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GIO
v.3
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University of Illinois Urbana-Champaign
http://archive.org/details/giornaledellinge03cava
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THE UBKMN
OFTHE
UNIVERSITY OF ILLINOIS
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(ilO-
SalutaiKlo l' aurora del secondo anno di
sua esistenza, questo Periodico si compia-
ceva di riandare i benefìcj che la scienza
dell'1 ingegnere sparge in Italia. E ben do-
veva il primo saluto alla mente in cui si
informa il complesso delle pratiche dalle
quali la penisola riconosce il grado di pro-
sperità che potè conservare fra le vicende
che tante volte la disastrarono e le tolsero
le antiche industrie ed i suoi commerci.
Ora valga lo stesso amore per gli studj di
nostra predilezione a concederci che ad
inaugurare il suo Anno III, il nostro pen-
siero si rivolga alla classe agricola, che
sarebbe la più nobile se questo titolo si
applicasse all'utile che ne viene alla società.
La storia industriale ricorda come, prima
che le nostre fatali gare di municipj e fu-
neste ambizioni chiamassero le armi di
Francia, di Germania e di Spagna a pre-
valere sulla bilancia degli incauti partiti,
le città italiane fiorissero nelle industrie,
a quale grado di perfezione innalzassero'
le loro manifatture, e quanta ricchezza
apportassero dai loro traffici. Il sospettoso
dominio spagnuolo tutte successivamente
le spense, ed ultima la metallurgia che
alimentava tante migliaja di famiglie, e che
ora e la vita della nazione inglese. Estinta
da un tratto di penna che vietava l'espor-
tazione delle armi, fu esempio di quanto
una cattiva legge è più ruinosa per un
popolo che un'infausta guerra.
Gli stranieri che nelle invasioni avevano
appreso ad ammirare le nostre arti, e ad
invidiarci le agiatezze e la civiltà che esse
ci arrecavano, cercarono di attirarle a se
colle seduzioni della protezione e degli
onori, e quando furono oppressi e dispersi
i nostri artefici si trasferirono in Francia'
m Germania, in Inghilterra, e vi diffusero
e tradizioni del genio italiano.
Ora, quando lo straniero ci ritorna quelle
Voi IH.
arti migliorate per tre secoli di naturale
sviluppo, per il concorso delle scienze in-
tanto progredite, per gli studj dei dotti di
tutte le nazioni discussi nelle accademie,
e avvicendati dalla stampa , promosse e'
sovvenute dai governi, e a noi le rivende
a patti esosi, e con superbo ghigno ri-
guarda lo stentato risorgimento di esse
nella loro patria, chi può rintuzzare con
pari alterezza il suo sarcasmo?
Fra le umiliate classi artigiane sta ritta,
modesta e sicura quella degli agricoltori',
ed allo straniero addita le sterminale pia-
nure dalla sua pazienza di secoli ridotte
a lento pendio livellato dalle aque che come
un tesoro ricercò lontano nelle viscere della
terra, o trasse dai grandi canali e guidò
per misurate pendenze in innumerevoli rivi
che come flessibili nastri d'argento scre-
ziano il verde suolo, s'incontrano, proce-
dono a lato, si invitano , si attraversano
senza commescersi, o commiste si separano
conservando integra la propria marsa, si
suddividono, e nell'estate scendono per
mille solchi ad arrecare ai colti il bene-
ficio delle frequenti piogge, o si versano
in ampj bacini ridotti a perfetto orizzonte
a fecondare il riso, e nel verno si svol-
gono in un velo da opposti declivi a per-
petuare la vegetazione delle erbe : poi in-
dica i suoi avanzi raccolti con gelosa
sollecitudine e con eguale accorgimento
ripartiti di nuovo sulle campagne inferiori,
finche rimane una stilla di quell'elemento
che la sua industria seppe rendere più
produttivo delle miniere d'oro.
E questa è l'opera della classe agricola
nei distretti dove è più abbandonata a sé
stessa, e neppure gli ingegni sono i me-
glio svegliati. Non pertanto udiamo di so-
vente da altre classi deplorare acerhamente
la sua ignoranza, la indifferenza, l'inerzia
come se alcuna avesse la coscienza di get-
Lìiglio 1855. j
481553
GIORNALE DELL' INGEGNERE
tarlo contro la pi-imo pietra, e sapesse
produrre opere cosi meravigliose ; come
se dove la coltivazione è diretta dai pro-
prietari, la ruotazione agraria fosse me-
glio intesa, i concimi meglio preparati, la
-viticoltura e la fabbricazione dei vini più
intelligenti, e la silvicoltura più accurata.
Se in generale le cognizioni dell'agri-
coltore sono ristrette alla pratica degli
avi, di chi è la colpa? quali mezzi d' istru-
zione gli si sono procurati , quanta lar-
ghezza o remissione di fitto gli si accorda
per incoraggiarlo e per ristorarlo dei rin-
novati o falliti tentativi di nuovi metodi?
chi all'effetto delle accademie prepose la
missione di ricercarlo ne' suoi campi e
ne'suoi tugurj per porgergli utili esempj?
qual voce penetrò nelle sue solitudini che
non fosse il comando del lavoro, e la sua
stessa ignoranza e i pregiudizi ribaditi e
approfittati? Volgiamo un momento lo
sguardo air Inghilterra a cui ci occorrerà
di richiamare la nostra attenzione ogni
volta che alle dotte teorie vorremo accop-
piare lo spirito pratico. Le innovazioni
agricole sono cola iniziate dai grandi pro-
prietarj. Ministri, generali, ammiragli, lordi
e rappresentanti allettano i loro ozj cam-
pestri esperimcntando le recenti scoperte,
che sancite dall'esito sono ben tosto imi-
tate e propagate dai minori possidenti e
dai fittajuoli.
Siccome in Francia, in Germania, nel-
l'Inghilterra, in Isvizzera, in America, an-
che in Italia si pensò all' istruzione del-
l'agricoltore. Nel Piemonte, in Toscana,
nel Ducato di Parma, a Mantova ed al-
trove si istituirono scuole pratiche d'agro-
nomia: in Lombardia sono otto anni che
il dottor sig. Carlo Cattaneo espose una
proposta di latifondo-modello, e il sig. in-
gegnere Antonio Reschisi ne concretava
il progetto per un esteso insegnamento;
ma da una parte la grandezza del con-
cetto, dall'altra i tempi fortunosi, e sem-
pre la fatalità che il numero di coloro i
quali si tormentano il cervello per esage-
rare le difficoltà ncirelfettuazionc di qua-
lunque opera che s1 elevi sulle comuni, è
maggiore di quelli che ne usano per cer-
care il modo di superarle, sono le cagioni
per cui non e finora attivato quel progetto
degno in vero di un paese eminentemente
agricolo, a cui promette un immenso pro-
gresso materiale e morale, e che dovrebbe
avere il concorso anche di possessori degli
stali vicini cui sarebbero comuni i vantaggi.
Gli Stati-Uniti già si compiaciono del
profitto che hanno da questo genere d'isti-
tuzione. Il collegio di Mountairy in vici-
nanza di Filadelfia, in cui s'accolgono i
fanciulli a dieci anni, siano destinati alla
coltivazione dei campi, o appartenenti alla
borghesia ed alle classi più ricche; gli
istruisce negli studj letterarj e nel modo
di coltivare le terre , di formare i vivai,
nell'orticoltura e nell'allevamento degli ani-
mali domestici. Provveduti di falce, di ra-
strello, di zappa e degli altri arnesi rurali,
nella bella stagione frequentano i campi,
gli orti, le stalle che circondano lo stabi-
limento, e ritornati alle sale di studio fanno
annotazione di quanto hanno osservalo, e
così s'abituano per tempo a riflettere, a
concretare i proprj pensieri ed a scrivere.
Ne avviene che appena hanno terminato
questa educazione, gli allievi di quel col-
legio sono ritenuti capaci di dirigere le
aziende agricole, d' impiegarsi nelle indu-
strie e nel commercio.
Anche in Francia le scuole d'agricoltura
alla Saulsaie, a Grand-Jouan ed a Grignon,
istruiscono i figli dei possidenti nelle scienze
fisiche, neh' orticoltura e nella botanica-,
nell'economia e nella legislazione rurale,
nella geodesia e nella contabilità; e dopo
tre anni gli alunni escono da quegli istituti
capaci di amministrare il loro patrimonio,
e diffondono intorno a se i più utili si-
stemi di coltivazione.
Dato l' impulso, il movimento agricolo
in Francia va sempre più distendendosi.
Molte società e comitati concorrono col
governo a promoverc quegli studj, asse-
gnando rimunerazioni e premj ai maestri
che più si distinguono nel propagarli. La
Società di Normandia domandò la facoltà
d'istituire un corso nomade d'agricoltura
nel dipartimento : varj consigli municipali
appellarono il sig. prof. Du-Brouil a dare
nelle loro città lezioni d'innesto e d'alle-
vamento degli alberi fruttiferi , e da per
tutto fu ressa ad ascoltare i suoi precetli
a gara nell'applicarli. L'arcivescovo di Bor-
deaux, convinto che l' istruzione e egual-
mente vantaggiosa alla moralità del con-
ARCHITETTO
ladino che alla prosperità dello Stato, rac-
comandò fervorosamente ai parrochi della
sua diocesi che insinuassero agli istitutori
di uscire di sovente ai campi insieme agli
alunni per indicar loro nell'atto pratico i
migliori mezzi di coltivazione.
Né i soli libri possono in alcun modo
tener luogo delle lezioni che si appren-
dono dalla viva voce del maestro dinanzi
gli apparati di chimica e di fisica. Di libri
se ne scrissero assai, e già da secoli, ep-
pure quest'arte che è la più diffusa di tutte,
per la mancanza di scuole è quella che ha
meno progredito. Chi non ha mai posto
piede nel gabinetto del naturalista, non
saprà rendersi conto di elementi ignoti ai
suoi sensi : ed il libro che ne parla gli sarà
un bujo antro in cui non potrà discernere
nulla, e dal quale rimoverà il passo ap-
pena al limitare. I più bei trovati dei dotti
rimarranno curiosità scientifiche e senza
vera applicazione. Questo fatto fu com-
preso in Inghilterra , e la Società Reale
d'Agricoltura impiega una parte delle sue
rendite all'istituzione di laboratorj per
esperienze agricole, nei quali i coltivatori
incapaci di farle da se, nonostante i molti
precetti che trovano nei libri, possano con
una tenue retribuzione far riconoscere la
natura e la composizione delle loro terre,
dei prodotti, dei concimi che comperano,
ed avere consigli e norme concrete pei
diversi casi.
All'incontro, dalla creazione delle scuole
agricole e dei latifondi-modelli, i libri ed
i giornali d'agronomia riceveranno tutta
l'efficacia che si era proposto l'autore; e
l'allievo, famigliarizzato con tutti i prin-
cipj della coltivazione, saprà adattare op-
portunamente le nuove invenzioni alla na-
tura delle sue terre, e far suo prò degli
studj degli agricoltori di tutti i paesi.
L'affetto del proprio suolo e l'umanità
non s'accontentano però dell'insegnamento
di quelli soli che nati in migliori condi-
zioni, possono istruirsi alle scuole di città
e nei convitti de' fondi-modelli. Pertanto
negli istituti agrarj di Francia , si volle
formare maestri da distribuire per tutto
il territorio , e lo stesso beneficio potrà
venire all'Italia quando si attuasse il pro-
getto del sig. Reschisi.
Quale attitudine abbiano i nostri con-
ED AGRONOMO 3
ladini per apprendere, lo dicono i nostri in-
gegneri ed i proprietarj che le tante volte eb-
bero a rincontrare in essi il genio che avanti
si tentasse in grande scala e si riducesse
a scienza, iniziò l' idraulica agricola nelle
opere che abbiamo discorse, e lo ammi-
rarono nella sensatezza delle viste e dei
riflessi dei fattori e dei campari, i quali
scelti fra i più intelligenti lavoratori, bene
spesso contribuirono della propria intelli-
genza a raddoppiare il patrimonio dei loro
padroni. Ma prima di richiedere dippiù
dal contadino, ragion vuole che sia rile-
vata la sua condizione, che fra i disagi e
le privazioni troppo difficilmente penetrano
istruzione e progresso. Se non annoveriamo
poche eccezioni, che fortunatamente da per
tutto non sono sconosciute giustizia e uma-
nità, ed anzi alcuni pubblici stabilimenti
e coscienziosi proprietarj già introdussero
patti d'affitto che guarentiscono il ben es-
sere dei loro coloni contro l'avidità de'fit-
tajuoli, ritornando alle generali, per nes-
suna classe la società fece cosi poco come
per questa. Dove una maggior sollecitu-
dine per il filogello non ristaurò o non
coslrusse abitazioni più ventilate e più salu-
bri, là appunto dove l'opera sua è più ammi-
rata, ed il suolo più produttivo, il colono na-
sce sul fangoso terreno e sotto le nude tegole
di fosco casolare, è nutrito di un latte cor-
rotto dall'alito degli armenti che la madre
respira il verno confinata nell' angolo di
una stalla senz' aria e senza luce : ancor
fanciullo abbandona il letto di lei per ri-
posare delle precoci fatiche sullo strame
dall'aperto fienile circondato dalle esala-
zioni del fieno, delle risajc e delle mar-
cite, dove non può curare la mondezza
del corpo; beve un'aqua putridità, e lo
scarso cibo e poco nutritivo appena basta
per stentare la vita e continuare nel la-
voro finche la troppo frequente pellagra
non gli assegni un letto all' ospitale , o
stremato dalle fatiche e dalle febbri non
termini anzi tempo la immatura vecchiaja.
Nò per migliorare la condizione del con-
tadino della bassa, è necessario di soppri-
mere le risaje e le marcite. Vediamo i
fìttajuoli e benestanti di quei medesimi
distretti esser robusti ed arrivare a tarda
vecchiezza; e la taglia tarchiata, la fiso-
nomia paffuta e rubiconda delle fìttajuole
4 GIORNALE DRU,
sono in proverbio nelle nostre città per
esprimere l'aspetto della più florida salute.
Ma la vita laboriosa di questi è protetta
da abitazioni meglio riparate o da cibi più
sostanziosi (*). Che se dopo il sudato rac-
colto il colono cercherà in qualche di l'e-
stivo un'ora d'obblio alla sua miseria, la
poca carne sdegnata dal cittadino, e il poco
vino che ritempra le sue forze e gli esi-
lara lo spirito, gli saranno acerbamente
rimproverati da coloro stessi ai quali il
suo ingegno, il suo lavoro, la sua perse-
veranza, la sua miseria forniscono gli agi
di una vita di mollezza e di godimenti.
Nò a questo abbandono liniscono tutti
i suoi mali; che come sentissimo il biso-
gno di acquietare la nostra coscienza, si
suole accusare quella classe intiera delle
colpe dr pochi, troppo sconsideratamente
generalizzandole, e non si sa invece com-
piangerla, che diffidente per la propria
inesperienza e per l' ignoranza tante volte
approfittata anche da'suoi detrattori, talora
si fa sospettosa e reagisce (2).
Soddisfatti i primi bisogni del contadino
per farne il braccio intelligente dell'agro-
nomo istrutto, si avrà ancor più grande
giovamento dalle scuole agrarie e dai fondi-
modelli, scegliendo fra gli allievi di questi
istituti i maestri delle scuole comunali.,
(1) Vedasi nelle Notizie il valore nutritivo di varj
cibi. Nell'occasione che si costruivano le strade
ferrate ai due tali della Manica, si ebbe l'oppor-
lunilà di confrontare il lavoro degli operaj delle due
nazioni. Emerse d'assai superiore quello dell'in-
glese, e la sua robustezza è attribuita al più ab-
bondante uso di carne. Inoltre in Inghilterra la vita
media è più lunga che in Francia, e in questa più
che in Itali;», benché il nostro clima sia più salubre.
(2) Lo scrivente che un giorno attraversava una
piccola terra in paese non abitalo che da coloni
e poveri artigiani, allo speziale del luogo che Irovavasi
seco, e che gli aveva indicata una sua casa colonica per
due o tre famiglie da poco ricostruita, e poi la sua
abitazione, osservò che anche, questa aveva bisogno
d'essere rislaurala. Avrei rifabbricala anch'essa, ri-
spose lo speziale, se non fosse sì prcslo cessata la
maialila del (;rip. — lo pure la ebbi, disse lo seri-
venie, e risanai senza medicamento. Per i signori
è cosi, soggiunse lo speziale, ma ai villani si fanno
prendere le medicine e le si fanno pagare. Contro
quest'unico fallo si possono opporre mille tratti
di carità e di generosa beneficenza per parte di
quelli che sono in più immedialo conlallo dei con-
tadini, e perciò non vogliasi avere questo aneddolo
che come un altro esempio che i vizj di pochi non
devonsi generalizzare a lulla la classe.
'liSC.F.GNEKK
coll'obbligo d'insegnare oltre le materie
solite anche le migliori pratiche rurali,
l'avvicendamento dei prodotti, la prepara-
zione dei concimi, l'innesto degli alberi, ecc.
Cos'i in Francia il ministro dell' istruzione
pubblica, nel 1852 istituì una commissione
incaricata d'introdurre i lavori di agri-
coltura nel programma delle scuole pri-
marie. Si tratterebbe di scegliere maestri
capaci e di somministrare loro i mezzi per
prendere ad affìtto uno o due ettari di
terreno da essere esclusivamente lavorato
da' suoi alunni. Di mattino insegnerebbero
a leggere, scrivere, a far conti, e verso
sera gli inizierebbero nel lavoro dei campi,
ed il' prodotto rimarrebbe all'istruttore,
dapprima come premio, in seguito come
onorario, al modo d'Inghilterra.
Nò questa istituzione è nuova. Fino dal
1750 un negoziante del Debbialo fondò
una scuola gratuita d'industria e d'agri-
coltura, il primo, leggiamo nel Comlitu-
tionnel da cui caviamo questi cenni , che
risolse il grande problema dell'avvicenda-
mento del lavoro manuale e degli studj
elementari. Fornito di alto spinto indaga-
tore, Aubert aveva rimarcato che, chiuso
fra quattro pareti , l' insegnamento delle
scuole primarie, di una monotonia da far
morire, non inspira ai fanciulli che una
profonda avversione all'applicazione, e li
prepara all'infingardaggine; che le lezioni
troppo prolungate offuscano l'intelletto in-
vece di avvivarlo ; che le prette teorie non
svegliano le disposizioni e le attitudini per
le varie professioni , onde all'uscire delle
scuole i giovani s'avviano per carriere che
poi dovranno abbandonare. Aubert propose
agli Stati di Bretagna d'instituire in quella
provincia sessanta scuole di lavoro all'e-
sempio di quella che egli aveva organizzala
a Cresi, provvedute in guisa che ognuna
potesse somministrare ai privati qualunque
specie di cereali, di piante, di agnelli di
pura razza pel miglioramento della lana,
propagare la coltivazione del gelso e l'al-
levamento del baco da seta, formare capi-
operaj intelligenti, mandriani instrutti nel
buon governo degli armenti. Le spese di
impianto avrebbero ammontato a 100,000
franchi, e dopo cinque anni riteneva Au-
bert che il solo lavoro degli alunni avrebbe
bastato a continuare l' istituzione senza
ARCHITETTO
altro aggravio ili quegli Stati. Ma il suo
pensiero non fu compreso, e la Bretagna
è ancora povera e metà coperta di lande
e macchie.
Più tardi si tentò lo stesso esperimento
in Svizzera. Il Pestalozzi, nato a Zurigo
nel 1746, fin da giovine si dedicò a ri-
levare la sorte dei poveri fanciulli ch'egli
voleva preservare dall'ozio e dal vizio con
un'educazione che avesse a hase F agricol-
tura. A Neuchof, a Stanz, e Yverdun fondò
scuole nelle quali s'insegnava a leggere,
a scrivere l'aritmetica, e si alternavano gli
studj teoretici coi lavori manuali. Gli alunni
apprendevano le nozioni elementari d'agro-
nomia, l'allevamento del bestiame e l'in-
dustria rurale : erano alloggiati , vestiti ,
nutriti come coloni, e per isviluppare in
essi la facoltà delle iniziative s'affidava loro
successivamente la direzione dei varj ser-
vizj del podere.
I mezzi finanziari rimasero inferiori al-
l'animo generoso del Pestalozzi; ma ridotto
povero, questo filantropo ebbe almeno il
conforto che non aveva confortato l'agonia
di Auberl, di vedere prima di morire
raffermata la sua istituzione.
Presso Berna, Fellenberg, dopo avere
nel 1806 creato l' istituto agronomico di
Hofwyl , vi uni una scuola gratuita per i
poveri fanciulli. La difficoltà era di trovare
chi sapesse instruirli e dirigerne i lavori
agricoli. Se ne assunse l'incarico l'inge-
gnoso Wehrli, e per ventiquattro anni di-
resse quella scuola con tanto profitto della
Svizzera, che il suo nome è rimasto a tutti
gli asili agricoli della repubblica.
In Prussia i maestri di scuola fanno
professione del taglio e dell' innesto dei
frutti, insegnano l'economia rurale e il go-
verno degli armenti, e sono assistiti dagli
alunni neh' allevamento dei bachi da seta.
II sig. Cruttcnden, maestro di scuola in
un villaggio del Kentshire iscriveva nel
1842: « Ho venti alunni, ai quali dalle
nove alle dodici della mattina insegno a
leggere , a scrivere, a far conti ed il ca-
techismo sotto la sorveglianza del parroco,
ed essi mi corrispondono 10 centesimi per
settimana e tre ore di lavoro per giorno
dalle due alle cinque dopo mezzodì. Ncppur
uno si allontanò scontento dalla mia scuola,
ed ho la compiacenza di vederli aiutarmi colla
ED AGRONOMO O
miglior volontà nel lavoro del mio campo.
Il fondo che coltivo ò di due ettari (per-
tiche milanesi due e mezza, circa), per il
quale pago 375 franchi di fìtto, e per la
casa che ìio a pigione, franchi 250, in tutto
franchi 62o all'' anno. Non ho nò prati nò
pascoli e tuttavia nutro tre vacche, una
giovenca ed un vitello. Pascendoli nella
stalla posso alimentare il doppio d'animali
che se pascolassero in campagna ». L'anno
dopo che fu di grande arsura, il sig. Crut-
tenden scriveva che ciò non ostante, ì due
ettari di terra gli avevano dato, oltre il
fìtto e la pigione, P alimento ed il vestilo
perse, per la moglie e per quattro figli,
anche un avanzo di mille franchi.
Riconosciuta l'utilità d'impiegare le forze
perdute degli alunni a profitto dell'agri-
coltura, lo spirito pratico che distingue
l'inglese doveva condurre l'idea fino alle
ultime sue conseguenze. Un comune presso
Willingdon aveva a carico un invalido con
moglie e sette figli, pei quali pagava all'o-
spizio di Eastbourne in cui vivevano, l'an-
nua pensione di 1800 franchi. Un pro-
prietario della parrocchia che aveva vi-
sitato la scuola di Cruttenden, propose al
comune che prendesse ad affitto una casa
e due ettari di terra e vi collocasse l'in-
valido in qualità di maestro di scuola.
D' allora questi e la sua famiglia non fu-
rono più a carico del comune: campano
abbastanza bene tutti nove ed anche fanno
qualche avanzo.
Poiché gli istituti agricoli non potranno
essere frequentati dai figli del contadino,
scuole come queste che abbiamo accen-
nate della Svizzera e dell'Inghilterra ponno
facilmente attuarsi in qualunque villaggio.
Non vi ha forse un solo comune in cui
non si trovino alcune tavole di terreno
incolto, una brughiera, una strada abban-
donata, che non si possano dissodare e ri-
durre a campo, ad orto, ad albereto, che gli
alunni coltiverebbero nelle ore di ricrea-
zione, diretti dal maestro che gli istrui-
rebbe nelle più razionali pratiche agricole
e dal loro lavoro trarrebbe il compenso
delle sue lezioni, ed in poco tempo anche
un profitto che solleverebbe il comune di
ogni corrisponsione. E perchè, come assai
di frequente avvicn delle cose meno co-
muni, alcuno non creda quest'idea un' u-
0 GIORNALE DELL' INGEGNERE
topia, la correderemo di un esempio di
fatto tolto alla biografia di un nostro ita-
liano. Nella vita di so stesso che l'abate
Denina inserì nella sua opera La Prusse
Httéraire sous Frederic II, lasciò scritto :
« J'appris les élémens de la langue latine
» d'un maitre d'école qui avoit si bien cul-
» tivé quelques toises d'un rocher attenant
» à son habitation, que le produit auroit
» suffì à l'entreticn d'une petite famille.
» Avant lui ce rocher ne rapportoit pas
» de quoi nourrirun moineau. J' ai ce-
» pendant vu le cure du lieu imiter le
» maitre d'école, et tirer un aussi bon
» parti d'un coin de roc qui rapportoit
» par an autant que le fonds lui avoit
» coùté en l'achetant ».
L'attuazione delle scuole agricole e di
estesi fondi-modelli, la diffusione dell' in-
segnamento per mezzo delle scuole co-
munali, crediamo siano le condizioni senza
le quali le nostre terre non potranno mai
raggiungere la massima quantità e la mi-
glior qualità di prodotti colle minori spese.
Conseguenza ne verrà l'aumento della po-
polazione della campagna che in alcuni
distretti, anche di Lombardia, è scarsa,
ed il suo miglioramento morale. Il suo ben
essere si comunicherà alle classi cittadine,
e quelle istituzioni inaugureranno una
nuova epoca di prosperità e di grandezza.
Intanto la Redazione del Giornale del-
l'' Ingegnere e dell' Agronomo continuerà a
raccogliere memorie originali e straniere,
delle novità e dei perfezionamenti nelle varie
coltivazioni. Il distinto grado d'istruzione
delle persone alle quali esso è destinato,
saprà applicarli al nostro suolo che tanto
grato corrisponde alle cure di chi lo lavora
con intelligenza e con perseveranza. In
Francia, ed in Inghilterra massimamente.
ARCHITETTO ED AGRONOMO
protetta dai governi e dalle società agrarie,
l'agricoltura prese in questi ultimi anni
un incremento, che ad onta della predi-
lezione del nostro sole, siamo minacciati
che l'arte prenda sulla natura il solo primo
posto che ancora non ci è contestato, se
noi non approfitteremo degli studj e degli
esperimenti che si intraprendono altrove.
Nò però trascureremo le arti mecca-
niche, più incoraggiati che mai dal pro-
gresso che assunsero fra noi. Quale atti-
tudine abbia anche in esse il nostro popolo,
lo indicano le principali officine che da
pochi anni fondate e quasi esclusivamente
condotte coli' opera dei nostri, ci promet-
tono non lontana la nostra indipendenza
dalle fabbriche straniere. Oltre alcune in-
dustrie di largo impianto , nella passata
Esposizione di Milano ebbimo ad ammirare
la perfetta esecuzione delle macchine del-
l'Elvetica; e la grandiosa officina dall'I. R.
Strada Ferrata Lombardo-Veneto annessa
alla Stazione di Verona , sotto l' esperta
direzione dell'Ingegnere sig. Cappelletto,
non solo seppe, appena creata, rifondere
qualunque parte di locomotive, ma dopo
qualche anno anche costruirne intiera-
mente di nuove e tali da non lasciare
nulla desiderare al confronto delle migliori
straniere.
Neppure dimenticheremo l'architettura
civile ed idraulica, la nuova scienza delle
strade ferrate, quella dei canali di navi-
gazione, l'arte del capo-mastro e le pro-
prietà dei materiali di costruzione e la
carpenteria, Te quistioni sui combustibili,
i processi d'illuminazione, le principali
innovazioni nella telegrafia , infine tutto
quanto ha rapporto alla scienza dell'In-
gegnere architetto e dell'agronomo.
I. L. V.
MEMORIE ORIGINALI.
Cenno Illustrativo dciri. R. Strada
Ferrata da Verona a toccagli© ,
aperta al pubblico esercizio il
giorno 22 aprile 1854.
(Vedi le (avole 1 alla 7.)
Andamento topografico ed altimetrico
della linea.
l.° Linea da Verona a Desenzano.
Si dirama questa strada ferrala in curva
dalla linea per Mantova presso il Forte
Wralislaw ad un kiloraelro dalla Stazione
di Porta Nuova di Verona , e corre lungo
il ciglione della bassa di S. Lucia lino al
punto ove ha origine la Strada Ferrata
Veneto-Tirolese ora in costruzione , ed
indi retta prosegue fino alla Valle di Sona,
il cui piano, alto sopra la sua origine a
Verona metri 42, viene raggiunto con va-
rie modiche salite non mai maggiori del
5 per mille, posando sopra sodo terreno
ghiajoso.
A questa valle ivi si offre opportuno
varco attraverso la cinta di Colli che cir-
colarmente si protende dall' Adige alla
Volta Mantovana, a Lonato ed oltre fino
in Tirolo. In detto varco giace la Stazione
di Sommacampagna , da dove per altri
successivi intervalli attraverso ad altre mi-
nori catene di colline giunge a S. Giorgio
in Salici, spaccando quell'altura con due
tratti di trincea ( presidiati da muri di
sostegno), la cui massima profondità giunge
a metri 24,00; e soltanto sotto il vertice,
presso cui giace il caseggiato, venne ese-
guita a perforamento un galleria lunga ap-
pena metri 62, 50. Dalla detta trincea fino
a Peschiera fu rinvenuto , dopo diversi
tentativi, un terreno le cui frequenti on-
dulazioni sono disposte in declivio uni-
forme, cosicché adequando le depressioni
colla materia levata dalle alterne promi-
nenze, risultò una discesa continua del 5,60
per 00/00, quasi totalmente retta a partire
dalle Cà Nove a levante di S. Giorgio,
ov'è il piano culminante, alto sul punto
di partenza metri 56, e da esso distante
kilomelri 13 i/s.
Le stazioni di Castelnovo e di Peschiera
stanno Puna sul detto pendio, l'altra ol-
tre l'estremo del medesimo, sopra un piano
orizzontale elevato dal detto punto di par-
tenza metri 12,00. Prima di quest'ultima
e dopo della medesima venne conciliato
cor riguardi alle condizioni altimetriche
divergenti delle fortificazioni di Peschiera
un sistema di Ire curve a flesso contrario,
che gira tra la Fortezza ed i suoi forti
esterni , attraversando il fiume Mincio e
costituendo una nuova linea di difesa. Ab-
bandonato il raggio fortilizio, dopo una
breve salita del 5 per ou/00 , discende di
nuovo al detto piano e va retta ed oriz-
zontale fino alla stazione di Pozzolengo,
verso il qual paese appunto si piega onde
cogliere un terreno più alto, su cui diri-
gere poi la linea senza altre inflessioni
lungo i colli di S. Zeno e delle Residenze
fino alla stazione di Desenzano, con pen-
denze del 2 % del 5 e del 6 per 00/00, es-
sendo la stazione di Desenzano alta sul
ripetuto punto di partenza metri 51,00: e
distante da esso kilometri 35 1/2.
Il tratto di terreno attraversato dalla
linea da Peschiera al colle di S. Zeno,
denominato la Lugana, presentò diverse
anomalie nelle fisiche sue qualità, e delle
gravi difficoltà che si dovettero superare
a forza d'insistenza, come si accennerà
in appresso per ciò che si riferisce al La-
ghetto di Peschiera, al Feniletto ed al
Venga.
2.° Linea da Desenzano a Brescia.
La Stazione di Desenzano è collocala
sul vertice del colle delle Residenze, alta
sulla massima piena del lago di Garda
metri 50. Quest'altezza si è dovuta con
replicati studj raggiungere, onde rendere
poi possibile una Stazione fra i colli di
Lonato ( la cui altezza , che corrisponde
al punto culminante di tutta la linea , è
di metri 90, 47 sul punto all'origine presso
il Forte Wratislavv), senza ricorrere a
pendenze maggiori del 10 per 00/00, come
si è conseguito infatti, adottando una sola
curva, ed il viadotto sulla valle di Rio-
freddo presso Desenzano (di cui si dirà
più sotto), trincee di moderata profondità
ed una galleria di soli metri 224 a le-
vante della Stazione di Lonato. Le trin-
cee prima e dopo la detta galleria hanno
muri di rivestimento, e la stazione circonda
il borgo di Lonato a mezzogiorno, ove fra
le colline si offre una valletta al giusto
livello della Strada Ferrata.
Da Lonato corre questa rettilinea fino
a Ponte S. Marco ed in discesa: indi con
due inflessioni opposte laterali al fiume
Chiese, lo varca normalmente in una sua
svolta, con livelletta orizzontale, ed all'al-
tezza di metri 73 circa sul principio della
linea. A sinistra del Chiese sta la Sta-
zione di Ponte S. Marco.
Dopo la curva a destra del medesimo
si procede alla Stazione di Rrescia con
mitissime pendenze non mai superiori
al 4 per 00/00, e con due sole inflessioni con-
trarie, Tuna tra S. Eufemia e Rrescia e
l'altra a levante di quella Stazione, ta-
gliando con piccola trincea il colle di Ci-
liverghe. A metà circa dell'estesa di questo
tronco si eresse la Stazione di Rezzalo.
La linea fu condotta a toccare l'unghia
dei Ronchi di Rrescia, onde eliminare in
gran parte la sinuosità e conseguente con-
tropendenza cagionata dalla valle del tor-
rente Garza e del Naviglio che si attra-
versano ai cigli della Regia Postale per
Mantova. L'imo punto di questa contro-
pendenza è inferiore al piano orizzontale
della Stazione di Rrescia di metri 9,80:
mentre il detto piano della Stazione sta
GIORNALE DELL' INGEGNERE
sopra il punto di partenza della linea me-
tri 72,43.
La Stazione dista dalla porta di S. Na-
zaro di Rrescia soli metri 250; e la lun-
ghezza complessiva della strada fin qui
descritta e di kiiometri 03, 81040. Il ter-
reno attraversato da Desenzano a Rrescia
è generalmente ghiajoso, ed irrigatorio da
Lonalo a Rrescia.
3.° Linea da Brescia a Coccaglio.
Il terreno che si estende da Rrescia a
Coccaglio presenta anomalie altiraetriche
che non si potevano economicamente su-
perare che coli' andamento della linea ,
quale fu dopo diversi studj di confronto
detcrminata, in modo di correggere colla
pendenza generale dal suolo lombardo,
in discesa dal nord al sud , le forti pen-
denze accidentali e lungamente protratte
dall' est all' ovest e viceversa , trovando
cioè quelle risultanti diagonali che offri-
vano le più modiche pendenze con insi-
gnificanti movimenti di terra. Infatti il ter-
reno dal fiume Mella discende fortemente
fino al torrente Gandovcre. epperciò ivi
la linea piega verso il nord fino a rag-
giungere la Regia Postale Lombardo-Ve-
netaf indi riascende rapidamente dal Gan-
dovere ad Ospitalelto , causa per cui la
linea ripiega verso il sud fra Ospitaletto
e Travagliato. Con questo sistema si ot-
tennero livellette generalmente non mag-
giori del 3, e solo talvolta del 4 per 00/0Q>
ed un movimento di terra in volume mi-
nore della metà di quanto importavano
studj precedenti.
Il Molla si varca a metri 2,72 sotto il.
piano della Stazione di Rrescia. Ha luogo
una Stazione ad Ospitaletto all'altezza di
metri 18,29 ed altra a Coccaglio di me-
tri 21,78 sopra il detto piano della Sta-
zione di Rrescia. La terra è ghiajosa, ed
il territorio attraversato quasi totalmente
irriguo. La lunghezza del Tronco Rrescia —
Coccaolio è tli kiiometri 19,00301; ed in
complesso dal Forte Wralislaw a Coccaglio
vi sono kiiometri 82,87341.
Il prospetto allegato A denota pei sin-
goli nominati Troncbi la loro composizione
di rettilinei e curve, ed il prospetto al-
lenato B denota il sistema delle livellette
ARCHITETTO ED AGRONOMO
!»
Difficoltà' occousl<: e superate nei
movimenti ih terra.
1. Da Verona a Desenzano.
a) Alla Trincea di S. Giorgio in Salici.
Quivi oltre le trincee già prescritte, con-
venne sostituire una trincea a parte della
galleria che in progetto crasi ideata della
lunghezza di metri 200, in causa delle
copiose acque che rendevano estremamente
difficile, dispendioso e pericoloso il lavoro
sotterraneo degli escavi e de'presidj per
la costruzione della volta e dei piedritti
della galleria, specialmente verso l'estremo
di levante, ove per la pendenza non pote-
vasi ottenere uno scolo naturale; ed il
fondo era fracida torba, mista a mobilis-
sima argilla deliquescente.
Il livello del pelo d'acqua dei pozzi del-
l'attiguo e soprastante paese di S. Giorgio
era dieci metri più elevato del piano car-
reggiabile della galleria : epperciò anche
la sostituita trincea non poteva andar esente
da peripezie; mentre l'acqua de' pozzi fil-
trando per sottili strati di sabbia frapposti
a quelli d'argilla e di torba, che si erano
resi scorrevoli l' un sopra l'altro, ingene-
rarono considerevoli frane, le quali furono
poi vinte con grosse murature di sostegno,
incominciandosi agli estremi delle singole
frane, e procedendosi verso il centro di
esse, come suolsi praticare nel dare la
strella alle rotte de' fiumi: talmente liquida
era la materia che ne scorreva ad ingom-
brare la sede stradale. Superiormente alle
murature furono eseguite scarpe rivestite
di fascinaggi. con posteriori ciottoli e stra-
tificazioni di zolle erbose e gramigna.
E perchè fosse tolto ogni dubbio che
anche nelle altre parti delle trincee di
S. Giorgio si manifestassero simili frane,
la scarpa saliente dell'I per 1, ch'era
stata prescritta da principio sopra le mu-
rature di rivestimento, venne divisa a metà
altezza con una banchina, e fatta dell'I i}k
per 1 = la parte superiore, con pianta-
gioni, e la parte inferiore rivestita, come
sopra, con ciottoli, piote erbose, ecc.
b) Nella Lugana e specialmente nelle
seguenti località:
= Al laghetto di Peschiera, ove per un
Voi. 111.
tratto di 80 e più metri di strada s'in-
contrò una torbaja profonda circa metri 12.
Quivi si apersero due fosse laterali, ove fu-
rono eseguiti due casseri con palafitti e riem-
pimenti di pietrame, onde contenere pos-
sibilmente la terra, che si derivava dalle
vicine trincee e da un promontorio pros-
simo alla Zanetta, e che mano mano si spro-
fondava scacciando la materia liquida e
molle che in parte sollevava manifesta-
mente le campagne adjacenti. Su queste
fu opportuno estendere grandi banche di
terra sporgenti dall'argine, onde aumen-
tarne la base. Dopo due anni di continuato
ed intenso lavoro, il fondo si rese immo-
bile e l'argine potè raggiungere il prescritto
livello alto sul piano circa metri 8,00.
= Al Feniletto , il fondo naturale ,
non esposto al contatto dell'aria e del-
l'acqua, è argilla mista a calce talmente
compatta da pesare perfino duemila e due-
cento chilogrammi il metro cubo, e da
distinguersi assai difficilmente dalla pietra.
Esposto invece lungamente all'azione del-
l'aria e dell'acqua si liquefa con efferve-
scenza e scorre semiliquido. Già da un
anno dalla sua costruzione slava immobile
l'argine del Feniletto, alto sulla campagna
adjacente circa metri 9; ma le grandi
piogge della primavera 1853 cominciarono
a discioglierlo: e ad onta dell'immediato
tombamento delle laterali cave e della loro
riduzione a coltivo, e formazione di ban-
che laterali all'argine, durante le non in-
terrotte piogge dell'estate successiva e del-
l'autunno, desso continuava a scorrere dai
fianchi, seco trascinando anche la terra
vegetale di riempimento delle cave. Sola-
mente allorché si è potuto formare tor-
tuosamente un armamento provvisorio,
onde col mezzo delle locomotive traspor-
tare da Castelnovo e da S. Zeno sul luogo,
da una parte grandi e numerosi treni di
ghiaja e pietre, dall'altra di sabbia, si co-
minciarono ad ottenere parziali riposi. Ma
l'espediente definitivo, che consolidò e rese
praticabile la strada, fu quello di allargare
la sede stradale fino a metri 12, e di am-
massare accanto all'armamento due gran
cumuli di pietre, i quali mano mano che
s' incassavano scomparendo nel rilevalo,
venivano rimessi, finché col loro primo
strato raggiunto il fondo vergine, poterono
Lualio 1855.
'2
|Q GIORNALE DELL
costituire come duo muri a secco sepolti ,
nell'argine, e rifiancati dalla terra, che ne
t'orma le scarpe, da per se dispostesi in
dolce declivio.
La base della terra costituente l'argine
di Feniletto domina eziandio nell'altre
parti della Lugana, sebbene possa giudi-
carsi alquanto migliore; e ne fece prova
specialmente l'argine allo scolo Scrmana,
quello tra FenileUo e la stazione di Poz-
zolengo, ed alla Refìnella, dove si mani-
festarono diverse frane, e screpolature lon-
gitudinali nell'argine, che furono risarcite
con ghiaja, ciottoli e strati di terra ve-
getabile alternati.
= Al fiumicello Venga presso S. Zeno si
incontrarono non minori ostacoli, laddove
il fondo a qualche profondità è in gene-
rale di sottile e mobilissima sabbia azzurra,
basato sopra uno strato d'argilla impermea-
bile, disposto in piano inclinato verso tra-
montana. La parte superficiale è sabbia
giallognola, ossia mista ad argilla.
Quest'ultima materia fu impiegata per
la formazione dell' argine in altezza di
circa metri 15 e vi riesci opportuna. Se
non che giunto l'argine presso il suo com-
pimento e resasi più pesante la materia
componente per le continuate piogge, che
vi filtrarono, succedeva lo squilibrio fra il
semiliquido sostenente ed il sostenuto, e
quindi scoscendendosi la metà dell'argine
a nord, si sprofondava in gran parte in
quello, con sollevamento dei fondi laterali
e specialmente del letto delle cave che
avevano somministrata le materia di co-
struzione. Il letto del fiumicello Venga
ch'era incassato fra le sponde di quasi
metri 2, si era alzato a guisa d'argine di
altrettanto sulle sponde medesime.
Anche in questa località il miglior ri-
medio, che si trovò del caso, fu in primo
luogo l'imbonimento delle cave con terra
vegetabile e la loro riduzione a coltivo,
onde caricarne il fondo e metterlo in
asciutto; indi la formazione di una grande
banca lungo il fianco di tramontana del-
l'argine, sìcchè ne fosse fortemente au-
mentata la base in confronto dell'altezza
e del peso dello stesso, e col rifare la parte
franata con isperoni interni di ciottoli e
ghiaja trasportati perfino dalla trincea di
'tonato con locomotive; con che l'argine
/ingegnere
restasse rifiancato e l'acqua di pioggia,
raccogliendosi in essi speroni, venisse por-
tata a fossetti sotterranei riempiuti di ciot-
toli lungo l'argine stesso e scaricanti negli
scoli attigui. Con tal provvedimento non
ebbesi più ulteriormente alcun dissesto.
2.° Da Desenzano a Brescia.
a) A levante del viadotto di Desenzano
l'argine è disposto sopra un piano forte-
mente inclinato verso ponente, e formato di
terreno affatto simile a quello anzidescritto
di Lugana a Feniletto. Assai difficilmente si
rompe e si collega per comporre una diga
compatta allorché è asciutto; imbevuto di
acqua si rende invece semiliquido e scorre
sforzando ogni ostacolo. Qui l'argine alto
metri 23 minacciava frane ai lati, ma si
è potuto contenerlo con presidj di muro
a secco all'unghia. Durante però il suo
costipamento arrecò danno alle vicine opere
del viadotto, esercitando una incalcolabile
spinta contro la sua spalla orientale e le
ali di sostegno delle scarpe, che quantun-
que presentassero in base la grossezza
perfino di metri 17,50, furono spostate.
La potenza di tale spinta, i cui limiti assai
difficilmente si avrebbero potuto preve-
dere, indusse ad adottare il ripiego, di cui
più sotto si fa speciale menzione, di ot-
turare con muratura il primo arco del
viadotto, attiguo alla spalla, e di affrontare
alle ali secondanti le scarpe due quarti
di cono formati di materia più scelta pro-
veniente nella maggior parte fino dalla
trincea di Lonato. In generale tutta la
valle di Riofreddo, sulla quale fu eretto
l'accennato edificio, si presentò malagevole,
sia per le suddette sfavorevoli condizioni
e specialmente per un forte banco di torba,
che si scoperse al luogo della fondazione
delle quattro pile di mezzo.
b) Alla trincea di Lonato profonda da
metri 8 a 12, per le copiose filtrazioni
rinvenute, s' incontrarono in parte le diffi-
coltà superale a S. Giorgio, anche per ri-
guardo ai muri di sostegno.
e) A Ciliverghe l'escavo della trincea
nel colle si è eseguito in parte nella roccia;
ma il lavoro procedette colla maggiore
regolarità.
ARCHITETTO
3.° Da Brescia a Coccaglio.
In questo tronco, stante la bontà del
fondo, generalmente ghiajoso[, e le tenui
altezze dell'argine, senza trincee, nessuna
circostanza merita particolare menzione.
MANUFATTI E SPECIALI LORO DIFFICOLTA'
d' ESECUZIONE.
1.° Da Verona a Desenzano.
Tra grandi e piccoli manufatti at-
traverso alla strada ferrata se ne con-
tano N. 120
oltre i manufatti esterni, di circa j 80
Totale N. 200
Tra questi sono compresi i seguenti
principali:
a) Diversi cavalcavia e sottopassaggi, tra
cui quelli pella postale Lombardo-Veneta ;
il primo a Cavalcasene, lungo metri 55, 60,
sotto il quale a foggia di galleria passa obbli-
quamente la strada ferrata, e l'altro mi-
nore a Peschiera che sostiene invece la
ferrata.
b) La galleria di S. Giorgio lunga me-
tri 62,50, di luce larga metri 8,40 ed
alta metri 7,50. La sezione è ad arco
circolare a tre centri compresi i piedritti,
grosso metri 1, con volta rovescia al piede.
e) Il ponte sul fiume Mincio, che segue
la curva della strada ferrata volgente la
sua concavità verso la fortezza di Peschiera.
Ha la lunghezza sviluppata di metri 195
e descrive in pianta una linea spezzata a
cinque lati, ciascuno de' quali comprende
un arco a segmento circolare, la cui proie-
zione orizzontale è un rettangolo, ed ha
la luce di metri 22, 25 di corda, e di me-
tri 3, 75 di saetta.
Le pile sono più larghe sotto corrente
che non sopra, ossia da metri 4, 42 a me-
tri 4,08: giacche in esse è raccolta tutta
la divergenza dei raggi della curva della
strada, onde conservare parallele le facce
delle pile fra loro attigue: sicché risulti
rettangola la base delle luci.
Questo ponte, come venne stabilito in
concorso colla Direzione del Genio Mili-
tare, serve a tre scopi:
ED AGRONOMO 4 1
1/ Pel transito della strada ferrata.
2.° Pel passaggio dei carri comuni.
3.° Per il perfetto chiudimento del Min-
cio, od emissario del lago, in caso d'as-
sedio o in caso di pencolo d'innondazione
a Mantova per la piena contemporanea del
Po e del lago di Garda.
Al primo degli accennati scopi si e sop-
perito coi detti cinque archi, il cui piano
superiore, difeso da parapetto di ferro con
pilastrini di pietra, asseconda la curva della
strada del raggio di metri 700.
Al secondo serve un'impalcatura di le-
gno con carreggiata in ghiaja sostenuta dalle
spalle del ponte, dalle quattro grandi pile
suddescritte, traforate, e da N. 10 pile
minori che suddividono ciascuna delle cin-
que luci, fino al piano dell'impalcatura
poco superiore alla massima piena, in tre
campate eguali. Ha parapetto pure di le-
gname con pilastrini di vivo sulle pile mi-
nori. Nella campata di mezzo del terzo
arco l'impalcatura è fatta a ponte levatojo,
onde possa prestarsi alle viste di futura
navigazione del fiume, quando fosse espur-
gato e sgombro delle frequenti pescaje che
nel suo corso lo inceppano. Per accedere
a questo passaggio, nelle testate sono pra-
ticati due locali a base semicircolare co-
perti da una mezza calotta sferica, e ser-
vono anche d'attraversamento alla strada
. ferrata per la continuità degli accessi lungo
le ripe.
Le platee dei tre archi di mezzo sono
a metri 3 sotto la massima piena, e quelle
dei due laterali a metri 2. La suddetta
profondità di metri 3 fu cosi assegnata,
onde il ponte si presti appunto al suenun-
ciato espurgo del fiume, ed anche all'intento
che il lago di Garda mantenga il suo pelo
d'acqua ordinario ad una minore eleva-
zione; offra poi una maggiore capacità,
onde far fronte alle escrescenze che av-
venissero durante l' intervallo di tempo in
■ cui resterebbe intercettato il corso del-
l'emissario, mediante la chiusura delle
trenta porte sottoposte alla detta impal-
catura che si chiudono ed aprono alla
maniera di quelle delle conche.
Sui rostri delle grandi pile si ergono dei
semicilindri che rifiancano il ponte, eli-
dendo le spinte obblique prodotte dalle di-
vergenze dei lati in cui stanno gli archi,
12
GIORNALE DELL INGEGNERE
e coprono lo divergenze stesse, rimanendo
tangenti a curve concentriche coli' asse
stradale.
Il piano supcriore ai rifianchi delle volte
è coperto di cappa d'asfalto, e lo stillici-
dio si fa per quattro docce attraverso a
ciascuno degli archi 1.°, 3.° e 5.", collo-
cale presso l'imposta.
Le fondazioni furono basate sopra pala-
fitti e grigliati, onde consolidare il terreno,
che in parte era torbóso ed instabile. Gli
asciugamenti furono eseguiti prima per le
due estremità, indi per la parte di mezzo,
con coclee d'Archimede a più ordini, messe
in movimento, mediante due sistemi di
ruote, dalla stessa corrente.
La muratura è generalmente in pietra
da taglio delle cave del lago di Garda, di
color roseo, con riempimenti di muro in
pietrame, cotto e cemento idraulico. Gli
archi però ed i timpani sono in cotto.
L'armamento della strada sul ponte è
all'americana con travi longitudinali.
Appena gli archi furono compiuti, se ne
dovette tosto far uso straordinario con
locomotive e carri di sterramento , sopra
un armamento provvisorio, onde provve-
dere di ghiaja le grandissime estese d'ar-
gine che affatto ne mancavano, ed onde
fornire i rimedj suindicati agli argini di
Feniletto e di Lugana; e ciò durante una
stagione perversa. Queste circostanze sfa-
vorevoli portarono qualche pregiudizio al
regolare assettamento dell'arco ultimo a
destra corso d'acqua, del quale si è dal-
l'Impresa fatta rinnovare la costruzione,
perchè non restasse vestigia d' irregola-
rità, od apparenza di minore solidità. Una
tale ricostruzione venne fatta senza inter-
rompere il transito delle materie di co-
struzione.
d) Al Laghetto, al Feniletto, al Venga le
tombe per la continuità delle acque si dovet-
tero prolungare sotto le banche di rinfianco
dell'argine, e rafforzare coli' inserzione di
un piccolo tunnel a canna cilindrica.
2.° Da Desenzano a Brescia.
Il numero complessivo de' manu-
fatti attraverso la ferrata da Desen-
zano a Brescia ascende a . . N. 220
Oltre gli esterni » CO
In complesso IS\ 280
I manufatti più importanti sono:
a) Il viadotto sulla valle di Riofreddo
a Desenzano.
Questo grande manufatto consta di 17
archi a sesto acuto, 16 pile grosse me-
tri 4, 50, e due grandi testate con ali
alquanto divergenti per sostegno delle
scarpe dell'argine. Gli archi sono rampanti
in causa della pendenza della strada del 10
per 00/00, ed insistono ad un triangolo equi-
latero coi lati di metri 17, 50. La sua lun-
ghezza complessiva è di metri 400, e l'al-
tezza del piano carreggiai/ile sulla parte
più depressa della valle, che corrisponde
alla mezzaria dell'edificio, è di metri 30.
Ha parapetti a merlature.
Le fondazioni posano sopra terreno ar-
gilloso generalmente; sotto però le quattro
pile di mezzo vi e un fondo di ghiaja, ma
alla profondità di metri 14 dal piano della
campagna, essendovi per una tale altezza
un banco di torba, come si è retro indi-
cato, e terra biancastra, glutinosa, mobi-
lissima. Ovunque si è consolidato il fondo
con palafitti ed in tutte le pile anche col
grigliato, estendendo la base di esse ed
aumentando la lunghezza delle colonne di
larice a norma della qualità del fondo;
e specialmente per la base delle suddette
pile di mezzo si sono più che raddoppiate
le dimensioni, ed impiegate colonne lunghe
oltre i metri 12, con doppia coronella a
contatto; ed il muro di fondazione per
l'altezza di metri 3 venne eseguito quasi
totalmente in pietra da taglio a grandi sca-
glioni, mentre per le altre pile e per le
spalle bastò una muratura di pietrame.
Lo zoccolo, gli angoli delle pile e delle
spalle, le fasce d'imposta e di coronamento,
e le serraglio degli archi sono in pietra
calcarea da taglio del lago di Garda ed
in poca parte di Rezzato.
Le facce esterne delle pile, delle testate
e dei timpani sono rivestite per la rien-
tranza mediagli metri 0,80 in cotto: il
riempimento interno di tali parli è in mu-
ratura di pietrame con istrali di cotto.
Le volle a sesto acuto, sono totalmente
in cotto e sono rifiancate a muro pieno fino
ad un terzo della loro altezza; e sopra tale
rifianco, oltre i detti timpani esterni grossi
metri 2 ne sorge un terzo lungo l'asse
stradale, grosso metri 1, totalmente in cotto;
ARCHITETTO
lasciando così due capacità nel!" interno dei
timpani larghe metri 2 e coperte da due
voltine longitudinali che si estendono quasi
da un vertice all'altro degli archi acuti.
Lateralmente ai detti vertici per una estesa
di metri 2 per parte, in testa alle dette
voltine, si è eseguita una muratura piena
per V intera larghezza dell'edificio, onde
aumentare il peso della serraglia. Il pa-
rapetto a merli è di cotto con coperte di
pietra.
I suddetti vani sono praticabili per mezzo
di aperture sussistenti nel piano stradale
presso il parapetto di tramontana e per
occhi circolari lasciati nella suaccennata
tramezza dei timpani.
II piano superiore è coperto di cappa
d'asfalto e lo scolo succede per due docce
di pietra collocate presso il vertice di cia-
scun arco. Anche per questo edificio fu ese-
guito l'armamento della strada all'ameri-
cana con longoni.
Oltre alle indicate difficoltà di fonda-
zione causate dalle sfavorevoli condizioni
del terreno, durante l'erezione di questo
gran manufatto, altre se n'ebbero a supe-
rare, onde conseguire la stabilità dell'opera
col minor possibile dispendio.
Il sistema superiormente descritto dei
vani nei timpani, fu appunto adottato onde
assegnare il minor carico possibile alle
pile, perchè costruite queste di tre diverse
murature, come è superiormente enunciato,
prima che fosse completo l'assettamento del
pietrame e del cotto, dovevano porsi in
funzione le pietre angolari delle pile, le
quali per la loro natura subivano delle
superficiali scagliature, che furono rimar-
ginate, sostituendosi ben anco ove si trovò
più opportuno il granito.
Ed onde viemeglio resistere alla ten-
denza degli archi acuti a rettificarsi con
sollevamento delle serraglio, invece di ri-
correre a mezzi che sarebbero stati col
loro peso in opposizione al suindicato prov-
vedimento, fu trovato del caso di caricare
sui vertici degli archi il peso delle mura-
ture dei timpani stessi, mediante tre po-
tenti tiranti di ferro accavallati alle ser-
raglio di pietra, sulle quali si è incassata
una grave barra di ferro che ne collega
i pezzi e distribuisce su di essi l' effetto
dei detti tiranti. Questi si affrancano ai
EU AGRONOMO li?
tre muri dei timpani ed alla parte infe-
riore degli archi. Ed oltre ciò si collo-
carono per ogni timpano, nel senso della
lunghezza dell'edificio, quattro simili ca-
tene di ferro orizzontali a 2/3 dell'altezza
dell'arco, le quali collegano fra loro a due
a due le falde opposte degli archi attigui
e mantengono cos'i costante la forma dei
timpani e degli archi stessi.
Questi presidj e gli jaltri legamenti di
ferro posti trasversalmente negli archi du-
rante la loro costruzione, ed all'imposta
delle voltine longitudinali, che costituiscono
il piano carreggiabile, si trovarono effica-
cissimi durante l'uso di questo edificio in
condizione ancora plastica, appena com-
piuto, e contro i danni che venivano ar-
recati da treni di ghiaja composti di rozzi
carri di sterramento lungo un armamento
affatto provvisorio ed irregolare sulla pen-
denza del IO per tì0/00, come occorse per
le forniture alla stazione di Desenzano e
lungo i colli delle Residenze e di S. Zeno,
ove tale materia totalmente difettava.
Ma gli incidenti che posero in maggiore
attenzione durante la esecuzione di questo
edificio procedettero dalla scorrevolezza,
che si è superiormente enunciata, della
materia costituente il grand' argine a le-
vante, che esercitando uno sforzo incalco-
labile contro le ali e la testata di levante,
ad onta che le prime fossero state presi-
diate con isperoni interni non che scarpate
e rinforzi esterni, aveva generato il par-
ziale rovescio di una di dette ali e suc-
cessivamente uno spostamento nella me-
desima dopo ripristinata, e lo strapiombo
della spalla, che fu comunicato, sebbene
quasi insensibilmente, anche alle attigue
parti dell'edificio, generando qualche leg-
gera fenditura nelle murature, che furono
tosto rimarginate.
Il rimedio che si rese necessario per
togliere di mezzo ogni progresso ad una
tale prepotente spinta fu quello di otturare
l'arco attiguo alla testata di levante con
muri di pietrame rivestili in cotto, posanti
sopra una grande platea di quadri di pietra,
e di opporre alle ali i due quarti di cono
di terra, dei quali si è detto superior-
mente. Con ciò ha luogo il progressivo
sensibile assettamento dell'argine senza
aversi più alcun segno nelle attigue mu-
14
rattirc, che dall'apertura della strada in
poi si conservarono illese da qualsiasi mo-
vimento, ad onta dei grandi trasporti di
granaglie fattisi sul primordio, e sebbene
cogli ardori estivi fossersi affatto allentate e
resesi inoperose le centrature degli archi,
che per semplice precauzione intanto si
mantengono in opera, finché la coesione
delle murature sia completa.
b) La galleria di Lonato lunga met. 204,25,
larga ed alta come^uella di S. Giorgio me-
tri 8,40 e 7,50, ha piedritti con iscarpa
verso la luce grossi metri 1,30 all'im-
posta dell'arco, e metri 1 , 50 sulla fonda-
zione.
e) Diversi cavalcavia e soprapassaggi. ,
fra i quali il soprapassaggio della regia po-
stale Lombardo-Veneta a Lonato che co-
stituisce in sommità una piazzetta esagona,
essendosi condotta la postale ad attraver-
sare la ferrata sotto un angolo di 60°.
d) Il ponte sulla Roggia Calcinata con
due cavalcavia laterali a sesto acuto.
e) Il ponte sul fiume Chiese con luce
della corda di metri 30, saetta di met. 4, 60
e grossezza dell'arco al serraglio di me-
tri 1,25. Le spalle di questo ponte sono
fondate sopra soda puddinga, e sono co-
stituite da uno strato in base e da rive-
stimento di marmo di Rezzato, della quale
pietra sono pure le fasce d'imposta e di
coronamento, i pilastrini e le coperte del
parapetto. La volta, i timpani ed il para-
petto sono di cotto.
f) Due ponti obbliqui della corda di
metri 7, 20 pel naviglio di Rrescia e pel
torrente Garza in cotto e pietra.
GIORNALE DELL' INGEGNERE
3.° Da Brescia a Coccaglio.
Il numero de' manufatti attraver-
santi la strada ferrata è di . . - 175
Oltre quello degli esterni che am-
monta a non meno di ... . • 55
Totale N. 230
Gli unici manufatti che hanno qualche
importanza in questo tronco sono:
a) Il ponte sul Mella. Questo fiume, per
la sua elevatezza tra arginature sul piano
della campagna, e per la continua sua
tendenza ad imbonirsi di ghiaja, ha ri-
chiesto un ponte obbliquo a sei luci da
metri 10 ciascuna misurate lungo l'asse,
con pile e spalle di marmo di Rezzato e
con impalcatura di legno larice. Nelle te-
state vi sono due cavalcavia pure a palco
di legno per la continuità degli accessi
lungo le ripe.
b) Il ponte sul torrente Gandovere in
un solo arco della corda di metri 10
in cotto.
DELLE STAZIONI.
La stazione di Rrescia è di IL classe.
Quelle di Peschiera, Desenzano, Lonato
e Coccaglio sono di III. classe.
Quelle di Sommacampagna, Castelnovo,
Ponte S. Marco, Rezzato ed Ospedaletto
di IV. classe.
A Pozzolengo non evvi che un doppio
casello da guardiano per semplice fermata.
Seguono i prospetti dei rettilinei, delle
curve e delle livellette, allegati A e B.
G. R. Rossi, I. R. ing. in capo,
ARCHITETTO ED AGRONOMO
PROSPETTO
dei Rettilinei e delle Curve.
15
(Allegato A)
RETTILINEI
CURVE
INDICAZIONE
DEL TRONCO
Numero L h
progress.!
iza
Numero 1
progress.!
Ango
Io
n 1 Lunghezza
maggio 1 del|0 SviiUppo
I
132°
30'
715
— 1 592
75
TRONCO I
II
160°
28'
1,370
52 590
17
dall' incontro
I
8204
54
colla strada di
III
164°
—
1,200
—
335
10
Mantova pres-
II
2062
44
so Verona fino
IV
153°
—
1,400
—
659
71
a Desenzano.
III
4317
35
V
173°
50'
1,000
—
107
62
IV
3615
85
VI
112°
40'
800
—
940
16
V
390
80
VII
107°
20'
700
—
887
79
VI
1315
67
Vili
146°
—
1,000
—
593
41
VII
4965
75
IX
118°
38'
1,000
—
698
13
dell' vili
5251
80
TRONCO II
da Desenzano
dell'vin
1081
78
6333
58
a Rrescia.
IX
2010
32
X
139°
45'
1,100
—
1,178
16
•
x
4802
50
XI
128°
42'
1,000
—
895
83
XII
154°
1'
1,000
—
453
50
XI
2000
14
XIII
144°
50'
2,000
—
1,225
00
XII
10923
08
XIV
151°
41'
1,500
—
734
92
XIII
1622
75
XV
164°
27'
2,000
—
542
25
del xiv
811
13
TRONCO III
da Brescia a
del xiv
14
50
825
63
Coccaglio.
XV
2159
00
XVI
166°
1 45'
1,000
—
231
25
XVII
158°
34'
800
—
299
26
XVI
2581
80
XVIII
149°
—
2,000
—
1,082
10
XVII
6426
28
i
XIX
163°
7'
1,000
—
294
67
XVIII
3743
15
XX
159°
20'
1,000
—
360
52
XIX
1105
39
XXI
168°
9' 1 1 ,000
—
207
94
XX
557
15
1
ir»
GIORNALE DELL'INGEGNERI-.
PROSPETTO
delle Livellette.
(Allegato li.)
ARCHITETTO ED AGRONOMO
47
Fisica sintetica
(Vedi pag. 257, 376, 517, 576 e 621.)
VI.
Esistenza di due principii opposti già cono-
sciuta agii antichi. — Memoria mitologica
del cav. conte Fra Filippo Linati di Parma,
A Giuseppe Mozzoni (*).
Quando gli uomini della presente età
considerano la dovizia de' beni e la gran-
dezza de' trovati, onde va fastosa la pre-
sente civiltà, e considerano quale era il
mondo primitivo dei tempi storici e fa-
volosi, mentre con pietà e disprezzo ri-
corrono alle condizioni di quello, e delle
condizioni proprie si sentono lieti e su-
perbi , non solo rispingono la possibilità
di una civiltà primitiva, ma, lungi dal cer-
care negli avanzi di quella un materiale
di progresso, stimano di non avere altro
modo al progredire clic quello usato fin
qui, vale a dire il metodo prettamente spe-
rimentale accumulando fatti sopra fatti con
accrescimento non già di scienza, ma di
scientifiche applicazioni.
Se alle tendenze sintetiche ed ordina-
trici dello . spirito umano potessero pre-
valere in perpetuo sì fatte forme di pro-
gredimento , e se la Divina Provvidenza
abbandonasse le sorti della umanità ai tra-
scorsi dell'intelletto, il nostro progresso
sarebbe verso il caos, cioè verso uno stato
nel quale le molteplici forme della natura
più non ci rappresenterebbero l'unità del-
l' universo e il concetto moltiplice ed uno
dell'Essere che lo creò.
Ma perchè una Sapienza Ordinatrice le
governa , le varie civiltà repugnare non
ponno invincibilmente alla verità unifica-
trice, e, dove il tentino, sono annichilate
anche per vie straordinarie.
Nasce da ciò, che anche gli errori parziali
sono talora lasciati fruttificare se prepa-
rano la via al vero progresso 'rimovendone
gli ostacoli od apparecchiandone i mezzi.
Era d' uopo al progresso delle odierne so-
(*) Veggasi la seconda delle noie a p. 261 (art. 1.)
Fot. lì 1. Luglio
cictà che fosse tolta la barriera frappostagli
dall'antico dogmatismo scientifico: perciò
sorsero Bacone, Galileo e Cartesio inse-
gnando come si apprenda alla scuola dei
fatti. Ora che questi fatti denno essere or-
dinati a produrre una scienza vera, vede
la patria nostra sorgere in Voi Colui che
raccoglie ed unifica le sparse foglie della
Sibilla, e vi sceme e scuoprc le forinole
della scienza universale, una, semplice, e
magnifica, promettitrice di nuovi fatti e di
nuove condizioni all'umana natura.
Come colui che, scendendo la china di
un' erta montagna, si volge ad ora ad ora
cogli occhi a vagheggiare la bellezza dei
campi sottoposti dove è il termine del
suo desiderio e delle sue fatiche, o meglio
come colui che, percorrendo col guardo
un diffìcil sentiero a lui proposto, si av-
valori al calcarlo, scoprendovi le orme che
altri v'impresse, cosi Voi nel nobile arin-
go, che vi siete dischiuso, fate sosta un
istante, e infiammatevi a percorrerlo nel
consenso dei secoli mediante il culto , i
simboli e la tradizione. E in vero il con-
cetto scientifico da Voi proposto non è
solo , come Voi indicate , lo sviluppo di
principii oscuramente traveduti dai nostri
maggiori ; esso è la riproduzione della
scienza , onde furono ricchi i primordi
del genere umano, e la memoria delle^cui
mirabili applicazioni vive nei simboli e nei
miti delle età più prossime a quelli.
I popoli tutti, procedenti da uno stesso
ceppo, ebbero tutti una scienza comune,
che più o meno poi si corruppe per po-
litici, religiosi e cosmici rivolgimenti. Se
un popolo solo avesse serbato intatto il
tesoro delle proprie tradizioni, noi sa-
remmo oggi posseditori della primitiva
civiltà: però ora è solo coli' unire i mo-
numenti dispersi di essa sotto la scorta
di un unico scientifico concetto, che è pos-
sibile lo scoprirvi il riflesso di quella luce
primiera. Pure è fatto assai comunemente
noto, che le teologie di pressoché tutti i
popoli della terra riconobbero la esistenza
di due principj opposti, uno organizzatore,
l'altro disorganizzatore, dal cui conflitto
emergevano le contingenze mondane. Que-
sto concetto ha poco spicco nelle mito-
logie dei Greci e dei Romanìiper risultare
esse dall'accozzamento di varii culli in-
1855. 3
18
tonni rsel un qualche principio. Nella prima
cosmogonia degli orfici, si vede perù un
Ofioneo contrastante a Crono la sua crea-
zione. Loke tra gli Scandinavi, collegato
al serpente, come Ofioneo ò in conflitto
perpetuo con Odino.
In Africa e nell'America, dove niuno
potrà affermare che potessero giungere le
dottrine di Zoroastro, era riconosciuta, e
lo e tuttora, la coesistenza e la lotta dei
due principii; prova ne fanno il Zacar e
l'Angag dei Medecassi, il Niparaia e To-
paran dei Californesi , Meulin e Uecub
degli Araucani, Calimana e Jucco degli
Orenochesi ecc. Benché l' avere presso
questi popoli il principio del male una
sede ignea e sotterranea ce lo mostri im-
medesimato col fuoco o meglio dire col
lenebrico, pure il concetto meglio spicca in
altre mitologie; tra i vecchi Slavi, per
esempio, Be'lbog e Kzernibog erano detti
il Dio bianco e il Dio nero. Gli Egiziani
avevano rappresentato in Osiride per co-
mune consenso dei mitologi la forza ani-
matrice, ed in Tifone la forza opposta:
ora al primo fu dato per simbolo il sole,
al secondo il serpente, che è difettante
di forze lucide, come quello che assorbe
una ben piccola quantità di ossigeno, e qui
ricorderò come Apollo, Ercole e Crisna
neUquali vien figurato il principio lucido
animatore dell'universo, esordiscano la
loro mitologica vita colla vittoria ottenuta
sul serpente. Questo carattere ha ancora la
lotta dei Giganti (che hanno piedi ser-
pentini e vomitano fuoco) con Giove, l'Etere
celeste , 1' Olimpo personalizzato. Non è
difficile dietro tali vedute il darsi ragione
del famoso simbolo cosmogonico dei Sa-
motraci e dei Celti consistente in un uovo
cinto da un serpe fiancheggiato da ali di
uccello; ora, siccome l'uccello è di tutti
gli animali quello che consuma più ossi-
geno, come ce lo mostra l'alta temperatura
del suo corpo, così viene per questa parte
ad essere l'antagonista del serpente.
Più agevole ancora riesce a dimostrare
come gli uomini antichissimi consideras-
sero la luce quale principio attivo della
creazione: così nelle Indie Siva, mediante
l'azion della luce, sviluppa il germe di
tutte le cose deposte dal Lingam nel grembo
di Bavani : così pure la prima manifesla-
GIORNALE DELL'INGEGNERE
zionc di Knef è una luco che si diffonde
in un' aura tenebrosa e nel cui mezzo cam-
peggia la forma del Leone, del Serpente
e dell'Uomo: così parimenti, secondo la
terza cosmogonia degli orfici, la tenebrosità
primitiva è
diradata da Egle, l'alta luce,
che scende in tre raggi, Moti, Zoe, e Fos;
cioè il pensiero, la vitalità, e la luce or-
dinaria, d'onde poi la restante creazione.
Dietro siffatte vedute, allorquando si formò
il linguaggio simbolico e geroglifico, il se-
gno della potenza con cui Dio creò e go-
vernò l' universo dovette essere il Sole ,
che è la più ampia ed apparente sorgente
di luce a noi sensibile.
Il Sole fu quindi appo tutti i popoli
espressione della virtù con cui Dio si ma-
nifesta. Tali furono Iperione ed Elio ri-
spetto ad Urano, Febo ed Ercole rispètto
a Giove, Fre rispetto a Knef, e via discor-
rendo. Talora, come nel Tien dei Chinesi,
in Giove , fatto figlio di Etere , nel Baal
dei Fenici e dei Sirii, e nel Giano degli
Etruschi, il Sole significò Dio stesso, im-
medesimando così 1' artefice col suo stru-
mento; più spesso però il sole, emblema
di luce, fu considerato in atto di meschiarsi
alla materia e di modificarla o modificarsi
in essa: onde vidersi aggiunti Cibele ed
Ati, Venere ed Adone, Astronoe ed Esmun,
Iside ed Osiride, Siva e Bavani, Bacco e
Cerere, ed altri infiniti, ne' quali il sog-
getto maschile unisce al segno solare quello
del Fallo, quasi a torre ogni dubbio che
il principio luminoso non fosse identico
al principio della vita animale.
Nel modo medesimo che il sistema ri-
gido della luce modulata dal calorico si
modifica in sette suoni e in sette colori,
il sole, che lo simboleggiava, emanava in
enti siderei componendo il sistema dei sette
pianeti.
Ogni nazione dell'antichità, dal fondo
delle Indie alle paludi meotidi , onorò i
sette pianeti, ed è singolare il vedere come
i nomi loro assegnati si possano ridurre
a pochi gruppi, il che ci manifesta come
un tal culto risalga .ai primordj delle na-
zioni. Di necessità il numero sette doveva
essere numero sacro e simbolico, signifi-
cativo della plenitudine delle forze. Da ciò
in tutte le forinole mistiche csso_ viene
riprodotto, e però sette sono i Cabiri Fé-
ARCHITETTO ED
nici, Samotraci, Egizii, satte sono le gopi
o lattaje compagne deir infanzia di Crisna,
sette sono le colombe nutrici di Giove
bambino; e lilialmente la memoria di questo
numero fu resa indelebile col (issarlo ai
periodi del tempo, tanta fu ih quelle età
la sollecitudine di rendere perpetua la co-
noscenza delle più essenziali verità fisiche.
Fra i Greci e i Romani non si trovano
che poche traccie della" settimana , ma il
numero settenario vi tiene però un alto
grado simbolico. Cosi i sette duci a Tebe,
le 14 figlie di Niobe (la Luna), le sette
notti di voluttà assegnate ad Ercole , le
sette teste dell'Idra ne sono alcuni pochi
esempi. Che poi gli antichi annettessero
al sette i concetti ottici ed acustici , si
trae da molti passi de' medesimi. Pitagora
ci insegna che i sette pianeti mandavano,
percorrendo gli spazi celesti , un suono
tanto più acuto quanto maggiore era l'or-
bita da ciascuno percorsa, quindi quanto
maggiore era la sua velocità. Saturno dava
il suono più acuto, e la Luna il più grave.
È noto che la lira terrestre modellata sulla
celeste aveva sette corde, ed incorse grave
biasimo colui che pel primo accrebbe un
tal numero, quasi che difformasse un tipo
di perfezione scientifica.
L'idea di luce settemplice emanante
dagli astri , come maritata al suono , ci
viene simboleggiata nei miti di Memnone
e di Nareda ministro di Sarasvuati, l'ar-
monia universale dei Bramaiti; e come
semplice ci è dimostrata nel mito indiano
d'Agni, il dio fuoco-luce, che avendo se-
dotte le sette mogli di Richis se le tra-
sporta ne' cieli e le trasforma nei sette
pianeti.
Quegli che in un solo simbolo avesse
voluto significare i due grandi agenti di
natura, altro non poteva fare che trasce-
gliere la fiamma, risultando essa da una
concentrazione dei medesimi. Quando gli
uomini confusero le forze coll'autorc loro,
la fiamma dovette essere divina, e cosi fu
appunto presso tutti i popoli. Cos'i il fuoco,
che arse sugli altari di Fta, di Vulcano,
di Efesto, di Sidic, di Lacmi, di Baiva,
e neh' Uisneac, fra gli Egizii, i Romani, 1
Greci, i Fenici, gl'Indiani, gl'Irlandesi e i
Lapponi, venne confuso colle divinità stesse.
Questo fuoco non solo era il principio
AGRONOMO 19
della vita cosmica, ma lo era ancora della
vita animale, un principio trasmissibile e
produttore di vita e di sanità ; e però si
è col fuoco, che Iside tenta di fare im-
mortale il figlio del re di Biblo, che Cerere
tenta il simile con Trittolemo: e d'onde
nasce Esculapio se non che dal fuoco che
consuma Coronide, la figlia di Flegia, l'uomo
del fuoco, l'amico d'Apollo, il principio
lucido per eccellenza ? Non è col fuoco ce-
leste rapito agli Dei da Prometeo, ch'esso
comunica all'uomo l'intelletto e la vita?
Non è Vulcano il fuoco universale che fa
uscir Minerva dalla testa di Giove? Questa
Minerva, adeguato greco dell'indica Sa-
rasvuati , della Freja scandinava , della
Durga dei Purana, della Neit egizia, non
è forse la volontà, l' energia, l' intelligenza
del Dio Supremo? Chi non vede che na-
scere per opera di Vulcano non è che essere
un prodotto della luce e del calorico, d'onde
il fuoco e la fiamma?
A provare come l'alta antichità repu-
tasse forze iniziali di natura il lucico e
il tenebrico , io non andrò più a lungo
accumulando esempi svariati, bastandomi
per tutto il dare un rapido sguardo sulle
credenze, i riti, e i simboli dell'Iran. L'Iran,
ossia quella regione che, posta al nord-ovest
dell'Indie, corre dal Caucaso all'Eufrate,
è, per comune consenso degli studiosi del-
l'antichità, concordi in ciò coi Libri Santi,
reputata la culla dell'umanità pos -dilu-
viana. Là fu istituita quella simbologia
siderea, che ancora s'impronta nei nostri
planisferi: là fu ordinata quella società di
dotti e di sacerdoti che sotto i varii nomi di
Bramini, di Cureti, di Coribanti, di Anaci
di Cabiri, di.Jerofanti, di Druidi, di Scal-
di, ecc., conservarono il tesoro dell'antica
civiltà, e adoperaronsi a custodirlo tra l' al-
ternarsi dei civili e cosmici rivolgimenti,
sia colla parola, sia coi segni geroglifici,
i quali perciò ci appajono identici nella
forma e nel senso presso tutte le lontane
e divise popolazioni.
Le tradizioni dell'Iran, quali ce le tra-
smise Firdusi, ci mostrano che Zoroastro,
lungi dall' istituire un culto , non fu che
un riformatore inteso piuttosto a purificare
il senso morale dei popoli che a distrug-
gere i vecchi istituti. Infatti gli oggetti da
lui proposti al culto dei Persiani son quegli
20
GIOITALE DELL'INGEGNERE
stessi che adoravano e continuarono ad
adorare i popoli lor coniìnanti, Armeni
ed Assiri. E neppure del culto del fuoco
si faceva egli autore, dandone anzi la gloria
al re favoloso Dchemchid. Le poche parti
del Zcnda Vesta che ci sono rimaste ci
insegnano che nel principio dei tempi l'es-
senza prima, Zervane Achcrene, volendo
produrre l'universo, si emanò in due al-
tri enti, Orrauzd ed Arimanc: alla com-
parsa del primo l'universo fu inondato di
luce e fu la luce il suo regno : il secondo
rispinto dalle sedi della gloria e della vita
si creò nel punto opposto dello spazio
un regno al pari di lui, tenebroso.
Di questa divisione delle due maggiori
forze in due regni, posero segni i Persi
nel loro planisfero, imperocché ad Ormuzd
consacrarono i segni zodiacali, che dal
mezzo segno d'Ariete corrono al mezzo
segno di Libra, e i restanti segni li dis-
sero segni d'Arimane; cosicché apparten-
nero al primo tutti i mesi dell'anno che
son resi lieti e fecondi dell'azione lumi-
nosa del sole, e al secondo quelli in cui
questa azione è scemata e in cui può
quindi supporsi la prevalenza di un opposto
principio. Di tale distribuzione de" segni
ci dan pure indizio alcuni miti greci e più
di tutti gli egiziani.
Ormuzd, padrone assoluto dell'universo,
nel principio dei tempi, fisso il guardo
nello Onovcr o sia nella propria porzione
intellettuale, crea dapprima i Ferveri ossia
Fuochi
Delle Rocce .
Degli Astri . ,
Del Sole . . .
Del Folgore ,
Dei Metalli .
Della Vitalità
Lor nomi
.e imagini di tutte le possibili esistenze;
questi Ferveri sono supposti avere una
forma eterea ma percettibile ; cos'i il Fer-
verò dell' istesso Ormuzd è il sole, vale a
dire la pienezza della luce. E chi consi-
deri che ogni forma ideale è dipendente
da una unione di luce e di calorico, che
concreta l'imagine e costituisce una forza,
vedrà quanto acuta e profonda fosse questa
concezione. Crea dappoi successivamente,
Ormuzd, gli enti intelligenti ed animati
dell'universo. Dopo l'Albordi o centro em-
pireo e dopo la creazione del Toro Cosmico,
esso produce gli Amcasfandi, ossia le sei
forze maggiori dell'universo. Posto a capo
dei medesimi, egli compie la Plejade dei
sette spiriti superiori d'onde ha origine
ogni vita ed ogni esistenza. Ecco i nomi
loro coi relativi attributi.
Ormuzd, principio d'ogni bene e d'ogni
virtù.
Baman. luce illuminatrice.
Ardibeesc, fuoco vitale.
Ciariver, metalli.
Sapandomat, la terra.
Cordad, le acque.
Amerdad, la virtù vegetativa.
A meglio esprimere le sette modifica-
zioni del principio attivo in altrettante
Torze secondarie, disposero i Persi una tri-
plice simbolegia d'astri, di metalli e di
fuochi, di cui il seguente specchio esprime
le corrispondenze.
Berecccing
Gucasp . .
Mir . . . .
Berzin . . .
Bcram . . -
Ncrioccng •.
Astri corrispondenti
Metalli corrispettivi
Saturno Piombo.
Venere Stagno.
Sole Oro.
Giove Rame.
Marte Lega.
Mercurio Ferro.
Luna Argento
Il settimo fuoco doveva mancare in tal
quadro, poiché, sia che in questi fuochi si
consideri il principio lucido o il tenebrino,
esso è presente in ogni modificazione, ed
è quindi implicitamente espresso in ognuna
delle sei forme che produce. E perciò che
tanto Ormuzd quanto Arimanc, rappresen-
tanti dei due grandi agenti, vennero pre-
ARCHITETTO
sentati come i creatori degli altri sei genj
nccessarj a compire il mistico settenario.
Avverto però che il quadro mitriaco
della Villa Albani ci presenta sette fuochi
fiammeggianti sopra altrettanti altari, il che
toglie la possibilità d'ogni obbiezione alle
nostre vedute.
I misteri mitriaci consacravano eziandio
il numero sette nelle classi degli iniziati
nel numero degli animali sacri, delle virtù
morali e degli stati oltramondani di. bea-
titudine.
La luna, che nei libri Zendici è detta la
depositaria dei semi del Toro, non è che
la materia invasa dal principio lucido, e
quindi appare degnamente rappresentata
dall'argento, metallo impregnato di luce e
a lei simile nelle lucide reazioni. Sotto i
sette Amcasfandi si delineano i 28 izedi
o genj di seconda classe, rappresentanti
d'altrettante for/;e, ossia d'altrettante mo-
dificazioni del principio dinamico univer-
sale. E qui ricorre subito al pensiero il
calcolo fatto da voi delle forze musicali,
in cui il numero 28 rappresenta quello
delle forze accresciute dalla luce, e però
mentre il numero 7 implica il 3 ed il 4,
ultima espressione di rapporto fra le due
forze a conflitto, cosi il 28 implica il 21 che
ò un nuovo rapporto delle forze stesse.
A cosi falle produzioni, altrettante ne
oppone il principio tenebroso: esso pure
si emana in sei genj principali e in 28 altri
secondarj: esso si crea una sede ed un
sistema di pianeti e di stelle. Più volte,
ma sempre indarno, irrompe Arimane nel
regno del suo luminoso avversario : allora
soltanto che la terra è costituita è dato
al medesimo d'introdurvisi in forma di
serpente. Dalle più cupe latebre del nostro
globo sale alla superficie il serpente ed uc-
cide il Toro, ma da esso uscirono Caio-
morti il primo uomo, e Goscorun l'anima
degli animali: il primo uomo o uomo ti-
pico, diede origine ad una prima coppia
che, dal serpente sedotta, perdette la natia
grandezza e perfezione. Se il serpente è
vero simbolo di Arimane, di Tifone e di
quanti enti mitici sono emblema del tene-
brico, è manifesto che, secondo la mitologia
zendica, la caduta pel primo uomo fu dovuta
ad una prevalenza del tenebrico sulla luce.
Non è ora il tempo di esaminare e svol-
ED AGRONOMO 21
gere il mito del Toro e l'antica sua lite
col Serpente, nò dimostrare il perchè il
primo sia simbolo della forza che produce
e il secondo della forza che distrugge, come
perciò sia l'uno collegato a tutti gli enti
solari e l'altro al fuoco e alla terra; mi
basti, quanto al secondo, l'indicare come
il serpente non significasse già la distru-
zione, ma il principio che distrugge o piut-
tosto che decompone: il Serpente perciò
è bensì il più delle volte il nemico del-
l'uomo della natura e del Toro, ma talora
nasce dal toro e lo produce, ed è attri-
buto d'Esculapio, di Serapide, di Bacco,
delle Muse, di Mercurio e di pressoché
tutte le deità dell'Egitto, certo ad espri-
mere il possesso e l'uso in esse di una
forza fìsica che possa usarsi ad utilità come
a nocumento.
I magi persiani adoravano il fuoco come
la più perfetta imagine di Colui che è ori-
gine di tutte le cose. Il fuoco, come sacro,
doveva anche da un legno sacro essere ali-
mentato, e perciò spedivansi ogni anno
nel Cherman dei sacerdoti a provedere il
legno dell'albero di Om, albero della vita,
necessario in ogni sacrificio, e di tanta
virtù, che poca parte di esso immerso nel-
l'acqua la rendea capace di dare l'immor-
talità.
Che il fuoco sacro dei Persi fosse poi
il fuoco della vita cosmica, oltre alle prove
addotte sin qui, risulta ancora da lutle le
rappresentazioni simboliche del magismo ;
cos'i il vigoreggiare della vegetazione è
espresso da un albero verdeggiante avente
ai piedi una fiaccola rovesciata, dimostrante
che deriva ogni fecondità dall'azione dei
due agenti sulla terra; una face rivolta
verso il cielo aveva un opposto significato.
Non tacerò per ultimo che tutti coloro che
in antico pretesero di dominare e vincere
con arti occulte le forze della natura, ri-
cavarono dai magi e dal magismo il nome
loro assegnato di Maghi e quello di Magia
dato alle lor pratiche; e se è vero che il
culto del fuoco avesse nella Media il suo
culto speciale, non sarebbe difficile l'in-
tendere il porcile comincino colla sillaba med
i nomi di Medea, di Medusa, di Medi-
cina ecc., nomi tutti che ricordano o pre-
suppongono la conoscenza e P uso delle
forze recondite di natura.
22
GIORNALE DELL'INGEGNERE
Dalle quali cose risulta aperto che fu-
rono note al mondo vetusto non solo le
due primarie forze in cui si effettua il la-
vorio della vita cosmica e le leggi che le
governano, ma altresì le vie e i modi di
usare di sì fatte forze ad utilità degli uomini.
Gli ultimi vestigi di tale conoscenza pe-
rirono colla idolatria e co'suoi misteri, e
quando la luce di un novello incivilimento-
comincio a diradare le tenebre degli scorsi
secoli, non si trattarono che con pietà e
disprezzo le favole e le credenze degli an-
tichi, e non si seppe dare ai loro miti
che spiegazioni strane, erronee e puerili.
Reputate sogni di fanciulli le maraviglie
di quelle età remote, gli uomini avvezza-
ronsi a sentir bassamente di loro e delle
loro forze, e a non trapassare giammai coi
voli dell'immaginazione e della speranza
gli angusti confini della vita animale.
Oggi mercè i fatti accumulati dalla scienza,
mercè il Vostro genio, che seppe raccoglierli
ed ordinarli, l'umanità è rimessa sull'an-
tico sentiero. Conoscitrice delle leggi che
muovono la materia, essa potrà dominarla,
imperocché sua è questa materia e sue
sono le forze onde è mossa. Osi adunque,
osi, e tutto le sarà possibile; e ferma nella
credenza che un'antica generazione di uo-
mini fu, mercè un simile ardire, dotta e
potente, accresca a sé nella conoscenza
del passato la fede nell'avvenire.
Fra Filippo Linàti.
Sull'esame (runa Memoria di magnetismo
animale presentata al concorso del premio
proposto dalla Società d'incoraggiamento
in Milano, per l'anno 1853
Dieci furono le Memorie presentate a
questo concorso, fra le quali veniva pre-
miata quella del doti. Edwin Lee; ebbe
però a fermarci l'attenzione il modo con
cui giudicossi la Memoria avente per epi-
grafe « Non è men vero il ver che, novo,
innova. » — « Essa è un trattato di fisica
parziale (dice il rapporto) versante special-
mente sulla luce e sul calorico, che l'autore
ritiene le basi costitutive e fondamentali
di ogni materia e di ogni forza del creato.
ldea°singolare invero 1 ma né ammessa dalla
scienza, nò dimostrala punto dall' autore,
il quale si scusa di non addurre le prove,
per gli angusti confini dell'opera. In causa
di questo difetto essenziale, tutto lo scritto
si volge sopra una base istabile, e quasi
dir potrebbesi nessuna base; imperocché
un' ipotesi gratuita non sostenuta nemmeno
da forte probabilità , non può essere ac-
cettata come fondamento, o come punto di
partenza di una teoria ».
All'annunciarsi di tale Memoria, la cui
base è una fisica versante sulla luce e sul
calorico, siccome costituenti ogni forza del
creato, qualunque de' nostri lettori avrebbe
sicuramente desiderato che la Commissione
giudicante, anziché chiamare una tal fisica
ipotesi gratuita non sostenuta nemmeno da
argomenti di forte probabilità, ci avesse in-
dicata la relazione esistente fra esso trat-
talo di fisica parziale e quello del Mozzoni,
pubblicato nel 1850, che nessuno, e tanto
meno la Società d' incoraggiamento, poteva
in vcrun modo ignorare. Ma che dirà que-
sto nostro medesimo lettore udendo che
la Memoria in quistione fondavasi preci-
samente sulla sintesi Mozzoniana , come
venivaci comunicato , ancor pendente il
giudizio, da un membro della Commissione
medesima ? Che dirà, ripetiamo, di quella
subdola esclamazione: « idea singolare in-
vero »; esclamazione che deve farci forte-
mente dubitare se l'autore siasi realmente
iscusato di non addurre le prove per gli angitsti
confini dell'opera, non potendo egli certo
dubitare che la Società non avesse il testo
nei proprj scaffali? Ammettiamo ch'essa
non è ancora la fisica delle scuole (benché
non pochi professori già la raccomandino
ai proprj scolari); ma, non nata nò a Parigi,
nò a Londra, né a Berlino, bensì in questa
Milano, i cui giornali in vario modo l'an-
nunciarono, perchè volerla di nuovo di-
mostrata dall'autore della Memoria? E forse
giustificazione il premettere cha questa idea
singolare non è ammessa dalla scienza"! Se
per non ammessa s'intende non universal-
mente conosciuta, anziché subdolamente
disconoscerla così, non sarebbe stato obbligo
d'una Società d'incoraggiamento il farla sog-
getto di esame ed il giudicarla, perchè fosse
universalizzata se vera, o tantosto soppressa
se erronea ed assurda? Chi, di grazia, 1 ha
combattuta, chi l'ha trovata gratuita, chi
solo osò porre in dubbio la razionalità dei
ARCHITETTO
suoi grandi enunciali, comechè stravol-
genti ciò che ora ti misi per scienza, ma
che in fondo non è che un saper relativo
alle cognizioni del giorno, il cui nesso ò
confusione, eterogeneità, complicatissimo
problema? Gli era forse statuilo nel pro-
gramma che pei giudizj si starebbe a questa
scienza del giorno, come farebbesi a codice
civile o penale, anziché a sintesi coordinante
le cognizioni sparse della scienza medesima?
Chi non iscorge in questo conlegno della
Commissione giudicante un'idea singolare
òmero, che non sapremmo giustificare se
non coli1 asserire che anch'essa Commis-
sione non trovò né il tempo, né la voglia,
né l' interesse di leggere, o di occuparsi di
proposito come era suo debito, d'onde stimò
meglio fingersi ignorante che non entrare
in merito sopra le grandi verità sintetiche
enunciate? (*) Eppure dopo avere dichia-
rata questa mancanza di dimostrazione nella
Memoria un difello essenziale, soggiunge che
tutto lo scritto si volge sopra una base insta-
bile ! Or come può dirsi instabile una base
non esplorata, ignota, e di cui si pretende
la dimostrazione? L' instabilità non e piut-
tosto il carattere essenziale della scienza
in genere, onde democratiche vengono dette
dal Verulamio ? E questa medesima insta-
bilità conosciuta non doveva consigliare la
Commissione a penetrar meglio neh' e-
nunciato sintetico, eh' è poi tutt'altro che
un'idea singolare, non da pochi già pre-
conizzato, ed in ogni tempo sentito? Se
domandassimo ad uomo idiota che ritenga
pel movente universale della natura , ci
risponderebbe: « il sole » (che la scienza
del giorno chiama massa incandescente,
(l) Fata meraviglia il seulire come la Società
d' incoraggiamento non siasi ancora degnala rispon-
dere ad una lettera scrittale dal Mozzoni il 3 mag-
gio 1854, colla quale offrivasi ad esperimenti di-
mostranti come colla vibrazione si ottenessero i
colori a guisa dei suoni, mediante il qual fatto (già
interessante per se stesso) vedrebbersi confermate
le principali verità sintetiche dell'opera da lui
pubblicata sulla luce ed il calorico. L'apparecchio,
con cui si proponeva così interessanti esperimenti,
è la camera sintetica or ora descritta in questo
giornale, ed il cui fenomeno applicalo- al caleido-
scopio formava la speciale attenzione dei visitanti
l'Esposizione d'industria ch'ebbe luogo giorni sono
in questa Milano. Anche per questa lettera adunque
la Società d' incoraggiamento non poteva ignorare
l'opera sintetica del Mozzoni.
ED AGRONOMO 23
perciò luce e calorica), come mai un'idea
cosi facile, cos'i universale e quasi innata
fece tanto stupore ad una dotta Commis-
sione giudicante? Ma la sintesi Mozzoniana
è ormai una necessaria verità generale (4), e
poco ci duole, sia o no ammessa dalla So-
cietà d'incoraggiamento; ci duole che forse
vada impubblicata la Memoria il cui au-
tore, anziché arrossire della scienza vera,
la prese per base, locchè dà indizio di acume
(i) Ecco come si esprime il chiarissimo doti. Fi-
lippini-Fanloni, direttore dello Spedale maggiore di
Cremona, in quella Gazzella provinciale (20 giu-
gno 1855, N. 25):
« Frutto di dieci anni di assidui sludj, di accu-
rate comparazioni, di osservazioni pazienti, di squi-
siti e diretti esperimenti ella è la sintesi fisica
che Giuseppe Mozzoni nel 1850 pubblicava armo-
nica e facile nel suo libro intitolalo La luce ed
il calorico esclusivi agenti della natura. 11 la-
voro del nostro strenuo Autore vedeva la luce in-
compreso da tanti, misconosciuto da lanli altri,
compreso da pochi, e, doloroso a dirsi! avversato
e deriso da molli. Eppure quel libro consta di prin-
cipi e «li proposizioni risplendenti per precisione
ed evidenza : espone conclusioni, nelle quali risalta
irrefragabile il vincolo legittimo che ai principj le
congiunge : insomma quel libro è una dottrina
vera, ne in lui sono que' vaporosi fantasimi che si
sollevano in allo a seconda degli effetti instabili
della moda, od i quali altro pregio non hanno tranne
quello della parola, o della scorza, di cui veggonsi
estrinsecamente informati. Che anzi il libro del Moz-
zoni, appunto perchè dettalo coll'aurea semplicità,
di cui ordinariamente, anzi sempre s'ammanta il
nilido vero, incontrava la noncuranza ed anche lo
scherno derisore dei pseudo-filosofi, che altri lavori
apprezzare non sanno tranne quelli che sopraffanno
la mente , che nessun lume diffondono , che non
attingono la convinzione d'alcune Se non che la
importanza del libro e della sintesi lei Mozzoni era,
come dissi, conosciuta e preconizzala dai pochi, i
quali vi seppero ravvisare un asserto, od una tesi
avente l'appoggio dei fatti , od altrimenti vi scor-
sero una necessaria verità generale, il cui merito
eminente gli è quello di armonizzare e conciliare nella
fisica e nella medicina — che è fisica in modo super-
lativo — la scienza delle scuole antiche coi principj
e colla scienza delle scuole moderne. Il quale me-
rito si rende oggimai evidentissimo da uno dei più
utili corollari induttivi che il Mozzoni giunse a
ritrarre dalla sua fatica ; intendo dire dal recentis-
simo Opuscolo o Memoria Che sicno il choléra e
le febbri tifoidee, dal quale emana l'esilarante si-
curezza esservi alla fin fine una scienza ed un'arte
per curare questi insidiosissimi morbi : e per assi-
curare la umanità languente sotto i colpi di essi,
qualmente l'arte e la scienza, se furono talvolta
inceppale nei loro benevoli e benefìci conati dall'urlo
e dalla dissonanza degli strani sistemi, possedevano
e posseggono dei cardini e delle risorse a coppella
di ragione ».
GIORNALE DELL'INGEGNERE
c di lealtà, che piccolo è lo spirilo che ar-
rossisce della verità! Lode al Presidente
della Commissione giudicante che seppe
eccitare la Società d'incoraggiamento a
dare compimento al concorso che lunga-
mente giacque in forse, pentita di avere
proposto un problema di magnetismo ani-
male ; contrattempo che chiaro appare dal-
l'introduzione del rapporto, il quale consola
la Società di non aver avuta la mortifica-
zione che pur incoglie talvolta i corpi scien-
tifici in simili occasioni, di attendere invano
chi risponda agli offerti programmi. E con
esso Presidente lode agli altri ingegni ro-
busti e ben intenzionali che tentano soste-
nere l' impulso che si sono prefissi i bene-
meriti istitutori dell' incoraggiante Società;
ma che ponno i pochi contro i più che
non vogliono? Essi devono accontentarsi
che il fuoco animatore non si estingua.
X.
VII.
Lettera alt autore. Relazione fra il diamante,
la grafite, il carbone, i carburi, ecc.; e
sulla probabilità di ottenere il diamante
artificiale.
Sicuramente al nostro invilo ai dotti
(pagina 528) noi andiamo debitori d'uno
scritto direttoci dal signor P. M. S., nel
quale sono passati a rassegna i nostri ar-
ticoli sintetici colla compiacenza di chi si
convince d'una verità lungamente deside-
rala; ma chiamando in ultimo la nostra
attenzione sulla memoria del prof. Luigi
Magrini letta il 9 novembre (1854) all'I.
R. Istituto Lombardo, ci obbietta come mai
il diamante, corpo lucido per eccellenza,
si ritenga essere puro carbonio, corpo per
eccellenza tenebroso, e nel primo de' no-
stri articoli fatto da noi derivare precisa-
mente dalle tenebre, il calorico de' nostri
primi padri. Se l'obbiettantc avesse letto
il nostro testo, non ci avrebbe chiesti schia-
rimenti in proposito; tuttavia essendo in
certo modo una rifusione del testo me-
desimo, che andiamo qui operando, gliene
sappiamo buon grado come di quesito no-
vello e che non può a meno di interes-
sare la pluralità de' nostri lettori. Per il
che noi non faremo che tradurre nel Im-
pilaggio sintetico i passi più importanti della
memoria del prof. Magrini, perchè veggansi
in un sol punto di vista i due studj di-
versi, l'analitico ed il sintetico, si che il
criterio possa giudicarne e la verità con-
cretarsi.
Sugli effetti dell'arco voltiano nell'olio di
trementina, ceco il titolo della memoria Ma-
grini (Giornale dell'I. R. Istituto ecc., pa-
gina 264). » Esistono corpi composti (egli
dice) che non cedono al potere scompo-
nente della pila voltiana, qualunque ne sia
la forza, se venga adoperata nel modo or-
dinario. Siffatti corpi sono cattivi condut-
tori della elettricità. De la Rive e Faraday
provarono anzi con rigorosi esperimenti
che la conducibilità e l'elettrolisi dipen-
dono assolutamente l'uno dall'altro: per
cui avviene che i buoni conduttori sono
sempre scomposti agevolmente, mentre i
cattivi conduttori resistono alla separazione
dei loro elementi, e viceversa ».
Questa premessa del sig. Magrini ri-
porta un fatto importante, cioè {"elettrolisi
(la proprietà di sciogliersi in elettricità)
dipendere immediatamente dalla conduci-
bilità. Or che dice la fisica sintetica in
proposito? « I corpi si possono distinguere
in due serie, quali aventi molecole in cui
la materia inerte prevalga sul materiale
dinamico, e quali non aventi di materia
inerte che una semplice velatura a fronte
del materiale dinamico che tengono in com-
binazione, per cui il loro tessuto presenta
una vera elettricità consolidata. — L'elet-
tricità cerca ridurre le proprie forze con
quelle di questi ultimi corpi (i quali sembra
perciò che la scarichino) e diconsi condut-
tori, ed è indifferente pei primi, per cui
fanno l'ufficio di isolatori (art. II, pagi-
na 385) ». Queste brevi parole ci insegnano
non poter essere conduttore che un corpo
proveniente da una elettricità consolidata,
e la conducibilità di esso non essere altro
che l'attitudine alla riduzione delle proprie
forze solide colle forze fluide assalitici, il
che equivale alla scomposizione delle prime
per fatto delle seconde. Ora, siccome la
riduzione delle forze dinamiche e minima
e difficoltosa ove il corpo cimentato consti
di molecole in cui la materia inerte prevalga
sul materiale dinamico, è chiaro che, se non
è impossibile lo scomporre siffatti corpi,
è però non agevole per l'ostacolo che in
ARCHITETTO ED
ogni punto il materiale non dinamico frap-
pone air incontro dei rispettivi materiali
dinamici, cioè delle forze tisse in essi corpi
colle forze assalitaci. Né ciò è tutto. Per
materiale dinamico noi qui intendiamo una
combinazione elettrica, cioè uno dei rap-
porti con cui la luce ed il calorico pos-
sono unirsi a molecola elettrica, mediante
una semplice velatura di materiale etero-
geneo che impedisca loro di repellersi, per
non essersi compiuto il contatto; ma al di-
fuori di tali rapporti, cioè ove abbiasi ec-
cesso di luce sul calorico od eccesso di
questo su di quella, la riduzione indicata
delle forze non è possibile, perchè dalla spro-
porzione degli elementi non può ottenersi
un insieme proporzionato o senza residui.
Ne consegue pertanto che non solo un corpo
estremamente lucido, come il diamante, la
porcellana, il vetro, ecc., ma che anche un
corpo estremamente calido sia un cattivo
conduttore, e perciò non agevole a scom-
porsi, come lo sono le essenze leggiere da
noi classificate fra le sostanze calide per
essere in genere una proprietà del calo-
rico quella di far leggieri i corpi. Il si-
gnor Magrini accenna infatti che « i liquidi
più resistenti all'azione della pila sono
gli olj grassi, gli olj essenziali, l'etere,
certi cloruri, ecc. Se non che (prosegue)
il signor Melly fece vedere fino dal 1841
che anche i succitati corpi possono essere
facilmente scomposti dalla pila, qualora
invece d'impiegarla nel modo ordinario,
cioè col circuito aperto entro la loro massa,
si chiuda il circuito mettendo a contatto
gli elettrodi metallici, e poi lo si apra se-
parando gli elettrodi medesimi, per chiu-
derlo di nuovo e riaprirlo in guisa di far
scattare con rapide alternative continuate
scintille . ... ad ogni scarica, ad ogni
interruzione del circuito voltiano i liquidi
anche più cattivi conduttori si scompongono,
e si vedono comparire piccole bolle gasose
che salgono attraverso la massa e si rom-
pono alla sua superficie ». In base a questi
fenomeni il signor Magrini volle cimentare
gli elettrodi di carbone d'una pda di 64
coppie alla Bunsen, nell'olio di trementina,
specialmente allo scopo di vedere se im-
pedirebbe esso il trasporto della materia
attenuata e il logoramento delle punte dei
carboni. Quei fenomeni si ripeterono; se
Voi III. LUgUo
AGROiNOMO 25
non che l'arco luminoso durò pochi istanti,
ed osservali » gli elettrodi per trasparenza
mi sono assicuralo, egli dice, che essi erano
ridotti a conlatto per deposito di materia
solida. In allora facendo forza colla vite
micrometrica staccai gli elettrodi, l'arco
luminoso si riprodusse e con esso l' elet-
trolisi. Dopo pochi minuti, i due fenomeni
della luce e dell'elettrolisi scomparvero per
altre concrezioni formatesi e ricomparvero
col distacco dei carboni. — Frattanto l'olio,
limpidissimo al principio dell'esperimento,
s' intorbidò in seguito, colorandosi legger-
mente in giallo negli strati sovrastanti agli
elettrodi; inferiormente conservò la sua
limpidezza. Continuata l'azione della pila
per oltre un'ora, il liquido prese una tinta
cosi scura da lasciare appena appena visi-
bile la scintillazione. — Terminalo l'espe-
rimento, il liquido tenuto tranquillo rese
prima uniforme la sua tinta per tutta la
massa, e poi depose sul fondo del reci-
piènte una polvere nera estremamente fina,
avente l'aspetto della polvere di carbone.
L'olio però non ha potuto mai più riacqui-
stare la primitiva sua trasparenza, e restò
anzi molto oscurato. — Esaminati i coni
di carbone che servirono da elettrodi, trovai
che rimasero intatti, non rinvenendosi in
essi traccia alcuna né di combustione (come
era ben naturale per la mancanza dell'ossi-
geno), né di logoramento per trasporto di
materia. — Per l'opposto, sovra ambedue
le punte, cioè tanto sull'elettrodo positivo
che sul negativo, si formarono concrezioni
affatto identiche, in guisa di far credere
che la scomposizione dell'olio non succe-
desse colle condizioni della polarità, cioè
che gli elementi non si separassero ridu-
cendosi eslcusivamente l'uno al polo posi-
tivo, l'altro al negativo; ed è questo un
fatto veramente singolare! » Riguardo ai
caratteri di questa concrezione ottenuta in
questo primo esperimento, fra i quali no-
tiamo il color giallastro, rimandiamo il let-
tore alla memoria di questo fisico distinto,
il quale trovandola in rapporto colla gra-
fite si credette in diritto di considerarla
come un consolidamento del carbonio (co-
stituente coli' idrogeno l'acqua ragia), e
perciò come un primo passo verso la pos-
sibilità di ottenere un corpo più duro
che intacchi il vetro o, più precisamente,
1855. ì
GIORNALE DELL'INGEGNERE
il diamante, sapendosi che, trattato il dia-
mante ad elevatissima temperatura, prima
di fondersi si converte in grafite. Se non
che, pensando egli « che il diamante e tutti
i corpi cristallizzati che ci offre la natura
sono effetti finali di azioni minime costan-
temente esercitate forse per molti secoli »
e che può essere « concesso all'espcrimen-
tatore di aspirare ad una più o meno fe-
lice imitazione tutte le volte gli riesce di
avvicinarsi un poco alle condizioni che
sembrano essersi adempiute nelle produ-
zioni naturali », prese ad assoggettar Folio ,
di trementina all'azione di una corrente
mollo più debole e continuata in modo di
eccitare e mantenere possibilmente costanti
esse azioni minime, si che il consolidamento
Rescisse più regolare e perciò più com-
patto, più duro e possibilmente una cri-
stallizzazione. A tale effetto egli congiunse
gli elettrodi coi poli di una pila di sole
otto coppie alla Bunsen, più ritenne uno
solo degli elettrodi di carbone, formando
l'altro con una piccola spirale di platino.
Egli ottenne con questo mezzo sulla punta
del carbone concrezioni egualmente gial-
lastre ma più grandi e più numerose, in-
contrandovi, ben distinto, qualche corpu-
scolo bianco molto levigalo, trasparente e
che rifrange potentemente la luce.
« Ora questi solidi giallastri (domanda
egli) sarebbero ancora concrezioni di puro
carbonio in islalo nascente, sarebbero per
avventura l'effetto di quella speciale ag-
gregazione di atomi, che determina la cri-
stallizzazione; sarebbero nuovi corpi, nuove
combinazioni, nuovi editìcj chimici di carbo-
nio ed idrogeno, oppure concrezioni resinose,
tuttavia singolari, perchè formate in seno ad
un liquido caldissimo, che ha il potere di
sciogliere le resine anche a freddo? » Egli
termina per ultimo la sua memoria inte-
ressante citando le parole invero sconfor-
tanti del dottor cav. Ascanio Sobrero in
punto al produrre artificialmente il dia-
mante, ma soggiungendo però ad esse, che,
se la cristallizzazione del carbonio non
venne finora tentata che per mem delle
varie specie di carbone, i carburi d' idro-
geno, per quanto egli sappia, non furono
ancora con tale intento esplorati mediante
Parco voltiano, e perciò aversi aperto, a
parer suo, un nuovo campo di ricerche
interessantissime. Fin qui noi abbiamo espo-
sta la quistionc del diamante col linguaggio
dell'analisi; ora la scorreremo colle viste
della sintesi, la quale non riconosce che
quattro elementi assoluti, la luce ed il ca-
lorico, siccome materiali dinamici, e l'acqua
e la calce (prese in senso assoluto), sic-
come materiali non dinamici, cioè per sé
stessi inerti e materiali veicoli dei due
esclusivi agenti suddetti.
Ricordiamo che quanto colpisce i nostri
sensi è necessariamente materiale, e che
perciò materiali noi chiamiamo cos'i la luce
come il calorico. Ricordiamo* che i metalli
sono appunto consolidamenti ottenuti dalla
natura legando in proporzioni diverse que-
sti due grandi agenti: per cui essi sono
i migliori conduttori, e nella loro rapida
decomposizione scioglionsi in luce e calo-
rico, oltre ad un leggiero deposito etero-
geneo che costituisce una velatura inter-
mediaria, senza della quale i due agenti
si sarebbero repulsi anziché unirsi a mo-
lecola. Queste premesse vengono dunque
ad avvertirci che quando un corpo qual-
sivoglia sia sforzato a scomporsi per fatto
d'uno dei medesimi agenti, riducendo con
esso le proprie forze, è pur assurdo il pre-
tendere ch'egli abbia solo cambiato di forma
e resti nell'intrinseco quello che era. Pro-
prietà della luce sono l'astringibilità, 1 in-
flessibilità, la rigidità, l'incompressdnhta,
la chiarezza, la luminosità, la diafanità, la
cavità: or queste proprietà si riscontrano
nel diamante, per cui nessuno vorrà con-
trastarci essere desso un corpo lucido per
eccellenza, anzi pressoché tutta luce con-
solidatasi nel principio dei tempi per co-
smiche combinazioni che non possono ri-
petersi; e diciamo pressoché tutta luce,
perchè cssendovene di color giallo, bleu,
verde, bruno, rosa, né tutti essendo di
egual lucidezza i bianchi; è d'uopo con-
venire che il suo aggregato non e senza
atomi tenebrici, cioè non senza calorico
forse già causa immediata dell aggregato
medesimo, perchè, quantunque sia 1 astrin-
oibililà una proprietà della luce, s intende
da sé ch'essa l'esercita sul materiale non
proprio. Ora supponiamo adunque che un
diamante consti di 10 parti di luce ed 1
di calorico (disprezzando qualunque altra
velatura eterogenea che la chimica non ha
ARCHITETTO
ancora apprezzato); essendo la gravità pro-
prietà esclusiva della luce, noi ammettiamo
che, trattato quel diamante con una tem-
peratura saturante, quelle 10 parti di luce
possano sciogliersi e combinarsi, ad esem-
pio, con 100 parti di calorico, e il corpo
risultante otTrire perciò il medesimo peso
del diamante; ma se il calorico è un effet-
tivo materiale, con quale logica diremo
noi il nuovo corpo costituitosi essere nel-
T intrinseco il diamante di prima? Quali
proprietà essenziali ha desso conservate e
riportate in questo nuovo stadio preteso?
Precisamente nessuna, e nemmeno la gravità,
tanto diversi sono i relativi pesi specifici:
anzi il nuovo corpo è precisamente una
combinazione di materiali diametralmente
opposta a quella del diamante, poiché ove
in questo abbiam supposto trovarsi la luce
ed il calorico nella ragione di 10 : 1, in
quello si troverebbero come 10 : 100, cioè
come 1 : 10. Se pertanto nell'ultimo stadio
di divisione otteniamo dal diamante il car-
bonio, mediante la combinazione de' suoi
atomi con una quantità disponibile di ca-
lorico (che è per sé stesso senza peso), la
tisica sintetica non potrà però mai ammet-
tere che il carbonio abbia a che fare più
che tanto col diamante, perchè noi non
avremmo ottenuto che uno dei corpi più
facili ad aversi dal calorico combinandolo
colla luce che costituiva il diamante; locchè
proverebbe meglio il nostro assunto, essere
il diamante un puro aggregato di luce ed,
in certo modo, più semplice del carbonio
medesimo se per costituir questo con quello
abbisognò un nuovo concorso di calorico.
Questa maniera razionale di vedere non
esclude, per vero, la possibilità che, eli-
minato nuovamente il calorico, debba nel
residuo trovarsi ciò che costituiva il dia-
mante; ciò è razionale, ma non tutti i
possibili sono probabili. Tutti i corpi
duri, inflessibili, rigidi contengono più
o meno luce in dose preponderante su
gli altri materiali primi della natura in
modo da costituire una famiglia: 1' abile
esperimentatore saprà in ogni cimento
concretarci alcuno di questi corpi duri;
ma come asserire che Parte possa superare
la natura ottenendo in modo diretto e pre-
ciso ciò ch'essa medesima ottenne con tanta
parsimonia e difficoltà trattandosi di ob-
ED AGRONOMO
2/
bl'igare alla coesione un numero quasi esclu-
sivo di atomi simili che dovrebbero da soli
infallantemente repellersi ? Ma qui gli anali-
tici ci opporranno che ciascun atomo ha poli
dissimili, e che per tale dissimiglianza essi
possono aggregarsi. Questa è pure l'opinione
ripetuta dal signor Magrini nella Memoria
in quistione; ma la fisica sintetica, men-
tre accorda in genere questa proprietà alle
molecole, la nega agli atomi dinamici. Se
la polarizzazione dipende da elettricità di-
verse, e se le due elettricità dislinguonsi
per aver l'una in eccesso la luce, e l'altra
in eccesso il calorico, quale sarà la pola-
rizzazione degli atomi puramente lucidi o
degli atomi puramente calidi ? Non entriamo
qui in una ripetizione di principj preten-
dendo elettricismo compiuto in uno degli
elementi medesimi dell'elettricismo? Più,
un atomo primo qualunque è necessaria-
mente un solido sferico; ora chi non sa
aver Coulomb dimostrato aver poli magne-
tici i soli corpi oblunghi, e non mai i corpi
isterici, sottintesa l'omogeneità dei tessuti?
Ciò posto, un diamante, quanto più è chiaro
e brillante, constando d'atomi dinamici,
fu un'operazione altrettanto più difficile per
la natura medesima, ed è questo il mo-
tivo per cui è altrettanto raro a trovarsi,
e prezioso sopra i neri ed i colorati. Con
quale coraggio ne tenteremo noi dunque
la fabbricazione pensando che, ove pur ne
ottenessimo di colorati, avremmo ben altre
difficoltà per ottenerlo chiaro e brillante?
Ad ogni modo vediamo intanto come colla
fisica sintetica si spieghino le concre-
zioni dure ottenute dal professor Magrini
sulla punta del carbone.
Noi non abbiamo che a svolgere i me-
desimi principj enunciati e ripeterne le
deduzioni. Noi abbiamo abbastanza pro-
vato che il diamante ed il carbonio , e
perciò anche il carbone, sono corpi dia-
metralmente opposti nell'intrinseco, quindi
dissimili a tutto rigore di termini. Se
questo è, dev'essere dunque razionale,
che , sotto un'azione chimica che chiama
a conflitto i quattro elementi assoluti, la
presenza del carbone, che è un vero ag-
gregato di calorico, chiami a sé per in-
duzione aggregati di luce; ossia dei corpi
duri, fra i quali non neghiamo anche la
possibilità di qualche scheggia di diamante.
28
GIORNALE DELL INGEGNERE
Questo fallo mode Mino, cioè le concrezioni
formatesi sulla punta del carbone (e non
su quella del platino), è anzi un argomento
eloquente per sé stesso a dimostrare il
diamante esseri tutt'altro che carbonio, e
distare l'uno dall'altro precisamente come
dista la luce dalle tenebre (il calorico), cioè
come due corpi fra loro rigorosamente sup-
plementari. La spiegazione di queste concre-
zioni bassi dunque dai medesimi principj
animanti la fisica sintetica, per cui non è
punto ad istupirsi che nel primo degli espe-
rimenti enunciati il sig. Magrini abbia sco-
perta una eguale concrezione sopra am-
bedue gli elettrodi di carbone in onta alla
legge invariabile della polarità. Il signor
Magrini trovò anzi queste concrezioni aventi
molta analogia colla grafite, locchè gli sem-
brerebbe un buon innanzi alla soluzione
del nuovo problema ch'egli si propor-
rebbe dietro questi inopinati risultamenti.
Ma quanto non dista ancora la gratile dal
diamante? Gli è vero che il diamante prima
di sciogliersi in carbonio si metamorfizza
nella grafite; ma a questo punto noi ab-
biamo già annientale cos'i le proprietà ca-
ratteristiche del diamante, che non si sa-
prebbe più come riprodurle. In questa
metamorfosi il corpo ha evidentemente per-
duto tanti atomi lucidi quanti atomi tene-
brici Thanno già compenetrato, verificandosi
la terza delle nostre leggi, ne' corpi iso-
lali i due agenti dominare in ragione inversa
l'uno dell'altro (pag. 625). Occorrerebbe
pertanto tale operazione che fugasse per
intiero gli atomi calidi col rientramento
di altrettanti lucidi; operazione forse solo
possibile allora in cui, impadronitasi la sin-
tesi degli elaboratoj, ci avrà fatti i padroni
del dinamismo elementare. Ad ogni modo
crediamo congratularci col prof. Magrini
che, se v'ha modo ad ottenere (fosse anche
una sol volta in moltissime) qualche prova
felice di diamante, egli avrebbe scoperta
nell'impiego del carbone per elettrodo un
modo immediato di ottenerne la concrezione.
Ma da questi medesimi risultamenti non
s'induca aver noi solidificato il carbonio,
che neppur esiste, a rigore, nel medesimo
olio di trementina, poiché ci accorderà
ognuno che P annerimento di esso ed il
nero deposito trovatovi dopo l'esperimento
è pur un chiaro indizio che il tenebrico lo
ha invaso, cioè quel calorico che si svi-
luppò dallo sciogliersi dello zinco costi
tuente il piliere, e che perciò tanto l'idro-
geno come il carbonio che sviluppasi da
siffatti corpi trattati sotlo l'effetto dell'arco
voltiano, «non sono altro che nuovi corpi
formatisi sulle rovine di essi coll'aggiunta
o di calorico o di luce. Noi potremmo dire
altrettanto sulla natura d'altri corpi natu-
rali od artificiali, rispetto ai quali ritiensi
erroneamente per earbonio ciò che è una
pura combinazione di luce con uno degli
altri materiali primi, e che perciò vengono
erroneamente classificati per carburi; ma
per chi ci tenne dietro in questi rudi-
menti di scienza razionale sarà agevole
l'intendere più di quello possiam dire,
perchè sempre, e facilmente, hassi il vero
dal vero. Se non che essendo il calorico
un nuovo materiale che viene a far parte
di nuove combinazioni ove s'impieghi a
decomporre, i nostri lettori saranno presti
a domandarci che ne diremo delle 55 so-
stanze con tanta cura ordinate e procla-
mate per elementari dalla chimica moderna,
se un corpo trattato ad alta temperatura
può metamorfosarsi in un altro il cui di-
namismo non è più in alcuna relazione con
quello che lo costituiva? Noi l'abbiamo
già detto altrove, che molti di questi corpi
così detti elementari furono fabbricati e si
vanno tuttodì fabbricando nei laboratori;
corpi perciò che non servono a nulla perchè
la natura non gli ha compresi come ele-
menti necessarj al metamorfismo della vita
cosmica in ispeciale, o viceversa. Miserabile
la scienza pertanto che crede costituirsi
sopra nozioni così dubbie ed arbitrarie, se
pur scienza può dirsi un sapere così re-
lativo ed indeciso, così circoscritto ed in-
sciente dei proprj mezzi che pur possiede
potentissimi per ogni ramo di progresso
ove venissero una volta capitanati dal cri-
terio e dalla ragione! Sposiamo il presente
col passato, cioè sposiamo fra loro i veri di
tutti i tempi, e si genererà un avvenire fe-
condo di progresso e di felicità: ecco quanto
ripetiamo e non lasceremo mai di ripetere.
Le cose dette in questo articolo ci ob-
bligano a far conoscere il modo con cui
la fisica sintetica ordina i corpi in ragione
al proprio dinamismo; noi lo faremo nei
numeri successivi. G. M.
ARCHITETTO ED AGRONOMO
-2(1
ALESSANDRO SID0L1
Una povera bara, sorretta da quattro
artisti, usciva il pomeriggio del 25 del
cadente luglio dalla chiesa di San Marco
della nostra città per avviarsi al Cam-
posanto di PortA Comasina ed ivi deporre
un cadavere.
Seguivano quella bara i migliori de'
nostri artisti: pittori e scultori, ingegneri
ed architetti, professori del corpo Acca-
demico di Brera , uomini di lettere ,
amici e parenti, in numero ben oltre
il mille, mesti e tacitamente oranti, come
è costume degli uomini veramente pie-
tosi (')•
Tanto onore di pianto e di voti, era per
un illustre artista = Alessandro Sidoli
= architetto, professore aggiunto alla
cattedra di prospettiva presso l'I. R. Acca-
demia di Belle Arti della nostra città,
morto alla Casa di Salute di S. Angelo,
alle ore undici della notte 21 di questo
mese, in seguito ad una infiammazione
cerebrale, appalesatasi tosto mortale.
Noi non ritesseremo la vita di questo
illustre architetto che tanto desiderio di
sé lasciò addietro nell'arte e negli arti-
sti, cui fu sempre generoso di consiglio
e d'opera; perocché le parole delle alla
tomba di lui dal pittore Salvator Mazza e
dall' avvocato Pier Ambrogio Curii =
rappresentanti il dolore dell'arti e delle
lettere = compendiano quanto del Sidoli
si potrebbe per noi memorare, e che
perciò crediamo far opera gradita, ri-
portando.
La emozione divenne per queste due
commemorazioni, se pur si poteva, mag-
giore, e produsse utili frutti a vantaggio
della desolata famiglia; e noi vogliam
ciò notare a giusta ed a dovuta lode
di questo spirito di corpo dagli artisti
nostri manifestato.
La Redazione.
C1' ì'ii orant tacite.
AD
ALESSANDRO SIDOLI
NECROLOGIE
LETTE SULLA SALMA IL 23 LUGLIO 4855.
Convenuti nell'ora della sventura in
questo sacro ricinto, mentre da voi si
rendono gli ultimi tributi dell'amicizia,
della stima e del compianto all'esanime
spoglia di chi pur ora era lanlo in vita,
discare non vi siano queste parole di
una luttuosa commemorazione, poche
pur troppo e fiacche per l'alto ingegno
cui vengono destinate, ma quali l'am-
mirazione le inspira, quali il core le
detta.
Una troppo severa fatalità, nel vol-
gere di breve spazio di tempo, ne ra-
piva tre de' nostri più cari, togliendoli
alle più belle speranze dell'arte, all'o-
nore e al vanto della nostra patria! In-
perscrutabile e grande è la volontà del
Signore ; ma quando l'immatura messe
vien dalla morte troncala, quando dei
lunghi anni di studio e di aride fatiche
toccavasi il frutto, e giungeva forse il
tempo delle ricompense, vedere a un
tratto ogni illusione svanita, abbattuta
quella niente che di così grandiosi pen-
sieri era capace, inerte quella mano che,
cara all'arte, segnava già il suo nome
fra quelli cui l'obblio non tocca... ne è
pur forza chinare a terra la fronte umi-
liata chiusi nell'abbattimento e nel dolore.
Alessandro Sidoli, nato in Cremona
il 30 Luglio del 1812, appena ebbe
aperto l'intelletto al sentimento del bello,
sentiva la vocazione dell'Arte che sopra
ogni altra cosa lo trascinava; perciò l'ar-
dore dello studio, i sagrificj e le notti
vegliate non erano per lui uno sforzo,
bensì quasi una necessità onde aggiun
gere la difficile meta che lo stesso in-
fantile animo suo erasi proposta.
Trasferitosi a Milano, attendeva, se
possibile era, con alacrità anche mag-
giore, ad approfondirsi negli studj del-
30 GIORINALE DE
l'arte ornamentale, della Prospettiva e
dell'Architettura. Conoscere quanto nel
lungo giro dei secoli ebbe crealo il ge-
nio dell' uomo; dalle rovine delle pri-
sche città, agli splendidi avanzi della
Grecia e di Roma, dall'epoca aurea di
Michelangelo e Bramante ai monumenti
della passata generazione, e farsi ricco
dell'altrui senno, ella è questa già ardua
intrapresa, per molli somma delle spe-
ranze; ma, invece, prendere il già fallo
per punto di partenza onde aspirare a
nuove vedute, onde conseguire nuovi
ritrovati, è talento dei pochi, è dote
soltanto di alcuni esseri privilegiali dalla
natura.
Ora , chi oserà tacciare di arrischiata
o spinta ammirazione la nostra, se an-
noverar possiamo fra questi l' insigne
defunto che ancora ne sta presente ?
La sua adolescenza prometteva già
quanto avrebbe in gioventù conseguito.
A diciassett' anni appena, otteneva il
premio negli ordini architettonici, ed a
diciotto quello della Prospettiva. D'allora
in poi le scuole della nostra Accademia lo
viddero sempre il distinto fra i distinti
ed ogni concorso meritar gli doveva
l'ambita corona.
Nel 1834 instituitosi un nuovo pre-
mio dal benemerito nostro concittadino
Girotti, ed essendone soggetlo il disegno
scenografico di un mausoleo, il Sidoli
deslava la meraviglia di chi osservava
il suo concorso; e, tanta ne era l'ardi-
tezza del pensiero , 1' esuberanza della
fantasia, che, giudicato allora meritevole
del premio, rinnovava nel seguente anno
sullo slesso tema un'altra scena forse
più ancora immaginosa della prima.
Coronalo così nel 1855, lo veniva pure
nel 1856 pel grande concorso di Ar-
chitettura; e qui egli ne si presenta in
tutta la sua capacità e fecondità di con-
cetto, giacché in soggetto quasi identico
a quei due primi egli seppe ognora di-
stinguersi talmente da sempre riportar
la palma sui suoi competitori.
Cosi nel 1859 nel grande municipale
programma di un Camposanto per que-
ll'iisgegneke
sta Capitale, sopra i 25 dei concorrenti
il suo progetto veniva dalla nostra Acca-
demia giudicato e confermalo il migliore.
Ma, poiché al candido animo suo pareva
quasi sopruso il riportare nuovi trionfi so-
pra novelli studiosi, non più alla sua ma
all'altrui fama coadiuvava, illuminando
ed assistendo gli altri che si arrischiavano
alla difficile intrapresa. Credo inutile l'ag-
giungere come questi fossero sempre i
prescelti nel giudizio pel premio.
Né tanto bastava all'altezza ed alla fe-
racità della sua mente. Immaginando
edificj e monumenti ai quali la critica
la più severa altro non trovava fuorché
l'impossibilità d'una dovizia capace a tra-
durre le sue idee in fatti, egli obbediva
allo slancio di quella potenza artistica che
collocar lo doveva in così eminente posto
nella storia dell'arte moderna; ma, scen-
dendo pure ai particolari , ai dettagli
delle sue inspirazioni, seppe nella parte
decorativa aprirsi tale una via, che pre-
scindendo dalle rigide e meschine linee,
caratteristiche del principiar di questo
secolo, e richiamando la ricchezza, senza
le aberrazioni del secolo XVII, si affa-
ceva talmente al buon gusto ed alla ele-
ganza da segnare un' era affatto opposta
alla precedente. Perciò lo stucco orna-
mentale diventò grandioso, slanciato e
acquistò quella importanza che, dietro
suoi disegni, troviamo in alcune magni-
ficile sale di patrizj palazzi della nostra
città. (*) Perciò l'arte dell'intaglio in le-
gno, abbandonata la primitiva grettezza,
si prestò di modo al lusso civile da chia-
marla con tutta la sicurezza rinata ai
giorni nostri. Perciò, dai più importanti
ed appariscenti, venendo agli clementi
sussidiarj della interna decorazione, egli
somministrò in tanta abbondanza mo-
delli ed argomenti di perfezione alle arti
minori, da rendere la nostra metropoli
iniziatrice di un gusto libero, elegante
e affatto nuovo alle altre.
Ma il genio dell'innovatore pur troppo
(*) Citeremo fra Io altre quelle del durale palazzo
Visconti,
ARCHITETTO ED AGRONOMO
31
non arriva nò toslo, né facilmente alla
sua mela.
Dei triboli, delle privazioni e delle
ambagi sofferte da obi vuol ergersi d'in
su la l'olla , il mondo non fa caso; gli
amici soltanto e i compagni d'arte dal-
l' impallidir delle guaneie e dal solcarsi
della fronte comprendono il cruccio se-
greto di chi al sublime scopo aspira;
da essi soltanto egli può aspettarsi rin-
cuoramenlo e conforto, giacebè il mondo
non guarda ebe al risultalo , se pure
sempre lo fa. E (piando appare l'esito fe-
lice delle lunghe meditazioni, dalle astra-
zioni dell' immaginare la creazione si
concreta, ottiene egli forse allora il ge-
nio ricompensa e riposo?
Ahimè, pur troppo confessar ci biso-
gna come, sia incuria, sia fatalità, non
di rado nel nostro paese la fortuna deride
gli sforzi degli spirili eletti; non di rado
matrigna li abbandona, e, se non alla
dimenticanza, alla sventura li affida ed
alla miseria!
Allora, l'ignoranza che non comprende,
l'invidia clic tarpa le ali, il bisogno clic
lacera sono le sue ricompense; allora
alla inlima fiducia succede l'abbattimento,
alla gioventù l'anticipata vecebiaja.
Dopo quello splendido esordio nella
sua artistica carriera ognuno avrebbe as-
sai bene augurato della sua fama e del
suo benessere futuro; ma invece, dirlo ci
è forza sulla sua tomba, egli non raccolse
quasi sempre nella breve sua vita fuor-
ché amarezze e bene spesso umiliazioni.
Se nelle contrade della nostra città,
ove pure egli crebbe e sviluppò il raro
suo ingegno, giriamo lo sguardo, fatta
appena qualche eccezione, non troviamo
edilìcj cui la pubblica o la privata mu-
nificenza affidato gli avesse ad erigere;
neppure quel Camposanto, ambizione
della sua giovinezza, che eternare po-
teva la sua gloria, e dove tranquillo al-
meno egli avrebbe potuto dormir l'ul-
timo sonno, neppure quel monumento
sorge a ricordarlo ai posteri , se la pietà
degli amici qui ora non gli porrà una
pietra. Privo di mezzi e stretto dalle
urgenti circostanze, se togliamo qualche
mausoleo di poca imporlanza, egli scen-
dere doveva dal sublime dell'architettura
onde prestarsi ai minuti accessorj del-
l'arte ornamentale e del lusso privato.
Non pertanto scemavansi in lui la vi-
goria e la fecondità del pensiero, come
lo attestano infinite serie de' più sva-
riati disegni onde ancora abbonda il de-
relitto suo studio. Ma, se non per se, af-
farsi doveva a quelle pochezze, mal-
grate certamente alla sua vocazione, per
le crescenti strettezze della sventurata e
numerosa sua famiglia.
Anche il paterno amore, del quale egli
era tenerissimo, fatalmente tornar gli do-
veva in amarezza. Otto figli, che stali
sarebbero la gioja della sua vita, se la
sorte fallo gli avesse una prospera ed
agiata esistenza, erano invece una fitta
all'ottimo e troppo sensibile suo cuore;
né il confidar nell'avvenire giovava, poi-
ché ogni giorno clic svaniva strappar gli
doveva un'illusione.
Eppure, dopo una così lunga aspet-
tativa, pareva alfine clic meno torbida
sull'orizzonte per lui apparisse la luce.
Nominato da qualche anno a socio d'arte
di questa 1. R. Accademia, vi otteneva
nel 1852 la nomina di aggiunto prov-
visorio alla scuola di architettura, ese-
guiva la casa Comunale a Broni di Vo-
ghera, e per commissione della stessa
città ora stava costruendo alla Spa-
della un grandioso e magnifico Mer-
cato . . .
Chi potrebbe spiegare di quanto con-
forto fosse all'afflitta anima sua questo
ritorno alle perdute speranze? Chi spie-
gar potrebbe il senso dei lunghi baci
onde ora consolava i suoi figli?
Ma troppo fragile é l'umana argilla;
troppo sul suo capo erasi gravata la
mano della sventura, perché una novella
fiducia nel futuro cancellar potesse l'in-
terno strazio che quella gli aveva arre-
calo; l'ardore istesso che lo animava a
soverchio lavoro spossar lo doveva e
consumarlo, come la fiamma consuma
il cereo ond'é alimentata.
32 MORDALE DEI
Ritornando appunto ila queir ùltimo
e importante lavoro alle braccia della sna
famiglia si doleva di una forte emicra-
nia accompagnata da spasimi allo sto-
maco; se non che le amorevoli cure
della moglie e de' tìgli, e qualche giorno
di tranquilla permanenza in Milano, pa-
reva gli promettessero la pristina salute.
Infelice! avveniva l'opposto, e il passalo
Venerdì, giorno susseguente al suo ri-
torno, il male andava d'ora in ora au-
mentando così, che alla notte, preso da
violento delirio, minacciava lunga e grave
la malattia.
Privi di mezzi, impedita la consorte
dalle cure reclamate dai teneri pargo-
letti, all'indomani fu pure necessità il
trasportarlo ad un privato ospitale....
Da poche ore lo sventurato vi giaceva,
quando la subita infiammazione cere-
brale , che oltremodo in quel breve
tempo travagliato lo aveva, pervenuta
ad una sincope fatale, appena gli lasciò
ravvisare la moglie e due dc'suoi figli nel
cui desolalo amplesso, bagnato dalle loro
lagrime, esalava lo spirito alle 11 ore
della sera.
Ma se inesorabile la morte lo toglie
all'amore ed all'appoggio della sua fami-
glia, alle delizie dell'amicizia, alla rico-
noscenza degli allievi, all'ammirazione di
tulli, non può sicuramente però to-
glierlo alla gloria dell'Arte e al vanto
della sua patria!
Se non che, per quelli che ebbero
la ventura di conoscerlo, incancellabile
in essi rimarrà pur la memoria delle
rare doti dell'animo suo, avendo natura
per una delle sue parche eccezioni tutti
a lui prodigati i suoi doni.
Traluceva dai tranquilli e regolari tratti
del suo sembiante, e specialmente dalla
serena e pur viva pupilla il sommo
talento ch'egli spandeva in quanto an-
che un istante appena soffermava il
pensiero e l'abilissima mano posava. La
linea dolce delle sue labbra ne spiegava
a tutta prima la bontà del cuore e l'af-
fabilità del carati ere, siccome la larga
fronte dinotava la grandezza della mente.
l'ungeonere
la schiettezza del pensiero, la sincerità
della parola. La carità era per lui così
forte impulso, che ad onta del segreto
rimprovero continuamente mossogli dalle
tristi circostanze, mai non poteva la-
sciare che vuota da lui si ritraesse la
mano che l'altrui bisogno gli sporgeva.
Vivissima inspirava la simpatia in chi
appena lo conosceva, siccome inalte-
rabile e vera l'amicizia in chi meritata
l'aveva.
Ahimè, piena ancora la mente di
alti concetti e di vita, noi pure testé
scontrato lo abbiamo, che già l'ultima
sciagura ne ha chiamati a rendergli il
tributo del funebre addio! E qui, dove
tanti ottennero il sospirato riposo, qui,
dove per tanti fu la morte corona al-
l'età cadente, per l'illustre nostro de-
funto è invece l'esiglio forzato, è l'im-
maturo destino che lo strappa al con-
forto della miserrima famiglia!
Addio pertanto anima cara e che tanto
era degna d'una sorte migliore! Riposa
nella requie eterna l'agitato e creatore
tuo spirito, e se al di là della tomba mai
giungere ti possono i nostri voli, prega
perchè coli' assenza tua non resti una
mancanza fatale all'Arte, una lacuna
nelle glorie della tua patria; siccome
fervide preghiere noi alzeremo a Dio ,
perchè misericordioso rivolga lo sguardo
a lei che li fu compagna nella vita, e ai
diserti figli il cui pianlo disperato fu la
suprema delle tue angoscici
Salvator Mazza.
Fra domestiche inquietudini e dolori
che non hanno nome, a me una voce
annunziava jeri:
— L'architetto Sidoli è morto! —
A voi, o signori, che meco traeste al
pietoso officio d'accompagnarne la salina
all'ultima dimora, tornerà agevole il com-
prendere quanto acerba suonasse l'infau-
sta nuova; e come soffocando ogni altro
srido dell'anima angosciata, la occupasse
interamente.
- L'architetto Sidoli è morto!
ARCHITETTO E
Questo parole che d'un tratto annu-
volavano l'intero avvenire della giovane
donna che gli era moglie e di otto fi-
gliuoli, che amareggiavano parenti ed
amici e quanti appena il conoscevano,
perocché lutti sapesse il Sidoli colla
dolcezza del carattere e de' modi, e colla
grande modestia prontamente cattivarsi;
queste parole erano 1' annunzio d' una
grande sventura per l'arte italiana.
Quanto egli fosse benemerito di essa
è dato raccogliere dai cenni della sua
vita, che è prezzo dell'opera eh' io qui
sotto brevità vi rammenti-
Cremona, la patria di molti splendidi
ingegni, dava i natali ad Alessandro Si-
doli correndo l'anno 1812. Il padre di
lui, se versava in umile condizione, non
aveva umili però gli intendimenti, e, in-
travedute appena l'attitudine e la per-
spicacia d'ingegno del figlio, divisò av-
viarlo pel cammino d'un' arie liberale.
Luigi Voghera, l'illustre uomo che aveva
in Roma strappato ai superstiti monu-
menti il segreto della sapienza degli
antichi architettori, lo veniva nella sua
città rivelando sotto la forma de' pre-
cetti e degli esempj; perocché dal 1819
professasse architettura nel patrio liceo,
e venisse la provincia cremonese ar-
ricchendo delle sue opere preziose; e
Sidoli, fatto accorto del meglio, mandò
l'Alessandro suo alla scuola di lui. Là
vi apprese le prime nozioni di disegno,
e là più che tutto si informò a quel-
l'amore ed a quel gusto per le archi-
tettoniche discipline, che dovevano poi
recare sì abbondevoli frutti. Quindi pas-
sava alla scuola ornamentale del valen-
tissimo Moglia; finché nel 1827 a com-
piervi regolarmente l'educazione trasfe-
rivasi a Milano, ed in questa Accademia
di Brera incumbeva agli studj d'archi-
tettura, ne' quali ebbe a maestro l'Amati.
Quali progressi facesse, ed a qual
riuscita accennasse, meglio d'ogni altra
cosa l'attestano i premj riportati. Ebbe
nel 1830 la medaglia d'argento negli
elementi d'architettura: una eguale egli
ottenne nel successivo anno alla scuola I
Voi. 111. Lucilio
d agro;\omo 33
di prospettiva; nel 1835 riportò col di-
segno d'un grandioso mausoleo il pre-
mio Girotti, e nell'anno dopo quello
del gran concorso d'architettura.
Coronati così felicemente gli studj,
venne tosto chiarendosi per così franco
ed esperto nell'arte, da collocarsi d'un
tratto infra i migliori, e gliene venne
opportuna l'occasione nel concorso che
indisse il Municipio Milanese per la
presentazione d' un progetto del gran-
dioso Camposanto cui intendeva dare
opera, a soddisfare il pubblico bisogno
e desiderio, ed a far pago il lamento
che tanto generosamente aveva armo-
nizzalo quella disdegnosa anima di Fo-
scolo ne' suoi celebrati Sepolcri.
Gli elaborati vennero prodotli, ed uno
specialmente chiamò l'attenzione e la
maraviglia di tutti. Imprudente una mano,
però seguendo la naturale curiosità del-
l'animo che ne porta a conoscere l'au-
tore d'opera famosa , lacerò innanzi
tempo i suggelli della scheda, e rivelò
il nome.
Era quello di Alessandro Sìdoli.
Non son questi, o signori, il tempo
ed il luogo di mettere a nudo le ragioni
per le quali il giovane architetto venisse
frodalo allora del promesso e meri-
tato guiderdone; i grandi uomini e le
grandi cose subirono mai sempre vicis-
situdini contrarie: il progetto del Sidoli
venne posto in disparte; ma il pudore
consigliò altresì a non valersi pure degli
altri.
Ma la ventura non ha condannato per
Dio! a perpetua dimenticanza quest'opera,
nella quale tanta sollecitudine ed amore
egli aveva localo. La Redazione del Gior-
nale dell! Ingegnere-archilelio provvida-
mente allogava al Sidoli quest' anno di
ripigliar quel lavoro e praticarvi intorno
quanto la maturità del senno e l'espe-
rienza maggiore acquistala gli avrebbero
consigliato, e la morte appunto il co-
glieva quando gli ultimi tocchi egli dava
all' opera , che tra breve, per le cure
della Redazione suddetta comparirà alla
luce.
-1855. 5
SI
GIORNALE DELL' INGEGNERE
La milanese Accademia di Bello Arti
lo riceveva nel 1847 suo socio, e nel 1852
lo nominava aggiunto alla cattedra di pro-
spettiva, e queir onore e questa fiducia
erano per universale suffragio da lui ben
meritali.
S'io dovessi a tal punto parlarvi di
tutte le egregie opere del Sidoli, e dar
rilievo con adequale parole a quel va-
lore con cui sono esse condotte, io da-
rei troppo in lunghezze, e la solennità
del momento in cui abbiamo sott' occhio
il feretro di lui, che lagrime più che pa-
role addomanda, me ne disdirebbe l'op-
portunità : ma chi volesse conoscere quan-
tunque egli potesse in arte vegga solo
nella nostra città quante meraviglie
creasse nelle tre grandi sale del palazzo
Visconti di Modrone, in quelle del Mar-
chese Crivelli e dell'Avvocato Traversi,
nella casa Confalonieri, e altrove la Casa
Comunale di Broni; il Mercato di Spa-
della tuttavia in costruzione ; la villa de'
fratelli De Vecchi in Tarta valle, e via via
per non dir di tutte.
Ricercato sovente da uomini della sua
professione, eseguì sempre per essi così
dottamente e coscenzioso da procacciar
loro lode e fama imperitura, ed io pur
ebbi una volta il destro d'ammirar fra'
suoi schizzi architettonici cose fatte per
altri di sorprendente bellezza e valore.
Con tutto ciò, o Signori, Alessandro
Sidoli non lascia morendo che un nome
onorato e la eredità dell'affetto: e noi
partendo da questa fossa, ove ne depo-
niamo la spoglia e gli mormoriamo una
preghiera ed un vale, vi lasciamo a pian-
gere inconsolabili una povera moglie
ed otto orfani figli, che, riguardando al
domani, pensano, ahimè ! che non avran-
no pane.
Vengano i nostri detrattori stranieri
a cercare fra noi quegli ingegni a' quali
essi invidiosi contrastarono il merito e
la lode, oh vengano a cercarli una volta!
Essi allora vedrebbero come fallacemente
credessero di ritrovarli fra gli agi della
vita e le letizie del mondo ; vedrebbero
quanta opera ingenerosa fosse la loro
d'invidiare un merito il qual non frutta
che sterile rinomanza; vedrebbero che
alla tomba d'un grande artista non pian-
gono che artisti — dolore cioè di fa-
miglia — ; che il monumento che a lui
si leva è la desolazione della sua casa,
cui sta sopra l'insolenza dell'inesorabile
creditore; che finalmente in Italia Genio
significa Sventura.
P. A. ClJRTI.
RIVISTA DI OPERE E GIORNALI
ITALIANI E STRANIERI.
Il canale di S«cz.
La comunicazione del mar Mediterraneo
col mar Rosso, questione che ebbe origine
nella più remota antichità, che fu tanto stu-
diata e discussa da tre mila anni, e che,
salvo una sola eccezione, fu compiutamente
obliata dopo dieci secoli, viene in questo
momento di bel nuovo agitata. Al primo
sguardo gli è difficile lo spiegare l'oblio in
cui essa è caduta a misura che si accresceva
l'importanza dei risultati da ottenersi e la
potenza dei mezzi di esecuzione di cui pos-
sono disporre le nazioni moderne. In qual
modo questo gran problema, la cui soluzione
venne ricercata con tanta perseveranza dai
Faraoni, dai re di Persia, dai Tolomei, dai
Cesari, dai Califfi, ha poi cessato di occu-
ARQHITETTO
pare il mondo? Sesostri (Ramsete li), Da-
rio, Tolomeo Filadelfo, Traiano, Adriano,
Omar, ed in questi ultimi tempi Napoleone,
questi potenti sovrani, questi uomini sommi
hanno dunque proseguito in un'impresa inu-
tile o chimerica? In qual modo dopo tanti
lavori e tanti sforzi la barriera fru i due
mari esiste tuttavia? Ed in che consistono
i tentativi fatti dopo llamsete il grande per
ottenerla? Quali sono stati i risultati? Quali
sono le difficoltà che hanno paralizzati i
successi o distrutte le traccie? Quali osta-
coli hanno impedito di rinnovarli nei tempi
moderni? Ciò è quanto si propone di esa-
minare nella prima parte di questo lavoro
colla possibile brevità compatibilmente colla
complicazione della questione e la mollipli-
cità dei fatti. Nella seconda parte si espor-
ranno, dietro i recenti studj i dati reali del
problema da risolversi e le diverse soluzioni
di cui è suscettibile; si calcoleranno le dif-
ficoltà inerenti a ciascuna soluzione e si
prenderà in disamina l' importanza delle
objezioni che presenta il progetto di un gran
canale marittimo.
I. Descrizione dell'Istmo.
11 basso Egitto è sì noto, che una descri-
zione dettagliata qui sarebbe superflua; ci
limiteremo adunque a rammentare le dispo-
sizioni principali dei luoghi che hanno re-
lazione al problema di cui ci occupiamo.
L'immensa pianura in cai termina la val-
lata inferiore del Nilo forma, come ognuno
sa, un triangolo, la cui sommità è al Cairo,
e del quale la costa marittima d'Alessan-
dria a Pelusio serve di base. Egli è proba-
bile che in un'epoca molto anteriore ai tempi
storici questo vasto spazio non fosse che
uiv' immensa e profonda baja, la quale se-
condo tutte le apparenze comunicasse col
mar Rosso mediante uno stretto o bosforo
aperto fra le pendici estreme delle due ca-
tene di monti che fiancheggiano le spiaggie
di questo mare. Di questo stretto in cui l'i-
neguaglianza delle maree dei due mari che
serviva dì comunicazione doveva presentare
delle correnti assai pronunciate prima d'es-
EO AGROAOMO 35
sere intercettate, non rimarrebbe ora alcuna
traccia tranne il vasto e profondo bacino dei
laghi amari, che occupa per la lunghezza
di 40 chilometri la parte centrale dell'istmo
di Suez. Al sud, questo bacino è separato
dal mar Rosso da un istmo di circa 15 chi-
lometri di larghezza e la cui altezza non
eccede punto quella delle alte maree; al
nord essa è limitata da una lingua di terra
molto più stretta (5 o 6 chilometri soltanto)
e più alta di 4 o 5 metri. Al di là si osserva
un'altra depressione ( il lago Timsah ) che
comunica col Delta mediante una valle stret-
ta chiamata dagli Arabi Uady-Tumilat. Il
suolo attuale di questa valle è soltanto di 2
o 3 metri al disopra dell'altezza del mare;
la sua direzione è dall'oriente all'occidente,
e la sua larghezza è di circa 40 chilometri;
essa sbocca nella valle del Nilo non lungi
dall'antico ramo pelusiaco, ed all'altezza ove
si trova sopra questo ramo la città di Ru-
baste, punto di partenza del primo canale
che era stato aperto per far comunicare il
Nilo col mar Rosso. Il lago Timsah e l'Ua-
dy-Tumilat sono separati dal lago Menzaleh
mediante un ramo stretto che si stacca dalla
catena arabica; il colle più basso di questo
ramo, posto di contro al lago Timsah, s'in-
nalza di circa 15 metri al di sopra del mare.
Superato che si abbia questo colle, si trova
sulle sponde del lago Ballali, che concorre
nel lago Menzaleh, vale a dire al livello del
Mediterraneo, dal quale è separato mediante
la pianura altre volte ricca e popolata, ed
ora interamente deserta, della Pelusa.
Da questa breve descrizione risulta che per
mettere in comunicazione il mar Rosso col
bacino del Nilo, basta di tagliare i due bassi
promontori situati l'uno presso di Suez al
sud del bacino dei laghi amari; l'altro in
vicinanza delle ruine alle quali si attribuisce
generalmente il nome di Serapeum al nord
dello stesso bacino, mentre che per mettere
il mar Rosso in comunicazione diretta non
col Nilo, ma col Mediterraneo sarebbe ne-
cessario di tagliare inoltre il colle di El-
Ferdan che separa il lago Timsah dal lago
Menzaleh , la cui altezza è di 15 metri. A
fronte di ostacoli sì lievi i tentativi fatti nella
30 GIÒENAfcE OBLI
più remola antichità per aprire questa co-
municazione non hanno nulla di sorpren-
dente ed è d'uopo convenire che l'abban-
dono ove è rimasta da oltre dodici secoli è
una triste testimonianza dell'incuria e del-
l'impotenza dei conquistatori moderni del-
l'Egitto.
IL Natura e formazione dell'Istmo.
La natura del suolo di Suez e l'epoca
della sua formazione hanno dato luogo a
molte supposizioni e discussioni. Veduta la
poca altezza di questo suolo, il bacino dei
laghi amari deve essere considerato come
una dipendenza del mar Rosso, dal quale
si sarebbe separato mediante l'interposizione
di questa lingua di terra. Quando e come
avrà avuto luogo questa interposizione?
Ed è su ciò che le diverse opinioni diver-
gono. Secondo Danulle e dietro lui molti
altri, sarebbe una conseguenza dei depositi
successivi ed in un'epoca relativamente mo-
derna. L'Itinerario d'Antonino e la versione
dei Settanta collocano una città di Ero nella
valle di Gessen (l'Uady-Tumilal) fra Thu
e Serapeum,ciò che corrisponderebbe presso
a poco all'ubicazione attuale delle ruine chia-
mate Abu-Key Cheyd; l'estremo nord del
mar Rosso porta il nome del golfo Eroo-
politano: dunque la città di Eroopoli che
ha dato il suo nome è l' Ero dell' Itine-
rario e dei Settanta; dunque essa è rap-
presentata dalle ruine di Abu-Reychey ;
dunque il mar Rosso si estendeva allora fino
a Serapeum, estremo nord del bacino dei
laghi amari, dunque questo bacino è stato
separato posteriormente dal mar Rosso me-
diante l'accumulamento dei deposili e delle
sabbie. Ecco l'argomentazione dei partitanti
di questa ipotesi.
Ai tempi di Danville il terreno e l'istmo
era poco o nulla conosciuto; moke obiezioni
radicali si elevano in giornata contro que-
sto sistema. In primo luogo il suolo di Suez
non è formato né di sabbia né di alluvioni
moderne , esso è una formazione terziaria
analoga ai terreni a gipso che si incontrano
''INGEGNERE
in diversi punti del bacino del Mediterraneo,
e per conseguenza anteriore all'esistenza
dell'uomo sulla terra. É in causa dell'emer-
sione di questo suolo che venne operata la
separazione del bacino dei laghi: questa
emersione, probabilmente contemporanea a
quella dei suoli di Serapeum e di El-Ferdan,
ha senza dubbio preceduto di molto i tempi
istorici, ed è d'uopo per spiegare l'ipotesi
di Danville riferirsi ad un'epoca recente sia
il sollevamento dell'istmo, sia l'abbassa-
mento del mar Rosso. Fatti di cui certamen-
te si dovrebbero trovare le traccie. Queste
considerazioni geologiche bastano per ab-
bandonare l'ipotesi di Danville; ma gli argo-
menti di un'altra specie non mancano punto.
Ci limiteremo ad indicare i principali.
Secondo Erodoto percorrendo il canale
tra l'incile sul Nilo presso Bubaste ed il
suo sbocco nel mare Eritreo abbisognavano
quattro giorni di navigazione. Questa di-
stanza sarebbe stata appena di due giornate
se l'estremo nord del bacino dei laghi fosse
slata la spiaggia del mar Rosso.
La città di Eroopoli situata ad Abu-
Reycheyd sarebbe stata tuttavia alla distanza
di 28 chilometri dalla pretesa spiaggia del
mar Rosso in una valle del tutto indipen-
dente, e per vero dire nella vallata del Nilo
e non già nel golfo Eroopolitano.
Nel sistema di Danville è d'uopo necessaria-
mente situare al lago Timsah i laghi amari,
di che gli autori fanno sì spesso menzione;
ora come mai il lago Timsah, che in tutti
i tempi è stato investito dalle acque del Nilo,
ed il cui fondo è coltivato in parità di tutta
la valle che lo circonda, ha potuto conte-
nere delle acque che sono rimarchevoli per
la loro amarezza? In qual modo si è ve-
rificato il cambiamento così straordinario
di ritirarsi il mar Rosso da Serapeum a
Suez, avvenimento che avrebbe inoltrato le
coste di questo mare più di 50 chilometri,
il quale sarebbe accaduto in un'epoca rela-
tivamente moderna, senza che se ne sia fatta
parola da alcun autore antico? poiché non
vi è via di mezzo: è duopo di ammettere
che il ritiro del mare abbia avuto effetto
dopo Slrabone , ovvero che lo stalo delle
ARCHITETTO
cose si trovasse quale noi lo vediamo dopa
i tempi di Erodoto.
I due soli dati sui quali appoggia il si-
stema di Danville sono da una parte l'Iti-
nerario d'Antonino, documento la cui au-
tenticità ed esaltezza sarebbero contestati.,
il quale fa menzione di una certa città di
Ero situata sulla strada da Thu a Sera-
peum a XXIV MP (ventiquattro mila passi)
da Thu (Abbàseh) ed a XVIII MP (diciotto
mila passi) da Serapium, e dall'altra parte
dalla versione dei Settanta, la quale dice
che Giuseppe venne ad incontrare Giacobbe
Ad Heroum civilalem in terra Ramesse.
II primo punto nulla prova che la città
di Hero dell'Itinerario sia Eroopoli del gol-
fo: in qual modo in fatti tale itinerario
avrebbe indicato questa città in un' epoca
in cui non esisteva più, ed ove era stata
sostituita dopo molto tempo da Arsinoe o
Cleopatri, e che anch'essa era stata abban-
donata per essere surrogata da Clisma, città
che figura nell'Itinerario? In quanto al se-
condo punto, la traduzione non parla in
alcun modo della città di Heroum, né della
terra di Ramesse; essa dice soltanto: Misti
autem Judam ante se ad Joseph ut nun-
liaret ei et occurreret in Gessen. San Gi-
rolamo al primo fatto rimarca che il testo
ebreo dell'antico Testamento non parla né
di Heroum né di Ramesse. In Hebrwo nec
urbem habet Heroum nec terram Ramesse,
sed tantummodo Gessai.
Le basi sulle quali è stato formato que-
sto sistema sono adunque altresì poco so-
lide quanto gli argomenti contrari sono per-
suadenti. Si potrebbero tuttavia aumentare
le prove, ma ommettiamo di prolungare la
discussione , dacché in giornata venne ab-
bandonata. ISulla prova che Abu-Reycheyd
sia Eroopoli; e qualunque sia stata la si-
tuazione di questa città, l'esistenza del suolo
di Suez nell'antichità la più remota non
potrà mettersi in dubbio.
" Ci sembrò necessario di trattore con qual-
che estensione tale questione sulla cui so-
luzione appoggia essenzialmente la geogra-
fia antica dell'istmo, l'intelligenza dei ten-
tativi di canalizzazione fatti nell'antichità
ED AGRONOMO 37
e la spiegazione dei fatti istorici i più im-
portanti. Alla situazione di Eroopoli si at-
tacca infatti quella di Avari, l'antica capitale
dei popoli pastori, quei misteriosi e pri-
mitivi conquistatori dell'Egitto, di Patumo,
di Erodoto, di Pi-Thoum e dì Pi-Hairoth ,
della Bibbia, d'Arsinoe, di Cleopatri, di Cli-
sma, ecc. Fra gli avvenimenti di primo or-
dine, all'intelligenza dei quali la determina-
zione dei confini del mar Rosso occupa un
posto importante , citeremo la fuga degli
Ebrei condotti da Mosè. Se infatti il mar
Rosso si estendeva sino a Serapeum , sa-
rebbe pel nord del bacino dei laghi amari
che Mosè ha dovuto condurre gli Ebrei; se
al contrario lo stato dei luoghi non ha cam-
biato dopo quest'epoca (1491 prima di Gesù
Cristo), everso l'estremità della baja attuale,
di Suez che il legislatore degli Ebrei avrà
raggiunto la plaga, ove accadde il disastro
dell'armata egiziana. La città di Pi-Hairoth,
presso la quale il Faraone raggiungeva gli
Ebrei , sarebbe stata collocata nel primo
caso presso Serapeum e nel secondo presso
Suez, ciò che è assai diverso.
III. Formazione del Della. "
Si considera adunque come dimostrato
che lo stato attuale delle cose rimonta a
tempi assai lontani, e secondo tulle le ap-
parenze all'ultimo cataclisma che ha subito
il nostro globo. Uopo questa rivoluzione una
trasformazione lenta si è operata nella baja
triangolare ove il Nilo scaricava allora le
sue acque. L'enorme quantità dei depositi
che questo fiume tradusse, colmò dapprima
il vertice del triangolo e di seguito tutta
intera la baja. Dall'origine, secondo la legge
che domina negli sbocchi di tutti i grandi
fiumi, le acque si dividono in due rami che
prendono la direzione dei lati del triangolo
e fra i quali si trova compreso il Delta.
All'epoca in cui Erodoto visitò V Egitto
(460 anni avanti Gesù Cristo) i due rami
principali del Nilo erano il Canopico, che
si dirigeva al nord-ovest seguendo il de-
serto libico, e che sboccava nel mare presso
, | Canopo (Abukir) mediante un ramo late-
38
GIORNALE DELL'INGEGNERE
rale presso Bolbiliini (Rosetta); ed il Pelu-
siaco,il quale seguendo l'altro lato del trian-
golo si dirigeva al nord-ovest passando
presso Sila (Salieh) e sboccava nei laghi al
sud di Pelusio e metteva in mare mediante
urna bocca situata in vicinanza di quésta
■città. Quattro altri rami, tutti derivati dal
ramo Canopico, portavano le acque del fiume
al inai'<> traversando il Delta.
La porzione orientale del Delta meglio
difesa (dalla corrente del fiume si è innal-
zata più rapidamente, ed il ramo Pelusiaco
dovette scomparire pel primo. La testa del
Delta, dapprima assai vicina al vertice del
triangolo, si è successivamente abbassata
sino al punto in cui essa si trova in gior-
nata, ed ove si separano i due rami prin-
cipali del Nilo, l'uno, il più orientale, sbocca
nel mare presso Damietta, l'altro in vici-
nanza di Rosetta. In conseguenza della stessa
legge che ha prodotto l'interrimento del ramo
Pelusiaco, legge che è tuttavia favorita dal-
l'effetto della corrente litorale, il ramo di
Damietta va od andrebbe almeno impove-
rendosi a vantaggio di quello di Rosetta. I
lavori che il governo Egiziano ha intrapreso
sul progetto e per cura di Mougel avranno
per risultato di dipartire col mezzo di una
chiusa stabile alla testa del Delta le acque
fra i due rami proporzionalmente ai biso-
gni di ciascuno.
Molte porzioni di vecchi canali del Nilo
esistono tuttavia, e servono concordemente
coi canali eseguiti nei tempi moderni a di-
stribuire le acque sul Delta. Ciò nondimeno
l'estremità del ramo canopico partendo dal-
l'imboccatura sulla Rosetta si è guastato;
i rami di Damietta e di Rosetta in giornata
sono i soli che scaricano le acque al mare;
gli altri rami del Nilo si gettano nei due
grandi laghi Menzaleh e Rurlos, che attual-
mente, come ai tempi di Erodoto, occupano
l'uno a levante, l'altro a ponente la mag-
gior parte delle rive del Delta. Le antiche
bocche colle quali questi laghi comunica-
vano col mare esistono ancora in giornata
nello slesso numero, se non che esse pro-
babilmente si sono avanzate nel mare in
un colle sponde del Delta.
Il rialzo successivo del terreno a levante
del golfo specialmente nell'Uady-Tumilat,
e nelle vicinanze di Pelusio e la rovina del
ramo Pelusiaco causarono il restringimento
della superficie coltivabile, e fecero avan-
zare di altrettanto il confine del deserto.
Come pure la vallata dell' Uady-Tumilat
e le bassure nelle quali essa si apre, l'im-
mensa pianura di Pelusio e tutta la sponda
a levante del lago Menzaleh, questi terri-
tori in giornata deserti senza abitazioni ,
erano altre volte assai popolati e floridi,
come lo dimostrano le molte rovine che ad
ogni tratto si incontrano.
In seguito alle ricerche di Girard e di
Rozieres (*) l'innalzamento secolare del ter-
reno del basso Egitto e del letto del Nilo
può calcolarsi di circa 12 centimetri all'al-
tezza del Cairo o di Memfi, e per un medio
per tutto il Delta di 6 centimetri. In base a
questi dati Elia Reaumont ha calcolate le
cifre di elevazione dalle sponde del Medi-
terraneo a 43 o 14 millimetri per secolo. In
quanto all'avanzamento secolare del Delta
nel mare, esso varia assaissimo secondo le
località. Sembra essere stato considerevole
alle bocche di Damietta e di Rosetta (circa
4 metri per anno); ma non si può dire in
generale che le sponde del Delta abbiano di
poco variato dopo i tempi storici. Questa
immutabilità risulta dalla lentezza dell'in-
nalzamento di queste sponde e dall influenza
della corrente litorale; si può consultare a
tale riguardo la dotta e bella discussione
di Elia de Reaumont nelle sue Lezioni di
geologia pratica.
L'esistenza di una corrente litorale sulla
costa d'Egitto non si potrebbe impugnarla.
La figura generale del Delta, la disposizione
delle bocche principali del Nilo, la forma
che prendono i deposili che gli servono di
sponda, la formazione delle lingue di terra
che separano il mare ed i laghi dal Delta;
infine tutta l'esistenza del porto d'Alessan-
dria, che sarebbe caduto da lungo tempo se
non si fosse protetto dalla corrente litorale,
Descrizione dell'Egitto.
AK0H1TKTTO ED AGRONOMO
&)
sono altrettante prove che non ammettono
alcuna contestazione.
IV. Regime del Mio.
Il Nilo comincia a crescere verso il sol-
stizio d'estate fra il 20 giugno ed il 4.° lu-
glio, il suo livello va innalzandosi fino alla
fine di settembre. Poi comincia a decre-
scere e va abbassandosi gradatamente sino
alla fine di maggio. L'altezza della piena
misurata alla scala del meqyas (*) del Cairo
varia fra i 5 ed i 9 metri. Secondo il Leper,
si possono dividere le piene secondo le al-
Al di sotto di 5m 40 . . . . carestia.
Da 5m 40 a 6™ piena insufficiente, penuria.
Da 6ra a 7m raccolto debole.
Da 7m a 7m 50 raccolto favorevole, abbondanza.
Al disopra di 7m 50 sino ad 8m, piena forte, diventando sempre più nocevole.
Al disopra di 8m . . . . . piena estremamente nociva, carestia certa, pericolo di peste.
Malgrado le incertezze che rimangono
tuttavia sia sulla dimensione esatta del brac-
cio impiegato nelle diverse epoche, sia sulla
posizione esatta dello zero della scala che
serve a misurare le piene, egli è somma-
mente probabile che le altezze di esse non
abbiano punto variato (ciò è certo dopo l'e-
poca romana) e che i limiti delle piene favo-
revoli o nocevoli fossero presso a poco i me-
desimi ai tempi di Erodoto come al giorno
d'oggi: da cui risulta che l'innalzamento
successivo delle piene sia esattamente quello
del Delta, e che il livello dèi letto e delle
acque del fiume si elevi esattamente della
stessa quantità che le sue rive.
La velocità del Nilo nella parte inferiore
è di circa 50 a 60 centimetri per secondo
in acque basse, e nella parte superiore da 60
a 80. Lepère cita due fatti, dai quali risulta
che la piena del 4799 ha percorso 300 chi-
lometri in 5 giorni, ossia 0m70 per secondo,
e 700 chilometri in 44 giorni ossia 0m80
per secondo.
Secondo le calcolazioni di Girard, Linant
e Mougel la portata del Nilo può essere
calcolata da 6 a 700 metri cubici per se-
condo in acque basse e da 9 a 40,000 in
acque alte. Queste cifre sono presso a poco
quelle [delle portate estreme del Rodano
(500 metri in acque magre e 40.000 metri
(*) Nome dalo dagli Arabi ai nilomctri, ovvero
scale destinata a misurare le altezze del Nilo.
in piena); ma la portata totale annua del
Nilo è più di 90 milioni di metri cubici,
mentre che quella del Rodano non eccede
i 54 milioni.
La portata media nel Nilo
sarà pertanto di 2, 860 m.c. per sec.°
Quella del Rodano è di 4,748 » »
Quella del Po di 4720 » »>
Quella della Senna di 249 » »
Quella del Mississipi 23,500 » »
Quella del Maragnondi443, 640 » »
Laonde il Nilo ha la portata dieci volte
maggiore della Senna, e presso a poco doppia
del Rodano e del Po, mentre è soltanto l'ot-
tava parte del Mississipi e la cinquantesima
del Maragnon.
Le acque del Rodano contengono per un
medio 1/2500 di limo; quelle del Nilo, attesa
la durata delle piene e la tenuità dei depo-
siti sospesi, ne contengono probabilmente al-
trettanto; ma se si ammette la stessa propor-
zione, i 90 milioni di metri cubici d'acqua
che scarica il Nilo trasporteranno 36 mi-
lioni di metri cubici di limo. L'elevazione
media del Delta essendo soltanto di 6 cen-
timetri per secolo, ne risulta che un cinquan-
tesime circa delle materie che il Nilo tiene
in sospeso, sarà impiegato ad innalzare il
suolo del basso Egitto, e che il dipiù sarà
scaricato nel Mediterraneo.
w
GIORNALE DELL
V. Livelli relativi del Nilo e dei due mari.
Secondo la livellazione fatta nel 1799 dagli
ingegneri della spedizione d'Egitto, il livello
delle acque magre del Nilo al Cairo sor-
passerebbe soltanto di 5ra 11 quello del Me-
diterraneo. Le livellazioni eseguite con mag-
gior cura nel 1847, e di cui si avrà occasione
di parlare più sotto, provano al contrario
che questa differenza di livello è effettiva-
mente di 13m 27. Se si prende la cifra di 7ra
per l'altezza media della piena, la perpen-
dicolare della stessa piena sarà di 20m 27.
Il rialzo del letto del Nilo al Meqyas es-
sendo supposto di 12 centimetri per secolo,
queste perpendicolari devono essere ridotte
di lm20 per dieci secoli; è un punto che
importa di non perdere di vista quando si
voglia rendere conto dei tentativi di cana-
lizzazione dell'istmo tentati nell'antichità.
Le livellazioni degli ingegneri della spe-
dizione d'Egitto avevano stabilito che il Mar
Rosso si trovava notevolmente più alto che
il Mediterraneo. La differenza di livello eia,
secondo queste livellazioni, al massimo di
9m 90, e per un medio di 8m 46. Le opera-
zioni eseguite nel 1847 hanno al contrario
constatato che il livello della bassa marea
è presso a poco il medesimo nei due ba-
cini, che nelle alte maree il livello del Mar
Rosso è alquanto inferiore a quello del Me-
diterraneo. Cionnullameno l'estensione della
marea essendo per un medio di 2 metri nel
Mar Rosso, e di 40 centimetri soltanto nel
Mediterraneo, ne risulta che la marea media
è di 0m 80 circa più elevata nel Mar Rosso
che nel Mediterraneo.
Le operazioni del 1799 avevano adunque
questi due risultati egualmente erronei di
rialzare il livello del Mar Rosso di circa
8 metri, mentre nello stesso tempo abbas-
savano il livello del Nilo al Cairo della me-
desima quantità, vale a dire che il livello
delle magre del Nilo al Meqyas, che in realtà
è più di 13m al disopra del livello delle basse
maree, sarebbe stato secondo queste opera-
zioni di circa 2 metri al disotto di questo li-
vello, e di 4 metri inferiormente a quello del-
IINGEGNERE
l'alta marea. Da ciò si comprende tosto
l'enormità di tali errori e non si sarà sor-
presi ch'essi abbiano avuto per conseguenza,
per quanto concerne il passato, di rendere
sempre più oscura la storia dell' istmo., ed
in quanto all'avvenire di dare vita a dti pro-
getti impraticabili.
Il livello delle magre del Nilo è dunque
realmente superiore di circa 13 metri di
quello della bassa marea, sia nel golfo di
Suez sia nel Mediterraneo, e di 11 metri di
quello dell'alta marea a Suez. La massima
piena essendo di circa 7 metri, si eleva il
livello del Nilo in questa circostanza di 18m
superiormente all'alta marea e di 20m al
disopra della bassa marea.
Per poter conoscere la stato del Nilo in
un'epoca anteriore è d'uopo, come si è più
sopra indicato, di ridurre queste altezze di
12 centimetri per secolo, supponendo che
si rimonti ai tempi di Ramsete (1300 anni
prima di Gesù Cristo) ossia a 32 secoli, il li-
vello del Nilo resterà tuttavia superiore a
quello della bassa marea più di 16 metri in
tempo di piena e più di 9ra in tempo di
magra.
Mediante una calcolazione, che qui non si
riporta per non moltiplicare le cifre di già nu-
merose, si dimostra che alla medesima epoca
le altezze corrispondenti del Nilo nel ramo
Pelusiaco a Bubaste, ove ha principio l'an-
tico canale, dovevano essere di 5m in acque
magre e di 9m in tempo di piena. Se dunque
le acque di piena defluivano liberamente nel-
l' Uady-Tumilat sino al lago Timsah ed
alla soglia di Serapeum, dunque l'altezza
non è che di 5 a 6 metri al disopra della
bassa marea; egli è indubitabile, rimontando,
che esse dovevano ciascun anno al momento
della piena scaricarsi nel bacino dei laghi
amari superando la soglia. Ciò accadrebbe
tuttavia a forziori anche in giornata se la
valle fosse libera e se le acque del Nilo si
conducessero sino al lago Timsah mediaute
canali di dimensioni bastanti. Nella piena
del 1800, che fu rimarchevole per la sua al-
tezza, le acque coprirono infatti i terreni
bassi che circondano il lago Timsah e si
avvicinarono molto a Serapeum. Non è nem-
VI. Storia dei tentativi
fatti per canalizzare f istmo.
Gli è assai probabile che i primi lavori
di canalizzazione dell'istmo rimontino ad
un'epoca assai rimota, ed è in tal modo che
si spiega la tradizione araba che lo attri-
buisce al primo dei Faraoni (2300 avanti
Gesù Cristo) e la tradizione greca che at-
tribuisce a Sesoslri l'onore di questo tenta-
tivo. I libri che parlano di un tale argo-
mento possono del resto riassumersiin poche
parole.
Secondo Erodoto « il canale sarebbe stato
intrapreso primieramente da IVeco figlio di
Psammetico e continuato da Dario. La sua
lunghezza era di quattro giornate di naviga-
zione, e la larghezza bastante affinchè due
triremi potessero passarvi. L'acqua si de-
rivava dal Nilo ed entrava alquanto supe-
riormente a Bubaste e terminava nel mare
Eritreo presso Patumos città dell'Arabia.
Principiava nella pianura, aveva dapprima
la direzione da ponente a levante, passava
per le gole delle montagne, e si dirigeva al
mezzodì del golfo d'Arabia ».
Voi III.
ARCHITETTO ED
meno certo ch'esse abbiano superato il suo-
lo, e non è che dietro le asserzioni degli
Arabi che gli ingegneri della spedizione
hanno affermato ch'esse non avevano. pe-
netrato nel bacino dei laghi amari.
All'epoca in cui i contorni del lago Tim-
sah erano coltivati e popolati, le acque del
Nilo venivano certamente tradotte mediante
canali: non vi è adunque bisogno né di studj
né di operazioni geodetiche per riconoscere
la possibilità di tradurre le acque del Nilo
nel bacino dei laghi amari; basterà abban-
donarle a sé stesse per vederle a superare
le gole di Serapeum, ed è sommamente pro-
babile che questo fatto si rinnoverebbe in
tutte le piene alquanto elevate. Una volta ot-
tenuto questo risultato, ne deriverebbe sem-
plice l'esperimento di prolungare la navi-
gazione del Nilo sino nel bacino dei laghi
amari, e non è da stupirsi che i primi ten-
tativi di questo genere si perdano nella notte
dei tempi.
agronomo 11
Aristotile dice che « i Faraoni e Dario che
speravano di poter conseguire sommi van-
taggi dall'aprimento di questo canale abban-
donarono il lavoro dopo di aver riconosciuto
che il Mar Rosso era più alto dell'Egitto.
Secondo Diodoro Siculo, che del resto va
d'accordo con Erodoto, « Dario non avrebbe
punto finito il canale, ed avrebbe abbando-
nata l'impresa dietro l'opinione di qualche
ingegnere il quale gli avrebbe detto che sca-
vando il terreno esso innonderebbe l'Egitto,
che si era trovato più basso che il Mar
Rosso; ma sarebbe stato compito da Tolo-
meo II, dal quale erano state poste all'estre-
mità del canale delle chiuse che si aprivano
per lasciar passare l'acqua, e che in seguito
si chiudevano assai prontamente. »
Secondo Strabone, che è l'autore il più
esplicito sulla disposizione dell'andamento,
« questo canale, a parere di alcuni, sarebbe
stato scavato da Sesostri avanti la guerra
di Troja; altri invece lo vorrebbero comin-
ciato da Psammetico figlio, continuato da
Dario, che lo avrebbe abbandonato quan-
tunque quasi al termine inquantochè, dice
Strabone, venne persuaso a torto che il Mar
Rosso era più alto dell'Egitto. ITolomei che
lo fecero scavare vi costruirono un euripo o
barriera chiusa che permetteva una naviga-
zione facile del canale interno fino al mare e
reciprocamente.» Strabone aggiunge queste
parole rimarchevoli: Il canale si getta nel Mar
Rosso ad Arsinoe, che alcuni chiamano Cleo-
patri, e corre attraverso i laghi, le cui acque,
che erano amare, divennero dolci dalla co-
municazione col fiume. In giornata questi
laghi producono dei buoni pesci ed abbon-
dano di uccelli acquatici. L'origine del ca-
nale era al borgo di Facusa presso Filone,
verso la costa del Delta all'ovest di Buba-
ste. In vicinanza di Arsinoe si trovava la
città degli Eroi (Eroopoli).
Infine ecco il testo di Plinio: « In vicinanza
del golfo Sanico si trova il golfo di Oanto,
nel quale è situata la città degli Eroi. Si
trova inoltre* il porto di Danzone, ove esce,
un canale navigabile che conduce al Nilo
percorrendo da questo punto fino nel Delta
lo spazio di LXII MP, che è la distanza che
Luglio 4855. fi
42 GIORNALE DELI
esiste tra il fiume ed il Mar Rosso. Sesostri
conobbe anticamente il progetto; Dario ebbe
lo stesso disegno; in seguito Tolomeo II fece
scavare il canale assegnandogli 100 piedi
almeno di larghezza, 3 piedi di profondità
e XXXVII MP 10 di lunghezza sino alle
sorgenti amare, ove si arresta per timore di
innondare il paese, essendosi trovato in que-
sto luogo il Mar Rosso superiore di tre brac-
cia al suolo dell'Egitto. Alcuni autori vi at-
tribuiscono un altro motivo: si temeva di
guastare con questa comunicazione le acque
del Nilo, fiume che solo in Egitto dà delle
acque potabili. »
Questi scritti sono stati interpretati assai
diversamente: non vi è infatti alcuna opi-
nione che non abbia dei partitanti; gli uni
sostengono che il canale sia stato non solo
intrapreso ma ultimato da Sesostri; gli altri
che non venne compiuto e che non ha mai
servito. Fra queste due opinioni estreme si
trovano tutti i sistemi, tutte le ipotesi in-
termedie che mai è possibile di immaginare.
Gli autori che attribuiscono il primo ca-
nale a Sesostri (Ramsete II il Grande, (Me-
niamun) 1535 anni avanti Gesù Cristo) sono
in piccolo numero; questa opinione è ciò non
pertanto sostenuta da uno dei più profondi
egittologici dei nostri tempi, da sir Gardner
Wilkinson, la cui autorità è grandelin que-
ste materie. Questo dotto ha dato ad una
tale opinione l'appoggio di un nuovo fatto
scoprendo nelle ruine di Abu-Keycheyd un
monumento consacrato a.Ramsete Meiamun,
ch'egli suppone abbia relazione all'esecu-
zione del canale di questo Faraone.
L'opinione di Erodoto che ha viaggiato
e dimorato lungo tempo in Egitto, è quella
più generalmente adottata, e qualunque sia
stato il numero dei tentativi anteriori, risulta
in modo positivo dal testo di questo scrittore
che i primi lavori erano generalmente at-
tribuiti dagli stessi Egiziani a Neco, e che
l'impresa sarebbe stata condotta a compi-
mento per la prima volta da Dario figlio
d'Istaspe (521-435 anni avanti Gesù Cristo).
Come supporre infatti che Erodoto che viag-
giava iu Egitto venticinque anni soltanto
dopo la morte di Dario abbia potuto ingan-
,' INGEGNERE
narsi in un punto cosi importante quale era
quello sul compimento del canale, e non dire
nulla sulla pretesa differenza di livello che
aveva arrestato Dario ed i suoi ingegneri?
Erodoto afferma nel modo più positivo che
il canale sboccava nel Golfo Arabico, e
poiché la spiaggia del golfo non ha cam-
biato sensibilmente, e che d'altronde la
lunghezza ch'egli assegna al canale corri-
sponde perfettamente a questa spiaggia, è
d'uopo ammettere che il canale nella detta
epoca era spinto fino al mare. D'altra parte
sarebbe difficile il comprendere in qual modo
il canale essendo stato condotto fino ai la-
ghi amari non sia poi stato compiuto da
questi laghi sino a Suez, che è la parte più
facile e più utile. Non occorreva inallora
l'opera degli ingegneri per riconoscere la
relazione di livello del Nilo col Mar Rosso,
poiché allorquando il bacino era pieno si
innoltravano le acque nella parte bassa della
gola fino quasi al livello dell'alta marea e
alcuni colpi di zappa bastavano per ista-
bilire la comunicazione e scaricare le sue
acque nel mare. Accaduto questo fatto, per
l'aprimento di un canale regolare non si
trattava d'altro che di rimovere 200 000
metri cubici di terra; e che cosa era tale
lavoro pei monarchi i quali avevano innal-
zate le piramidi e che disponevano a loro
grado di un'immensa popolazione e di un'
armata innumerevole?
Un'ultima prova del compimento del ca-
nale par parte di Dario è il monumento
rimarchevole scoperto sulla sponda occiden-
tale del bacino dei laghi amari durante la
spedizione del 1799 da Rozières, Devilliers,
Delille ed Alibert. Questo monumento o piut-
tosto gli avanzi rimasti si compongono di
massi di granito e di puddinga. Alcuni dei
massi di granito portano delle iscrizioni cu-
neiformi ben conservate e che fanno rimon-
tare l'origine di questo monumento ai tempi
dell'occupazione dell'Egitto fatta dai re di
Persia. È naturale, nell'ignoranza in cui noi
siamo della sua destinazione, di riferirlo ai
lavori eseguiti da Dario nell'istmo, e se
questa supposizione è fondata, la posizione
ch'esso occupa proverebbe che il canale era
ARCHITETTO
slato spinto a quell'epoca sino al mare. Se
fosse diversamente, o se, come da taluno si
pretende, la spiaggia del mare si trovava in
allora presso Serapeum , è evidentemente
verso quest'ultimo punto che si sarebbe in-
nalzato il monumento destinato a perpetuare
la memoria di questa intrapresa. Io riguardo
adunque come incontrastabile l'asserzione di
Erodoto, asserzione che infatti non si può
impugnare che mediante scritti più recenti
di cinque secoli almeno, dettati da autori di
cui uno solo, Strabone, molto meno affer-
mativo, aveva viaggiato in Egitto.
Dopo di avere conteso con Diodoro,
Strabone e Plinio l'aprimento del canale da
Dario, si è dubitato sull'autorità di Plinio
che i Tolomei stessi l'avessero giammai com-
pito. Sopra quest'ultimo punto l'asserzione
di Strabone mi sembra così decisiva, che non
si può comprendere come abbia potuto for-
mare il soggetto di una questione. Il testo
di Plinio è evidentemente, il più incerto di
tutti; egli scriveva seltantatrè anni dopo
Strabone, e non aveva veduto punto le lo-
calità che Strabone aveva visitate e sulle
quali egli aveva date delle notizie le più
esplicite.
Secondo Plutarco, Antonio giungendo ad
Alessandria poco dopo la battaglia d'Azio tro-
vò Cleopatra occupata a far superare alle na\ i
della sua flotta lo spazio stretto che separa
i due mari facendole carreggiare superior-
mente all'istmo. Questo fatto non proverebbe
in alcun modo che il canale non fosse stato
scavato duecentocinquant'annipriina da To-
lomeo Filadelfo; esso proverebbe soltanto
che lo si era trascurato e lasciato ingom-
brare. La battaglia d'Azio fu compiuta il
2 settembre (30 anni prima di Gesù Cristo).
Antonio dopo averla perduta si ritirò per
qualche tempo nella Cirenaica. Il suo arrivo
ad Alessandria corrisponde per conseguenza
alla fine di ottobre, ovvero al principio di
novembre, vale a dire, in un' epoca in cui
le acque del Nilo erano già in decremento, ed
io mostrerò più sotto che per poco che il
canale si fosse trascurato, la parte vicina a
Suez doveva essere impraticabile, fuori dei
tempi delle piene. D'altronde Strabone, la
ED AGRONOMO 43
cui testimonianza è posteriore di qualche
anno alla battaglia d'Azio, dice positivamente
che il canale sboccava ai suoi tempi nel Mar
Rosso ad Arsinoe , denominata altrimenti
Cleopatri, e presso Eroopoli, dopo di avere
attraversati i laghi amari, le cui acque erano
diventate dolci. Che si può richiedere di più
categorico e concludente? Come impugnare
dopo ciò e l'aprimento del canale dai To-
lomei e la posizione di Eroopoli nelle vici-
nanze di Arsinoe? Non risulta che Eroopoli,
Arsinoe e Cleopatri e probabilmente il Dan-
zone di Plinio siano città situate successi-
vamente all'estremità del Mar Rosso, e che
si sono sostituite le une alle altre avvici-
nandole al mare, sia perchè la parte avan-
zata nel golfo si ingombrava, sia perchè le
navi aumentando di grossezza esigevano una
maggior quantità d'acqua? Si può dire al-
trettanto di Patumos di Erodoto e probabil-
mente di Clysma, od almeno di una delle
città di questo nome.
Io non vedo adunque alcuna ragione
buona per dubitare che il canale siasi ul-
timato primieramente da Dario 500 anni
prima dell'era cristiana, e che essendo stato
abbandonato durante le lunghe guerre e le
invasioni ripetute che ha subito l'Egitto, sia
stato ristabilito dai Tolomei. Le asserzioni
di Aristotele e di Diodoro che attribuiscono
al mar Rosso un livello più alto di quello
dell' Egitto possono d' altronde conciliarsi
collo stato dei luoghi come è provato al
giorno d'oggi. Il suolo dei terreni bassi che
circondano il lago Menzaleh è di poco su-
periore al livello del Mediterraneo. Le maree
ordinarie del mar Rosso si innalzano 2 me-
tri al disopra di questo livello, sorpassando,
come l'indica Plinio, di circa 3 braccia il
livello di una gran parte dei terreni del
Delta. Gli è probabile d'altronde che il li-
vello delle acque nel bacino dei laghi amari,
superiore al mar Rosso durante le acque
alte, si abbassasse di molto nella stagione
delle magre, poiché doveva essere difficile
di condurre in questo bacino senza togliere
troppo al ramo Pelusiaco l'acqua bastante
per compensare le perdite considerevoli ri-
sultanti dall'evaporazione. Non si avrebbe
GIORNALE DELL IIStiEGISERE
dunque di che dubitare che le acque dolci
una volta pervenute nel bacino dei laghi
amari, siasi abbandonato il progetto di spin-
gere il canale sino al mar Rosso per timore
di far penetrare nella stagione delle magre
le acque salse nel bacino dei laghi, ed anche
più oltre seguendo il canale, e che questo
timore abbia sospeso i lavori sino a che non
si fosse trovato un mezzo di impedire questa
comunicazione senza nuocere alla naviga-
zione.
Le opinioni sono meglio stabilite sulle
vicissitudini che ha subito il canale di Suez
nei tempi più recenti. Si è d'accordo che
forse sotto Trajano e più probabilmente sotto
Adriano (120 o 130 anni dopo Gesù Cristo)
fu cominciato un canale partendo dal Cairo
e dirigendosi verso l'Uady-Toumilat nel
pensiero di ristabilire con una nuova deri-
vazione d'acqua dal fiume e non da uno dei
suoi rami la comunicazione del Nilo col mar
Rosso. Gli è probabile che l'ingombramento
del ramo Pelusiaco fu la causa primitiva
di questo tentativo i cui risultati sono poco
noti.
Questo canale incominciato in vicinanza
di Babilonia d'Egitto (il Cairo) fu eseguito
sino a Farbeti (Belbeys), ove andava a con-
giungersi coll'antico canale. Ben lontano di
provare che l'antico canale era stato ab-
bandonato , questo fatto dimostrerebbe al
contrario che esisteva, e che era praticabile,
ma che si era riconosciuta la necessità
di portare la presa delle acque al disopra
della biforcazione del Nilo e di abbandonare
il ramo Pelusiaco.
Tutti gli autori arabi ammettono che il
canale scavato sotto i Faraoni o dai re di
Persia sboccava nel mar Rosso presso Kol-
zum, le cui rovine si vedono tuttavia al
nord di Suez. Tutti sono d'accordo che il
canale è stato riaperto per la prima volta
nel periodo arabo sotto il califfo Omar so-
prannominato principe dei fedeli da Amru-
ben-el A'ss che fece la conquista dell'Egitto
l'anno 639 dell'era volgare; ch'esso è ri-
masto aperto alla navigazione durante 125
anni circa sino al regno del califfo abas-
sido Abudja-far-al-Mansur, che lo fece col-
mare nel 702-767. e che dopo quest'epoca
esso è rimasto chiuso ed abbandonato co-
minciando dal lago Timsah, ma che la por-
zione tra il Cairo e questo lago è rimasta
per lungo tempo in attività.
Si trova nella memoria di Lepère (*) sul
canale dei due mari la seguente dichiara-
zione fornita da un negoziante di Suez come
il riassunto della tradizione araba sul ca-
nale dei due mari. Nei primi tempi dell'era
cristiana il territorio di Suez non era occu-
pato che da qualche Arabo che viveva della
pesca e del contrabbando. La città di Qol-
zun si trovava collocata sul monticello po-
sto al nord della città in vicinanza del mare.
Colà esisteva un forte castello di cui si vede
ancora sotto le rovine una porta arcuata
chiamata la porla Console. Il porto si tro-
vava al nord ed ai piedi della città fabbri-
cata ad anfiteatro sopra quella eminenza,
con una superficie circolare che tuttavia si
riconosce quantunque le sabbie l'abbiano
sepolto. Il canale che comunicava col Nilo
veniva qui a scaricarsi; l'acqua dolce si
trovava contenuta da due robuste dighe
che la separavano dal porto e dal mare.
L'acqua del Nilo in questo bacino formato
nel mezzo del mare si trovava superior-
mente alle più alte maree; le navi che ve-
nivano dal largo si avvicinavano alla diga
del porto e percorrevano l'altro fianco. Si
vedono tuttora i resti di queste dighe per-
correndo dal nord-nord-est al sud-sud-ovest
sopra 5o60O tese; una piccola parte s'in-
nalza superiormente alle sabbie che le ri-
coprono. Queste dighe lasciavano un'entrata
al porto che si chiamava porto del mare, e
che si trovava di fronte a quella chiamata
Cherker (piccolo paese nelle montagne a
cinque leghe da Sueys). Questa porta deve
trovarsi in un monte di rovine che forma
un'isola nell'alta marea. La porta occiden-
tale della città, che si chiamava Bab-el-Maor,
esisteva nella località ove si vede tuttavia
una moschea sulla strada di Bir-Sueys.
Allora le acque del Nilo fecondavano questo
paese; tranne qualche albero, attualmente la
(*) Descrizione dell'Egitto, Tom. II.
ARCHITETTO
vista si perde nell'orizzonte del deserto; al-
lora i giardini circondavano la città ed il
commercio fioriva. » Questa tradizione mi
sembra meritare al più alto punto l'attenzione
e la confidenza. Essa presenta a mio avviso
il prospetto esalto delle circostanze dello
stato delle cose create dall'esistenza del ca-
nale,; slato di cose che non è stato conteso
che col mezzo di argomentazioni desunte
dalla situazione attuale dei luoghi, e di cui
si avrà occasione di esaminare più sotto
il valore.
Alcuni autori arabi pretendono che Amru
formò il progetto di congiungere i due mari
con una comunicazione diretta attraverso
l'istmo, comunicazione che egli si proponeva
di alimentare colle acque del Nilo , e che
Omar si oppose nel pericolo di aprire ai
vascelli cristiani l'entrata nell'Arabia. Que-
sta asserzione è rimarchevole sotto due punti
di vista; infatti essa prova da una parte che
gli Arabi sapevano le relazioni di livello tra
i due mari ed il Nilo, e da un altro lato è
la prima volta che si vede manifestarsi l'idea
di tagliare direttamente l'istmo. È ben vero
che si è preteso che il canale di Neco avesse
per iscopo la comunicazione diretta dei due
mari, ma questa opinione non appoggia so-
pra alcun fatto od autorità. L'aprimento del
suolo che separa il lago Timsah dal lago
Menzaleh è stato un'opera assai importante
ma di poco interesse, poiché essa avrebbe
soltanto abbreviata la navigazione delle bar-
che andando direttamente dal Mediterraneo
nel mar Rosso senza nulla cambiare alle
condizioni di questa navigazione che poteva
effettuarsi pel ramo Pelusiaco, in quell'epoca
uno dei principali, risalendo sino a Bubaste
e prendendo in seguito il canale, il cui incile
si trovava in vicinanza di questa città. Da qui
risulta che l'escavazione del canale diretto
fra il lago Timsah e Pelusio non aveva altro
scopo che di abbreviare questo giro. Ora
quale interesse poteva avere un accorcia-
mento sotto i Faraoni ed anche sotto la
dinastia Persa? e cosa poteva essere a quel-
l'epoca il commercio diretto tra il Mediter-
raneo ed il mar Rosso? Sotto i Tolomei
stessi questo commercio, che aveva preso
En agronomo 45
un'importanza reale, si faceva necessaria-
mente per mezzo di Alessandria, e questi
sovrani come i precedenti non erano evi-
dentemente occupati che delle relazioni del-
l'Egitto col mar Rosso. Lungi dall' aprire
una comunicazione lontana dall'Egitto, essi
l'avrebbero certamente interrotta se esisteva.
Gli è dunque certo che in nessun' epoca né
dell'antichità né dell'età di mezzo si sono
fatti tentativi per istabilire la comunicazione
diretta dei due mari. (Continua.)
La ferrovia del Semincriiig e le
sue locomotive*
La tipografia Oerold e figlio, di Vienna,
ha pubblicato un'opera di molto interesse
Die Locomotive der Staals-Eisenbahn iiber
den Semmering von FF. Engerth (Le loco-
motive della ferrovia dello Stato sul Sem-
mering), dalla quale si estrassero le se-
guenti notizie.
L'utilità delle strade ferrate la vinse sulle
difficoltà di un paese di montagna. Quella
del Semmering era condotta poco lungi dal
suo compimento, che ancora non si sapeva
come si supererebbero le sue forti pen-
denze , come si correrebbe per le sue an-
guste tortuosità. Il governo austriaco pro-
mise generosi premj per la fornitura di loco-
motive capaci di ascendere quelle pendici e
di procedere sicure fra quei serpeggiamenti
della strada. Il premio venne conferito ad
alcune locomotive, ma né queste ressero al
di là dei saggi di prova , né i molti pro-
getti che furono presentati al Ministero ri-
solsero il difficile problema. Finalmente si
appigliò al partito di sperimentare un si-
stema immaginato dal sig. N. di Engerth
già introdotto per altre strade, e furono or-
dinate ventisei locomotive su quel sistema,
e già dall'inverno d853-1854 funzionano
quasi tutte con soddisfacente successo.
Per apprezzare il merito di queste loco-
motive conviene farsi un' idea delle condi-
zioni generali in cui trovasi la ferrovia del
Semmering.
46
GIORNALE DELL'INGEGNERE
La pendenza del tronco di strada che
precede Payerbach venendo da Vienna, non
è che dell' 8,55 per mille, quindi l'ascesa di
montagna comincia dopo questo punto. Par-
tendo da esso s'incontrano sei stazioni alle
distanze fra loro, e colle differenze medie
di livello come segue:
Da Payerbach a Eichberg . .
Da Eichberg a Rlamm . . .
Da Klamm a Breitenstein . .
Da Breitenstein al Semmering
Sul Semmering, una galleria
Dalla detta galleria a Spital .
Da Spital a Mùrzzuschlag .
estesa metri 6198, in ascesa 21, 4 per mille
,. 4074 » 25 »
5287 » 21 »
5758 »» 18,52 ».
» 1422 orizzontale
» 5745 in discesa 19,64 »»
6190 » 20
quindi l'ascesa media relativa da Payer-
bach al Semmering è di 21,21 per mille, la
discesa media relativa dalla galleria del
Semmering a Mùrzzuschlag è del 19,9 per
mille, e la stazione del Semmering è di me-
tri 452 elevata su quella di Payerbach, e di
metri 236 su quella di Mùrzzuschlag.
Non tenendo conto dei piani delle stazioni,
le ascese da Payerbach al Semmering sono
distribuite così:
Per metri 8364 pendenza del 25 per mille
5351
»
22,20
1145
»
20
1522
»
16,66
324
»
12, 50
1865
»
10
165
»
5
171
orizzoi
tale.
Alcune delle più forti pendenze s'incon-
trano nelle gallerie.
Un'altra grande difficoltà che presentava
l'attivazione di questa strada erano le curve.
La tratta da Payerbach a Eichberg, lunga
metri 3223, è per metri 1073 formata di quin-
dici controcurve di raggi fra i 190 e i 285
metri. La tratta successiva da Eichberg a
Klamm , la più difficile di tutta la linea ,
sull' estesa di metri 3593 colla pendenza del
25 per mille, comprende quattordici curve
di metri 285 di raggio, e della lunghezza
complessiva di metri 2622, interpolate da
rettilinei lunghi soltanto da 38 a 76 metri.
Da Klamm a Breitenstein le curve si succe-
dono senza interruzione in numero di sedici
per la lunghezza totale di metri 3090 e quasi
tutte del raggio di 190 metri. La tratta da
Breitenstein al Semmering è nella stessa
condizione.
L' esperienza ha mostrato che sulla fer-
rovia del Semmering, il lavoro delle loco-
motive fra le stazioni di Mùrzzuschlag e
del Semmering è per lo meno del 25 per
cento maggiore di quello fra le stazioni di
Payerbach e del Semmering.
Ora diremo delle locomotive.
Le dieci locomotive fornite dalle officine
di Effingen sono tutte della medesima strut-
tura. Il loro carro è a sei ruote, e porta
oltre i cilindri del vapore, tutto il mecca-
nismo, la caldaja e due serbato] dJ acqua.
Il carro del tender si prolunga sotto una
porzione della caldaja, e sopporta la camera
del fumo; sur esso trovansi le casse del
combustibile e la piattaforma del macchi,
nista. 1 due carri sono rubatamente col-
legati da una solida incrociatura e da alcune
caviglie coniche disposte in modo che i carri
possano ripiegarsi fra loro in ogni senso ,
tanto verticale che orizzontale, e prestarsi
facilmente alle flessioni della strada di pic-
colissimo raggio.
Il diametro delle ruote è di metri 1,106,
quello dei cilindri del vapore è metri 0, 475,
e la corsa degli stantuffi è di metri 0,6096.
La superficie totale interna di riscalda-
mento nella caldaja lobulare ordinaria è
del focolare metri quadr. 7 —
e dei 189 tubi lunghi 4ra 75, di dia-
metro esterno 0m 053 » 132,80
Sommano metri quadr. 139,80
ARCHITETTO
La superficie esteriore di riscaldamento,
come viene comunemente calcolata , è di
metri qiiadr. 155.
I due serbatoj d' acq'ia collocati ai due
lati della caldaja cilindrica, hanno la ca-
pacità di metri cubici 6,30, e la capacità
delle casse per contenere la legna necessaria
allo scaldamento., collocate posteriormente
sul tender, è di in. e. 3, 15.
II peso complessivo della locomotiva ca-
rica d' acqua e di legna è di 56 tonnellate
e 112 chilogrammi, ripartito come segue
sulle tre sale della locomotiva e sulle due
sale del tender.
Sulla sala anter. della macch. chil. 13 748
Sulla seconda sala 12 488
Sulla terza 13 074
Sulla sala anteriore del tender 8 121
Sulla sala posteriore del tender 8 681
Le prescrizioni del Ministero dei labori
pubblici erano che le macchine , in tempi
favorevoli e sulle guide secche, traducessero
un peso lordo di H2 tonnellate colla ve-
locità media di 15 172 metri all'ora (due
miglia austriache ) non consumando per
ogni ora che steri 4, 60 di legna dolce.
L'esercizio della ferrovia del Semmering
cominciò nel dicembre 4853 per il trasporto
delle merci, ed il 17 luglio 1854 per il tra-
sporto de'passeggieri. Dal gran numero di
viaggi eseguiti dappoi è risultato che colla
velocità prescritta., che sovente fu sorpas-
sata, le locomotive trasportarono
sotto le piogge , o con forti venti o con
bufere di neve tonnell. 112
in tempi mediocri » 140
in tempi sereni » 168
e sempre di peso brutto, da Payerbach al
Semmering, con una pressione nella caldaja
di poco più di sette chilogrammi per cen-
timetro quadrato e col consumo di steri 3. 40
di legna per ora.
Lungo la tratta di strada ferrata da Pa-
yerbach a Seminering.dove le pendenze sono
mediamente dell' 8, 55 per mille, queste lo-
El> AGRONOMO 47
comotive trasportano 420 tonnellate di peso
brutto colla velocità predetta di 15172
metri all'ora.
Disposto il macchinismo delle locomotive
in giusto rapporto colle esigenze della strada,
bisognava produrre un peso totale da ot-
tenere l'aderenza. Per consiglio del sig.
consigliere Engerth si provò ad accoppiare
tutte le ruote di una delle locomotive del
Semmering mediante ruote dentate, e or-
mai anche per le altre locomotive si adottò-
questo provvedimento.
Le ruote consistono in dischi di ferro
battuto con inseriti denti d' acciajo fuso
formati in pezzi di sei denti per cadauno.
La solidità di questi denti è tanta, che ognuno
può sostenere una pressione di 22 400 chi-
logrammi. Il punto di collegamento del ten-
der corrisponde precisamente disopra del
punto in cui le ruote sulla sala sono ingrana-
te , e quando cessa il bisogno delle ruote
dentate , si possono disgiungere facendole
scorrere lateralmente.
Per questa disposizione i tre centri delle
ruote dentate rimangono costantemente si-
tuati in una stessa linea retta: perciò il mo-
vimento orizzontale delle sale, L'ima verso
1' altra, non eccede mai due gradi. Si com-
prende che questo sistema d' accoppiamento
delle ruote deve corrispondere allo scopo
che si era proposto.
L'ungimento delle ruote dentate è pra-
ticato in modo semplicissimo quanto efficace.
Per preservarle dalla polvere e dalla sab-
bia, queste ruote sono chiuse in dischi di
lamiera e sul basso del cerchio contengono
un miscuglio di materia saponacea e d'olio
molto fluido, nel quale trascorrono i denti
nel movimento di ruotazione. Inoltre si fa
colare dell'olio sulla ruota di mezzo in ra-
gione di 60 a 80 goccie per minuto.
La locomotiva denominata Lanau, in cui
s'è introdotto il descritto accoppiamento, e
che già serve in questo modo dal 12 giugno
del 1854, presentò la maggior solidità e l'op-
portunità del sistema. L'ungimento dei denti
avviene regolarissimamente e completo. Nelle
limitate velocità e nei casi in cui In ruote
dentate girano le une sulle altre non succede
48
che l'unto sia tratto fuori. Né l'accoppia-
mento delle ruote esige alcuna manovra
lungo il viaggio. I denti non appariscono
corrosi da che cominciarono iljloro ufficio, e
appena presero una certa levigatura, benché
in varie parti si ravvisi tuttora l'opera della
lima. Le locomotive camminano senza ru-
more, e non si ode nulla dello scontro dei
denti che s'ingranano. Né per le pendenze
della strada, né in alcuna curva non si ri-
sente urto o il più leggero sfregamento.
Il sistema d'accoppiamento ha considere-
volmente aumentato il lavoro delle loco-
motive, e di sovente vengono trasportate da
Payerbach al Semmering 185 tonnellate, e
da Mùrzzuschlag al Semmering tonnel-
late 267 colla velocità di metri 15172 all'ora.
Per tal modo lo studio delle strade fer-
rate ha vinto una gravissima difficoltà, ha
sciolto il problema di superare colle loco-
motive le forti pendenze, e di procedere per
curve di piccolo raggio.
GIORNALE DELL'INGEGNERE
geologi che
Influenza
fusione.
della pressione nella
Un soggetto interessante di speculazioni
nella geologia fisica, fu sempre lo stato in-
terno del nostro pianeta, e la causa dell'alta
temperatura osservata a qualunque profon-
dità, sotto la sua superficie. La temperatura
terrestre ad una certa profondità, in ogni
luogo, p. es. a m. 25. 00, nelle nostre regioni
rimane costante per tutto l'anno senza es-
sere punto alterata pel cangiamento di tem-
peratura delle stagioni. Tale ordinariamente
si mantiene anche in profondità maggiori;
ma se discendiamo più oltre, l'abbassamento
della temperatura si accresce in ragione
della profondità, nella proporzione di 1°
Fahr. per ogni m. 18, o 21 circa. Spingen-
dosi alla profondità di ottanta mila metri
con questa proporzione, giungeremo ad una
temperatura il doppio circa di quella che
è necessaria a fondere il ferro, e sufficiente,
come si suppone , a ridurre quasi l'intera
massa della crosta terrestre allo stato di
fusione. Di qui l'opinione adottata da molti
il nostro globo consista effetti-
vamente di una solida corteccia non ecce-
dente lo spessore di sessanta, od ottanta mila
metri, ed il nucleo sia formato da un fluido
mantenuto nello stato di fusione dal calore
esistente, a cui la massa terrestre era in
origine soggetta. Parrebbe a prima vista
che questa massa enorme di materia fusa,
rinserrata in una crosta così sottile non fosse
compatibile colla generale condizione esterna
e colla temperatura del nostro globo; ma
è affatto certo che la vera temperatura
esterna e questa supposta temperatura in-
terna non sono incompatibili tra di loro,
e che nessun valido argomento di questo
genere può venir messo in campo contro
la summenzionata ipotesi. Il suddetto calcolo
perciò dello spessore della crosta solida della
terra non tien conto per nulla dei possibili
effetti dell'enorme pressione a cui la massa
terrestre è soggetta a qualunque conside-
revole profondità. Ora questa pressione può
produrre effetti di due sorta , portandoci
direttamente fuori della questione. Nel sud-
detto calcolo la materia terrestre,, situata
alla profondità di sessanta o ottantamila
metri con una pressione maggiore di 115 mi-
lioni di chilog. per metro quadrato, si sup-
pone esser fusibile alla stessa temperatura
come se essa fosse soggetta semplicemente
all'ordinaria pressione atmosferica, laddove
la temperatura di fusione deve possibilmente
essere di molto accresciuta per tale immensa
pressione, come quella summenzionata. In
tal caso la materia terrestre può essere
mantenuta in istato solido a molto maggiore
profondità che se fosse altrimenti, per esem-
pio, la crosta solida può aver maggior spes-
sore di quello sopra enunciato di sessanta
od ottanta mila metri. D'altronde in questo
calcolo si suppone che il calore passerà fa-
cilmente, tanto attraverso la porzione più
superficiale della massa della terra, come
attraverso le porzioni compresse a consi-
derevole profondità. Ora in questa; suppo-
sizione havvi molta improbabilità e spe-
cialmente rispetto a quella superficie formata
di roccie per la quale fu già osservato l'ac-
crescimento della temperatura terrestre.
ARCHITETTO ED AGRONOMO
49
discendendo ; queste roccie sono per la
maggior parte strati sedimentar] che in
generale , indipendentemente dall' effetto
della pressione , sono senza dubbio meno
conduttori dei primi e più compatti delle
roccie cristalline. Ma se il calore passa at-
traverso le più basse porzioni di questa
massa terrestre con maggiore rapidità che
attraverso la sua porzione superiore., cioè
se la forza conduttrice è più grande a
più grande profondità , la temperatura a
considerevoli profondità deve crescere più
lentamente quando discendiamo, che alle
più piccole profondità a cui possiamo pe-
netrare, e per conseguenza sarebbe neces-
sario in tal caso discendere ad una più
grande profondità prima di trovare la tem-
peratura necessaria a produrre la fusione.
In questo stato di cose perciò, appunto per
l'accresciuta temperatura di fusione, lo spes-
sore della crosta terrestre deve essere più
grande di quello che dimostrerebbero i pre-
cedenti calcoli. Allo scopo di constatare gli
effetti della maggior pressione i signori Fair-
bairn, Joule e Hopkins intrapresero diversi
esperimenti in Manchester. Il primo scopo
di questi esperimenti, fu la determinazione
dell'effetto della pressionelsulla temperatura
di fusione delle molte sostanze che si pos-
sono cimentare. Noi ci aspettavamo « dice il
signor Hopkins » di incontrare molte diffi-
coltà nell' uso delle enormi pressioni che
provammo, e questa aspettazione si verificò
pienamente; ma fummo però soddisfatti di
conoscere che queste difficoltà possono essere
superate collaperseveranza e colla pazienza,
ed in ciò pure non ci siamo ingannati; perciò
io posso ora asserire con certezza che il
nostro ultimo risultato, rispetto al numero
delle sostanze, è fuoridel dubbio. Però senza
le dotte risorse a disposizione del sig. Fair-
bairn, il successo sarebbe stato disperato.
Al presente, le nostre sperienze furono ri-
strette a poche sostanze e di facile fusibilità;
il nostro apparato però viene adattato per
una serie considerevole di temperature, in
modo che non avremo difficoltà ad otte-
nere ulteriori risultati. Quelli già ottenuti
indicano un accrescimento nella tempera-
tura di fusione proporzionale alla pressione
a cui la massa fusa è soggetta. Impiegando
una pressione di circa 75 mila chilogrammi
per metro quadrato con cera imbianchita,
l'aumento nella temperatura di fusione non
fu minore di 30° Fahr., un quinto circa della
temperatura a cui si fonde sotto la pressione
atmosferica. Non abbiamo ancora verificato
il grado a cui la forza conduttrice di alcune
sostanze può crescere quando si solidificano
sotto grande pressione. Noi speriamo di poter
investigare questo punto colla dovuta at-
tenzione e per tal modo determinare gli
effetti nelle sostanze così solidificate, rispetto
alla loro densità e forza, alle forme cri-
stalline, e alla struttura generale mole-
colare. »
Il signor Hopkins spiega coli' ajuto di
opportune tavole la natura delle disposizioni
meccaniche per sottoporre i materiali alla
pressione durante la fusione. La cera ecc.
furono poste in una robusta camera di ferro,
e la pressione venne applicata per mezzo
di un pistone adattato in' un piccolo cilin-
dro riempiuto d' aqua. Il pistone fu spinto
mediante una lunga leva, e mantenuto in
questa posizione da un grosso peso , come
la valvola di sicurezza di una macchina
a vapore. L'artificio adottato per scoprire
quando le sostanze cimentate erano fuse
fu molto ingegnoso. Venne insinuata una
piccola calamita nella parte superiore tra
la cera e l'esterno della camera di ferro
ed allo stesso livello della calamita venne
collocato un ago magnetico. Allora, fissata
la deviazione dell' ago, qualunque cambia-
mento nella posizione della calamita pro-
durrebbe un'alterazione nella deviazione. Nel
momento in cui la cera si fuse, la calamita
cadde al fondo, ciò che venne immediata-
mente indicato dalla vibrazione dell'ago.
Nel corso di questi esperimenti si mani-
festò una circostanza molto curiosa. Si trovò
che il pistone discendeva gradatamente, e
nel cercarne la causa si conobbe che l'aqua
nel cilindro era forzata attraverso i pori del
tubo di ferro, il cui spessore era di m. 0,0189.
Esaminando la tessitura del ferro con una
lente, non fu possibile accorgersi della ben-
Voi. HI.
Luglio 1855.
50
GIORNALE DELL INGEGNERE
che minima apertura per la quale l'aqua
avesse potuto passare attraverso il metallo.
C. E. A. J.
un semplice argomento di accademiche di.
scussioni.
Telegrafia elettrica.
(Vedi la Tav. 8, figura 1 alla 4.)
La Gazzetta piemontese del giorno 22 Giu-
gno 1835, K.0 152, rapporta la felice riu-
scita dell'esperimento fatto il 20 detto mese
dal professore cavalier Botto sul filo del
telegrafo elettrico corrente da Torino a Mon-
calieri, comprovante il fatto della reale tra-
smissione simultanea di due dispacci elet-
trici in senso opposto; ed accenna ad una
diversità di apparati da quelli del sig. Gu-
glielmo Gintl , direttore dei telegrafi in
Vienna. (l)
Sia lode al Botto per la traduzione in
fatto dal canto suo pure del principio della
coesistenza di due correlili contrarie simul-
tanee elettriche del medesimo filo , e per
la invenzione di nuovi apparati; ma sia bene
conoscersi da tutti la storia di questa stra-
ordinaria scoperta , il nome di coloro che
la presentirono, che la studiarono, che la
propalarono, ed infine il nome di que' no-
stri Italiani che più di tutti colle loro lu-
cubrazioni, coi loro esperimenti giovarono
alla dimostrazione della verità della sco-
perta medesima. A questo oggetto pertanto
valga la memoria letta dal professore si-
gnor Luigi Magrini, all'adunanza 8 Feb-
braio 1855, dell'I. B. Istituto Lombardo
di Scienze, Lettere ed Arti in Milano; e
valga la stessa appunto perchè fa chia-
ramente conoscere quanto abbia il lodato
professore medesimo operato a prò del por-
tentoso trovato, nel mentre non ha egli la-
sciato di indicare tutti coloro che si occupa-
rono in proposito, e che giovarono a far sì che
non restasse una semplice idea scientifica,
(l) Di questo argomento si è già parlato in
questo Giornale nei Fascicoli 1 e 2, 5 e 6, 7 ed 8,
e 9, dell'anno secondo, a pagine 87,319, 442
e 508.
Notizie storiche, considerazioni ed esperi-
menti sul quesito : Possono in uno stesso
filo coesistere due correnti contrarie, e
trasmettersi simultaneamente due dispacci
elettrici in senso opposto? — Di Luigi
Magrini, M. E.
Più volte negli anni 1853-54 all'Istituto
scientifico di Francia si aprirono discus-
sioni ed indagini per vedere se sia possi-
bile che due correnti dirette per verso con-
trario circolino simultaneamente nello stesso
filo. E intanto che la questione si agitava
a Parigi, il direttore dei telegrafi austriaci
signor dottor Guglielmo Gintl applicava il
fenomeno alla linea telegrafica da Vienna
a Linz, facendo aperto potersi trasmettere
nello stesso tempo due dispacci elettrici in
senso opposto.
In questi ultimi giorni l'abbate Zante-
deschi , richiamando alcune esperienze da
lui eseguite molti anni addietro ( le quali,
sebbene dirette forse ad altra meta in ori-
gine, possono adesso benissimo connettersi
coli' attuale controversia), entrò animoso
nell' arringo , solennemente dichiarando la
coesistenza di due correnti contrarie nel
medesimo filo essere da recenti sue spe-
rienze comprovata in modo assoluto.
Confidiamo che all'Istituto scientifico Lom-
bardo, il quale molto prima dell'Accademia
di Parigi erasi occupato di questo subbietto,
non riuscirà discaro di vederlo riproposto
nel momento in cui provoca nuove e im-
portanti discussioni sì dal lato scientifico
che dal lato industriale.
Non appena la questione della coesistenza
di correnti contrarie in uno stesso filo acqui-
stava maggior grado di probabilità ecci-
tando 1' attenzione e le ricerche di preclari
ingegni, l'abbate Zautedeschi si accinse a
rivendicarne la priorità, pubblicando nel-
1' Ateneo italiano che stampasi in Parigi
(n. 7 aprile 1834, pag. 6 e seg. ) 1' estratto
di una lettera di Augusto De la Bive a lui
ARCHITETTO
diretta il 15 ottobre 1829, in risposta ad
una sua precedente del 18 maggio, di cui
non fa conoscere il tenore, ma sembra che
proponesse al fisico di Ginevra di determi-
nare fazione reciproca di due correnti in-
canalate ìiel medesimo conduttore.
Ma il documento da lui offerto prova sol-
tanto aver egli invano tentato la soluzione
del quesito; soluzione d'altronde molto
prima inutilmente cercata dal De la Rive
padre e non meno inutilmente ricercata dal
di lui figlio Augusto.
Dieci anni dopo, cioè nel dicembre 4839,
il Zantedeschi ha creduto di essere giunto
a capo delle sue investigazioni, che si af-
frettò di comunicare al fisico ginevrino, e
si possono leggere nella Bibliothéque uni-
verselle (§24, p. 383, anno 1839).
Dalla lettura di questa nota si rileva avere
il Zantedeschi eluse le difficoltà opposte
dal sig. De la Rive col presentare la qui-
stione da un altro lato. Si trattava nel 1829
di determinare V azione reciproca di due
correnti voltiane. De la Rive aveva dichia-
rata la impossibilità di poter contrassegnare
la loro coesistenza in un solo conduttore :
e questa opinione pareva in fine abbrac-
ciata anche dal professore Zantedeschi, spe-
cialmente dopo essere venuto in cognizione
che i professori Marianini e Schònbein, già
varj anni prima, si erano accertati (*) che
due elettromotori, uno dei quali (con acqua
pura) agisca debolmente, e 1"' altro (con
acqua acidulata ) produca deviazioni for-
tissime sul galvanometro , ma dotati en-
trambi della stessa tensione, e si congiun-
gano fra loro in modo che le correnti en-
trino nel filo galvanometrico, da parti oppo-
ste, non portano più alcun effetto sull'ago
calamitato. Cotale esperimento eseguito da
Marianini contro la teoria elettrochimica
fece dire a De la Rive, e ripetere a Zan-
tedeschi , che le correnti elettriche non si
erano incanalate per la via del filo galva-
nometrico , ma che si erano neutralizzate
(1) Ann. de Chimic et Physique, oltob. 1830,
I. 45, pag. 144 — Annali delle scienze del regno
Lombardo-Veneto. Bim. VI, 1841, p. 281.
ed IGRONOMO 51
negli stessi reomotori. Considerando la di-
sposizione dell' apparalo nella esperienza
di Marianini , che si può rappresentare
colla Figura I, dobbiamo convenire che le
due correnti non potevano incanalarsi per
la via del filo galvanometrico A G B ; im-
perciocché non essendo questo filo intro-
dotto nel circuito , ma formando solo un
arco di derivazione propriamente nei punti
ove i due poli opposti delle due pile si con-
giungevano, è indubitato che in questa di-
sposizione l'elettricità svolta da una pila
doveva entrare invincibilmente per la via
più breve nell' altra pila, e le due correnti
coincidendo dovevano circolare assieme pei
conduttori che immediatamente univano i
loro poli opposti: e in siffatta guisa il filo
galvanometrico rimaneva ozioso, perchè in-
teramente abbandonato. Quanto ad una cor-
rente derivata , essa non poteva rendersi
sensibile in un galvanometro poco dilicato,
perchè estremamente piccolo l'intervallo
della derivazione e rispettivamente gran-
dissimo 1' arco della derivazione.
Ma se De la Rive aveva ragione di dire
che le due correnti non si erano incana-
late nel filo galvanometrico, si scostava poi
dal vero asserendo che esse si erano neu-
tralizzate negli stessi elettromotori : per ren-
dere manifeste le correnti bastava intro-
durre il galvanometro fra i punti A e Z' ,
oppure fra i punti B e Z.
Vaglia il vero che esprimendo con E la
forza elettromotrice o la tensione elettro-
scopica (resa eguale nelle due pile), con
B la somma delle resistenze, con 9 la in-
tensità della corrente della pila ad acqua
acidulata, con B' e <p' la somma delle re-
sistenze e la intensità della corrente della
pila ad acqua pura , avremo , secondo la
formola ammessa,
E , E
* = jr¥ =b"
Ora indicando con F la intensità del-
l'azione risultante dalla coincidenza delle
due correnti , si otterrà manifestamente
2 E
F r= . E quindi non potranno neu-
B-{-B
52
GIORNALE DELL'INGEGNERE
tralizzarsi le due correnti: anzi per essere
R <^ R' ne risulterà un efletto sempre
maggiore di 9-
Frattanto la sentenza di De la Rive fece
disperare il Zantedeschi di venire a capo
della sua ricerca , per cui abbandonò egli
la via prima battuta, ossia desistette dal-
l'originario assunto d'incanalare in uno
stesso filo due correnti voltiane per vedere
se gli riusciva di contrassegnare la coesi-
stenza di due correnti eterogenee, una vol-
tiana , proveniente da un reomotore ordi-
nario , 1' altra faradiana , indotta dal ma-
gnetismo.
Per tale oggetto prese un dei galvano-
metri costrutti dal prof. Marianini: lo in-
trodusse nella spirale d' induzione di una
macchina magneto-elettrica, ed ottenne per
la virtù induttiva del magnetismo una de-
viazione di 20°. Avendo poi chiuso il cir-
cuito tra il filo galvanometrico ed una coppia
voltiana a bagno di acqua dolce, vide l'ago
declinare di circa 10 gradi.
Ora mentre sussisteva la corrente voltiana,
Zantedeschi asserisce di avere, girando de-
stramente l'apparato, rimesso l'ago del gal-
vanometro a zero della scala; e quindi fa-
cendo muovere di mezzo in mezzo giro
l'induttore della macchina magneto-elet-
trica, dichiara avervi veduto l' ago del gal-
vanometro togliersi dalla sua posizione di
equilibrio di 6° ora in un senso ed ora
nel senso opposto.
Ecco l'esperimento eseguito dal prof. Zan-
tedeschi nel dicembre dell'anno 4839, pubbli-
cato nella Bibliothéque universelle (§ 24,
p. 383 di quell'anno medesimo), e negli An-
nali delle scienze del Regno-Lombardo- Ve-
neto (Bim. VI, 1841),, col quale egli adesso
intende avere sino d'allora sciolta l'attuale
questione.
E qui merita di essere osservato che,
sebbene l'originario assunto del Professore
di Padova fosse quello di determinare ì'a-
zione reciproca di due correnti voltiane
incanalale nel medesimo filo, siasi egli li-
mitato nelle accennate pubblicazioni a de-
scrivere 1' esperimento senza ben formo-
lare una conclusione che facesse vedere il
nesso sussistente tra gli efletti finali otte-
nuli e la controversia , contentandosi egli
di avvertire che le correnti magneto-elet-
triche s'infievolirono sommamente per la
resistenza incontrata nell' attraversare lo
strato liquido che divideva la lamina di
zinco da quella di rame dell' elettro-motore
da lui impiegato. Invero, dalla intera cor-
rente che deviava l'ago di 20°, ottenne solo
deviazione di 6° allorché veniva costretta
di passare attraverso la coppia voltiana.
Notava così un effetto estraneo all' assunto,
il quale d'altronde anziché dalla resistenza
del liquido potevasi far derivare, almeno in
parte, dalla cercata azione reciproca delle
due correnti.
Non dobbiamo inoltre passare sotto si-
lenzio, che considerando la quistione anche
nella nuova fase in cui l'ha posta il prof.
Zantedeschi, le prove dei fatti esposti sono
incerte e inammissibili.
l.° Incerta è la valutazione della forza
di una corrente fondata sull'ampiezza del-
la prima escursione dell' ago calamitato :
le correnti indotte essendo fugaci, non si
possono valutare che I dalla prima escur-
sione.
2.° La intensità della corrente varia se-
condo la velocità con cui si fa girare L'ini
dutlore. Ora il prof. Zantedeschi non dice
come abbia potuto assicurarsi che i mezzi
giri da lui fatti fare all'induttore sieno stati
eseguiti sempre colla stessa velocità.
3.° Non avendo impiegato una pila a forza
costante, ma un elemento volliano di pochi
pollici di superfìcie immerso in acqua dolce,
la corrente doveva scemare d' intensità in
breve tempo, e rendersi fors' anco insen-
sibile ad un galvanometro poco dilicato;
nessuna legittima conseguenza potevasi dun-
que derivare intorno agli effetti della sua
azione, e molto meno intorno alla sua in-
dipendenza da altre correnti.
4.° Le correnti indotte manifestandosi ora
in un senso ed ora nel senso opposto, do-
vevano rendersi ora coincidenti colla cor-
rente voltiana, ora contrarie alla medesima:
e perciò se le deviazioni dell'ago galvano-
metrico risultavano eguali nei due casi,
ARCHITETTO
nasce il sospetto clic la corrente voltiana
fosse allora divenuta insensibile.
Le prove dei fatti accennati non sono dun-
que ammissibili, e la quistione fino a quest'
epoca rimaneva tuttavia insoluta.
Del resto non possiamo non convenire
che, sebbene le azioni delle correnti indotte
sieno di un ordine molto diverso da quello
delle azioni delle correnti voltiane, e le
prime si attengano più agli effetti della elet-
tricità statica che a quelli della elettricità
dinamica, sarebbe stato di somma impor-
tanza l'aver messo fuor di dubbio la coe-
sistenza indipendente di queste due diverse
specie di correnti nel medesimo filo.
Trovavasi in questo stadio la quistione ,
quando noi abbiamo assunto di studiarla
nella sua originaria forma ed estensione.
Ci siamo avvisati di dare all'apparato
un cosiffatta disposizione] che permettesse a
due correnti voltiane a forza costante , di
percorrere due distinti circuiti, e di eserci-
tare, se lo potessero, simultaneamente la
loro azione, ciascuna sul proprio galvano-
metro, mediante tre fili, uno dei quali ser-
visse di comune veicolo.
Ecco una tavola orizzontale Figurali,
con tre reofori disposti parallelamente tra
loro. L'orditura del galvanometro I si uni-
sce con un estremo al reoforo sinistro, col-
l' altro estremo al reoforo centrale A B:
l'orditura del galvanometro II va pure unita
con un estremo allo stesso reoforo centrale,
coli' altro estremo al reoforo destro.
Abbiamo impiegato due coppie di Danieli
a forza costante, una con superficie attiva
più che doppia di quella dell'altra. Posta
in azione la coppia più piccola in una delle
sperienze fatte, il galvanometro I deviò
di 15° a indice fisso. Successivamente la
corrente generata dalla coppia più grande
fece deviare 1' ago del galvanometro II
di 27°.
Poste in azione le due coppie simultanea-
mente, in guisa che il reoforo centrale fosse
in contatto col polo rame dell'una e nello
stesso tempo col polo zinco dell'altra coppia,
questo reoforo centrale A B ha ^dovuto
trovarsi nella circostanza di poter servire
ED AGRONOMO 53
a comune veicolo delle due correnti con-
trarie, come viene indicato dalle freccie.
Così disposto l'apparato, i due galvano-
metri segnarono di fatti simultaneamente a
indice fisso quelle stesse deviazioni (15°, 27°)
che si erano prima notate quando i circuiti
si chiusero separatamente.
Nell'adunanza 3 aprile 1844 questo Corpo
accademico assisteva al descritto esperi-
mento, dai risultamenti del quale abbiamo
creduto poter conchiudere che il filo cen-
trale posto a comune veicolo o permette
realmente a correnti contrarie, comunque
disuguali , di trasmettersi nel medesimo
tempo., senza cagionare alle rispettive loro
intensità alterazione sensibile, od è dotato di
una proprietà che può , quanto agli effetti,
corrispondere a questo ufficio; sino d'al-
lora prevedendo che tale proprietà impor-
tante dal lato scientifico, poteva divenirlo
anche dal lato industriale per la sua ap-
plicabilità alla moderna telegrafia.
Questa conclusione veniva avvalorata dal
fatto che, togliendo o interrompendo il con-
duttore centrale A B durante l'azione con-
temporanea delle due coppie, le deviazioni
si alteravano grandemente, aumentando nel
galvanometro I e diminuendo nel galvano-
metro II., le due correnti essendo obbligate
a coincidere in un solo circuito con muta-
mento di forza elettromotrice e di resistenza.
Il nostro esperimento veniva chiarito nel
Giornale di questo I. R. Istituto per 1' an-
no 1844 (T. IX, p. 28, dell'antecedente serie
in 8.°), discusso all'Accademia delle scienze
di Parigi nell'ultima seduta di giugno 1845,
quindi riportato nei Comptes rendus (T. XX,
1845, § 32, p. 190), ov'è accennato che
ci studiavamo eziandio d' interpretarlo col
principio delle vibrazioni. Il dott. Quesne-
ville lo riproduceva nella Bevue scientifi-
que et indiistrielle (IV. 73 del 1846, p. 51 e
seguenti); e i signori Breguet e Gounelle,
tacendo il nostro nome , Io confermavano
sulla linea telegrafica da Parigi a Roa-
no, attirando l'attenzione del Parlamento
francese, il quale nel 7 aprile 1847 invia-
va una Commissione per riconoscere l'im-
portante fenomeno. « Di concerto col si-
54
GIORNALE DELL'INGEGNERE
gnor Gounelle, dice Breguet nella sua rela-
zione all'Accademia di Parigi, abbiamo pro-
vato di trasmettere nello stesso momento
sulla linea da Parigi a Roano varj segnali
in senso inverso. 1 segnali sonosi riprodotti
dall'una all'altra parte colla massima esat-
tezza. La esperienza fu ripetuta parecchie
volte, fra le altre il 7 aprile 4847 (conti-
nua Breguet) in presenza di una Commis-
sione della Camera dei Deputati, ed il suo
successo riuscì mai sempre completo ».
Maigno, a pagina 255 del suo Traile de
Télégraphie électrique pubblicato nel 1852,
riporta il nostro esperimento; alla pagina
301 descrive quello dei signori Breguet e
Gounelle , e ne tocca la spiegazione rife-
rendola ad un fenomeno di ottica.
In seguito, verso la fine del 1852, nel
Tom. Ili della nuova serie del Giornale di
questo I. R. Istituto, ci siamo di nuovo oc-
cupati delle particolarità del fenomeno di
cui si fa parola, estendendo le esperienze di-
rette a comprovarlo , ed esponendo consi-
derazioni tendenti a coordinarlo ai principi
della meccanica molecolare.
Il sig. Masson , prof, di fisica al Liceo
Louis le Grand, rendeva consapevole l'Ac-
cademia delle scienze di Parigi nell' adu-
nanza 7 febbrajo 1853, che due correnti
elettriche propagandosi nell'aria rarefatta
e in senso contrario, possono coesistere
senza distruggersi, ma che cessano di pro-
durre nello spazio comune la scintilla; ed
aggiungeva che due correnti d'induzione
possono attraversare uno stesso filo, cam-
minando in senso contrario senza alterarsi
reciprocamente.
In seguito anche i signori De la Provo-
staye e Desains comunicavano all' Istituto
francese le loro ricerche sulla possibilità
della circolazione in un medesimo circuito
di due correnti contrarie. Due fili di platino
perfettamente identici venivano portati alla
incandescenza da due pile composte di uno
stesso numero di coppie eguali, ciascun filo
entrando nel circuito della propria pila. Ma
approssimando i due fili e applicandoli uno
contro l'altro, 1.° se le due pile si uniscono
mediante i poli dello stesso nome, la parte
comune diventa molto più brillante; 2.° se
le due pile si congiungono coi poli di nome
contrario, la parte comune si estingue re-
pentinamente. Il fatto è semplicissimo: e
pure motivò interpretazioni contradditorie.
I signori De la Provostaye e Desains af-
fermano : 1.° che in ambo i casi le due cor-
renti sussistono, e circolano realmente nella
parte comune; 2.° che questa parte comune
si estingue nel secondo caso , perchè le
azioni esterne delle effettive correnti in senso
contrario si neutralizzano, senza che le
correnti cessino di circolare.
I signori Foucault e Regnault si mostra-
rono sommamente sorpresi di questa inter-
pretazione , e la giudicarono anzi stranis-
sima. Nel 1.° caso, in cui le pile si uniscono
coi poli dello stesso nome, e costituiscono
una pila unica di doppia superficie e in-
tensità,- essi ammettono che le due correnti
passino effettivamente nella parte comune,
e coincidano per produrre una maggiore
incandescenza; e negano asseverantemente
che nel secondo caso, in cui le pile si con-
giungono coi poli di nome contrario, le cor-
renti circolino realmente nella parte comune;
sostengono anzi che non vi possa sussistere
corrente di sorta alcuna.
Su di che non è senza importanza il notare
che se una corrente nulla , e due correnti
eguali che neutralizzano le loro azioni ester-
ne sono la stessa cosa per riguardo all'effetto
prodotto sulla parte comune, considerati
però in sé al punto di vista teorico e per
riguardo alle applicazioni, i due concetti
hanno un significato e un valore differen-
tissimo.
Augusto De la Rive entra nell'arringo,
affermando che 25 anni prima dei signori
De la Provostaye e Desains aveva eseguito
lo stesso esperimento, e che la interpreta-
zione del risultato negativo ottenuto colle
correnti opposte non poteva essere dubbioso.
Ecco a cosa si riduce , secondo il De la
Rive, V esperimento.
Si hanno due pile voltiane, ciascuna di
un certo numero di coppie eguali: esse si
uniscono fra loro coi poli contrai] mediante
due conduttori in modo di formare un cir-
ARCHITETTO
cuito completo. Si congiungono con un filo
di platino questi due conduttori; se una
corrente derivata attraversasse questo filo,
essa non potrà, die' egli, che essere debo-
lissima , l' interno di ciascuna pila condu-
cendo, a parer suo, la corrente con mag-
giore facilità che il filo di platino; la qual
cosa De la Rive crede comprovata dalla
incandescenza che acquista il detto filo
quando si trova nel circuito dell'uno o del-
l'altro reomotore. E perciò egli giudica
1' esperimento concepito dai signori De la
Provostaye e Desains impossibile ad effet-
tuarsi; vale a dire, crede che non si pos-
sano far camminare due correnti elettriche
in senso contrario per un solo filo me-
tallico.
Ma questa spiegazione di De la Rive non
ci soddisfa, perchè non possiamo ammet-
tere la resistenza di un certo filo di platino
essere maggiore di quella che alla circola-
zione della corrente presentano i truogoli,
cioè i solidi ed i liquidi nell' interno delle
pile. D' altronde il fenomeno della incan-
descenza del filo collocato nell'uno o nel-
l'altro circuito non include veruna condi-
zione che faccia argomentare questo eccesso
di resistenza.
I fatti precedentemente osservati dal prof.
Masscn l'avevano naturalmente condotto
ad estenderne le ricerche; ma egli non ne
aveva pubblicate le risultanze, quando i si-
gnori De la Provostaye e Desains fecero
conoscerei fenomeni che già abbiamo sopra
riferiti. Masson affrettossi pertanto a riven-
dicare la priorità dei fatti in loro confronto,
dichiarando nella stesso tempo che l'espe-
rienze eseguite alla maniera de' suoi nobili
rivali conducevano a risultamenti assai dub-
biosi. Suppongono essi che due correnti
elettriche opposte circolino nel filo di platino
che resta freddo: tale coesistenza, dice Mas-
son, è possibile: ma le sperienze nelle con-
dizioni in cui vennero fatte , non la com-
provano , giacché nel filo unico o nei due
fili sovrapposti, anziché sussistere due cor-
renti in senso inverso, potrebbe esservi as-
soluta mancanza di corrente, come pensa
De la Rive. Per la qual cosa il prof. Mas-
ED AGRONOMO 55
son è di parere, che la dimostrazione non
riuscirà rigorosa se non quando alle pile,
ove la forza elettrica reagisce sull'azione
chimica , verranno sostituite altre fonti di
elettricità che possedano una esistenza in-
dipendente dalla corrente, e che questa non
possa modificarsi reagendo sulla causa che
la produce. Crede il prof. Masson che gli
apparati magneto-elettrici o d' induzione
appartengano a questa classe di sorgenti ;
e tale sua idea ci sembrerebbe invero giusta
e felicissima se le correnti indotte conser-
vassero quella continuità che forma il ca-
rattere delle correnti voltiane.
Comunque ciò sia, giova qui riportare i
fatti principali dal prof. Masson annunciati
all'Accademia delle scienze di Parigi nel-
l'adunanza 5 dicembre 4853 (Comptes ren-
dus, 2° sem. 4853, T. 37, p. 850) come ot-
tenuti da correnti (generate da due apparati
d'induzione di Rhumkorff, ciascuno animato
da 46 coppie di fiunsen) che si propagano
in un medesimo circuito agendo nello stesso
senso o in senso contrario.
Le correnti dirette, ossia rese coincidenti
in un apparato di decomposizione, produ-
cono un'azione chimica molto energica; e
rendono le punte degli elettrodi sommamente
luminose: le correnti opposte invece arre-
stano l'ordinaria azione chimica, danno però
ancora qualche decomposizione che reca
a ciascun polo gli stessi prodotti, le punte
degli elettrodi si eclissano, ma sono ancora
mantenute al calor rosso bruno.
Gli effetti fisiologici, cioè le commozioni,
si manifestano colla stessa forza, comunque
le correnti si dirigano nel medesimo verso
o per verso contrario.
D'altra parte, gli effetti calorifici in un
conduttore continuo ed omogeneo mancano
interamente quando le correnti sono inverse.
E siccome questi ultimi effetti sono dovuti
all'azione dinamica delle correnti, e le com-
mozioni sono il risultato della tensione della
corrente che passa dai metalli ai liquidi ,
ossia dai conduttori di 4.a classe a quelli
di 2.a classe, e viceversa; così Masson giu-
dica gli effetti fisiologici favorevoli alla opi-
nione che due correnti eguali ed opposte
GIORNALE DELL' INGEGNERE
possano coesistere senza distruggersi, e
senza produrre effetti dinamici.
Il sig. Moigno nel Cosmos (An. 3.° 1854,
T. 1Y, p. 216), pensando agli esperimenti
dei signor De la Provostaye e Desains,
spinge più lontano le sue vedute , suppo-
nendo che il filo comune di platino venga
soppresso , e che le due pile si uniscano
semplicemente coi poli dello stesso nome,
per cui le correnti si rendono contrarie. E
ili tal caso che cosa dee avvenire? Si pos-
sono fare, die' egli, due supposizioni: 1.°
che le due correnti circolino in senso con-
trario in tutta la estensione del comune
circuito, e vi sarà corrente senza tensione,
e quindi senza azione esterna ; 2.° che le
correnti inverse non circolino minima-
mente, e nemmeno si annullino, ma si ten-
gano in bilico, vale a dire si facciano equi-
librio , come si fanno equilibrio nel canale
che congiunge due vasi comunicanti due
colonne di liquido della medesima densità
ed altezza. Quale di queste due ipotesi è
la più probabile?
Moigno propende per la prima. Foucault
si è dichiarato per l'opposta sentenza: egli
crede vera soltanto la seconda ipotesi, vede
nel paragone dei vasi comunicanti la espres-
sione del fatto della natura, e considera la
corrente come la circolazione di una reale
vena fluida: due correnti contrarie e simul-
tanee in uno stesso filo sono da lui giudicate
una impossibilità assoluta.
Noi , abbandonata la idea della fluidità
elettrica o di materia che si traslata, siamo
da molto tempo disposti a credere che le
forze o cause di due correnti contrarie ed
eguali possono trasmettersi per uno stesso
filo senza distruggersi non meno che senza
manifestarsi nella comune porzione di cir-
cuito.
Ma seguitiamo la narrazione dei fatti.
L'abbate Zantedeschi dopo avere de-
scritte nell'ateneo italiano alcune esperienze
da lui eseguite a Vienna nel novembre
del 1853 in concorso del sig. Gintl, dalle
quali risulta potersi avere corrente a cir-
cuito aperto, od almeno a circuito che non
si chiude nel modo ordinario (perciocché
fra una lamina metallica sepolta nella terra
a Vienna e un filo metallico lungbissimo
disteso da Vienna ad Hermanstadt, daVienna
a Salisburgo, da Vienna a Trieste, da Vienna
ad Olmiitz, sostenuto ed isolato nell'atmo-
sfera, sonosi manifestate correnti elettriche,
esperienze del tutto analoghe a quelle da
noi fatte nel 1844 da Milano a Monza al-
l'epoca della sesta riunione degli scienziati
italiani, e nel mondo scientifico abbastanza
conosciute),: descritte le anzidette espe-
rienze , l'abbate Zantedeschi, nello stesso
fascicolo Ae\Y Ateneo italiano, descrive pur
anche l'esperimento di corrispondenza si-
multanea in due direzioni contrarie con un
solo filo, eseguito il giorno 22 ottobre 1854
dal sig. Gintl, e al quale assisteva il Pro-
fessore di Padova.
Merita di essere notato che questa corri-
spondenza simultanea in senso contrario
felicemente effettuata in Vienna col telegrafo
elettro-chimico di Gintl, il cui modo di co-
struzione è tenuto ancora segreto, non siasi
potuta ottenere col telegrafo di Morse. Que-
sta circostanza tenderebbe di prima giunta
ad avvalorare 1' opinione che se i due se-
gnali vengono ricevuti, le due trasmissioni
non sono rigorosamente simultanee, ma che
la corrente nel medesimo filo passa in tempi
differenti ora in un senso ed ora nell'altro,
potendo le pulsazioni esercitate sui tasti
non essere a tutto rigore simultanee. Pare
di fatto che l'azione chimica domandi per
esercitarsi un tempo più breve di quello che
domanda l'azione meccanica per l'attrazione
delle calamite temporarie. Si concepisce
pertanto di leggieri in questa ipotesi che
una differenza anche sommamente piccola
di tempo tra due pulsazioni alle due sta-
zioni estreme potrebbe bastare a una im-
pressione chimica e non bastare a una im-
pulsione meccanica; lo stesso Zantedeschi
dopo avere assistito agli esperimenti del
sig. Gintl pareva devenuto a siffatta con-
clusione. Ma ritornato in Padova, mutò pa-
rere dopo avere eseguito un esperimento,
che si può ridurre alla più semplice espres-
sione colla Figura III.
Sopra un medesimo tavolo sono dispo-
ARCHITETTO
sti due telegrafi di Morse in T e T, e due
pulsatori , ognuno colla sua pila ,, in P e
F. Chiusi i circuiti li R A T Z R, R'
A B T Z' R' con filo di rame, la porzione
A B comune ai due circuiti dovrebbe es-
sere percorsa simultaneamente dalle due
correnti opposte. Ora per la disposizione
dei circuiti medesimi, le due correnti delle
due pile potrebbero camminare o per la di-
rezione RB T Z' R' A TZRo nelle dire-
zioni RRATZR,R' ART Z R'; nel 1.°
caso, sul filo AR non vi sarebbe alcuna
corrente: ed i segni trasmessi dal pulsa-
tore P dovrebbero stamparsi anche in T ,
e quelli trasmessi dal pulsatore P' dovreb-
bero stamparsi anche in T. Nel 2.° caso sul
filo centrale A B le due correnti s'incon-
trerebbero, e se non vi avesse luogo equi-
librio, né conflitto o perturbamento di sorta,
le pulsazioni di P dovrebbero imprimersi
sulla carta dell'apparato T, e le pulsazioni
di P' sulla carta dall' apparato 7". L'espe-
rienza fatta dal Zantedeschi avrebbe ap-
punto verificata quest'ultima supposizione,
per cui il filo A B sarebbe percorso nello
stesso tempo da due correnti in senso con-
trarie.
Moigno nel Cosmos 1854 (Anno 3, Voi. 5,
fase. 24, pag. 688 e seguenti ) sembra aver
cambiato di parere sul modo di considerare
il fenomeno in questione e combatte que-
sta conclusione del Zantedeschi perchè
non la vede bene contenuta nelle pre-
messe , nulla ancora provando agli occhi
suoi la simultaneità assoluta delle due cor-
renti; ed ecco com' egli ragiona. Nell'espe-
rimento del Zantedeschi il filo di rame AB
aveva la lunghezza di un metro: la corrente,
ammesso che abbia la velocità di cento mila
chilometri per secondo, avrebbe impiegato
un cento milionesimo di secondo a percor-
rere il detto filo A B. Ora si può scom-
mettere, die' egli, dieci miliardi contro uno ,
esservi un intervallo maggiore di un cento
milionesimo di secondo fra le pulsazioni di
due trasmettitori; o per meglio dire, è as-
solutamente impossibile che non sussista
un intervallo di tempo molto maggiore di
un cento milionesimo di secondo tra le pul-
Voì. 111. Agosto 1855
ED AGRONOMO 57
sazioni esercitate sui tasti. Questo esperi-
mento adunque , conclude il Moigno , non
dimostra l'assunto.
Noi non possiamo convenire in cotale
sentenza. Lo scienziato francese non avrebbe
questa volta rettamente estimati i fenomeni
ottenuti dal professore Zantedeschi, il quale
assevera che un abile meccanico colla sua
destra telegrafava dei punti nello stesso
tempo che colla sua sinistra telegrafava
delle linee. La continuità d'azione che do-
manda la scrittura di una linea sembra
escludere affatto gli intervalli di tempo gra-
tuitamente supposti da Moigno.
Dobbiamo anzi dichiarare che l'esperi-
mento del Professore di Padova ci ha re-
cato soddisfazione, avendo egli infine adot-
tato il metodo che noi praticammo nell'a-
nalogo esperimento eseguito 1' anno 1844,
mediante il quale fino d'allora siamo ve-
nuti alla stessa conclusione, colla sola dif-
ferenza che ai due galvanometri da noi
impiegati egli sostituì due apparati tele-
grafici di Morse.
Se non che il professore Zantedeschi om-
mise una importante osservazione che va-
leva forse a troncare le difficoltà opposte
da Foucault, e che non fu da noi trascu-
rata nel succitato esperimento del 1844. A
porre fuori di dubbio che il reoforo cen-
trale o permette la trasmissione delle due
correnti inverse , od è dotato di qualche
proprietà che corrisponde a questo ufficio,
il Zantedeschi doveva osservare che cosa
sarebbe avvenuto dei segnali trasmessi qua-
lora il reoforo centrale fosse stato levato
o interrotto. Se per la eguaglianza delle
due correnti opposte succedesse la loro neu-
tralizzazione o l'equilibrio nel detto reoforo,
in modo d'impedire che per esso si tra-
smettano le cause atte a manifestare le cor-
renti stesse nelle altre parti del circuito, il
reoforo centrale potrebbe essere levato im-
punemente, vale a dire si otterrebbero an-
cora gli stessi effetti, sebbene le due cor-
renti fossero allora obbligate di coincidere
e propagarsi unitamente nel circuito R B
TURA TZR. Ora togliendo il reoforo,
gli effetti si alterano per modo che i due
8
58
dispacci non possono più essere trasmessi.
Vedrete, onorevoli Colleghi, colle esperienze
che avremo l'onore di eseguire dopo la
presente lettura, che niuna delle due cor-
renti potrà circolare separatamente; circo-
leranno entrambe solo allora che i due pul-
satori saranno posti simultaneamente in
azione , ma si produrranno ogni volta gli
stessi segnali in ambedue le stazioni.
E perciò crediamo non esservi annulla-
zione di correnti nel reoforo centrale, cioè
crediamo che le forze o cause dei due moti
elettrici possano esservi trasmesse simulta-
neamente in senso contrario.
Non possiamo nascondere che questa no-
stra maniera d'interpretare i fenomeni con-
seguiti cogli apparati di Morse può andare
incontro ad altra obbiezione. Tenendo pre-
muto il tasto P, si ottiene nell'apparato
scrivente T della stazione opposta una linea:
se durante questa pressione sul tasto P, il
corrispondente abbassa il proprio tasto P'per
mandare dei punti sull' apparato scrivente
T' dell'interlocutore, questi punti vi si pro-
durranno in realtà, mentre dall'altra banda
seguiterà tuttavia ad essere tracciata la li-
nea. Il che non succederebbe per causa che
le correnti contrarie effettivamente si tra-
smettono nel filo centrale , ma perchè al-
l' atto del simultaneo abbassamento del se-
condo tasto le due correnti diventano coin-
cidenti , cioè abbandonano il filo centrale ,
entrano nelle pile e circolano pel filo esterno
continuando l'azione già incoata dalla prima
corrente.
Ma a ciò si risponde 'osservando: 1.° che
se tale distribuzione di correnti è possibile,
non ne viene di necessità che realmente
abbia luogo; 2.° che sebbene l'esperimento
fatto cogli apparati di Morse lasci invero
sussistere il dubbio (non essendo tali appa-
rati suscettibili di manifestare le variazioni
d'intensità che le correnti devono subire
per la mutata loro distribuzione), l'espe-
rimento fatto invece coi galvanometri lo to-
glie interamente, rendendo essi apertissime
le variazioni d' intensità delle correnti ,
quando si tolga il reoforo comune.
Per avvalorare le cose esposte si pren-
GIORNÀLE DELL INGEGNERE
dano quattro coppie di Danieli con diversa
superficie attiva , indicate coi numeri ara-
bici d, 2, 3, 4, nella Figura IV, e quattro
galvanometri rappresentati coi numeri ro-
mani I, II, III, IV, disponendoli in modo
che per uno stesso filo A B possano nello
stesso tempo camminare le quattro correnti,
due coincidenti nei circuiti li B A C 1 Z R,
ìj B A 1 V z' r' , e due opposte alle prime
nei circuiti R' 1ICABZR', ri 11 AB
% r: si vedrà che esse produrranno simul-
taneamente effetti eguali a quelli che ma-
nifestano quando si fanno agire una dopo
1' altra nel proprio circuito.
Ed a confermare che il filo A B comune
ai quattro circuiti permette il passaggio si-
multaneo alle cause delle quattro correnti,
o è dotato di una proprietà corrispondente
a questo ufficio, si può ripetere l'osserva-
zione , che interrompendo questo filo du-
rante l'azione contemporanea dei quattro
elettromotori, tutti gli effetti galvanometrici
si alterano grandemente ; di che si rileva
facilmente la ragione considerando che in
tal caso si mutano i circuiti e si modificano
tanto le forze elettromotrici quanto le re-
sistenze.
Per la disposizione data al nostro ap-
parato crediamo poter considerare le coppie
voltiane come altrettante bottiglie di Leida,
per riguardo agli effetti della tensione e
della corrente che nasce dalla scarica. È
noto che due bottiglie isolate non si sca-
ricano mettendo in comunicazione l'arma-
tura interna dell'una coli' esterna dell'altra:
la scarica ha luogo soltanto allora che co-
municano tra loro le due armature interna
ed esterna di ciascuna bottiglia. L' equili-
brio elettrico rotto fra il rame e lo zinco
di ciascun reomotore tende invincibilmente
a ristabilirsi attraverso il proprio liquido
se non avvi interruzione.
Dovendo dar termine alla nostra esposi-
zione , v'invitiamo, onorevoli Colleghi, a
volgere indietro per un istante lo sguardo
sul cammino che abbiamo percorso, e ri-
conoscerete che la simultanea trasmissione
nello stesso filo delle forze o cause che
danno origine a correnti contrarie conta in
ARCHITETTO
suo favore i nostri esperimenti del 1844,
quelli posteriori di Breguet e Gounelle,
quelli di La Provostaye e Desains, quelli
di Masson, di Gintl, ed i nostri più recenti
che riprodurremo alla vostra presenza.
La trasmissione simultanea di correnti
contrarie nel medesimo filo è pur conva-
lidata dal paragone fra la propagazione
delle correnti elettriche e la propagazione
della luce e del suono. Il passaggio simul-
taneo delle forze atte a generare correnti
in senso contrario può essere assimigliato
al fatto di una moltitudine di raggi lumi-
nosi che partendo insieme da tutti i punti
di un vasto orizzonte passano per lo stesso
forellinó praticato in una carta, senza che
la visione cessi di essere distinta. La coe-
sistenza di dette forze elettriche contrarie
che nello stesso conduttore cagionano un
abbassamento di temperatura in confronto
d'allora che sono coincidenti ha per sé il
principio delle interferenze, per il quale luce
aggiunta a luce può dare oscurità; ha per
sé i principii di meccanica razionale, po-
tendo ricevere una spiegazione colle note
leggi della trasmissione simultanea di moti
contrarli per una serie di corpi elastici, ed
ha eziandio per sé il principio della sovrap-
posizione dei piccoli movimenti. Il mini-
missimo spazietto percorso in un istante da
un corpo sollecitato da più forze (spazietto
che può dirsi un punto) rappresenta alla
nostra mente tutti i minimissimi spazietti
che percorrerebbe per l'effetto di ciascuna
forza isolata: così si ravvisano in un solo i
singoli movimenti. Possiamo incontrare que-
sto principio della sovrapposizione dei piccoli
movimenti , gettando sassi in diversi punti
sovra una superficie d'acqua stagnante. Ve-
dremo formarsi molti sistemi di onde cir-
colari che incrocicchiandosi si propagano
senza alterarsi 1' un l'altro. Nei punti d'in-
crocicchiamento, per il detto principio, po-
tremo ravvisare separati i moti che appar-
tengono a ciascun sistema di circoli.
Concepiamo potersi appunto effettuare in
modo analogo la trasmissione di varii moti
elettrici in un conduttore. Né altrimenti ac-
cade quando per l'aria di una stanza si
ED AGRONOMO 59
propagano suoni di diversi strumenti: le
onde aeree s'incrocicchiano in tutti i sensi
senza alterarsi, e prova ne sia l'udirsi ben
percepiti tutti i suoni come se si produces-
sero uno alla volta.
Se una corrente consistesse veramente
nell'efflusso di una vena fluida, è certo che
questa vena non riempirebbe un filo con-
duttore, perchè la circolazione di due o più
correnti nello stesso senso per uno stesso filo
è ammessa da tutti. Ma questo fatto invero
non si accorda col paragone dei vasi co-
municanti di Foucault meglio che la cir-
colazione di due correnti in senso contrario.
Diamo invece che la corrente fosse il ri-
sultato di una serie di vibrazioni , niente
opporrebbesi alla trasmissione simultanea
di correnti in senso contrario, niente oppor-
rebbesi alla indipendenza delle loro cause.
La materia elettrica e la sua fluidità,
come venne finora considerata nelle scuole,
non è che un simbolo, dice il prof. Maas
nel Bidletin de fjeadémie Royale de Bel-
giqùe (T. XIV, P. 1. 1849, pag. 167 e seg.);
il suo modo di azione non è pur altro che un
simbolo, e per conseguenza pare non por-
tersi considerare come causa fisica né per
la sua essenza né per le sue qualità. An-
che l'illustre Faraday più volte fu indotto
dalla logica inesorabile dei fatti a riferire
la natura della elettricità a piccoli moti in-
testini.
In breve la ipotesi della fluidità elettrica
forse più non servirà che alla storia della
scienza.
La surriferita Memoria del prof. Magrini
sulla trasmissione simultanea di correnti
elettriche contrarie nel medesimo filo , e i
relativi esperimenti eseguiti seduta stante,
diedero luogo ad una discussione che fu
proseguita anche nelle successive adunanze.
Venne quindi eletta una Commissione allo
scopo di continuare gli studj e le ricerche
sull'argomento, e riferirne di poi al Corpo
academico i risultamene 11 rapporto della
Commissione verrà pubblicato in uno dei
prossimi fascicoli di questo Giornale.
{Dal Giorn. deWl. Il Ist. Lomb.)
60
GIORNALE DELL INGEGNERE
Il Terinosifone
applicato al riscaldamento
delle serre.
(Vedi la Tav. 8, fig. 5 alla 8.)
Tutte le piante collocate nelle serre esi-
gono un'atmosfera artificialmente riscaldata.
Fra i mezzi proposti fino al presente per
produrre un calore artificiale appropriato
ai bisogni dell'orticoltura il migliore è senza
dubbio l'acqua riscaldata col mezzo dell'ap-
parato die si denomina termosifone, inven-
tato in Francia al principio di questo secolo
da Bonnemain, uomo assai dotto, morto,
come molti altri, dimenticato e nella miseria.
Ognuno conosce il modo con cui si ri-
scaldano le masse liquide alle quali sia ap-
plicato il calore in un punto qualunque
della loro superficie inferiore. Lo strato li-
quido il più prossimo al focolajo per la pre-
senza di una grande quantità di calorico
diventando più leggiero che la residua parte
della massa, attraversa la stessa massa, e si
colloca nella parte superiore, al quale viene
sostituita altra parte più fredda, che a sua
volta diventa calda; in tal maniera si attivano
delle correnti calde ascendenti e fredde di-
scendenti fino a che tutto il liquido è pervenuto
alla medesima temperatura. Tale è la teoria
del termosifone. L'apparato consiste in una
caldaja sormontata d'un tubo ripiegato sopra
sé stesso, come si trova rappresentato dalla
fig. 8, tav. 8, il tutto riempiendosi d'acqua
colla possibile esattezza e successivamente
chiudendosi il vaso ermeticamente. A mi-
sura che l'acqua nella caldaja B si riscalda,
essa mediante il tubo D ascende nelle parti
superiori dell'apparato,e raffreddata discende
di bel nuovo nella caldaja mediante il tubo C,
andando a sostituire l'acqua che si innalza in
ogni istante: si stabilisce con ciò una circo-
lazione che non viene interrotta sin tanto
che si mantenga il focolajo A:, si deve però
far in modo che l'acqua si conservi più che
sia possibile a qualche grado al disotto del-
l'ebollizione, onde la stessa acqua possa ser-
vire per molto tempo. L'apparato si riempie
mediante un imbuto in E.
Non vi è apparato destinalo al riscalda-
mento che consumi meno combustibile quanto
il termosifone, e qualora esso sia lodevol-
mente costruito in tutte le sue parti, può
durare molti anni senza il bisogno di alcuna
riparazione.
Il suo unico difetto è quello di non poter
riparare al freddo subitaneo ed impreveduto,
inquantochè vi abbisogna almeno un'ora
onde se ne possa sentire l'effetto utile mentre
i tubi ordinarj riempiti d'aria calda possono
innalzare in 8 a 10 minuti da 15 a 20 gradi
la temperatura della serra : ma avvi però
il vantaggio che il raffreddamento è molto
più lento conservando il termosifone il ca-
lore per molte ore anche dopo che sia'estinto
il fuoco al disotto della caldaja, e dà con
ciò una sicurezza al giardiniere di poter
avere lo stesso grado di quanto lo si po-
trebbe ottenere qualora la serra fosse ri-
scaldata col vapore.
Il termosifone non cagiona nella serra
alcun movimento o sconcerto, poiché non
esige qualsiasi opera di riparazione. I tubi
del calore delle stufe ordinarie costruiti in
ghisa, in mattoni o in terra cotta si riem-
piono di fuliggine e cenere che è d'uopo di
togliere ad ogni tratto. In essi si formano
deile screpolature, specialmente nelle con-
giunzioni dei tubi, e per essi il fumo e la
polvere si introducono nella serra, ed è
d'uopo di toglierli essendo di un grave
danno. Questi inconvenienti non si verificano
punto col termosifone.
Alcuni costruttori assai riputati, e che
godono la confidenza degli orticoltori, met-
tono fra i vantaggi del termosifone quello
di dare un calore umido. Alla pag. 116 del
Buon giardiniere si legge: « Questi apparati
producono un calore umido più favorevole
alle piante di quello delle stufe. » E più in-
nanzi: « Un altro vantaggio del termosi-
fone sulle stufe si è che il calore è umido
e benefico alle piante , mentre che quello
delle stufe tende a diseccarle ed a nuocere
1' organismo , locchè obbliga il coltivatore
ad innaffiarle più spesso, ed a dar loro dei
bagni a vapore ».
L'orticoltore che fidasse su questa asser-
ARCHITETTO
zione ed ommettesse di dure all'atmosfera
della serra riscaldata col termosifone quel
grado d'umidita che si riconosce necessario
alle piante cadrebbe in un vero errore che
potrebbe tornargli di pregiudizio.
Il calorico , principio del calore, non può
essere per sé stesso né secco, né umido, ma
l'atmosfera sulla quale agisce può venire
caricata di una grande quantità di vapore
d'acqua, ed in tal caso si dice che il calore
è umido, come si dice che il calore è secco
allorché l'aria riscaldata non contiene va-
pori. Tanto itubi riempiti di vapore d'acqua,
quanto quelli del termosifone che sono pieni
d'acqua non lasciano espandere nell'atmo-
sfera della serra un atomo di umidità. Que-
st'atmosfera diventa secca oppure umida da
cause del tutto indipendenti dal mezzo im-
piegato per riscaldarla; il calore intenso ed
istantaneo della stufa produce una forte eva-
porazione non già perchè è secca, ma pel
motivo che è rapida ed elevata; quella del
termosifone è altresì secca quanto la prima,
ma più dolce e quindi cagiona minor eva-
porazione.
Tali sono i principj e le circostanze di
fatto. Noi li rammentiamo non già per in-
firmare l'opinione favorevole che gli orti-
coltori moderni hanno in generale sui buoni
effetti del termosifone, ma per togliere le
conseguenze perniciose di un errore di fatto.
Non vi è alcun apparato di riscaldamento
che sia più facile a governarsi quanto il
termosifone onde ottenere un calore costan-
temente uniforme. Nessuno dubita ch'esso
possa applicarsi anche in una grande scala
tanto alla coltura forzata dei legumi e de-
gli altri prodotti dell' industria orticola ,
quanto nei lettorini dei fiori di cui le grandi
città ne presentano i risultati durante tutto
l'inverno.
Il termosifone impiegato nel riscaldamento
dei letti permette di poter sopprimere il le-
tame da stalla, tranne il caso che serva d'ali-
mento ai vegetabili ; ciò è senza dubbio
un'economia nella spesa specialmente nella
coltivazione delle verdure.
Per altro il termosifone non può essere
applicato vantaggiosamente alle serre di
ED AGRONOMO 61
grandi dimensioni se non nel caso che si
riscaldino col mezzo di due focolari: ciò per-
altro è un imbarazzo e un grave inconve-
niente. Un orticoltore dei contorni di Bath
in Inghilterra ha combinato assai ingegno-
samente le proprietà del termosifone con
quelle del vapore pel riscaldamento delle
serre. Servendosi di un sol focolajo, esso
approfitta contemporaneamente e della pron-
tezza colla quale il vapore comunica il ca-
lore e della tenacità dell'acqua per tratte-
nere la sua temperatura.
A tal effetto si fa passare in un tubo del
termosifone A, fig. 8, un altro tubo più pic-
colo B che si riempie a piacere di vapore;
in questo caso il termosifone non ha biso-
gno di caldaja, e basta un piccolo apparato
per produrre la tenue quantità di vapore
necessaria onde riscaldare l'acqua del ter-
mosifone. Quest'acqua messa in contatto
sopra tutta l'estensione dei tubi col tubo
pieno di vapore si trova riscaldato in al-
cuni istanti alla medesima temperatura che
essa conserva nell'egual modo che si fosse
riscaldata col mezzo di più focolaj.
La forma e le dimensioni delle caldaje
destinate a riscaldare direttamente l'acqua
del termosifone possono variare all'infinito.
Le fig. 6 e 7 rappresentano le sezioni verti-
cali di due apparati i più economici a tal
effetto usati in Inghilterra. Nella fig. 6 la
caldaja A è disposta in modo che la parte
superiore lambisce il livello del pavimento;
essa continua mediante tubi che non si pos-
sono vedere nella sezione. La forma del
focolajo permette alla fiamma di poter ri-
scaldare quasi tutte le superficie in una volta
e nello slesso tempo.
Nella fig. 7 la caldaja presenta, come la
precedente, molta superficie e poca gros-
sezza; l'acqua calda esce dal tubo B, e l'ac-
qua fredda rientra mediante il tubo A fino
a che tutta la massa giunge alla medesima
temperatura. Onde riscaldare conveniente-
mente le serre , i lettorini , le casse , ecc.
questi tubi si modificano nella forma e nelle
dimensioni secondo l'uso al quale sono de-
stinati.
GIORNALE DELL INGEGNERE
Spese occorrenti per la costruzione e ma-
nutenzione di un Termosifone.
I particolari che seguono sulla costru-
zione di un Termosifone, che vengono tolti
dagli Annali della Società di Orticoltura, da-
ranno un'idea precisa delle spese necessarie
per attivare questo apparato.
I tubi in ferro galvanizzato hanno il dia-
metro di 0ra07 ed una lunghezza totale
di 84m. L'apparato collocato in posto costa
complessivamente franchi 200 ripartiti nel
seguente modo:
Caldaja Franchi 52
Tubi 84m a L. 1 20 al metro*)» 100
Saldatura » 6
Mano d'opera .... » 42
Totale Fr. 200
Un buon fuoco di torba acceso verso le
dieci ore di sera sotto la caldaja porta la
temperatura della serra a 17 o 18 gradi, e
quella dei lettorini o casse a vetri a 28 o 32;
alla mattina del giorno dopo a 6 ore la tem-
peratura è tuttavia da 10 a 12 gradi nella
sera, e da 24 a 26 nei lettorini. Gli ananas
vegetano benissimo nelle serre riscaldate in
tal guisa. Alla concia si sostituiscono delle
tavole, inferiormente alle quali si dispongono
i tubi del termosifone; uno strato sottile di
paglia ricoperto di musco compresso fra i
vasi ricopre queste tavole e riempisce i vani
che si trovano al di sotto ; dei pezzi di tubi
in terra cotta coperti esattamente da una
lastra di pietra sostituiscono le bocche di
calore.
Il termosifone oltre all'essere impiegato
nelle serre può tuttavia applicarsi assai van-
taggiosamente alla coltura degli ortaggi:
le esperienze instituite furono coronate da
un successo completo nel giardino delle
*) In Milano il costo di questi tubi è non meno
di franchi 1. 50 al melro lineare: per cui vi sarebbe
un' eccedenza di spesa di fr. 0, 30 per ogni me-
tro corrente e quindi complessivamente fr. 25,20.
verdure nel castello di Versagìia, ove un
gran numero di letti si riscaldano da molti
anni mediante il termosifone. Uno dei giar-
dinieri più distinti di Parigi, il sig. Goutier,
recentemente ha fatta l'applicazione alla
coltura forzata nei lettorini) principalmente
a quella dei legumi verdi i più precoci. Di-
pendentemente dal termosifone non aven-
dosi alcun timore del subitaneo raffredda-
mento dei letti e dall'eccesso di umidità che
è tanto funesto ai legumi, si può seminare
in novembre e raccogliere senza interru-
zione durante tutto l'inverno sino all'epoca
in cui i prodotti di piena terra compajono
sul mercato.
Cronica agricola dell' Inghilterra.
La raccolta del 1854 ha arricchita l'In-
ghilterra di circa un miliardo di franchi in
confronto a quella del 1853. Per ciò è pro-
babile che il prezzo dei cereali discenderà
a una media di due lire sterline almeno al
quartero al di sotto di quella dell'annata
agricola ora scorsa. Il consumo dell'Inghil-
terra essendo di circa 16 milioni di quar-
teri, si avrà dunque un risparmio di 32 mi-
lioni di lire sterline; e se a questa difra si
aggiungono l'orzo, l'avena, i foraggi, in una
parola tutto ciò che non entra nella nutri-
zione dell'uomo se non indirettamente, si
giungerà facilmente a 40 milioni di lire
sterline, ossia appunto a un miliardo, circa,
di franchi.
La scarsezza dei lavoratori si è fatta
crudelmente sentire in certi distretti. I buoni
mietitori si sono pagati fino a 6, ed anche
a 7 franchi al giorno; così si è dovuto ri-
correre alle macchine mietitrici, che non
hanno mai funzionato tanto come in que-
st'anno; e bisognerà bene che queste mac-
chine si perfezionino, giacché il lavoro ma-
nuale diviene di giorno in giorno più caro.
Senza dubbio l'uso di queste macchine
diverrà più generale in Inghilterra, ove un
clima incerto esige una raccolta rapida;
altre volte, verso la fine di luglio, migliaja
d'Irlandesi attraversavano il cimale S. Gior-
ARCHITETTO
gio, e si spandevano a torme nelle contee
dell'Inghilterra ove la loro mano d'opera
era più richiesta. Dopo il 1847 questa emi-
grazione annuale si è ridotta a proporzioni
insignificanti. La fame dapprima ha deci-
mato l'Irlanda; i mietitori appartenevano
generalmente alle classi le più povere, ed è
su queste che il terribile flagello ha imper-
versato in modo tanto tragico e lamentevole.
Le popolazioni agricole colpite allora da
terrore per gli spaventevoli episodj di que-
sto disastro, sono fuggite da questa sfor-
tunata terra come da un luogo di^ male-
dizione.
Dall'altra parte dell'Atlantico le braccia
di amorosi parenti di già partiti si stende-
vano verso gli scarni spettri che sopravvi-
vevano ancora su questo vasto cimitero, e
li chiamavano su d' una terra'ospitaliera
ove gli altari dell'antico culto potevano ele-
varsi liberamente ed essere rispettati , ove
il lavoro è la proprietà, il capitale garantito
dal lavoratore. Le strade che conducono ai
porti, s'ingombravano dunque di questi
pellegrini dell'esilio; l'avo dal mal fermo
passo, il bambino fra le braccia della madre,
il contadino nel vigore della sua età, tutti
partivano, senza pianto, senza rincresci-
mento; la verde Erinna, la perla dell'Atlan-
tico, colle sue sacre leggende, il nome ve-
nerato di s. Patrizio, erano e sono sempre
cari ai loro cuori, e nella loro nuova patria
formano sempre il tema favorito de' loro
discorsi; ma la recente ricordanza di mi-
serie accumulate sulle campagne dell'Ir-
landa per otto secoli d'oppressione, d'in-
solente conquista e di fanatica inimicizia 3
i tristi racconti de'fatti sanguinosi della loro
storia di conquista e di martiri , i lugubri
orrori del loro esodo avevano acceso nel
fondo del loro cuore un odio sì intenso
contro l'oppressione, che le loro affezioni
patriotiche si trovavano soffocate anche a
quell'istante supremo in cui le ultime cime
nebbiose della terra che li aveva veduti na-
scere, disparivano lentamente sotto l'ine-
sorabile linea dell'Oceano.
A questo spaventoso movimento di tutto
un popolo si è dato il nome di Esodo; e
ED AGRONOMO 63
s'egli continua per dieci anni nell'ugual mi-
sura, non si troverà più un solo Irlandese
in Irlanda.
Sì tosto gli emigrati hanno potuto riunire;
nella loro nuova patria , alcuni risparmj ,
se resta loro un parente., un amico sul suolo
maledetto ch'essi hanno abbandonato, si
affrettano di mandar loro la somma neces-
saria per il viaggio; ed ecco alcuni dati offi-
ciali delle somme per ciò rimesse dagli emi-
grati nei cinque anni che hanno seguito la
carestia. Questi dati non comprendono ne-
cessariamente che le somme versate col
mezzo di banchieri, giacché non è possibile
valutar quelle spedite con mezzi particolari.
Nel
1848
1849
1850
1851
1852
11, 500, 000
13, 500, 000
23, 925, 000
25,750,000
35, 100, 000
fr.
Questa emigrazione è fatale, niente più
l'arresta, né l'abbondanza, né il benessere,
né il lavoro meglio retribuito , né la legi-
slazione più liberale, né i nuovi proprie-
tarj più agiati e più umani che la benefica
operazione del Governo ha sostituito agli
antichi; nessuna cosa arresta questo im-
petuoso torrente, né pure quei sinistri nau-
fragi sì frequenti negli annali di già tanto
lugubri di questo esodo , in cui i vascelli
armati di fretta, senza bastanti provvigioni,
trasportarono sull'Oceano il loro carico vi-
vente, e dopo soffrimenti inauditi, incom-
prensibili, si seppellirono, come vasti feretri,
colle loro vittime in rugghianti abissi senza
più lasciare traccia alcuna di essi.
Ma il continente americano non è il sol
paese che attira il popolo dell' Irlanda , e
questo strano fenomeno, quest'esodo fatale
non è pure esclusivo privilegio di questa in-
felice terra; il flagello ha passato lo stretto ed
ha attaccata l'Inghilterra stessa. Le miniere
d'oro ed i rilevanti salarj hanno affascinati
i lavoratori inglesi; dappertutto le popola-
zioni operaje si sconnettono e lasciano la
loro patria; villaggi intieri rimangono de-
serti, e la mano d' opera divenuta più rara
64
GIORNALE DELL'INGEGNERE
ha elevato il suo prezzo , in certi casi ,
del 50 per cento ed anche più. Dal 1841
al 1851 la popolazione dell'Irlanda diminuì,
termine medio , del 35 per o/n; nel 1851
163,256 emigrati irlandesi hanno sbarcato
soltanto alla Nuova Jorck,enel 1852,117.587.
Se a queste cifre si aggiunge il numero
di quelli che sbarcarono a Quebec, e negli
altri porti del Canada e degli Stati Uniti,
non che quelli che sono partiti per 1' Au-
stralia, si giunge a una cifra enorme di
emigrati, che giustificherà pienamente la
predizione di quelli i quali dicono che fra
10 anni l'Irlanda sarà spopolata.
Non vi ha frattanto che l'Alemagna che
offre un movimento analogo. Nel 1851 il
numero degli emigrati di quel paese giunti
a Nuova Jorck salì a 69,883. Nel 1852 fino
a 118,126. L'Inghilterra nel medesimo anno
ha fornito un contingente di 42,466, la Fran-
cia 8,778; la Svizzera 6,465; quasi quanto
la Francia.
Da quanto precede non si può dissimu-
lare che un tale movimento diviene oltre-
modo serio, e che la questione del lavoro
acquista un'importanza di cui gli economi-
sti cominciano a preoccuparsi. Dopo il 1852,
il movimento, forse meno rapido per l' Ir-
landa s divenne di più in più generale in
Inghilterra, e fino ad ora nessun sintomo
di decrescenza s' è manifestato.
Sì tosto sarà stabilito il reddito della i*ac-
colta or ora terminata, avranno luogo im-
portanti discussioni sugli ingrassi artificiali
che ora funzionano sì tanto nell' agricoltura
inglese e soprattutto sul merito del nitrato
di soda, il cui uso diviene sempre più ge-
nerale.
Le misure sanitarie che l'invasione del
Cholera ha richiesto nelle grandi città,
hanno sollevato una questione importan-
tissima e che comincia a fissare seriamente
l'attenzione degli agricoltori; si tratterebbe
d' utilizzare i prodotti delle pubbliche chia-
viche sotto il punto di vista agricolo, di-
stribuendole sulle vicine terre, sia col mezzo
di carri, sia con un sistema d'irrigazione.
Numerose vendite di bestiame hanno avuto
luogo ultimamente in Inghilterra; una delle
più importanti fu quella dei lori del sig. Bol-
den di Lancaster. Questi giovani animali era-
no tutti discesi dal celebre toro Duchesse,
venduto 26,250 fr. agli Americani. I prez-
zi, malgrado questo illustre parentado, non
hanno raggiunto che una media di 50 ghinee
circa. Una nuova esportazione ebbe luogo
da Liverpool, il 27 settembre, per la Francia,
e un'altra importantissima se ne prepara
per il 1.° di novembre. Essa consisterà in
vacche durham di prima scelta , in majali
bianchi di razza piccola , ed in magnifi-
che pecore di tre razze cospicue dell' In-
ghilterra.
Queste importazioni costose svelano un
grande progresso nello spirito dei nostri
agricoltori; quelli che si decidono a fare tali
sagrifici hanno la sagacità di non calcolar
meschinamente i guadagni d' un animale
riproduttore; essi considerano, con ragione,
che il costo dell'animale e il prezzo della
sua importazione devonsi riportare in parte
sui suoi prodotti; quante volte infatti non ac-
cade che il vitello d' una vacca acquistata
pregna in Inghilterra, copra colla vendita il
costo della madre? Avendo cura di non
scegliere che femmine fecondate da maschi
di primo merito, egli è raro che la specu-
lazione non sia lucrosa. Una troja pregna
costa 200 franchi, ma a capo di alcune set-
timane, e spesso di alcuni giorni, essa si
sgrava qualche volta di 12 piccoli, sui quali
è giusto ripartire proporzionatamente il
costo della madre. Egli è lo stesso dell' im-
portazione di tutti gli altri animali, e, giu-
dicata sotto questo punto di vista, tale spe-
culazione , per costosa che sia , non è poi
tanto formidabile quanto alcuni allevatori
affettano di credere, e il più semplice cal-
colo dimostrerà l'immenso vantaggio anche
in riguardo d'un profitto pecuniario di una
realizzazione quasi immediata.
Falmouth, 6 Ottobre 1854.
F. Robion della Tréhonnais.
ARCHITKTTO E
Economia rurale.
(Inghilterra.)
I. Gli animali domestici.
Quando l'esposizione universale trasse a
Londra un immenso concorso di curiosi
venuti da tutti i punti del mondo, lo sguardo
fu colpito dalla potenza industriale e com-
merciale del popolo inglese, ma non mara-
vigliato. Erasi in generale preparati al gi-
gantesco spettacolo che presentarono i pro-
dotti di Manchester, di Birmingham, di Shef-
field, di Leeds ammassati sotto le trasparenti
volte del palazzo di cristallo, ed all'altra scena
non meno ammirabile che offrivano , fuori
dell'esposizione, i docks di Londra e di Li-
verpool coi loro interminabili magazzini, coi
loro innumerevoli vascelli. Ma ciò che sor-
prese più di un osservatore fu lo sviluppo
agricolo che rivelavano le parti dell' espo-
sizione consacrate alle macchine aratorie
ed ai prodotti rurali inglesi: erasi ben lon-
tani dal supporlo.
In Francia , forse più che altrove , non
ostante la sua molta vicinanza, si è troppo
creduto fin qui che l'agricoltura in Inghil-
terra fosse stata trascurata a vantaggio del-
l'interesse, industriale e commerciale. Un
fatto mal studiato nel suo principio e nelle
sue conseguenze, la riforma doganale di
Sir Roberto Peel, contribuì a diffondere in
Francia queste, idee inesatte. Ciò che è vero
si è, che l'agricoltura inglese, presa nel suo
assieme, è attualmente la prima del mondo,
e che essa è sulla strada di realizzare nuovi
progressi. Io vorrei far conoscere somma-
riamente il suo stalo attuale , indicarne le
vere cause e farne induzioni per l'avvenire;
da questo studio potremo trarre utili inse-
gnamenti.
Prima di tutto è necessario di far bene
attenzione al teatro delle operazioni agri-
cole, cioè al suolo. Le isole britanniche hanno
un'estensione totale di 31 milioni di ettari,
tre quinti circa cioè del territorio francese;
ma questi tre quinti seno ben lontani dal-
Fol. 111. Agosto
D AGRONOMO 65
l'avere una, fertilità uniforme: vi si trovano
al contrario differenze forse più grandi che
in qualunque altro paese. Ognuno sa che
il regno-unito si decompone in tre parti
principali, l'Inghilterra, la Scozia e l'Ir-
landa. L'Inghilterra forma essa sola la mela
circa del territorio , la Scozia e l' Irlanda
occupano il resto in parti quasi eguali. Que-
sta divisione, che è d'uopo non perder mai
di vista, si trova nei fatti agricoli, e ciascuna
di queste tre grandi frazioni deve dividersi
essa stessa in due parti principali sotto il
rapporto della coltivazione, come sotto tutti
gli altri punti di vista.
L' Inghilterra si divide ne\V Inghilterra
propriamente detta e nel paese di Galles,
la Scozia, in Alta e Bassa; l'Irlanda in re-
gione del sud-est e regione del nord-ovest.
Fra questi paesi vi sono enormi differenze.
L' Inghilterra propriamente detta è la
parte più grande e più ricca dei tre regni;
essa comprende 13 milioni di ettari , ossia
un po' più del terzo dell'estensione totale
delle isole britanniche, ciò che equivale a un
quarto della Francia. Mettendole a confronto
il quarto della Francia meglio coltivato,
cioè la parte del nord-ovest, che comprende
le antiche province della Fiandra, dell'Ar-
tois , della P-icardia, della Normandia, del-
l'Isola di Francia, ed aggiungendovi anche
i dipartimenti più ricchi delle altre regioni,
la Francia non può opporle un'eguale esten-
sione di terre ben coltivate. Alcune parti del
suolo francese, come quasi tutto il diparti-
mento del i\ord ed alcuni altri quartieri stac-
cali, sono superiori, in quanto a produzione,
a ciò che vi ha di meglio in /Inghilterra;
altre, come i dipartimenti della Senna In-
feriore, della Somma, del Passo di Calais,
dell' Oise, possono sostenerne il confronto;
ma 13 milioni d'ettari paragonali, in quanto
a coltivazione, ai 13 milioni di ettari inglesi
la Francia non li possiede.
11 suolo ed il clima d'Inghilterra sareb-
bero forse naturalmente superiori a quelli
della Francia? Tutt'altro ; 1 milione di et-
tari su 13 sono rimasti interamente impro-
duttivi, ed hanno finora resistito a qualun-
que sforzo dell'uomo; sugli altri 12 milioni,
185o! 9
CO GIORNALE DELL
due terzi almeno sono terre ingrate e ri-
belli che l' industria umana ha bisogno di
vincere.
La punta sud 'dell'isola, che forma la
contea di Cornovaglia e più della metà del
Dewon, si compone di terreni granitici ana-
loghi a quelli della Bretagna francese. Nelle
antiche foreste di Exmoor e di Dartmoor,
nelle montagne che terminano al Land's
End e in quelle vicine alla penisola Gallese vi
è quasi 4 milione di ettari di pochissimo
valore. Nel nord, altre montagne, quelle che
separano l'Inghilterra dalla Scozia,, si esten-
dono colle loro diramazioni nelle contee di
Northumberland , Cumberland , Westmore-
land ed in parte in quelle di Lancaster,
Dmham, York e Derby. Questa regione che
comprende più di 2 milioni di ettari, non
vai punto meglio della prima. E un paese
pittoresco per eccellenza, ingemmato di la-
ghi e di cascate, ma che non offre, come i
paesi pittoreschi in generale, che poche ri-
sorse alla coltivazione.
Quasi dappertutto, ove il suolo non è
montuoso, è naturalmente coperto di paludi.
Le contee di Lincoln e di Cambridge, che
si contano attualmente, massime la prima,
fra le più produttive, non erano una volta
che un vasto stagno coperto in gran parte
dalle acque del mare, come i polders (col-
mate) d'Olanda, che loro stanno di fronte
dall'altra parte dello stretto. Grandi tor-
biere, chiamate mosses , mostrano ancora
qua e là lo stato primitivo del paese. Sovra
altri punti v'hanno vaste estensioni di sab-
bie abbandonate dall'oceano; la contea di
Norfolk, ove ebbe origine il sistema agri-
colo che fece la fortuna dell'Inghilterra, non
è punto diversa.
Rimangono le ondeggianti colline che
formano la metà circa della superficie to-
tale, e che non sono né tanto aride come
le montagne, né cosi umide come le pia-
nure senza scolo; ma queste terre non hanno
tutte la stessa composizione geologica. Il
bacino del Tamigi è formato di un'argilla
tenace , chiamata argilla di Londra, della
quale si fanno i mattoni per la costruzione
dell'immensa capitale e che non si apre se
INGEGNERE
non con difficoltà sotto la mano dell' ope-
rajo. Le contee d'Essex, di Surrey, e di Kent
appartengono, con quella di Middlessex, a
questo strato argilloso, distinto in Inghil-
terra col nome di stiff land, terra forte,
e della quale gli agricoltori di tutti i paesi
conoscono gli inconvenienti, e che di più
accresce la freschezza del clima. Abbando-
nata a sé medesima, quest'argilla non secca
mai in Inghilterra, e quando non è trasfor-
mata dagli ammendamenti o dal drenaggio,
essa è la disperazione dei coltivatori. Non
la si trova soltanto nelle contee indicate ;
essa domina in tutto il sud-est e ricompare
su molti punti al centro, all'ovest ed al nord.
Una lunga benda di terre cretose di me-
diocre qualità traversa dal sud al nord que-
sto gran banco d'argilla e forma la maggior
parte delle contee diHertford,Wilts e Hants;
alla superficie mostrasi la creta quasi pura.
Le terre argillo-sabbiose a sotto-suolo
calcare, le terre fangose o loams del fondo
delle valli, non occupano che 4 milioni di
ettari circa. 1 fiumi essendo più corti in
quest'isola stretta, e le valli più rinserrate
che altrove, le alluvioni vi occupano poco
spazio. "Vi dominano invece i terreni leg-
gieri, quelli che una volta chiamavansi poor
lands , terre povere. Queste terre forma-
vano, non è gran tempo, vaste lande che
giungevano fino alle porte di Londra dalla
parte dell'ovest, e divennero quasi dovunque
per mezzo della coltivazione altrettanto pro-
duttive quanto i loams. Vi ebbe d' uopo di
una maniera di lavoro perfettamente ap-
propriata alla loro natura per trarne un
così buon partito.
Lo stesso è del clima. Gli agricoltori bri-
tanni hanno saputo ammirabilmente utiliz-
zare i caratteri distintivi di questo clima
particolare; ma in sé egli non ha nulla di
seducente. Le sue brume e le sue piogge
sono proverbiali; la sua estrema umidità è
poco favorevole al frumento, che è lo sco-
po principale di ogni coltivazione; poche
piante maturano naturalmente sotto questo
cielo senza calore; egli non è propizio che
alle erbe ed alle radici. Le estati piovose,
gli autunni prolungati , gli inverni miti»
ARCHITETTO
mantengono, sotlo l'influenza di una tem-
peratura quasi costante, una vegetazione
sempre verde. Qui s'arresta la sua azione;
nulla diciamo di ciò che esige l'intervento
del gran creatore, il sole.
Quanto sono superiori il suolo e il clima
della Francia! Paragonando all'Inghilterra
non solo il quarto, ma la metà nord-ovest
del territorio francese, cioè i trentasei di-
partimenti che s'aggruppano intorno a Pa-
rigi, esclusa la Bretagna, noi troviamo più
di 22 milioni di ettari che sorpassano in
qualità e in quantità i 13 milioni d'ettari
inglesi. Poche montagne, poche paludi natu-
rali, vaste pianure, quasi interamente sane,
un suolo bastantemente profondo e formato
in proporzioni abbastanza giuste di elementi
i più favorevoli alla produzione, ricchi de-
positi nelle ampie vallee della Loira, della
Senna e dei loro affluenti, un clima un po'
meno umido , ma più caldo, meno favore-
vole forse alla vegetazione della prateria,
ma più proprio alla maturanza del frumento
e degli altri cereali; tutti i prodotti dell'In-
ghilterra ottenuti con minor pena, e con
essi dei prodotti nuovi e preziosi, come lo
zucchero, le piante tessili, le oleose, il ta-
bacco, il vino, i frutti, ecc.
Sarebbe facile di seguire passo a passo
questo confronto e di opporre, per esempio,
alla contea di Leicester, che è la più fertile
per natura delle contee inglesi, il diparti-
mento francese del Nord; ai terreni cretosi
di Wiltshire, quelli della Champagne ; alle
sabbie le sabbie , alle argille le argille , ai
loams i loams e di cercare per la maggior
parte dei distretti inglesi un distretto cor-
rispondente nel nord della Francia. Questo
studio di dettaglio che non può farsi qui,
dimostrerebbe in qualche modo, ettaro per
ettaro, salve poche eccezioni, la preminenza
del suolo francese; non vi ha terreno fra
i più cattivi del suolo francese, che non se
ne incontrino di più cattivi ancora dall'altra
parte dello stretto; non vi ha suolo in In-
ghilterra tanto ricco, che non si trovi in
Francia il suo equivalente e spesso ancora
superiore.
Quanto al paese di Galles, egli è un am-
ED AGRONOMO 67
masso di montagne coperte di terreni ste-
rili chiamati moors. Aggiungendovi le isole
che l'avvicinano e la parte di suolo inglese
che Io tocca più dappresso, egli comprende
2 milioni di ettari, la cui metà soltanto è
suscettibile di coltivazione. Trovasi in Fran-
cia l'analogia col paese di Gallts nella pe-
nisola di Bretagna, i cui abitanti sono uniti
ai Gallesi da un'origine comune ; ma oltre-
ché la Bretagna occupa relativamente meno
spazio sulla carta di Francia, l'Armorica in-
glese è naturalmente più aspra e più sel-
vaggia che l'Armorica francese; l'analogia
non è completa veramente che per alcuni
cantoni. I cinque dipartimenti bretoni danno
un totale maggiore di 3 milioni d'ettari.
Le due parti della Scozia hanno un'esten-
sione presso a poco eguale; ambedue sono
conosciute con nomi che la poesia ed il ro-
manzo hanno popolarizzato ; le basse terre
o low-lands occupano il sud e l'est, le terre
alte o high-lands l'ovest e il nord; ciascuna
di queste due metà colle isole adjacenti com-
prende 4 milioni d'ettari circa.
L'alta Scozia è, senza confronto, uno dei
paesi meno fertili e più inabitabili d'Europa.
L'immaginazione non la vede che attraverso
i sogni deliziosi del gran romanziere scoz-
zese; ma se la maggior parte de' suoi luo-
ghi meritano fama per la loro grandezza
agreste, questi vaghi orrori s'adattano poco
alla coltivazione. E un'immensa roccia di
granito, tutta interrotta da vette acute e da
profondi precipizj , e che per soprappiù
di asprezza , si estende fino alle latitudini
più settentrionali. Gli high-lands stanno di
fronte alla Norvegia a cui somigliano per
molti riguardi. Il mare del Nord che le cir-
conda e vi si insinua da tutte le parti , li
flagella colle sue eterne tempeste; le loro
coste percosse senza posa dai venti e tutte
grondanti di queste inesauribili aque, che
vanno a formare al loro piede immensi la-
ghi , non si coprono che rare volte di un
sottile strato di terra vegetale. L'inverno
vi dura quasi lutto l'anno, e le isole vicine,
le Ebridi, le Orcadi, le Shetland, parteci-
pano già della fosca natura islandese. Più
di tre quarti dell'Alta Scozia sono incolti ;
<)8
«CORSALE DELL INGEGNERE
la poca terra che si può lavorare ha d'uopo
di tutta l'industria degli abitanti per pro-
durre qualche cosa; l'avena stessa non
sempre giunge a maluranza.
Dove trovare in Francia un paese che le
assomigli? Quello che più si avvicina è il
nucleo delle montagne centrali , colle loro
diramazioni che coprono una decina di di-
partimenti e vanno a congiungersi colle Alpi
al di là del Reno, cioè le antiche province
del Limosino, dell' Alvernia , del Vivarese.
di Forez e delDelfinato; mai dipartimenti
delle Alte e delle Basse Alpi . i più poveri
e i più sterili di tutti, quelli della Lozere
e dell'Alta Loira, che vengono dopo, sono
ancora molto al disopra, in quanto a risorse
naturali, delle celebri contee d'Argyle e d'In-
verness e della contea ancor più inaccessi-
bile del Sutherland. Questa superiorità è
vieppiù distinta in quelli di Cantal, di Puy-
de Dome, della Coreze, della Creusa, del-
l' Alta- Vieima, e diventa affatto incommensu-
rabile, quando si paragonano alle migliori
vallate degli hhjlands, la Limagna d'Alver-
nia, e la vallea di Grèsivaudan, questi due
paradisi dell' agricoltore gettati nel mezzo
della regione montuosa francese.
Anche la Bassa Scozia è lungi dall'essere
suscettibile dappertutto di coltivazione: molte
catene l'attraversano ed uniscono le monta-
gne del Northumberland a quelle dei Grani-
pian. Sui 4 milioni di ettari, di cui essa si
compone, 2 sono pressoché improduttivi, gli
altri due presentano quasi dappertutto, spe-
cialmente intorno a Edimburgo e a Perth,
i prodigi della coltivazione la più perfetta;
ma il suolo non è veramente ricco e pro-
fondo che su 1 milione di ettari circa , il
resto è povero e magro. Quanto al clima,
basta il rammentare che Edimburgo è alla
stessa latitudine di Copenaghen e di Mosca.
La neve e la pioggia vi cadono quasi senza
interruzione ed i frutti della terra, per svi-
lupparsi, non hanno che un' estate breve e
fortunosa.
Il rapporto maggiore che ha la Francia
colla Bassa Seozia, sono i dieci dipartimenti
che formano la frontiera dell' est e che si
estendono dalle Ardenne al Deliinato pei
Vogesi e pel Giura; ma anche qui la supe-
riorità del suolo e del clima è sensibile. La
natura ha fatto i pascoli della Lorena e
della Franca-Contea almeno eguali a quelli
di Ayr e di Galloway; l'Alsazia vale quanto
i Lolhian. La punta settentrionale di questa
regione è a sei gradi di latitudine al disotto
di Bervick, e la sua punta meridionale ha
l'altezza di Venezia; il soffio ardente del-
l'alia d'Italia giunge fino a Lione.
Delle due frazioni dell'Irlanda, quella del
nord-ovest, che abbraccia un quarto del-
l'isola e che comprende la provincia di Con-
naught colle due contee adjacenti di Don-
negal, di Clara e di Kerry, somiglia molto
al paese di Galles, ed anche nelle sue parti
più cattive, all'Alta Scozia. Là vi sono tut-
tora 2 milioni di ettari sgraziali, il cui spa-
ventoso aspetto ha dato origine a quel pro-
verbio nazionale: Andare all'inferno o in
Connaitaht. L'altra frazione, quella del sud,
molto più considerevole , poiché abbraccia
tre quarti dell'isola e comprende le tre pro-
vince di Leinster, d'Ulster e di Munster ,
cioè circa 0 milioni di ettari, è per lo meno
eguale all'Inghilterra, propriamente detta,
in fertilità naturale. Vi è però il suo guajo ;
il flagello del paese è l'umidità, ivi maggiore
che in Inghilterra. Vaste paludi chiamate
bofjs coprono un decimo circa di questa
superficie, un altro decimo e più deve de-
dursi per le montagne e i laghi; insomma
degli 8 milioni di ettari ne sono appena ap-
pena coltivati cinque.
Fatta deduzione del nord-ovest che ab-
biamo paragonato all'Inghilterra, del centro
e dell'est che abbiamo paragonato alla Sco-
zia, la Francia non ci offre che il mezzo-
giorno da paragonare all'Irlanda. Questo
ravvicinamento è giustificato sotto certi ri-
guardi, perchè la Francia del mezzodì è,
rispetto a quella del nord, un paese distinto
ed inferiore in ricchezza aquistata, come
l'Irlanda rispetto all' Inghilterra ; ma qui
s'arresta l'analogia, perchè nulla si rasso-
miglia meno sotto tutti i rapporti. Il para-
filo è come i precedenti, e forse ancor più,
in favore della Francia. La regione meri-
dionale della Francia si estende dall'imboc-
ARCHITETTO
catara della Garonna a quella del Varo :
essa abbraccia una ventina di dipartimenti,
circa e 13 milioni di ettari, ciò che man-
tiene la proporzione: essa ha pure la sua
parte montuosa nei Pirenei e nelle Cevenne,
ma in quanto a fecondità vi sono già da
qualche tempo delle montagne, quelle del-
l'Herault e di Gard, che producono la seta,
ed anche dei cantoni nei Pirenei , ove la
colth azione può elevarsi fino al piede delle
nevi eterne e dei ghiacciaj di Connaught e
di Donegal. A misura che si discende verso
le pianure, la superiorità diventa di più in
più sorprendente , malgrado gli svantaggi
naturali che diedero all'Irlanda questo so-
prannome poetico: il più bel fiore della
terra e la più bella perla del mare.
La pianura che si estende da Dublino alla
baja di Galloway, per tutta la larghezza del-
l'Irlanda e che forma l'orgoglio di quest'isola
è superata tanto in ricchezza come in esten-
sione dalla magnifica vallata della Garonna,
uno dei più bei paesi della terra, in fatto
di coltivazione. La Valle d'oro, Golden Vale
di cui si vanta Limerick, i pascoli delle rive
del Shannon, le terre profonde tanto favo-
revoli alla produzione del lino dei dintorni
di Belfast , hanno senza dubbio un gran
valore; ma i vigneti di Medoc, i terreni di
Comtat che portano la robbia, quelli di Lin-
guadoca ove si coltivano il frumento ed il
maiz, uno dopo l'altro, quelli della Provenza
ove maturano l'ulivo e l'arancio, valgono
ancor di più. L'Irlanda ha sull'Inghilterra
questo vantaggio , di avere meno di ar-
gilla , di sabbia, di creta , ed il suolo vi è
generalmente di buona qualità; ma il mez-
zodì della Francia ha su di essa la supe-
riorità del suo cielo. Quanto ai bogs irlan-
desi, non si possono metter loro a confronto
le lande paludose della Guascogna e della
Camargue , meno improprie di essi alla
produzione.
Per tal modo il territorio francese è su-
periore in tutti i punti al britannico, non
solo in estensione, ma eziandio in fertilità.
La regione francese del nord-ovest vai me-
glio dell'Inghilterra e del paese di Galles;
quella del centro e dell'est è migliore della
EU AGRONOMO (il)
Scozia, e quella del sud è migliore dell'Ir-
landa.
Sessant'anni fa Arturo Voung, il grande
agronomo inglese, conobbe questa superio-
rità naturale del suolo e del clima francese.
« Io passai in rivista » dice egli alla fine del
suo Viaggio agronomico in Francia dal 1787
al 1790 « tutte le province di Francia, e
credo che la qualità del suolo di questo re-
gno sia superiore a quello d'Inghilterra. La
proporzione delle terre cattive che si tro-
vano in Inghilterra, rapporto alla totalità
del territorio è più grande che in Francia;
non trovasi in alcun luogo quella quantità
di arida sabbia che vedesi nelle contee di
Norfolk e di Sufiblk. Le paludi, le brughiere
e le lande che sono tanto comuni in Bret-
tagna, in Anjou, nella Maina e nella Gujenna,
sono molto migliori delle nostre. Le mon-
tagne di Scozia e del paese di Galles non
sono paragonabili, quanto al suolo, a quelle
dei Pirenei , dell' Alvernia , del Delfinato ,
della Provenza e della Linguadoca. Bispetto
ai terreni argillosi, essi non sono tanto te-
naci come in Inghilterra, ed io non ho mai
trovato in Francia dell'argilla simile a quella
di Sussex ». In seguito, parlando del clima,
il celebre agronomo inglese rende lo stesso
omaggio al cielo di Francia: IVoi sappiamo
trar partito dal nostro clima, dice egli con
orgoglio , ed i Francesi sotto questo rap-
porto sono ancora nell'infanzia; ma in quanto
alle proprietà intrinseche dei due climi, egli
non esita a dare la preferenza al clima fran-
cese : questa convinzione si ripete in cia-
scuna linea del suo libro.
E frattanto, malgrado le eccezioni di det-
taglio, molte senza dubbio, ma che non tol-
gono il fatto , l'Inghilterra anche prima
del 1848 era meglio coltivata e più produt-
tiva, a superficie -eguale, del nord-ovest
della Francia; la Bassa Scozia rivaleggiava
per lo meno coll'est, e l'Irlanda stessa, la
povera Irlanda, era più ricca in prodotti che
il mezzogiorno della Francia. INon vi è che
l'Alta Scozia che, come regione, sia stata
superata dalla regione corrispondente, e ciò
non per colpa degli uomini. Può tuttavia
trovarsi, fuori del territorio continentale, ma
70
GIORNALE DELL' INGEGNERE
sempre in un dipartimento francese, l'isola
di Corsica, un paese paragonabile all'Alta
Scozia per il valore attuale della sua pro-
duzione, malgrado l'immensa sproporzione
che la natura ha posto fra le loro risorse,
e questo non è il solo confronto che si po-
trebbe stabilire fra questi due paesi, umbi-
due di così difficile accesso, ambedue abitati
anticamente da una popolazione indomita
di pastori e di banditi.
Noi osiamo dire che se la Francia è re-
stata indietro del regno unito , essa è ben
avanti rispetto alle altre nazioni, eccettuati
il Belgio e l'Alta Italia, che hanno su di
essa dei vantaggi naturali. Le cause di que-
sta inferiorità relativa non dipendono dalla
popolazione agricola francese, la più labo-
riosa, la più intelligente e la più economa
che forse esista; queste cause sono molte
e profonde e ci proponiamo di cercarle; ma
non vogliamo per ora allontanarci dal sog-
getto principale.
Un tratto più saliente dell' agricoltura
britanna paragonata alla francese, è il nu-
mero e la qualità de' suoi montoni. Basta
attraversare , anche su una ferrovia , una
contea inglese qualunque, per vedere che
l'Inghilterra nutre in proporzione maggior
numero di montoni della Francia; basta
osservare uno di questi animali, per cono-
scere a prima vista che essi sono più grossi
e devono somministrare maggior quantità
di carne di quelli di Francia. Questa verità
che colpisce l'osservatore più superficiale ,
non è soltanto confermata dall'attento esame
dei fatti; essa prende per mezzo di questo
studio delle proporzioni inaspettate; ciò che
non è pel semplice viaggiatore che un og-
getto di curiosità , diventa per l'agronomo
e per l'economista il soggetto di ricerche
che lo fanno stupire coll'immensità dei loro
risultati.
Il coltivatore inglese ha osservato, con
quell'istinto di calcolo che distingue questo
popolo, che il montone è fra tutti gli ani-
mali il più facile a nutrire, quello che trae
miglior partito dagli alimenti che consuma
e che dà nello stesso tempo il concime più
attivo e più caldo per mantenere la ferti-
lità della terra ; per conseguenza l'agricol-
tore inglese si è assunto di avere prima dì
tutto molti montoni. \'i hanno nella Gran
Brettagna immensi poderi che non tengono
quasi altro bestiame. Mentre i coltivatori
francesi si lasciano distrarre a molte altre
cure, l'allevamento della razza pecorina è
considerato dagli Inglesi, da tempo imme-
morabile, come la prima delle industrie agri-
cole. Chi non sa che il cancelliere d'Inghil-
terra, presidente della camera dei lord, siede
su un sacco di lana per dimostrare simbo-
licamente l'importanza che l'intiera nazione
dà a questo prodotto? La carne di montone
è egualmente tanto popolare quanto la lana,
ed in generale molto cercata dai consuma-
tori inglesi.
Da un secolo, il numero dei montoni ha
seguito lo stesso progresso in Francia e
nelle isole britanniche; da una parte e dal-
l'altra ha raddoppiato. Si calcola che nel 1750
questo numero che in ciascuno dei due paesi
era di 17 a 18 milioni di capi, attualmente
sia di 35. La statistica officiale francese dice
32 milioni, e Mac Culloch giunge esattamente
alla stessa cifra pel regno-unito; ma cre-
diamo che tanto da una parte cha dall'altra
si è un po' al disotto della verità. Questa
apparente eguaglianza cela una profonda
ineguaglianza. 1 35 milioni di montoni in-
glesi vivono su 31 milioni di ettari, quelli
della Francia su 53; perchè la Francia ne
abbia in proporzione quanto l'Inghilterra
ne dovrebbe avere 60 milioni. Questa dif-
ferenza di già sensibile, si accresce ancora
quando si paragona alla Francia l' Inghil-
terra propriamente detta; le altre due parti
del regno-unito, non hanno che pochi mon-
toni, relativamente alla loro estensione: la
Scozia, malgrado tutti i suoi sforzi, non ne
può nutrire che 4 milioni circa; l'Irlanda,
che dovrebbe rivaleggiare pe' suoi pascoli
coli' Inghilterra, non ne conta tutto al più
che 2 milioni, su 8 milioni di ettari, e questo
non è uno dei minori indizii della sua in-
feriorità ; la sola Inghilterra ne ha 30 mi-
lioni circa, su 15 milioni di ettari, cioè in
proporzione tre volte più della Francia.
A questa ineguaglianza di numero, si ag-
ARCHITETTO
giunge una differenza non meno importante
di qualità. Da un secolo circa, indipenden-
temente dai progressi anteriori che erano
stati già più grandi in Inghilterra che in
Francia, i due paesi seguirono nell'alleva-
mento delle gregge due tendenze opposte.
In Francia la lana venne considerata come
il prodotto principale, e la carne come il
prodotto accessorio; in Inghilterra al con-
trario la lana venne considerata come pro-
dotto secondario e la carne come prodotto
principale. Da questa semplice distinzione,
che sembra a prima vista di poca impor-
tanza, datano delle differenze nei risultati,
che rilevano centinaia di milioni.
Gli sforzi tentati in Francia per il mi-
glioramento della razza pecorina da 80 anni,
si risolvono quasi tutti nell'introduzione dei
merinos. La Spagna possedeva sola , un
tempo, questa bella razza, che erasi formata
lentamente sull'immensa pianura delle Ca-
stiglie; la meritata riputazione delle lane
spagnuole, impegnò molte altre nazioni d'Eu-
ropa, specialmente la Sassonia, a tentarne
1' importazione. Questo tentativo essendo
riuscito, la Francia volle farne la prova a
sua volta, ed il re Luigi XVI, questo prin-
cipe eccellente, che diede l'iniziativa di tutti
i progressi realizzati in seguito , chiese ed
ottenne dal re di Spagna la spedizione di
un gregge spagnuolo per il suo podere di
Rambouillet. Questo gregge che migliorò
e trasformossi per le cure di cui è stato
l'oggetto, divenne lo stipite di quasi tutti i
merinos sparsi in Francia. Due altre razze
subalterne, egualmente d'origine spagnuola,
quella di Perpignano e di Naz, sono state
da esso superate.
I proprietarii e i fittajuoli francesi furono
in sulle prime molto dubbiosi di adottare
questa innovazione. Sopravvenuta la rivo-
luzione, passarono molti anni senza che
fosse ottenuto alcun serio risultato; non fu
che sotto l'impero, che incominciarono a dif-
fondersi i vantaggi della nuova razza. In-
cominciato una volta il movimento, guada-
gnò sempre più, e conosciutone i grandi
benefizj > a'l' indifferenza successe 1' entu-
siasmo.
ED AGROISOMO 71
Molte delle fortune dei fittajuoli, special-
mente nei dintorni di Parigi, datano da que-
st'epoca. La produzione degli arieti per la
propagazione della razza era divenuta nei
primi anni della Ristaurazione un'industria
di molto lucro. Un ariete di Rambouillet fu
venduto 3870 franchi nel 1825. Effettiva-
mente, mentre il montone indigeno dava
appena alcune libbre di una lana ordina-
ria, i merinos davano il doppio o il triplo
in peso di una lana fina e di maggior va-
lore. Questo profitto era considerevole, e
parve sufficiente ai coltivatori francesi, che
non ne immaginavano altro ; è in questo
modo che la propagazione dei merinos, fu
considerata in Francia come Io scopo su-
premo che doveva avere di mira l'economia
rurale nell'allevamento del montone. Un
quarto circa dei montoni francesi è attual-
mente composto di merinos o merinos me-
ticci ; il resto ha guadagnato nello stesso
tempo, tanto in carne che in lana., per
il solo effetto di cure più intelligenti e di
un nutrimento migliore, di modo che può,
senza timore di esagerazione, affermarsi che*
la rendita della Francia in montoni deve
da un secolo aver quadruplicato, benché il
numero di questi animali non abbia che
raddoppiato. Questo è senza dubbio un gran
progresso, ma noi ne mostreremo uno più
grande, paragonando alla storia delle greg-
ge in Francia la storia stessa in Inghil-
terra, nel medesimo periodo di tempo.
In Inghilterra vi furono sempre molti
montoni ; queste isole erano già celebri,
sotto questo rapporto , fino dal tempo dei
Romani. Le razze primitive vivevano nello
stato selvaggio; trovansi ancora gli ultimi
loro discendenti nelle montagne del paese
di Galles , della penisola di Cornovaglia e
dell'Alta Scozia. Questa tendenza naturale
del suolo e del clima non ha fatto che ac-
crescere e fortificarsi col tempo. Sono già
quasi tre secoli, nel momento in cui lo spirito
commerciale e manifatturiero ha cominciato
a svilupparsi in Europa, l'allevamento dei
montoni aveva preso improvvisamente in
Inghilterra un'estensione dovunque inusi-
tata : allora la lana era molto cercata. Di-
72
GIORNALE DELL'INGEGNERE
stinguevansi in razze a lana lunga e razze
a lana corta; i primi soprattutto erano molto
stimati. 1/ Inghilterra aveva sulla Francia
un grande vantaggio, quando questa inco-
minciò ad occuparsi delle gregge, e questo
vantaggio si accrebbe per la nuova rivolu-
zione che inaugurò presso di essa la su-
periorità della carne sulla lana, come pro-
dotto. Anche questa volta la Francia fu
superata.
Verso il tempo in cui il governo francese
occupavasi di introdurre in Francia i me-
rinos. tentativi dello stesso genere facevansi
in Inghilterra. Sull'esempio di Luigi XVI,
il re Giorgio III, che occupavasi molto di
agricoltura , fece venire a più riprese dei
montoni spagnuoli, che stabilì sulle proprie
terre. 1 primi importati perirono; l'umidità
dei pascoli cagionava loro delle malattie che
divenivano ben tosto mortali; si collocarono
quelli che vennero in seguito su un terreno
asciutto, e sopravvissero. Da questo mo-
mento fu dimostrato che il clima inglese,
s'egli metteva un limite alla propagazione
dei merinos, non era però un ostacolo in-
vincibile alla loro introduzione. Grandi si-
gnori e celebri agricoltori occuparonsi at-
tivamente dei mezzi di naturalizzare questa
nuova razza; ma i nttajuoli fecero in prin-
cipio delle obbiezioni più fondamentali di
quelle del clima; le idee avevano cambiato,
si cominciò a presentire l'importanza del
montone come animale da macello. A poco
a poco prevalse questa nuova tendenza ;
la razza spagnuola venne abbandonata da
quelli stessi che più l'avevano vantata in
origine, ed al giorno d'oggi non esistono
più in Inghilterra merinos o meticci-men-
no*, che presso qualche dilettante, piut-
tosto come oggetto di curiosità, anzi che
di speculazione.
Il più grande promotore di questa pre-
ferenza, è stato il celebre Bakewell, un uomo
di genio nel suo genere, che ha fatto tanto
per la ricchezza del suo paese, quanto i suoi
contemporanei Arkwright e Watt. Prima di
lui i montoni inglesi non erano maturi per
il macello che all'età di 4 o 5 anni. Egli
pensò molto giustamente, che se fosse pos-
sibile di portare i montoni al loro perfetto
sviluppo prima di questa età e di renderli,
per esempio , proprj ad essere macellati a
due anni, si raddoppierebbe in questo modo
il prodotto delle gregge. Con quella per-
severanza, che caratterizza la sua nazione,
egli intraprese nel suo podere di Dishley-
Grange, in Leicester Shire, la realizzazione
di quest'idea, e finì dopo molti anni di sforzi
e sacrifizi a riuscirvi.
La razza cosi ottenuta da Bakewell, porta
il nome di nuovo Leicester dal nome della
contea, o di Dishley dal nome del podere
dove essa ebbe origine. Questa razza straor-
dinaria, senza rivale nel mondo per la sua
precocità , fornisce degli animali che pos-
sono ingrassarsi all'età di un anno, e che
hanno acquistato tutto il loro volume prima
del termine di due anni. A questa prezio-
sissima qualità essi aggiungono una perfe-
zione di forme che li rende, a volume eguale,
più carnosi e più pesanti di qualunque altra
razza conosciuta. Essi danno per adequato
50 chilogrammi di carne netta; non è raro
il caso di trovarne di quelli che ne danno
anche molto di più.
Il processo che Bakewell ha seguito per
ottenere un risultato tanto maraviglioso è
conosciuto da tutti gli allevatori, col nome
di selection. Esso consiste nello scegliere fra
gli individui d'una razza quelli che presen-
tano al più alto grado le qualità che si vo-
gliono perpetuare, e a servirsene unicamente
come riproduttori. In capo ad un certo nu-
mero di generazioni , seguendo sempre lo
stesso metodo, i caratteri che si sono cer-
cati presso tutti i riproduttori maschi e fem-
mine, divengono permanenti, e la razza è
costituita. Questo processo è estremamente
semplice , ma ciò che importa ancora , è
la scelta stessa delle qualità che è d'uopo
cercare di riprodurre, allo scopo di giun-
gere al miglior risultato. Molti allevatori
s'ingannano e lavorano in senso contrario
al loro proprio intento.
Prima di Bakewell, i fittajuoli delle ricche
pianure di Leicester, nell'intenzione di pro-
durre maggior quantità possibile di. carne,
cercavano prima di tutto nei loro montoni
ARCHITETTO
una corporatura grande. Uno dei meriti
dell'illustre coltivatore di Dishley-Grange
fu di comprendere che eravi un mezzo più
sicuro di aumentare la rendita per il ma-
cello, e che la precocità dell'ingrassamento
da una parte, la rotondità delle torme dal-
l'altra., valevano meglio a raggiungere lo
scopo, che lo sviluppo eccessivo dell'arma-
tura ossea. I nuovi Leicester non sono più
grandi di quelli che essi hanno rimpiazzato,
ma l'allevatore ne può mandar tre al mer-
cato nel tempo che gli era prima necessario
per produrne uno, e se essi non hanno mag-
giore altezza, sono più larghi, più rotondi,
più sviluppati nelle parti che danno mag-
gior carne, essi non hanno che le ossa as-
solutamente necessarie per sostenerli e quasi
tutto il loro peso è in carne netta.
L' Inghilterra fu meravigliata quando i
risultamenti annunciati da Bakewell furono
definitivamente raggiunti. Il creatore della
novella razza, che come qualunque buon
Inglese, faceva conto innanzi tutto del pro-
fitto, trasse partito in grande dall'emulazione
che eccitò la sua scoperta. Siccome tutti
volevano avere del sangue Dishley, Bake-
well immaginò di affittare i suoi arieti, in-
vece di venderli; i primi che egli affittò, non
gli produssero che 22 franchi per testa; ciò
avveniva nel 1760, e la sua razza non era
ancora giunta a tutta la perfezione. Ma a
misura ch'egli fece dei nuovi progressi e
che la riputazione del suo gregge s'accrebbe,
il suo prezzo si elevò rapidamente, e nel 1789
formatasi una società per la propagazione
della sua razza, egli le affittò i suoi arieti
per una stagione all'enorme prezzo di 0,000
ghinee (più di 150,000 fr.). Si calcolò che
negli anni che seguirono, i fittajuoli del
centro dell'Inghilterra spesero fino a 100,000
lire all'anno (2,300,000 fr.) in affitto di arieti;
Bakewell, malgrado tutti i suoi sforzi per
conservare il suo monopolio , non era più
il solo che affittasse dei riproduttori , que-
st'industria era diffusa intorno a lui ed eransi
formate molte gregge sul modello della sua.
La ricchezza di cui Bakewell ha dotato il
suo paese è incalcolabile; se fosse possibile I
il calcolare ciò che la sola razza di Dishley I
Voi. Ili, Agosto
ED AGRONOMO 73
ha reso ai coltivatori inglesi in ottant'anni,
si giungerebbe a dei risultati prodigiosi.
Ma non basta. Bakewell non ha soltanto
creato una specie particolare di montoni che
realizza il massimo di precocità e di ren-
dita che pareva possibile di raggiungere;
egli ha indicato ancora col suo esempio i
mezzi di perfezionare le razze indigene
poste in altre condizioni. I puri Dishley non
possono diffondersi uniformemente dovun-
que; originari delle pianure basse, umide
e fertili, essj non riescono perfettamente che
nelle contrade analoghe; è una razza tutto
affatto artificiale, per conseguenza delicata,
un po' cagionevole, per cui la precocità non
è che una disposizione ad una vecchiezza
prematura, e per la sua stessa conformazione
è incapace di sforzo; le è necessario, in-
sieme con un clima freddo ed un nutrimento
abbondante, un riposo pressoché assoluto,
e delle cure continue, ch'essa paga in se-
guito ad usura, egli è vero, ma che non è
sempre possibile di darle.
Si può dividere il suolo inglese, come tutti
i paesi possibili, in tre parti ; le pianure, le
coste e le montagne. Il Dishley è rimasto
il tipo del montone della pianura e nello
stesso tempo il modello unico e superiore
a cui tutte le razze devono il più possibil-
mente avvicinarsi; vennero scelte due altre
razze: una un po' inferiore alla Dishley, ma
sempre tendente verso di essa, per farne il
tipo dei paesi delle coste: è il montone delle
dune meridionali di Sussex o South Downs;
l'altra inferiore ai South Downs, ma ten-
dente verso di essi, è divenuta il tipo dei
paesi di montagna, ed è quella che nacque
nel nord del Northumberland fra l'Inghil-
terra e la Scozia, in mezzo alle montagne
dei Cheviot.
Le dune meridionali di Sussex sono filari
di colline calcari di due leghe di larghezza
media, su 25 di lunghezza circa, che cor-
rono dall'est all'ovest lungo le coste della
Manica di contro alla Francia. L'elegante
villa di Brighton, celebre pei suoi bagni di
mare , che attirano ogni anno una gran
parte del bel mondo inglese, è situata al
piede di queste colline, che presentano un
1855. 10
74
GIORNALE DELL'INGEGNERE
aspetto particolare all'Inghilterra; esse sono
intieramente spogliate di alberi, sparse qua
e là di qualche macchia, e coperte su tutta
la loro superficie di un'erba corta, sottile e
fitta. In ogni tempo questi pascoli servirono
a nutrire dei montoni ai quali essi conven-
gono perfettamente; ma l'antica razza di
questi South Downs era piccola, selvaggia
e dava peca carne; la loro carne era però
molto stimata e la lana cercata per certe
specie di panni.
Un proprietario del paese, chiamato John
Ellman, intraprese, verso l'anno 1780, di
applicare al miglioramento di questa specie
i processi che riuscivano tanto bene a Bake-
well per il perfezionamento nelle razze a
lana lunga. Una circostanza particolare per-
mettevagli di tentare questo esperimento con
qualche probabilità di buona riuscita; lungo
le colline di Sussex si estende una lista
di terre basse e coltivate , che poteva for-
nire e fornisce effettivamente un supple-
mento di nutrizione artificiale per i montoni
delle dune, durante l'inverno. Ciò che man-
tiene in generale i montoni di montagna in
uno stato meschino, non è tanto la magrezza
del pascolo in estate, quanto la quasi asso-
luta mancanza di nutrimento nell'inverno.
Questa verità venne abbondantemente di-
mostrata dalle esperienze di Ellman e dei
suoi successori sul montone delle dune.
Da che il montone aggiunse al suo re-
gime d'estate un buon regime d'inverno, lo
si ha veduto prendere rapidamente propor-
zioni più forti, e siccome nello stesso tempo,
colla scelta di buoni riproduttori , si fece
tutto il possibile per dargli l'attitudine al-
l'ingrassamento precoce e la perfezione delle
forme che caratterizzano iDishley; egli ha
finito per diventare quasi il rivale della crea-
zione di Bakewell. Attualmente, dopo 70 anni
di ben intese cure, i montoni South Downs
danno per adequato da 40 a 50 chil. di carne
netta. Generalmente si ingrassano verso i
due anni e si vendono dopo la loro seconda
tosatura. La loro carne è considerata mi-
gliore di quella dei nuovi Leicester. Il peso
della loro tosatura ha raddoppiato, come
quello dei loro corpi, e siccome essi hanno
conservata l'abitudine del pascolo, durante
l'estate, così hanno mantenuto il loro tem-
peramento robusto e la loro primitiva sel-
vatichezza.
Si è calcolato che le dune della contea
di Sussex e le vicine pianure, dovrebbero
nutrire in oggi un milione di montoni miglio-
rali, e la razza non è più rinchiusa ne' suoi
antichi limiti, essa ne è uscita per spandersi
al di fuori, sia nella pura e semplice sosti-
tuzione alle varietà locali, sia mescolando-
visi e trasformandole da cima a fondo per
mezzo di incrociamenti; essa è penetrata
dappertutto, ove il suolo, senza essere ab-
bastanza ricco per nutrire dei Dishley , lo
è abbastanza però per unire a buoni pascoli
d'estate, un sufficiente alimento d'inverno.
Essa domina in tutti i paesi di formazione
calcare, tende a rimpiazzare le antiche spe-
cie delle contee di Berks, di Hants e di Wilts,
e nel nord la si trova fino nel Cumber-
land e nel Westmoreland.
La storia dei montoni Cheviot non è tanto
brillante come quella dei Dishley e dei South
Downs. Questa razza non è però meno pre-
ziosa delle altre, in quanto che da essa si
può trarre tutto il partito possibile delle
regioni fredde e incolte. Uscita dalle monta-
gne intermedie fra le alte catene del nord
dell'Inghilterra e le terre coltivate, essa ha
dovuto il suo miglioramento, come i South
Downs, a un supplemento di nutrizione ar-
tificiale, durante l'inverno, per quanto al-
meno lo permisero i luoghi agresti dove essa
vive; essa fu inoltre, come alcune altre,
l'oggetto di una scelta, condotta con molta
cura, e le sue forme sono in oggi, per quanto
è possibile, perfette.
I montoni Cheviot perfezionati s'ingras-
sano nel loro terzo anno, e somministrano
per adequato da 30 a 40 chil. di eccellente
carne. La loro lana è folta e corta, essi pas-
sano l'inverno sulle loro montagne, esposti a
tutte le intemperie delle stagioni e non si
ricoverano mai negli ovili.
In Inghilterra i Cheviot non furono in-
trodotti fuori del loro paese natale, che nelle
parti più montuose del paese di Galles e
di Cornovaglia. Al contrario, nella Scozia*
ARCHITETTO
ove sono state importate da Sir John Sin-
clair , essi si sono sparsi in grandissimo
numero; incominciarono ad invadere gli
hiyhlands del sud, e di là penetrarono, se-
guendo i monti Grampians, fino alle estre-
mità settentrionali, ove si propagano rapi-
damente. In queste elevate e procellose re-
gioni, essi disputano il terreno a un'altra
razza ancora più selvatica, la razza a testa
nera delle lande, che indietreggiano a poco a
poco davanti ad essi, abbandonando loro le
migliori praterie per rifugiarsi sulle cime più
selvagge.
Queste tre razze tendono presentemente
ad assorbire tutte le altre e ad invadere
tutta la Gran Brettagna. Alcune varietà lo-
cali però resistono e si sviluppano a parte:
tali sono quelle! delle paludi di Romney,
nella contea di Kent, quella della pianura
o coslwolds della contea di Glocester, le
razze di Lincoln e di Teeswater a lana
lunga, quella di Doriet e di Hareford a lana
corta ecc. Tutte queste specie sono miglio-
rate per mezzo di processi analoghi a quelli
che vennero seguiti pei Dishley, i South
Downs ed i Cheviot. In tutta l'Inghilterra,
l'allevatore di montoni si occupa prima di
tutto al dì d'oggi, tanto nel perfezionare la
sua razza in se stessa, quanto incrociandola
con altre già perfezionate , o sostituendo
una di queste razze alla sua, secondo che
l'uno o l'altro di questi mezzi gli sembra
più efficace ad aumentare la precocità e ad
arrotondare le forme de\suoi prodotti. Si
può dire che il genio di Bakewell è penetrato
in tutti i suoi compatrioti.
Proviamo frattanto di paragonare appros-
simativamente i prodotti annuali che i due
paesi traggono da questo [numero eguale
di montoni.
La produzione della^lana deve^essere in
Francia di 60 milioni di chilo, circa ; la
stessa produzione è valutata in Inghilterra
a 550, 000 balle di 240 libbre inglesi , ciò
che equivale a 60 milioni di chil. I due paesi
sarebbero dunque suH'egual piede, per la
lana; ma l'Inghilterra è superiore in una
proporzione enorme, se si tratta della carne.
Si macellano ogni anno nelle isole bri-
ED AGRONOMO 75
tanniche circa 10 milioni di capi, dei quali
8 milioni nella sola Inghilterra, che danno
un peso medio di 30 chil. di carne netta per
capo, 360 milioni di chil.
Si macellano in Francia circa 8 milioni
di capi, che al peso medio di 18 chil. di
carne netta, la metà cioè dei montoni in-
glesi, danno 144 milioni di chil.
Da cui ne consegue che il prodotto dei
35 milioni di montoni francesi sarebbe rap-
presentato dalle cifre seguenti:
Lana ... 60 milioni di chil.
Carne . . . 144 »
E la rendita dei 35 milioni di montoni
inglesi dà questa:
Lana ... 60 milioni di chil.
Carne. . . 360 »
E perciò il prodotto della carne inglese
è il doppio del francese. Senza dubbio queste
cifre non sono dijun'esaltezza matematica,
ma si approssimano abbastanza al vero per
dare una sufficiente idea dei fatti generali.
Si sono piuttosto ridotte che accresciute le
cifre date dalle ordinarie statistiche, in ciò
che riguarda l'Inghilterra, ed al contrario,
piuttosto accresciute che ridotte quelle che
riguardano la Francia. David Low, il dotto
professore d' agricoltura all' università di
Edimburgo, nel suo Trattato degli animali
domestici, pubblicato già da molti anni,
porta a 227 milioni il valore della lana pro-
dotta annualmente in Inghilterra; ma questa
valutazione è evidentemente esagerata; il
commentatore francese di David Low, va-
luta nello stesso tempo il prodotto dei mon-
toni inglesi, in carne, a 640 milioni di chil.,
ciò che non sarebbe possibile, a meno che
tutti i montoni inglesi fossero di Dishley.
D'altra parte il sig. Moreau di Jones nella
sua statistica agricola, fatta su documenti
officiali, porta a 6 milioni il numero di capi
macellati in Francia, a 13 chil. la rendita
media, e a 80 milioni di chil. il prodotto
totale. Tutte queste medie si sono alquanto
innalzate, parendo troppo basse.
Si scorge facilmente, quanto questo risul-
tato, che sembra già sì grande per le isole
76 GIORNALE DF.
britanniche in generale, deve diventare enor-
me quando trattasi soltanto dell'Inghilterra
propriamente detta.L'Inghilterranutre2 capi
di montone per ettaro, mentre in Francia la
media è di due terzi di capo, ed il prodotto
dei montoni inglesi essendo inoltre il doppio
di quello dei montoni francesi, ne consegue
che la vendita media di un podere inglese
in montoni è, a superficie eguale, sei volte
più alto di quello di un podere francese.
Questa affliggente sproporzione non è però
vera in alcuni poderi francesi, dove l'edu-
cazione della specie ovina è saviamente in-
tesa, quanto in Inghilterra, ove pure si è
sulla strada di oltrepassare gli Inglesi col
mezzo della giudiziosa mescolanza del san-
gue inglese col sangue merinos. Basta il
citare, fra le altre, la magnifica greggia del
sig. Pluchet a Trappes (Seine-et-Oise), quella
del sig. Malingiè a la Charmoise (Loir-et-
Cher) e gli incrociamenti che si fanno negli
ovili dello Stato , principalmente a Alfort ;
ma egli non è men vero che la Francia in
generale è rimasta molto indietro. L'Irlanda
sola, nelle isole britanniche, ha una ricchezza
ovina eguale alla francese; la Scozia è su-
periore. Aggiungiamo che queste cifre, già
sorprendenti, sono lontane dall'offrire la mi-
sura compiuta de' vantaggi che l'agricol-
tura inglese trae dai suoi montoni ; non bi-
sogna dimenticare che questo prezioso ani-
male non dà soltanto al coltivatore carne e
lana, egli lo arricchisce anche col suo con-
cime, e tutta questa rendita è ottenuta mi-
gliorando di più il suolo che lo produce. E
in certo modo il bello ideale della produ-
zione rurale.
Se ora portiamo i nostri sguardi fuori
d'Europa, nelle colonie britanniche, noi vi
troviamo l'educazione del montone prati-
cata sull'esempio della madre patria con una
predilezione marcata. Qui la popolazione
essendo più rara e la ricchezza consistendo
principalmente nell'esportazione, non è più
la carne che è cercata, ma la lana, perchè
la lana si trasporta più facilmente. Nello
stesso tempo che l'Inghilterra bandiva i
merinos, li trasportava nelle sue colonie.
Si sono trovati, all'altra estremità dei mari,
LL INGEGNERE
deserte e immense regioni, ammirabilmente
adattale alla razza spagnuola. Questa razza
vi si è grandemente moltiplicata e si creò
un nuovo mondo. Su quegli inabitati pa-
raggi si innalzarono, come per incanto,
magnifiche ville; il flutto dell'emigrazione
britannica vi si spande come una marea
continuamente crescente , e non ostante ,
chi produce tutte queste meraviglie è un
debole animale, un montone. Si temette un
istante, che la scoperta delle miniere d'oro
non facesse abbandonare i pascoli, e tutta
l'Inghilterra si scosse; ma questi timori sono
alquanto calmati ed il montone compete an-
che coll'oro.
Al principio di questo secolo l'Inghilterra
traeva dalla Spagna la metà delle sue lane im-
portate;attualmentela Spagna non figura che
di nome sui suoi stati d'importazione. Paesi
che non davano una libbra di lana cinquan-
tanni fa, il cui nome era quasi sconosciuto,
figurano in oggi su questi stati per quantità
enormi. Tali sono le colonie britanniche nel-
l'Australia, che forniscono 40 milioni di lib-
bre dilana,la colonia del Capo di Buona Spe-
ranza e i possessi inglesi dell'India, che ne
spediscono Ì0 a 12 milioni. Queste lane sono
di eccellente qualità e vanno migliorando
ogni giorno. I produttori disputano da questi
lontani paesi ai coltivatori francesi gli ovili
di Rambouillet, che pagano a caro prezzo.
L'Inghilterra unendo il prodotto de' suoi
montoni coloniali indigeni a quello de' suoi
montoni coloniali, realizza ogni anno una
ricchezza di 6 a 700 milioni, che raddoppia
poi colle sue manifatture. Mirabile potere
dell' industria umana , quando ella sa trar
partito abilmente dai doni della Provvidenza!
La Francia, superata nella produzione
della carne dalla parte europea dell'impero
britannico, lo è ancora nella produzione della
lana per l'unione delle colonie e della me-
tropoli. Eppure non mancano alla Francia
le risorse naturali, ed essa ha di che riva-
leggiare largamente, sia sul suo suolo, sia
nella sua colonia africana, ben più vicina
delle colonie d'Australia. La stessa distin-
zione che si è stabilita in Inghilterra, si
stabilirà probabilmente un giorno fra il suolo
ARCHITETTO
nazionale e le colonie francesi; in Francia
senza rinunciare del tutto alla lana, gli al-
levatori volgeranno la loro attenzione ai
prodotti della carne, più di quello che fe-
cero finora; gli Algerini, alla lor volta,
traggono immenso profitto dalla produzione
della lana; gli uni egli altri dovranno la-
vorare attivamente per accrescere ad un
tratto il numero e la qualità dei loro mon-
toni. Gli impulsi vengono da ogni parte, e
ogni giorno si fanno grandi progressi in
questa doppia via, ma i Francesi si son posti
in cammino un po' tardi, e l'Inghilterra ha
su di essi una superiorità che difficilmente
potranno raggiungere.
La superiorità dell'agricoltura inglese sulla
francese non è così grande sul bestiame gros-
so, quanto sulla razza ovina; essa è perù
molto sensibile.
Il numero delle bestie cornute, possedute
dalla Francia, ascende a 10 milioni di teste;
il regno-unito ne alleva circa 8 milioni, cioè
un po' meno; ma se è inferiore la quantità
assoluta, non è minore la quantità propor-
zionale. Su questo numero l'Inghilterra e
il paese di Galles contano 5 milioni di teste,
la Scozia un milione, l'Irlanda 2, cioè, l'In-
ghilterra ha una testa sopra tre ettari, la
Scozia una sopra otto, l'Irlanda una sopra
quattro, e in Francia la media di una testa
ogni cinque ettari. Si vede che la media della
Francia non è realmente superiore a quella
della Scozia, il cui suolo fa eccezione; essa
è al disotto dell'Irlanda stessa, è assai lon-
tana dall'Inghilterra. Questo in quanto al
numero,, e in quanto alla qualità, l'inferio-
rità francese è maggiore.
L'uomo può domandare alla razza bovina,
oltre il concime, il cuojo e la borra, tre sorta
di prodotti : il lavoro, il latte e la carne. Di
questi tre prodotti il meno lucroso è il primo,
e troviamo qui una distinzione affatto ana-
loga a quella che abbiam fatto pei montoni.
Mentre l'agricoltore francese impiegava il
bestiame cornuto principalmente al lavoro,
l'inglese ne traeva invece latte e carne. Que-
sta seconda distinzione ha prodotto diffe-
renze quasi sensibili come la prima.
Vediamo dapprima i prodotti del latte nei
ED AGRONOMO 77
due paesi. La Francia possiede 4 milioni di
vacche capaci di figliare, e il regno-unito
3 milioni; ma tre quarti delle vacche fran-
cesi non sono lattifere, mentre quasi tutte
le vacche inglesi lo sono. Le esigenze del
lavoro, che richiede delle razze forti e ro-
buste, si conciliano difficilmente col tempe-
ramento favorevole all'abbondante produ-
zione del latte. La cattiva pastura, la man-
canza di cure, il difetto di ogni precauzione
nella scelta dei riproduttori, e forse anche
nell'estremo mezzodì la secchezza e il ca-
lore del clima, accrescono l'effetto prodotto
dal lavoro. Nelle parti della Francia dove
gli allevatori, per circostanze locali, han
posto mente alla produzione del latte, si ot-
tennero risultati comparabili e spesso supe-
riori a quelli che si ottengono in Inghilterra,
condizioni che mostrano quanto la Francia
possa in generale gareggiare per quest' in-
dustria coli' Inghilterra; ma se le razze lat-
tifere francesi valgono quanto le inglesi e
talvolta di più, non sono però tanto diffuse.
Non vi sono, in Inghilterra, vacche che
sorpassino sensibilmente le vacche francesi,
fiamminghe, normanne, bretone, per la quan-
tità e la qualità del latte e per la propor-
zione del prodotto latteo relativamente alla
quantità di cibo consumato. Quanto ai pro-
dotti di casone, se i formaggi inglesi sono
in generale migliori dei francesi, non così
avviene del burro, che non è per nulla pa-
ragonabile alle buone qualità prodotte in
Brettagna e Normandia. Malgrado questi
vantaggi incontrastabili, il prodotto totale
delle vacche inglesi in latte, burro e formag-
gio passa di molto il prodotto delle vacche
francesi, benché quest'ultime siano più nu-
merose e in certi luoghi molto più lattifere.
In agricoltura può solo dare dei grandi ri-
sultati una pratica generalizzata; e difatti
in Inghilterra è costume universale di man-
tenere una o più vacche lattifere.
La razza lattifera per eccellenza dell'im-
pero britannico, è originaria delle isole della
Manica, che sono un frammento staccato
della Normandia. La si denomina general-
mente isola d'Alderney, che si chiama in
francese Aurigny. Si hanno dovunque le
78
GIORNALE DELL INGEGNERE
precauzioni più mimile per mantenere la
purezza di (mesta razza, che non è, in fin
dei conti, che una varietà delle francesi. Le
isole della Manica producono molte gioven-
che vendute per l'Inghilterra e assai ricer-
cate dai ricchi pei loro casoni di campagna.
Chiunque ha fatto il viaggio di Jersey, avrà
veduto queste belle bestie, così intelligenti
che popolano i pascoli di quest'isola, e che
fanno parte della famiglia presso tutti i col-
tivatori. Sono senza dubbio buone di natura,
ma non poco contribuirono a renderle tanto
produttive le cure affettuose di cui sono
l'oggetto. Gli abitanti di Jersey ne sono su-
perbi e gelosi come di un tesoro unico al
mondo.
Questa razza però , trova una rivale in
un'altra, che le assomiglia molto, e che de-
v' esser nata dagli incrociamenti : è quella
della contea d'Ayr in Scozia. Non molto
tempo fa la Scozia, in generale, era quasi
affatto incolta; la contea d'Ayr principal-
mente, non è coltivata con qualche accu-
ratezza che da cinquanta o sessantanni:
questo antico paese di lande e di paludi è
divenuto una specie di Arcadia. Quivi nac-
que Roberto Burns, il pastore poeta: le sue
poesie campestri, che datano dalla rivolu-
zione francese, sono contemporanee al ri-
sorgimento agricolo del suo paese natale.
La stessa ispirazione che produsse le can-
zoni bucoliche di Burns, ha creato questa
bella razza lattifera d'Ayr, le cui forme
graziose, il pelo variato, il carattere tran-
quillo, le grosse poppe, il latte abbondante
e denso, realizzano l'ideale della vita pa-
storale. Una buona vacca di questa specie
può dare più di quattro mila litri di latte
all'anno; ne danno in media tre mila e si
trovano dappertutto, tanto in Iscozia che in
Inghilterra.
Tutte le altre razze inglesi sono più o
meno da latte; si può ritenere che una vacca,
che non ha latte, è un'eccezione in questo
paese. L'Irlanda stessa possiede due razze
di vacche da latte: una piccola e selvatica, in-
teramente analoga alle razze francese ebret-
tona, ed originarie delle selvagge monta-
gne di Kerry ; l'altra, grande e forte, che
sviluppossi nei ricchi pascoli delle rive del
Shannon.
Il consumo del latte sotto tutte le forme,
ha preso in Inghilterra uno sviluppo enor-
me : sotto questo rapporto le loro abitudini
sono antiche; egli è gran tempo che Cesare
diceva dei Britanni: lacle et carne vivunl.
Essi non hanno il costume, come una gran
parte dei Francesi, di preparare gli alimenti
colla grascia o coli' olio ; il burro serve
loro per tutte le preparazioni culinarie , il
formaggio figura in tutti i loro pasti. Le
quantità di burro e di formaggio che si fab-
bricano da un capo all'altro delle isole bri-
tanniche, passano ogni immaginazione. La
contea di Chester produce da sola un mi-
lione di sterline, ossia 25 milioni di franchi
in formaggio, all'anno. Non contenti di ciò
che producono i loro casoni, essi fanno an-
che venir molto burro o formaggio dall'e-
stero, e questa circostanza, che mostra fino
a qual punto è spinto il gusto nazionale,
spiega perchè il prezzo medio del latte è
più alto presso di essi che in Francia. Men-
tre ì produttori francesi ottengono per ade-
quato 10 centesimi per litro di latte, i pro-
duttori inglesi ne ottengono 20.
In somma si può valutare la produzione
in latte delle vacche inglesi a 3 miliardi di
litri, dei quali 1 miliardo circa, serve al
nutrimento dei vitelli e 2 al nutrimento del-
l'uomo ; è una media di circa 1,000 litri per
ogni vacca. La produzione della Francia è
tutt'al più di due miliardi di litri in ragione
di 500 litri per testa, di cui la metà per lo
meno è assorbita dai vitelli.
Così , mentre i produttori francesi non
hanno da vendere per il consumo umano,
che 1 miliardo di litri, i produttori inglesi
ne vendono 2, e siccome essi ottengono
dal loro latte, colla loro industria, un prezzo
doppio di quello che ne ottengono i Fran-
cesi, ne consegue, che il prodotto dei ca-
soni deve essere quattro volte maggiore in
Inghilterra che in Francia ; i due prodotti
sarebbero allora rappresentati dalle cifre
seguenti :
Francia, l miliardo di litri
a 10 cent 100 milioni
ARCHITETTO
Isole Britanniche, 2 miliardi
di litri a 20 cent. . . . 400 milioni
Queste differenze, qualunque sia la loro
importanza, non faranno maraviglia a chiun-
que avrà paragonato anche in Francia il pro-
dotto delle mandre sui varii punti del ter-
ritorio. Fra una stalla di Normandia , per
esempio, dove la produzione e la manipo-
lazione del latte sono ben intese , ed una
stalla del Limosino o della Linguadoca, ove
la facoltà lattifera non ha ricevuto sviluppo
nelle vacche, il contrasto è più grande, che
fra una stalla francese in generale ed una
stalla inglese. Non solo la quantità del latte
è infinitamente minore, ma è ancor minore
il prezzo che se ne ritrae; il produttore del
Centro o del Mezzodì non sa che fare del
suo latte, quando ne ha; il produttore del
nord al contrario ne trae mirabile partito.
In ogni paese l'arte di produrre e di uti-
lizzare il latte è un'eccellente industria, ed
ì paesi che fabbricano burro e formaggio,
sono sempre più ricchi degli altri.
Se il lavoro di cui in Francia si aggrava
il grosso bestiame, la priva di una gran ren-
dita in latte, la priva anche di una rendita
non meno preziosa in carne da macello.
Sembra a prima vista che il lavoro della
razza bovina non debba avere molta in-
fluenza sulla sua rendita in carne, e che
questo lavoro, nell'utilizzare la vita di un
bue, permetta di fare della carne a miglior
prezzo. L'esperienza ha mostrato che se ciò
era qualche volta una verità di dettaglio,
era anche un errore d'insieme. L'abitudine
al lavoro forma delle razze dure, vigorose,
lente, che, come gli uomini dedicati a una
fatica penosa, mangiano poco, s'ingrassano
di buon' ora, prendono delle forme rotonde
e carnose e somministrano a nutrimento
eguale, un più bel prodotto al macello. Le
cure dell'allevatore ajutano questa disposi-
zione naturale e l'accrescono talvolta all'in-
finito. A questa causa generale di superiorità
possono aggiungersi delle cause secondarie
che derivano tutte dal medesimo principio.
Così, quando si fa conto, avanti tutto, della
somma del lavoro che può dare un animale,
non lo si macella, che quando egli ha finita
ED AGRONOMO 79
la sua carriera; quando al contrario non
gli si dimanda che della carne, si coglie,
per macellarlo, il momento in cui egli può
darne di più. Così pure per gli animali da
tiro , i coltivatori poveri sono facilmente
indotti a moltiplicarne il numero in pro-
porzione del bisogno cb/essi ne hanno., senza
darsi pena del nutrimento che possono dar
loro; essi sono in tal modo condotti a pro-
durre delle razze piccole e magre che cor-
rispondano prima di tutto, come l'asino, al
loro destino, ma che non sono di alcuna
risorsa ulteriore; quando al contrario si
specula sulla carne, s'impara ben presto a
non avere che quelle bestie che si possono
ben nutrire, perchè il nutrimento è loro dì
miglior profitto.
Questo insieme di cause fa che, contra-
riamente alle apparenze, le razze da macello
sono quelle che pagano meglio ciò che esse
consumano, e che il lavoro delle bestie
cornute, necessario 0 no, in luogo di essere
un benefizio, è una perdita.
È pure il celebre coltivatore di Dishley-
Grange, Roberto Bakevell, che ha dato Io
slancio in Inghilterra per il perfezionamento
della razza bovina, considerata esclusiva-
mente al punto di vista del macello. I suoi
processi erano gli stessi che pei montoni,
soltanto egli è men bene riuscito perso-
nalmente. Il montone prodotto da Bake-
well è rimasto il tipo più perfetto del mon-
tone da macello, la razza de'buoij ch'egli
ha creata, non ebbe la stessa fortuna. Quella
a lunghe corna del centro dell'Inghilterra,
eh' egli aveva scelta per farne il soggetto
de' suoi sforzi, è una razza difettosa per
molti riguardi. Malgrado la sua abilità e
la sua perseveranza, egli non ha potuto
modificarla abbastanza profondamente per
toglierle i suoi difetti primitivi, la razza a
lunghe corna è al dì d'oggi quasi general-
mente abbandonata; ma se questo grande
allevatore non è riuscito interamente nella
sua impresa, egli ha dato almeno degli
esempi e dei modelli che sono stati seguiti
per ogni dove, e che hanno finito per tra-
sformare tutte le razze inglesi. Attualmente
non esiste forse in tutta la Gran Brettagna
80
GIORNALE DELL'INGEGNERE
un sol capo di bestiame., che non sia stato
profondamente modificato secondo il metodo
di Bakewell, e se alcuno non porta il suo
nome, come fra le bestie lanute, tutte hanno
egualmente subita un'impronta.
Fra queste razze migliorate da lungo
tempo, figura primamente quella a corna
corte di Durham. Essa ebbe origine nella
pingue vallata della Tees e sembra essere
stata formata nel suo principio , per l'iu-
crociamento delle vacche olandesi coi tori
indigeni. Questa razza era già degna di
osservazione per la sua attitudine all' in-
grassamento e le sue qualitàlattifere, quando
le idee di Bakewell si sparsero iu Inghil-
terra. I fratelli Collins, coltivatori a Dar-
lington, immaginarono verso il 1775 di ap-
plicare questi processi alla razza della Tees
ed ottennero, quasi subito dopo i tentativi,
risultati considerevoli. La stalla di Carlo
Collins aveva acquistato una tale riputa-
zione in trent' anni , che allorquando si
vendettero all'incanto nel 1810 i 47 animali
di cui essa componevasi , dodici dei quali
al di solto diun anno, si ricavarono 478,000
franchi.
La razza a corna corte , migliorata , si
estese dopo quest'epoca in tutta l'Inghilterra,
in Scozia, ed in Irlanda, e dopo qualche
tempo si introdusse in Francia. Gli animali
che ne sono usciti possono ingrassare al-
l'età di due anni e raggiungere a questa
età un peso enorme che nessun' altra razza
può dare così presto. La loro testa, le loro
gambe , e le loro ossa in generale sono
state ridotte a così piccole proporzioni , e
le parti del corpo le più carnose, così lar-
gamente sviluppate, che essi rendono quasi
tre quarti del loro peso in carne.
Dopo la razza a corna corte di Durham,
che è per i buoi ciò che è per i montoni
la razza di Dishley, vengono "quelle di He-
reford e di Devon, che possono essere pa-
ragonate ai South-Downs ed ai Cbeviot.
La razza di Hereford segue dappresso quella
di Durham, ed è anche più generalmente
cercata di essa , essendo quella che offre
quasi la stessa precocità, la stessa attitu-
dine all'ingrassamento con maggiore selva-
tichezza. La contea di Hereford , doddove
è uscita, è situata al piede delle montagne
del paese di Galles, e benché rinomata pei
suoi boschi, i suoi pascoli, le sue esposizioni,
ha soltanto terreni di mediocre fertilità. I
buoi che essa produce sono di rado ingras-
sati nel paese, in generale sono acquistati
dai pastori , che li conducono nei luoghi
più fertili, ove assumano il loro intero svi-
luppo, ciò che è difficile farsi per i Dur-
ham, i quali esigono fin dalla loro nascita
un' abbondante alimentazione. La contea
di Hereford è quindi per una gran parte
dell' Inghilterra . ciò che sono in Francia
l'Alvernia o il Limosino, un paese elevato
i cui prodotti si esportano di buon' ora e
vanno ad alimentare il mercato della capi-
tale. 11 perfezionamento di Hereford è dovuto
a un contemporaneo di Bakewell chiamato
Tomkins.
La razza di Devon è una razza di mon-
tagna che altre volte lavorava molto e che
in alcuni luoghi è tuttora sottoposta al la-
voro; essa è piccola ma mirabilmente con-
formata.
Tutte le altre razze della Gran Brettagna,
senza aver raggiunto precisamente la stessa
perfezione, sono state migliorate nello stesso
modo. La Scozia ne produce molte, che
godono di una grande reputazione; i buoi
scozzesi escono dalle loro montagne all'età
di tre o quattro anni per venire a ingras-
sare in Inghilterra; tali sono i buoi detti
di Galloway, la razza nera senza corna
della contea d' Angus , e quell' ammirabile
razza degli highlands dell'ovest, una delle
più meravigliose creazioni dell'uomo , che
vive senzatetto sulle più selvagge montagne
del nord , e <:he malgrado la sterilità del
suolo e l'asprezza del clima giunge ad un
peso medio straordinario, il cui valore s'ac-
cresce ancora per l'eccellente qualità della
sua carne.
Ecco ora quali sono presso a poco i ri-
sultali comparativi dei due sistemi :
In Francia il numero delle bestie macel-
late annualmente deve essere di 4 milioni
di capi, producenti in tutto 400 milioni di
chilo, di carne, in ragione di 100 chilo, di
peso medio. La statistica officiale dice 300 mi-
lioni soltanto.
Nelle isole britanniche il numero delle
bestie macellate annualmente è di 2 milioni
di capi, producenti in tutto 500 milioni di
chilo, di carne, in ragione di 200 chilo, di
peso netto.
Così con 8 milioni di capi e 30 milioni
d'ettari, l'agricoltura britannica produce
500 milioni di chilo, di carne, mentre che
la Francia, con 10 milioni di capi e 53 mi-
lioni d'ettari non ne produce che 400.
Questa nuova sproporzione si spiega per-
fettamente oltre la differenza delle razze ,
per la differenza nell'età degli animali ma-
cellati. I buoi francesi sono macellati troppo
presto o troppo tardi; la necessità di nutrire,
prima di tutto, gli animali da lavoro in
Francia li costringe ad ammazzare un gran
numero di vitelli nell'età in cui il crescere
è più rapido. Sui 4 milioni di capi francesi
figurano 2 milioni e mezzo di vitelli , che
non danno più di 30 chilo, di carne netta
per media; quelli che sopravvivono non
sono immolati che a un' età in cui il cre-
scere ha cessato da lungo tempo, cioè dopo
che l'animale ha consumato per molti anni
il nutrimento che non ha servito ad accre-
scere il suo peso. Gli Inglesi al contrario
non ammazzano i loro animali né tanto
giovani, perchè è nella giovinezza che essi
fanno più carne, né tanto vecchi, perchè
essi non ne fanno più; essi colgono il mo-
mento preciso in cui l'animale ha acqui-
stato il suo maximum di crescimene.
Questi risultati tanto favorevoli all' eco-
nomia rurale inglese divengono meno, egli
è vero, pel lavoro che danno in Francia le
bestie bovine. La Francia ha in tutto 2 mi-
lioni circa di buoi, i quali per la maggior
parte lavorano, e fra le vacche ve ne hanno
molte che trascinano l'aratro. Se i Francesi,
ad imitazione v. !i Inglesi, avessero sop-
presso quasi dappertutto il lavoro de' buoi,
sarebbero stati obbligati a rimpiazzarli con
àii .avalli; questi cavalli renderebbero ne-
cessarie delle spese che rappresentano il
valore attuale del lavoro delle bestie cor-
nute. Valutando questo lavoro a 200 fr. circa
ARCHITETTO ED AGRONOMO
81
al pajo , si avrebbe una somma annuale
di 200 milioni, da aggiungere al credito della
razza bovina francese.
Il conto dei prodotti del bestiame grosso
nei due paesi potrebbe dunque stabilirsi al-
l'incirca nel seguente modo, trascurando da
una parte e dall'altra il valore delle inte-
riora e dei concimi, che devono compen-
sarsi presso a poco tra loro e valutando il
ch'il, di carne a un franco:
Francia. •
Latte 100 milioni
Carne 400 »
Lavoro 200 »
Totale 700 milioni
Cioè 70 franchi per testa e 14 franchi per
ettaro.
Isole britanniche.
Latte 400 milioni
Carne 500 »
Fai. Ili.
Totale 900 milioni
Ossia 110 franchi per capo e 30 franchi
per ettaro. Neil' Inghilterra propriamente
detta, questo prodotto è di circa 50 franchi
per ettaro.
Queste cifre si verificano per un fatto
estremamente semplice e facile a constatare:
è il prezzo medio degli animali nei due paesi.
In generale, il prezzo corrente di un ani-
male, dà una misura abbastanza esatta del
beneficio che l'acquirente spera di ritrarre;
ora egli è un fatto costante che il valor
medio delle bestie cornute in Inghilterra è
molto al disopra di quello in Francia. Non
è necessario di andare in Inghilterra per
constatare una simile differenza ; vi sono in
Francia due regioni, una dove il bestiame
grosso non lavora, e l'altra, dove è soggetto
al lavoro. Se noi cerchiamo il valore medio
nelle due regioni, vediamo che egli è nella
prima ben superiore a quello della seconda.
E perciò l'arte di allevare il bestiame uni-
camente per il macello è tuttora presso a
poco ignoto in Francia.
Si sa che la sostituzione delle razze da
latte e da macello, alle razze da lavoro non
è sempre possibile; più tardi si dimostrerà
Jgosto 1855.
Il
82 GIORNALE DE
il modo con cui l'agricoltura britannica ha
potuto su questo minto essere superiore alla
francese; intanto egli è provato che pel solo
fatto dell'abbandono quasi completo del la-
voro coi buoi., il suolo britannico, compresa
pure la Scozia e l'Irlanda, è giunto a un
prodotto doppio del francese pel bestiame
grosso. Tale è in agricoltura il potere di
un'idea giusta, quando se ne può fare l'ap-
plicazione.
Le altre specie di animali domestici sono
i cavalli ed i porci. Pei cavalli la premi-
nenza dei produttori inglesi è da lungo tempo
riconosciuta. La Francia ha circa 3 milioni
di cavalli di ogni età, ossia 6 capi circa su
100 ettari; l'Inghilterra, la Scozia e l'Ir-
landa, prese insieme, ne hanno 2 milioni,
cioè egualmente 6 capi circa ; ma i 3 mi-
lioni di cavalli francesi non possono essere
stimati per medio che 150 fr. per ogni capo,
cioè in totale un valore capitale di 450 mi-
lioni, mentre i 2 milioni di cavalli inglesi
sono stimati per medio 300 franchi, ciò che
dà un valor capitale di 600 milioni. Egli è
vero che per compire il paragone è d'uopo
aggiungere al capitale francese in cavalli il
valore dei muli e degli asini, che la stati-
stica officiale porta a 80 milioni e che pro-
babilmente si approssima a 100; ma anche
aggiungendo quest'ultima somma all'altra,
la Francia è ancora indietro, mentre l'esten-
sione del suo suolo dovrebbe assicurarle
una grande superiorità.
Si potrebbe dubitare che il valore medio
dei cavalli francesi possa essere ridotto nella
stima su espressa; e quello dei cavalli inglesi
accresciuto; ma ciò non sarebbe senza pe-
ricolo di errore, tutti i cavalli inglesi non sono
cavalli di corsa; se fossero tutti cavalli di
corsa, sarebbero stimati più di 300 fr. Il va-
lore del cavallo di corsa inglese è del tutto
ideale , ma esso si estende ad un piccolo
numero di capi, e per questo giustifica per
molti riguardi l'alto prezzo che gli Inglesi
attribuiscono a tutto ciò che può migliorare
le loro razze. Questo è precisamente il mo-
tivo per cui gli stalloni senza difetti, si pa-
gano enormi prezzi, e perchè gli allevatori
britannici hanno potuto perfezionare i loro
■ Li/ INGEGNERE
cavalli comuni. Ogni specie di animali do-
mestici ha la sua speciale utilità; quella del
cavallo è la forza unita all'agilità. Gli In-
glesi si sono adoperati a sviluppare nei loro
cavalli queste due condizioni, e sebbene ciò
costi molto in sulle prime, trovasi alla fine
che essi non pagano l'unione della forza
all'agilità più cara dei Francesi, perchè essi
concentrano il più che è possibile i loro
mezzi di produzione e di manutenzione su
individui scelti , in luogo di sperdcrli su
animali di poco valore.
Oltre i loro celebri cavalli da sella, essi
hanno delle razze da tiro egualmente pre-
ziose. Tali sono, per esempio, i cavalli di
aratro, che vengono per lo più dalla contea
di Suffolk. Si osservò che venne general-
mente sostituito il lavoro dei cavalli a quello
dei buoi per la coltivazione; si pensò a ra-
I gione che il cavallo , andando più lesto, il
suo lavoro era maggiormente produttivo;
si fece di più: si sostituì il cavallo anche
agli uomini stessi ogni volta che il lavoro
dell'uomo, il più costoso di tutti, poteva es-
sere rimpiazzato da una macchina messa
in movimento da un cavallo. Nello stesso
tempo si sono cercati i metodi di coltiva-
zione che permettevano di sopprimere qua-
lunque sforzo inutile e poco produttivo e
si è procurato di rimpiazzare, dovunque si
è potuto, le bestie da tiro con qualunque
altro motore più economico, come l'aqua,
il vento, il vapore. Nonostante queste sem-
plificazioni, la somma del lavoro agricolo,
eseguito in Inghilterra per mezzo dei ca-
valli, è molto più considerevole che in Fran-
cia, ed il uumero di questi animali impie-
gati per l'agricoltura non è aumentato in
proporzione; la ragione è che le loro mute,
essendo in generale più scelte e meglio man-
tenute delle francesi, hanno maggior vigore
ed agilità.
I cavalli che servono ai lavori delle bir-
rerie, ai trasporti del carbone ed altre mer-
canzie grossolane, sono celebri per la loro
forza e per la loro mole; i migliori giun-
gono a prezzi elevatissimi. Lo stesso è dei
cavalli da vettura: la razza dei cavalli baj
di Cleveland nella contea di York è una
ARCHITETTO
delle più perfette che esistano per le mute
di lusso.
Quanto al eavallo da corsa e al suo rivale,
il cavallo da caccia, ognuno sa per qual
cumulo di sforzi si è giunti a produrre e
mantenere queste specie superiori; sono
creazioni dell'industria umana, vere opere
darle, ottenute a tutte spese e destinate a
soddisfare ad una passione nazionale. Si può
dire senza esagerazione , che tutta la ric-
chezza britannica sembra di non avere altro
scopo che di mantenere le mandre da cui pro-
vengono queste razze privilegiate. Un hel
cavallo compendia in sé stesso, e per tutti,
l'ideale della vita elegante; è il primo sogno
della giovinetta, come l'ultimo piacere del-
l'uomo invecchiato nelle occupazioni; tutto
ciò che si riferisce all' educazione dei ca-
valli da sella, alle corse, alle caccie, a tutti
gli esercizii per cui fanno bella mostra le
qualità di questi brillanti favoriti, è il grande
affare di tutto il paese. Vi prendono inte-
resse, tanto il popolo, come il gran signore,
ed il giorno in cui si corre il Derby a Epsom,
dappertutto è feria; non vi è più Parlamento,
non vi sono più affari, tutta l'Inghilterra
ha gli occhi fissi su quello spazio , dove
corrono alcuni giovani stalloni e dove si
guadagnano e si perdono milioni di scom-
messe in pochi minuti.
1 Francesi sono ancora ben lungi da que-
sto perfezionamento, ma non si può dire che
nello stesso tempo i loro cavalli manchino
di pregio. Le loro razze limosine, bretone
e bearnesi, offrono già dei tipi meravigliosi,
che si diffonderebbero e si perfezionereb-
bero, se gli allevatori trovassero un corri-
spondente guadagno.
I porci inglesi in media non sono più
grossi dei francesi, ma sono in maggior
numero e si ammazzano più giovani. È
sempre il gran principio della precocità,
preconizzato da Bakevvell ed applicato a tutte
le specie di animali commestibili. La sola
Inghilterra nutre altrettanti porci , quanti
tutta la Francia ; la Scozia e l'Irlanda ne
hanno ancor di più, e pochi di questi ani-
mali vivono oltre un anno. Essi apparten-
gono tutti a razze che s'ingrassano presto, j
ED AGRONOMO 83
e le forme delle quali sono state da lùsigo
tempo migliorate. La statistica officiale porla
a 290 milioni di chilo, la produzione an-
nuale della carne di porco in Francia. Que-
sta cifra dev'essere molto inferiore al totale
effettivo, poiché un gran numero di questi
utili animali è macellato e consumato nelle
case di campagna , senza che la loro esi-
stenza abbia potuto essere constatata ; ma
portandola anche a 400 milioni , il regno
unito deve produr molto più di 000 milioni
di chilo. È questa un' altra superiorità
della quale non si farà meraviglia, se si
pon mente alla grande abilità con cui gli
Inglesi hanno esteso il governo dei porcili.
I poderi su cui ingrassano i porci a centi-
naia^ non sono rari e figurano quasi dap-
pertutto fra i rami principali di rendita.
Tali sono in breve i vantaggi ottenuti dal-
l'agricoltura britannica nell'allevamento de-
gli animali domestici. Egli è vero però che la
Francia è superiore invece in un altro ramo
di prodotti animali, quasi nullo in Inghil-
terra e molto considerevole in Francia, quello
del pollame. Gli Inglesi allevano pochi vo-
latili; è molto se le statistiche portano a 25
milioni per anno il valore creato per que-
sto mezzo, mentre in Francia si è valu-
tato a 100 milioni il solo prodotto annuale
delle ova, ed altrettanto per quello dei vo-
latili d'ogni specie. Una porzione conside-
revole della popolazione se ne nutre, prin-
cipalmente nel mezzodì, fé questo supple-
mento rimpiazza* una parte di quello che
manca in Francia alla nutrizione animale;
ma facendo giustizia all' importanza reale
e troppo spesso trascurata di questa risorsa,
non si può negare ch'essa supplisce molto
imperfettamente al deficit. Noi troveremo
le stesse differenze, esaminando le colture
propriamente dette. (Continua.)
Trattura dei bozzoli a freddo.
Se quest'argomento non riesce nuovo,
perchè più volte i giornali annunziarono e
scoperte e privilegi concessi, non per que-
sto perde dell'importanza che ben a dovere
84
GIORNALE DELL INGEGNERE
gli accordano i nostri filatori. — L'incari-
mento dei combustibili sempre crescente e
la salute manomessa della gioventù femmi-
nina furono sempre un potente stimolo non
solo per coloro, che si applicano alle scienze,
ma anche per gli industriali, onde rinvenire
i mezzi d'ovviarvi.
Tra questi noi dobbiamo annoverare il
defunto Giacinto Zambruni , assistente al
gabinetto di Fisica dell'I. R. Liceo di Cre-
mona; la morte lo colse a mezzo di un la-
voro esperimentale inteso ad ottenere la
filatura dei bozzoli ad aqua fredda; ma il
suo lavoro fortunatamente non andò per-
duto colla vita, che la figlia Giuseppina, me-
more delle istruzioni del padre, continuò
negli incominciati esperimenti, e dopo due
anni di pazienti ricerche riuscì nel 1843 a
presentare all'I. R. Istituto di Milano della
seta ottenuta col nuovo metodo.
Ma se allora la seta presentata non of-
friva quella perfezione che è necessaria pel
commercio, non si spaventò dinanzi alle
difficoltà, ed ora ritorna in campo fatta sicura
dai miglioramenti introdotti.
Invitato io stesso dalla signora Zambruni
a vedere ed a giudicare, mi trovo in ob-
bligo di accennare che ne partii soddisfatto,
ed anzi prego coloro, che s'interessano di
questo argomento a recarsi dalla stessa, ove
potranno convincersi coi proprii occhi dei
non piccoli vantaggi, che questo metodo pre-
senta, e della perfezione della seta greggia
così ottenuta. Chi volesse recarsi dalla si-
gnora Giuseppa Zambruni sappia che abita
in Milano in Contr. de' Borsinari, N.° 1025
al 1.° piano.
Le sostanze che la signora Zambruni
adopera per disaggregare e sciogliere la
materia agglutinante, sono senza dubbio di
natura alcalina. Ma la parte più difficile e
più importante, e che merita tutta l'atten-
zione, si è che ella comunica alla sua seta
greggia la flessibilità di quella filata a caldo,
e questo mediante un'operazione meccanica,
che al dire della medesima è semplicissima
e di quasi nessun dispendio. E fu probabil-
mente per la mancanza di quest'operazione
ch« i signori Borella e Mezzi hanno do-
vuto abbandonare i metodi di trattura a
freddo, che essi avevano tentato su di va-
sta scala.
Io ho veduto che la filatura a freddo è
rapida quanto se si operasse coli' aqua ri-
scaldata; la seta greggia così ottenuta è
forse più lucida di quella che si ha col me-
todo comune, e perla tenacità non ne dif-
ferisce in nulla _, infine al provino riesce
ottima.
Colla trattura a freddo non si aumenta
la quantità di cascami , che anzi i bozzoli
svolti in lunghissimo filo lasciano a nudo
le crisalidi, dalle quali ottenni io stesso le
farfalle come dal bozzolo, ed ora dopo l'ac-
coppiamento ne ho semente bellissima. —
Dall'esperienze fatte colla semente fornita
dai bozzoli svolti, filati, si ebbero i più fa-
vorevoli risultati.
Ho esaminata della seta filata a freddo
e ridotta in trama e posso assicurare che
né l'occhio, né il tatto più esercitato avreb-
bero potuto distinguerla da quella che corre
in commercio. È a desiderarsi tuttavia che
la signora Zambruni ne faccia tessere qual-
che po', onde poter assicurare che è atta
a tutte le operazioni successive.
Ora non ci rimane a trattare che la parte
economica di questo metodo. Secondo l'as-
serzione della Zambruni, il dispendio in una
lunga giornata per una caldajuola non ol-
trepasserebbe i 40 centesimi, anzi ci assicura
che operando su di una scala più estesa ,
che non è quella di una sola caldajuola, si
avrebbe ancora un risparmio di circa otto
centesimi, sicché nelle nostre filande si spen-
derebbero circa 32 centesimi per caldajuola;
prezzo di gran lunga inferiore a quello che
si debbe impiegare pel combustibile, spe-
cialmente se si fa uso di legna e per circo-
stanze speciali non convenga l'impianto di
caldaja a vapore.
Ma anche quando il dispendio della trat-
tura a freddo fosse eguale a quello, che si
ha servendosi di combustibili fossili colle
caldaje a vapore, presenterà tuttavia sem-
pre i vantaggi dell'igiene, e sono persuaso
che non vi sarà persona che a spesa eguale
non voglia preferire quel metodo che riesce
ARCHITETTO
meno dannoso alla salute di coloro che per
la loro posizione sociale sono condannate
a servire ed a soffrire.
A. Bertolio.
Sunto di un calcolo presuntivo ili
spesa e rendita ora per Milano,
riferibilmente alla Compagnia
Anonima Lonibardo-Vcn. per la
carbouizzazioncìdei fossili tcr-
ziarj, torba, lignite, e per la pro-
duzione del Gaz-luce, coi pro-
cessi privilegiati
del sig. Gian Giac. Guillet
chimico e membro dell'Accademia di Parigi, ecc.
Finora i Municipj a tutela del pubblico
e privalo interesse, e por tenersi al livello
del progresso all'epoca nostra, hanno cal-
colato, per fornire una brillante illumina-
zione alle città col gaz-luce, un materiale
primo, il carbon fossile, che si importa
dall'estero: 1.° a prezzo elevato, 2.° con
costante incertezza di introduzione, 3.° con
presumibile facilità di aumento nel prezzo,
sia per l' inearimento ai luoghi d' estra-
zione e di vicina consumazione, sia per
mancanza, e quindi carezza dei mezzi di
trasporto: ciò che avvenne a' nostri giorni.
Milano, Venezia, Verona, Vicenza, Pa-
dova, Treviso, Udine debbono però alla
intelligente operosità, all'immanchevole zelo
dei loro Municipj il beneficio dell'illumi-
nazione a gaz, nonostante le surriferite
condizioni sociali, alle quali non si poteva
diversamente ovviare.
Ora questa industria cosi importante
entra in una novella fase, brillante quanto
mai si può dire per ricchezza di vantaggi
pubblici e privati. Non è più un materiale
straniero che figura nei calcoli del forte
dispendio per godere dell'illuminazione a
gaz: è un materiale sparso ovunque nel
suolo Lombardo-Veneto: è questo un te-
soro di più che arricchisce il nostro paese,
e ci rende indipendenti: è la torba e la
lignite, insomma le preziose ed enormi
stratificazioni terziarie, ingombro assai dan-
noso per terreni ora paludosi, ora deserti,
terreni che verranno perciò ridonati a no-
vella vita fruttifera.
ED AGRONOMO g£
La Compagnia Lombardo-Veneta, legal-
mente autorizzata per favore "degli IL RR.
Ministeri Aulici, metterà a profitto queste
immense stratificazioni coi processi privi-
legiati già ottenuti, e per avere carbone
eccellente, e per farne gas-luce il più per-
fetto. Nessuno, infuori della Compagnia
Lombardo -Veneta surriferita, può utiliz-
zare queste materie per le suaccennate
produzioni senza andar incontro alla legge
Sovrana saggiamente promulgata a tutela
della sacra proprietà dell'intelletto e della
scienza. E fin d'ora a risparmio di male
intelligenze, o di maligne ed illusorie in-
terpretazioni, la Compagnia appoggiata ai
propri documenti, alla saviezza della legge
diffida il pubblico contro qualunque atten-
tato alla sua proprietà, volendo essa usare
di ogni rigore di legge nell'esercizio de'
propri diritti contro qualunque falsificatore.
E superfluo addimostrare la superiorità
della illuminazione a gaz sull'antico sistema
ad olio, a candele di ogni genere: tutti
ne convengono e per la purezza e la in-
tensità della luce, e per la immensa po-
lizia della sua amministrazione: piuttosto
è bene richiamare 1' attenzione generale
sulla convenienza. A nostri dì tutto è cal-
colo di opportunità, di moneta. Col si-
stema contemporaneo di illuminazione a
gaz, certo non è raggiunta, almeno da noi,
questa benedetta convenienza numerica.
La Compagnia Lombardo-Veneta avrebbe
sciolto questo vitale problema, dacché po-
trà mettere in commercio il gaz-lùce il
più perfetto ad un prezzo tale, per cui
non solo i saloni del ricco potranno fruire
di questa bella luce, ma entrerà certa-
mente nelle viste economiche dell' arti-
giano il meno agiato, siccome un alto be-
neficio umanitario.
La fiamma del gaz che splende di ricca
luce, bianca, simpatica nell'officina del-
l'artiere, nello studio del professionista,
dello speculatore, al banco del negoziante,
nell'appartamento del ricco, tra le sale dei
privato, nei pubblici e privati stabilimenti
scientifici, industriali, questa bella fiamma
supera di forza la splendida lampada Carcel:
(') dietro le accurate esperienze di Brande,
(•) Una lampada Carcel dà un'intensità di luce
equivalènte a uovc candele da 6 alla libbra.
8(} GIORNALE DELL'
accennato dal celebre chimico Pelouze, se
colla unità si rappresenta la luce prodotta
dalla Carcel, quella del gaz-luce, per un
becco che dia una fiamma lunga cenlim.
9, espansa cent, li, consumando da 130
a 150 litri di gaz sotto la pressione nor-
male esercitata dal gasometro, dà una unità
ed un quarto di luce crescente.
È pur troppo notissimo che nelle con-
dizioni presenti la classe manifatturiera
spesse volte per economia d'illuminazione
è obbligata ad abbreviare le ore del la-
voro specialmente nelle notti invernali: da
questo lato l'attuazione del sistema pre-
sentato dalla Compagnia Lombardo -Veneta
diventa una assoluta necessità nella ammi-
nistrazione domestica e pubblica, vitalizzata
dalla luce brillante del gaz.
La nostra Milano e qualunque altra
città o borgata, posta 1' economia somma
del nuovo mezzo d'illuminazione, daranno
sempre la preferenza al gaz sull1 olio, sulle
candele. Parigi, Londra, Lione, Marsiglia
e Bruxelles a misura che l'industria del
gaz-luce perfezionava i suoi processi, ve-
devano aumentarsi il tornaconto nei loro
consumatori in modo da far scomparire
l'antico sistema di illuminazione.
Un fatto altrettanto singolare che vero
autorizza intanto la nostra Compagnia
Lombardo-Veneta a preconizzare in un
vicino avvenire il suo più splendido trionfo.
È noto che a Londra, a Parigi, a Lione
quando le società intraprenditrici facevano
pagare a prezzo ìilto il gaz, ritraevano già
un forte lucro: ma che questo lucro di-
venne doppio, triplo, quadruplo a misura
che si abbassava il prezzo del gaz in modo
da metterlo alla portata d tutti.
Ed è appunto in questo fenomeno che si
verifica una grande teoria di economia po-
litica, che le grandi industrie tanto più
profittano per gli speculatori, quanto più
il popolo ne può fruire con economia, e
con superiorità di servizio. Ecco un cal-
colo preventivo per la città di Milano, dove
avranno principio le operazioni della Com-
pagnia Lombardo-Veneta.
Milano novera circa 170 mila abitanti:
circa 44 mila famiglie: si ammetta che
di queste solamente d/4 si provvedano di
una fiamma almeno, avremo un consumo
per 11 mila famiglie di metri cubici di
INGEGNERE
gaz-luce 2, 007, 500, nelP ipotesi sicuri
che un metro cubo alimenti una bella
fiamma per ore dodici, delle quali sei ore
di reale consumo.
Si aggiungano per trafficanti. N. 1725
Manifatturieri » 2461
Manipolanti vettovaglieri. . » 2396
Totale N. 6582
Dei quali un terzo solo consumi gaz,
per cui saranno 2194 consumatori con
un dispendio ragguagliato almeno di 3
metri cubici di gaz per notte: si otterranno
quindi metri 6582 quotidianamente: per
cui , considerato un periodo di soli 300
giorni nell'anno, si avrà un consumo di
1,974,600 metri cubici di gaz. Vi sa-
rebbero da aggiungere L pubblici stabili-
menti, i teatri : scrunando insieme adun-
que, avremo un consumo annuo di gaz
per metri cubici 3,982,100: si calcoli per
ora a 40 cent, per ogni metro cubo, e si
avrà una rendita annua di aL. 1,592,840.
Milano e qualunque altra città o bor-
gata quando trovassero nel dispendio di
una bella illuminazione a gaz una cifra
minore dell'odierna dell' olio, delle can-
dele, abbandonerebbero in massa l'antico
sistema, dacché si avrebbe una luce in-
tensa, perfetta, economica, e ciò divente-
rebbe un potente impulso all'industria, un
vero godimento pel pubblico e pel pri-
vato. E chi mai vorrà attenersi all'antico
sistema d' illuminazione ricco di ombre
e penombre, quando potrà mettere una
fiamma brillante di gaz a sua disposizione
per sei ore e per soli 20 centesimi? L'ac-
cennato consumo di metri cubici di gaz
3,982,100 diventerà in questo caso 6,
8, IO, 15, 20 milioni di metri cubici di
gaz con enormi somme di rendita.
Si escluda ora la illuminazione gene-
rale privata in massa: calcoliamo solo su
quattro clementi, di cui teniamo le cifre
officiali, cioè;
Possidenti 2862
Trafficanti, manifatturieri, mani-
polanti e vettovaglieri . 6582
In tutto N. 9444
La cifra suesposta fu ridotta ancora a
soli N. 1628consumatori, come da un qua-
ARCHITETTO
dro che toniamo fra le nostre note; cifra
al disultu del vero anche nelle odierne
condizioni: si conceda per adequato un
consumo di metri cullici 4 di gaz-luce e
per soli giorni 300, avremo un'annua ci-
fra ili metri cubici di gaz 1,953,000; per
cui a cent. 40 al metro cubo si avrà una
rendita annuale di aL. 781,440, cifra che
anche nelle ipotesi meno fortunate potrà
essere duplicala, triplicata, quadruplicata
e più.
Per ottenere col novello sistema privi-
legiato questi effetti occorrono delle spese,
le quali esponiamo nel modo seguente:
L'impianto degli Àtelieri, fahbriche, ecc.
può organizzarsi, secondo il sistema già
sperimentato dai promotori, con austr.
L. 205,000.
NB. Queste spese possono essere dimi-
nuite a piacere, limitandosi ad una quan-
tità minore di forni ed altro.
SPESE ANNUALI
1.° I terreni torbosi non rispondono
alle cure dell'agricoltore: generalmente
sono deserti, o coverti d' acque, o sor-
tumosi: al disotto degli strati torbosi si
trova un fondo atto ad ogni coltivazione,
specialmente praterie e risaje, piantagioni
d'alberi. Sebbene in certe poche e singo-
lari località il fondo torboso abbia presen-
temente acquistato alti valori pure in gene-
rale si ha ad un prezzo alquanto moderato;
molti proprietari, si accontentano di libe-
rare il fondo deir ingombro delle torbe
senza compenso. Quanto alle torbiere non
ancora note pubblicamente, e sono moltis-
sime, si potranno avere per poco, ed
anzi trarne vantaggio dalla vendita del
fondo bonificato dopo l' escavazione della
t'orba.
Nel nostro caso occorrono annualmente
circa 300,000 quintali di torba, nella sup-
posizione la meno utile, di questi 200,000
da carbonizzare per avere gaz, 100,000
per combustibile: con ciò avremo 2,000,000
metri cubici in gaz, limitandosi ad una ren-
dita di metri cubici 10 di gaz al quintale:
generalmente se ne possono avere metri
18 al quintale.
Ogni pertica si calcoli lire austr. 600,
da cui si deducano aL. 200 per valore
del fondo dopo l'estrazione della torba:
ED AGRONOMO #7
occorrono pertiche 120, supposta una stra-
tificazione di metri 1. 80 di spessore.
Pertiche 120 equivalgono a metri qua-
drati 78. 542. 40, cifra che moltiplicala
per metri 1. 80 darà un risultalo di me-
tri cubici di torba 141. 376. 32, equiva-
lente ad oltre 300,000 quintali metrici
in peso.
Dunque pertiche 120 a
aL. 400, dedotte come sopra
lire 200 per valore del fondo,
danno . . . . aL. '48,000 —
NB. La Compagnia potrà
assumere Io sgombro sem-
plice della torba ad un prezzo
minimo d'affitto: le torbiere
a Colico, lungo i laghi, i
torrenti, e le non iscoperte
ancora rappresentano un va-
lore assai debole in confronto
al suesposto, per cui verrebbe
ridotta alquanto la cifra stessa.
2.° Estrazione della torba
per metri cubici 141 . 376. 32
a cent. 40 .... » 56,550. 52
3.° Trasporto dalla distan-
za di chilometri 70 per via
acquea, metri cubi 141. 376.
32 a cent. 80 ... », 113,101. 05
NB. Si è calcolato forse
la distanzia massima. #
4.° Carbonizzazione, orano
d'opera sopra metri cubici
141. 376. 32 a cent. 8 » 11,310. 10
AMMINISTBAZIONE
GENEBALE
Direttore, cassiere, inge-
gnere, ragioniere, ispettori,
agenti, scrittori, custodi, por-
tiere, inservienti, spese di
viaggi, ecc.
Indennizzoperfitto,percarta,
bolli, avvocato, notajo, tassa
di commercio, tassa per la
rendita, assicurazione degli
incendj, spese probabili per
accrescimenti di soldi, o di
impiegati, spese imprevedute
in L. 16,550. . . . , 50,000 —
aL. 278,901. 67
88
GIORNALE DELL' INGEGNERE
Somma riportata HL. 278,961. 67
DA AGGIUNGERSI
PerinteressisuaL. 500,000
capitale sociale al 5 0/° . '»
Per deperimento annuo
calcolato al 15 °/0 sul capi-
25,000 —
30,750 —
tale d'impianto di aL. 205.»
Spesa annua auslr. L. 334,711. 67
RENDITA ANNUA
Per gaz-luce metri cubici
1,953,600 a centesimi 40 al
metro cubo .... » 781,440 —
Da questa somma deducan-
si ad abbondanza aL. 78,144
per utensili al trasporto del
gaz, cavalli, giornalieri, ecc.
calcolando su metri cubici
1,953,600, ed a centesimi 4
per metro cubo. . . » 78,144 —
» 703,296 —
N.R. Questa cifra sparirà
per la massima parte quando
si consideri che i recipienti
di qualunque genere per con-
servare il gaz, sia compresso,
sia non compresso, sono a ca-
rico dei consumatori: quanto
alla distribuzione del gaz
con recipienti a rtompa, -si
ridurrebbero a Den poche
le spese.
Rendita in carbonesu quin-
tali metrici 200,000 un quar-
to, o quintali 50,000 di car-
bone eccellente senza odo-
re, senza fumo, cioè oltre a
100,000 moggia milanesi a
aL. 3 al moggio . . ' » 300,000 —
Somma la cavata aL. 1,003,296 —
Rendita in acido pirole-
gnoso depurato.
Idem in goudron.
Idem in acque ammonia-
cali per concime.
Idem in ceneri per con-
cime.
NR. Non si calcolano i sue -
sposti prodotti.
Spese annuali soprariferite» 334,711. 67
Somma la cavata netta L. 668,584. 33
Dalle quali per somma larghezza di con-
teggio , o per altre spese imprevedute
si deducano pure aL. 168,983. 82: cosi
avremo una cifra finale di aL. 500,000
di cavata netta.
Queste aL. 500,000 sono divise nella mi-
sura del 58°/0 agli azionisti sui capitali ol-
tre il 5 °/0 di interessi già prelevati.
Ove si volesse portare questa cifra alla
metà: cioè aL. 250,000, le mille cartelle
di aL. 500 cadauna avranno un guada-
gno annuo del 29 0/°, cioè aL. 145 ogni
aL. 500 oltre il 50/° di interessi.
Il capitale sociale per ora è aL. 500,000
diviso in mille azioni da aL. 500 coll'in-
teresse del 5°/0 oltre i dividendi. Il primo
versamento del 10% si effettua appena
dopo la prima adunanza generale, previa
finale approvazione degli II. RR. Ministeri
Aulici.
Gli altri nove decimi nella misura sem-
pre di un decimo, con preavviso di un
mese nelle Gazzette Ufficiali di Milano e
Venezia.
Le cartelle per le promesse d' azione
si ritirano nello studio del sig. Carlo Fa-
sola negoziante in Contrada S. Vicenzino
N. 2344, e dal signor Gius. Ricci-Bianchi
negoziante Piazzale delle Galline N. 1698,
ove sono visibili tutti i documenti legali
che si riferiscono all' impresa , privilegi ,
decreti, contratti, ecc.
Ing. F. Dossena.
Gaz applicalo al calorico.
Scoperta notificata , depositata all' I. R.
Delegai Prov. di Milano il 21 Febbr. 1854,
e 28 Giugno 1855; coi certificali di prio-
rità e proprietà. N. 21105 (WoG) Vili, e
Pi. 5841 (945 j Vili , rilasciati all'autore
sig. G. G. Guillel Chimico, in seguilo al di-
spaccio dell'I. 11. Ministero del Commercio,
del 29 Aprile 4854; N. 10023, 1718, pei
privilegio esclusivo, della sua scoperta del-
/'Applicazione simultanea del gaz, alla pro-
duzione del calore e della luce.
Esiste nella natura degli elementi del
Fluido gazoso-aria infiammabile, e quindi
non si può negare la sua naturale esistenza.
Le diverse combustioni già da tanti secoli
ARCHITETTO
osservate, in diversi Luoghi, ne sono prove
incontestabili. Questi fenomeni furono du-
rante un seguito di secoli, l'ammirazione .
e talvolta, lo spavento di uomini idiota, che
non seppero apprezzare e studiare questi
preziosi indizii: quali dovevano condurre
a una delle più utili ed importanti scoperte
del secolo: Il gas idrogene, e idrogene car-
bonico.
Già da più di un secolo molli dotti fissa-
rono la loro attenzione su queste materie ,
e fecero diverse osservazioni sul fluido ga-
zoso che chiamarono: Aria infiammabile.
I fenomeni de' fuochi naturali, fuochi fatui,
aria infiammabile, furono descritti da Bian-
chini nel 1700 ; e nel 1739, il Dott. Clayton,
stabilì per principio, che il gaz, idrogene car-
bonico, fosse dello spirito di carbon fossile
(houille), echenull'altra parte esisteva, fuvvi
un momento di sospensione, in seguito fu-
rono di nuovo descritti da Lalande, nel 17GG.
Feber e Dietrich quasi nell'epoca stessa: da
Volta, e dal Conte Rasonmowischi nel 1700.
Da tutte queste osservazioni e'd investi-
gazioni ne dovevano evidentemente risultare
alcune scoperte. Nel 1798 l'Ingegnere Le-
bon, fece a Parigi per la prima volta l'ap-
plicazione del gaz d'illuminazione: è dun-
que a quest'epoca che incominciò l'illu-
minazione a gaz. In Inghilterra , alcune
illuminazioni a gaz erano state fatte ante-
cedentemente a questa data; ma quest'ap-
plicazione a gaz, per così dire, dovuta al-
l' azzardo, restò rinserrata in un cerchio
ristretto e limitato d' idee, senza investiga-
zioni teoriche di principj: senza generaliz-
zazione di metodi. Rimediò Lebon colla sua
teorica dei fenomeni e generalizzazione dei
suoi stabiliti principj.
Tutti questi fatti, non avevano che poco
colpita e cattivata l'attenzione del mondo
dotto e degli uomini industriali. Non fu che
verso il 1815, e 1820 che si incominciò a
credere alla possibilità, all'importanza ed
ai vantaggi che doveva offrire l'applicazione
del gaz all' illuminazione.
Al nascere di questa scoperta, come ac-
cade in simili casi, si gridò all'impossibilità.
I capitalisti rimasero nel loro abitualo li-
Vo\. ìli. Agosto
ED AGRONOMO 89
more: e non fu che per innumerose appli-
cazioni che si potè convincere i più increduli,
dubbiosi di tutto, fino di sé stessi. Malgrado
tutte queste difficoltà da superare, questi
ostacoli a vincere, questa importante e felice
scoperta del gaz applicabile all' illumina-
zione, in un quarto di secolo, si è estesa e
propagata in tutti i paesi del mondo ci-
vilizzato.
Dobbiamo noi considerare il gaz al solo
punto di vista d'illuminazione? no, certa-
mente no; esso è atto ad essere applicato
a molti altri usi , e particolarmente al ca-
lorico, per rimpiazzare il fuoco di riscal-
damento. I miei esperimenti, prove ed analisi
ripetute, mi hanno bastantemente convinto,
perchè io possa qui avanzare che il gaz
applicato al calorico offre altrettanti van-
taggi pel riscaldamento che per l' illumi-
nazione.
(Continua.) G. G. Guillet.
L'Esposizione Universale «li Parigi.
La Francia che per la prima inaugurò
nel 1798 la pubblica esposizione de' suoi
prodotti industriali, da quel povero saggio
non poteva immaginare che nessuno degli
ampj fabbricati della sua capitale sarebbe
stato fra alcuni anni capace di contenere
tanta copia di oggetti d'industria e d'arte
che ad essa concorrerebbero da tutti i punti
del suo suolo, e meno che verrebbe un
giorno in cui la limitazione dei prodotti
delle sue provincie non avrebbe bastato al-
l'indole espansiva del suo popolo e che ac-
coglierebbe alle sue esposizioni tutte le na-
zioni della terra.
Se all'isolamento in cui la Francia si trovò
dopo quell'epoca ed alla spinta che le impres-
se l'uomo che l'avrebbe fatta più grande, più
prospera e di una potenza più durevole se
dei due genj opposti che lo lusingavano
avesse preferito l'amministrazione all'armi,
essa deve il rapido moltiplicarsi delle sue
arti e delle sue industrie, al loro perfezio-
namento giovarono le pubbliche esposizioni.
A queste l'industriale poteva riconoscere
1855. 12
•Il)
GIORNALE DELl/lNGEGNERE
in quali dipartimenti del vasto impero sce-
gliere le materie prime, quali di essi mancas-
sero o avessero difetto delle sue manifatture,
meditare sui progressi altrove ottenuti e
profittarne estendendo le sue fabbricazioni.
Quindi la concorrenza più leale, le opinioni
illuminate dal facile confronto, l'utile asso-
cialo all'onore; ed in breve la classe pro-
duttiva elevata su quella che la precesse
nelle influenze di Stato.
Seguirono l'esempio di Francia gli altri
centri industriali, ed ognuuo si avvide del
vantaggio che gli derivava dall'avvicendarsi
i risultati degli studj e dei tentativi di tutti.
Non rimossa dal dubbio di fallire fra le
contrarietà di prevenzioni nazionali, la Fran-
cia, ancora la prima, concepì nel 1848 il
pensiero di invitare tutti i popoli a racco-
gliere nella sua capitale il meglio delle loro
produzioni; ma commossa dai partiti poli-
tici che paralizzavano ogni grande ed utile
aspirazione, abbandonò il campo.
Raccolse il buon seme e lo fecondò l'In-
ghilterra. L'esposizione di Londra ritraeva
l'impronta del popolo inglese, intraprendente
e misurato. Una sagace direzione seppe cal-
colare le esigenze di una concorrenza uni-
versale, ed un ardito ingegno immaginava
una costruzione di straordinaria ampiezza,
di una leggerezza che l'annunciava preca-
ria come lo scopo cui doveva servire, accop-
piata con una solidità che ne rendeva più
ammirabile l'eleganza: l'opportunità rimar-
cavasi in ogni sua parte e la previdenza
aveva tutto abbracciato. Non meno sorpren-
dente fu la rapidità colla quale venne in-
nalzata. Le sue fragili pareti e la sua volta
aerea non erano destinate che all'esistenza
di pochi mesi, ma l'ammirazione la volle
perpetuata ed ora risorta più bella sull'ameno
colle di Sedynam, la sua volta e le sue pa-
reti di cristallo sfidano i secoli e ricorde-
ranno alle succedenti generazioni la mano
che nel Ì851 si strinsero tutti i popoli a
Hyde-Park e la solidarietà che tutti si pro-
misero alla comune prosperità.
Non erano decorsi due anni che la festa
industriale fu riprodotta nella lontanaNuova-
York. L'Europa gradì l'invito, e se a quella
distanza dagli altri centri dell'industria l'e-
splosione non fu numerosa come quella di
Londra, si fece però evidente come anche
l'America avesse compreso l'utilità delle
esposizioni universali.
Finalmente venne la sua volta alla Fran-
cia di attuare il progetto che essa aveva
formato sette anni addietro.
A taluni sembrano troppo brevi questi
intervalli fra le esposizioni universali, im-
perciocché sì rapidamente non è a sperare
che si succedano le grandi invenzioni e gli
importanti perfezionamenti. Due considera-
zioni ci persuadono altrimenti.
L'attività che domina tutti gli spiriti versati
nelle industrie e nelle arti e li tiene sempre
svegliali a cogliere e coltivare ogni concetto
che crea la mente, raddoppia gli spazj del
tempo utile: le crescenti produzioni delle
opere industriali ed artistiche aumentano il
numero degli studiosi e degli artieri, per
cui moltiplicasi la probabilità di nuove in-
venzioni e perfezionamenti. A queste misure
crediamo che si possano ridurre gli inter-
valli fra le esposizioni universali. Un esem-
pio ne dà l'Italia nostra. Dopo l'ultima espo-
sizione alcune grandi invenzioni maturarono
fra noi, e per non dire che di quelle che più
attrassero l'attenzione del mondo scientifico,
accenneremo il Telajo elettrico ed il Tele-
grafo delle locomotive del cav. Bonelli, la
Pila idro-dinamica di Carosio, l'applicazione
della teoria del cuneo di Minotto, ec. Ai dotti
di tutti i paesi sarebbe stato lungo di at-
tendere altri anni a conoscere quelle inven-
zioni, e più incomodo a correre ogni anno
da un'esposizione provinciale all'altra per
tutto osservare.
Né meno utile è la frequenza delle espo-
sizioni universali per il loro effetto morale.
Queir avvicinamento di popoli preparato
dalle strade ferrate e dalla navigazione a
vapore, è auspice di solidarietà di interessi,
di reciproca assistenza, di più diffusi com-
merci, di pace non egoistica.
La Francia volle che il suo palazzo che
doveva essere inaugurato per l'Esposizione
universale, debba rimanere perle successive
esposizioni nazionali e per le evenienze
ARCHITETTO
ili molta adunanza di popolo: perciò le sue
pareti sono di pietra, e soltanto la volta è
di cristallo. 1/ architetto del Palazzo dei
Campi Elisi riscosse minori applausi del
sig. Paxton, e certo le sue decorazioni non
possono soddisfare lo squisito gusto italiano.
Comprende un' arca minore della metà di
quello di Hyde-Park, ma per la presente
Circostanza è aumentata di una galleria che
la fiancheggia larga 24 metri, ed un'altra
se ne aggiunse della lunghezza di metri 1200,
larga m. 23 per contenere le macchine che
devono essere attivate dal vapore e dal-
l'aqua.
Non ostante gli esempj che aveva dall'espo-
sizione inglese, questa di Francia ebbe prin-
cipj non mollo prosperi. Ad incoraggiare gli
esponenti il governo aveva accordato loro
ogni maniera di favori, ed il trasporto gra-
tuito dei prodotti dalla frontiera francese a
Parigi; ma quelli cui venne affidata la di-
rezione sembra che non abbiano corrisposto
con cura eguale alle sollecitudini del go-
verno, e l'Italia ebbe a rammaricarsi per
alcune delle sue più belle opere d'arte che
s'infransero sul suolo francese. Il malcon-
tento di molti espositori, l'indugio di altri
a spedirvi i loro prodotti, la ritardata e l'im-
perfetta costruzione del palazzo, la man-
canza dell'ordine generale nel servizio, fanno
temere che il favore che ebbe questa istitu-
zione possa essere affievolito, ed il ritorno
di eguale solennità ritardato d'alcuni anni.
A tutelare le proprietà industriali, agli
esponenti che la richiedono è rilasciata una
dichiarazione del comitato che li assicura
degli stessi diritti che accorda un brevetto
d'invenzione, i quali hanno vigore tutto un
anno, per conseguire intanto il brevetto nelle
forme consuete. Alle produzioni industriali
furono assegnali premj distinti in medaglie
d'oro, d'argento, di bronzo, menzioni ono-
revoli, onoranze speciali di pubblica rico-
noscenza per gli espositori che avessero resi
eminenti servigi alla civilizzazione, alla
scienza ed alle arti, ed incoraggiamento ai
sacrifici fatti al pubblico ben essere. Agli
oggetti di Belle Arti saranno distribuite me-
daglie d'oro distinte in tre classi, e la men-
ED AGRONOMO <JI
zione onorevole, e quelli in cui si ricono-
scesse un ingegno straordinario, verranno
rimeritali con una grande medaglia d'onore
per ognuna delle tre classi in cui furono
divise le opere di Belle Arti.
Col primo fascicolo di quest'anno la Se-
dazione di questo Giornale promise la de-
scrizione degli oggetti dell'Esposizione di
Parigi che, appartenenti agli studj da esso
professati, meriteranno l'attenzione de' suoi
lettori. Ritardata l'apertura del Palazzo de'
Campi Elisi, non è da imputarle se finora
non ebbe effetto la sua promessa. Appena
arriveranno i ragguagli attesi, saranno ri-
prodotti in questo Periodico corredati, quan-
do giovi, di tavole diligentemente disegnate,
onde fare di esso una scelta raccolta di
descrizioni e piani interessanti all'ingegnere
ed all'agricoltore.
Bibliografia.
Fin dal 1835 il sig. Giacomo Stella ebbe
la felice idea di pubblicare un periodico
mensile, in cui venivano registrate tutte le
opere d'ogni lingua che andavansi pubbli-
cando in Italia. Quest' utilissimo giornale
bibliografico ebbe però corta vita e finì col
chiudersi del 1841. Noi veramente non sap-
piamo indicare con certezza il motivo di sì
breve esistenza per un giornale che, almeno,
aveva il vantaggio su tutti gli altri di dir
sempre la verità ; giacché in esso non vi
potevano essere né spirito di partito, né inte-
ressi opposti, né particolari amicizie, né odii
personali, riducendosi a un semplice annun-
cio di opere senz'altra indicazione fuorché il
luogo ove erano esse stampate, il loro for-
mato, la mole, il prezzo. Ma tutto porta a
credere che questa bibliografia italiana ab-
bia terminato d'aver corso per la sempli-
cissima ragione che il sig. Stella siasi stan-
cato di perdere de' suoi denari per far pia-
cere ad alcuni pochi.
Eppure sembra incredibile che, dal lato
della speculazione, un giornale così utile
per tutti, dovesse essere svantaggioso al-
l'interesse di chi l'aveva intrapreso; bisogna
92 (CORNALE Di-
dire che molli non leggono, se non quando
per avventura capita loro in mano un
qualche libro; che molti altri fra quelli che
dovrebbero studiare, parlando di scienze, si
accontentano di ciò che hanno dovuto stu-
diare per forza a scuola, e poi chiudono i
libri limitandosi al solo esercizio della pro-
pria professione o, diremo meglio in questo
caso , mestiere , e ritenendo le ore d' ozio
a completo riposo delle gambe o dei pol-
moni. Pure fra tanta gente vi saranno
stati alcuni che avranno veduto volonlicri
ogni qual volta veniva il fattorino in casa
loro a portare il numero del giornale biblio-
grafico del sig. Stella. E vero che una per-
sona studiosa, la quale si dilettasse d' una
sola specialità, aveva talvolta a far passare
una lunghissima sequela di nomi d'autori
e di titoli d'opere senza trovarvi quella che
potesse fare al caso suo; così un botanico,
per esempio, avrebbe veduto più volontieri
un catalogo speciale di libri di botanica;
un matematico, un catalogo speciale di li-
bri matematici; un istoriografo , un cata-
logo speciale di storie oppur di romanzi ecc.
Ma, in ogni modo, meglio era averne uno
complessivo che non averne alcuno.
I pochi che studiano davvero, che vo-
gliono stare al giorno della scienza, e che
amano impossessarsene per godere vera-
mente di essa, cercano opere che svolgono
la scienza in tutti i modi, per cui riesce
più facile l'apprenderla e penetrare net vero
spirito di essa. E qui dobbiamo confessare la
verità, gli italiani scrittori sono meno pa-
zienti degli stranieri; non sanno o non vo-
gliono discendere, e cercare tutte le vie per
far penetrare la scienza nel cervello altrui,
per la qual cosa chi può appena appena
è costretto cercare i libri da studiare nei
cataloghi di opere straniere , ove si trova
proprio tutta l'agiatezza dello studio; l'arti-
giano direbbe dove si rinvengono tutti i ferri
del mestiere; infine dove un galantuomo che
voglia studiare anche da sé, trova tutti gli
ajuti, tutte le facilità, tutto ciò che occorre
per ottenere il suo scopo.
Sulla fine del secolo scorso noi ebbimo,
è vero, un Antonio Gagnoli che morì nel 181(5
ll'iinckoimeke
e che lasciò le sue notizie astronomiche, ope-
ra commendevolissima e che è appunto della
tempra da noi desiderata; ma gli stranieri
ne contano assai più ed anche di più re-
centi, e per tacere d'un Clairaut, d'un La-
lande, d'un Fontenelle, già autori vecchi, e
di molti minori autori moderni, diremo
dello stesso Arago, le cui lezioni d'astrono-
mia sono alla portata della mente la più
comune; così diciamo degli Elementi d'agri-
coltura di Victor Van Uen Broeck; di Lin-
dley, non solo per la sua Botanica pel sesso
gentile, ma bensì per la slessa sua Intro-
duzione alla botanica ; di James F. W.
.Fohnston per la sua Chemistry of common
life, ove si distingue per la sua chiarezza
un parallelo assai pregievole fra la fisio-
logia animale e la vegetale. In Piemonte
Selmi e Borio sembra che abbiano inteso
questo bisogno, e scrissero veramente per
il popolo; ma come si può far conoscenza
di queste e di tante altre opere se non sap-
piamo ove prenderne notizia? In mancanza
d'altro accenneremo, almeno per ora, il
Jiulletin bibliograhique des ouvrages nou-
veaux publiès enFrance, periodico che conta
già 26 anni di vita, e per quelli che amano la
specialità agricola, per i quali in particolar
modo noi intendiamo di qui dedicarci, of-
friamo loro .frattanto un catalogo di opere
moderne d'agricoltura e d'orticoltura quale
troviamo nella puntata del 5 luglio 1855
del Journal d'agricolture pralique, e lo dia-
mo nel suo idioma originale, giacché coloro
che ne vogliono approfittare, devono ne-
cessariamente conoscere la lingua francese.
Cosi in seguito daremo di quando in quando
altri elenchi di opere moderne ed anche
antiche, che possano interessare i nostri
lettori.
Agricui/ture.
Agricolture (Cours d'), par de Ga-
sparin, 2e edit. Cinq volumes in-8,
et 233 gravures fr. 37 50
Agriculture théorique et pralique, et
chaulagcs de la Mayenne, par Ja-
met. 444 p. in- 12 » 3 »
ARCHITETTO
Agricullure allemande (1), ses éco-
les, ses pratiques, par Roger., 566 p.
in-8 et 5 plauches fr. 7 50
Agricullure de l'Ovest de la France;
par Jules Riejfel, cinq volimi, in-8 » 25 »
AgricuUure poptilaire, par Jacques
Bujaut. 1 voi. in-12 de 540 pages » 1 75
Agronomie (Principes de 1) par Ga-
sparin, 1 voi. in-8 de 280 pages 3 75
Algerie (Agrioulture et colonisation
de 1'), par Moli, 2 voi. in-8, et
100 gravures » 7 »
Amendements (Traìté des), marne ,
chaux, etc.j par Puvis, 1 voi. in-12
de 750 page » 5 »
Animaux domestiques ; par David
Low, traduit par Royer; in-4 et
planches coloriées » 60 »
Animaux ( Statique chimique des ),
emploi agricole du Sei, par Bar-
rai, in-12 de 550 p » 5 »
Annales agricoles de Roville; par
Mathieu de Dombasle, 9 voi. in-8 » 61 50
Annales de l' Institut agronomique
de Versailles; 4 voi. in-4 de 418 pa-
ges et planches ...'...» 3 50
Arpentage et nivellement; par Le-
dere, 1 voi » 1 75
Bétes à laine; par Malinqiè, in-8, et
3 lithogr » 3 »
Bibliothèqtie du cultivateur; 44 voi.
in-12 » 17 50
Biens fonds ( 1' estunateur de ) par
Noirol, 4 voi » 3 50
Bovine-Durham (de la Race); par
Lefebvre-Ste-Marie , 352 p. in-8,
et atlas in-folio » 45 »
Calendrier du bon Cultivateur; par
Dombasle » 4 75
Chevaline (De l'espèce) en France ,
par le general Lamoricière, 312 p.
in-4, et 3 cartes col » 3 50
Chimie agricole, par 7*. Pierre; 662 p. 4 »
Chimie agricole; par le Dott. Sacc.
1 voi. 3 grav » 3 50
Comptabilité agricole. ( Traile de ) ,
par de Grange, 1 voi. in-8 de
320 pages et tableaux ...» 5 „
Congrès centrai d'agriculture, Com-
ED AGRONOMO 93
ptesrendus, la collection, 1844-1851,
8 voi. in-8 fr. 42 »
Conseils aux agriculteurs, per Dezie-
meris, 3.a édition, 1 voi. in-12 de
654 pages » 3 30
Constructions rurales (Manuel des),
par Duvinage, 1 voi. in-12 de 550 p.
et grav. . . , » 3 50
Crédit agricole et foncier (Des insti-
tutions de) en Europe; par Jos-
seau, 564 pages in-8 . ...» 7 50
Cultivateur améliorateur (Guide du)
par Lecouteux, 1 v. in-8 de 350 p. » 4 »
Dictionnaire d'Agriculture pratique,
par Joigneaux et Moreau, 2 voi.
gr. in-8 à 2 col » » 48 »
Drainage (Manuel du); par Barrai,
in-12 de 828 pages, 233 gravures
et 7 planches » 6 »
Drainage (Traité du); par Ledere,
4 voi. in-8 de 364 pages et 427 gra-
vures » 6 »
Eaux pluviales, par; Barrai, in-4 de
t 92 pages » 4 75
Economie rurale en Angleterre , p.
Lavergne » 3 50
Engrais et amendements; par Fon-
quet, 4 voi » 2 50
Guide veritable des cultivateurs, par
Dezeimeris, 2.e ed, 4 voi. in-12 de
248 pages » i 75
IrrigateurtManueldel'^parYilleroy,
et Code des Irrigations, in-8, 244 p.
121 grav » 5 »
Journal d'Agriculture pratique; Dire-
cteur M. Barrai. Un n.° de 48 p.
in-4 avec nombreuses gravures
les 5 et 20 du mois. Un an. . . » 15 »
Moniteur de la propriété et de l'agri-
culture, dix-huit voi. grand in-8
à 2 colonnes » 39 »
Mùriers (Manuel du cultivateur de) ,
p. Charrel » 4 75
Pomes de terre (Maladie des); p. De-
eaisne » » 75
Statistique agricole de la France;
par Royer, 1 voi. in-8 de 472 pages
et atlas in-folio ...-..» 12 »
Vers a soie (Manuel de 1' éducateur
94
GIORNALE DELL'INGEGNERE
de); par Robihel , 4 voi. in-8 de
332 p. et 51 grav fr. 5
Vigneron (Manuel du), par Odavi ,
412 pages »
3 50
HORTICULTURE.
Arbres fruitiers (Taille, mise à fruit
et végétation), par Puvis, 1 voi.
in-12 de 210 pages .... fr. 1 75
Bibliothèque du jardinier par Decais-
ne et Vilmorin, 4 voi. in-42 aver,
gravures » 5 »
Bon Jardinier (Le), almanach 1855,
par Poileau, Vilmorin. Decaisne,
in 12 de 1630 p » 7 »
Bon Jardinier (Figures de l'almanach
du), 450 pages in- 12, 45 planches,
600 gravures » 7 »
Cactées (Iconographie des), par Le-
maire ; huit livraisons de 2 planches
color, et texte » 40 »
Cactées (Monographie des) et Traile
coinplet de Culture; par Luboret,
1 voi. in-12 de 732 p. ...» 7 50
Camellia ( Monographie du genre ) ,
par Berìése, 3.a ed., 1 voi. in-12 de
340 p. et 7 planches . ...» 5 »
Camellia (Iconographie du genre),
collection des Camellias les plus
beaux, par Berlèse, 150 livraisons
petit in-folio, composées chacune
de 2 grav. coloriées , et texte sur
vélin. L'ouvrage compiei , 375 fr.
Une livraison » 2 50
Champignons (Culture), par Paquet,
in-12 » 3 50
Culture maraichère (Manuel pratique
de) par Courlois-Gerard. 400 pages
in-12 » 3 50
Dahlia (Traile du), p. Pirolle, 302 p.
in-12 , » 3 50
Dahlias (Manuel), par Pepili, 1 voi.
et 36 gravures » 1 75
Flore des jardins et des champs;
par Le Maoul et Decaisne, 2 voi.
petit in-8 » 9 »
Herbier general de l'amateur, descri-
ption, histoire, culture des vègeta uX,
cinq volumes in 4.° et 373 planches
coloriées fr.190 »
Horticulteur universel, par MM. Ja-
cquer , Leumann, Pepili , Poileau
et Lemaire , 7 voi. gr. in-8 , et
300 planches coloriées . . . »150 »
Horticulture,par/w'/td/et/,lv.37grav. 7 50
Horticulture (Encyclopedie d'), 512 p.
in-4, 523 grav. (tome V de la Mai-
son rustique) » 9 »
Jardinage (Manuel pratique du), par
Courlois-Gerard , 450 p. in-12 et
30 gravures » 3 40
Jardinier des fenètres (Le), des Ap-
parlements, des Petits Jardins, par
Mmo Miliet » 4 76
Journal d'horticulture pratique; par
Victor Paquet , 5 voi. in-12 et
76 gravures color » 29 »
Maison rustique des dames par Mme
Millet-Robinet , 2 voi. in-12, et
417 gravures » 7 »
OEillets; par Ponsorl, 2 voi. in-18
et gravures » 4 »
Orchidées (Culture), par Morel, l\ol.
in-8 » 5 »
Pelargonium,Calcéolaires,Verveines,
Cinéraires (Culture des) par Chau-
vière, 152 p. in-12 >
Plantes, arbres, arbustes (Manuel ge-
neral des), description et culture
de 25,000 plantes indigenes d'Eu-
rope ou de serre: la livraison »
Plantes bulbeuses (Culture), par Le-
maire »
Plantes potagères (Culture ordinaire
et forcée des) par V. Paquet, 1 v.
in-12 de 312 p »
Pomone (La) Francaise. Culture des
arbres fruitiers, par Lelieur, 1 voi.
et planches »
Bevue horticole ; directeur M. Decai-
sne. Parait les 1." et 16 du mois.
In-8 avec 24 gravures coloriées
(une par n.°). Un an .... »
Roses (Choix des plus belles), 30 li-
vraisons de 2 planches coloriées
et texte. La livraison ...» 3 »
(Extrail du catalogne de la Libi: ayric.)
2 50
1 50
3 50
3 50
7 40
9 »
NOTIZIE
ATTINENTI ALLE SCIENZE TRATTATE DAL GIORNALE.
— Wgl^gW —
OnoriCcenza ad Alessandro Sidoli.
Sollecitata la Redazione del Giornale
dell'Ingegnere Architetto ed Agronomo da
alcuni amici ed ammiratori del testé de-
funto Architetto Alessandro Sidoli , fassi
un dovere d'annunciare che presso la me-
desima si. è aperta la sottoscrizione per
l'erezione di un busto in marmo rappre-
sentante l'effigie del medesimo, e da col-
locarsi, previa la già invocata Superiore
approvazione, sotto il portico del Palazzo
delle Belle Arti di Brera in Milano.
Siccome poi l'egregio scultore Antonio
Tantardini ha già effigiato il defunto in
plastica, ed a giudizio degli intelligenti e
degli amici del Sidoli tale effigie fu trovata
somigliantissima, ed eseguita con quella
maestria d'arte che tanto onora Fautore
del Caino e del Geremia, ed offre anche
l' opera sua gratuitamente, per tradurla
in marmo, l'ammontare delle sottoscrizioni
sarà limitato alla somma occorribile per
coprire le sole spese borsuali. Essa è poi
visibile nel suo studio, situato lungo il
Naviglio di S. Marco in casa Medici.
La cifra occorrente, compresa la base,
sarà di circa austr. L. 1200, e da ripar-
tirsi in tante azioni da austr. L. 3 cadauna.
Verranno fatti in scagliola diversi busti
cavati dalla forma fatta sul busto originale,
i quali saranno venduti a favore della fa-
miglia per austr. L. G cadauno per gli
azionisti.
I nomi dei Contribuenti saranno stampati
in apposito elenco nel nostro giornale.
Le sottoscrizioni si ricevono dalla sud-
detta Redazione in Contrada S. Alessan-
dro N. 3976, presso lo Scultore, e da tutti
gli amici del defunto e dai distributori
della presente scheda; ed i pagamenti si
faranno in mano alla persona incaricata con
regolare mandato.
La Redazione.
Opere e stndj d'ornamento
e d'architettura
di Alessandro Sidoli
Prof. agg. alla scuola di prospettiva nell'I. R. Accad.
di Brera e socio d'arte della medesima.
II compianto universale che si levò
nella nostra città all'intendersi la nuova
della morte del professore Alessandro
Sidoli , le onorevoli commemorazioni
fattene alla tomba diffuse a stampa, e
ripetute dai giornali, provarono in quanta
slima fossero tenuti l'ingegno e le opere
di quell'illustre.
Una fu la voce che lamentava la
morte del Sidoli, come gravissima per-
dila all'arie ed agli artisti, i quali sin-
golarmente, mancando lui, non hanno
più l'amico , il consigliera nelle opere
loro, e quegli eziandio che talvolta po-
neva la maestra mano in esse, a cor-
reggere, ad ajutare, e forse anche ad in-
teramente creare.
Mentre il chiarissimo pittore islorico
Gallo Gallina da Cremona, gratuitamente
eseguisce il ritratto di questo suo illustre
concittadino, che verrà puhlicalo in questi
giorni, e che destina ai benefattori della
superstite famiglia; e mentre la Redazione
96
GIORNALE DELL'INGEGNERE
del milanese giornale dell'Ingcgnere-Ar-
chìtetto, a sdebitarsi d'una corsa pro-
messa , attende alla pubblicazione del
grandioso progetto del Camposanto per
la nostra città, eseguito dal Sidoli, ed
inciso del valentissimo incisore Ferdi-
nando Cassina Professore Aggiunto alla
Scuola d'ornamento di questa I. R. Ac-
cademia, coli' unita illustrazione dettata
da una ben nota penna, la sottoscritta
Commissione viene aprendo una associa-
zione a scelti e variati disegni di opere
e studj d'ornamento e di architettura
dello stesso Autore a beneficio della
povera famiglia di lui, composta della
moglie e di otto giovanetti figli, incapaci
lutti a procacciarsi altronde i mezzi della
sussistenza.
Il signor Carlo Invernizzi, valentissimo
ornatista e riputato intagliatore, genero-
samente si assunse di condurre in lito-
grafia dodici tavole di disegni del Sidoli,
ed altrettante ne offerse il distintissimo
giovane sig. Gaetano Spelimi; ed i si-
gnori, Ingegnere Svanascini pensionato
della R. Accademia di Genova, Olim-
piostene Vaccani ed Alessandro Arienli
coadjuveranno parimenti all' esecuzione
dei disegni architettonici. L'opera com-
pleta si comporrà di cinquanta tavole ;
e l'avvocalo Pier Ambrogio Curii, det-
terà i cenni biografici e le illustrazioni
delle tavole. Il sig. Bartolomeo Saldini,
proprietario di questo giornale , con-
durrà nel proprio stabilimento per le
semplici spese necessarie la slampa del-
l'opera, al cui spaccio ed a' prodotti da
erogarsi, come si disse, a vantaggio della
vedova e degli orfani figli del Sidoli,
veglierà la sottoscritta Commissione.
L'opera verrà divisa in tante dispense
quante sono le tavole che verran pub-
blicate, colla rispettiva coperta espres-
samente condotta a disegno litografico
dal medesimo signor Invernizzi, nel for-
mato d'un mezzo foglio reale ed al prezzo
d'una lira austriaca per dispensa, che si
farà ogni quindici giorni circa. Le asso-
ciazioni si ricevono in Milano dalla Fami-
glia del Sidoli, all'ufficio del Giornale
dell' Ingegnere- Architetto ed Agronomo in
contrada S. AlessandroN. 3976, e da tutti
gli amici del defunto, incaricali sì in Mi-
lano che altrove.
Ora non rimane se non attendere che
s'abbia a rispondere all' intendimento di
chi promosse ed ajutò questa pubblica-
zione. Non manca che il voto ed il con-
corso del Publico specialmente della no-
stra città che in queste opere generose
è a nessuno secondo.
Milano , agosto 1855.
La Commissione
Prof.
Prof.
Avv.
D. Moglia.
F. Cassina.
P. A. Curii.
Carlo Invernizzi.
Gaetano Spcluzzi.
Bartol. Saldini.
I. K. Acc. di Belle Arti in Milano.
Programma de' concorsi inslituili dai be-
nemeriti defunti Canonica e Girotti.
CONCORSO CANONICA
L' I. R. Accademia di Belle Arti in Mi-
lano invita gli artisti dimoranti negli Impe-
riali BB. Stati Austriaci, non che gli Au-
striaci dimoranti all' estero, ai concorsi al
premio instituito dal defunto Architetto Con-
sigliere Academico Cav. Luigi Canonica,
che si terranno nel venturo anno 1836.
ARCHITETTURA
(concorso riferibile al 1856)
Soggetto = Un grandioso edificio ad uso
di mercato per oggetti d'industria adatto
ad una città di duecento mila abitanti, con
abitazioni private e decorazione a piaci-
mento. = Verrà dimostrato con icnografie
ed ortografie interne ed esterne aquerellale,
e colla delineazione de' dettagli , in iscala
maggiore parimenti all'aquerello accompa-
gnate da sviluppamenti di costruzioni, tanto
in disegno che in descrizione.
I disegni saranno in gran foglio.
Premio = Idre milleseicento (1600) au-
striache.
ARCHITETTO ED AGRONOMO
97
Discipline
Le opere di concorso dovranno essere
presentate prima delle ore quattro pome-
ridiane del giorno 30 giugno 1856. Non sa-
ranno ricevute quelle che non verranno
consegnate precisamente entro l' indicato
termine, per un commesso dell' autore, al-
l'Economo-Cassiere dell'Accademia, né po-
tranno ammettersi giustificazioni sul ritardo.
L'Accademia non si carica di ritirare le
opere,, quantunque ad essa dirette, uè dal-
l'Ufficio di Posta, né dalle Dogane.
Ciaschedun' opera sarà contrassegnata da
un'epigrafe ed accompagnata da una lettera
sigillata, portante al di fuori la stessa epi-
grafe, e dentro il nome , cognome , patria
e domicilio dell'autore. Oltre questa lettera,
dovrà l'opera accompagnarsi con una de-
scrizione che spieghi la mente dell'autore,
acciocché, confrontata coll'esecuzione, se ne
giudichi la corrispondenza.
Le descrizioni si comunicheranno ai Giu-
dici: le lettere sigillate saranno gelosa-
mente custodite dal Segretario, e non verrà
aperta che la sola portante l'epigrafe del-
l'opera che avrà ottenuto l'onore del premio;
tutte le altre si restituiranno intatte ai com-
messi, insieme con le opere, subito dopo la
consueta pubblica esposizione degli oggetti
di belle arti susseguente al giudizio.
Le opere dei concorrenti che all'atto
della consegna non fossero trovate in buona
condizione, non saranno ricevute. Nella con-
segna poi delle dette opere verrà rilasciata
dall' Economo-Cassiere distinta ricevuta ,
che si dovrà quindi a lui retrocedere al-
l'atto della restituzione delle opere non
premiate. Non ricuperandosi dagli autori
entro un anno le opere non premiate, l'Ac-
cademia non risponde della loro conser-
vazione.
Il giudizio verrà affidato ad una Com-
missione apposita, ed eseguito colle dovute
cautele per mezzo di voti ragionati e sotto-
scritti, salvo la definitiva approvazione del
Consiglio Accademico; dopo di che sarà pub-
blicato unitamente ai giudizj degli altri con-
corsi.
CONCORSO DEL LEGATO GIROTTI
L' I. R. Accademia di Milano invita i
proprj Allievi o gli artisti che già vi ap-
partennero, esclusi gli esteri, a concorrere
al premio instituito dal defunto Raineri
Girotti, che si distribuirà nel pross. anno 4856
sul seguente
Soggetto = La decorazione dell' interno
di una Loggia coperta.
Il disegno saràall'aquerello a colori, geo-
metrico o prospettico, di stile a piacimento,
e la dimensione non sarà minore di centi-
metri 45 per cent. 60.
Premio — milanesi lire trecento (L. 300).
Discipline
I concorrenti nella lettera sigillata, con-
tenente il proprio nome, cognome e domi-
cilio, dovranno provare regolarmente di
avere frequentato le scuole di quest'Acca-
demia.
II concorrente premiato potrà , dopo la
pubblica esposizione , ritirare presso di sé
la propria opera o lasciarla all'Accademia.
In questo secondo caso essa verrà contras-
segnata dal nome dell' autore , ed esposta
nelle sale dell'Accademia.
In quanto al resto sono da osservarsi le
discipline accennate pei concorsi del legato
Canonica.
Milano, il 14 luglio 4855.
Per la Presidenza
FRANCESCO HAYEZ.
I. R. Acc. di belle Arti in Venezia.
Avviso.
Voi. IH.
S. E. il Ministro della pubblica istruzione,
con suo venerato Dee. N. 4594, 9 corr., comu-
nicato con l'altro Luogotenenziale N. 5760
mese stesso, si è compiaciuta d'ordinare che
i premii di prima classe (Medaglie d'oro),
Agosto 4855. 43
98
GIORNALE DELL' INGEGNERE
la cui aggiudicazione spetta nel venturo
anno 4856 a questa 1. R. Accademia, deb-
bano ancbe pel detto anno essere disposti,
in via deperimento, giusta le norme sta-
bilite dal Ministeriale Dispaccio 20 giugno
4853 N. 4103, cbe qui si riportano a co-
mune notizia, e a guida degli-artisti che in-
tendessero concorrere ai rammentali premii.
4.1 premii di prima classe (Medaglie d'oro)
verranno concessi nel venturo anno 4856
a quegli artisti, dimoranti negli II. RR. Stati
austriaci , i quali , nei varii rami dell'arte
qui sotto elencati, avranno mandato a que-
sta I. R. Accademia, entro al 45 luglio del-
l'anno suddetto un'opera da essere esposta
nella pubblica mostra della medesima, la
quale, conformandosi alle discipline che
qui sotto stanno notate , sia dal Consiglio
accademico giudicata di tale pregio, da me-
ritare il premio destinato alla classe cui
essa appartiene.
2. L'opera premiata, anzi che rimanere,
come per lo innanzi, di proprietà dell'Ac-
cademia, rimarrà all'autore, il quale però
non potrà ritirarla dall' Accademia se non
dopo che sia finita la pubblica mostra, in
cui verrà esposta.
3. L'entità e la ripartizione dei premii vieii
fissata nel modo seguente (*):
b) Ad un progetto di architettura, una
medaglia del valore intrinseco di zecchini 60;
f) Ad una composizione prospettica co-
lorata, una medaglia del valore intrinseco
di zecchini 20;
g) Ad una composizione ornamentale, in
qualsiasi materia o genere , ima medaglia
del valore intrinseco di zecchini 20;
4. Non avranno diritto a premio se non
quelle opere che verranno consegnate al-
l'Economo Cassiere di questa I. R. Acca-
demia sino alle ore [quattro pomeridiane
del 45 luglio del venturo anno 4856.
5. Non saranno accettate in concorso, e
quindi neppure esposte al pubblico, quelle
opere che offendessero anche lontanamente
i riguardi politici, la religione e la morale.
■
(*) Si omettono i concorsi de'premii citati a. e. d. e. fi-
come estranei alle materie trattale in qucstoGiornale.
6. Il giudizio , che pronuncierassi sulle
opere dei concorrenti, viene affidato a Com-
missioni straordinarie, salvo la successivo
approvazione del Consiglio accademico, e si
eseguisce colle più rigide cautele, per mezzo
di voti ragionati e sottoscritti,
7. Le Commissioni, elette a giudicare le
opere relative a ciaschedun ramo d'arte ,
giusta il prescritto del Cap. XXV del Regol.
interno dell'Accademia, come pure il Consi-
glio accademico, dovranno desumere la mi-
sura del merito di ciascheduna opera dai
pregi assoluti di composizione e di esecuzione,
per cui l'esistenza degli uni non sia tenuta
compenso alla mancanza degli altri, né possa
influire al conseguimento del premio. Laonde
i diritti al premio dovranno risultare da
meriti ineccezionabili positivi, non dai re-
lativi.
8. Non potranno aver diritto a premio
le copie o ripetizioni d'opere, tanto se sieno
condotte dagli autori degli originali, come
da altri, e neppure quelle che fossero state
esposte in altre pubbliche mostre di belle
arti.
9. È in libertà di ogni esponente il dichia-
rare eh' egli rinuncia ai diritti del premio
relativo al ramo d'arte , a cui appartiene
l'opera sua, e quindi chiedere che questa
non sia sottoposta al giudizio della Com-
missione.
40. Quelli, che intendono di entrare nel
concorso, dovranno accompagnare le opere
loro di una descrizione delle medesime, che
dichiari il soggetto e l'intenzione dell'autore
nello svolgerlo. E lasciata poi libertà ai
singoli concorrenti di manifestare il pro-
prio nome; come di affidarlo ad una lettera
suggellata, da non aprirsi se non nel caso
che l'opera fosse premiata. Su questa lettera
però dovrà essere scritta un' epigrafe , la
quale sia ripetuta sull'opera, a cui essa si
riferisce.
44. Le descrizioni si comunicheranno alle
Commissioni; le lettere suggellate saranno
gelosamente custodite dal segretario, né
verranno aperte se non quando le opere,
a cui hanno relazione , ottengano 1' onore
del premio: in caso diverso, si restituiranno
ARCHITETTO ED AGRONOMO
intatte ai commessi unitamente alle opere,
subito dopo la pubblica Esposizione.
42. Nelle consegne e restituzioni delle
opere e delle lettere accompagnatorie, si
rilasceranno e si esigeranno distinte rice-
vute. Mancando gli autori di ricuperare
entro sei mesi i loro lavori. l'Accademia
non risponde della conservazione loro.
13. Tutte le opere dei concorrenti, pre-
sente il commesso che ne sarà latore, ver-
ranno esaminate da una Commissione spe-
ciale, destinata a verificarne la buona o
cattiva condizione, anche con atto pubblico,
quando ciò fosse richiesto dal loro totale
deperimento e dalla conseguente esclusione
dal concorso.
44. La Segreteria dell' Accademia non
s'incarica di ritirare le opere, quantunque
a lei diretta , né dall' Ufficio di posta , né
dalle Dogane.
45. I gindizii definitivi del Consiglio ver-
ranno pronunciati entro ai primi otto giorni
della pubblica Esposizione, e i premii sa-
ranno dispensati poco dopo in un giorno
da destinarsi.
46. Le opere premiate porteranno , per
tutta la restante Esposizione , una corona
d'alloro, in cui starà scritto il nome e la
patria dell'autore.
Venezia, 28 luglio 4855.
// Segretario f. f. di Presidente
P. Selvatico.
Premj
Milano, 29 agosto. — L' I. li. Accademia
di Belle Arti dispensò in questo giorno i
premj di 4.a e 2.a classe. La solenne ceri-
monia facevasi coli' intervento di S. E. il
Luogotenente di Lombardia, di varie auto-
rità, sì civili che militari ed ecclesiastiche,
e di numeroso concorso. Il nuovo professore
d'Estetica e segretario f. f. di Presidente
G. Mongeri lesse un discorso tendente a
dimostrare come la forma non possa essere
unico scopo dell'arte, ma soltanto sia mezzo
a raggiungere un intento morale.
99
Diamo soltanto i nomi di coloro che ri-
portarono i premj dei concorsi di prima e
seconda classe di Architettura, Prospettiva
ed Ornato, perchè appartenenti alle materie
trattate dal nostro giornale.
CONCORSI DI I. CLASSE
architettura
Ospizio per gli esposti e per le parto-
rienti povere e paganti, qual si conviene ad
una popolosa città centrale.
Premiato, fra due concorrenti, il sig. In-
nocente Casoni di Serravalle^ mantovano,
allievo di quest'I. R. Accademia e del pro-
fessore aggiunto G. Besia.
Ornato
Edicola isolata colla relativa vasca ad uso
di battistero, di stile Bramantesco.
Premiato, fra tre concorrenti, il sig. Ales-
sandro Arienti milanese, allievo di quest'I.
R. Accademia e del sig. Alessandro Sidoli
testé defunto.
Prospettiva
La parte posteriore del Duomo di Milano,
veduta dall'interno del cimitero che vi esi-
steva nei primi tempi.
Premiato, fra tre concorrenti, il sig. Gio-
vanni Pessina di Bergamo, allievo di que-
st'I. R. Accademia.
CONCORSI DI II. CLASSE
Scuola d'architettura (*)
Per l'invenzione. Premio 1. sig. Faustino
Anderloni, milanese, allievo della scuola de-
gli ingegneri-architetti. 2. sig. Carlo Zappa,
(*) Per legalo del fu prof. Carlo Amali, il 1.° prè-
mio viene retribuito pure di un esemplare dell'opera
di Vilruvio da lui pubblicala, al che s'aggiunge per
questa volta una copia del Giornale dell' Ingegnere-
Archilclto degli anni 1853 e 1854, offerta in dono
dall'editore B. Saldini.
100
GIORNALE BELL'INGEGNERE
di Lurago, provincia di Como; accessit con
lode sig. Giacinto De Grandi, d: Concorezzo.
— Per gli ordini architettonici. Premio con
lode sig. Ambrogio Seveso, milanese; Ac-
cessit d. sig. Nicola Baj, di Cazzone, pro-
vincia di Como. 2. sig. Pietro Colombo,
milanese.
Scuola di prospettiva
Per l' invenzione di una scena. Premio
i. sig. Carlo Pirotta, milanese. 2. sig. Pes-
sina, di Bergamo. — Per gli elementi. Pre-
mio con lode sig. Giuseppe Rossi, di Lo-
mazzo.
Scuola d'ornamenti
Per l'invenzione d'un ornato architetto-
nico. Premio sig. Carlo Brambilla, milanese.
—Per il disegno dal rilievo. Premio sig. Amil-
care Briani, milanese. Accessit sig. Milziade
Negri, milanese.
SCUOLA D'ARCHITETTURA, PROSPETTIVA
ED ORNATO, PER GLI INGEGNERI-ARCHITETTI
Fra gli ingegneri-architetti che hanno com-
piuto il prescritto anno scolastico onde ri-
portare assolutorio pel libero esercizio della
professione di architetto, la Commissione ap-
posita ha distinto con speciale menzione ono-
revole il sig. Faustino Anderloni, milanese.
CONCORSO SANQUIRICO
Applicato nel corrente anno alla scuola
negli ornamenti, col premio di una meda-
glia di rame e di lire cento di Milano. —
Premiato, sopra sette concorrenti, il sig. Giu-
seppe Perego, milanese.
— Il 5 agosto fu la festa solenne delle belle
arti. L'I. R. Accademia di Venezia distribuì
i premii a' suoi giovini alunni: ed alla pa-
tria funzione presero parte, colla presenza,
il sig. co. Marzani, f. f. di Luogotenente
delle venete Provincie, il R. Delegato pro-
vinciale co. Altan, il sig. co. Correr, Po-
destà di Venezia, il fiore delle Magistrature,
e un concorso grande di cittadini. Il signor
marchese Selvatico Estense, secretarlo, e
che sostiene le veci di presidente, cominciò
col leggere un forbito discorso, che aveva
per tema: Qual fosse l'educazione degli scorsi
secoli, e quale sia al presente in Italia.
Si fé' ad osservar l'oratore che , avendo
nell'anno decorso tentato di dimostrare, come
le industrie non possono prosperare se non
sieno guidate dalle arti maggiori, forse gli
uditori avranno domandato a sé stessi, se
queste arti sieno tanto avanzate fra noi da
giovare a simili industrie; e potrebbero per
avventura averlo accusato di non opportuno
silenzio su ciò. A togliere simile accusa era
rivolto il suo discorso.
Da prima egl'indicò la condizione attuale
della pittura e della scultura in Italia, di-
mostrando come sieno esse senza dubbio
lontane dall'jaltezza che toccarono nel XV
e XVI secolo, ma però incamminate a pro-
gredimento di maniera, che potrebbero, se
fossero protette, vantaggiare il gusto della
nazione, accostarsi alla grandezza antica,
far prosperare le industrie nostrali.
Ma non toccherebbero il loro' vertice se
non ricevessero forza dall'architettura ci-
vile, ch'è la prima delle arti; e qui appunto
l'oratore deplorò esser ella così scaduta
adesso fra noi, da non poter produrre nulla
di utile alle sorelle , ed esser ridotta od a
eretta muratura ovvero a sterile esercizio
di sogni monumentali, entro alle scuole, in-
tesi a ricopiare le magnificenze romane.
Dimostrò da poi che, quando un errore
è sì grave , non possono esserne causa la
povertà dall'ingegno o la miseria dei tempi,
sì invece l'educazione attuale dell'architetto,
disadatta a svolgerne la mente, quando pure
vigorosissima fosse.
A dar prova di ciò, con quell'acutezza
dinvestigazione, e soda erudizione, che in
tutti gli scritti del chiaro dicitore si lodano,
egli accennò i metodi tenuti nell'antichità
e nel medio evo per istruire l'architetto, e
li raffrontò coi presenti.
Toccò di quanto lasciò scritto Vitruvio ,
secondo il quale i Greci esigevano che l'ar-
chitetto conoscesse molte arti e scienze, più
forse di quelli che le professano. Vitruvio,
ARCHITETTO
anche accusando di esagerazione questa esi-
genza , vuole per altro che l'architetto sia
istrutto di lettere, di perfetto disegno, di
geometria, di ottica, di aritmetica, e fin di
storia, di medicina e di legislazione. Chiuse
poi osservando che non diventerà buon ar-
chitetto se non chi dalla fanciullezza sia già
bene avviato a queste dottrine.
I resti delle fabbriche greche e romane,
ei disse , ci provano ad evidenza come di
tutto ciò fossero peritissimi gli architetti di
quelle nazioni.
Considerata l'architettura al cader dell'Im-
pero romano, quand'ella col resto della ci-
viltà scese in basso, la vede risorgere dagli
studii de' monaci , centro allora di tutto il
sapere, e diffondersi per tutta la terra civile
quell'insigne sistema di architettare, che,
uscito dai monasteri di Ivrea e di Milano,
i documenti di recente provarono gloria
esclusiva d'Italia.
Lo stesso Carlo Magno, la cui epoca è
tacciata di barbarie, istituì scuole d'archi-
tettura, in cui adunò le menti più elette del
suo tempo ad insegnare disegno, geometria,
e l'arte di colorire i vetri per le finestre
delle chiese.
Verso la fine del decimo secolo si fonda
in Cluny un'Abazia, che diventò elemento
di civiltà, imperocché di colà uscirono uo-
mini sommi in ogni ramo, ed anche nell'ar-
chitettura.
Nel secolo XI si rassodano in Francia,
in Germania ed in Italia i Comuni. Lo spi-
rito laico stabilisce le fraglie dell'arti, e af-
fida le sue fabbriche all'architetto, che di-
venta rappresentante degli usi religiosi e
civili , alzando magnifiche cattedrali e pa-
lazzi municipali.
Compariscono allora i gran nomi di Ro-
berto di Luzarches, di Pietro di Montereau
di Leberger, di Lorenzo Maitani, di Jacopo
di Arnolfo , dei due Pisani, di Giotto, del-
l'Orgagna, a cui dobbiamo quelle robuste
moli del medio evo , che durano salde in
onta dei danni del tempo, mentre le nostre
odierne appena alzate si squarciano.
Lo stesso esteso sapere manifestano gli
architetti del Rinascimento, i quali poi, I
ED AGRONOMO 101
unendo alla scienza architettonica quella
delle arti affini, scultura e pittura, valsero
a fregiare i monumenti di stupende ed ac-
conce ornature.
Si portano ad esempio di ciò il Brunel-
lesco , Giuliano da Majano , Ambrogio da
Foscano, e molti altri che furono ed archi-
tetti e scultori e pittori.
L'architettura continua per questa via
sino alla metà del secolo XVI. Dopo, di-
venta imitatrice servile delle norme romane,
e gli architetti, più che immaginare con
libero ingegno le fabbriche, le subordinano
a regole fisse, invariabili, desunte da Vi-
truvio.
Sul finire del ricordato secolo XVI, l'ar-
chitettura si pone a cercare fantastiche no-
vità ; comincia il barocco, che va più e più
crescendo, sinché si sbriglia ad ogni più
sfrenato capriccio, e diventa espressione
della oligarchia sfarzosa dell'epoca.
Sebbene però quegli architetti si abban-
donassero ai più riprovevoli ghiribizzi, pure
si mostrano artisti valenti, e ricchi di molto
sapere in tutte le arti.
Questa dovizia di cognizioni non parve più
necessaria sul cominciare del secolo XVIII,
quando la scoperta di Pompei e di Erco-
lano, Io studio più intenso de' classici greci
e latini, la grecheggiante rivoluzione fran-
cese, portò gli architetti a seguire servil-
mente le norme lasciateci dai Greci e da
Vitruvio. Pure anche gli architetti di quella
età appariscono dottissimi nella statica e
nella erudizione classica.
Dopo questo breve storico sunto, del quale
non sapremmo se più ammirare la lucidezza
o la eleganza della esposizione, l'illustre
disserente passa ad esaminare i difetti del-
l'attuale istituzione in questa qualità di studii,
e ne propone con molta sapienza e pratico
senno quelle riforme che gioverebbero a
formare il perfetto architetto.
E' si scusa quindi coll'uditorio se usò non
liete parole in un giorno di festa lietissima.
Prega gli sieno perdonate, al desiderio vivo
di veder tolto questo all'Italia, manifestando
la speranza che sia per risorgere la nostra
architettura ; e questa speranza gli viene
402 GIORNALE DELL
dal vedere il Governo adoperare ogni mezzo
a far migliore l'educazione architettonica ,
e dallo scorgere il buon senso del popolo
adirarsi della miseria delle nostre costrut-
tore del giorno.
Aggiunge bensì che la educazione miglio-
rata non arriverebbe interamente lo scopo,
se la società non tornasse a provare quel
bisogno e queir amore dell' arte che circo-
lava per tutti gli ordini del consorzio civile
nel nostro Cinquecento.
Nel farsi a desiderare che questo amore
e questo bisogno sieno presto sentiti dalla
società, raccomanda che noi, vivendo in Ve-
nezia , indirizziamo i giovani architetti a
meglio e continuamente studiare i suoi pre-
ziosi monumenti , poiché Venezia , che ha
d'ogni fatta gioielli, monumenti d'ogni stile,
o il bisantino, e l'arabo, e il lombardesco,
Venezia e per questo e per la eleganza e
leggiadria de' suoi palazzi e delle sue chiese,
è alta più ch'altri a consigliare uno stile
di costruttore più acconcio ai bisogni della
società attuale. Il che dà all'oratore occa-
sione di pingere a gran tratti uno splendido
ed eloquentissimo quadro dell'aspetto pit-
toresco che presentano gli edificii di Ve-
nezia nel loro complesso, e di mostrare come
possano essere ispirazione all'architetto ve-
ramente artista.
Ei terminava in mezzo l'applauso più
sincero del commosso uditorio , col racco-
mandare a' giovani , che frequentano l'Ac-
cademia , di studiare , meditare , imparare
Venezia.
Dopo la quale orazione, si lesse pubbli-
camente il processo verbale de'giudizii, prof-
feriti dalla Commissione dell'Accademia,
sulle opere presentate al concorso dai va-
lorosi giovani che ambirono al premio, ed
ai quali ei fu consegnato dalle mani del
sig. co. Marzani, che lo accompagnava con
quelle gentili e incoraggianti parole che ne
raddoppiano il valore.
La solennità, come cominciava, finiva al
suono della musica banda militare: suono
di letizia, che si mescea a quello delle con-
gratulazioni e delle lodi a' vittoriosi che
avevano ottenuta la palma.
INGEGNERE
Ecco l'elenco de' premiali a' concorsi di
seconda classe nell'I. R. Accademia di belle
arti in Venezia, ristretto nelle materie trat-
tate in questo Giornale.
architettura. — Per iiiwetizione.
Premio. Sig. Ingegnere Giuseppe Taglia-
pietra, di Motta. l.° Accessit. Sig. Ingegnere
Giuseppe Soavi, di Venezia; sig. ingegnere
Simeone Benedetti, di Venezia.
Per la copia dal vero
d'una porta lombardesca.
Premio. Sig. Spiridione Prossalendi , di
Corfù; sig. Giuseppe Voltolini, di Spalato.
4.° Accessit. Sig. Andrea Favero, di S. Ze-
none; sig. Marco Pasato, di Cavassagra.
prospettiva. — Per lJ invenzione.
Pre mio. (Più una medaglia di rame per
la delineazione architettonica della compo-
sizione.) Sig. Antonio Revessi, di Venezia.
Per la copia in prospettiva dal vero.
Premio. Sig. Francesco Mironi, di Castel-
franco.
2.° Accessit. Sig. Giovanni Lavezzari, di
Venezia.
Per la copia d'una veduta dal vero ad olio.
Premio. Sig. Giovanni Marcon, di Venezia.
ORNAMENTI.
Per l'invenzione architettonica ornamentale
in disegno.
Premio. Sig. Agilulfo Zaflbni. I.° Accessit.
Sig. Antonio Revessi.
Per l'invenzione mobiliare in disegno.
Premio 2.° Accessit. Sig. Enrico
Goy, di Corfù; sig. Agilulfo Zaffoni.
Per la copia in disegno dal rilievo.
CLASSE INFERIORE.
ARCHITETTO ED AGRONOMO 403
Ottennero la prima classe i signori :
Premio. (Pari grado) Sig. Sante Gazzella,
di Venezia; sig. Demetrio Sguario, di Ve-
nezia. i.° Accessit. Sig. Edoardo Peteani.
2.° Accessit. Signor Bartolomeo Cieoni, di
Venezia.
Per altra copia in disegno dal rilievo.
CLASSE SUPERIORE.
Premio. (Pari grado) Sig. Andrea Favero,
sig. Bartolomnieo Da Venezia, di Venezia,
sig. Enrico Goy. (Medaglie di rame pari
grado) Sig. Felice Zennaro, di Palestrina .
sig. Giuseppe Voltolini, sig. Francesco Novo.
i.° Accessit. Sig. Antonio Morandini, signor
Gaetano Borghetto; 2.° Accessit. Sig. Mi-
chele Bonetti, sig. Vincenzo Hayez, signor
Pietro Zanardi, di Venezia.
Per la copia in plastica dal rilievo.
Premio. (Pari grado) Sig. Giocondo Tre-
vese, di Castelfranco, sig. Francesco Toso,
di Padova. i.° Accessit. Sig. Francesco An-
dolfato, di Bassano.
NELLA SCUOLA DI ESTETICA
ti distinsero per le ripetizioni fra Fanno :
NELLA CLASSE D' ARCHITETTURA.
(Ingegneri laureati) Dott. Giuseppe Ta-
gliapietra, dott. Giuseppe Soavi, dott. Pietro
Dionisi, sig. Antonio Bevessi.
NEGLI ESAMI FINALI
ottennero la prima classe con eminenza
i signori:
(Ingegneri laureati) Dott. Giuseppe Soavi,
dott. Pietro Dionisi, dott. Simeone Benedetti.
Antonio Bevessi, Alvise Barucco, di Zante,
Antonio Paoletli di Giovanni, Augusto Ca-
iani, Carlo Agnino, Nicolò da Ben, Agilulfo
Zaffoni.
Enrico Goy, Gio. Domenico Nordio, di
Treviso. (Ingegneri laureati) Dott. Giuseppe
Tagliapietra, dott. Nicolò Fabris.
CONCORSI PREMIATI CON LE MEDAGLIE DI RAME
oltre i notali
SCUOLA D'ORNAMENTI.
Per la riproduzione a memoria di esemplari
copiali dal gesso.
Sigg. Bartolomeo Da Venezia, Pietro Za-
nardi, di Venezia, Agilulfo Zaffoni.
Per la composizione ornamentale
architettonica in plastica.
Sig. Luigi Sanavio, di Padova.
(Dalla Gazz. Uff. di Venezia.)
Tecnologia
Scoperte, utili applicazioni; Navigazione
strade di ferro, ecc.
— In niuna epoca mai si parlò tanto
d'invenzioni e di scoperte come oggidì; ma
spesso accade che molle d'esse vengono sol-
tanto accennate, e non sono poste in atto,
sicché l'annuncio di cose nuove è ornai ac-
colto con ragionevole scetticismo.
Cosi avvenne allorché fu pubblicato che
un operaio francese seppe trarre una pro-
digiosa utilità del principio conosciuto uni-
versalmente, che si può ottenere del calore
per via di confricazione. Ma questo ope-
raio, Alessandro Beaumont, unito al dot-
tore Mayer, andato a Parigi, ha progredito
sì bene nel suo trovato , che l' imperatore
è andato a vedere i suoi sperimenti, e si
reputa di altissima importanza sociale l'ap-
plicazione di questo principio, già conosciuto,
come dicevamo, ma troppo poco studiato
praticamente.
404
GIORNALE DELL' INGEGNERE
Similmente si torna ora a parlare di un'in-
venzione già accennata e poi quasi posta
in dimenticanza. Trattasi di un nuovo modo
di propulsione per le navi e che, se vera,
muterebbe assai la navigazione a vapore.
Le ruote dei vapori e l'elice sarebbero abo-
liti, e l'andamento delle navi sarebbe più
naturale, senza scosse, con minori pericoli
e con minore consumo di combustibile. L'in-
venzione , già applicata ad un brick dal
macchinista Ruthven di Edimburgo, con-
siste in una cassa impermeabile posta in
fondo alla cala dal bastimento, la quale
comunica coll'acqua per mezzo di fori che
sono sotto la chiglia, e sempre aperti. L'ac-
qua entrando per quei fori è continuamente
rimestata da una ruota motrice orizzontale,
e forzata ad uscirne con violenza; questa
incessante e regolare commozione dell'acqua
produce l'effetto che producono i remi per
un battello, e spinge innanzi la nave.
Le prime esperienze hanno già prodotto,
a quanto si narra, un ottimo risultamento,
ed i meccanici fanno sin d'ora assai più as-
segnamento su questa invenzione che non
ne facessero su quella di Ericsson, la quale
teoricamente non lasciava alcun dubbio in-
torno alla possibilità di venir niessa in atto.
Fra le invenzioni di questa fatta che si
palesano da ogni parte con un moto, per così
dire, di celerità crescente, ora se ne annun-
zia ancora una che, ove sia vera, ove non
debba essere posta fra le tante altre intente
allo scopo medesimo, vantate un giorno e
il giorno dopo smentite dal fatto , sarebbe
d'una immensa importanza. Si tratterebbe
di una nuova macchina senza vapore e che
avrebbe gli stessi effetti di quelle mosse del
vapore. L'autor suo la nomina idro-aerea
e non ha mestieri di combustibile, e può
acconciarsi in qualunque luogo.
La Presse ce ne dà un cenno senza dirci
il nome dell'inventore, né alcun particolare
dal quale possa arguirsi quanto sia credi-
bile l'annunzio. Ci narra soltanto che ora
formasi una società e per ajutare l'inven-
tore, e guadagnare al solilo sopra la sua
scoperta. Parla di grandi speranze , e noi
desideriamo che non siano lusinghe, sì che
si veda sciolto al fine questo arduo problema
studiato da tanto tempo.
Prima di lasciare l'argomento dei tentativi
e degli studj che si vanno facendo per mi-
gliorare i sistemi di locomozione, vogliamo
aggiungere il seguente cenno che troviamo
nella Ferrovia che stampasi a Genova:
« E venuto a nostra conoscenza il nuovo
sistema di perfezionamento dei veicoli delle
strade ferrate ideato da) sig. Maneglia, capo-
officina delie ferrovie sarde, compiuto con
studj ed esperimenti fatti in Parigi dall'in-
gegnere professore meccanico Pietro CoDti
in unione dell'inventore.
« Con questa innovazione si aboliscono in-
teramente le molle d'acciajo e si sostituisce
la gomma elastica vulcanizzata.
« I nuovi apparecchi sono adattabili tanto
al materiale nuovo, quanto al materiale in
uso. Essi presentano una economia per la
prima costruzione di un 30 a un 40 per 100
col confronto delle molle, e molto maggiore
per la manutenzione successiva e per la
conservazione del materiale.
« Il nuovo sistema ottenne il privilegio
nei principali Stati d'Europa e negli Stati
Uniti d'America, ed il disegno e modello
è all'esposizione universale a Parigi.
« Possiamo assicuratamente annunziare
che in questo stabilimento Ansaldo di S. Pier
d'Arena si stanno costruendo sotto la di-
rezione dell'ingegnere Conti gli apparecchi
per un intero convoglio adottato dalla strada
ferrata centrale toscana per assenso decre-
tato di quel governo, ed altri per la strada
dell'ovest in Francia; e di più possiamo
annunciare che fu stipulato un compromesso
fra il sig. Pietro Avoscani ed i rappresen-
tanti della società Maneglia per l'applica-
zione di tale sistema al materiale della nuova
strada di Egitto. »
— Da qualche tempo si pensa in Inghil-
terra alla costruzione di bastimenti stivati
con acqua; l'economia di tempo e denaro che
presenta questa invenzione c'induce a farne
un cenno.
Due diversi sono i sistemi per servirsi
dell'acqua a guisa di zavorra. Consiste il
primo nel!' introdurre l'acqua in sacchi, di
ARCHITETTO
particolare invenzione del dottore White.
Questi sacchi , contenenti ognuno acqua
pel peso di 7 tonnellate e mezza., sono di un
tessuto impermeabile, e ciascun d'essi co-
munica con un tubo flessibile, di maniera
che col mezzo di pompe essi possano esser
riempiti e votati separatamente. Quando i
sacchi sieno vuoti, giaciono distesi in fondo
al bastimento, e coperti con botole di legno
su cui posa il carico; sì tosto che questo
carico vien posto a terra, ed a misura che
si ha bisogno di zavorra, si fa giungere
l'acqua e si sollevano queste botole, la cui
base è fissata alla murata del bastimento e
che servono, quando i sacchi sono ripieni,
a sostenerli e ad impedir loro di cedere alle
scosse della navigazione. Questi sacchi vuoti,
e le botole abbassate che li coprono occu-
pano una profondità non maggiore di 5
pollici in fondo al naviglio.
L'altro metodo giunge allo stesso risul-
tamenlo: esso occupa maggiore spazio, ma
offre il vantaggio di essere più semplice e
più economico. L'acqua che deve servire
di zavorra viene introdotta negli scompar-
timenti disposti per quest'uso al disopra
della chiglia in tutta la lunghezza del na-
viglio; questi scompartimenti sono coperti
da una superficie di ferro che forma una
specie di seconda cala, e sono distribuiti in
modo da contenere una quantità d'acqua
equivalente al peso necessario per istivare
il bastimento. Questa zavorra può essere
introdotta nella cala o esserne estratta in
pochi minuti col mezzo di pompe.
— Argomenti a molti sludii furono sem-
pre le cause che producono lo scopo delle
caldaje a vapore: alcune se ne determina-
rono scientificamente, e si rimediarono con
valvole di sicurezza ed altri espedienti. INul-
lameno confessano i dotti meccanici che, a
mal grado di tutte le precauzioni, avviene
talvolta lo scoppio di caldaje senza che ne
sia conosciuto il vero motivo. Il meccanico
francese Andraud vuole attribuirlo ad un
fenomeno di elettricità. A suo giudizio in
alcune condizioni speciali dell'atmosfera una
parte di fluido elettrico penetra nelle cal-
daje e cresce la tensione del vapore acqueo,
Fo'- *" A vasto
ED AGRONOMO jyg
[ per modo da vincere d'improvviso la resi-
stenza delle pareli del vaso metallico. Cre-
dendo vera la sua ipotesi, di cui ulteriori
osservazioni potranno chiarire la realtà,
l' Andraud propone di porre ad ogni cal-
daja un parafulmine, servendosi di un filo
metallico guarentito contro l'ossidazione, il
quale faccia l'ufficio di conduttore tra il
fluido elettrico insinuatosi e la terra o l'ac-
qua e scarichi del continuo l'elettricità. Trat-
tandosi di prova poco dispendiosa ed age-
volissima a praticarsi, ci sembra che possa
francamente sperimentarsi, potendone venire
grandissima utilità, e certamente nessun
danno.
E noto che le macchine delle navi a va-
pore sono generalmente a bassa pressione
e ad esse è applicabile la proposta dell'An-
draud, la quale avrà pure altri vantaggi
quando si trovino in mezzo ad un tempo-
rale sopraccarico di elettricità che può ful-
minarle.
— U signor Girard di Parigi inventore
di un apparecchio per l'istantanea estinzione
degli incendi, ritentò con ottimi risultati le
sue esperienze. Ottimo principalmente si
dice questo ingegnoso trovato per spegnere
gl'incendi delle navi. Ancora non sono co-
nosciuti i principii su cui fondasi l'inven-
zione: ma sembra che abbia per base lo
svolgimento istantaneo di un gaz che sof-
fochi la conbustione. Un metodo semplice
che forse può avere qualche analogia con
quello del signor Girard, troviamo così
descritto:
« Per estinguere il fuoco nel fondo d'un
bastimento, non fa mestieri che d'una botte di
calcina ordinaria, che viene collocata nella
sentina facendola comunicare col ponte per
mezzo di un piccolo tubo, e d'una bottiglia
contenente 10 litri di acido solforico. Al
primo grido d'allarme, si versa il contenuto
di questa bottiglia nel tubo per produrre
una quantità di fumo densissimo (nel quale
la fiamma non può svilupparsi) bastante per
estinguere qualunque incendio , per- forte
che sia. La fiamma non può esistere nel
gaz acido-carbonico. »
— 11 giorno 25 del corrente agosto si
1855. 44
1UG
GIORNALE DELL' INGEGNERE
fece a Torino 1' esperienza di una locomo-
tiva inventala dall'ingegnere Pasquale De-
lorenzi, e posta in azione da un filone d'acqua
corrente: è destinata a vincere le più forti
ascese, come pure frena il corso nelle di-
scese; verrebbe così a risolversi una que-
stione delle più importanti che preoccupa
già da lungo tempo molti ingegni.
L'esperimento applicato alla massima come
alla minima inclinazione riusciva perfetta-
mente. Il congegno è tutt'affatto semplice, e
questa circostanza offre fondata lusinga che
riuscir debba eziandio l' applicazione in
gpande.
— In una delle passate riviste abbiamo
accennato del portacorda di salvamento in
caso di naufragio, inventato dal piemontese
Bertinetti. Le esperienze fatte dal governo
col mezzo di una Commissione riuscirono
soddisfacenti. La Commissione diede al Ber-
tinetti un assai favorevole attestato, ed il
ministro sardo della guerra lo indirizzò alla
direzione della marina militare in Genova
affinchè si facessero in sul mare nuovi spe-
rimenti. Ipfatti si fecero due volte verso la
fine dello scorso luglio con grandissima lode
del Bertinetti. 11 piccolo proiettile fu lan-
ciato intorno a quattrocento settanta metri,
ed il proiettile maggiore fu spinto oltre sei-
cento cinquanta metri recando seco la corda
che si svolge regolarmente e facilmente, cosa
assai difficile, sì che trovasi così rimossa
una delle maggiori difficoltà che si oppo-
nevano alla pratica adozione di questo uti-
lissimo trovato. — A proposito de' soccorsi ai
naufraghi giova ricordare un Corpetto di
salvamento ideato del sig. Bertoldi da Vi-
cenza, di cui venne fatto, non è guari, espe-
rimento. Comechè questo corpetto sia la-
vorato assai rozzamente, come suole av-
venire quasi sempre a chi abbozza un primo
concetto, pure adempie ottimamente all'uf-
ficio voluto. Chi lo indossava si gettò ve-
stito nell'acqua a capo in giù tenendo ino-
perose le mani ed i piedi, e si drizzò subito,
restando fuor dell'acqua il capo e le spalle,
e galleggiando senza fatica. In mare deve
ciò riuscire ancora più agevole. Resta ora
che l'inventore perfezioni il suo trovato, in
modo che si possa indossare il suo corpetto
in un batter d'occhio. Il costo ne è minimo,
non grande il volume. Non diciamo per ora
di più per quella necessaria discrezione che
ciascuno può intendere, trattandosi di cosa
in gran parte nuova, e non ancora cono-
sciuta.
Elettricità
Perfezionamento ai telegrafi.
Ornai l'elettricità diviene elemento uni-
versale di tutte le nuove scoperte ed inven-
zioni : ora il galvanismo scioglie i metalli;
ora il fluido percorre gli spazii, regola i
pendoli, si fa tessitore,, dà fuoco alle mine,
salute agli infermi.
Anche i fenomeni naturali fecero pensare
all'elettricità. Le tre lievi scosse di terremoto
che abbiamo sentite sono un fenomeno elet-
trico, o almeno come tale è considerato quasi
universalmente dagli scienziati. I fili del te-
legrafo elettrico, in parecchi luoghi furono
da quelle scosse fatti oscillare così che s'ac-
cavallarono ed intrecciarono fra loro da in-
terrompere per parecchie ore le corrispon-
denze.
Intanto procedono le prove del telajo elet-
trico Bonelli, arricchito di molti migliora-
menti e che figurerà degnamente alla esposi-
zione universale di Parigi. — Fra le più re-
centi applicazioni dell'elettricità va notato
un pianoforte ordinato per modo che segna
elettricamente ciò che vi si suona d'im-
provviso; convertendo così l'elettricità in ste-
nografo musicale.
Il pianoforte è fatto come i soliti, ma vi si
aggiunge un congegno segnatore. Questo
congegno è un cilindro mosso da un mec-
canismo da orologio; parallelamente all'asse
del cilindro vi ha una linea di aghi d' ac-
ciaio eguali al numero dei tasti , e questi
aghi appoggiano la punta sopra una stri-
scia di carta coperta di cianuro di potassio,
la quale avvolta sopra un cilindro si svolge
e si rotola sopra un altro cilindro.
Si mette nella cassa una pila , un polo
della quale è messo in contatto colle lami-
ARCHITETTO
nette delle leve dei tasti. Questi sollevandosi
incontrano le molle metalliche che rispon-
dono all'altro polo, e allora si chiude il cir-
cuito elettrico. Ora per ogni tasto l'ago d'ac-
ciajo relativo ed il cilindro partecipano del
circuito per modo che la corrente elettrica
attraversa la carta e decomponendo il cia-
nuro vi lascia una traccia turchina. Se la
corrente agisce due volte nel tempo stesso
vi lascia due segni di eguale lunghezza ;
altrimenti, i segni saranno ineguali, e queste
differenze indicano il valore delle note, sì
che resta solo a ben determinarle. A ciò si
perviene rigando prima la carta, o sovrap-
ponendo a quei segni una carta rigata e
trasparente,, e quindi si traducono quei se-
gni nei soliti caratteri musicali. Più agevole
ancora, ma più costoso, sarebbe usare aghi
calamitati provveduti di lapis.
Giova peraltro notare che fu altre volte,
ma con mezzi soltanto meccanici , cercata
appunto la cosa stessa, perchè è molto na-
turale che si desiderasse raccogliere le me-
lodie che improvvisamente nascevano, a dir
così, sotto le dita di valenti suonatori. Ora
forse l'elettricità sarà stenografo migliore.
Fra le invenzioni che direttamente ri-
sguardano la elettricità applicata alla telegra-
fia, si presenta quella di un telegrafo, panto-
grafo, autografico o elettro-chimico, annun-
ciato, a quanto pare, contemporaneamente,
ma con diverso metodo dal signor Perez
a Nizza, e dal signor Bonelli a Torino.
3Xon deve recare meraviglia se più d'uno
in questi tempi riesce nella soluzione di
qualche problema. Oggidì sono così rapide
le comunicazioni de' progressi , dell' espe-
rienze e dei desiderii degli scienziati , che
molti intendono nel tempo medesimo alla
cosa stessa , egualmente sussidiali dalle
identiche cognizioni scientifiche, per modo
che l'incontrarsi in un concetto è cosa assai
più facile e naturale che per lo addietro :
di qui le frequenti contese di priorità.
Comechè sia la cosa, noi andiamo lieti
che due Italiani siano riusciti a fare prima
degli stranieri la scoperta del mezzo già
cercato di trasmettere telegraficamente col-
1' elettricità non soltanto il pensiero in ca-
ED AGRONOMO 107
ratteri determinati, ma ancora coi caratteri-
a così dire, personali di chiunque voglia
valersene, cosa che in molte congiunture
fa legale una carta , un documento , una
sottoscrizione. Segnare di proprio pugno
da Torino una cambiale messa nell'ufficio
telegrafico a Parigi, sì che quella sottoscri-
zione sia autentica, ci sembra un bel pro-
gresso. Pertanto aspettiamo con impazienza
le prove dell'annunziata scoperta.
— Abbiamo già parlato altre volte di
perfezionamenti apportati al telegrafo dal
signor Tremescini di Vicenza. Egli è ora in
Torino intento ad altre importantissime in-
venzioni, fra le quali citano i fogli un com-
pressore diverso e più potente dei soliti ,
una macchina per capsule da fucili ecc. Ma i
suoi studi principali sono rivolti sempre alla
telegrafia, incoraggiato dalle ricerche stesse
della Francia , che non ben soddisfatta dal
sistema Morse , instituiva nel giugno 1853
un apposito ufficio a migliorare le condi-
zioni. Anch' egli ha inventato un Telegrafo
elettro-maanelico-scrivenle.
Questo telegrafo assolutamente nuovo, per-
chè il suo sistema di tracciamento a secco
dei punti e linee è combinato su basi to-
talmente diverse da quelle finora conosciute,
e perchè i suoi caratteri ed effetti sono di
un' importanza affatto singolare, racchiude
in sé solo riunite tutte le diverse proprietà
dei due apparati di Morse e di Breguet ,
mentre senza escludere una eminente e ge-
nerale semplicità, presenta altri nuovi re-
quisiti ed una suscettibilità massima a sva-
riate modificazioni per la sua applicazione
a bisogni, usi e combinazioni diverse.
Esso può ricevere indifferentemente e
tracciare sulla carta i dispacci, trasmessi
da qualsivoglia dei due manipolatori di
Morse o di Breguet , e conservare in se
solo pienamente riunite le singole, par-
ticolari e caratteristiche proprietà di cia-
scuno di tutti e due quegli apparati presi
separatamente.
È alto a dar segno permanente (esclu-
dendo così il bisogno della ripetizione del
dispaccio per la sua controlleria) della pre-
senza di errori successi nell'atto di fiasmis-
408
sione , anche se fossero dipendènti dalle
repentine scariche elettro-atmosferiche o
telluriche sulle calamite temporale, o sot-
trazioni di elettricità nei giorni umidi, de-
bolezza di pile , o fenomeno qualunque,
perfino da accidenti puramente meccanici,
avvenuti negli apparati.
Pel tenue bisogno di forza elettrica in
movimento, che si richiede da questo si-
stema in confronto di quello di Morse, le
rispettive batterie locali vanno ridotte cia-
scuna alla metà del proprio attuale effet-
tivo equivalente di coppie.
Né indifferente è il risparmio della spesa
di provvedimento degli apparati stessi, in
confronto a quelli di Morse ecc., perchè il
loro prezzo non ascende che appena a
franchi 200 circa per cadauno.
Colla sola spesa di 50 franchi gli stessi
apparati di Morse esistenti sono suscettibili
pur essi del benefizio di questi miglioramenti.
Non vi ha forse miglior apparato che
più di questo , atteso la sua semplicità e
poca forza necessaria , si presti agli usi
militari di campagna, potendo senza fatica
di studio ridursi facilmente ad occupare il
minimo spazio desiderabile e ad essere reso
portatile, col vantaggio (ed unico in questo)
di poter venire manipolato col quadrante
di Breguet, come quello che meglio è con-
facente a chi non è di professione telegra-
fista, e come quello che non richiede, come
il tasto di Morse , lunghi e nojosi studi di
esercizio o di pratica ad essere appreso.
È inutile ripetere che questi dispacci, spe-
dili anche col manipolatore di Breguet,
restano, come si disse più sopra, pur essi
trascritti sulla carta; vantaggio essenziale,
che riabilita e solleva questo telegrafo al
livello divenuto indispensabile di apparato
scrivente.
Per le trasmissioni segrete è poi annessa
a questo sistema una cifra a chiave mo-
bile , infinitamente variabile e sicurissima ,
da poter essere comodamente estesa e con-
tenuta in un solo mezzo foglio di carta da
lettere, e di una estrema facilità e prestezza,
tanto pel suo tracciamento, che per la sua
esplicazione.
GIORNALE DELL'INGEGNERE
Questo telegrafo è affatto estraneo a quello
della trasmissione segreta per le stazioni
non richiamate e per quelle intermedie, il
quale nel 4 853 (Vedi (timo 4.% pag. 330)
diede replicatamente positive e luminose
prove di riuscita ; ma che per la sua in-
compatibilità coi riguardi e le convenienze
dei governi , non potè finora essere in al-
cun modo attivato.
— In uno dei passali numeri del Monitore
Toscano ci venne dato di leggere che un
nuovo sistema di telegrafia elettrica, inven-
tato dai sig. dott. Alessandro Palagi e padre
don Timoteo Bertelli, bolognese, è stato ne'
giorni 12, 44 e 47 corrente esperimentato
sulla strada ferrata Leopolda, e, a quanto
ci si assicura, con pieno successo.
Vari dispacci furono scambiati sopra un
lungo tratto di linea, presso la stazione di
Firenze, con mirabile precisione. I van-
taggi principali che si attribuiscono a que-
sto sistema sarebbero: somma modicità nel
costo di costruzione; pochissima e quasi
niuna spesa di mantenimento ; inalterabilità
di azione sotto qualunque condizione atmo-
sferica; applicabilità anche a' telegrafi sot-
tomarini, e a'treni in corsa fra loro e colle
stazioni.
E il l'aulica
Vienna, 49 agosto. — Là Gazzella Militare
accenna il nuovo sistema di difesa delle rive
e di regolazione del corso delle acque del-
l'I. B. capitano sig. G. M. Guggenberger, che
si appoggia ad una regolazione in forma di
tagli, e che presenta come principali risultati
un pieno sedamento dell'acqua dalla parte
della riva offesa, un corso decisamente spie-
gato dell'acqua verso il nuovo più vantag-
gioso braccio di torrente, senza buglioni,
vortici e giri dell'acqua a ritroso, ed offre
la possibilità di fare ricostruire dall'acqua
slessa anche nelle più estese dimensioni con
uno straordinario risparmio di spesa le
sponde danneggiate. Il suaccennato foglio
dice quanto segue sui risultati di questo
sistema.
ARCHITETTO
Avemmo tostò L'occasione di leggere una
lettera di un militare competente eolla quale
si comprova già nel primo caso di applica-
zione nei dintorni di Vienna la piena retti-
tudine di questo nuovo sistema di costru-
zione idraulica.
A Mauerbach, dietro l'orto botanico del-
l'I. K. Stabilimento d'istruzione forestale in
Marienbrunn, ove trovatisi in due luoghi due
notevolissime rotture della sponda, fu ado-
perato il nuovo sistema con una spesa pro-
porzionalmente assai tenue, ed il tempo pio-
voso sopravvenuto il 12 corrente « mise ad
effetto » il desiderio del signor relatore, pro-
ducendo nel breve intervallo di quattro ore
due escrescenze del ruscello di Mauerbach,
le quali, quantunque di poca rilevanza, fe-
cero però vedere l'eccellenza dell'apparato
di Guggenberger e la verità della sua effica-
cia. L'acqua attraversò il grande banco di
ghiaja, il nuovo corso della corrente si volse
appunto in quella direzione che noi vole-
vamo. Al fondo della rottura procedeva a
vista il nuovo deposito di terra, che si alzò
fino a tre piedi, la rottura si sarebbe chiusa
affatto se l'acqua non si fosse abbassata cosi
presto. Sperasi che nell'anno venturo si ef-
fettuerà l'otturamento totale di questa rot-
tura. L'esecuzione secondo questo nuovo
sistema mostrò un rilevantissimo risparmio.
Nel metodo ordinario continua la relazione,
il terreno portalo via dall'acqua è irrepara-
bilmente perduto,, mentre secondo il nuovo
sistema, dev'essere dall'acqua a poco a poco
restituit03guadagnoche merita pure d'essere
posto a calcolo. Noi eravamo già dal bel
principio propensi alla nuova idea, e lo
siamo ora vieppiù, dopo tali esperimenti, e
possiamo desiderare col signor relatore, che
siano molti coloro che vedano aperto, negli
sforzi del perseverante inventore diretti al
bene universale, un vasto campo di utile
attività.
Agronomia
— Si parla d'una pianta nuova da zuc-
chero trovata nel nord della China, un solo
ramo della quale (secondo il rapporto fatto
ED AGRONOMO .|Q9
in Francia alla Società Centrale di agri-
coltura) darebbe 150 granirne di sugo. Bianco
e trasparente non sembra contenere tante
materie estranee, quante ne ha la barbabie-
tola, e frutterebbe almeno il doppio.
— Leggesi nei fogli francesi, che alla
Nuova Orleans si è stabilita un'officina per
estrarre l'olio dal seme del cotone. Si dice
che quest'olio è gradevole al gusto, e che
possiede tutte le qualità dell' olio d' oliva.
Soprattutto pare che il suo impiego sarebbe
eccellente per le macchine, poiché ha la
proprietà di non disseccarsi e di mantenersi
sempre scorrevole.
— Si è fatta recentemente la scoperta
che le foglie del grano turco, finora ado-
perate per foraggio degli animali, si possono
impiegare a fabbricarne acquavite. Presen-
temente se ne fanno con buon successo
esperimenti in una fabbrica d' acquavite a
Vienna.
— I signori Schlossberger e Kemp fecero
l'analisi di molte sostanze vegetabili ed ani-
mali per detenni. ìare il rispettivo valore
nutritivo, dedotto, se non esclusivamente,
però in massima, dall'azoto contenuto in
esse. Assunsero per sostanza di confronto il
latte di donna, il valore nutritivo del quale
rappresentarono con 100.
Sostanze
vegetali animali
Riso . 8J
Patate 84
Latte umano . . . 100
Navoni j06
Segale i06
Maia ............ 125
Orzo 125
Avena 138
Pane bianco 142
Frumento 119 a 144
Carote .. igo
Pane scuro jgg
Latte di vacca . . . 237
Piselli 239
Lenti 276
no
Sostanze
vegetali animali
Fagiuoli 283
Funghi 201 a 289
Rosso d'uovo
Anguilla bollita .
Formaggi . . .
Preseiulto crudo
Salamoile bollito
Piccione bollito
Prescintto bollito
Montone bollito
"Vitello bollito .
Manzo bollito
Varietà
Progetti; Costruzioni; nuove scomposizioni
chimiche, Archeologia, ecc.
Un progetto gigantesco è stato conce-
pito da un industriale inglese, il cui nome
•va congiunto alla costruzione del palazzo
di cristallo ed a molte altre considerevoli
imprese. Sir G. Paxton, in un progetto che
ebbe tutta l'approvazione del principe Al-
berto, propone di circondare Londra con
una strada di cintura di circa 40 leghe di
circuito, in modo da collegare fra loro tutte
le strade di ferro della capitale e da faci-
litare il trasporlo delle mercanzie dall'una
all' altra strada.
Questa nuova strada correrebbe in mezzo
ad una galleria, con arcate di vetro, larga
72 piedi, alta 180^ fornita di botteghe e di
case da appigionarsi su tutta la sua lun-
ghezza. Questa galleria avrebbe tre punti
sul Tamigi, a Queenhite, nello Strand ed a
Westminster e passerebbe, come quella di
ferro, al disopra di Kensington-Garden.
Fra i molti vantaggi enumerati nel pro-
getto, le cui basi economiche sono fissate
con tutta precisione , si accenna anche che
avrebbero tutte le persone del debole petto
di'passar l'inverno in una atmosfera tie-
pida, affittando appartamenti in questa gal-
GIORNALE DELL'INGEGNERE
leria e senz'esser obbligate ad espatriarsi,
per andare a Napoli, Malta o Madera.
— L' ingegnere Stephenson , il celebre
autore del ponte-tubo , sta ora costruendo
il più gran ponte di ferro , che esista al
mondo , in Montreal per la strada ferrata
Vittoria. Questo ponte gigantesco è lungo
10,284 piedi ed è basato su 24 pigne. L' arco
di mezzo ha una tesa di 330 piedi, gli altri
di 220. Questo ponte che costa 250 mila
sterlini annui verrà ultimato nel 4860, ed
è sì alto che i più grossi legni possono ve-
leggiare liberamente sotto di esso.
— Il Builder, giornale inglese di archi-
tettura, dà i seguenti ragguagli sopra il
grande orologio della camera del Parla-
mento, costrutto dal sig. F. Dent a Londra,
il quale doveva esser messo a posto nello
scorso febbrajo, se la torre che deve rice-
verlo fosse stata pronta.
Il quadrante ha 22 piedi di diametro e
sarà il più vasto che esista nel mondo con
una sfera dei minuti: la punta di questa
sfera dovrà, ad ogni mezzo minuto, percor-
rere uno spazio di sette pollici. Il movi-
. . 305
. . 428
331 a 447
. . 539
. . 7.10
. . 755
. . 807
. . 852
. . 911
. . 942
mento dell'orologio durerà di otto in otto
giorni; quello della campana non durerà
che 7 giorni e mezzo per volta, in maniera
che il silenzio di questa ultima mezza gior-
nata potrà avvertire, se faccia d'uopo, del -
bisogno di ricaricare il meccanismo. Ci vor-
ranno presso a poco due ore per involtare
solamente le corde dei tamburi della cam-
pana. Il pendolo ha quindici piedi di lun-
ghezza , e le ruote sono di ferro fuso. La
campana delle ore ha 8 piedi di altezza
e 9 di diametro; il solo martello pesa quat-
tro quintali. La più grande delle campane
che suonerà i quarti , ha le stesse dimen-
sioni della grande campana di S. Paolo che
pesa 5 tonnellate e mezzo. Tutte le cam-
pane dell'orologio insieme occupano uno
spazio 8 volte maggiore di quello delle cam-
pane d'una grande cattedrale.
— Sembra essersi fatta recentemente una
scoperta destinata a modificare singolar-
mente le idee antiche che regnano sulla na-
tura dei corpi semplici.
11 signor Augusto Houzeau, capo dei la-
ARCHITETTO
vori chimici del luboratorio del signor Bous-
singault , ha fatto presentare recentemente
all'Accademia delle scienze dal suo illustre
maestro un considerevole lavoro. Egli vi
pretende dimostrare che Y ossigeno che co-
stituisce l' aria atmosferica e che può aversi
nello stato puro calcinando alcuni ossidi
metallici, non è in realtà che un derivato
di un altro principio dotato di una possanza
di combinazione incognita fin oggi. Questo
novello agente, che il signor Houzeau è
giunto a porre in libertà, e eh' egli chiama
ossigene nascente, è un gas assai odorifero
e pericoloso a respirare : esso distrugge le
materie coloranti a modo del cloro, abbrucia
spontaneamente l'alcali volatile trasforman-
dolo in nitrato d'ammoniaca, e decompone
anche l'acido cloridrico; in una parola, esso
è fornito di proprietà notevolissime.
Questo principio straordinario sarebbe
sparso universalmente nella natura, esso
entrerebbe nella composizione dell'acqua
che scorre sulla superficie della terra e nella
formazione delle rocce che costituiscono la
corteccia del globo.
Se questa scoperta, dovuta al talento ed
alla perseveranza del giovane scienziato ,
viene stimata dall'Accademia così impor-
tante come sembra esserlo, essa avrà gran-
dissima influenza sui lavori della chimica.
— bell'opificio provvisorio dei sigg. Carlo
Waat e Hugh Bourgess avranno luogo fra
pochi giorni, in ampie proporzioni, gli espe-
rimenti definitivi per la fabbricazione della
carta mediante il legno. Gli esperimenti fatti
sinora da questi industriali che possedevano
da due anni un brevetto per questa loro
scoperta, hanno provato , a quanto pare ,
che la macerazione del legno, nelle condi-
zioni chimiche richieste , offrirà una grande
economia sui mezzi di fabbricazione ordi-
naria. Un ramo tagliato la mattina nella
foresta potrà, dicesi, mercè questo nuovo
metodo , essere convertito in giornale la
sera. Vuoisi sperare che quest' importante
scoperta corrisponderà al programma de'
suoi autori.
— Sono ormai compiuti i lavori di pre-
cinzione al Panteon di Agrippa da quella
ED AGRONOMO IH
parte onde fu rimosso l'involucro di case
e botteghe costruite nell'evo medio intorno
al magnifico monumento. Anche in Bene-
vento, a proposta dell'egregio preside, mon-
signor Gasparoli, e coi fondi del Ministero
del Commercio e Belle Arti, furono demo-
lite le murazioni che infardavano il nobi-
lissimo Arco di Trajano, a modo che questo
monumento è stato restituito al primitivo
aspetto e splendore, in pristinam faciem
splencloretnque ( come si legge nella iscri-
zione di Quadraziano prefetto di Boma nel
secolo iv, che ripristinò le Terme di Costan-
tino) ; e così spoglio d'ogni ingombro e in-
viluppo si presenta nel vero lume e nella
forma propria di sua struttura.
— Fra le strade ferrate ultimamente aperte
al pubblico citasi un tronco di 90 chilometri
fra Mons e Lavai della ferrovia dell'Ovest
in Francia; ed il tronco della ferrovia fran-
co-bavarese fra Strasborgo ed Haguenau
di 32 chilometri. —
Una strada carreggiabile dalla città d'Ao-
sta alla Svizzera, che attraverserà con una
galleria il colle di Menoure, sarà compiuta
in cinque anni.
La ferrovia fra Vercelli e Valenza attra-
verserà il Po con un punto di vivo.
La ferrovia lombardo-veneta sembra avere
abbandonato l'antico progetto di passare
per Monza, Bergamo, con una linea diffì-
cile e costosa: da Treviglio farà capo diret-
tamente a Coccaglio. La Gazzetta di Trie-
ste assume essere volere sovrano che la
strada sia compiuta entro sette mesi.
S'introducono in Austria scuole festive
pei lavoranti nelle officine delle ferrovie, in
cui s'insegneranno l'aritmetica, gli elementi
dell'algebra e della meccanica.
— Fra le diverse manifatture di ferro che
fanno di sé mostra nell'Esposizione di Pa-
rigi cattivano l'attenzione degli intelligenti
gli oggetti di ferro battuto e di acciajo fuso
delle case riunite de'fratelli Jackson, Patin,
Guadet e C, di Bive de Gier.
Sono già parecchi anni che le medesime
fabbricano cerchj di ruote senza saldatura
per uso delle strade ferrate; ma prima d'ora
si limitavano per le carrozze ed i carri: fi-
412
GIORNALE DELL INGEGNERE
metro., rigonfiato in diverse parli e ad un'e-
stremità, un'asta da stantuffo di 4U40 chil.
lunga 4 metri e di 0m 47 di diametro pure
a ingrossamenti, sale di vagoni, alberi, ci-
lindri, mole di carrozze, ecc.
Dal Genie indnstriel.
— 1127 giugno p. p. cessò di vivere l'I. R.
professore di fisica presso 1' Università di
Praga, Dott. Francesco Petrina, in seguito
a paralisi polmonare. Le sue scoperte in
materia d'elettricità e di magnetismo, come
pure di telegrafia gli assicurano un posto
onorevole negli annali della scienza, a cui
egli si dedicò indefessamente fino agli ultimi
giorni della sua vita.
Bel trailo di generosità di un Artista.
Nel mentre siamo per chiudere questo
numero del giornale ne viene comniunicato,
che il bravo scultore signor Ignazio 3Iicotti
aveva ultimata una bellissima statuetta rap-
presentante l'effigie dell'architetto Alessan-
dro Sidoli, e che ne faceva un regalo alia
povera famiglia del defunto, affinchè se ne
facesse la forma per trarne da questa copie
in scagliuola, le quali fossero vendute a be-
neficio della medesima. La vedova del Si-
doli accettava tale generosa offerta con
segno della massima riconoscenza, e quindi
veniva deliberato di pubblicarla. Avvisiamo
gli amici ed ammiratori del Sidoli che tale
statuetta appunto sarà vendibile a giorni
dalla famiglia al prezzo di aust. L. 0 ca-
dauna.
La Commissione di beneficenza della sven-
turata famiglia fa pubblici ringraziamenti
all'ottimo autore.
Al sia. Maestro Comacino
Pervenutoci tardi l'articolo vostro — sul-
l'insegnamento dell'architettura — non potè
aver luogo in questo fascicolo: ma verrà
i', lungo 8 metri sopra 0ni 23 di dia- j publicato in quello del mese venturo.
nalmente ne formano anche per le ruote
motrici delle locomotive. Esposero nella Gal-
leria delle macchine un cerchio ad orli del
diametro di 4 metri, e per indicare che era
così uscito dal laminatojo, gli lasciarono il
fossile orlicchio che si forma in esso sulla
faccia opposta al labbro. Altri eerchj hanno
minor dimensione; ed alcuni schiacciati fino
a toccarsi i punti diametralmente opposti,
non presentano né scheggiature ne screpo-
lature, per cui provasi la buona qualità del
ferro ed il perfetto lavoro tanto al maglio
quanto al laminatojo.
Non meno notevole fra i molti pezzi che
si riferiscono al meccanismo navale e d'of-
ficina, all'artiglieria, ecc., è una sala per
ruote da vagoni, la quale fu curvata a freddo
ed è perfettamente sana:
Fra gli oggetti d'acciajo fuso, si rimarca
una bella caldaja cilindrica lunga 5 metri
e del diametro di un metro. Essa è formata
di lamine grosse 6 millimetri, ed è speri-
mentata alla pressione di 48 atmosfere.
E quest'idea di costruire caldaje d'acciajo
fuso sembra del tutto nuova. Non solo ha
un peso assai minore a pari capacità e su-
perficie vaporizzante a quello delle caldaje
di lamiera di ferro, ma offre ben anche
maggior resistenza tuttoché le pareti siano
più sottili. È poi di più breve lavoro, onde
costa meno per la mano d'opera, e per mo-
strare quanto sia altresì facile a lavorare
l'acciajo fuso, sostituirono alla solita forma
del coperchio del buco d'uomo quella di
cappello da marinajo ad ale rilevate.
Altri pezzi confermano sempre più la fles-
sibilità di questo metallo, e la sua applica-
bilità alle armi è rappresentata da corazze.
Una di queste, dello spessore, di 3 millime-
tri, ricevette parecchie scariche a palla in
distanza minore di trenta passi senza es-
sere traforata.
Inoltre la stessa Casa espose un cerchio
in acciajo fuso del diametro di 4m40, un
albero per elice del peso di 4818 ohilo-
gramm
Tip. D. SALVI eC.
R. SM.U1NI Editore responsabile.
MEMORIE ORIGINALI.
Memori;! teorico-pratica sulla col-
tura del Riso.
1. Fisionomia Vegetale.
Il riso è una pianta della famiglia delle
gramignacee (Oryzza sativa), costituente
da sola un genere; ha per caratteri spe-
ciali una gluma senza resta a punta acuta
ed a due valve quasi eguali, racchiudenti
un fiore; un calice a due valve ineguali,
scavate a forma di battello, esteriormente
scanalate e sormontate d'una resta, sei
stami; un ovajo turbinato, munito alla sua
base di due scaglie opposte e sostenenti
due stili a stima piumoso; una semente
oblunga e scanalata da amendue le parti
da due righe, l'una bianca e l'altra rossa
racchiusa nel calice.
I suoi steli tubolosi sono forniti di
foglie grasse simili a quelle dei porri.
La spica da principio si assomiglia a quella
dell'orzo; ma si allarga di poi in un gran
fiocco: i fiori sono rossicci. Questa pianta
è compresa fra i così detti cereali ed ap -
partiene alla Sesia Classe, ordine secondo
del sistema Linneano (Hexandrya digynia).
I fiori sono a pannocchia, la pianta è
erbacea fino alla maturanza.
Due sono le varietà:
II nostrale o acquajuolo.
Il secco o Bertone, o della Puglia.
Il primo è acquatico; il secondo si ir-
riga potendo, ma del resto non richiede
altra umidità che quella che gli viene som-
ministrata di tempo in tempo dalia pio<™ia;
seminandolo in terreno adacquatolo, e
coltivandolo col metodo del nostrale, diventa
simile a quest'ultimo.
Il riso nostrale od acquatico è restato;
quello secco non lo è.
Questa pianta quasi acquatica, che sem-
Vol. 111. Settembi
bra originaria dalla China, è una delle più
ricche produzioni dell'Egitto; prospera a
mezzodì delle quattro parti del Mondo;
occupa il primo rango nelle regioni della
terra in cui si coltiva, tiene luogo di pane
e nutrisce più uomini di quello che non
ne nutriscano il formento e la segale.
Ho detto che il riso sembra originario
dalla China, ma lo vogliono anche origi-
nario di varie altre contrade delle Indie
Orientali. Solo che non è ben nota 1' e-
poca nella quale fu introdotto in Europa.
Egli è però probabile che nel nostro paese
non siasi introdotto prima del XVI secolo,
e per notizie date dal signor Betti Ve-
ronese lo si direbbe introdotto da certo
Teodoro Triulzi patrizio milanese gover-
natore delle Armi Venete.
È coltivato nell'India, nella China, nel-
l'Egitto, in Africa, in America, e special-
mente nell'Italia Settentrionale. Nella Chi-
na si semina su certa specie di isole gal-
leggianti formate con canne di bambò ca-
riche di sufficiente quantità di terra per
favorirne la vegetazione, e perchè le radici
delie piante rimangano continuamente in
contatto coli1 acqua corrente.
2. Proprietà fisico-chimiche del Riso.
Il riso raccolto al suo vero stato di ma-
turanza ed in tempo bene asciutto, può
conservarsi lungo tempo senza mai sof-
frire alterazione. Egli ha il vantaggio, rap-
porto agli altri cereali, di poter affrontare
lunghissimi viaggi, purché nella durata di
essi sia garantito dall' umidità e dalla vo-
racità degli animali.
Qualche autore pretese che questo grano
racchiudesse nel suo piccolo volume molte
sostanze nutritive, e che in causa della
e J855. d5
114 GIORNALE DEI
facilità del suo trasporlo e conservazione
fosse fra tulli i farinacci il più degno
delle cure e degli omaggi dell'agricoltura.
Qualche altro autore, invece, non mcuo
esageratamente scrivendo , ma in senso
opposto, negò tutti i vantaggi attribuitigli,
dicendo, che egli deve la sua proprietà
alimentare alle sostanze che gli si mesco-
lano nel farlo cuocere per prepararlo come
commestibile; aggiungendo inoltre che in
luogo di saziare la fame altro non fa che
stuzzicare P appetito.
Tali opinioni diametralmente opposte
diedero luogo all' analisi di questo grami-
gnaceo, dalla quale risultò che sotto la ma-
cina si riduce nella sua totalità ad una
farina simile all' amido di frumento per
la sua bianchezza soltanto; sul fuoco scop-
pietta e si infiamma pure come l'amido
suddetto, lasciando per residuo un piccolo
carbone. Sciolta nell'acqua fredda la farina
di riso si precipita al fondo in un dato
tempo , non disciogliendosi che quando
l'acqua sia riscaldata al grado di ebolli-
zione, ed allora forma una gelatina meno
trasparente di quella dell'amido surripetuto.
La farina di riso impastata con acqua
e per un dato tempo maneggiata non of-
fre i medesimi risultati di quella di fru-
mento. Essa indurisce facilmente ed in
modo tale da poter essere modellata come
il gesso.
Decomponendo il grano di riso colla
distillazione a fuoco nudo non offre molte
sostanze oleose, saline ed alcooliche come
il frumento; dal che è provato ad evi-
denza che questo grano preso nelle stesse
circostanze e volume del frumento rac-
chiude una minor quantità di materia
nutritiva.
L'impossibilità di separare dalla farina
di riso un solo atomo di glutine eguale
a quello di frumento spiega gli inutili ten-
tativi fatti fin qui per farne del pane. Ed
in fatti mescolata in natura o cotta in di-
verse proporzioni colla farina di frumento
dà un pane compatto , scipito , indigesto
e subito indurito. Ond'è che chi pretese
il contrario dimostrò di non conoscere la
teoria della panificazione. Imperciocché in
tutti i paesi in cui l' uso del pane è sco-
nosciuto , ed in cui il riso ne tiene luogo,
si è costretti a rammollirlo sottoponendolo
l' ingegnere
continuamente all'azione del vapore del-
l'acqua bollente onde poterlo mangiare.
Tutti questi falli e molti altri cui è su-
perfluo il ricordare fanno conchiudere che
sebbene il riso non sia atto a far pane,
egli racchiude però il principio alimentare
per eccellenza, che è l'amido, il quale
combinato nello stato di soluzione con una
sostanza mucillaginosa e tosto disseccata
al momento della maturanza per l'azione
del sole forma un grano duro , fragile e
trasparente. Per cui ponendo il riso tra
l'amido e la gomma sarebb'esso collocato
nella sua vera classe; giacché partecipa
delle proprietà comuni a queste due so-
stanze, e non ne è distinto che per una
leggiera gradazione.
Il riso va soggetto alla rapina degli uccelli,
dei sorci, degli insetti. Grandi sono gli acci-
denti e le maìallic che lo affliggono: una so-
vrabbondanza di sugo lo irrugginisce: un
colpo di vento fa curvare il suo stelo:
la pioggia accompagnata da procella nel
tempo della sua fioritura discioglie e tra-
scina le polveri fecondatrici: la gragnuola
ruina la pannocchia; le piante parassite
lo affievoliscono; per cui la speranza del
coltivatore è spesso alla fine delusa.
3. Qualità. Posizione e disposizione
del terreno.
Il riso è una pianta alla cui vegetazione
non si richiedono molti principii alimen-
tari. Un terreno qualunque siliceo , cal-
careo od alluminoso, purché possieda una
certa quantità di questi principii alimentari,
può favorirne la vegetazione e fargli acqui-
stare una perfetta maturanza. Le allumi-
nose però e le marnose sono le più pro-
prie per questa coltura.
Anche i terreni silicei danno un buon
prodotto semprechè gli strati inferiori non
lascino sfuggire i principi di vegetazione
disciolti dall'acqua, che è il suo principal
nutrimento. I terreni silicei però coll'andar
degli anni abbisognano di abbondante con-
cime, altrimenti cresce rado e senza vigore
e dà pochissimo prodotto.
Le terre alluminose destinate a risaja
bisogna tenerle asciutte quando non v'è
seminato il riso, onde il soggiorno del-
l'acqua non le raffreddi soverchiamente.
ARCHITETTO
Anello i terreni fangosi e paludosi che
non si possono lavorare che a zappa, per-
che non sostengono i buoi , convengono
alla coltura del riso.
L'esperienza ha provato che qualunque
terreno di mediocre fertilità diventa ulcer-
osissimo, coltivandolo per qualche anni
a risaja.
È necessario che la risaja sia ben li-
vellata con qualche leggier pendio onde
possa facilmente soprascorrervi l'acqua, e
facilmente possa esservi fermata senza che
faccia impeto contro l'argine opposto: ond'è
die tale pendio non oltrepasserà un mil-
limetro per metro, ossia un millesimo di
tutta la lunghezza.
È pure di incontrastabile necessità che
la risaja sia esposta al sole, o quanto meno
possa godere quello di levante e mezzo-
giorno, e che sia rasa di piante, di qua-
lunque sorta esse siano, pel motivo che
oltre al produrre ombra, servono di nido
agli uccelli, i quali sono di grave danno
specialmente nel tempo del seminerio.
4. Acque.
Le acque di fiume sono senz'alcun dub-
bio preferibili alle sorgive e più ancora
a quelle di palude o stagno. Se però non
si avessero ad utilizzare, per questa col-
tura che acque sorgive, si potrà correg-
gerne la crudezza e mancanza di elementi
alimentari col farle passare entro un fosso
fatto all'uopo, di cui si coprirà l'alveo di
melma di fiume mista a letame cavallino
in tale quantità che sopra dieci metri qua-
drati superficiali dell'alveo del fosso so-
praindicato venga sparso un metro cubico
di letame. Si dovrà poi aver cura, ogni-
qualvolta si avesse a rinnovare l'adacqua-
mento, di smovere con forche o forchetti
simile mistura , sollevandola più che sia
possibile, onde la passante acqua possa,
diluendo ed asportando tale mistura, ap-
propriarsi, se non in tutto, almeno in buona
porzione quei primi elementi di ingrasso
tanto nccessarj alla vegetazione di qua-
lunque pianta, e che a tale acqua per na-
tura ed origine sono mancanti.
Egli è però certo che con tutto quanto
fu prescritto, l'acqua sorgiva non arri-
verà mai alla bontà e potenza di quella
ED AGRONOMO 115
di fiume, e che il riso raccolto da simile
risaja non sarà mai, malgrado le più inde-
fesse cure, di quel valore e gusto comune
ai risi adacquati da fiumi, ma conserverà
sempre una porzione di quell'originaria
crudezza impartitagli dalla qualità speciale
dell'acqua.
li. Coltura ed apparecchio della risaja.
L'aratro per la risaja è comunemente
eguale a quello delle altre colture ; esso
però dovrebbe essere più pesante e più
alto nella parte superiore dell'orecchia,
onde più facilmente possa essere svolta la
zolla di terra, con una base pure più larga
allo scopo di poter formare un solco più
largo in cui cade la terra di mano in mano
che si fanno le ajuole.
Le ajuole poi non comprenderanno più
di trenta solchi, né mono di venticinque,
ondo possano farsi piano e non colme nel
mezzo.
Il solco si fa profondo non mono di
dodici centimetri, ossia quattro o cinque
pollici.
La risaja vuol essere lavorata assai ;
imperciocché più la terra è smossa e tra-
voltata più ne favorisce la vegetazione.
Prima del 1825 le risaje si dividevano
in risaje slabili o vallive, e risaje a vicenda, e
credevasi che le prime fossero di maggior
pregio che le seconde ; ma essendo stato
introdotto in quell'epoca circa nelle Pro-
vincie Lombardo-Venete il riso della Pu-
glia (dotto anche bertone o riso secco), si
provò coltivarlo a modo del nostrale ; e
siccome diede buono ed abbondante rac-
colto solo pel primo anno , ne avvenne
che dopo qualche prova riseminarono il
nostrale , il quale pure vegetò vigorosa-
mente dopo la coltura del suddetto riso.
Ond'è che d'allora in poi gli attenti e
studiosi agricoltori abolirono le risaje sta-
bili , e cominciarono ad introdurre una
ruota agraria anche per le risaje in ge-
nerale, non escluse quelle di terreno sor-
tumoso e paludoso, le quali pel progresso
della scienza agricola, vennero, col mezzo
di fossi colatori, praticati a poca distanza
fra loro, ridotte a miglior stato.
Tale ruota agraria consisto nel semi-
nare nel primo anno il riso della Puglia,
seguito
14G
nel secondo il riso francone o novarese (spe-
cie di riso nostrale di più bell'aspetto, di
più grossa, ma che rende meno in
e che si adatta propriamente pel
detto tempo di ruota), e nel terzo poi il
nostrale, col quale si continua fino a che
il terreno è stanco; allora si semina il fru-
mento cosi detto di risaja; l'anno seguente
la si riduce a prato, nella qual coltura lo
si mantiene per quattro, cinque ed anche
sei anni, a seconda della qualità del terreno.
Per questa generale rivoluzione avve-
nuta nella coltura del riso, essendosi ri-
dotte a vicenda quasi tutte le risaje, ne
consegui la loro classificazione in nuove e
vecchie, ritenute per nuove quelle che non
contano ancora tre anni di coltura, e per
vecchie quelle aventi tre e più anni.
La risaja nuova si coltura rompendo il
suolo alla maggiore profondità possibile.
La risaja vecchia si coltura arando il
suolo e rompendo quelle arginelle che im-
pediscono, ossia si oppongono alle solca-
ture della nuova aratura, lasciando però
quelle che sono nel senso dell'aratura
stessa.
Distinguonsi da ciò due sorla di argini:
gli stabili o perenni, che sono quelli fatti
a seconda dei solchi d'aratura, detti anche
longitudinali; e gli annuali, che sono quelli
opposti, detti anche trasversali. Questi ul-
timi sono sempre di larghezza ed altezza
minore dei primi. I buoni agricoltori li
tagliano ogni anno coli' aratro e li fanno
di nuovo. Taluni per economia di mano
d'opera conservano questi argini trasver-
sali, ma è una pratica biasimevole, pel
motivo che in contiguità all'argine, la terra
non può essere ben fessa, ne si può quindi
mettere a profitto la terra dell'argine che
ha riposato un anno, facendo quest'argine
in altro luogo poco discosto, anzi imme-
diatamente dopo l'antecedente posizione;
il che non cambia certamente la condi-
zione fisica della risaja.
Gli argini trasversali od annuali non
devono essere troppo numerosi, a meno
che siavi mancanza d'acqua, perchè in tal
caso una quantità maggiore di argini serve
a facilmente adacquare e mantenere l'acqua
al livello necessario, sendochè ciò riesce
più facile nei campi ristretti, che non in
una vasta spianata. Che se non fosse tale
GIORNALE DELL'INGEGNERE
necessità, ò
ì meglio at-
cvidente che
tenersi alla prima regola, poiché oltre al
sottrarre troppo terreno alla coltivazione,
aumentansi di troppo anche le spese di
manutenzione dei medesimi argini. Non
perciò si terranno troppo vaste le risaje,
giacche oltre la maggior copia d'acqua che
si richiede per la irrigazione, v'è anche
a temere che quando c'è vento, venendo
l'acqua agitata come in un lago può per
l'ondulazione essere divelto il riso e tra-
sportato a mucchi in un angolo della risaja.
Essendo gli argini un ^terreno sacrifi-
cato, morto, o che somministra solamente
erbe selvatiche, fu da alcuni proposto di
seminarvi la robbia dei tintori , pianta di
grande uso pervenutaci da esteri paesi,
oppure di piantarvi dei pomi di terra:
tutte cose che dietro esperimenti risulta-
rono di un ragguardevole prodotto.'
La risaja vecchia si lavora , ovvero si
ara tre volte, una volta dopo il raccolto
e due in primavera, approfondando l' ara-
tro più che è possibile, perchè così si
muove la terra sottoposta alla superficiale,
che stanca d'aver fornito alimento, sotto-
voltandola si riposa e provvede nuovi sali
per rendersi maggiormente atta a produrre
di nuovo.
Dopo arato il terreno e costrutti gli
argini trasversali, non che ripassati i lon-
gitudinali, si deve spianare il terreno bat-
tendolo colla piatta banda del badile, o
della zappa, otturando tutti i buchi ben-
ché piccoli, non lasciandovi eminenze, o
depressioni di suolo.
A facilitare tale operazione, subito dopo
arata la terra, e fatti gli argini, si darà
l'acqua per un giorno o per una notte,
perchè poi levata lasci il terreno fangoso,
e quindi più facile ad essere eguagliato;
oltredichè nell'eguagliarlo, la terra muo-
vendosi dà origine ad una poltiglia che è
molto utile per coprire le sementi e pre-
servarle cosi dalle ingiurie degli uccelli ,
come pure per favorirne e sollecitarne la
sboccialura.
Quei terreni sortumosi che non si pos-
sono lavorare coli' aratro, perchè non so-
stengono i buoi, si possano pure coltivare
a risaja lavorandoli colla zappa, e facen-
dovi i coli profondi ed in poca distanza
l'uno dall'altro, i quali benché non abbiano
ARCHITETTO
talvolta il necessario declivo, apportano non
di mono gran giovamento alla qualità del
terreno ed alle singole vezzo o prosati.
I coli devono distare l'uno dall'altro la
larghezza di una vezza , ossia tre metri
circa, peccando piuttosto in meno che in
più, poiché i prosati essendo tutti composti
di terreno putrido, godono del sollievo che
loro reca il colare dell'acqua tra una vezza
e l'altra, lasciando cos'i il terreno più con-
sistente e più atto alla produzione del riso;
avvegnaché i terreni paludosi non possono
meglio essere utilizzati che col ridurli a
risaja.
Il terreno deve essere hen letamato. Se
la terra è leggiera, bisogna concimarla con
letame caldo, ossia cavallino; se al con-
trario essa è forte ed asciutta, la si con-
cimerà con letame umido come quello di
vacca.
JLJltima operazione da farsi ad una risaja
dopoché sia stata profondamente arata e
generosamente concimata con letame conve-
niente alla natura del suolo si è di dividerla
in quadrati o figure quasi simili , circon-
dando ciascuna figura di piccoli argini di
terra alti Om 40, e dello spessore di Ora 65",
in modo che vi possa passare e ripassare
sopra un uomo. Ognuno di questi quadrati
oscompartimenti deve essere livellato come
già si disse, in modo però che l'acqua vi
possa facilmente scorrere ed essere fer-
mata e trattenervisi come in uno stagno
senza travasare, né essere obbligata a far
violenza contro gli arginelli ; dal che ne è
di conseguenza che dovrà avere la insen-
sibile inclinazione o pendenza di un mil-
limetro per metro lineare della sua lun-
ghezza e nel senso della corrente dell'acqua
che vi viene immessa, come più sopra si
disse.
Quanto fu fin qui detto circa la coltura
ed apparecchio di una risaja vale in gene-
rale tanto per la vecchia che per la nuova,
intendendosi per risaja vecchia quel ter-
reno sempre seminalo a riso, o almeno
avente l'età di tre anni in tal coltura. Egli
è però di grande necessità, che qualora
l'agricoltura riduca a risaja un terreno,
faccia distinzione del tempo in cui vi si
possa introdurre la coltura a riso.
Se il terreno è magro, arido, ossia zer-
bido, si può anche seminarlo nel primo
ED AGRONOMO \\1
anno, che certamente e senza alcun pe-
ricolo darà un buon raccolto. Se per lo
contrario il campo fosse un prato vecchio
od un terreno qualunque assai fertile, è
mestieri introdurvi un'altra coltivazione
pel primo e secondo anno almeno, onde
diminuirne la fertilità; avvegnaché l'espe-
rienza dimostrò che in questi terreni il
riso cresce troppo vigorosamente senza po-
ter arrivare allo stato di maturanza, per-
chè diventa rugginoso, ossia, come dicono
i nostri contadini, contrae il brusone.
Eguale inconveniente succede nelle val-
lette in cui l'acqua deposita maggior quan-
tità di ingrasso. L'unico preventivo rimedio
adunque a togliere, ossia ad ammorzare
questa esuberante fertilità, si è di semi-
narlo prima a lino, facendovi succedere
nello stesso anno il miglio, perchè questi
prodotti sono riconosciuti i più atti ad
assorbire la sovrabbondanza di elementi
vegetali.
Il risone raccolto da una risaja vecchia,
messo sotto la pila rende il quaranta per
cento e più, mentre quello delle risaje
nuove dà appena il venticinque. Tale sen-
sibile minoranza di prodotto dipende dal-
l'avere il riso delle risaje nuove la scorza
più grossa e voluminosa, il seme più fria-
bile, meno perfezionato, e facile quindi a
sfarinarsi, e la resta più lunga.
6. Epoca del seminerio.
Secondo che la risaja è vecchia o nuova,
diverso è il tempo e la misura del semi-
nerio. La risaja vecchia si semina dal
15 aprile al 15 maggio, non più tardi,
perchè dà un prodotto minore di quello
seminato a suo tempo, per la ragione che
il riso maturerebbe anche troppo tardi,
e non potrebbe essere raccolto in tempo
opportuno per farlo disseccare, e quindi
essere sbiancato nella susseguente inver-
nata: il che oltre alla perdita del grano,
dovendolo esporre ancora sull'aja, è an-
che di grande spesa ed incomodo.
Lo si semina come il frumento e nella
stessa quantità.
La semenza deve essere crivellata e
purgata, massimamente dal pabbio, grano
simile al miglio, e dal quadrone, che è un
seme nero quadro; poiché con tutta la
148
GIORNALE DELL'INGEGNERE
diligenza che si usa nel mondarlo in erba,
nondimeno vi restano sempre di queste
piante nocive, che, come è solilo, sono più
feraci delle buone. Si mette indi nell'acqua
entro le adacquataci, chiudendola in sac-
chi, e ve la si tiene per otto o dieci giorni,
onde preparamela germinazione. La buona
semente nello stato ordinario ben dissec-
cata, deve, prima di essere messa nell'acqua,
pesare da settantotto ad ottantaquattro chi-
logrammi al moggio, si intende però re-
stato, ed appena sfregato nelle mani deve
comparire brillato.
Si semina a mano.
Quando il vento ammucchiasse i semi
si deve desistere dalla seminagione onde
non venga contrastata l'equabile distribu-
zione della semente. Siccome poi la se-
minagione del riso succede in un campo
in cui si è lasciata soprascorrere l'acqua
anticipatamente, perciò dopo aver bene
appianata la terra colla zappa o col badile
sarà bene passarvi sopra anche con una
larga tavola di legno tirala da un cavallo
il quale girando da un capo all'altro della
risaja, oltre ad eguagliare il terreno in-
torbida l'acqua sollevando le molecole: per
cui spargendovi tosto la semente, questa
si copre e si deposita colla quiete insieme
all'intorbidamento dell'acqua, e vi viene
coperta ed assicurata dagli insetti, dagli
uccelli e dai topi, come già si disse.
Il seme è l'uovo fecondato dai vegeta-
bili, e contiene il germe inattivo, ed i
primi alimenti del futuro individuo; non
è perciò indifferente di esaminarne la qua-
lità. Il seme forma la radice, questa l'in-
dividuo vegetabile ; ond'è che dalla natura
e radice del vegetabile dipende la qualità
del prodotto.
Si deve bene osservare che non sia in-
taccalo dalla ruggine, né dalla nebbia: deve
avere un color naturale, non avere odore
di tanfo, non essere offeso dagli insetti ,
non difettoso, non ammaccato; perfettamente
maturo, egualmente grosso, liscio, non spu-
gnoso, nò più pesante dell'acqua.
Per assicurarsi della bontà generale del
riso scelto a semente si usa di porne una
data quantità in un vaso d'acqua, e la-
sciandovelo per alquanti giorni si osserva
quanti sono i semi che germogliano, e
quanti quelli che non, germogliano; dal che
si può dedurre una bontà proporzionale.
La semente deve essere secca, modera-
tamente indurita, non troppo giovane, nò
troppo vecchia. Quella dell'anno antece-
dente è la preferibile.
Le risaje nuove si seminano dal 15 marzo
al 15 aprile, spargendovi la semente più
rada che non nelle vecchie; ossia data la
quantità da seminare in una risaja vecchja,
questa sarà in proporzione di un terzo
meno sopra una stessa quantità di terreno
per le risaje nuove; altrimenti i risi si
fanno cosi fitti, per l'attitudine stessa del
terreno , che si guastano per mancanza
d'aria e spazio per le radici. Ciò però
succede nel primo anno, nel secondo si
aumenta un poco la semente ; nel terzo
ancora più; finché successivamente si ar-
riva alla debita quantità e limitazione.
In generale poi varia è la quantità della
semente da impiegarsi secondo le varie
qualità dei terreni, e ciò tanto per le
risaje nuove che per quelle vecchie: onde
ne deriva, che, supposta un'unità di mi-
sura di terreno, ed una unità di misura
di semente rappresentata da 1,00 per una
risaja vecchia di terreno forte, si dovreb-
bero seguire le seguenti proporzioni, ossia :
Alla risaja nuova di terreno forte si darà semente 0, 60
vecchia
leggiero
paludoso
ghiajoso
forte
leggiero
paludoso
ghiajoso
0,70
0,80
0,90
1,00
1,10
1,20
1,30
per cui paragonato 1' 1,00 a staja uno e | volume della semente richiesta per una
quartari due,' essendo questa la misura di | pertica di terreno forte a risarà vecchia,
ARCHITETTO
e sapendosi clic il moggio non brillato
pesa da settantotto ad ottantaquattro chi-
logrammi, ossia dalle cento alle cenlolto
libbre grosso, ossia dalle duecentotrcnta
alle duecentocinquanta libbre piccole, ne
consegue che uno stajo, ossia un ettaro, pe-
serà chilogr. IO circa, e quindi slaja uno
e quartara due peseranno chilogrammi 15;
per il che, p. es., alla prima qualità di
risaja nuova a terreno forte, in propor-
zione di quanto fu di sopra esposto, si
ED AGRONOMO J|<J
daranno chilogrammi nove di semente,
prodotto che si ottiene dividendo i chi-
logrammi 15 per IO, e moltiplicandone
il quoziente per 6; ossia questo dato di
15 chilogrammi sarà sempre da moltipli-
carsi per le esposte frazioni applicate a
ciascuna qualità di terreno e risaja.
A maggior intelligenza di quanto fu
sopra esposto, ed anche per lasciar pos-
sibilmente nulla di inevaso, si seguirà il
metodo della seguente tabella:
Qualilà
della risaja
Qualità
del terreno
Quantità proporz. di
semente, paragonando
l'unità, ossia l'I, 00, a
slaja 1 equarl. 2, ossia
a chili 15.
Quantità di semente
richiesta per una per-
tica, in chilogr.
Quantità di semente
in moggia , staja e
quartara.
Nuova
»
»
Vecchia
0
»
1
forte
leggiero
paludoso
ghiajoso
forte
leggiero
paludoso
ghiajoso
0,60
0,70
0,80
0,90
1,00
1,10
1,20
1,30
9,00
10, 50
12,00
13,50
15,00
16,50
18,00
19,50
St. - 3, 2, 2
» 1, - 1, -
» 1, - 3,1
» 1, 1, 1,2
» 1, 2, - -
» 1 9 9 9
i , _, -, _
" M,l,-
» 1,3,3,2
Le risaje nuove si devono accuratamente
visitare tutti i giorni, ed osservare che in
esse non si manifesti una troppa rigoglio-
sita dei risi, essendo questa uno sfogo pre-
coce delle forze vitali cagionate dalla ante-
riore inerzia del terreno, e dall'abbondante
adacquamento, senza che essa pianta abbia
la forza di giungere al termine della sua vita
maturando intieramente la pannocchia; poi-
che talvolta la spica è affatto vuota di grani
per la ragione che la pianta consuma tutta
la sua vitalità nelle foglie; e tal altra volta
la pannocchia ingiallisce ed abbrucia ap-
pena sbocciata, appunto per la suddetta
diversione d'umori alimentari, che per la
troppa robustezza vengono dalla pianta
assorbiti, senza che ne resti qualche por-
zione per alimentare la pannocchia.
Tale inconveniente si conosce dal verde
cupo e carico delle foglie; ed unico rimedio
si è di levare l'acqua in diverse propor-
zioni di tempo a norma delle qualità del
terreno; cioè:
per una risaja di terreno paludoso
si leverà per circa giorni 20;
per quella di terreno forte pergiorni 15,
per quella di terreno leggiero per
giorni 10,
per quella di terreno arenoso o ghia-
joso per giorni 5;
di maniera che una risaja qualunque
in proporzione della forza vegetale del ter-
reno abbia a soffrire in quella tale quan-
tità sufficiente a togliere un poco di ali-
mento alla pianta, ed allora la spica e le
foglie prenderanno maggior consistenza e
si prepareranno a resistere anche ai venti
marini di tanto danno ai risi se da essi
son colti in istato di eccessivo rigoglio. E
in fatti togliendo l'acqua si toglie T ali-
mento e si arresta il lussureggiare della
pianta, per cui la spica ossia il fiore, che
120
GIORNALE DELL'INGEGNERE
è lo scopo della pianta, trovando debole
tutto il resto, primeggia e si investe, per
cosi dire, della forza che prima apparteneva
alle foglie, e che ora queste abbandonano
perche indebolite dalla procurata man-
canza d'acqua.
7. Cure da aversi per una Itisaja.
Pochi giorni dopo il semincrio il riso
nasce, e talvolta con tale vigoria da spuntar
fuori in pochissimo tempo dalla superficie
dell'acqua, ed in modo anche da rove-
sciarsi se non vi si apporta pronto rimedio;
per cui, quando il coltivatore di ciò si ac-
corga, deve tosto toglier l'acqua per qual-
che giorno finché sia totalmente scomparsa
l'umidità del terreno; quindi lo adacquerà
di nuovo, portandola però ad un livello
superiore, ossia non meno di quindici cen-
timetri, onde proporzionare l'inondamento
al continuo crescere della pianta.
Si avverte però di non levar mai l'acqua
nella prima quindicina di Luglio, perchè
è quello il tempo in cui il riso fa il primo
Nodo; sarà quindi bene che tale opera-
zione abbia luogo prima o dopo tale lasso
di tempo. Anche in tempo piovoso è da
tralasciare di levar l'acqua, a motivo che
la pioggia percuotendo il piede delle pian-
taggini quando sono senz'acqua le discalza
e fa nascere molte erbe.
Il livello dell'acqua si aumenta ancora
quando incomincia la fioritura, ed allora
non la si toglie più, tanto per favorire la
cresciuta della pianta, quanto per preser-
varla dalla nebbia, che non mancherebbe
di investirla se la risaja venisse privata
dell'acqua.
Prima della fioritura si usa mondare
la risaja, ossia estirpare le piante nocive,
e principalmente il giavone (Panicum grus
galli); le mondature sono più o meno a
seconda del bisogno. Le risaje nuove ri-
chiedono maggior numero di mondature
che le vecchie.
Otto o dieci giorni prima della raccolta
si lasciano scolare le risaje.
Il riso è maturo quando la pannocchia
si piega pel peso dei grani e quando è
un poco giallastra.
Se il riso è un cereale di grande pro-
dotto, richiede però anche molte cure. Il
proprietario che intraprende una tale col-
tura deve lutti i giorni visitare la risaja
per diritto e traverso, esaminandone gli
acquedotti e gli incastri , ed osservando
che l'acqua non manchi nel tempo op-
portuno, nò che essa sfugga per qualche
crepatura d'argine, e che al contrario essa
vi sia continuamente alla medesima altezza,
rimettendone tutti i giorni della nuova af-
fine di rimpiazzare quella che viene as-
sorbita dalla terra e dall'evaporazione.
Alcuni usano levar l'acqua anche dal
giorno di San Giovanni a quello di San
Pietro, ossia negli ultimi cinque giorni di
giugno , e generalmente quando i risi sono
deboli.
Alcuni altri usano adacquare le risaje
in ruota di otto giorni, coprendole di quella
tale quantità che in detto tempo possa es-
sere smaltita per assorbimento ed eva-
porazione, indi ripetono l'adacquamento
in egual quantità, modo e tempo, e così
di seguito. E per verità questo è il me-
todo migliore; prima perchè cosi il riso
può maggiormente alimentarsi col terreno
e farsi forte, e meno soggetto alle malattie
ed ai venti; poscia perchè dove molti sono
gli utenti di una roggia, potendo in tal
modo stabilire una ruota d'utenza si toghe
l'adito alle quistioni tanto frequenti e
facili in materia d'acque.
Fra le molte cure di cui deve farsi ca-
rico T agricoltore avvi pur quella di far
tagliare V erbe sugli argini e ripe delle
roggie servienti alla risaja almeno due
volte durante la coltura del riso; avve-
gnaché oltre allo scopo della pulitezza
avvi quello eziandio di procurare la di-
struzione delle erbe cattive, che impe-
discono in primo luogo il passaggio al
lavorante , e secondariamente annidano
topi, i quali apportano grandissimo danno
nel tempo specialmente che i risi fanno
la spica.
Devonsi pure spazzare le roggie, le ada-
quatrici ed i fossi colatori, e fare in essi
tagliar le erbe almeno ogni venti giorni
allo scopo di facilitare il libero passaggio
delle acque ed il loro pronto spandimene
sulle chiappe dei risi.
Dovrassi pure inoltre osservare che
nei tempi in cui si leva l' acqua , i Cam-
pari aprano totalmente gli incastri, onde
ARCHITETTO
possa propriamente colare tutta 1' acqua ,
e non si formino delle vallette, imperoc-
ché le piantaggini colà esistenti soffrono
molto, ed in guisa da non poter arrivare
allo sialo di perfetta maturanza.
Gius. Yernansal de Villeneuve.
(Continuo.)
Sul Consorzi «l'acque.
Trattalo Amministrativo legale
del sia. Casimiro De-Bosio.
bas leges, setemaque teiera ccrtis
Imposuit natura locis.
Virg. Georg. , lib. I.
Cos'i l'autore ha intitolato il suo libro,
dimostrando che negli antichi secoli era
già vecchia e matura l'idea d'un diritto
sociale difensivo dal comune pericolo, pro-
motore di un comune vantaggio fra i com-
possessori di un vasto terreno, in cui le
acque naturali possano alla loro volta ad-
durre immensa prosperità o luttuosi di-
sastri. Leggi ed alleanze chiamava il poeta
mantovano le discipline a cui, mancando
tuttavia una sanzione, obbedivano pure gli
agricoltori sotto l'impulso di uno scam-
bievole interesse; né meglio avria potuto
chiamarle un giurisperito, dacché appunto
la susseguita età gloriosa per lo sviluppo
del romano diritto, e la più tarda età con-
trassegnata dalla creazione della scienza eco-
nomico-politica, appunto innestarono ai
codici, sul rapporto delle acque e della
loro influenza sulla industria agricola, le
leggi regolatrici del diritto fra i singoli, e
le leggi sociali aventi di mira la privata
e la pubblica prosperità territoriale.
Ma quanto luminosa l'antichissima le-
gislazione romana si è resa pei principi,
onde ha fissato che si temperasse il danno
dell'uno col vantaggio dell'altro nel regime
delle acque, non egualmente io fu nel con-
templare in massa i pregiudizj e le utilità
delle acque derivanti; e dopo aver bensì
autorizzate le società volontariamente con-
tratte per la mutua difesa contro le acque,
e per usufruirne i beneh'ej, colà si è
Ifìl 1U Settemb
ED AGRONOMO 121
fermata, e non ebbe l'ardimento di co-
mandare: erigetevi in società.
Questo sublime concetto è tutto vanto
della moderna legislazione, e diciamolo con
nuova compiacenza, ò vanto della legisla-
zione italiana. Nessuna meraviglia però che
ove ebbe culla il diritto romano, esso acqui-
stasse anche questo incremento.
Ma l'epoca moderna che accolse nei co-
dici la società coattiva in materia di acque,
non ha creata, ripetesi, l'idea della so-
cietà; e l'autore zelantemente ne intraccia
l'origine nelle storie municipali, e ne ad-
dita gli esempj notevoli, celebrando prin-
cipalmente poi la sapienza dei governi che
primi ne permisero e legittimarono l' isti-
tuzione, e che ad ovviare ogni disordine
procedente dalla loro mancanza, risalirono
perfino alla severa ma provvida idea di di-
chiarare di pubblica ragione tutte le acque
di qualunque sorta e provenienza fossero (così
fece la veneta Repubblica nel XVI secolo,
come avverte l'autore), affinchè in propor-
zione dell'importanza dell'oggetto, fosse
potente ed energica la mano che dovesse
regolarlo.
Raggruppate le italiche provincie, special-
mente dell'odierno Regno Lomb. -Veneto,
o meglio del precesso Regno d'Italia, guai
pel governo se questo mostruoso principio
proclamato dalla Veneta Repubblica, avesse
informata la legislazione delle acque, e guai
parimenti se fosse stato pienamente abo-
lito! E nella memoranda epoca di transi-
zione che fu principio di questo secolo,
non fu difficile, ai sommi ingegni che for-
mavano allora spettacolo inaudito nella sto-
ria, prescelti alla riforma di tutte le leggi,
non fu difficile, dicesi, di salvare quel prin-
cipio troppo prezioso, temperandone la
enormità col definire quali acque precisa-
mente si avessero a chiamar pubbliche,
e soggette alla esclusiva giurisdizione di
pubblici poteri, ed inserendo nelle nuove
leggi il nuovissimo concetto della coazione
per la formazione delle società compren-
soriali in punto di acque, che lo Stato non
avesse interesse a chiamar proprie, e ad
amministrarle coli' ingente carico di spese
e di fatiche che seco trascinano.
Abbracciata una volta la teoria, lo svi-
lupparla nei suoi elementi, il fissare per
ciascuno le convenienti discipline, fu l'o-
re 1855. le
J22
pera di un istante. E difatto 1
inaugurava la famosa legge sulla distinzione
e sui regime generale delle acque, in cui
«ià brilla il concetto delle società com-
prcnsoriali come una obbligazione degli
interessati; e l'anno 1806 erano già ela-
borati i relativi regolamenti; legge e re-
golamenti che, malgrado l'antagonismo po-
litico, riscossero il più onorifico elogio dalla
susseguita austriaca dominazione, la quale
in principio del suo Codice Civile, come
tutti sanno, li ha al pari che gli altri re-
golamenti politici del cessato governo ita-
lico, dichiarati in permanente vigore.
Per quanto però quei regolamenti e
quella legge sul proposito delle società com-
prensoriaìi fossero già eminentemente ni-
tidi nel concetto, e nella esposizione, e nel-
l'ordine, e provvedessero con esimia an-
tivedenza a tutte le possibili contingenze,
di modo che la legislazione, italica sulle
acque da quel fortissimo ingegno di Gian
Domenico Romagnosi fu assunta per tema
di dimostrazione di un caso di legisla-
zione perfetta, non è supponibile che nel
corso di tanti anni non vi sia stata tro-
vata una lacuna, un'indecisione, non vi
sia occorso un maggiore sviluppo, una ad-
dizione. E in fatto colPesperienza vennero
al pettine alcuni intralci, e occorse di det-
tare altre norme, e in molti argomenti
pendono ancora fra i giurisperiti le di-
scussioni sulla portata delle leggi e disci-
pline relative alle acque ed ai compren-
sorj discussioni rese più scabre anche per
l'abolizione del Codice italiano, che sov-
veniva a pennello, forse di più che l'odierno
Codice austriaco, a completare segnatamente
la legge fondamentale 20 aprile 1804.
Da ciò il bisogno assoluto pei possidenti,
pei legali, pei periti, e più di tutto pei
magistrati di avere approfondite le teorie
delle dominanti leggi sulle acque e sui
comprensorj, onde ai primi, e per mezzo
dei secondi sia sempre fatta giustizia, onde
siano quelle leggi effettivamente e dovun-
que procaci di generale prosperità.
Lode pertanto, e lode grandissima al
sig. Bosio, che primo si pose al cimento
di ridurre a principj generali e ad ordine
scientifico quelle teorie della vivente le-
gislazione nella materia dei comprensorj
formandone un trattato, e che ebbe la fe-
GIOUNALE DELL' INGEGNERE
'anno 1804 . lice idea poi di tenerlo scevro abbastanza
dalle astratte investigazioni, perché riu-
scisse più prontamente maneggevole nelle
applicazioni.
Questa primordiale osservazione si af-
faccia alla lettura del libro del sig. Bosio,
che un trattato essenzialmente opera di-
dattica promette la preparazione di una
teoria, cioè la posizione dei principj filo-
sofici, e la soluzione dei teoremi nascenti
dalle loro combinazioni, collo svolgimento
dei problemi pratici nei quali è mestieri
di ricorrere a quei principj ed a quei teo-
remi , sicché le leggi dominanti trovino
passo passo immediato raffronto colle scien-
tifiche speculazioni, e per tal via ne emer-
gano evidenti le lacune, le incertezze, e
le erroneità o le contraddizioni; mentre al
contrario l'autore si è attenuto ad un or-
dine inverso, e premessa soltanto un'ampia
e particolarizzata definizione dei consorzi
quali .sono stigmati dalle leggi, ne ha sen-
z' altro descritta la genesi e le varietà,
quali dalle leggi e dalla storia di esse ci
vennero tramandate, e quindi a pie pari,
cioè dopo il corso di poche pagine (tren-
taqualtro sul complesso di 121 che com-
pongono il trattato), guida il lettore per le
vie spinose delle applicazioni, insegnandogli
col testo di quelle leggi alla mano come
i consorzj s'istituiscono, come si organizsano
e si amministrano, e come si sciolgono; e
siccome poi un tal ordine non ammette
spontanea la combinata trattazione delle
questioni più interessanti e più diffìcili,
che s'incontrano praticamente nell'uso di
quelle leggi, quali sono la separazione dei
poteri fra chi esercita, e chi sovraintende al-
l'esercizio del diritto consorziale, e la pro-
cedura competente ad ogni oggetto e ad ogni
contesa in materia di consorzj, ve ne fa
l'aggiunta, come di un ramo addizionale al
trattato, senza alcuna premessa teorica, e
soltanto raggranellando nel diritto posi-
tivo le norme che sono impreteribili nella
pratica.
Egli è certo che questo scheletro del
trattato del sig. Bosio non raccoglierà il
laudo degli studiosi della filosofia delle
leggi, che in ogni trattato in materia le-
gale (appunto così vien quello denominato)
esigono lo sviluppo dei principj generali
della scienza in ordine alla divisata loro
ARCHITETTO
applicazione al ramo speciale di essa che
ne forma l'argomento.
Ma se il titolo dell'opera non ò piena-
mente adatto alla sua essenza, e piuttosto
essa rassomiglia ad un repertorio razio-
nale dei principi c delle norme costi-
tuenti il vigente diritto consorziale, devesi
conceder venia all'autore, che ha preferito
il pregio della comodità del suo libro per
coloro che ponno essere a portata di gio-
varsene per la pratica, ed ai quali per
verità egli ha creduto principalmente di
farne dono.
E si noti che appunto fra gli individui,
ai quali deve tornare graditissimo quel
libro, vi ha la schiera innumerevole di
coloro che rappresentano ed amministrano
i consorzj, e dei periti che concorrono alla
loro istituzione, ed a fissar le basi più im-
portanti della loro condizione economica:
a tali persone non essendo in genere fa-
migliari le astratte teorie del diritto, me-
glio valoa l'offerta di un libro pratico che
teorico, meglio valea dar loro delle monete
di buon conio, che del metallo in verghe.
Questo compendio brevissimo, e questo
ben dovuto elogio al merito del lavoro del
sig. Bosio per altro non ci dispensa da
qualche particolare esame di alcuni capi-
toli che lo compongono, dei quali però
non troviam necessario di ripetere la lunga
serie, abbastanza manifesta dietro il cenno
da noi fatto dei sommi capi delle tre parti
e delle sezioni in cui l'opera è suddivisa.
E principalmente avvertiremo di avere
nell opera, presa per un riassunto ordinato
delle leggi e dei regolamenti e consuetu-
dini in varie epoche, e fino air odierna
emanate e ricevute nella subbietta materia,
un'assai diligente e forse completa raccolta
delle massime si generali che speciali co-
stituenti il diritto consorziale nelle singole
sue varietà. Trovammo in essa moltissime
disposizioni che anche nelle recenti rac-
colte di leggi e regolamenti in materia di
pubblica amministrazione andarono inos-
servate od obbliate, e vi trovammo qua e
là con sana critica esaminate e corrette le
basi da cui trassero l'origine, e dedotta
a posteriori la ragione giuridica, secondo
la quale i consorzj sono prezioso patri-
monio della civiltà moderna.
Ciò rimarchiamo, per esempio, in pro-
ED AGRONOMO 123
posilo alla non da tutti ricordata decla-
ratoria portata dal Decreto 2 marzo 1826
della già Cancelleria Aulica in Vienna, sta-
tuente la priorità per l'esazione delle im-
poste consorziali in via fiscale, come per
l'esazione delle imposte dirette sui fondi
comprcnsoriali, a fronte delle ipoteche e
dei vincoli anteriori al'ficicnti i fondi stessi;
declaratoria non riportata in alcune recenti
raccolte di leggi e regolamenti assai divul-
gate, e che avverte chi acquista o riceve
in pegno beni comprensoriali di non fi-
darsi dei soli titoli di provenienza, e dei
certificati ccnsuarj ed ipotecarj, e delle bol-
lette dei carichi pagati sulP estimo, per
conoscere il grado di libertà di quei beni.
E per altro esempio adduciamo la ri-
portatavi Circolare 1.° agosto 1837 dell'I.
R. Governo Veneto (del pari annessa nelle
dette raccolte) con cui si diramò la de-
cisione Aulica indirizzata al Governo Lom-
bardo, onde la erezione del consorzio giusta
la legge 20 aprile 1804 ed il regolamento
del 1806 fu ritenuta suscettiva di coazione
anche fra gli investiti utenti d'acque d'ir-
rigazione, comechè non contemplati let-
teralmente in quella legge ed in quel re-
golamento, e ciò per motivi per altro che
l'autore saviamente vuole retlilicati, perchè
dedotti dal solo caso speciale che le acque
d'irrigazione, oggetto della disputa portata a
cognizione della Cancelleria Aulica, trae-
vano origine da un fiume, ed erano quindi
di pubblica concessione od investitura, men-
tre l'autore con più giusto criterio opina
che gli interessi generali dell'agricoltura,
e della migliorazione dei terreni, indipen-
dentemente dall'origine pubblica delle ac-
que, bastino a radicare il diritto negli
utenti di acque irrigue di costituirsi in
consorzio legale malgrado la opposizione
di taluni degli stessi utenti.
E difalto nella pratica amministrativa
attuale si è veduto trionfare quest'ultimo
principio senza il concorso del motivo della
origine pubblica delle acque, nò della prova
della loro concessione da parte dello Stato,
o del sommo imperante; e chi scrive questi
cenni ne fece lo sperimento per la roggia
di Fara in territorio bergamasco, derivante
da una roggia di privata ragione (la Vai-
lata), e per la roggia Valmeria nei comuni
di Mandello e Tonzanico, figliale di un
i24 GIORNALE DEL
torrcrilc che la pubblica amministrazione,
almeno nel suo tratto supcriore, non ri-
tiene di pubblica appartenenza in senso
di legge, e per la roggia Babbiona in pro-
vincia di Crema, che quantunque generala
dal Serio, fu sottoposta a regolare con-
sorzio per gli addotti motivi" del numero
elevato degli utenti, della vastità del ter-
ritorio irrigato, e dei disordini della pre-
cedente amministrazione sociale, e non pel
motivo insignificante che le acque proce-
devano da un fiume, col quale poi nulla
più avevano di comune.
Le disquisizioni che Fautore ha disse-
minate nel suo libro sono trattate con
molta semplicità e chiarezza, senza appa-
ralo oratorio, né pedanteria scolastica:
facile è la sua frase, senza contorsioni l'ar-
gomentazione. E il pregio più notevole di
esso è la ricchezza delle fonti positive onde
egli ha attinto la sua materia, talché la
storia della legislazione italiana in punto
alle acque, in questo ramo maestra senza
contrasto delle legislazioni straniere, vi è
tracciata e documentata in grado di per-
fezione, talché eviterà fatiche ed errori chi
ricorrendo ad essa voglia illustrare questo
punto prezioso delle patrie memorie.
A chi già scrisse sul proposito del trat-
tato del sig. Bosio apparve difetto il non
aver egli combinatamente coordinati i prin-
curj e le norme delle leggi vigenti, che
fonmano il diritto delle acque, considerate
nei rapporti civili. Non sappiamo per vero
accogliere per buona questa critica, come
quella che nasce piuttosto dall' ignorare
la differenza che passa fra il diritto con-
sorziale delle acque e il diritto in ge-
nere sulle acque istesse e sugli acque-
dotti. Avanti tutto è da notarsi che la ra-
gione civile delle acque e degli, acquedotti
è già largamente sviluppata nel celebre
trattato .di Gian Domenico Romagnosi, e
nell'aureo testo del pavese Pecchio cb' ci
prese a commentare, e che è tuttodì l' o-
racolo principalmente del foro lombardo,
in cui più di sovente ricorrono le con-
testazioni civili in materia di acque. D'al-
tronde il Bosio, che non ha inteso di rifare i
trattati del Pecchio e del Romagnosi, avea
ragione di rispettare i limiti naturali del
tema da lui trascelto.
Se per altro-ù lecito in questo resoconto
l'ingegnere
del lavoro del signor Bosio notare alcune
cose in cui sembra trasgredita la genera-
lità delle vedute, e mancata alquanto la
lena a segnalare le massime precise o le
indecisioni delle vigenti leggi sui consorzj,
ci permetteremo di avvertire le seguenti.
Al | 4 egli distingue i consorzj di difesa,
da quelli di scolo e di irrigazione.. Ci parve
essenziale che si dovessero colà annoverare
anche i consorzj di acque applicate all'in-
dustria manifatturiera. L'analogia di questi
con quelli di irrigazione non dispensava
dal farne cenno particolare: l'ometterli in
un trattato, e proprio nel momento in cui
si vogliono classificare tutti i consorzj, trae
alla fallace credenza che non ne esistano,
e che le società di utenti d'acque per uso
di opificj, non siano ammesse al beneficio
del consorzio regolare. Ed è notorio che
le roggie irrigatrici quasi sempre servono
eziandio al movimento di ruote idrauliche,
i di cui padroni sono parificati a quelli
dei fondi irrigui, e compartecipano ai pesi
ed ai diritti sociali. Anzi vi hanno acque-
dotti esclusivamente applicati agli opificj,
gli utenti dei quali dovettero erigersi in
consorzio, quale la già mentovata roggia
Valmeria in Comune di Mandello. D'al-
tronde la legge 20 aprile 1804 che ha
parificato l'acqua d'irrigazione all'acqua
destinata agli opificj nel diritto all'acque-
dotto coattivo, patentemente non escludeva
quest'ultima dal diritto consorziale, se alla
prima virtualmente lo accordava, come
l'autore ha dimostrato coi ragionamenti
diretti, colle avvenute declaratorie, e colle
prove di fatto.
Al | 19 egli imprende ad .enumerare
e conterminare i diritti dei consorzj. Lo
scabroso tema, massime in causa dell'or-
dine trascelto ad esaurirlo, imponeva forse
una più seria meditazione, ed uno sviluppo
più accurato.
Primo fra questi diritti si addila quello
che è essenziale e caratteristico dei con-
sorzj, di nominare i proprj rappresentanti,
e di amministrare da sé o col mezzo di
quelli i proprj interessi solto la ispezione
dello Stato, e giusta le norme vcglianti.
A meno che al vocabolo amministrare l'au-
tore qui attribuisca un significato diverso
da quello fissato da lutti i Codici Civili,
non saprebbesi perchè egli pose la disgiun-
ARCHITETTO
tiva o fra il consorzio e i suoi rappre-
sentanti chiamali ad esercitare l'ammini-
strazione. Fors' egli attribuì a quella par-
ticella un significato esplicativo, nel q uà 1
caso però dovea dire ossia col mezzo di quelli
per ovviare ogni dubbio. È manifesto però
e notorio, che i consorzj si debbono am-
ministrare, e si amministrano mediante le
delegazioni: altrimenti il consorzio rego-
lare sarebbe una vana parola, e vi avrebbe
tuttora la sola società primitiva di utenti
liberi, e talvolta capricciosi gestori della
loro quota. È quindi inesatta l'idea del-
l'autore che il consorzio si amministri da
sé, la quale non si accorda collo spirito e
cella lettera della legge.
Il quarto diritto che Fautore rileva esi-
stente nei consorzj è quello della espro-
priazione per le opere consorziali. Egli lo
deriva con giusto criterio dalla legge 20
aprile 1804, che ad un tempo è fondamento
giuridico del diritto consorziale e del di-
ritto maestatico di espropriazione pei la-
vori concernenti le acque pubbliche e lepri-
vate, cioè le acque di qualunque categoria
o natura. Ma la sostanzialo diversità nel-
l'oggetto e nelle conseguenze degli art. 51
q 52 della legge 20 aprile 1804 da lui
addotti a dimostrazione del diritto di espro-
prio competente ai consorzj, traeva natu-
ralmente a meglio specificare il diritto
istesso, perchè da una più chiara nozione
di cosi importante privilegio nascesse per
corollario spontanea la regola da seguirsi
nel caso di averlo ad esercitare. E di fatto
l'art. 51 si riferisce ad opere fluviali od
intorno ad acque pubbliche, per le quali
sia constatata la pubblica utilità; l'art. 52
contempla gli acquedotti privati, pei quali
non è d'uopo constatare l'utilità pubblica.
Col primo articolo l'esproprio avviene verso
l'indennizzazione ordinaria: col secondo
verso pagamento del terreno occupando in
misura del suo valore più un quarto. Ora
.se i consorzj hanno esistenza giuridica,
come avverte l'autore, perchè in massa gli
interessi de' loro membri costituiscono, per
così dire, un interesse pubblico, non sa-
rebbe forse vero perciò che le opere de-
liberate dai consorzj, ancorché destinate
alla sola derivazione d'acque per irriga-
zione od opificj, siano già implicitamente
ritenute di pubblica utilità, ed eseguibili
ED AGRONOMO 125
mediante esproprio verso la semplice in-
dennità? in tal caso sarebbe inutile attri-
buire ai consorzj il diritto di esproprio in
base all'art. 52 di legge succitato. Il qual
diritto poi per avventura nel caso di apri-
mcnto di un nuovo canale per oggetto
d'irrigazione o di opificj potrebbe varia-
mente farsi valere in confronto di un pri-
vato inscritto o non inscritto nel consorzio,
di modo che l' opera divisata quantunque
di utile ingente al consorzio ed approvata
perciò dall'Autorità tutoria degli interessi
consorziali, posta al vaglio nella sede con-
tenziosa esperibile da chi, non ascritto al
consorzio, negasse la concorrenza in essa
della pubblica utilità, risultasse appunto
priva di questo carattere, e la sua effet-
tuazione potesse avvenire soltanto dietro
la maggiore indennizzazione promessa dal-
l'art. 52 della legge 1804. Importava quindi
che il diritto di esproprio venisse ben de-
finito nelle sue fasi, massime poi per far
adito alla conoscenza delle procedure da
esperirsi nei casi di contrasto, che sono
il tema dell'ultima parte del trattato.
Al § 21 sono classificati i consorzj in
t'olonlarj e coattivi. Ai primi si ascrivono
quelli formati per voto spontaneo de' suoi
membri: ai secondi quelli ordinati dall'Au-
torità. Immensa lacuna vi ha tra queste
definizioni quanto grado può esservi di
disparità di opinioni fra gli interessati
sul punto se debbano o no riunirsi in
consorzio regolare. L' autore suppone i
due soli casi dell'unanime assenso, e del-
l' unanime dissenso de' socj ad accettare
le norme consorziali. Perchè non rimar-
care nella sezione importantissima della
istituzione dei consorzj se e come l'auto-
rità pubblica possa negare persino ai socj
unanimi nel voto positivo, di erigersi in
consorzio, ed obbligarvi al contrario i
socj unanimi nel voto negativo? È nolo che
questa tesi di diritto amministrativo è mal
definita nelle leggi, e che fu in modo vario
considerata in casi ditferenti, e sotto l'in-
fluenza di circostanze peculiari.
Al 1 42 l'autore tratta l'oscuro argomento
degli attributi delle adunanze consorziali, e
si pronuncia per una illimitata e quasi esclu-
siva autorità delle delegazioni ordinaria e
straordinaria, come se di conseguenza i
membri della società fossero interdetti di
12(i GIORNALE DELL
ogni prerogativa civile e politica, salvo la
sola di eleggere i delegati a far da padrone
assoluto per tutti. Posto il principio di-
chiarato dall'autore istesso (§ 19) che le
delegazioni amministrano il consorzio; rite-
nuto che le delegazioni straordinarie, sic-
come eccezionali, non hanno che le facoltà
limitate dalla legge che ne ammette o pre-
scrive la temporanea istituzione, sembra
manifesto che i poteri delle delegazioni in
via ordinaria non sono che quelli precisati
dalla legge generale (Codice Civile) per
gli amministratori, ed in via straordinaria
sono quelli per cui le delegazioni straor-
dinarie sono state nominate. Il perchè dove
l'autore suppone concentrata in poche mani
la direzione dei consorzj per negare alle
adunanze il volo deliberativo negli affari
trascendenti la pura amministrazione, a-
vrebbe deviato con uno scambio di parola,
dal giusto concetto delle facoltà delle de-
legazioni tino a crederle estese al transi-
gere, al sostener liti e simili, quindi for-
s' anche ad ipotecare, ad accordar cancel-
lazioni ipotecarie, a vendere, ecc., facoltà
che per legge non si possono esercitare dai
rappresentanti se non dietro mandato e-
spresso dei rappresentati , cioè nel caso
nostro dell'adunanza consorziale, come non
si esercitano neppure dalle Deputazioni Co-
munali e dalle Congregazioni Municipali
se non per voto degli estimati o dei con-
siglieri comunali.
Il titolo della competenza delle Autorità
in materia consorziale, ci è sembrato di
uno sviluppo troppo gretto, e meno adatto
a porgere, come doveasi attendere da un
trattato, un'idea fondamentale di que-
sta delicata materia, nella quale inciam-
pano bene spesso non pure i membri e i
delegati dei consorzj, ma le stesse magi-
strature, che sovente per peritanza lascia-
rono senza provvedimento le più procaci
ed utili misure desiderate e votate a mag-
gioranza, ma senza unanimità, dalle società
cornprensoriali, di che lo scrivente di questi
cenni ebbe ad osservare notevoli esempj.
Il sig. Bosio sarebbesi in questo titolo
limitato ad un elenco numerico delle attri-
buzioni delle autorità amministrativa e giu-
diziale, senza dapprima segnalare l'indole
comune che le devolve all'una ovvero al-
l'altra, sicché da un criterio generale ben
INGEGNERE
definito fosse facile desumere quanti corol-
lari si volessero.
Egualmente lascia desiderio di una ra-
zionale trattazione , e di un più ampio
sviluppo la materia della procedura in af-
fari consorziali, ultima del trattato, la quale
doyea poi mettersi a riscontro di tutti gli
oggetti anteriormente discussi, ed anco po-
tevasi utilmente dilucidare con casi pratici.
Ma tutte queste osservazioni non val-
gono ad oscurare il merito intrinseco del-
l'opera, e l'eminente opportunità di essa
per chi di consorzj debba occuparsi come
parte attiva o come organo sussidiario,
o come giudice.
È oltremodo desiderabile che principal-
mente a comodità ed a migliore educa-
zione della classe dei periti, in queste
Provincie eminentemente agricole adope-
rati in oggetti, nei quali è indispensabile
un criterio ed una istruzione legale este-
sissima, a pari almeno se non a preferenza
che degli oggetti industriali, che sono al
contrario di principale istituto dei periti
oltramontani, venisse imitato l'esempio del
sig. Bosio, riducendo a trattato della forma
da lui prescelta, altre materie di attinenza
legale inseparabili da una squisita cogni-
zione delle materie tecniche, e che non s'im-
parano di presente da loro che per via di
una troppo angusta lezione universitaria,
e per la parola non sempre chiara e pre-
cisa del pratico educatore, ovvero pel con-
tatto accidentale coi giurisperiti. A tali ma-
terie apparterrebbero = le norme generali
e speciali di legge, e dei regolamenti di
pubblica amministrazione per le stime, = le
norme fondamentali per la erezione dei
bilanci d'affitto, di usufrutto e di enfiteusi
= le idee generali sul possesso e sulla pro-
prietà dei beni stabili, e sulle servitù, e si-
mili. Il giovamento che proverebbesi dalla
diffusione di siffatti libri sarebbe incalcola-
bile si nell'interesse della giustizia, che pel
decoro della per altro già tanto rispettabile
e benemerita classe dei periti di queste
Provincie lombardo-venete.
Il sig. Bosio ha poi dato peso enorme
al suo libro con un'appendice costituita
del testo completo delle antiche e delle
moderne leggi sulle acque e sui consorzj
non meno che di alcuni piani e statuti con-
sorziali, del quadro statistico dei consorzi
ARCHITETTO
veneti, e dei voluminosi trattati sull'uso
delle acque del Tartaro coi loro allegati.
Le prime parti dell'appendice sono ve-
ramente di essenziale bisogno per validare
il suo trattato, risparmiando ai lettori le
difficoltà ili ricorrere ai Codici colla guida
di una mera citazione. Le ultimo lascian
luogo al rimarco di una predilezione da
lui accordata ai eonsorzj veneti, non avendo
egli in pari grado fatta conoscere la con-
dizione dei eonsorzj lombardi, quantunque
il trattato lo promettesse nel suo titolo.
E si clic in Lombardia vi hanno eonsorzj
importantissimi, e di recente riforma pres-
soché modellare, de' quali al pari dei ve-
neti si potevano offerite gli statuti all'e-
same degli studiosi.
Non è per altro da mal animo verso l'au-
tore, ma dal desiderio che più si diffondesse
il suo libro, dettato l'avvertimento già fat-
togli da taluno che la mole dell'appendice
rende troppo costosa l'opera ed inacces-
sibile il suo acquisto al maggior numero;
come non sembra speculazione ben intesa
quella che credette di fare il sig. Bosio ri-
stampando nel suo volume i Trattati del
Tartaro, di cui diffìcilmente si trovano
esemplari, speculazione che egli oppose per
sottrarsi a quell'avvertimento. Con mode-
stia eccessiva egli ha forse voluto mediante
l'appendice dar merito al suo trattato, che
era già per sé abbastanza commendevole.
Ing. Achille Cavallini.
Snir Insegnamento dell arebi-
tettur.T.
Una voce che arriva a noi d'oltremonte
accusa i precettisti dell'italiana architet-
tura; e causa della decadenza di quest'arte
sono indicati quegli uomini che ebbero per
alunni e seguaci Delorme, Iones, Gold-
mann ed altri sommi architetti francesi,
inglesi, ed alemanni, ora poco meno che
disprezzati da una nuova scuola d'archi-
tettura, la quale ai precetti intenderebbe
sostituire l'istinto dell'uomo, le contem-
plazioni e le aspirazioni del mondo esteriore,
e un non so che d'altro di spirituale, in-
definito, dettato dall'estetica o suggerito da
una filosofia pura, quasi evangelica. Pare
ED AGRONOMO 127
insomma voglia la nuova scuola tentare di
evocare il fuoco clic riscaldava la mente
ed il cuore d'un Pietro de Montrcuil, d'un
Ervino de Stcimbac, e dell'architetto del
nostro Duomo di Milano.
La nuova scuola dice: La natura ci ha
prestato un' infinità di modelli ricchi e va-
riati di forme, di colori, di attributi, e di
rapporti armoniosi, che commuovono emi-
nentemente i nostri sensi, e attivano la po-
tenza creatrice dell'uomo; e ci ha fatto co-
noscere talune leggi, ed il meccanismo
delle forze che animano e vivificano que-
sto creato. — Non soggiunge a dire il come
tali elementi astratti si possono tradurre
nelle linee, nelle forme e nella materia
architettonica; con quali mezzi, e per quale
potenza compilarli, coordinarli; e trasfon-
dere l'essenza e l'espressione di questi ele-
menti nell'edificio d'una chiesa, d'un pa-
lazzo, e d'un qualsiasi altro fabbricato. — é
Allo stato in cui è giunta la società non
pare possibile rifare da capo l'arte in si-
mili termini estremi; nò ritornare l'uomo
allo stato di natura, come farebbe mestieri
per abbozzarla, e cavarla ab ovo dal caos
delle sensazioni. È una bella idea, ma im-
praticabile, e come tale poco o nulla pro-
fìcua all'incremento dell'arte.
L'arte esiste e dobbiamo presentarla
positiva qual è. I precetti d'un Alberti,
vigorosi di principj fecondi, che sino ai
nostri tempi si estesero per tutta l'Europa,
e che si accordano con tutte le architet-
ture, si vorrebbero annullati dalla nuova
scuola. Non ammettono gl'innovatori che
dobbiamo alle traccie grandiose e certe di
questi precetti le meravigliose fabbriche
di cui vanno superbe tante città, lodate
dal consenso di popolazioni divergenti di
bisogni, di gusto, e di tradizioni arti-
stiche.
La nuova scuola si slancia nel suo pro-
gramma, senza forse prevedere che per
vincere e soverchiare gli effetti esercitati
sulla nostra educazione dai monumenti
esistenti, i quali hanno tanta influenza sul
nostro modo di vedere e di sentire, è indi-
spensabile di contrapporre un'altra essenza
d'arte squisita, energica e feconda più di
quella che intende di abbattere. Pare non
prevedano gl'innovatori l'improbabilità di
sistemare una nuova architettura senza ri-
\<2S GIORNALE DELL'
correre ai principi sanzionati dall' espe-
rienza, alle forme già stabilite, in una pa-
rola all'arto da noi posseduta. —
Anzi siamo d'avviso che non sia pos-
sibile una nuova architettura senza fissare
il suo punto di partenza, o in altri ter-
mini senza il suo congiungimento od adden-
tellato col nostro, qualunque siasi, odierno
stato di fabbricare. —
I bisogni e i costumi, e, se si vuole, i pre-
giudizi dell'umana società comandano e
guidano l'architettura; essi costituiscono
una potenza che seppe farsi obbedire ovun-
que; i fatti lo dimostrano: trascurato quindi
il suo intervento dai componenti dell'arte,
l'architettura sarà vagante e staccata mo-
ralmente dalla società. —
La nuova scuola potrà allontanarla dai
giri viziosi del classicismo; ma colle sue
aspirazioni, so non avrà i riguardi impo-
sti dall'attualità, potrà anche gettarla nei
vizj d'un altro stile e d'un'altra maniera
d'architettura. Non avremo "pia in allora
le gofferic accozzate nel tempio di S. Carlo,
ma avremmo quelle provenienti da uno
stile qualunque, preso ad imitazione dalla
nuova scuola. —
Si comprende come sia possibile di
seguire e disciplinare i germi dell'arte
emergenti sempre vegeti dai crescenti bi-
sogni, come si possa ornarli, caratterizzarli,
e prestar loro una iisonomia propria in ar-
monia col gusto del tempo, che, secondo
la pensiamo, dovrebb'essere questo il pro-
gramma della nuova scuola; ma un salto
dal presente all'impianto od all'innesto d'un'
architettura d'altri tempi, siccome tentano
gl'innovatori , è tale un quesito che con-
fessiamo di non comprendere. Dall'espe-
rienza risulta non dipendere da una scuola
il dire: Cosi va bene. L'intelligenza unanime
soddisfatta ne' suoi bisogni e ne' suoi pia-
ceri è quella che pronuncia un tale giu-
dizio. Se l'accusa degli oltremontani si limi-
tasse a voler confusi i pedanti, i molti-
plicatori delle incongruenti prescrizioni
dettate sull'architettura; se trattasse di
cacciare dall'insegnamento coloro che l'ap-
poggiano ai commenti di Vitruvio e dei
Cinquecentisti; se gridasse la crociata con-
tro chi pretende far discendere dalle se-
ste lo scibile architettonico, siamo con
loro; e con loro francamente gli accusiamo
INGEGNERE
d'aver fatta ingiuria all'arte, d'avere date
nelle mani d'una marmaglia di mediocrità
alcuni elementi di fabbricare, coi quali co-
testi saccenti credonsi artisti, si vantano ar-
chitetti abilitati; ma che non hanno fon-
damento di scienza; e la loro ignoranza
serve ad ingannare i clienti, e ad impin-
guare la oramai storica rapacità degli operaj.
Siffatto anatema agli ignavi non è nuovo
in Italia; i nostri esperti artisti disprezza-
rono senza posa l'insegnamento e la pra-
tica dell'arte ristrette alla servilità dell'imi-
tazione detta classica, dalla quale ci yen-
nero regalati stabilimenti, palazzi e chiese,
che per le loro gradinate, pronai, frontc-
spizj, addossamenti e soprapposizione di or-
dini, sono in urto coi comodi, coi bisogni,
coi costumi e col gusto nostro, e non di
rado in urlo colla materia di cui gli stessi
edificj sono formati.
Ma i più stemperati partigiani delle inno-
vazioni in fatto d'architettura si spingono
oltre, e dicono: Il risorgimento soffoca
l'incivilimento iniziato dal medio evo, e la
mania degli architetti del cinquecento di
ricavare ogni cosa dall'antichità romana,
fu cagione di sperdere le belle tradizioni
del secolo di Dante. Alcuno di loro più ar-
ditamente vorrebbe perfino dimenticata e
obbliata la civiltà latina; perchè il nudo
fantasma di quella antichità, freddo ina-
nimato e privo di colore, ci nasconde, colla
sua massa gigante, tutti i fiori e le va-
rietà della poesia fantastica del medio evo.
D'altra parte nei sapienti lavori dei dotti
viaggiatori ed archeologi , intrapresi per
illustrare storicamente ed artisticamente
gli antichi monumenti, rinvennero gl'in-
novatori immensi materiali architettonici,
opportuni ad accrescere la loro suscettibilità,
e studiarono le antichità indiane, egiziane
ed etrusche; seguirono la decadenza del-
l'impero dei Cesari; e trassero da Costan-
tinopoli l'architettura bizantina , e le sue
diramazioni in Oriente, l'araba, la per-
siana, la moresca, la saracena e la russa;
ed in Occidente, la stessa architettura bi-
zantina, la latina o cristiana, la lombarda,
la romana, o romanza, la carolingia,^ la
francala sassone, la normanna; e poi un'ar-
chitettura di transizione; in seguito la go-
tica a sesto acuto od ogiva!, chiamata ar-
chitettura nazionale dai Francesi d'oggi-
ARCHITETTO
giorno; e questa fu divisa in primo, se-
condo, e terzo stadio; distinta anche cogli
aggiunti di stile perpendicolare, stile Tu-
dor dagli Inglesi; e di stile teutonico da-
gli Alemanni. In fine nel prospetto delle
divisioni e suddivisioni dell'architettura,
figurano i nomi di Fiorentina, Pisana, Sa-
nese, Veneziana, Bramantesca, Risorgi-
mento e d'Amboise.
Ad eccitare viemeglio i nuovi studii fu
tentata la compilazione della storia del-
l'Architettura: Battisier, Hope, Kuzler, e
un buon numero d'altri recenti scrittori,
non escluso il nostro Taccani, cadauno colle
proprie tendenze, ed anche colle proprie
passioni, dettarono volumi sparsi di sa-
pienti e ardite ricerche. Finora però un
libro tanto necessario pare ancora lontano
dalla verità; perchè le favole, i pregiudizi
e le presunzioni intralciano la materia, e
imbarazzano il suo sviluppo chiaro e per-
suasivo. E a desiderarsi che questo sog-
getto venga trattato da un uomo dotto ad
un tempo ed artista capace di appianare
sotto uu orizzónte, per dire così, palmare,
tutte le scabrosità prodotte dal tempo, e
intruse dall'ignoranza e dalla mala fede.
Sino a tanto che non sarà esaurita la
classificazione cronologica, esatta, dei su-
perstiti monumenti, e da esse tratto, quasi
a rigore geometrico, il profilo caratteristico
delle vane fasi dell'arte; finché non sa-
ranno determinati con precisione i diversi
stili d'architettura, specialmente quelli che
si riferiscono al periodo dal quinto al tre-
dicesimo secolo (culla dell'architettura pre-
conizzata dagli innovatori), sarà a nostro
avviso difficile, per non dire impossibile,
la stona dell'arte. Sino allora quindi re-
sterà incerto e confuso l'insegnamento del-
1 architettura dedotto dall'eclettismo.
Invochiamo sollecita la storia dell'arte,
acciocché scompajano alcuni nomi d'ar-
chitetture che non hanno mai esistito; e
perchè alcune altre rientrino in queìla
famiglia di cui portano indelebile l'im-
pronta, e che, non ostante la loro lontana
peregrinazione, conservano tuttavia il ca-
rattere di provenienza. Così, abbia fine una
volta quel copiare e ricopiare gli errori,
quel passarli da libro in libro,' dall'una
all'altra mente, quasi allo scopo di stabi-
lire perpetuamente l'ignoranza.
Vt)l ni Settemb
ED AGRONOMO 499
Questi ed altri consimili ostacoli non
tolgono però, alle sentinelle avanzate do-
gi innovatori, di vedere, nel complesso dei
monumenti d'ogni paese e d'ogni stile
(quantunque non ordinati) una ricca sup-
pellettile, opportuna a rifare l'arte, e, come
dicono essi, avviarla ai principii del sen-
tire, alla potenza di quella mente che sa
scoprire il velo misterioso della natura.
Ma, fatti poi accorti della necessità d'una
teoria più omogenea alla pratica possibi-
lità, soggiungono: che studiando nei mo-
numenti di tutte le epoche e di tutti i
popoli, quelle varietà, rivelate da uomini
di genio, si giunge più sicuramente a suc-
chiare gli elementi che formano i com-
ponenti e le condizioni d'ogni arte.
Non siamo competenti, per ora, ad ana-
lizzare l'aforismo suddetto, già ripetuto
da scrittori assai stimati, e per ultimo,
da chi per proprio istituto deve intenderne
preventivamente gli effetti; e, di certo,
egli si sarà fatto carico di distinguere
materia da materia d'insegnamento, a cui
l'atorismo può riferirsi.
Tuttavia, osservato quanto arduo sia
insegnare l'architettura, anche col metodo
tracciato dai trattatisti, che nei termini
d'uno stile unissono, comprende l'intero
alfabeto architettonico, non si può di
leggieri annuire che giovani, quantunque
di forte ingegno , possano con chiarezza
d'idee arrivare al possesso dell'arte, co-
municata loro mediante una congerie di
stili, alcuni non determinati, altri insuffi-
cienti, e spesso commisti in un solo monu-
mento; e che richiedono cognizioni e pra-
tica non comune per distinguerli , ed una
mano assai esperta per disegnarli.
Ristretta la questione poi dell'insegna-
mento sulla base dell'ecclettismo, esso ci
presenta, posto a confronto col metodo dei
trattatisti, quel rapporto che avvi fra un
ragionamento titubante, saltuario e tal-
volta contradicentesi, con altro positivo,
connesso e costantemente concludente; in-
somma il primo è incerto, il secondo de-
terminato; l'uno buono forse a comple-
tare il corredo dell'architetto , ma l'altro
è indispensabile per apprendere l'archi-
tettura.
A convalidare le difficoltà e le complica-
zioni dell'ecclettismo nell'insegnamento dei-
re 1855. yi
130
L'architettura, esponiamo alcune osserva-
zioni , suggeriteci dall' ispezione fatta al
prospetto storico dell'' architettura, testé
pubblicalo col titolo: Specchio degli ap-
punti che servono di guida agli allievi, per
le lezioni d'architettura, dimostrata coi mo-
numenti e l'istoria dal professore d'ar-
chitettura nell'I. R. Accademia di belle arti
in Milano, dottor Saverio Cavallari.
Protestiamo che il solo desiderio di
evitare gli errori agli studiosi, o di sem-
plificare, se è possibile, la materia, è lo
scopo delle nostre deduzioni.
■1. La chiesa di S. Sofia a Costantino-
poli del 530 è chiamata tipo dell' archi-
tettura bizantina. —
Troviamo pure nello stesso specchio:
il battistero di S. Gio. in Fonte, e la
chiesa dei S. Nazaro e Celso in Ravenna
del quinto secolo , entrambe bizantine ,
anteriori alla S. Sofia; dal che si ha mo-
tivo di ritenere che l'architettura detta
bizantina ha il suo tipo, ed ebbe la sua
origine in Ralia. —
Difatti, lo stile bizantino altro non è che
lo stile romano corrotto. Di più, essendo la
piccola cupola sopra i pennacchi della chiesa
dei SS. Nazaro e Celso suddetta ante-
riore alla 'cupola di S. Sofia, avvisiamo
che il merito di tale invenzione è dovuto
all'Italia, mentre se ne accorda la vastità
d'esecuzione a Risanzio.
2 La chiesa di S. Francesco in Assisi,
che data dal 1218 al 1230, è posta dal
sig. Cavallari neJP elenco dei monumenti
bizantini; ma è ben noto che è di stile
arco-acuto. Non sarà del merito delle cat-
tedrali ogivali d'oltremonte, sarà d'un go-
tico-italiano, ma è impossibile qualificarla
di stile bizantino. —
3. S. Front di Perigueux è detto mo-
numento pagano trasformato in chiesa.
Viollet-lc-Duc, scrittore istrutto molto
in questa materia, nel suo dizionario d'ar-
chitettura, ci fa conoscere che la suddetta
chiesa, eretta nel 984 è quasi la riprodu-
zione della basilica di S. Marco di Ve-
nezia. La pianta e gli alzati di S Front,
pubblicati in diverse opere, convincono
- costituirono
che giammai consimili forme
un tempio pagano.
4. Trasformazione delle piante delle cine
se in Sicilia; dove la croce greca viene prò
GIORNALE DELL'INGEGNERE
fangaia dal ima» della basilica Cattedrale di
Cefalo del 1132. —
La croce latina, anche con cupola, erasi
già praticata prima della trasformazione
avvenuta in Sicilia. — La chiesa di S. Mi-
chele in Pavia, S. Ambrogio in Milano,
e il duomo di Pisa, delPundecimo secolo
(posteriore di data ai due monumenti ac-
cennati) sono anteriori di quasi un secolo ai
monumenti siciliani.
5. Architettura che si direbbe Fram-
mentaria. Se con questo aggiunto si in-
tende dal sig. professore indicare l'epoca
in cui si adoperavano i frammenti d'altri
edifici per erigere nuove fabbriche (tro-
vandosi quest'uso praticato dall'epoca della
fondazione delle prime chiese fino all'e-
rezione del palazzo di Venezia in Roma),
non ci pare opportuno a stabilire la de-
terminata maniera di stile dell'epoca a
cui si riferisce lo Specchio degli appunti;
e tanto meno è ammissibile , perchè è
noto 1' aggiunto di cristiana all' architet-
tura di quel tempo. Il vocabolo usato dal
Cavallari non ha riscontro in buoni scrit-
tori. Coniare nuove voci è apportare com-
plicazione e spesso confusione; e perciò
sia lecito dire che nessuna differenza può
concedersi fra lombarda e longobarda ,
quando si accenna alla stessa architettura;
che romanesca per indicare l'architettura
romanza o romantica, è voce da escludersi
affatto, poiché romanesco è aggiunto che
significa di Romagna; e cosi non troviamo
buona la parola dorismo, per indicare la
maniera e l'ordine dorico. —
6. Nello specchio del sig. Cavallari
lediamo: Opere d'Amboise, che ritraggono
mollo dell' 'architettura della Certosa di Pavia,
impropriamente intesa sotto la denominazione
di bramantesca. —
Al Cardinale d'Amboise, ministro di
Luigi XII, re di Francia, fu regalato
dal °suo padrone il castello di Guillon ,
costrutto nel 1500 collo stile del risor-
gimento, detto dipoi castello d'Amboise.
Si sa che la Certosa presso Pavia fu
compiuta nel 1474. Come può preten-
dersi che si debba proferire un nome
straniero ed una data posteriore per addi-
tare un'architettura italiana e anteriore?
perchè anteporre il nome d'un Cardinale
a quello d'un Architetto di merito si
ARCHITETTO
grande, clic gl'Italiani; per ammirazione,
chiamarono col suo nome l'architettura con-
forme alla sua maniera? Bramantesca è
poi aggiunto d'architettura noto e stam-
pato le mille volte. —
7. L'architettura lombarda, nello Spec-
chio storico del sig. Cavallari, prende un
posto importante.
/ caratteri dell' architettura sassone licitino
somiglianze con quelli dell" architettura lom-
barda. —
Se questa architettura sassone è somi-
gliante alla lombarda , siccome scrive .il
sullodato professore, perchè ne fece una
separazione ? La diversità di paese ove venne
eseguita non è titolo per cambiarla di
nome. L'architettura romana, per esem-
pio , è sempre romana in Asia, in Grecia,
in Africa, in Francia e ovunque fu por-
tata. — l
I monumenti sassoni in Inghilterra ,
classificati nello Specchio suddetto, sono
essi pure di architettura lombarda; ciò
è confermato dal Hope al cap. XX. della
Stona dell' architettura; e a lui ci ripor-
tiamo, perchè lo attesta con documenti
storici.
Ne'monumenti sassoni in Germania, cioè
di Colonia , Bonn , Coblenza , Magonza ,
Spira e Worms, riscontriamo si fattamente
lo stile lombardo, che al confronto corre
più differenza fra le fabbriche di Michelan-
gelo, per esempio, e quelle di Palladio,
annoverate fra le cinquecentiste, di quella
che si possa rinvenire fra il S. Ambrogio
di Milano e i due Duomi di Parma e di
Modena, confrontati coi monumenti di
Colonia, Bonn e Magonza. —
8. Gli architetti lombardi diffusero la loro
architettura al Nord della Francia, al Reno,
e nell'Italia meridionale. S. Guglielmo d'I-
vrea , chiamato da Riccardo di Normandia
nel 1010, conduce seco molti architetti lom-
bardi, fonda colà più di 40 monasteri. In-
fluenza deli architettura lombarda sopra quella
normanna.
Domanderemo! quale architettura aveva
la Normandia prima dell'andata di S. Gu-
glielmo? Se non ne aveva , come è di
latto, non può stare che la lombarda
architettura abbia influito sulla normanna.
Lo stesso Specchio del professore fa co-
noscere che l'architettura normanna in
ED AGRONOMO ^{J
Francia è formata con elementi lombardi;
in Inghilterra con elementi sassoni, i quali
sono pur sempre lombardi, come dimostra
il succitato Hope. Nell'Italia meridionale,
l'architettura normanna non ha di nor-
manno che il nome dei dominatori sotto
i quali furono eretti i monumenti.
Dunque se una volta finalmente fosse
stabilito, come ci consta dalla storia, che
l'architettura lombarda è proveniente dalla
decadenza dello stile romano antico e ge-
mella dell'architettura bizantina (entrambe
d'origine italiana, questa trasportata in
Oriente, e quella propagata nell'Occidente
col mezzo degli architetti italiani), si ver-
rebbe a fissare un andamento semplificato
della storia dell'arte, e ristringere a formolo
più semplici le caratteristiche degli stili
d'architettura. Allora con più sano criterio
si direbbe architettura lombarda in Nor-
mandia e sotto i Normanni, e così di se-
guito; e per tal modo verrebbero tolte di
mezzo dalla decadenza romana fino allo stile
ogivale, tutte le insussistenti gradazioni di
architettura carolingia, franca, sassone e
normanna, che né punto né poco hanno
mai esistito come aventi forme da sé. Le
varianti che s'incontrano qua e là, le leg-
gieri differenze dall'uno all'altro edificio, e
l'amalgama di più stili in un solo d'essi
monumenti, non alterarono il sistema, non
cambiarono l'architettura lombarda, in
tutto il lungo periodo dal sesto al dodi-
cesimo secolo. Soltanto in Italia si offrono
monumenti di stile lombardo di epoca po-
steriore; fra i quali ci piace nominare la
bella torre di S. Gottardo nella nostra Mi-
lano, che è del 133G. —
9. Nell'elenco degli edifici di stile ogi-
val, o secondo noi, sesto-acuto, e vol-
garmente gotico, lo Specchio degli appunti
del sig. Cavallari non enumera i monu-
menti italiani; ricorda appena alcuni del
regno di Napoli, e, fra le varianti dello
stile in discorso, pone il Duomo di Mi-
lano e la chiesa di S. Petronio in Bo-
logna. —
L' Italia anche di questa architettura
ha i suoi monumenti: oltre i notati ri-
corderemo: Il Duomo di Genova, eretto
dal 900 al 1000 (altri lo vogliono del
1193); quelli di Ferrara (1135), di Siena
(1220), d'Orvieto (1290), di Como (1390).
132
GIORNALE DELL INGEGNERE
La chiosa di S. Francesco a Pavia, S. M. dei
Frari a Venezia, S. Anastasia a Verona, del
tredicesimo secolo; S. M. del Fiore a Fi-
renze (121)8), S. Croce a Firenze (1294);
S. M. della Spina a Pisa (1230), S. Fran-
cesco in Assisi (1218), S. Francesco a
Bologna (1245); Battistero di Pisa (1153),
Campo Santo di Pisa (1275); alcuni pa-
lazzi a Venezia, il Foro dei mercanti a
Bologna, ed altri molti minori monumenti.
Facciamo osservare : che il Duomo di
Genova e di Ferrara insieme al Battistero
di Pisa, per le loro date, danno titolo
all' Italia di avere iniziato anche questo
stile archi-acuto.
Le varianti attribuite al Duomo di Mi-
lano ed alla chiesa di S. Petronio di
Bologna, che pure s'accostano ai monu-
menti ogivali dell1 Europa settentrionale,
non dovrebbero escludersi dall'elenco dello
stile ogivale; altrimenti a forza di distin-
guere e isolare, direi quasi, monumento
da monumento, si obbligano i giovani al-
lievi ad un' analisi favorevole , anzi che
no, alla confusione.
10. Lo Specchio storico del sig. Caval-
lari riporta in parte separata e tutt'a sé
F architettura Fiorentina fino al cinque-
cento compreso ; dichiarandola : di ele-
menti classici permanenti in Italia, e par-
ticolarmente in Toscana sino a Lapo e Bru-
nelleschi: e poi: l'architettura Fiorentina
senza perdere il proprio carattere si fonde
con taluni elementi bizantini; più sotto: va-
rianti dei monumenti di Pisa e di Siena
dove elementi bizantini e romaneschi ebbero
una prevalenza significativa; di quelli di
Pisa soggiunge: questi monumenti della scuola
pisana si distinguono per il loro modo, come
vennero ricomposti gli elementi bizantini sino
a quesi 'epoca. Dunque vediamo in Toscana,
colle parole dello Specchio, il romanesco
e il bizantino ora fondersi od ora ricom-
porsi; quindi non possiamo comprendere
in qual modo l'architettura classica per-
manente, particolarmente in Toscana, ab-
bia potuto conservare quasi le antiche sa-
gome sino a Lapo e Brunelleschi.
Sappiamo che Brunelleschi incominciò
uno stile d'architettura desunto dal clas-
sico, e che institui la scuola Fiorentina;
ma siccome la tesi del sig. Professore è
inversa, e non l'intendiamo, cos'i aspet-
teremo le sue lezioni applicale allo Spec-
chio degli appunti per averne i neces-
sari! schiarimenti. —
11. Considerato che l'opera del sig.
Cavallari è destinala a servire per l' i-
slruzionc dei suoi allievi, e che in simili
materie è indispensabile la precisione dei
termini e dei nomi, pare quindi preferi-
bile Aquisgrana, Coblenza, Spira, ai nomi
di Aachen, Coblenz , Speyer; cos'i pure di
evitare gli errori: S. Germaindes presso
Parigi, Gent, Brugge, Mecheln; per voler
dire: S. Germain des Prés presso Parigi,
Gand, Bruges, Malines; e di togliere in una
edizione italiana quel miscuglio, per esem-
pio, di nomi tedeschi, scritti quali in ita-
liano e quali in tedesco. —
12. Versando lo Specchio degli appunti
fra complicazioni di stili , di denomina-
zioni e di monumenti, malagevoli e re-
stii alle dimoslrazioni, si richiederà senza
dubbio mollo tempo per esaurire le le-
zioni teoriche, indispensabili per connet-
tere i principi , per rettificare le tenaci
opinioni invalse, e per prevenire le fal-
sificazioni introdotte nei monumenti dalla
moda francese; è da temersi pertanto che
la teoria assorba il tempo prezioso alla
pratica del disegno , giammai troppo al-
l'esercizio della mano"" e dell'occhio; ed
è da temersi che la scuola di disegno
degeneri in scuola di idee e di parole.
I nuovi studii hanno tuttavia il loro
merito; limitati in giusti confini produr-
ranno frutti onorevoli all'arte, e potranno
completare la professione dell' architetto.
Mercè questi studii saranno pochi gli ar-
chitetti digiuni, com'or sono, della storia
della propria arte; digiuni della logica
da cui deriva , e digiuni dei libri che ne
trattano. Cesserà, vogliamo sperare, l'abuso
di giustificare coli' esempio dell'autorità
le loro opere. —
Saranno utili gli studii ecclcttici per
isperdere l'insensata pratica di quegli ar-
chitetti che ristaurano colla propria ma-
niera i vecchi monumenti ; o che, persuasi
di instaurarli con un dato stile d'architet-
tura, amalgamano linee e forme a con-
trosenso. —
Saranno utili per diffondere la stima
dovuta ai monumenti patrii , ai quali
sono congiunte le a-zioni dei nostri avi.
ARCHITETTO
che meritano d" essere conosciute e «ri-
prodotte per temperare l'odierna idolatria
del ben essere materiale.
Non tralasceremo d" incoraggiare simili
stridii, e, quantunque divergenti nei risul-
tati dall' opinione del sig. Cavallari, pure
gli siamo obbligati d'averli proposti, for-
ED AGRONOMO ^33
ncndoci così argomento di far conoscere
che la scuola dell'Accademia accusata di
stazionaria e retrograda, ora tenta di slan-
ciarsi impavida in uno stadio di soverchio
progresso. —
M.° COMACINO.
RIVISTA DI OPERE E GIORNALI
ITALIANI E STRANIERI.
Diversi sistemi di ruotaje pei* le
strade ferrate introdotti dal si-
gnor Henry, ispettore delle strade
ferrate di Strasbnrgo.
(Vedi la Tav. 10)
I varj tipi di ruotaja che il sig. Henry
ha successivamente introdotti per le ferro-
vie sono disegnati nella Tav. 10 dalla fig. i.a
alla 27.a I perfezionamenti che li caratte-
rizzano consistono specialmente in un fondo
e nelle piastre di ferro sostituiti alle tra-
verse di legno ed ai cuscinetti di ghisa.
La fig. 4.a rappresenta in spaccato una
ruotaja in forma di U rovescio fabbricata
con lamine di ferro, di grossezza nel mezzo
di 35 millimetri, ed ai lati di 20 millimetri.
Dalle basi s'estendono due falde per fissarla
con chiavarde alle piastre di ferro 0 di ghisa
distribuite ad ogni metro, di 43 centimetri
in quadro, in corrispondenza delle giunzioni,
e di 43 centim. in lungo per 35 in largo per
i ritegni intermedj. Queste piastre sono al-
quanto convesse, e ricurve per disotto ai
due lati paralleli all'asse della strada, per
contenere la massicciata ed impedire lo smo-
vimento della ruotaja. La distanza rispet-
tiva di queste è conservata da barre di ferro
cilindriche di 25 millimetri di diametro as-
sicurate con chiavarde alle suddette piastre.
La fig. 2.a rappresenta una guida a T,
alta 125 millimetri, grossa alla base 15 mil- {
limetri, basata sopra piastre di lamiera o di
ghisa come per la fig. d.a, alla quale è iden-
tica in ogni altra parte.
La fig. A rappresenta in piano le ruotaje
della fig. d.a e 2.a
La fig. 3.a rappresenta in spaccato tra-
versale una guida di sezione quadrata, fis-
sata con chiavarde sopra larghi correnti
{longrines) di lamiera ricurvi di sotto per
ritenere la massicciata. Alle giunzioni le
guide sono assicurate con chiavarde sopra
piastre ancor più robuste. La larghezza del
binario è qui pure mantenuto da tre spranghe
per ogni coppia di guide lunghe circa 4m50,
assicurate alle piastre di giunzione. Le guide
di questa forma potrebbero anche esser la-
minate in un sol pezzo coi correnti.
La fig. B rappresenta questo sistema in
piano.
La fig. 4.a rappresenta in sezione trasver-
sale una guida ad una sola lesta e eolla
base che serve di corrente, appoggiata sopra
piastre di giunzione come le sopra descritte.
La base della guida ha una scanalatura lon-
gitudinale, nella quale s'incastra un rialzo
praticato nella piastra per tenerla immobile.
Per la prima volta si è applicato a queste
ruotaje un sistema di barre a uncino e co-
piglia che può anche adattarsi ai correnti
ed alle guide rappresentate nelle precedenti
ligure.
Visto in piano, questo sistema presentasi
simile a quello della fig. B.
GIORiNALE DF.LL'IINGEGINEKE
134
Per massima , le barre di giunzione del
binario possono assicurarsi alla base stessa
delle guide ed in tal modo essere indipen-
denti dalle piastre.
Per eollegare le guide, invece di posare
le estremità di esse a piatto sopra una pia-
stra piana, si praticano nelle piastre di giun-
zione due scanalature nelle quali rientrano
gli orli ribassati della base delle guide, come
scorgesi nella fig. 5.a Questa modificazione
presenta un mezzo di più per tenere le guide
in posto, imperciocché se mai avvenisse che
si spezzassero le chiavarde, le guide non
cederanno alla pressione esercitata dalle
ruote e conserveranno la loro posizione.
La fig. G.a e C rappresentano un'altra
modificazione di questa piastra di giunzione.
Consiste nell'orlo esteriore della piastra ri-
piegato indietro per di sopra, ed in un'altra
piastra alla parte interna assicurata con
chiavarde sulla prima e rilevata in modo
da formare al pari dell'altra un incastro nel
quale s'intrudono le estremità piane delle due
guide. Tra questo pezzo aggiunto e l'orlo
della guida che passa sotto di esso si può
stendere una lista di cuojo reso impermea-
bile o di caoutchouc vulcanizzato, onde as-
secondare gli effetti della dilatazione delle
guide.
Agli attraversamenti a livello, la forma
interna del gambo della guida deve esser
tale che si possa rialzare la massicciata fino
al piano delle guide per il passaggio delle
vetture ordinarie, e lasciare una scanalatura
per ricevere l'orlo delle ruote del convoglio.
Si provvede a questa condizione con una
o l'altra delle quattro modificazioni seguenti.
l.° Rialzando la base della guida dalla
parte interna, come vedesi alla fig. 7.a
2.° Collocando alla stessa parte una cor-
donata di pietra o una linea di dadi, come
alla fig. 8.a
3.° Fissando sulla faccia superiore della
base all'interno del binario un rialzo di le-
gno a squadra foderata di lamiera f, fig. 9.a
4.° Fissando un rialzo m sopra la base
delle guide nelle diverse guise indicate dalle
fig. 10.a— I3.a
Queste disposizioni possono essere ap-
plicale a tulli i tipi di ruotaja sopra de-
scritti.
Si può anche profondare la scanalatura
in forma di canaletto jy (fig. 14.a) per ser-
vire anche allo scolo dell'aqua e del fango
che si raccolgono nell'incavo.
Le guide disegnate nelle fig. 15, 1G e 17
hanno alla base un nervo a croce per re-
sistere alle oscillazioni laterali prodotte dai
convogli.
Le guide fig. 18.a hanno per base un
guanciale di lamiera ad entrambi i Lati fisso
con chiavarde. Questi guanciali sono sosti-
tuiti ai correnti ed alle traverse di legno,
e permettono che si risvolti la guida quando
una delle teste è logora, il che non può
praticarsi colle forme solite dei sopporti.
Le guide a T, fig. 19.a, sono disposte sopra
quadri di granito o d'altra materia, di 4Gcent.
di lato, grossi 20 centina., distribuiti ad ogni
metro. Gioverà di collocare una lista di
caoutchouc sulla base della guida per ren-
dere le compressioni più dolci.
Le fig. 20.a 21.a e 22.a rappresentano in se-
zione trasversale varie forme di guide colle
teste di scambio. Sono costituite di un mem-
bro inferiore permanente che è la base sulla
quale si applica e si assicura con chiavarde
la testa o una piatlabanda su cui cammi-
nano le ruote, e sono la sola parte soggetta
a consumarsi. La fig. D è il piane delle dette
figure. La fig. 20.a rappresenta una guida
concava in forma di V rovesciato accaval-
ciato ad un nervo che continua su tutta la
lunghezza della sua base. Nella guida fig.21.a,
la testa rientra fra due guance che si rial-
zano dalla base. Il tipo rappresentato dalla
fi?. 22.a ha la sommità incavata a canaletto
in cui collocare una fodera di legno e un
mastice di sabbia per dare alle ruote ab-
bastanza aderenza nelle ascese alquanto più
forti delle ordinarie. Queste tre specie di
guide possono adattarsi semplicemente sopra
piastre disposte di distanza in distanza; nel
qual caso possono le basi delle guide essere
più strette, come si vede disegnato in piano
nella fig. E.
Le fig. dalla 23.a alla 2G.a rappresentano
in sezione trasversale varie forme di ruo-
ARCHITETTO
taje per gli attraversamenti a livello, le quali
si distinguono dalle altre per essere oppor-
tune anche per i veicoli ordinari sulle strade
di città e di campagna.
Tutti i suddescritti tipi di ruotaja richie-
dono l'uso esclusivo del ferro o della ghisa,
abbandonando le traverse edi correnti (lon-
c/rines) di legno. Sono tutti disposti sopra
terra, e la loro immobilità è assicurata dalla
larghezza della base della guida o dalle pia-
stre di fondo e d'unione ricurve su cui pog-
giano. Queste piastre hanno il vantaggio di
avere gli orli verticali resistenti meglio delle
traverse di legno ai movimenti laterali che
i treni tendono a produrre.
Le piastre così incurvate possono appli-
carsi ai sistemi delle ferrovie già esistenti;
nel qual caso il cuscinetto di ghisa si do-
vrà fissare di sopra mediante chiavarde a
galletto o a copiglia, come scorgesi alla fi-
gura 27.a
(DaM'lnvention. )
Il canale di Suez.
(Vedi alla pag. 34 e alla Tavola 9)
VII. Vestigia e regime dell'antico canale.
Per completare questi dettagli sull'antico
canale dell'istmo non mi resta che di de-
scrivere le vestigia che tuttavia sussistono.
Nel 1799 il letto dell'antico canale era
riconoscibile all'ingresso dell' Uaday-Tu-
milat fra Abbaceh e Ras-el-Uady su di
una lunghezza di più di 50 chilometri. Que-
sto antico letto fa parte in giornata del ca-
nale d'irrigazione il cui incile è a Zagazig
nel ramo Tannico (canale di Moeze) e che
va ad incontrare a Ras-el-Uady il canale
chiamato il Zafraneh, prolungamento del-
l'antico canale di Trajano, ovvero del Prin-
cipe dei Fedeli, canale che è stato ristabi-
lito per l'irrigazione della pianura e della
porzione posta fra il Cairo e l'Uady.
A levante di Ras-el-Uady sino ad Abu-
Keycheyd si ritrovavano appena delle de-
boli traccie dell'antico canale, che in que-
sta parte era stato riempito dalle sabbie :
ED AGRONOMO 135
ma al di là si presentavano allora, come in
giornata, sopra 5 o 6000 metri, i resti più
considerevoli di questo gran lavoro. Vi si
osserva infatti un ampio canale ben con-
servato, largo al fondo 90 metri, fiancheg-
giato da due dighe poco elevate. L'ordi-
nata del fondo è soltanto di lm87 al disopra
del mare; l'altezza delle dighe sul fondo è
di circa 4m. Si possono seguire le traccie di
questo gran lavoro sino di contro al san-
tone di Cheick-Ennedy sulla lunghezza di
più di 5000 metri; al di là la diga scom-
pare compiutamente. La diga a ponente
continua, ma si rialza successivamente con
un andamento assai irregolare fino al ba-
cino dei laghi Amari, col quale si congiunge
al nord-est. Si ritrova il canale all' estre-
mità di mezzogiorno del bacino dei laghi
Amari; l'andamento è alquanto irregolare,
la larghezza è da 40 a 50 metri, l'altezza
del fondo varia da 1 a 2 metri superior-
mente al mare, e le dighe sono più alte
da 4 a 5 metri. Nel 1799 queste vestigia
si vedevano distintamente fino alle rovine
di Qolzum a 2000 metri da Suez, e dopo
quest'epoca la parte che percorreva lungo la
spiaggia disparve interamente in seguito
all'invasione del mare.
Le escavazioni fatte in questa parte del
canale, sia nel 1799 sia nel 1847, dimostrano
che il canale stesso venne aperto in origine
ad un metro superiormente alla bassa marea.
A quest'altezza infatti si incontra costante-
mente il terreno naturale che appartiene
alla formazione del gipso di cui abbiamo
di già parlato. In quanto alla parte vicina al
lago Timsah, il suolo essendo sabbioniccio,
gli scavi sarebbero senza interesse ; ma la
ordinata attuale del fondo essendo di circa
lm 80, si deve supporre che il livello del
fondo del canale era presso a poco, in vi-
cinanza all'origine, alla stessa altezza di un
metro superiormente al mare.
La larghezza del canale in vicinanza
di Abu-Keycheyd presenta le apparenze
di grandezza e di regolarità che caratterizza
le opere degli antichi Faraoni, e se qual-
che porzione delle vestigia ancora visibili
possono essere attribuite a Ramsete II, è
136
GIORNALE DELL'INGEGNERE
certamente questa. L'andamento irregolare
del canale di Suez appartiene evidente-
mente ad un'epoca di molto posteriore;
da tale irregolarità si è dedotto che que-
st'opera è puramente araba, e che per con-
seguenza Dario e Tolomeo non vi ebbero
alcuna parte. Da molte considerazioni siamo
indotti a conchiudere che queste due opere
appartengono ad epoche assai lontane l'una
dall'altra, su di che è d'accordo l'istoria e
la tradizione.
11 letto della sezione del canale di Suez,
che sarà stato originariamente di 4 metro
superiormente alla bassa marea, venne in-
gombrato dai depositi e dalle sabbie por-
tatevi in un' altezza variabile da 0ra 80 a
lm 50. In qualche punto esso scomparve
compiutamente. I partitanli dell' opinione
secondo la quale il canale non sarebbe
stato giammai adoperato sono sostenuti dalla
mancanza delle alluvioni fluviali sia nel
bacino dei laghi Amari , sia nel canale di
Suez; ma in primo luogo nulla prova che
una porzione dei depositi che riempiono
al giorno d' oggi il canale ed il fondo del
bacino non provengano dalle acque del Nilo,
e si potrebbero citare molte località in cui
le acque di questo fiume hanno senza al-
cun dubbio circolato per molto tempo, ed
ove in giornata non si ritrovano che delle
sabbie; di più non vi sarebbe nulla di straor-
dinario a che le acque del Nilo uscendo
dal bacino dei laghi Amari fossero state
relativamente assai limpide. Gli è proba-
bile infatti che la maggior parte dei depo-
siti abbia avuto luogo all'ingresso di que-
sto bacino, e tutta la parte settentrionale è
al giorno d' oggi sì compiutamente invasa
dalle dune, che è impossibile di distinguere
letraccie dell'imboccatura del canale, e molto
meno i depositi che le acque del Nilo pos-
sono avere trasportato da dodici od anche
da ventiquattro secoli.
Nel bacino dei laghi Amari si osservano
dei resti di conchiglie situati a diverse al-
tezze. Sotto l'influenza di un clima conser-
vatore, ed in grazia alla solitudine del de-
serto questi resti fragili si sono conservati
fino a noi, ed essi attestano in giornata ,
come attesteranno per molto tempo ancora.,
di uno stato di cose che rimonta a dieci
secoli, e forse anche più oltre. I più alti
fra essi sono di lm 92 a 2m 28 superior-
mente alla bassa marea, vale a dire assai
prossimamente al livello delle alte maree
dell'acqua viva. Da ciò si è conchiuso che
i laghi Amari comunicavano un tempo li-
beramente col mare; d'altronde si sono tro-
vate le prove in un gran numero di specie
marittime che si riconobbero fra queste
conchiglie. Infine si attribuiscono i depositi
salini alle acque amare che riempiono ora,
come per lo passato, il fondo di questo
bacino, ed all'evaporazione delle acque del
mare contenute nello stesso bacino in con-
seguenza del chiudimento del canale di
Suez.
Primieramente non è ancora provato che
le specie marittime siano così abbondanti
in questi resti; quelli da me veduti sono
al contrario conformi a quelli che si in-
contrano sul lago Menzaleh; e l'altezza
dei resti più elevati proverebbe soltanto che
all'epoca in cui sono stati deposti, il livello
massimo delle acque dolci che riempivano
il bacino differiva di poco da quello del-
l'alta marea. In secondo luogo è il gipso
che forma la maggior parte delle cristal-
lizzazioni che si osservano nel bacino, e que-
sto gipso non proviene dal mare, ma dal
suolo slesso del bacino, ove esso è somma-
mente abbondante. In quanto agli altri
sali ed alle acque amare che occupano in
giornata la parte inferiore , come aveva
luogo già da trenta secoli, essi sono da at-
tribuirsi alle sorgenti saline che si sono
manifestate dopo che le acque dolci hanno
cessato di affluirvi. Come spiegare in al-
tro modo l'esistenza di queste sorgenti d'a-
qua in un luogo ove piove sì di rado , e
perchè supponendo che queste acque pro-
vengano dal mare, non evaporeranno come
quelle che vanno a riempiere il bacino?
L' esistenza dei resti di conchiglie e gli
avanzi assai caratteristici di un deposito
che si trova al sud del bacino provano
categoricamente che il bacino stesso venne
riempito. Gli indizii lasciatici dagli istorici
ARCHITETTO
provano tutti che venne riempito dalie
acque dolci, e non si sa trovarne un solo
in favore della libera comunicazione col
mare: per tutte le persone non prevenute
queste prove mi sembrano bastanti, ed io
credo inutile di più a lungo insistere. Si
aggiungerà soltanto che allorquando pure
si dimostrasse che il bacino è stato inve-
stito dal mare dopo ["abbandono del canale
dagli Arabi, ciò non proverebbe in alcun
modo che avanti quest' epoca , per molto
tempo e per più riprese, sia stato occupato
dalle acque del Nilo.
Proviamo ora a rendere conto del re-
gime del canale nelle diverse epoche in
cui venne posto in azione.
In primo luogo il fondo del canale di
Suez essendo di un metro superiore alla
bassa marea, ne risulta che la velocità del-
l'acqua in questa parte non poteva punto
eccedere i 2 metri. Il punto più basso del
suolo di Suez è infatti di circa 3m supe-
riore della bassa marea, e se il livello delle
acque nel bacino dei mari avesse ecceduto
quest' altezza, era necessario di impedire
lo scolo verso il mare mediante una diga.
Se questa diga si trovava elevata di più
metri, ne resterebbero delle traccie;ma sup-
ponendola da 2m a 2m 50, non vi è da
sorprendersi che sia scomparsa. Ciò non
pertanto se il livello del bacino ha superato la
sponda di 3 metri, ciò non è molto, inquanto-
chè secondo tutte le apparenze doveva oscil-
lare in acque alte fra i 3 ed i 4 metri al più.
Ciò posto e volendosi riportare all'epoca
di Ramsete II, l'ordinata del Nilo essendo,
come già l'abbiamo indicato, alla presa delle
acque a Bubaste, di 5 metri nelle acque
basse, e di 9 metri in acque alte, superava
nel primo caso di 1 a 2 metri, e di 5 a 6
metri nel secondo, il livello del bacino dei
laghi. Coi dati e le dimensioni del canale
gli è facile il determinare la portata, la
quale non poteva eccedere i 15 metri per
secondo in acque basse, e di 90 metri in
acque alte (i) ; ora in quel clima l'evapora-
ta Questo canale adunque sarebbe stalo presso
a poco come la Muzza, la cui portala per un me-
dio è di metri 61 per secondo.
Voì- 1U Sellembr
ED AGRONOMO jgt?
zione sola toglieva in ciascun giorno uno
strato d'acqua almeno dell'altezza di 1 cen-
timetro su tutta l'estensione del corpo d'ac-
qua del bacino, ciò che corrisponde a circa
30 metri per secondo. Gli è pure probabile
che questa evaporazione fosse almeno dop-
pia in estate; e se si aggiunge a questa
cifra il consumo fatto dallo stesso canale per
1' irrigazione del terreno, allora coltivato,
che attraversava, ne consegue evidente-
mente che il deflusso era insufficiente du-
rante una parte dell' anno per alimentare
il bacino dei laghi, e che per conseguenza
il livello di questo bacino doveva abbas-
sarsi sino al momento in cui la piena del
Nilo veniva ad aumentare la portata del
canale al disopra della cifra necessaria
per l'alimentazione. Uno strato di 1 metro
di altezza nel bacino dei laghi rappresenta
circa 260 milioni di metri cubici, e suppo-
nendo che il canale fornisca un eccesso di
30 metri per giorno sui bisogni d' alimen-
tazione, sarebbero stati necessari 100 giorni
per condurre questa quantità d'acqua nel
bacino e rialzarvi il livello di un metro.
Da un altro canto l'evaporazione sottraen-
do nella bella stagione almeno 2 centi-
metri per giorno, ossia 1 metro in cinquanta
giorni, se il bacino fosse stato cento giorni
senza ricevere, nulla , il suo livello si sa-
rebbe abbassato di 2 metri, e se lo si sup-
pone alimentato della metà, durante cento
giorni l'abbassamento sarebbe stato di un
metro.
Il livello del bacino dei laghi oscillava adun-
que, secondo tutte le apparenze, di un'altez-
za da 1 a 2 metri dal basso all'alto al mas-
simo; con che non veniva a superare, come
si è veduto, il fondo del canale che di due o
tre metri al più. Da ciò risulta che in ciascun
anno all'epoca delle magre la quantità d'ac-
qua nel canale tanto all'ingresso quanto
all'uscita dei laghi diveniva insufficiente per
la navigazione, la quale rimaneva in tal
modo sospesa sino al ritorno delle piene. Il
livello del Nilo alla presa delle acque si
era probabilmente innalzato di circa un
metro sotto i Tolomei; ma da un altro lato
il ramo Pelusiaco si è impoverito; e tutto
e 1855. 18
438
GIORNALE DELL' INGEGNERE
bilancialo, i risultati dovevano essere pres-
soché i medesimi.
I Romani e gli Arabi avendo rialzato
la presa dell' aqua , riesciva più facile di
mantenere le acque nel bacino ad un li-
vello costante ; ma vi è grave dubbio che
le dimensioni e le pendenze del canale fos-
sero per ciò convenientemente calcolate, e vi
è luogo a credere che il regime del bacino
fosse sottoposto a delle variazioni analoghe
a quelle che abbiamo indicato pei tempi
anteriori.
Da questo esame io credo conchiudere:
d.° che la navigazione nell' antico canale
fu sempre intermittente; 2.° che la quantità
d' acqua non eccedeva i 2 metri nei mo-
menti più favorevoli; 3.° che il livello del
bacino dei laghi Amari si abbassava cia-
scun anno al di sotto di quello della bassa
marea; 4.° che il canale che venne costruito
principalmente per la interna navigazione
non poteva accogliere che delle navi marit-
time assai piccole.
Vili. Progetti moderni.
Qualunque siano le presunzioni che ab-
biamo presentato sul regime dell' antico
canale, un punto almeno è fuori di dubbio;
ed è che i progetti di canalizzazione del-
l'istmo conosciuti od eseguiti nell'antichità
o nell'età di mezzo non avevano altro scopo
che di mettere il Nilo in comunicazione
col mar Rosso, e per conseguenza non si
applicavano essi che all'ordinaria naviga-
zione del fiume, e che soltanto le navi più
piccole potevano penetrare in quelli fra
questi canali che furono compiuti. Il pro-
blema della comunicazione dei due mari
mediante un canale disposto per la grande
navigazione marittima non è dunque stato
risolto né tampoco immaginato negli anti-
chi tempi. Anzi si deve aggiungere che
fino al 4847 esso non lo fu d'avvantaggio,
come lo si potrà scorgere dalla esposizione
dei progetti studiati nei tempi moderni.
Dopo il Califfo Al-Mansur (767) fino alla
spedizione d' Egitto non si parlò più sul-
l' istmo di Suez. Le operazioni fatte nel
1799 dagli ingegneri addetti a quella spedi-
zione hanno servito di base a tutti i pro-
getti presentali dopo tale epoca; i risultati
di queste operazioni sono erronei; tali pro-
getti mancano di fondamento, per cui ci
limiteremo ad indicare le principali dispo-
sizioni.
Il primo di questi progetti, compilato dal
Lepère, ingegnere in capo di ponti e strade,
attaccato alla spedizione ('), lo divide in due
rami distinti: il primo, il quale altro non è
che la riproduzione dell' antico canale, è
diretto dal Nilo verso il mar Rosso; il se-
condo, che è destinato a riunire il fiume
col porto di Alessandria, non è altro che
il canale di Alessandria attualmente detto
il Mamudia, ristaurato e riaperto; la comu-
nicazione fra questi due rami si stabiliva
mediante i diversi canali del Nilo (2).
Da questo solo enunciato si scorge che
tale progetto non si applicava che ad una
navigazione interna, e con un debole corpo
d' acqua. Infatti colle disposizioni indicate
dal Lepère, ammettendo le ordinate della
livellazione del 1799, la stagione della na-
vigazione coli' altezza d' acqua di 2 metri
avrebbe durato appena novanta giorni e
l'altezza di 3 metri tutt'al più 30 giorni al-
l' anno.
Il Lepère suppose che il mar Rosso ve-
nisse introdotto nel bacino dei laghi Amari
col mezzo di un taglio bastantemente ampio
praticato nel suolo di Suez; il ramo orien-
tale, la cui origine è nel braccio di Moeze
in vicinanza al luogo dell' antica Bubaste
(attualmente Teli-Basta) e per conseguenza
in un punto assai vicino alla presa d'acqua
del canale dei Faraoni, sboccava nei laghi
Amari in vicinanza di Serapeum. In que-
sto progetto non si avevano che due so-
stegni l' uno situato all'ingresso, del bacino
dei laghi Amari di fianco a Suez, destinato
a rendere il livello del bacino indipendente
(1) Descrizione dell'Egitto, lom. II.
(2) 11 canale di Moeze fino al braccio di Da-
mietla; questo braccio fino al canale Farunieh ;
quest' ultimo canale ed il ramo di Rosella fino al ca-
nale di Alessandria.
ARCHITETTO
dalle variazioni del mar Rosso, l'altro si-
tuato in vicinanza di Ras-el-Uady, che di-
videva il braccio orientale in due parti
con alimentazione indipendente. Questa di-
sposizione doveva essere interamente mo-
dificata in seguito alle operazioni del 1847,
e sarebbero stati necessari più sostegni
per superare l'altezza di circa 7 metri
ove le acque magre del Nilo a Teli-Basta
sorpassano il livello delle basse maree.
Il ramo occidentale., composto di due
tronchi ciascuno, dei quali terminato da un
sostegno, sboccava da una parte nel lago
Mareotide e dall'altro nel lago Madieh, con-
tinuando la navigazione attraverso di que-
sti laghi, sia verso Alessandria, sia verso
la rada d'Abukir.
Questo progetto venne modificato felice-
mente da Linant di Bellefonds, ingegnere i
in capo al servizio del Bascià d'Egitto, che
ha subordinate le disposizioni all' esegui-
mento della chiusa allora progettata, e da
molti anni in corso di esecuzione in testa
del Delta. Questa chiusa di cui si è già
parlato doveva avere per risultato di rial-
zare notevolmente le acque del Nilo nella
parte superiore; egli era adunque naturale
di prendere la chiusa in tal modo formata
per punto di partenza dei due rami del ca-
nale, l'uno diretto verso Alessandria, l'altro
verso lady-Tumilat ed il mar Rosso. R
Linant suppone che il bacino dei laghi Amari
sia riempito dalle acque del Nilo; egli asse-
gna al canale I' altezza d'acqua di 3ra 52
in tutti i tempi, e distribuisce la pendenza
da superarsi per ciascun ramo, fra sei so-
stegni secondo le ordinate del 1799.
Basato, come si vede, sull'esecuzione della
chiusa del Nilo, questo progetto è convenien-
temente disposto secondo i livelli attribuiti
alle acque del Nilo ed ai due mari. I livelli
reali conducono al rifacimento del profilo
del canale; l'altezza d'acqua è insufficiente
per un canale marittimo, ma la disposizione
generale del tracciato è presso a poco la
migliore, ad eccezione perù che in luogo
di situare in vicinanza del Cairo la presa
d'acqua del ramo orientale, è indispensabile
di trasportarla immediatamente a monte
ED AGRONOMO 439
della chiusa. La disposizione adottata dal
Linant avrebbe due inconvenienti; l'uno
di allungare senza bisogno e nello stesso
tempo senza alcun utile il corso di fiO chi-
lometri ; l'altro, molto più grave, di subor-
dinare la navigazione a tutte le difficoltà
che può presentare il letto del Nilo fra la
chiusa ed il Cairo. Sarà di già assai dif-
ficile il conservare a monte della chiusa
un canale di una profondità bastante; le
più potenti risorse dell'arte non basteranno
per assicurare un simile risultato nella parte
del Nilo così inutilmente percorso.
Qui non si parlerà degli altri progetti
proposti sulla direzione da Suez ad Ales-
sandria, progetti che appoggiano tutti sulla
livellazione del 1799, e per conseguenza non
sono molto diversi di quelli di Lepère e
Linant; ma si verrà a dire di quei pro-
getti che hanno per oggetto la comunica-
zione diretta fra i due mari attraverso
l'istmo seguendo il cammino più breve. Que-
sti progetti appartengono a due sistemi di-
versi; gli uni, come quello indicato da Amru
e respinto dal Califfo Omar, suppongono
una biforcazione alimentata dalle acque del
Nilo, colla quale si possano tradurre le acque
nei due mari; gli altri seguendo il sistema
adottato dal Lepère e dal Linant, si appli-
cano ad un canale alimentato dalle acque
del mar Rosso. Allorché si suppone che
questo mare si trovi più elevato di 9 me-
tri sul Mediterraneo, egli è infatti naturale
di stabilire la comunicazione fra i due mari
scaricando il più alto nel più basso. La
facilità di questa operazione e la proba-
bilità del suo successo non erano sfuggite
al Lepère, il quale le ha indicate in poche
parole, ma quanto basta nella sua memoria
sul canale dei due mari (').
(*) In questo progetto del canale di Suez non
abbiamo espressamente motivala la scelta dell'an-
tica direzione per f interno del Della verso Ales-
sandria sulle considerazioni commerciali particolari
all' Egitto, e sopra ciò che la cosla verso Pelusio
non sembra permettere lo stabilimento marittimo
permanente. Ciò nullameno crediamo dover rico-
noscere che, astrazione falla a queste considerazioni,
140 (UORNÀLE DELL
Dietro questa rapida veduta il Lepère non
indica chiaramente le disposizioni del ca-
nale diretto; ma è evidente ch'egli intende di
parlare di un canale a sostegni alimentato
sarà tuttavia facile (ciò che sembra al contrario
difficile, e nello slesso tempo pericoloso prima del-
l' invenzione delle conche) di aprire una comuni-
cazione diretta fra i laghi Amari ed il Ras-el-Moyeh,
prolungato sulla sponda orientale del lago Menzaleh
fino al mare verso Pelusio. Non abbiamo fatta la
livellazione positivamente seguendo questa direzione
da Serapeum al Ras-el-Moyeh, ma su di una linea
poco discosta e paralella da Muqfar alla punta di
Menzaleh, ove abbiamo rimarcalo che il suolo basso
e salino facendo seguilo all' Uady , dovette essere
coperto dalle acque del Nilo, ed anteriormente
da quelle dei laghi Amari, dal quale non è se-
paralo che col mezzo di una levala fatta dalla
mano dell'uomo; crediamo pure che non si avrebbe
a costruire che qualche porzione di diga al Ras-el-
Moyeh, elevandosi il deserto da tulle le parti su-
periormente al basso fondo; pensiamo d'altronde che
un canale aperto seguendo questa direzione presen-
terebbe un vantaggio che non avrebbe il canale nel-
l'interno. Infatti la navigazione vi potrebbe essere co-
stante, ne sarebbe sottoposta alle alternative di piena
e di magra del Nilo ; sarebbe facile di ottenere una pro-
fondità più considerevole che quella del primo ca-
nale col mezzo di una corrente alimentala dall' im-
menso serbatoio dei laghi Amari, ove le acque per
la loro caduta potrebbero acquistare una velocità
capace di impedire i deposili di sabbia che i vcnli
vi portassero dal deserto. Si deve ben osservare che
non si avrebbe a temere che vi si formassero dei
depositi di chiudimento come esistevano alle bocche
di Damielta e di Rosetta, inquantochè le acque dei
laghi Amari che alimenterebbero i canali non de-
positerebbero del limo, e la velocità della cor-
rente che si potrebbe rinchiudere fra due getti do-
vrebbe conservare un canale bastantemente aperto
e profondo. Ma eseguendosi questo canale sarebbe
indipendente da quello dell' interno che riunisse lutto
il commercio dell' Egitto in un altro centro comune,
e specialmente alla citlà del Cairo, ove fanno capo
lutte le relazioni commerciali dell'Africa.
Questo canale conservandosi sempre navigabile,
si potrebbe più spesso approfittare dei venti favo-
revoli all' uscita del mar Rosso, ciò che non per-
metterebbero le piene troppo differite del Nilo, che,
come si è dello, non coincidono coi tempi medj dei
'INGEGNERE
dalle acque del mar Rosso, e disposto in
maniera che al hisogno \i si potesse sta-
bilire col mezzo del gran serbatoio dei la-
ghi Amari una corrente bastante per poter
avere il passaggio alla sua imboccatura
nella baja di Tineh. Si farà soltanto rimar-
care che il Lepère sembra qui ammettere,
come in più altri luoghi della sua memo-
ria, che il lago Timsah comunica col lago
Menzaleh mediante una vallata che termina
al Ras-el-Moyeh. Ciò è un errore facile a
riconoscersi, e che la carta della spedizione
contraddice formalmente. Il lago Timsah
è un chiassetto che è nello stesso tempo
separato dal lago Menzaleh mediante il colle
d'Elferdan, la cui altezza è di 45 metri, ed
ove la minor larghezza è di 15 chilometri.
11 Linant calcolando sull'esattezza delle
livellazioni degli ingegneri della spedizione
e riprendendo l'idea del Lepère, giunse ad
un progetto più razionale e grandioso. Que-
sto progetto consiste nelF aprire fra i due
mari una comunicazione libera formante un
gran fiume d'acqua salsa o piuttosto, come
si esprime il suddetto ingegnere, un bosforo.
Se si ammette infatti che le alte maree del
mar Rosso sorpassano circa 10 metri il li-
vello del Mediterraneo, e che il suolo del-
l'istmo vada, come l'indicano le livellazioni
del 1799, costantemente abbassandosi sino
al Nord, dimodoché per gettare in massa il
più alto nel più basso basterebbe di tagliare
il terreno più elevato di Suez e di Serapeum,
e sarebbe icon ciò assicurata la soluzione
la più economica e completa del problema
della comunicazione dei due mari come ha
proposto il Linant; la più economica, poiché
l'aprimento del canale non esigerebbe che
monsoni; sarebbe infine assai utile per le spedi-
zioni degli ordini e dei dispacci che esigono la
maggior celerità. Si aggiunge che non si vede al-
cuna difficoltà a riaprire ed a conservare alla pro-
fondila conveniente il canale fra Suez e la sua
spiaggia, che si proporrebbe di stabilire ad uso delle
corvette ed anche delle fregale la comunicazione
direila dei due mari per l'istmo, ciò che divente-
rebbe il complemento di questa grande ed impor-
tante operazione. (Descrizione dell'Egitto, l. II.)
ARCHITETTO
dei movimenti di terrò quasi insignificanti,
e non una sola opera d'arte; la più com-
pleta, se, come Linant la crede certa, la grande
conente d'acqua chiara che porterebbe il
canale al Mediterraneo basterebbe a conser-
vare un passaggio conveniente attraverso
la plaga del Tineh.
Ecco le principali disposizioni di questo
progetto:
I terreni di Suez, di Serapeum e d'EI-
Ferdan (poiché il Linant conosce troppo
bene i luoghi per non commettere lo stesso
errore del Lepère in quanto all'ultimo) sono
intersecati da solcature di 3 metri di pro-
fondità sopra do metri di larghezza media.
Il Linant lascia in seguito alla corrente che
deve attivarsi attraverso queste solcature
coU'introduzione delle acque, la cura di ap-
profondirsi e di allargarsi in modo di as-
sicurare ovunque al canale una larghezza
media di 50 metri ed una profondità da 6
a 7 metri rappresentante un'altezza d'acqua
da 4 a 5 metri. Il Linant suppone che
uscendo dalla solcatura d'El-Ferdan le acque
seguiranno una vallata che si dirige verso
Pelusio da Bir-Abu-Roq; ma gli studi del 1847
non hanno potuto fornire alcuna traccia di
questa vallata; essi dimostrano al contrario
che i bassi fondi di Krayeh, come pure la
piccola vallata nella quale si trova Bir-
Abu-Roq, versano egualmente le loro acque
nel lago Ballali, e che il livello del terreno
va innalzandosi costantemente senza alcuna
interruzione partendo dalle sponde del lago
sino sui pendii superiori della catena arabica.
La catena delle dune mobili che si mani-
festa sopra queste pendenze da Bir-Abu-
Roq ad Abu-Assab presso a poco secondo
una linea orizzontale compresa fra le co-
ste di 20 e 40 metri, forma infatti una spe-
cie di vallata secondaria diretta verso il Me-
diterraneo. Ma questa vallata è senza pro-
fondità, e molto più elevata del livello del
mare. Il progetto del Linant non si po-
trebbe adunque eseguire secondo questa di-
rezione. Ciò nullameno non si avrebbe al-
cun ostacolo a seguire le sponde del lago
Menzaleh scegliendo convenientemente il
terreno, ed in questa parte non si cambie-
KD AGRONOMO jfj
rebbe gran che la disposizione generale del
progetto.
Preoccupato della differenza di livello del
Mar Rosso colle terre basse dell'Egitto, il
Linant propose di eseguire due robuste di-
ghe per impedire ildebordamento delle acque
salse sul Delta; l'una di queste dighe sarebbe
situata all'ingresso della vallata del Tumi-
lat, e l'altra in vicinanza del Ras-el-Moyeh.
Un semplice cavo di direzione scavato nella
valle di Bir-Abu-Roq servirebbe di primo
letto alle acque, le quali, per la loro velo-
cità avrebbero, secondo questo ingegnere,
subitamente trasformato questo piccolo letto
in un gran fiume, e giungerebbero così nel
piano di Pelusio che verrebbe attraversato
col mezzo di un canale colla foce al mare
fra le mine di Pelusio e quelle di Faramah;
questo canale fiancheggiato da una diga de-
stinata ad impedire lo scarico delle acque
salate nel lago Menzaleh sboccherebbe nella
baja di Tineh, ove dalla corrente sarebbe ben
tosto aperto un largo e profondo passo.
Il Linant pensa che col mezzo di canali,
qualunque ne fosse l'energia, non potreb-
besi giungere ad aprire il passaggio in vi-
sta della limitata inclinazione del terreno, e
della distanza di 7 ad 8 chilometri di lun-
ghezza; egli erede al contrario che la grande
corrente d'acqua chiara scaricandosi me-
diante l'imboccatura del nuovo bosforo pro-
durrebbe infallibilmente questo risultato.Egli
propose per assicurare l'ingresso al canale,
e per proteggerlo contro i depositi del Nilo
spinti dalla corrente litorale, l'esecuzione
a ponente del passaggio, di un getto che si
spingerebbe possibilmente lontano, e che
secondo lui basterebbe per assicurare in
lutti i tempi alle navi la possibilità di im-
boccare il passo direttamente senza dar
fondo. Il lago Timsah in questo progetto
diventerebbe un gran porto naturale. In
quanto all'ingresso del Mar Rosso il Linant
ha supposto che la velocità della corrente
scaricata da questo mare nel canale ajutata
dall' azione delle cucchiaje conveniente-
mente impiegate basterebbe per approfon-
dirlo e renderlo praticabile alle navi.
142
IX. Studj del 4847.
I diversi progetti che abbiamo indicali
erano rimasti nel dominio delle specula-
zioni teoriche, e nulla annunziava ch'essi
dovessero uscire per molto tempo, allorché
nel 4846, dietro l'iniziativa di P. Enfanlin,
che da venti anni non ha mai cessato dal
richiamare con tutti i mezzi 1' attenzione
pubblica sopra questa grande questione, si
è formata una società nell'intenzione di
riunire mediante studj rigorosi e completi
gli elementi di una soluzione. Questa so-
cietà è composta di tre gruppi, tedeschi, in-
glesi e francesi, ed è costituita principal-
mente d'uomini di queste tre nazioni eletti
dal commercio. Tre ingegneri, membri della
società, cioè i signori Roberto Stephenson,
Luigi Negrelli e Paolino Talabot, furono
incaricati della direzione degli studj e si
divisero il lavoro nel seguente modo: Ste-
phenson e Negrelli si incaricarono delle
operazioni da eseguirsi nel mar Rosso e nel
Mediterraneo, e l'ingegnere francese di quelle
che concernono l'istmo (').
Nel 30 aprile 4847 una compagnia di in-
gegneri tedeschi muniti di tutti gli istro-
menti necessarj prendevano dimora nella
baja di Tineh ed impiegavano quasi tre
mesi a fare su questa baja uno studio pro-
fondo.
1 lavori topografici eseguiti sul Mar Rosso
mediante la cura dell'ammiragliato inglese,
bastano per il momento, e gli studj detta-
gliati della rada di Suez furono in conse-
guenza aggiornati.
Dal mio canto mi occupai immediata-
mente di riunire il personale e di preparare
le istruzioni necessarie per le operazioni di
cui venni incaricato.il difetto di verificazioni
delle operazioni del 1799, le circostanze nelle
quali erano state eseguite, erano di natura
tale da inspirarmi dei dubbj sull'esattezza dei
(i) La presente memoria è scritta da questo in-
gegnere francese sig. Paolino Talabol, ed inserila
nella Revue des deux mondes del mese di mag-
gio 1855.
0 IO UN A LE UELE'lINGEC.ISEHE
dati allora raccolti. Cionnullameno l'abilità e
la riputazione degli ingegneri che avevano
essi stessi operato in queste livellazioni, la
verificazione ch'essi credevano di aver fatta
col mezzo della piena straordinaria del 4800,
infine la testimonianza di Linant, che abita
l'Egitto da lungo tempo, e che conosce per-
fettamente le località, tutto si riuniva per
confermare i risultati ottenuti dagli inge-
gneri della spedizione.
Tuttavolta era bene di riscontrarli, in-
quantochè questi risultati avevano qualche
cosa di straordinario e di contrario alle
leggi matematiche. L' enorme differenza di
livello che si ravvisava fra i due mari sulla
distanza di appena 440 chilometri, era del
tutto inesplicabile; infatti essa rimase ine-
splicata. Si poteva attribuirla ai venti che
regnano nel Mar Rosso, inquantochè questi
venti soffiano durante la maggior parte del-
l'anno dalla regione del nord, ed essi ten-
dono ad abbassare piuttosto il livello di
questo mare che ad innalzarlo. D'altronde
quel fenomeno prodigioso non poteva essere
prodotto che da un vento dominante assai
violento ed assai costante per sollevare le
acque di un mare intero di 9 metri! Le
correnti osservate sia in questo mare, sia
allo stretto di Bab-el-Mandeb, sia nel mare
delle Indie, non hanno nulla di straordina-
rio; niun fatto adunque poteva giustificare
questo risultato, e son rimasto vivamente
preoccupato di tale mancanza di giustifica-
zione d'un fenomeno così meraviglioso e
della deficienza di qualsiasi verificazione
delle operazioni degli ingegneri della spe-
dizione. Cionnonpertanto di fronte a risultati
positivi affermati da uomini di un merito
eminente e confermati dagli studj locali
di Linant di Bellefonds, io non poteva
più esitare, e dovetti accettare come certo
che una differenza notevole di livello esi-
stesse fra i due mari. La sola questione da
appurarsi era la quantità esatta di questa
differenza, e la disposizione geometrica del
terreno dell'istmo che li separa.
In base a queste considerazioni furono
disposte le istruzioni alla compagnia fran-
cese, istruzioni che limitavano gli studj al
ARCHITETTO
terreno compreso fra il Cairo, Suez e Tineh.
Se non fossi stato convinto dell' esattezza
delle operazioni del 1799, avrei certamente
aggiunta la direzione dal Cairo ad Ales-
sandria : ma confidando nei risultati di
quelle operazioni, ho dovuto astenermi dal
prescrivere un lavoro lungo, dispendioso, e
secondo tutte le probabilità senza alcun in-
teresse. La compagnia francese fu posta
sotto la direzione di Bowdaloue , abile e
pratico ingegnere, che in materia di livel-
lazione gode una riputazione incontestata, e
che da 30 anni ha eseguito sotto la mia
direzione delle operazioni, assai estese e dif-
ficili. Tale comitiva si componeva di un
geometra triangolatole, di un capo delle
livellazioni , e di otto operatori esercitati.
Questa compagnia, fornita di eccellenti istro-
menli, arrivò al Cairo il 17 settembre 1847.
Col concorso benevolo del Linant la spe-
dizione fu bene accolta dal Viceré, il quale
premuroso e con somma liberalità pose a
sua disposizione tutto il personale e tutto
il materiale che poteva essere necessario
pei lavori della spedizione, e volle ezian-
dio incaricarsi di provvedere a sue spese
alla sussistenza della comitiva durante tutto
il tempo delle operazioni nel deserto. Sua
Altezza accordando una scorta di sessanta
soldati, dieci beduini delle tribù del deserto,
sessanta camelli, venti dromedarj, trentadue
tende, ecc., volle inoltre autorizzare il Li-
nant di Bellefonds, direttore generale dei
ponti e delle strade in Egitto, e quattro in-
gegneri allievi egiziani a riunirsi ai lavori
della compagnia. Questa compagnia si di-
vise in due parti; luna di esse cominciò ad
operare il 25 settembre partendo dal Cairo
e dirigendosi verso l'Uady-Tumilat; l'altra
si mise sulla strada per il centro dell'istmo
ed arrivò in vicinanza al Iago di Timsah
1' 8 ottobre. Le operazioni dell'istmo conti-
nuarono ciò nullameno i mesi di ottobre e
novembre sino al 10 dicembre, ed un'ultima
verificazione venne prolungata sino al 6
gennajo.
Ciascun gruppo di operatori era diviso in
due sezioni, l'ima delle quali incaricata delle
triangolazioni e delle operazioni geometri-
En agronomo 143
che, l'altra delle livellazioni longitudinali e
trasversali. La prima sezione precedeva la
seconda, la quale nelle sue operazioni sì
congiungeva coi punti trigonometri deter-
minati dai triangolatori. Tutte le operazioni
vennero fatte con eccellenti stromenti ese-
guiti o scelti per la circostanza (i). Tutte le
precauzioni d'uso si sono prese nel rego-
lamento, nel maneggio e nell'impiego di
questi strumenti (2). Non si operava giara-
(*) 4 teodoliti di Bicher
3 livelli grandi .... di Gavet
2 simili col sistema Bourdaloue
2 simili piccoli ....
3 bussole di 20 centimetri . di Chevalicr
5 simili di 18 centimetri.
(2) Tulle le livellazioni si sono falle con delle
biffe divise dall'alto al basso, e segnale con cifre
che si potevano leggere col cannocchiale, eseguite,
dipinte, e graduale per la circostanza.
Da lungo lempo venne abbandonalo l'uso delle
biffe a colisse e collo scopo, che possono essere
utilmente impiegate per desumere qualche altezza
isolala, ma il cui uso nelle grandi livellazioni è
estremamente complicato, assai lento e soggetto ad
errori. II collocamento dello scopo nel raggio vi-
suale fa perdere un lempo considerevole ; esso è
quasi impossibile allorché Irovasi molto alto e quando
soffia il vento. Queste biffe esigono delle persone
esercitate, abili a leggere le cifre, e che sappiano
notare le altezze; e siccome di rado si trovano si-
mili persone bastantemente sicure, e nel suppo-
sto anche che se ne abbiano, essendo suddivisa
fra due operatori, è più facile incorrere negli errori,
per cui volendo operare con certezza è d'uopo che
in ciascuna battuta l'osservatore esamini egli stesso
la biffa; ciò che produce una soverchia perdita di
tempo; infine queste biffe sono molto più difficili
a costruirsi, mollo più fragili, e di rado suscettibili
di riparazione. Dietro queste considerazioni da lungo
tempo venne abbandonato l'uso delle biffe collo
scopo, le quali d'altronde, come ognuno sa, non
sono più impiegale nella maggior parte dei paesi
che sono innanzi nelle materie dei grandi lavori
pubblici, fra i quali Irovasi l'Inghilterra. D'altra
parie il Bourdaloue giunse a perfezionare talmente
il materiale e la pratica della livellazione con delle
biffe a regolo in modo da rendere tali lavori deli-
cali ed accessibili a degli operatori mediocremente
esperimenlati, senza punto sacrificare alla certezza
144
GIORNALE DELL' INGEGNERE
mai senza assicurarsi che l' istrumento si
trovasse in buono stato, e ciascun operatore
faceva costantemente capovolgere il can-
nocchiale, non che tutte le ripetizioni ed os-
servazioni necessarie per assicurarsi dell'e-
dolle operazioni, assicurando al contrario l'esattezza
col mezzo di numerose verificazioni. Mediante questo
processo che in giornata venne divulgalo fra i nu-
merosi operatori da lui slesso formati, sono state
condotte le livellazioni della comitiva prendendosi
inoltre tutle le precauzioni che la sua esperienza
gli ha suggerito per assicurarne l'esattezza.
Tutti gli istromenli verificati con diligenza e con-
frontati, ciascuna sezione di ingegneri applicati alla
livellazione per ciò che concerne il profilo longitu-
dinale, si componeva di due osservatori, ciascuno
dei quali fornito di un livello, assistilo da un let-
tore (ajulantc) e da due porta-biffe. L' operatore
soltanto maneggiava l'islromenlo; il lettore non
aveva altra funzione che di assistere l'operatore e
di risconlrarne la lettura dell'altezze e le calcola-
zioni. A ciascun'osservazione l'operatore ed il let-
tore che tenevano dal canlo proprio le loro ma-
trici osservavano indipendentemente l'uno dall'al-
tro; il lettore annunciava l'altezza ad alla voce;
mal' operatore non faceva conoscere la sua osser-
vazione, se la differenza fra le due altezze Ielle
sorpassava i due millimetri, ciascun d'essi osser-
vava di nuovo; se essa era minore, l'osservazione
era tenuta per buona ed il lavoro continuava.
I due operatori di ciascuna sezione lavoravano
indipendentemente l'uno dall'altro, ed in modo che
le loro livellazioni venivano soltanto ad incontrarsi
ed a confrontarsi ogni 2 o 3 chilometri. A ciascun
riscontro si confrontavano le ordinate. Se la diffe-
renza oltrepassava i 12 millimetri, l'operazione si
ricominciava partendo dall'ultimo punto d'incontro.
Con questa disposizione una sezione composta
di due osservatori capaci di maneggiare l'islro-
menlo, di due lettori e di quattro porta-biffe cam-
minavano mollo rapidamente verificandosi costan-
temente fra loro, senza che vi potesse essere alcun
dubbio sulle operazioni compiute.
Ben inteso che ciascun operatore prendeva la pre-
cauzione di collocare l'islromenlo ad eguale di-
stanza fra gli scopi per evitare l'effetto della rifra-
zione, e che il lavoro fu sempre sospeso durante
le ore in cui l'elevazione del sole rendeva necessa-
riamente in un paese così caldo come l' Egitto le
operazioni incerte.
sattezza del rilievo, por correggere gli errori
provenienti dalle imperfezioni inevitabili nel-
l'uso degli istromenti. Ciascuna linea di li-
vellazione era seguita nello stesso tempo da
due operatoli che agivano separatamente e
che si ordinavano per confrontare le ordi-
nate di distanza in distanza. In questo modo
si è sempre progredito da ciascuna sezione
verificandosi essa medesima; di più due
grandi verificazioni dell'operazione generale
sono state fatte l'una mediante la livella-
zione da Suez al Cairo percorrendo la strada
delle Indie, l'altra mediante una seconda
livellazione a grandi tratte dal Mediterraneo
al Mar Rosso.
La prima di queste verificazioni ha dato
per l'ordinata al Cairo una differenza di 7
centimetri soltanto ; la seconda fatta rapi-
damente ed a grandi tratte presentò una
differenza di 58 centimetri tra Suez e Tineh,
ed avrebbe per risultato di abbassare di al-
trettanto il livello del Mar Rosso. Questa
livellazione essendo stata fatta con minor
cura della precedente livellazione inerita
minor confidenza ; ma tale qua! è basta per
dimostrarne l'esattezza. Si deve adunque
ammettere sino ad una contraria dimostra-
zione risultante da operazioni fatte colla
medesima cura, e mediante operatori altret-
tanto esercitati: 1.° che la bassa marea
dell' 8 dicembre 1847 a Tineh essendosi
presa per punto di partenza, la bassa marea
del 25 novembre a Suez non era che di
3 centimetri al disopra di questo livello ;
ora la marea dell' 8 dicembre essendo stata
a Tineh di 0m 38 e quella del 25 novembre
a Suez di lm 95, l'ordinata media del mare
sarà a Tineh diOm 19, ed a Suez di (Jm 99:
la differenza fra le altezze medie dei due
mari sarà adunque di 0m8U, come già ab-
biamo più sopra indicato; 2.° che il livello
delle magre del Nilo al Meqyas del Cairo
è di 13m27 al disopra della bassa marea
dell' 8 dicembre a Tineh.
Si è cercato di contestare questo risul-
tato col mezzo di considerazioni teoriche;
ma le operazioni del 1847 sono state fatte
con un corredo tale di precauzioni e di ve-
rificazioni, e mediante persone cosi esperi-
ARCHITETTO EU AGRONOMO
mentale, ch'esse si trovano al coperto di
tutte le contestazioni che non appoggiassero
sopra una nuova serie di operazioni fatte
colla medesima cura e colla stessa abilità.
Se le considerazioni teoriche fossero di qual-
che valore in confronto di un fatto mate-
riale così ben constatato, mi potrei prevalere
a mia volta di un' autorità che in simile
materia vale qualunque altra, quella cioè
dell' illustre Laplace, il quale ha sempre ne-
gato come impossibile la differenza di livello
fra i due mari risultante dalle operazioni
del 1799. Come meravigliarsi d' altronde
che queste operazioni fatte a più riprese ed
interrotte dai movimenti militari, fatte rapi-
damente a grandi tratte di livello da diversi
operatori, in gran parte con degli istromenti
imperfetti e senza alcuna verificazione, non
abbian dato che risultati incerti ed erronei?
Il Lepère medesimo, l'ingegnere in capo
che li dirigeva, si esprime in tal modo su
questo proposito (i). « Sollecitato dal tempo,
tormentato dalle dimostrazioni ostili delle
tribù arabe, obbligato di sospendere ad ogni
tratto l'operazione, forzato infine di ese-
guire con livello d'acqua una gran parte
di queste livellazioni, posto nell'impossi-
bilità di fare alcuna verificazione, non è
da stupirsi che gli abili ingegneri che fa-
cevano queste operazioni in circostanze co-
tanto eccezionali siano arrivati a dei risultati
incerti ». La discordanza fra le operazioni
del 1799 e quelle del 1847 si spiega adunque
senza fatica. Del resto un' ultima verifica-
zione eseguita nel 1853 attraverso l'istmo
mediante la cura di Linant venne a con-
fermare l'esattezza delle operazioni del 1847.
Secondo le cifre pubblicate da questo in-
gegnere, questa verificazione avrebbe dato
per altezza della bassa marea a Suez, un'
ordinata più alta di 12 centimetri soltanto di
quella dei risultati della livellazione del 1847.
X. Esame dei. diversi progetti di canaliz-
zazione dell'istmo.
I diversi progetti presentati per la co-
municazione dei due mari si dividono, come
C1) Descrizione dell' Egitto, Capo IL
145
Voi. ni.
si è potuto vedere da quanto venne più
sopra esposto, in due categorie distinte; la
prima comprende i tracciamenti che riuni-
scono i porti di Suez e di Alessandria, la
seconda quelli che mettono il porto di Suez
in comunicazione diretta colla baja di Tineh.
La prima categoria comprende essa pure
due sistemi di tracciamenti distinti; il primo
si dirige attraverso del Delta da Alessan-
dria verso Uady-Tumilat, il secondo ri-
unisce i due rami del canale nel luogo
della chiusa superando il Nilo a monte di
quest'opera.
I progetti della seconda categoria si di-
vidono egualmente in due sistemi distinti:
il primo si applica ad un canale alimentato,
al punto di partenza, dalle acque del Nilo,
e discende verso ciascuno dei due mari col
mezzo di sostegni; il secondo ad un canale
senza sostegni mettendo in comunicazione
diretta i due mari senza ostacoli intermedj.
Queste quattro combinazioni compren-
dono tutti i sistemi proposti o proponibili;
esamineremo ciascuno di essi prendendo
per punto di partenza i risultati delle ope-
razioni del 1847; ma innanzi tutto quali
dimensioni si dovranno adottare per un
canale destinato a congiungere i due mari?
Questo canale deve essere disposto per ri-
cevere soltanto le più grandi navi impie-
gate in giornata nel commercio, ed i battelli
a vapore di dimensioni analoghe, oppure
si devono ammettere i maggiori vascelli da
guerra ed i battelli a vapore le cui dimen-
sioni eccedono anche quelle dei vascelli da
guerra ?
Nel primo caso i sostegni che avessero
la larghezza di 17 metri, 60 metri di lun-
ghezza e 7 metri di altezza, basterebbero,
ammettendo con queste dimensioni anche
le fregate di primo ordine. Pei battelli a
vapore a ruote di 320 cavalli, è d'uopo por-
tare la larghezza del sostegno a 18m 50,
e per quelli da 500 a 600 cavalli sarà ne-
cessario di adottare la larghezza di 21 me-
tri e la lunghezza di 90 metri.
Per le navi da guerra di secondo ordine
basterebbe una larghezza di 17 metri e la
lunghezza di 72 metri; pei vascelli dì primo
Settembre 1855.
19
liG
GIORNALE DELL'INGEGNERE
ordine l'altezza d'acqua deve essere por-
tala ad 8 metri, la larghezza del sostegno
a 18 metri, almeno, e la lunghezza a 7G metri.
Infine l'ultimo vascello a vapore uscito dai
cantieri della marina imperiale, la Bretagna,
esigerebbe un'altezza d'acqua di 8 metri,
una lunghezza nel sostegno di 19 metri, e
la larghezza di 85 metri.
A me pare che si debbano primieramente
allontanare i vascelli di primo ordine a
pieno carico in causa dell'altezza d'acqua
eccessiva che abbisogna, la quale aumente-
rebbe di troppo le difficoltà di esecuzione.
Alleggerendo questi bastimenti delle loro ar-
tiglierie, delle loro imbarcazioni, e di una
parte delle provvigioni, sarà sempre pos-
sibile di farli passare nel canale purché
l'altezza d'acqua utilizzabile raggiunga i
7 metri, limile bastante pei maggiori basti-
inenti del commercio, e pei battelli a vapore
i più forti. Da cui risulta che l'altezza d'ac-
qua praticabile di 7 metri, che corrisponde
ad un'altezza d'acqua d'esecuzione di 8 me-
tri, basterà a tutti i bisogni della navigazione.
La larghezza dei sostegni potrebbe ri-
dursi a 18 metri, allontanando i grandi bat-
telli a vapore a ruote; ma per queste navi
sarà necessaria una dimensione da 20ra 50
a 21 metri.
Infine la lunghezza dei sostegni non
avendo alcuna influenza sulle dimensioni
generali del canale, e non impegnando che
in una quantità d' acqua che qui non reca
alcun disappunto, converrà adottare un li-
mite bastante per tutte le navi senza ecce-
zione, per esempio di 100 metri; da cui ri-
sulta che all'oggetto che la navigazione del
canale dei due mari soddisfaccia a tutli i bi-
sogni le sue dimensioni dovranno essere
regolate come segue:
Altezza d' acqua 8 metri
Larghezza dei sostegni . . 21
Lunghezza dei sostegni . . 100
Larghezza del canale al fondo 40
od anche meglio, ove si presti
il terreno, 50
Ciò posto, la difficoltà principale di tutti
i progetti che partono d'Alessandria è quella
di conservare l'altezza d'acqua di 8 metri
al punto in cui il canale deve attraversare il
Nilo. Gli inconvenienti di attraversare i fiumi
sono abbastanza noti. Se non si trattasse
che di un'altezza d'acqua di due o tre metri, i
metodi ordinarj basterebbero per assicu-
rarne la riuscita ; ma il voW conservare
una profondità di 8 metri presenta delle
difficoltà che non sono slate giammai su-
perate.
L' impiego di un ponte canale per su-
perare il fiume presenta delle objezioni non
meno gravi; questo sistema obbliga infatti
a rialzare il pelo d'acqua al punto di di-
visione di almeno 12 metri, e ad eseguire
per conseguenza quattro sostegni di più
sopra ciascun versante; esso d'altronde pre-
senta delle difficoltà di alimentazione assai
rilevanti.
L' attraversamento del Nilo è adunque la
difficoltà principale dei tracciamenti per
Alessandria. Si è conchiuso quindi che tutti
gli andamenti pel Delta che dovessero at-
traversare i diversi rami del fiume, ed i ca-
nali d'irrigazione che solcano il territorio,
si dovrebbero abbandonare. D'altronde per
avvicinarsi al Cairo coli' andamento vi sono
dei motivi che toccano gli interessi politici
e materiali dell'Egitto e da cui è impossi-
bile il far astrazione. Infine la costruzione
della chiusa se si compie e si producono i
risultati che si attendono, sarà una ragione
decisiva per trasportare superiormente a
tale opera l'origine dei due rami del canale.
Le livellazioni del 1847 stabiliscono, se-
condo le notizie fornite dal Mougel (al quale
si deve il progetto della chiusa e da cui
vien diretta l'esecuzione), che quest'opera
una volta compiuta, avrà per risultato di
rialzare il livello del Nilo a monte all'or-
dinata 17; d'altronde il livello delle fon-
dazioni essendo stabilito all'ordinata 10, 40»
le piene raggiungeranno l'ordinata 19,22.
Da ciò risulta che l'altezza d'acqua a monte
della chiusa sarà in acque basse di 6m 60
ed in acque alte 8m 80. Se adunque que-
sto progetto si compie, se si realizzano
le speranze degli ingegneri distinti che
lo conobbero, basterà di rialzare alquanto
ARCHITETTO
l'acqua trattenuta per ottenere, durante
almeno dodici mesi, un'altezza d'acqua su-
periore a 8 metri. Rimane la difficoltà di
conservare il letto del fiume al livello delle
fondazioni : ma questa difficoltà, pressoché
insormontabile nelle correnti d'acqua che
hanno le piene rapide e passaggiere che
modificano senza posa il fondo, non mi sem-
bra difficile nel fiume come il l\ilo, che non
ha in ciascun anno che una sola piena, la
quale si innalza lentamente e regolarmente
durante tre mesi per abbassarsi in seguito
colla medesima regolarità e con una mag-
gior lentezza durante il resto dell' anno.
Avendo questo regime una potente mac-
china a cucchiaja basterà senza dubbio per
conservare il letto al livello delle fonda-
zioni.
Ammettiamo adunque col Linant che
l'acqua trattenuta dalla chiusa serva per
punto di partenza del canale, e supponiamo
che il livello inferiore di quest'acqua sia sta-
bilito all'ordinata 18 metri, vale a dire 4 me-
tro al disopra del progetto del Mougel.
Adottata questa base, non vi è cosa più facile
del tracciamento del canale. Uno dei rami,
di 180 chilometri di lunghezza, si dirigerà
verso Alessandria seguendo 1' antico alveo
attualmente abbandonato del canale di Giu-
seppe, poi quello del canale chiamato Ra-
tasbee sino in vicinanza di Teirieh e di là
in linea retta ad Alessandria. Il secondo
seguirebbe presso a poco l'andamento del-
l' antico canale dei Faraoni sino ai laghi
Amari. Giunti in questo punto, si avrebbe
la scella fra tre partiti; gettarsi nel mar
Rosso col bacino tagliando il suolo di Suez,
riempire il bacino colle acque del Nilo che
si condurrebbe fino a Suez, ovvero infine
tracciare esternamente al bacino un pro-
lungamento di canale che andrebbe a riu-
nirsi coli' antico canale di Suez.
Il primo partito sarebbe assai economico
se la profondità del bacino fosse sufficiente.
Ma si dubita molto che ciò non sia. Infatti
tutt' al più si ha che le maggiori profondità
arrivano all'ordinata di 8 metri, mentre la
massima parte della superficie di questo
bacino non oltrepassa punto la profondità
ED AGRONOMO 147
di 3 metri inferiormente alla bassa marea.
L' introduzione del mare nei laghi Amari
non produrrebbe adunque che un' altezza
d' acqua insufficiente ; e se questo bacino
dovesse divenir parte integrante del canale,
bisognerebbe necessariamente compirlo sino
ad un livello superiore di molto a quello
delle più alte maree. Da cui risulta ch'esso
non potrebbe essere alimentato dalle acque
del Nilo condottevi dallo stesso canale.
Per aumentare più possibilmente la pro-
fondità del bacino, e per diminuire nello
stesso tempo il taglio di Suez, converrebbe
innalzare più che sia possibile il livello della
capacità dei laghi determinandolo a 6 metri,
ciò che si può fare senza inconvenienti; sol-
tanto sarà necessario di eseguire una diga
di fianco a Suez, per impedire che le acque
defluiscano direttamente al mare.
In luogo di introdurre la navigazione nel
bacino dei laghi, sarebbe preferibile di adot-
tare la terza soluzione, prolungando cioè
il canale all'ovest dei laghi e continuandolo
senza interruzione sino al mar Rosso. Que-
sto sistema presenta maggiori e più impor-
tanti vantaggi.
In primo luogo si evitano le difficoltà che
si hanno necessariamente per conservare il
passaggio di entrata e d'uscita del bacino.
2,* Si economizza l'erogazione d'acqua
considerevole che esigerebbe l'alimentazione
del bacino.
3.° Si mette la navigazione al coperto
dagli inconvenienti che presenta sovente
la navigazione dei laghi.
Adottando questo sistema si rimane liberi
di riempire o meno d'acqua dolce il bacino
dei laghi; gli è probabile che si troverebbe
un vantaggio il lasciarvi defluire le acque
eccedenti in tempo delle piene considerevoli,
e costituire in tal modo il bacino una specie
di regolatore delle piene del Nilo. Si evi-
terebbe con ciò la necessità di conservare
in tutti i tempi il livello di questo bacino
ad un'altezza determinata, ciò che in alcune
stagioni potrebbe presentare delle difficoltà.
La lunghezza totale del ramo orientale
del canale sarà con questo sistema di 212
chilometri, di cui 148 chilometri dalla chiusa
448 GIORNALE DEI
a Serapeum, e 64 da Serapeum a Suez. La
lunghezza dei due rami sarebbe di 392 chi-
lometri: ciascun d'essi esigerebbe 6 sostegni,
compreso quello alla derivazione delle acque,
e così per l'intero canale in tutto 12 sostegni.
Se adunque il livello dell'acqua soste-
nuta colla chiusa può essere conservato al-
l' ordinata 18 metri circa, il tracciamento e
1' esecuzione del canale non presenterebbe
alcuna grave difficoltà; ma se per motivi che
non si possono prevedere l'esecuzione della
chiusa viene abbandonata, oppure se ulti-
mata quest' opera si riconoscesse che l'acqua
trattenuta non può essere rialzata all' al-
tezza occorrente, sarebbe in allora neces-
sario di ricorrere ad un ponte-canale per
attraversare il fiume.
In questo caso il livello della gora del
ponte-canale servendo di punto di partenza,
dovrebbe essere rialzato almeno di 12 metri
al disopra delle piene, e portato per con-
seguenza a 31 metri , ciò che esigerebbe 4
sostegni di più sopra ciascun versante. Un
ponte-canale di un chilometro di lunghezza,
che si elevi 18 metri superiormente alle
magre; i sostegni costruiti alle estremità di
questo ponte, e ad una grande altezza dal
terreno naturale, sono tutte opere assai di-
spendiose; ma la difficoltà la più grave sarà
tuttavia l'alimentazione all'incile del canale.
Per condurre le acque ad un'altezza conve-
niente mediante un condotto di alimenta-
zione sarà d'uopo di effettuare la presa d'ac-
qua di questo condotto ascendendo *350 chi-
lometri almeno nella valle del Nilo. Secondo
tutte le apparenze la presa dell' acqua del
gran canale attribuito a Giuseppe che ir-
riga la sponda sinistra del Nilo dopo Man-
falut sino al Delta è ad un'altezza con-
veniente; ma si vuole che le pendenze siano
state distribuite in modo di approfittare di
tutta l'altezza disponibile; e benché non si
abbia l'ordinata esatta all' estremità di que-
sto canale, io sono persuaso che il livello
non eccede punto quello delle massime piene
del Nilo alla chiusa, se pure questa non sia
più alta. Per far servire questo condotto
all' alimentazione del canale di partenza bi-
sognerebbe adunque rialzare le sue acque
l' ingegnere
di 12 metri circa, operazione che obblighe-
rebbe a dover impiegare delle macchine a
vapore per portare le acque nel serbatoio
situato ad un'altezza convenienti", posto in
comunicazione col condotto del ponte-canale.
Questo sistema sarà, per vero dire, com-
plicato e dispendioso, ma non presenta al-
cuna difficoltà insuperabile. Tutte le imboc-
cature del canale, ad eccezione di quella in
cui il livello sarà più alto del Bahr-Ju-
sef, saranno alimentate direttamente dal ca-
nale, o col mezzo di derivazioni dal Nilo.
Ciò posto, la quantità d'acqua che si do-
vrebbe provvedere con mezzi meccanici non
eccederebbe certamente i 300 000 metri cu-
bici per giorno, ossia 4 metri cubici per se-
condo, i quali innalzali a 12 metri di altezza
esigerebbero delle macchine di circa G00
a 800 cavalli di forza effettiva. Non indico
questo progetto dispendioso che come un
mezzo estremo nel caso che fosse d' uopo
rinunciare ad attra\ersare direttamente il
Nilo. Io però ritengo fermamente che il
problema di questo attraversamento è su-
scettibile di una soluzione soddisfacente.
In ogni caso non converrà di ricorrere alla
combinazione costosa ma sicura di un ponte-
canale, che dopo di essere sicuri mediante
studj più completi, e mediante esperienze
positive,|che è impossibile di fare altrimenti.
Comunque difficile e dispendiosa sia d'al-
tronde 1' esecuzione di un ponte-canale sul
Nilo, quest'opera però non oltrepassa punto
le risorse attuali dell' arte dell' ingegnere.
L' impiego del ferro permette in giornata
di superare i grandi fiumi con archi di note-
vole ampiezza e per conseguenza col mezzo
di un piccolo numero di pile ; il sistema
dei tubi in ghisa, adattati specialmente alla
natura del fondo del Nilo, semplifica e fa-
cilita l'operazione delicata della fondazione.
Queste risorse e molte altre di cui gli in-
gegneri dispongono al giorno d' oggi per-
mettono di poter adottare senza esitazione
delle opere che or sono pochi anni si sa-
rebbero giudicate come impossibili. Se adun-
que la possibilità di un passaggio a livello
del Nilo lascia delle incertezze, l'esecuzione
di un ponte-canale non ne presenta alcuna,
AKCIIITETTO
non è che una questione di spesa, e me-
diante questo metodo la soluzione è assi-
emata ed il successo è certo.
Ora parleremo dei progetti che hanno
per iscopo la comunicazione diretta fra i
due mari. In ciò che concerne il canale pro-
priamente detto, le difficoltà sono molto mi-
nori secondo questa direzione, ove non si
incontra alcun ostacolo che possa essere
paragonato al passaggio del Nilo. Sgrazia-
tamente questo vantaggio svanisce, come si
vedrà in seguito , in causa degli inconve-
nienti che presenta l' imboccatura del ca-
nale nel Mediterraneo.
Il primo sistema di canalizzazione diretta,
quello rhe venne proposto al Califfo Omar
dal suo luogotenente Amru, può essere rea-
lizzato assai semplicemente col mezzo delle
seguenti disposizioni: un canale d'alimen-
tazione navigabile che riunirebbe la città
del Cairo al canale dei due mari verrebbe
praticato, seguendo presso a poco l'anda-
mento del ramo orientale del progetto che
qui si esamina: le acque del Nilo prese su-
periormente alla chiusa in un gran canale
di derivazione, il cui pelo d'acqua potrebbe
essere stabilito all'ordinata 9 metri, la quale
si estenderebbe da Serapeum a Ras-el-Mo-
yeh presso il lago Ballali. I due versanti
del canale forniti ciascuno da quattro so-
stegni si estenderebbero l'uno da Serapeum
a Suez seguendo l'andamento di già de-
scritto, l' altro da Ras-el-Moyeh a Tineh.
La lunghezza di questo andamento sarà
in tutto di 444,000 metri, cioè:
Canale di derivazione
Ramo di Suez . . .
Ramo di Tineh . .
33 000 metri
63 000
48000
Totale 144 000 metri
La lunghezza del canale d'alimentazione
navigabile sarà di circa 150,000 metri. Que-
sto canale terminerebbe al punto di deri-
vazione presso Serapeum. Un ramo derivato
verso il nord lateralmente al canale ma-
rittimo servirebbe ad alimentare un im-
menso serbatojo formato dal lago Ballah e
l'estremità di mezzogiorno del lago Menza-
BD AGHONOMO ,j/,9
leh col mezzo di una diga che si congiunga
colle mine Sethrum (Tell-el-Sherig) all'im-
boccatura del canale. Questo serbatojo, il
cui livello potrebbe essere rialzato di G metri,
e che si riempirebbe durante le piene, ser-
virebbe a dare una forte velocità nel canale
Tineh- (Continua.)
EcoiBOHiia risraSc (Inghilterra.)
(Vedi foglio 9, pag. 65.)
II. Coltivazione.
Ogni coltivazione ha per iscopo di pro-
durre la maggiore quantità possibile di ali-
mento umano sopra una data superficie di
terreno; ma per giungere a questo doppio
scopo, si ponno battere più strade, l'una
dall'altra assai diverse. In Francia gli agri-
coltori si sono precipuamente rivolti alla
produzione dei cereali , poiché questi ser-
vono immediatamente al nutrimento del-
l'uomo. In Inghilterra invece, forzati prima
dalla natura del clima, poi dalla riflessione,
a prendere una strada diversa, si trovò
che molto meglio si riusciva all' intento
coltivando i cereali dopo altre coltivazioni.
I grani in generale e principalmente il
frumento sono senza dubbio i più bei pro-
dotti agricoli, ma hanno un grande incon-
veniente, che non fu abbastanza avvertito
dal coltivatore francese; stancano il suolo
che li produce. Questo difetto è poco sen-
sibile in certi terreni privilegiati, che ponno
portare frumento quasi senza interruzione;
può esser di poco effetto quando il terreno
abbonda per una popolazione poco nume-
rosa; perchè allora si possono coltivare a
grano soltanto le terre di prima qualità, e
lasciar riposare le altre per molti anni, prima
di ricondurci l'aratro; ma quando la popo-
lazione cresce, tutto cambia. Se non si pensa
seriamente ai mezzi di ristabilire ed anche
di accrescere la fecondità del suolo di mano
in mano che viene esaurita dalla produzione
dei cereali, tocca un momento in cui le
terre troppo forzate a produr grano, non
\m
GIORNALE DELL'INGEGNERE
rispondono più. Anche coi climi e coi ter-
reni più favoriti , piò non bastò neppure
l'antico sistema romano, che consisteva nel
coltivare il grano per un anno e lasciare
ozioso il fondo nell'anno seguente ; il grano
non dà piò che ricolti di poco valore.
La terra che produce i cereali si stanca
piò presto nel nord che nel mezzodì ; gli
Inglesi hanno saputo trar profitto da questa
inferiorità del loro suolo. Trovandosi nel-
l'impossibilità di ricavar molto grano dai
loro campi, furono ben presto costretti a
cercare le cause e i rimedj di questo sner-
vamento. Nello stesso tempo il loro terri-
torio presentava una risorsa che di rado si
offre naturalmente ai coltivatori del mezzo-
giorno; cioè la produzione spontanea di
un'erba abbondante pel nutrimento del be-
stiame. Dalla combinazione di questi due
fatti nacque tutto il loro sistema agricolo.
Siccome il concime è il miglior agente per
rinnovare la fertilità del suolo dopo una
raccolta cereale, conclusero che essi dove-
vano prima di tutto occuparsi dell'alleva-
mento di molti animali: oltreché la carne
è un alimento più ricercato dai popoli set-
tentrionali che dai meridionali, procurano
con questa abbondante produzione animale
il mezzo di accrescere colla quantità dei
concimi la ricchezza del suolo ed aumen-
tare così il prodotto delle granaglie. Dal
momento in cui fu adottato questo pro-
getto, ebbe ottimi risultati, e l'esperienza li
indusse ad estenderne ogni giorno maggior-
mente l'applicazione.
Da principio bastavano le erbe naturali
al nutrimento del bestiame ; metà circa del
suolo era a prato o a pascolo, l'altra metà
si divideva fra i cereali ed i maggesi; più
tardi non bastò questa proporzione e si im-
maginarono i prati artificiali e le radici, cioè
la coltivazione di certe piante esclusivamente
destinate al nutrimento degli animali , per
cui si ridusse d'alquanto l'estensione dei
maggesi. Più tardi diminuì anche la coltiva-
zione dei cereali; ed ora non si stende più,
compresa l'avena , che sopra un quinto del
terreno. Ciò che prova l'eccellenza di questo
sistema è, che colì'aumentaré della produ-
zione animale s'aumenta pure il prodotto
del grano , esso guadagna in intensità ciò
che perde in estensione, e l'agricoltura rea-
lizza ad un tratto un beneficio doppio. Il
passo decisivo in questa via, fu fatto ses-
santa od otlant'anni fa: in quel momento
in cui la Francia si immergeva nelle san-
guinose agitazioni della sua rivoluzione po-
litica, una rivoluzione piò salutare e meno
romorosa si compiva nell'agricoltura inglese:
un altro uomo di genio, Arturo Young, com-
piva ciò che Bakewell aveva cominciato; e
mentre l'uno insegnava a cavare dagli ani-
mali il miglior partito possibile, l'altro in-
segnava a nutrirne la maggiore quantità
possibile sopra una data estensione di ter-
reno. I grandi proprietarj favorivano la dif-
fusione di queste idee , praticandole essi
medesimi con buon successo, e i loro sforzi
furono ricompensati con immense fortune.
Fu allora che la famosa ruota agraria qua-
driennale conosciuta sotto il nome di ruota
agraria di Norfolk, dalla contea ov'essa nac-
que , cominciò a propagarsi : questa ruota
agraria, che regna al presente con qualche
variazione in tutta l'Inghilterra, ha trasfor-
malo completamente le terre più ingrate di
questo paese ed ha rigenerata la sua ric-
chezza rurale.
Non esporremo qui la teoria della ruota
agraria; tutti sanno che la maggior parte
delle piante da foraggio, assorbendo prin-
cipalmente dall'atmosfera gli elementi della
loro vegetazione, danno al suolo più di
quello che gli tolgono e contribuiscono dop-
piamente, sia per sé stesse, sia per la loro
trasformazione in concime , a riparare il
male cagionato dalle biade e dalle altre col-
tivazioni, snervanti in generale ; sarà dun-
que principio teorico di alternare queste
coltivazioni, e tale appunto è la ruota agra-
ria di Norfolk. Sul principio di questo se-
colo alcuni eminenti agronomi tentarono con
grandissimi sforzi di introdurre anche in
Francia questa pratica salutare, e si ottennero
infatti dei progressi reali; ma gl'Inglesi fu-
rono più solleciti, e in tal modo si accreb-
be incessantemente fra le loro mani que-
sto prezioso capitale di fertilità, che ogni
ARCHITETTO
buon agricoltore non deve mai perdere
di vista.
Circa la metà del suolo coltivato è man-
tenuto a prati stabili: il resto costituisce ciò
che si chiama: terreni aratorj, divisi in quat-
tro vicende secondo la ruota agraria di
Norfolk: — 1.° anno: radici e principal-
mente navoni o rape; — 2.° anno: cereali
di primavera (orzo ed avena); 3.° anno:
prati artificiali ( principalmente trifoglio e
loglio); — 4.° anno: grano.
In seguito si aggiunse generalmente un
anno alla rotazione, lasciando i prati arti-
ficiali per due anni , il che rende la ruota
agraria quinquennale. Così, per esempio ,
sopra un fondo di 70 ettari, 30 sarebbero
a prato stabile, 8 a patate e navoni, 8 ad
orzo ed avena, 8 a prato artificiale del primo
anno, S a prato artificiale del secondo anno,
ed 8 a grano. Nelle parti del paese più fa-
vorevoli alla vegetazione erbacea , la pro-
porzione dei prati è cresciuta ancora , e
diminuita quella del grano; in quelle che
non si prestano alla vegetazione né delle
radici, né dei prati, si sostituiscono alle rape
le fave, e si prolunga la vicenda dei cereali
a spese degli altri raccolti; ma in generale
queste eccezioni presso a poco si compen-
sano, almeno nella Gran Bretagna. In Ir-
landa tutto è diverso: la coltivazione dei
navoni non ha fatto progresso, il frumento
e l'orzo sono poco diffusi, le grandi colti-
vazioni sono l'avena e le patate.
Insomma, fatta deduzione di 11 milioni
d'ettari incolti,nelle isole britanniche i20 mi-
lioni d'ettari coltivati si scompongono presso
a poco così:
Prati naturali 8,000,000 d'ett,
Prati artificiali .... 3,000,000 »
Patate, navoni, fave . . . 2,000,000 >»
Orzo 1,000,000 »
Avena 2,500,000 »
Maggese 500,000 »
Frumento 1,800,000 »
Giardini, luppolo, lino, ecc. 200,000 »
Boschi 1,000,000 »
ED AGRONOMO 151
In Francia vi sono pure 11 milioni di
ettari incolti sopra 53; i rimanenti 42 mi-
lioni si decompongono così :
Prati naturali . . . . 4,000,000 d'ett.
Prati artificiali 3,000,000 »
Radici 2,000,000 »
Avena , . . 3,000,000 »>
Maggese 5,000,000 »
Frumento 6,000,000 »
Segale, orzo, maiz, saraceno 6,000,000 »
Coltivazioni diverse . . . 3,000,000 »
Vigna 2,000,000 .»
Bosco 8,000,000 ,,
Totale 42,000,000
Paragonando questi due prospetti si vede
tutta la differenza delle due agricolture.
Sembra a primo tratto che la Francia ab-
bia il vantaggio sul regno-unito perla pro-
porzione delle terre incolte alle coltivate;
ma le terre abbandonate dagli Inglesi sono
incoltivabili e si trovano quasi tutte nell'alta
Scozia, nel nord dell'Irlanda e nel paese
di Galles ; tutto quanto era suscettibile di
dissodamento fu dissodato, mentre in Fran-
cia la maggior parte delle terre incolte sa-
rebbero suscettibili di coltivazione. Del resto
i Francesi hanno maggior quantità di bo-
schi degli Inglesi; di più i terreni boschivi
francesi sommati colle terre incolte danno
19 milioni di ettari sopra 53, tolti alla col-
tivazione propriamente detta. Grazie alle
loro miniere di carbone, che forniscono in ab-
bondanza un combustibile eccellente ed eco-
nomico, grazie al loro clima che rende meno
necessarj gli alberi, gli Inglesi hanno potuto
disfarsi delle grandi boscaglie che dapprima
coprivano la loro isola, e redimersi così dalla
loro inferiorità sotto altri rapporti. Delle
antiche foreste più non rimangono oggidì
che poche vestigia sempre minacciate di
distruzione. Il vero dominio agricolo si com-
pone adunque di 19 milioni d'ettari da una
parte e di 31 dall'altra. Si vede a prima vi-
sta che sui 19 milioni d'ettari inglesi, 15 sono
consacrati alla pastura di bestiami, e tutt'al
più 4 al nutrimento dell'uomo; in Francia
il numero degli ettari destinati alle coltiva-
152
GIORNALE DELL'INGEGNERE
zioni che migliorano il terreno è di 9 mi-
lioni, mentre che le coltivazioni snervanti
coprono una doppia estensione ; il dominio
del maggese è ancora enorme, e nel suo
stato attuale, non può essere che di un de-
bole ajuto per rinnovare la fertilità della
terra. Un esame dettagliato non farà che
riconfermare questa prima idea.
In Franchi i prati naturali si estendono
a 4 milioni d'ettari e in Inghilterra ad 8*
Il suolo coltivato si estende nel primo luogo
a meno di un ottavo, nel secondo circa alla
metà; egli è vero che nei prati inglesi si
comprendono anche quelli che non servono
se non di pascolo, ma essi valgono quanto
i prati francesi che si falciano.
Questa estensione dei pascoli è certamente
una delle più meravigliose originalità della
agricoltura britannica. In Inghilterra si fa
poco fieno, e il bestiame, d'inverno, si nutre
coi prati artificiali , colle radici e perfino
anche coi grani. Da qualche tempo in poi
alcuni nuovi sistemi , di cui tratteremo in
seguito, tendono a sostituire la dimora nelle
stalle anche d'estate, all'antica tradizione
nazionale; ma questi tentativi non sono e
non erano principalmente sei anni fa che
eccezioni. L'uso quasi universale invece, è
di rinchiudere il bestiame pel minor tempo
possibile. Tre quarti dei prati inglesi sono
pascolati, e siccome lo sono pure la metà
dei prati artificiali, principalmente nel se-
condo anno, siccome le rape stesse sono in
gran parte consumate sul luogo dalle pe-
core , siccome le terre incolte non ponno
essere utilizzate che dai greggi nomadi, due
terzi del suolo totale sono lasciati al be-
stiame. Questa è la più bella singolarità
delle campagne britanniche. Esclusa la Nor-
mandia e alcune altre provincie, nelle quali
si è conservato lo stesso uso, il territorio
francese offre di rado il ridente spettacolo,
che si vede sempre in Inghilterra, di verdi
pascoli popolati di animali in libertà.
Le attrattive di questa scena sono ac-
cresciute dall'effetto pittoresco delle siepi
vive che circondano ogni campo. Il costume
di queste siepi è assai diffuso; ma fin qui fu-
rono considerate come un accessorio voluto
dal sistema generale di coltivazione. Ogni
pezzo di terreno essendo alla sua volta pa-
scolato, è agevole di potervi circoscrivere in
qualche modo gli animali e lasciarveli senza
custode. In Francia , colle loro abitudini
nazionali parrebbe cosa strana veder dei
bestiami, e soprattutto delle pecore, perfet-
tamente libere nei pascoli, e talvolta assai
lontane dalle abitazioni. Bisogna rammen-
tare che gli Inglesi hanno distrutti i lupi
nella loro isola, e che vi hanno leggi ter-
ribili di polizia rurale per difendere la pro-
prietà dalle depredazioni umane, e che hanno
cura di chiudere esattamente tutti i loro
campi per mantenere questa sicurezza ge-
nerale. Queste belle siepi vestono allora
l'aspetto tanto di utile difesa quanto di un
bell'ornamento, e sarebbe cosa strana il par-
lare di sopprimerle.
La pratica del pascolo presenta agli occhi
della maggior parte degli agricoltori inglesi
molti vantaggi; risparmia la mano d'opera,
che non è per essi di poca considerazione;
è favorevole, o almeno lo credono, alla sa-
lute degli erbivori; permette di trar partito
dai terreni che altrimenti darebbero ben
poco profitto, e si migliorano a lungo andare
col soggiorno del bestiame; fornisce un ali-
mento sempre rinascente e che finisce sem-
pre per essere uguale in quantità , se non
superiore, a quello che si sarebbe ottenuto
colla falciatura. Perciò attribuiscono un gran
merito all'avere in ogni podere un'esten-
sione sufficiente di buoni pascoli; ed anche
nei prati da taglio, essi avvicendano spesso
un anno di pascolo a due anni di falciatura.
In oltre, mentre i pascoli francesi sono in
generale negletti, gli inglesi sono al con-
trario mirabilmente curati, e chiunque ha
studiato un po' questo genere di coltivazione,
sa quale immensa differenza passi fra un
pascolo incolto e selvaggio e un pascolo
coltivato.
Si può affermare con sicurezza che gli
8 milioni d'ettari di prati inglesi danno il
triplo prodotto di nutrimento per gli ani-
mali dei 4 milioni d'ettari di prati e dei
5 milioni d'ettari di maggese francesi. La
maggior prova sta nel prezzo di vendita di
queste specie dì terreni. I prati inglesi si
vendono per adequato, falciati o no. circa 4000
franchi l'ettaro; se ne trovano di quelli che
valgono 10,000, 20,000 ed anche 50,000 fran-
chi. I buoni erbaggi di Normandia sono in
Francia i soli che possono pareggiarsi a qual-
cuno di questi valori: i prati francesi val-
gono per adequato tre quarti degli inglesi,
ed i maggesi sono infinitamente minori. In
nessuna parte si spinse più innanzi l'arte
di migliorare i prati e i pascoli, di bonifi-
carli con condotti di scolo , di fertilizzarli
colle irrigazioni, con ingrassi abilmente ap-
propriati , con soggrottainenti , collo spur-
garli dai sassi, con rialzi di terra, con
miglioramenti d'ogni specie; di moltiplicare
le piante nutritive ed escluderne le cattive
che vi si propagano con facilità; in nessuna
parte si guarda meno alla spesa per la for-
mazione e manutenzione, quando la si con-
sidera utile. Queste cure intelligenti favo-
rite dal clima, hanno prodotto assolutamente
delle meraviglie.
In seguito vengono le radici e i prati ar-
tificiali. — Le radici universalmente colti-
vale in Inghilterra sono le patate e i na-
voni. Le barbabietole tanto comuni in Fran-
cia sono poco usate e cominciano appena a
diffondersi. Le patate erano molto diffuse
prima della malattia: si sa che nelle abitu-
dini nazionali, esse servono più che in Fran-
cia al nutrimento degli uomini, e se ne ado-
pera una gran quantità a nutrire il bestiame;
ma ciò che più della patata è un elemento
caratteristico dell'agricoltura inglese, ciò
che ne forma in certo modo il perno, è la
coltivazione della rapa o del navone. Questa
coltivazione, che occupa appena in Francia
alcune migliaja di ettari, e che è poco co-
nosciuta fuori delle provincie montagnose,
è per gli Inglesi l'indizio più sicuro, l'agente
più attivo del processo agricolo; dovunque
si introduce e si sviluppa, porta ricchezza;
per esso le antiche lande furono trasformate
in terre fertili; spesse volte il valore di un
podere si deduce dall'estensione del terreno
occupato da questo genere di coltivazione.
Non è cosa rara il trovare, traversando
il paese, centinaja di ettari a sole rape;
ARCHITETTO EH AGRONOMO
453
Poi. ni.
dovunque si vede brillare la loro bella
verdura.
La coltivazione delle rape è il punto di
partenza della ruota agraria di Norfolk; e
dalla sua riuscita dipende tutto l'avvenire
della rotazione. Essa deve non solo assicu-
rare i ricolti futuri per la quantità di be-
stiame che essa permette di nutrire nelle
stalle e che vi lascia un abbondante con-
cime: non solo produce molta carne, molto
latte e molta lana, per l'abbondante nutri-
zione che fornisce a tutti gli animali dome-
stici; ma serve, ancora a purgare la terra
di tutte le piante nocive per la natura della
sua vegetazione e per le cure che essa esi^e.
Inoltre, non avvi forse un genere di colti-
vazione più perfezionato, neppure quello
che produce direttamente il grano; i colti-
vatori inglesi non risparmiano fatica al-
cuna; a lei riservano quasi tutti i concimi,
le sarchiature più diligenti, le cure più as-
sidue. Essi ottengono per adequato da 5
a 6 cento quintali metrici di navoni per
ettaro, o l'equivalente di cento a 420 quin-
tali metrici di fieno, e giungono talvolta al
doppio. I navoni esigono terreno leggiero
e un'estate umida, ragione per cui riescono
tanto bene in Inghilterra.
Si comprende ciò che una simile risorsa,
la quale non ne ha che poche analoghe in
Francia, deve aggiungere al prodotto dei
prati naturali. Le fave fanno lo stesso uf-
ficio in certi terreni e compiono il sistema
in tutti i prati artificiali.
Nella statistica ufficiale della Francia,
l'estensione dei prati artificiali non è che
di 4,500,000 ettari; questa cifra probabil-
mente non è la più esatta in causa del
costante progresso che fa in Francia questo
genere di coltivazione, e si può ritenere il
doppio, cio.è 3 milioni d'ettari, riducendo a
una quantità equivalente l'estensione dei
maggesi. Anche dopo questo aumento i
Francesi sono ancora lontani dagli Inglesi;
essi hanno sui 15 milioni di ettari dell'In-
ghilterra, lasciate da banda l'Irlanda e la
Scozia, la stessa superficie in prati artifi-
ciali della Francia su 53. Egli è vero che
i prati artificiali fruncesi valgono quanto
Settembre 1855.
20
154
GIORNALE DELL'INGEGNERE
gli inglesi, il loro suolo si presta poco al-
l'erba medica; essi non hanno che del tri-
foglio e del loglio, ed il prodotto di queste
due piante, comunque bello egli sia, non
avanza il prodotto delle specie superiori
che possiede la Francia; è già molto l'egua-
gliarle. Da qualche tempo essi ottengono
col loglio d'Italia magnifici risultati.
L'ultima coltivazione destinata al nutri-
mento degli animali è quella dell'avena. La
Francia semina ogni anno circa 3 milioni
d'ettari in avena ; le isole britanniche non
ne seminano altrettanto e vi ottengono un
ricolto molto superiore. Il prodotto medio
dell'avena in Francia, dedotta la semenza,
è di 18 ettolitri per ettaro; è il doppio nel
regno-unito, ossia 5 quarters (ettol. 14, 50)
per acro, e giunge qualche volta fino a 10.
Le stesse differenze trovansi in Francia,
nei paesi ove la coltivazione dell'avena è
ben intesa, ben adattata al suolo, e dove
no;, è d'altra parte quella che fra tutti i
cereali prospera più naturalmente sotto i
climi del nord. La nazione scozzese non
aveva un tempo altro nutrimento; da ciò
ne venne alla Scozia il soprannome di terra
delle focaccie d'avena, land of cakes, nella
stessa guisa che davasi all'Irlanda quello
di terra dei pomi di terra, land ofpotaloes.
Così su una superficie totale di 31 mi-
lioni d'ettari, ridotta a 20 per le terre in-
colte, le isole britanniche producono molto
maggior nutrimento per gli animali, che
tutta la Francia, con una estensione doppia.
La massa dei concimi è dunque proporzio-
nalmente 3 o 4 volte più forte, indipenden-
temente dai prodotti animali che servono
direttamente alla concimazione , e questa
massa di concime non è ancora conside-
rata sufficiente. Tutto ciò che può accre-
scere la fertilità del suolo, le ossa, il sangue,
i cenci, le corna , i residui delle fabbrica-
zioni, tutti gli avanzi animali e vegetali, i
minerali che sono considerati contenere
qualche principio fecondante , il gesso , la
calce , ecc. sono diligentemente raccolte e
sepolte nel terreno. I vascelli britannici,
vanno inoltre a cercare dei supplementi al
concime fino in capo al mondo. Il guano,
questa materia così ricca e attiva, giunge
in numerosi carichi dai più lontani mari.
La chimica agricola fa continui sforzi per
scoprire, tanto dei nuovi concimi, quanto
di quelli che meglio convengano a ciascuna
coltivazione speciale, e in luogo di disprez-
zare queste ricerche, i coltivatori le inco-
raggiano col loro attivo concorso. Ogni anno
nelle spese di ciascun podere, figura una
cifra abbastanza rilevante per l'acquisto di
materie fecondanti; più le si pagano, più
se ne ha. La vendita di questi concimi sup-
pletorii dà luogo a un commercio in grande.
Non è qui tutto. La terra non domanda
soltanto degli ingrassi e degli ammenda-
menti; essa ha bisogno ancora di essere
scavata, sminuzzata , livellata, sarchiata,
sanata, mossa in tutti i sensi, affinchè l'aqua
vi passi attraverso senza fermarsi, i gas
atmosferici la penetrino , le radici delle
piante utili vi si approfondino e si diramino
facilmente. Sono state immaginate infinità
di macchine per fare queste diverse opera-
zioni, e si è potuto convincersi dell'immensa
importanza dell' industria delle macchine
aratorie in Inghilterra e dello spaccio che
essa incontra per l'estensione che occupava
all'esposizione universale ricontavano quasi
300 esponenti di questa categoria, venuti da
tutti i punti del regno-unito, e fra essi ve
ne hanno di quelli come i Garrett e i Ran-
some nella contea di Suffolk. che impiegano
migliaja di operaj e fanno ogni anno mi-
lioni d'affari. Queste macchine economiz-
zano singolarmente la mano d'opera, e sup-
pliscono a milioni di braccia.
Due cereali profittano di tutti questi lavori
e di tutte queste spese; uno è i'orzo che
dà la bevanda nazionale, e l'altro la pianta-
regina, il frumento.
L'orzo occupa ogni anno un milione di
ettari circa; tanto presso a poco come in
Francia, dove questa pianta non ha la stessa
importanza relativa; ma, come per l'avena,
il prodotto medio è circa il doppio di quello
che è in Francia; questo prodotto è di 15 et-
tolitri in Francia , e di 30 in Inghilterra ,
ossia un po' più di 4 quarters per acro. Una
metà circa di questo ricolto serve alla fab-
ARCHITETTO
bricazione della bina; il diritto percepito
sul mail, o orzo germogliato, constata ogni
anno l'impiego di 14 a 15 milioni di etto-
litri ; l'altra metà offre una risorsa di più,
per la nutrizione e l'ingrassamento del be-
stiame. Gli uomini consumano pure un po'
d'orzo e un po' d'avena, ma l'uso di questi
grossolani alimenti diminuisce di giorno in
giorno.
Oltre l'orzo e l'avena., gli Inglesi mangia-
vano un tempo molta segale. La segale è effet-
tivamente, fra i cereali di primavera, il grano
che meglio s'adatta alle brevi estati del nord.
Tutto il nord d'Europa non coltiva e non
mangia che segale. In Inghilterra è quasi
interamente scomparsa: essa non serve ora-
mai più che a produrre del foraggio verde
in primavera, e il suo prezzo che ordina-
riamente è molto basso, non è notato sui
mercati , che all'epoca delle seminagioni.
Tanto l'importazione come la produzione
sono nulle. La maggior parte delle terre
che non portavano una volta se non segale,
producono attualmente del frumento; quelle
che vi sono assolutamente contrarie, ven-
nero altrimenti utilizzate. Gli Inglesi hanno
giustamente pensato che questa coltivazione,
che esige tanta cura e consuma quasi tanto
ingrasso, quanto per il frumento, per dar
poi un prodotto molto inferiore, non meri-
tava l'interesse che essa ottenne nel resto
dell' Europa ed anche in Francia. Questa
è ancora una di quelle idee giuste in eco-
nomia rurale, che bastano a trasformare la
fisionomia agricola in un paese. Avviene del-
l'abbandono della segale, lo stesso che del-
l'abbandono del lavoro coi buoi, dell'esten-
sione del numero dei montoni, e di tutte
le altre parti del sistema agricolo-inglese.
La segale è ancora coltivata in Francia
su 3 milioni d'ettari circa; compresa la metà
delle terre seminate a frumento misto con
segale. In generale è una produzione mise-
rabile che non dà per adequato più di cin-
que o sei per uno, e che paga appena le
spese di coltivazione. Sarebbe utile il rinun-
ciarvi, ma ciò non è sempre possibile; non
basta abbandonare la segale, è d'uopo an-
cora essere in grado di produrre altre cose
ED AGKONOMO 155
con buon successo, e tulli non sono sem-
pre in grado di forzar la natura. Gli In-
glesi per giungere alla loro produzione at-
tuale di frumento hanno dovuto violentare
il suolo ed il clima. L'uso della calce come
ammendamento fu il loro principale ajulo,
e lo stesso mezzo ha prodotti gli stessi
effetti in molti luoghi della Francia. Nel
medesimo tempo è d'uopo il non perder di
vista quest' altro principio che essi hanno
egualmente stabilito , che se non è quasi
giammai vantaggioso il far della segale,
non vi ha profitto a fare del frumento che
in buone condizioni. Dieci ettari in buon
stato, valgono meglio per la produzione del
grano, che 20 o 30 mal disposti e mal la-
vorati.
Mentre quasi il quarto del suolo francese
è a cereali per la consumazione umana ,
meno del sedicesimo del territorio britannico,
cioè 1,800,000 ettari su 31, è a grano; ma
inoltre, mentre sugli 11 milioni d'ettari fran-
cesi, dedotti l'orzo e l'avena, 5 portano
grani inferiori, gli 1,800,000 ettari inglesi non
portano che frumento. Si valuta a 70 milioni
d'ettolitri di frumento, 30 di segale, 7 di
maiz e 8 di saraceno la produzione totale
della Francia in grani, dedotte le semenze;
quella delle isole britanniche è di 45 milioni
d'ettolitri di frumento senza mescolanza di
segale e d'altri grani.
Il prodotto medio è in Francia di 42 et-
tolitri di frumento, ossia di 40 ettolitri di
segale all'ettaro, dedotta la semenza; ag-
giungendovi il maiz ed il saraceno, e ripar-
tendo il lutto sul numero degli ettari se-
minali, si trova un risultato medio per cia-
scun ettaro di un po' più di 6 ettolitri di
frumento, un po' meno di 3 ettolitri di se-
gale, ed un po' più di un ettolitro di maiz
o saraceno, cioè in tutto circa 11 ettolitri.
In Inghilterra questo medesimo prodotto è
di 25 ettolitri di frumento, o d'un po' meno
di 4 quarlers per acro, cioè più del doppio
in quantità e tre volte tanto in valore ve-
nale. Questa superiorità non è certamente
dovuta, come si può supporre (per i prati
naturali ed artificiali, per le radici, e fino
ad un cerio punto per l'avena e per l'orzo).
13() GIORNALE DEI.
alla natura del suolo e del clima, ma alla
superiorità della coltivazione che si mani-
festa principalmente per la riduzione del
suolo seminato a grano, all'estensione che
è possibile di disporre. Quanto al maiz ed
al saraceno, in luogo di essere causa d'in-
feriorità , essi dovrebbero essere fonte di
ricchezza, perchè questi due grani sono
naturalmente dotati di una forza di ripro-
duzione maggiore dei due altri, e ciò che
si ottiene in qualche luogo della Francia,
mostra ciò che se ne potrebbe ottenere
altrove.
La Scozia e l'Irlanda sono comprese in
queste cifre. Se si limita alla sola Inghil-
terra, si giunge a risultamenti ben più me-
ravigliosi. Questo piccolo paese, che non è
più grande di un quarto della Francia ,
produce egli solo 38 milioni d' ettolitri di
frumento , 10 d'orzo , e 34 d'avena. Se la
Francia producesse proporzionalmente al-
trettanto , essa raccoglierebbe , dedotta la
semenza, 150 milioni di ettolitri di frumento,
e 200 dJorzo , d'avena o d'altri grani; il
doppio cioè almeno della sua produzione
attuale. E, come vedesi, la stessa proporzione
che pei prodotti animali ; gli uni sono la
conseguenza degli altri, ed in Francia si
dovrebbe ottenere molto più, in grazia della
natura del suolo e del clima , più favo-
revoli ai cereali che il suolo ed il clima
inglese. Così si verifica coi fatti questa legge
agronomica = che per raccogliere molto
in cereali, giova meglio ridurre che esten-
dere la superficie seminata a grano, e che
dedicando il maggior spazio alla coltivazione
dei foraggi non si ottiene soltanto un mag-
gior prodotto in carne, latte e lana, ma
ancora in grano. — La Francia otterrà i me-
desimi effetti, quando essa avrà coperto di
radici e di foraggi le sue immense lande, e
diminuito di più milioni d'ettari l'avvicen-
damento dei cereali.
Ecco tutta la coltivazione inglese. Nulla
di più semplice: molti prati naturali o ar-
tificiali, utilizzati la maggior parte col pa-
scolo ; due radici, il pomo di terra e il navone;
due cereali di primavera , l'orzo e l'avena,
ed un cereale d'inverno, il frumento; tutte
b' INGEGNERE
queste piante concatenate fra esse per mezzo
di un avvicendamento alterno , cioè per
l'intercalamento regolare dei cereali, detti
ricolli bianchi, while crops , colle piante
da foraggio, detti ricolti verdi, green crops,
e cominciando con radici e piante sarchiate
per finire col frumento ; ecco tutto. Gli In-
glesi hanno abbandonata ogni altra colti-
vazione , come la barbabietola , il tabacco,
le piante oleose, i frutti; le une perchè op-
poste al loro clima, le altre perchè le tro-
varono troppo snervanti e perchè essi in
generale non amano di complicare i loro
mezzi di produzione. Due sole sono sfug-
gite a questa esclusione : il luppolo in In-
ghilterra ed il lino in Irlanda. Là dove
queste piante sono coltivate fanno una gran
riuscita. 11 ricolto del lino dà in Irlanda
un valore di 4000 fr. per ettaro; ma esso
non si estende che su 400, 000 acri , os-
sia 40,000 ettari. Il luppolo è un prodotto
ancora più ricco, ma che non si ottiene che
su 20, 000 ettari circa.
I giardini e gli orti occupano relativa-
mente molto minor spazio che in Francia,
e i loro prodotti sono lontani dal valore
dei francesi. Gli Inglesi mangiano in gene-
rale pochi legumi e frutti, ed hanno ragione,
perchè gli uni e gli altri sono in quel paese
senza sapore. Nel loro regime alimentare,
alla stessa guisa che nella loro produzione,
tutto si concentra in un piccol numero di
articoli ottenuti in estrema abbondanza.
Come pei prodotti animali, la Francia
può vantare un certo numero di coltivazioni
quasi sconosciute in Inghilterra, e i cui pro-
dotti s'aggiungono a quelli delle coltivazioni
similari. Tali sono primamente la vigna ,
questa ricchezza speciale del suolo francese,
ebe non copre meno di 2 milioni d'ettari, e
non produce meno di 230 fr. per ettaro;
secondariamente, il colzat, il tabacco, la bar-
babietola, la robbia, il gelso e l'ulivo; per
terzo infine i giardini e gli orti, che non
comprendono meno di un milione d'ettari, e
da cui si hanno in abbondanza frutti, legumi
e fiori. Tutti questi prodotti insieme, hanno
un valore annuale di un miliardo per lo meno.
Questi sono tesori incontestabili, che re-
ARCHITETTO
dimono in parte l'inferiorità francese, e che
potrebbero redimerla più ancora, perchè il
loro avvenire è indefinito. La diversità del
clima, e più ancora il genio nazionale della
Francia che tende naturalmente alla qua-
lità nella varietà, come il genio inglese alla
quantità nell'uniformità , promettono alla
Francia dei progressi immensi nelle colti-
vazioni che molto aspettano dall'arte.
Egli è però impossibile il dissimulare
che nello stato attuale delle cose gli Inglesi,
colle loro due o tre coltivazioni applicate
in grande , ottengono colla generalità e
semplicità dei mezzi , risultati d'insieme
molto superiori , risultati che si ottengono
pure dai Francesi in quelle parti dove si
seguono gli stessi metodi. Quei dipartimenti
della Francia che somigliano di più all'In-
ghilterra per la natura e la proporzione
delle coltivazioni, sono pur quelli nei quali
si giunge in fine ai migliori risultati, e se
essi restano in qualche luogo al di sotto
della media inglese, egli è che la propor-
zione delle coltivazioni snervanti vi è an-
cora troppo forte, malgrado i progressi fatti
da 50 anni per le coltivazioni miglioranti.
Proviamoci intanto a valutare la produ-
zione totale delle due agricolture. Questa
valutazione è molto difficile, principalmente
quando si tratta di un confronto.
Le statistiche migliori e le più ufficiali
danno una doppia spiegazione. Così nella
statistica della Francia il prodotto degli
animali figura tre volte: prima come ren-
dita di prati e pascoli, poscia come rendita
di animali vivi, infine come rendita di
animali da macello. Questi tre non ne for-
mano che uno; è d'uopo prendere la rendita
degli animali da macello aggiungendovi il
prodotto del latte perle vacche, quello della
'lana per i montoni, ed il prezzo dei cavalli
venduti fuori del podere per usi non agri-
coli. Tutto il resto non è che una serie di
mezzi di produzione che si concatenano
per giungere al prodotto reale, cioè a quello
che serve al consumo umano , sia sul po-
dere stesso, sia fuori. Così pure non è ra-
zionale di portare in conto la quantità che
serve a rinnovare le semenze; le semenze
ED AGRONOMO 157
non sono un prodotto, ma un capitale , la
terra non le rende che dopo averle ricevute.
Finalmente egli è impossibile di contare,
come fanno alcune statistiche, il valore de-
gli strami e dei concimi; i concimi sono
evidentemente , salvo un' eccezione impor-
tante di cui parleremo in seguito, un mezzo
di produzione; e in quanto alle paglie, esse
non costituiscono un prodotto, se non quan-
do servono fuori del podere, per esempio
a nutrire i cavalli impiegati ad altri usi.
Tutto ciò che si consuma sul podere per
ottenere la produzione, come il nutrimento
degli animali da lavoro e degli animali in
generale, gli strami, le semenze, deve figu-
rare nei mezzi di produzione e non nei pro-
dotti. Non vi ha di vero prodotto, se non
ciò che può essere venduto o dato in sala-
rio. Sotto questo rapporto le statistiche in-
glesi sono fatte molto meglio che le fran-
cesi; le nozioni economiche essendo più
diffuse in Inghilterra che in Francia, vi si
separa nettamente ciò che deve essere sepa-
rato, ed i prodotti reali, le derrate aspor-
tabili sono calcolate a parte dai mezzi di
produzione. I mezzi di produzione molto
maggiori in Inghilterra che in Francia,
gli errori e le ommissioni nella statistica
officiale francese, la differenza nei prezzi,
non solo tra le due nazioni , ma tra i di-
partimenti stessi della Francia, sicché la
media generale del regno-unito non è la
stessa della media generale della Francia,
sono tutte cose che rendono diffìcile il con-
fronto. Ciò non di meno egli non è assolu-
tamente impossibile di farsi un'idea, almeno
approssimativa, della massa dei valori creati
annualmente nei due paesi dall'agricoltura.
Deducendo i prodotti che non sono se non
se mezzi di produzione, riparando per quanto
è possibiIe%alle ommissioni della statistica
officiale, e conducendo i prezzi alla media
degli anni antecedenti al 1848, si trova che
il valore annuale della produzione agricola
francese doveva essere cinque anni fa di
circa 5 miliardi, divisi presso a poco come
segue:
158
Prodotti animali
Carne di bue, porco e montone
Lane, pelli, grascie, minugie .
Latte, burro formaggio. . .
Volatili ed ova
Cavalli, asini e muli di tre anni
Seta, miele, cera ed altri prodotti
Totale d,600 milioni
Prodotti vegetali
GIORNALE DELL' INGEGNERE
più ricca; in alcuni punti, come nelle vici-
nanze d'Orange e d'Avignone, nei vigneti di
Cognac e di Bordelais, nei cantoni che pro-
800 milioni ducono l'olio e la seta, ecc. si arriva a ma-
300 » gnifiche rendite: ma le lande e le montagne
400 » che coprono un quarto del suolo non fu-
200 » rono quasi valutate, e nella maggior parte
100 » del resto, la coltivazione languisce senza
100 » capitali e senza lumi. Il nord prevale per
a medesima ragione che mette l'Inghilterra
Cereali pel consumo umano
Pomi di terra idem . . .
Vino ed aquavile ....
Birra e sidro
Fieno, paglia ed avena pei
cavalli non agricoli . . . 300
Lino e canape 150
Zucchero, robbia, tabacco, olj,
frutti, legumi 500
Legnami 250
1,500 milioni
400 »
500 »»
400 »
Totale 3,400 milioni
Cioè per i 50 milioni di ettari del suolo
francese, dedotti 3 milioni occupali dalle
ferrovie, dai fiumi, dalle città, ecc. un pro-
dotto brutto medio di 400 fr. per ettaro,
compresi i terreni incolti e i terreni colti-
vati. Il minimum è nelle terre incolte e nei
terreni boschivi, che rendono, gli uni cogli
altri, da 45 a 20 franchi; il maximum si
ottiene dai giardini, dai vigneti, dalle terre
che portano lino, luppolo, gelso, tabacco o
robbia, il cui prodotto lordo si eleva fino
a 4000, 2000, 3000 franchi e al di là; perciò
tenendo la via di mezzo, si trova per la
maggior parte delle terre coltivate, cioè
per 32 milioni d'ettari circa, che la media
generale è di 400 franchi per ettaro.
Dividendo la Francia in due parti eguali,
l'ima al nord, l'altra al mezzodì, si giunge
per la metà settentrionale a un prodotto
lordo medio di 120 franchi l'ettaro, e per
la parte meridionale di 80. Questa spropor-
zione è tanto più dolorosa in quanto che
la regione meridionale potrebbe essere la
al disopra della Francia, perchè la buona
coltura ivi è più generale.
Finalmente se si confrontano fra loro i
diversi dipartimenti presi insieme, i dipar-
timenti più produttivi sembrerebbero sempre
esser quelli del Nord, del Passo di Calais,
della Somma, dell'Oise, della Senna infe-
riore, dove la media del prodotto lordo è
di 200 fr. per ettaro. Il dipartimento del
Nord produce per lo meno 300 franchi, ma
è il solo che giunga a questo punto. Quelli
al contrario che producono il meno, sono
quelli delle Lande, della Lozère, delle Alte
e Basse Alpi e soprattutto della Corsica. 11
prodotto lordo medio di questi dipartimenti
è di 30 franchi; in Corsica è tutt'al più
di 40. Il resto della Francia è fra questi
due punti estremi.
La produzione agricola del regno-unito
prima del 4848 giungeva pure a un totale
lordo di 5 miliardi di franchi. Questo totale
si divideva presso a poco così: 3,250 mi-
lioni per l'Inghilterra propriamente detta,
4 miliardo per l'Irlanda, 250 milioni per il
paese di Galles e 500 per la Scozia. Ripar-
tita per ettaro della superficie totale, questa
rendita dava il seguente risultato:
Inghilterra 250 franchi
Irlanda. Bassa Scozia, Galles 425 »
Alta Scozia 12 »»
Media generale 165 »
Questo risultato , tanto enorme al con-
fronto, poiché egli si mantiene per l'insieme,
malgrado l'estrema sterilità di una porzione
dell'Irlanda e di tutta l'Alta Scozia, a più
di un terzo in su del prodotto medio della
ARCHITETTO
Francia , era ottenuto con un piccolo nu-
mero di prodotti. Ecco come dividevasi:
Prodotti animali
Carnedibue,montonceporco 4,700 milioni
Lane, pelli, sego, minugie . 300 »
Latte, burro, formaggio . . 400 »
Cavalli da tre anni . . . 100 »
Volatili 25 »
Totale 2,525 milioni
Prodotti vegetali
Frumento 1,100 milioni
Patate pel consumo umano . 300 »
Orzo ed avena e. s. . . . 400 »
Fieno, paglia, avena pei ca-
valli non agricoli . . . 400 »
Lino, canape, legumi, frutti 200 »
Legnami 75 »
Totale 2,475 milioni
Dal confronto di questi due totali emer-
gono i risultati seguenti: Francia 1,600 mi-
lioni di prodotti animali e 3,400 milioni di
prodotti vegetali; regno-unito 2 miliardi e
mezzo di prodotti animali e 2 miliardi e
mezzo di prodotti vegetali. Il legname figura
da una parte per 250 milioni e dall'altra
per 75 soltanto.
La sproporzione non era in realtà tanto
grande come sembrava dalle cifre. Il cal-
colo precedente ha per base il prezzo cor-
rente inglese prima del 1848; ora questi
prezzi erano per adequato di 20 per 100
al disopra dei prezzi francesi. Mentre il
grano era in Francia a 20 franchi l'ettoli-
tro, in Inghilterra era a 25; mentre la carne
si pagava in Francia un franco il chilog.,
vendevasi in Inghilterra uno scellino, e così
di seguito. Per stabilire un confronto esatto
è d'uopo ridurre i prezzi inglesi ai prezzi
delle derrate similari in Francia., cioè ri-
durre i cinque miliardi di 20 per 100. Noi
ci troviamo allora al cospetto di un totale
di 4 miliardi che sembra rappresentare ef-
fettivamente il valore della produzione in-
ED AGRONOMO 150
glese confrontata colla francese. Ripartito
per ettaro , questo totale dava il seguente
risultato:
Inghilterra 200 franchi
Irlanda, Bassa Scozia e Galles 100 »
Alta Scozia 10 »
Media generale 135 »
Ecco la verità come può ottenersi col
mezzo di valutazioni tanto generali. Si vede
che la media della produzione, la più ele-
vata, quella dell'Inghilterra propriamente
detta , era raggiunta ed anche superata in
alcuni dei dipartimenti francesi. Le diffe-
renze che esistono sul suolo francese, ser-
vono a far comprendere la distanza gene-
rale fra i due paesi. Questo prodotto di
200 franchi per ettaro che era ottenuto nel
regno-unito su una metà del territorio è
soltanto in Francia su Vio circa; quattro altri
decimi sono al livello dell'Irlanda e della
Bassa Scozia; l'ultima metà è quella che
abbassa la media, benché l'equivalente del-
l'Alta Scozia non vi si trovi.
Questa superiorità di prodotti si mostra
d'altronde per due fatti che servono a con-
trollare le due cifre date dalla statistica; il
primo è lo stato della popolazione, il se-
condo il prezzo venale dei terreni.
All'epoca della numerazione del 1841 la
popolazione totale del regno-unito era di
27 milioni di abitanti e quella della Fran-
cia di 34. Così quando il regno-unito nu-
triva quasi una testa per ettaro, la Francia
ne nutriva soltanto una per un ettaro e
mezzo; supponendo il consumo eguale dalle
due parti, ciò che in complesso deve essere
esatto, perchè se la popolazione inglese con-
suma in generale di più della francese, la
popolazione irlandese consuma meno , noi
troviamo presso a poco Io stesso risultato
che coll'esame comparativo delle due agri-
colture; la bilancia pende ancora un po'
dalla parte del regno-unito; l'importazione
delle derrate alimentari ristabilisce l'equi-
librio. Se dividiamo le due popolazioni per
regioni, il confronto ci darà ancora i me-
desimi risultati.
400
GIORNALE DELL'INGEGNERE
L'Inghilterra propriamente detta, com-
preso il paese di Galles, nutriva nel 1841
quattro teste su 3 ettari, ciò che trovasi pure
nei dipartimenti francesi dove la produzione
è forte; la Scozia presa nel suo insieme non
aveva che una testa su 3 ettari, e la regione
francese del centro e dell'est, una su 2; l'Ir-
landa contava una testa per ettaro, e la re-
gione francese del sud-ovest, una su 2, ciò
che mostrerebbe per l'Irlanda una produ-
zione doppia; ma l'infelice popolazione ir-
landese essendo molto meno ben nutrita della
francese, si ristabilisce il rapporto.
Quanto al valore medio delle terre, che si
proporziona in generale alla quantità dei
prodotti ottenuti, esso era, pei terreni dell'In-
ghilterra propriamente detta, di 1000 fr.
l'acro, ossia di 2550 fr. l'ettaro, e pel resto
del regno-unito, non compresa l'Alta Scozia,
della metà circa di questa cifra, o 1250 fr.
L'Alta Scozia colle sue terre incolte valeva
tutto al più 425 fr. l'ettaro. Levando 20
per 100 da questo prezzo si giunge ad una
media di 2000 fr. per l'Inghilterra, di 100 fr.
per l'Alta Scozia, e di 1000 fr. pel resto del
paese, cioè per adequato generale 1350 fr.
In Francia i terreni coltivati della metà
settentrionale devono valere per termine
medio 1,500 fr. l'ettaro, e quelli della metà
meridionale 1,000 fr. Valutando gli 8 mi-
lioni di ettari di terre incolte a 125 fr., e gli
8 milioni di terre boschive a 600 fr. l'ettaro,
si trovano per media generale 4,000 fr.
Perciò l'esame comparativo dei prodotti
agricoli, la cifra della popolazione, il valore
venale delle terre, tutto concorre a provare
anche colle stime più strette, che il prodotto
dell'agricoltura britannica, preso nel suo in-
sieme, era cinque anni fa al prodotto del-
l'agricoltura francese, a superficie eguale,
come 435 a 400, e che confrontando la sola
Inghilterra a tutta la Francia, la prima pro-
duceva per lo meno il doppio della seconda.
Questa dimostrazione parmi evidente.
L'Irlanda stessa partecipava a questa
grande produzione; le sue miserie hanno al-
tra fonte. Si valutava prima del 4848 a quasi
600 milioni la sua produzione in avena e
pomi di terra, la maggior parte dei quali
prodotti serviva al nutrimento degli abitanti,
e le sue esportazioni per l'Inghilterra in
grano e carne erano considerevoli. Abbiamo
dunque detto a ragione che l'Irlanda a su-
perficie eguale produceva di più che il mez-
zodì della Francia, benché siano coltivabili
due terzi soltanto del suo suolo.
Per maggior esattezza è duopo aggiun-
gere a questi un altro prodotto che è molto
difficile di valutare, ma che nondimeno è di
grande importanza: questo è la fertilità che
si aumenta nel suolo pei concimi, gli am-
mendamenti, i lavori di ogni sorta, quando
i ricolti annuali non ne scemano gli effetti.
La maggior parte degli statistici per non
trascurarli caddero nell'errore di annoverare
fra i prodotti i foraggi, le stramaglie e i
concimi; ma in questa maniera di calcolare
vi è un' evidente esagerazione, poiché i ri-
colti assorbono annualmente la maggior
parte della potenza acquisita per questi
mezzi; ciò che resta nel suolo è il solo pro-
dotto vero; ma come misurarlo? Un solo
elemento ce lo può indicare con sicurezza:
l'aumento di valore del suolo; questo au-
mento di valore può egli stesso essere in-
trodotto da altre cause, ma la più costante
e più attiva è l'accrescimento di fertilità che
risulta dalla buona coltivazione. Si può va-
lutarla per adequato in Francia a 4 per 400
del valore per anno, cioè 40 a 45 fr. per
ettaro per il complesso dei tre regni, e 20 fr-
per l' Inghilterra propriamente detta. In
Francia la media è di 1/2 per 1M, cioè B fr-
per ettaro; nei dipartimenti meglio coltivati
raggiunge la media inglese, ma in altri è
quasi nulla.
Sebbene questa valutazione non sia e non
possa essere che ipotetica, pure può bastare
a spiegare la superiorità del prodotto delle
terre in Inghilterra; nonostante l'inferiorità
naturale del suolo e del clima, vi supplisce
la fertilità acquistata. Essa ha digià costi-
tuito un capitale fondiario proporzionata-
mente molto superiore e che aumenta con-
tinuamente.
Tre sorta di capitali concorrono allo svi-
luppo della ricchezza agricola: il capitale
fondiario, che si forma alla lunga colle spese
ARCHITETTO
di ogni -onere fatte per mettere la terra in
buon staio: 2.° il capitale di conduzione o
delle scorte, che SÌ compone degli animali,
delle macchine, delle semenze, e che nello
stesso tempo si accresce; 3.° il capitale in-
tellettuale, o l'abilità agricola, clic si perfe-
ziona cos'esperienza e colla riflessione. Que-
sti tre capitali sono molto più diffusi in In-
ghilterra che in Francia.
Per dare l'ultimo tocco a questo quadro,
ci resta a vedere come dividevasi prima
del.lSìS il prodotto lordo,, cioè qual era su
-j miliardi di valor nominale, dedotte le im-
poste e le spese accessorie, la parte che toc-
cava ai proprietarj del suolo, ossia la rendila,
quella che pagava le fatiche e retribuiva il
capitaledei fittajjuoli, ossia il profitto, e quella
che serviva a rimunerare il lavoro manuale
propriamente detto, ossia il salario. Fatta
la medesima operazione rispetto alla Francia,
il paragone fra le due agricolture sarà
compito.
Prima di tutto, la parte che si preleva pel-
le spese generali della società, ossia l'impo-
sta. — Molti errori sono stati diffusi, e tut-
tora accreditati in Francia, sul sistema d'im-
posta che regna in Inghilterra. Si crede
generalmente, dietro una falsa apparenza,
che la terra inglese sia quasi senza imposta,
e che le tasse indirette costituiscano tutta
la pubblica rendita. Al contrario, in nessun
altro luogo la terra sopporta un peso mag-
giore quanto in Inghilterra: soltanto non è
lo Stato che percepisce ciò che la terra paga
direttamente, o per Io meno non ne ritraeva
quasi nulla prima dell'introduzione del-
l' income tax (tassa sulla rendita). L'impo-
sta diretta a profitto dello Stato non era
rappresentala che da una tassa insignifi-
cante che i proprietarj hanno in gran parte
redenta, la land tax (prediale); ma se le
tasse indirette formano quasi tutta la ren-
dila dello Stato, non mancano però le im-
poste dirette sotto la forma di tasse locali.
Tre sono queste imposte: la tassa dei po-
veri, quelle della parrocchia e della contea,
che equivalgono alla rendita dei comuni e
dei dipartimenti francesi, e la decima della
Chiesa. La tassa dei poveri si elevava an-
Vol. ÌU. Setlemb
ED AGRONOMO l<;|
cora sei anni fa, malgrado tutti gli sforzi
che si fecero per ridurla, a (5 milioni sler-
lini, o 150 milioni di fr., perla sola Inghil-
terra. La tassa della parrocchia e della con-
tea, per le strade, i ponti, la polizia, le pri-
gioni ecc. passano ancora nella sola Inghil-
terra 4 milioni sterlini o 100 milioni di fr.;
in tutto 250 milioni. La proprietà rurale
paga essa sola più di due terzi di questa
somma. Aggiungendovi la parte del land
tax non redenta, che è per l'Inghilterra di
25 milioni di franchi, ed in fine il terzo ag-
gravio della proprietà rurale inglese, la de-
cima, una volta variabile ed arbitraria nella
sua esazione, e che dopo la sua commuta-
zione in una rendita quasi fissa, giunge per
lo meno a 75 milioni, si trova un totale di
375 milioni, cioè per i 15 milioni d'ettari
dell'Inghilterra e del paese di Galles, una
media di 25 fr. per ettaro, ossia 8 scellini
per acro.
Questa stessa inedia non dà che un' idea
inesatta dell'aggravio che pesa su certi punii
del suolo inglese. Essendo slata redenta una
parte della decima, ed una parte della land
tax e della tassa dei poveri essendo' molto
inegualmente ripartita, poiché non è punto
centralizzata, e segue le variazioni del pau-
perismo dietro le località, ne consegue che
alcune regioni sono molto al disotto della
media ed alcune altre molto al disopra. Non
è raro di trovare in Inghilterra delle terre
che pagano fino a 50 fiv di tassa l'ettaro.
■ L' Irlanda e la Scozia sono meno aggra-
vate e principalmente la Scozia; qui la mag-
gior parte delle tasse inglesi vi sono sco-
nosciute. La Scozia paga circa 12 milioni
di fr., e l'Irlanda 38. Ecco 425 milioni pel
regno-unito pagati dalla terra propriamente
detta.
L'imposta fondiaria sul suolo, dedotti i
fabricati, si eleva in Francia tra la princi-
pale e i centesimi di addizionale, compresa
la prestazione in natura per ìe sti'ade, a
250 milioni in tutto, ossia 5 fr. per ettaro:
quest'imposta è dunque il quinto circa, in
valor nominale, di quello che è in Inghil-
terra.
A queste cifre bisogna aggiungere l'i'n-
re 1855, 21
dG2
GIORNALE DELL'INGEGNERE
come leu- , che ha qualche analogia colla
contribuzione personale e mobiliarein Fran-
cia, e che importa ancora circa 3 per dOO
di rendita netta dei proprietarj, e d i/a per
100 di quella de' littajuoli. Le imposte sui
fabbricati; delle quali i proprietarj rurali
sostengono la loro parte, sono nella me-
desima proporzione di quelle che sosten-
gono sulla terra propriamente detta. Final-
mente le tasse indirette, oltreché esse di-
minuiscono in fatti la rendita dei proprie-
tarj , innalzando il prezzo di tutte le der-
rate , aggravano alcuni prodotti agricoli,
specialmente l'orzo , che serve alla fabbri-
cazione della birra, e che non paga meno
di 125 milioni di franchi. Si agitò recente-
mente la questione di ridurre questa im-
posta; ma nulla venne ancora deciso. L'im-
posta sulle bevande in Francia produce ,
come si sa, 100 milioni.
La proprietà rurale inglese è, in vero,
sciolta in parte d'un aggravio che pesa gran-
demente sulla terra in Francia ; l'imposta
sulle successioni, le mutazioni e le ipoteche;
ma questa franchigia che non è reale che
per le 'terre di libero allodio , o freeholds,
che non hanno le terre soggette ai diritti
feudali o copy-holds, perde molto della sua
importanza quando si pensa alle spese di
ogni genere che produce l'incertezza della
proprietà inglese per la mancanza di un
buon sistema di registrazione.
Ecco dunque un primo risultalo di que-
sta grande produzione inglese, il possibile
innalzamento dell'imposta. Non ci fermeremo
a dimostrare la ricchezza che ne risulta
per il paese in generale e per la slessa
agricoltura, che profitta per la prima delle
spese fatte col suo danaro. Egli è evidente
che se la proprietà rurale francese potesse
pagare maggiori imposte, l'aspetto delle sue
campagne cangerebbe ben presto: esse si
coprirebbero di strade campestri, di ponti,
d'aquedottr, di manufatti, che loro mancano
presentemente per difetto di mezzi, e che
abbondano in Inghilterra.
Dopo l'imposta vengono le spese acces-
sorie della coltivazione : tali sono le com-
pere di concimi artificiali, la manutenzione
delle macchine aratorie , le rinnovazioni
delle semenze e degli animali riprodut-
tori, ecc. E molto se il coltivatore francese
può dedicare pei adequato 4 o 5 franchi
per ettaro a queste spese tanto produttive,
mentre non si potevano valutare, anche
prima del Ì8Ì8, a meno di 25 franchi per
ettaro e per adequato in lutto il regno-unito,
ed a meno di 59 franchi per l' Inghilterra
propriamente delta. E, come vedesi, di 8 a
a 10 volte di più che in Francia , anche
colla riduzione di 20 per dOO. Tale è il se-
condo effetto di questa produzione superiore;
più si produce , maggiori risorse possono
dedicarsi all'aumento della produzione, e la
ricchezza si moltìplica per sé stessa.
Non ostante questo assegno fatto all'im-
posta ed alle spese accessorie, quando ciò
che resta del prodotto lordo si divide fra
quelli che hanno concorso a formarlo col
loro capitale, colla loro intelligenza, e colle
loro braccia, la parte che tocca a ciascuno
di essi è più grande in Inghilterra che in
Francia.
Prima di tutto la rendita del proprietario
o la rendita del capitale fondiario. — L'idea
della rendita non è cosi generalmente libera
in Francia quanto in Inghilterra; essasi con-
fonde col profitto dell' imprenditore e la
rendita del capitale impiegato, quando il
proprietario dirige egli stesso la coltiva-
zione , ed anche col salario propriamente
detto, quando egli coltiva i suoi beni colle
sue proprie mani. Si può però valutare a
30 franchi per ettaro la rendita media delle
terre in Francia, cioè la rendita netta del
capitale fondiario, fatta deduzione di tutta
la rendita del capitale impiegato, di tutti i
salarj e di tutto il profitto , cioè in tutto
1,500 milioni pei 50 milioni d'ettari fran-
cesi coltivali o no. Si conosce più esatta-
mente per via dell' organizzazione della
coltivazione inglese; che separa quasi sem-
pre la proprietà dall'affittanza, come era
prima del d848, la rendita delle proprietà
rurali nelle diverse parti del regno-unito.
Il minimum della rendita si trova all'e-
stremità nord della Scozia nella contea di
Sutherland, e nelle isole vicine, ove essa
ARCHITETTO
discende lino ad I (V. 23 cent, per ettaro di
valor nominale, cioè I fr. di valor compa-
rativo. L'insieme degli highlands, the com-
prende, come abbiam detto, quasi 4 milioni
di ettari . non rende per adequato ai suoi
proprietarj che 3 fr. per ettaro. Il maxi-
mum è ottenuto in alcune praterie dei din-
torni di Londra e di Edimburgo che si af-
fittano tino a 2000 fr. l'ettaro; le rendile
di 500, 300, 200 fr. non sono rare nei Lo-
thians e nelle parti dell'Inghilterra >icine
alle grandi città. Tutta la parte centrale
dell'isola , che comprende , oltre la contea
di Leicester, la pivi centrale, tutte quelle
che la circondano, rende per adequato 100 fr.
per ettaro ed è senza paragone la più ricca
regione dei tre regni. A misura che si al-
lontana «dal cuore dd paese, la rendita
discende, al sud cade alla metà, nelle con-
tee di Sussex, di Surrey e diHants a 60 fr.
l'ettaro; al nord, in quelle di Cumberland
e di Westmoreland , a 30 fr., ed all'ovest,
nelle più cattive parti del paese di Galles
a 10. Per tutta 1' Inghilterra la media è
75 franchi.
Nella Bassa Scozia , il milione d' ettari
che circonda le due imboccature del Forth
e del Tay rende quasi tanto quanto la con-
tea di Leicester e sue dipendenze; ma a
misura però che si allontana da queste terre
privilegiate, la rendita discende, e la inedia
della Bassa Scozia è eguale in somma a
quella de' suoi vicini d'Inghilterra, le con-
tee di Cumberland di Westmoreland ed il
paese di Galles.
In Irlanda noi troviamo nella contea di
Menili, in Leinster, e nelle annesse contee
di South e di Dublin un altro milione di
ettari, la cui rendita è egualmente elevata
che nel centro dell'Inghilterra; ma troviamo
nello stesso tempo nelle montagne dell'ovest
e in quasi tutto il Connaught una media
molto più bassa.
Riassumendo e adottando per la classifi-
cazione delle rendite le divisioni stesse che
per la vnlutnzione generale del prodotto
lordo, ecco il risultato che si ottiene.
ED AGRONOMO jflg
Rendila media por oliaro.
Inghilterra 75 fr>
Bassa Scozia e Galles ... 30 »
Alta Scozia 3 „
Tre quarti dell'Irlanda ... 50 »
Nord-ovest dell'Irlanda . " . . 25 »
Media generale ... 50 fr.
Tutte queste cifre devono essere ridotte
di 20 per cento dietro la base che abbiamo
adottata; esse allora diventano:
Rendita media per ettaro.
Inghilterra (j0 fr.
Bassa Scozia e Galles . . . 24 »
Alta Scozia 2 » 40 e.
Tre quarti dell'Irlanda ... 40 »
Nord-ovest dell'Irlanda ... 20 »
Media generale ... 40 fr.
In Francia nel dipartimento del Nord
la rendita raggiunge per adequato 100 fr.
l'ettaro, ciò che la mantiene al livello ed
anche al disopra delle migliori contee in-
glesi. In quelli che le si avvicinano di più
essa è ancora di 80 franchi e discende pro-
gressivamente fino ai dipartimenti della
Lozère e delle Alte e Basse Alpi, dove essa
cade a 10 franchi. Nell'isola di Corsica è tut-
t' al più di 3, come negli highlands.
In secondo luogo, il beneficio dei condut-
tori. — Si valutava generalmente in Inghil-
terra alla metà della rendita, cioè 25 fran-
chi per ettaro in tutto il regno-unito, 0 in
valore ridotto 20 franchi. Questa ricchezza
si divide in due parli: la rendita dei capi-
tali impiegati nella coltivazione, ed il pro-
fitto propriamente detto, ovvero la rimu-
nerazione dell' industria agricola. La ren-
dita dei capitali essendo valutata a 5 per
cento, la parte del profitto deve essere in
generale eguale, ciò che porta a 10 per
cento la rendita del capitale impiegato. II
capitnle di conduzione doveva essere allora
per i tre regni di 250 franchi per ettaro e
per adequato, ovvero 200 franchi di valore
ridotto. Questo capitale appartenendo quasi
sempre a' filtajuoli, questa parte del pro-
dotto lordo si devolveva presso che tutta
j(j4 GIORNALE DEUL
ad essi. Nell'Inghilterra propriamente della
la rendila media dei filtajnoli doveva essere
di 40 franchi per ettaro, in valor nominale,
ciò che supponeva un capitale di condu-
zione di 400 fianchi e in valore ridotto 320.
In Francia l'equivalente di questo bene-
ficio si eleva luti' al più a 10 franchi per
ettaro, cioè alla metà della media del re-
gno-unito e al terzo di quella dell' Inghil-
terra propriamente detta. Non vi ha che
il nord della Scozia e l'ovest dell' Irlanda
che siano al disotto della media francese;
il resto è generalmente molto al di sopra.
Egli è d'altronde difficile il distinguere in
Francia il beneficio dalla rendita. Soltanto
un quarto del suolo è affittato, e negli altri
tre quarti il beneficio è confuso colla ren-
dita e col salario. In somma la media del
capitale di conduzione può esser valutala
in Francia a 100 franchi l'ettaro. Ciò è uno
dei principali indizj dell'inferiorità francese,
perchè in agricoltura , come in qualunque
specie d'industria, il capitale di conduzione
è uno degli agenti principali della produ-
zione.
I fittajuoli dell' Inghilterra propriamente
detta, possedevano dunque, a superficie
eguale, la slessa rendita che i proprietà]]
francesi a superficie minore. Il (iltajuolo di
una terra di 100 ettari, per esempio, aveva
l'equivalente di 3 mila franchi di rendita
netta; il proprietario di una terra della me-
desima estensione in condizioni medie non
ne avrebbe avuto di più in Francia. Nelle
parti più ricche, i fìttajuoli guadagnano 50,
60., fino a 100 franchi per ettaro; se ne
trovavano di quelli che avevano 10.000,
20,000, 30,000 franchi di rendita. Di qui
l'importanza sociale di questa classe che
non è collocata sul suolo ad un grado mi-
nore del proprietario stesso. Si chiamano
gentiluomini filtajuoli genllemen farmers.
La maggior parte di essi vive in una mo-
desta ma agiata condizione; sono abbonati
ai Giornali ed alle Riviste, e possono far
comparire sulla loro mensa di tempo in
tempo le bottiglie di Claretto e di Porlo;
le loro figlie imparano la musica; quando
si visitano le campagne in Inghilterra .
INGEGNERE
basta l'essere provveduti di qualche lettera
d'introduzione, che si è mollo ben ricevuti
in queste famiglie cordiali e semplici, che
coltivano il medesimo podere da più gene-
razioni. Nelle loro case regna l'ordine più
perfètto; si vede ad ogni passo quella re-
golarità di abitudini che rivelano un lungo
uso. L'agiatezza vi si è introdotta a poco
a poco per via del lavoro ereditario, svi-
luppatosi principalmente dopo il tempo di
Arturo Young, e se ne fruisce come di un
bene onestamente e laboriosamente acqui-
stato. Fu veduta una volta in una delle
meno fertili contee di Inghilterra, il Not-
tinghamshire, una riunione di filtajuoli dopo
il mercato ; i Pari di Inghilterra non avreb-
bero pranzato meglio. Nessuno di essi pensa
a diventar proprietario, la loro condizione
è molto migliore; per avere 3,000 fr. di
rendila come proprietario, abbisognano al-
meno 100,000 franchi di capitale, mentre
che bastano 30,000 per avere la stessa ren-
dita come fittajuolo.
Vengono infine i salarj. — Qui il vantag-
gio sembra essere dalla parte della Fran-
cia, in questo senso, che la Francia impiega
in salarj una parte del prodotto lordo più
considerevole che il regno-unito; ma que-
sta questione dei salarj è complicatissima ,
e se la si esamina da vicino, si vede che
hanno ancora il vantaggio gli Inglesi, al-
meno in ciò che concerne i3/4 del paese. Sol-
tanto che la loro superiorità era meno de-
eisa su questo punto che sugli altri prima
del 1848, e questa era la parte più debole
della loro organizzazione rurale. Su al-
cuni punii del territorio il male era serio
e profondo, e minacciava di estendersi al
resto.
Quando vuoisi render conto della ripar-
tizione dei salarj prima del 1848 tanto in
Francia che nelle diverse regioni inglesi ,
si trova, lasciando perora da parte la Sco-
zia in causa dei fenomeni particolari che
essa presenta, che in Inghilterra non si de-
dicai ai salarj che il quarto circa del pro-
dotto lordo, ovvero l'equivalente di 50 fr.
per ettaro, o presso a poco, mentre che in
Francia e in Irlanda se ne impiegava la
ABCMTETTO
metà, cioè ancora 50 franchi por ettaro o
l'equivalente; ma il rovescio della medaglia
non è lontano: è il numero dei lavoratori
che si esigono da una parte e dall'altra per
la produzione. In Inghilterra questo nu-
mero era stalo il più possibilmente ridotto,:
in Francia era già molto più grande, ed in
Irlanda più aurora: eceo qual era appros-
simativamente la cifra della popolazione ru-
rale nei tre paesi.
Inghilterra 1 milioni d' abitanti su 1(5 di
popolazione totale.
Francia 20 «milioni d'abitanti su 35 di po-
polazione totale.
Irlanda 5 milioni d'abitanti su S di popo-
lazione totale.
Dal che ne consegue che la popolazione
rurale formava in Inghilterra il quarto sol-
tanto della popolazione totale, in Francia
i quattro settimi e in Irlanda i due terzi;
la ripartizione sulla superficie del suolo ,
dava i risultati seguenti: Inghilterra 30 teste
pei- 10,) ettari, Francia 40, Irlanda G0.
Tutto si spiega col confronto di queste
cifre. Benché l'Inghilterra non impiegasse
in salarj che l'equivalente di 50 franchi per
ettaro, mentre la Francia e l'Irlanda ne
impiegavano altrettanto, il salario effettivo
doveva essere più considerevole in Inghil-
terra che in Francia, e più in Francia che
in Irlanda, perchè si ripartiva sopra un
minor numero di teste.
Possiamo nello slesso tempo trovare la
misura dell'organizzazione del lavoro nei
tre paesi: In Inghilterra . 30 persone ba-
stavano per coltivare 100 ettari, e far loro
rendere l'equivalente di 200 franchi per
ettaro, mentre che in Francia ne abbiso-
gnavano 40 per ottenerne soltanto un pro-
dotto medio di 100 franchi, ed in Irlanda 00:
da cui ne deriva che il lavoro in Inghil-
terra doveva essere molto più produttivo
che in Francia , ed in Francia più che in
Irlanda.
Oresti dati generali sono confermali dai
falli di dettaglio. In Inghilterra la media
del salario rurale per gli uomini era. pri-
ma (lei 1848, di 0 a SD scellini per settimana,
ossia 2 franchi al giorno di lavoro , ed in
valore ridotto 1 fr. e 00 cent. Nei punti più
ricchi, questa media elevavasi a 12 scellini
o 2. 50 fr. al giorno di lavoro, ed in valore
ridotto 2 fr. Nei punii meno ricchi essa
cadeva a 8 scellini o un po' più di fr. 1.50
al giorno, ed in valore ridotto fr. 1, 25.
Alila Bassa Scozia e nel paese di Galles,
la media dei salarj era di 8 scellini per
settimana, o dì ir. i. 25. valore ridotto . al
giorno di lavoro. Nell'Alta Scozia e nei ire
quarti dell'Irlanda la media era di (i scel-
lini per settimana o in valor ridolto 1 fr.
ED AGRONOMO 105
per giorno di lavoro. Nell'ovest dell'Irlanda
la media cadeva a 4 scellini, cioè 70 cent,
al giorno.
In Francia la media del salario rurale
degli uomini dev'essere fr. 1,25 a fr. 1,50
per giorno di lavoro. Su certi punti si in-
nalza alla misura del salario inglese; su
altri cade al livello del salario irlandese.
Gravissime considerazioni sono annesse
alle questioni dei salarj ; ne parleremo altra
volta. Basti per ora di constatare che, gra-
zie alla riduzione delia mano d'opera, che
forma una delle basi del loro sistema agri-
colo, gli Inglesi avevano potuto elevare la
misura dei salarj , contemporaneamente a
quella delle rendite, dei profitti, delle im-
poste, e delle spese accessorie, ma in mi-
nore proporzione. 1/ Irlanda e la Scozia
facevano eccezione.
Oltre la somma destinala annualmente
ai salarj e che si elevava per la sola In-
ghilterra a più di 700 milioni di valor no-
minale, le classi operaje rurali di questo
paese trovavano ancora una gran risorsa
nella tassa dei poveri, la quale non è infine
che un supplemento di salario, e che veniva
ad accrescere di 150 milioni la loro dota-
zione annuale.
Del resto, basta entrare in Inghilterra in
un collage di paesano e paragonarlo alla
capanna della maggior parte dei coltivatori
francesi, per vedere la differenza dell'agia-
tezza media delle due popolazioni. Benché
il paesano francese sia sovente proprietario
ed aggiunga per conseguenza al suo salario
un po' di rendita e di profitto, egli vive meno
bene in generale che il paesano inglese. Egli
è men bene vestito, men bene alloggiato ,
meno ben nutrito ; egli mangia maggior
quantità di pane, ma questo pane è quasi
sempre di segale, di un supplemento di maiz,
di saraceno ed anche di castagne, mentre
che il pane del paesano inglese è di fru-
mento con una piccola aggiunta d'orzo o
d'avena; egli- beve qualche volta vino o si-
dro, ciò che manca al paesano inglese, che
non ha che aqua o un po' di piccola birra,
ma egli non ha carne ed il paesano inglese
ne ha.
Malgrado questi vantaggi, la questione
dei salarj era ancora in Inghilterra una que-
stione viva, prima del 1848. Egli è vero che
la razza, il clima e le abitudini danno agli
operaj rurali inglesi maggiori bisogni che
ai francesi. In Inghilterra ove i salarj sono
più bassi è la punta sud dell'isola, che forma
le contee di Dorset, di Devon e di Corno-
vaglia. In questa regione il salario era l'equi-
valente di fr. 1, 25 al giorno; e benché egli
fosse a livello della maggior parte dei sa-
larj francesi , era generalmente riguar-
|0(5 GIORNALE DELL
dato co.... uiauiuviciite. Nelle parti del-
l'Irlanda e della Scozia ove esso cadeva
al di sotto della media francese, la miseria
era infinitamente maggiore che in Francia
a prezzo eguale. L'equivalente di 20 soldi
per giorno, di cui si contentano in Francia
i paesani, fa stridere; quando si arriva
a 70 cent, come nelle Ebridi e nel Connaught
l'esistenza sembra assolutamente impossi-
bile. Eppure vi sono dei paesi in Francia
dove si vive a questo prezzo e senza la-
mentarsi; egli è vero che questa povertà già
si penosa per sé stessa , non è aggravata
di un clima iperboreo, e, ciò che è ancor
peggio, del sentimento di ima eccessiva ine-
guaglianza. L'equivalente di 70 cent, al
giorno è dappertutto un meschino salario;
ma egli deve sembrare più che altrove in-
tollerabile in un paese ove il salario cor-
rente degli operai rurali è in alcuni punti
di fr. 2 50, ed ove quello degli operaj d'in-
dustria si eleva per adequato anche più alto.
Ecco dopociòche precede,comesi divideva
approssimativamente il prodotto lordo in
Francia e nell'Inghilterra propriamente detta.
Francia
Rendita del proprietario . 30 fr. per ett.
Beneficio del linaiuolo . . 10 »
Imposte 5 »
Spese accessorie .... 5 »
Salarj 50 »
Totale 100 fr. per ett.
Inghilterra (valor nominale)
Rendita del proprietario . 75 fr. per ett.
Beneficio del filtajuolo . . 40 »
Imposte 25 »
Spese accessorie .... 50 »
Salarj 60
Totale 250 fr. per ett.
E colle riduzioni del 20 per 100.
Rendita 60 fr. per ett.
Beneficio 32 »
Imposta 20 »
Spese 40 »
Salarj 48 »
Totale 200 fr. per ett.
Tutte le partite percipienti, salvo i salarj,
avevano dunque una parte più grande in
Inghilterra che in Francia; anche riducendo
tutti i prezzi, la rendita era doppia, il be-
neficio più che triplo, l'imposta quadrupla;
il salario stesso, benché eguale, o presso a
poco in quantità assoluta, era relativamente
un po' più elevato. 11 resto del regno-unito
offriva dei risultati meno soddisfacenti, ma
quasi sempre superiori ai francesi.
'ingegnere
Tali sono i falli, o almeno tali erano sei
anni sono. Vedremo più tardi i cangiamenti
avvenuti dopo, tanto in Francia che nel re-
gno-unito; questi cangiamenti sono conside-
revoli, sopra tutto in Inghilterra, ove una
rivoluzione più legittima, più matura e so-
pra tutto più feconda, di quella del 1848 in
Francia, si compiè pacificamente, mentre la
Francia non fa che risalire l'erta per uscire
dall'abisso in cui era stata gettala. Qual-
che cosa di simile a ciò che avvenne in
Francia ed in Inghilterra dal 1790 al 1800,
si riprodusse in questi sei anni si sterili e
dolorosi per la Francia, si utilmente attivi
per l'Inghilterra. Mentre in Francia si pro-
pongono romorosamente le questioni, senza
risolverle, in Inghilterra le risolvono senza
proporle; qui si uscì dalla prova fortificati,
là indeboliti.
Ma prima di esporre questa crisi, che
accrebbe ancora la distanza già sì grande
fra i due paesi, è d'uopo cercare le cause
della superiorità agricola inglese fino al 1847.
Queste cause derivano dalla storia e dall'or-
ganizzazione dei due paesi. La situazione
agricola di un popolo non è un fatto isolato:
è una parte del grande insieme. La respon-
sabilità dello stato imperfetto dell'agricol-
tura francese, il suo ulteriore progresso non
dipendono esclusivamente da' suoi coltivatori,
o per dir meglio, essi non giungeranno a
conoscere i fenomeni che presenta il loro
suolo, se non rimontando alle leggi gene-
rali che reggono lo sviluppo economico delle
società. (Continua.)
Scoperta delle Sorgenti.
I giornali accennano in questi giorni di
un certo Ami, il quale ha studiato prati-
camente la scienza delle fonti. Condu-
cetelo, essi dicono, alle falde di un colle,
in mezzo ad una pianura, col soccorso di
certi segnali, siete certi che dove batte il
piede , squarciando la terra ne uscirà un
zampillo d'acqua. Condotto per ordine del-
l'Imperatore a Villeneuve l'Etang, ha fatto
già aprire tre o quattro fontane. In una
conversazione con Napoleone, gli ha pro-
messo di trovare acqua da condurre a Pa-
rigi per il bisogno di quella vasta capitale.
Nella pregevolissima opera del dotto di-
stinto sig. ingegnere IV. Pareto : Trattalo
dell' impiego delle acque in agricoltura ,
di cui è in corso di stampa la prima ver-
sione italiana, olire ad una parte che tratta
in un modo assai interessante della natura
delle sorgenti, degli indizii per "(scoprirle ,
della loro utilizzazione, e dei pozzi arte-
siani, dà in una nota , in fine dell' opera^
ARCHITETTO
delle nozioni sulla ricerca delle acque col
mezzo della verga divinatoria.
Presso tulli i popoli antichi, dice il Pa-
reto, vi furono dei Raddomanlici. che cer-
cavano le sorgenti colla verga, e questa
pratica non si è perduta nei tempi moderni,
poiché riscontriamo ancora dei fontanieri
che se ne servono esercitando la loro arte.
Nell'antichità, la verga nun era solamente
impiegata per la ricerca delle acque sot-
terranee , ma le si supponeva una po-
tenza quasi morale per far scoprire i ladri,
gli assassini e qualunque cosa perduta. E
forse per questo che si deve attribuire lo
sdegno col quale i dotti moderni parlano
della verga. Egli è evidente che il ciarla-
tanismo essendosene impadronito, si è vo-
luto fare della verga qualche cosa di sopran-
naturale, a che la scienza moderna, tutta
sperimentale e filosolica, non potrebbe ac-
comodarsi. Abbiamo veduto, soggiunge, cer-
care delle sorgenti col mezzo delia verga,
e più spesso abbiamo veduto trovarne , e
quello che è di più, determinare anticipa-
tamente con grande approssimazione la
loro profondità e la loro portata. Laonde non
siamo spinti a negare, a prima giunta, que-
sto mezzo impiegalo da così lungo tempo e
di cui filosofi antichi e moderni non hanno
messo in dubbio i fenomeni ai quali esso
dà luogo. La verga indica le sorgenti o
le correnti d' acqua sotterranee per certi
movimenti che essa fa nelle mani della
persona che la porta. Fra gli antichi au-
tori che hanno parlato della verga divi-
natoria , possiamo citare : Vairone, Agrì-
cola , Cicerone, ecc., e fra i moderni: i
padri Schott, Dechalles, Kircher, l'abbate
Polmoni , e finalmente Tourenel Forlis ,,
i quali hanno reso alla verga il suo vene-
rabile uffizio, non attribuendole che facoltà
fisiche. In questi ultimi tempi venne scritta
unopera da un naturalista distinto : il conte
De Trislan (Ricerche sopra alcuni effluvj
terrestri), nella quale il dotto autore riferi-
sce delle sperienze numerose fatte per ispie-
gare in una maniera scientifica i fenomeni
della verga.
Fra tutti gli strumenti che possiamo im-
piegare, dice De Laplace, per conoscere
gli agenti impercettibili della natura, i più
suscettibili sono i nervi, soprattutto allor-
quando cause particolari esaltano la loro sen-
sibilità. E pel loro mezzo che si è scoperta
la elettricità che sviluppa il contatto di due
metalli eterogenei, ciò che aprì un campo
vasto alle ricerche dei fisici e dei chimici.
I fenomeni singolari che risultano dalla
estrema sensibilità dei nervi, in alcuni in-
dividui, hanno dato origine a diverse opi-
nioni sull'esistenza di un nuovo agente ,
ED AGRONOMO 107
che si chiama magnetismo animale, sull'a-
zione del magnetismo ordinario e siili' in-
fluenza del sole e della luna in alcune af-
fezioni nervose; finalmente sulle impres-
sioni che può far provare la prossimità
dei metalli o di un' acqua corrente. Egli è
naturale di pensare che l'azione di queste
cause è debolissima, e che essa può essere
facilmente disturbala da cause accidentali.
Così perchè in alcuni casi essa non si è
manifestata , non si deve rigettare la sua
esistenza. Noi siamo così lontani dal cono-
scere tutti gli agenti della natura e i loro
diversi modi di agire, che sarebbe poco
filosofico di negare i fenomeni unicamente
perchè essi so.no inesplicabili nello stato
attuale delle nostre cognizioni. Solamente
dobbiamo esaminarli con una attenzione
tanto più scrupolosa quanto più sarà dif-
ficile di ammetterli.
A. P.
Nuova seta dei signori Pcrclli-Er-
c oliai estratta dalle piante fila-
mentose d'ogni specie (*).
Niun secolo più del nostro è stalo fecondo
di invenzioni d'ogni sorta, ina niuno è stato
testimonio di maggiori delusioni. Quante
scoperte annunciate, e che dovevano fare
una rivoluzione nell' industria, non riusci-
rono che ad una perdita di tempo e di capi-
tali! Gli è perchè molte non erano né ma-
turate dal lavoro, né provate da lunghi ed
accurati sperimenti, né fondate sui principj
dello scienza. Ond'è che il pubblico si mo-
stra assai meno disposto ora ad accettare
ciecamente tutte le invenzioni che gli sono
tuttodì presentate.
Quella di cui oggi vogliamo intrattenerlo
ha per sé fortunatamente la sanzione della
pratica ed i suffragi degli uomini più com-
petenti. Nello stesso tempo essa possiede i
caratteri del progresso industriale e sociale
poiché tende a creare una nuova materia
più abbondante e poco costosa, e che può
servire a comporre, ad un prezzo eccessi-
vamente modico, e alla portata di un nu-
mero immenso di consumatori, un tessuto
quasi eguale in ricchezza ed in bellezza ai
tessuti di seta.
Si è cercato da lungo tempo in Francia
ed in Inghilterra di estrarre dalle fibre del-
l'agave, e da altre piante filamentose di vii
(*) Dall'eccellente Giornale, die si stampa in Pa-
rigi, la Revue Franco-ltalienne, traduciamo questo
articolo, con cui si rende la ben giusta lode ad una
utilissima scoperta fatta -tasti Italiani.
1(58 GIORNALE DELI
prezzo, una materia che si potesse filare e
sostituire al lino,, al cotone, e che anzi po-
tesse surrogarsi alla seta in alenile delle
sue applicazioni. Da secoli si fabbricano nel-
l'India cordami, sluoje, tappeti grossolani
coW'aqave; gli Americani se ne valgono agli
stessi' usi, concorrentemente ad altre piante
dello stesso genere. Ma tino al presente, il
nuovo mondo al pari che l'antico fecero vani
sforzi per ridurre quelle materie prime le-
gnose in un hioccolo che^ con vantaggio reale
e spese poco considerevoli, potesse venir in-
trodotto nell'industria e nel commercio.
1 fratelli Perelli-Ercolini, di Milano, fe-
cero di un tal problema l'oggetto delle loro
lunghe e pazienti ricerche. jPer sette anni
essi lavorarono senza intermissione nel si-
lenzio e nel ritiro, senza far appelli pubblici
e prematuri ai capitali, senza annunziare
anticipatamente e con gran rumore i mara-
vigliosi risultamenli dei loro lavori; essi ana-
lizzarono la natura delle piante, tentarono
moltiplici prove, opposero una volontà in-
concussa a tutte le difficoltà, ed ebbero fi-
nalmente la soddisfazione di veder la loro
impresa coronata di un ottimo successo.
Riuscì loro di estrarre dall' (kja'oe; dal pal-
mizio e da altre piante filamentose, che cre-
scono senza coltura, e da cui non si trae
verun partito, una materia bioccolosa che può
gareggiare colla seta per la finezza, per la
pieghevolezza e pel lustro.
Un tal fatto è meritevole delle più attente
considerazioni da parte degli economisti e
dei fabbricanti, infatti la materia prima sulla
quale operano i signori Perelli-Ercolini, su-
pera di molto in abbondanza quella del co-
tone, non richiede le stesse core per colti-
varla,, e si trova ad essere d'un modicissimo
prezzo.
Per dare alla loro preziosa scoperta tutta
l'autenticità possibile, i Perelli hanno voluto
anche invocare la sanzione della scienza, e
provocarono esperimenti pubblici che po-
tessero metter fuori di dubbio l'utililà reale
e pratica del loro metodo, e offerire ogni
sicurezza ai capitali che fossero disposti a
secondare questa nuova industria.
Tre professori designati dal presidente
dell'università di Torino risposero con molta
sollecitudine all'invito dei signori Perelli, e
verificarono il successo ottimo degli speri-
menti destinati a provare il merito della loro
invenzione.
Testimonianze così esplicite, giudizi cosi
ponderali non permettono di contestare il
INGEGNERE
solido valore della invenzione dui Perelli:
le sue conseguenze economiche sono incal-
colabili. Ognuno comprende infatti qual ri-
voluzione deve operare nell'industria un
metodo che, mediante la spesa di 1 a 2 cen-
tesimi il chilogrammo, eslrae da una ma-
teria non utilizzala, e, a dir cosi, perduta,
un bioccolo brillante e morbido, atto ad un'
infinità di applicazioni manifatturiere.
Ma non è in ciò il solo vantaggio di que-
sta scoperta. E«sa avrà per l'Italia, dal lato
della agricoltura nazionale, un'alta impor-
tanza. Vasti terreni, nella penisola, ed an-
che più nelle isole di Sardegna e di Sicilia,
rimangono improduttivi per mancanza di
braccia che li coltivino. Riacquisterebbero
valore se si consacrassero alla coltivazione
delie piante filamentose, che vengono su
quasi senza bisogno di cure, e crescono ol-
tre ciò spontaneamente e copiosamente in
tutti i paesi dei due mondi.
Il nuovo prodotto testile ottenuto dai si-
gnori Perelli figura all'Esposizione Univer-
sale. Qui ci fu dato di esaminare e di toccare
quel filo tanto fino quanto è quello che si
ravvolge intorno al bozzolo. Lo abbiamo
visto in matasse, in fiocchi, in gradazioni
di colore d'ogni sorta, e ci siamo convinti
della sua tenacità, come pure delia sua di-
sposizione a ricevere la tintura. Al fatto,
esso ha veramente tutta la pieghevolezza e
la morbidezza della seta, e l'unica sua in-
feriorità rimpetto a questa consiste nella
sua apparenza, che è un po' meno brillante.
Del resto i Perelli non pretendono degra-
dare i prodotti del bombyx; ma si conten-
tano di fornire al consumo universale una
materia prima che eguaglia quasi in bellezza
la seta, ed il cui prezzo di costo è inferiore
a quello di tutte le materie testili. Questo
risultamento è abbastanza bello per soddi-
sfare le più avide ambizioni.
La scoperta dei signori Perelli offre guest'
immenso vantaggio, che non richiede alcuna
spesa di stabilimento per essere applicata
alla fabbricazione. Può tessersi con lutti ì
metodi adoperati pel lino, pel cotone e per
la seta ordinaria. Gl'inventori si propongono
di giovarsi d'alcuno de' numerosi telai mec-
canici che figurano alia Esposizione, per
fabbricare stolTe di cui la seta perelliana
sarà la materia prima. Questi telai agiranno
in permanenza sotto gli occhi del pubblico
nella galleria annessa.
Dal Panar. Univ. di Torino.
Tip- 0. SALVI e I .
R. SAI.DINI Editore responsabile.
MEMORIE ORIGINALI.
memoria sulla erezione
di un cascinale in Poasco.
(Vedi la Tav. 11.)
Chiarissimo Sig. Estensore
Ella già da alcun tempo mi andava sol-
lecitando perchè le affidassi un progetto
di cascina da me compilato pel tcnimento
Poasco, posto nel territorio dello stesso
nome, discosto circa miglia sei a sud della
nostra Milano, e ciò nel pensiero di farlo
di pubblica ragione col mezzo del suo ri-
putato giornale.
Neiraderire che ora faccio alla di lei do-
manda mi trovo però in obbligo di aggiun-
gere alla gretta pubblicazione della "tavola
di disegno alcune spiegazioni alla stessa
che valgano a chiarire le cause intorno
al pensiero, che mi guidavano al progetto,
ed ai vincoli di località che mi determi-
navano alla proposta.
Convien dunque premettere che i due
corpi di caseggiato ai N.° 6 e 15 (vedi Ta-
vola H) sussistevano in istato di ottima
conservazione; tornava perciò obbligo del
proponente di coordinare l'intiero progetto
del fabbricato a queste due parti da con-
servarsi. Ecco l'impulso primario che mi
fece disporre il barco-stalla e le stalle tutte
coll'aspetto da est ad ovest. L'esperienza
però d'oltre quattro anni d'uso di queste
stalle, dimostrò innocua la loro posizione
opposta alla tanto raccomandata da nord
a sud; posizione però che non lascierei di
preferire ogni qualvolta lo si possa.
Ciò premesso, passerò ad un cenno sul
concetto complessivo del cascinale desti-
nato al servizio agronomico di censuarie
pert. 1367. 49. 3. di fondo tutto irriguo
colle fertili acque della roggia Vettabia;
Voi 111. Ottobre
della quale estensione peri. 708. 3. 3. (*)
sono a prato marcitorio; il rimanente ad
aratorio vicendabile per una parte anche
colla risarà.
È già gran tempo che io sento potersi
condurre le nostre economiche aziende
dell'agricoltura in grande a migliori con-
dizioni. Ciò doversi ottenere coll'ordinc
in ispecie; ma essere per questo neces-
sario guidare i nostri fittabili a migliori
abitudini. Inveterate costumanze però vi
si oppongono, sia dal lato dei fittabili, che
da quello dei loro dipendenti. Alcune pic-
cole largizioni, da farsi a qualche addetto
alle già ordinate gerarchie dei coltivatori,
sembrano ai fittabili sprecate, non intra-
vedendone forse i vantaggi che ne ridon-
derebbero dall'ottenuto ordine. Alcune di-
scipline da imporsi ai coltivatori fanno
ricalcitrare questi dal sottoponisi, perchè
tenaci delle loro prische abitudini, quasi
travolte a leggi regolatrici dei loro con-
tratti di colonia. Le giudiziose innovazioni
eseguite senza urto, lentamente, collo spi-
rito del meglio, guidano al bene senza
punto avvedersene.
Nei grandiosi stabilimenti industriali il
sommo ordine , tenuto con una forte di-
sciplina, lo si vuole inscindibile col buon
andamento dello stabilimento medesimo,
ed alcuni di questi stabilimenti da noi
furono spinti, dal lato custodia, forse anche
a ridicola gelosia.
Ora 1-e nostre grandiose aziende agra-
rie non possono a tutto diritto parago-
narsi ai grandiosi stabilimenti industriali?
Perchè dunque il fabbricato che serve a
questa industria non verrà coordinato a
potersi usare sotto le condizioni di un
(!) La pertica censuaria milanese corrisponde a
quadrali mei. 654,52.
4855. 22
170
GIORNALE DELL' INGEGNERE
ordine perfettissimo? Ecco uno dei pen-
sieri che mi guidava alla compilazione del
mio progetto. Debbo però francamente con-
fessare che finora col fatto nulla ottenni.
Chi usufruisce quel fondo segue tuttora
le ereditate abitudini, e rifugge da ogni in-
novazione. _ .
Fu già proposto agli studiosi il deter-
minare le cause dell'insalubrità dell'aria
nella bassa pianura irrigua, e massime in
quella ove primeggia la risaia. Se poco di
positivo venne concretato per guidare 1 in-
gegnere nelle costruzioni, egli è però certo
che devesi curare d' ottenere che il fab-
bricato riesca in un piano superiore ai
punti più elevati della irrigazione per le
circonvicine campagne, e su di questo piano
far sorgere ogni parte del fabbricato per-
chè riesca possibilmente salubre. Come
è certo che il conservarvi la massima li-
bera ventilazione sarà altro utile requisito.
Molte parti poi del fabbricato sono dalle
osservazioni dei pratici dimandate in spe-
ciali condizioni, come a mo' d'esempio, il
Casone, la Casicola, la Salirola, la Casera,
ed altre (*).
In questi ultimi tempi però alcuni scrit-
tori presentarono requisiti utili da con-
servarsi nella parte destinata alla fabbri-
cazione del formaggio ; vedremo in seguito,
quali siano e come si procurò raggiungere
le prescrizioni.
Fermate le idee in tal maniera, veniva
tracciato il rettangolo comprendente l'in-
tiero caseggiato, la cui superficie ascende a
met. q. 17336, 48, che si suddividono nelle
subalterne aree (vedi la citata tav.): I.° Cor-
te per accatastare, fendere eAconservare ì
legnami; II.0 altra per le aje; III.0 recinto
per la dimora dei majali; IV.0 corte a ser-
vizio delle abitazioni coloniche; V.° Cor-
ei) Queste voci vennero conservale colla desinenza
italiana toro concessa dall' uso pratico, non avendo
i Toscani che burraja — pel complesso dei locali
stessi, cioè, Casone (bollino) l'ambiente destinalo
alla fabbricazione del parmigiano, massime per la
eotlura; Casirolo il locale ove si conserva il latte
nelle spanse pel tempo necessario a separare la
crema dalla parie caseosa. — Salirola è il locale ove
si opera la salatura del formaggio, e che deve con-
tenere d'ordinario quaranta forme. — Casera il lo-
cale ove si opera la prima stagionatura del parmi-
giano, e che deve essere capace almeno di 125 forme
disposte su scaliere.
tile per le fogne delle stalle ed abbe-
vera tojo.
Ripartita cosi l'area assegnando ai vani
servizii gli accennati scomparti (^pro-
cedetti da poi a precisarne i piani, che
vennero detcrminati nel seguente modo.
Assicuratomi del pelo massimo della
roggia principale, che e il cavo scorrente
a tramontana del cortile N.° 1, determinai
la soglia della cucina pel fittabde in di-
segno al N.° I, a m. 0, 25 superiore a detto
pelo massimo. Questo piano torna comune
a tutto il fabbricato costituente il corpo
di caseggiato alti N.° 1 fino al 6, la cui
corte di tramontana al N.° 1 scarica me-
diante tombinatura le acque pluviali nel
cavo inferiore all'edificio da mulino e pi-
sta. La parte però del caseggiato da ftt-
tabilc che serve a sale e studio fu rile-
vata da detto piano di m. 0, 90, con che
vennero praticate inferiormente alle stesse
le cantine, le quali hanno il loro pavi-
mento più elevato di m. 0, 40 dal massimo
pelo della naturale sorgente, verificatosi
mediante apposite osservazioni per lo spa-
(1) La corte N.° I, compresa l'area dei due la-
terali fabbricali per mulino ed arsenale, comprende
uno spazio di quadrali . • . metri 2504, 78
La corte N.° 11, comprese le aje di
sup. melri 2984,80 ed i caseggiati da
fittabile, portici d'aja — e stalle . . .10459,50
11 recinto N.° 111 occupa uno spazio
aperto di superfic. metri 468, 00 e com-
plessivameule coi caseggiati . . • » 1200, bu
La corle IV è di super, met. 468, 00
e coirli alligni caseggiati comprende una
superficie di " 1200,60
11 conile N.° V finalmente è per me-
tri 148,40 occupalo dall' abbeveratojo ;
per metri 190,00 dalle due vasche pei
concimi ciascuna d'eguale capacita, e
complessivamente " 1710, uu
Lo spazio che serve d' ingresso prin-
cipale ascende a * -b\,w
Tolale superficiali metri 17336,48
0 censuarie Peri. 26,11,8
Ossia potrebbesi stabilire che un lenimento ca-
pace a mantenere continuamente una mandra , di
cento vacche domanda pei servigli agrani V» cxrc*
della sua superficie. Eppure in generale l area oc-
cupata per queste titolo ammonta a ben più rue-
vante proporzione senza che le pan. dei e as watt
superino le proporzioni adottate m queste fabbricato.
ARCHITETTO
zio di duo anni (*). Si adottò questa dif-
ferenza di livello nella sezione orizzontale
dell'abitazione da fittabile perchè nel men-
tre i praticali sotterranei tornano da un
canto di comodo e salubrità alla dimora
del fittabile, non avessero poi estendendosi
ancbe sotto alla cucina, a formare un im-
barazzo nei quotidiani usi della stessa,
difficoltandone la comunicazione con gra-
dini verso le esterne parti.
Il piano o pavimento delle staile col-
l'opposto portico detto in termine pratico
maggera. circondanti il grandioso cortile
N.° II, è a m. 0, 30 inferiore al suindicato,
e quello delle aje torna dappresso da que-
st'ultimo di m. 0,3 0, coi quali elementi si
distribuirono le trasversali pendenze da
est ad ovest, da che quella da nord a sud,
cioè di m. 0, 80 tra l'accennato piano della
cucina da fittabile, e l'estremo punto di
mezzodì, venne per metri 0, 30 assegnata
al pianerottolo davanti al fabbricato da fit-
tabile, e li residui all'intiera corte in cui
sta centrale una strada divisa dalle aje
pei colatori raccoglienti tutte le pluviali,
che sono per sotterranei tombini trasmesse
alle parli basse del fondo poste al di là
verso mezzodì dell'eretto cascinale. Con
queste forti pendenze, e ricoperti gli spazii
che possono essere percorsi da ruotanti
con uno strato dell'altezza di metri 0, 20
di scelle ghiaje vailate, si ottennero piani
perfettamente asciutti circondanti le abi-
tazioni tutte, e così sbanditi quei per-
petui fanghi, causa d'insalubrità ed im-
mondezza nei cascinali attinenti alla nostra
agricoltura irrigua.
E da che la pluralità ora conviene che
la somma pulitezza sia altro dei requisiti
alla salubrità d'ogni animale, non credetti
d'ommettere di facilitare l'esatto espurgo
del barco-stalla ; al qual intento introdussi
nei ridi (2) del medesimo una gora d'acqua,
(') Queste praliche tornano tediose, e di assai
perditempo, non dovendosi abbandonare le verifi-
cazioni a chi che Pia ; ma sono indefettibili ad ese-
guirsi, massime sul finire del luglio, sembrando
che la naturale sorgente senta nel basso Milanese
un rialzo di pelo dipendentemente dagli effetti delle
praticale irrigazioni, che riscontrai (ino a metri 0. 15.
Lo stabilire questo fatto è importantissimo se si
vogliono ottenere salubri abitazioni.
(-) Ride, sono così chiamali da noi i canali di
scolo tra l'ambulatorio della stalla, e lo stallo; ma
ED AGRONOMO J71
elicvi entra mediante il rigagnolo abed,
diretto all'abbeveratojo, e colla tratta de
del medesimo per sotterraneo tombino
passa ai ridi, dalle cui parti centrali sorte
peraltro tombino scaricandosi nelle vasche
N. 12, che in tal modo possono essere
questo pure intieramente ripulite facen-
done sortire le acque perfettamente lim-
pide. Queste vasche sono poi gucrnite al
punto f da una cateratta scaricante ad un
esterno cavo, il cui corso è tantosto di-
retto alla prateria, mercè la indotta posi-
zione d'altezza dei fabbricati coi praticati
rialzi di cui si accennò nelle precedenti po-
sizioni dei piani ai medesimi assegnati (*).
Visto così l'ordinamento del piano ge-
nerale dell'intiero cascinale per assicurare
al medesimo la possibile salubrità passerò
ora a render conio dello scompartimento
delle varie parti che lo compongono, che
procurai coordinare ai desiderj dei nostri
conduttori di fondo, non perdendo però
di vista nelle mie proposte l'afferrata idea
di guidare i conduttori medesimi a mi-
gliori usi.
È ferma opinione dei nostri fittabili, che
la maggiore sorveglianza alle svariate ope-
razioni, domandate eseguirsi parte quoti-
dianamente, parte ad epoche diverse nel
cascinale per usufruire utilmente un no-
stro podere, debba partire dalla propria
cucina, come punto ove succede la mag-
giore dimora della castalda. Fra le gior-
naliere operazioni torna prima ad anno-
verarsi la produzione del latte; sussegue
per un dato spazio dell'anno la brillatura
del riso; per altro, l'incascinamento dei
fieni, che si alternano colle raccolte dei
cereali, e loro essiccamento, nella qual epoca
si verifica la divisione della quota colo-
nica. Son queste le operazioni primarie:
toccando delle minori, dipendenti per lo
più dal sistema d'economica amministra-
zione adottata dal fittabile, sono ad anno-
non trovandosi l'esalta corrispondenza italiana, la-
sciai la voce vernacola per brevità ed intelligenza
pratica.
(!) Né si credano queste diligenze sprecale: i col-
tivatori sagrifieherebbero il vantaggio della pulitezza
agli utili dei concimi se quello non si coordinasse
con questi. Pel dettaglio delle vasche: (vedi) Me-
moria sulla lava metallica negli usi agronomici, fa-
scicolo 9, anno II, marzo 1855, di questo giornale.
m
GIORNALE DELL'INGEGNERE
verarsi il cucinare, le manipolazioni del
latte, la economica distribuzione dei fo-
raggi, per la quale sarebbe assai utile che
un" cascinale non mancasse anche di una
bilancia a ponte.
Dall'esame della tavola ed appostavi de-
scrizione si rileva centrale ai due cortili
principali 1.° eli.0 l'abitazione del fìtta-
bile, dalla cui cucina si possono facilmente
scorgere la pila, il casone, le aje ed i gra-
na], che comprendono tutto il superiore
del fabbricato alli N. 19 e 20, meno le due
estreme parti di est ed ovest, la prima al
N. 17 destinata all'abitazione del fattore,
la seconda del casaro. Sono pure sempre
in vista all'accennata cucina le stalle tutte;
con che si sarebbe raggiunto, per quanto le
grandiose parti occorrenti al fabbricalo lo
permettono, il comune desiderio dei con-
duttori di potere da detta cucina sorve-
gliare le parli tutte del fabbricato.
Da questa distribuzione sorge facile lo
scorgere che essendo chiuso con cancello
in ferro l'ingresso principale N. 16, alla
sua testa di tramontana, la destinata abi-
tazione al fattore N. 17 vale per commet-
tere alla famiglia di questo la mansione di
custode, con quelle pratiche disposizioni
che arrivassero ad obbligare ad un ordine
perfetto ciascun colono, chiamato ai varj
usi agronomici eserciti nell'interno del ca-
scinale, sia di giorno che di notte. Le abi-
tazioni coloniche mentre sono a perfetto
contatto, e formano parte dell'intiero ca-
scinale, possono da questo nella notte se-
pararsi e concedere ai coloni il libero pas-
saggio per l'ingresso del cortile N. IV.
Il cortile N. Ili o recinto pei majali è
pure parte dell' intiero cascinale, ed in per-
fetta comunicazione col cortile N. II; ma al-
lora quando la fabbricazione del formaggio
venisse esercita per parziale contratto con
un latlaro (1), in questo caso lo slesso quar-
tiere potrebbe essere pienamente indi-
pendente dalle restanti parti del cascinale,
(1) Ho conservala quesla desinenza concessa dalla
pratica a colui che nella bassa campagna milanese,
in «niella pavese, nella lodigiana compera il latte dai
conterrieri clic hanno vacche , ma non fabbricano
cacio, e di lai lalli così raccolti fa poi giornalmente
la forma di cacio lodigiani), e ciò pt
costui dal lallajo.
e praticato dall'ingresso separato del cor-
tile N. III.
Ma prima d'abbandonare il cenno su
questa parie importante dei rustici servizi
per la fabbricazione del formaggio, è qui
che debbo avvertire, come si procurò con-
formarla alle dottrine raccolte dagli scrittori
sul caseificio.
Se dall'esame delle opere dei signori
Cattaneo, doti. Pellegrini e Landriani tro-
viamo i medesimi fra loro assai discrepanti
sulle varie cause che producono cattivi i
formaggi, sono d'accordo però nello sta-
bilire che il latte facilmente passa alla pu-
trefazione per le cattive qualità dei locali
in cui d'ordinario vien conservato; che uno
dei principali difetti di questi locali è, quello
di non avere una fresca temperatura nel-
l'estate, additandosi il grado 10 di Réaumur
come il più opportuno. I due primi autori
poco invero suggeriscono sul modo di co-
struzione di questi locali. Il sig. Landriani
però avviserebbe come assai conveniente
un sotterraneo, ed anche utile un locale
cui si facesse scorrere all' ingiro un riga-
gnolo di fresche acque. Noi conoscendo
che la putrefazione è sempre causata da
un eccesso di calorico, proporzionatamente
al corpo su cui si verifica, e conoscendo
del pari, che i pozzi presentano nella no-
stra Lombardia una temperatura quasi co-
stante, fummo d'avviso, che il sotterraneo
fosse infatto l' ambiente desiderabile a pre-
venire per quanto si possono gli inconve-
nienti di putrefazione nel necessario aspetto
del lalte per separarsi dalla parte butirrosa.
Persuasi del vantaggio di una simile co-
struzione, non rimaneva d'accertarsi che
della possibilità d'ottenerla. La difficoltà a
questa nei nostri bassi piani si limita alle
infiltrazioni delle acque. Feci quindi ten-
tare le località ove doveva erigersi il fab-
bricato della casirola , e fortunatamente
le infiltrazioni le rinvenni al disotto di
quel piano metri 2,00. Assicuralo di questo
fatto, immaginai il mio sotterraneo alla sola
profondità di metri 1, 50, ottenendo fuori
di terra il rimanente dell'altezza per altri
metri 1, 50, e come meglio dalla sciografia
sulla linea CD (vedi la citata tavola di di-
segno).
Rimanevano però a solcarsi quelle ec-
cezioni sugli usi incomodi che i radicati
ARCHITETTO
pregiudizi do1 nostri lìttajuoli e loro dipen-
denti avrebbero ravvisato nel discendere
alla casirola con una scala, e quella garruli-
tà con cui avrebbero avvertilo il facile ca-
dere sulla stessa col perdere il latte, nel
trasporto dalle spanse alla ealdaja. A ciò
provvidi colla costruzione di una rampa,
che sviluppai dal casone all'ambiente de-
stinato a casirola.
Ottenuto così questo primo locale di ser-
vizio, era ancora a decidere la forma, ed
ubicazione del locale detto salicole. An-
che intorno a questo ramo di perfeziona-
mento del formaggio sono gli accennati
autori discrepanti; ma un pensiero rinvenni
nel Landriani, che mi persuase; cioè es-
sere dannosa l'umidità a questa operazione,
la quale sciogliendo repentinamente il sale
precipita gli effetti di questo sul formaggio,
e ne aumenta il consumo e la durata di
tempo che deve rimanere sotto Fazione
dello stesso per perfezionarsi. L'adottare
pertanto un locale che differisse dagli or-
dinar]' se non nell'essere più di questi
asciutto, non mi lasciò tema d'incorrere
nelle censure di novità e quindi mi de-
terminai a questo sistema, come dalla ci-
tata sciografia sulla linea CD. Con che ebbi
il vantaggio d'ottenere un più facile svi-
luppo della rampa di discesa alla casirola,
ed un sotterraneo che potrebbe essere de-
stinato a ghiacciaja coli' utile di rendere
sempre nella estate più fresca la casirola.
Racchiudono infine all'est il grandioso
cortile dell'aje al N. Il le stalle col cor-
tile N. V destinato alle fogne, che venne
praticato con una sporgenza dal perimetro
dell'intiero fabbricato nella vista igienica,
che tornassero le fogne stesse, facilmente
dominate dai venti, cui fosse dato di tra-
sportarne le incomode esalazioni all'aperta
campagna senza urtare nelle abitazioni.
Per questa causa e per maggiore comodo
degli usi pratici, nei rapporti che si col-
legano le stalle coi locali dì fabbricazione
del formaggio, avvertirò anco, che le abita-
zioni coloniche circondanti il cortile N. IV,
se al luogo di coordinarle, come già esi-
stenti, avessi potuto erigerle d'impianto,
avrei queste stanziate nella località del
cortile N. Ili, e questa in quella del N. IV;
con che la stalla di osservazione e sepa-
razione per prevenire le dannose conse-
ED AGRONOMO 473
guenze delle epizoozie posta all'angolo sud-
ovest del cortile JN. IV sarebbe tornata in
località più remote da tulle le altre stalle.
Che se di grave importanza è la solu-
zione pratica del problema sulla costru-
zione di un cascinale pei nostri tenimenti
irrigui dal lato igienico, d'utile e comod5
uso; di non minore importanza è la so-
luzione del problema medesimo nella vista
dell' occorrerne dispendio. Credo dunque
non inopportuno un cenno anche intorno
a questo argomento, alla cui migliore in-
telligenza presenterò brevemente una idea
sulle principali conformazioni delle parti.
Il fabbricato venne condotto a compi-
mento coli' impiego dei noslri ordinarj la-
lerizj, calce dolce, travature in larice, im-
palcature in abete, i serramenti tutti di
luce in larice, quelli d'accesso in abete,
avendo però adottato il larice per le stalle
tutte. Ogni finestra è guernita da davan-
zale in puddinga delle cave di Vigano (l).
Le aperture tutte, da soglie in granito, e
le principali di uso grossolano, come quelle
delle stalle, e simili, anche da spalle ed
architrave pure in granito. Nessun locale
manca di pavimento, ed a quelli di casera,
casone, casirola sono eziandio in selce (2).
La breccia detta di Trezzo sud' Adda
ai canali di scolo delle stalle ne assicura
la fermezza, come zoccoli in egual pietra
sorreggono tutti i piedritti. Un corso di
ardesie nel!' altezza di metri 0, 00 corona
i piani delle fondamenta, ove le parti del
fabbricato non si elevano su le breccie,
e ciò allo scopo d' impedire l' umidità
ascenderne dalle viscere della terra. I
sottogronda tutti in selciato. I tetti dei
granai intieramente impianellati. I truo-
goli (3) per le stalle dei majali in gra-
nito, come similmente sono bordeggiate
le bocche tutte delle fogne. Non vennero
infine omesse le necessarie vernici ai ser-
ramenti ed alle opere in ferro, come non
si mancò di compiere con tinte ed im-
bianchi 1' abitazione del fittabile, le prime
allo scopo della migliore conservazione ,
(f) È in commercio conosciuta e classificata questa
puddinga col vocabolo cornettone.
(2) Corrisponde praticamente alla pietra delta
Léola dal nome del paese posto sul Vernano, ove
csislono le cave di lai pietra.
(3) Volgarmente albio.
174
GIORNALE DELL'INGEGNERE
le seconde, per la maggioro pulitezza vo-
luta. Servono a questo cascinale tre pozzi
tutti guerniti da trombe aspiranti con avelli
in puddinga, e regolari condotti di scarico
alle acque esuberanti.
La spesa sostenuta per la sua erezione
mediante contratto d' appalto , ascese alla
somma di austr. lir. 128,750,46, ma per
le sole parti aggiunte alli due già esi-
stenti quartieri di fabbricato, cioè 1' edi-
ficio da pista e mulino al N.° 6 — e le
case coloniche al N.° 15: per cui ingros-
sando la detta somma del valore di queste
due parti , non che di quello corrispon-
dente allo spoglio del vecchio caseggiato
pure nella rifabbrica reimpiegato, il vero
costo dell'1 intiero cascinale si eleva alla
vistosa somma di austr. lir, 206,228,08,
o franchi 179,418, 43, ogni cosa compresa
di trasporto, sterri necessari, nulla eccet-
tuato. Vedi la nota a pag. 175.
Occorse un dispendio di tempo dal prin-
cipio dei lavori al loro completamento di
poco più di due anni, essendosi distribuita
l' esecuzione in modo di lasciar campo agli
assodamenti delle fondamenta, edagli asciu-
gamenti dei fabbricati, perchè tornassero
tantosto salubri allorché venivano in uso.
Il capo-mastro Antonio Golzi ne fu l'e-
secutore per due separati contratti , che
condusse con amore a lodevole termine
nelP indicato spazio di tempo, e che con-
segnò nel terzo anno in ottimo stato senza
pecche il fabbricato , essendo stato nel
contratto onerato di tale obbligo di gratuita
conservazione, e prova sulla riescila delle
varie parti del fabbricalo.
Veduto così quali estensioni debbansi
prossimamente adottare nelle varie parli
di un cascinale occorrente ad utilmente
usufruire un tenimento della nostra pia-
nura irrigua dell'estensione compresa tra
le pert. 1500 alle pert. 1800, e quale
rilevante dispendio ne consegua, mi per-
metterò alcune considerazioni formanti
lemma alle discorse cose.
L'interesse del capitale occorrente torna
pressoché intieramente passivo alle pro-
duzioni annue del fondo dacché i po-
chissimi annuali prodotti che si sogliono
ottenere colle imposte pigioni ai coloni
vengono pressoché assorbiti dalle relative
ordinarie spese di conservazione del fab-
bricalo medesimo. Per modo che nel con
crcto caso del tenimento Poasco di per-
tiche 1568 prossimamente, il proprietario
deve sottrarre una annualità di alir. 6, 58
circa per ogni pertica prima d'ottenere
l'utile produzione del proprio podere.
Potendo un cascinale delle considerate
proporzioni servire anco ad un fondo di
maggiore estensione; ma non potendosi
del paro diminuire sensibilmente le pro-
porzioni del cascinale, scemando la esten-
sione, ne consegue che i grossi tenimenti,
fino all'estensione prossimamente di per-
tiche 3000, saranno sempre più econo-
micamente usufruiti a confronto dei pic-
coli poderi.
Altre cause però che riserbo dimostrare
con altro lavoro, potranno presentare li-
miti alla riunione dei possessi irrigui, per
concedere a questi estensioni maggiori
alle su considerate.
Se di tanta importanza è 1' occorrente
dispendio pei necessari caseggiati ad usu-
fruire utilmente un fondo, quante non
dovranno essere le cure dei proprietari
e dei periti a moderarlo finche lo si possa!
A questo intento pertanto due elementi
principalmente vi concorrono. Primo la
buona conformazione dei caseggiati perchè
riescano né mancanti né eccessivi aj bi-
sogno. Secondo , ottenuta la precedente
condizione, dare ai medesimi i necessari
requisiti perchè l' annuo occorrente di-
spendio alla conservazione torni il minore
possibile. La scella quindi dei materiali
che secondo gli usi diano alle parti la
maggiore possibile stabilità , non potrà
essere menomamente trascurata, quando
anche per alcuni sembrasse grave la pri-
mitiva spesa a fronte degli usi comuni
finora adottati.
L'aumento dell'annua produzione, che
per svariate cause si seppe indurre da
trenta anni a questa parte nelle nostre
terre irrigue , fa ora in generale difet-
tare le stesse dei corrispondenti caseg-
giati per utilmente usufruirle, e quindi
nasce quotidianamente il bisogno più di
ampliare i caseggiati medesimi, che di
semplicemente ripararli. Gli occorrenti di-
spendi che ne conseguono vogliono coor-
dinarsi cogli assoluti bisogni del fondo,
procurando d'ovviare ogni spesa di fransi-
zione che potesse per avventura adottar-
si, da che queste si vedono assolutamente
perse a scapito dglla massa sociale. Tor-
nerà pertanto utile che gli attuali esistenti
caseggiati siano riordinati su un radicale
piano di riforma che valga ad indurvi il
completamento dei veri loro bisogni, che
ARCHITETTO ED AGRONOMO 475
gli agglomeri in una o due masse fra loro
rispettivamente chiuse, elicgli elevi a conve-
nienti piani per fornir loro il requisito della
voluta salubrità, onde poi proseguendo an-
nualmente con giudiziose operazioni , si
giunga infine ad un compiuto cascinale,
utilmente e salubremente conformato.
Nola. Scompartendo la detta somma nelle singole parti, si hanno i seguenti valori:
i.° Portico detto muggera in disegno al N. 7 L 3 138*98
ossia ogni rampata di portico capace a conservare circa fase. 180 di 'fieno ' '
(k. 14,000), ogni scomparlo o campata importa la somma di L. 734 14
L'altezza dei piedritti da terra alla contro-catena del tetto è di metri 5,' 70
2.° La casa da fìttabile fn disegno al N. 1, alta dal piano terra alla con-
tro catena del tetto metri 10, SO, e compresi i tre sotterranei alti dal loro
pavimento alla serraglia della vòlta metri 3, 50 . . » 24 978 55
3.° I portici d'aja in disegno al N. 3, coperti con tetto alla piemontese
in orditura di correnti lance, alti dal piano di terra alla contro-catena del
tetto metri 5,00, coi piedritti, e gli archi scemi della fronte specati a bin-
dolino, comprese le due porte di passaggio, non che i quattro locali -alle
testate uno per rimessa, uno per pollajo, uno per lavanderia ed altro per
stalla ad uso del mugnajo » 10 913 00
r.0stia ^ Campata di larghezz;t metri 5,50 di brutto, ia somma di '
Lir. 779,50.
4.° Il barco-stalla in disegno al N. 10 colla superiore cascina e portici
dl fronte * » 23 749 78
ossia essendo 9 gli scomparti, importarono per cadauno, compreso un '
portico di fronte, L. 2,638 09, coi seguenti dettagli :
L'altezza della stalla da terra al piano superiore della im-
panatura metri 3 0Q
Da questa alla contro-catena del tetto » 4' 25
In tutto metri 7,25
Lungo esternamente metri g^OO
Largo, compreso il portico di fronte metri 15 825
Così scompartito: ^~-^->
Pilastro a ponente preso nello zoccolo . . • . mctri — 800
Stallo, compreso la mangiatoja di metri 0,60, ed esclusa la spon-
da del naie. ... L - e nnn
t>- , ,. • , " » 4, 000
Kiale diviso per le sponde a metri 0,30 cadauno, di luce
met. 0, 35, in tutto metri 0, 95, sono pei due . » 1 90
Ambulatorio centrale „ 2' 840
Pilastro a levante, escluso l'aggetto nel portico' .' .' .' » 0,'750
Somma per lo stallone in tutto, di cui metri 8,74 sono l'interno » 10 290
Portico esterno netto, esclusi gli aggetti dei pilastri, metri 4,76
e compreso il pilastro cogli aggetti di mctri 0, 775, in tutto » 5, 535
linea in tutto per la larghezza metri 15,825
Somma da riportarsi L. 64,773 31
470 GIORNALE DELL'INGEGNERE
Somma retro L. 04,773 31
Lo stallo di una vacca occupa d'ordinario la fronte di metri 1,10, com-
preso le perdite per lo spazio dei vitelli , il giaciglio o baila e le porte
di scarico.
Il pavimento di questa stalla è tutto in selciato; i canali di scolo sorgono
sopra una muratura larga cenlim. 95, alta centim. 0, 15, sono guarniti nella
parte contro lo stallo da un pezzo in breccia alto metri 0,45, grosso 0,30, e
nella opposta parte della sola altezza di metri 0,30 grossi come sopra, ed
il fondo è fermato da una lastra in selce larga metri 0, 35.
Il costo di ogni metro lineare ascende in base alla perizia a L. 14,98 finito
in opera
Un finestrone di luce netta verticale metri 1, 20, ed orizzontale met. 1,50,
composto delle seguenti parti, presenta il costo sancito dalla ^pratica di re-
plicati contratti con
seguente analisi:
svariati ribassi tra rotto ed il 12 per °/0, dato dalla
Quanlilà Prezzo
Breccia di T rezzo per un giro di met. 6,40,
spessore metri 0,20, per metri 0,25 nella
fronte m.c. — 32 L. 35
Lavoro della, medesima per la fronte e
spigoli, ritenuto il finimento di questi a mar-
tellina. Giornate da taglia-pietre . . »
Posizione in opera, avuto riguardo allo
spianamento dei quattro piani d'incontro,
giornate come sopra »
Da muratore col garzone .... » 1
Chiavelle in reggia di ferro ... » 4 —
Sistemazione di quattro gangheri impiom-
bati e chiavelle, fori a cura del taglia-pietra . . .
Piombo chilog. — 69
Consumo d'attrezzi
Imporlo
L. 11,20
L. 3,50 L. 7,00
50
3,50
2,88
25
— 75
1,75
2,88
1,00
80
- 52
15
Sommano
L. 25, 30
L.
3,95
41
9,00 » 3,69
Ossia ogni metro lineare d' intelaratura
Soglia nella parte interna in selce di un
solo pezzo di metri 0, 25 larghezza, lungo
da un lato mot. 1,50, dall'altro 1,80 sup. met.
Nel prezzo sta anche la posizione in opera.
Somma per le pietre tagliale L. 28, 99
Il serramento di detto finestrone for-
mato in due imposte, snodale ciascuna :
Asse larice terzirolo col tys di perdita
pel refilamento superficiali . . . met.
Simile mercanzia »
Bandelle snodate di metri 0,30. . N.
Bandelle di metri 0,30 o gangheri »
Due catenaccioli verticali di metri 0. 25
in quattro occhi »
Catenelle, uncini, ed occhi ...»
2,16
2,16
4
2,85
1,90
— 65
1,00
80
— 75
6,16
4,10
2,60
4,00
1,60
1,50
Somma da riportarsi L. 19,96 L. 64,773 31
ARCHITETTO ED AGRONOMO ^77
r , : ' Somma retro L. 19, 9(5 L. 04,773 31
Fattura, giornate da falegname ... 2 » 2, 00 » 4 00
» » da garzone . . » I , '88 » '88
Chioderia ■. chilog. — 69 » 1,32 » 0 91
Consumo d'attrezzi e colia ' , '05
Vernice ad olio a due mani, interna ed
esterna » 3,50
Sommano pel ferramento completo L. 29 90
Importo delle pietre tagliate, ec, come retro » 28' 99
Complessivo di un finestrone ...... L. 58 89
NB. Non si tenne qui calcolo dei trasporti
come funzione variabile : questi però im-
portarono pel caso speciale di Poasco ogni
finestrone L. 6,22; mentre poi il ribasso
d'asta ascese a L. 7, 07 : onde la vera
spesa occorsa per cadauno si è di . . . . L. 58,04
Un metro lineare di mangiatoja, formata
con un fondo di muratura in coltello alto
metri 0, 15, il parapetto in asse larice di
grossezza metri 0, 037, un passone rovere
ogni metro 1,50 da centro a centro con
coronamento di travettone larice, quest' ul-
timo lavorato a sezione elittica nella faccia
superiore, il tutto in opera senza ferramenti ,
tornando le tavole incassate nei passoni
d'intelaratura, ed il cappello pure con in-
contro nelle teste di questi . . . L 4 27
Con questi elementi si ottiene che, nell'a-
dottare il barco-stalla, abbandonando la co-
struzione dell' antico barco, oltre i cono-
sciuti vantaggi nella produzione del latte,
massime per le stagioni di primavera ed
autunno, oltre l'utile della minorata manu-
tenzione, nonché dello scemato spreco di
terreno, si ha una sensibile diminuzione per
la spesa di prima costruzione. In fatto con-
frontiamo l'importo di una campata di
barco-stalla con una di semplice barco nei
rispettivi loro elementi di costruzione per
le parti che differiscono colla introdotta in-
novazione
Sono in più nel barco-stalla, finestroni N. 4 L
Si economizza la muratura dello spazio
occupato dai medesimi .... m.c. — 81
Maggiore spesa occorrente pel barco-stalla .
Abbandonando l'antico barco vengono a
togliersi a confronto le seguenti parti:
Somma da riportarsi L. 64,773 31
Voì- Ul Ottobre 1855. 23
58,
89
L.
235,
66
14,
30
L.
11.
58
223,
98
|7g GIORNALE DELL'INGEGNERE
Canali di scolo «ielle
orine di mot. Un. 10, 91 L.
Mangiatojc simili » 10, 91 »
Pavimento in selciato sup. m. 61, 53 »
Tetto » 109, 10 »
Murature prossimamentem.c. 4,32 »
Somma
retro
L.
64,7'
73 31
14,
98
»
163,43
4,
27
»
46, 59
70
»
43, 07
io,
60
»
1156,46
14,
30
9
61,78
1471,
33
L.
1471,33 »
Sommano
Economizzamento a confronto L- 1247, 35
E quindi in un tenimento capace a man-
tenere una mandra di cento vacche la spesa
capitale per le stalle a dimora di queste
verrebbe diminuita di zJZÌz^
5.° Le stalle de1 buoi e cavalli coi por-
tici di separazione al barco-stalla rispettiva-
mente in disegno al N. 9, 11 e 14 ... . L. 18,021 28
Ossia lo stallino de' cavalli con soffitta impianellata sor-
retta da travatura larice, e colonna in granito alta dal fon-
damento alla travatura metri 3, 60, e capace comodamente
per N. 18 cavalli, servita da attigui locali per selleria e
fienile oltre la superiore cascina L. "642, 36
La stalla de' buoi con finestroni come il barco-stalla,
impalcatura in larice, capace per N. 12 buoi ...» 6642, 36
Quattro campate di portico con due ampj vasi neri per
raccogliere le orine delle stalle tutte » 3730, 9b
Ritornano L. 18,021,28
6.° L'arsenale cogli uniti pollaj e loro superiori, nonché
i portici a servizio del mulino distribuito in disegno alh N. 4 . . . . L- 7,75*4 ai
Ossia il solo arsenale al N. 4 » 5,894, 91
Le rimanenti per gli altri corpi » 1,9UU,UU
7.° Casirola, casone, salirola, casera, col superiore gra-
naio. Le due abitazioni pel fattore e casaro, nonché le
baste, sotto i N. 17,18,19,20 del disegno » 48,12o bl
La svariata natura di questi locali potrebbe anche scom-
porre la spesa nelle seguenti parti:
a) Casone, casera, casirola e salirola col superiore am-
pio granaio capace a contenere mog. 1000 di svariati grani
o ettolitri 1462,857 .» 35,358,69
E qui osservo che conosciuta l'estensione di prateria
di un latifondo, e quella della parte avvicendatole a ce-
reali, si può determinare facilmente la quantità del be-
stiame stabilmente dallo stesso fondo nutribile, che diviso
nella rispettiva specie di cavalli, buoi e vacche, si avreb-
bero da questi elementi le proporzioni da concedersi alle
stalle, e dal numero delle vacche quelle da darsi ai locali
Somma da riportarsi L. 35,358,69 L. 138,715 il
ARCHITETTO ED AGRONOMO 179
Somma retro L. 35,358,69 L. 138,715 11
per h fabbricazione del formaggio da grana o parmigiano.
Ala intorno a questa parte di fabbricato vuoisi pure avvi-
sare che forse mal si fonderebbe quegli che proporzio-
nando le sue parti ad una limitata quantità di latte, le ve-
nisse ad impicciolire sensibilmente, poiché in questo caso
non servirebbe lodevolmente allo scopo. I formaggi da
grana sia per la loro lodevole riescita, che per un facile
smercio vogliono avere per ogni forma un dato peso. Il
locale pertanto destinato alla fabbricazione del parmigiano
è più a conformarsi sotto questa vista che nel rapporto
speciale di produzione di un latifondo, per modo che il
possessore di piccolo tenimento esporrebbe facilmente alla
improduzione un vistoso capitale quand'egli volesse dotare
il proprio podere delle parti di fabbricato destinate alla
manipolazione del latte per ottenere il parmigiano.
Ne sarà anche inopportuno 1' osservare che le dimen-
sioni da assegnarsi alla casirola hanno rapporti speciali
non solo colla quantità del latte da ivi conservarsi, ma
eziandio colle mutazioni che ivi si operano nel latte me-
desimo per lo separarsi delle parti caseose dalla crema.
Queste separazioni si verificano più o meno utilmente se-
condo la temperatura ambiente del locale, per cui dalla
serie delle osservazioni praticate nella casirola di cui in
questo progetto sebbene abbia dovuto stabilirsi un ri-
sultamento di gran lunga superiore a quello della prece-
dente casirola, tuttavia parrebbe potersi anche ripromet-
tere di meglio, volta che l'altezza venisse aumentata tra li
metri 0, 30 e li metri 0, 45.
b) Abitazione del casaro e fattore composte di otto di-
stinte camere, due terrene e due superiori ...» 7, 966, 92
e) Stalle dei majali, o baste, e stabii » 4, 800, 00
Ritornano L. 48, 125, 61
8.° Case coloniche alte pel corpo principale da terra
alla controcatena del tetto metri 7, 50 divise in due piani . . •. . L. 37, 842, 87
Ossia prossimamente per una famiglia colonica coll'as-
segno di due stanze . . • » 1,991,73
9.° Il locale da mulino e pila coir abitazione del mugnajo, e granajo
superiore alla pila, compreso l'importo delle macchine ed edifìcio idraulico » 22, 000, 00
10.° Finalmente, le spese di demolizione, quella degli occorsi rialzi in
terre e ghiaje, condotta delle acque all'abbeveratojo, costruzione di questo,
tombini per lo scarico delle pluviali, formazione delle aje e cortili colle cinte
di chiudimento e cancelli di comunicazione » 7,670,10
Totale della occorsa spesa ed esposto valore L. 206, 228, 08
Questi dettagli si credette renderli di pubblica ragione sembrandomi potere servire
a facilitare quei calcoli di previsione, che senza molto allontanarsi dal vero, valgono a
$80 GIORNALE DELL'INGEGNERE
determinarsi a radicali miglioramenti; serbando i penosi computi di contratto a cose
determinate, nel qual pensiero aggiungo anche le seguenti notizie.
a) L'occorrente dispendio per i trasporti, le escavazioni e le arene può calcolarsi
su una distanza di circa metri 18,000 L.8 per % della spesa calcolata alle costruzioni
abbandonando nelle stesse questi elementi, non aumentando gran fatta per V accrescersi,
delle distanze medesime tra i metri 20,000 e i metri 24,000.
b) L'occorrente dispendio pei manufatti d'abbcveratojo, vasche dei concimi, tombini
di scarico, aje, cortili, accessi, murature di chiudimcnto prossimamente a L. 3, 8G3 per
cento dell' intiero calcolato dispendio per le varie parti componenti il cascinale già
ingrossato del valore di spesa come alla lettera a).
a Ing. G. Manzi.
Memoria teorico-pratica
sulla coltura del riso.
(Vedi pag. 113.)
8. Tempo della raccolta.
V assegnare il giusto momento della
raccolta del riso sarebbe cosa assai diffi-
cile, poiché le sue spiche non maturano
mai tutte nello stesso tempo, ritardando
specialmente quelle ombreggiale: per cui
volendo aspettare la generale maturanza,
avviene che quelle più avanzate si sgranano.
Per siffatti contrasti alcuni affittajuoli
sono talora costretti a mieterlo a salti di
mano in mano che matura; per cui il mi-
glior tempo, a parere degli agricoltori più
esperti, è quello in cui la generalità delle
spiche è matura, ossia quando il color do-
minante della risaja è il giallo-rosso ; la
spica o pannocchia ha il seme facilmente
rompentesi e non lattiginoso nelP interno,
e le foglie hanno perduto il color verde
d' erba.
La messe del riso si fa colla falcinola
medesima che serve pel frumento e la se-
gale. Allo stesso oggetto fu inventato dal
sig. Egidio Negri uno strumento, il quale
consiste di un semi-cilindro di latta allo
35 centimetri e largo 30, all'orlo del quale
evvi ben saldato un pettine d'acciajo di
tempra assai dura. Questo pettine ha sette
denti distanti fra loro quanto basta per
ricevere gli steli e non le spiche del riso fra
gli interstizj. Nella parte posteriore del se-
mi-cilindro vi sta un manubrio per far pas-
sare il braccio del mietitore, il quale tiene
lo strumento appoggiato al petto, e mentre
colla mano sinistra sostiene il pettine, colla
destra v'introduce gli steli del riso, e ta-
glia nello stesso tempo le spiche all'altezza
di tre once. Le spiche ed i grani cadono
nel cilindro, né se ne perde alcuna, il che
non si può ottenere colla falcinola.
Benché bello questo ritrovato, pure non
è in uso per la troppa difficoltà dell'ope-
razione, e perdita quindi di tempo. In al-
cuni paesi si sega più che si può presso
alla spica. Egli è sufficiente che vi sia pa-
glia bastante da poterlo legare in piccoli
covoni, essendo in tal modo anche più fa-
cile il separare il riso dalla paglia.
Fu già questione se abbiasi a preferire
la falce a lungo manico o la falcinola comune;
ma sapendo essere scopo del coltivatore:
la minor scossa possibile delle spiclie onde
non perdere i grani, ed il facile e sollecito
andamento del lavoro, — cosi fu risolto che
sebbene la falce grande dia la paglia più
lunga, pure raffrontato questo vantaggio
cogli altri due risultò di cosi poca entità,
che non si ritenne come ammissibile il
comune uso di essa.
L'epoca annuale comune della mietitura
è circa nella seconda metà d'agosto.
L'avveduto agricoltore dispone perciò
per quell'epoca 'tutto l'occorrente, onde al
momento dell'operazione non si abbia ad
incontrare alcun ostacolo, esamina, pulisce
e rassetta le aje, le capanne, ed i carri
che devono servire al trasporto del grano;
prepara i mazzi di paglia con cui legare
i covoni, e si provvede di lavoratori abili
a sufficienza.
Si attenderà però per quanto è possi-
bile una
non affaticare
giornata
asciutta e serena, onde
manuali e non facilitare
ARCHITETTO
la perdita del grano. Se mai, incominciata
la raccolta, sopraggiungesse una pioggia
dirotta, la si sospenderà immediatamente,
benché ne fosse urgente l'esecuzione; av-
vegnaché il riso e qualunque cereale fin-
ché é sul suo stelo soffrirà meno questo
disastro, che se fosse staccato ed ammuc-
chiato.
Prima di mietere il riso si farà asciu-
gare la risaja, come più sopra fu detto ,
onde tutta la pianta del riso possa spo-
gliarsi dell'umidità naturale.
Non si deve inoltre permettere lo spigo-
lamento prima che i covoni siano condotti
sull'aja, perchè le contadine che professano
tale mestiere mirano soltanto a far dei
covoni per sé con quelli già fatti dal pro-
prietario o conduttore del terreno.
I manipoli o covoni non debbonsi lasciare
sul campo più di quello che sia mestieri
al loro conveniente diseccamene. Per tras-
portarli dal campo si sceglieranno a pre-
ferenza le ore del mezzogiorno onde siano
bene asciutti. Si richiede egualmente una
grande attenzione nel caricare i covoni sul
carro, affinchè non si disperdano i grani,
né si rovescino.
Si conserva il riso appena ' trasportato
dal campo finche si possa trebbiare; e
comunemente si deposita in luoghi detti
capanne e volgarmente porticati. Questi luo-
ghi saranno asciutti, vasti ed arieggiati,
non che garantiti dal fuoco.
Appena giunti dalla campagna, i covoni
si ripongono nella capanna gii uni vicini
agli altri formando delle tresche aventi al
centro le spiche, e cosi si lasciano fino al
momento della trebbiatura.
Il contadino appena che ha formato un
circolo o tresca, taglia il legaccio ai sin-
goli covoni. Quando però una,imperiosa
circostanza non obblighi a disporli in tre-
sche, è meglio ammucchiare i covoni in
grandi cumuli e lasciarli cosi per un pajo
di giorni, avvertendo pure che anche in
questo caso le spiche siano sempre rivolte
al centro del mucchio, onde la paglia per
un principio di fermentazione riscaldan-
dosi faciliti lo staccamento del grano, e
così si richiederà la metà del tempo che
si impiega per la trebbiatura ordinaria,
qualora venisse immediatamente portato
sull'aja e battuto.
ED AGRONOMO . {g{
Le tresche si dispongono sull'aja in fi-
gura circolare.
Il risone si conserva nei granai come
gli altri cereali, purché abbiasi avuto la
cura di farlo ben diseccare prima di ri-
porvelo, e di muoverlo di tempo in tempo
fino alla metà dell' inverno in proporzione
del bisogno riconosciuto dall'esperto agri-
coltore.
9. Come debba essere l' aja
e modo di battere il riso.
L'aja deve essere ben battuta e livellata
con una dolce pendenza di tre millimetri
per metro lineare, onde l'acqua possa fa-
cilmente scorrere fuori di essa in tempo
di pioggia. Sarà quindi premura dell'agri-
coltore che essa giaccia in luogo elevato,
asciutto e non soggetto ad ombra. Essen-
doché qualunque masseria procura d'avere,
oltre le aje annuali che si fanno nei campi,
anche un' aja stabile nella corte, così dovrà
far in maniera di ottenere (qualora la
natura del suolo non si prestasse) 1' ele-
vatezza di essa con della terra portata, mi-
schiandovi anche della ghiaja per lo strato
inferiore, onde non possa sfacelarsi per le
pioggie annuali, ed avere sempre per lo
meno un terreno che,, fatte quelle poche
riparazioni, si presti a tale uso.
Dopo che sia fatta e ben preparata l'aja,
vi si dispongono in giro i covoni a tresche,
come già fu detto; indi si trebbia facen-
dovi correr sopra ed intorno dell'aja quat-
tro o sei cavalli, secondo la grandezza del-
l'aja e la quantità del riso da battere. Un'ora
e mezza circa dopo che i cavalli sono in
corsa sui covoni, si leva il primo strato
di paglia col rastrello di legno o col tri-
dente ponendolo a parte; levato questo
strato superiore, si continua a trebbiare
per un'ora circa il riso sottoposto, onde
anche lo strato inferiore venga sgranato.
Ciò fatto, si volta la paglia formando un
anello circolare intorno alla tresca sopra
cui si ripete il passaggio dei cavalli, onde
ne avvenga la totale trebbiatura. Liberato
quindi da tutta la paglia e ridotto in uno
o più mucchi, lo si ventola per separarlo
quanto è possibile dalle immondezze e dal
tritume di paglia; indi si formano di nuovo
i mucchi, spandendolo ancora quando vi
m
GIORNALE DELL'INGEGNERE
sia sole o vento, voltandolo e rivoltandolo
di mano in mano, onde tutto ed egual-
mente possa diseccare per conservarsi in
magazzino.
L'operazione suddetta di spandere, ossia
stendere il risone sull'aja, si eseguisce di-
stribuendolo in tante cavalle, ossia mucchi
prolungali in linea retta e paralelli , la-
sciandovi fra ciascuna uno spazio doppio
di quello occupato dal mucchio. Queste
cavalle o mucchi vengono distese e ram-
mucchiate sei o sette volte al giorno, ed
all'uopo si adoperano i rastrelli di legno,
abbassandole col far cadere o scorrere il
risone negli spazj vuoti ; per cui in questo
modo tutto il risone viene in poco tempo
ed in ogni sua parte esposto al sole. Prima
del tramonto però si deve accumularlo di
nuovo in grossi mucchi allo scopo di con-
servargli il calore acquistato durante il
giorno, calore che potentemente influisce
sulla perfezione dei grani.
Se la stagione è calda, bastano tre giorni
pel totale essiccamento, e lo si conosce
quando sfregato nelle mani lascia la buc-
cia, e spezzato mostra una frattura lucida,
e non molle, ne farinosa. Le paglie bat-
tute si ammucchiano a parte, lasciandole
fermentare per venticinque o trenta giorni,
affinchè lascino cadere tutti quei grani
che vi rimasero aderenti. Tali grani però
essendo anneriti per la fermentazione, pos-
sono solo servire ad alimentare i polli.
Anticamente si usava staccare i grani
del riso battendolo colla verga o coreggiate,
si introdusse poi l'uso dei cavalli come so-
pra, indi si adottò una macchina a carro
o a slitta tirala da due cavalli, metodo usato
anche in Asia e nella Svezia. In questi ul-
timi tempi si inventarono trebbiatoi a mano
e per fino a vapore; ma per quanto siensi
affaticati gli attuali ingegni meccanici, non
riuscirono mai a far adottare le loro mac-
chine, e sempre e dovunque si usò bat-
terlo, o colla slitta, o coi rulli, o coi cavalli,
che per la pura verità è il metodo più
generale nei nostri paesi, usato anche nel
Levante, in Africa ed in Ungheria.
10. Modo di brillare il riso.
Per brillare o sbiancare il riso bisogna
avere uomini pratici, e tutti quegli stru-
menti necessarii a tale operazione, come
sono il cribro, lo spolverino ed il traballino ;
nomi che si danno a diverse qualità di
crivelli.
Brillare il riso vuol dire spogliarlo della
scorza, renderlo bianco. Tale operazione
si richiede più presto quanto meno bene
fu diseccato sull'aja, perchè dà un prodotto
bensì minore, ma non brillandolo arrischia
di scaldarsi e germogliare. Se però il riso
è stato raccolto a perfetta maturanza, è
molto meglio conservarlo risone nel ma-
gazzino fino alla stagione invernale, poiché
rende maggior quantità di riso bianco e
questo di' qualità migliore.
Dapprima lo si brema, ossia, messo sotto
ai pistoni per qualche tempo, lo si leva
ancor giovine ( cioè non troppo pistato) ,
bastando che sia Lavata la più grossa cor-
teccia; indi lo si getta al cribro, dal quale
si fa cadere la cosi detta corteccia o bullone,
che serve con grande profitto a letamare
le viti. Rimesso quindi sotto ai pistoni, si
termina di sbiancarlo, e si ottiene la se-
conda crusca più ricca di sostanza farinosa,
che chiamasi bulla, e che si dà per in-
grasso ai majali. Bisogna esser cauti di non
lasciarla troppo sotto ai pistelli, perchè
tardando solo cinque minuti, il riso perde
di peso un chilogrammo circa al moggio.
Alla prima brillatura bastano quindici mi-
nuti, alla seconda se ne richiedono quaranta.
Finita l'operazione si mette in magaz-
zino o granajo, il quale però dovendo essere
fresco sarà a piano terra suolato di pietra,
elevato però dal suolo né più, né meno
di quaranta centimetri.
Da ogni moggio di risone si ricava bril-
landolo:
Riso bianco 0, 45
Risina °, °3
Risone °>04
Semola 0,25
Bulla e bullone 0,%3
1,00
11. Descrizione della pista.
La pista è una macchina composta di
una lunga trave girata da una ruota di
mulino. Alla trave stanno fissi alcuni perni
ARCHITETTO
distanti egualmente fra loro, ed in ordine
spirale, urtanti ad altri perni che corri-
spondono fissi ai pistelli, i quali stanno
perpendicolari, perchè incassati tra due
travi, senza che perù venga per questo
impedito il loro moto ascendente e discen-
dente. Di modo che i perni della prima
trave fanno l'ufficio di leva coir alzare i
pistelli ad una certa altezza, da cui rica-
dono nel mortajo sottoposto, dove sta il
risone.
Le piste si costruiscono di quattro, sei
ed anche otto pistelli; generalmente però
sono di sei. Vi sono pure delle piste dop-
pie in cui la trave principale muove do-
dici pistelli, sei per parte e paralelli fra
loro; in tal caso però richiedesi una forte
corrente d'acqua. I pistelli debbono essere
pesanti, armati inferiormente di un cono
di ferro fuso ben levigato; essi sono so-
stenuti da un altro perno all'estremità infe-
riore battente sopra l'orlo superiore dei
sottogiacenti mortaj, onde i pistelli mede-
simi entrino in essi soltanto per due terzi
circa senza toccare il fondo, entro cui rom-
perebbesi il grano.
I mortaj sono quasi tutti di pietra, i
migliori però sono di olmo, ma in qua-
lunque modo tutti d'un pezzo. Ogni anno
si deve avere la cura di farli levigare, onde,
qualora vi fosse qualche scabrosità, non
sia impedita la frattura della buccia del
risone. La loro configurazione deve esser
precisamente ovale, stretta alle due estre-
mità, e assai larga nel centro, affinchè il
risone possa facilmente volgersi sossopra.
12. Malattie del riso.
Due sono le malattie principali a cui va
soggetto il riso : la crodatura ed il brusone.
La crodatura è quella malattia per cui
i semi cadono (generalmente in agosto)
prima della raccolta. L'anno susseguente
nasce ancora il riso colla medesima ma-
lattia, per cui si usa, anzi è necessario,
di cambiare la ruota.
II brusone, scientificamente detto ruggine.
Questa malattia consiste in alcune fungo-
sità di varia forma e colore che si mani-
festano nelle foglie, nei cauli. L'epidermide
tutta della pianta vien da essa lacerata, ed
appare una escrescenza convessa fosfora-
vo AGRONOMO 183
cea. Talvolta questa malattia sta anche tra
il grano e l' involucro dello stesso, e s'in-
contra sotto l'aspetto di materia gialliccia,
glutinosa e fetente, che altri chiamano
manna. Essa è una malattia terribile che
si sviluppa in agosto allorquando la sostanza
lattiginosa dei semi passa allo stato solido.
La spica abbrucia, disecca, diventa rossa
ed anche nera, e non contiene più nulla :
dicesi essere causa di tale malattia il ter-
reno troppo grasso, od anche l'elettrico;
ma sembra piuttosto causata dalla rifra-
zione del calore nelle notti coperte. Un
preservativo contro questa malattia si ri-
conobbe nel praticare sulla risaja un solco
profondo sette od otto once, e tenervelo
continuamente, se però il terreno è argil-
loso. Tale operazione giova col mantenere
alle radici una salutare frescura.
Il riso va inoltre soggetto ad altri inconve-
nienti, e di questi uno proviene da un insetto
chiamato da Linneo Nepa Cinerea, e dai con-
tadini Frosone, il quale taglia il riso dopo
che è germogliato. Una piccola lumaca nera
lo rode nell'atto della germogliazione; ma
essendo tali animaletti acquajuoli, asciu-
gando la risaja per qualche giorno si dà
loro una certa morte. Il freddo lo intisi-
chisce, ed in tal caso bisogna innaffiarlo ge-
nerosamente : questo male chiamasi dai
contadini Selone. In fine un mese dopo,
vicino alla fioritura, mettendo grandi fo-
glie oscure passa al gialliccio-bigio ed
inaridisce; questa malattia dicesi carolo
maggiore, o brusecchio, o rosa: causa di
quest'ultima malattia è l'eccessivo vigore,
ed in fatti ciò avviene nelle risaje nuove,
od in luoghi ove siano stati in deposito
mucchi di letame, o nelle vallette dove
l'acqua è permanente.
13. Vantaggi che acquista un terreno
venendo ridotto a risaja.
In molti luoghi si usa di coltivare a riso
il terreno di due in due anni. Quante cure,
quante spese inutili per la costruzione di
argini ed arginelle! Buona però sarebbe
tal cosa qualora si volesse togliere ad «un
terreno la troppa magrezza, e forse forse
sarebbero ancora troppo pochi due anni,
ed io consiglierei ad introdurre simile col-
tura per non mai meno di tre ed anche
GIORNALE DELL'INGEGNERE
484
quattro anni. Ed in fatti l'acqua, sia puran-
chc di fiume, come acqua ben poco gio-
vamento può recare ad un terreno; ma
siccome quest'acqua impedisce l'evapora-
zione dei principii vegetali contenuti nel
suolo, attirando invece a so tutte le ema-
nazioni dell'aria, siccome una moltitudine
ili insetti nasce nel suo seno, lasciandovi
la loro spoglie, siccome finalmente le piante
non acquatiche si sono decomposte, ne
proviene che tutto questo imputridimento
arricchisce il terreno di principii che prima
o per natura o per essere stato troppo
faticato non possedeva.
Assai caro però pagano gli abitanti dei
dintorni i vantaggi di una tale raccolta;
poiché egli è fatto certo che in quei paesi
d'Europa in cui si coltiva il riso, le febbri
intermittenti, e pressoché continue, non
desistono mai dal mietere le vite degli
abitanti. .
Uno scrittore francese disse che le ri-
saie stabili coltivate nei luoghi paludosi,
nuocono meno alla salute umana che non
le artificiali, perchè il riso vegetando as-
sorbe l'aria mefitica. Un tale ragionamento
però non può bastare a convincere della
scelta che si deve fare fra le due specie
di risaja. Certo è però che tanto le risaje
quanto le paludi non sono minimamente
confacenti alla salule dell'uomo; per il che
sotto la tutela di saggi governi , ai quali
sta a cuore il benessere degli abitanti, 1
terreni paludosi vengono asciugati, anche
a costo di qualunque spesa, e la coltura
del riso è incoraggiata e permessa soltanto
però in quelle proporzioni e sotto quelle
condizioni che abbiano ad arrecare il mi-
nor danno possibile alle circostanti popo-
lazioni.
14. Qualità nutritive e medicinali del riso.
Il riso è un cibo nutriente in grado su-
perlativo. Molte nazioni ne fanno del pane
ad esse aggradevole e più sano di quello
di frumento.
La semenza di riso, ossia il grano non
brillato, fatto in decozione reprime la sete,
calma il calore del corpo e scioglie le urine.
Come cibo si raggruppa facilmente sullo
stomaco e produce frequenti indigestioni,
sviluppa moli' aria e tende ad inacidirsi.
È poco buono pei fanciulli fino a che non
hanno compiuti almeno due anni, e per
le persone delicate e dedite ad una vita
sedentaria.
La crema di riso è un cibo leggiero,
rinfrescante ed aggradevole, e s'affa a più
specie di malattie, come sono la tosse pol-
monare, la tosse convulsiva, l'emotosia
prodotta dalla tosse o da uno sforzo, la
diarrea cagionata da medicinali acri o da
veleni; conviene inoltre al termine di una
dissenteria benigna, e delle malattie acute
quando non appajono più né meteorisma,
nò umori acidi, nò vomito, nò dolori acuti
nella regione epigastrica. Si usa pure sotto-
forma di cataplasma per le infiammazioni
di mammelle e di glandulc allorché sono
accompagnate da durezza e da dolori.
CULTURA DEL RISO SECCO 0 DELLA PUGLIA
Il riso secco non esala vapori pestilen-
ziali; è di miglior sapore dell'acquatico,
e meno glutinoso. Cuocendo si gonfia e
cresce assai più del nostrale, ed ha un gu-
sto di nocciuola, cosicché vien mangiato
con piacere anche senza essere molto cu-
cinato.
Sonvi due specie di riso secco: luna
ha il seme oblungo e l'altra lo ha rotondo.
L'oblungo rende molto, ma è coperto da
una pellicola rossa che ne rende difficile
la sbiancatura, senza però impartirgli al-
cun sapore disgustoso,
Il rotondo pare preferibile al primo per-
chè esso vegeta in montagna ed anche
sotto una temperatura più fredda dell'al-
tro, e si pila con minor fatica. Vuol essere
mietuto con sollecitudine appena maturo,
poiché soffre facilmente, massime 1 venti.
Il riso secco prospera pure sotto la zona
torrida nelle terre appena dissodate, e si
moltiplica colà prodigiosamente, avendo
però il riguardo di seminarlo prima della
stagione delle pioggie, e scegliendo per esso
quei terreni che sieno meno arsi e che
abbiano già dato qualche altro prodotto.
Per la forza del clima di quei paesi in
cui la vegetazione è assai rapida, questa
specie di riso rimane in terra non più di
trenta giorni; ma nel nostro clima tem-
perato, dove ne fu esperimentata la semina,
ci vollero cinque mesi ad arrivare al tempo
ARCHITETTO ED AGRONOMO
185
della raccolta, benché si avesse avuto cura
di scegliere un terreno esposto a mezzodì.
Nei paesi caldi e da secoli incolti essen-
dosi sempre successa la naturale e conti-
nua vegetazione alla decomposizione dei
vegetabili stessi, il terreno è naturalmente
tanto concimato, che non si può seminarvi
il riso, ma bisogna piantarvelo colla di-
stanza fra grano e grano almeno di trenta
centimetri ; imperciocché seminandovelo
soffocherebbe per la troppo veloce e ri-
gogliosa vegetazione. Da noi invece la con-
tinua artificiale produzione ed i frequenti
esperimenti su varii prodotti snervarono
tanto le facoltà vegetative delle nostre terre,
che più non potremmo nescire ad avere
buon raccolto, non solo di questo riso tanto
facile e generoso, ma di qualunque altro
prodotto, se non previo un gran lavoro di
terreno ed una generosa concimazione.
Ond'è che da noi si avrebbe già ottenuto
il massimo seminandolo rado, avendo an-
che il riguardo di mescolare della terra
alla semente da gettarsi, onde possa facil-
mente coprirsi senza aver bisogno di pro-
fondarsi nel terreno, avvegnaché la pro-
fondità da dare alle sementi nel terreno
di semina è sempre in ragione diretta dei
gradi di calore del paese.
Il riso secco in erba ha molta somiglianza
colFavena. Ha una pannocchia lunga da
ventuno a ventotto centimetri contenente
da trenta a cinquanta grani. Un seme solo
produce più steli, ed ogni stelo porta una
pannocchia; per cui la media del suo pro-
dotto, supposto che tutti i grani dieno due
steli (molti ne danno di più), si può cal-
colare il cento per uno. Nella zona tor-
rida ha la paglia alta ottantacinque cen-
timetri; questa serve a nutrire i buoi e
le pecore. In Europa per la minore aridità
del terreno riesci migliore.
Dopo la messe ripullula e potrebbe ser-
vire di pascolo.
Milano li IO luglio 1855.
Gius. Ver.nansal de Villeneuve.
Fui 111.
Leggi emanale dai Governi di Lombardia e
Venezia attendibili alla coltivazione dei ter-
reni a risaja.
Milano 3 febbrajo 1809.
Decreto di S. A. il Viceré d'Italia.
l.° Nessuno potrà d'ora in avanti con-
vertire in risaja qualunque terreno, senza
aver prima ottenuto uno speciale permesso
dal Prefetto del dipartimento sotto la cui
giurisdizione è posto il terreno.
2.° I contravventori pagheranno una
multa eguale al doppio valore del reddito
annuale del terreno convertito in risaja;
alla qual multa sono solidariamente tenuti
tanto il proprietario che il fittabile i quali
si fossero resi contravventori, non ammet-
tendosi nel primo l'ignoranza del fatto.
3." La permissione di stabilire nuove
risaje non si potrà mai accordare dai
Prefetti:
a) rispetto alla Capitale del Regno, che
per quei terreni distanti da essa capitale
almeno otto chilometri;
b) rispetto ai Comuni di prima classe
e piazze forti, che per quei terreni distanti
almeno cinque chilometri;
e) rispetto ai Comuni di seconda classe,
che per quei terreni distanti almeno due
chilometri ;
d) finalmente rispetto ai Comuni di terza
classe, che per quei terreni distanti almeno
mezzo chilometro.
4." Le suddescrilte distanze si intendono
prese in linea retta; nei Comuni murati
dalle mura che li circondano, e nei Co-
muni non murati dall' ultima casa che fa
parte delle abitazioni aggregate componenti
il Comune.
5.° Quelle risaje che attualmente sono
poste nelle vicinanze della capitale del Re-
gno entro la distanza indicata dall'art. 3.°,
cioè: che distanno meno di otto chilometri,
dovranno entro tre anni dalla pubblica-
zione del presente Decreto, e sotto la pena
indicata dal suddetto articolo 3.° essere
convertite in altro genere di coltivazione.
6.° Circa agli altri Comuni di prima e
seconda classe, quelle risaje esistenti entro
Ottobre 1855.
24
486
le distanze prescritte dagli abitati, i pro-
prietarii hanno provvisoriamente diritto di
coltivarle finche non venga altrimenti prov-
veduto: è però vietato di aumentarle od
estenderle senza la speciale permissione
prescritta dall'articolo 1.°
7.° Il Governo di S. M. si riserva di
deliberare sulla proibizione ed epoca di
essa delle dette risaje dopo che avrà preso
cognizione dell'esternato parere in propo-
sito dai Consigli Municipali dei singoli
Comuni e dai Consigli generali d'ogni di-
partimento.
Circolare dell'I. R. Governo
alle II. RR. Delegazioni Provinciali
Milano, il 19 maggio 1817.
Istruzioni.
I. Le domande di licenze per la costru-
zione di nuove risaje si dovranno dai par-
ticolari presentare agli II. RR. Cancellieri
del Censo del rispettivo Distretto, almeno
due mesi prima della seconda adunanza
del Consiglio Comunale o Convocato gene-
rale, la quale a termini degli art. 11 e 42
della notificazione 12 aprile 181G, deve
tenersi ogni anno nel mese di settembre
o di ottobre al più tardi.
II. Gli II. RR. Cancellieri trasmetteranno
senza dilazione tali domande alle Ammi-
nistrazioni Comunali, ove sono i campi da
coltivarsi a risaja, invitandole a far misu-
rare da un ingegnere od agrimensore ap-
provato la distanza precisa di ciascuno di
essi campi dalle mura, o dall'ultima casa
facente parte delle abitazioni aggregate al
Comune, siccome è prescritto all'art. 4."
del Decreto 3 febbrajo 1809; avvertendo
che tale distanza dovrà essere presa dal
comune più vicino al campo da coltivarsi
a riso.
III. L'ingegnere o l'agrimensore dovrà
inoltre indicare immancabilmente nell'atto
della perizia :
1.° La denominazione del campo colle
sue coerenze.
2.° La qualità del terreno, cioè se sia
o no paludoso, ed in quest'ultimo caso se
sia o no suscettivo d'altro genere di col-
tivazione.
GIORNALE DELL'INGEGNERE
3.° Se esistono o no nelle vicinanze di
esso campo altre risaje.
4.° La derivazione delle acque che do-
vranno servire ad una tale irrigazione, e
se il successivo loro colo e .la filtrazione
possono o no essere di nocumento alla sa-
lubrità delle acque potabili, tanto per gli
uomini che per gli animali, e se possono
o no rendere paludosi i campi adjacenti.
Le spese della perizia saranno pagate
dal petente.
IV. Le domande non meno che le pe-
rizie saranno presentate al Consiglio Co-
munale o Convocato generale nella delta
adunanza di settembre o di ottobre, per-
chè abbia ad esternare il suo voto. Esso
Consiglio o Convocato si farà carico nelle
sue deliberazioni di tutte le circostanze
notate nella perizia e d'ogni altra relativa
alla pubblica sanità, accennando nel voto
medesimo se le risaje proposte siano una
nuova coltivazione per quel Comune; in
caso diverso vi si esprimerà la quantità
complessiva di tornature delle risaje che
già esistessero nel comune medesimo.
V. Gli IL RR. Cancellieri del Censo
spediranno con tutta la sollecitudine alle
rispettive IL RR. Delegazioni Provinciali
le ordinali domande, perizie e voti, espo-
nendo nel rapporto accompagnatorio le
proprie occorrenze motivate intorno a tale
voto, senza tacere quelle osservazioni o
circostanze che potessero a parer loro in-
fluire nella determinazione dell'autorità
superiore.
VI. Le II. RR. Delegazioni Provinciali
esamineranno attentamente ad una ad una
le domande cogli atti relativi, pronunce-
ranno sopra ciascuna il loro parere mo-
tivato e ne formeranno in appresso un
quadro
generale.
Circolare dell'I, fì. Governo
alle II. RR. Delegazioni Provinciali.
Milano il 1.° giugno 1839.
A prevenire possibilmente ogni dubbio
ad ogni contingibile contestazione sui varii
metodi di coltivazione del riso, il Governo,
preso argomento da un caso speciale ve-
ARCHITETTO ED AGRONOMO
187
rifieatosi in alcuna delle Lombarde Pro-
vincie, e consultala la facoltà medica del-
l'I. R. Università di Pavia, trova di dichia-
rare per norma di cotesta Delegazione che
la coltivazione del riso, qualunque ne sia
la denominazione, cade sotto le disposi-
zioni del Decreto 3 febbrajo 1809 e delle
successive Istruzioni 19 maggio 1817, pur-
ché segua con allagamento continuo o dis-
continuo.
ERRATA CORRIGE
Alla pag. 117 i." colon, lin. 49 l'agricoltura l'agricoltore
» » 119 » » » 6 ettaro ottavo
RIVISTA DI OPERE E GIORNALI
ITALIANI E STRANIERI.
Il castale di Suez.
(Vedi alla pag. 34, 135 e alla Tav. 9)
La disposizione dell'andamento diretto è
ancora più semplice essendo il sistema di un
canale senza sostegni ; infatti in questo caso
basta di aprire da un mare all' altro un
largo cavo, il cui fondo sìa collocato ad 8
metri al disotto della Lassa marea. La ta-
vola seguente indica le altezze del cavo
nelle diverse tratte:
Lunghezza Altezza
metri 26,000 m. 10 a 11
» 37,000 » 3 a 4
Suolo di Serapeum » -12,000 » 10 a 16
Lago Timsah . . » 3,000 » 4 a 9
Suolo d'El-Ferdan » 14,000 » 14 a 23
Lago Ballali e Menzaleh,
pianura di Pelusio » 48,000 » 7 a 9
Lunghezza totale 140,000m
Suolo di Suez .
Bacino dei laghi
La difficoltà principale di questo trac-
ciamento essendo la conservazione del pas-
saggio e del canale di Tineh, non che la
pendenza di cui si può disporre da una
spiaggia all'altra, che è soltanto di 80 cen-
timetri, sarà d'uopo assegnare al canale
delle dimensioni assai larghe; costruito colla
larghezza di 100 metri al fondo, fornirebbe
appena un deflusso di 100 metri per secondo
a media marea, e presso a poco il doppio
in alta marea.
Questo esame sommario dei diversi trac-
ciamenti dell' andamento diretto è più che
bastante. Ora si vedrà che sotto un altro
aspetto il tracciamento per Alessandria pre-
senta al contrario una prevalenza incon-
trastabile.
Tutti i tracciamenti sboccano nel mar
Rosso allo stesso punto; sotto questo rap-
porto non vi è alcuna differenza fra essij e
la questione da risolversi è la medesima
per tutti; il golfo di Suez si presta esso
alle esigenze della navigazione del canale?
Si può sperare di conservare l'imboccatura
del canale ? vi è mezzo di costruire una
difesa bastante per le navi? Ciò è quanto
verremo ora- a trattare.
Il porto attuale di Suez non è che una
porzione del canale stretto pel quale il seno
situato a tramontana di questa città comu-
nica col golfo. La profondità nella bassa
marea non eccede i 2m50, e non è maggiore
della restante parte del canale, la cui lun-
ghezza è più di 6 chilometri. Per appro-
fondare questo canale il Lepère ha propo-
sto di formarvi un gran serbatojo a cata-
ratte che si riempirebbe colla marea ; ma
le altezze delle cataratte di cui si dovrebbe
usare non potendo eccedere i 2m, non si
otterrebbe nulla dall' approfondimento del
canale, la cui lunghezza sorpassa i 6 chi-
lometri. Tuttavia siccome nel progetto del
188
GIORNALE DELL' INGEGNERE
Lepère non si tratta che di una naviga-
zione coli' altezza d' acqua di 3 metri, vi
sarebbe poco da fare onde ottenere questa
profondità nel canale, e da ciò si comprende
che il sunnominato ingegnere, non ha punto
esitato di far sboccare il canale da esso pro-
gettato nel porto attuale di Suez, introducen-
dovi nel porto e nel canale esistente tutti
quei miglioramenti di cui sono suscettibili.
Sarà superfluo di qui dimostrare che non
vi è di che sperare col sistema delle cate-
ratte, comunque atto lo si supponga per
conservare un passaggio con 8 metri d'im-
mersione in un canale di 6 chilometri e con
una marea media di lm50. Nulla si dirà per
ottenere questo scopo, ma per tentarlo
sarà d'uopo primieramente di costruirvi due
dighe continuate in tutta la' lunghezza del
canale attuale ; ed eseguite queste dighe.,
l'acqua sostenuta dalle cateratte sarà del
tutto impotente per agire sul passaggio si-
tuato all'estremità delle dighe, vale a dire
a più di 6 chilometri dalla chiusa delle ca-
teratte. Il canale alimentato dalle acque del
Nilo arrivando a Suez all'ordinata di 6 me-
tri, sarebbe possibile di regolare l'acqua
trattenuta a questo livello colle acque del
canale; ma avendo ben anche questa risorsa,
io non penso che si possa sperare più oltre
per mantenere la profondità necessaria a
rendere il passaggio a delle navi che ab-
bisognano l'altezza d'acqua di 7 metri, ciò
che, avuto riguardo al movimento del mare,
esigerebbe almeno 8 metri in acque alte
e 6m 50 in acque basse. D' altronde né la
città nò gli stabilimenti del porto di Suez
non meritano i sagrificj che sarebbe d'uopo
di fare per utilizzarli; non vi è adunque
alcun impedimento a che il canale sbocchi
sulla spiaggia nel punto più favorevole per
costruirvi un nuovo porto. In seguito alle
notizie che si sono raccolte io penso che la
situazione più vantaggiosa per un nuovo
porto è a 5 chilometri a ponente di Suez.
Questo luogo presenta infatti molti vantaggi,
cioè:
d.° Esso è fuori dei banchi di sabbia che
ingombrano la parte nord-est del golfo
di Suez e che rendono così difficili gli ap-
prodi al porto attuale. Non vi è alcun dub-
bio, che non si ritrovi ad una piccola di-
stanza dalla spiaggia la profondità neces-
saria, poiché la parte occidentale della rada
di Suez è la più profonda, e la profondità
va aumentando dal lato nord-ovest della
sponda , come lo attestano gli scandagli
fatti dal comandante Moresby, che indicano
6, 7 ed 8 braccia in vicinanza di quasi, tutta
la parte nord-ovest della spiaggia nella
bassa marea.
2.° Questo porto sarà meglio situato per
riguardo alla spiaggia, ove la parte occi-
dentale è la più profonda e la meglio difesa.
3.° Il nuovo porto sarà protetto dal lato
di levante da un molo di difesa, che servirà
nello stesso tempo per poter effettuare i
preparativi, che potranno essere eseguiti
senza troppa spesa col mezzo dei bassi fondi
che determinano la spiaggia da questo lato.
A ponente sarà perfettamente difeso dalla
montagna d' Attaka, ed a mezzogiorno dal
punto avanzato di Ras-cl-Attaka. I venti
del sud-est saranno i soli, di cui le navi
avranno a temere qualche cosa nel porto. Ora
secondo il comandante Moresby (*), i venti
della regione del sud, che non soffiano che
d'inverno, non durano che qualche giorno:
essi non sono freddi che in alcune circo-
stanze, e non è che in via di eccezione che
raggiungono la forza di un colpo di vento
arrendevole. I venti del nord, che sono quasi
costanti, ed i venti di ponente, che qualche
volta soffiano con molta violenza nei mesi
d'inverno, sono i soli contro i quali è ne-
cessario che il porto sia difeso, e sotto ad
un tale riguardo la situazione scelta non
lascia nulla a desiderare.
Questo partito dispenserà dall'impiego
delle cateratte, quale mezzo di scavamento
del passaggio. Io sono persuaso che col
mezzo delle macchine a cucchiaja si potrà
ottenere tale risultato, e che con due getti,
collocati alla distanza di 5o metri fra loro
prolungati sino alla tenuta da otto a nove
metri, si avrà quasi nulla da fare per
(*) Istruzioni nautiche nel Mar Bosso di K Mo-
resby ed F. Elvvon.
ARCHITETTO
mantenere ad una profondità conveniente
il canale una volta scavato. Del resto qua-
lora i colpi di mare del sud ingombrassero
il canale, i soli che possono ciò produrre,
nulla impedirà che si usino le cateratte
sostenendo l'intiero canale ed auche l'intero
bacino dei laghi amari, onde conservare
1' altezza di 6 metri d' acqua nello stesso
canale fino alla sua imboccatura.
La spiaggia di Suez è bastantemente di-
fesa , la stabilità è buona e la profondità
conveniente. IVoi ora vedremo che all'og-
getto di costruire nella parte nord-ovest della
spiaggia un buon porto, basterà di eseguire
un molo per isolare la situazione dello stesso
porto dal resto della spiaggia. Il canale ser-
vendo di strada nel porto , sarà facile lo
scavarlo ed il mantenerlo. Laonde sotto ogni
riguardo la soluzione della questione dello
sbocco del canale nel Mar Rosso è , o di
già risolta, oppure facile a risolversi senza
uscire dai limiti del tempo e della spesa la
più modica.
Le opere da eseguirsi per assicurare la
tranquillità del porto e la permanenza del
passaggio consistono adunque: 1.° in un
molo di difesa di circa 2000 metri di lun-
ghezza, destinato a garantire il porto dai
venti della regione di levante, ed a so-
stenere le sabbie che ingombrano la parte
nord-est della spiaggia; 2." in due getti di
cui non si può determinare la lunghezza
esatta, servendo a stabilire ed a proteggere
il passaggio ed il canale posto in comuni-
cazione col porto : 3.° in una chiusa a ca-
teratte destinata a sgombrare il passaggio.
Queste opere non presentano nulla di
straordinario; esse sono ben lontane dal
raggiungere le difficoltà e le spese di molti
lavori dello stesso genere eseguitesi in molti
porti d'Europa. 11 fondo è eccellente, la
profondità bastante, l'agitazione del mare
non è eccessiva, le correnti sono trascu-
rabili , infine non esiste nel golfo alcuna
imboccatura, le cui alluvioni siano da te-
mersi. Con queste condizioni la possibilità
di conservare il passaggio e di stabilire
un buon porto non può mettersi in dubbio.
Non si può dire altrettanto della baja di
ED AGRONOMO 180
Tineh. Qui infatti l'influenza delle allu-
vioni del Mio , rende quasi impossibile la
conservazione del passaggio, e l'esecuzione
di un porto ed anche di una spiaggia di-
fesa. 11 Lepère nel paragrafo 4 del capit. 3
della sua memoria più sopra citata , ed il
Linant nel suo progetto del canale diretto
hanno ammesso ambedue che con una dif-
ferenza di livello, supposta di 9 metri fra
i due mari, la corrente che esisterebbe al-
l'imboccatura del canale sarebbe bastante
per. iscavare il passaggio e mantenerlo. Qui
mi sembra utile di esaminare fino a qual
punto nell' ipotesi adottata da questi inge-
gneri si potrebbe sperare questo risultato.
Gli scandagli praticati con altrettanta cu-
ra che esattezza dalla comitiva tedesca di-
mostrano che la profondità di 7m 50 si in-
contra soltanto a 6 chilometri dalla sponda,
e che la profondità di 9m a 10m, necessaria
per dar adito in ogni stato del mare alle
navi di 7 metri d'immersione, non si trova ad
una distanza minore di 8 chilometri ; da cui
risulta, che per fornire al canale un'im-
boccatura praticabile sarà indispensabile di
estendere fino ad 8 chilometri dalla spiag-
gia i due getti, fra i quali il canale deve
necessariamente essere compreso. La lar-
ghezza di questo canale in vista della sua
destinazione non dovrebbe essere minore
di 80 metri. Se si determina a 50 metri la
larghezza al fondo del canale dei due mari,
gli è facile il calcolare che avendo la pen-
denza di 9 metri, la velocità sarà di circa
lm10 ed il deflusso di 580 metri cubici per
secondo. Questa velocità di lm10 sarà ri-
dotta presso che alla metà nel canale. Si
potrà ciò nullameno, riavvicinando le estre-
mità dei getti a 50 metri l'uno dall' altro,
ristabilirvi il passaggio. Io dubito molto
che si possa pervenire in questo caso a
conservarvi il passaggio in una profondità
bastante; ma colla pendenza reale disponi-
bile che , come abbiamo veduto, non può
fornire che una velocità di di centimetri
per secondo , ed un deflusso di d05 metri
cubici, non si può sperare alcun effetto dalla
corrente alimentata dal canale. Da un altro
canto non si può sperare di conservare
490
GIORNALE DELL'INGEGNEHB
mediante scavamenti un canale di 8 chi-
lometri di lunghezza in un fondo assai mo-
nile. Per vero dire sarà facile lo stabilirlo
chiudendo una parte del lago Menzaleh ,
mediante una diga dall'imboccatura del ca-
nale sul Tel-el-Sherig, con cui si forme-
rebbe un gran serbatojo costituito dall'in-
tero lago Ballah e dalla parte di mezzo-
giorno del lago Menzaleh, alimentato dalle
acque del Nilo. Tuttavolta supponendo che
si mantenga a 6 ed anche a 8 metri il livello
di questo serbatojo, ciò che non potrebbe
aver luogo che nella stagione delle piene;
che mai si può sperare dalle cateratte an-
che le più potenti in un canale di questa
lunghezza ed in un mare senza marea?
Questo sistema dispendioso, che avrebbe il
doppio inconveniente di impiegare delie
acque preziose cariche di limo, sarebbe di
niun effetto, e si dovrebbe ricorrere per la
conservazione del canale e del passaggio
alla risorsa del tutto insufficiente delle esca-
vazioni meccaniche,
Lo sbocco del canale nella baja di Ti-
neh presenta adunque una difficoltà insor-
montabile in quanto alla conservazione del
canale e del passaggio; ma supponendo
pure che questa difficoltà sia tolta, tale so- ■
luzione resterebbe esposta ad altri ostacoli
altrettanto gravi. Il Linant ammettendo che
le navi potrebbero in tutti i tempi imboc-
care il passaggio ed entrare nel canale, ha
conchiuso che la costruzione di un porto
difeso non è punto necessaria. Ciò è un
grave errore; un porto o piuttosto una spiag-
gia difesa è in molti casi la prima di tutte
le necessità. Senza questa risorsa, le navi
arrivando col mezzo di un colpo di vento
della regione del nord, ordinariamente forte
in questo mare, non potendo senza pericolo
raggiungere il passaggio, saranno infalli-
bilmente gettate sulla costa, mentre che
quelle che avvicinandosi all'imboccatura del
canale , trovassero un vento contrario sa-
rebbero forzate di riprendere l'alto mare.
L'apparecchiamento all'estremità del canale
sarebbe eziandio impossibile quando vi do-
minasse un vento contrario. Non solo sa-
rebbe necessaria una spiaggia; ma atteso
i pericoli che presenta la costa , essa
dovrebbe venire convenientemente difesa,
e siccome sarebbe destinata a ricevere
contemporaneamente un gran numero di
navi grosse , il cui movimento esige uno
spazio considerevole, così dovrà la costa
medesima essere di conformità molto estesa.
Ora due getti, della lunghezza ciascuno al-
meno di 8 chilometri, le opere di difesa della
spiaggia, i fari ed i fuochi dei segnali, sono
lavori del tutto straordinarj , sia per la
difficoltà di esecuzione, sia per la spesa ri-
levante. Io sono persuaso che per formare
nella baja di Tineh una spiaggia sicura ed
un canale convenientemente disposto occor-
rerà una spesa eguale a quella per l'ese-
cuzione dell'intero canale seguendo la via
d'Alessandria, e ciò per ottenere, un pas-
saggio incerto o piuttosto certamente im-
praticabile. Si vede che lo scopo di questa
discussione è quello di escludere intera-
mente qualunque progetto che venisse a
terminare nella baja di Tineh (*).
Questa spiaggia e questo porto , la cui
costruzione sulla costa di Pelusio sorpassa
tutte le risorse dell'arte, esistono natural-
mente ad Alessandria, città che sembra pre-
destinata a servire di principio al canale
dei due mari. Alessandria possiede due porti,
l'uno all' ovest chiamato il porto vecchio :
l'altro all'est conosciuto sotto la denomi-
nazione di porto nuovo. Il canale dovrebbe
sboccare nel porto vecchio; infatti esso è
quello" la cui situazione, gli approdi e la
natura del fondo si prestano meglio alla
costruzione di un passaggio comodo e si-
curo, per l'ingresso di questa gran via na-
vigabile. Il porto vecchio forma l'estremità
orientale di una magnifica spiaggia for-
mala interamente da una linea di roccie
in parte subacquee, ed in parte apparenti
alla superficie.
A questa spiaggia, che per la sua esten-
sione e profondità sarà suscettibile di ac-
cogliere le flotte le più numerose, non si
può approdare che in tre punti. I due
(+) Tineh in arabo significa fango, melma ; que-
sta baja è giustamente denominata.
ARCHITETTO
estremi di 3 a 4 braccia di profondità sono
tortuosi e difficili; quello al centro, che ha
la profondità non minore da 5 a G braccia
e la cui lunghezza è di 300 metri, po-
trebbe in acque tranquille bastare a tutti
i bisogni; ma 1' ordinaria agitazione del
mare non permette di farvi entrare i basti-
menti che si immergono più di 7 metri. Ciò
risulta pure da una lettera dell'ammiraglio
Brueys, rimarchevole per la sua data (9 lu-
glio 1798, ventidue giorni prima della bat-
taglia d'Abuchir )., che malgrado una ri-
compensa di 10,000 franchi offerta ai pi-
loti del paese, niun d' essi volle incari-
carsi di far entrare nella spiaggia le navi
la cui altezza d'acqua eccedeva i 6m50. Gra-
ziano Lepère (*) opina che sarebbe facile
di approfondare questo passaggio. Egli
propone veramente per pervenirvi dei mezzi
poco praticabili; ma celle risorse di cui
si può disporre in giornata ed in vista della
qualità della roccia molle che cinge la spiag-
gia, questa operazione non presenterebbe
alcuna difficoltà grave. L' insufficienza del-
l' altezza d' acqua al passaggio si aggrava
di molto dall'ordinaria agitazione del mare
e dalla natura e dall'irregolarità del fondo.
Una nave correndo a vela, e deviando al-
quanto dal canale di passaggio praticabile
pel suo bisogno d'acqua, è esposta a toccare
il fondo, ciò che condurrebbe la sua perdita
immediata. Infine la spiaggia d'Alessandria
presenta un altro grave inconveniente, ed
è che 1' uscita è assai difficile ed anche
quasi impossibile pei venti compresi fra
l'ovest e l' est-nord-est, che sono i più forti
e più frequenti in quei paraggi. L' uso dei
battelli a vapore per rimorchiare le navi
tanto all' ingresso che all' uscita farebbe
scomparire quest'ultimo inconveniente ed
attenuerebbe di molto i pericoli che pre-
senta il passaggio. Con questa risorsa si può,
io credo, considerarlo come ordinariamente
praticabile pei bastimenti di 7 metri d'im-
mersione.
Veramente arrivando le navi ad Ales-
sandria in un tempo fortunoso per prendere
(*) Descrizione dell' Egitto, t. XV11I.
ED AGRONOMO JQ.J
la via del canale, non potrebbero entrare
direttamente nella spiaggia del porto vec-
chio, ma almeno esse saranno sicure e di-
fese nel nuovo porto., ove si può navigare
in qualunque tempo. La spiaggia troppo
celebre d'Abuchir presenta inoltre in occa-
sione di vento un luogo proprio per an-
corare assai sicuro, dimodoché anche nei
tempi i più cattivi le navi, sia che arrivino
per entrare nel canale, sia che escano, sono
egualmente sicure da un pericolo, nel primo
caso navigando nel nuovo porto, nel se-
condo restando nella spiaggia del vecchio
porto.
Per la qual cosa il porto di Alessandria
ha il sommo vantaggio della sua posizione
per lo sbocco del canale dei due mari nel
Mediterraneo, e basta perfettamente nel suo
stato attuale a tutti i bisogni della naviga-
zione dì questo canale, e sarà facile con
qualche lavoro di poca importanza, eseguito
nel passaggio, di migliorarlo ancora. Di
fronte a questi vantaggi come esitare sulla
scelta di un punto in cui il canale dovrà
sboccare nel Mediterraneo ? Non è dunque
evidente che fuori di Alessandria mancherà
ogni tentativo, e che tutte le spese e gli
sforzi non produrranno che un canale im-
praticabile e degli approdi impossibili?
Sarà superfluo di qui entrare nei detta-
gli più complicati della stima delle spese
che occorreranno per eseguire il canale dei
due mari; mi limiterò pertanto a riassu-
mere la valutazione fatta per approssima-
zione di ciascuno degli andamenti che si
verranno ad indicare.
1.° Linea iV Alessandria a Suez.
Lunghezza 392,000™
Aprimenlo del canale. . F. 115^550,000
Opere d'arte » 21,900,000
Spese imprevedute ...» 4,550,000
Spesa totale del canale » 142,000,000
Imbocc. e spiaggia di Suez » 20,000,000
Spesa totale .... » 162,000,000
Somma da riportarsi F. 102,000,000
102
GIORNALE DELL' INGEGNERE
Somma riportata F. if>2,000,000
Nel caso i» cui fosse neces-
sario di ricorrere ad un
ponte-canale, questa cifra
dovrebbe essere accresciu-
ta di » 38,000,000
Ciò che porterebbe la spesa
totale a
» 200,000,000
2.° Canale diretto col punto di divisione.
42,800,000
17,500,000
14,400,000
5,300,000
Aprimento del canale . .
Canale d'alimentazione. .
Opere d'arte e serbatojo del
lago Ballali »
Spese imprevednte ...»
Totale » 80,000,000
Alla quale è d'uopo aggiun-
gere la spesa da farsi nella
spiaggia di Suez, calcolata
più sopra a »
E quella dei lavori da ese-
guirsi nella baja di Tineh,
che sorpasserebbe certa-
mente i ?
20,000,000
50,000,000
Spesa totale del progetto N. 2 » 150,000,000
3.° Canale diretto senza sostegni.
lunghezza 140 chilometri
Aprimento del canale sopra
100™ di larghezza al fondo F. 205,500,000
Costruzione della cateratta
e spese imprevedute . . » 24,500,000
Lavori 'marittimi a Suez ed
a Tineh '» 70,000,000
Totale » 300,000,000
Questi due ultimi progetti se fossero pra-
ticabili, costerebbero adunque altrettanto ed
anche più che il tracciamento per la val-
lata del Nilo , ed attenendosi a questo , il
solo che possa essere eseguito con qualche
confidenza, si vede che la spesa può essere
valutata a 162 milioni almeno , ed a 200
milioni al più. Queste cifre sono ben lon-
tane dalla stima di 30 milioni fatta dal
Lepóre ed anche più da quella di 10 mi-
lioni pel canale diretto. Ma il solo enun-
ciato di queste cifre basta per indicare di
che si tratta, nelle idee di questi ingegneri,
di un canale di limitate dimensioni e per
la piccola navigazione, e che non si può
per conseguenza instituire alcun confronto
per queste diverse valutazioni.
Pertanto da ciò che si è detto si con-
chiude: 1." che il canale diretto, ovvero
senza sostegni, è soggetto ad un ostacolo
radicale , cioè all' impossibilità assoluta di
conservare un passaggio di una profondità
bastante nella baja di Tineh, ed all'immen-
sità di spesa che si dovrebbe sostenere, sia
per eseguirlo sia per costruirvi una spiag-
gia difesa. 2.° che è più dispendioso del trac-
ciamento nella vallata del Nilo.
Gli è vero che la lunghezza non è che
di 140 chilometri, mentre quella del canale
da Alessandria a Suez è quasi di 400; ma
se si tien conto della provenienza e della de-
stinazione delle navi, le quali appartengono
quasi tutte a paesi situati all'occidente del-
l'Egitto, si riconosce che per confrontare lo
spazio percorso dai diversi tracciamenti bi-
sognava aggiungere alla lunghezza del trac-
ciato diretto attraverso l'istmo l'eccesso del
viaggio delle navi fra Tineh e l'altezza d'A-
lessandria. Avuto riguardo a questa diffe-
renza ed alla difficoltà che proverebbero le
navi uscendo dal canale per prendere il
largo e dirigersi dal fondo della baja di Ti-
neh verso V Europa, il vantaggio che pre-
senta sotto il rapporto della lunghezza il
tracciato diretto si riduce a poca cosa e
sarebbe esso d'altronde più che compensato
dai pericoli che presenta la navigazione del
golfo di Pelusio.
Queste considerazioni capitali basteranno
per decidere la questione; ma io penso che
molti devono dirigere nello stesso senso
le idee degli uomini che cercano di realiz-
zare la comunicazione dei due mari. In
primo luogo è d'uopo soddisfare ad un'op-
posizione ostinata del governo egiziano, che
esclude tutti i tracciati che si allontanano
dai paesi e che col mezzo di questa via
navigàbile non congiungono la capitale del-
ARCHITETTO
l'Egitto, l'unico suo porto sul Mediterraneo
e la navigazione del Nilo. Vi sono infatti
così grandi vantaggi materiali e politici per
questa nazione a che il canale marittimo at-
traversi il delta e riunisca il Cairo con Ales-
sandria; l'avvenire e la potenza dell'Egitto
si attaccano in un modo così stretto alla
direzione di questa grande strada, che non
è d' uopo meravigliarsi di questa opposi-
zione, e convien al contrario prevenirla ed
occuparsi di essa poiché è appoggiata a mo-
tivi troppo legittimi. Fortunatamente lo stato
delle cose si trova qui perfettamente d'ac-
cordo cogli interessi ed i desiderii del go-
verno egiziano, poiché il tracciamento per
Alessandria è il solo praticabile ed il solo
che possa avere un risultato certo.
Non venne taciuta alcuna difficoltà che
presenta questo tracciamento ; ma io credo
di aver dimostrato che la soluzione di que-
ste difficoltà non è che un affare di tempo
e di denaro, e eh' esse non sono superiori
alle risorse attuali dell'arte dell'ingegnere;
questo progetto è dunque praticabile. Egli
è d' altronde fuori di dubbio che si possa
stabilire nei due mari un'imboccatura con-
veniente; Suez possiede un eccellente spiag-
gia esterna che è facile difendersi mediante
opere ben disposte; quella di Alessandria
è una delle più belle e sicure spiaggie che
esistono. Il successo di questa grande opera
è assicurato, se essa viene intrapresa sopra
basi convenienti. Si è cercato di calcolare
la spesa di questo grande progetto senza
illusioni come senza esagerazione, e se io
sono arrivato ad una cifra molto più alta
di quella de' miei predecessori , è che ho
supposto il canale costruito sopra basi molto
più -larghe in modo da soddisfare a tutti i
bisogni di una grande navigazione. La ci-
fra di 200 milioni venne sorpassata, masi
tratta qui di un grande interesse, che met-
tendo anche da parte i prodotti diretti che si
possono ricavare da una tariffa di navigazio-
ne, i vantaggi che le nazioni commerciali del
globo otterranno dall' esecuzione di questa
grande impresa saranno ancora fuori di
tutte le proporzioni colle spese. (Coni.)
ED AGRONOMO
193
Voi. IH.
Otlobr
Economia rurale (Inghilterra.)
(Vedi pag. 65 e 149.)
IH. Costituzione delie proprietà
e delia coltivazione.
La superiorità dell'agricoltura inglese si
attribuisce generalmente alla grande pro-
prietà; quest'opinione è qualche volta vera,
ma è duopo di non spingerla troppo ol-
tre. Prima di tutto la proprietà in In-
ghilterra non è affatto concentrata, come
ordinariamente si pensa. Senza dubbio vi
hanno in questo paese immense fortune
territoriali; ma queste fortune che sorpren-
dono gli stranieri non sono sole; a lato delle
colossali possessioni della nobiltà propria-
mente detta, trovansi i doininj più modesti
della ijentry, la classe media. Nella seduta
della Camera dei Comuni del 19;febbrajo 1850,
il signor d' Israeli affermò , senza essere
contraddetto, che nel regno-unito pote-
vansi contare 250 mila proprietarj fon-
diarj. Ora, siccome il suolo coltivato è in
tutto di 20 milioni di ettari, v'è una media
di 80 ettari per famiglia, e aggiungendovi
i terreni non coltivati, di 120. Lo stesso
oratore, valutando a 60 milioni sterlini,
ovvero 1500 milioni di franchi, la rendita
netta della proprietà rurale, ha trovato, in
ragione di 250 mila compartecipanti, una
media di 6000 franchi di rendita, cioè 4800
franchi in valore ridotto.
Egli è vero che, come tutte le medie,
questa non dà che un' idea molto incom-
pleta dei fatti. Fra questi 250 mila pro-
prietarj , ve il' ha un certo numero ', 2000
tutt' al più, che hanno essi soli un terzo
delle terre e della rendita totale, e in questi
2000 ve ne ha 50 che hanno fortune prin-
cipesche. Alcuni duchi inglesi posseggono
delle intere provincie e hanno dei milioni
di rendita; gli altri membri del Parlamento,
i baronetti d'Inghilterra, di Scozia e d'Ir-
landa, i grandi proprietarj che non appar-
tengono alla nobiltà, vi succedono gradual-
e 1855. 25
jy/(i GIORNALE DE
mente. Dividendo fra queste 2000 famiglie
10 milioni d'ettari e 500 milioni di rendita,
si trova 5000 ettari e 250 mila franchi di
rendila per famiglia.
Ma quanto più è considerevole la classe
aristocratica, tanto più trovasi diminuita
quella dei proprietà!'] di second' ordine. I
primi perciò posseggono due terzi del suolo
ed hanno per conseguenza nella costituzione
della proprietà inglese una rappresentanza
due volte più importante. La loro quota
media discende ad 80 ettari circa e la loro
rendita fondiaria a 4000 franchi; applicando
a questa rendita la riduzione di 20 per 100,
essa non è più che di 3200. Siccome vi è
necessariamente molta ineguaglianza fra
essi , si deve conchiudere che le proprietà
di 1000, 2000, 3000 franchi di rendita non
sono tanto rare in Inghilterra, come si
crede, e ciò trovasi effettivamente quando
vi si guarda davvicino.
Un altro pregiudizio che poggia egual-
mente su un fatto vero, ma esagerato, è
la persuasione generale che la proprietà
fondiaria in Inghilterra non cambia padrone.
Se la proprietà ivi è molto meno mobile
che altrove , essa è però lungi dall' essere
assolutamente immobile. Anche questo è un
fatto speciale che è stato generalizzato oltre
misura. Alcune terre sono colpite dalle so-
stituzioni o da altri diritti, ma per la mag-
gior parte sono libere. Basta percorrere le
immense colonne # annunzj sui giornali,
o entrare un momento in uno degli ufiìcj
per le vendite degli immobili, sì numerosi
a Londra e in tutte le grandi città , e si
resterà convinti del fatto, che le proprietà
rurali di 50 a 500 acri , cioè di 20 a 200
ettari, non. sono rare in Inghilterra, e che
se ne vendono giornalmente.
Nei giornali, questi annunzj sono gene-
ralmente redatti nel seguente modo.
Uà -vendersi una proprietà di tanti
acri di estensione condotta da un fittajuolo
solido, sUbstantial , con un'abitazione ele-
gante e comoda, una peschiera, un parco,
giardino ed orti, in vicinanza d'una fer-
rovia e d'una città, in un paese pittore-
sco,' ecc. — Negli uflìcj vi si mostra inoltre
Ll/liNGEGINERE
la planimetria del fondo ed una veduta
molto ben fatta della casa e de' suoi din-
torni. È sempre un bel fabbricato quasi
nuovo, perfettamente mantenuto, con de-
corazioni esterne di molto cattivo gusto,
ma con una disposizione interna semplice,
e comoda , situato nel mezzo di un paese
più o meno grande, con belle macchie d' al-
beri a destra e a sinistra. Sulla verde su-
perlicie delle isole britanniche sono sparse
duecentomila residenze di questo genere.
Malgrado il gusto vivissimo degli Inglesi
per la possidenza della terra, che li porta
tutti a divenire landlord appena che il
possono, il prezzo delle proprietà rurali
non è più elevato di quello che sia in
Francia proporzionalmente alla rendita. Si
acquista generalmente in ragione di trenta
volte la rendita, cioè sulla base di circa 3
per 100. Da che un uomo che ha fatto un
po' di fortuna negli affari, trovasi avere
qualche migliajo di lire sterline da mettere
in una casa di campagna, dieci dominj del
valore di 100 mila franchi a 1 milione si
disputano la sua scelta. In un paese ove
l'ettaro di terra vale per adequato 2500 fran-
chi, non abbisognano più di 20 ettari per
costituire una proprietà di 100 mila franchi,
non ne abbisognano più di 300 per fare
1 milione, comprendendovi il valore dell'a-
bitazione e sue dipendenze.
Certamente la terra è in Francia molto
più divisa: ognuno conosce la celebre cifra
di undici milioni e mezzo di partite fon-
diarie che sembra indicare il numero dei
proprietarj; ma ognuno deve anche sapere,
dopo gli studj del signor Passy, a qual
punto questa cifra è illusoria. Succede
spesse volte che un solo contribuente paga
non soltanto più partite , ciò che basta di
già per mettere l' incertezza al luogo di un
fatto apparentemente tanto positivo, ma le
proprietà edilizie delle città figurano nel
numero dei già censiti, ciò che riduce il
numero reale delle proprietà rurali a 5 ò 6
milioni al più.
Non è qui tutto. La quantità delle par-
tite ha pure il suo valere, e in quel modo
che in Inghilterra per conoscere lo slato
ARCHITETTO
più generale della proprietà è d'uopo la-
sciar da una parte i vasti possedimenti di
alcuni gran signori , nella stessa guisa è
d'uopo in Francia ridurre al vero loro stato
questa moltitudine di piccoli proprietarj che
abbassano tanto la media. Su il milioni e
mezzo di partite., cinque milioni e mezzo
sono al disotto di 5 franchi: 2 milioni sono
di 5 a 10 franchi: 3 milioni di 10 a 50 fran-
chi; 600 mila di 50 a 100; 500 mila sol-
tanto sono al disopra di -100 franchi; e in
questo mezzo milione sta la proprietà della
maggior parte del suolo. Gli il milioni di
partite al disotto di 100 franchi possono
applicarsi ad un terzo circa della superficie
totale, o 18 milioni dì ettari; gli altri due
terzi, o 32 milioni d' ettari appartengono a
quattrocento mila proprietarj, dedotti gli
urbani, ciò che dà una media di 80 ettari
per proprietà.
Così levando da una parte le grandis-
sime proprietà, e dall' altra le piccolissime,
che occupano nei due paesi un terzo circa
del suolo , la media sarà in Francia , pei
due altri terzi, eguale in estensione alla
inedia inglese. Quest' apparente eguaglianza
cela in sé una sproporzione, perchè la ren-
dita è, a superficie eguale, ben più elevata
in Inghilterra che in Francia; ma, tenuto
conto di tutto , la differenza reale non è
quella che si suppone. In Francia vi sono
100 mila proprietarj rurali che pagano più
di 300 franchi di contribuzioni dirette , e i
possedimenti dei quali sono per adequato
eguali a quelli della massa dei proprietarj
inglesi; 50 mila di essi pagano 500 franchi
e più. Trovansi dei possedimenti di 500,
1000, 2000 ettari , e quelli di 25 a 100,000
franchi di rendita e più non sono tutt' af-
fatto ignoti. Si può trovare circa un mi-
gliajo di proprietarj per dipartimento che
rivaleggiano, per 1" estensione dei loro do-
minj, colla seconda classe dei landlords in-
glesi, quella che è di molto la più nume-
rosa. Ciò che è vero, è che in Francia ve
ne sono proporzionalmente meno che in
Inghilterra, e che allato dei castelli dei si-
gnori , formicola la folla dei piccoli pro-
prietarj , mentrechè la classe signorile in-
ED AGRONOMO 195
glese ha dietro di sé gl'immensi feudi del-
l'aristocrazia. Con queste misure soltanto
è esatto il dire che la proprietà è più con-
centrata in Inghilterra che in Francia.
Questa concentrazione è favoreggiata dalla
legge di successione, la quale, in mancanza
di testamento, fa passare gli immobili del
padre di famiglia in testa al primogenito ,
mentre in Francia gli immobili] si divi-
dono tra i figli in parti eguali; ma l'appli-
cazione di queste due legislazioni , tanto
opposte nel principio, non 4à nella pratica
effetti radicalmente contrarj. Il padre di fa-
miglia può , nei due paesi , cambiare col-
l' ultima sua volontà le disposizioni della
legge, e qualchevolta profitta di questa li-
bertà, qualchevolta agiscono cause più po-
tenti e generali. In Francia ì matrimonj si
fanno generalmente in parte colla dote delle
fanciulle , ciò che la legge di successione
distrugge; in Inghilterra , se gU immobili
non sono divisi, lo sono i beni mobili, ed
in un paese ove i beni mobili sono tanto
considerevoli, questa divisione non può
mancare di esercitare per mezzo di vendite
e di acquisti la sua influenza sulla ripar-
tizione della proprietà immobile. L'aumento
della popolazione, molto più rapido in In-
ghilterra che in Francia , è pure un ele-
mento di divisione. Infatti, in- Inghilterra,
molte delle proprietà vanno dividendosi, ed
ogni giorno si costruiscono nuove case di
campagna per nuovi signori; contempora-
neamente si ricompongono in Francia molte
proprietà , e si è osservato nel movimento
delle partite fondiarie, che le grandi s' ac-
crescono più presto che le piccole.
In quel modo che si esagera in Inghil-
terra il eoncentramento della proprietà, così
si esagera l' influenza che la grande pro-
prietà vi esercita sullo sviluppo dell' agri-
coltura. Questa influenza è reale come l'e-
sistenza stessa del concentramento, ma am-
bedue hanno i loro limiti. 11 dire grande
proprietà, non è lo stesso che dire grande
coltivazione. Le più grandi proprietà pos-
sono dividersi in piccole possessioni. Poco
importa che 10,000 ettari siano posseduti
da un solo, se essi si dividono, per esempio,
190
OIOKNALE DELL'llNGEGlNEKE
in 200 poderi di 50 ettari ciascuno. Noi
vedremo fra poco, trattando della coltiva-
zione propriamente detta, che ciò è quello
che succede effettivamente più spesso; l'in-
fluenza della grande proprietà è allora quasi
nulla. Ammettiamo frattanto che, prendendo
le cose nel loro insieme, la grande proprietà
è favorevole alla grande coltivazione, e che
sotto questo rapporto essa ha un' azione di-
retta su una parte del suolo inglese; ma
questa azione è poi tanto feconda come si
credette da alcuni pubblicisti? e dove essa
non lo è, v'ha poi sì gran danno com' essi
affermano? Ecco la questione.
Abbiamo veduto che nel regno-unito vi
hanno in certo modo due categorie di pro-
prietà: le grandi e le medie. Le grandi non
estendendosi che in un terzo del suolo, ed
una porzione di questo terzo essendo divisa
in piccoli poderi, ne consegue che l'azione
della grande proprietà non si fa sentire che
su un quarto circa. Questo quarto è egli
meglio coltivato? Non lo crediamo. Gli im-
mensi possedimenti dell'aristocrazia britan-
nica si trovano principalmente nelle regioni
meno fertili. Il più grande proprietario fon-
diario della Gran Brettagna, il duca di Su-
therland, possiede in un sol corpo più
di 30,000 ettari nel nord della Scozia, ma
queste terre salgono 50 franchi 1' ettaro ;
un altro gran signore, il duca di Breadal-
bane, possiede in un'altra parte dello stesso
paese quasi altrettanto terreno , che non
vale di più. In Inghilterra le vaste proprietà
del duca di Noi thumberland sono situate
in gran parte nella contea di questo nome,
una delle più montuose e delle meno pro-
duttive; quelle del duca di Devonshire, nella
contea di Derby, e così di seguito. É prin-
cipalmente in simili terreni che la grande
proprietà è a suo luogo, essa sola può ivi
produrre de' buoni effetti.
Le parli più ricche del suolo britannico,
le contee di Lancaster, di Leicester, di Wor-
cester, di Warwich , di Lincoln , sono una
mescolanza di grandi e di mezzane pro-
prietà. Nella più ricca di tutte, anche sotto
il punto di vista agricolo, quella di Lanca-
ster, domina la mezzana proprietà, e quasi la
piccola. In conclusione si può ritenere, spe-
cialmente se si comprende nel calcolo l'Ir-
landa, che le terre meglio coltivate dei tre
regni non sono quelle che appartengono ai
più grandi proprietarj. Vi sono, senza dub-
bio , delle eccezioni maravigliose , ma tale
è la regola. Si può anche trovare, non pre-
cisamente in Inghilterra, ma in un possesso
inglese, l'isola di Jersey e sue dipendenze,
un paese ove fiorisce esclusivamente la pic-
cola proprietà. Le leggi normanne sulla
successione, che prescrivono la divisione
eguale delle terre tra i figli, sono tuttora
in vigore. « L' effetto inevitabile di questa
legge » dice David Low « agendo da più
di novecento anni negli angusti confini di
queste piccole isole, fu di ridurre tutto il
suolo del paese in piccole possessioni. Si
potrebbe trovare a stento in tutta l' isola
una sola proprietà di 40 acri (16 ettari);
molte variano da 5 a 15, e la maggior parte
è minore di 15 acri (6 ettari) » L'agricol-
tura ne è più povera? No sicuramente. La
terra così divisa è coltivata come un giar-
dino, essa è affittata per adequato da 4 a
5 lire sterline per acro (250 a 300 fr. per
ettaro) e ne' dintorni di Saint-Helier, fino
a 8 e 12 lire (500 a 750 franchi per ettaro).
Malgrado questi enormi fitti, i coltivatori
vivono in una onesta abbondanza sopra
estensioni che altrove sarebbero insufficienti
per la sussistenza del più povero lavoratore.
Aggiungasi che il suolo di Jersey è grani-
tico e magro e che fa d' uopo di molte in-
dustrie per renderlo produttivo. L' aspetto
dell' isola ha qualche cosa di grazioso , la
si direbbe una foresta d'alberi da frutto,
tramezzata di prati e di piccoli campi col-
tivati , con una moltitudine di eleganti
abitazioni tappezzate di viti e di mirti, e
intrecciata di sentieri che serpeggiano sotto
le ombre. David Low osserva nello stesso
tempo, che lo sminuzzamento del suolo, che
sembrerebbe dover essere infinito dopo tante
generazioni, in un' isola tanto piccola e po-
polosa, si è limitato da sé stesso, in causa
delle disposizioni prese nelle famiglie per
arrestarlo quando diventa oneroso. Questo
esempio deve sempre più rassicurare coloro
ARCHITETTO
che temono di veder cadere in polvere il
suolo francese.
In Francia vi hanno mire due categorie
di proprietà, la mezzana e la piccola. I paesi
dove la coltivazione è più avanzala, sono
generalmente quelli ove dominano le pic-
cole. Tali sono i dipartimenti del Nord e
del Basso Reno, e quasi tutti i cantoni ricchi
degli altri'dipartimenti. Il progresso si ma-
nifesta ordinariamente in Francia in causa
delle divisioni delle proprietà. Ciò è voluto
dall'indole della nazione. Lo stesso fatto si
riproduce in altri paesi, nel Belgio, nella
Germania Renana , nell'Alta Italia , e fino
in Norvegia. Dappertutto, fuorché in Inghil-
terra, cioè in Ispagna, in Germania, in Un-
gheria, le grandi proprietà hanno fatto più
male che bene all'agricoltura. Il signore
feudale vive generalmente lontano da' suoi
dominj; egli non li conosce che per le ren-
dite che ne cava e che prima di giungere
a lui, passano per le mani di una moltitu-
dine di segretarj e di agenti più occupati
dei loro propri affari che di quelli del pa-
drone. La terra, spogliata senza posa da
mani avide, non ricevendo mai le cure che
potrebbero fecondarla, abbandonata a livel-
larj tanto poveri quanto ignoranti, languisce
senza coltivazione, o non dà che quei mi-
seri prodotti che essa non può a meno di
dare. In Inghilterra non è del tutto così;
molti gran signori hanno in onore di am-
ministrare essi medesimi i loro dominj e
di dedicare al miglioramento del suolo la
maggior parte di quello che ne estraggono ;
ma il vizio essenziale delle grandi proprietà
non è assolutamente distrutto, e per quelli
che adempiono mirabilmente al loro dovere
di landlord, quanti ve ne sono che trascu-
rano il loro patrimonio !
E dunque giusto, come si fa, di vantare
esclusivamente la grande proprietà, di vo-
lerla trasportare dovunque, e di proscrivere
la piccola? No certamente. Considerando
la questione sotto il punto di vista agricola,
il solo di cui ora dobbiamo occuparci, i
risultati generali militano in favore più delle
piccole proprietà che delle grandi. D'al-
tronde non è facile cosa il cambiare artifi-
ED AGRONOMO 497
cialmente la condizione delle proprietà di
un paese.. Questa condizione è costituita di
un insieme di cause antiche, essenziali, che
non si possono distruggere quando e come
si vuole. Attribuire alle grandi proprietà in
Inghilterra una rappresentanza esclusiva,
farne il principale e quasi il solo movente
del progresso agricolo , pretendere di im-
porlo a nazioni che lo rifiutano, è come
esporsi a darsi torto, quando si può aver
ragione e mettere per principio, che lo
sviluppo della coltivazione non può aver
luogo che a condizione di una rivoluzione
sociale impossibile, ciò che per fortuna è
falso.
Non è men vero che lo stato della pro-
prietà in Inghilterra è più favorevole in
generale all'agricoltura, di quello che sia
la proprietà francese; qui si è voluto com-
battere soltanto 1' esagerazione.
La questione è stata male esposta in con-
seguenza di una confusione. Ciò che im-
porta alla coltivazione, non è che la pro-
prietà sia grande, ma che sia ricca, ciò che
non è sempre la stessa cosa. La ricchezza
è relativa: si può esser povero con una
grande proprietà, e ricco con una piccola.
Nelle mani di mille proprietarj che non
hanno ciascuno che 10 ettari, e che vi
spendono 1000 franchi per ettaro, la terra
sarà due volte più produttiva che nelle
mani di un uomo che possiede 10,000 et-
tari e che non vi spende che 500 franchi.
Ora è la grande proprietà che è più ricca,
ora la piccola, ora la mezzana; tutto di-
pende dalle circostanze. La migliore orga-
nizzazione delle proprietà rurali, è quella
che attrae verso il suolo maggiori capitali,
sia perchè i detentori sono più ricchi rela-
tivamente all' estensione di terreno che essi
posseggono, sia perchè essi sono natural-
mente trascinati a spendere una maggior
parte delle loro rendite. Ora non v'ha
dubbio che nello stato attuale di cose, i
proprietarj francesi sono meno ricchi in
generale che i proprietarj inglesi, e per
conseguenza meno disposti a fare dei mi-
glioramenti al suolo. I più piccoli in Francia
sono quelli che trattano meglio la terra, e
■198 GIORNALE DEI,
questa è una delle ragioni per cui ha tanto
favore la piccola proprietà. In Inghilterra
al contrario, se non è precisamente la grande
proprietà, è per lo meno la metà migliore
della proprietà mezzana, che può essere e
che è in effetto più generosa \erso il suolo.
Le terre meglio coltivate e più produttive
sono quelle i cui possessori godono una
rendita media di mille lire sterline. Qui si
incontrano ordinariamente , ed il capitale
che manca troppo spesso ai proprielarj in-
feriori, e la tendenza ai miglioramenti agri-
coli, e la cognizione degli interessi rurali ,
che mancano talvolta ai proprietà rj troppo
grandi in causa del poco contatto che questi
hanno coi campi.
Quando questo amore degli interessi ru-
rali si incontra presso qualche proprietario,
siamo alla perfezione. Tutta l'Inghilterra si
ricorda con riconoscenza degli immensi ser-
vigi che hanno reso all' agricoltura nazio-
nale il duca di Bedford, il duca di Portland,
lord Leicester, lord Spencer, lord Yarbo-
rough e molti altri. Quando alla volontà di
far del bene si unisce la potenza che danno
un grado elevato nella società ed una for-
tuna colossale, succedono delle vere mera-
viglie. La famiglia di Bedford, fra le altre.
ha dotato il suo paese di magnifiche intra-
prese agricole; per essa intiere contee sono
state conquistate sulle aque del mare, ed
altre, che non erano se non se vaste lande,
divennero ricche e produttive. L' erede di
questa nobile casa gode di una rendita
di 400, 000 lire sterline , ossia due milioni
e mezzo, ed egli è degno per l'uso che ne
fa di succedere al grande agronomo suo
avo, la statua del quale appoggiata ad un
vomere di aratro , è di ornamento ad una
delle piazze di Londra.
Questo elemento manca in Francia, e le
cause che ivi distrussero la grande pro-
prietà sono più dispiacevoli che la distru-
zione stessa. I vantaggi della grande pro-
prietà possono essere in parte rimpiazzati
col concorso dello Stato , con una buona
amministrazione delle -imposte locali, collo
spirito di associazione; questo è ciò clic
già succede in molti, punti. Anche in In-
L,' INGEGNERE
ghillerra, dove l'aristocrazia ha fatto tanto
per la gloria e la prosperità nazionali sotto
tulli i rapporti , non è essa che ha fatto
il più , e per quanto siano grandi i suoi
servigi , non si devono però dimenticare
quelli più numerosi e più efficaci che rende
continuamente l'onorevole corpo della gen-
Irij, la classe media.
In Francia, dove le abitudini df economia
sono più generali che in Inghilterra, non è
necessaria una media di 25, 000 fr. di ren-
dita. Affinchè la proprietà della borghesia
sia in Francia in buone condizioni , basta
che il possidente goda di una rendita di 5
a 6, 000 fr. almeno. Con questa rendita una
famiglia di proprielarj rurali può vivere
convenientemente, e fare ogni anno qualche
avanzo per le spese produttive. Al disotto,
cominciano gl'imbarazzi, a meno che non si
accresca 1' economia in proporzione. In
quanto alla piccola proprietà , siccome il
possidente è nello stesso tempo coltivatore,
essa prospera in condizioni anche più basse.
Una famiglia di paesani d' ordinario può
viver benissimo con una rendita di 4,200 fr.,
e purché abbia un' eccedenza di un centi-
naio di franchi, la terra non soffre fra le
sue mani; al contrario essa è più die al-
trove l'oggetto delle cure più assidue, e
rende con maggior usura gli affettuosi ab-
bracciamenti che essa riceve.
D' altronde non è necessario, e questa è
una delle -cause principali dell'errore in
cui cadono i