo Selo. Sopravviveranno i fratelli Do-
menico e Biagio (Gino) Medelin, i fratelli Michele e Giovanni Veggian,
tutti di Rovigno, Basilio e Renato Calcich di Pola?
Quando le salme dei caduti tornano alla base il dolore dei compagni
combattenti si trasmette alla popolazione di Gomirje, dove ormai quasi
ogni uomo del « Budicin » è conosciuto per nome e la funesta notizia
desta profonda commozione.
8. Ricordiamo che una sorella dei Lorenzetto, Etta, ha pure preso parte alla LPL nel movimento
clandestino insieme a suo marito Aldo Curto, finito in un campo di concentramento tedesco
da lquale non ha fatto ritorno.
9. La presenza di un così gran numero di fratelli nelle file del « Budicin » è un fatto più unico
che raro nella pur straordinaria storia della guerra popolare di liberazione in Jugoslavia. Nel
battaglione italiano, inoltre, buona parte dei combattenti — specialmente fra i rovignesi, di-
gnanesi e gallesanesi — erano legati fra loro da vincoli di parentela, cugini per lo più. In-
tere famiglie, poi, hanno combattuto nell’EPL sia pure in reparti diversi. Qualche esempio:
Giuseppe Turcinovich nel « Budicin » e suo fratello Antonio nel CPL di Rovigno (un terzo
fratello, Nicola, è stato combattente di Spagna); Pino Pauletich nel « Budicin », sua madre
nella XIII divisione e il fratello Antonio in altri reparti. L'argomento è stato toccato da
Oscar Pilepié ne « I fratelli del Budicin » (Panorama, n. 6/31 marzo 1969).
288
Necrologi e funerali
Nel cimitero del villaggio, nel più profondo silenzio, insieme alla
gente del luogo il battaglione si raduna per onorare i caduti. Esequie
senza pompa, ma non c'è combattente che riesca a trattenere le lacrime.
Combattenti induriti dalle fatiche della guerra, ma sempre uomini. Giu-
rano però, facendo eco ai discorsi dei comandanti, di vendicare i com-
pagni che tanto si erano distinti non solo nei combattimenti, ma anche
e soprattutto per la loro generosità d'animo. Tornano alla memoria, con
loro, tutti gli altri caduti da Santo Stefano al Quieto a Giordani, da San
Pietro del Carso a Popovo Selo. Si spera che siano gli ultimi.
Da Gomirje, dove il battaglione resta fino al 9 aprile, il vicecom-
missario di battaglione Mario Jedreicich spedisce un necrologio di Pa-
riaga a «Il Nostro Giornale » che lo pubblicherà nel suo ultimo numero
ciclostilato alla macchia:10
« Nei primi giorni di aprile, in un duro combattimento intorno a Ogu-
lin, cadeva il Commissario Politico Tenente Paliaga Giordano, membro
del Comitato Esecutivo dell'Unione degli Italiani. La grave perdita, che
colpisce l'organo politico italiano non fa che rinsaldare la volontà degli
italiani dell'Istria e di Fiume, di seguire la strada gloriosa indicata dai
nostri grandi caduti, per portare il nostro popolo verso un futuro di li-
bertà e benessere nella Jugoslavia di Tito (...).
«La popolazione del Gorski Kotar, dove il battaglione ha svolto il
suo servizio questo inverno aveva imparato ad amare il commissario Pa-
liaga e vedeva in lui il tipo di italiano nuovo. I compagni del battaglio-
ne lo seguivano come un esempio e come una guida (...). Un altro nome
si aggiunge alla schiera gloriosa degli italiani dell'Istria caduti per la
libertà accanto a quelli del Budicin, Negri, Rismondo, Duiz e Gorian ».
Lo scritto, arricchito da una biografia dell’Eroe, riapparirà sullo
stesso giornale, in uno dei primi numeri usciti da una vera tipografia a
Pola liberata:
« (...) Il compagno commissario Paliaga è caduto. È caduto sulla
soglia della libertà quando il nostro battaglione dava gli ultimi colpi
alle belve di Pavelié e gli arrideva la figura amata della nostra Istria
libera. La sua perdita ha stretto di dolore il cuore dei compagni, ma il
compagno Giordano è stato vendicato da noi italiani e dai compagni croa-
ti. Ancora un Eroe è caduto, ma il suo sacrificio ed il suo sangue, come
quello dei migliori, non è stato vano. A questa libertà ed a questa fra-
tellanza, compagno Giordano, Tu hai immolato la tua giovinezza. Questa
libertà e questa fratellanza noi difenderemo e coltiveremo come ci hai
insegnato tu, con le opere e con l'educazione. Gloria a Te, compagno
Giordano, ed a tutti i nostri Eroi ».11
In un giornale tascabile della I compagnia, probabilmente l’ultimo
redatto a Gomirje, leggiamo invece un articolo intitolato « Colonna fune-
bre » e firmato, guarda caso « Rino Benussi, Infermiere ». Vi si parla
della « missione » per il recupero delle salme, del loro ritrovamento, del
ritorno alla base.
10. Nro 7 (29) del 2 maggio 1945.
11. Nro del 20 maggio 1945, « Figure di Eroi: Giordano Paliaga di Rovigno ».
19 Rossa una stella 289
« (...) Le due salme vengono coperte e caricate sulle barelle. La trì-
ste colonna fece così ritorno verso le ore dieci con il funebre carico.
Alla mattina i due corpi ebbero degna sepoltura con tutti gli onori mi-
litari. Comp. tenente Paliaga Giordano, PRESENTE!!! Comp. Komandir
Quarantotto Andrea, PRESENTE !!! ».12
Lo scritto è illustrato da una vignetta che presenta il battaglione in
marcia dietro una barella sulla quale sono adagiate le salme di due ca-
duti. Sulla copertina del « giornale tascabile » un disegno a colori ratti-
gura un partigiano che lacera con la baionetta la bandiera nazista.
12. I testi del giornale tascabile qui citato furono pubblicati da Claudio Radin su « La Voce del
Popolo » del 5 aprile 1964 e parzialmente da Arialdo Demartini nelle sue memorie «
all'appello » (Allegati, materiale fotografico). Una ristampa in fotocopia del medesimo gior-
nale è apparsa in allegato al n. 46 del periodico « Sottolatina » della Comunità degli Ita-
liani di Rovigno (marzo 1974). Il documento originale è stato donato dall'ex combattente
Nello Milotti al Museo Civico di Rovigno. Raccoglie anche articoli di Luciano Schicheri, com-
battente (« Nuovi Eroi »); Alfredo Gomini, combattente (« Sempre avanti »); Demartini Arialdo
Comandir (« Dovere »); Del Bosco Marcello, Desetar (« Esempi ») e di un anonimo « Delegato »
oltre a numerosi disegni.
290
CAPITOLO XXXIX
CADE LA ROCCAFORTE USTASCIA
Distaccato dal grosso della brigata « Gortan » che il 7 aprile si mette
in marcia alla volta di Mrkopalj — dopo aver liquidato il presidio di
Modrus — per raggiungere successivamente il settore di Delnice—Lokve,
il battaglione italiano « Pino Budicin » riceve l'ordine di aggregarsi prov-
visoriamente ai reparti della 13. divisione alla quale è stato affidato il
compito di conquistare Ogulin.
Il mattino del 10 aprile, i combattenti del battaglione italiano si
schierano sulla piazza di Gomirje, pronti a mettersi in marcia. Il mo-
mento è commovente. I soldati sanno di lasciare definitivamente il vil-
laggio da essi difeso per mesi dalle insidie ustascia ed anche la popola-
zione comprende che i « nasi Talijani », i nostri Italiani, come vengono
affettuosamente chiamati i ragazzi del « Budicin », stanno per andarsene
per sempre. Notizie buone sono arrivate da tutti i fronti di guerra. Go-
spit, Ototac ed altre località sono state liberate dalle divisioni motoriz-
zate e corazzate della IV Armata. La 43. divisione istriana è impegnata
ad aprire il varco ia quest'armata nel cuore del Gorski Kotar eliminando
le colonne naziste che, ritirandosi dalla Dalmazia, cercano di approntare
nuove linee difensive. In tutti i villaggi del Prokuplje e del Kordun la
popolazione, con in testa i giovani, sta riparando le strade, i ponti ed
altre vie di comunicazione per facilitare e accelerare l'avanzata dell’eser-
cito liberatore. Ogulin deve ancora cadere.
Il dono della bandiera
Dalla folla raccolta sulla piazza di Gomirje, intorno al « Budicin »
si fanno avanti alcune ragazze che porgono al comanidante del battaglio-
ne il loro regalo: una bandiera italiana con la stella rossa, chissà con
quanto amore confezionata e da quanto tempo tenuta in serbo. « Porta-
tela con voi nella liberazione dell'Istria », dicono. È la prima bandiera
che da questo momento porta il battaglione e non la lascerà fino alla
fine della guerra.
291
Nel pomeriggio il « Pino Budicin » è alle porte di Ogulin, nel momen-
to stesso in cui vi si dirigono dalla direzione opposta i battaglioni della
II brigata della 13* divisione.
I combattenti italiani incontrano ‘alcuni compagni, fra questi due
combattenti della I compagnia del « Budicin » catturati dal nemico nella
battaglia del 4/5 aprile e riusciti ad evadere dalle prigioni; i paveliciani,
essi informano, stanno facendo precipitosamente i bagagli per sottrarsi
alla cattura. Hanno capito finalmente che tutto crolla intorno a loro.
Il « Budicin » affretta la marcia per attaccare almeno la coda della
colonna nemica, precipitandosi giù dalle colline verso l'abitato, ma tro-
va la città deserta. Deve accontentarsi di liquidare pochi ritardatari. I!
grosso degli ustascia ha già guadagnato il bosco nella speranza di porsi
in salvo. Non ci riuscirà, incapperà nelle brigate slovene.
I combattenti italiani entrano in Ogulin alle ore 16,00 dal sobborgo
di Sv. Petar. Vi entrano cantando inni partigiani, accompagnati dalla fi-
sarmonica di Eugenio Rocco-Stila che, contento come una pasqua, pro-
cede in testa alla colonna. Sfogano così l'immensa gioia di poter final-
mente muoversi in quella che è stata la roccaforte del cosiddetto « Stato
Indipendente Croato » ai piedi del Klek nel massiccio della Velika Ka-
pela, a mezza strada fra Zagabria e Fiume. Il bottino non è grande —
ma è enorme l’importanza dell'avvenimento. Il battaglione italiano ha
l'onore di concludere vittoriosamente le operazioni condotte per mesi
dialla brigata « Gortan » in questo scottante settore del fronte.
Nell'edizione del 13 aprile 1945, il foglio « 43. divizija », organo della
Quarantatreesima divisione istriana, così scrive, sotto il titolo « I! batta-
glione "Pino Budicin" è entrato a Ogulin »:
«Il 10 aprile, esattamente nell'anniversario della creazione della ver-
gognosa creatura di Pavelié, lo Stato Indipendente Croato, le unità della
IV Armata jugoslava sono entrate nel forte presidio ustascia di Ogulin.
Fra i primi in città è entrato il 4° battaglione italiano "Pino Budicin” della
I brigata "Vladimir Gortan”. Con ciò i reparti della nostra divisione sono
venuti a diretto contatto con le altre gloriose unità della nostra IV Armata
jugoslava. Sebbene Ogulin fosse solidamente fortificata con grandi bunker
di cemento armato, e il presidio contasse oltre 800 soldati nemici, gli
scannatori ustascia hanno abbandonato la località in preda al pamico.
Quanto fosse grande la confusione nelle loro file lo dimostra il fatto che,
nel momento in cui i nostri reparti motorizzati si avvicinavano verso Ogu-
lin, hanno abbandonato sui tavoli dei loro uffici le carte che in quel
momento vi si trovavano. Gli ustascia sono scappati pensando di salvarsi.
La nostra armata corre avanti e certamente li raggiungerà.
L'ingresso del 4° battaglione italiano "Pino Budicin” a Ogulin è un
suo grande successo. Al tempo stesso, questo fatto ha una grande impor-
tanza militare-politica. Gli Italiani dell'Istria, tramite i loro combattenti,
dimostrano di voler vivere nella Jugoslavia di Tito ».
« Il Nostro Giornale », il cui ultimo numero è uscito il 6 aprile, darà
notizia di questo avvenimento nell’edizione successiva del 2 maggio —
il solito ritardo dovuto alle difficoltà della guerra — scrivendo sotto il
titolo « Ogulin »:
«Il nome di Ogulin, la piazzaforte degli ustascia, è strettamente le-
gato a quello del battaglione italiano ”"Budicin”. Intorno a Ogulin l’eroico
292
battaglione italiano ha passato i duri mesi invernali montando la guar-
dia perché i banditi ustascia non uscissero a saccheggiare e uccidere nei
paesi serbi e croati della zona. Intorno a Ogulin sono caduti gli eroici
combattenti italiani, ma il loro sacrificio ha salvato innumerevoli vite
e ha rinforzato i vincoli di fratellanza e amore fra gli italiani, i serbi e
i croati.
Il giorno 10 aprile, di fronte alla pressione della nostra offensiva,
Ogulin veniva abbandonata dal nemico.
Il "Budicin” aveva l’onore di entrare per primo mella città e di in-
contrarsi nel centro con i fratelli serbi e croati della 13. divisione. entrati
dall'altro lato ».
Commovente incontro
Anche nella 13. divisione militano numerosi istriani. L'incontro, com-
movente, avviene proprio sulla piazza della icittà. Gli abbracci fra i com-
battenti italiani e delle altre unità partigiane si sprecano. Peccato che
tanti compagni, caduti o dispersi, non siano qui a condividere questi
momenti irripetibili della vittoria. Pensano a questo i ragazzi del « Bu-
dicin » quando, facendosi largo nel trambusto, vengono avanti due com-
pagni scomparsi da alcuni mesi: Carlo Bertocchi, capodistriano, e Bruno
Menis di Isola. Fatti prigionieri dagli ustascia îl 6 dicembre 1944, hanno
riottenuto finalmente la libertà e possono ricongiungersi al battaglione.
Vengono perquisite le caserme e gli edifici pubblici per snidare
eventuali nemici rimasti nascosti, ma non vien fuori nessun uomo ar-
mato. Parecchi di coloro che hanno servito fedelmente gli ustascia, tut-
tavia, vengono provvisoriamente messi al sicuro nella prigione locale in
attesa di essere giudicati dai tribumali del popolo. Qua e là, per le sttra-
de, si vedono ancora manifesti jaffissi dal nemico per additare ai parti-
giani gli « anticristi ». Pietro-Rino Benussi descrive uno di questi affissi
di propaganda anticomunista: « Un uomo in croce con il petto dilaniato
dal becco di un'aquila intenta a strappargli il cuore. L'aquila teneva
stretta negli artigli la bandiera rossa con la falce e il martello ». I mami-
festi vengono stracciati. I segni del crollato potere ustiascia non stanno
però solo nei manifesti. I combattenti del « Budicin » restano immensa-
mente sorpresi e turbati quando si sentono ichiamare, da dietro le sbar-
re del penitenziario dove sono stati rinchiusi in attesa di essere spediti
nei campi di prigionia, da uomini che portano le uniformi dell'esercito
italiano: « Paisà, paisà! », gridano nei vari dialetti dell’Italia meridionale.
Cuochi, barbieri, servi degli ustascia e abbandonati al loro destino dai
padroni, ora chiedono l’intervento dei partigiani del « Budicin » per
essere liberati.
Con la presa di Ogulin finiscono anche i più tremendi giorni di fa-
me. Da questo momento, inseritesi le brigate nell'organico della IV Ar-
mata, anche i ranci diventano più regolari e più abbondanti. La sera del
10 aprile viene preparata una buona cena, per la prima volta gli uomini
si saziano. Trascorsa la notte in riposo, il Comando del battaglione con-
segna la città ‘al presidio partigiano di Gomirje e la mattina dell’11, col
bottino fatto, parte alla volta di Lokve per ricongiungersi alla brigata
« Gortan ».
293
Vengono riattraversati i villaggi che hanno ospitato per mesi il bat-
taglione italiano. Canti partigiani riecheggiano ovunque. Durante tutta
la marcia, Bruno Caenazzo suona continuamente una cornetta che ha
trovato a Ogulin in una caserma. La primavera e la libertà versano nel
sangue nuovo ardore. La gente accoglie festosamente i combattenti ita-
liani, cospargendoli di fiori di campo. Con ile lacrime iagli occhi le donne
salutano e abbracciano i ragazzi del « Budicin » iche, a loro volta, non
riescono a nascondere la commozione. Lasciano un territorio, una popo-
lazione che — dopo le difficoltà iniziali — hanno dato ai combattenti
tutto l’aiuto possibile, condividendo il bene e il male, offrendo ospitalità
nelle case riscaldate quando l'inverno è stato più duro, sostenendo i par-
tigiani istriani materialmente e moralmente nei momenti difficili.
Fiori ai liberatori
« Dell'ombra di diffidenza che avevamo notato allorché mettemmo
piede per la prima volta nel Gorski Kotar jon rimaneva più alcuna trac-
cia. L'avevamo cancellata col nostro sangue nella lotta contro il comune
memico. Attraversando i villaggi marciavamo, a passo cadenzato, cantando
con orgoglio le nostre marce rivoluzionarie e partigiane, in lingua italia-
na; più di qualcuna la masticavamo pure nel serbo-croato. In testa alla
colonna sventolava sempre il nostro vessillo tricolore, verde bianco e ros-
so, con la stella rossa ».
Così nei ricordi di Arialdo Demartini! Un altro combattente, Mimi
Trento, narrerà pochi mesi dopo:
« Dopo Ogulin venne la volta di Lokve. Lasciammo così il piccolo ma
tanto ospitale villaggio di Gomirje. Prendemmo la strada che porta a
Verbosco. Erano le prime ore del mattino. Passammo vicino al campo-
santo dove gli eroi del "Budicin” riposavano assieme a quelli di altri
battaglioni; non c'era sguardo che non guardasse quelle croci, non c'era
chi in quel momento non pensasse ai caduti e non rivolgesse loro un ul
timo saluto: "Riposate in pace, cari fratelli, noi sapremo vendicarvi”.
«E la marcia continuava, uno dietro l’altro, nella penombra mattu-
tina, in silenzio. Passammo attraverso vari paeselli ancora immersi nel
sonno; soltanto da qualche finestra appena allora spalancata la faccia
d'un contadino mattiniero ci salutava sorridente. L'alba ormai spuntava,
le cime dei monti erano già indorate dai primi raggi di sole e noi prose-
guivamo instancabili; qualcuno zoppicava ed era aiutato dal compagno
vicino. La marcia era dura e forzata, tutti erano carichi dj munizioni.
L'ordine era di arrivare nei pressi di Lokve quanto prima fosse pos-
sibile, perché il nemico si stava schierando su tutte le quote che potevano
dominare le strade ed ogni altro passaggio.
In ogni paese la popolazione ci attendeva e ci dimostrava la sua
simpatia: gettava fiori, inneggiava al nostro battaglione e alla fratellanza
italo-croata. Care genti, quelle, che avevano saputo capire così bene che
il nostro più grande desiderio era quello di dimostrare che gli italiani
erano differenti da quello che l'occupazione fascista aveva potuto far lo-
ro credere e che volevano creare una vera fratellanza fra i nostri popoli.
La gioventù, in gran parte compagne, si avvicinava a noi e ci attaccava
al petto dei fiori multicolori, ci dava la mano e ci salutava augurandoci
di riportare sempre vittoria ».2
1. In « Mancano all’appello », pag. 69. Vedi pure « Fratelli nel sangue », page. 271—272.
2. Ne « Il Nostro Giornale » del 1° - XI - 1945: « Assieme al '’Budicin'' ».
294
L’Istria si avvicina
Nel momento stesso in cui il « Budicin » si è mosso da Ogulin per
raggiungere la zona di Lokve, gli altri reparti della « Gortan » hanno
lasciato la località di Mrkopalj portandosi nel villaggio di Sunger, dove
hanno trovato sistemazione due battaglioni e il comando brigata, men-
tre un terzo battaglione è stato dislocato a Brestova Draga.
Nel frattempo, ritiratisi dalla Dalmazia e dalla Lika sotto la pres-
sione della IV Armata jugoslava, i tedeschi hanno concentrato grandi
forze a Fiume, lasciando circa 1400 uomini della 392. divisione azzurra
nel settore Mrzle Vodice—Lokve per proteggere l'ala sinistra del loro
schieramento e organizzare una solida difesa ‘sulle alture dominanti, ap-
punto, Mrzle Vodice e Lokve. Attraverso queste località devono passa-
re le forze della IV Armata per proseguire, secondo la logica dell’avan-
zata, alla volta di Gornje Jelenje e Gumanac e, di lì, verso Fiume, l’Istria
e Trieste.
Il pensiero predominante di tutti è che la vittoria definitiva è a
portata di mano, che la fine della guerra è imminente, che presto si
tornerà in Istria, a casa, e che la terra natale è ormai vicina. I combat-
tenti sono in uno stato di euforia. Nessuno, nemmeno i comandanti,
pensa che le battaglie più sanguinose saranno combattute proprio sul-
l’ultimo tratto del cammino verso la liberazione.
Mentre il « Budicin » continua la marcia senza sosta e senza riposo
— si guardi la carta geografica per vedere la distanza tra Ogulin e Lok-
ve — i primi tre battaglioni della brigata « Gortan » sono a riposo in
attesa di nuovi ordini. Alcuni pattuglioni esploratori forniscono un qua-
dro della situazione nel settore apprestato a difesa dalle truppe ger-
maniche. Esse si sono attestate sulle quote 982 e 909 (Join Vrh), 971
e 804 (Lokve—Kamenik), 908 (Debela Lipa), 962 e 979 (Homer—Sagari-
ca—OStrac), 940 (Srednji Jarak), 983 (Kriz) e 837, 814 e 981.
Dopo aver marciato per l’intera giornata, l'11 aprile, il battaglione
« Budicin » ha assoluto bisogno di riposo; il comando, però, decide di
far proseguire la marcia anche nel corso della notte. Scrive Mimi
Trento:
« E sempre avanti, ore e ore di strada, infaticabili; il sole declinava
al tramonto. Scese la sera e la luna spuntò dietro alla foresta a rendere
meno difficile la marcia notturna; nel cielo sempre più scuro apparvero
le prime stelle. Tutti gli uomini erano curvi sotto il peso degli zaini, del-
le cassette di munizioni e delle armi pesanti. La strada saliva, si era in
montagna; l’aria era divenuta fredda, certi compagni che non avevano
il cappotto si coprivano con le loro coperte. Si giunse in un paesetto per
metà bruciato dai fascisti; erano le due del mattino, e là, dopo due notti
insonni, potemmo finalmente gettarci nei fienili, sotto qualche tettola
e nella scuola per qualche ora di riposo. Alle sei suona la sveglia, ed alle
sei e mezza si proseguì il cammino ».
La fisarmonica e la tromba
I combattenti hanno affrontato, nella loro marcia, i più alti rilievi
della Velika Kapela, tutti al di sopra dei 1000 metri, i massicci di Ravna
Gora e Starî Laz, ed ora si avvicinano a Sunger dalle cime dell’Unka e
295
della Visnjevica. La marcia viene resa meno pesante dal suono della
fisarmonica di Eugenio Rocco, al quale si unisce quello della tromba,
per la prima volta comparsa nel battaglione, suonata oltre che da Cae-
nazzo, anche dal polese Vittorio Sartori.
Siamo all 12 aprile. Dai loro aqquartieramentii di Sunger e Brestova
Draga, i tre battaglioni croati della « Gortan », per ordine del Comando
della 43. divisione, muovono verso le posizioni nemiche intorno all’in-
crocio delle strade a oriente di Lokve, disponendosi dapprima sulla li-
nea Brestova Draga—Debelîi Vrh su quote tra i 970 e i 11269 metri, per
p'artire successivamente all'attacco della cittadina di Lokve investendola
dai lati meridicnale e orientale in collaborazione con la II brigata e 1l
raggruppamento divisionale di artiglieria (nel quale, proprio in questi
giorni vengono inviati anche parecchi combattenti italiani). Dopo cin-
que ore di combattimenti, iniziatisi alle 3 del pomeriggio, il nemico vie-
ne cacciato dalla quota di Bukovac e dalle quote 909 e 982. Resiste in-
vece sullle altre posizioni.3
Il battaglione italiano arriva nel settore di Brestova Draga, metten-
dosi a disposizione della brigata, proprio nel momento in cui gli altri
battaglioni si fortificano sulle posizioni raggiunte. Mimi Trento scrive:
«Giungemmo nei pressi di Lokve verso le 10 di sera. Lokve è un
paesetto composto da circa 300 case, sparse accanto alla strada e fra le
montagne. Si sentivano degli spari isolati e delle raffiche di armi automa-
tiche. Andammo a riposare, mentre varie pattuglie furono distaccate per
impedire ogni spiacevole sorpresa ».
3. Delle operazioni della brigata « Gortan » nel Gorski Kotar fino all'aprile 1945 trattano i docu-
menti conservati negli archivi del Vojnoistorijski institut di Belgrado: k. 1322, f. 3 (doc.
33-34, 47, 53 e 56), k. 1324, f. 3 (doc. 2-3, 7—9, 11-15, 18—19).
296
CAPITOLO XL
I COMBATTIMENTI DI LOKVE
I combattenti del « Budicin » possono dedicare al sonno soltanto
poche ore. E nemmeno tutti riescono a riposare. Alcune pattuglie, già
nellha notte sul 13 aprile vengono impegnate in missioni esplorative.
All'alba i tedeschi passano al contrattacco iper riconquistare le tre
quote perdute il giorno precedente. La brigata « Gortan » respinge due
attacchi consecutivi, ma dopo sei ore di scontri è costretta a ritirarsi
sulle posizioni di partenza ‘a Sunger e Brestova Draga. La II brigata so-
stiene altrettanto aspri combattimenti nel ‘suo settore infliggendo e su-
bendo gravi perdite, ritirandosi poi anch'essa sulle posizioni di parten-
za e, successivamente, a Delnice.
Il comando divisione riesamina la situazione, ordinando ‘alle brigate
di prepararsi per riprendere l'offensiva l'indomani. Nello stesso giorno
del 13 aprile viene chiamata nel settore la III brigata, mentre gruppi
di esploratori ssi spingono nella notte fin sotto le posizioni nemiche per
accertarne i punti deboli. Si constata che i tedeschi hanno abbandonato
volontariamente alcune posizioni per rafforzarsi sulle altre più impor-
tanti.
« Alle 4 del mattino — citiamo Mimi Trento — venni chiamato e in-
viato in ricognizione su una quota per vedere se il nemico vi si trovava
ancora. Arrivai sulla quota con gli esploratori e la trovai deserta: le trac-
ce lasciate dal nemico erano però visibilissime. Informai immediatamen-
te il comando, e poco dopo tutto il battaglione prendeva posizione. I te-
deschi si trovavano alla nostra destra, su una quota più alta. Per tutto
il giorno ci fu uno scambio non molto intenso di fucilate. Alla sera fum-
mo sostituiti da un altro battaglione, perché al nostro era giunto l'ordine
di occupare la posizione nemica.
Ci preparammo e, allorché venne dato il comando, partimmo all’at-
tacco ...».!
La posizione nemica attaccata è quota 982, che rappresenta l'anello
strategico della catena difensiva tedesca. Gli altri battaglioni della bri-
gata, contemporaneamente, attaccano Sepovatki Vrh, Kameniti Vrh, De-
1. Mimi Trento in «Assieme al "Budicin” », La Voce del Popolo del 1°- XI - 1945,
297
bela Lipa ed altre quote intorno a Lokve, Zelina e Mrzle Vodice. Quota
982, subito chiamata « quota senza nome » dai combattenti italiani, è po-
sta a cavallo sulla strada che porta a Lokve, per circa un chilometro, e
sovrasta la stazione ferroviaria del paese. Nel tentativo di offrire una
via di scampo verso la Slovenia al 97. Corpo d'armata e permettere a
circa 75 mila uomini dislocati nella zona di Fiume di ricongiungersi sen-
za perdite alle rimanente forze impegnate sul fronte italiano (Gruppo
d’Armate « C »), i tedeschi hanno trasformato la stazione di Lokve e le
alture circostanti in una linea avanzata fortificata a difesa della diret-
trice Gerovo—Cabar, avendo alle spalle una seconda linea, ancora più
potente, la « Ingridstellung » che si estende lungo il vallone del fiume
Rjeîina a oriente di Fiume, quindi a ovest di Clana verso Monte Nevoso
e San Pietro del Carso (Pivka), appoggiandosi alle fortificazioni costruite
dagli italiani sulla vecchia linea di confine,
Il nemico è ancora ricco di mezzi, agguerrito, fanatico. Quota 982
è munitissima. Da un tappeto di bosco, man mano che si sale, l’altura
diventa roccia, il terreno sempre più difficile e ripido, e in cima alla
roccia è il baluardo tedesco: grossi massi di pietra a forma di cono con-
ficcati nella terra.
Primo assalto
alla « quota senza nome »
L'artiglieria della 43° divisione ha martellato le posizioni avversarie
allo spuntare dell'alba, infrangendo il quadro quasi idilliaco del paesag-
gio illuminato dal sole mattutino. Cessati il fischio e il fragore delle
granate esplodenti sulle rocce, la I e II compagnia del battaglione « Bu-
dicin » si buttano attraverso ‘il bosco e, appoggiate dal fuoco di un bat-
taglione croato sulla sinistra, si avvicinano alla quota 804 senza tarsi
scorgere. Di lì, sempre riparandosi dietro ai numerosi massi di pietra
ed ai cespugli, i combattenti continuano ad arrampicarsi sulla roccia.
Raggiunta finalmente la cima della quota 982, si lanciano all'assalto.
Colti di osrpresa e impreparati, i tedeschi reagiscono disordinata-
mente sparando con tutte le armi, ma la loro resistenza dura poco. Tra-
volti e messi in fuga, il loro posto viene preso dai partigiani italiani.
Dall'alto della quota, i combattenti possono ammirare il magnitico
panorama di Lokve e dintorni, la stazione, e seguire i combattimenti in
corso fra gli altri battaglioni della brigata e il nemico sulle colline cir-
costanti. Mortai, mitragliatrici e fucili fanno un fuoco intenso, sembra
che tutto stia per schiantarsi. Sulla « quota senza nome » il nemico ha
lasciato alcuni fucili, una mitragliatrice, zaini, qualche morto. Ma non
si è rassegnato alla perdita. La quota rappresenta un caposaldo troppo
importante; irta e sassosa, viene trasformata dai combattenti del « Bu-
dicin » in osservatorio per fornire i dati di tiro all’artiglieria della IV
Armata.
Il 14 aprile, verso sera, il nemico punta sulla quota i suoi morta);
comincia a piovere una grandinata di granate che si spiaccicano contro
le rocce, scaraventando schegge in tutte le direzioni. Poi segue l'attacco.
La resistenza del « Budicin » riesce vana di fronte alle preponderanti
forze nemiche. Esaurite le munizioni, gli italiani abbandonano la quota
298
ritirandosi nel bosco vicino, dove si mettono in postazione. Sulla quota
sono rimasti alcuni compagni stroncati dal piombo nemico.
Dal comando della brigata arriva l'ordine di riconquistare l’altura
e mantenerla a qualsiasi costo. Di notte, sotto la pioggia, gli uomini del
« Budicin » partono nuovamente all'attacco, ma non riescono ad avan-
zare. Fino all'alba vengono sferrati altri due attacchi, ma il nemico me-
glio armato e numericamente superiore non si lascia snidare, reagendo
con un intenso fuoco di armi automatiche e con bombe a mano. In uno
di questi assalti notturni, si arriva al corpo a corpo sulla cima. Il se-
gretario dello SKOJ del battaglione, il sedicenne Marino Bonaparte, in-
citando i compagni ad avanzare si fa egli stesso sotto il nemico tra i pri-
mi e manca poco che non strappi uno scharaz tedesco che riesce ad at-
ferrare per la canna. In quell’istante una pioggia di bombe a mano si
abbatte sui combattenti del « Budicin » che sono costretti a ritirarsi. Al
terzo attacco resta ferito il combattente Luciano Simetti, già commissa-
rio del battaglione, ritornato tra i commilitoni dopo lunga assenza, col-
pito da rami d’alberi e schegge di tronchi schiantati.
Hanno lla peggio anche gli altri battaglioni della brigata « Gortan »
e della II brigata. Dopo essere riusciti a impadronirsi di alcuni punti
della linea tedesca, penetrando fino a Mrzle Vodice (II brigata) vengono
rigettati indietro dai contrattacchi tedeschi.
Al mattino del 15 aprile, dopo una buona preparazione di artiglie-
ria, si scatenano lungo tutta la linea furiosi combattimenti. Il nemico
resiste accanitamente su tutte le quote. Torna a farsi sentire il rabbioso
martellamento delle bombe, una pioggia di proiettili trincia l’aria. Nel
settore della « quota senza nome » il « Budicin » avanza, poi ripiega,
riordina le file e avanza di nuovo verso la maledetta vetta. Sulla sini-
stra del battaglione, un reparto croato fa sentire l'assordante fragore dei
suoi mortai che dilaniano la roccia. Avanti, attraverso la verde boscaglia,
avanti verso le prime rocce. Qualcuno arresta improvvisamente la sua
corsa, storce la bocca in una smorfia di dolore e si lascia cadere sull'er-
ba. Stavolta il nemico non riesce a contrastare l’irruente assalto. Il « Bu-
dicin » si attesta finalmente sulla quota. Ha pagato a caro prezzo, però,
questo successo: oltre a vari feriti, ci sono due morti: Silvestro (Emilio)
Perini e Giovanni Bonazza, entrambi di Pola, « cari compagni, apprezzati
da tutti ».2
Sulla quota riconquistata viene ripristinato l'osservatorio, la posizio-
ne fortificata quanto meglio possibile e si appresta una difesa ad ol-
tranza.
Attacchi e contrattacchi
Il compito di tenere saldamente la quota viene affidato alla I com-
pagnia rafforzata da plotoni di altre compagnie e rifornita abbondante-
mente di munizioni. La II viene sistemata in posizione di vigilanza sul
lato destro della quota. Metà giornata trascorre così tranquilla. Il co-
mando di compagnia ispeziona costantemente i punti nevralgici della
quota per mettere gli uomini al riparo da eventuali sorprese. Due ten-
tativi del nemico di dirigersi verso l'altura vengono sventati. Un altro
2. Ibidem.
299
tentativo dalla stazicne ferroviaria viene stroncato grazie al preciso tiro
del mortaio.3 Una delle cannonate tedesche partita dalla stazione, tut-
tavia, per poco non provoca una strage. La granata scoppia nelle imme-
diate vicinanze della vetta, siamo verso le 2 del pomeriggio, nel momento
in cui cuochi, infermieri ed altri del personale ausiliario del « Budicin »
stanno trasportando o seguendo il trasporto di una marmitta fumante
col risotto (ormai i rifornimenti di viveri sono regolari e viene assicura-
ta anche una razione di sigarette inglesi) fin sotto la postazione.
Un sibilo quasi impercettibile nell'aria, è seguito dall'esplosione di
una bomba di mortaio da 81 che finisce... Lasciamolo raccontare a
Bruno Deghenghi, il cuoco:
« Per l'occasione avevamo preparato un succolento risotto di carne
in conserva che io e un commilitone rovignese dovevamo trasportare in
un bidone di benzina in cima alla collina. Infilato nel manico un ramo
d'albero, io davanti, lui dietro, il prezioso bidone ciondolante si avvici-
nava alie posizioni. Eravamo quasi giunti quando, ancor prima di de-
porre il rancio, una mina di mortaio sparata dalla stazione ferroviaria
cadeva esattamente dentro il bidone scoppiando con immenso fragore.
Noi poriatori per fortuna restammo incolumi, ma tredici compagni ri-
masero leggermente feriti. A questo punto, mentre noi provvedevamo a
sgombrare il campo dei feriti, scoppiava la rabbia per il rancio mancato,
sotto forma di nutrito fuoco di nostri scharaz contro la stazione, che co-
stningeva i nazisti a ritirarsi ulteriormente. Per me la direttiva era chia-
ra: dopo sistemati i feriti, fui rinviato in cucina a preparare un secondo
risotto che fu consumato senza altri disturbi ».4
Nel tardo pomeriggio, però, vengono avvistate rilevanti forze tede-
sche avanzanti dalla direzione della stazione. Accolti da un fuoco serrato
del « Budicin », i nemici non arretrano, rafforzando anzi la pressione.
La I compagnia resiste sulle posizioni senza rallentare il fuoco, sperando
che la II, verso la quale il nemico ha ora rivolto l'attacco, riuscirà a re-
spingerlo. La manovra tedesca si rivela però ben presto pericolosa: gli
attaccanti stanno circondando la posizione col chiaro intento di rioccu-
pare la quota e distruggere, a un tempo il grosso del battaglione nel
cerchio.
A rendere più critica la situazione è la mancanza di collegamenti
col Comando di battaglione. Dalla vetta, il comandante di compagnia gri-
da a tutto fiato per farsi sentire; il Comando superiore dovrebbe far en-
trare in azione la II compagnia per alleggerire sul fianco destro la pres-
sione del nemico che avanza inesorabilmente e va stringendo la morsa.
Purtroppo, rimbalza solo l’eco delle grida di Demartini e nemmeno la
II compagnia dà segni di vita. Che fare? Da un momento all’altro gli
uomini potrebbero soccombere tutti, se ne rende conto pure il commis-
sario di battaglione Guerrino Bratos che si trova accanto a Demartini,
in mezzo al fuoco. Così, pur conscio dell'importanza strategica della quo-
ta la cui conquista è costata molto sangue, Demartini ordina la ritirata
verso l’unico passaggio rimasto ancora libero, nella direzione opposta a
quella dalla quale si stanno arrampicando i tedeschi.
3. Arialdo Demartini, « La battaglia di Lokve », memorie inedite.
4. « La mina nel bidone del rancio . ..», ne « La Voce del Popolo » del 4 aprile 1964 (intervista
a cura di C. Radin).
300
Lo stesso comandante di compagnia, con Bratos ed altri due com-
battenti armati di mitra, proteggono lo sganciamento; tutti gli altri si
gettano nel passaggio, senza mai cessare il fuoco. Nei momenti più cru-
ciali del ripiegamento, dimostrando un coraggio veramente eccezionale,
il commissario di battaglione mette continuamente a repentaglio la pro-
pria vita per proteggere i combattenti. Con lui e Demartini siano ricor-
dati anche altri coraggiosi, graduati, dirigenti politici e semplici combat-
tenti: Marino Bonaparte, Francesco Sponza, Giovanni Quarantotto-Go-
rilla, Francesco Fioranti, Gualtiero Darizzotti, Marino Furlan, Ferruccio
Pastrovicchio, Giordano Chiurco, Rodolfo Dobran, Civitico, Pietro Spon-
za, Erminio Trento, Gaudenzio Bresaz, Spartaco Zorzetti, Pietro Benus-
si... Quest'ultimo, ora non più infermiere ma delegato politico del plo-
tone mitraglieri, così racconta:
« Mi trovavo insieme a Spartaco all'estremo limite della cresta ver-
so Nord. Cercammo di organizzare nel migliore dei modi la ritirata, in-
vitando i compagni a raccogliere le armi e ritirarsi. Molti non vollero
muoversi; indugiando per convincerli a sganciarsi, scorgemmo a un trat-
to un elmetto tedesco. Sparai qualche colpo, ma col fucile si poteva fare
ben poco. Spartaco cercò di aprire il fuoco col mitra, ma l'arma si in-
ceppò, fece cilecca. Un attimo, una frazione di secondo: il tedesco puntò
l'arma contro di noi e fece fuoco; la raffica mi passò a un pelo dalla
testa e andò a finire contro la parete di un macigno che noi si cercava
di raggiungere. La seconda colpì il braccio di Spartaco. In quegli attimi
di confusione vidi la figura di Arialdo (Demartini) emergere da dietro
quello stesso macigno: puntò il suo mitra e sventagliò una raffica contro
i tedeschi... Il suo intervento ci permise di metterci in salvo ».
Alcuni compagni, rimasti radicati in posizione, non si sono però sal-
vati. Zorzetti, con il polso trafitto da una pallottola, sanguinante e palli-
do in volto per il sangue perduto, porge l'arma al comandante della I
compagnia, Demartini, dicendogli: « Conservamela, verrò a riprenderla
appena mi sarò medicato ». Invece, non potrà più riprendere il mitra in
mano. La degenza in ospedale sarà più lunga della guerra. Tra i feriti ci
sono pure Mario Vellico e Antonio Civitico, dignanesi, Il prof. Arminio
Schacherl, invece, ci ha rimesso la dentiera. Nella foga della battaglia,
tirando la linguetta della sicurezza della bomba a mano, ha strappato
pure i denti scagliandoli sul nemico insieme all’ordigno micidiale.
Squilli di tromba per l’assalto
Nel corso della notte, preso posizione su una collina vicina, il batta-
glione bersaglia continuamente la quota 982. Infine il Comando del bat-
taglione decide di formare un Gruppo d’assalto con tutti i comunisti e
membri dello SKOJ, insieme ai più coraggiosi combattenti sotto la guida
di Demartini, comandante della I compagnia. Dotati di bombe a mano e
di armi automatiche, i combattenti del Gruppo hanno il compito di apri-
re un varco agli altri reparti del battaglione per poter rioccupare la quo-
ta. La mattina del 16 aprile tutto è pronto per l'operazione. Nel momento
stesso in cui l'artiglieria comincia a bersagliare la vetta, il Gruppo d'as-
salto si avvia cercando di salire il più possibile in alto, per poter poi più
facilmente spiccare il salto decisivo. Qualche proiettile di mortaio par-
301
tigiano scoppia vicino ai combattenti del « Budicin » che si sono spinti
troppo in alto. Quando finalmente cessa il bombardamento, comincia
l'attacco alla quota. Al segnale dato da Bruno Caenazzo con forti squilli
di tromba, il Gruppo d'assalto si slancia come un sol uomo verso la cima
urlando « juris », seguito immediatamente dagli altri reparti del batta-
glione.
Il corrispondente di guerra della brigata Vlado Kolar, il quale segue
le fasi dell’assalto da una quota presidiata dal primo battaglione croato,
scrive:
« All'improvviso, sul lato sinistro, dalla direzione di Lokve, si udiro-
no urli e uno squillo di tromba. I combattenti, sorpresi, si girarono da
quella parte; era la prima volta che si sentiva una tromba! È il batta-
glione italiano che va all'assalto — sussurrai all'orecchio del comandante
del Primo. Il clamore era tale da darci l'impressione che stessero corren-
do all'assalto delle nostre posizioni ».5
Dalla postazione tedesca latrano i mortai, le mitragliatrici schiz-
zano fuoco, ma nulla riesce a fermare il battaglione italiano lanciato nel-
l'arrampicata sul costone. Il primo ad arrivare in cima, distaccando tutti
gli altri, è il combattente Giovanni Quarantotto, « Nino » per i suoi com-
paesani rovignesi, « Gorilla » per tutti. Non è la prima volta che arriva
primo al traguardo, e quasi sempre il bottino migliore è il suo. Racconta
Milan Iskra, il comandante del battaglione:
« In questi combattimenti fu sempre tra i primi all'attacco. Durante
uno di questi, entrai per primo nel bunker nemico; anzi, credevo di es-
sere il primo, ma quando ci misi piede, Gorilla era già là e, rivoltosi a me,
disse con fare disinvolto: "Compagno comandante, i tedeschi se la sono
squagliaia” »,0
Decimato dai precisi colpi dell'artiglieria e travolto dall’irruente at-
tacco del « Budicin », il nemico è stato letteralmente scaraventato giù
dalla cima. L'epilogo della battaglia lasciamolo narrare a uno dei pro-
tagonisti, Antonio Calvia, già insegnante elementare a Fiume che ha la-
sciato la scuola per unirsi al battaglione italiano:
«E quando i combattenti del "’Budicin” giunsero sulla cima, tanta
era stata veloce la loro azione che non s'era nemmeno ancora spenta la
furiosa tempesta di fuoco scatenata dalle nostre artiglierie sulla cima
che si credeva ancora occupata dai tedeschi. Fu questa della "Quota sen-
za nome” una delle più belle fra le tante imprese compiute dal battaglio-
ne '’Budicin” ».
«Ed era ormai sera quando anche le altre alture circostanti ven-
nero conquistate dalle altre nostre unità. Nella zona era ritornato il si-
lenzio dopo una giornata di battaglia ardente, un silenzio rotto qua e là
da qualche sparo diretto contro qualche tedesco disperso che cercava di
trovare scampo. E fu una sera piena di stelle, nella quale sembrava che
i morti fossero ancora vicini ed attendessero in fila di prendere il rancio.
Perché non erano morti nella memoria, come non lo saranno mai »,7
5. In « Istarska svitanja », pag. 154.
6. A. Giuricin « Giovanni Quarantotto allegro Gorilla » ne « La Voce del Popolo» del 3 aprile
1964.
7. Antonio Calvia, « Tre volte all'assalto della Quota senza nome » ne «La Voce del Popolo »
del 4 aprile 1954.
302
I combattenti giurano di non mollare più la posizione. E non la
mollano se non per consegnarla ai combattenti della I brigata della 13°
divisione giunta in giornata nel settore di Lokve per sostituire la 43°
divisione istriana. Anche stavolta il battaglione « Pino Budicin » ha pa-
gato la vittoria al prezzo di molto sangue. Sono caduti: Gualtiero Dariz-
zotti, detto « Baffone », caporale, da Pola; il fiumano Alfredo Gomini,
vicecommissario di compagnia; i già ricordati Perini e Bonazza, polesi;
il parentino Stefano Bernobich, uno dei più anziani del battaglione, ter-
zo caduto della sua famiglia con Benedetto e Matteo. I feriti sono una
ventina. Ricorda Pietro-Rino Benussi: « Le salme dei nostri compagni fu-
rono trasportate a spalla dal compagno Etto Damuggia fino al bosco sot-
tostante la quota, per poi essere sepolte non so dove ».
Raduno a Crni Lug
Grande è la gioia dei combattenti del « Budicin » quando incontrano
fra i combattenti della Tredicesima numerosi connazionali: il pisinese
Narciso Saino, il montonese Mario Sirotti, i rovignesi Luigi Bolobicchio
(« Gigi Tara »), Pietro Budicin, Pietro Paliaga, Giacomo Salata, Andrea
Mauro, Luigi Salata, Francesco Poretti, i polesi Tito Devescovi, Aldo
Zandomenico, Tullio Comet, Giuseppe Modrusan ed altri, i gallesanesi
Biagio Delmoro, Aurelio Valente, Antonio Leonardelli, Marcello Detotfi,
Renato Deghenghi, Ernesto Franoli... Qualche abbraccio e un «arrive-
derci in Istria ». Qualcuno non ci ariverà mai. Saino lascerà la vita qual-
che giorno dopo presso Lokve, Sirotti sarà stroncato il 6 maggio presso
Ilirska Bistrica.
Tutti i reparti della « Gortan » si ricongiungono a Crni Lug. Di qui
si parte verso Mrzle Vodice per attaccare, nello stesso giorno, la quota
Zelin (981 m) presidiata da duecento tedeschi a guardia della camiona-
bile per Gornje Jelenje. Dopo un'intensa preparazione di artiglieria, il
I e il II battaglione si lanciano all'attacco, ma vengono respinti. Al IV
battaglione italiano è stato ordinato di fortificarsi per proteggere la stra-
da Crni Lug—Gerovo, mentre il II battaglione guarda l’ala destra dello
schieramento.
Il 17 aprile la brigata sferra un nuovo attacco e, finalmente, riesce
a snidare i tedeschi da Zelin costringendoli a ritirarsi verso Mrzle Vo-
dice e Gornje Jelenje. Il nemico lascia sul terreno 47 morti, tre tucili
mitragliatori, 21 fucili, pistole. Vengono catturati pure tre uomini. Alle
6 del pomeriggio, al canto di inni partigiani e inneggiando alla fratellan-
za italo-croata, i combattenti della brigata « Gortan » riprendono la mar-
cia in direzione del Platak con l'ordine di aggirare Fiume e, attraverso
Sensko, raggiungere la linea di Gumanac—Trstenik—Zeljezna Vrata. Si
va in Istria! Forza Genio Stila, fa sentire la tua fisarmonica!
303
CAPITOLO XLI
I GIORNI CRUENTI DI GUMANAC
« Fiumani! I giorni che abbiamo tanto atteso sono venuti. La IV
Armata avanza verso di noi (...). Nella lotta magnifica per la distruzione
del fascismo e la libertà dei popoli, gli Italiani dell'Istria e di Fiume si
sono fatti onore (...).
Fiumani! I migliori figli di Fiume e dell'Istria, i combattenti del "Bu-
dicin” e di tutta la 43. Divisione vi chiamano nelle loro file. Nessun gio-
vane fiumano deve mancare nella marcia della vittoria, per la distruzione
dell'ocoupatore ,.. ».
Così in un appello lanciato il 7 aprile 1945 dall'Unione degli Italiani
dell'Istria e di Fiume, la quale firma anche un appello « Ai Rovignesi »
datato 5 aprile, dello stesso tenore. E appelli vengono diffusi ancora dai
vari Comitati popolari di liberazione a Pola, a Parenzo e nelle altre lo-
calità istriane abitate da italiani. « Il battaglione "Pino Budicin” vi chia-
ma, accorrete; l’esercito liberatore avanza travolgente, venite ad ingros-
sarne le file per creare la brigata ». « Mobilitiamoci tutti. È venuta l'ora
decisiva. Tutti in piedi: il fascismo muore, sorge la libertà ».
Le ultime marce
«Continuava a ritmo sostenuto la grande vittoriosa marcia nell’of-
fensiva per l’Istria (...). La nostra gioia non aveva limiti. Dopo sei mesi
potevamo nuovamente vedere il mare e il Golfo del Quarnero, i contorni
della città di Fiume e, oltre ancora, nella luce del sole al tramonto, il
Monte Maggiore. I combattenti gettavano in aria i berretti, raffiche di
armi automatiche e spari di fucile stracciavano il sereno cielo primave-
rile. Da Fiume si udivano forti esplosioni. Accerchiato nella città, il ne-
mico faceva saltare in aria le installazioni portuali (...). Il nuovo incon-
tro col mare e col Monte Maggiore, l'energia con la quale si infrangevano
gli ostacoli e la certezza della vicina vittoria davano ai combattenti un
tale entusiasmo che andavano avanti come portati sulle ali ».
Così Vlado Kolar, il corrispondente della brigata « Gortan » descrive
la marcia dei battaglioni, compreso il « Budicin » verso le nuove posi-
304
Combattenti del «Budicin» a Pisino, subito dopo l'entrata del battaglione in quella
città istriana, liberata all'inizio di maggio 1945. Ormai la guerra si può considerare
finita.
Prigionieri tedeschi catturati da combattenti della «Gortan» durante l’ultimo com-
battimento a Pisino (4—6 maggio 1945).
Il giovane dignanese Armando Defran-
ceschi, uno degli ultimi caduti del «Bu-
dicin». Venne colpito a morte nella bat-
taglia finale di Pisino il 4 maggio 1945.
L'ingresso del battaglione italiano «Pino Budicin» a Pola liberata, il giorno 8 mag-
gio. Il reparto sta passando accanto all'Arena con la bandiera italiana rosso stellata.
In testa al battaglione marciano il nuovo ufficiale operativo Sretko Prenc e il
commissario politico della I compagnia Francesco Sponza. La portabandiera è
Marta.
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Battaglione
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Brigata
*V., GORTAN=
Levade—Livade
O Racja Vas
Unita'delle brigate
istriane
Podkilovac O
Altre formazioni
partigiane o CASTUA
KASTAV o
Grobnico
Grobnik
Direzione di marcia
x
del nemico Mattuglie —Matulji
Il battaglione «Budicin» entra a Pola liberata in testa agli altri reparti della
brigata «Vladimir Gortan». In primo piano si vedono il comandante di brigata
Dusan Milanovié (a sinistra) e il vice commissario politico di brigata Vlado Blazic.
Sono seguiti dal maggiore Bruno Tomini, comandante del battaglione italiano,
nominato in questa carica dopo la liberazione di Pisino (6—7 maggio). Dietro
di loro, in testa al «Budicin», si riconoscono la portabandiera Marta con al fianco
il più piccolo partigiano italiano e mascotte della brigata, Ferruccio D'Alessandro,
e l'immancabile fisarmonicista Eugenio Rocco—Stila. Dietro la compagna Marta
segue Arialdo Demartini, comandante della I compagnia.
LEGGENDA
Pr > Battaglione »P, BUDICIN:
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tn Direzione dì marcia del nemico
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Lo svolgimento del combattimento per la liberazione di Materia da parte del battaglione
«Budicin», avvenuta il 30 aprile 1945.
Un'altra foto del «Budicin» in marcia a Pola liberata. In testa la portabandiera
Marta, Ferruccio D'Alessandro e il fisarmonicista Rocco. Dietro di loro si rico-
noscono il comandante della I compagnia Arialdo Demartini e il commissario della
II Luciano Simetti.
»
8 maggio 1945. Il battaglione italiano marcia per le vie di Pola (qui siamo ai Giar-
dini) acclamato dalla folla. In primo piano, il comandante della brigata «Gortan»
Dusan Milanovié con al fianco il vicecommissario di brigata Vlado Blazié. Se-
guono i dirigenti del battaglione italiano: maggiore Bruno Tomini, tenente Milan
Iskra, Dietro di loro ii piccolo Ferruccio D'Alessandro, il fisarmonicista Eugenio
Rocco e il comandante di compagnia Arialdo Demartini.
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L’ultima battaglia del battaglione italiano e delle altre unità della «Gortan» per la libe-
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razione di Pisino (5—6 maggio 1945), che costerà al «Budicin» gli ultimi due caduti.
zioni sulla linea Gumanac—Zeljezna Vratai Dopo aver camminato per
tutta la notte, la mattina del 18 aprile si arriva nel settore di Skrebut-
njak.
Il gruppo delle divisioni della IV Armata operanti sul settore adria-
tico si è ramificato in quattro colonne: la 198 divisione lungo il Litorale
diretta verso Susak—Fiume, la 268 divisione un po’ più a nord diretta
a Clana, la 132 e la 438 divisione ancora più a nord aggirando Fiume. La
brigata « Gortan » viene a trovarsi in un settore ben noto ai suoi com-
battenti per averci condotto aspre battaglie nell'autunno del ’44.
Il 19 aprile, la brigata « Gortan » e la II brigata muovono all’attacco
sulla linea Veliki Plis, Mali Plis, Skrebutnjak, Lipovnik su quote fra gli
860 e i 1142 metri, raggiungendo entro mezzogiorno la linea Jasvina—
Sviba. Alle 2 del pomeriggio i reparti della 43° divisione vengono sosti-
tuiti dalla Tredicesima e continuano la marcia oltre il Kamenjak e il
Platak in direzione di Gumanac sulla via Clana—Cabarske Police.
Il 20 aprile, senza aver incontrato alcuna resistenza da parte del
nemico, la « Gortan » raggiunge le immediate vicinanze di Gumanac e si
attesta sulle posizioni di Gojak (1145 m), quota 920, quota 1046, quota
832 e quota 1070. Siamo esattamente sull’ex confine italo-jugoslavo, nel
punto di incontro dei territori della Croazia e della Slovenia. Nelle tile
del battaglione « Budicin » si vedono da qualche giorno moltissime tacce
nuove. Venendosi a trovare nelle vicinanze di Fiume ed a contatto di-
retto con le organizzazioni politiche e militari partigiane del capoluogo
del Quarnero, che nelle ultime settimane sono riuscite a mobilitare più
di 300 nuovi combattenti — nel Silurificio (una cinquantina), nel cantiere
navale e nelle altre fabbriche — il IV battaglione della « Gortan » riceve
un centinaio di uomini di rinforzo.
I nuovi combattenti vengono ripartiti subito fra le tre compagnie e
inviati immediatamente in posizione. Infatti, poche ore dopo l’arrivo
sulla linea di Gumanac, il comando della « Gortan » ordina l'attacco alle
quote 666, 679, 785 e 727 dalle quali reparti tedeschi cercano di bloccare
l'avanzata. Altre forze nemiche presidiano le quote 1227, 1251 (Oslica),
1065, 1145 e 1081 controllando le vie di comunicazione verso Ilirska Bi-
strica e Masun.
Nuova impresa del « Budicin »
Alle ore 11 le prime quattro quote vengono occupate dalla brigata,
quindi il III battaglione si spinge in avanti per la strada verso Clana,
il II raggiunge la località di Laze e si attesta sulla quota 630, mentre
il battaglione « Pino Budicin » occupa le quote 1083 e 952.
Nel primo pomeriggio, mentre il II e III battaglione collaborano al-
la conquista di Clana, dalle cui posizioni vengono però ritirati a Guma>
nac verso le 15,00 (a Clana riusciranno ad entrare i reparti della 13. di-
visione), il battaglione italiano viene attaccato dai tedeschi mossi da
Zabici e Oslica. L'abbandono delle quote 1083 e 952 provocherebbe una
situazione difficile per tutta la brigata, ma i combattenti italiani non ci
1. In « Istarska svitanja », pag. 156.
20 Rossa una stella 305
pensano nemmeno, difendendosi accanitamente senza indietreggiare di
un passo.? A un certo punto, anzi, la I compagnia riceve il compito di
scalzare il nemico da alcune basse quote dominanti la strada Gumanact—
Zabici e, alle 17,00 circa, con un assalto impetuoso, i tedeschi vengono
scaraventati giù dalla posizione lungo la scarpata sassosa. Dopo una
mezz'ora, il nemico torna ad avanzare, opera una serie di contrattacchi,
ma non riesce a riconquistare il terreno perduto. Sono invece i combat-
tenti del « Budicin » a reagire con un attacco vigoroso che mette i tede-
schi in fuga precipitosa sulla strada in discesa verso Zabici.3
Sul calar della sera i battaglioni ritiratisi da Clana occupano nuove
posizioni: il III sulle quote 920 (Paka) e 1083, il II a Gumanac in riser-
va. Al « Pino Budicin » vengono invece assegnate le quote 952 e 1145
che i combattenti fortificano per passarvi la notte e impedire il passag-
gio al nemico.
Il morale dei combattenti è altissimo, tuttavia comincia a farsi sen-
tire la stanchezza. Praticamente negli ultimi dieci giorni, dalla marcia da
Gomirje verso Ogulin, da Ogulin a Lokve, da Lokve a Gumanac, con i
durissimi combattimenti sostenuti, i combattenti non hanno avuto che
poche ore di sonno e di riposo. E questo sforzo immenso ora si fa sen-
tire sul fisico. Lo risentono i vecchi combattenti che hanno sulle gambe
centinaia di chilometri percorsi per le montagne, e lo risentono anche
i nuovi arrivati, che dalla vita di città sono piombati tutto a un tratto
nella dura realtà della guerra. Fra i nuovi arrivati c'è anche chi ha cam-
minato alcuni giorni per raggiungere i posti di tappa e, di tappa in tap-
pa, le posizioni del « Budicin ». Come Francesco Moscarda da Gallesano,
Giovanni Borsi da Parenzo, il quattordicenne Silvano Rocco da Dignano,
il rovignese Domenico Antolli che capita a Gumanac con un gruppo di
quindici compaesani, tutti giovanissimi, marciando oltre il Monte Mag-
giore, per Mattuglie, da una base all'altra fino alla meta, trovandosi
coinvolto subito nei combattimenti. E scoprendo, fatto insperato e inso-
lito, che oltre la metà di aprile c'è ancora la neve sulle montagne dell’ex
confine.4
Nelle ultime ore del 20 aprile, il nemico sferra un poderoso attacco
su tutta la linea tenuta dalla « Gortan », attaccando in particolare Guma-
nac con due colonne da nord e da occidente, riuscendo a respingere le
forze partigiane da tutte le posizioni delle quote 1134 e 926.5 Alla stan-
chezza si aggiunge nuova stanchezza. I combattenti sono letteralmente
esausti, soprattutti quelli della I e III compagnia del « Budicin » che
hanno sostenuto gli sforzi maggiori nella precedente giornata e nelle
prime ore notturne. Trovandosi in queste condizioni, il battaglione ita-
liano rischia di rimanere annientato nelle prime ore dell'alba del 21
aprile.
2. In « Put prve istarske brigade », pag. 234.
3. Testimonianza di Arialdo Demartini.
4. G. Scotti, « Maria e Domenico Antolli ...» ne «La Voce del Popolo » del 4 aprile 1964.
3;
A grandi linee, i combattimenti sostenuti nel mese di aprile 1945 dalle brigate della 43» divi-
sione sono descritti nei rapporti di guerra conservati presso il « Vojnoistorijski institut » di
Belgrado (k. 312) e nelle opere « Put prve istarske brigade » (pagg. 230—237) e « Borbeni put
43. istarske divizije » (pagg. 234—246). Maggiori dettagli per quanto si riferisce alla parte so-
stenuta dal « Budicin » offre l’opera « Fratelli nel sangue » (pagg. 268—276).
306
Nelle retrovie nemiche
I reparti sono in posizione sulle alture sovrastanti, in una curva,
la parte terminale della strada Zabiéi—Gumanac. A rapporto dal coman-
dante del battaglione, i comandanti di compagnia hanno ricevuto le
istruzioni per la vigilanza. Pattuglie sono state mandate in diverse dire-
zioni con l’ordine di non allontanarsi troppo, al massimo 150—200 metri.
I combattenti non resistono alla spossatezza e cadono in un sonno
profondo. I componenti le pattuglie, non meno stanchi degli altri, si al-
ternano alla guardia a turno, concedendosi così ciascuno qualche ora di
riposo. Sul far dell'alba, il comandante della I compagnia, Arialdo De-
martini, si sveglia di soprassalto e gli pare di scorgere alcuni soldati te-
deschi intenti a fortificarsi sulle alture alle spalle dei reparti del « Bu-
dicin ». Sogna b vede bene? Purtroppo è la realtà. Lasciamo la parola
a Cristoforo Forlani-Lino, dignanese, uno della pattuglia posta a vigilare
sulla direttrice di Gumanac:
«Il primo turno di veglia toccò a me. Poi svegliai il capopattuglia
Francesco, un rovignese, per il cambio. Mi disse: "Riposa pure tranquillo,
mi preoccuperò io di svegliare il terzo”. Il terzo era un giovane di Fiume.
Verso le quattro o cinque del mattino, senza che il fiumano mi chiamas-
se, mi svegliai; sentii dei passi e delle voci in una strana lingua. Erano
i tedeschi. Corsi subito ad avvisare il battaglione, prendendo per una
scorciatoia e diedi l'allarme dicendo che nelle vicinanze c'erano i tede-
schi. Poco dopo sentimmo degli spari: erano già molto vicini. I coman-
danti di compagnia davano gli ordini di prepararci a lanciare le bombe
a mano. Furono proprio quelle che ci salvarono ».8
Diamo la parola ad Arialdo Demartini:
«I tre componenti la pattuglia erano della III compagnia. Uno di
essi, il dignanese Lino Forlani, giovanissimo combattente, corse tutto an-
simante e trafelato ad avvisarmi che i nazisti erano passati. Svegliatosi
e resosi conto della gravissima situazione, ebbe il coraggio e il senso
del dovere di venire da solo ad avvertirci dell'imminente pericolo che in-
combeva su di noi, partigiani addormentati. Era tutto agitato e balbet-
tava nel riferire che i "tideschi” erano passati. Con le sue spiegazioni
lampo mi aiutò a risolvere l'enigma che mi si era presentato alcuni at-
timi prima, svegliandomi di soprassalto, nel vedere i nazisti fortificarsi
sui monti alle spalle della mia postazione ».7
Che fare? Praticamente il grosso del « Budicin » si trova nelle re-
trovie del nemico. Avanzando inosservati e in silenzio nel corso della
notte, i tedeschi hanno superato le linee partigiane, evidentemente senza
nemmeno accorgersi dello scavalcamento. La zona è coperta di nebbia,
i partigiani continuano a dormire profondamente sull'erba e sulle pietre
come se fossero adagiati sul più comodo letto, ignari di tutto. Che tare?
6. Da una dichiarazione scritta dal protagonista per lo schedario dedicato al Btg « Budicin » pres-
so il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
7. Testimonianza depositata presso il Centro di ricerche storiche di Rovigno.
307
Per la vita o la morte
Nel giro di pochi secondi vengono svegliati tutti i combattenti; il
comandante della I compagnia si consulta col commissario di battaglione
venuto a trovarsi pure lui nella trappola. Arrendersi? Sarebbe la solu-
zione più ragionevole, perché altra via d'uscita non esiste, ma la resa
di due compagnie significherebbe la fine del battaglione « Budicin »,
fuori è rimasta soltanto la II col comandante del battaglione e il vice-
commissario. Si decide di giuocare la carta disperata: infiltrarsi nelle
file del nemico, approfittando della fitta nebbia, passando nel massimo
silenzio e con le bombe a mano pronte. Se sarà necessario, si venderà
cara la pelle.
Per evitare il panico, ai combattenti non viene rivelata la critica si-
tuazione, ma parecchi hanno già mangiato la foglia. Si danno gli ordini
e: avanti, in fila indiana. In testa alla colonna procede Arialdo Demarti-
ni seguito dagli uomini della sua compagnia, più indietro vengono quelli
della terza. Avanzando cauti, quelli di testa raggiungono la postazione
nemica, si apprestano a sfilare nel varco di una gola, quand’ecco tuona
un « halt! » gutturale a pochi passi: sono di fronte a una pattuglia tede-
sca. Senza esitare un attimo, Demartini scarica il mitra, i tedeschi cado-
no falciati, la via è sgombra ed i partigiani si gettano nel varco.
La raffica, purtroppo, è servita a dare l'allarme. In brevissimo tem-
po tedeschi e partigiani si trovano mescolati, in un violento scontro cor-
po a corpo. Lottando accanitamente, una ventina di combattenti riesco-
no a passare le file tedesche, mettendosi in salvo; gli altri, quasi tutta
la III compagnia, continuano a battersi strenuamente, Il comandante e
il commissario della compagnia, Ermanno Siguri e Diogene Degrassi,
vecchi combattenti, danno l'esempio e, purtroppo, cadono falciati. È
colpito a morte anche Attilio Dobran della I compagnia. Una decina
di uomini riescono a infiltrarsi, sempre combattendo, nel varco aperto
dalla I compagnia. Un altro gruppo di uomini, insieme al commissario
del battaglione Guerrino Bratos, cercano di scampare correndo nella di-
rezione opposta a quella inizialmente scelta per sfondare, sparpaglian-
dosi in varie direzioni. Alcuni, compreso Bratos, vengono fatti prigio-
nieri (ma saranno liberati qualche giorno dopo a Ilirska Bistrica); altri,
fra cui il vicecomandante di compagnia Gaudenzio Bresaz e il combat-
tente Pietro Matticchio di Gallesano, quest’ultimo ferito, riescono a
sfuggire rotolandosi giù per la scarpata in direzione di Clana. Racconta
Bresaz:
« Vistomi il nemico alle spalle, non ci volle molto per capire che
eravamo bloccati. Decisi allora di attraversare la strada sotto la mia po-
stazione, seguito da alcuni combattenti, e poi giù per la scarpata di cor-
sa verso la zona di Clana. Appena nella tarda sera potei risalire la china
raggiungendo le nostre posizioni, quindi mi annunciai al comando bri-
gata ».8
Pietro Matticchio è uno della I compagnia che non è riuscito a se-
guire i compagni nel varco essendo stato colpito a una gamba da una
pallottola. Egli narra:
8. Testimonianza raccolta da A. Demartini e conservata presso il Centro di ricerche storiche
di Rovigno.
308
« Per puro caso riuscii a sfuggire alla cattura, trascinandomi a sten-
to, protetto dalla nebbia, verso la strada Gumanac—Zabici, lasciandomi
andare giù dalla scarpata ripidissima. Una volta raggiunta la strada, mi
nascosi nella folta vegetazione, dove rimasi disteso a terra, fino al cre-
puscolo; allora venni scorto dai nostri partigiani che, arrivati colà con
dei camion, raccoglievano i morti ed i feriti. Fattomi salire su un auto-
carro, venni trasportato all'ospedale di Crikvenica ».9
Ancora caduti
Il sonno e la stanchezza hanno avuto ragione anche dei combattenti
degli altri battaglioni. All'alba del 21 aprile, infatti, subito dopo l’inizio
del violento e sanguinoso scontro sulle posizioni del « Budicin », il ne-
mico passa all'attacco su tutto il fronte della brigata « Gortan » ed en-
tro le ore 08,00 riesce a conquistare le quote 1134 e 926. La brigata arre-
tra quindi sulle pendici occidentali delle quote 1559, 1179, 1122, 1115 e
1052 dalle quali può opporre una valida resistenza. E il nemico, nono-
stante i reiterati attacchi — la battaglia si svolge sotto un'improvvisa
bufera di neve — non riesce ad avanzare. Anche in questi combattimen-
ti, che si protraggono fino al pomeriggio, il « Budicin » combatte valo-
rosamente, sia pure a ranghi ridotti, e subisce nuove perdite. Una ratti-
ca di mitragliatrice ferisce gravemente alla spalla il vicecommissario del-
la II compagnia Ferruccio Pastrovicchio e il delegato Renato Satorich.
Sarà il prof. Arminio Schacherl a trasportarlo all’infermeria con un altro
compagno. Tra i feriti c'è anche il sergente fasanese Antonio Coslovich.
Restano uccisi in posizione, invece, il caposquadra Italo Civitico, il galle-
sanese Nicola Pugliese, i fiumani Norberto Mosca e Nino Vuolo. A circa
trent'anni di distanza, il 4 aprile 1974, l'ex combattente fiumano Giovanni
Bradetich dichiarerà all'autore di queste pagine:
« Eravamo in pattuglia: Mosca, un rovignese ed io. Appena messo
piede in strada venimmo fatti segno a un nutrito fuoco da parte dei
tedeschi asserragliati in un bunker. Il compagno Mosca Norberto morì
sul colpo, il rovignese rimase ferito, solo io rimasi incolume ».
Un'eco della battaglia rimane fissato sul diario di guerra del commis-
sario della brigata « Gortan », Radoslav Braco Kosanovié:
« Il nemico preme fortemente sulla nostra ala destra, nel settore del
4° battaglione. Abbiamo già ricevuto la notizia che sono caduti il delegato
Nino Vuolo e il caporale Italo Civitico, ma il numero dei caduti è mag-
giore. (...) Nell'infermeria di brigata arrivano continuamente nuovi fe-
riti... ».10
In una dichiarazione rilasciata il 4 aprile 1974, il prof. Arminio Scha-
cherl, insegnante di storia e filosofia al Ginnasio italiano di Fiume, ex
combattente del « Budicin » affermerà:
9. Ibidem. Sull’episodio descritto in questo capitolo cfr. pure « Fratelli nel sangue » (pagg.
274-275) e « Istarska svitanja » (pagg. 157—158). Questa seconda opera, posteriore di quattro
anni alla prima, ricalca quasi parola per parola il testo di « Fratelli nel sangue » e, come in
quello, presenta alcune inesattezze e lacune che in questa nostra opera abbiamo cercato di
eliminare.
10. R. B. Kosanovié, Istrani u oslobodenju Istre », in « Novi list» Rijeka, 12 - V - 1975.
- 1964). Sul «Borba » di Zagabria: « Iskazali se u bitkama » (3- IV - 1974). Sul « Vjesnik » di
Zagabria: « Kako to reci majkama » (25—26 - VIII - 1974).
309
«A Gumanac diversi fiumani ci avevano raggiunto. Nemmeno arri-
vammo a conoscerli. La battaglia ci prese dentro tutti. Venivano da Fiu-
me e andavano direttamente contro i carri armati tedeschi. Chi erano?
Nel 1946, quando giungemmo a Fiume dopo aver avuto gli alloggiamenti
‘a Pola, numerose furono le madri che vennero da noi per sapere qual-
cosa dei loro figli. Nessuno nemmeno li conosceva. Solo sui libri del
Pg erano scritti i loro nomi ed accanto: "giunto il 20, disperso
il 21” »Ai
Noi, oggi, non disponiamo neppure di quei libri (registri) del batta-
glione. Sono stati distrutti da chi non ha capito il loro valore. I super-
stiti ricordano soltanto il volto o mezzo nome. Maria Antolli, cuoca e in-
fermiera, una delle poche donne combattenti del battaglione italiano, in-
sieme a Clara Vlahovich, e Vittoria, e Pina di Buie, e Mafalda, tutte ra-
gazze sui sedici-diciassette anni, ha saputo dire soltanto:
«C'era con noi un ragazzo fiumano di quattordici anni ,un certo
Dattolo. A Gumanac fu il suo primo combattimento. Lì cadde ucciso ».12
La vittoria è a portata di mano, la fine della guerra potrebbe succe-
dere domani, l’Istria attende... Invece, la morte miete più di prima
e c'è chi, con la libertà negli occhi, finisce prigioniero. Bruno Barban
che ha preferito la lotta al mestiere di cameriere di bordo, dice:
«I tedeschi mi presero a Gumanac... con me c'era Bruno Milino-
vich. Ci intimarono di scavare la fossa. Per quale dei due sarebbe stata?
Tiravamo per le lunghe e allora ci dettero la norma, dovevamo portare
a termine il lavoro entro un certo tempo. Ci salvò il "Martin”, un aereo
famoso per le sue azioni di disturbo. Passò di lì e cominciò a mitraglia-
re. Ci trasferirono a Bisterza e fummo liberati da Dalmati ».13
11. Lucifero Martini, « Nel Ventennale del Battaglione Pino Budicin » ne « La Voce del Popolo »
del 3 aprile 1964.
Sul luogo della battaglia, nel bosco di Gumanac, quota 808, ultime propaggini di Monte Ne-
voso, al confine tra la Croazia e la Slovenia, nel 1970 è stato eretto un cippo alla memoria
dei Caduti. Nel cimitero di Zabiée riposano 86 partigiani italiani e croati, le cui salme fu-
rono raccolte dalla popolazione locale dopo la battaglia, quasi tutte disseminate in una gola
spaccata fra due monti. Gli ex combattenti del « Budicin » si recano quasi ogni anno sul
luogo per deporre corone. Una grande cerimonia ebbe luogo il 26 luglio 1970 presenti Pino
Paoletti, Erminio Trento, Gaudenzio Bresaz, Ferruccio Pastrovicchio, Arialdo Demartini, Fran-
cesco Fioranti, Antonio Santalessa, Bortolo Giacometti e Pietro Moscarda. Un anno prima,
rifacendo il cammino di guerra del Battaglione, i compagni Demartini, Fioranti, Trento e
Marcello Gasparini, avevano visitato uno ad uno tutti i campi di battaglia da Monte Nevoso
a Ogulin per scegliere il posto adatto in cui far erigere il cippo. Venne scelto il Passo della
Morte. È il nome dato dai superstiti alla gola fra i monti.
12. Vedi nota 4.
13. Ezio Mestrovich, « Tempo di guerra e tempo di pace» nella rivista « Panorama » n. 5/15
marzo 1974.
310
CAPITOLO XLII
RITORNO TRIONFALE IN ISTRIA
Nei giorni in cui i reparti della 432 e della 13a divisione sono impe-
gnati in combattimenti a Gumanac e dintorni (alcune brigate si sono pe-
rò già spinte in Istria, alle spalle del nemico), la 26° divisione libera l’iso-
la di Veglia, la 92 divisione sbarca sulle isole di Cherso e Lussino, la 204
divisione raggiunge Prezid. Successivamente la 192 divisione attacca sul
fronte di Fiume con l'appoggio della 268 divisione (ma il nemico resi-
sterà fino al 3 maggio), mentre le forze della IV Armata operano una
manovra di accerhiamento con sbarchi sulla costa da Volosca al Canale
dell’Arsia, spingendo altri reparti in direzione di Trieste.
In questo quadro operativo, il 23 aprile tutta la brigata « Gortan »
uscita provatissima dai combattimenti, viene sostituita sulle posizioni di
Gumanac da alcuni reparti della 13* divisione. Così anche il battaglione
italiano « Pino Budicin » — più degli altri messo alla prova (su 16 morti,
32 feriti e tre dispersi della brigata, quasi metà delle perdite sono sue)
— può concedersi il riposo di cui ha immensamente bisogno per riordi-
nare le file.
Sotto la data « Suho, 23 aprile 1945 », il commissario della brigata
« Gortan » annota nel suo diario:
« Oggi le nostre posizioni sono state consegnate ai reparti della 13*
Divisione perché ci attende un nuovo compito ».
Sempre a Suho, il 24 aprile:
« Nella tarda serata di ieri si sono riuniti i Comandi della 12 e 2a
brigata con il Comando di divisione. È stato esaminato il piano delle
imminenti operazioni della IV Armata. Compito della nostra divisione
è penetrare attraverso la linea del fronte per operare nelle retrovie del
nemico. La 3° brigata già opera in Istria sulla direttrice M. Maggiore—
—Pinguente—Sud di Trieste. La 2° brigata opererà sulla direttrice Ma-
sun—Nanos—Nord di Trieste. La nostra brigata ha il compito di liqui-
dare le postazioni nemiche sulla via di comunicazione Fiume—Trieste
e poi portare l’azione a Sud di questa arteria impedendo al nemico di
sganciarsi dalla zona centrale dell'Istria in direzione di Trieste (...). Nel
311
corso della giornata abbiamo compiuto tutti i preparativi necessari. Ab-
biamo fornito le munizioni ai reparti e tutto l’'equipaggiamento superfluo
è stato consegnato al servizio di retrovia divisionale.
In seguito alle perdite subite nei combattimenti sul Kamenjak ed
a Gumanac, le nostre compagnie si sono molto indebolite, sicché abbiamo
riorganizzato i reparti per aumentare la potenza del fuoco dei battaglioni
e completare il quadro comando ».
Nella medesima giornata — e il diario del commissario di brigata
lo annota — avvengono importanti cambiamenti al vertice del I batta-
glione, il comando del II battaglione resta immutato, il III battaglione
viene sciolto, mentre il IV battaglione « Pino Budicin » diventa « provvi-
soriamente » III battaglione. Le compagnie del battaglione finora indi-
cato come terzo « vengono aggregate provvisoriamente agli altri batta-
glioni ». Inoltre avviene una ristrutturazione del Comando del battaglione
« Budicin »:
— comandante rimane Milan Iskra che ha sostituito da tempo Giu-
seppe Alizzi;
— commissario, Andrea Flego, ex comandante del battaglione sciolto,
in sostituzione di Bratos catturato dal nemico;
— vicecommissario, Mario Jedreicich;
— ufficiale operativo, Felice Prenz (o Prenc), ex « operativo » del di-
sciolto battaglione.
Nessun mutamento avviene ai vertici della prima compagnia, mentre
nella seconda, in sostituzione di Ferruccio Pastrovicchio, la carica di com-
missario viene affidata a Luciano Simetti. Il comando della terza compa-
gnia è assunto da Gaudenzio Bresaz, già vicecomandante, commissario
diventa Alberto Szabo in sostituzione del caduto Diogene Degrassi.
Sempre nel corso del 24 aprile, i battaglioni vengono spostati a Suho
dove ha sede il Comando brigata, 3 chilometri a sud-ovest di Trstenik.
I vuoti nelle file si colmano con nuovi volontari che continuano ad arri-
vare dall'Istria e soprattutto da Fiume. Annota Kosanovic:
« Suho, 25 aprile 1945. Riceviamo l'ordine di marcia. Il comando di-
visione stabilirà successivamente, immediatamente prima della partenza,
la direttrice e l'ora di inizio della marcia. Con noi si muovono anche il
Comando divisione e i reparti di scorta. (...) Partiamo alle 2 del pome-
riggio ».
Il riposo è stato di breve durata. Il battaglione « Budicin » raggiunge
nuovamente Gumanac, sosta, riprende il cammino attraverso Cabarske
Police e « Rifugio D'Annunzio », puntando verso Svinsèak in territorio
sloveno. Si arriva a Svinséak, quota 1136, a mezzogiorno del 26 aprile.
I tedeschi in rotta
Durante la marcia si sono visti un poco ovunque i segni della irre-
parabile disfatta nemica: carri armati squarciati, automezzi incendiati,
cadaveri sparsi. Là dove i tedeschi sono concentrati in grossi reparti,
la loro resistenza è ancora accanita, ma i gruppi periferici sono in via
di sfacelo. Per affrettare il disastro nemico, la « Gortan » cerca di pene-
312
trare ora nelle sue retrovie per far saltare il dispositivo delle comunica-
zioni. Si tenta dapprima di forzare la camionabile Ilirska Bistrica—Za-
bici, ma i risultati delle esplorazioni compiute da un battaglione in dire-
zione di Jablanica dicono che l'operazione in questo settore non ha pro-
babilità di successo. Dopo Fiume, Iirska Bistrica si sta trasformando in
una roccaforte tedesca. È necessario aggirarla.
Alle ore 13,00 del 27 aprile la « Gortan » lascia Svinséak diretta a
Masun, qui pernotta, ripartendo alle 08,00 del 28 aprile verso Koritnica
e Knezak, raggiungendo la località di Prem verso le 9 di sera e passando
a Pregarje all’alba del 29. Nel suo diario, Kosanovié annota, a questa data:
«La marcia è stata lunga, dura, ma la stanchezza non si sente. I te-
deschi non ci aspettavano in questa zona (...). Bisogna sfruttare tale
situazione. Già stasera atiaccheremo Materija e Markov$tina. Il nostro
comandante di brigata Duka Milanovié è tanto avaro di parole quanto è
chiaro nelle idee. Ha concluso l'ordine con le parole: "Sorpresa, intenso
fuoco e assalto deciso: questi fattori ci garantiranno il successo” ».
Il trasferimento alle spalle del nemico è così riuscito. La principale
via di comunicazione che serve al nemico per mantenere i contatti tra
Fiume e Trieste è sotto la minaccia della prima brigata istriana. Oltre
la camionabile Fiume—Trieste sta l’Istria, ed è l’'Istria l’ultima meta.
La conquista di Materia
La sera del 29 aprile i battaglioni della « Gortan » si raccolgono a
Erjavée e, attraverso Slivija, scendono sulla camionabile col compito
di liquidare i presidi nemici sull’importante arteria e proseguire verso
Trieste.
Alle ore 03,00 del 30 aprile, perdurando l'oscurità notturna, il I e
il II battaglione attaccano Markov$éina liquidando la guarnigione in me-
no di mezz'ora; il III battaglione « Budicin » dà invece l'assalto al presi-
dio di Materia a oriente di Kozina. Il reparto italiano, in particolare, as-
salta la casa cantoniera, impegnando la III compagnia, guidata personal-
mente dal comandante del battaglione Milan Iskra. Nella casa cantoniera
è asserragliato un reparto della « X Mas » che si arrende rapidamente:
33 prigionieri. Sulla strada, la I e la II compagnia sorprendono invece
una colonna di automezzi nemici carichi di materiale bellico e di viveri;
l'attaccano e riescono a sgominarla in breve tempo.! Gli uomini della II
compagnia catturano da soli un centinaio di soldati e ufficiali tedeschi,
ustascia e fascisti italiani (il combattente Domenico Antolli ricorda di
aver catturato alcune decine di tedeschi con pochi compagni della sua
squadra, e si meriterà per questo i gradi di sergente), mentre la I com-
pagnia insegue i fuggitivi verso Kozina, senza tuttavia raggiungerli.
Il corrispondente della brigata, Vladimir Kolar, registra il caso di
una pattuglia che, spintasi ai margini della camionabile a ovest di Ma-
teria, s'imbatte in un nutritissimo gruppo di tedeschi armati fino ai
denti e...
1. In«Fratelli nel sangue », pag. 275.
313
«Non potevamo credere ai nostri occhi. I tedeschi marciavano in
formazione militare; ci scorsero, ma proseguirono per la strada fingendo
di non averci notati. Li lasciammo andare avanti, eravamo appena in die-
ci e i tedeschi un intero battaglione... Un po’ più tardi, davanti agli oc-
chi del comandante e del commissario della brigata che se ne stavano
seduti ai lati della strada, passò un camion carico di tedeschi bene armati.
Non spararono, passarono senza scomporsi diretti verso Kozina ».2
Il secondo episodio, che troveremo descritto nel diario del commis-
sario di brigata, risale al 1° maggio. Alla data del 30 aprile, invece, Ko-
sanovié annota che dal settore della camionabile più prossimo a Trieste,
il III battaglione italiano « fa sapere che i suoi esploratori hanno allac-
ciato i contatti con reparti della XX divisione dalmata nei pressi di Ko-
zina ». Il corriere che ha portato questa informazione aggiunge, scher-
zando, che il comandante del battaglione « Budicin », Milan Iskra, chiede
di poter proseguire col reparto alla volta di Trieste insieme con i dal-
mati. « Riferisci al tuo comandante — ribatte il comandante della brigata
senza accettare lo scherzo — che deve attenersi agli ordini. E si tenga
pronto al prossimo compito! ».
Il combattente del « Budicin » Erminio Trento-Mimi, riferisce a sua
volta l'impresa del capo del gruppo motorizzato esploratori del batta-
glione italiano, il quale cattura da solo un camion zeppo di nazisti sul
ponte di Risano tra Materia e Capodistria. Il reparto esploratori passa
qui alle dirette dipendenze del Comando brigata, restando però sempre
in forza nel « Budicin ».
Il nemico ha capito che la catastrofe è inevitabile. Un attacco ster-
rato da una formazione tedesca verso le ore 08,00 da Podgrad—Obrovo
per aprirsi la via per Trieste viene stroncato dal I battaglione della
« Gortan » che, contrattaccando, raggiunge Obrovo, mentre il battaglione
italiano attende nuovi ordini all'altezza di Herpelje dove ha allacciato
il contatto con i reparti della 20° divisione d’assalto. È qui che quattro
combattenti del « Budicin » — Nevio Baccarini e Antonio Bradetich di
Fiume, un siciliano e un triestino — vengono staccati dal battaglione e
aggregati alle unità che si avviano verso Trieste dove entreranno nel po-
meriggio del 1° maggio e faranno parte della Difesa Popolare, per rien-
trare al battaglione italiano quando questo sarà a sua volta entrato e si
sarà stabilito a Pola.
L'autostrada Fiume—Trieste è caduta intanto sotto il pieno control-
lo dei partigiani per una ventina di chilometri. Nella notte fra il 30 aprile
e il 1° maggio i tedeschi abbandonano anche Obrovo, ritirandosi verso
Vodice.
Il bilancio delle operazioni è il seguente: nessuna perdita per la
« Gortan ». distrutti un cannone e 4 autocarri, catturati 13 autocarri, due
auto-officine, 4 automobili, 5 motociclette, 3 mortai, 3 mitragliatrici pe-
santi, 14 fucili mitragliatori, 395 fucili, 7 apparecchi radio, 3 stazioni
ricetrasmittenti, enormi quantitativi di munizioni. Anche 200 soldati e
ufficiali nemici sono caduti nelle mani dei partigiani, mentre altri 360
sono rimasti morti sul terreno.?
2. In « Istarska svitanja », pag. 160.
3. In «Put prve istarske brigade », pag. 237 e « Borbeni put 43. istarske divizije », pag. 242.
314
Il bottino fatto dai partigiani sembra enorme ai loro stessi occhi.
« Non ci siamo ancora abituati a queste situazioni, — scrive il commis-
sario di brigata — sicché cerchiamo di distruggere quanto sappiamo di
non essere in grado di trasportare. Manco a farlo apposta, la camionetta
sulla quale è montato un "Flak” a quattro canne non vuol prendere fuo-
co. Qualcuno tenta di far infiammare la benzina sparando al motore ».
Interviene però un commissario di compagnia, Grgurina, gridando: « Ma
cosa diavolo fate, compagni? Tutto questo è ora nostro! ».
L'annotazione, alla data del 1° maggio, Obrov, è seguita da queste
altre:
«Dalla parte di Trieste si sentono tuonare i cannoni. In direzione
di Fiume, calma. I nostri esploratori annunciano che una colonna nemica
si è diretta da Vodice verso Mune. Raccogliamo i reparti per la marcia.
Il 3° battaglione è stato già richiamato... ».
Ma il corriere inviato con l'ordine al « Budicin » di tornare indietro
arriverà a destinazione con molte difficoltà. Nel frattempo, mentre at-
tendono « che rientrino anche i reparti del 2° battaglione dalla direttrice
di Obrov », il comandante e il commissario della brigata si concedono
un po' di riposo sulla strada, « prendendo accordi sui prossimi compiti ».
Stando così seduti:
«Non so come, all'improvviso ci si presenta davanti agli occhi un
camion pieno di Tedeschi. Mentre Duka ed io sediamo sul parapetto di
cemento della strada, l’automezzo si avvicina. Intorno a noi non c'è nes-
suno. Sulle prime, pensiamo che siano i nostri. Invece no, sono proprio
i tedeschi. Li osserviamo: se ne stanno seduti in fila per quattro sulle
panche con i fucili fra le gambe. Ecco, si avvicinano, ci guardano e pas-
sano come se non ci avessero visti. Anche noi due li guardiamo, li se-
guiamo con lo sguardo, come se quel camion di Tedeschi non ci interes-
sasse. Passato l’attimo della sonpresa, ci fissiamo negli occhi: "Da dove
spuntano adesso i Tedeschi, a quest'ora?”, si fa sentire per primo Duka
guardando nella direzione di dove sono venuti... Non abbiamo tempo di
ripensare all'incontro. Arriva il corriere annunciando che le pattuglie di
protezione si sono ritirate e noi ci avviamo dietro di loro ».
Il mattino del 2 maggio arriva la notizia della liberazione di Trie-
ste; intorno a Fiume sono in corso le ultime battaglie. Alla brigata
« Gortan » viene perciò ordinato di invertire la marcia e di raggiungere
immediatamente l’Istria per infrangere le resistenze degli ultimi capi-
saldi tedeschi nella penisola.
Si scende in Istria
L'ordine arriva al Comando brigata mentre i battaglioni croati, do-
po la conquista di Obrovo e aver raggiunto nella notte del 1° maggio
le località di Golac, Vodice e Mune che trovano sgomberate dal nemico,
si accingono a proseguire verso occidente. Il battaglione « Budicin », an-
zi, essendosi più degli altri spinto sulla direttrice di Trieste, ha perso i
collegamenti col resto della brigata. Testimonia Milan Iskra, comandante
del battaglione:
315
«Il battaglione ’’Pino Budicin” era intento a disarmare il nemico sul-
la camionabile per Trieste. Sgomberammo rapidamente la strada dagli
automezzi, avviandoli verso le basi partigiane e utilizzando allo scopo
gli autisti tedeschi; anche nel battaglione ”’Budicin” c'erano parecchi auti-
sti e meccanici, i quali trasferirono ben presto circa 100 camion e auto-
mobili. La stessa cosa venne fatta con i cavalli. Una volta concluso lo
sgombero, proseguimmo senza sosta per la nostra strada oltre Kozina—
Herpelje diretti verso Capodistria e Trieste. Nella località di Kozina ven-
nero catturati in un rapido attacco circa 50 soldati austriaci che erano
fuggiti da Pinguente. A marcia forzata, il battaglione continuò oltre Crni
Kal verso la costa, con l'intenzione di entrare a Trieste e di unirsi agli
altri reparti dell'Armata Jugoslava. Nella località di Dekani venne con-
cesso il riposo ai combattenti per il rancio. Avevamo già perduto i col-
legamenti col comando della brigata "Gortan” e della caduta di Trieste
non eravamo informati.
Durante il riposo, fummo rintracciati dal corriere della brigata, il
quale ci disse che Trieste era stata liberata e ci consegnò l'ordine diretto
al battaglione "Pino Budicin” e ad alcuni reparti della brigata, di tornare
immediatamente indietro attraverso Pinguente diretti a Pisino per libe-
rare quella città. L'ordine diceva:
"Il nemico tiene ancora nelle sue mani Pisino, in Istria. Vi ha con-
centrato le forze ritirate dai presidi minori di tutta l’Istria disponendole
sulle posizioni di Pisinvecchio. Il battaglione *Pino Budicin' e alcuni altri
reparti della brigata Gortan, insieme al comando della 43. divisione, deve
trasferirsi immediatamente a marce forzate, attraverso Pinguente e Mon-
tona, a Pisinvecchio e subito attaccare il nemico, liberando la città” ».4
Nella notte sul 2 maggio, intanto, il grosso della brigata « Gortan »
ha lasciato Mune e, attraverso Jelovica, prosegue per Podgorje dove
vengono catturati 18 soldati nemici e grandi quantitativi di viveri e mu-
nizioni. Nella giornata del 3 maggio, dopo una puntata verso Podgrad,
l’intera brigata si raccoglie a Podgorje e di qui inizia la marcia in dire-
zione sud, verso l’Istria centrale. I tre battaglioni formano tre colonne
puntando verso Covedo, Portole e Pinguente. Quest'ultima località è la
meta del « Budicin ». Si susseguono le tappe del rientro trionfale. Scrive
il cronista della brigata:
«In ogni villaggio, anche nella più piccola frazione, agli incroci del.
le strade, lungo le strade percorse dalle colonne, ad ogni passo in Istria,
ovunque fummo accolti con fiori, archi di trionfo e bandiere ».5
Le popolazioni vorrebbero trattenere i combattenti, ospitarli, tar
festa con loro, ma le colonne non si fermano, non possono sostare. L'è
Pisino che attende, c'è ancora il nemico da debellare. Il battaglione « Pi-
no Budicin » si concede una breve sosta appena alle porte di Pinguente,
da poco evacuata dai nazisti. Pittoresca cittadina, in cima alla collina
che domina la Valle del Quieto, è la più grossa località nella quale i com-
battenti mettono piede dopo parecchi mesi. Dalla liberazione di Ogulin,
il « Budicin » è stato sempre in offensiva, gli uomini hanno dormito in
postazione o nei boschi, sempre all'aperto, ed ora — sdraiati sull'erba,
sotto gli alberi, alle porte della città, sotto gli sguardi curiosi dei vec-
4. Manoscritto «0 bataljonu Pino Budicin », Rovigno, gennaio 1964, copia conservata presso il
Centro di ricerche storiche di Rovigno.
5. In « Istarska svitanja », pag. 161.
316
chi e attorniati da bambini e ragazzi che fanno subito amicizia con i
partigiani — si rallegrano all'idea di trascorrere la notte nella cittadina,
dormendo sotto un tetto, forse sopra un letto.
Leggiamo il diario di Kosanovié (il comando brigata muove insieme
al « Budicin »):
« Pinguente, 4 maggio 1945. L'Istria ci accoglie con bandiere, fiori,
canti e lacrime. Da Vodice, attraverso Jolovice, Podgorje, Podpec, Gra-
diste e Sterped siamo arrivati a Pinguente. Gruppi di ragazzi, di donne
e uomini, escono sulla strada per salutarci. Ridono e piangono. Si leva
anche la canzone della nostra brigata. A una curva della strada, la testa
della colonna si ferma. Ci avviciniamo per vedere che succede. Trovia-
mo tappeti stesi sulla strada. I combattenti non vogliono calpestarli e
si sono fermati. "Peccato sciuparli”, spiego alla donna di mezza età in
gramaglie, che ha messo il tappeto per terra. "Niente, non fa niente, pas-
satevi pure sopra!”, risponde, Non ci resta altro da fare, passiamo. Cal-
pestiamo il tappeto ricamato con fiori e disegni multicolori. Anche sui
nostri volti scorrono le lacrime guardando questa gente dell'Istria che
ha tanto sofferto. "Ora resterete per sempre qui?”, mi chiede una vec-
chia. Capisco la domanda e la voce mi si ferma in gola. "Resteremo,
mamma! Resteremo qui per sempre!” ».
La sosta a Pinguente è breve. L'idea di trascorrervi la notte e di dor-
mire sopra un letto non è realizzabile. A mezzogiorno, subito dopo il ran-
cio, viene l'ordine di partire immediatamente per Pisino. Scrive il coman-
dante del battaglione italiano, Milan Iskra:
L'attacco a Pisino
«Da Pinguente verso Pisino, il battaglione "Pino Budicin” mosse per
la strada che porta alle Terme Istriane (Bagni di S. Stefano, n. d. a.).
Insieme al battaglione si mossero i reparti di scorta del comando della
43. divisione. Gli altri reparti della brigata "Gortan” si avviarono seguendo
la linea ferroviaria. Il morale dei combattenti era altissimo, si marciava
a passo svelto, mossi dal desiderio di raggiungere al più rpesto possibile
Pisino e liberarla. La nostra marcia era rallentata unicamente dalla po-
polazione e dai giovani che lungo la strada Pinguente—Levade—Karojba
salutavano i combattenti partigiani e facevano festa insieme a loro ».6
Alcuni paesi attraversati ricordano le gesta del battaglione, A S, Ste-
fano, in prossimità delle Terme, dove un anno prima, in una giornata
di combattimento, il reparto distrusse il presidio fascista nell'editicio
della centrale dell'acquedotto, là dove cadde gloriosamente Riccardo
Daveggia, ci sono ancora le scritte sui muri lasciate dai combattenti:
« Morte al fascismo! », « Libertà ai popoli! », « W il nostro Battaglione
Italiano "Pino Budicin”! ».
La brigata marcia ora in due colonne: il II battaglione con il capo
di SM della brigata Dusan Gnjatovié, va in direzione di-CerovIje (Cerreto)
e Zareîje con l'ordine di raggiungere la stazione ferroviaria di Pisino; il
I battaglione, in precedenza distaccato a Portole, in direzione di Pisinvec-
chio; il III battaglione « Budicin » in direzione di Montona—Terviso
6. Vedi nota 4,
317
(Trviz) col compito di raggiungere Pisino sul lato occidentale e collegarsi
sull’ala sinistra al II battaglione.
Reparti spinti in missione esplorativa nei pressi di Pisino e sulla
camionabile Pisino—Gimino hanno intanto raccolto le informazioni sul
nemico che conta oltre 700 uomini armatissimi.
Nel pomeriggio del 5 maggio Pisino è circondata da ogni lato. Alle
ore 18, dalle colline, i battaglioni cominciano l’attacco, incontrando
però subito una rabbiosa resistenza. L’artiglieria tedesca martella le po-
sizioni dei partigiani, i quali vengono a trovarsi di fronte anche a una
linea di campi minati. L'attacco dei combattenti del « Budicin » parte
da Stanzia Camus (oggi monte Gortan). Alle spalle del battaglione, nel
paese natale del martire Gortan, Vermo, si sono sistemati i comandi
della 43. divisione e della brigata « Gortan ». Attacchi e contrattacchi si
susseguono da ogni lato, per l’intera giornata. Il nemico, ottimamente
fortificato, respinge anche alcuni tentativi di infiltrazioni compiute nella
notte dalle pattuglie del « Budicin », sicché all'alba del 6 aprile la situa-
zione rimane invariata.
Per evitare ulteriori spargimenti di sangue, il comando della divisio-
ne istriana invia un emissario al comando tedesco con una lettera per
informare il nemico che la Germania ha capitolato, la resistenza è inu-
tile. Si chiede perciò la resa incondizionata e si promette salva la vita
e buon trattamento a tutti i prigionieri. L'offerta fatta a nome del co-
mando divisione dal maggiore Bruno Tomini, ex comandante del « Bu-
dicin », viene respinta. I combattimenti riprendono e proseguono fino
alle 14,00. A quell'ora il comando tedesco invia a sua volta due parlamen-
tari in motocicletta con la bandiera bianca, chiedendo di intavolare le
trattative di resa. Gli ufficiali negoziatori vengono scortati alla sede del
battaglione italiano « Pino Budicin », dove arrivano immediatamente il
commissario della divisione Mirko Lenac e il comandante della brigata
Dusan Milanovié, presenti il comandante del « Budicin » Milan Iskra e il
combattente Arminio Schacherl, quest’ultimo destato dal sonno per fare
da interprete. Diamogli la parola:
«Stavo dormendo dopo una notte insonne e vennero a svegliarmi.
Era il 6 maggio del 1945. Avevamo combattuto sul monte Camus contro
i tedeschi che sparavano contro di noi con la contraerea e noi risponde-
vamo con le mitragliatrici. C'era il vicecomandante della brigata, che
per tutto il giorno era andato avanti e indietro, pieno di vita, desideroso
di sapere tutto dell'Istria; mise un piede su una mina e saltò in aria,
quasi a brandelli. (Si tratta, invece, del capo di Stato Maggiore della bri-
gata, capitano Dusan Gnjatovié, n. d. a.). Mi svegliarono e mi chiesero
se sapevo il tedesco. Dissi di sì. E fu così che tradussi in italiano la ri-
chiesta di resa del Comando tedesco di Pisino ed un altro compagno
del Comando brigata la ritradusse in croato. Ai tedeschi venne concessa
salva la vita. Come tradussi? Non so. Avevo freddo e sonno, tanto son-
NO »,7
I parlamentari tedeschi comunicano che il loro comando è disposto
a firmare la resa, a condizione che si permetta alle truppe disarmate ed
agli ufficiali armati di armi leggere di uscire liberamente da Pisino per
raggiungere Pola.
7. Lucifero Martini, « Il professore Arminio Schacherl trattò la resa dei tedeschi a Pisino » ne
« La Voce del Popolo » del 3 aprile 1964.
318
Pola