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Full text of "Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, condotto sul cod. Vaticano Urbinate 1270, con prefazione"

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TRATTATO 

DELLA PITTURA 

DI 

LEONARDO DA VINCI 

CONDOTTO SUL COD. VATICANO URBINATE I 2 JO 
CON PREFAZIONE 

DI 

MARCO TABARRINI 

PRECEDUTO 

DALLA VITA DI LEONARDO SCRITTA DA GIORGIO VASARI 

CON NUOVE NOTE E COMMENTARIO 
DI 

GAETANO MILANESI 

ED ORNATO DEL RITRATTO AUTOGRAFO DI LEONARDO 
E DI 265 INCISIONI 




ROMA 

UNIONE COOPERATIVA EDITRICE 



M • DCCC • XC 



Stampato in Roma coi tipi dell' Unione cooperativa editrice 

(forniti dalla Fonderia tipografica cooperativa di Milano) 
nella tipografia del Senato. 



L'Unione cooperativa editrice, ne ir iniziare i suoi lavori con la presente pubblicazione, 
sente il dovere di esprimere la prop?-ia riconoscenza a quanti, soccorrendola di consiglio 
e di aiuto, le permisero di accingersi con fidanza alla sua prima prova. 

La benevolenza e V incoraggiamento di S. E. il deputato F. Mariotti, sottosegretario 
di Stato per la Pubblica Lstruzione, il quale si compiacque di suggerire la stampa di questo 
Trattato; la gentile condiscendenza dell' illustre senatore M. Tabarrini, che dettandone 
V elaborata Prefazione concesse di presentarlo al pubblico sotto gli auspici del chiaro 
suo nome; V opera zelante, amica, affettuosa dell' onorevole deputato A. Ma/fi, che agevolò 
alla Cooperativa il compito assuntosi; i graditi servigi prestati daW onorevole deputato 
V. Armirotti; i preziosi suggerimenti dei chiarissimi signori G. Bobbio, G. Chiarini, 
G. Cugnoni, R. De Cesare, A. Fantoni, G. Mazzoni, D. Melegari, G. Mestica ed 
E. Monaci; la promessa dell' onorevole senatore A. Messedaglia, degli onorevoli deputati 
R. Bonghi e F. Martini e dei chiarissimi signori C. Calisse, L. Giorgi, D. Gnoli, 
E. Novelli, G. Tomas setti ed O. Tommasini, di concorrere ai lavori che a questo faranno 
seguito, costituiscono un insieme di simpatie che rendono V Unione cooperativa editrice 
dubbiosa di non avere risposto adeguatamente ad esse. 

E la gratitudine degli editori è pur dovuta alla ditta G. C. Sansoni di Firenze, la 
quale, per mezzo del signor prof. G. Biagi e del signor G. Ceccherini, contribuì a rendere 
questo volume ancor più pregevole coli' autorizzare a tr ai-re dalla sua acclaratissima 
edizione delle opere del Vasari la Vita del Da Vinci, corredata di nuove note e del 
Commentario del prof. G. Milanesi. 

A tutti questi collaboratori l'Unione cooperativa editrice rende grazie. 



Roma, gennaio i8go. 



CONTENUTO DEL VOLUME. 



Pag- 

Prefazione di M. Tabarrini XI 

Vita di Leonardo da Vinci di Giorgio Vasari. 

Vita i i i 

Albero della famiglia Da Vinci xxvi 

Commentario. 

Parte prima - Intorno ai dipinti autentici di Leonardo, dal Vasari non rammentati, 

e di altri a lui attribuiti xxvii 

Parte seconda - Di alcuni disegni di Leonardo da Vinci esistenti in Firenze . . x x x i 

Parte terza - Dei lavori scientifici di Leonardo da Vinci xxxiii 

Prospetto cronologico della vita e delle opere di Leonardo da Vinci xlvii 

Trattato della pittura di Leonardo da Vinci. 

Parte prima 3 

Parte seconda 33 

Parte terza 97 

Parte quarta 173 

Parte quinta 179 

Parte sesta • 259 

Parte settima 291 

Parte ottava 295 

Indice del Trattato . . 301 

Indice delle incisioni 321 



PREFAZIONE 




Questa ristampa del Trattato della pit- 
tura di Leonardo da Vinci è il primo 
tentativo di una Società cooperativa di 
tipografi, i quali, lavorando a tempo avan- 
zato per proprio conto, intendono di met- 
tere in luce libri di facile smercio e di 
provata utilità. Questo fatto di operai 
intelligenti e laboriosi che si associano 
per produrre e porre in commercio i 
prodotti dell' arte loro, ci sembra che meriti di essere incoraggiato, 
più per il suo valor morale che per le sue conseguenze economiche, 
sulle quali non vogliamo qui disputare. E il valor morale del fatto 
sta nell' associarsi col capitale, frutto del risparmio, e coli' opera diretta 
da volontà concordi e ben disposte, al fine di far cosa utile agli associati 
e di giovamento all'universale. Ed infatti essi non intendono di sfruttare 
la malsana curiosità del tempo nostro divulgando colla stampa romanzi 
e novelle, ove col pudore sono offesi i sentimenti più nobili della natura 

L. da Vinci — Trattato della fiittzcra. * * - 




XIV M. TABARRINI 

umana, cose a cui non badano tipografi di nome e ricchi di capitali e 
di materiale tipografico, ma vogliono scegliere libri che onorino le 
lettere e intendano piuttosto a migliorare che a corrompere. 

Promessa di questi lodevoli intendimenti è intanto questo primo 
volume, che essi offrono ai loro concittadini ; e dal quale sperano 
onesto guadagno ed anche l'approvazione di quanti vedono negli umili 
principi delle cose 1' importanza degli effetti che possono derivarne 
nell'avvenire. 

Questa ristampa dell'opera di Leonardo, per quanto condotta 
accuratamente sulle migliori edizioni che se ne fecero in Italia, messe 
a riscontro col codice Vaticano, non ha l' ambizione di dare un testo 
genuino avvalorato da tutti i sussidi della critica moderna. Il fine che 
si proposero gli editori, di rendere il libro di Leonardo accessibile al 
maggior numero dei lettori, anche mezzanamente istruiti, e soprattutto 
agli artisti, condusse alla necessità di ammodernare l' ortografia e 
l' interpunzione, di togliere gli arcaismi che rendevano oltremodo diffi- 
cile l' intelligenza del testo, seguendo per lo più la lezione adottata 
dal De Romanis nella edizione pubblicata a Roma nel 1817. Condotta 
così la stampa, non si fece nè più nè meno di quello che avevano 
fatto i precedenti editori italiani. Se non che si studiò con maggiore 
accuratezza la collazione del codice Vaticano, correggendo ovunque le 
altre edizioni se ne erano scostate, e ponendo ai loro luoghi le giunte 
che in quello confusamente si trovano. Chi guardi l' edizione del codice 
fatta con grande apparato di dottrina da Enrico Ludwig a Vienna 
nel 1882, si persuaderà facilmente, che il testo lasciato in quella forma 
antiquata e scorretta, se avrebbe appagato la critica, la quale esige 
oggi, non senza ragione, la fedele riproduzione dei testi, non avrebbe 
sicuramente cresciuto lettori a questa novella ristampa. E di questa 
opinione furono il comm. Filippo Mariotti ed il prof. Giovanni Mestica, 



PREFAZIONE XV 

che primi incoraggiarono l' Unione cooperativa editrice, e le consiglia- 
rono la riproduzione del libro della pittura di Leonardo. 

Queste cose sulle intenzioni degli editori volevano esser dette sul 
bel principio, perchè questa ristampa venga giudicata per quello che 
è, non per quello che altri forse avrebbe potuto desiderare che fosse. 

Leonardo scrisse questo libro della pittura verso il 1498 per la 
scuola che Lodovico Sforza aveva fondata a Milano, dalla quale uscì 
quella bella schiera di pittori e scultori che fiorì per assai tempo in 
Lombardia, mantenendo sempre il suo carattere che partecipa insieme 
della scuola toscana del quattrocento e della romana di Raffaello e dei 
suoi imitatori. Chi volesse peraltro paragonare la scuola di Leonardo 
all'Accademia fondata più tardi dai Caracci a Bologna, troverebbe 
nel confronto che le differenze sono assai maggiori delle somiglianze. 
I Caracci intendevano di ritardare con norme convenzionali la deca- 
denza dell' arte ; mentre Leonardo mirava a dare all' arte fiorente il 
sussidio della scienza. E scienziato, nel senso che allora poteva darsi 
a questa parola, era veramente Leonardo, il quale col genio inventivo 
di cui era dotato, nelle sue osservazioni sui fatti naturali, anticipò 
alcune delle scoperte moderne. Questo libro della pittura, come gli 
altri sulla prospettiva e sulla luce e sulle ombre, sono raccolte di pre- 
cetti pratici dedotti con grande acutezza dai teoremi della geometria, 
dell' ottica e della meccanica, scienze non formate ai suoi tempi in 
corpo di dottrina, ma che egli intravvedeva in embrione cogli occhi 
della mente. 

Si dirà forse che tutti questi precetti riguardano piuttosto la parte 
tecnica che il concetto dell' arte ; ma è appunto la parte tecnica che 
può formar soggetto d'insegnamento, mentre tutto quello che è idealità 
e sentimento, se 1' artefice non 1' ha dentro di sè, nessun maestro sarà 
capace d' insegnarglielo. Leonardo applicava alle sue opere gli inse- 



XVI M. TABARRINI 

gnamenti che dava ai suoi allievi, e quali effetti sapesse ritrarne lo 
dicono i suoi quadri divini, che in tutti i tempi formarono la meraviglia 
del mondo ; lo dice il disprezzo in cui quegli insegnamenti si tengono 
oggi da coloro che ingombrano le sale delle pubbliche esposizioni con 
dipinti tirati giù alla brava senza studi e senza concetto, che sono 
oltraggi alla natura ed all' arte. Con tutti i progressi che hanno fatto 
ai dì nostri le scienze applicate alle arti, i precetti di Leonardo cre- 
diamo che abbiano sempre un valore grandissimo ; e sebbene alcuni 
si potessero oggi dimostrare con maggior rigore di principi scientifici, 
pure è sempre vera 1' osservazione del fatto da cui sono dedotti. E 
non è da meravigliare che questo maestro dell' arte tanto studiasse 
nei minimi particolari i suoi dipinti, da parere ai contemporanei che 
perdesse il tempo ninnolandosi in apparecchi senza costrutto ; perchè 
è soltanto con questo studio e con questi avvedimenti scrupolosi che 
si può fare d' un ritratto di donna, come la Gioconda, un capo d' opera 
da stare a pari coi dipinti di grandiosa composizione. 

Leonardo è veramente una delle più grandi e geniali figure del 
rinascimento, uno degli ingegni più universali e originali che abbia 
avuto l' Italia. In quell' epoca singolare che non ha riscontro altro che 
nel più bel secolo della Grecia antica, V Italia ebbe una fecondità por- 
tentosa d' uomini di genio che le assicurarono il primato nelle lettere 
e nelle arti, mentre il resto d' Europa stentava ad uscire dalle tenebre 
del medio evo. Il carattere di quell' epoca era la bellezza e Y eleganza 
che scaturivano da tutte le manifestazioni della vita. Il brutto e il 
deforme, non che rappresentarsi, neppure si concepivano. Era una fio- 
ritura spontanea d'ingegni che sentivano tutte le armonie del bello 
e sapevano rappresentarlo in tutte le sue forme. 

L'arte era il lusso di quei tempi, e le Corti dei Medici, degli 
Estensi, degli Sforza, dei Gonzaghi erano scuole di costumi gentili 



PREFAZIONE XVII 

e ritrovo geniale di artisti e di poeti. Le fantasie del Pulci e del- 
l'Ariosto riflettevano la vita spensierata di quelle Corti, le quali nulla 
avevano del feudale, come le Corti di Francia e di Alemagna- ma, 
venute su nelle città da supremazie più o meno consentite di cittadini 
potenti, avevano serbato il carattere civile ed erano aperte a tutti gli 
uomini d'ingegno senza privilegi di caste, senza predominio di spade. 
Anche il cristianesimo sembrava aver rimesso della sua austerità e 
dei suoi terrori, e la Corte dei Papi era tutta piena dello spirito del 
secolo. E questo spirito era tanto civile e tanto innovatore, da non 
sembrare temerario il pensare che forse, se non era la riforma teolo- 
gica di Martino Lutero, molte rivendicazioni di libertà in Italia si 
sarebbero potute conseguire per il solo effetto della cultura universal- 
mente diffusa, della potenza dell' ingegno universalmente riconosciuta. 

Ma perchè il rinascimento, con tanto splendore di conati, oltre i 
miracoli dell' arte, non produsse nulla di grande nelle istituzioni poli- 
tiche ? Perchè si consumò senza lasciare dietro di ?è altro che poemi, 
quadri e statue ? Perchè Y Italia ne uscì più misera, più serva, più 
corrotta ? 

Fra le molte ragioni che si potrebbero addurre di questo fatto 
capitalissimo nella nostra storia, ci fermiamo a questa sola che ne 
comprende molte altre. Al rinascimento mancò un' alta idea morale 
che facesse mirare ad un fine degno 1' opera di tanti ingegni, mancò 
il concetto d' una patria grande che rendesse operative nel campo 
dei fatti le forze che si perdevano nelle vane speculazioni. 

Quelle generazioni educate all' eleganza non avevano il sentimento 
della forza che produce l' azione, un fine alto da raggiungere che 
nobilitasse i prodotti dell' ingegno. Michelangelo era un gigante soli- 
tario in mezzo alle rovine, pensoso sui destini del mondo ; Torquato 
Tasso, forse il solo vero poeta del rinascimento, cantava sul serio 



XVIII M. TABARRINI 

le prodezze della cavalleria già ridotta a favola dall' Ariosto, e gli 
entusiasmi della fede in mezzo a gente che più non pensava al 
Sepolcro di Cristo. Tutti gli altri appariscono decoratori di quel grande 
festino, nel quale nè il paganesimo risorgeva, nè il cristianesimo si 
purificava. Così nella politica la scaltrezza era tenuta scienza di Stato, 
e l' Italia, alle potenti monarchie d' Europa che ne facevano il campo 
delle loro ambizioni, rispondeva non con armi concordi, ma con sotter- 
fugi di leghe e di trattati oggi conclusi, domani disdetti ; ma tutte 
le astuzie e le furberie non le bastarono, e cadde preda del vincitore. 

Leonardo da Vinci è forse il solo grand' uomo che rileghi il rina- 
scimento ai tempi moderni. Il suo genio universale, che in sè congiun- 
geva quanto ha di più peregrino l' arte e di più applicativo la scienza, 
presentiva il grande moto scientifico che si sarebbe destato in un 
prossimo avvenire. Egli invocava l' esperienza come interprete dei segreti 
della natura ; la quale teneva come maestra delle superiori intelligenze. 
Per queste intuizioni delle quali abbondano i suoi trattati ed i suoi 
appunti, ove egli pose quasi senza saperlo i germi dell' ottica, 
dell' idraulica e della meccanica, Leonardo si può dire che dia la 
mano a Galileo. 

Ma anch' egli come dovè sentire la miseria del suo tempo ! Non 
curato dai Medici a Firenze, male accetto a Leone X a Roma, egli 
dovè acconciarsi con Lodovico il Moro a Milano, che non aveva nep- 
pure la prodezza ed il coraggio che erano virtù della sua schiatta. 
Caduto il Moro, non trovò miglior partito che quello di porsi ai servigi 
di Cesare Borgia, altro scellerato della risma dello Sforza ; e lo seguì, 
come ingegnere militare, nella impresa delle Romagne. Mancatogli 
anche questo, si ridusse ad allogarsi con Francesco I, che ambiva portare 
in Francia la cultura italiana, e morì in terra straniera, a Cloux presso 
Amboise, nel 15 19. 



PREFAZIONE XIX 

Da queste considerazioni sul rinascimento di cui Leonardo fu una 
delle figure più originali, non sarà inutile trarre qualche conseguenza. 
E la più evidente è questa : che gli uomini d' ingegno non bastano a 
salvare le nazioni quando è smarrito il principio morale direttivo delle 
azioni umane. Vera rerum nomina amisimus, gridava Catone nel Senato 
di Roma quando Catilina trovava apologisti ; e lo stesso si poteva 
dire all' Italia del secolo xvi, quando in Cesare Borgia si sperava un 
salvatore. Allorché sono alterate le nozioni del bene e del male, l'anar- 
chia delle menti si fa strada all' anarchia dei fatti. E all' anarchia dei 
fatti pose fine la spada di Carlo V. — Se ne può dedurre anche questo : 
che una civiltà non si rinfranca se non tornando al principio che V ha 
generata. Il rinascimento volle evocare almeno nelle forme la civiltà 
pagana dimenticando il cristianesimo, e per questo 1' opera sua riuscì 
infeconda di grandi effetti, nè fu difesa contro la forza incivile che la 
oppresse. Le nazioni che abbracciarono la Riforma uscirono dalla 
lotta più ritemprate e più forti di noi Latini, perchè la civiltà che 
istaurarono era in fondo cristiana. E inutile cavillare sui fatti ; la civiltà 
nostra, fondata sul cristianesimo, non può altro che fiorire o perire 
con lui. 

Tornando ora al principio donde mossero le nostre parole, osser- 
viamo che Leonardo da Vinci nel rinascimento rappresenta la divi- 
nazione dell' avvenire, e in questo senso egli è forse il più gran genio 
di quel secolo meraviglioso. Che se anch' egli dovè piegarsi alle miserie 
morali del tempo, dipingendo i ritratti delle donne amate dallo Sforza 
ed aiutando le imprese del Valentino, serbò nell' anima una virtù 
che lo inalzava al di sopra della più gran parte dei suoi contem- 
poranei. 

Se il risorgimento, almeno nella sua forma esteriore, ci si rappre- 
senta un gioioso carnevale di principi, di politici, di poeti, di artisti, 



XX M. TABARRINI 

gente spensierata che sciupa tanto ingegno quanto sarebbe bastato 
a molte generazioni, non era sicuramente nato per divertire la folla 
chi scriveva queste parole, che ripetiamo volentieri alla gioventù 
nostra, come conclusione di questo nostro discorso : « JVon allegate mai 
la vostra pov erezza che non vi permetta di studiare e di rendervi abili: 
lo studio delle virtù serve di nutrimento all' anima e al corpo » . 

M. Tabarrini. 



VITA 

DI 

LEONARDO DA VINCI 

DI 

GIORGIO VASARI 



LIONARDO DA VINCI 



PITTORE E SCULTORE FIORENTINO. 1 




Grandissimi doni si veggono piovere dagl'influssi 
celesti ne' corpi umani, molte volte naturalmente, e 
soprannaturali talvolta ; strabocchevolmente accoz- 
zarsi in un corpo solo, bellezza, grazia e virtù in una 
maniera, che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azione è tanto 
divina, che lasciandosi dietro tutti gli altri uomini, manifestamente 
si fa conoscere per cosa, coni' ella è, largita da Dio e non acquistata 
per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da Vinci, 
nel quale oltra la bellezza del corpo non lodata mai a bastanza, era 
la grazia più che infinita in qualunque sua azione ; e tanta e sì fatta 
poi la virtù, che dovunque l'animo volse nelle cose difficili, con 
facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta, e congiunta 
con la destrezza; l'animo e '1 valore, sempre regio e magnanimo; 
e la fama del suo nome tanto s' allargò, che non solo nel suo tempo 
\ fu tenuto in pregio, ma pervenne ancora molto più ne' posteri dopo 
la morte sua. 2 

Veramente mirabile e celeste fu Lionardo figliuolo di ser Piero da 



1 Nel riprodurre questa Vita dalle Opere di Giorgio 
Vasari (Firenze, Sansoni, 1878-85) avvertiamo che, se- 
guendo l'edizione stessa, le note non distinte da alcun 
segno son tratte dall'edizione Passigli (Firenze, 1832-38) ; 
quelle precedute da * sono dell'edizione Le Monnier 
(Firenze, 1845) ; e le contrassegnate con f sono aggiunte 
dal prof. Gaetano Milanesi nella citata edizione Sansoni. 



2 * L'opera migliore intorno a Leonardo da Vinci è 
tuttavia quella di Carlo Amoretti, Memorie storiche 
sulla vita, gli studi e le opere dì Lionardo da Vinci, 
Milano, 1804. Essa contiene le più minute indagini; ma 
non è scevra d'errori, che in parte son dovuti alle in- 
formazioni del consiglier De Pagave. Il conte Gailen- 
berg rifece questo libro in tedesco, e l'accrebbe di alcune 



i V 



GIORGIO VASARI 



Vinci ; 1 e nella erudizione e principi delle lettere arebbe fatto profitto grande, se egli 
non fusse stato tanto vario ed instabile. Perciocché egli si mise a imparare molte 
cose; e incominciate, poi l'abbandonava. Ecco, nell'abbaco, egli in pochi mesi eh' e' 
v' attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbj e difficultà al maestro 
che gì' insegnava, bene spesso lo confondeva. Dette alquanto d' opera alla musica ; 
ma tosto si risolvè a imparare a suonare la lira, come quello che dalla natura 
aveva spirito elevatissimo e pieno di leggiadria, onde sopra quella cantò divinamente 
all' improvviso. 2 Nondimeno, benché egli a sì varie cose attendesse, non lasciò mai 
il disegnare ed il fare di rilievo, come cose che gli andavano a fantasia più d' al- 
cun' altra. Veduto questo, ser Piero, e considerato la elevazione di quello ingegno, 
preso un giorno alcuni de' suoi disegni, gli portò ad Andrea del Verrocchio eh' era 
molto amico suo, e lo pregò strettamente che gli dovesse dire, se Lionardo atten- 
dendo al disegno farebbe alcun profitto. Stupì Andrea nel veder il grandissimo 
principio di Lionardo, e confortò ser Piero che lo facesse attendere; onde egli 
ordinò con Lionardo eh' e' dovesse andare a bottega di Andrea : il che Lionardo 
fece volentieri oltre a modo: e non solo esercitò una professione, ma tutte quelle, 
ove il disegno s'interveniva; ed avendo uno intelletto tanto divino e maraviglioso, 
che essendo bollissimo geometra, non solo operò nella scultura, facendo nella sua 
giovanezza di terra alcune teste di femine che ridono, che vanno formate per l'arte 



notizie tolte al Gerii, al Fiorillo e ad altri [Vita ed opere 
di Leonardo da Vinci, Lipsia, 1834, in-8°), ma senza 
originali osservazioni e senza critica. Già molto imper- 
fetto era riuscito il saggio di G. C. Brun, Vita ed arte 
di Leonardo da Vinci. 

f Di Leonardo molti altri hanno scritto in quest'ultimi 
anni, massimamente fuori d'Italia. Noi ci contentiamo 
di registrare, tra gl'Italiani: J. B. Venturi, Essai sur 
les otevrages physico-mathéiìiatiqties de L. de Vinci, 
Paris, 1797; Libri, Histoire des sciences mathématiques 
ni Italie ; Girolamo Luigi Calvi, nella parte III delle 
Notizie de' principali professori di delle arti che fiori- 
rono in Milano, ecc., Milano, Borroni, 1869 ; Gustavo 
Uzielli, Ricerche intorno a Lionardo da Vinci, Fi- 
renze, Pellas, 1872 ; e i professori Giuseppe Mongeri, 
Gilberto Govi e Cammillo Boito, ne' loro scritti pub- 
blicati nel Saggio delle Opere di Lionardo da Vinci, 
con ventiquattro tavole fotolitografiche di scritture e 
disegni, tratti dal codice Atlantico, Milano, Tito di 
Giovanni Ricordi, 1872,' in-fol. max.; il marchese Giro- 
lamo D'Adda, nel suo articolo Léonard de Vinci, la 
gravure milanaise et Passavant, nella Gazette de Beaux 
Arts, 1869, e nell'altro Leonardo da Vinci e la sua li- 
brerìa, Milano, 1873, in-8°; e tra gli stranieri: Delé- 
cluze, Ch. Clément, Ch. Blanc e Rio; dai quali tutti 
si hanno più o meno nuovi particolari intorno alla vita ed 
alle opere così artistiche come scientifiche di Leonardo. 

1 Fu figliuolo naturale di ser Piero d'Antonio di ser 
Piero di ser Guido da Vinci, natogli da una certa Cate- 



rina, donna di Cattabriga o Accattabriga, di Piero di 
Luca del luogo stesso. Dalle denunzie pubblicate dal 
Gaye (I, 223, 224) si viene a sapere con certezza che 
il nostro Leonardo nacque nel 1452. Vinci è castello nel 
compartimento fiorentino, presso Empoli. 

2 Delle poesie di lui non ci resta che il seguente 
sonetto, conservatoci dal Lomazzo e ristampato più 
volte : 

Chi non può quel che vuol, quel che può voglia ; 

Che quel che non si può, folle è volere. 

Adunque saggio l'uomo è da tenere, 

Che da quel che non può suo voler toglia. 
Però che ogni diletto nostro e doglia 

Sta in sì e no saper, voler, potere. 

Adunque quel sol può, che col dovere 

Ne trae la ragion fuor di sua soglia. 
Nè sempre è da voler quel che l'uomo potè; 

Spesso par dolce quel che torna amaro. 

Piansi già quel ch'io volsi, poi ch'io l'ebbi. 
Adunque tu, lettor di queste note, 

S'a te vuoi esser buono e agli altri caro, 

Vogli sempre poter quel che tu debbi. 

t Intorno a questo sonetto vedasi nel giornale romano 
77 Buonarroti, fascicoli di giugno e d'agosto 1875, un 
articolo di Gustavo Uzielli intitolato Sopra un sonetto 
attribuito a Lionardo da Vinci. Esso non è di Leo- 
nardo, ma di Antonio di Matteo di Meglio, araldo della 
Signoria di Firenze dal 1418 al 1446, in cui morì, al 
quale è assegnato dalla maggior parte de' codici del 
secolo xv delle biblioteche fiorentine. 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



v 



di gesso, e parimente teste di putti che parevano usciti di mano d' un maestro ; 1 
ma nell'architettura ancora fe' molti disegni così di piante come di altri edifizj, e 
fu il primo ancora, che giovanetto discorresse sopra il fiume d'Arno per metterlo 
in canale da Pisa a Fiorenza. 2 Fece disegni di mulini, gualchiere, ed ordigni che 
potessino andare per forza d' acqua : e perchè la professione sua volle che fusse la 
pittura, studiò assai in ritrar di naturale, e qualche volta in far modegli 3 di figure 
di terra ; e adosso a quelle metteva cenci molli interrati, e poi con pazienza si 
metteva a ritrargli sopra a certe tele sottilissime di rensa o di panni lini adope- 
rati, e gli lavorava di nero e bianco con la punta del pennello, che era cosa mira- 
colosa; 4 come ancora ne fa fede alcuni che ne ho di sua mano in sul nostro Libro 
de' disegni: oltre che disegnò in carta con tanta diligenza e sì bene, che in quelle 
finezze non è chi vi abbia aggiunto mai ; che n' ho io una testa di stile e chiaro 
scuro, che è divina: ed era in quell'ingegno infuso tanta grazia da Dio ed una 
demostrazione sì terribile, accordata con l' intelletto e memoria che lo serviva, e 
col disegno delle mani sapeva sì bene esprimere il suo concetto, che con i ragio- 
namenti vinceva e con le ragioni confondeva ogni gagliardo ingegno. Ed ogni giorno 
faceva modegli e disegni da potere scaricare con facilità monti e forargli per pas- 
sare da un piano a un altro, e per via di lieve e di argani e di vite mostrava potersi 
alzare e tirare pesi grandi: e modi da votar porti, e trombe da cavare de' luoghi 
bassi acque, che quel cervello mai restava di ghiribizzare; de' quali pensieri e fatiche 
se ne vede sparsi per l'arte nostra molti disegni, ed io n'ho visti assai. 5 Oltreché 
perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo 
seguissi tutto il resto fino all' altro, tanto che s' empiessi un tondo ; che se ne vede 
in istampa uno difficilissimo e molto bello, e nel mezzo vi sono queste parole : 
Leonardus Vinci Accademia. 6 E fra questi modegli e disegni ve n' era uno, col quale 
più volte a molti cittadini ingegnosi che allora governavano Fiorenza mostrava volere 



1 « Anch'io mi trovo una testicciuola di terra di un 
« Cristo, mentre che era fanciullo, di propria mano di 
« Leonardo Vinci ; nella quale si vede la semplicità e 
« purità del fanciullo, accompagnata da un certo che, 
« che dimostra sapienza, intelletto e maestà, e 1' aria che 
« pure è di fanciullo tenero, e par aver del vecchio savio ; 
«cosa veramente eccellente». (Lomazzo, Trattato del- 
l' Arte della pittura, ecc., Roma, 1844, in-8°, voi. I, 
pag. 213). Lo stesso Lomazzo (ivi, pag. 301) ricorda 
« un cavallo di rilievo di plastica, fatto di sua mano (di 
«Leonardo), che ha il cav. Leone aretino statuario». 

2 * Di questa come di altre opere idrauliche si tien 
discorso nella parte terza del Commentario che segue ; 
dove similmente si dà conto di altre cose che si riferi- 
scono ai lavori scientifici di Leonardo. 

3 \ Nell'edizione del 1568, certamente per errore di 
stampa, dice medagli-, che noi abbiamo mutato in mo- 
degli, parendoci che così dovesse dire ; il che è confer- 
mato da quel che più sotto scrive il Vasari medesimo. 



4 * Vedi nella parte seconda del Commentario, tra' di- 
segni, gli studi delle pieghe. 

5 Carlo Giuseppe Gerii ne pubblicò una quantità in 
Milano nel 1794 pel Galeazzi. Nel 1830 furono ivi ripro- 
dotti con note illustrative da Giuseppe Vallardi. Una 
raccolta dei disegni vinciani esistenti nell'Ambrosiana 
pubblicò pure in Milano nel 1785 Girolamo Mantelli di 
Canobbio. 

6 Quest'ingegnoso intrecciamelo di corde, dentrovi 
non Leonardus Vinci Accademia, ma Leonardi Vinci 
Academia, è riportato dall 'Amoretti in fronte alle Me- 
morie sopra citate. Il marchese G. D'Adda [Léonard 
de Vinci, la gravurj milanaise et Passavant) dice che 
di questi intrecciamenti di corde nella raccolta ambro- 
siana se ne conservano fino a sei. Se ne conosce un'an- 
tica stampa in legno, intagliata da Alberto Durerò. Delle 
incisioni attribuite a Leonardo, il D'Adda non riconosce 
per opera di lui che quella del ritratto in profilo di 
una giovane, conservata nel museo Britannico, e l'altra 



V i 



GIORGIO VASARI 



alzare il tempio di San Giovanni di Fiorenza, e sottomettervi le scalee senza minarlo ; 
e con sì forti ragioni lo persuadeva, che pareva possibile, quantunque ciascuno, poi 
che e' si era partito, conoscesse per sè medesimo l' impossibilità di cotanta impresa. 

Era tanto piacevole nella conversazione, che tirava a sè gli animi delle genti ; 
e non avendo egli, si può dir, nulla, e poco lavorando, del continuo tenne ser- 
vitori e cavalli, de' quali si dilettò molto, e particularmente di tutti gli altri ani- 
mali, i quali con grandissimo amore e pacienza governava : e mostrollo, chè spesso 
passando dai luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandoli di gabbia 
e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che n' era chiesto, li lasciava in aria a volo, 
restituendoli la perduta libertà. Laonde volle la natura tanto favorirlo, che dovunque 
e' rivolse il pensiero, il cervello e l'animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue, 
che nel dare la perfezione di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza e grazia, nessuno 
altro mai gli fu pari. Vedesi bene che Lionardo per l' intelligenza dell' arte cominciò 
molte cose, e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiugnere non potesse 
alla perfezione dell' arte nelle cose che egli s' imaginava : conciossiachè si formava 
nell' idea alcune difficultà sottili e tanto maravigliose, che con le mani, ancora eh' elle 
frissero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai. E tanti furono i suoi capricci, 
che filosofando delle cose naturali attese a intendere la propietà delle erbe, conti- 
nuando ed osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole. 1 

Acconciossi dunque, come è detto, per via di ser Piero, nella sua fanciullezza 
all' arte con Andrea del Verrocchio, il quale facendo una tavola, dove San Gio- 
vanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò un angelo che teneva alcune vesti ; e benché 
fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera, che molto meglio delle figure d'Andrea 
stava 1' angelo di Lionardo ; il che fu cagione ch'Andrea mai più non volle toccar 
colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui. 2 Li fu allogato per una 



posseduta dal signor Angiolini di Milano, dove sono 
intagliati cavalli in varie attitudini; nega che sieno inta- 
gliati da Leonardo i disegni nell'opera De divina firo- 
portione del Paciolo e gli altri nel Trattato di musica 
del Gafurio. 

1 Nella prima edizione leggonsi inoltre le seguenti 
parole: «Per il che fece nell'animo un concetto sì ere- 
« tico, che e' non si accostava a qualsivoglia religione, 
« stimando per avventura assai più lo esser filosofo, che 
«cristiano». Nella seconda edizione omise il Vasari un 
tal periodo, e fece bene, conoscendo probabilmente d' es- 
sere stato ingannato da qualche mal fondata tradizione 
rimasta nel volgo ; imperocché è noto che in quei tempi, 
nei quali lo studio delle cose naturali e speculative non 
era sì comune, coloro che vi si applicavano venivano 
dagli ignoranti facilmente presi per eretici o miscre- 
denti, e non di rado eziandio per fattucchieri e per maghi. 
(Vedi più sotto, a pag. xxii, le note i e 2). 

2 f Vedi la Vita del Verrocchio nelle Opere di Giorgio 
Vasari (Firenze, Sansoni, 1878-85). Noi abbiamo docu- 



menti, i quali provano che nel 1476 Leonardo stava 
tuttavia nella bottega del Verrocchio. E ci pare che 
quando egli dipinse l' angelo nella tavola del Batte- 
simo, non dovesse essere più fanciullo, ma facilmente 
giovane di più di 20 anni. Questa nostra congettura 
potrebbe diventare certezza, se ci fosse dato di asse- 
gnare il tempo preciso di quel dipinto. Ma il rac- 
conto del Vasari ci richiama ad altre considerazioni ; 
cioè, in primo luogo se sia da credere così facilmente 
che il Verrocchio facesse così grandi maraviglie vedendo 
1' angelo dipinto da Leonardo nella tavola del Battesimo, 
quando di quel che il Da Vinci valesse nell'arte sua 
egli non doveva aver fatto esperienza allora per la prima 
volta ; ed in secondo luogo se sia verosimile che il Ver- 
rocchio vedendosi vinto dal discepolo pigliasse tanto 
sdegno da non voler più innanzi toccare pennelli ; es- 
sendo certissimi che egli tenesse aperta tuttavia la sua 
bottega di pittore anche nel 1476, cioè qualche anno 
dopo di quello, nel quale si può congetturare che fosse 
dipinta la detta tavola. 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



v i i 



portiera, che si aveva a fare in Fiandra d' oro e di seta tessuta per mandare al re 
di Portogallo, un cartone d'Adamo e d' Eva, quando nel paradiso terrestre peccano : 
dove col pennello fece Lionardo di chiaro e scuro lumeggiato di biacca un prato 
di erbe infinite con alcuni animali, che in vero può dirsi che in diligenza e natu- 
ralità al mondo divino ingegno far non la possa sì simile. Quivi è il fico, oltra 
lo scortar delle foglie e le vedute de' rami, condotto con tanto amore, che l' ingegno 
si smarrisce solo a pensare come un uomo possa avere tanta pacienza. Evvi ancora un 
palmizio che ha la rotondità delle ruote della palma lavorate con sì grande arte e mara- 
vigliosa, che altro che la pazienza e l' ingegno di Lionardo non lo poteva fare ; la 
quale opera altrimenti non si fece, onde il cartone è oggi in Fiorenza nella felice casa 
del magnifico Ottaviano de' Medici, donatogli non ha molto dal zio di Lionardo. 1 
Dicesi che ser Piero da Vinci, essendo alla villa, fu ricercato domesticamente 
da un suo contadino, il quale d' un fico da lui tagliato in sul podere aveva di sua 
mano fatto una rotella, che a Fiorenza gnene facesse dipignere : il che egli con- 
tentissimo fece, sendo molto pratico il villano nel pigliare uccelli e nelle pescagioni, 
e servendosi grandemente di lui ser Piero a questi esercizj. Laonde fattala condurre 
a Fiorenza, senza altrimenti dire a Lionardo di chi ella si fosse, lo ricercò che egli 
vi dipignesse suso qualche cosa. Lionardo arrecatosi un giorno tra le mani questa 
rotella, veggendola torta, mal lavorata e goffa, la dirizzò col fuoco ; e datala a un 
tornitore, di rozza e goffa che ella era, la fece ridurre delicata e pari ; ed appresso 
ingessatala ed acconciatala a modo suo, cominciò a pensare quello che vi si potesse 
dipignere su, che avesse a spaventare chi le venisse contra, rappresentando lo effetto 
stesso che la testa già di Medusa. Portò dunque Lionardo per questo effetto ad 
una sua stanza, dove non entrava se non egli solo, lucertole, ramarri, grilli, serpe, 
farfalle, locuste, nottole ed altre strane spezie di simili animali ; dalla moltitudine 
de' quali variamente adattata insieme cavò un animalaccio molto orribile e spaven- 
toso, il quale avvelenava con 1' alito e faceva 1' aria di fuoco ; e quello fece uscire 
d' una pietra scura e spezzata, buffando veleno dalla gola aperta, fuoco dagli occhi, 
e fumo dal naso sì stranamente, che pareva monstruosa ed orribile cosa affatto : e 
penò tanto a farla, che in quella stanza era il morbo degli animali morti troppo 
crudele, ma non sentito da Lionardo per il grande amore che portava all'arte. Finita 
questa opera, che più non era ricerca nè dal villano nè dal padre, Lionardo gli 
disse che ad ogni sua comodità mandasse per la rotella, che quanto a lui era finita. 
Andato dunque ser Piero una mattina alla stanza per la rotella, e picchiato alla 
porta, Lionardo gli aperse dicendo che aspettasse un poco ; e ritornatosi nella stanza, 
acconciò la rotella al lume in sul leggio, ed assettò la finestra che facesse lume 
abbacinato ; poi lo fece passar dentro a vederla. Ser Piero nel primo aspetto, non 
pensando alla cosa, subitamente si scosse, non credendo che quella fosse rotella, 



Questo cartone è smarrito. 



GIORGIO VASARI 



nè manco dipinto quel figurato che e' vi vedeva ; e tornando col passo a dietro, 
Lionardo lo tenne, dicendo : Questa opera serve per quel che ella è fatta ; pigliatela 
dunque, e portatela, chè questo è il fine che dell' opere s' aspetta. Parse questa cosa più 
che miracolosa a ser Piero, e lodò grandissimamente il capriccioso discorso di Lio- 
nardo ; poi comperata tacitamente da un mereiaio un'altra rotella dipinta d'un cuore 
trapassato da uno strale, la donò al villano, che ne li restò obbligato sempre mentre 
che e' visse. Appresso vendè ser Piero quella di Lionardo secretamente in Fiorenza 
a certi mercatanti cento ducati, ed in breve ella pervenne alle mani del duca di 
Milano, vendutagli trecento ducati da' detti mercatanti. f 

Fece poi Lionardo una Nostra Donna in un quadro che era appresso papa Cle- 
mente VII, molto eccellente ; e fra 1' altre cose che v' erano fatte, contraffece una 
caraffa piena d' acqua con alcuni fiori dentro, dove, oltra la maraviglia della vivezza, 
aveva imitato la rugiada dell' acqua sopra, sì che ella pareva più viva che la vivezza. 2 
Ad Antonio Segni, suo amicissimo, fece in su un foglio un Nettuno, condotto così 
di disegno con tanta diligenzia, che e' pareva del tutto vivo. Vedevasi il mare tur- 
bato ed il carro suo tirato da' cavalli marini con le fantasime, 1' orche ed i noti, 
ed alcune teste di dèi marini bellissime ; il quale disegno fu donato da Fabio suo 
figliuolo a messer Giovanni Gaddi, con questo epigramma: 

Pinxit Virgilius Neptunum, pinxit Homerus; 

Dum maris undisoni per vada flectit equos. 
Mente quidem vates illuni conspexit uterque, 

Vincius ast oculis; jureque vincit eos. 3 

Vennegli fantasia di dipingere in un quadro a olio una testa d' una. Medusa, 
con una acconciatura in capo con uno aggruppamento di serpe, la più strana e stra- 
vagante invenzione che si possa imaginare mai; ma come opera che portava tempo, 
e come quasi interviene in tutte le cose sue, rimase imperfetta. Questa è fra le cose 
eccellenti nel palazzo del duca Cosimo, 4 insieme con una testa d' uno angelo, che 
alza un braccio in aria, che scorta dalla spalla al gomito venendo innanzi, e 1' altro 
ne va al petto con una mano. s È cosa mirabile che quello ingegno, che avendo 
desiderio di dar sommo rilievo alle cose che egli faceva, andava tanto con 1' ombre 
scure a trovare i fondi de' più scuri che cercava neri che ombrassino e russino più 
scuri degli altri neri, per fare che '1 chiaro, mediante quegli, fussi più lucido ; ed 



1 Da gran tempo non se ne ha più notizia. 

2 Credesi esser quella posseduta dal principe Bor- 
ghese a Roma. (Amoretti, pag. 168). 

3 La galleria Gaddi fu venduta, e non sappiamo qual 
destino avesse il disegno ora descritto. 

4 Sussiste benissimo conservata nella galleria di Fi- 
renze, nella sala ove sono i quadri di piccola mole, ap- 
partenenti alla scuola toscana. La stampa a contorni 
vedesi nel t. Ili della prima serie della Galleria di 
Firenze ilhistrata, tav. cxxvm. 



5 Quest'angelo, creduto per lungo tempo smarrito, 
fu trovato da un negoziante e ristauratore di quadri 
presso un rigattiere, ma in istato così mal concio che 
vari professori e intendenti, cui per 1' avanti era caduto 
sott' occhio, non avevano neppur sospettato che fosse 
opera di Leonardo : nondimeno il nominato ristauratore 
colle industrie dell'arte sua giunse a dargli un aspetto 
plausibile e tale da pretenderne buona somma. Fu acqui- 
stato dipoi da un signore russo. 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



ix 



infine riusciva questo modo tanto tinto, che non vi rimanendo chiaro, avevon più 
forma di cose fatte per contraffare una notte, che una finezza del lume del dì : 
ma tutto era per cercare di dare maggior rilievo, di trovar il fine e la perfezione 
dell' arte. Piacevagli tanto quando egli vedeva certe teste bizzarre, o con barbe o 
con capegli degli uomini naturali, che arebbe seguitato uno che gli fussi piaciuto, 
un giorno intero; e se lo metteva talmente nella idea, che poi arrivato a casa lo 
disegnava come se 1' avesse avuto presente. Di questa sorte se ne vede molte teste 
e di femine e di maschi, e n' ho io disegnate parecchie di sua mano con la penna 
nel nostro Libro de' disegni tante volte citato ; 1 come fu quella di Amerigo Vespucci, 
eh' è una testa di vecchio bellissima, disegnata di carbone, e parimenti quella di 
Scaramuccia capitano de' Zingani, che poi ebbe 2 messer Donato Valdambrini di 
Arezzo, canonico di San Lorenzo, lassatagli dal Giambullari. 3 Cominciò una tavola 
della Adorazione de' Magi, che v' è su molte cose belle, massime di teste; la quale 
era in casa d'Amerigo Benci dirimpetto alla loggia de' Peruzzi, la quale anche ella 
rimase imperfetta come l'altre cose sua. 4 

Avvenne che morto Giovan Galeazzo duca di Milano, e creato Lodovico Sforza 
nel grado medesimo l'anno 1494, fu condotto a Milano con gran riputazione 



1 Vedi nella parte seconda del Commentario la de- 
scrizione dei disegni del Vinci che sono nella raccolta 
della galleria di Firenze. 

2 * Questo ebbe, voluto dal senso, manca nella seconda 
edizione, per difetto di stampa. 

3 Non si sa dove oggi si trovino questi disegni. Nel 
museo Britannico ve ne ha parecchi di consimili. Una 
testa virile di profilo, bianca e nera su carta turchina, 
e la stessa veduta di faccia, eseguita con matita e biacca 
su carta del medesimo colore. Due fogli di caricature 
tratteggiate di penna, ecc. (Vedi Passavant, Viaggio 
artistico, pag. 225). Un buon numero delle sue carica- 
ture è stato inciso nelle Variae figurae et probe artem 
picturae incipieudae jìiventuti utiles, a Wenceslao //ol- 
iar Boh., aq. f. aere ine. anno 1745, xiv fol. c. tit. 
(dai disegni posseduti dal conte d'Arundel); Variae 

Jigurae monstrnosae a Leon, da Vinci delineatae, 
aere ine. a Jacobo Sandrart , Ratisbonae, 1654, in-4 ; 
Recueil des Tètes de caractere et de charge, dessinées 
par Léonard de Vinci fiorentin , et gravées par le 
C.[omte] de C[aylus], 1730, in-4 . Queste ultime furono 
incise di bel nuovo da G. A. P. in Augusta, in-fol. Se 
ne trovano anche nelle collezioni del Gerii e del Cham- 
berlain. I nomi delle persone, scritti in dialetto milanese, 
dimostrano che Leonardo disegnò queste caricature dal 
vivo, e propriamente in Milano. Narra il Lomazzo, Trat- 
tato della pittura, lib. II, cap. 1, che volendo una volta 
Leonardo « fare un quadro di alcuni contadini che aves- 
« sero a ridere (tutto che non lo facesse poi, ma sola- 
« mente lo disegnasse), scelse certi uomini quali giudicò 
« a suo proposito, ed avendoglisi fatti familiari, col mezzo 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 



« di alcuni suoi amici gli fece un convito ; ed egli seden- 
te dogli appresso, si pose a raccontare le più pazze e 
« ridicole cose del mondo, che gli fece, quantunque non 
« sapessero di che, ridere alla smascellata. Donde egli 
« osservando diligentissimamente tutti i loro gesti con 
« quei detti ridicoli che facevano, impresse nella mente ; 
« e poi, dopo che furono partiti, si ritirò in camera, ed 
« ivi perfettamente li disegnò, in tal modo che non move- 
« vano meno essi a riso i riguardanti, che si avessero 
« mosso loro le novelle di Leonardo nel convito ». 

4 Si conserva adesso nella Tribuna della R. galleria 
di Firenze. Il disegno inciso trovasi nell'opera sopra 
citata (nota 13) serie I, t. II, tav. lxxxviii. 

f Noi crediamo che questa tavola dell'Adorazione dei 
Magi sia quella commessa a Leonardo nel marzo del 1481 
dai monaci di San Donato a Scopeto fuori di Firenze 
per l'altare maggiore della loro chiesa, al prezzo di 300 
fiorini d'oro. Ed in questa opinione ci conferma il vedere 
che il medesimo soggetto dipinse Filippino Lippi nella 
tavola che per quello stesso altare gli fu allogata sedici 
anni dopo : e che oggi è nella galleria predetta. Ebbe 
Leonardo ancora a dipingere dai Signori e Collegi con 
deliberazione del i° di gennaio 1478 la tavola della cap- 
pella di San Bernardo nel palazzo pubblico, la quale otto 
giorni innanzi essi avevano allogata a Pietro del Pol- 
iamolo, e poi toltagli, senza che se ne sappia la cagione. 
Ma Leonardo, sebbene da un pagamento di 25 fiorini fat- 
togli per questo conto si mostrerebbe che avessela comin- 
ciata, non la fece poi altrimenti, restandone solamente 
il cartone, secondo il quale Filippino dipinse nel 1485 
la tavola con Nostra Donna, e vari santi, che si vede 

b 



X 



GIORGIO VASARI 



Lionardo al duca, il quale molto si dilettava del suono della lira, perchè sonasse; 1 e 
Lionardo portò quello strumento eh' egli aveva di sua mano fabbricato d' argento 
gran parte, in forma d' un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova, acciocché l' ar- 
monia fosse con maggior tuba e più sonora di voce; 2 laonde superò tutti i musici 
che quivi erano concorsi a sonare. Oltra ciò, fu il migliore dicitore di rime all' im- 
provviso del tempo suo. Sentendo il duca i ragionamenti tanto mirabili di Lionardo, 
talmente s' innamorò delle sue virtù, che era cosa incredibile. E pregatolo, gli fece 
fare in pittura una tavola d' altare dentrovi una Natività, che fu mandata dal duca 
all' imperatore. 3 Fece ancora in Milano ne' frati di San Domenico a Santa Maria 
delle Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa ; 4 ed alle teste degli apostoli 
diede tanta maestà e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando 
poterle dare quella divinità celeste, che all' imagine di Cristo si richiede. s La quale 



presentemente nella suddetta galleria. Vedi Documenti 
inediti risguardanti Leonardo da Vinci, pubblicati da 
G. Milanesi, Firenze, 1872. 

1 * È ormai provato, che Leonardo era a Milano sino 
dal 1483. Vedi Amoretti, Mem. cit., pag. 27-32; e vedi 
anche nella terza parte del Commentàrio che segue a 
questa Vita. 

2 * Che Leonardo si occupasse in siffatte invenzioni, 
appare anche da una nota del codice Atlantico dell'Am- 
brosiana, segnato Q. R., pag. 28 ; e in un codice Tri- 
vulziano in pergamena, contenente un trattato di musica 
di Prete Florentio, dove si vede ritratto Leonardo con 
una chitarra in mano, tra gli ornati del frontespizio. 
(Amoretti, Mem. cit., pag. 32). 

t Questo codice in ottavo di foglio ha nell' occhietto 
una cartella quadrilunga col fondo azzurro, sul quale è 
scritto a lettere d'oro: Florentii musici sacerdotisque 
ad illustrissimum ac amplissimum dominum et domi- 
nimi Ascanium Mariani Sf. Vicecomitatem ac Sancti 
Viti diaconum cardinalem dignissimum, Liber musices 
incipit. La cartella è contornata da un fregio a girali 
di fiori di più colori tramezzato da tondi con mezze figure, 
putti ed imprese sforzesche. In basso è lo stemma degli 
Sforza Visconti sormontato dal cappello cardinalizio. Nella 
carta che segue è il principio del libro. Dentro una car- 
tella di fondo azzurro è il titolo a lettere d'oro: Flo- 
7 entius iniisicus et sacerdos ill.mo ac amplissimo Ascanio 
card. li domino sito. Nella iniziale è il prete Fiorenzo col 
libro in mano. Nel fregio sono i soliti ornamenti a fio- 
rellini e girali di foglie e medaglioni con mezze figure 
e imprese. Da basso l'arme suddetta. Queste miniature, 
che si dicono senza nessuna ragione di Leonardo, hanno 
tutte le qualità che furono proprie di Attavante minia- 
tore fiorentino, al quale non dubitiamo di assegnarle. 
Intorno a questo codice vedi Girolamo D'Adda, Leo- 
nardo da Vinci e la sua libreria, Milano, 1873, in-8°. 
Nella stessa casa Trivulzio è un altro codicetto, chia- 
mato La Grammatica del conte di Pavia, o di Massi- 



miliano Sforza figliuolo di Lodovico il Moro. Ha dieci 
miniature assai belle, che si vogliono di Leonardo, ma 
a noi pare di vedervi invece la mano di Fra Antonio 
da Monza, miniatore eccellente, sebbene poco noto. 

3 * Questo quadro non esiste più nella galleria impe- 
riale di Vienna, e sembra essere andato smarrito. 

4 * Questo maraviglioso dipinto, che dal Lanzi vien 
detto, e a buon diritto, essere il compendio di tutti gli 
studi e di tutti gli scritti di Leonardo, fu inciso, come 
è ben noto, nel 1800 da Raffaello Morghen, in-folio 
grande ; ed è stimato il capolavoro di questo incisore : 
fu in seguito ripetuto da molti. Più tardi, per ordine del 
viceré d'Italia fu copiato in musaico, e a tal uopo il 
cav. Bossi disegnò un cartone, che ora si conserva nella 
galleria Leuchtenberg di Monaco, ed esegui in appresso 
il dipinto, che ora si trova in Brera a Milano. I disegni 
di studio che il Bossi ne fece, sopra varie copie antiche 
(per le quali vedi Amoretti e F. Villot, Notice des 
tableaux italiens exposés dans les galerìes du musèe 
natiojial du Louvre, Paris, 1849), si trovano nella col- 
lezione ducale di belle arti in Weimar. Frutto delle os- 
servazioni ch'egli fece su questo lavoro di Leonardo è 
l'eccellente libro da lui mandato alla luce nel 1810, col 
titolo : Del Cenacolo di Leonardo da Vinci, libri quat- 
tro, in-fol. ; opera che dette materia ad una severa 
critica del conte Carlo Verri, stampata nel 1812. L'Amo- 
retti (pag. 65) prova per mezzo di un documento, che 
Leonardo era occupato in questo lavoro fin dal 1497 ; e 
che per conseguente doveva averlo incominciato vari 
anni innanzi ; ed il Bossi crede persino che egli vi la- 
vorasse per ben sedici anni, cioè dal 1461 al 1497. 

f Gli storici moderni tengono che questa pittura fosse 
lavorata da Leonardo nello spazio di tre anni, cioè dal 1495 
al 1498. 

5 Secondo l' Armellini ed altri, il volto del Salvatore 
era finitissimo. Può darsi che per l'esecuzione fosse 
condotto allo stesso grado delle altre teste, e che non- 
dimeno al pittore non paresse finito, perchè mancante 



VITA DI LEONARDO DA VINCI xi 

opera rimanendo così per finita, è stata dai Milanesi tenuta del continuo in gran- 
dissima venerazione, e dagli altri forestieri ancora; atteso che Lionardo s' imaginò 
e riuscigli di esprimere quel sospetto che era entrato negli apostoli, di voler sapere 
chi tradiva il loro maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l' amore, la 
paura e lo sdegno, ovvero il dolore di non potere intendere lo animo di Cristo : la 
qual cosa non arreca minor maraviglia, che il conoscersi allo incontro 1' ostinazione, 
l'odio e '1 tradimento in Giuda; senza che ogni minima parte dell'opera mostra 
una incredibile diligenzia; avvengachè insino nella tovaglia è contraffatto l'opera del 
tessuto d'una maniera, che la rensa stessa non mostra il vero meglio. 

Dicesi che il priore di quel luogo sollecitava molto importunamente Lionardo 
che finissi 1' opera, parendogli strano veder talora Lionardo starsi un mezzo giorno 
per volta astratto in considerazione ; ed arebbe voluto, come faceva dell' opere che 
zappavano nell' orto, che egli non avesse mai fermo il pennello ; e non gli bastando 
questo, se ne dolse col duca, e tanto lo rinfocolò, che fu costretto a mandar per 
Lionardo, e destramente sollecitarli 1' opera ; mostrando con buon modo, che tutto 
faceva per l' importunità del priore. Lionardo, conoscendo l' ingegno di quel prin- 
cipe esser acuto e discreto, volse (quel che non avea mai fatto con quel priore) 
discorrere col duca largamente sopra di questo : gli ragionò assai dell' arte, e lo fece 
capace che gì' ingegni elevati talor che manco lavorano, più adoperano ; cercando 
con la mente l' invenzioni, e formandosi quelle perfette idee, che poi esprimono 
e ritraggono le mani da quelle già concepute nell' intelletto. E gli soggiunse che 
ancor gli mancava due teste da fare: quella di Cristo, della quale non voleva cer- 
care in terra e non poteva tanto pensare, che nella imaginazione gli paresse poter 
concepire quella bellezza e celeste grazia, che dovette essere quella della divinità 
incarnata. Gli mancava poi quella di Giuda, che anco gli metteva pensiero, non 
credendo potersi imaginare una forma da esprimere il volto di colui, che dopo tanti 
benefizj ricevuti avessi avuto l'animo sì fiero, che si fussi risoluto di tradire il suo 
signore e creator del mondo; pur, che di questa seconda ne cercherebbe, ma che 
alla fine, non trovando meglio, non gli mancherebbe quella di quel priore tanto 



di quelle perfezioni che egli concepiva colla mente, ma 
che alla mano non era dato l'aggiungere. — * E Leo- 
nardo, dice il Lomazzo, non potè penetrare tanto oltre 
coli' intelletto, da conseguire questa deità nel Cristo del 
Cenacolo. È falso che i disegni delle tredici teste degli 
apostoli fossero un tempo nell'Ambrosiana. Il Pino dice 
che dal conte Arconati passarono al marchese Gasnedi. 
Poi li ebbe la famiglia Sagredo di Venezia, dalla quale 
li comprò il console inglese Uduny. Sembra che questi 
li legasse a due pittori inglesi, onde si divisero in due 
parti: 1' una di dieci, di tre l'altra, che andò in mano 
di una dama inglese. Gli altri li comperò sir Tommaso 
Lawrence ; e alla morte sua furono acquistati dal mer- 
cante di cose d'arte Woodburn. In fine, passarono nella 
raccolta del re d' Olanda all' Aia ; e nella vendita che di 



quella quadreria fu fatta all'asta pubblica nell'agosto 
del 1850, furono rilasciati per 17,200 franchi. Questi 
cartoni sono fatti a pastello ; il che riscontra con ciò che 
ne scrive il Lomazzo nel cap. v del lib. Ili del suo 

Trattato della pittura, dove dice : « fu molto usato 

« (il colorire a pastello) da Leonardo Vinci, il quale fece 
« le teste di Cristo e degli apostoli a questo modo ec- 
« celienti e miracolose, in carta». Gli apostoli sono: 
i° sant'Andrea, 2 san Matteo, 3 san Giacomo, 4 san Fi- 
lippo e san Taddeo, 5 san Pietro e Giuda, 6° san Gio- 
vanni Evangelista, 7 san Bartolommeo e san Tom- 
maso, 8° Giuda Iscariote. II disegno originale di tutto 
il dipinto si vede nella raccolta del museo di Parigi. 
I primi e leggieri schizzi li possiede l'Accademia di 
Venezia. 



xii 



GIORGIO VASARI 



importuno e indiscreto. 1 La qual cosa mosse il duca maravigliosamente a riso, e 
disse che egli avea mille ragioni. E così il povero priore, confuso, attese a sollecitar 
1' opera dell' orto, e lasciò star Lionardo ; il quale finì bene la testa del Giuda, che 
pare il vero ritratto del tradimento ed inumanità. 2 Quella di Cristo rimase, come si 
è detto, imperfetta. La nobiltà di questa pittura, sì per il componimento, sì per essere 
finita con una incomparabile diligenza, fece venir voglia al re di Francia 5 di condurla 
nel regno; onde tentò per ogni via se ci fussi stato architetti, che con travate di 
legnami e di ferri 1' avessino potuta armar di maniera, che ella si fusse condotta salva, 
senza considerare a spesa che vi si fusse potuta fare; tanto la desiderava. Ma 1' esser 
fatta nel muro fece che Sua Maestà se ne portò la voglia, 4 ed ella si rimase a' Milanesi. s 
Nel medesimo refettorio, mentre che lavorava il Cenacolo, nella testa, dove è una 



1 Alcuni credono che la testa di Giuda sia veramente 
il ritratto di quel priore : il che è falso ; sapendosi poi 
che il P. Bandelli, il quale teneva allora tal carica, erat 
facie magna et venusta, capite magno, et procedente 
aetate calvo, capillisqne canis consperso. Le parole di 
Leonardo debbono adunque riguardarsi come uno scherzo 
pungente proferito per mortificare l'indiscretezza del 
frate, e far ridere il duca alle spalle del medesimo. 
(V. Storia genuina del Cenacolo, ecc., del P. Dom. Pino, 
Milano, 1796). 

2 Rispetto a questa testa di Giuda racconta Giraldo 
Cinzio, ossia Gio. Batt. Giraldi, nel suo Discorso sopra 
i romanzi, che a Leonardo « venne per ventura veduto 
« uno che aveva viso al suo desiderio conforme ; ed egli 
« subito, preso lo stile, grossamente lo disegnò, e con 
«quello e con altre parti ch'egli in tutto quell'anno 
« aveva diligentemente raccolte in varie facce di vili e 
« malvage persone, andato ai frati, compì Giuda con viso 
« tale, che pare ch'egli abbia il tradimento scolpito nella 
« fronte ». 

3 * Cioè Francesco I, che entrò vincitore in Milano il 
16 ottobre del 1515. 

4 Vedendo quel re l'impossibilità di trasportar la 
muraglia, ne fece fare una copia, la quale fu collocata 
a San Germano l'Auxerrois. (De Pagave). 

5 Oggi si può tenere perduta anche pei Milanesi ; 
tanto è deteriorata. Lo stesso Vasari nella Vita di Gi- 
rolamo da Carpi, parlando della bella copia fattane da 
Fra Girolamo Monsignori, dice che nel 1566 vide in Mi- 
lano l' originale di Leonardo tanto mal condotto, che non 
si scorgeva più se non una macchia abbagliata. Il Bot- 
tari racconta che nel 1726 fu ripulito da un tal Michel 
Angelo Bellotti ; ma non dice di quali mezzi si servisse 
per ravvivarne i colori ; ond'è a temere che, unitamente 
alle altre conosciute cause di distruzione, quali furono 
l'umidità, la licenza militare, ecc., quelli pure abbian 
contribuito a ridurlo nel deplorabile stato presente. — 
'•'•Anche qui usiamo, con libertà, delle note poste nella 
edizione tedesca del Vasari, togliendone volentieri le se- 
guenti bellissime considerazioni sul Cenacolo del Vinci. 
Nessun altro dipinto può meglio di questo dare una norma 



per misurare l'altezza acuì s'era levata l'arte in quei 
tempi, e per stabilire una comparazione cogli antecedenti 
periodi della pittura. Se si confronti la creazione di Leo- 
nardo col Cenacolo eseguito da Giotto, o da alcuno dei 
suoi discepoli, nel refettorio di Santa Croce di Firenze, 
o con quello di Domenico del Ghirlandaio nel piccolo 
refettorio di San Marco (e, aggiungeremo noi, con l'altro 
del pittore medesimo, nel refettorio d'Ognissanti), si 
vede chiaramente come la pittura delle mere rappresen- 
tazioni simboliche progredisse alle più espressive e ca- 
ratteristiche, e dalla difettosa alla più perfetta bellezza. 
In Giotto, gli apostoli appaiono nella loro dignità di pre- 
dicatori della parola divina; siedono l'un presso l'altro 
quasi senza alcuna espressione appassionata, e non sem- 
brali commossi dalle parole del Redentore, se non quel 
tanto che loro è concesso dalla coscienza della propria 
missione ; sono caratteri tipici disposti simmetricamente 
l'uno accanto all'altro. Presso il Ghirlandaio, gli apo- 
stoli appariscono ormai come uomini nobilissimi e di 
profondo affetto, la cui dignità non è già riposta nel 
sentimento della coscienza, ma nella stessa loro natura : 
tuttavia, benché le invenzioni del Ghirlandaio abbiano 
comuni con quella di Leonardo alcuni tratti di espres- 
sione, pure quelle figure sembrano separate, manca loro 
la bella unità e la delicata comunicazione degli affetti, e 
il leggiadro aggrupparsi e il movimento ; vi traspare 
ancora la gretta e rettilinea simmetria di Giotto. Leo- 
nardo solo seppe giungere alla più perfetta e viva bellezza 
sì nell 'esprimere gli affetti, come nelle movenze dei corpi ; 
seppe manifestare tutti i sentimenti del cuore umano ; 
seppe disegnare i più vaghi gruppi e le più vaghe forme; 
e mentre i suoi antecessori disponevano le figure con 
simmetria, egli ordinò i gruppi con euritmia, vale a dire 
col movimento più libero, congiunto all'ordine più rego- 
lare. Qui non apparisce più la servilità del tipo o del 
ritratto, ma invece è creata una realità ideale tanto vera 
e viva, quanto nobile e spiritualissima. Qui la pittura è 
giunta all' apice della perfezione; ed è a dolere che la 
Versatilità dei successivi sforzi nell'arte abbia impedito 
che le figure degli apostoli di Leonardo fossero riguar- 
date come tipiche. 



VITA DI LEONARDO DA VINCI xiii 

Passione di maniera vecchia, 1 ritrasse il detto Lodovico con Massimiliano suo primo- 
genito, e dall' altra parte la duchessa Beatrice con Francesco altro suo figliuolo, che 
poi furono amendue duchi di Milano ; che sono ritratti divinamente. 2 

Mentre che egli attendeva a questa opera, propose al duca fare un cavallo di 
bronzo di maravigliosa grandezza, 3 per mettervi in memoria l' imagine del duca; 4 
e tanto grande lo cominciò e riuscì, che condur s non si potè mai. Ecci chi ha 
avuto opinione (come son varj, e molte volte per invidia maligni i giudizj umani), 
che Lionardo, come dell' altre sue cose, lo cominciasse perchè non si finisse ; perchè 
essendo di tanta grandezza, in volerlo gettar d' un pezzo vi si vedeva difficultà 
incredibile ; e si potrebbe anco credere che dall' effetto molti abbin fatto questo 
giudizio, poiché delle cose sue ne son molte rimase imperfette. Ma, per il vero, 
si può credere che l' animo suo grandissimo ed eccellentissimo, per esser troppo 
volontaroso, fusse impedito, e che il voler cercare sempre eccellenza sopra eccellenza 
e perfezione sopra perfezione, ne fusse cagione ; talché l' opra fusse ritardata dal 
desio, come disse il nostro Petrarca. 6 E nel vero quelli che veddono il modello 



1 È una Crocifissione di Gio. Donato Montorfano, che 
vi ha scritto il suo nome e l'anno 1495. 

f Sotto la Crocifissione del Montorfano dipinse Leo- 
nardo i ritratti di Lodovico il Moro, di Beatrice d'Este 
sua moglie e de' figliuoli. Questi ritratti sono ora tanto 
guasti, che si possono riguardare come perduti. 

2 Dice il P. Gattico, citato dal P. Pino nella Storia 
genuina, ecc., che il Vinci aveva lavorato quei ritratti di 
mala voglia, e « che si sono infraciditi per essere dipinti 
«a olio, perchè l'olio non si conserva in pitture fatte 
« sopra muri e pietre ». — ••'■Nell'Ambrosiana si vedono 
i ritratti di Lodovico il Moro e di Beatrice d'Este sua 
moglie, dipinti a olio da Leonardo. Lodovico è d'età 
ancor verde, un poco magro, ma modellato egregiamente. 
I biondi capelli sono dipinti con estrema minuzia, ma 
disposti in belle masse. Ha un berretto rosso in capo, 
e indosso una nera veste guernita di pelle. Ritratto in 
busto grande quasi quanto il vivo. Beatrice è ritratta 
di profilo, e modellata assai finamente. I contorni un 
po' duri ; gli ornamenti d'oro eseguiti di colore arancio ; 
i nastri, le perle, ecc., secondo il gusto del Van-Eyck ; 
un po' scure le ombre, ma distinte. 

3 Non mentre ch'egli attendeva a quest'opera, ma 
gran tempo innanzi fece Leonardo tal proposizione, e vi 
pose mano quasi subito arrivato a Milano. Per riprova, 
leggesi tra' suoi ricordi che nel 1490 aveva ricomin- 
ciato da capo il cavallo. (Amoretti, Metnorie storiche 
cit., pag. 29). 

4 Del duca Francesco I Sforza, padre di Lodovico, 
morto nel 1466. 

5 Cioè compiere, terminare. Questa spiegazione l'ab- 
biamo creduta non inutile affatto, poiché M. d'Argen- 
ville intese il verbo condurre nel significato di traspor- 
tare. Il modello restò compito ; e Leonardo aveva cal- 



colato che per gettarlo vi sarebbero bisognate 100,000 
libbre di bronzo. Quando dovevasi fare questa operazione, 
sopravvennero al Moro le note disgrazie ; indi nel 1499 
sì bell'opera fu fatta bersaglio ai balestrieri guasconi, 
e in tal modo distrutta. Non fu dunque colpa di Leonardo 
se condur non si potè mai. — * Il Gerli [Disegni di Leo- 
nardo, ecc., pag. 5) fra alcuni schizzi riprodusse di questa 
statua equestre anche un'antica stampa, ch'egli crede 
intagliata da Leonardo stesso. Giuseppe Vallardi di Mi- 
lano possiede ora questo vecchio intaglio di quattro 
schizzi di cavalli, senza piedistallo, ognuno con cavaliere 
in arcione, che tiene in mano il bastone del comando, 
e sembra in procinto di combattere. Due de' cavalli 
hanno per punto di sostegno un guerriero che stramaz- 
zato al suolo cerca di salvarsi. Il foglio è composto di 
tre pezzi. 

\ Questo vecchio intaglio è riprodotto dal marchese 
D'Adda nel suo articolo Léonard de Vinci, la gravure 
milanaise et Passavant, già ricordato. Alcuni, come il 
Waagen e lo stesso D'Adda, credono che un esempio 
della forma e dell'attitudine del cavallo e del cavaliere 
modellato da Leonardo si possa avere nella miniatura, fa- 
cilmente di Fra Antonio da Monza, posta nel libro ms. di 
Bartolommeo Gambalonga cremonese, contenente la vita 
di Sforza Attendolo padre di Francesco duca di Milano. 
In essa miniatura è rappresentata la statua equestre del 
detto Sforza sotto un arco. Altri vorrebbero riconoscerlo 
in un disegno che è all'Ambrosiana sotto cristallo, ed 
altri in uno schizzo di cavallo che si vede nel codice 
Atlantico. 

6 Tu sai l'esser mio, 

E l'amor di saper, che m'ha sì acceso, 
Che l'opra è ritardata dal desio. 

[Trionfo d'Amore, cap. in). 



GIORGIO VASARI 



che Lionardo fece di terra, grande, giudicano non aver mai visto più bella cosa 
nè più superba ; il quale durò fino che i Francesi vennono a Milano con Lodovico 
re di Francia, che lo spezzarono tutto. Enne anche smarrito un modello piccolo 
di cera, eh' era tenuto perfetto, insieme con un libro di notomia di cavagli fatto 
da lui per suo studio. Attese dipoi, ma con maggior cura, alla notomia degli uomini, 
aiutato e scambievolmente aiutando in questo messer Marcantonio della Torre, 
eccellente filosofo, che allora leggeva in Pavia, e scriveva di questa maniera : e fu 
de' primi (come odo dire) che cominciò a illustrare con la dottrina di Galeno le cose 
di medicina, e a dar vera luce alla notomia, fino a quel tempo involta in molte e 
grandissime tenebre d'ignoranza; 1 ed in questo si servì maravigliosamente dell'in- 
gegno, opera e mano di Lionardo, che ne fece un libro disegnato di matita rossa e 
tratteggiato di penna, 2 che egli di sua mano scorticò e ritrasse con grandissima dili- 
genza ; dove egli fece tutte le ossature, ed a quelle congiunse poi con ordine 
tutti i nervi e coperse di muscoli ; i primi appiccati all' osso, ed i secondi che 
tengono il fermo, ed i terzi che muovono ; ed in quegli a parte per parte di brutti 
caratteri scrisse lettere, che sono fatte con la mano mancina a rovescio ; e chi non 
ha pratica a leggere, non l' intende, perchè non si leggono se non con lo specchio. 
Di queste carte della notomia degli uomini n' è gran parte nelle mani di messer 
Francesco da Melzo gentiluomo milanese, che nel tempo di Lionardo era bellis- 
simo fanciullo 3 e molto amato da lui, così come oggi è bello e gentile vecchio, 



1 Marc' Antonio della Torre veronese, celebre ana- 
tomico, morì di trent'anni. Il Giovio ne fece l'elogio. 
Di lui e di altri uomini illustri della famiglia Della Torre 
si trovano notizie nella Verona illustrata del Maffei, 
p. II, lib. 4 . 

2 f Qui manca evidentemente qualche parola, come di 
corpi rimani, altrimenti il costrutto non corre. 

3 Credesi che quella testa di giovinetto coi capelli 
inanellati incisa nella tav. iv della raccolta pubblicata 
dal Gerii sia il ritratto di Francesco Melzi. — * Il Melzi 
non solo fu amato da Leonardo, ma fu anche suo di- 
scepolo ; nacque nel 1492, come ci scopre un ricordo di 
Leonardo stesso. (Amoretti, op. cit., pag. 53 in nota). 
Lavorò poco, perchè era ricco, ma i suoi quadri sovente 
confondonsi con quelli del maestro. A Vaprio, nel pa- 
lazzo della famiglia Melzi, rimane ancora il frammento 
di una Madonna col putto, dipinto in fresco in propor- 
zione colossale, che con buone ragioni vuoisi attribuire 
a Francesco Melzi. Se ne ha una incisione nella citata 
Raccolta del Fumagalli. Il Mariette, in una lettera 
al conte di Caylus, che è la lxxxiv del secondo volume 
delle Pittoriche, parla di un quadro rappresentante una 
Flora, posseduto dal duca di Saint-Simon a Parigi, che 
tanto tiene della maniera di Leonardo, da giudicarla di 
lui, se il Melzi non vi avesse scritto il proprio nome. 
Di questo quadro non sappiamo dare altre notizie. La 
pinacoteca di Berlino, secondo il Catalogo del Waagen, 



ha del Melzi una Pomona seduta sotto un olmo intrec- 
ciato a una vite, con un canestro di frutti nelle mani, 
che ascolta le parole del dio Vertunno. Il volume dei 
disegni anatomici di Leonardo oggi è in possesso del- 
l' Inghilterra. Contiene 235 fogli di carta turchina, o co- 
lorita, in-folio grande, su' quali sono appiccati i disegni. 
(Vedi Gallenberg, op. cit., pag. 172). Due di queste 
tavole con molta scrittura, come pure il ritratto di Leo- 
nardo, del quale si parla più sotto, furono incise nelle 
Imitations of Original-Designs by Lionardo da Vinci, 
dello Chamberlain, London, 1796, in-fol. Come dalla 
eredità Melzi passasse per diverse mani al re d'Inghil- 
terra è detto nella prefazione dell'opera, pag. 10 e segg. 
Leonardo usava di scrivere da destra a sinistra a ro- 
vescio ; così sono tutti i suoi autografi. Il dott. Guglielmo 
Hunter, nella Introduzione al suo Corso d' anatomia 
(Londra, 1784), loda i disegni anatomici di Leonardo 
per la straordinaria esattezza con la quale sono rappre- 
sentate le parti più minute dei muscoli, ecc. 

\ Nella Raccolta del castello di Windsor è lo spaccato 
di due corpi congiunti, che Leonardo immaginò per ispie- 
gare il modo della fecondazione, che fu dato inciso dallo 
Chamberlain nel 1812 e poi riprodotto litograficamente 
a Brunswick nel 1830 col titolo: Taòula anatomica 
Leonardi Vincii stimmi guotidam pictoris e bibliotheca 
augìistisshni magnae Britanniae Hannoveraeque regis 
deprompta, venerem obversam e legibns naturae homi- 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



X V 



che le ha care e tiene come per reliquie tal carte, insieme con il ritratto della 
felice memoria di Lionardo: 1 e chi legge quegli scritti, par impossibile che quel 
divino spirito abbi così ben ragionato dell' arte e de' muscoli e nervi e vene, e 
con tanta diligenza d' ogni cosa. Come anche sono nelle mani di , pittor mila- 
nese, 2 alcuni scritti di Lionardo, pur di caratteri scritti con la mancina a rovescio, 
che trattano della pittura e de' modi del disegno e colorire. Costui non è molto 
che venne a Fiorenza a vedermi, desiderando stampar questa opera, e la condusse 
a Roma per dargli esito; nè so poi che di ciò sia seguito. 3 

E per tornare alle opere di Lionardo, venne al suo tempo in Milano il re di 
Francia; 4 onde pregato Lionardo di far qualche cosa bizzarra, fece un lione, che 
camminò parecchi passi, poi s'aperse il petto e mostrò tutto pien di gigli. Prese 
in Milano Salai milanese per suo creato, 5 il qual era vaghissimo di grazia e di 



ni bus solam convenire intendens (Vedi G. Govi, nel 
Saggio dell'opere di Lionardo da Vinci, pag. 7). 

1 * Rimangono tuttavia due ritratti di Leonardo dise- 
gnati di sua mano. Il primo è nella collezione della 
Regina d' Inghilterra ; è di profilo, fatto di matita rossa : 
fu pubblicato dallo Chamberlain, op. citata. Avvene una 
copia nell'Ambrosiana, edita dal Gerii. Sembra che un'al- 
tra ne possegga la collezione nazionale parigina. Questo 
ritratto mostra grande acutezza e vivacità. Il secondo 
ne presenta quasi tutta la faccia, disegnato anch' esso 
di matita rossa; ed appartiene alla collezione dell'Acca- 
demia di Venezia. Un facsimile con un passo del Lo- 
mazzo precede al Cenacolo del Bossi. In questo secondo 
ritratto il suo aspetto è molto più energico ; è una testa 
bellissima. Quello che, secondo il De Pagave, era dipinto 
a Vaprio, non esiste più. Nella galleria di Firenze tro- 
vasi il ritratto di Leonardo dipinto da sè stesso ; mezza 
figura, di tre quarti in profilo, inciso dal Morghen. Il 
signor Giovanni Gagliardi, mercante e restauratore di 
quadri in Firenze, possiede un altro bel ritratto in ta- 
vola, vòlto di profilo a sinistra, il quale, se è dubbio 
che sia dipinto da Leonardo medesimo, è certo per altro 
che è la stessa testa posta dal Vasari in fronte alla Vita 
di questo pittore. 

f II ritratto già posseduto dal pittore Gagliardi, e pro- 
veniente dalla galleria Guiducci di Firenze, passò l'anno 
1855 nelle mani del signor Orazio Buggiani, negoziante 
fiorentino in Londra. Un altro ritratto di Leonardo, da 
un disegno in matita rossa conservato nella biblioteca 
privata del Re a Torino, fu riprodotto in fotolitografia 
nel già ricordato libro in-folio stampato dal Ricordi in 
Milano nel 1872 col titolo: Saggio delle opere dì Lio- 
nardo da Vinci, ecc. 

2 f Questo pittor milanese si potrebbe congetturare 
che fosse Aurelio Luini. 

3 E questo il famoso Trattato della pittura, stam- 
pato per la prima volta a Parigi col titolo : Trattato 
della pitùcra di Lionardo da Vinci, nuovamente dato 
in luce, colla vita dell'Autore, scritta da Raffaello 



Du Fresile, ecc. (Parigi, 1651, in-fol. fig.). Le vicende e le 
varie edizioni di questo libro sono accennate dal Gal- 
lenberg, a pag. 159 e segg. Le edizioni più recenti sono 
quelle del Fontani (Firenze, 1792), il quale si giovò di 
una copia a penna assai corretta di Stefanino della Bella, 
che si conserva tra i codici della Riccardiana n. 2275 ; 
quelle di Parigi del 1796 e 1803 ; la milanese del 1804, 
fatta per cura dell'Amoretti; e finalmente la romana 
del 1817, procurata da Guglielmo Manzi sopra un codice 
Vaticano già appartenuto alla biblioteca d' Urbino, e pro- 
babilmente esemplato sull'autografo dal Melzi o dal Salai : 
e questa debbesi tenere per la più compiuta e ordinata 
edizione. 

4 Secondo il Lomazzo, fu questi Francesco I, ed al- 
lora ne conseguirebbe che Leonardo era in Milano 
nel 1515, anno della venuta di detto re in questa città. 
(Vedi Trattato della pittura, lib. II, cap. 1). 

5 Salai, o Salaino, fu scolaro e servitore di Leonardo ; 
anzi nel testamento di questo è indicato soltanto colla 
seconda qualità. — * Egli era piaciuto a Leonardo al 
pari del Melzi, perchè giovane di bellissimo aspetto e di 
maniere graziose ; e servivasene di modello per dipingere 
angeli o altre figure leggiadre. Oltre il quadro della 
Sant'Anna dipinto sul cartone del maestro, indicato più 
sotto, la pinacoteca di Brera tiene per opera del Salai 
tre tavole di Nostra Donna ; una delle quali, rappresen- 
tante il Riposo in Egitto, vedesi incisa nella citata Rac- 
colta del Fumagalli. Nella stessa pinacoteca, trasporta- 
tovi dalla chiesa di San Pietro di Murano fin dal 1811, 
è il quadro colla Madonna, il Putto, san Giuseppe, san 
Girolamo e due cherubini, sottoscritto : Andreas medio- 
lanensis 1495 f. Anche il museo Nazionale di Parigi 
possiede un'altra tavola colla Crocifissione segnata pa- 
rimente Andreas mediolanensis • fa. 1503 : ma l'An- 
drea di questi due quadri è Andrea Solario, e non il 
Salai. Altro quadro firmato (si dice) del Salai, rappre- 
sentante la Fuga in Egitto, troviamo descritto in un 
catalogo tedesco di una raccolta di quadri originali a 
olio, posti in vendita a Lipsia nel 1845. 



GIORGIO VASARI 



bellezza, avendo begli capelli ricci ed inanellati, de' quali Lionardo si dilettò molto ; 
ed a lui insegnò molte cose dell'arte; e certi lavori, che in Milano si dicono essere 
.di Salai, furono ritocchi da Lionardo. 

Ritornò a Fiorenza, 1 dove trovò che i frati de' Servi avevano allogato a Filip- 
pino l'opere della tavola dell'aitar maggiore della Nunziata: per il che fu detto da 
Lionardo che volentieri avrebbe fatta una simil cosa. Onde Filippino inteso ciò, 
come gentil persona eh' egli era, se ne tolse giù : ed i frati, perchè Lionardo la dipi- 
gnesse, se lo tolsero in casa, facendo le spese a lui ed a tutta la sua famiglia : e 
così li tenne in pratica lungo tempo, nè mai cominciò nulla. Finalmente fece un 
cartone dentrovi una Nostra Donna ed una Sant'Anna con un Cristo, la quale non 
pure fece maravigliare tutti gli artefici, ma finita eh' ella fu, nella stanza durarono 
due giorni d' andare a vederla gli uomini e le donne, i giovani ed i vecchi, come 
si va alle feste solenni; per veder le maraviglie di Lionardo, che fecero stupire tutto 
quel popolo; perchè si vedeva nel viso di quella Nostra Donna tutto quello che 
di semplice e di bello può con semplicità e bellezza dare grazia a una madre di 
Cristo, volendo mostrare quella modestia e quella umiltà, eh' è in una vergine, con- 
tentissima d'allegrezza nel vedere la bellezza del suo figliuolo che con tenerezza 
sosteneva in grembo, e mentre che ella con onestissima guardatura a basso scorgeva 
un San Giovanni piccol fanciullo, che si andava trastullando con un pecorino, non 
senza un ghigno d' una Sant' Anna, che colma di letizia vedeva la sua progenie ter- 
rena esser divenuta celeste : considerazioni veramente dallo intelletto ed ingegno di 
Lionardo. Questo cartone, come di sotto si dirà, andò poi in Francia. 2 Ritrasse la 
Ginevra d'Amerigo Benci, cosa bellissima: 3 ed abbandonò il lavoro a' frati, i quali 



1 * Cioè nell'anno 1499, dopo che il Moro perdette la 
signoria di Milano. Leonardo ritornò a Firenze col ma- 
tematico Fra Luca Paciolo, e fece i disegni del suo trat- 
tato De divina proportione. Fra Luca aveva dimorato 
con Leonardo in Milano negli ultimi tre anni ; poi, an- 
che a Firenze. (Vedi Gaye, nel Kunstblatt, anno 1836, 
pag. 287). 

2 * L'originai cartone, narra il Lomazzo, di Francia 
tornò in Italia, e fu posseduto da Aurelio Luino, figliuolo 
di Bernardino stato scolare del Vinci. Al presente esso 
si conserva nella R. Accademia delle belle arti di Lon- 
dra. Fu intagliato (non bene) da Antonio Smith nel 1798 
in-folio grande. 

3 * E la stessa Ginevra de' Benci ritratta di profilo dal 
Ghirlandaio nel coro di Santa Maria Novella. Dove oggi 
si trovi questo ritratto dipinto da Leonardo, è quistione. 
Gli annotatori del Vasari tradotto in tedesco vorrebbero 
riconoscerlo in quello d'ignota donna, veduta quasi di 
faccia (detta la monaca di Leonardo), che sotto Ferdi- 
nando III dalla casa Niccolini passò per compera nella 
R. galleria de' Pitti; e del quale si vede un intaglio nel 
voi. II della detta Galleria illustrata. (Il coperchio o 
tirella di questo ritratto, dipinto con ornamenti a chia- 



roscuro ed una maschera a colore, piena di verità, con 
sopra una cartella, scrittovi dentro di lettere romane 
nere : sua ctiique persona, oggi è posseduto dal barone 
Ettore de Garriod, in Firenze). Ma se il bellissimo di- 
pinto de' Pitti non cade dubbio che sia di Leonardo, non 
sapremmo per altro cosi facilmente persuaderci che e' sia 
la Ginevra. Il Delécluze [Saggio intorno a Leonardo 
da Vinci, edizione italiana da noi citata altre volte) 
vuole sia quello che nel museo del Louvre a Parigi è 
conosciuto sotto il nome della bella Féronnière ; ma ciò 
non è neppure accennato nel Catalogo ragionato del 
Villot (Paris, 1849), ne dal Mundler nella sua Analisi 
critica di detto catalogo (Paris, 1850). Il prof. Rosini a 
pag. 294 del t. Ili della sua Storia pone un intaglio 
della Ginevra del Ghirlandaio a riscontro di un altro 
ritratto egualmente di profilo, da lui posseduto, e che 
per la somiglianza della fisonomia e dell' abbigliamento 
mostra esser la stessa donna de' Benci. Coli' additarne 
poi la provenienza dalla casa Niccolini, donde usci la 
monaca, e dove nel 1472 entrò maritata la Ginevra, e 
col notare la purità e maestria del dipinto, studiasi il 
Rosini di far persuasi i lettori che egli è il fortunato 
possessore del quistionato ritratto. 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



x vi i 



lo ritornarono a Filippino, il quale, sopravvenuto egli ancora dalla morte, non lo potè 
finire. 1 Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di mona Lisa 
sua moglie ; 2 e quattro anni penatovi, lo lasciò imperfetto ; la quale opera oggi è 
appresso il re Francesco di Francia in Fontanableo : nella qual testa chi voleva 
vedere quanto 1' arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere ; 
perchè quivi erano contraffatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipi- 
gnere. Avvengachè gli occhi avevano que' lustri e quelle acquitrine che di continuo 
si veggono nel vivo, ed intorno a essi erano tutti que' rossigni lividi e i peli, che non 
senza grandissima sottigliezza si possono fare. Le ciglia, per avervi fatto il modo del 
nascere i peli nella carne, dove più folti, e dove più radi, e girare secondo i pori 
della carne, non potevano essere più naturali. Il naso, con tutte quelle belle aperture 
rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura, con le 
sue fini unite dal rosso della bocca, con l' incarnazione del viso, che non colori, ma 
carne pareva veramente. Nella fontanella della gola chi intentissimamente la guardava, 
vedeva battere i polsi ; e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d' una maniera 
da far tremare e temere ogni gagliardo artefice, e sia qual si vuole. Usovvi ancora 
questa arte : che essendo madonna Lisa bellissima, teneva, mentre che la ritraeva, chi 
sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra, per levar via 
quel malinconico che suol dar spesso la pittura a' ritratti che si fanno : ed in questo 
di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole, che era cosa più divina che umana 
a vederlo, ed era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti. 3 

Per la eccellenzia dunque delle opere di questo divinissimo artefice era tanto 
cresciuta la fama sua, che tutte le persone che si dilettavano dell' arte, anzi la stessa 
città intera desiderava eh' egli le lasciasse qualche memoria : e ragionavasi per tutto 
di fargli fare qualche opera notabile e grande, donde il pubblico fusse ornato ed 
onorato di tanto ingegno, grazia e giudizio, quanto nelle cose di Lionardo si cono- 
sceva. E tra i gonfalonieri e i cittadini grandi si praticò, che essendosi fatta di 
nuovo la gran sala del Consiglio, 1' architettura della quale fu ordinata col giudizio 
e consiglio suo, di Giuliano San Gallo, e di Simone Poliamoli, detto Cronaca, e 



* Fu terminato dal Perugino. 

2 * Francesco di Bartolommeo di Zanobi del Giocondo 
nacque nel 1460. Fu de' XII Buonomini nel 1499, e 
de' Priori nel 151 2. Approvato nello squittinio del 1524. 
Mori di pestilenza nel 1528. Ebbe tre mogli, cioè Ca- 
milla di Mariotto Rucellai, sposata nel 1491 ; Tommasa 
di Mariotto Villani, nel 1493; e Lisa di Anton Maria di 
Noldo Gherardini, nel 1495 ; e questa è la Bella Gioconda 
ritratta da Leonardo. 

3 Oggi questo ritratto si conserva nel museo del 
Louvre, ma sfiorato grandemente da un cattivo restauro. 
È una giovane donna in mezza figura, veduta di faccia, con 
capelli sciolti, un velo in testa, e col seno alquanto sco- 
perto. Siede sur una seggiola a braccioli, in uno dei quali 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 



posa il braccio e la mano destra, e ad essa sovrappone 
la sinistra. Dietro a lei è una spalliera di muro, dalla 
quale si vede una campagna spogliata e montuosa. Fran- 
cesco I pagò questa tavola 4000 scudi d'oro, che equi- 
valgono a 45,000 franchi. Di questo ritratto si conoscono 
molte copie ; ed alcune eccellenti : come in Firenze in 
casa Mozzi ; nel museo di Madrid ; nella villa Somma- 
riva sul lago di Como ; presso il Torlonia a Roma ; a 
Londra presso Abramo Hume, e presso Woodburn ; e 
nell' Hermitage di Pietroburgo, venutovi da Houghton- 
hall ; e finalmente havvene un'altra copia nella pinaco- 
teca di Monaco, della quale si vede una litografia nel 
voi. II dell'opera: La galleria di Monaco illustrata, 
1817-21 (in tedesco). 

C 



X V 1 1 1 



GIORGIO VASARI 



di Michelagnolo Buonarroti e Baccio d' Agnolo (come a' suoi luoghi più distinta- 
mente si ragionerà); la quale finita con grande prestezza, fu per decreto pubblico 
ordinato che a Lionardo fussi dato a dipignere qualche opera bella; e così da Piero 
Soderini, gonfaloniere allora di giustizia, gli fu allogata la detta sala. Per il che, 
volendola condurre, Lionardo cominciò un cartone alla sala del papa, luogo in 
Santa Maria Novella, dentrovi la storia di Niccolò Piccinino capitano del duca 
Filippo di Milano, nel quale disegnò un groppo di cavalli che combattevano una 
bandiera: cosa che eccellentissima e di gran magisterio fu tenuta, per le mirabilis- 
sime considerazioni che egli ebbe nel far quella fuga ; perciocché in essa non si 
conosce meno la rabbia, lo sdegno e la vendetta negli uomini, che ne' cavalli; 
tra' quali due intrecciatisi con le gambe dinanzi, non fanno men guerra coi denti, 
che si faccia chi gli cavalca nel combattere detta bandiera; dove appiccato le mani 
un soldato, con la forza delle spalle, mentre mette il cavallo in fuga, rivolto egli 
con la persona, aggrappato 1' aste dello stendardo per sgusciarlo per forza delle mani 
di quattro ; che due lo difendono con una mano per uno, e 1' altra in aria con le 
spade tentano di tagliar l' aste, mentre che un soldato vecchio, con un berretton 
rosso, gridando tiene una mano neh" asta, e con 1' altra inalberato una storta, mena 
con stizza un colpo per tagliar tutte a due le mani a coloro, che con forza digri- 
gnando i denti tentano con fierissima attitudine di difendere la loro bandiera. Oltra 
che in terra, fra le gambe de' cavagli, v' è dua figure in iscorto che combattendo 
insieme, mentre uno in terra ha sopra uno soldato, che alzato il braccio quanto 
può, con quella forza maggiore gli mette alla gola il pugnale per finirgli la vita, 
e quello altro, con le gambe e con le braccia sbattuto, fa ciò che egli può per non 
volere la morte. Nè si può esprimere il disegno che Lionardo fece negli abiti dei 
soldati, variamente variati da lui; simile i cimieri e gli altri ornamenti, senza la 
maestria incredibile che egli mostrò nelle forme e lineamenti de' cavagli, i quali 
Lionardo meglio eh' altro maestro fece di bravura di muscoli e di garbata bellezza. 1 



1 * Il cartone del Vinci, fatto a concorrenza col Buo- 
narroti per la sala del Consiglio, dopo aver servito di 
studio ai più grandi artefici di quell'età, andò disperso, 
e solo ne fu serbata la memoria da qualche incisione. 
Il gruppo, quale è descritto dal Vasari, lascia in dubbio 
se il cartone di Leonardo rappresentasse la battaglia 
combattuta nel 1440 presso Anghiari tra i Fiorentini e 
Niccolò Piccinino, condottiere delle genti di Filippo Maria 
Visconti duca di Milano, della quale Leonardo lasciò 
scritto in una nota tutta la composizione (Amoretti, 
Meìiioric cit., pag. 95) ; o sivvero un episodio di quella, 
cioè a dire il combattimento di cavalieri intorno a una 
bandiera. È probabile che, siccome il Vasari non ricorda 
nessun altro gruppo, ed anche Benvenuto Cellini fa par- 
ticolar menzione di questo solo nella sua Vita, Leonardo 
rappresentasse unicamente un episodio di quella batta- 
glia. Le copie di questo gruppo, che oggi si conoscono, 



sono le seguenti : i° Una, non finita, dipinta in tavola, 
è registrata nell'inventario della galleria di Firenze fatto 
nel 1635 e nei successivi come opera di Leonardo stesso ; 
ma noi, che abbiamo trovato questa tavola nei depositi 
della R. guardaroba in palazzo Vecchio, siam persuasi che 
non sia di sua mano. 2 Una incisione in foglio trasver- 
sale che sembra fatta su questa tavola, colla scritta : 
ex tabella propria Leonardi Vìncii marni pietà opus 
sumptum a Laurentio Zacchia Luceusi ab eodemqìic 
mine excusstim 1538. 3 Un altro intaglio dell' Edelink, 
che si vuol fatto secondo un disegno molto libero del 
Rubens ; che è il più bello, e più rispondente alla descri- 
zione del Vasari. 4 Un debole intaglio nella tav. xxix 
della Etruria pittrice, cavato da un antico disegno esi- 
stente in casa Rucellai, che si dice copia dell'originale 
cartone ; e questo corrispondente alla tavola non finita, 
che abbiamo rammentato di sopra. 5 Una litografia 



VITA DI LEONARDO DA VINCI xix 

Dicesi che per disegnare il detto cartone fece uno edilìzio artificiosissimo, che strin- 
gendolo s' alzava, ed allargandolo s' abbassava. Ed imaginandosi di volere a olio 
colorire in muro, fece una composizione d' una mistura sì grossa per lo incollato 
del muro, che continuando a dipignere in detta sala, cominciò a colare di maniera, 
che in breve tempo abbandonò quella, vedendola guastare. 1 

Aveva Lionardo grandissimo animo, ed in ogni sua azione era generosissimo. 



pubblicata dal pittore francese Bergeret sopra un disegno 
posseduto da lui stesso. La descrizione del Vasari non 
concorda pienamente con queste composizioni. Egli dice 
assalitore quel cavaliere che tiene la bandiera colle due 
mani e sopra le spalle, e possessori e difensori della 
bandiera medesima i due avversari ; mentre i disegni mo- 
strano il contrario. Egli parla anche di quattro cavalieri, 
cui resisterebbe quel primo, mentre tutto il gruppo non 
si compone che di quattro. Di questa poca precisione 
del Vasari non è da far meraviglia, nè sono rarissimi 
gli esempi : quindi non può essere argomento per tener 
falsi i ricordi che giunsero fino a noi. Nel disegno eh' è 
presso il Bergeret vedesi anche il capitano Piccinino 
precipitato da cavallo e il destriero fuggente. Sebbene 
alcuni abbian difeso l'autenticità di questo gruppo, rico- 
noscendolo per uno studio fatto da qualche discepolo di 
Leonardo, pure si tiene, e con assai più ragione, per 
una contraffazione ; poco rileva se di mano antica o mo- 
derna. 

f Una bella incisione di questo gruppo di cavalieri fu 
fatta non sono molti anni dal signor Henry Haussoul- 
lier, pittore francese. 

1 I documenti pubblicati dal Gaye {Carteggio, ecc., II, 
88-89), curiosi ed importanti per le particolarità minute 
intorno alle spese de' colori, d'olii, d'ordigni, ponti, ecc., 
fatte per questo lavoro, provano chiaramente che Leo- 
nardo vi attese quasi interi i due anni 1504 e 1505, e che, 
oltre alla esecuzione del cartone, egli condusse molto 
innanzi anche il dipinto : tanto che a' 30 d'aprile 1513 si 
trova il ricordo seguente : « A Francesco di Chappello, 
«legnaiuolo lire 8.12, per braccia 43 d'asse, ecc., per 
« armare intorno le figure dipinte nella sala grande della 
« guardia, di mano di Lionardo da Vinci, per difenderle 
« che le non sieno guaste ». A questo s'aggiunge la te- 
stimonianza del Memoriale dell' Albertini, impresso 
nel 15 10, dove, tra le cose della sala grande nuova del 
Consiglio major:, si nominano li cavalli di Leonardo 
Vinci, et li disegni di Michelangelo. Se poi quest'affresco 
perisse per la cattiva composizione dell'intonaco e dei 
colori, come dice il Vasari, ovvero per i mutamenti fatti 
in quel luogo, non sappiamo risolvere: forse per l'una 
e per l'altra cagione insieme. Il che viene confermato 
anche dal Gaye, voi. II, pag. 88. Per questo lavoro aveva 
15 fiorini larghi d'oro in oro al mese. Ebbe compagni 
ed aiuti Raffaello d'Antonio di Biagio e Ferrando Spa- 
gnolo. 

\ Non si conosce fino ad ora il preciso tempo in cui 



fu allogata a Leonardo questa pittura. Si può nondimeno 
congetturare che cada verso l'ottobre del 1503. Infatti 
sotto il dì 24 di quel mese i Signori e Collegi comandano 
al Massaio della Camera dell'arme di consegnare a Leo- 
nardo la chiave della sala del Papa e delle altre stanze 
attigue. [Protocollo delle deliberazioni de' Signori e Col- 
legi dal 1501 al 1504). Il primo ricordo di questo lavoro 
si ha da un ordine della Signoria agli Operai di Santa 
Maria del Fiore del 16 di quel mese ed anno, perchè 
prestino tutto il legname occorrente a riattare il tetto 
del tinello della sala del Papa in Santa Maria Novella, 
e da un altro dell' 8 gennaio seguente, nel quale si com- 
mette ai detti Operai di prestare diverse sorti di legname 
che bisognava per fare nella detta sala certuni qtiìd circa 
picturani fiendam per Leonardum de Vincio prò palatio 
dìctorum Dominomm. [Deliberazioni degli Operai di 
Santa Maria del Fior. 7 dall'anno 1496 al 1507, carte 
73 verso e 75). Intorno a questo lavoro noi abbiamo una 
deliberazione de' Signori e Collegi di Firenze del 4 di 
maggio del detto anno 1504 (pubblicata nel Giornale 
storico degli archivi toscani, voi. II, pag. 137), nella 
quale fu stabilito che Leonardo dovesse aver finito il car- 
tone dentro il mese di febbraio 1505; che per questo 
lavoro gli si desse a buon conto 15 fiorini d'oro ciascun 
mese, intendendosi cominciare il primo mese a' 20 del 
prossimo passato aprile del detto anno ; e che qualora 
egli non avesse compito il cartone dentro il predetto 
tempo, i Signori potessero costringerlo alla restituzione 
de' denari avuti per quel conto, ed a rilasciare libero il 
detto cartone ; e finalmente che venendo bene a Leonardo 
di dipingere sul muro quella parte del cartone che avesse 
disegnato e finito, i detti Signori si sarebbero contentati 
di dargli ciascun mese quel salario che per tale pittura 
fosse giudicato conveniente ; prolungando in questo caso 
il tempo assegnatogli per finire il cartone, e promettendo 
di non allogare la pittura sul muro ad altri senza espresso 
consenso di lui ; il quale dovesse intanto confessare per 
contratto di aver ricevuto 35 fiorini d'oro in oro già pa- 
gatigli innanzi, e tutti gli altri denari che per tale cagione 
avesse dipoi avuto. Nei libri degli Ufficiali dell'Opera 
del Palazzo si hanno le partite delle spese fatte per 
quest'opera, in parte riferite dal Gaye {Carteggio, II, 
pag. 88). Esse cominciano dal 28 di febbraio 1503 (stesso 
carteggio 1504) e vanno al 30 d'ottobre 1505, rilevandosi 
che Leonardo lavorò intorno al cartone fine al febbraio 
del 1504, e che da questo tempo innanzi attese alla pit- 
tura nella sala del Consiglio. Da queste partite è assai 



XX 



GIORGIO VASARI 



Dicesi che andando al banco per la provisione eh' ogni mese da Piero Soderini 
soleva pigliare, il cassiere gli volse dare certi cartocci di quattrini; ed egli non 
li volse pigliare, rispondendogli: Io non sono dipintore da quattrini. Essendo incol- 
pato d'aver giuntato, da Piero Soderini fu mormorato contra di lui: per che Lionardo 
fece tanto con gli amici suoi, che ragunò i danari e portolli per ristituire: ma Piero 
non li volle accettare. 



curioso il ricavare che per fare il cartone fu adoperata 
una risma e 29 quaderni di fogli reali, per impastarlo 

88 libbre di farina, e per orlarlo un lenzuolo di tre teli. 
Per la pittura poi furono consumate 663 libbre di gesso, 

89 di pece greca, 223 d'olio di lin seme, 48 di biacca 
alessandrina, 36 di bianchetta soda, 11 sole once d'olio 
di noce, ed alcuni fogli d'oro. Ma mentre Leonardo la- 
vorava alla detta pittura, pare che nel maggio del 1506 
fosse richiesto d' andare a Milano da Carlo d'Amboyse 
signore di Chaumont, governatore di quella città per 
Lodovico XII re di Francia. E la Signoria per conce- 
derglielo volle che Leonardo promettesse con contratto 
del 30 di quel mese, rogato da ser Niccolò Nelli notaio 
fiorentino, che dopo tre mesi si sarebbe presentato per- 
sonalmente in Firenze innanzi alla Signoria, sotto pena, 
non osservando, di 150 fiorini d'oro in oro larghi, entran- 
dogli mallevadore per questa somma messer Leonardo 
Bonafè spedalingo di Santa Maria Nuova. Erano per 
finire que' tre mesi, quando lo Chaumont avendo tut- 
tavia bisogno di Leonardo per finire certa sua opera 
commessagli, scrisse ai 18 d'agosto alla Signoria di Fi- 
renze, pregandola che non ostante la promessa fatta, 
volesse prolungare a Leonardo il tempo della sua assenza 
almeno per tutto il mese di settembre, come più larga- 
mente è detto in altra lettera indirizzata alla Signoria 
il 19 del medesimo mese dal vicecancelliere Jafredo Ca- 
roli (e non Kardi, come è stampato nel Gaye). A queste 
due lettere rispondeva la Signoria con una del 28, che 
doveva esser comune ad ambedue ; la quale, per essere 
inedita, ci par bene di pubblicare. Essa dice così : « Do- 
ti mino de Ciamonte et Domino Jafredo Caroli vicecan- 
« cellario, Mediolani, ehisdem exempli, die 28 augu- 
« sti ijoó. — 111. me Domine etc. Hieri riceuemo una di 
« V. Excellentia, et uisto el desiderio suo, hauendo in 
« animo compiacerla sempre in quello che ci sarà pos- 
« sibile, siamo contenti che m° Lionardo possa sopra- 
« stare tutto il mese di septembre proximo con buona 
« gratia nostra, ad ciò V. S. se ne possa valere in quello 
« li occorre : et volendo anchora stare di costà più tempo, 
« ogni volta ci renda indrieto li denari presi per l'opera, 
«quale non c' altro non ha incominciato, saremo con- 
fitenti lo facci: et di questo ce ne rimediamo a lui». 
(Archivio di Stato in Firenze, Registri del Carteggio 
della Signoria dal 1504 al 1507, n. 54, carte 161). Nella 
chiusa di questa lettera la Signoria usa con qualche ra- 
gione parole piuttosto risentite contro Leonardo, ma dice 
cosa contraria al vero quando afferma che egli non 



aveva neppur cominciata l'opera, perchè dalle partite 
de' citati libri degli Ufficiali dell'Opera del Palazzo ap- 
parisce chiaramente che Leonardo aveva già condotto a 
fine il cartone, e messo mano fin dal febbraio del 1504, 
cioè da 17 mesi, alla pittura della sala. Dalla lettera di 
Pier Soderini del 9 ottobre del medesimo anno al detto 
Jafredo Caroli in risposta ad una del Ciamonte del 18 
d'agosto, il quale era allora fuori di Milano, parrebbe 
che Leonardo non fosse a quel tempo ritornato a Firenze. 
In essa le parole del gonfaloniere perpetuo rispetto a 
Leonardo sono ancora più risentite di quelle che si leg- 
gono nella lettera riferita innanzi. Solamente quando il 
re Lodovico, e per mezzo di Francesco Pandolfini am- 
basciatore della Repubblica in Francia e con sua lettera 
del 18 gennaio 1507, richiese alla Signoria di contentarsi 
che Leonardo non si partisse da Milano fino alla sua venuta 
in Italia, intendendo di valersi di lui per una certa sua 
opera, che sappiamo essere stata la pittura d'una ta- 
vola, la risposta della Signoria del 22 di gennaio al 
Pandolfini predetto e la lettera a Leonardo del giorno 
stesso furono in altri termini e di molta benevolenza 
verso l'artista. Cosi in quella al primo gli commette che 
faccia intendere a quella Maestà che la Signoria non 
poteva avere maggior piacere che farle cosa grata, e 
che non solo Leonardo, ma ogni altro suo uomo avrebbe 
voluto che la servisse ne' desideri e bisogni suoi. E nel- 
l'altra a Leonardo dice esserle sempre gratissimo che 
egli serva quella Maestà, stimando che avesse a riuscire 
a lui di comodo e di onore. Dopo questo tempo nè di 
Leonardo, nè della pittura della sala non si trova altro 
ricordo ne' pubblici libri, salvo quello già citato del 
i° marzo 1513, che registra la spesa di armatura di le- 
gname a la pictura fecia Lionardo da Vinci, perchè la 
non si guastassi. Nondimeno si guastò, e da più secoli 
così la pittura come il cartone sono miseramente per- 
duti : toccando all'opera di Leonardo sorte eguale a quella 
che incontrò l'altra di Michelangelo fatta contempora- 
neamente per lo stesso luogo. Le suddette due lettere 
di Luigi XII re di Francia alla Signoria di Firenze, l'una 
da Blois del 18 di gennaio, l'altra da Milano del 26 di 
luglio 1507, furono tratte dai loro originali conservati 
nell'Archivio di Stato in Firenze, e pubblicate in fine 
della traduzione fatta da Carlo Milanesi e Carlo Pini, 
stampata in Siena nel 1844 per Onorato Porri, dell'ope- 
retta francese del signor E. Delécluze, Essai sur Lio- 
nard da Vìnci. Nella seconda di esse raccomanda che 
sia data la più presta spedizione alla lite che Leonardo 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xxi 



Andò a Roma col duca Giuliano de' Medici nella creazione di papa Leone, 1 
che attendeva molto a cose filosofiche, e massimamente alla alchimia; dove for- 
mando una pasta di una cera, mentre che camminava, faceva animali sottilissimi 
pieni di vento, nei quali soffiando, gli faceva volare per l' aria ; ma cessando il 
vento, cadevano in terra. Fermò in un ramarro, trovato dal vignaruolo di Belve- 
dere, il quale era bizzarrissimo, di scaglie di altri ramarri scorticate, ali addosso 
con mistura d' argenti vivi, che nel muoversi quando camminava tremavano ; e fat- 
toli gli occhi, corna e barba, domesticatolo e tenendolo in una scatola, tutti gli 
amici ai quali lo mostrava, per paura faceva fuggire. Usava spesso far minutamente 
digrassare e purgare le budella d' un castrato e talmente venir sottili, che si sareb- 
bono tenute in palma di mano; e aveva messo in un' altra stanza un paio di mantici 
da fabbro, ai quali metteva un capo delle dette budella, e gonfiandole ne riem- 
piva la stanza, la quale era grandissima ; dove bisognava che si recasse in un canto 
chi v' era, mostrando quelle trasparenti e piene di vento dal tenere poco luogo 
in principio, esser venute a occuparne molto, agguagliandole alla virtù. Fece infi- 
nite di queste pazzie, ed attese alli specchi, e tentò modi stranissimi nel cercare 
olii per dipignere, e vernice j:>er mantenere l' opere fatte. Fece in questo tempo 
per messer Baldassarri Turini da Pescia, che era datario di Leone, un quadretto 
di una Nostra Donna col figliuolo in braccio, con infinita diligenzia ed arte. Ma, 
o sia per colpa di chi lo ingessò, o pur per quelle sue tante e capricciose misture 
delle mestiche e de' colori, è oggi molto guasto. E in un altro quadretto ritrasse 
un fanciulletto, che è bello e grazioso a maraviglia : che oggi sono tutti e due in 
Pescia appresso a messer Giulio Turini. 2 Dicesi che essendogli allogato una opera 
dal papa, subito cominciò a stillare olii ed erbe per far la vernice; per che fu detto 
da papa Leone : Oimè ! costui non è per far nulla, da che comincia a pensare 
alla fine innanzi il principio dell'opera. 3 Era sdegno grandissimo fra Michelagnolo 
Buonarroti e lui : per il che partì di Fiorenza Michelagnolo per la concorrenza, 
con la scusa del duca Giuliano, essendo chiamato dal papa per la facciata di 
San Lorenzo. Lionardo intendendo ciò, partì ed andò in Francia, 4 dove il re, avendo 



aveva co' fratelli per cagione della eredità di Francesco 
suo zio. I più de' passati scrittori vorrebbero questa lite 
fosse stata ancora sull'eredità paterna, ma noi siamo 
certi che si trattava solamente dell'eredità dello zio, il 
quale con suo testamento del 12 agosto 1504 rogato da 
Girolamo Cecchi (i cui protocolli mancano nell'Archivio 
de' Contratti di Firenze) aveva fatto erede Leonardo di 
alcuni suoi poderi posti nel comune di Vinci : onde dopo 
la morte di Francesco, accaduta verso il 1507, nacque la 
detta lite tra Leonardo e i suoi fratelli. A noi non è 
riuscito fino ad ora di ritrovarne gli atti, e di saperne 
perciò l'esito: ma da altri documenti possiamo conget- 
turare che de' beni lasciati da Francesco da Vinci i fra- 
telli di Leonardo disposero, dopo la morte di lui, a favore 



di madonna Lucrezia, ultima moglie di ser Pietro, per 
rifacimento della sua dote. 

1 * Qui è una lacuna di ben sette anni nelle notizie 
di Leonardo, che tanti ne corrono dall'opera per la sala 
del Consiglio, al 1513, anno della incoronazione di papa 
Leone. Suppliremo a questa mancanza nel Commentario 
posto in fine. 

2 Di questi due quadri, l'uno credesi perito, l'altro 
si dice essere nella galleria di Dusseldorf. 

3 Intorno a una Santa Famiglia, che credesi fatta per 
papa Leone, vedi il Commentario. 

4 * Il Vasari accenna in questo luogo molto oscura- 
mente a certa rivalità nata tra Michelangelo e Leonardo, 
negli ultimi tempi che questi visse in Firenze. Michelan- 



xxii 



GIORGIO VASARI 



avuto opere sue, gli era molto affezionato, e desiderava che colorisse il cartone 
della Sant'Anna; ma egli, secondo il suo costume, lo tenne gran tempo in parole. 
Finalmente venuto vecchio, stette molti mesi ammalato ; e vedendosi vicino alla 
morte, si volse diligentemente informare delle cose catoliche 1 e della nostra buona 
e santa religione cristiana, e poi con molti pianti confesso e contrito, 2 sebbene 
e' non poteva reggersi in piedi, sostenendosi nelle braccia di suoi amici e servi, 
volse divotamente pigliare il santissimo Sacramento fuor del letto. Sopraggiunseli 
il re, che spesso ed amorevolmente lo soleva visitare ; per il che egli per riverenza 
rizzatosi a sedere sul letto, contando il mal suo e gli accidenti di quello, mostrava 
tuttavia quanto avea offeso Dio e gli uomini del mondo, non avendo operato neh" arte 
come si conveniva. Onde gli venne un parosismo messaggiero della morte ; per 
la qual cosa rizzatosi il re e presoli la testa per aiutarlo e porgerli favore, acciocché 
iL male lo alleggerisse ; lo spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere 
avere maggiore onore, spirò in braccio a quel re, nella età sua d'anni settantacinque. 3 



gelo era allora incaricato da Leon X di costruire la fac- 
ciata di San Lorenzo. Sembra che Leonardo entrasse in 
concorrenza con lui, e che ciò forse inducesse Michelan- 
gelo a recarsi a Serravezza per cavare del marmo. 
Però il Vasari nella Vita di lui non ricorda alcuna cir- 
costanza che possa accennare a questo sdegno tra i due 
grandi maestri, la cui rivalità doveva essersi precipua- 
mente palesata nel 1503, quando essi attendevano all'o- 
pera de' cartoni per la sala del Consiglio. Fra i disegni 
di Leonardo, che erano nella raccolta di Tommaso Law- 
rence, trovasi un concetto per un monumento sepolcrale 
(eseguito con colore scuro e a penna, 13 pollici e ^4 
sopra 11), che si crede fatto in concorrenza con Mi- 
chelangelo per il monumento di Giulio II. (Woodburn, 
The Lawrence Gallery, 5th exhib., n. 72). Questa concor- 
renza va sicuramente riportata sotto l'anno 1513, quando, 
dopo la morte di Giulio II, si pensò a rifare il concetto 
del suo monumento ; e forse Leonardo, che dal 1513 
al 151 5 dimorò in Roma, fu invitato a presentare anche 
egli un concetto. A ciò potrebbe alludere questo passo 
del Vasari. 

f Di questa mala disposizione d'animo di Michelangelo 
verso Leonardo abbiamo un altro esempio a proposito 
d'un aneddoto riferito dall'autore anonimo della Vita 
del Vinci pubblicata ne' citati Documenti inediti. 

1 « Sebbene (dice I'Amoretti, pag. 119) da tutto l'in- 
« sieme della vita di Leonardo non consti ch'egli fosse 
« un uomo divoto, non appar nemmeno che incredulo 
«fosse o libertino; onde dobbiamo interpretare l'espres- 
« sione del Vasari d'una specie d'abdicazione a tutte le 
«cose mondane, e d'una determinazione di occuparsi 
«unicamente del grande affare della morte e dell' avve- 
« ni re ». 

2 Nella prima edizione questo passo era stato scritto 
dal Vasari nei seguenti termini, analoghi all'altro pe- 
riodo riferito sopra alla nota 1, pag. vi: «Finalmente 



« venuto vecchio, stette molti mesi ammalato ; e veden- 
« dosi vicino alla morte, disputando delle cose catoliche, 
« ritornando nella via buona, si ridusse alla fede cri- 
« stiana con molti pianti ». Contraddice a questa narra- 
zione il testamento di lui fatto in Cloux un anno prima 
della sua morte, cioè a' 18 d'aprile 1518. (Si legge nel 
libro dell 'Amoretti a pag. 121 e seg.). In esso « rac- 
« comanda l'anima sua ad nostro Signore messer Domine 
« Dio, alla gloriosa Virgine Maria, a monsignore Sancto 
« Michele, e a tutti li Beati, Angeli, Sancti e Sancte del 
« Paradiso ». Ordina di essere seppellito nella chiesa di 
San Fiorentino d'Amboise, indi « vole siano celebrate 
« ne la dieta chiesa di Sancto Fiorentino tre grande 
« messe con diacono et sottodiacono, et il dì che si di- 
« ranno diete tre grande messe, che si dicano ancora 
« trenta messe basse de Sancto Gregorio ». Gli stessi 
suffragi vuole che si ripetano nella chiesa di San Dio- 
nisio e in quella dei frati Minori d'Amboise. Tali dispo- 
sizioni sono da buon credente ; però è ragionevole il 
supporre che, occupato per tutta la vita dell'arte sua, 
senza essere irreligioso, avesse negletto le pratiche di 
religione ; ma che vicino a morte ne provasse rincresci- 
mento e cercasse di ripararvi colle pie conferenze, colle 
lacrime, coi sagramenti. 

3 Questo fatto è da molti posto in dubbio ; primiera- 
mente perchè è provato che Leonardo morì a Cloux 
presso Amboise, mentre che la Corte era a Saint-Ger- 
main en Laye ; e da un giornale di Francesco I, con- 
servato nella biblioteca Nazionale di Parigi, non appa- 
risce che il re facesse in quel tempo veruna gita. In 
secondo luogo, perchè Francesco Melzi nella lettera, 
colla quale dà ragguaglio della morte di Leonardo ai 
fratelli di lui, non parla di questa circostanza, che sa- 
rebbe stata sì onorevole ; e finalmente perchè il Lomazzo, 
che tante notizie raccolse intorno a questo grand' uomo, 
non solamente non conferma quanto racconta il Vasari, 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xxiii 



Dolse la perdita di Lionardo fuor di modo a tutti quegli che l'avevano cono- 
sciuto, perchè mai non fu persona che tanto facesse onore alla pittura. Egli con 
lo splendor dell' aria sua, che bellissima era, rasserenava ogni animo mesto, e con 
le parole volgeva al sì e al no ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue 
riteneva ogni violenta furia, e con la destra torceva un ferro d' una campanella 
di muraglia ed un ferro di cavallo, come se fusse piombo. Con la liberalità sua 
raccoglieva e pasceva ogni amico povero e ricco, pur che egli avesse ingegno e 
virtù. Ornava ed onorava con ogni azione qualsivoglia disonorata e spogliata stanza : 
per il che ebbe veramente Fiorenza grandissimo dono nel nascere di Lionardo, 
e perdita più che infinita nella sua morte. Nell'arte della pittura aggiunse costui 
alla maniera del colorire ad olio una certa oscurità, donde hanno dato i moderni 
gran forza e rilievo alle loro figure. 1 E nella statuaria fece prove nelle tre figure 
di bronzo che sono sopra la porta di San Giovanni dalla parte di tramontana, 
fatte da Giovan Francesco Rustici, ma ordinate col consiglio di Lionardo ; le quali 
sono il più bel getto e di disegno e di perfezione che modernamente si sia ancor 
visto. 2 Da Lionardo abbiamo la notomia de' cavalli, e quella degli uomini assai 
più perfetta: laonde per tante parti sue sì divine, ancora che molto più operasse 
con le parole che co' fatti, il nome e la fama sua non si spegneranno giammai. 3 



ma dice anzi che il re ne seppe la morte dal Melzi. 
Egli morì a' due di maggio del 1519, e in conseguenza 
visse 67 anni e non già 75. 

f Per rintracciare memorie e documenti della dimora 
di Leonardo, e per ritrovare la sua tomba, furono fatte 
alcune ricerche nel 1863, di commissione del Governo 
francese, dal signor Arsenio Houssaye, il quale, nel suo 
Rapporto al ministro delle belle arti, e nella Histoire 
de Léonard de VÌ7ici, Paris, 1869, racconta, che dopo la 
congiura d'Amboise nel 1560 era tradizione che le tombe 
nella chiesa di Saint-Florentin, dov'era sepolto Leo- 
nardo, furono spezzate, e le ossa de' sepolti disperse; 
che demolita la detta chiesa nel 1808 per ordine di Roger 
Ducos, le pietre funerarie furono vendute e le casse di 
piombo delle sepolture furono fuse. Le altre memorie di 
Leonardo a poco a poco andarono perdendosi, e le poche 
che ancora restano si veggono solamente nel castello di 
Cloux, oggi chiamato Clos-Lucé. Nella piccola cappella 
unita al detto castello sono pitture attribuite a Leonardo, 
e 1' Houssaye crede di vedere in un quadro di Madonna, 
assai ritoccata, la testa d'un angelo di mano del Melzi, 
o almeno di stile milanese. Secondo le testimonianze 
che sono pervenute fino a noi circa alla tomba di Leo- 
nardo, pare che essa fosse nel coro della chiesa sud- 
detta di Saint-Florentin d'Amboise. L' Houssaye, dietro 
le indicazioni raccolte, cominciò nel giugno del 1863 a 
fare gli scavi nel luogo ove si diceva essere stata inal- 
zata la suddetta chiesa. Da questi scavi, sotto un muc- 
chio di pietre appartenente alla chiesa demolita, fu sco- 
perto uno scheletro con vari oggetti : e ad una certa 



distanza da esso scheletro due pezzi di pietra, in uno 
de' quali era scolpito leo e nell'altro inc, e dopo mag- 
giori ricerche un terzo frammento in cui era scritto eo 
dus vinc, lettere che costituiscono gli elementi in parte 
per formare il nome di Leonardo da Vinci. Ma tutte 
queste ricerche e scoperte non sappiamo poi che fine ab- 
biano avuto. (Vedi G. Uzielli, op. cit., pag. 44 e segg.) 

1 * Il merito di Leonardo nella pittura a olio non fu 
peranche bastevolmente apprezzato. Dal suo Trattato 
della pittura si conosce quanto minute osservazioni egli 
facesse sulla gradazione delle ombre e dei toni, sulla 
prospettiva aerea, sulla fluidità dei contorni. I suoi di- 
pinti furono i primi a mostrare quello sfumato, quel 
molle e rotondeggiante, che diventò poi una legge nel 
colorire a olio. Il suo modo di colorire fu scuola al Cor- 
reggio, che seppe esprimere tutto l'incanto di cui è 
capace questo genere di pittura. Leonardo usava sboz- 
zare con ombre scure o bigie, e di condurre a velatura 
i toni delle carni. Non si può peraltro disconoscere come 
fosse colpa appunto del suo modo di colorire, se i suoi 
quadri diventarono così oscuri, principalmente nelle 
ombre. 

2 Sono sempre sulla stessa porta. 

3 * Il Vasari ricorda appena l'eccellenza di Leonardo 
nell'architettura, e come egli si occupasse per tuttala 
vita negli studi di matematiche e di meccanica. Vedremo 
nel Commentario che Leonardo offrì da prima i suoi 
servigi a Lodovico il Moro come ingegnere e che Cesare 
Borgia lo creò architetto e ingegnere generale delle sue 
fortezze. Quel vasto e profondo ingegno voleva egual- 



xxiv GIORGIO VASARI 

Per il che fu detto in lode sua da messer Giovan Batista Strozzi così: 
Vince costui pur solo 

Tutti altri, e vince Fidia e vince Apelle, 
E tutto il lor vittorioso stuolo. 1 

Fu discepolo di Lionardo Giovanantonio Boltraffio milanese, 2 persona molto 
pratica ed intendente, che l'anno 1500 dipinse in nella chiesa della Misericordia 
fuor di Bologna in una tavola a olio, con gran diligenza, la Nostra Donna col 
figliuolo in braccio, San Giovanni Batista, e San Bastiano ignudo, e il padrone 
che la fé' fare, ritratto di naturale ginocchioni ; 3 opera veramente bella ; ed in quella 
scrisse il nome suo e 1' esser discepolo di Lionardo. Costui ha fatto altre opere ed 
a Milano ed altrove : ma basti aver qui nominata questa che è la migliore. 4 E così 
Marco Uggioni, s che in Santa Maria della Pace fece il Transito di Nostra Donna 
e le nozze di Cana Galilea. 6 



mente signoreggiare e sulle forze dello spirito, onde la 
fantasia crea nuova vita ed informa il pensiero, e sulle 
forze materiali, per cui l'uomo governa la natura a suo 
senno. S'egli nel primo aspetto va onorato siccome colui 
che all'età sua giunse alla maggior perfezione, nel se- 
condo va riguardato come il precursore alla scienza dei 
nostri ultimi tempi. Vedi la parte terza del Commen- 
tario che segue. 

1 Nella prima edizione, dopo questo epitaffio, leggesi 
quanto segue : 

« LEONARDVS VINCIVS 
QVID PLVRA? DIVINVM INGENIVM 

DIVINA MANVS 
EMORI IN SINV REGIO MERVERE. 
VIRTVS ET FORTVNA HOC MONVMENTVM 
CONTINGERE GRAVISS. IMPENSIS 
CVRAVERVNT. 

E un altro ancora, per veramente onorarlo, disse : 

Et gentem et patriam noscis : tibi gloria et ingens 
Nota est; hac tegitur nam Leouardtts humo. 

Perspiaias picturae umbras, oleoque colores 
lllhis ante alios docta manus postiit. 

Imprimere ille hominum, divum quoque corpora in aere, 
Et pictis animam fingere novit equis ». 

2 ■'• Ovvero Beltraffio ; nato nel 1467, morto nel 15 di 
giugno 1516. 

3 * Questa tavola, posta da prima nella cappella Casio 
nella chiesa nominata, passò quindi nella pinacoteca di 
Brera a Milano, (f Fecela fare Girolamo Casio, poeta). In 
ultimo fu acquistata dal museo Francese, insieme con 
altri quattro quadri di scuola veneta e lombarda, fattone 
cambio con altrettanti quadri di scuola fiamminga. Siede 
nel mezzo la Madonna col Putto, ed ai lati stanno san 
Giovanni Batista e san Sebastiano in piè ; nelle estre- 
mità del quadro sono in ginocchioni il poeta laureato 
Girolamo da Casio e il padre suo, i quali fecero fare 
questa tavola. Se ne vede un intaglio nell'jopera intito- 
lata: Scttola di Leojiardo da Vinci in Loinbardia ; o sia 



Raccolta di varie opere eseguite dagli allievi e imitatori 
di quel gran maestro, disegnate, incise e descritte da 
Ignazio Fumagalli, Milano, Stamp. Reale, 1811, in-fol. 
La iscrizione però più non vi si vede, nè si legge nelle 
vecchie guide di Bologna. 

4 * Si dànno per opere di Beltraffio : un San Giovan 
Batista nella pinacoteca di Brera ; una Nostra Donna col 
Bambino e una Santa Barbara in quella di Berlino ; e 
similmente una Madonna col Bambino e i santi Giovan 
Batista e Sebastiano, con una figura in ginocchioni rap- 
presentante Oldrado da Ponte, era in Lodi e passò quindi 
in possesso di Giuseppe Sanquirico milanese, della quale 
il Fumagalli nella citata Raccolta dà un intaglio. 

5 Detto da alcuni Uglon, Oglono e Uggiono ; ma più 
comunemente da Oggiono. 

6 * Dopoché il convento de' frati Minori di Santa Maria 
della Pace fu soppresso e ridotto ad usi profani, non 
sappiamo se queste due pitture esistano più. Parlano di 
Marco da Oggiono il Baldinucci e il Lanzi brevemente, 
e poco favorevolmente il Bossi nel Cenacolo, ecc., indi- 
cando altre opere di lui ; fra le quali la copia del Cenacolo 
di Leonardo nel refettorio della Certosa di Pavia, e quella 
tavola, tolta dallachiesa di Santa Maria di Milano nel 1808, 
con san Michele in mezzo a due angeli, che caccia Lu- 
cifero negli abissi, ora nella pinacoteca di Brera, dove 
è segnato il nome di marcus, che il Rosini ha dato inta- 
gliata a pag. 212 del t. IV della sua Storia. La pina- 
coteca di Brera suddetta, se crediamo al suo Catalogo, 
oltre la descritta tavola, possiede altre cinque pitture di 
lui; una delle quali rappresentante Nostra Donna col 
Putto, san Giuseppe, santa Elisabetta, il piccolo san Gio- 
vanni e san Zaccaria, fu incisa e illustrata dal Fuma- 
galli nella citata Raccolta. Secondo il Necrologio citato 
dal Lanzi, Marco da Oggiono morì nel 1530. 

■j" Ne' detti Documenti inediti risguardanti Lionardo 
da Vinci si legge una Vita di lui scritta verso la metà 
del 1500 da un anonimo fiorentino. In essa tra i discepoli 



VITA DI LEONARDO DA VINCI 



XXV 



di Leonardo sono ricordati, oltre il Salai milanese e Fer- 
rando spagnuolo che lavorò con lui nella sala del Pa- 
lazzo de' Signori, anche un Zoroastro da Peretola, ed il 
Riccio fiorentino dalla Porta alla Croce. Chi fosse que- 
st'ultimo non ci riuscì di trovare: forse Raffaello di 
Biagio pittore che aiutò Leonardo nella suddetta sala, 
oppure Lorenzo del Faina che gli macinava i colori, il 
quale non abbiamo dubbio che non sia quel medesimo 
Lorenzo nominato da Leonardo insieme col Salai, col 
Melzi e col Fanfoia in un ricordo del 1514, che altri 
hanno creduto erroneamente il Lotto pittore bergamasco. 
Quanto a Zoroastro, che per proprio nome si chiamava 
Tommaso di Giovanni Masini ortolano di Peretola, ma 
egli diceva essere figliuolo di Bernardo Rucellai cognato 
del Magnifico Lorenzo, 1' Ammirato ne parla nel t. II, 
pag. 242 de' suoi Opuscoli, e dice che si mise con Leo- 
nardo, il quale gli fece una veste di gallozzole ; onde fu 
per gran tempo nominato il Gallozzola. Fu condotto poi 
da Leonardo a Milano, dove fu chiamato V Indovino, 
facendo professione d'arte magica. Poi andò a Roma, 
e si acconciò con Giovanni Rucellai, l'autore delle Api, 
quindi col Viseo ambasciatore di Portogallo, che fu poi 
cardinale, ed in ultimo col Ridolfi, acquistandosi il so- 
prannome di Zoroastro. Fu uomo assai strano. Si adirava 
colla gente di villa, perchè storpiava il suo nome di Zo- 



roastro in Chialabastro ed in Alabastro ; non avrebbe 
ammazzato una pulce per gran cosa; nè volle mai vestir 
di lana per non portare addosso cosa morticela. Quando 
Leonardo dipingeva nella sala del Consiglio, Zoroastro 
fu suo garzone e macinatore di colori. Alcuni anni dopo 
lo troviamo a lavorare d'orificeria e a conciare pietre 
dure. Di Zoroastro parla ancora il Lasca nelle novelle 
quarta e sesta della seconda Cena, raccontando alcune 
burle fatte da costui, dal Pilucca, dallo Scheggia e dal 
Monaco suoi compagni. Morì finalmente in Roma, e fu 
sepolto in Sant'Agata tra il Trissino e Giovanni Lascari. 
tJn altro suo discepolo fu Atalante, il quale sappiamo 
che nacque nel 1466, figliuolo illegittimo di Manetto Mi- 
gliorotti, e che sotto la disciplina di Leonardo riuscì 
eccellentissimo sonatore di lira, che di circa sedici anni 
fu da lui condotto a Milano, allorché andò a' servigi di 
Lodovico il Moro, e che fu chiamato a Mantova nel 1490, 
perchè nella recita dell' Orfeo del Poliziano facesse la 
parte del protagonista. Dopo questo tempo lo perdiamo 
di vista fino al 1507, nel qual anno era a Roma, ed inten- 
deva di muover lite al comune di Castelnuovo in Val di 
Cecina per cagione di certi confini. Nel 1513 era sopra- 
stante alle fabbriche di papa Leone, e così per tre anni 
dopo. L'ultima memoria che conosciamo di lui, nella quale 
si chiama architettore, è del 1535. 




L. da Vinci — Trattato della pittura. 



d 



ALBERO 



Ser MICHELE da Vinci notaio 



FAMIGLIA DA VINCI. 1 



I 

Ser Giovanni 
m. Lottiera di Francesco Beccanugi 
vedova nel 1406 



Ser Guido notaio fiorentino 
rogava nel 1339 



Ser Piero 
notaio della Signoria di Firenze 

Antonio n. 1372 
m. Lucia di Piero Zosi 
da Bacchereto 



Ser Piero 
notaio della Signoria di Firenze nel 1484 
n. 1427 f 1504 

(1) Albiera di Giovanni Amadori 1452 

(2) Francesca di ser Giuliano Lanfredini 1465 

(3) Margherita di Francesco di Jacopo di Guglielmo 

(4) Lucrezia di Guglielmo Cortigiani 



Francesco 
n. 1435 
m. Alessandra 



I I I I I 

LEONARDO Antonio Bartolommeo Lorenzo Domenico 
n. 1452 n. 1476 (3) n. 1497 (4) n. 1484 (3) n. i486 (3) 
naturale 
da Caterina 
che poi sposò 
Accattabriga 
di Piero 

del Vacca Pier Francesco Lorenzo 

da Vinci 



Pier Francesco 
detto 

PIERINO DA VINCI 
scultore 



Benedetto 
n. 1492 (4) 



Guglielmo 
n. 1496 (4) 
m. Marietta 
di Lionardo 
Buonaccorsi 



Pandolfo Giovanni Ser Giuliano 



n. 1494 (4) 



(4) 



n. 1479 (3) 
1. Alessandra 
di Giovanni 
d'Antonio 
Dini 



1520? f 1554? 
in Pisa 



Benedetto Piero Alessandro 
m. Elisabetta 
di Antonio 
Cantucci 



Antonio Piero 



m. (1) 

(2) 



Lorenzo 
n. 1 605 



Piero 
n. 1630 



Lucrezia di Girolamo 
Caterina di Vincenzo Martini 



Bartolommeo alfiere 
n. 1608 di 

cavalleria 
di S. M. C. 
Matteo in 

Ungheria 



I I I I ! 

Lionardo Guglielmo Jacopo Giovanni Piero Antonio 



frate cappuc- 
n. 1599 cino 
f 1629 detto 

Fra Tommaso 



Pier Lorenzo 

curato 
di San Rocco 
di Larciano 

diocesi 
di Pistoia 



1 Domenico 
I I In. 1684 

Giovan Piero Giuseppe Stefano + 17K2 
n. 1687 1 1 

m. Spinetta 
di 

Giovanni Tesi 



Niccolò 



Lorenzo 



Domenico Ser Anton Giuseppe Giovanni 
n. 1726 f 1801 
m. Anna Salomoni 



Pier Matteo 



Vincenzo Leonardo 
n. 1761 t 1793 



I 

Gio. Paolo Valentino 
n. 1745 n. 1750 



t 1765 



-j-1817 




Paolo Maria Anton Giuseppe 

n. 1778 \ 1840 



Settimio 



Antonio 
n. 1782 f 1804 



Tommaso 
n. 1820 



Leonardo Raffaello Emilio Luigi Gherardo Angiolo 
n. 1845 n. 1847 n. 1850 n. 1854 n. 1862 n. 1868 



Paolo 
n. 1871 



1 Per questo Albero ci siamo serviti in gran parte di quello formato da Gustavo Uzielli e pubblicato nella 
citata opera Ricerche intorno a Leonardo da Vinci. 



COMMENTARIO. 



PARTE PRIMA. 

INTORNO AI DIPINTI AUTENTICI DI LEONARDO, DAL VASARI NON RAMMENTATI, 
E DI ALTRI A LUI ATTRIBUITI. 

Lunga, diffìcile e fallace opera sarebbe se tutte si volessero ricordare le pitture che sono o che 
si pretende sieno del Vinci. Il lettore andrà ben persuaso non esser possibile compilarne un catalogo 
compiuto. Peraltro, chi ne fosse vago, può vederne la nota negli scrittori che hanno parlato di Leonardo, 
i quali sono parecchi; e tra questi, oltre i già citati da noi, nella nota prima e altrove, il Piacenza, 
{Giunte al Baldinucci), il Della Valle (ediz. senese del Vasari), il Lanzi, ecc. Tuttavia faremo ricordo 
.di alcune che, se non altro, portano seco la fede di una celebrità ormai riconosciuta. 

Roma. Convento degli Eremitani di Sant' Onofrio. — Nel chiostro superiore è una lunetta, dentro 
la quale è dipinta in fresco Nostra Donna seduta col Putto nudo in grembo, ed alla sinistra la figura 
del patrono in atto devoto col berretto in mano. Di questo affresco si vedono incise le sue teste 
calcate sul! originale, e un piccolo intaglio della composizione nella tav. CLXXIV del D'Agincourt 
{Pittura) ; e un intaglio più grande è nell'Ape Italiana, giornale romano di belle arti. — f C è stato 
modernamente chi ha voluto vedere in questo dipinto piuttosto la mano di Lorenzo di Credi, che di 
Leonardo. 

— Galleria Barberini. — La Vanità e la Modestia, mezze figure di grandezza naturale, dipinte 
su tavola. — f Altri le dicono del Luino ed altri del Salai. 

— Galleria Aldobrandino — Cristo che disputa coi Dottori della legge. Composizione di cinque 
mezze figure grandi al naturale, in tavola. Tanto di questo, quanto dell' altro quadro, si ha un piccolo 
intaglio nella tav. clxxv del D'Agincourt. 

Milano. Palazzo Belgioioso. — Quadretto in tavola con Nostra Donna, mezza figura, che dà 
il latte al Putto. Il principe Belgioioso lo comprò per 300 zecchini dalla chiesa della Madonna di 
Campagna presso Piacenza; e vuoisi che questa sia quella stessa Madonna che l'Anonimo Morelliano 
(pag. 83-84) vide in casa di Michel Contarmi. 

f Venezia. Nel museo Civico è il ritratto del duca Valentino donato dal general Pepe. E in 
tavola, di grandezza un terzo del vero, con poco busto; oltre molti disegni già appartenuti al pittore 
Bossi, che furono in gran parte del De Pagave; e fra questi un ritratto del Vinci. 

Parigi. Museo Nazionale del Louvre. — San Giovanni Batista, mezza figura con una croce 
nell' una mano, e coli' altra addita il cielo. Indossa una pelle d' agnello, che lascia scoperta la parte 
superiore del suo corpo. — Forse questa è la tavola stessa citata dal P. Dan {Trésor des merveilles 
de Fontainebleau, 1642), e che faceva parte della collezione di Francesco I. Luigi XIII incaricò 



X x v i i i 



COMMENTARIO 



il suo ciambellano M. de Lyoncourt di offrirla a Carlo I, re d' Inghilterra, il quale dette in cambio 
un ritratto d' Erasmo dell' Holbein e una Santa Famiglia di Tiziano. Alla morte di Carlo I, fu venduta 
per 140 lire sterline al banchiere Jabach, che poi la cedette a Luigi XIV. — Fu incisa dal Boulanger, 
quando essa apparteneva al Jabach. 

— Tavola con Nostra Donna, il Bambino Gesù e sant'Anna. La Vergine, seduta sulle ginocchia 
della madre, s' inchina per prendere il bambino, il quale è in terra accarezzando un agnello. Il fondo 
è un paese montuoso. Fu intagliata da J. N. Laugier. 1 L'autenticità di questo quadro è stata vivamente 
impugnata da ragguardevoli critici, che, sebbene ne ammirassero la bellezza, tuttavia hanno cercato 
di dimostrare eh' esso non poteva esser della mano di Leonardo. Per epilogare convenientemente 
questa polemica, che forma la materia di più di un volume, usciremmo dai limiti assegnati al nostro 
lavoro. Bastino dunque le seguenti indicazioni. Il quadro del Louvre fu ricondotto d' Italia in Francia 
dal cardinale di Richelieu, quando nel dicembre del 1629 comandava in persona l'assedio di Casale. 
Ornò la quadreria del cardinale, ed alla morte di lui passò in quella del re. I signori Dufresne, 
Félibien, Mariette, Lepicié danno questa pittura a Leonardo. Più tardi, al Landon, a Lorenzo e 
Rabilliardo Peronville, editori del Museo Francese, venner dubbi sulla verità di questa attribuzione, 
e pensarono che potesse essere invece di Bernardino Luini. Il Waagen la tiene come opera di un 
allievo del Vinci : e di questo avviso è pure l' abate Aimé-Guillon, che ha scritto un' opera sulle 
molte ripetizioni di questa composizione. Il Delécluze crede eh' essa sia stata dipinta dal Salai o dal 
Luino sotto gli occhi di Leonardo, e forse anco ritoccata da lui. Il Passavant non vede in questa 
pittura che il pennello del maestro ; e un gran numero di conoscitori sono della stessa opinione. 
La composizione del cartone, che, come abbiamo notato, è ancora in essere (vedi sopra a pag. xvi, 
nota 2), differisce da quella del quadro del Louvre. Più copie o ripetizioni di questa pittura si 
conoscono: quella della galleria di Leuchtenberg a Monaco, già stata nella chiesa di San Celso a 
Milano, è generalmente tenuta come opera del Salai: e se ne vede un intaglio nella Scuola di Leojtardo 
da Vinci in Lombardia, edita dal Fumagalli, Milano, 1 8 1 1 . Pure del Salai si tiene quella della 
galleria di Firenze. A Milano se ne vede una neh 1 ' Ambrosiana di Bernardino Luini. Tornando a 
dire del quadro del Louvre, concluderemo col Mundler « che, a malgrado delle molte autorità allegate 
di sopra, alcune delle quali assai rispettabili, non si può ammettere mai che ad altri fuor che a 
Leonardo sarebbe riuscito di dipingere questo capolavoro, uno dei gioielli del Louvre, uno dei prodigi 
dell' arte. Gli accessori son trascurati, i panni non finiti ; ma le teste ! come descrivere l' eloquenza 
di quelle labbra, l' incanto ineffabile di quel sorriso, il fascino di quello sguardo, donde l' amore 
trabocca come da vaso troppo pieno? E della esecuzione che dir si può mai? Avvi egli in pittura 
esempio di potenza più grande e di egual finezza di modellato? E come immaginar si può, in una 
opera eseguita sopra un cartone del maestro, quell'accordo intimo tra il pensiero e l'effettuazione 
sua, quando Leonardo stesso sarebbe stato incapace di rendere con tanta perfezione i concetti d'altrui? » 
(Essai d'une Analyse critique de la Notice des Tableaux italiens du Louvre, ecc. [di Federigo 
Villot], par Otto Mundler, Paris, Didot, 1850). 

— La Madonna delle Rocce (La Vierge aux Rochers). Il Bambino Gesù sedente, e sostenuto 
da un angelo, benedice il piccolo san Giovanni presentatogli dalla Madonna. Nel fondo, una grotta, 
un paese e rocce di bizzarra forma, donde al quadro è venuto il nome della Madonna delle Rocce. 
Se ne ha un intaglio del Boucher Desnoyers. — Il quadro era nella collezione di Francesco I. — 
Il Waagen non crede che sia autentico. Il Passavant pensa che sia una copia di quello fatto da 
Leonardo per la cappella della Concezione della chiesa dei Francescani a Milano, dal Lomazzo citata 
nel libro II, cap. xvn del suo Trattato della pittura. Questo quadro fu venduto nel 1796 al pittore 

1 \ La tavola di Nostra Donna con Gesù Bambino e sant'Anna fu riprodotta in cromolitografia nell'opera 
Chef s-d' oeuvre de la peinture italietme del Match. 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xxi X 



Hamilton soli trenta ducati, perchè si teneva per una copia. Esso fa parte della collezione del conte 
di Suffolk. Due Angeli di grande bellezza ch'erano ai lati del quadro principale, al presente sono 
nella galleria del duca Melzi. Anche di questo quadro esistono parecchie ripetizioni assai belle, e 
tra le altre una nel museo di Nantes. — Il quadro del Louvre, dipinto primieramente in tavola, fu 
trasportato in tela, dopo la restaurazione del 1815. 

— La Madonna detta delle Bilance. La Vergine sta seduta tenendo nelle sue ginocchia il Divino 
Infante, cui l'arcangelo san Michele in ginocchione presenta una bilancia, simbolo della Giustizia 
eterna. Presso la Vergine, sant' Elisabetta sostiene il piccolo san Giovanni, eh' è seduto, con un 
agnello. Questa tela faceva parte della collezione di Luigi XIV. Dal Waagen è attribuita a Marco 
d' Oggiono, e dal Passavant al Salaino, dal Miindler a Cesare da Sesto. 

— Tavola rappresentante Gesù, che, seduto sopra un cuscino e sostenuto dalla sua Madre, riceve 
una croce di giunco presentatagli da san Giovanni. Appartenente all' antica collezione. Il Passavant 
e il Waagen pensano che questa tavola derivi dalla scuola romana. Quest' ultimo critico la riguarda 
come una bella opera di Pierin del Vaga. Il Miindler crede eh' essa sia di Bernardino Luini ; non 
del tempo suo più bello, ma della sua vecchiezza, quando, ingegnandosi d' innestare sul suo vecchio 
stile motivi raffaelleschi ed elementi della scuòla romana, turbò, per così dire, il fonte della sua 
inspirazione e divenne inferiore a sè stesso. 

— Bacco seduto sopra una pietra, coronato di pampini, si appoggia ad un tirso. Proviene dalla 
collezione di Luigi XIV. L'inventario della Restaurazione assegna questa tela solamente a qualche 
allievo di Leonardo. Il Waagen l' attribuisce egualmente ad un suo scolare, e il paese gli sembra 
dipinto dal Bernazzano. Il Passavant giudica questa pittura come originale, e pensa che primieramente 
rappresentasse un San Giovanni nel deserto, a cui posteriormente furono aggiunti i pampini e i 
grappoli. Una copia antica e colle sembianze di san Giovanni si vedeva nella chiesa di Sant' Eustorgio 
a Milano. — f Si sa che Leonardo dipinse un Bacco, venduto nel 1505 da Antonio Pallavicino, 
e passato allora in Francia. (Vedi un articolo del marchese Giuseppe Campori negli Atti di Storia 
patria parmense e modenese del 1865). 

— Ritratto di Carlo d'Amboise, maresciallo di Chaumont (il Ciamonte). Porta in testa un berretto 
ornato d' una medaglia e una collana d' oro al collo. Questo ritratto fu anche creduto quello di 
Luigi XII ; ma è ormai provato esser quello del Ciamonte, 1 e per tale fu inciso dal Thevet. Il Passavant 

10 stima opera del Beltramo; il Miindler, con buone ragioni, di Andrea Solario. 

— Ritratto di donna in tavola; la testa è veduta di tre quarti; i capelli sono lisci; la fronte 
è cinta da una cordellina nera fermata da un diamante; il suo collo è ornato da un cordone, e in 
dosso porta una veste rossa ricamata. Questo ritratto probabilmente faceva parte della collezione di 
Francesco I, e dal P. Dan (Trésor des merveilles de Fontainebleau, 1642) è indicato come rappre- 
sentante la duchessa di Mantova. E stato inciso più volte per la bella Féronnière (amata da Francesco I). 
Si presume ch'esso offra le sembianze di Lucrezia Crivelli, che Leonardo dipinse a Milano verso 

11 1497, s'è vero che Lodovico il Moro solo dopo la morte di Beatrice avesse da Lucrezia quel 
Giovan Paolo che fu stipite dei marchesi di Caravaggio. Il Waagen tiene questo quadro come uno 
de' più belli e de' più autentici di Leonardo. 

f Da una lettera del Padre don Pietro da Nuvolara alla marchesa Isabella Gonzaga, scritta 
da Firenze il 4 aprile 1501, si rileva che Leonardo in quel tempo, essendo a Firenze, attendeva a' suoi 
sperimenti matematici forse riguardanti il corso dell'Arno, e che aveva pigliato a dipingere per 
Florimonte Robertet, segretario del re di Francia, un quadrettino con una Madonna seduta come volesse 
inaspare fusi e il Bambino posto il piede nel canestrino de' fusi ha preso V aspo e mira atteittamente 

1 Così opina anche il Feuillet de Conches nel suo scritto : Les apocryphes de la pehUttre, inserito nella 
Revite des Deux Mondes, anno 1849, P a S- 617. 



XXX 



COMMENTARIO 



que' quattro raggi che sono in forma di croce, e come desideroso di essa croce ride e tienla salda 
non la volendo cedere alla mamma che pare gliela voglia torre. Da questa lettera apparisce ancora 
che la marchesana aveva per mezzo del Da Nuvolara ricercato Leonardo se l'avesse voluta servire, 
e che il pittore era disposto a far ciò volentieri, qualora si fosse potuto spiccare senza suo danno 
dalla Maestà del re di Francia. La lettera, il cui originale è neh 1 ' archivio di San Fedele di Milano, 
fu pubblicata dal Calvi nelle Notizie su Leonardo da Vinci. Leonardo, partitosi da Milano insieme 
col Paciolo, pare che prima di ritornare a Firenze visitasse Venezia e portasse seco il ritratto della 
marchesana di Mantova: il che si prova da una lettera di Lorenzo da Pavia, scritta nel 13 di marzo 1500, 
alla stessa Gonzaga. 

Vienna. Galleria Imperiale di Belvedere. — Erodiade che comanda al carnefice di porre nel 
bacino la testa di san Giovanni, in figure intere grandi quasi quanto il vivo. Da alcuni però viene 
attribuita a Cesare da Sesto. Se ne ha un intaglio nel t. IV dell' opera Galerie I. et R. du Belvedére 
a Vienne, Vienne et Prague, 1821-28. — Nella illustrazione si dice che questa tavola fu un tempo 
l'ornamento del palazzo del cardinale Mazarini a Parigi; che un certo Ficini, italiano, fattane una 
copia esattissima, la pose in luogo dell' originale, portato da lui a Firenze, donde passò nella galleria 
suddetta; e che la biblioteca Ambrosiana di Milano possiede gli studi a lapis rosso di questo quadro. 

Dresda. Galleria Reale. — Ritratto in tavola d'uomo in età matura, con barba, berretto in 
capo ornato di gemme, riccamente vestito e coperto da un' ampia pelliccia. Ha la destra coperta di 
guanto, e colla sinistra tiene un pugnale inguauiato. Varie sono le opinioni sulla persona ritratta in 
questa tavola. Vi ha chi lo crede Francesco I di Francia; altri, Francesco Sforza duca di Milano. 
Modernamente si è messa in dubbio l' autenticità del quadro, coli' attribuirlo al giovane Holbein, e si è 
creduto che sia il ritratto del Morett, gioielliere di Enrico Vili. Ma gì' illustratori dell' opera magnifica 
La galleria di Dresda (col testo francese e tedesco), pubblicata a Dresda con stupende tavole 
litografiche, credono di aver forti ragioni per dubitare eh' esso non sia il ritratto di Francesco Sforza, 
e lo tengono piuttosto per quello di Lodovico Sforza suo figliuolo, detto il Moro, riflettendo che il 
padre suo era già morto sedici anni innanzi che Lodovico invitasse Leonardo a Milano. — f A noi 
non pare neppur probabile che questo ritratto sia del Moro, perchè essendo barbato contraddice al 
costume di que' tempi, che era di andare rasi ed in zazzera, come si può conoscere da molti ritratti 
d' uomini di quel tempo. 

Monaco. Galleria Reale. — Una Santa Cecilia, figura sino ai ginocchi, in tavola; ed un'altra 
tavola con Nostra Donna seduta sotto una grotta, che tiene col braccio destro il Bambino Gesù 
steso da lato sul suo mantello, con una croce in mano. Figure più piccole della metà del vivo. 

Annover. — Leda nuda, con due putti, Cupido e il Cigno. Nel fondo si vede un pergolato 
di mori. La Gazzetta della Bassa Sassonia, annunziando questa scoperta, dice che questo è il famoso 
quadro commesso a Leonardo da Lodovico il Moro per solennizzare la nascita di due suoi figliuoli 
gemelli. (Vedi Y Allgemeine Zeitung, n. 41, 6 febbraio 185 1). Noteremo però che questa Leda non 
sembra esser quella che rammenta il Lomazzo nel lib. II, cap. xv, del suo Trattato della pittura, 
con queste parole : « e Leonardo Vinci 1' osservò (l' atto della vergogna) facendo Leda tutta ignuda 
col cigno in grembo, che vergognosamente abbassa gli occhi ». 

Aia. Galleria di Guglielmo II re d'Olanda. — Tavola con Leda. L'amata di Giove tenendo 
un ginocchio a terra fa atto di alzarè un bambino che sostiene col destro braccio, mentre colla 
mano sinistra addita Polluce ed Elena nati da un solo e medesimo uovo. Dall' opposta parte si vede 
un bambino accosciato presso un uovo rotto, donde sembra esser uscito d'allora. Nel fondo è un 
paese con un fiume attorniato da casamenti con torricelle, e montuose lontananze, in mezzo alle 
quali due cavalieri ed un' amazzone corrono a tutta furia. — Questa tavola era nella R. galleria 
di Assia-Cassel ; donde passò in quella di Napoleone alla Malmaison, e quindi in quella del re 
d'Olanda. Fu venduta all'asta pubblica per 31,175 franchi nell'agosto del 1850. 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xxx i 



— Ritratto muliebre in tavola, supposto della bella di Francesco I di Francia, detta la Colombina. 
Essa siede accanto a un masso, con in mano un fiore sottilissimo; la sua chioma è acconciata alla 
greca ; il suo vestito, di broccato bianco e d' oro, è affibbiato in modo che scopre il seno dal lato 
sinistro. Dalla spalla scende con bella grazia sulle ginocchia un panno azzurro. Faceva parte della 
collezione del duca d'Orléans. Fu venduto nel 1790 al signor Walkiers di Bruxelles, per un prezzo 
altissimo ; quindi passò nella raccolta del signor Danoot, donde l' ebbe per compera il re Guglielmo 
d'Olanda. — Venduta la galleria nell'agosto del 1850, il ritratto della Colombina fu comprato per 
86,000 franchi. 

Pietroburgo. Galleria dell' Hermitage. — Santa Famiglia in mezze figure, grandi quasi quanto 
il vivo. La Madonna, altera neh 1 ' aspetto, tiene in grembo il Bambino Gesù, che stende le mani ad 
una tazza offertagli dal piccolo san Giovanni. Dietro ad essa si vede san Giuseppe, ed una figura 
muliebre vestita in diversa maniera, che si dice essere una parente di Leone X (pel quale proba- 
bilmente fu dipinto il quadro) ; forse la moglie di Giuliano de' Medici duca d' Urbino (Filiberta di 
Savoia). Il Pagave ed altri moderni conoscitori non dubitano della sua autenticità, benché non abbia 
nulla di comune con gli altri dipinti di Leonardo né nel disegno, né nella espressione delle teste, 
né nel colorito, ma tenga piuttosto del più bello stile raffaellesco, senza per altro il profondo sentimento 
del grande maestro. Il libro, sul quale posa il Bambino, ha il seguente monogramma: > cne 

non si vede in verun' altra opera di Leonardo. Sopra alcuni disegni, pubblicati dal Gerii, egli poneva 
questo: \J/^. — Questo quadro stette un tempo nel palazzo de' duchi di Mantova. Rubato nel saccheggio 
dato a quella città dagl' Imperiali, rimase celato molti anni, sino a che nel 1775 fu comperato dall'abate 
Salvadori. Alla morte di lui, gli eredi lo portarono a Moris, loro patria, nel Trentino. — f L'Amoretti 
dice che questa tavola passò poi nella galleria Hermitage, ma il Calvi afferma che è ancora a Moris. 



PARTE SECONDA. 

DI ALCUNI DISEGNI DI LEONARDO DA VINCI ESISTENTI IN FIRENZE. 

Nella raccolta di disegni della galleria di Firenze dove, come altre volte abbiamo notato, si 
trovano molti di quelli che componevano il libro posseduto dal Vasari, ne sono alcuni attribuiti a 
Leonardo. Ma tra questi noi faremo menzione solo di quelli che non lasciano dubbio sulla loro 
originalità, tralasciandone alcuni pochi che per noi non hanno bastevoli caratteri di autenticità. 

Cassetta III. 

N. 2. Testa muliebre, volta in giù con capelli tirati addietro e raccolti in crocchia alla nuca. 
Acquerello lumeggiato di biacca, in tela. 

N. 3. Testa muliebre, veduta per tre quarti dal lato destro, con gli occhi bassi, e con un velo 
smerlato sulla fronte. In carta, come sopra. 

N. 4. Madonna sedente, che contempla e sostiene con la destra Gesù Bambino nudo, il quale 
le siede in grembo, alzando, gli occhi e il sinistro braccio. In carta, come sopra. 

N. 5. Mezza figura di femmina, che regge un putto nudo giacente sopra un deschetto, con un 
gatto in braccio. Schizzo a penna su carta tinta. — A tergo : Schizzo a penna di putto nudo seduto. 

N. 6. Testa di donna, di profilo dal lato sinistro, con penna in capo. A matita nera. 

N. 7. Testa di una Maddalena, quasi di profilo, dal lato sinistro. È alquanto inchinata ingiù; 
colle chiome avvolte in trecce dietro il capo, parte cadenti sciolte lungo le guance e sul collo. La 



xxxii 



COMMENTARIO 



fronte è cinta da un diadema gemmato, donde cade un velo sulle spalle. Acquerello lumeggiato di 
biacca. Di questo maraviglioso disegno, fatto con una grazia e diligenza inarrivabile, si ha un piccolo 
intaglio a contorni alla pag. io del voi. IV della Storia del Rosini. 

N. 8. Busto di giovane donna, volta per tre quarti a sinistra; la testa velata e i capelli sciolti 
che le cadono sulle spalle. Ha un leggiero indizio di tunica scollata, con un manto che le scende 
dalle spalle. Disegnato con stile d' argento su carta preparata con lumeggiature di biacca. 

N. 9. Gesù Bambino nudo, seduto in terra con la faccia e le mani levate. In alto, la parte 
inferiore parimente di un Gesù Bambino. Acquerello in tela, lumeggiato di biacca. A tergo: Schizzi 
a penna di putti e di una Beata Vergine che allatta il Divino Figliuolo. 

N. io. Ritratto di giovane donna di nobile condizione, in mezza figura. È quasi di faccia, con 
le mani incrociate dinanzi al petto. Ha i capelli raccolti in una rete, e il seno coperto da una camicetta, 
sulla quale posa una catenella pendente dal collo. Disegno in carta eseguito stupendamente a 
matita rossa. 

N. 11. Testa giovanile di femmina, di profilo dal destro lato, con capigliatura a zazzera, e cinta 
il capo d' un semplice nastrino. A matita rossa. 

N. 13. Ritratto virile di profilo dal lato sinistro, con capelli a zazzera, berretto in testa e una 
specie di corazza davanti al petto. Le carni e i capelli in matita rossa; il rimanente di matita nera. 
A tergo : Un piccolo ritratto femminile, in busto di profilo, mostrando l' occhio sinistro, di matita 
rossa; in carta. 

N. 14. Testa virile di profilo, dal lato sinistro. E calva e rasa, con naso a becco di civetta, 
labbro inferiore molto sporgente, e mento grosso e rotondo. Disegnato collo stile su carta preparata. 
Proviene dalla raccolta di disegni del Padre Resta, il quale vi aveva scritto sotto esser questa testa 
imitata dal ritratto di Artus, o Arturo, gran maestro di camera del re Francesco I di Francia al 
congresso di Bologna nel 15 1 5. 

N. 15. Testa virile, in caricatura, di profilo, volta a destra. In faccia ad essa, uno schizzo di 
testa di giovane parimente di profilo, e due schizzi di macchine : tutti a penna. Nella parte inferiore 

del foglio, di mano di Leonardo, è scritto: « ère 1478 ichominciaj le 2 S. Vigne Marie ». E 

nella parte superiore : « Fieravante di Domcnicho in Firenze e chonpar amantissimo quanto mio .... ». 
A tergo, altri schizzi di macchine. 

N. 16. Testa in caricatura di profilo dal lato destro, di matita rossa. 

N. 17. Due teste a riscontro in profilo: una di un vecchio calvo e raso, in caricatura; l'altra 
è un ritratto di giovane con capelli crespi. Disegnati in carta con matita rossa. 
N. 18. Testa di vecchio, di faccia volta all' insù. In carta a matita rossa. 
N. 21. La stessa testa, veduta di profilo. In carta, come sopra. 

N. 22. Studio di pieghe della parte inferiore di una figura di profilo, seduta dal lato destro. 
Acquerello in carta tinta, lumeggiata di biacca. 

N. 23. Altro studio di pieghe per una figura virile seminuda voltata da tergo, col sinistro ginocchio 
a terra. Acquerello in tela, lumeggiato di biacca. 

N. 24. Altro studio di pieghe per una figura virile, stante di faccia. Acquerello in tela lumeg- 
giato di biacca: cosa tra le più stupende che si possano mai vedere, e per la bellezza del partito, 
e per la verità e grazia dell' esecuzione. 

N. 25. Altro studio di pieghe per la parte inferiore di una figura genuflessa. Acquerello come sopra. 

N. 27. Dragone alato, che abbatte un leone. Acquerello in carta. È citato dal Lomazzo, Trattato 
della pittura, lib. VI, cap. xx. Nei margini sono vari schizzi a penna di Madonne col Putto. 

N. 28. Studio del fondo architettonico per la sua gran tavola dell'Adorazione, che semplicemente 
preparata di chiaroscuro è nella galleria di Firenze. Vedi sopra a pag. ix, nota 4. Tocco in penna 
con qualche lume di biacca. 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xxxii i 



N. 29. Paese con un lago nel mezzo. A destra, un colle che termina in una rupe, donde precipita 
un ruscello. A sinistra, la falda di un monte, di là dal quale si distende una fortezza. Da questa 
parte leggesi scritto da destra a sinistra a rovescio, al modo di Leonardo : « dì di Sta Maria della 
Neve addj 5 dagosto 1473 ». 

Il professore Raffaello Tosoni di Cetona, dimorante in Firenze, amorevole possessore di vari 
oggetti d' arte preziosi, ha due disegni di Leonardo. Il primo è una testa di donna, grande quanto 
il vivo, veduta di faccia, con capelli crespi e sciolti, un filo di perle al collo, e colle maniche della 
veste trinciate e con nastri. Disegno a matita rossa in carta tinta, con fondo d'aria. Appartenne alla 
collezione di Carlo I d' Inghilterra ed è segnato della sua cifra C R (Carlo re). 

Il secondo, di autenticità incontrastabile, contiene vari schizzi a penna bellissimi. Si vede un 
guerriero in atto di scagliare una freccia passata per un foro in mezzo allo scudo che fa da arco. 
Sotto evvi scritto da destra a sinistra : « questo schudo vuole averhe de lungo » (sic). Altre due figure 
di guerrieri parimente in atto di scaricar dardi a traverso gli scudi che fan da arco, e son puntati 
in terra per una specie di piede o cavalletto, colla scritta : « qui starebbe ben che la rotella fusse 
daccarro (d' acciaro) e nel piegharsi faciessi lofitio del balestro » . Una palla, o granata, che rotolando 
sputa fuoco, come dicono le parole : « Palla che chore per se medesima gittando fuoco loittano b. 6 ». 
Poi due guerrieri che corrono con balestre in mano ; poi due altri che puntano il loro scudo che 
fa da balestra; e finalmente il taglio di essa palla, dove si vede il modo con cui sono disposti i 
tubi della materia combustibile. Questo disegno faceva parte della insigne collezione di Tommaso 
Lawrence. — f Morto il prof. Tosoni, questi disegni due anni fa andarono venduti fuori d'Italia. 

f Giuseppe Vallardi di Milano vendè nel 1856 al museo del Louvre per 35 mila franchi un 
grosso volume in-fol. contenente disegni di Leonardo, parte a matita nera e parte rossa, ad acquerello 
e lumeggiati di bianco, e parte a penna su fondo bianco. Il Vallardi lo acquistò nel 1829, andando 
a Roma, da un' antica illustre famiglia, accrescendolo con diversi altri disegni appartenuti alla galleria 
Calderara e alla raccolta Sannazzaro. Egli ne stampò nel 1855 una illustrazione in soli 100 esemplari, 
che sono fuori di commercio, per donarli agli amici. Circa a quelli che di lui erano o sono ancora 
nell'Ambrosiana, si può leggere la Memoria di Giovanni Dozio, stampata in Milano nel 187 1. Anche 
nel castello reale di Windsor e nel museo Britannico sono disegni del Vinci. 

PARTE TERZA. 

DEI LAVORI SCIENTIFICI DI LEONARDO DA VINCI. 1 

Leonardo da Vinci è di quegli uomini che colla potenza dell' ingegno seppero vincere 1' avversa 
fortuna. Di lei non ebbe molto a lodarsi fin dalla nascita, poiché è certo che non fosse figlio di 
alcuna delle quattro mogli di suo padre ; nè molto dipoi, avvegnaché le opere d' arte di Leonardo 



1 La Vita di Leonardo scritta dal Vasari, quanto ben 
ci ritrae la eccellenza di quel divino ingegno nella pit- 
tura, .altrettanto è insufficiente a darci ragione della 
universalità della sua dottrina e della terribile mani- 
festazione del suo intelletto nelle speculazioni fisiche e 
matematiche. Di maniera che, parendoci che un discorso 
inteso ad accennare brevemente le investigazioni da lui 

L. da Vinci — Trattato detta pittura. 



fatte nelle scienze fisiche e matematiche, e i benemeriti 
suoi verso quelle, non sarebbe riputato aggiunta inutile 
alle illustrazioni di questa Vita ; abbiamo chiesto ed otte- 
nuto che di questa materia, a noi non familiare, discor- 
resse nel presente Commentario il nostro pregiato amico 
prof. Girolamo Buonazia di Siena, al quale qui profes- 
siamo pubblicamente singolare gratitudine. 

e 



XXXIV 



COMMENTARIO 



e gli scritti abbiano ricevuto gravissimi danni e dal tempo e dagli uomini, e la più gran parte sieno 
andati perduti. Il Trattato della pittura, pubblicato dopo la sua morte, e Y Idraulica, stampata per la 
prima volta nel 1828 in Bologna, non sono che frammenti disposti in un ordine diverso da quello 
che voleva l' autore. Il trattato dell' anatomia, quello del moto locale e delle percussioni, le ricerche 
di meccanica, gli studi di ottica, gli scritti sul canale della Martesana, sulla botanica, sulla geologia, 
sul volo degli uccelli, dimenticati subito dopo la morte di Leonardo, rimasero lungo tempo ignorati ; 
e difficilissimo sarebbe ora ricomporli dai frammenti che restano nei suoi manoscritti, e dai ricordi 
che egli prendeva, quando l' esperienza e il ragionamento lo conducevano alla scoperta di difficili 
veri. Di più, questi ricordi, dove i contemporanei hanno cercato le arti segrete di Leonardo, mentre 
egli invece si compiaceva di coprir di mistero tutto ciò che faceva, sono stati frugati e dispersi da 
mani ignoranti, trasportati di una in un'altra biblioteca, divisi tra molte, e rimangono solo per far 
testimonianza di un genio, cui forse il mondo non ha avuto 1' eguale, ma che ha vissuto per se e 
per la scienza, senza trovare chi raccogliesse la preziosa eredità che lasciava; tal che più di un secolo 
fu poi necessario a rifare la via da lui percorsa, e i posteri sono costretti ad ammirarlo, senza che 
i contemporanei abbiano saputo intenderlo. Così egli visse in Firenze, sua patria, trent' anni, esercitando 
nella prima gioventù l' arte della pittura e applicando la mente agli studi della meccanica, facilmente 
primo tra i pittori, tra gl'ingegneri tale da paragonare solamente agli antichi, dei quali riprendeva 
gli studi e le ricerche lungamente abbandonate; e quelli che la città governavano, fra i quali Lorenzo 
dei Medici detto il Magnifico, non si giovarono dell' opera sua ne come ingegnere, nè come pittore. 
Poiché gli studi di meccanica e d' idraulica non furono ricevuti con molto favore, tentò gli studi 
dell' arte militare, nella quale 1' uso delle artiglierie aveva portata una rivoluzione perfetta. Egli 
solo e Giuliano da San Gallo conobbero allora l'arte moderna di fortificare e di assalire i luoghi 
difesi da fortificazioni regolari. Con questa sperò farsi accetto alla corte di Lodovico il Moro, 
reggente e poco meno che signore del ducato di Milano in nome del nipote Gian Galeazzo, e si 
offerì a lui come ingegnere militare, come idraulico, come architetto, pittore e scultore, nella lettera 
che riportiamo. 1 Questa si riferisce ai primi tempi della venuta di Leonardo a Milano ; e sarebbe 



1 Ecco la lettera di Leonardo riportata dall 'Amoretti, 
Memorie storiche di Lionardo da Vinci (Milano, 1804) 
a pag. 24, e riprodotta in fac-simile anche nel citato 
Saggio delle Opere di Lionardo da Vinci, ecc., pubbli- 
cato in Milano nel 1872, per l'inaugurazione del monu- 
mento innalzato in quella città a Leonardo : 

« Havendo, S. r mio 111., uisto et considerato horamai 
« ad sufficientia le prove di tutti quelli che si reputono 
«maestri et compositori d' instrumenti bellici; et che le 
« inventione et operatione di dicti instrumenti non sono 
« niente alieni dal comune uso : mi exforzerò, non de- 
« rogando a nessuno altro, farmi intendere da V. Excel- 
« lentia: aprendo a Quella li secreti mei: et appresso 
« offerendoli ad ogni suo piacimento, in tempi oportuni 
« operare cum effecto circa tutte quelle cose, che sub 
« brevità in parte saranno qui di sotto notate. 

« 1. Ho modi de ponti leggerissimi et forti et acti ad 
« portare facilissimamente, et cum quelli seguire et alcuna 
« volta fuggire li inimici ; et altri securi et inoffensibili 
« da foco et battaglia : facili et commodi da levare et po- 
« nere. Et modi de ardere et disfare quelli del inimico. 

« 2. So in la obsidione de una terra togliere via l'aqua 
« de' fossi, et fare infiniti ponti, ghatti et scale, et altri 
« instrumenti pertinenti ad dieta expeditione. 



« 3. Item, se per altezza de argine o per fortezza de 
« loco et di sito non si pottesse in la obsidione de vna 
«terra usare l'officio delle bombarde; ho modi di rui- 
« nare ogni rocca (?) o altra fortezza, se già non fusse 
« fondata in su el saxo etc. 

« 4. Ho anchora modi de bombarde commodissime et 
« facile ad portare, et cum quelle buttare minuti di tem- 
« pesta (aveva scritto e poi cancellato "buttare minuti 
« saxi ad similitudine qicasidì tempesta ") ; cum el fumo 
« di quella dando grande spavento a l'inimico cum grave 
« suo danno et confusione etc. 

« 5. Item ho modi per cave et vie secrete et distorte 
« facte senza alcuno strepito, per venire di segreto an- 
« chora che bisogniasse passare sotto fossi o alcuno 
« fiume. 

« 6. Item farò carri coperti, sicuri et inoffensibili : e 
« quali intrando intra ne li inimici cum sue artiglierie, 
«non è sì grande moltitudine di gente d'arme che non 
« rompessino : et dietro a questi poteranno seguire fan- 
« terie assai inlesi e senza alchuno impedimento. 

« 7. Item occurendo di bisogno, farò bombarde, mor- 
ii tari et passavolanti di bellissime e utile forme fora del 
« comune uso. 

« 8. Dove mancassi la operazione delle bombarde, 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



XXXV 



importante il rintracciarne la data. Il Moro si proponeva di render navigabile il canale della Mar- 
tesana; nel 1483 aveva fatto un editto perchè si ponesse mano al lavoro risalendo l'Adda sino a 
Trezzo : ed ebbe poi in mente anco la prosecuzione, della quale commise gli studi a Giuliano Vascone, 
e che gli fu impedita dai disastri del 1499. L'occasione era favorevole a Leonardo, se egli vera- 
mente qua venne nell' 83, come vuole l'Amoretti, stando all'autorità del cav. Giovan Sabba da Casti- 
glione, il quale asserisce che lavorò sedici anni al colosso distrutto nel 1499. Egli giovane, desideroso 
di gloria, provvisto di scienza, consapevole della sua forza, egli che aveva scritto a Lodovico la 
lettera che abbiamo riportata in un tuono tanto sicuro, avrebbe trovata un' opera, alla quale dava il 
suo nome, colla quale vincere l'invidia? Tuttavia dobbiamo dire che i primi ricordi di mano di 
Leonardo, i quali si riferiscono a lavori d'idraulica, non risalgono che al 20 marzo 1492; 1 e questi 
contengono la critica di lavori già esistenti e le correzioni necessarie perchè 1' opera rispondesse al 
fine voluto. Queste cose e il nome di Giuliano Vascone rammentato di sopra ci fanno dubitare se 

10 Sforza adoperasse in quel tempo 1' opera ed il consiglio di Leonardo per la condotta delle acque 
dei navigli, e se per sì fatti lavori egli venisse in credito alla corte di Lodovico. In un altro ricordo 
di un suo codice intitolato Della luce e delle ombre si legge : « A dì 23 aprile J4go chominciai questo 
libro, e richommciai il cavallo ». Egli dunque fino dal 1490 occupavasi del Trattato della pittura, ed 
aveva già cominciati gli studi del cavallo ; però dobbiamo riferire a questi tempi l' istituzione della 
Accademia Vinciana e gli studi dell' anatomia del cavallo, intorno alla quale scrisse un trattato che 

11 Lomazzo vide presso Francesco Melzi, disegnato divinamente di mano di Leonardo. Forse degli 
anni stessi o poco posteriori sono gli studi dell' anatomia umana, che egli fece in Pavia, aiutato e 
scambievolmente aiutando Marcantonio della Torre. Nessun' altra data abbiamo di mano di Leonardo 
anteriore al 1490; e ciò deve farci maraviglia, considerando che egli era solito portar sempre con 
sè libretti, nei quali notava tutto ciò che gli occorreva di più importante : come dunque spendeva 
egli i sette anni che corrono dal 1483 al 1490? Alcune rime del Bellincioni, che si riferiscono tra 
il 1487 e il 1489, ci mostrano Leonardo occupato nel diriger le feste per le nozze di Gian Galeazzo 
con Isabella d'Aragona, e nel dipingere i ritratti di Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli amate da 
Lodovico il Moro. Queste erano tanto potenti, e i ritratti loro furono tanto celebrati da tutti quelli 
che volevano acquistar grazia presso Lodovico, da doversi credere che fossero cagione di favore a 
lui che giungeva straniero e senza fortuna in una corte, dove la potenza dell' ingegno e la gran- 
dezza dell' animo erano in pregio talora, ma molto più la bellezza del corpo e l' esercizio di tutte 
le arti che a civili costumi, a molle e lieto vivere si congiungono. Comunque sia, egli dovette, per 
guadagnarsi di che vivere, abbandonare Firenze tra il 1483 e il 1487, e condursi a Milano, dove 



« componerò briccole, manghani, trabuchi et altri instru- 
« menti di mirabile efficacia et fora del usato : et in somma 
« secondo la varietà de' casi componerò varie et infinite 
« cose da offendere. 

« 9. Et quando accadesse essere in mare, ho modi de 
« molti instrumenti actissimi da offendere et defendere : 
« et navili che faranno resistentia al trarre de omni gros- 
« sissima bombarda; et polveri o fumi. 

« 10. In tempo di pace credo satisfare benissimo, a 
« paragone de omni altro, in architettura, in composi- 
« tione di edificii et publici et privati : et in conducere 
« aqua da uno loco ad un altro. 

« Item conducerò in sculptura di marmore, di bronzo 
« et di terra : similiter in pictura ciò che si possa fare 
« ad paragone de omni altro, et sia chi vole. 

« Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, 
« che sarà gloria immortale et eterno onore della felice 



« memoria del S. r vostro patre, et de la inclyta Casa 
« Sforzesca. 

« Et se alchuna de le sopradicte cose a alcuno pa- 
ce ressino impossibile et infactibile, me offero paratissimo 
« ad farne experimento in el vostro parco, o in qual loco 
« piacerà a Vostra Excellentia : ad la quale umilmente 
« quanto più posso me recomando etc. ». 

Carlo Promis illustrò assai dottamente i capitoli di 
questa lettera che si riferiscono a lavori militari, nella 
Memoria prima in appendice al Trattato di architet- 
tura civile e militare di Francesco di Giorgio Martini 
senese (Torino, 1841, in-4 ). E già il Venturi stesso ri- 
porta alcuni documenti, dai quali apparisce che Leonardo 
non conosceva solamente quello che sapevasi allora in- 
torno all'architettura militare, ma eziandio molto di quello 
che rimaneva da fare nell'arte militare moderna. 

1 Amoretti, Mem. cit., pagg. 29-45. 



X X X v i 



COMMENTARIO 



fu ricevuto con favore da Lodovico il Moro. Sarebbe inutile il ricercare se questi lo ritenesse perchè 
molto dilettavasi del suono di uno strumento che Leonardo aveva di sua mano fabbricato, d' argento 
gran parte, in forma di teschio di cavallo (come il Vasari asserisce), o perchè volesse fargli eseguire 
in bronzo la statua equestre di Francesco I Sforza, suo padre. Si è combattuto 1' asserzione del Vasari, 
dicendo che la prima opera che condusse fu il cavallo, ma si sa nondimeno che i principi d' allora 
più si dilettavano di musici e di cortigiane, che di opere d' arte e di scienza ; e che i poeti, gli 
artisti, gli scienziati erano ricevuti alla corte del Moro, purché non avessero onta di adoperare l' ingegno 
e 1' opera loro a commendazione degli scandalosi amori di lui, che nobili e rispettabili donzelle ai 
piaceri suoi sfacciatamente prostituiva. 1 Onde ci basti d' aver veduto non ultima delle opere di Leonardo 
in Milano essere stati i ritratti delle due concubine di Lodovico. Affrettiamoci piuttosto a rammen- 
tare, come in così piccoli principi sapesse Leonardo circondarsi di allievi dai quali era ammirato 
e che facevano gran parte della sua gloria, avere a familiari le. più ragguardevoli persone di Milano 
e gli uomini più dotti del suo tempo. Tra i quali abbiamo parlato di Marcantonio della Torre, e 
diremo di Fra Luca Paciolo, che aveva comuni con Leonardo la vita e gli studi e rappresentava 
in quella città degnamente il fiore della scienza toscana. Il primo ebbe di mano di Leonardo i disegni 
dell' Anatomia ; il secondo quelli del Trattato della divina proporzione. Questi era forse il solo che 
potesse intendere la mente di quel divino nelle speculazioni appartenenti alla filosofia naturale ed 
aiutarlo con il sapere profondo negli studi più severi. Debbonsi a questo tempo i frammenti riportati 
dal Venturi sulla caduta dei gravi combinata colla rotazione della terra, sull' oscillazione delle varie 
parti di un sistema attorno attorno al centro di attrazione, sulla resistenza rispettiva dei solidi, sull' at- 
trito, la teoria del piano inclinato e delle forze applicate obliquamente alla leva, il principio delle 
velocità virtuali. Di questi studi di meccanica il Paciolo parla con ammirazione ed esalta Leonardo 
sopra tutti coloro che frequentavano la corte di Lodovico. 

Il quale pare non lo rimunerasse largamente : perchè dopo quindici anni di lavori al colosso ; dopo 
l' istituzione dell'Accademia Vinciana, per la quale aveva scritto il Trattato della pittura ; dopo aver 
corretto i lavori del Naviglio ; dopo aver dato opera al trattato del moto locale, agli studi di mec- 
canica e di anatomia comparata; Leonardo scrive al duca 2 che vuol mutare la sua arte, perchè non 
ha commissione alcuna; chiede che gli sia dato qualche vestimento e si lagna di essere restato ad 
avere il salario di due anni; che dei suoi lavori ha avuto soltanto di che pagare i suoi operai; che, 
detratte le spese, si trova avanzato della sua opera circa quindici lire. Forse questi lamenti mossero 
il duca ad onesta vergogna, poiché dette a Leonardo nel 1499, 26 aprile, sedici pertiche di una 
vigna 3 comprata dal monastero di San Vittore presso porta Vercellina : della quale non potè godere 
a lungo tranquillamente. Chè, invasa nell' anno stesso Milano dai Francesi, il duca perse lo Stato, 
e Leonardo vide il modello del cavallo fatto bersaglio ai tiri dei balestrieri guasconi e distrutto. 
All' età di quarant' anni, dopo avere speso il fiore della vita a condurre opere d' arte e di utilità 
pubblica, a comporre grandi trattati, onde le scienze e le arti doveano rinnovarsi del tutto, ridotto 



1 Vedi Amoretti, pag. 40, parlando dei ritratti di 
Cecilia Gallerani e di Lucrezia Crivelli. 

2 « Essermi data più alcuna commessione di alcuni. . . . 
« Del premio del mio servitio perchè non son da esserle 
« da. . . . cose assegnationi perchè loro hanno entrate di 

« p ti, e che bene possono aspettare più di me. . . . 

« non la mia arte la quale voglio mutare, e. . . . dato 
« qualche vestimento. — Signore, conosciendo io la mente 
« di vostra excellentia esser ochupata. ... Il ricordare a 
« vostra signoria le mie piccole cose. Ella mi messe in 
« silenzio. . . . ch'il mio taciere fosse causa di fare isde- 
« gnare vostra signoria. ... la mia vita ai vostri ser- 



ie vitii mi trovo continuamente parato a ubidire. . . . 

« del cavallo non dirò niente perchè cognosco i tempi .... 
«a V. Sig. chom'io restai avere il salario di due anni 
« del .... con due maestri i quali continuo stettono a 
« mio salario e spese .... che alfine mi trovai avanzato 
« di detta opera circa lire 15 mi. . . . opere di fama, per 
« le quali io potessi mostrare a quelli che io sono sta .... 
« da per tutto ma io non so dove io potessi spendere 

« le mie opere l'avere atteso a guadagnarmi la vita ». 

(Amoretti, pag. 83). 
3 Ivi, pag. 85. 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xxx vii 



a fuggire dalla sua patria di adozione, perduto ogni frutto delle sue fatiche e costretto a ricomin- 
ciare quella maniera di vita, di cui era già stanco fin dalla prima gioventù, quando lasciava la prima 
volta Firenze ; sembra che restasse lungamente incerto di ciò che farebbe di sè, ed altamente commosso 
dagli avvenimenti che si erano succeduti sotto i suoi occhi e non senza grave suo danno. Abbiamo 
nel 1502 la patente del Valentino che lo nomina architetto e suo ingegnere generale. Ai servigi di 
lui fa il viaggio dell' Emilia, visita le piazze forti, notando tutto ciò che si presenta nel viaggio appar- 
tenente alla meccanica ed alle scienze naturali. 1 

Tornato a Firenze nel 1503, propone un canale che si stacchi dall'Arno, traversi le campagne 
di Prato, di Pistoia, di Serravalle, il lago di Sesto ; parla delle spese di costruzione, delle acque da 
introdurre nel canale e de' fiumi che dovrebbero traversarlo. Egli aveva vagheggiato questo pensiero 
fino da giovanetto ; e dopo i lavori sui canali del Milanese, pei quali il Moro aveva avuto spesso 
bisogno del consiglio di Leonardo, poteva sperare di essere facilmente creduto. Va al campo sotto 
Pisa per consultare sopra un' opera da farsi contro quella città, e disegna il cartone della battaglia 
di Anghiari : ma tra la rivalità di Michelangelo, il dispetto perchè fossero accolti poco favorevolmente 
i suoi studi di meccanica e di idraulica relativi all' incanalamento dell'Arno, il dolore di vedere che non 
bene riuscisse la nuova prova tentata per dipingere a olio sul muro, e la noia di sentirsi rimproverare 
dal Soderini perchè non attendesse a finire 1' opera che gli era stata allogata, non vi rimase che fino 
al 1506, 2 lasciando imperfetto il lavoro. Frattanto a Milano si erano composte le cose in qualche 
ordine ; e là trovò Leonardo in Lodovico di Francia meno improntitudine che nel Soderini e maggior 
liberalità che nel Moro. Dimorò in Vaprio lungo tempo presso il suo amico Melzi e fece le correzioni 
per la prosecuzione del naviglio della Martesana, risalendo l'Adda da Trezzo a Brivio. 3 Eseguì nel 1509 
uno scaricatoio sul Naviglio grande presso San Cristoforo : 4 per le quali cose ebbe in premio da 
Lodovico di Francia dodici once di acqua da estrarsi da detto Naviglio, come già sin dal 1507 aveva 
avuto titolo e stipendio di pittore del re. Queste cose egli ricorda con compiacenza ancora qualche 
tempo dopo, scrivendo da Firenze, dove era venuto nel 15 il per raccorre parte dell'eredità di suo 
zio, morto forse nel 1507. Le sue lettere sono al luogotenente del re, al presidente, a messer Fran- 
cesco Melzi ; 5 ai quali promette che saprà far buon uso delle dodici once di acqua e che porterà 
seco, tornando, due quadri di Nostre Donne fatte per il Cristianissimo. Egli attenne la sua promessa 
poco dopo tornando in Milano, dove gli facevano caro lo stare il credito suo presso il re di Francia, 
1' amicizia del Melzi, le memorie della gioventù e la gloria della quale si vedeva circondato in quella 
città, che aveva abbellita delle sue pitture e giovato con la sua arte regolando il corso delle acque 
del Ticino e dell' Adda. Questi pensieri, che hanno molta forza in tutte le menti umane, possono 
molto più sufi" animo di un vecchio che ha compiuti oramai sessant' anni, che sa di aver fatto assai 
per la gloria e sente venir meno le forze a nuove cose ; e questi gli rendevano tanto cara quella 
dimora, che in nessun altro luogo trovava riposo. 

Ma la riconquista del Milanese, fatta contro i Francesi per riporre in trono lo Sforza, lo tolse 
suo malgrado di là ; o forse anco 1' animo del vecchio si commosse a pensare il grido che avevano 
levato di sè Michelangelo e Raffaello, la fama de' quali anco da lontano sembravagli nocesse alla sua. 
E poiché si sentiva tanto maggiore di loro neh 1 ' intelligenza divina dell' arte, quanto nella pratica essi 
erano "maggiori di lui, partì per Roma il 24 settembre 15 14. 6 Ma la fortuna ama i giovani; ed egli, 



1 Amoretti, pag. 95. 

2 Vedi Gaye, Carteggia, ecc., II, 86 e segg. 

3 Vedi Amoretti, pag. 101. 

4 Trovasi nel codice piccolo Archintiano, pag. 25, 
il disegno con appresso il Naviglio di San Cristoforo 
di Milano, fatto a' dì 3 di marzo 1509. (Amoretti, 
pag. 104). 



5 Amoretti, pag. 109. 

6 Lasciò di ciò memoria nel codice segnato B, pag. 1: 
« Partii da Milano per Roma addì 24 di settembre con 
« Giovanni Franciesco Melzi, Salai Lorenzo e il Fan- 
te foia». E nel codice stesso, accanto ad un disegno, sta 
scritto : « Sulla riva del Po vicino a Sant'Angelo nel 1514 
« addì 27 settembre ». 



se X x v i i i 



COMMENTARIO 



che de' suoi concittadini non ebbe mai troppo a lodarsi, trovò da Leone X in Roma quell'accoglienza 
che da Lorenzo il Magnifico aveva avuta il giovane Leonardo, e poi dal Soderini l' idraulico che 
aveva diretti i lavori dei navigli, il pittore che aveva dipinta la Cena. Narra il Vasari che, essendogli 
allogata un' opera dal papa, Leonardo subito cominciò a stillare olii ed erbe per far la vernice ; e 
che il papa, ciò risapendo, dicesse : Oimè ! costui non è per far nulla, da che comincia a pensare alla 
fine innanzi al principio dell' opera. Del che sdegnatosi Leonardo, tanto più che sapeva essere stato 
chiamato a Roma il Buonarroti, che non gli era amico, se ne partì. I prosperi successi dei Francesi 
in Lombardia richiamarono ben presto Leonardo, il quale tutte le sue speranze aveva poste nella 
corte di Francia e vedeva volentieri gli alti principi del successore di Lodovico. 1 A lui che trionfava 
a Pavia presentò il leone che si fece dinanzi e gli mostrò il petto aperto pieno di gigli ; lui seguì 
a Bologna al congresso con Leone X, di cui forse rammentò allora con compiacenza il superbo 
dispetto, vedendolo vinto e costretto a cercar pace; lui seguì in Francia nel 15 15, quantunque già 
grave di anni e logoro dalle fatiche ; e se non spirò tra le braccia di lui, 2 come narra il Vasari 
e come fu creduto per quasi tre secoli, non è meno vero che l' ospitalità e gli onori ricevuti alla 
corte di Francia gli fecero men grave il morire in terra straniera. Così Francesco I meritò, se non 
ebbe comune coi discepoli di Leonardo, l'onore di raccorre l' ultimo sospiro di quel grande e di 
sostener con le proprie braccia il capo stanco ed onorato. 

Quello che sappiamo dei primi studi del giovane Leonardo si può dedurre quasi interamente 
da alcuni suoi frammenti manoscritti, dove parla di se e delle controversie che gli mossero i dotti di 
allora. Nato in un secolo di eruditi, pei quali tutto ciò che era antico era buono, tutto ciò che gli 
antichi filosofi, e il primo di loro Aristotile, aveano asserito sulle cose naturali, era vero; cominciò ben 
presto a mostrar poco rispetto per questa erudizione, che avrebbe voluto rifar la natura, perchè obbedisse 
ai precetti dei sistemi filosofici allora accettati ; e chiamò questa razza di filosofi trombetti e recitatori 
delle opere altrui. Ma più che con le parole mostrò con gli studi di non volerli tenere in conto veruno ; 
poiché nelle sue opere non cita mai gli autori dai quali ha tratta la cognizione dei fenomeni naturali 
che va descrivendo ; anzi protesta di non conoscerli e di avere osservato da sè. 5 

« Se bene come loro non sapessi allegare li autori, molto maggiore e più degna cosa allegherò 
allegando 1' esperienza maestra ai loro maestri. Costoro vanno schonfiati e pomposi, vestiti e ornati 
non delle loro, ma delle altrui fatiche, e le mie a me medesimo non concedono. Me inventore disprez- 
zano ; quanto maggiormente loro non inventori, ma trombetti e recitatori delle opere altrui dovranno 
essere biasimati ? » 

Proemio. 

« E da essere giudicati e non altramente stimati li omini inventori e interpetri tra la natura e gli omini, 
a comparatione dei recitatori e trombetti delle altrui opere, quanto è dall' obietto fori dello specchio alla 
similitudine dell'obietto apparente nello specchio che lui non per se. . . . niente; giente poco obbligati alla 
natura, perchè sono d'accidental vestiti, e senza il quale potrei accompagnarli infra gli armenti delle bestie » . 

Nè dobbiamo credere per questo che di tutti gli antichi maestri facesse ugual conto che degli 
eruditi loro commentatori, poiché negli studi severi della geometria e della meccanica volle apprendere 
da giovinetto tutto ciò che si sapeva; e dove non gli bastavano i maestri, che spesso confondeva 
con le sue domande e abbandonava ben presto, soccorreva col proprio ingegno. Primo fra i moderni, 
riprese le ricerche di Archimede sul centro di gravità delle figure e sull' equilibrio dei fluidi ; inco- 
minciando di là dove l' antico geometra aveva finito ; disegnando macchine mosse dall' acqua, dall' aria, 
dal vapore, tra le quali rammenteremo soltanto l' idea di applicare il pendolo alla misura del tempo 4 



1 Battaglia di Marignano, 10 di settembre 1515. 

2 II 2 di maggio dell'anno 1519, a Cloux presso Ani- 
boise. 



3 Libri, Histoire des sciences mathèmatiques en Italie, 
t. Ili, pag. 58; nota xxi, pag. 258. 

4 Venturi, Essai, ecc., cit. 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xxxix 



e la forza del vapore alle artiglierie ; 1 dettò più di un secolo e mezzo innanzi al Castelli le più 
compiute e le più esatte teorie d' idraulica. 

Osando un secolo avanti Galileo predicare l' esperienza come sola maestra nello studio dei fenomeni 
naturali ; ammettendo sulla costituzione fisica del globo ipotesi dedotte dalle leggi della fisica meccanica 
e dell' idraulica, combattendo le qualità occulte : rinnovò nella sua mente tutta la filosofia naturale ; 
e solo, senza maestri e senza libri, esplorò un campo ancora intatto, del quale pure con l'intelletto 
prodigioso misurava tutta la estensione e le difficoltà. Ma giovane di trent' anni, ragionando a perdita 
di vista dinanzi a persone gravissime sopra i primi veri e noti principi (come egli stesso si esprime), 
e deducendo conseguenze fuori del comune intendimento, fu cagione che tutti i suoi amici e coloro 
ai quali comunicava il frutto dei suoi studi, ammirassero il suo discorso, ma lo ricevessero piuttosto 
come una vana speculazione di un grande ingegno, che come l' espressione di chi ha sudato cammi- 
nando alla ricerca del vero per una via fino allora non battuta. Tale accoglienza ebbe il disegno 
di metter Arno in canale da Pisa a Firenze, e l' altro col quale più volte a molti cittadini ingegnosi 
che governavano allora Firenze mostrava volere alzare il tempio di San Giovanni e sottomettervi le 
scalee senza minarlo. Questi fatti narrati dal Vasari, il quale nel modo stesso del suo racconto mostra 
di non intendere abbastanza la mente di Leonardo, fanno fede che non si credeva troppo a quegli 
studi, perchè in quel modo non erano soliti studiare coloro che si reputavan sapienti. Onde egli, stanco 
oramai dei loro dotti fastidi, e stanco di passare la vita senza aver dato mano a quasi nulla di grande, 
abbandonava Firenze. La fortuna gli aveva negato di spendere l' opera sua a benefizio della patria, ma 
non poteva torgli la coscienza della sua forza. Arrivato appena in Milano, scriveva al duca la lettera 
che abbiamo riportata. 

Dove avesse imparato tutto quello che egli riferisce, non sappiamo. Sappiamo bene che egli 
poteva mantenere molto più che non promettesse, e che il frutto dei suoi studi apparve ben presto. 
Fondata in Milano l' Accademia Vinciana, scriveva per quella il Trattato della pittura e continuava 
sul canale della Martesana gli studi d' idraulica che aveva incominciati sull'Arno. Due volte si è 
occupato dei canali di quella provincia: nel 149 2 per ordine di Lodovico il Moro, e dal 1507 al 15 10, 
chiamato da Lodovico di Francia. I lavori della seconda volta sembrano più importanti di quelli 
della prima. Diciamo frattanto che i lavori del canale della Martesana, diretti dall' ingegnere Berto- 
lino da Novara dal 1457 al 1460, derivavano le acque dell'Adda sotto il forte di Trezzo e le 
conducevano vicino a Milano. Le acque di questo canale erano vendute per la irrigazione. Nel 1480, 
sfiancatesi le mura ed il suolo, ricaddero nel fiume, onde 200 braccia di canale fu d' uopo di nuovo 
scavare nel sasso. Una conca era stata costruita presso San Marco, col fine di provvedere alla navi- 
gazione del canale, la quale non si era frattanto potuta ottenere. Lodovico il Moro, richiamato 
dall' esilio, suggerì al nipote Giovan Galeazzo il pensiero di rendere navigabile il canale della Martesana, 
e in nome di lui fece in data de' 16 maggio 1483 il decreto per ciò eseguire. 2 Sebbene le venuta 
di Leonardo voglia riferirsi a questo tempo, non è ben certo che a Leonardo fosse affidata la direzione 
dei lavori della Martesana, come non è certo il quando fossero condotti. Sembra però doversi argo- 
mentare che da prima non fossero intrapresi con troppo felice successo. Perchè in alcuni frammenti 
di ricordi presi da Leonardo in una ispezione fatta nel 1492 ai canali di Lombardia per ordine del 
Moro si trova un esame critico delle opere costruite e le correzioni da farsi. Egli dimostra che 
le acque del canale non sarebbero state bastanti a portar navi, se non si ristringeva il canale 
quasi della metà, e che derivando dall' Adda maggior copia di acque poteva anco provvedersi alla 
irrigazione, scavando a lato del Naviglio vene di acqua dalle quali si versasse quella che soprab- 
bondava. La cavatura del Naviglio, la relativa perizia sono notate nei codici di Leonardo. Egli 
disegnò parimente la conca di San Marco, edificio di già esistente; fece l'analisi critica di tutte 

1 Delécluze, Saggio cit., trad. ital., pagg. 181 e 123. 2 Amoretti, pag. 189. 



xl 



COMMENTARIO 



le sue parti; 1 scrisse intorno al moto che ha l'acqua neh" aprire le cateratte al disopra, in mezzo 

disotto; le differenze di livello nel calare o muovere in superfìcie le cadute, i ritrosi, gl'incurvamenti 
delle onde, come si vede nelle conche di Milano ; 2 rilevò i difetti delle conche esistenti e ne propose 

1 ripari. Tutto ciò deve farci credere che egli intendesse i canali del Milanese dover essere in gran 
parte rifatti, e non potremmo asserire o negare che a lui ne fosse affidata allora la cura. Certo che 
le correzioni proposte furono poi fatte, e probabilmente dal 1506 al 15 10, tempo in cui Leonardo 
rimase lungamente in Lombardia, non di altro occupato che di lavori idraulici. Sappiamo che nei 
codici Vinciani leggesi un capitolo intitolato Del canale della Martesana, in cui espone il suo parere 
sul minorare il danno che risulterebbe al Lodigiano per le acque tolte all' irrigamento dei prati a 
favore della navigazione, e che questo capitolo è stato scritto nel 1508. 

L' Oltrocchi vide nel codice Atlantico il disegno delle porte superiori e inferiori delle conche, 
la livellazione fatta da Leonardo, il modo onde provvide all' evasione del Lambro che attraversava 
il canale, i luoghi in cui divisò le conche, con tre delle quali portò l'Adda sul piano del fossato, 
dove non erano ancora portate le acque per la soverchia loro altezza; e con altre due conche diede 
loro sfogo nel vecchio fossato navigabile, per circondare tutta la città, dopo d'avere assicurato il 
perpetuo uguale livello con adattato scaricatoio prima che in esso entrasse. 5 

Le lettere di Lodovico di Francia che richiamano il Vinci da Firenze, riportate dal Gaye, 
sono del 1506. 

A' 5 luglio 1507 scrive dalla canonica di Vaprio, dove aveva ripreso i suoi studi per la navi- 
gazione dell'Adda, intendendo risalirla sino a Brivio. Disegnò il corso dell'Adda, e al fianco del 
disegno notò le misure del lavoro da farsi e su cui computarne le spese: comincia il disegno da 
Brivio e si stende sino all' imboccatura del Naviglio sotto Trezzo. 4 Molti manoscritti di Leonardo 
rimasero lungo tempo dimenticati a Vaprio nella villa Melzi, 5 e sono forse quelli nei quali aveva 
consegnati gli studi più particolari sul corso dell'Adda. Da ciò dobbiamo concludere che il Moro 
non aveva ottenuta la navigazione dell' Adda che col danno dei particolari, ai quali aveva tolto tutte 
le acque che servivano alla irrigazione, e che Leonardo ristrinse il canale, aperse nelle pareti di esso 
sopra un certo livello i bocchelli, di cui parla nelle lettere scritte da Firenze nel 15 11, distribuendo 
e regolando l' oncia dell' acqua, secondo le teorie che egli espone neh" Idraulica. 

Gli ultimi quattro libri dell' Idraulica di Leonardo contengono i risultati delle sue osservazioni 
sul moto delle acque; i primi cinque, le teorie e le speculazioni più sottili della scienza. Noi dobbiamo 
credere che i quattro siano quelli che Leonardo ha scritto nel tempo che dirigeva i lavori d' idraulica 
nella Lombardia, o sieno almeno cavati in gran parte dai ricordi che egli prendeva mano a mano 
che gli si presentavano casi degni di osservazione. Nel sesto e settimo libro, delle rotture fatte 
dall' acqua e delle cose portate dall' acqua, considera i danni dell' acqua contro gli argini, dove essa 
faccia maggiore o minore concavità o rottura per il ristringere degli argini, per il crescere di velocità, 
per il risaltare dell' acqua contro un ostacolo, per l' aumentarsi dell' inclinazione del fondo, per l' ine- 
gualità di esso fondo ; dove cavano il fondo e dove cavano l' argine due acque correnti che s' incontrano ; 
quello che accada dove due fiumi entrano 1' uno nell' altro ; dove cresca e dove si abbassi il letto del 
fiume ; come debba rendersi il terreno ai luoghi scoperti e scorticati dal corso delle acque ; come si 
debba colle acque correnti condurre il terreno dei monti alle valli paludose, e farle fertili, e sanar 
1' aria circostante. 

Tutto ciò che primo Benedetto Castelli ha discorso sulla misura delle acque correnti, era già 
stato registrato da Leonardo nel libro ottavo dell' Idraulica, parlando dell' oncia dell' acqua e delle 



1 Amoretti, pag. 193. 

2 Ivi, pag. 185. 

3 Ivi, pag. 191. 



4 Amoretti, pag. 197. 

5 Libri, pag. 34. 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xli 



canne. Le questioni sulla quantità di acqua da estrarsi dai canali della Lombardia per la irrigazione, 
la giusta distribuzione e la vendita di essa, chiamavano a sè l' attenzione di Leonardo per determinare 
la vera quantità dell'oncia di acqua che esce da una data luce. Abbiamo veduto che di questo si 
era occupato specialmente nel capitolo sul canale della Martesana, e su questo stesso soggetto ritorna 
scrivendo da Firenze al Melzi nel 1 5 1 1 sul regolare i bocchelli del Naviglio. La questione è consi- 
derata sotto gli aspetti più svariati, e si può dire che questo libro è uno dei più importanti del 
Trattato d' idraulica di Leonardo: a questo appartengono alcuni frammenti tratti dai manoscritti di 
Leonardo, riportati dal Venturi nel suo Saggio su Leonardo da Vinci. Le esperienze proposte per 
la risoluzione di tutti i casi che gli si presentano alla mente sono semplici e decisive; esse formano 
modelli eccellenti per chi si dà allo studio delle cagioni dei fenomeni in un campo ancora inesplorato ; 
in esse ha saputo separare ciò che è dovuto a ciascuna cagione negli effetti composti ; per ciascuno 
ha saputo trovare quella esperienza che rende più sensibile la teoria ed aiuta meglio la mente a 
formarsi il più vero e il più giusto concetto di ciò che accade in natura. Mentre nei primi libri le 
esperienze sono messe con severa parsimonia, in questo in cui si trattava di rendere sensibili a tutti 
delle verità che riguardano gl'interessi di tanti, sono moltiplicate. Quantunque dobbiamo giudicare 
in generale che Leonardo avesse un ingegno più vasto e più speculativo, ma meno pratico del 
Castelli, ci pare, nel percorrere questo libro, che egli abbia voluto rendersi facile a tutti, per dare 
una splendida prova che sapeva fare e rovesciare i sistemi con l' ingegno del filosofo, che egli sapeva 
come uomo di scienza applicare il ragionamento e condurre dai principi astratti, dalle ipotesi ardite 
alle loro ultime conseguenze; ma che sapeva egualmente servire alla pubblica utilità, al paragone 
di ogni altro, e sia chi vuole, neh" amministrazione di un ramo cosi importante di ricchezza pubblica 
e privata. In questo considera la quantità dell' acqua che versa da diverse luci, avuto riguardo alla 
altezza dell' acqua al disopra di ciascuna, quando il livello si mantiene costante, alla variazione della 
velocità all' abbassarsi del livello, la misura delle once che si danno nelle bocche delle acque, maggiori 
o minori, secondo la maggiore o minore velocità dell' acqua che per essa bocca passa ; 1 la diversa 
quantità di acqua che danno le stesse luci praticate sulla superficie di uno stesso canale, secondo le 
condizioni del canale ; 2 e non trascura le speculazioni più sottili sulla forma della superficie dell' acqua 



1 «Le misure dell' once che si danno nelle bocche 
« dell'acqua sono maggiori o minori, secondo le maggiori 
« o minori velocità dell'acqua che per essa bocca passa. 
« Doppia velocità dà doppia acqua in un medesimo tempo, 
« e così tripla velocità darà tripla in un medesimo tempo 
«quantità d'acqua, e così successivamente seguirebbe 
«in infinito». (Leonardo, Idratdlca, pag. 424). 

2 « Il moto d'ogni fiume con egual tempo dà in ogni 
«parte della sua lunghezza egual peso d'acqua. E 
« questo accade, perchè, se il fiume, nello sboccamento 
« che fa, scarica un tanto peso di acqua in tanto tempo, 
« necessità vuole, che in luogo dell'acqua scaricata suc- 
« ceda un altrettanto peso d'acqua in altrettanto tempo, 
« quale si muova dalla parte immediatamente antece- 
« dente, e così successivamente in luogo di quest'altra 
« acqua succeda con altrettanto peso, in sintanto che 
«s'arrivi alla prima parte della lunghezza del fiume. 
« Altrimenti, se nello sboccamento si scaricasse maggior 
« somma d'acqua di quella che si trova al principio del 
«fiume, seguirebbe che nel mezzo del canale l'acqua 
«di continuo s'andasse scemando; e per il contrario, 
« se nel medesimo sboccamento passasse minor somma 



« d'acqua di quella che entra al suo nascimento, l'acqua 
« di mezzo crescerebbe continuamente : ma l'uno e l'altro 
« è manifestamente falso. Adunque il moto di ogni fiume 
« con egual tempo dà in ogni parte della sua lunghezza 
«egual peso d'acqua. Due bocche eguali e simili poste 
« nell'argine del fiume d' egual obliquità di fondo, quella 
« verserà più o meno acqua secondochè più o meno 
« crescerai o diminuirai la larghezza di esso fiume . . . . , 
« e tanto quanto accrescerai o diminuirai la larghezza 
« del fiume, tanto minuirai o accrescerai la velocità del 
«suo moto. Il fiume d'egual profondità avrà tanto più 
« fuga nella minor larghezza quanto la maggior larghezza 
« avanza la minore .... se sia un luogo che abbia tre 
« varie larghezze, le quali si contengano insieme, e la 
« prima minor larghezza entri nella seconda quattro 
« volte, e la seconda entri due volte nella terza ; dico 
« che gli uomini che empiranno con le loro persone detti 
« luoghi, quali siano in continuo cammino, quando li 
« uomini del maggior luogo faranno un passo, quelli del 
« secondo minore ne faranno due ». (Loc. cit., pagg. 427, 
428, 429). 



L. da Vinci — Trattato della pittura. 



f 



x 1 i i 



COMMENTARIO 



presso una bocca, ne di ricercare quale acqua dalle diverse parti del canale si muova all' uscita verso 
questa. 1 

I primi cinque libri, come abbiamo già avvertito, contengono solamente la teoria, e sono cavati 
da questi ultimi. Oltre l' usanza che avea Leonardo di far precedere sempre l' esperienza alla teoria, 
noi abbiamo una ragione di più per credere quello che abbiamo asserito, osservando che egli rimanda 
spessissimo nei primi libri del trattato alle proposizioni o alle esperienze degli ultimi. Essi dunque 
sono stati scritti posteriormente. 

La costituzione fisica dell' acqua e della terra, la formazione delle nuvole, 2 il modo in cui riman- 
gono sospese nelle più alte regioni dell' atmosfera, 3 le leggi dell' equilibrio dell' acqua e dell' aria, e 
dei fluidi in generale, la ricerca del centro di gravità della terra e dell' acqua, formano il soggetto 
del primo libro dell' Idraulica di Leonardo. Osservatore acutissimo del modo di operare delle diverse 
forze della natura, le separa e le classifica con una potenza d' analisi unica, e con rigore di deduzione 
pone i principi della filosofia naturale e li spinge alle ultime conseguenze. 

Nel secondo libro riprende più generalmente la teoria e le esperienze proposte neh' ottavo, appli- 
cando al moto delle acque in un canale i principi che servivano alla soluzione dei problemi riguardanti 
la misura dell' acqua che esce da una data luce. Il variare della velocità dell' acqua nelle diverse sezioni 
di un canale, a diverse profondità dalla superficie, avuto riguardo alla natura ed alla obliquità del 
fondo, 4 l' attrito sul fondo 5 e sulle pareti del canale, le esperienze da istituirsi per riconoscere se 



1 « Si dà l'uscita all'acqua vicino alla sua superficie, 
« e si dimanda qual parte di superficie d'acqua piglierà 
« moto più veloce, o più tardo in porger acqua a tale 
« uscita. E per far regola, metterai particole di cose 
« che stiano a nuoto, che sieno uguali, come sono alcune 
« minute semenze di erbe, e metterai in circolo equidi- 
« stante dall'uscita. E nota la prima che capita alla 
« bocca, ferma l'acqua, guarda il circolo, e così ne farai 
« regola. Per vedere qual acqua del vaso è quella che 
«si muove all'uscita del fondo di esso vaso, piglia due 
« piastre di vetri quadri, di un quarto di braccio, e falle 
« vicine 1' una all' altra due coste di coltello con uniforme 
« spazio, e salda li estremi dalli tre lati con la cera ; poi 
« per il quarto lato di sopra l'empi d'acqua chiara, nella 
« quale sieno sparse piccole semenze, le quali sieno 
«nuotanti per tutta l'altezza di tal acqua; dipoi farai 
«un piccolo buco nel fondo, e da' l'uscita a tal acqua, 
«e tieni l'occhio fermo nella faccia del vaso. E cosi il 
« moto della detta semenza ti darà notizia qual è quel- 
« l'acqua, che con più velocità corre all'uscita». (Loc. 
cit., pagg. 413, 418). 

2 « Il caldo dell'elemento del fuoco sempre tira a sè 
« gli umidi vapori, e folte nebbie, e spesse nuvole, i 
« quali spicca dai mari ed altre paludi, e fiumi ed umide 
« valli, e quelle tirando a poco a poco insino alla fredda 
« regione, quella prima parte si ferma, perchè il caldo 
« ed umido non si confonda con il freddo e secco ; onde 
« fermatavisi la prima parte, ivi si assettano le altre 
« parti ; e così aggiungendosi parte con parte si fanno 
« spesse ed oscure nuvole, e spesse sono rimosse e por- 
« tate da' venti di una in un'altra regione, dove per la 
« densità loro fanno sì spessa gravezza che cadono in 
«ispessa pioggia. E se il caldo del sole s'accresce alla 



«potenza dell'elemento, li nuvoli fieno tirati più alto e 
« trovano più freddo, nel quale si diacciano, e causansi 
«tempestose grandini». (Loc. cit., pag. 289). 

3 « Nell'elevazione dei granicoli dell'umido, quel che 
«più s'inalza alla vicinità di tal regione di mezzo più 
« ritarda, quello che lo seguita è più veloce di lui, onde 
« lo raggiunge, e spesso accade che lo percuote di sotto, 
« e si incorpora in lui, e li cresce quantità e peso, e 
«per questo l'aria non potendo sostenerlo dà luogo al 
« suo descenso, il quale percuote tutte le gocciole che 
« gli impediscono il moto del descenso o anche ne incor- 
« pora in sè, ed acquistando gravezza acquista velocità 
« di descenso ; per la quale, poiché sia penetrato tutto 
« il suo nuvolo, in ogni grado di descenso acquisterà 
« grado di diminuzione, e molte fiano le volte che tali 
« granicoli non si condurranno a terra .... L' acqua che 
« cade dal nuvolo alcune volte si risolve in tanta levità 
«per la confregazione che essa ha con l'aria, che essa 
« non può dividere l'aria. ... e spesso si converte in sì 
« minute particole, che essa non può discendere, e così 
«resta in fra l'aria». (Loc. cit., pag. 291). 

4 « Il fiume dritto con egual larghezza e profondità 
« ed obliquità di fondo in ogni grado di moto acquista 
« grado di velocità. Quel fiume è di più veloce corso 
« che men percosso ha il fondo, essendo il fondo sodo 
« e di larghezza uniforme, ed, e converso, quello più 
«tardo che più percosso ha il fondo». (Loc. cit., pa- 
gine 301, 303). 

5 « La corrente è più veloce di sopra che di sotto. 
«Questo accade perchè l'acqua di sopra confina con 
«l'aria, che è di poca resistenza, per esser più lieve 
« dell'acqua; e l'acqua di sotto confina con la terra che 
« è di grande resistenza, per essere immobile e più grave 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



xliii 



la velocità cresce o scema al crescere della profondità, 1 il moto dell' acqua vicino ad una cascata, 2 
la composizione dei movimenti di due acque che corrono insieme sono discussi nel secondo libro. 
Negli altri tre, delle onde dell' acqua, dei ritrosi, dell' acqua cadente, esamina le teorie più complesse 
del moto dei fluidi, separa le questioni che riguardano il moto permanente 3 delle acque, come hanno 
fatto i geometri moderni, osservando che in questo era più facile rendersi conto esatto dei fenomeni 
complessi; e quando anco non giunge alla scoperta delle leggi che le governano, poiché tutto in 
questo studio egli doveva creare, e sino la lingua, traccia la strada che dovrà condurvi, quando lo 
stato della scienza sarà più avanzato, o indica almeno le esperienze più adatte a dare l' idea di ciò 
che accade in natura. 4 Alcune delle note che abbiamo riportate da questi tre libri si trovano con 
poche varianti nei documenti che il Venturi ed il Libri hanno tratti dai manoscritti di Leonardo, 
dove parla degli effetti della forza centrifuga nella formazione dei ritrosi, pone le basi della teoria 
delle onde, 5 pone in confronto i movimenti che accadono neh' acqua e neh' aria, considera le diverse 



«che l'acqua. Li fiumi che si muovono contro li corsi 
« de' venti fiano di tanto maggior corso di sotto che 
« di sopra, quanto la sua superficie si fa più tarda, 
«essendo sospinta da' venti che prima». (Loc. cit., pa- 
gine 304, 305). 

1 «A conoscere se un' acqua corre più di sotto che 
« di sopra. Di una bacchetta che sie di sopra infilata 
« in baga e di sotto in sasso, quella parte che avanza 
« di sopra alla baga, se penderà in verso l'avvenimento 
«dell'acqua, correrà l'acqua più in fondo che sopra, e 
« se detta bacchetta penderà verso il fuggimento del- 
« l'acqua, correrà il fiume più di sopra che di sotto; e 
« se resta dritta la bacchetta, il corso sarà di pari velo- 
« cità di sopra che di sotto». (Loc. cit., pag. 306). 

2 « Dove si vede monti sorgere nelle acque correnti 
« ad uso di bollori, ivi è segno di gran profondità d'acqua, 
« donde tali bollori risultano dopo la percussione che fa 
«l'acqua sopra del fondo». (Loc. cit., pag. 509). 

3 « Giunte insieme le maggiori e le minori tardità 
«delle onde, cioè dell'onda in sè, con la velocità dei 
« suoi lati, e tardità del suo colmo, essa si fa uguale 
« al comune corso del suo fiume. Provasi per la quaran- 
« tesima dell'ottavo, qual dice, che il fiume dà tragitto 
« in ogni parte della sua lunghezza con egual tempo ad 
« egual quantità d'acqua, essendo esso fiume di qua- 
« lunque varietà si sia. Adunque non può l'onda essere 
« più veloce del comun corso del suo fiume, perchè da- 
« rebbe maggior quantità di acqua in una parte del fiume 
«che nell'altra». (Loc. cit., pag. 331). 

4 « Il moto elico ovvero revertiginoso d' ogni liquido 
« è tanto più veloce, quanto egli è più vicino al centro 
« della sua rivoluzione. Questo che noi proponiamo è 
« caso degno d'ammirazione. Conciò sia che il moto cir- 
« colare della ruota è tanto più tardo, quanto egli è più 
« vicino al centro del circonvolubile. È il medesimo moto 
« per velocità e larghezza in ciascuna intera rivoluzione 
« dell' acqua, che sia nella circonferenza del maggior 
« circolo, come nel minore. Per vedere se li retrosi sono 
« più larghi in fondo che di sopra, piglia una bacchetta, 
« e falle quelle alette di tavola, e dàlie tanto peso da 



« piè, che la parte di sotto vada in fondo, e legala con 
« un filo sospesa ad un bastone, e cacciane una parte 
«sott'acqua, e guarda se la parte di sopra nel suo 
«girare si piega o no, e quanto ». (Loc. cit., pa- 
gine 335, 336). 

S « Se getterai in un medesimo tempo due piccole 
« pietre alquanto distanti l'una dall'altra sopra un pe- 
« lago senza moto, tu vedrai causare intorno alle dette 
« due pietre due separate quantità di circoli, le quali 
« quantità accrescendo vengono a scontrarsi insieme. 
«Domando se l'un cerchio, nello scontrarsi con suo 

«accrescimento nell' accrescimento dell' altro Ovve- 

« ramente, se tali loro percussioni risaltano indietro in 
« fra gli angoli eguali. Questo è bellissimo quesito e 
« sottile. AI quale rispondo, che se il moto dell' impres- 
« sione dell' acqua sia accompagnato col moto della me- 
« desima acqua, come occorrerebbe se i circoli fossero 
« cagionati da grandissime percussioni, non è dubbio 
« che ivi creandosi nuovo moto riflesso per la percussione 
« dell'onda, si cagioni avere nuova impressione in modo, 
« che le prime restano distrutte .... ; ma se il moto 
«dell'impressione dell'acqua sia solamente accompa- 
« gnato dall'impeto....; benché apparisca qualche di- 
« mostrazione di movimento, l'acqua non si parte dal 
« suo sito; perchè l'aperture fatte dalle pietre subito si 
« richiusero, e quel moto fatto dal subito aprire e ser- 
« rare dell' acqua fa in lei un certo riscotimento, che si 
« può piuttosto dimandare tremore che movimento. E 
« che quello io dico ti si faccia più manifesto, poni 
« mente a quelle festuche che per loro leggerezza stanno 
« sopra l'acqua, e vedrai che per l'onda fatta sotto loro 
« per l'accrescimento dei circoli non si partono però dal 
« loro sito. Essendo adunque questo tale risentimento 
« di acqua piuttosto tremore che movimento, non si pos- 
« sono, per incontrarsi, rompersi l'un l'altro, perchè 
«avendo l'acqua tutte le sue parti di una medesima 
« qualità, è necessario che le parti attacchino esso tre- 
« more l' un l' altra, senza mutarsi di luogo : perchè stando 
«l'acqua nel suo sito, facilmente può pigliare esso tre- 
« more dalle parti vicine, e porgerlo alle altre vicine, 



x 1 i V 



COMMENTARIO 



sezioni di una vena fluida che esce da uno spiracolo di data forma, l' assottigliarsi dell' acqua nella 
caduta per il crescere della velocità ; 1 e sebbene non giunga alla teoria di Galileo sulla caduta dei 
gravi, indica con bastante esattezza che l' acqua cadente acquista in ogni grado di discesa grado di 
velocità; e percorre ad una ad una tutte le quistioni più spinose di una teoria, che ha esercitato 
successivamente l' ingegno dei più grandi geometri, e ne attende tuttora gli sforzi. 

Il Trattato della pittura, scritto per l'Accademia Vinciana, dimostra quale alto concetto egli si 
facesse dell' arte. Comincia da fissare norme, le quali debbano essere invariabili come i principi di 
una scienza ; e che non possa il pittore dipartirsene senza cadere in errore. 2 Perchè intenda che senza 
di queste la pratica ed il giudizio dei pittori si componga di convenzioni e si pasca di chiacchiere 
e di sogni brutti, falsi e discordi. 3 E per dar ordine a questa pratica, muove francamente la guerra 
a tutto ciò che l' uso ha approvato e che non si vede in natura, alla bassa e servile imitazione di 
ciò che è stato fatto precedentemente con qualche lode, 4 e vuole che il pittore impari soltanto dalla 
natura, e fissi su quella la ragione delle cose imparate. * Il libro terzo è tutto composto in ordine 



« sempre diminuendo per potenza sino al fine. E perchè 
«in tutti i casi del moto dell'acqua è gran conformità 
«coli' aria, io allegherò per esempio l'aria; nella quale, 
« benché le voci che la penetrano si partano con circo- 
«lari movimenti dalle loro cagioni, niente di meno li 
« circoli mossi da diversi principj si penetrano insieme 
«senza alcun movimento, e passano e penetrano l'un 
« l'altro, mantenendo sempre per centro le loro cagioni ». 
(Loc. cit., pag. 320). 

1 «Per esperimentare la proporzione degl'intervalli 
«del discenso dell' acqua d' eguali ed uniformi pesi, sia 
«posta in piedi per linea perpendicolare l'asse U, e 
« sia con terra mista con cimatura bene interrata ; alla 
«quale sia congiunta ad uso di libro l'asse OP, e si 
« possa serrare subito con due corde .... et nell' estremo 
«di essa asse interrata sia messo il pie d'una cerbot- 
« tana stoppata da piè, e piena di pallotte di ugual peso 
« e figura ; poi ferma bene la cerbottana, e l'asse inter- 
« rata subito lascia andare il contrappeso, e le due asse 
« si serreranno, e le pallotte che cadevano tutte si fic- 
« cheranno in essa terra, e potrai poi misurare la pro- 
« porzione della varietà delli loro intervalli : e se vorrai 
« vedere il discenso dell'acqua, fa far il simile al miglio 
« uscito dal moggio .... Se in tal parte del suo descenso 
« non si assottigliasse per la metà del suo nascimento, 
« e oltre a questo non si facesse il doppio più veloce, 
« seguiterebbe che in due tanti tempi s'empirebbe un 
« vaso in tale assottigliamento che non farebbe al suo 
« nascimento , e questo sarebbe impossibile , perchè 
« l'acqua che di sopra si versasse in un'ora, non capite- 
« rebbe in tal sito dove essa si assottiglia per metà in 
« ispazio di due ore. Onde sarebbe necessario che tal 
« acqua se ne andasse in fumo ; o veramente si molti- 
« plicasse al continuo in varie torture : e questo in espe- 
« rienza non si vede. E se tu volessi dire che l'acqua 
«che discende fosse d'uniforme grossezza, a questo si 

« responderebbe che essendo la detta acqua più 

« veloce nel fine che nel principio, verbigrazia diciamo 
«il doppio, due tanti più d'acqua capitasse al fine del 



«descenso, che quello che di sopra si versa: la qual 
« cosa non può stare in natura. Necessaria cosa è che 
«l'acqua che cade con continuo discenso in fra l'aria 
« sia di figura piramidale, ancora che sempre esca da 
« una medesima grossezza di canna. E la ragione si è, 
« che la qualità del descenso non sia di eguale velocità, 
« come si è detto ; imperocché quella che più è caduta, 
« più si fa sottile, e quella che non cade, fa l'opposito. 
« Adunque se tu gittassi pallotte di piombo di eguali 
« spazj, essi non osserverebbero eguali spazj infi-a loro, 
« anzi anderebbero diminuendo inverso l'altezza con con- 
« tinua diminuzione». (Loc. cit., pagg. 364, 365). 

2 « La scienza non pasce di sogni li suoi inve- 
« stigatori : ma sempre sopra li primi veri e noti 
« principj procede successivamente ». [Trattato della 
pittura) . 

3 « Studia prima la scienza, e poi la pratica nata da 
« essa scienza. Che sempre dove manca la ragione, sup- 
« pliscono le grida : la qual cosa non accade nelle cose 
« certe » . 

4 « Nessuno dee imitare la maniera di un altro, perchè 

« sarà detto nipote e non figliuolo della natura Vedi 

« le attitudini degli uomini nei loro accidenti, senza che 
« essi si avveggano che li consideri .... E quelle noterai 
« con brevi segni in un tuo piccolo libretto, e serberai 
« come tuoi autori e maestri ». 

5 « Pittore che desideri grandissima pratica, hai da 
« intendere, che se tu non la fai sopra buon fondamento 
« delle cose naturali, farai opera con assai poco onore, 
«e men guadagno; e se la farai buona, l'opere tue 
« saranno molte e buone, con tuo grande onore e utilità. 
« Quella pittura è più laudabile, la quale ha più confor- 
« mità con la cosa imitata .... Questo paragone è a 
« confusione di quei pittori, i quali vogliono raccon- 

« ciare le cose di natura ; la quale usanza è tanto 

« penetrata e stabilita nel lor corrotto giudizio, che fan 
« credere lor medesimi che la natura, o chi imita la na- 
« tura, faccia grandissimi errori a non fare come essi 
« fanno ». 



ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



al trattato del moto locale e all' anatomia, ai quali lavorava contemporaneamente. Egli descrive come 
si comportano gli uffici delle diverse membra e dei muscoli del corpo umano, e come i loro movimenti 
si eseguiscano secondo le leggi della meccanica; come debbano disporsi attorno al centro di gravità, 
perchè 1* azione che il pittore vuole rappresentare mostri effetto. 1 Alla semplicità e alla esattezza delle 
espressioni si riconosce facilmente nel pittore lo scienziato, che il primo, dopo Archimede, si occupava 
in meccanica della ricerca del centro di gravità delle figure, ritrovava innanzi al Maurolico e al 
Commandino il centro di gravità della piramide, conosceva la teoria del piano inclinato e delle forze 
applicate obliquamente alla leva. Se noi avessimo tuttora il trattato sul moto locale e delle percus- 
sioni, opera inestimabile, al dir del Paciolo, noi vedremmo che dopo aver cominciato nella scienza 
dell' equilibrio, dove avevano finito gli antichi maestri, forse poneva innanzi al Galileo i fondamenti 
della dinamica: e se a lui occupato in tanti studi e così vari mancava talora il tempo di ridurre il 
concetto suo ad una dimostrazione rigorosa, non mancava la mente per discernere quale di ogni 
fenomeno sia la cagione. Il sesto libro, degli alberi e delle verdure, è un trattato di fisiologia vegetale 
tanto perfetto, quanto lo permettevano le cognizioni d' allora. 2 Quando egli parla di colori e della 
prospettiva aerea e della visione, mostra che nessuno meglio di lui ne conosceva la teoria, e indica 
che, formandosi l' immagine di un oggetto in due modi diversi per i due occhi di un osservatore, perchè 
il quadro mostrasse lo stesso rilievo del vero bisognerebbe che le due immagini si soprapponessero. 
Non ha guari la esperienza ha confermato le asserzioni di Leonardo; e questo è un nuovo elogio 
dovuto a colui che innanzi al Porta ha descritto la camera ottica. Poiché tutti conoscono il Trattato 
della pittura, e ad ogni modo sarebbe impossibile analizzarlo, basterà accennare che egli dalle regole 
generali, nelle quali compendia intero il suo concetto, ai minuti particolari che va ricercando con una 
forza di analisi da non aver paragone alcuno, mostra tanta superiorità d' idee e tanta potenza d' intel- 
letto, da non sperare che mai non sia chi l' agguagli nel sentimento dell' arte. 

Il Libri e il Venturi, che hanno potuto esaminare gran parte dei manoscritti di Leonardo, hanno 
reso nei loro eccellenti scritti il più esatto conto delle opere sue. Noi non possiamo che rammentare 



1 « Ricordo a te, pittore, che nel movimento che tu 
« fingi essere fatto dalle tue figure, che tu scopra quelli 
« muscoli, li quali soli si adoprano nel moto ed azione 
« della tua figura. E quel muscolo, il quale più è ado- 
« perato, più si manifesti ; e quello che è meno adoperato, 
« meno si spedisca ; e quello che nulla è adoperato, resti 
« lento e molle, e con poca dimostrazione. E per questo 
«ti persuadi a intendere l'anatomia dei muscoli, corde 
« ed ossi, senza la quale poco farai .... per sapere nei 
« diversi movimenti e forze, qual nervo o muscolo è di 
« tal movimento cagione, e solo far quelli evidenti a 
« questi ingrossati, e non gli altri per tutto : come molti 
« fanno, che per parere gran disegnatori fanno i loro 
« nudi legnosi e senza grazia, che paiono a vederli un 
« sacco di noci più che superficie umane, o pure un fascio 
« di ravani piuttosto che muscolosi nudi. Sempre il peso 
«dell'uomo che posa sopra una sola gamba sarà diviso 
« con equal parte opposta sopra il centro della gravità 
«che sostiene. L'estensione del braccio raccolto muove 
«tutta la ponderazione dell'uomo sopra il suo piede, 
« sostentacelo del tutto, come si mostra in quello che 
«con le braccia aperte va sopra la corda senz'altro ba- 
« stone. — Dell'uomo che porta un peso sopra le sue 
« spalle. — Se tutto il peso dell'uomo e del peso da lui 



« portato non fosse diviso con egual somma sopra il 
« centro della gamba che posa, sarebbe necessità che 
« tutto il composto rovinasse ; ma la necessità provvede 
«che tanta parte del peso naturale dell'uomo si getta 
« su un dei lati, quanta è la quantità del peso acciden- 
« tale che si aggiunge dall'opposto lato». 

2 f Sulle osservazioni botaniche fatte da Loonardo si 
possono leggere alcuni capitoli del suo Trattato della 
pithera. È da vedere a questo proposito un articolo 
del signor Gustavo Uzielli inserito nel Nuovo Giornale 
Botanico, num. I, marzo 1869, stampato in Firenze. In 
questo articolo si vuol dimostrare che Leonardo fu il 
primo che abbia indicato in modo preciso le varie leggi 
della Fillotassi; che a lui parimenti si deve l'osserva- 
zione circa al modo di riconoscere l'età d'un albero dal 
numero de' cerchi concentrici del suo fusto e la posizione 
sua dalla eccentricità di essi cerchi, e come annualmente 
si accresca la scorza dell'albero. Nel già citato Saggio 
delle opere di Lionardo è da leggere un bello e dotto 
scritto del prof. Gilberto Govi, nel quale, coli' aiuto 
in gran parte de' disegni del codice Atlantico, si fa 
rilevare quel che Leonardo ha ricercato e scritto più 
specialmente sopra alcuni problemi di fisica e di mec- 
canica. 



xlvi 



COMMENTARIO ALLA VITA DI LEONARDO DA VINCI 



le sue ricerche sulla chimica, sull' ottica, sulla meteorologia, sulla geologia, nelle quali mostra sempre 
lo stesso acume di osservazione e si accosta sì spesso alla scoperta del vero. 

Non ostante, più temuto, per quelle che dicevansi le sue arti segrete, che riverito per la sua 
scienza, morì negletto in terra straniera; i suoi ricordi furono dimenticati, il frutto dei suoi studi 
rimase lungo tempo ravvolto nell' oscurità, nessuno dei suoi trattati fu pubblicato lui vivente, e il 
tesoro della scienza portata a così alto grado di perfezione cadde dalle sue mani senza trovare chi 
allora lo raccogliesse. 




PROSPETTO CRONOLOGICO 

DELLA VITA E DELLE OPERE DI LEONARDO DA VINCI. 



1452. Nasce Leonardo in Vinci. 

1472. E scritto nel Libro Rosso de' debitori e creditori della Compagnia de' Pittori di Firenze. 
1476. Stava tuttavia nella bottega del Verrocchio. 

1478, 1° gennaio. Gli è allogata a dipingere la tavola per l'altare della cappella della Signoria. 
1478, 16 marzo. Riceve in acconto per la detta pittura 25 fiorini d'oro. 

1480, marzo. I frati di San Donato a Scopeto gli danno a fare la pala o ancona dell'aitar maggiore 
della loro chiesa. 

1483. Sino a quest'anno incirca, Leonardo dimora in patria, occupato nella pittura. La Rotella, 
la Medusa, il Nettuno per Antonio Segni, il cartone d' Adamo e d' Eva, furono fatti in 
quel tempo. 

1483 (?). Leonardo va in cerca di ventura presso Lodovico Sforza detto il Moro, reggente del ducato 
di Milano. 

1483-1489, e così nei primi anni del suo soggiorno in Milano. Fa il ritratto di Cecilia Gallerani e 

di Lucrezia Crivelli, amate da Lodovico il Moro. 1 
1487. Fa un modello per la cupola del duomo di Milano. 

1489 (?). Costruisce un congegno di carrucole e di corde, per trasportare in più venerabile e sicuro 
luogo, cioè nell' ultima arcata della nave di mezzo del duomo di Milano, la sacra reliquia 
del santo Chiodo. 

1489. Dirige gli spettacoli dati per le nozze del duca Gian Galeazzo con Isabella d'Aragona. 

1490. Fa l'apparecchio degli spettacoli per le nozze di Lodovico il Moro con Beatrice d' Este. 

1490. 23 aprile. Comincia il libro Della luce e delle ombre, e ricomincia il modello del cavallo, 

ossia la statua equestre di Francesco I Sforza. 

1491. Ordina la festa della giostra di Galeazzo Sanseverino. 

1492. Fa degli studi per render navigabile il canale della Martesana da Trezzo a Milano. 

1492. È occupato a dirigere gli ornati e a dipingere egli stesso le sale della rócca dove Lodovico 
il Moro abitava. 

1492. Fa il bagno per la duchessa Beatrice nel parco del castello. 

1 La Gallerani fu maritata al conte Lodovico Perga- in Milano presso i marchesi Bonesana. — L'Amoretti 
mino. Nel secolo passato questo ritratto vedevasi ancora vide in Milano, presso un mercante di vino, una tavola 



xlviii 



PROSPETTO CRONOLOGICO 



1492. Quadro con Nostra Donna, il Putto, san Giovanni e san Michele, che ammirasi in casa Sanvitale 

a Parma, dove è scritto: Lionardo Vinci fece. 1492. 

1493. Attende al modello della statua equestre di Francesco I Sforza. 1 

1494. Immagina un'allegoria per il duca Lodovico. 

1495. Fa i ritratti di Lodovico il Moro, della moglie e de' figliuoli nel Calvario dipinto in fresco 

dal Montorfano nel refettorio del convento delle Grazie a Milano. 

1496. Fa le figure, in numero di sessanta, nel trattato De divina proportione di Fra Luca Paciolo, 

che fu poi pubblicato nel 1509. 
1496 (?). Tavola con la Natività di Nostra Donna, mandata dal duca di Milano in dono all' imperatore. 
1496. Dipinge il Cenacolo nel refettorio delle Grazie a Milano. 

1498. Era sempre nel numero degli uomini virtuosi che frequentavano la corte di Lodovico il Moro. 2 

1499. Riceve in dono dal duca Lodovico sedici pertiche d'una vigna, recentemente comperata dal 

monastero di San Vittore presso porta Vercellina. 
1499- 15 00. Parte con Luca Paciolo alla volta di Firenze. 

1500 (?). La forma della statua equestre di Francesco I Sforza, intorno alla quale Leonardo avea 
consumato sedici anni continui, è rovinata, fatta bersaglio a' balestrieri guasconi, quando i 
Francesi entrarono in Milano. 

1500. Va a Venezia. 

1500 (?). Tornato a Firenze, fa i ritratti di madonna Lisa del Giocondo e di Amerigo Benci. Studia 
il modo di render navigabile 1' Arno da Firenze a Pisa. 

1501. Dipinge per il segretario Robertet una tavoletta con la Madonna. 

1501, 29 luglio. Leonardo, con istrumento dove è detto pittore e scultore, fatto in Firenze, dichiara 

d' aver ricevuto da Pietro di messer Giovanni de Oreno, milanese, il canone di un anno del 
fitto d' un pezzo di terra posto presso porta Vercellina di Milano. 

1502. Dal duca Valentino ha la patente di suo architetto e ingegnere generale in Romagna. 
1502, 30 luglio. Era a Urbino, ove disegnò una colombaia, una scala a varie entrate e la fortezza. 
1502, i° agosto. E a Pesaro. 

1502, 8 agosto. A Rimini. 
1502, 11 agosto. A Cesena. 

1502, 6 settembre. Al Cesenatico, e disegnane il porto. Dall'Emilia torna in patria; poi viaggia 

nella parte meridionale della Toscana. 
I 5°3> 2 5 gennaio. È tra gli artefici chiamati a dire il loro parere sul luogo più conveniente dove 
porre il David di Michelangelo. 

1503, 23 luglio. Si trova nel campo sotto Pisa, per consultare sul disegno di un'opera da farsi per 
volgere il corso dell' Arno. 

1 503-1 504. Si trova scritto a fog. 93 tergo del Libro Rosso de' debitori e creditori della Compagnia 
de' Pittori, sopra citato. 

1 503-1505. Cartone della battaglia d' Anghiari e cominciamento della pittura nella sala del Consiglio. 



con Nostra Donna e il Putto sedente in atto di bene- 
dire una rosa. Vi si leggeva il nome di Cecilia, in due 
versi riuniti, cosi : 

Per Cecilia qual te orna lauda e adora 

El tuo unico figliolo o beata Virgene et ora. 

Leonardo dopo ritrasse la Cecilia anche un' altra volta, 
ed era posseduta dai Pallavicini di San Calocero. (Amo- 
retti, Memorie storiche di Leonardo da Vinci, ecc., pa- 
gine 38, 39, 80, 165). 



1 II modello fu finito, ed esposto sotto un arco di 
trionfo nella piazza di Castello, nelle nozze di Bianca 
Maria Sforza (nipote di Lodovico il Moro) coli' imperatore 
Massimiliano. (Amoretti, Mem. storiche cit., pag. 49). 

2 Compiuta la pittura del Cenacolo, si dette a com- 
porre l'opera 'del moto locale, delle percussioni e dei 
pesi, avendo già con tutta diligenza al degno libro della 
pittura e de' movimenti umani posto fine. Così Luca 
Paciolo. (Ivi, pag. 84). 



DELLA VITA E DELLE OPERE DI LEONARDO DA VINCI 



x 1 i X 



1504. 9 luglio. Muore ser Piero da Vinci, suo padre. 

1505. E sempre in Firenze. 

1506. In compagnia d'altri architetti dà il suo parere sopra la chiesa di San Salvadore, che minac- 

ciava rovina, e sopra il modo di rifare il campanile di San Miniato al Monte. 

1506, 30 maggio. Leonardo, egregio pittore e cittadino fioreiztino, promette da quel giorno a tre mesi 

prossimi futuri si sarebbe presentato personalmente in Firenze dinanzi de' Magnifici Priori, 
alla pena, mancando, di 150 fiorini d'oro in oro. 

1507. Muore Francesco suo zio. Torna a Firenze. Due quadri con Nostra Donna, cominciati a Firenze, 

e condotti ad assai buon punto. 
1507, 27 aprile. Lo Chaumont ordina che sia restituita a Leonardo la vigna donatagli da Lodovico 
il Moro. 

1507, 15 agosto. Lettera dello Chaumont alla Signoria di Firenze, in raccomandazione di Leonardo 
partito per Firenze, perchè voglia sollecitare la spedizione della sua causa contro i fratelli. 

1507, 18 settembre. Leonardo scrive da Firenze al cardinale Ippolito d' Este per questa medesima 
cagione. 

1507. ottobre. Era tornato a Milano. Suoi lavori idraulici. 

1508. Scrive un capitolo intitolato: Del canale della Martesana. 

1509. Compie lo scaricatoio del Naviglio di San Cristoforo di Milano. 

1509. Ha in dono dal re di Francia dodici once d'acqua da estrarsi dal Naviglio grande in vicinanza 
di San Cristoforo. 

1509. Probabilmente fa l'apparato per l'ingresso trionfale in Milano di Luigi XII. Forse in quest'anno 

stesso fa il ritratto di Giangiacomo Trivulzio, citato dal Lomazzo: Trattato della pittura, 
lib. VII, cap. xxv. 

15 10. 21 ottobre. Interviene con vari architetti ad un consiglio per esaminare i miglioramenti che 

si potessero fare nella fabbrica della cupola del duomo di Milano. 

151 1. È in Firenze a cagion della lite co' suoi fratelli, per la eredità di Francesco suo zio. 

1 5 1 2. Torna a Milano. 

15 13. Nell'ottobre trovasi di nuovo in Firenze. 

15 14. 24 settembre. Parte da Milano per Roma con Giovanni (Beltraffio?), Francesco Melzi, Lorenzo 

(del Faina?) e il Fanfoia. 
1 5 1 4. Va a Roma con Giuliano de' Medici ad assistere alla incoronazione di Leone X. Dipinge ivi 

due quadretti per Baldassarre Turini da Pescia, datario di Leone X. Uno di questi si dice 

nella galleria di Dusseldorf. 
15 14. È a Parma. 

15 14, di dicembre. Nuovamente è a Firenze. 

15 15. A quest'anno riferisce l'Amoretti la figura del leone fatto in Pavia da Leonardo, che camminò 

per la sala, fermossi dinanzi a Francesco I di Francia, e apertosi il petto lo mostrò tutto 
pieno di gigli. 

1 5 1 5 , di dicembre. Si trova a Bologna nell'occasione del concordato fatto in quella città tra Fran- 
cesco I e Leone X. 

1515. Ivi disegna il ritratto di Artus, maestro di camera del re. 

15 16, sul finire del gennaio. Va in Francia con Francesco I, in qualità di pittore del re, con lo 

stipendio di 700 scudi all'anno. 

15 18, 22 aprile. Fa testamento a Cloux presso Amboise. 

15 19, 2 maggio. Muore. 



L. da Vinci — Trattato della pittura. 



TRATTATO DELLA PITTURA 

DI 

LEONARDO DA VINCI 



PARTE PRIMA. 



i. Se la pittura è scienza o no. 

Scienza è detto quel discorso mentale il quale ha origine 
da' suoi ultimi principi, de' quali in natura nuli' altra cosa si 
può trovare che sia parte di essa scienza, come nella quantità 
continua, cioè la scienza di geometria, la quale, cominciando 
dalla superficie de' corpi, si trova avere origine nella linea, 
termine di essa superficie ; ed in questo non restiamo satisfatti, 
perchè noi conosciamo la linea aver termine nel punto, ed il 
punto esser quello del quale nuli' altra cosa può esser minore. 
Adunque il punto è il primo principio della geometria; e 
niuna altra cosa può essere nè in natura, nè in mente umana, 
che possa dare principio al punto. Perchè se tu dirai nel con- 
tatto fatto sopra una superficie da un' ultima acuità della punta 
dello stile, quello essere creazione del punto, questo non è 
vero ; ma diremo questo tale contatto essere una superficie che 



4 LEONARDO DA VINCI [§ i 

circonda il suo mezzo, ed in esso mezzo è la residenza del punto, e tal punto non è 
della materia di essa superfìcie, nè lui, nè tutti i punti dell' universo sono in potenza 
ancorché sieno uniti, nè, dato che si potessero unire, comporrebbero parte alcuna d'una 
superficie. E dato che tu t' immaginassi un tutto essere composto da mille punti, 
qui dividendo alcuna parte da essa quantità di mille, si può dire molto bene che tal 
parte sia eguale al suo tutto. E questo si prova con lo zero ovver nulla, cioè la decima 
figura dell' aritmetica, per la quale si figura un O per esso nullo ; il quale, posto dopo 
la unità, le farà dire dieci, e se ne porrai due dopo tale unità, dirà cento, e così infi- 
nitamente crescerà sempre dieci volte il numero dov' esso si aggiunge ; e lui in sè 
non vale altro che nulla, e tutti i nulli dell' universo sono eguali ad un sol nulla 
in quanto alla loro sostanza e valore. Nessuna umana investigazione si può diman- 
dare vera scienza, se essa non passa per le matematiche dimostrazioni ; e se tu 
dirai che le scienze, che principiano e finiscono nella mente, abbiano verità, questo 
non si concede, ma si nega per molte ragioni ; e prima, che in tali discorsi mentali 
non accade esperienza, senza la quale nulla dà di sè certezza. 

; 2. Esempio e differenza tra pittura e poesia. 

Tal proporzione è dalla immaginazione all' effetto, qual è dall' ombra al corpo 
ombroso, e la medesima proporzione è dalla poesia alla pittura, perchè la poesia 
pone le sue cose nella immaginazione di lettere, e la pittura le dà realmente fuori 
dell' occhio, dal quale occhio riceve le similitudini, non altrimenti che s' elle fossero 
naturali, e la poesia le dà senza essa similitudine, e non passano all' impressiva per 
la via della virtù visiva come la pittura. 

3. Quale scienza è più utile, ed in che consiste la sua utilità. 

Quella scienza è più utile della quale il frutto è più comunicabile, e così per 
contrario è meno utile quella eh' è meno comunicabile. La pittura ha il suo fine comu- 
nicabile a tutte le generazioni dell' universo, perchè il suo fine è subietto della virtù 
visiva, e non passa per l' orecchio al senso comune col medesimo modo che vi 
passa per il vedere. Adunque questa non ha bisogno d' interpreti di diverse lingue, 
come hanno le lettere, e subito ha satisfatto all' umana specie, non altrimenti che 
si facciano le cose prodotte dalla natura. E non che alla specie umana, ma agli 
altri animali, come si è manifestato in una pittura imitata da un padre di famiglia, 
alla quale facean carezze i piccioli figliuoli, che ancora erano nelle fasce, e simil- 
mente il cane e la gatta della medesima casa, eh' era cosa maravigliosa a considerare 
tale spettacolo. 

La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza le opere di natura, 
che non fanno le parole o le lettere, ma le lettere rappresentano con più verità 



a 4] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 5 

le parole al senso, che non fa la pittura. Ma dicemmo essere più mirabile quella 
scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta le opere 
dell' operatore, cioè le opere degli uomini, che sono le parole, com' è la poesia, e 
simili, che passano per la umana lingua. 

4. Delle scienze imitabili, e come la pittura è inimitabile, però è scienza. 

Le scienze che sono imitabili sono in tal modo, che con quelle il discepolo si 
fa eguale all' autore, e similmente fa il suo frutto ; queste sono utili all' imitatore, 
ma non sono di tanta eccellenza, quanto sono quelle che non si possono lasciare 
per eredità, come le altre sostanze. Infra le quali la pittura è la prima; questa non 
s' insegna a chi natura noi concede, come fan le matematiche, delle quali tanto 
ne piglia il discepolo, quanto il maestro gliene legge. Questa non si copia, come 
si fa le lettere, che tanto vale la copia quanto l'origine. Questa non s'impronta, come 
si fa la scultura, della quale tal è la impressa qual è l'origine in quanto alla virtù 
dell' opera. Questa non fa infiniti figliuoli come fa i libri stampati ; questa sola si 
resta nobile, questa sola onora il suo autore, e resta preziosa e unica, e non partorisce 
mai figliuoli eguali a sè. E tal singolarità la fa più eccellente che quelle che per 
tutto sono pubblicate. Ora, non vediamo noi i grandissimi re dell'Oriente andare 
velati e coperti, credendo diminuire la fama loro col pubblicare e divulgare le loro 
presenze? Or, non si vede le pitture rappresentatrici le immagini delle divine deità 
essere al continuo tenute coperte con copriture di grandissimi prezzi? E quando si 
scoprono, prima si fanno grandi solennità ecclesiastiche di vari canti con diversi 
suoni. E nello scoprire, la gran moltitudine de' popoli che quivi concorrono, imme- 
diate si gittano a terra, quelle adorando e pregando per cui tale pittura è figurata, 
dell' acquisto della perduta sanità e della eterna salute, non altrimenti che se tale 
idea fosse lì presente ed in vita. Questo non accade in nessuna altra scienza od 
altra umana opera, e se tu dirai questa non esser virtù del pittore, ma propria 
virtù della cosa imitata, si risponderà che in questo caso la mente degli uomini 
può satisfare standosi nel letto, e non andare ne' luoghi faticosi e pericolosi, ne' pelle- 
grinaggi, come al continuo far si vede. Ma se pure tali pellegrinaggi al continuo 
sono in essere, chi li muove senza necessità? Certo tu confesserai essere tale simu- 
lacro, il quale far non può tutte le scritture che figurar potessero in effigie e in virtù 
tale idea. Adunque pare eh' essa idea ami tal pittura, ed ami chi 1' ama e riverisce, 
e si diletti di essere adorata più in quella che in altra figura di lei imitata, e per 
quella faccia grazie e doni di salute, secondo il credere di quelli che in tal luogo 
concorrono. 



6 



LEONARDO DA VINCI 



5. Come la pittura abbraccia tutte le supérficie de' corpi, ed in quelli 
si estende. 

La pittura sol si estende nella superficie de' corpi, e la sua prospettiva si estende 
nell' accrescimento e decrescimento de' corpi e de' lor colori ; perchè la cosa che si 
rimuove dall' occhio perde tanto di grandezza e di colore quanto ne acquista di 
remozione. Adunque la pittura è filosofia, perchè la filosofia tratta del moto aumen- 
tativo e diminutivo, il quale si trova nella sopradetta proposizione ; della quale faremo 
il converso, e diremo : la cosa veduta dall' occhio acquista tanto di grandezza e 
notizia e colore, quanto ella diminuisce lo spazio interposto infra essa e l'occhio 
che la vede. 

Chi biasima la pittura, biasima la natura, perchè le opere del pittore rappre- 
sentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia di 
sentimento. 

Si prova la pittura esser filosofia perchè essa tratta del moto de' corpi nella 
prontitudine delle loro azioni, e la filosofia ancora lei si estende nel moto. Tutte 
le scienze che finiscono in parole hanno sì presto morte come vita, eccetto la sua 
parte manuale, cioè lo scrivere, eh' è parte meccanica. 

6. Come la pittura abbraccia le superficie, figure e colori de' corpi 
naturali, e la filosofia sol s' estende nelle lor virtù naturali. 

La pittura si estende nelle superficie, colori e figure di qualunque cosa creata 
dalla natura, e la filosofia penetra dentro ai medesimi corpi, considerando in quelli 
le lor proprie virtù, ma non rimane satisfatta con quella verità che fa il pittore, 
che abbraccia in sè la prima verità di tali corpi, perchè 1' occhio meno s' inganna. 

7. Come l'occhio meno s'inganna ne' suoi esercizi, che nessun altro 
senso, in luminosi, o trasparenti, ed uniformi, e mezzi. 

L' occhio nelle debite distanze e debiti mezzi meno s' inganna nel suo ufficio 
che nessun altro senso, perchè vede se non per linee rette, che compongono la 
piramide che si fa base dell' obietto, e la conduce ad esso occhio, come intendo 
provare. Ma l' orecchio forte s' inganna ne' siti e distanze de' suoi obietti, perchè 
non vengono le specie a lui per rette linee, come quelli dell' occhio, ma per linee 
tortuose e riflesse, e molte sono le volte che le remote paiano più vicine che le 
propinque, mediante i transiti di tali specie ; benché la voce di eco sol per linee 
rette si riferisce ad esso senso ; l' odorato meno si certifica del sito donde si causa un 
odore; ma il gusto ed il tatto, che toccano l'obietto, han soli notizie di esso tatto, 



aio] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 7 

8. Come chi sprezza la pittura non ama la filosofia, nè la natura. 

Se tu sprezzerai la pittura, la quale è sola imitatrice di tutte le opere evidenti 
di natura, per certo tu sprezzerai una sottile invenzione, la quale con filosofica e 
sottile speculazione considera tutte le qualità delle forme: mare, siti, piante, animali, 
erbe, fiori, le quali sono cinte di ombra e lume. E veramente questa è scienza e 
legittima figlia di natura, perchè la pittura è partorita da essa natura ; ma per dir 
più corretto, diremo nipote di natura, perchè tutte le cose evidenti sono state par- 
torite dalla natura, dalle quali cose è nata la pittura. Adunque rettamente la chia- 
meremo nipote di essa natura e parente d' Iddio. 

9. Come il pittore è signore d'ogni sorta di gente e di tutte le cose. 

Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all'uomo, 
perciocché s' egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di 
generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino, o che sieno buffonesche 
e risibili, o veramente compassionevoli, ei n' è signore e creatore. E se vuol gene- 
rare siti deserti, luoghi ombrosi o freschi ne' tempi caldi, esso li figura, e così luoghi 
caldi ne' tempi freddi. Se vuol valli, il simile; se vuole dalle alte cime di monti sco- 
prire gran campagna, e se vuole dopo quelle vedere 1' orizzonte del mare, egli n' è 
signore; e così pure se dalle basse valli vuol vedere gli alti monti, o dagli alti monti 
le basse valli e spiaggie. Ed in effetto ciò che è nell' universo per essenza, presenza 
o immaginazione, esso lo ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono di 
tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata armonia in un solo 
sguardo qual fanno le cose. 

10. Del poeta e del pittore. 

La pittura serve a più degno senso che la poesia, e fa con più verità le figure delle 
opere di natura che il poeta, e sono molto più degne le opere di natura che le parole, 
che sono opere dell' uomo ; perchè tal proporzione è dalle opere degli uomini a quelle 
della natura, qual è quella eh' è dall'uomo a Dio. Adunque è più degna cosa l'imitar 
le cose di natura, che sono le vere similitudini in fatto, che con parole imitare i fatti 
e le parole degli uomini. E se tu, poeta, vuoi descrivere le opere di natura colla tua 
semplice professione, fingendo siti diversi e forme di varie cose, tu sei superato dal 
pittore con infinita proporzione di potenza; ma se vuoi vestirti delle altrui scienze 
separate da essa poesia, elle non sono tue, come astrologia, rettorica, teologia, filo- 
sofia, geometria, aritmetica e simili; tu non sei allora poeta, tu ti trasmuti, e non sei 
più quello di che qui si parla. Or non vedi tu, che se tu vuoi andare alla natura, 



8 LEONARDO DA VINCI [§ io 

tu vi vai con mezzi di scienze fatte d' altrui sopra gli effetti di natura, ed il pittore 
per sè senza aiuto di scienza o d' altri mezzi va immediate alla imitazione di esse 
opere di natura. Con questa si muovono gli amanti verso i simulacri della cosa amata 
a parlare colle imitate pitture; con questa si muovono i popoli con infervorati voti a 
ricercare i simulacri degl' iddìi ; e non a vedere le opere de' poeti, che con parole 
figurino i medesimi iddii. Con questa s'ingannano gli animali: già vid' io una pittura 
che ingannava il cane mediante la similitudine del suo padrone, alla quale esso cane 
facea grandissima festa; e similmente ho visto i cani abbaiare, e voler mordere i cani 
dipinti; ed una scimmia fare infinite pazzie contro ad un'altra scimmia dipinta. Ho 
veduto la rondine volare e posarsi sopra i ferri dipinti che sportano fuori delle fine- 
stre degli edifizi; tutte operazioni del pittore maravigliosissime. 

1 1 . Esempio tra la poesia e la pittura. 

Non vede la immaginazione cotal eccellenza qual vede l' occhio, perchè l' occhio 
riceve le specie, ovvero similitudini degli obietti, e li dà all' impressiva, e da essa 
impressiva al senso comune, e lì è giudicata. Ma la immaginazione non esce fuori da 
esso senso comune, se non in quanto essa va alla memoria, e lì si ferma e lì muore, 
se la cosa immaginata non è di molta eccellenza. Ed in questo caso si ritrova la poesia 
nella mente, ovvero immaginativa del poeta, il quale finge le medesime cose del pit- 
tore, per le quali finzioni egli vuole equipararsi ad esso pittore, ma invero ei n' è molto 
remoto, come di sopra è dimostrato. Adunque in tal caso di finzione diremo con 
verità essere tal proporzione dalla scienza della pittura alla poesia, qual è dal corpo 
alla sua ombra derivativa, ed ancora maggiore proporzione, conciossiachè l'ombra di 
tal corpo almeno entra per 1' occhio al senso comune, ma la immaginazione di tale 
corpo non entra in esso senso, ma lì nasce neh" occhio tenebroso ; oh che diffe- 
renza è dall' immaginare tal luce neh" occhio tenebroso, al vederla in atto fuori delle 
tenebre ! 

Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa 
aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, miste con la spessa 
polvere intorbidatrice dell'aria, e la paurosa fuga de' miseri spaventati dall'orribile 
morte. In questo caso il pittore ti supera, perchè la tua penna sarà consumata innanzi 
che tu descriva appieno quel che immediate il pittore ti rappresenta con la sua 
scienza. E la tua lingua sarà impedita dalla sete, ed il corpo dal sonno e dalla fame, 
prima che tu con parole dimostri quello che in un istante il pittore ti dimostra. 
Nella qual pittura non manca altro che 1' anima delle cose finte, ed in ciascun 
corpo è la integrità di quella parte che per un solo aspetto può dimostrarsi. Lunga 
e tediosissima cosa sarebbe alla poesia ridire tutti i movimenti degli operatori di 
tal guerra, e le parti delle membra e loro ornamenti, delle quali cose la pittura 
finita con gran brevità e verità ti pone innanzi, e da questa tal dimostrazione non 



a 12] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 9 

manca se non il rumore delle macchine e le grida degli spaventanti vincitori e le 
grida e pianti degli spaventati. Le quali cose ancora il poeta non può rappresentare 
al senso dell' udito. Diremo adunque la poesia essere scienza che sommamente opera 
negli orbi, e la pittura fare il medesimo ne' sordi, ma tanto resta più degna la 
pittura, quanto ella serve a miglior senso. 

Solo il vero ufficio del poeta è fingere parole di gente che insieme parlino, e 
sol queste rappresenta al senso dell' udito tanto come naturali, perchè in sè sono 
naturali create dalla umana voce; ed in tutte le altre conseguenze è superato dal pittore. 

Ma molto più senza comparazione son le varietà in che s' estende la pittura, 
che quelle in che s' estendono le parole, perchè infinite cose farà il pittore, che le 
parole non potranno nominare, per non avere vocaboli appropriati a quelle. Or non 
vedi tu che se il pittore vuol fingere animali, o diavoli neh" inferno, con quanta 
abbondanza d' invenzione egli trascorre ? 

Qual è colui che non voglia prima perdere l'udito, l'odorato e il tatto, che il 
vedere ? perchè chi perde il vedere è come uno eh' è cacciato dal mondo, perchè 
egli più noi vede, nè nessuna sua cosa, e questa vita è sorella della morte. 

1 2 . Qual è di maggior danno alla specie umana, o perder 1' occhio o 
1' orecchio. 

Maggior danno ricevono gli animali per la perdita del vedere che dell' udire, 
per più cagioni ; e prima, che mediante il vedere il cibo è ritrovato, donde si deve 
nutrire, il quale è necessario a tutti gli animali. Il secondo, che per il vedere si 
comprende il bello delle cose create, massime delle cose che inducono all'amore, 
nel quale il cieco nato non può pigliare per 1' udito, perchè mai non ebbe notizia 
che cosa fosse bellezza di alcuna cosa. Restagli l' udito per il quale solo intende 
le voci e parlare umano, nel quale sono i nomi di tutte le cose, a cui è dato il 
proprio nome; senza la saputa di essi nomi, ben si può vivere lieto, come si vede 
ne' sordi nati, cioè i muti, mediante il disegno, del quale il più de' muti si 
dilettano. E se tu dirai che il vedere impedisce la fissa e sottile cognizione mentale, 
con la quale si penetra nelle divine scienze, e tale impedimento condusse un filosofo 
a privarsi del vedere, a questo rispondo, che tal occhio come signore de' sensi fa 
il suo debito a dare impedimento ai confusi e bugiardi, non scienze, ma discorsi, 
per i quali sempre con gran gridore e menar di mani si disputa ; ed il medesimo 
dovrebbe fare 1' udito, il quale ne rimane più offeso, perchè egli vorrebbe accordo, 
del quale tutti i sensi s' intricano. E se tale filosofo si trasse gli occhi per levare 
l' impedimento a' suoi discorsi, or pensa che tale atto fu compagno del cervello 
e de' discorsi, perchè il tutto fu pazzia ; or non potea egli serrarsi gli occhi, quando 
esso entrava in tale frenesia, e tanto tenerli serrati che tal furore si consumasse? 
Ma pazzo fu l' uomo, e pazzo il discorso, e stoltissimo il trarsi gli occhi. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 2 



IO 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 13 



13. Come la scienza dell' astrologia nasce dall' occhio, perchè mediante 
quello è generata. 

Nessuna parte è nell'astrologia che non sia ufficio delle linee visuali e della 
prospettiva, figliuola della pittura ; perchè il pittore è quello che per necessità della 
sua arte ha partorito essa prospettiva, e non si può fare per sè senza linee, dentro 
alle quali linee s' inchiudono tutte le varie figure de' corpi generati dalla natura, 
e senza le quali 1' arte del geometra è orba. E se il geometra riduce ogni superficie 
circondata da linee alla figura del quadrato, ed ogni corpo alla figura del cubo ; e 
l'aritmetica fa il simile con le sue radici cube e quadrate ; queste due scienze non si 
estendono se non alla notizia della quantità continua e discontinua, ma della qualità 
non si travagliano, la quale è bellezza delle opere di natura ed ornamento del mondo. 

14. Pittore che disputa col poeta. 

Qual poeta con parole ti metterà innanzi, o amante, la vera effigie della tua 
idea con tanta verità, qual farà il pittore ? Quale sarà quello che ti dimostrerà i siti 
de' fiumi, boschi, valli e campagne, dove si rappresentino i tuoi passati piaceri, con 
più verità del pittore? E se tu dici che la pittura è una poesia muta per sè, se non 
vi è chi dica o parli per lei quello che la rappresenta, or non t' avvedi tu che il 
tuo libro si trova in peggior grado ? perchè ancora eh' egli abbia un uomo che parli 
per lui, non si vede niente della cosa di che si parla, come si vedrà di quello 
che parla per le pitture ; le quali pitture, se saranno ben proporzionati gli atti con 
i loro accidenti mentali, saranno intese, come se parlassero. 

1 5 . Come la pittura avanza tutte le opere umane per sottili specu- 
lazioni appartenenti a quella. 

L' occhio, che si dice finestra dell' anima, è la principale via donde il comune 
senso può più copiosamente e magnificamente considerare le infinite opere di natura, 
e l' orecchio è il secondo, il quale si fa nobile per le cose racconte, le quali ha 
veduto l' occhio. Se voi, istoriografi, o poeti, o altri matematici, non aveste con 
1' occhio visto le cose, male le potreste voi riferire per le scritture. E se tu, poeta, 
figurerai una istoria con la pittura della penna, il pittore col pennello la farà di 
più facile satisfazione, e meno tediosa ad esser compresa. Se tu dimanderai la pittura 
muta poesia, ancora il pittore potrà dire la poesia orba pittura. Or guarda qual è 
più dannoso mostro, o il cieco, o il muto? Se il poeta è libero come il pittore 
nelle invenzioni, le sue finzioni non sono di tanta satisfazione agli uomini, quanto 
le pitture, perchè se la poesia s' estende con le parole a figurar forme, atti e siti, 



a 15] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA n 

il pittore si muove con le proprie similitudini delle forme a contraffare esse forme. 
Or guarda quale è più propinquo all' uomo, o il nome d' uomo, o la similitudine 
di esso uomo? Il nome dell'uomo si varia in vari paesi, e la forma non è mutata 
se non per la morte. E se il poeta serve al senso per la via dell' orecchio, il pittore 
per la via dell' occhio, più degno senso. Ma io non voglio da questi tali altro che 
un buon pittore, che figuri il furore di una battaglia, e che il poeta ne scriva 
un' altra, e che sieno messe in pubblico di compagnia. Vedrai dove più si ferme- 
ranno i veditori, dove più considereranno, dove si darà più laude, e quale satisfarà 
meglio. Certo la pittura, di gran lunga più utile e bella, più piacerà. Poni in iscritto 
il nome d' Iddio in un luogo, e ponvi la sua figura a riscontro, e vedrai quale sarà 
più riverita. Se la pittura abbraccia in sè tutte le forme della natura, voi non avete 
se non i nomi, i quali non sono universali come le forme ; se voi avete gli effetti 
delle dimostrazioni, noi abbiamo le dimostrazioni degli effetti. 

Tolgasi un poeta che descriva le bellezze di una donna al suo innamorato, e 
tolgasi un pittore che la figuri; vedrassi dove la natura volgerà più il giudicatore 
innamorato. Certo, il cimento delle cose dovrebbe lasciar dare la sentenza alla spe- 
rienza. Voi avete messa la pittura fra le arti meccaniche. Certo, se i pittori fossero 
atti a laudare con lo scrivere le opere loro come voi, credo non giacerebbe in così 
vile cognome. Se voi la chiamate meccanica perchè è prima manuale, chè le mani 
figurano quello che trovano nella fantasia, voi scrittori disegnate con la penna manual- 
mente quello che nell' ingegno vostro si trova. E se voi diceste essere meccanica 
perchè si fa a prezzo, chi cade in questo errore, se errore può chiamarsi, più di voi? 
Se voi leggete per gli studi, non andate da chi più vi premia? Fate voi alcuna opera 
senza qualche premio ? Benché questo non dico per biasimare simili opinioni, perchè 
ogni fatica aspetta premio, e potrà dire un poeta : io farò una finzione, che signi- 
ficherà cose grandi; questo medesimo farà il pittore, come fece Apelle la Calunnia. 
Se voi diceste: la poesia è più eterna, per questo dirò essere più eterne le opere 
di un calderaio, chè il tempo più le conserva che le vostre, o nostre opere ; nien- 
tedimeno è di poca fantasia, e la pittura si può, dipingendo sopra rame con colori 
di vetro, farla molto più eterna. Noi per arte possiamo esser detti nipoti a Dio. 
Se la poesia s'estende in filosofia morale, e questa in filosofia naturale; se quella 
descrive le operazioni della mente che considera quella; se la mente opera nei 
movimenti; se quella spaventa i popoli colle infernali finzioni, questa con le mede- 
sime cose in atto fa il simile. Pongasi il poeta a figurare una bellezza, una fierezza, 
una cosa nefanda e brutta, una mostruosa, col pittore; faccia a suo modo come 
vuole trasmutazione di forme, che il pittore non satisfaccia più. Non s' è egli visto 
pitture avere avuto tanta conformità con la cosa imitata, che hanno ingannato 
uomini ed animali? 



12 



LEONARDO DA VINCI 



16. Differenza che ha la pittura con la poesia. 

La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura 
che si sente e non si vede. Adunque queste due poesie, o vuoi dire due pitture, 
hanno scambiati i sensi, per i quali esse dovrebbero penetrare all' intelletto. Perchè se 
1' una e 1' altra è pittura, devono passare al senso comune per il senso più nobile, cioè 
1' occhio ; e se 1' una e 1' altra è poesia, esse hanno a passare per il senso meno nobile, 
cioè 1' udito. Adunque daremo la pittura al giudizio del sordo nato, e la poesia sarà 
giudicata dal cieco nato, e se la pittura sarà figurata con i movimenti appropriati agli 
accidenti mentali delle figure che operano in qualunque caso, senza dubbio il sordo 
nato intenderà le operazioni ed intenzioni degli operatori, ma il cieco nato non inten- 
derà mai cosa che dimostri il poeta, la quale faccia onore ad essa poesia ; conciossiachè 
delle nobili sue parti è il figurare i gesti e i componimenti delle istorie, e i siti 
ornati e dilettevoli con le trasparenti acque, per le quali si vedono i verdeggianti fondi 
de' suoi corsi, scherzare le onde sopra prati e minute ghiaie, con le erbe, che con lor 
si mischiano insieme con i guizzanti pesci, e simili descrizioni, le quali si potreb- 
bero così dire ad un sasso, come ad un cieco nato, perchè mai vide nessuna cosa 
di che si compone la bellezza del mondo, cioè luce, tenebre, colore, corpo, figura, 
sito, remozione, propinquità, moto e quiete ; le quali sono dieci ornamenti della 
natura. Ma il sordo avendo perso il senso meno nobile, ancora eh' egli abbia insieme 
persa la loquela, perchè mai udì parlare, mai potè imparare alcun linguaggio, ma 
questo intenderà bene ogni accidente che sia ne' corpi umani, meglio che un che 
parli e che abbia udito, e similmente conoscerà le opere de' pittori e quello che in 
esse si rappresenti, ed a che tali figure siano appropriate. 

17. Che differenza è dalla pittura alla poesia. 

La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca, e 1' una e 1' altra 
vanno imitando la natura quanto è possibile alle loro potenze, e per l'ima e per l'altra 
si può dimostrare molti morali costumi, come fece Apelle con la sua Calunnia. Ma 
dalla pittura, perchè serve all' occhio, senso più nobile che l' orecchio, obietto della 
poesia, ne risulta una proporzione armonica ; cioè, che siccome di molte e varie voci 
insieme aggiunte ad un medesimo tempo, ne risulta una proporzione armonica, la 
quale contenta tanto il senso dell' udito, che gli uditori restano con stupente ammi- 
razione quasi semivivi. Ma molto più faranno le proporzionali bellezze di un angelico 
viso posto in pittura, dalla quale proporzionalità ne risulta un armonico concento, 
il quale serve all' occhio nel medesimo tempo che si faccia dalla musica all' orecchio. 
E se tale armonia delle bellezze sarà mostrata all' amante di quella di che tali bel- 
lezze sono imitate, senza dubbio esso resterà con istupenda ammirazione e gaudio 



a 19] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 13 

incomparabile e superiore a tutti gli altri sensi. Ma dalla poesia la quale si abbia 
a stendere alla figurazione d' una perfetta bellezza, con la figurazione particolare di 
ciascuna parte della quale si compone in pittura la predetta armonia, non ne risulta 
altra grazia che si facesse a far sentire nella musica ciascuna voce per sè sola in 
vari tempi, delle quali non si comporrebbe alcun concento, come se volessimo 
mostrare un volto a parte a parte, sempre ricoprendo quelle che prima si mostrarono, 
delle quali dimostrazioni 1' oblivione non lascia comporre alcuna proporzionalità di 
armonia, perchè 1' occhio non le abbraccia con la sua virtù visiva ad un medesimo 
tempo. Il simile accade nelle bellezze di qualunque cosa finta dal poeta, delle quali, 
per esser le sue parti dette separatamente in separati tempi, la memoria non riceve 
alcuna armonia. 

18. Differenza infra poesia e pittura. 

La pittura immediate ti si rappresenta con quella dimostrazione per la quale 
il suo fattore l' ha generata, e dà quel piacere al senso massimo, qual dare possa 
alcuna cosa creata dalla natura. Ed in questo caso il poeta, che manda le medesime 
cose al comun senso per la via dell' udito, minor senso, non dà all' occhio altro 
piacere che se uno sentisse raccontare una cosa. Or vedi che differenza è dall' udir 
raccontare una cosa che dia piacere all' occhio con lunghezza di tempo, o vederla con 
quella prestezza che si vedono le cose naturali. Ed ancorché le cose de' poeti sieno 
con lungo intervallo di tempo lette, spesse sono le volte che le non sono intese, e 
bisogna farvi sopra diversi conienti, ne' quali rarissime volte tali comentatori inten- 
dono qual fosse la mente del poeta ; e molte volte i lettori non leggono se non piccola 
parte delle loro opere per disagio di tempo. Ma l'opera del pittore immediate è 
compresa da' suoi risguardatori. 

19. Della differenza ed ancora similitudine che ha la pittura con la 
poesia. 

La pittura ti rappresenta in un subito la sua essenza nella virtù visiva, e per il 
proprio mezzo, d'onde la impressiva riceve gli obietti naturali, ed ancora nel medesimo 
tempo, nel quale si compone 1' armonica proporzionalità delle parti che compongono 
il tutto, che contenta il senso ; e la poesia riferisce il medesimo, ma con mezzo meno 
degno dell' occhio, il quale porta nella impressiva più confusamente e con più tardità 
le figurazioni delle cose nominate che non fa 1' occhio, vero mezzo infra 1' obietto e 
l' impressiva, il quale immediate conferisce con somma verità le vere superficie e figure 
di quel che dinanzi se gli appresenta, dalle quali ne nasce la proporzionalità detta 
armonia, che con dolce concento contenta il senso, non altrimenti che si facciano le 
proporzionalità di diverse voci al senso dell' udito ; il quale ancora è men degno che 



14 LEONARDO DA VINCI [§19 

quello dell' occhio, perchè tanto quanto ne nasce, tanto ne muore; ed è sì veloce nel 
morire come nel nascere. Il che intervenire non può nel senso del vedere, perchè se 
tu rappresenterai all' occhio una bellezza umana composta di proporzionalità di belle 
membra, essa bellezza non è sì mortale, nè sì presto si strugge, come fa la musica, anzi 
ha lunga permanenza, e ti si lascia vedere e considerare, e non rinasce, come fa la 
musica nel molto sonare, nè t' induce fastidio, anzi, t' innamora, ed è causa che tutti i 
sensi insieme con 1' occhio la vorrebbero possedere, e pare che a gara voglian com- 
battere con 1' occhio. Pare che la bocca se la vorrebbe per sè in corpo, 1' orecchio piglia 
piacere d' udire le sue bellezze, il senso del tatto la vorrebbe penetrare per tutti i suoi 
meati, il naso ancora vorrebbe ricevere 1' aria che al continuo da lei spira. Ma la bel- 
lezza di tale armonia il tempo in pochi anni la distrugge; il che non accade in tal 
bellezza imitata dal pittore, perchè il tempo lungamente la conserva, e 1' occhio in 
quanto al suo ufficio piglia il vero piacere di tal bellezza dipinta, qual si facesse nella 
bellezza viva. Mancagli il tatto, il quale si fa maggior fratello nel medesimo tempo, il 
quale, poiché avrà avuto il suo intento, non impedisce la ragione dal considerare la 
divina bellezza. Ed in questo caso la pittura imitata da quella in gran parte supplisce, il 
che supplire non potrà la descrizione del poeta; il quale in questo caso si vuole equipa- 
rare al pittore, ma non si avvede che le sue parole, nel far menzione delle membra di tal 
bellezza, il tempo le divide 1' una dall'altra, v'inframette l'oblivione, e divide le pro- 
porzioni, le quali senza gran prolissità e' non può nominare. E non potendole nomi- 
nare, esso non può comporre 1' armonica proporzionalità, la quale è composta di divine 
proporzioni. E per questo un medesimo tempo, nel quale s' inchiude la speculazione 
di una bellezza dipinta, non può dare una bellezza descritta, e fa peccato contro natura 
quello che si dee metter per 1' occhio a volerlo mettere per 1' orecchio. Lasciavi entrare 
1' ufficio della musica, e non vi mettere la scienza della pittura, vera imitatrice delle 
naturali figure di tutte le cose. Che ti muove, o uomo, ad abbandonare le proprie 
tue abitazioni della città, e lasciare i parenti ed amici, ed andare in luoghi cam- 
pestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo, la quale, se ben 
consideri, sol col senso del vedere fruisci ? E se il poeta vuole in tal caso chiamarsi 
anco lui pittore, perchè non pigliavi tali siti descritti dal poeta, e te ne stavi in casa 
senza sentire il soverchio calore del sole ? O non t' era questo più utile e men fatica, 
perchè si fa al fresco e senza moto e pericolo di malattia ? Ma 1' anima non potea 
fruire il benefizio degli occhi, finestre delle sue abitazioni, e non potea ricevere le specie 
degli allegri siti, non potea vedere le ombrose valli, rigate dallo scherzare de' serpeg- 
gianti fiumi, non potea vedere i vari fiori che con loro colori fanno armonia all' occhio, 
e così tutte le altre cose che ad esso occhio rappresentare si possono. Ma se il pit- 
tore ne' freddi e rigidi tempi dell'inverno ti pone innanzi i medesimi paesi dipinti, 
ed altri, ne' quali tu abbia ricevuto i tuoi piaceri, appresso a qualche fonte ; tu possa 
rivedere te amante con la tua amata, ne' fioriti prati, sotto le dolci ombre delle 
verdeggianti piante, non riceverai tu altro piacere che ad udire tale effetto descritto 



a 2i] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 15 

dal poeta? Qui risponde il poeta, e cede alle sopradette ragioni, ma dice che supera 
il pittore, perchè lui fa parlare e ragionare gli uomini con diverse finzioni, nelle 
quali ei finge cose che non sono, e che commoverà gli uomini a pigliare le armi, 
e che descriverà il cielo, le stelle, e la natura, e le arti, ed ogni cosa. Al quale 
si risponde, che nessuna di queste cose di che egli parla è sua professione propria, 
ma che s' ei vuol parlare ed orare, è da persuadere che in questo egli è vinto dal- 
l' oratore; e se parla d'astrologia, che lo ha rubato all' astrologo, e di filosofia, al 
filosofo, e che in effetto la poesia non ha propria sede, nè la merita altrimenti 
che di un mereiaio ragunatore di mercanzie fatte da diversi artigiani. Ma la deità 
della scienza della pittura considera le opere così umane come divine, le quali sono 
terminate dalle loro superficie, cioè linee de' termini de' corpi, con le quali ella 
comanda allo scultore la perfezione delle sue statue. Questa col suo principio, cioè 
il disegno, insegna all'architettore a fare che il suo edificio si renda grato all'occhio; 
questa insegna ai componitori di diversi vasi, agli orefici, tessitori, ricamatoli; questa 
ha trovato i caratteri, con i quali si esprimono i diversi linguaggi ; questa ha dato le 
caratte agli aritmetici ; questa ha insegnato la figurazione alla geometria ; questa insegna 
ai prospettivi ed astrologhi ed ai macchinatori ed ingegneri. 

20. Dell'occhio. 

L'occhio, dal quale la bellezza dell'universo è specchiata dai contemplanti, è 
di tanta eccellenza, che chi consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione 
di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali 1' anima sta contenta nelle 
umane carceri, mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le 
varie cose di natura. Ma chi li perde lascia essa anima in una oscura prigione, 
dove si perde ogni speranza di rivedere il sole, luce di tutto il mondo. E quanti 
son quelli a cui le tenebre notturne sono in sommo odio , ancora eh' elle sieno 
di breve vita! O che farebbero questi quando tali tenebre fossero compagne della 
vita loro ? Certo, non è nessuno che non volesse piuttosto perdere V udito e 1' odorato 
che 1' occhio, la perdita del quale udire consente la perdita di tutte le scienze che 
hanno termine nelle parole, e sol fa questo per non perdere la bellezza del mondo, 
la quale consiste nella superficie de' corpi sì accidentali come naturali, i quali si 
riflettono nell' occhio umano. 

2 1 . Disputa del poeta col pittore, e che differenza è da poesia a pittura. 

Dice il poeta che la sua scienza è invenzione e misura; e questo è il semplice 
corpo di poesia, invenzione di materia, e misura ne' versi, e che essa si veste poi 
di tutte le scienze. Al quale risponde il pittore avere i medesimi obblighi nella 
scienza della pittura, cioè invenzione e misura ; invenzione nella materia, eh' egli 



i6 LEONARDO DA VINCI [§ 21 

deve fingere, e misura nelle cose dipinte, acciocché non sieno sproporzionate ; ma 
eh' ei non si veste tali tre scienze, anzi, che le altre in gran parte si vestono della 
pittura, come l'astrologia, che nulla fa senza la prospettiva, la quale è principal 
membro di essa pittura, cioè l' astrologia matematica, non dico della fallace giudi- 
ciale, perdonimi chi per mezzo degli sciocchi ne vive. Dice il poeta, che descrive una 
cosa, che ne rappresenta un' altra piena di belle sentenze. Il pittore dice avere in 
arbitrio di fare il medesimo, e in questa parte anco egli è poeta. E se il poeta dice 
di fare accendere gli uomini ad amare, che è cosa principale della specie di tutti 
gli animali , il pittore ha potenza di fare il medesimo , tanto più eh' egli mette 
innanzi all' amante la propria effigie della cosa amata, il quale spesso fa con quella, 
baciandola, e parlando con quella, quello che non farebbe con le medesime bellezze 
postegli innanzi dallo scrittore. E tanto più supera gl'ingegni degli uomini 1 ad amare 
ed innamorarsi di pittura che non rappresenta alcuna donna viva. E già intervenne 
a me fare una pittura che rappresentava una cosa divina, la quale comperata dal- 
l' amante di quella volle levarne la rappresentazione di tal deità per poterla baciare 
senza sospetto, ma infine la coscienza vinse i sospiri e la libidine, e fu forza eh' ei 
se la levasse di casa. Or va tu, poeta, descrivi una bellezza senza rappresentazione 
di cosa viva, e desta gli uomini con quella a tali desideri. Se tu dirai: io ti descriverò 
l' inferno, o il paradiso, ed altre delizie o spaventi, il pittore ti supera, perchè ti 
metterà innanzi cose, che tacendo diranno tali delizie o ti spaventeranno e ti muo- 
veranno l'animo a fuggire. Muove più presto i sensi la pittura che la poesia; e se 
tu dirai che con le parole tu leverai un popolo in pianto, o in riso, io ti dirò 
che non se' tu che muove, egli è 1' oratore, ed è una scienza che non è poesia. Ma 
il pittore muoverà a riso, non a pianto, perchè il pianto è maggiore accidente che 
non è il riso. Un pittore fece una pittura, che chi la vedea subito sbadigliava, e 
tanto replicava tale accidente, quanto si teneva gli occhi alla pittura, la quale 
ancora lei era finta sbadigliare. Altri hanno dipinto atti libidinosi, e tanto lussuriosi, 
che hanno incitati i risguardatori di quelli alla medesima festa; il che non farà 
la poesia. E se tu scriverai la figura di alcuni dèi, non sarà tale scrittura nella 
medesima venerazione che la idea dipinta, perchè a tale pittura sarà fatto di continuo 
voti e diverse orazioni, ed a quella concorreranno varie generazioni di diverse 
Provincie, e per i mari orientali, e da tali si dimanderà soccorso a tal pittura, e 
non alla scrittura. 

22. Arguizione del poeta contro il pittore. 

Tu dici, o pittore, che la tua arte è adorata, ma non imputare a te tal virtù, 
ma alla cosa di che tal pittura è rappresentatrice. Qui il pittore risponde: O tu, poeta, 



L'edizione viennese del Braumùller, 1882, aggiunge qui le parole: «che l'induce» 



a 23] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 17 

che ti fai ancora tu imitatore, perchè non rappresenti tu colle tue parole cose che 
le lettere tue contenitrici di tali parole ancora esse sieno adorate? Ma la natura ha 
più favorito il pittore che il poeta, e meritamente le opere del favorito debbono 
essere più onorate, che quelle di chi non è in favore. Adunque laudiamo quello che 
con le parole satisfa all' udito, e quel che con la pittura satisfa al contento del 
vedere. Ma tanto meno quel delle parole, quanto esse sono accidentali, e create 
da minor autore che le opere di natura, di che il pittore è imitatore ; la qual natura 
è terminante dentro alle figure delle lor superficie. 

23. Risposta del re Mattia ad un poeta che gareggiava con un pittore. 

Portando il dì del natale del re Mattia un poeta un' opera fattagli in laude del 
giorno eh' esso re era nato a benefizio del mondo, ed un pittore presentandogli un 
ritratto della sua innamorata, subito il re rinchiuse il libro del poeta, e voltossi alla 
pittura, ed a quella fermò la vista con grande ammirazione. Allora il poeta forte isde- 
gnato disse : O re, leggi, leggi, e sentirai cosa di maggior sostanza che una muta 
pittura. Allora il re, sentendosi riprendere del risguardar cose mute, disse : O poeta, 
taci che non sai ciò che ti dica ; questa pittura serve a miglior senso che la tua, la 
quale è da orbi. Dammi cosa eh' io la possa vedere e toccare, e non che solamente 
la possa udire, e non biasimar la mia elezione dell' avermi io messa la tua opera 
sotto il gomito, e questa del pittore tengo con ambo le mani, dandola a' miei occhi, 
perchè le mani da lor medesime hanno tolto a servire a più degno senso che non 
è 1' udire ; ed io per me giudico che tale proporzione sia dalla scienza del pittore 
a quella del poeta, qual è da' suoi sensi, de' quali questi si fanno obietti. Non sai 
tu che la nostra anima è composta di armonia, ed armonia non s' ingenera se non 
in istanti, ne' quali le proporzionalità degli obietti si fan vedere o udire? Non vedi 
che nella tua scienza non è proporzionalità creata in istante, anzi, 1' una parte nasce 
dall' altra successivamente, e non nasce la succedente se 1' antecedente non muore ? 
Per questo giudico la tua invenzione essere assai inferiore a quella del pittore, solo 
perchè da quella non componesi proporzionalità armonica. Essa non contenta la 
mente dell' uditore o veditore, come fa la proporzionalità delle bellissime membra 
componitrici delle divine bellezze di questo viso che m' è dinanzi, le quali in un 
medesimo tempo tutte insieme giunte mi danno tanto piacere, con la divina loro 
proporzione, che nulla altra cosa giudico esser sopra la terra fatta dall' uomo che 
dar lo possa maggiore. 

Non è sì insensato giudizio, che, se gli è proposto qual è più da eleggere, o stare 
in perpetue tenebre, o voler perdere 1' udito, che subito non dica volere piuttosto 
perdere 1' udito, insieme con 1' odorato, prima che restar cieco. Perchè chi perde il 
vedere, perde la bellezza del mondo con tutte le forme delle cose create, ed il sordo 
sol perde il suono fatto dal moto dell' aria percossa, eh' è minima cosa nel mondo. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. ^ 



18 LEONARDO DA VINCI [§ 23 

Tu che dici la scienza essere tanto più nobile, quanto essa si estende in più degno 
subietto, e per questo più vale una falsa immaginazione dell' essenza d' Iddio, che 
una immaginazione di una cosa men degna; per questo diremo la pittura, la quale 
solo s' estende nelle opere d' Iddio, essere più degna della poesia, che solo s' estende 
in bugiarde finzioni delle opere umane. Con debita lamentazione si duole la pittura 
per essere lei scacciata dal numero delle arti liberali ; conciossiachè essa sia vera 
figliuola della natura, ed operata da più degno senso ; onde a torto, o scrittori, 
1' avete lasciata fuori del numero di dette arti liberali, conciossiachè questa, non che 
alle opere di natura, ma ad infinite attende che la natura mai creò. 

24. Conclusione infra il poeta ed il pittore. 

Poiché noi abbiamo concluso la poesia essere in sommo grado di comprensione 
ai ciechi, e che la pittura fa il medesimo ai sordi, noi diremo tanto di più valere 
la pittura che la poesia, quanto la pittura serve a miglior senso e più nobile che 
la poesia, la qual nobiltà è provata esser tripla alla nobiltà di tre altri sensi ; perchè 
è stato eletto di volere piuttosto perdere l' udito ed odorato e tatto, che il senso 
del vedere ; perchè chi perde il vedere, perde la veduta e bellezza dell' universo, e 
resta a similitudine di uno che sia chiuso in vita in una sepoltura, nella quale abbia 
moto e vita. Or non vedi tu che l' occhio abbraccia la bellezza di tutto il mondo ? 
Egli è capo dell'astrologia; egli fa la cosmografia; esso tutte le umane arti consiglia 
e corregge; muove l'uomo a diverse parti del mondo; questo è principe delle mate- 
matiche, le sue scienze sono certissime; questo ha misurato le altezze e grandezze 
delle stelle; questo ha trovato gli elementi e loro siti; questo ha fatto predire le 
cose future mediante il corso delle stelle; questo l'architettura e prospettiva, questo 
la divina pittura ha generata. O eccellentissimo sopra tutte le altre cose create da 
Dio ! quali laudi saran quelle che esprimere possano la tua nobiltà? quali popoli, quali 
lingue saranno quelle che appieno possano descrivere la tua vera operazione? Questo 
è finestra dell' umano corpo, per la quale la sua via (?) specula, e fruisce la bellezza 
del mondo; per questo l'anima si contenta dell'umana carcere, e senza questo essa 
umana carcere è suo tormento ; e per questo l' industria umana ha trovato il fuoco, 
mediante il quale l' occhio riacquista quello che prima gli tolsero le tenebre. Questo 
ha ornato la natura coli' agricoltura e dilettevoli giardini. Ma che bisogna eh' io 
m' estenda in sì alto e lungo discorso qual è quella cosa che per lui non si faccia? 
Ei muove gli uomini dall' oriente all' occidente ; questo ha trovato la navigazione, ed 
in questo supera la natura, perchè i semplici naturali sono finiti, e le opere che 
l' occhio comanda alle mani sono infinite, come dimostra il pittore nelle finzioni 
d' infinite forme di animali ed erbe, piante e siti. 



a 27] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 19 

2 5 . Come la musica si dee chiamare sorella e minore della pittura. 

La musica non è da essere chiamata altro che sorella della pittura, concios- 
siachè essa è subietto dell' udito, secondo senso all' occhio, e compone armonia con 
la congiunzione delle sue parti proporzionali operate nel medesimo tempo, costrette a 
nascere e morire in uno o più tempi armonici, i quali tempi circondano la pro- 
porzionalità de' membri di che tale armonia si compone, non altrimenti che faccia 
la linea circonferenziale per le membra di che si genera la bellezza umana. Ma la 
pittura eccelle e signoreggia la musica perchè essa non muore immediate dopo la 
sua creazione, come fa la sventurata musica, anzi, resta in essere, e ti si dimostra 
in vita quel che in fatto è una sola superficie. O maravigliosa scienza, tu riservi in 
vita le caduche bellezze de' mortali, le quali hanno più permanenza che le opere 
di natura, le quali al continuo sono variate dal tempo, che le conduce alla debita 
vecchiezza; e tale scienza ha tale proporzione con la divina natura, quale l'hanno le 
sue opere con le opere di essa natura, e per questo è adorata. 

26. Parla il musico col pittore. 

Dice il musico, che la sua scienza è da essere equiparata a quella del pittore, 
perchè essa compone un corpo di molte membra, del quale lo speculatore con- 
templa tutta la grazia in tanti tempi armonici quanti sono i tempi ne' quali essa 
nasce e muore, e con quei tempi trastulla con grazia 1' anima che risiede nel corpo 
del suo contemplante. Ma il pittore risponde e dice che il corpo composto delle 
umane membra non dà di sè piacere a' tempi armonici, ne' quali essa bellezza abbia 
a variarsi dando figurazione ad un altro, nè che in essi tempi abbia a nascere e 
morire, ma lo fa permanente per moltissimi anni, ed è di tanta eccellenza eh' ella 
riserva in vita quell' armonia delle proporzionate membra, le quali natura con tutte 
le sue forze conservar non potrebbe. Quante pitture hanno conservato il simulacro 
di una divina bellezza di cui il tempo o morte in breve ha distrutto il naturale 
esempio, ed è restata più degna 1' opera del pittore che della natura sua maestra! 

27. Il pittore dà i gradi delle cose opposte all'occhio, come il musico 
dà delle voci opposte all' orecchio. 

Benché le cose opposte all' occhio si tocchino l' un l' altra di mano in mano, 
nondimeno farò la mia regola di venti in venti braccia, come ha fatto il musico 
infra le voci, che benché la sia unita ed appiccata insieme, nondimeno ha pochi 
gradi di voce in voce, domandando quella prima, seconda, terza, quarta e quinta, 
e così di grado in grado ha posto nomi alla varietà di alzare e abbassare la voce. 



20 LEONARDO DA VINCI [§ 27 

Se tu, o musico, dirai che la pittura è meccanica per essere operata coli' esercizio 
delle mani, e la musica è operata con la bocca, eh' è organo umano, ma non per 
conto del senso del gusto, come la mano 1 senso del tatto ; meno degne sono ancora 
le parole che i fatti. Ma tu, scrittore delle scienze, non copii tu con mano scrivendo 
ciò che sta nella mente, come fa il pittore? E se tu dicessi la musica essere composta 
di proporzione, ho io con questa medesima seguito la pittura come meglio vedrai. 

Quella cosa è più degna che satisfa a miglior senso. Adunque la pittura satis- 
fattrice al senso del vedere è più nobile della musica che solo satisfa all' udito. 
Quella cosa è più nobile che ha più eternità ; adunque la musica, che si va con- 
sumando mentre eh' ella nasce, è men degna della pittura, che con vetri si fa eterna. 
Quella cosa che contiene in sè più universalità e varietà di cose, quella sarà detta 
di più eccellenza. Adunque la pittura è da essere preposta a tutte le operazioni, 
perchè è contenitrice di tutte le forme che sono, e di quelle che non sono in natura ; 
è più da essere magnificata ed esaltata che la musica, che solo attende alla voce. 
Con questa si fanno i simulacri agli iddii ; d' intorno a questa si fa il culto divino, 
il quale è ornato con la musica a questa servente; con questa si dà copia agli 
amanti della causa de' loro amori ; con questa si riservano le bellezze, le quali il 
tempo e la natura fan fuggitive ; con questa noi riserviamo le similitudini degli uomini 
famosi. E se tu dicessi: la musica s'eterna collo scriverla, il medesimo facciamo noi 
qui colle lettere. Adunque, poiché tu hai messa la musica infra le arti liberali, o tu 
vi metti questa, o tu ne levi quella ; e se tu dicessi : gli uomini vili 1' adoprano, e 
così è guasta la musica da chi non la sa. Se tu dirai: le scienze non meccaniche 
sono le mentali, io ti dirò che la pittura è mentale, e eh' ella, siccome la musica e la 
geometria considerano le proporzioni delle quantità continue, e l'aritmetica delle 
discontinue, questa considera tutte le quantità continue, e le qualità delle pro- 
porzioni d' ombre e lumi e distanze nella sua prospettiva. 

28. Conclusione del poeta, del pittore e del musico. 

Tal differenza è in quanto alla figurazione delle cose corporee dal pittore al 
poeta, quant' è dai corpi smembrati agli uniti, perchè il poeta, nel descrivere la 
bellezza e bruttezza di qualunque corpo, te lo dimostra a membro a membro, 
ed in diversi tempi, ed il pittore tei fa vedere tutto in un tempo. Il poeta non 
può porre colle parole la vera figura delle membra di che si compone un tutto, 
come il pittore, il quale tei pone innanzi con quella verità eh' è possibile in natura. 
Ed al poeta accade il medesimo come al musico, che canta solo un canto composto 
di quattro cantori, e canta prima il canto, poi il tenore, e così seguita il contralto, 
e poi il basso ; e di costui non risulta la grazia della proporzionalità armonica, 



La citata edizione viennese aggiunge: «del pittore non pel». 



a 29] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 21 

la quale si rinchiude in tempi armonici, e fa esso poeta a similitudine di un bel 
volto, il quale ti si mostra a membro a membro, che così facendo non rimarresti 
mai satisfatto della sua bellezza, la quale solo consiste nella divina proporzionalità 
delle predette membra insieme composte, le quali solo in un tempo compongono 
essa divina armonia di esso congiunto di membra, che spesso tolgono la libertà 
posseduta a chi le vede. E la musica ancora fa nel suo tempo armonico le soavi 
melodie composte delle sue varie voci, dalle quali il poeta è privato della loro 
descrizione armonica. E benché la poesia entri pel senso dell' udito alla sede del 
giudizio siccome la musica, esso poeta non può descrivere 1' armonia della musica 
perchè non ha potestà in un medesimo tempo di dire diverse cose, come la propor- 
zionalità armonica della pittura composta di diverse membra in un medesimo tempo, 
la dolcezza delle quali sono giudicate in un medesimo tempo così in comune, come 
in particolare. In comune, in quanto all' intento del composto ; in particolare, in 
quanto all' intento de' componenti, di che si compone esso tutto. E per questo il 
poeta resta, in quanto alla figurazione delle cose corporee, molto indietro al pittore, 
e delle cose invisibili rimane indietro al musico. Ma s' esso poeta toglie in prestito 
1' aiuto delle altre scienze, potrà comparire alle fiere come gli altri mercanti portatori 
di diverse cose fatte da più inventori. E fa questo il poeta quando s' impresta 1' altrui 
scienza, come dell' oratore, filosofo, astrologo, cosmografo, e simili, le quali scienze 
sono in tutto separate dal poeta. Adunque questo è un sensale che giunge insieme 
a diverse persone a fare una conclusione di un mercato. E se tu vorrai trovare il 
proprio ufficio del poeta, tu troverai non essere altro che un adunatore di cose rubate 
a diverse scienze, colle quali egli fa un composto bugiardo, o vuoi, con più onesto 
dire, 1 un composto finto ; ed in questa tal finzione libera esso poeta s' è equiparato 
al pittore, eh' è la più debole parte della pittura. 

29. Quale scienza è meccanica, e quale non è meccanica. 

Dicono quella cognizione esser meccanica la quale è partorita dall' esperienza, 
e quella . esser scientifica che nasce e finisce nella mente, e quella essere semimec- 
canica che nasce dalla scienza e finisce nella operazione manuale. Ma a me pare che 
quelle scienze sieno vane e piene di errori le quali non sono nate dall' esperienza, 
madre di ogni certezza, e che non terminano in nota esperienza, cioè che la loro 
origine, o mezzo, o fine, non passa per nessuno de' cinque sensi. E se noi dubitiamo 
della certezza di ciascuna cosa che passa per i sensi, quanto maggiormente dobbiamo 
noi dubitare delle cose ribelli ad essi sensi, come dell' assenza di Dio e dell' anima 
e simili, 2 per le quali sempre si disputa e contende. E veramente accade che sempre 

1 In altre edizioni: «con più onesto fine dire», e «con più onesto nome dire». 

2 Nel codice Vaticano è stata tirata una linea sul brano che incomincia con le parole : « E se noi dubitiamo » 
e termina: «e non certezza rinata». L'edizione De Romanis (Roma 1817) riproduce quel brano, sopprimendo però 



22 LEONARDO DA VINCI [§ 29 

dove manca la ragione suppliscono le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe. 
Per questo diremo che dove si grida non è vera scienza, perchè la verità ha un sol 
termine, il quale essendo pubblicato, il litigio resta in eterno distrutto, e s' esso 
litigio resurge, ella è bugiarda e confusa scienza, e non certezza rinata. Ma le vere 
scienze son quelle che la speranza ha fatto penetrare per i sensi, e posto silenzio 
alla lingua de' litiganti, e che non pasce di sogni i suoi investigatori, ma sempre 
sopra i primi veri e noti principi procede successivamente e con vere seguenze 
insino al fine, come si dinota nelle prime matematiche, cioè numero e misura, dette 
aritmetica e geometria, che trattano con somma verità della quantità discontinua e 
continua. Qui non si arguirà che due tre facciano più o men che sei, nè che un 
triangolo abbia i suoi angoli minori di due angoli retti, ma con eterno silenzio resta 
distrutta ogni arguizione, e con pace sono fruite 1 dai loro devoti, il che far non 
possono le bugiarde scienze mentali. E se tu dirai tali scienze vere e note essere 
di specie di meccaniche, imperocché non si possono finire se non manualmente, io 
dirò il medesimo di tutte le arti che passano per le mani degli scrittori, le quali 
sono di specie di disegno, membro della pittura; e l'astrologia e le altre passano 
per le manuali operazioni, ma prima sono mentali com' è la pittura, la quale è prima 
nella mente del suo speculatore, e non può pervenire alla sua perfezione senza la 
manuale operazione ; della qual pittura i suoi scientifici e veri principi prima ponendo 
che cosa è corpo ombroso, e che cosa è ombra primitiva ed ombra derivativa, e 
che cosa è lume, cioè tenebre, luce, colore, corpo, figura, sito, remozione, propin- 
quità, moto e quiete, le quali solo colla mente si comprendono senza opera manuale; 
e questa sarà la scienza della pittura, che resta nella mente de' suoi contemplanti, 
dalla quale nasce poi V operazione, assai più degna della predetta contemplazione 
o scienza. 

Dopo questa viene la scultura, arte degnissima, ma non di tanta eccellenza 
d' ingegno operata, conciossiachè in due casi principali sia difficilissima, co' quali 
il pittore procede nella sua. Questa è aiutata dalla natura, cioè prospettiva, ombra 
e lumi. Questa ancora non è imitatrice de' colori, per i quali il pittore si affatica 
a trovare che le ombre sieno compagne de' lumi. 

30. Perchè la pittura non è connumerata nelle scienze. 

Perchè gli scrittori non hanno avuto notizia della scienza della pittura, non 
hanno potuto descriverne i gradi e le parti. Ed essa medesima non si dimostra col 
suo fine nelle parole ; essa è restata, mediante l' ignoranza, indietro alle predette 

l'inciso: « come l'assenza di Dio e dell'anima e simili », probabilmente per non incorrere nella censura. Per simile 
motivo la stessa edizione romana, al § 4, invece delle parole : « le immagini delle divine deità », ha : « le immagini 
de' santi », ed al § 8, alle parole: «parente d'Iddio», sostituisce: «opera d'Iddio». 
1 In altre edizioni, invece di «fruite», si legge: «finite». 



a 32] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 23 

scienze, non mancando per questo di sua divinità. E veramente non senza cagione 
non l'hanno nobilitata, perchè per sè medesima si nobilita senza l'aiuto delle altrui 
lingue, non altrimenti che si facciano le eccellenti opere di natura. E se i pittori 
non hanno di lei descritto e ridottala in scienza, non è colpa della pittura. Perchè 
pochi pittori fanno professione di lettere, perchè la lor vita non basta ad intendere 
quella, per questo avremo noi a dire che essa è meno nobile? Avremo noi a dire che 
le virtù delle erbe, pietre e piante non sieno in essere perchè gli uomini non le abbiano 
conosciute? Certo no, ma diremo esse erbe restarsi in sè nobili senza l'aiuto delle 
lingue o lettere umane. 

31. Comincia della scultura, e s'essa è scienza o no. 

La scultura non è scienza ma arte meccanicissima, perchè genera sudore e fatica 
corporale al suo operatore, e solo bastano a tale artista le semplici misure dei 
membri e la natura de' movimenti e posati, e così in sè finisce dimostrando all' occhio 
quel che quello è, e non dà di sè alcuna ammirazione al suo contemplante, come fa 
la pittura, che in una piana superficie per forza di scienza dimostra le grandissime 
campagne co' lontani orizzonti. 

32. Differenza tra la pittura e la scultura. 

Tra la pittura e la scultura non trovo altra differenza, senonchè lo scultore 
conduce le sue opere con maggior fatica di corpo che il pittore, ed il pittore 
conduce le opere sue con maggior fatica di mente. Provasi così esser vero, con- 
ciossiachè lo scultore nel fare la sua opera fa per forza di braccia e di percussione 
a consumare il marmo, od altra pietra soverchia, eh' eccede la figura che dentro 
a quella si rinchiude, con esercizio meccanicissimo, accompagnato spesse volte da 
gran sudore composto di polvere e convertito in fango, con la faccia impastata, e 
tutto infarinato di polvere di marmo che pare un fornaio, e coperto di minute 
scaglie, che pare gli sia fioccato addosso ; e 1' abitazione imbrattata e piena di 
scaglie e di polvere di pietre. Il che tutto al contrario avviene al pittore, parlando 
di pittori e scultori eccellenti ; imperocché il pittore con grande agio siede dinanzi 
alla sua opera ben vestito, e muove il lievissimo pennello co' vaghi colori, ed ornato 
di vestimenti come a lui piace ; ed è l' abitazione sua piena di vaghe pitture, e 
pulita, ed accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle opere, le 
quali, senza strepito di martelli od altro rumore misto, sono con gran piacere 
udite. Ancora lo scultore nel condurre a fine le sue opere ha da fare per ciascuna 
figura tonda molti dintorni, acciocché di tal figura ne risulti grazia per tutti gli 
aspetti; e questi tali dintorni non son fatti se non dalla convenienza dell' alto e basso, 
il quale non lo può porre con verità se non si tira in parte che la veda in profilo, 



24 LEONARDO DA VINCI [§ 32 

cioè che i termini della concavità e rilievi sieno veduti avere confini coli' aria che 
li tocca. Ma invero questo non aggiunge fatica all' artefice, considerando eh' egli, 
siccome il pittore, ha vera notizia di tutti i termini delle cose vedute per qualunque 
verso; la qual notizia al pittore, siccome allo scultore, sempre è in potenza. Ma 
lo scultore avendo da cavare dove vuol fare gì' intervalli de' muscoli, e da lasciare 
dove vuol fare i rilievi di essi muscoli, non li può generare con debita figura oltre 
lo aver fatto la lunghezza e larghezza loro, s' egli non si muove in traverso, pie- 
gandosi od alzandosi in modo eh' esso vegga la vera altezza de' muscoli e la vera 
bassezza de' loro intervalli ; e questi son giudicati dallo scultore in tal sito, e per 
questa via di dintorni si ricorreggono, altrimenti mai porrà bene i termini o vero figure 
delle sue sculture. E questo tal modo dicono essere fatica di mente allo scultore, 
perchè non acquista altro che fatica corporale; perchè in quanto alla mente, o vo' dire 
giudizio, esso non ha se non in tal profilo a ricorreggere i dintorni delle membra, 
dove i muscoli sono troppo alti; e questo è il proprio ordinario dello scultore a 
condurre a fine le opere sue. Il quale ordinario è condotto dalla vera notizia di 
tutti i termini delle figure de' corpi per qualunque verso. Dice lo scultore, che se 
e' leva di soverchio, non può più aggiungere, come il pittore. Al quale si risponde : 
se la sua arte era perfetta, egli avrebbe sollevato mediante la notizia delle misure 
quel che bastava, e non di soverchio, il quale levamento nasce dalla sua igno- 
ranza, la quale gli fa levare più o meno che non debba. Ma di questi non parlo, 
perchè non sono maestri, ma guastatori di marmi ; i maestri non si fidano nel 
giudizio dell' occhio, perchè sempre inganna, come prova chi vuol dividere una 
linea in due parti eguali a giudizio di occhio, che spesso la sperienza lo inganna. 
Onde per tale sospetto i buoni giudici sempre temono, il che non fanno gì' igno- 
ranti; e per questo colla notizia della misura di ciascuna lunghezza, grossezza e 
larghezza de' membri si vanno al continuo governando, e così facendo non levano 
più del dovere. Il pittore ha dieci vari discorsi, co' quali esso conduce al fine le sue 
opere, cioè luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto 
e quiete. Lo scultore solo ha da considerare corpo, figura, sito, moto e quiete; nelle 
tenebre o luce non s' impaccia, perchè la natura da sè le genera nelle sue sculture ; 
del colore nulla ; di remozione o propinquità se n' impaccia mezzanamente, cioè non 
adopera se non la prospettiva lineale, ma non quella de' colori, che si variano in varie 
distanze dall' occhio di colore e di notizia de' loro termini e figure. Adunque ha meno 
discorso la scultura, e per conseguenza è di minore fatica d' ingegno che la pittura. 

33. Il pittore e lo scultore. 

Dice lo scultore la sua arte essere più degna della pittura, conciossiachè quella 
è più eterna per temer meno 1' umido, il fuoco, il caldo ed il freddo, che la pittura. 
A costui si risponde che questa tal cosa non fa più dignità nello scultore, perchè 



a 33] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 25 

tal permanenza nasce dalla materia, e non dall' artefice, la qual dignità può ancora 
essere nella pittura, dipingendo con colori di vetro sopra i metalli, o terra cotta, 
e quelli in fornace far discorrere, e poi pulire con diversi strumenti, e fare una 
superficie piana e lustra, come ai nostri giorni si vede fare in diversi luoghi di 
Francia e d' Italia, e massime in Firenze nel parentado della Robbia, i quali hanno 
trovato modo di condurre ogni grande opera in pittura sopra terra cotta coperta di 
vetro. Vero è che questa è sottoposta alle percussioni e rotture, siccome la scultura di 
marmo, ma non è immune dalle offese de' distruttori 1 come le figure di bronzo, ma 
di eternità si congiunge colla scultura, e di bellezza la supera senza comparazione, 
perchè in quella si congiungono le due prospettive, e nella scultura tonda non è 
nessuna che non sia fatta dalla natura. Lo scultore nel fare una figura tonda fa sola- 
mente due figure, e non infinite per gì' infiniti aspetti donde essa può essere veduta, 
e di queste due figure 1' una è veduta dinanzi e 1' altra di dietro ; e questo si prova 
non essere altrimenti, perchè se tu fai una figura in mezzo rilievo veduta dinanzi, 
tu non dirai mai avere fatto più opera in dimostrazione, che si faccia il pittore 
in una figura fatta nella medesima veduta ; e il simile interviene a una figura volta 
indietro. Ma il basso rilievo è di più speculazione senza comparazione al tutto 
rilievo, e si accosta in grandezza di speculazione alquanto alla pittura, perchè è obbli- 
gato alla prospettiva ; e il tutto rilievo non s' impaccia niente in tal cognizione, perchè 
egli adopera le semplici misure come le ha trovate al vivo ; e di qui, in quanto a 
questa parte, il pittore impara più presto la scultura, che lo scultore la pittura. Ma 
per tornare al proposito di quel eh' è detto del basso rilievo, dico che quello è 
di men fatica corporale che il tutto rilievo, ma assai di maggiore investigazione, 
conciossiachè in quello si ha da considerare la proporzione che han le distanze 
interposte infra le prime parti de' corpi e le seconde, e dalle seconde alle terze 
successivamente ; le quali se da te prospettivo saranno considerate, tu non troverai 
opera nessuna in basso rilievo che non sia piena di errori ne' casi del più e men 
rilievo che si richiede alla parte de' corpi che sono più o men vicini all' occhio. 
Il che mai sarà nel tutto rilievo, perchè la natura aiuta lo scultore ; e per questo 
quel che fa di tutto rilievo manca di tanta difficoltà. Seguita un nimico capitale dello 
scultore nel tutto e nel poco rilievo delle sue cose, le quali nulla valgono se non 
hanno il lume accomodato simile a quello dove esse furono lavorate. Imperocché se 
esse hanno il lume di sotto, le loro opere parranno assai, 2 e massime il basso rilievo, 
che quasi cancella negli opposti giudizi la sua cognizione. Il che non può accadere 
al pittore, il quale, oltre all' aver poste le membra delle sue cose, esso si è convertito 
ne' due uffici della natura, i quali sono grandissimi, e questi sono le due prospettive, 
ed il terzo di grandissimo discorso, eh' è il chiaro scuro delle ombre, o de' lumi, 



1 Nel codice: « ma non è a' distruttori come le figure di bronzo » 

2 Altri aggiungono: «mostruose». 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 



4 



26 LEONARDO DA VINCI [§ 33 

di che lo scultore è ignorante, ed è aiutato dalla natura nel modo eh' essa aiuta 
le altre cose invisibili 1 artificiose. 

34. Come la scultura è di minore ingegno che la pittura, e mancano 
in lei molte parti naturali. 

Adoperandomi io non meno in scultura che in pittura, ed esercitando l' una 
e l' altra in un medesimo grado, mi pare con picciola imputazione poterne dare 
sentenza, quale sia di maggiore ingegno, difficoltà e perfezione l' una che l' altra. 
Prima la scultura è sottoposta a certi lumi, cioè di sopra, e la pittura porta per 
tutto seco e lume e ombra. E lume e ombra è la importanza adunque della scultura ; 
lo scultore in questo caso è aiutato dalla natura del rilievo, eh' ella genera per sè ; 
e il pittore per accidentale arte lo fa ne' luoghi dove ragionevolmente lo farebbe 
la natura ; lo scultore non si può diversificare nelle varie nature de' colori delle 
cose; la pittura non manca in parte alcuna. Le prospettive degli scultori non paiono 
niente vere, quelle del pittore paiono a centinaia di miglia di là dall' opera. La 
prospettiva aerea è lontana dall' opera. Non possono figurare i corpi trasparenti, 
non possono figurare i luminosi, non linee riflesse, non corpi lucidi, come specchi 
e simili cose lustranti, non nebbie, non tempi oscuri, ed infinite cose che non si 
dicono per non tediare. Ciò eh' ella ha, è che la è più resistente al tempo, benché 
a simile resistenza la pittura fatta sopra rame grosso coperto di smalto bianco, e 
sopra quello dipinto con colori di smalto, e rimesso in fuoco e fatto cuocere, 
questa per eternità avanza la scultura. Potrà dire lo scultore, che dove fa un errore 
non gli è facile il racconciarlo ; questo è debole argomento a voler provare che 
una ismemorataggine irrimediabile faccia 1' opera più degna ; ma io dirò bene che 
l' ingegno del maestro che fa simili errori sarà più difficile a racconciare, che non 
sarà a racconciare l' opera da quello guasta. Noi sappiamo bene che quello che 
sarà pratico non farà simili errori, anzi con buone regole andrà levando tanto poco 
per volta, che condurrà bene la sua opera. Ancora lo scultore se fa di terra o cera 
può levare e porre, e quando l'opera è terminata con facilità si gitta in bronzo; e 
questa è 1' ultima operazione e la più permanente che abbia la scultura ; imperocché 
quella eh' è solo di marmo è sottoposta alla rovina, il che non è del bronzo. Adunque 
quella pittura fatta in rame che si può, com' è detto della pittura, levare e porre 
a par al bronzo, chè quando facevi quell'opera di cera prima si poteva ancor essa levare 
e porre, se questa è scultura di bronzo, quella 2 di rame e di vetro è eternissima. 
Se il bronzo rimane nero e bruno, questa pittura è piena di vari e vaghi colori ; 
e di infinite varietà, delle quali com' è di sopra ; 3 se un volesse dire solamente 

1 Forse « visibili ». 

2 In altre edizioni: « quella pittura». 

3 Nell'edizione viennese: « com'è detto di sopra, non si dice per non tediare ». 



a 35] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 27 

della pittura in tavola, di questo mi accorderei anch' io con la scultura, dicendo 
così : come la pittura è più bella, e di più fantasia, e più copiosa, è la scultura 
più durabile, che altro non ha. La scultura con poca fatica mostra quel che la pit- 
tura pare cosa miracolosa, cioè a far parere palpabili le cose impalpabili, rilevate le 
cose piane, lontane le cose vicine: in effetto, la pittura è ornata d'infinite specula- 
zioni, che la scultura non le adopera. Nessuna comparazione è dall' ingegno, artificio 
e discorso della pittura a quello della scultura, che non s' impaccia se non della pro- 
spettiva causata dalla virtù della materia, e non dall' artefice. E se lo scultore dice non 
poter racconciare la materia levata di soverchio alla sua opera, come può il pittore, qui 
si risponde : che quel che troppo leva, poco intende e non è maestro ; perchè s' egli 
ha in potestà le misure, egli non leverà quello che non deve. Adunque diremo 
tal difetto essere dell' operatore e non della materia. Ma la pittura è di maravi- 
glioso artificio, tutta di sottilissime speculazioni, delle quali in tutto la scultura n'è 
privata per essere di brevissimo discorso. Rispondesi allo scultore, che dice che la 
sua scienza è più permanente che la pittura, che tal permanenza è virtù della materia 
sculta e non dello scultore ; e in questa parte lo scultore non se lo deve attribuire 
a sua gloria, ma lasciarla alla natura, creatrice di tale materia. 

35. Dello scultore e del pittore. 

Lo scultore ha la sua arte di maggior fatica corporale che il pittore, cioè più 
meccanica, e di minor fatica mentale, cioè che ha poco discorso rispetto alla pit- 
tura, perchè esso scultore solo leva, ed il pittore sempre pone; lo scultore sempre 
leva di una materia medesima, e il pittore sempre pone di varie materie. Lo scultore 
solo ricerca i lineamenti che circondano la materia sculta, ed il pittore ricerca i 
medesimi lineamenti, ed oltre a quelli ricerca ombra e lume, colore e scorto, delle 
quali cose la natura ne aiuta di continuo lo scultore, cioè con ombra e lume e 
prospettiva, le quali parti bisogna che il pittore se le acquisti per forza d' ingegno 
e si converta in essa natura, e lo scultore le trova di continuo fatte. E se tu dirai : 
egli è alcuno scultore che intende quello che intende il pittore, io ti rispondo che 
donde lo scultore intende le parti del pittore, eh' esso è pittore, e dove esso non 
le intende, eh' egli è semplice scultore. Ma il dipintore ha di bisogno sempre d' inten- 
dere la scultura, cioè il naturale, che ha il rilievo che per sè genera chiaro e scuro 
e scorto. E per questo molti ritornano alla natura per non essere scienziati in tale 
discorso d' ombre e lume e prospettiva, e per questo ritrattano il naturale, perchè 
solo tal ritrarre ne ha messo in uso, senza altra scienza o discorso di natura in tal 
proposito. E di questi ce n' è alcuni che per vetri ed altre carte o veli trasparenti 
riguardano le cose fatte dalla natura, e quivi nella superficie delle trasparenze le 
profilano, e quelle colle regole della proporzionalità le circondano di profili, cre- 
scendole alcuna volta dentro a tali profili, 1' occupano di chiaro scuro, notando il 



28 LEONARDO DA VINCI [§35 

sito, la quantità e figura d' ombre e lumi. Ma questo è da essere laudato in quelli 
che sanno fare di fantasia appresso gli effetti di natura, ma sol usano tali discorsi 
per levarsi alquanto di fatica e per non mancare in alcuna particola della vera imi- 
tazione di quella cosa, che con precisione si deve far simigliare. Ma questa tale 
invenzione è da essere vituperata in quelli che non sanno per sè ritrarre, nè discor- 
rere coli' ingegno loro, perchè con tale pigrizia sono distruttori del loro ingegno, 
nè mai sanno operare cosa alcuna buona senza tale aiuto ; e questi sempre sono 
poveri e meschini d' ogni loro invenzione o componimento di storie, la qual cosa 
è il fine di tale scienza, come a suo luogo sarà dimostrato. 

36. Comparazione della pittura alla scultura. 

La pittura è di maggior discorso mentale e di maggiore artificio e maraviglia 
che la scultura, conciossiachè necessità costringe la mente del pittore a trasmutarsi 
nella propria mente di natura, e a farsi interprete infra essa natura e 1' arte, cemen- 
tando con quella le cause delle sue dimostrazioni costrette dalla sua legge, ed in 
che modo le similitudini degli obietti circostanti all' occhio concorrano co' veri 
simulacri alla pupilla dell' occhio, e infra gli obietti eguali in grandezza quale si 
dimostrerà maggiore ad esso occhio, e infra i colori eguali qual si dimostrerà più 
o meno oscuro, o più o men chiaro ; e infra le cose di eguale bassezza, quale si 
dimostrerà più o men bassa; e di quelle che sono poste in altezza eguale, quale si 
dimostrerà più o meno alta ; e degli obietti eguali posti in varie distanze, perchè 
si dimostreranno men noti l' un che l' altro. E tale arte abbraccia e restringe in 
sè tutte le cose visibili, il che far non può la povertà della scultura, cioè i colori 
di tutte le cose e loro diminuzioni. Questa figura le cose trasparenti, e lo scultore 
ti mostrerà le naturali senza suo artifizio; il pittore ti mostrerà varie distanze con 
variamento del colore dell' aria interposta fra gli obietti e 1' occhio ; egli le nebbie, 
per le quali con difficoltà penetrano le specie degli obietti ; egli le pioggie, che 
mostrano dopo sè i nuvoli con monti e valli; egli la polvere che mostrano in sè 
e dopo sè i combattenti di essa motori ; egli i fumi più o men densi ; questo ti 
mostrerà i pesci scherzanti infra la superficie delle acque e il fondo loro; egli le 
pulite ghiaie con vari colori posarsi sopra le lavate arene del fondo de' fiumi cir- 
condati delle verdeggianti erbe dentro alla superficie dell'acqua; egli le stelle in 
diverse altezze sopra di noi, e così altri innumerabili effetti, ai quali la scultura non 
aggiunge. Dice lo scultore che il basso rilievo è di specie di pittura; questo in parte 
si accetterebbe in quanto al disegno, perchè partecipa di prospettiva ; ma in quanto 
alle ombre e lumi, è falso in scultura e in pittura, perchè le ombre di esso basso rilievo 
non sono della natura del tutto rilievo, come sono le ombre degli scorti, che non 
ha 1' oscurità della pittura o scultura tonda ; ma questa arte è una mistione di pittura 
e scultura. 



a 36] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 29 

Manca la scultura della bellezza de' colori, manca della prospettiva de' colori, 
manca della prospettiva e confusione de' termini delle cose remote all'occhio ; impe- 
rocché così farà cogniti i termini delle cose propinque come delle remote; non 
farà l' aria interposta infra l' obietto remoto e 1' occhio occupare più esso obietto 
che l'obietto vicino; non farà i corpi lucidi e trasparenti come le figure velate che 
mostrano la nuda carne sotto i veli a quella anteposti; non farà la minuta ghiaia di 
vari colori sotto la superficie delle trasparenti acque. 

La pittura è di maggior discorso mentale che la scultura, e di maggiore arti- 
ficio ; conciossiachè la scultura non è altro che quel eh' ella pare, cioè nell' essere 
corpo rilevato, e circondato di aria, e vestito da superficie oscura e chiara, come 
sono gli altri corpi naturali ; e 1' artificio è condotto da due operatori, cioè dalla 
natura e dall'uomo; ma molto è maggiore quello della natura; conciossiachè s'ella 
non soccorresse tale opera con ombre più o meno oscure, e con i lumi più o men 
chiari, tale operazione sarebbe tutta di un colore chiaro e scuro a similitudine di 
una superficie piana. E oltre questo vi si aggiunge 1' adiutorio della prospettiva, la 
quale co' suoi scorti aiuta a voltare la superficie muscolosa de' corpi a' diversi aspetti, 
occupando l'un muscolo l'altro con maggiore o minore occupazione. Qui risponde 
lo scultore e dice: s'io non facessi tali muscoli, la prospettiva non me li scorte- 
rebbe; al quale si risponde: se non fosse l'aiuto del chiaro e scuro, tu non potresti 
fare tali muscoli, perchè tu non li potresti vedere. Dice lo scultore ch'egli è esso 
che fa nascere il chiaro e lo scuro col suo levare dalla materia sculta ; rispondesi, 
che non egli ma la natura fa l' ombra, e non l' arte, e che s' egli scolpisse nelle 
tenebre, non vedrebbe nulla, perchè non vi è varietà, nè anco nelle nebbie cir- 
condanti la materia sculta con eguale chiarezza, non si vedrebbe altro che i termini 
della materia sculta ne' termini della nebbia che con lei confina. E dimando a te, 
scultore, perchè tu non conduci opere a quella perfezione in campagna, circondate 
da uniforme lume universale dell' aria, come tu fai ad un lume particolare che di alto 
discenda alla luminazione della tua opera ? E se tu fai nascere 1' ombra a tuo bene- 
placito, nel levare della materia, perchè non la fai medesimamente nascere nella 
materia sculta al lume universale, come tu fai nel lume particolare? Certo tu t'inganni, 
chè egli è altro maestro che fa esse ombre e lumi, al quale tu famiglio però pari 
la materia dov' egli imprime essi accidenti. Sicché non ti gloriare delle altrui opere; 
a te sol bastano le lunghezze e grossezze delle membra di qualunque corpo e le loro 
proporzioni, e questa è tua arte ; il resto, eh' è il tutto, è fatto dalla natura, maggior 
maestro di te. Dice lo scultore che farà di basso rilievo, e che mostrerà per via di 
prospettiva quel che non è in atto ; rispondesi, che la prospettiva è membro della 
pittura, e che in questo caso lo scultore si fa pittore, come si è dimostrato innanzi. 



30 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 37 



37. Escusazione dello scultore. 

Dice lo scultore, che s' esso leva più marmo che non deve, non può ricorreg- 
gere il suo errore, come fa il pittore; al quale si risponde, che chi leva più che 
non deve non è maestro, perchè maestro si dimanda quello che ha vera scienza 
della sua operazione. Risponde lo scultore, che lavorando il marmo si scopre una 
rottura, che ne fu causa essa e non il maestro di tale errore ; rispondesi tale scul- 
tore essere in questo caso come il pittore a cui si rompe ed offende la tavola donde 
egli dipinge. Dice lo scultore che non può fare una figura, che non ne faccia infinite 
per gì' infiniti termini che hanno le quantità continue ; rispondesi, che gì' infiniti 
termini di tal figura si riducono in due mezze figure, cioè una mezza dal mezzo 
indietro, e 1' altra mezza dal mezzo innanzi ; le quali, essendo ben proporzionate, 
compongono una figura tonda, e queste tali mezze avendo i loro debiti rilievi in 
tutte le loro parti, risponderanno per sè senz'altro magistero per tutte le infinite figure 
che tale scultore dice aver fatte; che il medesimo si può dire da uno che faccia 
un vaso al torno, perchè ancora egli può mostrare il suo vaso per infiniti aspetti. 
Ma che può fare lo scultore, che gli accidenti naturali al continuo non lo soccorrino 
in tutti i necessari ed opportuni casi, il quale aiuto è privato d'inganno; e questo 
è il chiaro scuro, che i pittori dimandano lume ed ombra, i quali il pittore con 
grandissima speculazione da sè generatili, con le medesime quantità e qualità e 
proporzioni aiutandosi, che la natura senza ingegno dello scultore aiuta la scultura, 
e la medesima natura aiuta tale artefice con le debite diminuzioni, colle quali la 
prospettiva per sè produce naturalmente senza discorso dello scultore ; la quale scienza 
fa bisogno che il pittore col suo ingegno si acquisti. Dirà lo scultore fare opere 
più eterne che il pittore ; qui si risponde essere virtù della materia sculta e non 
dello scultore, che la scolpisce ; e se il pittore dipinge in terra cotta co' vetri, l'opera 
sua sarà più eterna che la scultura. 

38. Dell'obbligo che ha la scultura col lume, e non la pittura. 

Se la scultura avrà il lume di sotto parrà cosa mostruosa e strana; questo non 
accade alla pittura, che tutte le parti porta con sè. 

39. Differenza eh' è dalla pittura alla scultura. 

La prima maraviglia che apparisce nella pittura è il parere spiccata dal muro 
od altro piano, ed ingannare i sottili giudizi con quella cosa che non è divisa dalla 
superficie della parete ; qui in questo caso lo scultore fa le opere sue che tanto 
paiono quanto elle sono, e qui è la causa che il pittore bisogna che faccia l'ufficio 



a 40] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE PRIMA 



3 



della notizia nelle ombre, che sieno compagne de' lumi. Allo scultore non bisogna 
tale scienza, perchè la natura aiuta le sue opere, com' essa fa ancora a tutte le altre 
cose corporee, dalle quali tolta la luce sono di un medesimo colore, e renduta loro 
la luce, sono d; vari colori, cioè chiaro e scuro. La seconda cosa che al pittore 
con gran discorso bisogna, è che con sottile investigazione ponga le vere qualità e 
quantità delle ombre e lumi ; qui la natura per sè le mette nelle opere dello scultore. 
Terza è la prospettiva, investigazione ed invenzione sottilissima degli studi matematici, 
la quale per forza di linee fa parere remoto quel eh' è vicino, e grande quel eh' è 
picciolo ; qui la scultura è aiutata dalla natura in questo caso, e fa senza invenzione 
dello scultore. 

40. Della pittura e della poesia. 

Per fingere le parole la poesia supera la pittura, e per fingere fatti la pittura 
supera la poesia, e quella proporzione eh' è dai fatti alle parole, tal è dalla pittura 
ad essa poesia, perchè i fatti sono subietto dell' occhio, e le parole subietto dell' orec- 
chio, e così i sensi hanno la medesima proporzione infra loro, quale hanno i loro 
obietti infra sè medesimi, e per questo giudico la pittura essere superiore alla 
poesia. Ma per non sapere i suoi operatori dire la sua ragione, è restata lungo tempo 
senza avvocati, perchè essa non parla, ma per sè si dimostra e termina ne' fatti ; e la 
poesia finisce in parole, con le quali come briosa sè stessa lauda. 1 

1 Nel codice si legge la seguente annotazione : « Questo capitolo Della pittura e della poesia è stato ritrovato 
dopo avere scritto tutto il libro. Però mi pare starebbe bene s'ei seguisse dietro il capitolo: Quale scienza è mec- 
canica e quale noìi è meccanica ». Poi, scritte con inchiostro diverso, si trovano le parole: « più tosto dietro al 
capitolo: Arguizione del poeta contro il pittore, ovvero dietro al seguente». 




PARTE SECONDA. 




41. Del primo principio della scienza della pittura. 

Il principio della scienza della pittura è il punto, il secondo 
è la linea, il terzo è la superficie, il quarto è il corpo che 
si veste di tal superficie ; e questo è quanto a quello che si 
finge, cioè esso corpo che si finge, perchè invero la pittura 
non si estende più oltre che la superficie, per la quale si finge 
il corpo figura di qualunque cosa evidente. 



42. Principio della scienza della pittura. 



La superficie piana ha tutto il suo simulacro in tutta Y altra 
superficie piana che le sta per obietto. Provasi, e sia rs la prima 
superficie piana, e o q sia la seconda superficie piana posta a riscontro 
alla prima; dico: ch'essa prima superficie rs è tutta in oq superficie 
e tutta in e tutta in q e tutta in p , perchè rs è bassa dal- 
l' angolo o e dall'angolo p e così d'infiniti angoli fatti in oq . ( h 

43. Del secondo principio della pittura. 





Il secondo principio della pittura è l' ombra del corpo, che per lei si finge, e di questa 
ombra daremo i principi, e con quelli procederemo nell' isculpire la predetta superficie. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. ^ 



34 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 44 



44. In che si estende la scienza della pittura. 

La scienza della pittura si estende in tutti i colori delle superficie e figure dei 
corpi da quelle vestiti, ed alle loro propinquità e remozioni con i debiti gradi di dimi- 
nuzioni secondo i gradi delle distanze ; e questa scienza è madre della prospettiva, cioè 
linee visuali. La qual prospettiva si divide in tre parti, e di queste la prima con- 
tiene solamente i lineamenti de' corpi ; la seconda tratta della diminuzione de' colori 
nelle diverse distanze ; la terza, della perdita della congiunzione 1 de' corpi in varie 
distanze. Ma la prima, che sol si estende ne' lineamenti e termini de' corpi, è detta 
disegno, cioè figurazione di qualunque corpo. Da questa esce un' altra scienza che 
si estende in ombra e lume, o vuoi dire chiaro e scuro; la quale scienza è di gran 
discorso; ma quella delle linee visuali ha partorito la scienza dell'astronomia, la 
quale è semplice prospettiva, perchè sono tutte linee visuali e piramidi tagliate. 

45. Quello che deve prima imparare il giovane. 

Il giovane deve prima imparare prospettiva ; poi le misure d' ogni cosa ; poi di 
mano di buon maestro, per assuefarsi a buone membra ; poi dal naturale, per confer- 
marsi la ragione delle cose imparate; poi vedere un tempo le opere di mano di 
diversi maestri ; poi far abito a mettere in pratica ed operare l' arte. 

46. Quale studio deve essere ne' giovani. 

Lo studio de' giovani, i quali desiderano di professionarsi 2 nelle scienze imitatrici 
di tutte le figure delle opere di natura, dev' essere circa il disegno accompagnato 
dalle ombre e lumi convenienti al sito dove tali figure sono collocate. 

47. Quale regola si deve dare a' putti pittori. 

Noi conosciamo chiaramente che la vista è delle più veloci operazioni che sieno, 
ed in un punto vede infinite forme ; nientedimeno non comprende se non una cosa 
per volta. Poniamo caso, tu, lettore, guardi in una occhiata tutta questa carta scritta, 
e subito giudicherai questa esser piena di varie lettere : ma non conoscerai in questo 
tempo che lettere sieno, nè che vogliano dire ; onde ti bisogna fare a parola a parola, 
verso per verso, a voler avere notizia d' esse lettere. Ancora, se vorrai montare all' al- 
tezza d' un edifizio, converratti salire a grado a grado, altrimenti sarà impossibile 
pervenire alla sua altezza. E così dico a te che la natura volge a quest' arte : se vuoi 

1 In altre edizioni si legge: «cognizioni». 

2 In altre edizioni: «perfezionarsi». 



a si] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 35 

aver vera notizia delle forme delle cose, comincierai dalle particole di quelle, e non 
andare alla seconda, se prima non hai bene nella memoria e nella pratica la prima. 
E se farai altrimenti, getterai via il tempo, o veramente allungherai assai lo studio. 
E ricordoti che impari prima la diligenza che la prestezza. 

48. Della vita del pittore nel suo studio. 

Acciocché la prosperità del corpo non guasti quella dell' ingegno, il pittore ovvero 
disegnatore dev' essere solitario, e massime quando è intento alle speculazioni e 
considerazioni, che continuamente apparendo dinanzi agli occhi danno materia alla 
memoria di essere bene riservate. E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo, e se sarai 
accompagnato da un solo compagno, sarai mezzo tuo, e tanto meno quanto sarà 
maggiore la indiscrezione della sua pratica. E se sarai con più, cadrai di più in simile 
inconveniente ; e se tu volessi dire : io farò a mio modo, io mi ritrarrò in parte 
per poter meglio speculare le forme delle cose naturali, dico questo potersi mal 
fare perchè non potresti fare che spesso non prestassi orecchio alle loro ciancie. 
E non si può servire a due signori ; tu faresti male 1' ufficio del compagno, e peggio 
1' effetto della speculazione dell' arte. E se tu dirai : io mi trarrò tanto in parte, che 
le loro parole non perverranno e non mi daranno impaccio, io in questo ti dico 
che saresti tenuto matto, ma vedi che così facendo tu saresti pur solo? 

49. Notizia del giovane disposto alla pittura. 

Molti sono gli uomini che hanno desiderio ed amore al disegno, ma non disposi- 
zione, e questo sarà conosciuto ne' putti, i quali sono senza diligenza, e mai finiscono 
con ombre le loro cose. 

50. Precetto. 

Non è laudabile quel pittore che non fa bene se non una cosa sola, come un 
nudo, testa, panni, o animali, o paesi, o simili particolari, imperocché non è sì 
grosso ingegno, che voltatosi ad una cosa sola, e quella sempre messa in opera, 
non la faccia bene. 

51. In che modo deve il giovane procedere nel suo studio. 

La mente del pittore si deve del continuo trasmutare in tanti discorsi quante 
sono le figure degli obietti notabili che dinanzi gli appariscono, ed a quelle fermare 
il passo e notarle, e far sopra esse regole, considerando il luogo, le circostanze, 
i lumi e le ombre. 



36 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 52 



52. Del modo di studiare. 

Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica nata da essa scienza. Il pittore 
deve studiare con regola, e non lasciare cosa che non si inetta alla memoria, e vedere 
che differenza è fra le membra degli animali e le loro giunture. 

53. A che similitudine dev'essere l'ingegno del pittore. 

L' ingegno del pittore vuol essere a similitudine dello specchio, il quale sempre 
si trasmuta nel colore di quella cosa eh' egli ha per obietto, e di tante similitudini 
si empie, quante sono le cose che gli sono contrapposte. Adunque conoscendo tu 
pittore non potere esser buono se non sei universale maestro di contraffare colla 
tua arte tutte le qualità delle forme che produce la natura, le quali non saprai fare 
se non le vedi e le ritrai nella mente, onde, andando tu per campagne, fa che il 
tuo giudizio si volti a' vari obietti, e di mano in mano riguarda or questa cosa, 
or quella, facendo un fascio di varie cose elette e scelte infra le men buone. E 
non fare come alcuni pittori, i quali, stanchi colla lor fantasia, dimetton 1' opera, 
e fanno esercizio coli' andare a spasso, riserbandosi una stanchezza nella mente, la 
quale, non che vogliano por mente a varie cose, ma spesse volte, incontrandosi negli 
amici e parenti, essendo da quelli salutati, non che li vedano o sentano, non altri- 
menti sono conosciuti come se non li scontrassero. 

54. Del giudizio del pittore. 

Tristo è quel maestro del quale 1' opera avanza il giudizio suo. E quello si drizza 
alla perfezione dell' arte, del quale l' opera è superata dal giudizio. 

55. Discorso de' precetti del pittore. 

Io ho veduto universalmente a tutti quelli che fan professione di ritrarre volti 
al naturale, che quel che fa più somigliare è più tristo componitore d' istorie che 
nessun altro pittore. E questo nasce perchè quel che fa meglio una cosa gli è mani- 
festo che la natura lo ha più disposto a quella tal cosa che ad un' altra, e per questo 
n' ha avuto più amore, ed il maggior amore lo ha fatto più diligente ; e tutto 
l'amore eh' è posto a una parte manca al tutto, perchè s'è unito tutto il suo diletto 
in quella cosa sola, abbandonando 1' universale pel particolare. Essendo la potenza 
di tale ingegno ridotta in poco spazio, non ha potenza nella dilatazione, e fa questo 
ingegno a similitudine dello specchio concavo, il quale pigliando i raggi del sole, 
quando riflette essa quantità di raggi in maggiore somma di dilatazione, li rifletterà 



a 56] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 37 

con più tepida caldezza, e quando esso li riflette tutti in minore luogo, allora tali 
raggi sono d' immensa caldezza, ma adopera in poco luogo. Tal fanno questi tali 
pittori non amando altra parte della pittura che il solo viso dell' uomo ; e peggio 
è che non conoscono altra parte neh" arte di che essi facciano stima, o che abbiano 
giudizio, e le loro cose essendo senza movimento, per essere ancora loro pigri e 
di poco moto, biasimano quella cosa che ha i movimenti maggiori e più pronti 
di quelli che sono fatti da lui ; dicendo quelli parere spiritati e maestri di moresche. 
Vero è che si deve osservare il decoro, cioè che i movimenti sieno annunziatori 
del moto dell' animo del motore, cioè se si ha a figurare uno eh' abbia a dimo- 
strare una timorosa reverenza, eh' ella non sia fatta con tale audacia e prosunzione 
che tale effetto paia disperazione, o che faccia un comandamento, 1 come io vidi 
a questi giorni un angelo che pareva nel suo annunziare che volesse cacciare la 
Nostra Donna dalla sua camera, con movimenti che dimostravano tanto d' ingiuria, 
quanto far si potesse a un vilissimo nimico. E la Nostra Donna parea che si volesse, 
come disperata, gettarsi giù da una finestra. Sicché siati a memoria di non cadere 
in tali difetti. 

Di questa cosa io non farò scusa con nessuno, perchè se un fa credere che io 
dica a lui, perchè ciascuno che fa a suo modo si condanna, e pargli far bene, e 
questo conoscerai in quelli che fanno una pratica senza mai pigliar consiglio dalle 
opere di natura, e solo son vòlti a fare assai, e per un soldo più di guadagno la 
giornata cucirebbero più presto scarpe che dipingere. Ma di questi non mi estendo 
in più lungo discorso, perchè non li accetto nell' arte, figliuola della natura. Ma per 
parlar de' pittori e loro giudizi, dico che a quello che troppo muove le sue figure 
gli pare che quello che le muove quanto si conviene faccia figure addormentate, 
e quello che le muove poco, gli pare che quello che fa il debito e conveniente 
movimento sieno spiritate. E per questo il pittore deve considerare i modi di quegli 
uomini che parlano insieme freddamente o caldamente, ed intendere la materia di 
che parlano, e vedere se gli atti sono appropriati alle materie loro. 

Il pittore dev' essere solitario e considerar ciò eh' esso vede e parlare con sè 
eleggendo le parti più eccellenti delle specie di qualunque cosa egli vede ; facendo 
a similitudine dello specchio, il quale si tramuta in tanti colori, quanti sono quelli 
delle cose che gli si pongono dinanzi; e facendo così, gli parrà essere seconda 
natura. 

56. Precetto del pittore. 

Se tu, pittore, t' ingegnerai di piacere ai primi pittori, tu farai bene la tua pit- 
tura, perchè sol quelli sono che con verità ti potran sindacare. Ma se tu vorrai 



Alla parola « comandamento » segue nel codice la particella « dello » e quindi una breve lacuna. 



38 LEONARDO DA VINCI [§ 56 

piacere a quelli che non son maestri, le tue pitture avranno pochi scorti, e poco 
rilievo, o movimento pronto, e per questo mancherai in quella parte di che la 
pittura è tenuta arte eccellente, cioè del far rilevare quel eh' è nulla in rilievo. E 
qui il pittore avanza lo scultore, il quale non dà maraviglia di sè in tale rilievo, 
essendo fatto dalla natura quel che il pittore colla sua arte si acquista. 

57. Precetti del pittore. 

Quello non sarà universale che non ama egualmente tutte le cose che si con- 
tengono nella pittura ; come se uno non gli piace i paesi, esso stima quelli esser 
cosa di breve e semplice investigazione, come disse il nostro Botticella, che tale 
studio era vano, perchè col solo gettare di una spugna piena di diversi colori in 
un muro, essa lascia in esso muro una macchia, dove si vede un bel paese. Egli 
è ben vero che in tale macchia si vedono varie invenzioni di ciò che l'uomo vuole 
cercare in quella, cioè teste d'uomini, diversi animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli 
e boschi ed altre simili cose ; e fa come il suono delle campane, nelle quali si può 
intendere quelle dire quel che a te pare. Ma ancora eh' esse macchie ti dieno inven- 
zione, esse non t' insegnano finire nessun particolare. E questo tal pittore fece tristis- 
simi paesi. 

58. Dell'essere universale nelle sue opere. 

Tu, pittore, per essere universale e piacere a' diversi giudizi, farai in un mede- 
simo componimento che vi siano cose di grande oscurità e di gran dolcezza di 
ombre, facendo però note le cause di tali ombre e dolcezze. 

59. Precetto. 

Quel pittore che non dubita, poco acquista. Quando 1' opera supera il giudizio 
dell' operatore, esso operante poco acquista. E quando il giudizio supera l' opera, 
essa opera mai finisce di migliorare, se l' avarizia non l' impedisce. 

60. Precetti del pittore. 

Il pittore deve prima suefare la mano col ritrarre disegni di mano de' buoni 
maestri, e fatta detta suefazione col giudizio del suo precettore, deve dipoi suefarsi 
col ritrarre cose di rilievo buone, con quelle regole che del ritrar di rilievo si dirà. 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



39 



61. Precetto intorno al disegno dello schizzare storie e figure. 

Il bozzar delle storie sia pronto, e il membrificare non sia troppo finito ; sta con- 
tento solamente a' siti di esse membra, le quali poi a beli' agio piacendoti potrai finire. 

62. Dell'operatore della pittura e suoi precetti. 

Ricordo a te, pittore, che quando col tuo giudizio o per altrui avviso scopri 
alcuni errori nelle opere tue, che tu li ricorregga, acciocché nel pubblicare tale 
opera tu non pubblichi insieme con quella la materia tua; e non ti scusare con 
te medesimo, persuadendoti di restaurare la tua infamia nella succedente tua opera, 
perchè la pittura non muore immediate dopo la sua creazione come fa la musica, ma 
lungo tempo darà testimonianza dell' ignoranza tua. E se tu dirai che per ricorreg- 
gere ci vuol tempo, mettendo il quale in un' altra opera tu guadagneresti assai, tu hai 
ad intendere che la pecunia guadagnata soprabbondante all' uso del nostro vivere 
non è molta, e se tu ne vuoi in abbondanza, tu non la finisci di adoperare, e non è 
tua ; e tutto il tesoro che non si adopera è nostro a un medesimo modo ; e ciò 
che tu guadagni che non serve alla vita tua è in man d' altri senza tuo grado. Ma 
se tu studierai e ben limerai le opere tue col discorso delle due prospettive, tu lascierai 
opere che ti daranno più onore che la pecunia, perchè essa sola per sè si onora e non 
colui che la possiede, il quale sempre si fa calamita d' invidia e cassa di ladroni, 
e manca la fama del ricco insieme colla sua vita, resta la fama del tesoro e non del 
tesaurizzante. E molto maggior gloria è quella della virtù de' mortali, che quella dei 
loro tesori. Quanti imperatori e quanti principi sono passati che non ne resta alcuna 
memoria, perchè solo cercarono gli stati e ricchezze per lasciare fama di loro ? Quanti 
furono quelli che vissero in povertà di danari per arricchire di virtù? E tanto più 
è riuscito tal desiderio al virtuoso che al ricco, quanto la virtù eccede essa ricchezza. 
Non vedi tu che il tesoro per sè non lauda il suo cumulatore dopo la sua vita, come 
fa la scienza, la quale sempre è testimone e tromba del suo creatore, perchè ella è 
figliuola di chi la genera, e non figliastra com' è la pecunia? E se tu dirai poter 
satisfare più a' tuoi desideri della gola e lussuria mediante esso tesoro e non per la 
virtù, va considerando gli altri che sol han servito ai sozzi desideri del corpo, come 
gli altri brutti animali; qual fama resta di loro? E se tu ti scuserai, per avere a 
combattere colla necessità, non avere tempo a studiare, e farti vero nobile, non 
incolpare se non te medesimo; perchè solo lo studio della virtù è pasto dell'anima 
e del corpo. Quanti sono i filosofi nati ricchi che hanno diviso i tesori da sè, per non 
essere vituperati da quelli ! E se tu ti scusassi co' figliuoli, che ti bisogna nutrire, 
piccola cosa basta a quelli, ma fa che il nutrimento sieno le virtù, le quali sono fedeli 
ricchezze, perchè quelle non ci lasciano se non insieme colla vita. E se tu dirai che 



40 LEONARDO DA VINCI [§ 62 

vuoi far prima un capitale di pecunia, che sia dote della vecchiezza tua, questo studio 
mai mancherà, e non ti lascierà invecchiare, e il ricettacolo delle virtù sarà pieno 
di sogni e vane speranze. 

Nessuna cosa è che più c' inganni che il nostro giudizio se s' adopera nel dare 
sentenza delle nostre operazioni; esso è buono nel giudicare le cose de' nimici e degli 
amici no, perchè odio e amicizia sono due de' più potenti accidenti che sieno appresso 
agli animali. E per questo tu, o pittore, sii vago di non sentire men volentieri quello 
che i tuoi avversari dicono delle tue opere, che del sentire quello che dicono gli 
amici, perchè è più potente 1' odio che 1' amore, perchè esso odio ruina e distrugge 
1' amore. Se chi ti giudica è vero amico, egli è un altro te medesimo. Il contrario 
trovi nel nimico, e l' amico si potrebbe ingannare. Evvi poi una terza specie di 
giudizi, che mossi d' invidia partoriscono l' adulazione che lauda il principio delle 
buone opere, acciocché la bugia accechi l' operatore. 

63. Modo d'aumentare e destare l'ingegno a varie invenzioni. 

Non resterò di mettere fra questi precetti una nuova invenzione di speculazione, la 
quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno è di grande utilità a destare 
l' ingegno a varie invenzioni. E questa è se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati 
di varie macchie o in pietre di vari misti. Se avrai a invenzionare qualche sito, potrai 
lì vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure 
grandi, valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie ed atti 
pronti di figure strane, arie di volti ed abiti ed infinite cose, le quali tu potrai ridurre 
in integra e buona forma; chè interviene in simili muri e misti, come del suono delle 
campane, che ne' loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabolo che tu t' immaginerai. 

Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il 
fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de' muri, o nella cenere del fuoco, o 
nuvoli, o fanghi, od altri simili luoghi, ne' quali, se ben saranno da te considerati, tu 
troverai invenzioni mirabilissime, che destano l' ingegno del pittore a nuove inven- 
zioni sì di componimenti di battaglie, d'animali e d'uomini, come di vari compo- 
nimenti di paesi e di cose mostruose, come di diavoli e simili cose, perchè saranno 
causa di farti onore ; perchè nelle cose confuse l' ingegno si desta a nuove invenzioni. 
Ma fa prima di sapere ben fare tutte le membra di quelle cose che vuoi figurare, 
così le membra degli animali come le membra de' paesi, cioè sassi, piante e simili. 

64. Dello studiare insino quando ti desti, o innanzi tu ti dormenti nel 
letto allo scuro. 

Ancora ho provato essere di non poca utilità, quando ti trovi allo scuro nel 
letto, andare colla immaginativa ripetendo i lineamenti superficiali delle forme per 



a 66] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 41 

l' addietro studiate, o altre cose notabili da sottile speculazione comprese, ed è questo 
proprio un atto laudabile ed utile a confermarsi le cose nella memoria. 

65. Piacere del pittore. 

La deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta 
in una similitudine di mente divina ; imperocché con libera potestà discorre alla gene- 
razione di diverse essenze di vari animali, piante, frutti, paesi, campagne, ruine di 
monti, luoghi paurosi e spaventevoli, che danno terrore ai loro risguardatori, ed 
ancora luoghi piacevoli, soavi e dilettevoli di fioriti prati con vari colori, piegati da 
soavi onde de' soavi moti de' venti, riguardando dietro al vento che da loro si fugge ; 
fiumi discendenti cogli empiti de' gran diluvi 1 dagli alti monti, che si cacciano 
innanzi le diradicate piante, miste co' sassi, radici, terra e schiuma, cacciandosi 
innanzi ciò che si contrappone alla loro ruina ; ed il mare colle sue procelle contende 
e fa zuffa co' venti, che con quella combattono, levandosi in alto colle superbe 
onde, e cade, e di quelle ruinando sopra del vento che percuote le sue basse ; e 
loro richiudendo e incarcerando sotto di sè, quello straccia e divide, mischiandolo 
colle sue torbide schiume, con quello sfoga l'arrabbiata sua ira, ed alcuna volta 
superato dai venti si fugge dal mare scorrendo per le alte ripe de' vicini promontori, 
dove, superate le cime de' monti, discende nelle opposite valli, e parte se ne mischia 
in aere, predata dal furore de' venti, e parte ne fugge dai venti, ricadendo in pioggia 
sopra del mare, e parte ne discende ruinosamente dagli alti promontori, cacciandosi 
innanzi ciò che si oppone alla sua ruina, e spesso si scontra nella sopravegnente 
onda, e con quella urtandosi si leva al cielo, empiendo l' aria di confusa e schiumosa 
nebbia, la quale ripercossa dai venti nelle sponde de' promontori genera oscuri nuvoli, 
i quali si fan preda del vento vincitore. 

66. De' giuochi che debbono fare i disegnatori. 

Quando vorrete, o voi disegnatori, pigliare da' giuochi qualche utile sollazzo, 
è da usare sempre cose al proposito della vostra professione, cioè del fare buon 
giudizio di occhio, del saper giudicare la verità delle larghezze e lunghezze delle 
cose; e per assuefare lo ingegno a simili cose faccia uno di voi una linea retta 
a caso su un muro, e ciascuno di voi tenga una sottile festuca, o paglia in mano, e 
ciascuno tagli la sua alla lunghezza che gli pare abbia la prima linea, stando lontani 
per ispazio di dieci braccia, e poi ciascuno vada all' esempio a misurare con quella 
la sua giudiziale misura ; e quello che più si avvicina colla sua misura alla lunghezza 
dell' esempio sia superiore e vincitore ed acquisti da tutti il premio che innanzi da 

1 Nel codice Vaticano si legge in margine la seguente postilla: «Qua mi ricordo della mirabile descrizione 
del diluvio dell'Autore». 

L. da Vinci — Trattato della pittura. (5 



42 LEONARDO DA VINCI [§ 66 

voi fu ordinato. Ancora si deve pigliare misure scortate, cioè pigliare un dardo o 
canna, e riguardare dinanzi ad essa una certa distanza, e ciascuno col suo giudizio 
stimi quante volte quella misura entri in quella distanza ; ed ancora chi tira meglio 
una linea d'un braccio, e sia provata con filo tirato. E simili giuochi sono cagione 
di fare buon giudizio d'occhio, il quale è il principale atto della pittura. 

67. Che si deve prima imparare la diligenza che la presta pratica. 

Quando tu, disegnatore, vorrai far buono ed utile studio, usa nel tuo disegnare 
di fare adagio; e giudicare infra i lumi quali e quanti tengano il primo grado di 
chiarezza, e similmente infra le ombre quali sieno quelle che sono più scure che 
le altre, ed in che modo si mischiano insieme, e le quantità; e paragonare 1' una 
coli' altra, ed i lineamenti a che parte si drizzino, e nelle linee quanta parte di 
esse torce per 1' uno o l' altro verso, e dove è più o meno evidente, e così larga 
o sottile; ed in ultimo che le tue ombre e lumi sieno uniti senza tratti o segni 
ad uso di fumo. E quando tu avrai fatto la mano e il giudizio a questa diligenza, 
verratti fatta tanto presto la pratica che tu non te ne avvedrai. 

68. S'egli è meglio disegnare in compagnia o no. 

Dico e confermo che il disegnare in compagnia è molto meglio che solo, per 
molte ragioni. La prima è che tu ti vergognerai di esser visto nel numero dei 
disegnatori essendo insufficiente, e questa vergogna sarà cagione di buono studio ; 
secondariamente, la invidia buona ti stimolerà ad essere nel numero de' più laudati 
di te, chè 1' altrui laude ti spronerà ; 1' altra è che tu piglierai degli atti di chi farà 
meglio di te ; e se sarai meglio degli altri, farai profitto di schivare i mancamenti, 
e l' altrui laude accrescerà la tua virtù. 

69. Modo di bene imparare a mente. 

Quando tu vorrai sapere una cosa studiata bene a mente, tieni questo modo: 
cioè quando tu hai disegnato una cosa medesima tante volte che ti paia averla 
a mente, prova a farla senza lo esempio ; ed abbi lucidato sopra un vetro sottile e 
piano lo esempio suo, e lo porrai sopra la cosa che hai fatto senza lo esempio; e nota 
bene dove il lucido non si scontra col disegno tuo ; e dove trovi avere errato, lì 
tieni a mente di non errare più, anzi ritorna all' esempio a ritrarre tante volte 
quella parte errata, che tu 1' abbia bene nella immaginativa. E se per lucidare una 
cosa tu non potessi avere un vetro piano, togli una carta di capretto sottilissima e 
bene unta e poi seccata; e quando l' avrai adoperata per un disegno, potrai colla 
spugna cancellarla e fare il secondo. 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



43 



70. Come il pittore non è laudabile s' egli non è universale. 

Alcuni si può chiaramente dire che s' ingannano, i quali chiamano buon maestro 
quel pittore il quale solamente fa bene una testa o una figura. Certo non è gran 
fatto che, studiando una sola cosa tutto il tempo della sua vita, non ne venga a 
qualche perfezione ; ma conoscendo noi che la pittura abbraccia e contiene in sè 
tutte le cose che produce la natura, e che conduce l' accidentale operazione degli 
uomini, ed in ultimo ciò che si può comprendere cogli occhi, mi pare un tristo 
maestro quello che solo una figura fa bene. Or non vedi tu quanti e quali atti 
sieno fatti dagli uomini? Non vedi tu quanti diversi animali, e così alberi ed erbe 
e fiori e varietà di siti montuosi e piani, fonti, fiumi, città, edifizi pubblici e privati, 
strumenti opportuni all'uso umano, vari abiti ed ornamenti ed arti? Tutte queste 
cose appartengono di essere di pari operazione e bontà usate da quello che tu vuoi 
chiamare buon pittore. 

71. Della trista suasione di quelli che falsamente si fanno chiamare 
pittori. 

Vi ha una certa generazione di pittori, i quali per loro poco studio bisogna che 
vivano sotto la bellezza dell' oro e dell' azzurro. Con somma stoltizia allegano costoro 
non mettere in opera le buone cose per tristi premi, e che saprebbero ancora loro 
far bene come un altro quando fossero ben pagati. Or vedi gente stolta! Non sanno 
questi tali tenere qualche opera buona dicendo: questa è da buon premio, e questa 
è da mezzano, e questa da sorte, e mostrare d'avere opere d'ogni premio? 

72. Come il pittore dev'esser vago di udire, nel fare dell'opera, il 
giudizio di ognuno. 

Certamente non è da ricusare mentre che 1' uomo dipinge il giudizio di ciascuno, 
perocché noi conosciamo chiaro che l' uomo, benché non sia pittore, avrà notizia 
della forma dell' altro uomo, e ben giudicherà s' egli è gobbo o s' egli ha una spalla 
alta o bassa, o s' egli ha gran bocca o naso od altri mancamenti. Se noi conosciamo 
gli uomini poter con verità giudicare le opere della natura, quanto maggiormente 
ci converrà confessare questi poter giudicare i nostri errori, chè sappiamo quanto 
l'uomo s'inganna nelle sue opere; e se non lo conosci in te, consideralo in altrui, 
e farai profitto degli altrui errori. Sicché sii vago con pazienza udire l'altrui opinione; 
e considera bene e pensa bene se il biasimatore ha cagione o no di biasimarti ; e se 
trovi di sì, racconcia, e se trovi di no, fa vista di non 1' avere inteso ; o, s' egli è 
uomo che tu stimi, fagli conoscere per ragione eh' egli s' inganna, 



44 



LEONARDO DA VINCI 



73. Come nelle opere d'importanza l'uomo non si deve mai fidare 
tanto nella sua memoria, che non degni ritrarre dal naturale. 

Quel maestro il quale si desse d' intendere di poter riservare in sè tutte le forme 
e gli effetti della natura, certo mi parrebbe che fosse ornato di molta ignoranza; 
conciossiacosaché detti effetti sono infiniti, e la memoria nostra non è di tanta 
capacità che basti. Adunque tu, pittore, guarda che la cupidità del guadagno non 
superi in te 1' onore dell' arte, chè il guadagno dell' onore è molto maggiore che 
l'onore delle ricchezze. Sicché per queste ed altre ragioni che si potrebbero dire, 
attenderai prima col disegno a dare con dimostrativa forma all' occhio la intenzione 
e la invenzione fatta in prima nella tua immaginativa. Dipoi va levando e ponendo 
tanto, che tu ti satisfaccia; dipoi fa acconciare uomini vestiti o nudi, nel modo che 
in sull' opera hai ordinato, e fa che per misura e grandezza sottoposta alla prospet- 
tiva, non passi niente dell' opera che bene non sia considerata dalla ragione e dagli 
effetti naturali. E questa sarà la via da farti onorare della tua arte. 

74. Di quelli che biasimano chi disegna alle feste, e che investiga le 
opere di Dio. 

Sono infra il numero degli stolti una certa setta, detti ipocriti, che al continuo 
studiano d' ingannare sè ed altri, ma più altri che sè ; ma in vero ingannano più 
loro stessi che gli altri. E questi son quelli che riprendono i pittori, i quali studiano 
i giorni delle feste nelle cose appartenenti alla vera cognizione di tutte le figure 
che hanno le opere di natura, e con sollecitudine s' ingegnano di acquistare la cogni- 
zione di quelle, quanto a loro sia possibile. Ma tacciano tali riprensori, chè questo 
è il modo di conoscere 1' operatore di tante mirabili cose, e questo è il modo di 
amare un tanto inventore, perchè invero il grande amore nasce dalla gran cognizione 
della cosa che si ama, e se tu non la conoscerai, poco o nulla la potrai amare. 
E se tu 1' ami per il bene che t' aspetti da lei, e non per la somma sua virtù, tu fai 
come il cane che mena la coda e fa festa alzandosi verso colui che gli può dare 
un osso, ma se conoscesse la virtù di tale uomo 1' amerebbe assai più, se tal virtù 
fosse al suo proposito. 

75. Delle varietà delle figure. 

Il pittore deve cercare d' essere universale, perchè gli manca assai dignità se fa 
una cosa bene e l' altra male : come molti che solo studiano nel nudo misurato 
e proporzionato, e non ricercano la sua varietà; perchè può un uomo essere pro- 
porzionato ed esser grosso e corto o lungo e sottile o mediocre, e chi di questa 



a 80] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 45 

varietà non tien conto fa sempre le sue figure in stampa, che pare che sieno tutte 
sorelle, la qual cosa merita grande riprensione. 

76. Dell'essere universale. 

Facil cosa è all' uomo che sa, farsi universale, imperocché tutti gli animali ter- 
restri hanno similitudine di membra, cioè muscoli, nervi ed ossa, e nulla variano, 
se non in lunghezza, o in grossezza, come sarà dimostrato neh' anatomia. Degli ani- 
mali d' acqua, che sono di molta varietà, e così degli insetti, non persuaderò il pittore 
che vi faccia regola, perchè sono d' infinite varietà. 

77. Dell'errore di quelli che usano la pratica senza la scienza. 

Quelli che s' innamorano della pratica senza la scienza, sono come i nocchieri 
che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si 
vadano. Sempre la pratica dev'essere edificata sopra la buona teorica, della quale 
la prospettiva è guida e porta, e senza questa nulla si fa bene. 

78. Dell'imitare pittori. > 

Dico ai pittori che mai nessuno deve imitare la maniera dell'altro, perchè sarà 
detto nipote e non figliuolo della natura ; perchè, essendo le cose naturali in tanta 
larga abbondanza, piuttosto si deve ricorrere ad essa natura che ai maestri, che da 
quella hanno imparato. E questo dico non per quelli che desiderano mediante quella 
pervenire a ricchezze, ma per quelli che di tal arte desiderano fama e onore. 

79. Ordine del disegnare. 

Ritrai prima disegni di buon maestro fatto sull' arte sul naturale e non di pratica ; 
poi di rilievo, in compagnia del disegno ritratto da esso rilievo; poi di buono 
naturale, il quale devi mettere in uso. 

80. Del ritrarre di naturale. 

Quando hai da ritrarre di naturale, sta lontano tre volte la grandezza della 
cosa che tu ritrai. 



4 6 



LEONARDO DA VINCI 



81. Del ritrarre una qualunque cosa. 

Fa che quando ritrai, o che tu muovi alcun principio di linea, che tu guardi 
per tutto il corpo che tu ritrai qualunque cosa si scontra per la dirittura della prin- 
cipiata linea. 

Nota nel tuo ritrarre, come infra le ombre sono ombre insensibili di oscurità 
e di figura; e questo si prova per la terza, che dice: le superficie globulenti sono 
di tante varie oscurità e chiarezze quante sono le varietà delle oscurità e chiarezze 
che loro stanno per obietto. 

82. Come deve essere alto il lume da ritrarre di naturale. 

Il lume da ritrarre di naturale vuol essere a tramontana, acciò non faccia muta- 
zione ; e se lo fai a mezzodì, tieni finestra impannata, acciocché il sole illuminando 
tutto il giorno non faccia mutazione. L' altezza del lume dev' essere in modo situata, 
che ogni corpo faccia tanto lunga 1' ombra sua per terra, quanto è la sua altezza. 

83. Quali lumi si debbono eleggere per ritrarre le figure de' corpi. 

Le figure di qualunque corpo ti costringono a pigliar quel lume nel quale tu 
fingi essere esse figure : cioè, se tu fingi tali figure in campagna, elle son cinte da 
gran somma di lume, non vi essendo il sole scoperto; e se il sole vede dette figure, 
le sue ombre saranno molto oscure rispetto alle parti illuminate, e saranno ombre 
di termini espediti, così le primitive come le derivative ; e tali ombre saranno poco 
compagne de' lumi, perchè da un lato illumina l'azzurro dell'aria e tinge di sè 
quella parte eh' essa vede ; e questo assai si manifesta nelle cose bianche : e quella 
parte eh' è illuminata dal sole si dimostra partecipare del colore del sole ; e questo 
vedrai molto speditamente, quando il sole cala all' orizzonte, infra il rossore de' nuvoli, 
ch'essi nuvoli si tingono del colore che li illumina; il quale rossore de' nuvoli, 
insieme col rossore del sole, fa rosseggiare ciò che piglia lume da loro ; e la parte 
de' corpi che non vede esso rossore, resta del color dell'aria; e chi vede tali corpi, 
giudica quelli essere di due colori; e da questo tu non puoi fuggire che, mostrando 
la causa di tali ombre e lumi, tu non faccia le ombre e i lumi partecipanti delle 
predette cause, se no 1' operazione tua è vana e falsa. E se la tua figura è in casa 
oscura, e tu la vedi di fuori, questa tal figura ha le ombre oscure sfumate, stando 
tu per la linea del lume ; e questa tal figura ha grazia, e fa onore al suo imitatore 
per esser essa di gran rilievo e le ombre dolci e sfumose, e massime in quella parte 
dove manco vedi 1' oscurità dell' abitazione, imperocché quivi sono le ombre quasi 
insensibili ; e la cagione sarà detta al suo luogo. 



87] 



TRATTATO DELLA PITTURA 



— PARTE SECONDA 



47 



84. Delle qualità del lume per ritrarre rilievi naturali o finti. 

Il lume tagliato dalle ombre con troppa evidenza è sommamente biasimato 
da' pittori, onde, per fuggire tale inconveniente, se tu dipingi i corpi in campagna 
aperta, farai le figure non illuminate dal sole, ma fingerai alcuna qualità di nebbia 
o nuvoli trasparenti essere interposti infra l'obietto ed il sole, onde, non essendo la 
figura del sole espedita, non saranno espediti i termini delle ombre co' termini 
de' lumi. 

85. Del ritrarre i nudi. 

Quando ritrai i nudi, fa che sempre li ritragga interi, e poi finisci quel membro 
che ti par migliore, e quello con le altre membra metti in pratica; altrimenti faresti 
uso di non appiccar mai le membra bene insieme. Non usar mai far la testa volta 
dove è il petto, nè il braccio andare come la gamba: e se la testa si volta alla 
spalla destra, fa le sue parti più basse dal lato sinistro che dal destro ; e se fai il 
petto infuori, fa che, voltandosi la testa sul lato sinistro, le parti del lato destro 
sieno più alte che le sinistre. 

86. Del ritrarre di rilievo finto o di naturale. 

Colui che ritrae di rilievo, si deve acconciare in modo tale, che 1' occhio della 
figura ritratta sia al pari dell' occhio di quello che ritrae ; e questo si farà ad una 
testa, la quale tu avessi a ritrarre di naturale, perchè universalmente le figure 
ovvero persone che scontri per le strade hanno gli occhi all' altezza de' tuoi, e se 
tu li facessi o più alti o più bassi, verresti a dissimigliare il tuo ritratto. 

87. Modo di ritrarre un sito col vetro. 

Abbi un vetro grande come un mezzo foglio reale, e quello ferma bene dinanzi 
agli occhi tuoi, cioè tra 1' occhio e la cosa che tu vuoi ritrarre ; poi poniti lontano 
con 1' occhio al detto vetro due terzi di braccio, e ferma la testa con un istrumento, 
in modo che tu non possa muoverla punto. Dipoi serra, o copriti un occhio, e col 
pennello o con il lapis a matite segna sul vetro ciò che di là appare, e poi lucida 
con carta tal vetro, e spolverizzalo sopra buona carta, e dipingila, se ti piace, usando 
bene di poi la prospettiva aerea. 



4 8 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 88 



88. Dove si debbono ritrarre i paesi. 

I paesi si debbon ritrarre in modo che gli alberi sieno mezzi illuminati, e mezzi 
ombrati ; ma meglio è farli quando il sole è occupato, da nuvoli, chè allora gli alberi 
s' illuminano dal lume universale del cielo e dall' ombra universale della terra; e questi 
sono tanto più oscuri nelle lor parti, quanto esse parti sono più vicine al mezzo del- 
l' albero e della terra. 

89. Del ritrarre le ombre de' corpi al lume di candela o di lucerna. 

A questo lume di notte sia interposto il telaio con carta lucida, o senza lucidarla, 
ma solo un intero foglio di cancelleresca ; e vedrai le tue ombre fumose, cioè non 
terminate; e il lume senza interposizione di carta ti faccia lume alla carta ove 
disegni. 

90. In che termine si debba ritrarre un volto a dargli grazia d' ombre 
e lumi. 

Grandissima grazia d' ombre e di lumi s' aggiunge ai visi di quelli che seggono 
sulle porte di quelle abitazioni che sono oscure, e gli occhi del riguardatore vedono 
la parte ombrosa di tali visi essere oscurata dalle ombre della predetta abitazione, 
e vedono alla parte illuminata del medesimo viso aggiunta la chiarezza che le dà 
lo splendore dell' aria : per la quale aumentazione di ombre e di lumi il viso ha 
gran rilievo, e nella parte illuminata le ombre quasi insensibili, e nella parte ombrosa 
i lumi quasi insensibili; e di questa tale rappresentazione e aumentazione d'ombre e 
di lumi il viso acquista assai di bellezza. 

9 1 . Modo di ritrarre d' ombra semplice e composta. 

Non ritrarre una figura in casa col lume particolare finta al lume universale 
delle campagne senza sole, perchè la campagna fa ombra semplice, e il lume parti- 
colare di finestra o di sole fa ombra composta, cioè mista con riflessi. 

92. Del lume dove si ritraggono le incarnazioni de' volti, o ignudi. 

Questa abitazione vuol essere scoperta all' aria, con le pareti di colore incarnato, 
ed i ritratti si facciano di estate, quando i nuvoli coprono il sole: o veramente 
farai la parete meridionale tanto alta, che i raggi del sole non percuotano la parete 
settentrionale, acciocché i suoi raggi riflessi non guastino le ombre. 



95] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



49 



93. Del ritrarre figure per istorie. 

Sempre il pittore deve considerare nella parete che ha da istoriare 1' altezza del 
sito dove vuole collocare le sue figure ; e ciò eh' egli ritrae di naturale a detto propo- 
sito, stare tanto 1' occhio più basso che la cosa eh' egli ritrae quanto detta cosa 
sarà messa in opera più alta che 1' occhio del riguardatore, altrimenti 1' opera sarà 
reprobabile. 

94. A imparare a far bene un posato. 

Se ti vuoi assuefare bene ai retti e buoni posati delle figure, ferma un quadro 
ovvero telaio, dentro riquadrato con fila, infra l' occhio tuo e il nudo che ritrai, 
e quei medesimi quadri farai sulla carta dove vuoi ritrarre detto nudo sottilmente ; 
di poi poni una pallottola di cera in una parte della rete, che ti serva per una mira, 
la quale sempre nel riguardare il nudo scontrerai nella fontanella della gola, e se 
fosse volta di dietro, scontrala con un nodo del collo ; e queste fila t' insegneranno 
tutte le parti del corpo che in ciascun atto si trovano sotto la fontanella della 
gola, sotto gli angoli delle spalle, sotto le tette, i fianchi ed altre parti del corpo ; e 
le linee traverse della rete ti mostreranno quanto è più alto nel posare sopra una 
gamba 1 che l' altra, e così i fianchi, le ginocchia ed i piedi. 

Ma ferma sempre la rete per linea perpendicolare, ed in effetto, tutte le parti che 
tu vedi che il nudo piglia della rete, fa che il tuo nudo disegnato pigli della rete 
disegnata. I quadri disegnati possono essere tanto minori che quelli della rete, quanto 
tu vuoi che la tua figura sia minore che la naturale. Di poi tienti a mente, nelle figure 
che farai, la regola dello scontro delle membra come te le mostrò la rete ; la quale 
dev' essere alta tre braccia e mezzo, e larga tre, distante da te braccia sette, ed 
appresso al nudo braccia uno. 

95. In qual tempo si deve studiare la elezione delle cose. 

Le veglie dell' invernata devono essere dai giovani usate negli studi delle cose 
apparecchiate la state, cioè si deve riunire insieme tutti i nudi fatti nella state, e 
fare elezione delle migliori membra e migliori corpi e metterli in pratica e bene 
a mente. 

1 L'edizione viennese propone l'aggiunta: « l' una delle spalle». 



L. da Vinci — Trattato della pittura. 



7 



LEONARDO DA VINCI 



96. Delle attitudini. 

Poi alla seguente state farai elezione di qualcuno che stia bene in sulla vita, 
e che non sia allevato in giuppone, acciocché la persona non sia striata, ed a quello 
farai fare atti leggiadri e galanti ; e se questo non mostrasse bene i muscoli dentro 
i termini delle membra, non monta niente ; bastiti solamente avere da lui le buone 
attitudini ; e le membra ricorreggi con quelle che studiasti la invernata. 

97. Per ritrarre un ignudo dal naturale od altra cosa. 

Usa tenere in mano un filo con un piombo pendente, per poter vedere gli scontri 
delle cose. 

98. Misure o compartizioni della statua. 

Dividi la testa in dodici gradi, e ciascun grado dividi in dodici punti, e ciascun 
punto in dodici minuti, ed i minuti in minimi, ed i minimi in semiminimi. 

99. Modo di ritrarre di notte un rilievo. 

Fa che tu metti una carta non troppo lucida infra il rilievo ed il lume, ed avrai 
buon ritrarre. 

100. Come il pittore si deve acconciare al lume col suo rilievo. 

ah sia la finestra, m sia il punto del lume; dico che in qualunque parte il 
pittore si stia, egli starà bene, purché 1' occhio sia infra la parte ombrosa e la luminosa 




del corpo che si ritrae : il qual luogo troverai ponendoti infra il punto m e la divi- 
sione che fa 1' ombra dal lume sopra il corpo ritratto. 



a 105] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



5i 



101. Della qualità del lume. 

Il lume grande ed alto e non troppo potente sarà quello che renderà le particole 
de' corpi molto grate. 

102. Dell' inganno che si riceve nel giudizio delle membra. 

Quel pittore che avrà goffe mani, le farà simili nelle sue opere, e così gì' interverrà 
in qualunque membro, se il lungo studio non glielo vieta. Adunque tu, pittore, guarda 
bene quella parte che hai più brutta nella tua persona, ed a quella col tuo studio fa 
buon riparo ; imperocché se sarai bestiale, le tue figure parranno il simile, e senza 
ingegno, e similmente ogni parte di buono e di tristo che hai in te si dimostrerà 
in parte nelle tue figure. 

103. Come al pittore è necessario sapere l'intrinseca forma dell'uomo. 

Quel pittore che avrà cognizione della natura de' nervi, muscoli e lacerti, saprà 
bene, nel muovere un membro, quanti e quali nervi ne siano cagione, e qual muscolo, 
sgonfiando, sia cagione di raccortare esso nervo, e quali corde convertite in sottilissime 
cartilagini circondino e ravvolgano detto muscolo ; e così sarà diverso ed universale 
dimostratore di vari muscoli, mediante i vari effetti delle figure, e non farà come 
molti che in diversi atti sempre fanno quelle medesime cose dimostrare in braccia, 
schiene, petti e gambe ; le quali cose non si debbono mettere infra i piccoli errori. 

104. Del difetto che hanno i maestri di replicare le medesime attitudini 
de' volti. 

Sommo difetto è ne' maestri, i quali usano replicare i medesimi moti nelle mede- 
sime istorie vicini 1' uno all' altro, e similmente le bellezze de' visi essere sempre una 
medesima, le quali in natura mai si trova essere replicate, in modo che, se tutte le 
bellezze di eguale eccellenza ritornassero vive, esse sarebbero maggior numero di 
popolo che quello che al nostro secolo si trova, e siccome in esso secolo nessuno 
precisamente si somiglia, il medesimo interverrebbe nelle dette bellezze. 

105. Del massimo difetto de' pittori. 

Sommo difetto è de' pittori replicare i medesimi moti e medesimi volti e maniere 
di panni in una medesima istoria, e fare la maggior parte de' volti che somigliano 
al loro maestro, la qual cosa mi ha molte volte dato ammirazione perchè ne ho 



52 LEONARDO DA VINCI [§ 105 

conosciuto alcuni che in tutte le loro figure pareva si fossero ritratti al naturale ; 
ed in quelle si vede gli atti e i modi del loro fattore, e s' egli è pronto nel parlare 
e ne' moti, le sue figure sono il simile in prontitudine ; e se il maestro è divoto, 
il simile paiono le figure co' loro colli torti ; e se il maestro è da poco, le sue figure 
paiono la pigrizia ritratta al naturale ; e se il maestro è sproporzionato, le figure 
sue son simili ; e s' egli è pazzo, . nelle sue istorie si dimostra largamente, le quali 
sono nemiche di conclusione, e non stanno attente alle loro operazioni, anzi, chi 
guarda in qua, chi in là come se sognassero: e così segue ciascun accidente in 
pittura il proprio accidente del pittore. Ed avendo io più volte considerato la causa 
di tal difetto, mi pare che sia da giudicare che quell' anima che regge e governa 
ciascun corpo si è quella che fa il nostro giudizio innanzi sia il proprio giudizio 
nostro. Adunque essa ha condotto tutta la figura dell' uomo, come essa ha giudi- 
cato quello star bene, o col naso lungo, o corto, o camuso, e così gli affermò la 
sua altezza e figura. Ed è di tanta potenza questo tal giudizio, eh' egli muove le 
braccia al pittore e gli fa replicare sè medesimo, parendo ad essa anima che quello 
sia il suo modo di figurare l' uomo, e chi non fa come lei faccia errore. E se trova 
alcuno che somigli al suo corpo, ch'essa ha composto, essa l'ama, e s'innamora spesso 
di quello. E per questo molti s' innamorano e prendono moglie che loro somiglia, 
e spesso i figliuoli che nascono di tali somigliano a' loro genitori. • 

106. Precetto, che il pittore non s'inganni nell'elezione della figura 
in che esso fa l' abito. 

Deve il pittore fare la sua figura sopra la regola d' un corpo naturale, il quale 
comunemente sia di. proporzione laudabile ; oltre di questo far misurare sè mede- 
simo e vedere in che parte la sua persona varia assai o poco da quella antedetta 
laudabile ; e, avuta questa notizia, deve riparare con tutto il suo studio di non 
incorrere ne' medesimi mancamenti nelle figure da lui operate, che nella persona 
sua si trovano. E sappi che con questo vizio ti bisogna sommamente pugnare, con- 
ciossiachè egli è mancamento eh' è nato insieme col giudizio; perchè l'anima, maestra 
del tuo corpo, è quella che è il tuo proprio giudizio, e volentieri si diletta nelle 
opere simili a quella che essa operò nel comporre del suo corpo : e di qui nasce 
che non è sì brutta figura di femmina, che non trovi qualche amante, se già non 
fosse mostruosa ; sicché ricordati d' intendere i mancamenti che sono nella tua persona, 
e da quelli ti guarda nelle figure che da te si compongono. 



a no] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



53 



107. Difetto de' pittori che ritraggono una cosa di rilievo in casa a 
un lume, e poi la mettono in campagna ad altro lume. 

Grande errore è di quei pittori, i quali spesse volte ritraggono una cosa di rilievo 
a un lume particolare nelle loro case, e poi mettono in opera tal ritratto a un lume 
universale dell' aria in campagna, dove tal aria abbraccia ed illumina tutte le parti 
delle vedute a un medesimo modo ; e così costoro fanno ombre oscure dove non 
può essere ombra, e se pure essa vi è, è di tanta chiarezza, che è insensibile : 1 e 
così fanno i riflessi dove è impossibile siansi veduti. 

108. Della pittura e sua divisione. 

Dividesi la pittura in due parti principali, delle quali la prima è figura, cioè 
la linea che distingue la figura de' corpi e loro particole ; la seconda è il colore 
contenuto da essi termini. 

109. Figura e sua divisione. 

La figura de' corpi si divide in due altre parti, cioè : proporzionalità delle parti 
infra loro, le quali sieno corrispondenti al tutto, e movimento appropriato all'acci- 
dente mentale della cosa viva che si muove. 

110. Proporzione di membra. 

La proporzione delle membra si divide in due altre parti, cioè: qualità e moto. 2 
Per qualità s' intende, oltre alle misure corrispondenti al tutto, che tu non mischi 
le membra de' giovani con quelle de' vecchi, nè quelle de' grassi con quelle de' magri, 
nè le membra leggiadre con le inette ; ed oltre di questo, che tu non faccia a' maschi 
membra femminili. Per moto s' intende che le attitudini ovvero movimenti de' vecchi 
non sieno fatti con quella medesima vivacità che si converrebbe a quelli de' gio- 
vani ; nè anche i movimenti d' un piccolo fanciullo sieno fatti come quelli d' un 
giovane, e quelli della femmina come quelli del maschio. 3 Non far atti che non 
sieno compagni dell' atteggiatore ; cioè all' uomo di gran valetudine, che i suoi movi- 
menti lo manifestino, e così 1' uomo di poco valore faccia il simile co' movimenti 
invalidi e balordi, i quali minaccino ruina al corpo che li genera. 

1 In altre edizioni: «quasi impercettibile». 

2 Nell'edizione viennese: «modo». 

3 Nell'edizione romana, 1817, si legge qui in seguito: «facendo che i movimenti e membri d'un gagliardo 
sieno tali, che in esse membra dimostrino essa valetudine ». 



54 



LEONARDO DA VINCI 



in. Del fuggire le calunnie de' giudizi vari che hanno gli operatori 
della pittura. 

Se vorrai fuggire i biasimi che danno gli operatori della pittura e tutti quelli 
che in diverse parti dell' arte non sono di conforme opinione con loro, è necessario 
operare 1' arte con diverse maniere, acciocché tu ti conformi in qualche parte con 
ciascun giudizio che considera le opere del pittore, delle quali parti si farà men- 
zione qui sotto. 

112. De' movimenti e delle operazioni varie. 

Le figure degli uomini abbiano atto proprio alla loro operazione in modo che, 
vedendole, tu intenda quello che per loro si pensi o dica ; i quali saranno bene 
imparati da chi imiterà i moti de' muti, i quali parlano con i movimenti delle mani, 
degli occhi, delle ciglia e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto del- 
l' animo loro ; e non ti ridere di me, perchè io ti proponga un precettore senza 
lingua il quale ti abbia ad insegnar queir arte eh' e' non sa fare ; perchè meglio 
t' insegnerà egli co' fatti, che tutti gli altri con parole ; e non sprezzare tal consiglio, 
perchè essi sono i maestri de' movimenti ed intendono da lontano di quel che uno 
parla, quando egli accomoda i moti delle mani con le parole. Questa tale conside- 
razione ha molti nemici e molti difensori. Dunque tu, pittore, attempra dell' una e 
dell' altra setta, attendi, secondo che accade, alle qualità di quelli che parlano ed 
alla natura della cosa di che si parla. 

113. Fuggi i profili, cioè i termini espediti delle cose. 

Non fare i termini delle tue figure d' altro colore che del proprio campo, con 
che esse figure terminano, cioè che non faccia profili oscuri infra il campo e la 
tua figura. 

114. Come nelle cose piccole non s'intendono gli errori come nelle 
grandi. 

Nelle cose di minuta forma non si può comprendere la qualità del loro errore 
come nelle grandi; e la ragione si è che, se questa cosa piccola sia fatta a simili- 
tudine d' un uomo o d' altro animale, le sue parti per l' immensa diminuzione non 
ponno essere ricercate con quel debito fine dal suo operatore, che si converrebbe: 
onde non rimane finita, e non essendo finita, non si possono comprendere i suoi 
errori. Esempio : riguarderai da lontano un uomo per lo spazio di trecento braccia, 



a n6] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 55 

e con diligenza giudicherai se quello è bello o brutto, s' egli è mostruoso o di comune 
qualità ; vedrai che con sommo tuo sforzo non ti potrai persuadere a dar tal giudizio ; 
e la ragione si è che, per la sopradetta distanza, quest' uomo diminuisce tanto, 
che non si può comprendere le qualità delle particole. E se vuoi veder bene detta 
diminuzione dell' uomo sopradetto, ponti un dito presso all' occhio un palmo, e 
tanto alza o abbassa detto dito, che la sua superiore estremità termini sotto i piedi 
della figura che tu riguardi, e vedrai apparire un'incredibile diminuzione; e per 
questo spesse volte si dubita circa la forma dell'amico da lontano. 

115. Perchè la pittura non può mai parere spiccata come le cose 
naturali. 

I pittori spesse volte cadono in disperazione del loro imitare il naturale, vedendo 
le loro pitture non aver quel rilievo e quella vivacità che hanno le cose vedute 
nello specchio, allegando aver essi colori che per chiarezza 
e per oscurità di gran lunga avanzano la qualità de' lumi 
ed ombre della cosa veduta nello specchio, accusando in 
questo caso la loro ignoranza e non la ragione, perchè non 
la conoscono. Impossibile è che la cosa dipinta apparisca 
di tal rilievo, che si assomigli alla cosa dello specchio, 
benché 1' una e l' altra sia su una superficie, salvo se fosse 
veduta con un solo occhio; e la ragione si è che i due 
occhi che vedono una cosa dopo l'altra, come ab che 
vedono mn\ n non può occupare interamente m, perchè 
la base delle linee visuali è sì larga, che vede il corpo 
secondo dopo il primo. Ma se chiudi un occhio, come s, 
il corpo f occuperà k , perchè la linea visuale nasce in un 
sol punto, e fa base nel primo corpo; onde il secondo di 
pari grandezza non sarà visto. 

116. Perchè i capitoli delle figure l'uno sopra l'altro è opra da 
fuggire. 

Questo universal uso, il quale si fa per i pittori nelle faccie delle cappelle, è 
molto da essere ragionevolmente biasimato, imperocché fanno un' istoria in un piano 
col suo paese ed edifizi, poi s' alzano un altro grado e fanno un' istoria, e variano 
il punto dal primo, e poi la terza e la quarta, in modo che una facciata si vede 
fatta con quattro punti, la quale è somma stoltizia di simili maestri. Noi sappiamo 
che il punto è posto all' occhio del riguardatore dell' istoria ; e se tu volessi dire : a 
che modo ho da fare la vita d' un santo compartita in molte istorie in una medesima 





56 LEONARDO DA VINCI [§ 116 

faccia ?, a questa parte ti rispondo che tu devi porre il primo piano col punto all' al- 
tezza dell' occhio de' riguar datori d' essa istoria, e sul detto piano figura la prima istoria 
grande; e poi diminuendo di mano in mano le figure e casamenti, in su diversi 
colli e pianure, farai tutto il fornimento d' essa istoria. Sul resto della faccia, nella sua 
altezza, farai alberi grandi a comparazione delle figure, o angeli, se fossero al propo- 
sito dell'istoria, ovvero uccelli, o nuvoli, o simili cose; altrimenti non te n'impac- 
ciare, chè ogni tua opera sarà falsa. 

117. Qual pittura è meglio usare nel far parer le cose spiccate. 

Le figure illuminate dal lume particolare sono quelle che mostrano più rilievo 
che quelle che sono illuminate dal lume universale, perchè il lume particolare fa 
i lumi riflessi, i quali spiccano le figure dai loro campi; le quali riflessioni nascono 
dai lumi di una figura che risulta nell' ombra di quella che le sta davanti e la illu- 
mina in parte. Ma la figura posta dinanzi al lume particolare in luogo grande e 
oscuro non riceve riflesso, e di questa non si vede se non la parte illuminata: e 
questa è solo da essere usata nell' imitazione della notte, con piccolo lume particolare. 

118. Qual è più di discorso ed utilità, o i lumi ed ombre de' corpi, 

i loro lineamenti. 

1 termini de' corpi sono di maggior discorso ed ingegno che le ombre ed i 
lumi, per causa che i lineamenti de' membri che sono piegabili, sono immutabili, 
e sempre sono quei medesimi, ma i siti, qualità e quantità delle ombre sono infiniti. 

119. Qual è di maggiore importanza, o il movimento creato dagli 
accidenti diversi degli animali, o le loro ombre e lumi. 

La più importante cosa che ne' discorsi della pittura trovar si possa, sono i 
movimenti appropriati agli accidenti mentali di ciascun animale, come desiderio, 
spezzamento, ira, pietà e simili. 

120. Qual è di più importanza, o che la figura abbondi in bellezza 
di colori, o in dimostrazioni di gran rilievo. 

Solo la pittura si rende 1 ai contemplatori di quella per far parere rilevato e 
spiccato dai muri quel che non lo è, ed i colori sol fanno onore ai maestri che 
li fanno, perchè in loro non si causa altra maraviglia che bellezza, la quale bellezza 



L'edizione di Vienna aggiunge: « cosa maravigliosa » 



a 123] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 57 

non è virtù del pittore, ma di quello che li ha generati, e può una cosa esser 
vestita di brutti colori e dar di sè maraviglia a' suoi contemplanti per parere di 
rilievo. 

121. Qual è più difficile, o le ombre e i lumi, o pure il disegno buono. 

Dico essere più difficile quella cosa eh' è costretta a un termine, che quella 
eh' è libera. Le ombre hanno i loro termini a certi gradi, e chi n' è ignorante, le 
sue cose saranno senza rilievo, il quale rilievo è l'importanza e l'anima della pittura. 
Il disegno è libero, imperocché si vedrà infiniti volti, che tutti saranno vari. E 
chi avrà il naso lungo, e chi lo avrà corto. Adunque il pittore può ancora lui 
pigliare questa libertà, e dov' è libertà non è regola. 

122. Precetti del pittore. 

O pittore notomista, guarda che la troppa notizia degli ossi, corde e muscoli 
non sieno causa di farti pittore legnoso, col volere che i tuoi ignudi mostrino 
tutti i sentimenti loro. Adunque, volendo riparare a questo, vedi in che modo i 
muscoli ne' vecchi o magri coprano ovver vestano le loro ossa. Ed oltre questo, 
nota la regola come i medesimi muscoli riempiano gli spazi superficiali che infra 
loro s' interpongono, e quali sono i muscoli di che mai si perde la notizia in alcun 
grado di grassezza ; e quali sono i muscoli de' quali per ogni minima pinguedine 
si perde la notizia de' loro contatti; e molte son le volte che di più muscoli se 
ne fa un sol muscolo nell' ingrassare, e molte sono le volte che nel dimagrare o 
invecchiare di un sol muscolo se ne fa più muscoli. Di questo tal discorso si dimo- 
strerà a suo luogo tutte le particolarità loro, e massime negli spazi interposti infra 
le giunture di ciascun membro. 

Ancora non mancherai della varietà che fanno i predetti muscoli intorno alle 
giunture de' membri di qualunque animale, mediante la diversità de' moti di ciascun 
membro, perchè in alcun lato di esse giunture si perde integralmente la notizia 
di essi muscoli per causa dell' accrescimento o mancamento della carne, della quale 
tali muscoli sono composti. 

123. Memoria che si fa l'autore. 

Descrivi quali sieno i muscoli e quali le corde che mediante diversi movimenti 
di ciascun membro si scoprano, o si nascondano, o non facciano nè l' uno nè 
1' altro; e ricordati che questa tale. azione è importantissima e necessarissima appresso 
de' pittori e scultori che fanno professione di maestri. Il simile farai d' un fanciullo, 
dalla sua natività insino al tempo della sua decrepitezza per tutti i gradi della sua 

L. da Vinci — Trattato della pittura. § 



5S LEONARDO DA VINCI [§123 

età, infanzia, puerizia, adolescenza e gioventù, ed in tutti descriverai le mutazioni 
delle membra e giunture, e quali ingrassino o dimagrino. 

124. Precetti di pittura. 

Sempre il pittore che vuole aver onore delle sue opere, deve cercare la pron- 
ti tudine de' suoi atti negli atti naturali fatti dagli uomini all' improvviso e nati da 
potente affezione de' loro affetti, e di quelli far brevi ricordi ne' suoi libretti, e poi 
a' suoi propositi adoperarli, col far stare un uomo in quel medesimo atto, per vedere 
la qualità e l' aspetto delle membra che in tal atto si adoprano. 

125. Precetti di pittura. 

Quella cosa ovvero la figura di quella si dimostrerà con più distinti e spediti ter- 
mini, la quale sarà più vicina all' occhio. E per questo tu, pittore, che sotto il 
nome di pratico fingi la veduta di una testa veduta da vicina distanza con pennel- 
late terminate, e tratteggiamenti aspri e crudi, sappi che tu t' inganni, perchè in 
qualunque distanza tu ti finga la tua figura, essa è sempre finita in quel grado che 
essa si trova, ancoraché in lunga distanza si perda la notizia de' suoi termini. E 
non manca per questo che non si veda un finito fumoso, e non termini e profi- 
lamenti spediti e crudi. Adunque è da concludere, che quell' opera alla quale si 
può avvicinare l'occhio del suo riguardatore, che tutte le parti di essa pittura sieno 
finite ne' suoi gradi con somma diligenza, ed oltre di questo le prime sieno termi- 
nate di termini noti ed espediti dal suo campo, e quelle più distanti sieno ben 
finite, ma di termini più fumosi, cioè più confusi, o vuoi dire men noti ; alle più 
distanti successivamente osservare quel eh' è detto di sopra, cioè i termini men 
noti, e poi le membra, ed in fine il tutto men noto di figura e di colore. 

126. Come fu la prima pittura. 

La prima pittura fu sol di una linea, la quale circondava 1' ombra dell' uomo 
fatta dal sole ne' muri. 

127. Come la pittura dev'essere vista da una sola finestra. 

La pittura dev' essere vista da una sola finestra, come appare per cagione de' corpi 
così fatti: 0; se tu vuoi fare in un'altezza una palla rotonda, ti bisogna farla lunga 
a questa similitudine, e star tanto indietro eh' essa, scorciando, apparisca tonda. 



a 132] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



59 



128. Delle prime otto parti in che si divide la pittura. 

Tenebre, luce, corpo, figura, colore, sito, remozione e propinquità. Si possono 
aggiungere a queste due altre, cioè moto e quiete, perchè tal cosa è necessario 
figurare ne' moti delle cose che si fingono nella pittura. 

129. Come la pittura si divide in cinque parti. 

Le parti della pittura sono cinque, cioè: superficie, figura, colore, ombra e lume, 
propinquità e remozione, o vuoi dire accrescimento e diminuzione, che sono le due 
prospettive, come nella diminuzione della quantità e la diminuzione delle notizie 
delle cose vedute in lunghe distanze, e quella de' colori, e qual colore è quello che 
prima diminuisce in pari distanze, e quel che più si mantiene. 

130. Delle due parti principali in che si divide la pittura. 

Due sono le parti principali nelle quali si divide la pittura, cioè lineamenti, che 
circondano le figure de' corpi finti, i quali lineamenti si dimandano disegni. La seconda 
è detta ombra. Ma questo disegno è di tanta eccellenza, che non solo ricerca le opere 
di natura, ma infinite più che quelle che fa natura. Questo comanda allo scultore di 
terminare con scienza i suoi simulacri, ed a tutte le arti manuali, ancora che fossero 
infinite, insegna il loro perfetto fine. E per questo concluderemo non solamente esser 
scienza, ma una deità essere con debito nome ricordata, la qual deità ripete tutte 
le opere evidenti fatte dal sommo Iddio. 

131. Della pittura lineale. 

Siano con somma diligenza considerati i termini di qualunque corpo, ed il modo 
del lor serpeggiare, le quali serpeggiatine sia giudicato se le sue volte partecipano di 
curvità circolare o di concavità angolare. 

132. Della pittura, cioè delle ombre. 

Le ombre, le quali tu discerni con difficoltà ed i loro termini non puoi cono- 
scere, anzi, con confuso giudizio le pigli e trasferisci nella tua opera, non le farai 
finite, ovvero terminate, sicché la tua opera sarà di legnosa 1 risultazione. 

1 Nell'edizione romana, 1817, alla parola «legnosa» è sostituito: «ingegnosa». 



6o 



LEONARDO DA VINCI 



[§ '33 



133. Delle parti e qualità della pittura. 

La prima parte della pittura è che i corpi con quella figurati si dimostrino rilevati 
e che i campi di essi circondatori con le loro distanze si dimostrino entrare dentro 
alla parete, dove tal pittura è generata, mediante le tre prospettive, cioè diminuzione 
delle figure de' corpi, diminuzione delle magnitudini loro e diminuzione de' loro 
colori. E di queste tre prospettive la prima ha origine dall' occhio, le altre due 
hanno derivazione dall' aria interposta infra l' occhio e gli obietti da esso occhio 
veduti. La seconda parte della pittura sono gli atti appropriati e variati nelle stature, 
sì che gli uomini non paiano fratelli. 

134. Della elezione de' bei visi. 

Parmi non piccola grazia quella di quel pittore, il quale fa buone arie alle sue 
figure. La qual grazia chi non 1' ha per natura la può pigliare per accidentale studio 
in questa forma. Guarda a torre le parti buone di molti visi belli, le quali belle 
parti sieno conformi più per pubblica fama che per tuo giudizio ; perchè ti potresti 
ingannare togliendo visi che avessero conformità col tuo ; perchè spesso pare che 
simili conformità ci piacciano, e se tu fossi brutto eleggeresti visi non belli, e faresti 
brutti visi, come molti pittori, chè spesso le figure somigliano al maestro; sicché 
piglia le bellezze, come ti dico, e quelle metti in mente. 

135. Della elezione dell'aria, che dà grazia ai volti. 

Se avrai una corte da poter coprire a tua posta con tenda lina, questo lume 
sarà buono ; ovvero quando vuoi ritrarre uno, ritrailo a cattivo tempo, sul far della 
sera, facendo stare il ritratto con la schiena accosto a uno de' muri di essa corte. 
Pon mente per le strade sul fare della sera ai visi di uomini e di donne, quando 
è cattivo tempo, quanta grazia e dolcezza si vede in essi. Adunque tu, pittore, avrai 
una corte accomodata co' muri tinti di nero con alquanto sporto di tetto sopra 
esso muro, e sia larga braccia dieci e lunga venti, ed alta dieci ; e quando non 
la copri con tenda, sia sul far della sera per ritrarre un'opera, e quando è o nuvolo, 
o nebbia; e questa è perfetta aria. 

136. Delle bellezze e bruttezze. 

Le bellezze con le bruttezze paiono più potenti l' una per l' altra. 



a 143] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



61 



137. Delle bellezze. 

Le bellezze de' volti possono essere in diverse persone di pari bontà, ma non 
mai simili in figura, anzi saranno di tante varietà quant' è il numero a cui quelle 
sono congiunte. 

138. De' giudicatori di varie bellezze in vari corpi, e di pari eccellenza. 

Ancoraché in vari corpi siano varie bellezze e di grazia eguali, i vari giudici 
di pari intelligenza le giudicheranno di gran varietà infra loro esservi tra 1' una e 
l'altra delle loro elezioni. 

139. Come si debbono figurare i putti. 

I putti piccoli si debbono figurare con atti pronti e storti quando seggono, e 
nello star ritti con atti timidi e paurosi. 

140. Come si debbono figurare i vecchi. 

I vecchi debbono esser fatti con pigri e lenti movimenti, e le gambe piegate 
nelle ginocchia quando stanno fermi, e i piedi pari e distanti 1' un dall' altro ; sieno 
declinati in basso, la testa innanzi chinata e le braccia non troppo distese. 

141. Come si debbono figurare le donne. 

Le donne si debbono figurare con atti vergognosi, le gambe insieme strette, le 
braccia raccolte insieme, teste basse e piegate in traverso. 

142. Come si debbono figurare le vecchie. 

Le vecchie si debbon figurare ardite e pronte, con rabbiosi movimenti, a guisa 
di furie infernali, ed i movimenti debbono parere più pronti nelle braccia e teste 
che nelle gambe. 

143. Come si deve figurare una notte. 

Quella cosa che è priva interamente di luce è tutta tenebre : essendo la notte 
in simile condizione, se tu vi vorrai figurare un' istoria, farai che, essendovi un gran 
fuoco, quella cosa che è più propinqua a detto fuoco più si tinga nel suo colore, 



62 LEONARDO DA VINCI [§ 143 

perchè quella che è più vicina all' obietto, più partecipa della sua natura ; e facendo 
il fuoco pendere in color rosso, farai tutte le cose illuminate da quello anch' esse 
rosseggiare, e quelle che son più lontane da detto fuoco, più sieno tinte del color 
nero della notte. Le figure che son fatte innanzi al fuoco appariscano scure nella 
chiarezza d' esso fuoco, perchè quella parte d' essa cosa che vedi è tinta dall' oscurità 
della notte e non dalla chiarezza del fuoco : e quelle che si trovano dai lati, sieno 
mezze scure e mezze rosseggianti : e quelle che si possono vedere dopo i termini 
delle fiamme, saranno tutte illuminate di rosseggiante lume in campo nero. In quanto 
agli atti, farai le figure che sono appresso farsi scudo con le mani e con i mantelli 
a riparo del soverchio calore, e, volte col viso in contraria parte, mostrar di fuggire : 
quelle più lontane, farai gran parte di loro farsi con le mani riparo agli occhi offesi 
dal soverchio splendore. 

144. Come si deve figurare una fortuna. 

Se tu vuoi figurar bene una fortuna, considera e poni bene i suoi effetti, quando 
il vento, soffiando sopra la superficie del mare o della terra, rimove e porta seco 
quelle cose che non sono ferme con la universale massa. E per ben figurare questa 
fortuna, farai prima i nuvoli spezzati e rotti drizzarsi per il corso del vento, accom- 
pagnati dall' arenosa polvere levata da' lidi marini : e rami e foglie, levati per la 
potenza del furore del vento, sparsi per l'aria ed in compagnia di molte altre leggiere 
cose: gli alberi e le erbe, piegati a terra, quasi mostrar di voler seguire il corso 
de' venti, con i rami storti fuor del naturale corso e con le scompigliate e rove- 
sciate foglie : e gli uomini, che lì si trovano, parte caduti e rivolti per i panni e 
per la polvere, quasi sieno sconosciuti, e quelli che restano ritti, sieno dopo qualche 
albero, abbracciati a quello, perchè il vento non li strascini ; altri con le mani agli 
occhi per la polvere, chinati a terra, ed i panni ed i capelli dritti al corso del 
vento. Il mare turbato e tempestoso sia pieno di ritrosa spuma infra le elevate onde, 
ed il vento faccia levare infra la combattuta aria della spuma più sottile, a uso 
di spessa ed avviluppata nebbia. I navigli che dentro vi sono, alcuni se ne faccia 
con la vela rotta, ed i brani d' essa ventilando infra l'aria in compagnia d' alcuna 
corda rotta; alcuni alberi rotti caduti col naviglio attraversato e rotto infra le tem- 
pestose onde; ed uomini, gridando, abbracciare il rimanente del naviglio. Farai i 
nuvoli cacciati dagli impetuosi venti, battuti nelle alte cime delle montagne, e fra 
quelli avviluppati e ritrosi a similitudine delle onde percosse negli scogli ; l' aria 
spaventosa per le scure tenebre fatte nell' aria dalla polvere, nebbia e nuvoli folti. 



a 145] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



63 



145. Come si deve figurare una battaglia. 

Farai prima il fumo dell' artiglieria mischiato infra 1' aria insieme con la polvere 
mossa dal movimento de' cavalli de' combattitori; la qual mistione userai così: la 
polvere, perchè è cosa terrestre e ponderosa, e benché per la sua sottilità facilmente 
si levi e mischi infra l'aria, nientedimeno volontieri ritorna in basso, ed il suo 
sommo montare è fatto dalla parte più sottile; adunque il meno sarà veduta, e parrà 
quasi del color dell'aria. Il fumo che si mischia infra l'aria polverata, quando più 
s' alza a certa altezza, parrà oscure nuvole, e vedrassi nelle sommità più espeditamente 
il fumo che la polvere. Il fumo penderà in colore alquanto azzurro, e la polvere 
trarrà al suo colore. Dalla parte che viene il lume parrà questa mistione d'aria, 
fumo e polvere molto più lucida che dalla opposita parte. I combattitori, quanto 
più saranno infra detta turbolenza, tanto meno si vedranno, e meno differenza sarà 
da' loro lumi alle loro ombre. Farai rosseggiare i visi e le persone e l'aria vicina 
agli archibusieri insieme co' loro vicini ; e detto rossore quanto più si parte dalla 
sua cagione, più si perda ; e le figure che sono infra te ed il lume, essendo lontane, 
parranno scure in campo chiaro, e le lor gambe, quanto più s' appresseranno alla 
terra, meno saranno vedute ; perchè la polvere è lì più grossa e spessa. E se farai 
cavalli correnti fuori della turba, fa i nuvoletti di polvere distanti l'uno dall'altro 
quanto può esser l'intervallo per salti fatti dal cavallo; e quel nuvolo che è più 
lontano da detto cavallo meno si veda, anzi sia alto, sparso e raro, ed il più presso 
sia il più evidente e minore e più denso. L' aria sia piena di saettume di diverse 
ragioni; chi monti, chi discenda, qual sia per linea piana: e le pallottole degli 
schioppettieri sieno accompagnate d'alquanto fumo dietro ai loro corsi. E le prime 
figure farai polverose ne' capelli e ciglia ed altri luoghi piani, atti a sostenere la 
polvere. Farai i vincitori correnti con i capelli e altre cose leggiere sparse al vento, 
con le ciglia basse, e caccino contrarie membra innanzi, cioè se manderanno innanzi 
il piè destro, che il braccio manco ancor esso venga innanzi; e se farai alcuno 
caduto, gli farai il segno dello sdrucciolare su per la polvere condotta in sanguinoso 
fango ; ed intorno alla mediocre liquidezza della terra farai vedere stampate le pedate 
degli uomini e de' cavalli di lì passati. Farai alcuni cavalli strascinar morto il loro 
signore, e di dietro a quello lasciare per la polvere ed il fango il segno dello 
strascinato corpo. Farai i vinti e battuti pallidi, con le ciglia alte nella loro congiun- 
zione, e la carne che resta sopra di loro sia abbondante di dolenti crespe. Le 
faccie del naso sieno con alquante grinze partite in arco dalle narici, e terminate 
nel principio dell'occhio. Le narici alte, cagione di dette pieghe, e le labbra arcuate 
scoprano i denti di sopra. I denti spartiti in modo di gridare con lamento. Una 
delle mani faccia scudo ai paurosi occhi, voltando il di dentro verso il nemico, 
l' altra stia a terra a sostenere il levato busto. Altri farai gridanti con la bocca 
sbarrata, e fuggenti. Farai molte sorte d' armi infra i piedi de' combattitori, come 



64 LEONARDO DA VINCI [§ 145 

scudi rotti, lance, spade rotte ed altre simili cose. Farai uomini morti, alcuni rico- 
perti mezzi dalla polvere, ed altri tutti. La polvere che si mischia con l'uscito sangue 
convertirsi in rosso fango, e vedere il sangue del suo colore correre con torto corso 
dal corpo alla polvere. Altri morendo stringere i denti, stravolgere gli occhi, stringer 
le pugna alla persona, e le gambe storte. Potrebbesi vedere alcuno, disarmato ed 
abbattuto dal nemico, volgersi a detto nemico e con morsi e graffi far crudele ed aspra 
vendetta. Potriasi vedere alcun cavallo leggiero correre con i crini sparsi al vento fra 
i nemici e con i piedi far molto danno, e vedersi alcuno stroppiato cadere in terra, 
farsi coperchio col suo scudo, ed il nemico chinato in basso far forza per dargli morte. 
Potrebbersi vedere molti uomini caduti in un gruppo sopra un cavallo morto. Vedransi 
alcuni vincitori lasciare il combattere, ed uscire della moltitudine, nettandosi con le 
mani gli occhi e le guance ricoperti di fango fatto dal lacrimar degli occhi per causa 
della polvere. Vedransi le squadre del soccorso star piene di speranza e di sospetto, 
con le ciglia aguzze, facendo a quelle ombra con le mani, e riguardare infra la folta 
e confusa caligine per essere attente al comandamento del capitano ; il quale potrai 
fare col bastone levato, e corrente inverso il soccorso mostrandogli la parte dov' è 
bisogno di esso. Ed alcun fiume, dentrovi cavalli correnti, riempiendo la circo- 
stante acqua di turbolenza d' onde, di schiuma e d' acqua confusa saltante inverso 
1' aria, e tra le gambe e i corpi de' cavalli. E non far nessun luogo piano senza le 
pedate ripiene di sangue. 

146. Del modo di condurre in pittura le cose lontane. 

Chiaro si vede essere un' aria grossa più che le altre, la quale confina con la 
terra piana ; e quanto più si leva in alto, più è sottile e trasparente. Le cose elevate 
e grandi che saranno da te lontane, la lor bassezza poco sarà veduta, perchè la 
vedi per una linea che passa infra 1' aria più grossa continuata. La sommità di dette 
altezze si trova essere veduta per una linea, la quale, benché dal canto dell' occhio 
tuo si causi neh' aria grossa, nondimeno, terminando nella somma altezza della cosa 
vista, viene a terminare in aria molto più sottile che non fa la sua bassezza; e 
per questa ragione questa linea, quanto più si allontana da te di punto in punto, 
sempre muta qualità di sottile in sottile aria. Adunque tu, pittore, quando fai le 
montagne, fa che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze ; 
e quanto le fai più lontane l' una dall' altra, fa le bassezze più chiare, e quanto 
più si leveranno in alto, più mostreranno la verità della forma e del colore. 

147. Come l'aria si deve far più chiara quanto più la fai finire bassa. 

Perchè quest' aria è grossa presso alla terra, e quanto più si leva più s' assot- 
tiglia, quando il sole è per levante riguarderai il ponente, partecipante di mezzodì e 



a 149] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 65 

tramontana, e vedrai quell' aria grossa ricevere più lume dal sole che la sottile, perchè 
i raggi trovano più resistenza. E se il cielo alla vista tua terminerà con la bassa pianura, 
quella parte ultima del cielo sarà veduta per quell' aria più grossa e più bianca, 
la quale corromperà la verità del colore che si vedrà per suo mezzo, e parrà lì 
il cielo più bianco che sopra te, perchè la linea visuale passa per meno quantità 
d' aria corrotta da grossi umori. E se riguarderai inverso levante, l' aria ti parrà 
più scura quanto più s' abbassa, perchè in dett' aria bassa i raggi luminosi meno 
passano. 

148. A fare che le figure spicchino dal loro campo. 

Le figure di qualunque corpo più parranno rilevate e spiccate da' loro campi, 
delle quali essi campi saranno di color chiari o scuri, con più varietà che sia possi- 
bile ne' confini delle predette figure, come sarà dimostrato al suo luogo, e che in 
detti colori sia osservata la diminuzione di chiarezza ne' bianchi, e di oscurità 
ne' colori scuri. 

149. Del figurare le grandezze delle cose dipinte. 

Nella figurazione delle grandezze che hanno naturalmente le cose anteposte 
all' occhio, si debbono figurare tanto finite le prime figure, essendo piccole, come 
le opere de' miniatori, come le grandi de' pittori : ma le piccole de' miniatori debbono 
esser vedute d' appresso, e quelle del pittore da lontano ; così facendo esse figure 
vengono all'occhio con egual grandezza; e questo nasce perchè esse vengono con 
egual grossezza d'angolo. Provasi, e sia l'obietto bc, e 
l'occhio sia a] e de sia una tavola di vetro per la quale 
penetrino le specie del b c . Dico che stando fermo l' occhio a, 
la grandezza della pittura fatta per l' imitazione di esso b c , 
deve essere di tanto minor figura, quanto il vetro de sarà 
più vicino all'occhio a, e deve essere egualmente finita. 
E se tu fingerai essa figura bc nel vetro de, la tua figura 
deve essere meno finita che la figura bc, e più finita che la figura n , fatta sul 
vetro fg, perchè se po figura fosse finita come la naturale bc, la prospettiva d'esso op 
sarebbe falsa, perchè, in quanto alla diminuzione della figura, essa starebbe bene, 
essendo b c diminuito in / o ; ma il finito non si accorderebbe con la distanza, perchè 
nel ricercare la perfezione del finito del naturale b c , allora esso b c parrebbe nella 
vicinità p ; ma se tu vorrai ricercare la diminuzione di op , esso o p pare essere 
nella distanza bc, e nel diminuire del finito al vetro fg. 




L. da Vinci — Trattato della pittura. 



9 



66 



LEONARDO DA VINCI 



[§ i5o 



150. Delle cose finite, e delle confuse. 

Le cose finite e spedite si debbono far d' appresso, e le confuse, cioè di termini 
confusi, si fingano in parti remote. 

151. Delle figure che sono separate, acciocché non paiano congiunte. 

I colori di che tu vesti le figure sieno tali che diano grazia 1' uno all' altro ; e 
quando un colore si fa campo dell' altro, sia tale che non paiano congiunti ed appiccati 
insieme, ancor che fossero di medesima natura di colore, ma sieno vari di chiarezza, 
tale quale richiede l' interposizione della distanza e della grossezza dell' aria che fra 
loro s' inframmette, e con la medesima regola vada la notizia de' loro termini, cioè più 
o meno espediti o confusi, secondo che richiede la loro propinquità o remozione. 

152. Se il lume deve esser tolto in faccia alle figure, o da parte, 
e quale dia più grazia. 

II lume tolto in faccia ai volti posti dentro a pareti laterali, le quali sieno 
oscure, sarà causa che tali volti avranno gran rilievo, e massime avendo il lume da 
alto, e questo rilievo accade perchè la parte dinanzi di tal volto è illuminata dal 
lume universale dell' aria a quello anteposta, onde tal parte illuminata ha ombre 
quasi insensibili, e dopo essa parte dinanzi del volto seguitano le parti laterali, 
oscurate dalle predette pareti laterali delle stanze, le quali tanto più oscurano il 
volto, quanto esso volto entra fra loro con le sue parti : ed oltre di questo seguita 
che il lume che scende da alto priva di sè tutte quelle parti alle quali è fatto scudo 
dai rilievi del volto, come le ciglia che sottraggono il lume all' incassatura degli occhi, 
ed il naso che lo toglie a gran parte della bocca, ed il mento alla gola, e simili 
altri rilievi. 

153. Della riverberazione. 

Le riverberazioni son causate da corpi di chiara qualità, di piana e semidensa 
superficie, i quali, percossi dal lume, quello, a similitudine del balzo della palla, 
ripercuotono nel primo obietto. 

154. Dove non può essere riverberazione luminosa. 

Tutti i corpi densi si vestono nella loro superficie di varie qualità di lumi e 
d'ombre. I lumi sono di due nature: l'uno si domanda originale e l'altro deri- 



a 157] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 67 

vativo. Originale dico esser quello che deriva da vampa di fuoco, o dal lume del 
sole, o d'aria; lume derivativo sarà il lume riflesso. Ma per tornare alla promessa 
definizione, dico che riverberazione luminosa non sarà da quella parte del corpo 
che sarà volta ai corpi ombrosi, come luoghi oscuri, prati di varie altezze d'erbe, 
boschi verdi o secchi, i quali, benché la parte di ciascun ramo volta al lume origi- 
nale si vesta della qualità di esso lume, nientedimeno sono tante le ombre fatte 
da ciascun ramo per sè, e tante le ombre fatte dall' un ramo su Y altro, che in 
somma ne risulta tale oscurità, che il lume vi è per niente; onde non possono 
simili obietti dare ai corpi oppositi alcun lume riflesso. 

155. De' riflessi. 

I riflessi sieno partecipanti tanto più o meno della cosa dove si generano, che 
della cosa che li genera, quanto la cosa dove si generano è di più pulita super- 
ficie che quella che li genera. 

156. De' riflessi de' lumi che circondano le ombre. 

I riflessi delle parti illuminate che risaltano nelle contrapposte ombre alleviano 
più o meno la loro oscurità, secondo eh' esse sono più o meno vicine o hanno 
più o meno di chiarezza; questa tal considerazione è messa in opera da molti, e molti 
altri sono che la fuggono, e questi si ridono 1' un dell' altro. Ma tu, per fuggir le 
calunnie dell' uno e dell' altro, metti in opera 1' uno e 1' altro dove sono necessari, 
ma fa che le loro cause sieno note, cioè che si veda manifesta la causa de' riflessi 
e loro colori, e così manifesta la causa delle cose che non riflettono. Facendo così 
non sarai interamente biasimato, nè lodato dai vari giudici, i quali, se non saranno 
d'intera ignoranza, sarà necessario che in tutto ti laudino, sì l'ima setta come l'altra. 

157. Dove i riflessi de' lumi sono di maggiore o minor chiarezza. 

I riflessi de' lumi sono di tanto minore o maggiore evidenza, quanto essi saranno 
veduti in campi di maggiore o minore oscurità ; e questo accade perchè se il campo 
è più oscuro che il riflesso, allora esso riflesso sarà forte evidente per la diffe- 
renza grande che hanno essi colori infra loro ; ma se il riflesso sarà veduto in 
campo più chiaro di esso, allora tal riflesso si dimostrerà essere oscuro rispetto alla 
bianchezza con la quale confina, e così tal riflesso sarà insensibile. 



68 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 158 



158. Oual parte del riflesso sarà più chiara. 

Quella parte del riflesso sarà più illuminata che riceve il lume infra angoli più 
eguali del luminoso, come nella percussione. Provasi, e sia il luminoso n, ed a b sia 
la parte del corpo illuminata, la quale risalta per tutta la concavità opposita, la 
n quale è ombrosa. E sia che tal lume, che 



perchè sarà più vicino alla cosa che l' illumina, per la sesta che dice : quella parte 
del corpo ombroso sarà più illuminata che sarà più vicina al suo luminoso. 

159. De' colori riflessi della carne. 

I riflessi della carne che hanno lume d' altra carne sono più rossi e di più 
eccellente incarnazione che nessun' altra parte di carne che sia nell' uomo ; e questo 
accade per la terza del secondo libro, che dice : la superficie d' ogni corpo opaco 
partecipa del colore del suo obietto; e tanto più quanto tale obietto gli è più vicino, 
e tanto meno quanto gli è più remoto e quanto egli è maggiore ; perchè essendo 
grande, esso impedisce le specie degli obietti circostanti, i quali spesse volte sono 
di colori vari, i quali corrompono le prime specie più vicine, quando i corpi sono 
piccoli ; ma non manca che non tinga più un riflesso un piccolo colore vicino, che 
un colore grande remoto, per la sesta di prospettiva, che dice : le cose grandi 
potranno essere in tanta distanza, che esse parranno minori assai che le piccole 
d' appresso. 

160. Dove i riflessi sono più sensibili. 

Quel riflesso sarà di più spedita evidenza, il quale è veduto in campo di mag- 
giore oscurità, e quello sarà meno sensibile, che si vedrà in campo più chiaro ; e 
questo nasce chè le cose di varie oscurità poste in contrasto, la meno oscura fa 
parere tenebrosa quella che è più oscura, e le cose di varie bianchezze poste in 
contrasto, la più bianca fa parere l' altra meno bianca che non è. 




riflette in e, sia percosso infra angoli 
eguali, e' non sarà riflesso da base d' an- 
goli eguali, come si mostra l'angolo e ab 
che è più ottuso che 1' angolo e b a ; ma 
l'angolo afb, ancor che sia infra angoli 
di minor egualità che 1' angolo e, esso ha 
per fase ab che ha gli angoli più eguali 
che esso angolo e ; e però sarà più chiaro 
in / che in e ; ed ancora sarà più chiaro, 



a 163 J 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



69 



161. De' riflessi duplicati e triplicati. 

I riflessi duplicati sono di maggior potenza che i riflessi semplici, e le ombre 
che s' interpongono infra il lume incidente ed essi riflessi sono di poca oscurità. 
Sia a il luminoso ; a n , a s i 

a 

diretti ; s n sian le parti dei 
corpi illuminate ; b siano le 
parti d'essi corpi illuminate dai 
riflessi; ed il riflesso cine è il 
il riflesso semplice ; ano , aso 
è il riflesso duplicato. Il riflesso 
semplice è detto quello che solo 
da un illuminato è veduto, e il 
duplicato è visto da due corpi 
illuminati, e il semplice e è fatto 
dall'illuminato bd\ il duplicato o si compone dell'illuminato bd e dell'illuminato dr\ 
e 1' ombra sua è di poca oscurità, la quale s' interpone infra il lume incidente n ed 
il lume riflesso no , so. 








a 






6 



162. Come nessun colore riflesso è semplice, ma è misto con le specie 
degfli altri colori. 

Nessun colore che rifletta nella superficie d' un altro corpo tinge essa superficie 
del suo proprio colore, ma sarà misto con i con- 
corsi degli altri colori riflessi che risaltano nel 
medesimo luogo ; come il color giallo a che riflette 
nella parte dello sferico c e , e nel medesimo luogo 
riflette il colore azzurro b . Dico per questa rifles- 
sione mista di giallo e di azzurro, che la percus- 
sione del suo concorso tingerà lo sferico ; se era in sè bianco, lo farà di color 
verde, perchè è provato che il giallo e V azzurro misti insieme compongono un bellis- 
simo verde. 



163. Come; rarissima volte i riflessi sono 
del colore del corpo dove si con- 
giungono. 

Rarissime sono le volte che i riflessi sieno 
del colore del corpo dove si congiungono. Sia 




70 LEONARDO DA VINCI [§163 

giallo lo sferico dfge, e l'obietto che gli riflette addosso il suo colore sia bc, il 
quale è azzurro; dico che la parte dello sferico, che è percossa da tal riflessione, si 
tingerà in color verde, essendo b c illuminato dall' aria o dal sole. 

164. Dove più si vedrà il riflesso. 

Infra il riflesso di medesima figura, grandezza e potenza, quella parte si dimo- 
strerà più o meno potente, la quale terminerà in campo più o meno scuro. 

165. De' riflessi. 

i° Le superficie de' corpi partecipano più de' colori di quegli obietti i quali riflet- 
tono in lui la sua similitudine infra angoli più eguali. 

2 De' colori degli obietti che riflettono le sue similitudini nelle superficie degli 
anteposti corpi infra angoli eguali, quello sarà più potente il quale avrà il suo raggio 
riflesso di più breve lunghezza. 

3 Infra i colori degli obietti che si riflettono infra angoli eguali, e con egual 
distanza nella superficie de' contrapposti corpi, quello sarà più potente che sarà di 
più chiaro colore. 

4 Quell' obietto riflette più intensamente il suo colore neh' anteposto corpo, il 
quale non ha intorno a sè altri colori che della sua specie. 

166. Riflessione. 

Ma quel riflesso sarà di più confuso colore, che da vari colori d'obietti è 
generato. 

Quel colore che sarà più vicino al riflesso, più tingerà di sè esso riflesso, e 
così di converso. 

Adunque tu, pittore, fa di operare ne' riflessi dell' effigie delle figure il colore 
delle parti de' vestimenti che sono presso alle parti delle carni che loro sono più 
vicine, ma non separare con troppa loro pronunziazione, se non bisogna. 

167. De' colori de' riflessi. 

Tutti i colori riflessi sono di manco luminosità che il lume retto, e tal propor- 
zione ha il lume incidente col lume riflesso, quale è quella che hanno infra loro 
le luminosità dalle loro cause. 



a 171] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



7 



168. De' termini de' riflessi nel loro campo. 

Il termine de' riflessi nel campo più chiaro di esso riflesso sarà causa che tale 
riflesso terminerà in campo più oscuro di lui; allora esso riflesso sarà sensibile, e 
tanto più si farà evidente, quanto tal campo sarà più oscuro, e così di converso. 



1 69. Del modo d' imparar bene a comporre insieme le figure nelle istorie. 

Per ciò, quando tu avrai imparato bene prospettiva, ed avrai a mente tutte 
le membra ed i corpi delle cose, sii vago spesse volte nel tuo andare a spasso 
di vedere e considerare i siti e gli atti degli uomini nel parlare, nel contendere, 
nel ridere o neh" azzuffarsi insieme, che atti sieno in loro, e che atti facciano i circo- 
stanti, spartitori o veditori di esse cose, e quelli notare con brevi segni in questa 
forma su un tuo piccolo libretto, il quale tu devi sempre portare teco, e 
sia di carte tinte, acciò non 1' abbia a scancellare, ma mutare di vecchio 
^ in nuovo ; chè queste non sono cose da essere scancellate, anzi, con 
grandissima diligenza serbate, perchè sono tante le forme e gli atti delle 
cose, che la memoria non è capace a ritenerle ; onde queste riserberai come tuoi 
adiutori e maestri. 



170. Del porre prima una figura nell' istoria. 



La prima figura nell' istoria farai tanto minore che iì naturale, quante braccia 
tu la figuri lontana dalla prima linea, e poi più le altre a comparazione di quella, 
con la regola di sopra. 

171. Del collocar le figure. 

Tanto quanto la parte del nudo da diminuisce per posare, 
tanto 1' opposita parte cresce ; cioè tanto quanto la parte d a dimi- 
nuisce di sua misura, 1' opposita parte sopraccresce alla sua misura, 
ed il bellico mai esce di sua altezza, ovvero il membro virile ; 
e questo abbassamento nasce perchè la figura che posa sopra un 
piede, quel piede si fa centro del soprapposto peso. Essendo così, 
il mezzo delle spalle si drizza di sopra, uscendo fuori della sua 
linea perpendicolare, la quale linea passa per i mezzi superficiali 
del corpo ; e questa linea viene a torcere nella sua superiore estre- 
mità sopra il piede che posa ; ed i lineamenti traversi, costretti a eguali angoli, si 
fanno co' loro estremi più bassi in quella parte che posa, come appare in abc. 




72 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 172 



172. Modo del comporre le istorie. 

Delle figure che compongono le istorie, quella si dimostrerà di maggior rilievo 
la quale sarà finta esser più vicina all' occhio : questo accade per la seconda del 
terzo, che dice : quel colore si dimostra di maggior perfezione, il quale ha minor 
quantità d'aria interposta fra sè e l'occhio che lo giudica: e per questo le ombre, 
le quali mostrano i corpi opachi essere rilevati, si dimostrano ancora più oscure 
d'appresso che da lontano, dove sono corrotte dall'aria interposta fra l'occhio ed 
esse ombre: la qual cosa non accade nelle ombre vicine all'occhio, dove esse mostrano 
i corpi di tanto maggior rilievo, quanto esse sono di maggiore oscurità. 

173. Del comporre le istorie. 

Ricordati, pittore, quando fai una sola figura, di fuggire gli scorti di quella, 
sì delle parti come del tutto, perchè tu avresti da combattere con l' ignoranza 
degl' indotti di tale arte ; ma nelle istorie fanne in tutti i modi che ti accade, e 
massime nelle battaglie, dove per necessità accadono infiniti scorciamenti e piega- 
menti de' componitori di tal discordia, o vuoi dire pazzia bestialissima. 

174. Varietà d'uomini nelle istorie. 

Nelle istorie debbono esser uomini di varie complessioni, età, carnagioni, atti- 
tudini, grassezze, magrezze; grossi, sottili, grandi, piccoli, grassi, magri, fieri, civili, 
vecchi, giovani, forti e muscolosi, deboli e con pochi muscoli, allegri, malinconici, 
e con capelli ricci e distesi, corti e lunghi, movimenti pronti e languidi, e così 
vari abiti, colori e qualunque cosa in essa istoria si richiede. È sommo peccato nel 
pittore fare i visi che somiglino 1' un 1' altro, e così la replicazione degli atti è vizio 
grande. 

175. Dell'imparare i movimenti dell'uomo. 

I movimenti dell' uomo vogliono essere imparati dopo la cognizione delle membra 
e del tutto in tutti i moti delle membra e giunture, e poi con breve notazione 
di pochi segni vedere gli atti degli uomini ne' loro accidenti, senza eh' essi si avveg- 
gano che tu li consideri, perchè, se s' avvedranno di tal considerazione, avranno la 
mente occupata a te, la quale avrà abbandonato la ferocità del loro atto, al quale 
prima era tutta intenta, come quando due irati contendono insieme, e che a ciascuno 
pare aver ragione, i quali con gran ferocità muovono le ciglia e le braccia e gli 
altri membri, con atti appropriati alla loro intenzione e alle loro parole; il che 



a 179] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 73 

far non potresti, se tu gli volessi far fìngere tal ira, o altro accidente, come riso, 
pianto, dolore, ammirazione, paura e simili: sicché per questo sii vago di portar 
teco un libretto di carte ingessate e con lo stile d' argento nota con brevità tali 
movimenti, e similmente nota gli atti de' circostanti e loro compartizione. Questo 
t' insegnerà a comporre le istorie ; e quando avrai pieno il tuo libretto, mettilo da 
parte, e serbalo a' tuoi propositi, e ripigliane un altro, e fanne il simile; e questa 
sarà cosa utilissima al modo del tuo comporre, del quale io farò un libro parti- 
colare, che seguirà dopo la cognizione delle figure e membra in particolare, e varietà 
delle loro giunture. 

176. Come il buon pittore ha da dipingere due cose, l'uomo e la 
sua mente. 

Il buon pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l'uomo ed il concetto 
della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perchè si ha a figurare con 
gesti e movimenti delle membra; e questo è da essere imparato dai muti, che 
meglio li fanno che alcun' altra sorta d' uomini. 

177. Del comporre le istorie in prima bozza. 

Lo studio de' componitori delle istorie deve essere di porre le figure digros- 
satamente, cioè abbozzate, e prima saperle ben fare per tutti i versi e piegamenti 
e distendimenti delle loro membra. Dipoi sia presa la descrizione di due che ardi- 
tamente combattano insieme, e questa tale invenzione sia esaminata in vari atti 
e per vari aspetti; dipoi sia seguitato il combattere dell'ardito col vile e pauroso; 
e queste tali azioni, e molti altri accidenti dell' animo, sieno con grande esaminazione 
e studio speculate. 

178. Di non far nelle istorie troppi ornamenti alle figure. 

Non fare mai nelle istorie tanti ornamenti alle tue figure ed altri corpi che 
impediscano la forma e l'attitudine di tali figure e l'essenza de' predetti altri corpi. 

179. Della varietà nelle istorie. 

Dilettisi il pittore ne' componimenti delle istorie della copia e varietà, e fugga 
il replicare alcuna parte che in essa fatta sia, acciocché la novità ed abbondanza 
attragga a sé e diletti l' occhio del riguardatore. Dico che nell' istoria si richiede, 
e a' loro luoghi accadendo, misti gli uomini di diverse effigie, con diverse età ed 
abiti, insieme misti con donne, fanciulli, cani, cavalli, edifici, campagne e colli. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. j Q 



74 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 180 



180. Dell'istoria. 

Sia osservata la dignità e decoro del principe o del savio, che nell' istoria si 
propone, con la separazione e interamente privata del tumulto del volgo. 

1 8 1 . Convenienze delle parti delle istorie. 

Non mischierai i malinconici lagninosi e piangenti con gli allegri e ridenti, 
imperocché la natura dà che con i piangenti si lacrimi, e con i ridenti si allegri, 
e sì separa i loro risi e pianti. 

182. Del diversificare le arie de' volti nelle istorie. 

Comune difetto è ne' dipintori italici il riconoscersi l'aria e figura dell'operatore, 
mediante le molte figure da lui dipinte; onde, per fuggire tale errore, non sieno 
fatte, nè replicate mai, nè tutto, nè parte delle figure, che un volto si veda nell'altro 
neh" istoria. 

183. Del variare valetudine, età e complessione de' corpi nelle istorie. 

Dico anco che nelle istorie si deve mischiare insieme vicinamente i retti contrari, 
perchè danno gran paragone 1' uno all' altro ; e tanto più quanto saranno più propinqui, 
cioè il brutto vicino al bello, e il grande al piccolo, e il vecchio al giovane, e il 
forte al debole; e così si varia quanto si può e più vicino. 

184. De' componimenti delle istorie. 

I componimenti delle istorie dipinte debbono muovere i riguardatori e contem- 
platori di quelle a quel medesimo effetto, eh' è quello per il quale tale istoria è 
figurata ; cioè se quell' istoria rappresenta terrore, paura o fuga, o veramente dolore, 
pianto e lamentazione, o piacere, gaudio e riso, e simili accidenti, che le menti di 
essi consideratori muovano le membra con atti che paiano eh' essi sieno congiunti 
al medesimo caso di che esse istorie figurate sono rappresentatrici ; e se così non 
fanno, l' ingegno di tale operatore è vano. 

185. Precetto del comporre le istorie. 

O tu, componitore delle istorie, non membrificare con terminati lineamenti le 
membrificazioni d' esse istorie, chè t' interverrà come a molti e vari pittori inter- 



a 186] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 75 

venir suole, i quali vogliono che ogni minimo segno di carbone sia valido. E questi 
tali ponno bene acquistare ricchezze, ma non laude della loro arte, perchè molte 
sono le volte che l' animale figurato non ha i moti delle membra appropriati al 
moto mentale, ed avendo egli fatta bella e grata membrificazione ben finita, gli 
parrà cosa ingiuriosa a trasmutare esse membra più alte, o basse, o più indietro 
che innanzi. E questi tali non sono meritevoli di alcuna laude nella scienza. Or 
non hai tu mai considerato poeti componitori de' lor versi, ai quali non dà noia il 
fare bella lettera, *iè si curano di cancellare alcuni di essi versi, rifacendoli migliori? 
Adunque, pittore, componi grossamente le membra delle tue figure, e attendi prima 
ai movimenti appropriati agli accidenti mentali degli animali componitori dell' istoria 
che alla bellezza e bontà delle loro membra. Perchè tu hai a intendere che, se tal 
componimento inculto ti riuscirà appropriato alla sua intenzione, 1 tanto maggior- 
mente satisfarà, essendo poi ornato della perfezione appropriata a tutte le sue parti. 

10 ho già veduto ne' nuvoli e muri macchie che m' hanno desto a belle inven- 
zioni di varie cose, le quali macchie, ancoraché integralmente fossero in sè private 
di perfezione di qualunque membro, non mancavano di perfezione ne' loro movi- 
menti o altre azioni. 

186. Dell'accompagnare i colori l'uno con l'altro, in modo che l'uno 
dia grazia all' altro. 

Se vuoi fare che la vicinità di un colore dia grazia all' altro che con quello 
confina, usa quella regola che si vede fare ai raggi del sole nella composizione 
dell' arco celeste, per altro nome iris, i quali colori si generano nel moto della pioggia, 
perchè ciascuna gocciola si trasmuta nella sua discesa in ciascuno de' colori di tale 
arco, come sarà dimostrato al suo luogo. Ora attendi, che se tu vuoi fare un' ec- 
cellente oscurità, dàlie per paragone un' eccellente bianchezza, e così l' eccellente 
bianchezza farai con la massima oscurità ; ed il pallido farà parere il rosso di più 
focosa rossezza che non parrebbe per sè in paragone del paonazzo ; e questa tal 
regola sarà più distinta al suo luogo. Resta una seconda regola, la quale non 
attende a fare i colori in sè di più suprema bellezza che essi naturalmente sieno, 
ma che la compagnia loro dia grazia 1' uno all' altro, come fa il verde al rosso, e 

11 rosso al verde, come fa il verde con l' azzurro. Ed evvi un' altra regola gene- 
rativa di disgraziata compagnia, come l' azzurro col giallo, che biancheggia, o col 
bianco e simili, i quali si diranno al suo luogo. 



1 Nel codice: «invenzione» 



76 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 187 



187. Del far vivi e belli i colori nelle tue pitture. 

Sempre a quei colori che tu vuoi che abbiano bellezza preparerai prima il campo 
candidissimo ; e questo dico de' colori che sono trasparenti, perchè a quelli che 
non sono trasparenti non giova campo chiaro ; e 1' esempio di questo c' insegnano 
i colori de' vetri, i quali, quando sono interposti infra 1' occhio e 1' aria luminosa, 
si mostrano di eccellente bellezza, il che far non possono avendo dietro a sè 1' aria 
tenebrosa o altra oscurità. • 

188. De' colori delle ombre di qualunque colore. 

Il colore dell' ombra di qualunque colore sempre partecipa del colore del suo 
obietto, e tanto più o meno quanto esso obietto è più vicino o remoto da essa ombra, 
e quanto esso è più o meno luminoso. 

189. Delle varietà che fanno i colori delle cose remote o propinque. 

Delle cose più oscure che 1' aria, quella si dimostrerà di minore oscurità la quale 
sarà più remota ; e delle cose più chiare che 1' aria, quella si dimostrerà di minor 
bianchezza che sarà più remota dall' occhio. Le cose più chiare e più oscure che 
F aria in lunga distanza scambiano colore, perchè la chiara acquista oscurità e l' oscura 
acquista chiarezza. 

190. In quanta distanza si perdono i colori delle cose integralmente. 

I colori delle cose si perdono integralmente in maggiore o minor distanza, secondo 
che 1' occhio e la cosa veduta saranno in maggiore o minore altezza. Provasi per la 
settima di questo, che dice : 1' aria è tanto più o meno grossa, quanto essa sarà più 
vicina o remota dalla terra. Adunque, se 1' occhio e la cosa da esso veduta saranno 
vicini alla terra, allora la grossezza dell' aria interposta fra 1' occhio e la cosa sarà 
grossa e impedirà assai il colore della cosa veduta da esso occhio. Ma se tal occhio 
insieme con la cosa da lui veduta saranno remoti dalla terra, allora tale aria occuperà 
poco il colore del predetto obietto. 

191. In quanta distanza si perdono i colori degli obietti dell' occhio. 

Tante sono le varietà delle distanze nelle quali si perdono i colori degli obietti 
quanto sono varie le età del giorno, e quante sono le varietà delle grossezze o sottilità 
dell' aria, per le quali penetrano all' occhio le specie de' colori de' predetti obietti. 
E di questo non daremo al presente altra regola. 



a 194] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



77 



192. Colore d'ombra del bianco. 

L'ombra del bianco veduto dal sole e dall'aria ha le sue ombre traenti all'azzurro; 
e questo nasce perchè il bianco per sè non ha colore, ma è ricetto di qualunque 
colore ; e per la quarta di questo, che dice : la superficie d' ogni corpo partecipa del 
colore del suo obietto, egli è necessario che quella parte della superficie bianca parte- 
cipi del colore dell' aria suo obietto. 
_# 

193. Qual colore farà ombra più nera. 

Quell' ombra parteciperà più del nero, che si genererà in più bianca superficie, 
e questo avrà maggior proporzione di varietà 1 che nessun' altra superficie ; e questo 
nasce perchè il bianco non è connumerato infra i colori, ed è ricettivo d' ogni colore, 
e la superficie sua partecipa più intensamente de' colori de' suoi obietti che nessun' altra 
superficie di qualunque colore, e massime del suo retto contrario, che è il nero o 
altri colori oscuri, dal quale il bianco è più remoto per natura ; e per questo pare 
ed è gran differenza dalle sue ombre principali ai lumi principali. 

194. Del colore che non mostra varietà in varie grossezze d'aria. 

Possibile è che un medesimo colore non faccia mutazione in varie distanze, e 
questo accadrà quando la proporzione delle grossezze dell' aria e le proporzioni delle 
distanze che avranno i colori dall' occhio sia una 

e. _ 

medesima, ma conversa. Provasi : a sia F occhio, ? 

n 

h sia un colore qual tu vuoi, posto in un grado ^ 
di distanza remoto dall' occhio, in aria di quattro ^ 
gradi di grossezza; ma perchè il secondo grado 
di sopra a m 11 1 ha la metà più sottile, F aria portando in essa il medesimo colore, è 
necessario che tal colore sia il doppio più remoto dall' occhio che non era prima ; 
adunque porremo i due gradi af ed fg discosto dall' occhio, e sarà il colore g ; 
il quale poi alzando nel grado di doppia sottilità alla seconda mani, che sarà il 
grado ompn, egli è necessario che sia posto nell'altezza e, e sarà distante dall'occhio 
tutta la linea ae, la quale si prova valere in grossezza d'aria quanto la distanza ag, 
e provasi così: se ag, distanza interposta da una medesima aria infra l'occhio e il 
colore, occupa due gradi e mezzo, 2 questa distanza è sufficiente a fare che il colore g 
alzato in e non varii di sua potenza, perchè il grado ac e il grado af, essendo 
una medesima grossezza d' aria, sono simili ed eguali, ed il grado c d, benché sia 

1 Nell'edizione romana, 1817 : «propensione alla varietà». 

2 Nell'edizione viennese : « se ag distanza interposta infra l'occhio e il colore è d'una medesima aria ed 
occupa due gradi, e il colore è alzato nella distanza di due gradi e mezzo ». 



^Hiuiff di jrpjJfCLa, u >v 


jprcuù- di TCtfJ e zxa. 2 




gradi di r evader.* a 4. 





78 LEONARDO DA VINCI [§ 194 

eguale in lunghezza al grado fg, non è simile in grossezza d'aria, perchè gli è 
mezzo nell'aria di doppia grossezza all'aria di sopra, della quale un mezzo grado di 
distanza occupa tanto il colore, quanto si faccia un grado intero dell' aria di sopra, 
che è il doppio più sottile che 1' aria che gli confina di sotto. Adunque, calcolando 
prima le grossezze dell' aria e poi le distanze, tu vedrai che i colori variati di sito 
non avranno mutato di bellezza; e diremo così per la calcolazione della grossezza 
dell' aria ; il colore h è posto in quattro gradi di grossezza d' aria ; g colore è posto 
in aria di due gradi di grossezza ; e colore si trova in aria di primo grado di grossezza. 
Ora vediamo se le distanze sono in proporzione eguale, ma conversa. Il colore e si 
trova distante dall' occhio a due gradi e mezzo di distanza ; il g due gradi, 1' h un 
grado ; questa distanza non si scontra con la proporzione della grossezza ; ma è 
necessario fare una terza calcolazione, e quest' è che ti bisogna dire : il grado a c , 
come fu detto di sopra, è simile ed eguale al grado a f, ed il mezzo grado c d è simile 
ma non eguale al grado a c , perchè è un mezzo grado di lunghezza, il quale vale un 
grado intero dell' aria di sopra. 1 Adunque la calcolazione trovata satisfa al proposito, 
perchè ac vale due gradi di grossezza dell'aria di sopra ed il mezzo grado ed ne 
vale uno intero d' essa aria di sopra, cosicché abbiamo tre gradi in valuta d' essa 
grossezza di sopra ed uno ve n' è dentro, cioè be 2 esso quarto. Seguita: ah ha 
quattro gradi di grossezza d' aria ; ag ne ha ancora quattro, cioè af ne ha due ed 
fg due altri, che fan quattro ; a e ne ha ancora quattro, perchè a e ne. tiene due ed 
uno e d, che è la metà di a e e di quella medesima aria, ed uno intero ne è di sopra 
nell'aria sottile, che fa quattro. Adunque, se la distanza a e non è dupla dalla 
distanza ag, nè quadrupla dalla distanza ah, essa è restaurata dal ed, mezzo grado 
d' aria grossa, che vale un grado intero dell' aria più sottile che gli sta di sopra. E così 
è concluso il nostro proposito, cioè che il colore hge non si varia per varie distanze. 



195. Della prospettiva de' colori. 




D' un medesimo colore posto in varie distanze 
ed eguali altezze, tale sarà la proporzione del suo 
rischiaramento, quale sarà quella delle distanze 
che ciascuno di essi colori ha dall'occhio che li 
vede. Provasi, e sia che ebed sia un medesimo 
colore ; il primo, e , sia posto due gradi di distanza 
dall' occhio a ; il secondo, che è b , sia discosto 
quattro gradi ; il terzo, che è c , sia sei gradi ; il 
quarto, che è d, sia otto gradi, come mostrano 



1 Nel codice seguono le parole : « la quale è posta 

2 Nel codice : de. 



la sottilità all'aria di sotto», 



a 197] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 79 

le definizioni de' circoli che si tagliano sulla linea, come si vede sopra la linea a r ; 
dipoi arsp sia un grado d'aria sottile ; sp e / sia un grado d'aria più grossa: seguirà 
che il primo colore e passerà all'occhio per un grado d'aria grossa, es, e per un 
grado d' aria men grossa sa, ed il colore b manderà la sua similitudine all' occhio a 
per due gradi d' aria grossa, e per due della men grossa ; ed il c la manderà per 
tre della grossa e per tre della men grossa ; ed il colore d per quattro della grossa e 
per quattro della men grossa. E così abbiamo provato qui tale essere la proporzione 
delle diminuzioni de' colori, o vuoi dire perdimenti, quale è quella delle loro distanze 
dall'occhio che li vede; e questo solo accade ne' colori che sono d'eguale altezza, 
perchè in quei che sono di altezze ineguali non si osserva la medesima regola, per 
esser loro in arie di varie grossezze, che fanno varie occupazioni ad essi colori. 

196. Del colore che non si muta in varie grossezze d'aria. 

Non si muterà il colore posto in diverse grossezze d'aria, quando sarà tanto 
più remoto dall' occhio 1' uno che l' altro. Provasi così : se la prima aria bassa ha 
quattro gradi di grossezza, ed il colore sia distante un grado dall' occhio, e la seconda 
aria più alta abbia tre gradi di grossezza, chè ha perso un grado, fa che il colore 
acquisti un grado di distanza ; 1 e quando l' aria più alta ha perso due gradi di 
grossezza, ed il colore ha acquistato due gradi di distanza, allora tale è il primo 
colore qual è il terzo : e per abbreviare, se il colore s' innalza tanto eh' entri nel- 
1' aria, che abbia perso tre gradi di grossezza, ed il colore s' è discostato tre gradi 
di distanza, allora tu ti puoi render certo che tal perdita di colore ha fatto il colore 
alto e remoto, quanto il colore basso e vicino ; perchè se l' aria alta ha perduto 
i tre quarti della grossezza dell' aria bassa, il colore nelT alzarsi ha acquistato i tre 
quarti di tutta la distanza, per la quale esso si trova remoto dall' occhio. E così 
abbiamo provato l'intento nostro. 

197. Se i colori vari possono parere di una uniforme oscurità mediante 
una medesima ombra. 

Possibile è che tutte le varietà de' colori d' una medesima ombra paiano tramu- 
tate nel colore d' essa ombra. Questo si manifesta nelle tenebre della notte nubi- 
losa, nella quale nessuna figura o colore di corpo si comprende ; e perchè tenebre 
altro non sono che privazione di luce incidente o riflessa, mediante la quale tutte le 
figure ed i colori de' corpi si comprendono, egli è necessario che, tolta integralmente 
la causa della luce, manchi l' effetto e la cognizione de' colori e delle figure dei 
predetti corpi. 



1 Nell'edizione viennese: «un grado e terzo di distanza» 



So 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 198 



198. Della causa de' perdimenti de' colori e figure de' corpi mediante 
le tenebre che paiono e non sono. 

Molti sono i siti in sè illuminati e chiari che si dimostrano tenebrosi ed al 
tutto privati di qualunque varietà di colori e figure delle cose che in essi si trovano: 
questo avviene per causa della luce dell' aria illuminata che infra le cose vedute e 
1' occhio s' interpone, come si vede dentro alle finestre che sono remote dall' occhio, 
nelle quali solo si comprende una uniforme oscurità assai tenebrosa; e se tu entrerai 
poi dentro a essa casa, tu vedrai quelle essere in sè forte illuminate, e potrai spedi- 
tamente comprendere ogni minima parte di qualunque cosa dentro a tal finestra 
che trovar si potesse. E questa tal dimostrazione nasce per difetto dell' occhio, il 
quale, vinto dalla soverchia luce dell' aria, ristringe assai la grandezza della sua 
pupilla, e per questo manca assai della sua potenza: e ne' luoghi più oscuri la 
pupilla si allarga, e tanto cresce di potenza, quanto essa acquista di grandezza, com' è 
provato nel secondo della mia prospettiva. 

199. Come nessuna cosa mostra il suo vero colore, se essa non ha 
lume da un altro simil colore. 

Nessuna cosa dimostrerà mai il suo proprio colore se il lume che l' illumina 
non è in tutto d' esso colore. Quello che è qui detto si manifesta ne' colori de' panni, 
de' quali le pieghe illuminate, che riflettono o danno lume alle contrapposte pieghe, 
gli fanno dimostrare il loro vero colore. Il medesimo fanno le foglie dell' oro nel 
dar lume l' una all' altra, ed il contrario fa da pigliar lume da un altro colore. 

200. De' colori che si dimostrano variare dal loro essere mediante 
i paragoni de' loro campi. 

Nessun termine di colore uniforme si dimostrerà essere eguale se non termina 
in campo di colore simile ad esso. Questo si vede manifesto quando il nero termina 
col bianco e il bianco col nero, che ciascun colore pare più nobile ne' confini del 
suo contrario che non parrà nel suo mezzo. 

201. Della mutazione de' colori trasparenti dati o misti sopra diversi 
colori con la loro diversa relazione. 1 

Quando un colore trasparente è sopra un altro colore variato da quello, si 
compone un color misto diverso da ciascuno de' semplici che lo compongono. Questo 



Nel codice : « velazione » 



a 205] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 81 

si vede nel fumo che esce dal camino, il quale quando è a riscontro al nero d'esso 
camino si fa azzurro, e quando s'innalza a riscontro dell'azzurro dell'aria pare 
berettino o rosseggiante. E così il paonazzo dato sopra F azzurro si fa di color 
di viola; e quando l'azzurro sarà dato sopra il giallo, egli si farà verde; ed il croco 
sopra il bianco fa giallo ; ed il chiaro sopra 1' oscurità fa azzurro, tanto più bello, 
quanto il chiaro e l' oscuro saranno più eccellenti. 



202. Qual parte di un medesimo colore si dimostra più bella in pittura. 

Qui è da notare qual parte d' un medesimo colore si mostra più bella in pittura, 
o quella che ha il lustro, o quella che ha il lume, o quella delle ombre mezzane, o 
quella delle oscure, ovvero in trasparenza. Qui bisogna intendere che colore è quello 
che si dimanda, perchè diversi colori hanno le loro bellezze in diversa parte di sè 
medesimi ; e questo ci mostra il nero con aver la bellezza nelle ombre, il bianco nel 
lume, 1' azzurro verde e tanè nelle ombre mezzane, il giallo e rosso ne' lumi, 1' oro 
ne' riflessi e la lacca nelle ombre mezzane. 



203. Come ogni colore che non lustra è più bello nelle sue parti lumi- 
nose che nelle ombrose. 

Ogni colore è più bello nella sua parte illuminata che nell' ombrosa ; e questo 
nasce, che il lume vivifica e dà vera notizia della qualità de' colori, e l' ombra 
ammorza ed oscura la medesima bellezza, ed impedisce la notizia d' esso colore ; 
e se per il contrario il nero è più bello nelle ombre che ne' lumi, si risponde che 
il nero non è colore, nè anco il bianco. 

204. Dell'evidenza de' colori. 

Quella cosa che è più chiara più apparisce di lontano, e la più oscura fa il 
contrario. 



205. Qual parte del colore ragionevolmente deve esser più bella. 



Se a sarà il lume, b sarà l'illuminato per linea da esso lume; c, che non può 
vedere esso lume, vede solo la parte illuminata, la qual parte 
diciamo che sia rossa ; essendo così, il lume che si genera alla 
parte somiglierà alla sua cagione, e tingerà in rosso la faccia c; 
e se f sarà ancora esso rosso, vedrai essere molto più bello 
che b ; e se c fosse giallo, vedrai crearsi un color cangiante infra 
giallo e rosso. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. \ \ 




82 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 206 



206. Come il bello del colore dev'essere ne' lumi. 

Se noi vediamo la qualità de' colori esser conosciuta mediante il lume, è da 
giudicare che, dove è più lume, quivi si vegga più la vera qualità del colore illuminato, 
e dove è più tenebre, il colore tingersi nel colore d' esse tenebre. Adunque tu, pittore, 
ricordati di mostrare la verità de' colori sulle parti illuminate. 

207. Del color verde fatto dalla ruggine di rame. 

Del verde fatto dal rame, ancoraché tal colore sia messo a olio, se ne va in fumo 
la bellezza, s' esso non è subito inverniciato ; e non solamente se ne va in fumo, ma 
s' esso sarà lavato con la spugna bagnata di semplice acqua comune, si leverà dalla 
tavola dove è dipinto, e massimamente se il tempo sarà umido ; e questo nasce 
perchè tal verderame è fatto per forza di sale, il qual sale con facilità si risolve 
ne' tempi piovosi, e massimamente essendo bagnato e lavato con la predetta spugna. 

208. Aumentazione di bellezza nel verderame. 

Se sarà misto col verderame l' aloe camellino, esso verderame acquisterà gran 
bellezza, e più ne acquisterebbe col zafferano, se non se ne andasse in fumo. E di 
questo aloe camellino si conosce la bontà quando esso si scioglie nell' acquavite, 
essendo calda, che meglio lo scioglie che quando essa è fredda. E se tu avessi 
finito un' opera con esso verde semplice, e poi la velassi sottilmente con esso aloe 
sciolto in acqua, allora essa opera si farebbe di bellissimo colore : ed ancora esso 
aloe si può macinare a olio per sè, ed ancora insieme col verderame, e con ogni 
altro colore che ti piacesse. 

209. Della mistione de' colori l'uno con l'altro, la qual mistione si 
estende verso l' infinito. 

Ancoraché la mistione de' colori 1' uno con l' altro si estenda verso l' infinito, 
non resterò per questo che io non ne faccia un poco di discorso. Ponendo prima 
alquanti colori semplici, con ciascuno di quelli mescolerò ciascuno degli altri a uno 
a uno, e poi a due a due ed a tre a tre, così seguitando insino all' intero numero 
di tutti i colori. Poi ricomincierò a mischiare i colori a due con due ed a tre con 
due, e poi a quattro, così seguitando insino al fine, sopra essi primi due colori. 
E poi ne metterò tre, e con essi tre accompagnerò altri tre, e poi sei, e così segui- 
terò tal mistione in tutte le proporzioni. Colori semplici domando quelli che non 
sono composti, né si possono comporre per via di mistione d' altri colori. Nero, 



a 212] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 83 

bianco, benché questi non sono messi fra' colori, perchè l' uno è tenebre, l' altro 
è luce, cioè 1' uno è privazione e 1' altro è generativo, io non li voglio per questo 
lasciare indietro, perchè in pittura sono i principali, conciossiachè la pittura sia 
composta d' ombre e di lumi, cioè di chiaro e oscuro. Dopo il nero e il bianco 
seguita 1' azzurro e il giallo, poi il verde e il leonino, cioè tanè, o vuoi dire ocra ; 
dipoi il morello ed il rosso ; e questi sono otto colori, e più non ve n' è in natura, 
de' quali io comincio le mistioni ; e sia primo nero e bianco ; di poi nero e giallo, 
e nero e rosso ; di poi giallo e nero, e giallo e rosso ; e perchè qui mi manca carta, 
lascierò a fare tal distinzione nella mia opera con lungo processo ; il quale sarà di 
grande utilità, anzi necessarissimo ; e questa tal descrizione s' intermetterà infra la 
teorica e la pratica della pittura. 

210. Della superficie d'ogni corpo ombroso. 

La superficie d' ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto. Questo 
dimostrano i corpi ombrosi con certezza, conciossiachè nessuno de' predetti corpi 
mostra la sua figura o colore, se il mezzo interposto fra il corpo ed il luminoso 
non è illuminato. Diremo dunque che il corpo opaco sia giallo, ed il luminoso sia 
azzurro ; dico che la parte illuminata sarà verde, il qual verde si compone di giallo 
e d' azzurro. 

211. Qual è la superficie più ricettiva di colori. 

Il bianco è più ricettivo di qualunque colore che nessun' altra superficie di 
qualunque corpo che non è specchiato. Provasi dicendo che ogni corpo vacuo è 
capace di ricevere quello che non possono ricevere i corpi che non sono vacui ; 
diremo per questo che il bianco è vacuo, o vuoi dire privo di qualunque colore ; 
essendo esso illuminato dal colore di qualunque luminoso, partecipa più d' esso lumi- 
noso che non farebbe il nero, il quale è ad uso di vaso rotto, che è privo d' ogni 
capacità di qualunque cosa. 

212. Qual parte del corpo si tingerà più del colore del suo obietto. 

La superficie d' ogni corpo parteciperà più intensamente del colore di quel- 
1' obietto, il quale gli sarà più vicino. Questo accade perchè 1' obietto vicino occupa 
più moltitudine di varietà di specie, la quale, venendo ad essa superficie de' corpi, 
corromperebbe la superficie di tale obietto, il che non farebbe se tal colore fosse 
remoto: ed occupando tale specie, esso colore dimostra più integralmente la sua 
natura in esso corpo opaco. 



8 4 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 213 



213. Qual parte della superficie de' corpi si dimostrerà di più bel colore. 

La superficie di quell' opaco si dimostrerà di più perfetto colore, la quale avrà 
per vicino obietto un colore simile al suo. 

214. Delle incarnazioni de' volti. 

Quel colore de' corpi più si conserva in lunga distanza che sarà di maggior 
quantità. Questa proposizione ci mostra che il viso si faccia oscuro nelle distanze, 
perchè l' ombra è la maggior parte che abbia il volto, ed i lumi sono minimi, e 
però mancano in breve distanza: e minimissimi sono i loro lustri, e questa è la causa 
che, restando la parte più oscura, il viso si faccia o si dimostri oscuro ; e tanto 
più parrà trarre in nero, quanto tal viso avrà in dosso o in testa cosa più bianca. 

215. Modo per ritrarre di rilievo e preparare la carta per questo. 

I pittori, per ritrarre le cose di rilievo, debbono tingere le superficie delle carte 
di mezzana oscurità, e poi dare le ombre più oscure, ed in ultimo i lumi princi- 
pali in piccol luogo, i quali son quelli che in piccola distanza sono i primi che 
si perdono all' occhio. 

216. Della varietà di un medesimo colore in varie distanze dall'occhio. 

Infra i colori della medesima natura, quello manco si varia che meno si rimuove 
dall' occhio. Provasi, perchè 1' aria che s' interpone infra 1' occhio e la cosa veduta 
occupa alquanto la detta cosa : e se l' aria interposta sarà di gran somma, allora 
la cosa veduta si tingerà forte del colore di tal aria, e se tale aria sarà di sottile 
quantità, allora l'obietto sarà poco impedito. 

217. Della verdura veduta in campagna. 

Della verdura delle campagne di pari qualità, quella parrà essere più oscura 
che sarà nelle piante degli alberi, e più chiara si dimostrerà quella de' prati. 

218. Qual verdura parrà partecipare più d'azzurro. 

Quelle verdure si dimostreranno partecipare più d' azzurro, le quali saranno di 
più oscura ombrosità ; e questo si prova per la settima, che dice che l' azzurro si 
compone di chiaro e d' oscuro in lunghe distanze. 



a 222] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



85 



219. Qual è quella superficie che meno che le altre dimostra il suo 
vero colore. 

Quella superficie mostrerà meno il suo vero colore, la quale sarà più tersa e 
pulita. Questo vediamo nelle erbe de' prati e nelle foglie degli alberi, le quali, essendo 
di pulita e lustra superficie, pigliano il lustro nel quale si specchia il sole o 1' aria 
che le illumina, e così in quella parte del lustro sono private del loro naturai colore. 

220. Oual corpo ti mostrerà più il suo vero colore. 

Quel corpo più dimostrerà il suo vero colore, del quale la superficie sarà men 
pulita e piana. Questo si vede ne' pannilini e nelle foglie delle erbe ed alberi che 
sono pelose, nelle quali alcun lustro si può generare, onde per necessità, non potendo 
specchiare gli obietti, solo rendono all' occhio il loro vero colore e naturale, non 
essendo quello corrotto da alcun corpo che li illumini con un colore opposto, come 
quello del rossore del sole quando tramonta e tinge i nuvoli del suo proprio colore. 

221. Della chiarezza de' paesi. 

Mai i colori e vivacità e chiarezza de' paesi dipinti avranno conformità con i 
paesi naturali illuminati dal sole, se essi paesi dipinti non saranno illuminati da 
esso sole. 

222. Prospettiva comune, e della diminuzione de' colori in lunga 
distanza. 

L' aria è tanto meno partecipante del colore azzurro, quanto essa è più vicina 
all' orizzonte, e tanto più oscura, quanto essa dall' orizzonte è più remota. Questo 
si prova per la terza del nono, che mostra che quel corpo sarà manco illuminato 
dal sole il quale sarà di qualità più rara. Adunque il fuoco, elemento che veste 
1' aria, per esser esso più raro e più sottile che 1' aria, manco ci occupa le tenebre, 
che son sopra di lui, che non fa essa aria ; e per conseguenza l' aria, corpo men 
raro che il fuoco, più s' illumina dai raggi solari che la penetrano, illuminando la 
infinità degli atomi, che per essa s' infondono, e si rende chiara ai nostri occhi ; 
onde, penetrando per essa aria le specie delle sopradette tenebre, di necessità fa 
che essa bianchezza d' aria ci pare azzurra, com' è provato nella terza del decimo ; 
e tanto ci parrà di azzurro più chiaro, quanto fra esse tenebre e gli occhi nostri 
s' interporrà maggior grossezza d' aria. Come se l' occhio di chi la considera fosse 
in/ e riguardasse sopra di sè la grossezza dell'aria pr, poi, declinando alquanto. 



86 LEONARDO DA VINCI [§ 222 

1' occhio vedesse l' aria per la linea p s , la quale gli parrà più chiara, per esser 
maggior grossezza d' aria per la linea p s che per la linea p r ; 
e se tal occhio s' inclina all' orizzonte, vedrà 1' aria quasi al 
tutto privata d' azzurro ; la qual cosa seguita, perchè la linea 
del vedere penetra molto maggior somma d' aria per la retti- 
tudine pd che per l'obliqua ps. E così s'è persuaso il 
nostro intento. 




223. Delle cose specchiate nelle acque de' paesi, e prima dell'aria. 

Quell' aria sola sarà quella che darà di sè simulacro nella 
superficie dell' acqua, la quale rifletterà dalla superficie del- 
l' acqua all' occhio infra angoli eguali, cioè che l' angolo 
dell' incidenza sia eguale all' angolo della riflessione. 




224. Diminuzione de' colori pel mezzo interposto infra loro e l'occhio. 

Tanto meno dimostrerà la cosa visibile del suo naturai colore, quanto il mezzo 
interposto fra essa e l'occhio sarà di maggior grossezza. 

225. De' campi che si convengono alle ombre ed ai lumi. 

I campi che si convengono ai termini illuminati od ombrati di qualunque colore, 
quelli faranno più separazione 1' uno dall' altro, i quali saranno più vari, cioè che 
un colore oscuro non deve terminare in altro colore oscuro, ma molto vario : cioè 
bianco o partecipante di bianco, e similmente il colore bianco non terminare mai 
in campo bianco, ma quanto puoi oscuro o traente all' oscuro. 

226. Come si deve riparare quando il bianco termina in bianco o 
l' oscuro in oscuro. 

Quando il colore d' un corpo bianco s' abbatte a terminare in campo bianco, 
allora o i bianchi saranno eguali, o no : e se saranno eguali, allora quello che ti è 
più vicino si farà alquanto oscuro nel termine che egli fa con esso bianco : e se tal 
campo sarà men bianco che il colore che in lui campeggia, allora il campeggiante 
spiccherà per sè medesimo dal suo differente senza altro aiuto di termine oscuro. 



a 231] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 87 

227. Della natura de' colorì de' campi sopra i quali campeggia il 
bianco. 

La cosa bianca si dimostrerà più bianca se sarà in campo più oscuro, e si dimo- 
strerà più oscura se sarà in campo più bianco; e questo ci ha insegnato il fioccar 
della neve, la quale, quando noi la vediamo nel campo dell' aria, ci pare oscura, 
e quando noi la vediamo in campo d' alcuna finestra aperta, per la quale si veda 
l'oscurità dell'ombra di essa casa, allora essa neve si mostrerà bianchissima; e la 
neve d'appresso ci pare veloce, e la remota tarda; e la neve vicina ci pare di 
continua quantità, ad uso di bianche corde, e la remota ci pare discontinuata. 

228. De' campi delle figure. 

Delle cose d'egual chiarezza, quella si dimostrerà di minor chiarezza, la quale 
sarà veduta in campo di maggior bianchezza; e quella parrà più bianca, che campeg- 
gerà in spazio più oscuro; e l'incarnata parrà pallida in campo rosso, e la pallida 
parrà rosseggiante essendo veduta in campo giallo; e similmente i colori saranno 
giudicati quello che non sono mediante i campi che li circondano. 

229. De' campi delle cose dipinte. 

Di grandissima dignità è il discorso de' campi, ne' (mali campeg- 
giano i corpi opachi vestiti d' ombre e di lumi, perchè a quelli si con- 
viene avere le parti illuminate ne' campi oscuri, e le parti oscure nei 
campi chiari, siccome in parte in margine ho dimostrato. 

230. Di quelli che in campagna fingono la cosa più remota farsi più 
oscura. 

Molti sono che in campagna aperta fanno le figure tanto più oscure quanto 
esse sono più remote dall' occhio ; la qual cosa è in contrario, se già la cosa imitata 
non fosse bianca, perchè allora accadrebbe quello che di sotto si propone. 

231. De' colori delle cose remote dall'occhio. 

L' aria tinge più gli obietti che essa separa dall' occhio del suo colore, quanto 
essa sarà di maggior grossezza. Adunque, avendo l' aria diviso un obietto oscuro 
con grossezza di due miglia, essa lo tinge più che quella che ha la grossezza di 
un miglio. Risponde qui l' avversario e dice che i paesi hanno gli alberi di una 




88 LEONARDO DA VINCI [§231 

medesima specie più oscuri da lontano che d'appresso, la qual cosa non è vera se 
le piante saranno eguali e divise da spazi; ma sarà ben vera se i primi alberi saranno 
rari, e vedrassi la chiarezza de' prati che li dividono, e gli ultimi saranno spessi, 
come accade nelle rive e vicinità de' fiumi, che allora non si vedono spazi di chiare 
praterie, ma tutti insieme congiunti, facendo ombra l' uno sopra l' altro. Ancora 
accade che molto maggiore è la parte ombrosa delle piante che la luminosa, e per 
le specie che manda di sè essa pianta all' occhio, si mischiano in lunga distanza, 
ed il colore oscuro che si trova in maggior quantità più mantiene le sue specie 
che la parte meno oscura ; e così esso misto porta seco la parte più potente in 
più lunga distanza. 

232. Gradi di pittura. 

Non è sempre buono quel che è bello ; e questo dico per quei pittori che amano 
tanto la bellezza de' colori, che non senza gran coscienza danno lor debolissime 
e quasi insensibili ombre, non stimando il loro rilievo. Ed in questo errore sono 
i belli parlatori senza alcuna sentenza. 

233. Dello specchiameli to e colore dell'acqua del mare veduto da 
diversi aspetti. 

Il mare ondeggiante non ha colore universale, ma chi lo vede da terraferma, 
lo vede di colore oscuro, e tanto più oscuro quant' esso è più vicino all' orizzonte, 
e vi vede alcun chiarore, ovvero lustri, che si muovono con tardità ad uso di pecore 
bianche negli armenti ; e chi vede il mare stando in alto mare lo vede azzurro ; 
e questo nasce perchè da terra il mare pare oscuro, perchè tu vedi in esso le onde 
che specchiano l'oscurità della terra, e da alto mare paiono azzurre, perchè tu 
vedi nelle onde 1' aria azzurra da tali onde specchiata. 

234. Della natura de' paragoni. 

I vestimenti neri fanno parer le carni de' simulacri umani più bianche che non 
sono, e i vestimenti bianchi fanno parere le carni oscure, ed i vestimenti gialli le 
fanno parere colorite, e le vesti rosse le dimostrano pallide. 

235. Del colore dell'ombra di qualunque corpo. 

Mai il colore dell' ombra di qualunque corpo non sarà vera nè propria ombra, 
se 1' obietto eh' essa adombra non è del colore del corpo da esso ombrato. Diremo, 
per esempio, che io abbia un'abitazione della quale le pareti sieno verdi; dico: 



a 240 J TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 89 

se in tal luogo sarà veduto l'azzurro, il quale sia illuminato dalla chiarezza dell'az- 
zurro dell' aria, allora tal parete illuminata sarà di bellissimo azzurro, e l' ombra 
sarà brutta, e non vera ombra di tal bellezza d' azzurro, perchè si corrompe per 
il verde che in lui riverbera; e peggio sarebbe se tal parete fosse di tanè. 

236. Della prospettiva de' colorì ne' luoghi oscuri. 

Ne' luoghi luminosi uniformemente difformi frisino alle tenebre, quel colore sarà 
più oscuro, che da esso occhio sarà più remoto. 

237. Prospettiva de' colorì. 

I primi colori debbono esser semplici, ed i gradi della loro diminuzione insieme 
con i gradi delle distanze si debbono convenire, cioè che le grandezze delle cose 
parteciperanno più della natura del punto, quanto esse gli saran più vicine, ed i 
colori han tanto più a partecipare del colore del suo orizzonte, quanto essi a quello 
son più propinqui. 

238. De' colori. 

II colore che si trova infra la parte ombrosa e l' illuminata de' corpi ombrosi 
sarà di minor bellezza che quello che sarà interamente illuminato ; adunque la prima 
bellezza de' colori sarà ne' principali lumi. 

239. Da che nasce l'azzurro dell'aria. 

L' azzurro dell' aria nasce dalla grossezza del corpo dell' aria illuminata, inter- 
posta fra le tenebre superiori e la terra. L' aria per sè non ha qualità d' odore, o 
di sapore, o di colore, ma in sè piglia le similitudini delle cose che dopo essa sono 
collocate, e tanto sarà di più beli' azzurro quanto dietro ad essa saranno maggiori 
tenebre, non essendo essa di troppo spazio, nè di troppa grossezza d' umidità ; e 
vedesi ne' monti che hanno più ombre esser più beli' azzurro nelle lunghe distanze, 
e così dove è più illuminato, mostrare più il colore del monte che dell'azzurro 
appiccatogli dall' aria che infra lui e l' occhio s' interpone. 

240. De' colori. 

Infra i colori che non sono azzurri, quello in lunga distanza parteciperà più 
d' azzurro, il quale sarà più vicino al nero, e così di converso si manterrà per lunga 
distanza nel suo proprio colore quello il quale sarà più dissimile al detto nero. 

L. da Vinci — Trattato della pithira. \ 2 



90 LEONARDO DA VINCI [§ 240 

Adunque il verde delle campagne si trasmuterà più nell' azzurro che non fa il giallo 
o il bianco ; e così di converso il giallo e il bianco si trasmuteranno meno che 
il verde ed il rosso. 

241 . De' colori. 

I colori posti nelle ombre parteciperanno tanto più o meno della loro naturai 
bellezza, quanto essi saranno in maggiore o minore oscurità. Ma se i colori saranno 
situati in spazio luminoso, allora essi si mostreranno di tanto maggior bellezza quanto 
il luminoso sarà di maggior splendore. — Avversario : Tante sono le varietà de' colori 
delle ombre, quante sono le varietà de' colori delle cose adombrate. — Risposta: I 
colori posti nelle ombre mostreranno infra loro tanto minor varietà quanto le ombre 
che vi sono situate saranno più oscure, e di questo ne son testimoni quelli che dalle 
piazze guardano dentro le porte de' tempi ombrosi, dove le pitture vestite di vari 
colori appariscono tuttora vestite di tenebre. 

242. De' campi delle figure de' corpi dipinti. 

II campo che circonda le figure di qualunque cosa dipinta deve essere più oscuro 
che la parte illuminata d' esse figure, e più chiaro che la loro parte ombrosa. 

243. Perchè il bianco non è colore. 

Il bianco non è colore, ma è in potenza ricettiva d' ogni colore. Quando esso è 
in campagna alta, tutte le sue ombre sono azzurre, e questo nasce per la quarta, che 
dice : la superficie d' ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Adunque 
tal bianco essendo privato del lume del sole per interposizione di qualche obietto 
inframmesso fra il sole ed esso bianco, resta tutto il bianco, che vede il sole e 
F aria partecipante del colore del sole e dell' aria, e quella parte che non è veduta 
dal sole 1 resta ombrosa partecipante del colore dell' aria ; e se tal bianco non vedesse 
la verdura della campagna insino all' orizzonte, nè ancora vedesse la bianchezza di 
tale orizzonte, senza dubbio esso bianco parrebbe essere del semplice colore del 
quale si mostra essere l' aria. 

244. De' colori. 

Il lume del fuoco tinge ogni cosa in giallo ; ma questo non apparirà esser vero, 
se non al paragone di cose illuminate dall' aria ; e questo paragone si potrà vedere 



1 Nel codice: « che non è del sole » 



a 246] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 91 

vicino al fine della giornata, o sì veramente dopo 1' aurora, ed ancora dove, in una 
stanza oscura, dia sopra 1' obietto uno spiracolo d' aria, ed ancora uno spiracolo di 
lume di candela, ed in tal luogo certamente saran vedute chiare e spedite le loro 
differenze. Ma senza tal paragone mai non sarà conosciuta la lor differenza, salvo 
ne' colori che han più similitudine, ma saran conosciuti, come bianco da giallo chiaro, 
verde dall' azzurro ; perchè, galleggiando il lume che illumina l' azzurro, è come 
mischiare insieme azzurro e giallo, i quali compongono un bel verde ; e se mischi 
poi giallo con verde, esso si fa più bello. 

245. De' colori de' lumi incidenti e riflessi. 

Quando due lumi mettono in mezzo a sè il corpo ombroso, non possono variarsi 
se non in due modi, cioè, o essi saranno d' egual potenza, o saranno ineguali, cioè 
parlando de' lumi infra loro : e se saranno eguali, essi potranno variare in due altri 
modi il loro splendore sopra l'obietto, cioè con eguale splendore, o con disuguale: 
eguale sarà quando saranno in eguale distanza ; disuguali nelle disuguali distanze. 
In eguale distanza si varieranno in due altri modi, cioè meno sarà l' obietto illu- 
minato da eguali lumi in splendore, ed in distanza i lumi eguali in potenza ed eguali 
in distanza dall' obietto opposi to. L' obietto situato con egual distanza fra due lumi, 
cioè eguali in colore ed in splendore, può essere illuminato da essi lumi in due modi, 
o egualmente d' ogni parte, o disugualmente. Egualmente sarà da essi lumi illumi- 
nato, quando lo spazio che resta intorno ai due lumi sarà d' egual colore e oscurità o 
chiarezza; disuguale sarà, quando essi spazi intorno ai due lumi saranno vari in 
oscurità. 

246. De' colorì delle ombre. 

Spesse volte accade le ombre ne' corpi ombrosi non esser compagne de' colori 
ne' lumi, o saran verdeggianti le ombre, ed i lumi rosseggiante ancoraché il corpo 
sia di colore eguale. Questo accade che il lume verrà da oriente sopra 1' obietto, ed 
illuminerà 1' obietto del colore del suo 



splendore, e da occidente sarà un altro 
obietto del medesimo lume illuminato, 
il quale sarà d' altro colore che il 
primo obietto, onde con i suoi raggi 
riflessi risalta verso levante e percuote 
con i suoi raggi nella parte del primo 
obietto a lui volta e gli si tagliano i 




suoi raggi e rimangono fermi insieme con il loro colore e splendore. Io ho spesse 
volte veduto a un obietto bianco i lumi rossi e le ombre azzurreggianti ; e questo 



92 LEONARDO DA VINCI [§ 246 

accade nelle montagne di neve, quando il sole tramonta e l'orizzonte si mostra 
infuocato. 

247. Delle cose poste in campo chiaro, e perchè tal uso è utile in 
pittura. 

Quando il corpo ombroso terminerà in campo di color chiaro e illuminato, allora 
per necessità parrà spiccato e remoto da esso campo. Quel che è detto accade perchè 
i corpi di curva superficie per necessità si fanno ombrosi nella parte opposita donde 
non sono percossi dai raggi luminosi, per esser tal luogo privato di tali raggi ; per 



c ) — ■ X 






h 




c/uc 



la qual cosa molto si varia dal campo ; e la parte d' esso corpo illuminata non 
termina mai in esso campo illuminato con la sua prima chiarezza, anzi, fra il campo 
ed il primo lume del corpo s' interpone un termine del corpo, che è più oscuro, 
del campo, o del lume del corpo rispettivo. 

248. De' campi. 

De' campi delle figure, cioè la chiara nell'oscuro, e l'oscura nel campo chiaro, 
del bianco col nero, o nero col bianco, pare più potente 1' uno per 1' altro, e così 
i contrari 1' uno per l' altro si mostrano sempre più potenti. 

249. De' colori. 

I colori che si convengono insieme sono il verde col rosso, o paonazzo, o biffa, 
e il giallo coli' azzurro. 

250. De' colori che risultano dalla mistione d'altri colori, i quali si 
dimandano specie seconda. 

I semplici colori sono sei, de' quali il primo è bianco, benché alcuni filosofi 
non accettino nè il bianco nè il nero nel numero de' colori, perchè 1' uno è causa 
de' colori, l' altro ne è privazione. Ma pure, perchè il pittore non può far senza 
questi, noi li metteremo nel numero degli altri, e diremo il bianco in quest' ordine 
essere il primo ne' semplici, il giallo il secondo, il verde il terzo, l' azzurro il 



a 253] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 93 

quarto, il rosso il quinto, il nero il sesto ; ed il bianco metteremo per la luce senza 
la quale nessun colore veder si può, ed il giallo per la terra, il verde per 1' acqua, 
l' azzurro per Y aria, ed il rosso per il fuoco, ed il nero per le tenebre, che stan 
sopra 1' elemento del fuoco, perchè non v' è materia o grossezza dove i raggi del 
sole abbiano a percuotere, e per conseguenza illuminare. Se vuoi con brevità vedere 
le varietà di tutti i colori composti, prendi de' vetri coloriti e per quelli guarda 
tutti i colori della campagna che dopo quelli si veggono, e così vedrai tutti i colori 
delle cose che dopo tal vetro si veggono, essere tutte miste col colore del predetto 
vetro, e vedrai qual sia il colore che con tal mistione s' acconci o guasti. Come : 
sia il predetto vetro di color giallo ; dico che le specie degli obietti che per tal colore 
passano all'occhio possono così peggiorare come migliorare: e questo peggioramento 
in tal colore di vetro accadrà all' azzurro, al nero e al bianco sopra tutti gli altri, 
ed il miglioramento accadrà nel giallo e verde sopra tutti gli altri ; e così andrai 
scorrendo con l'occhio le mistioni de' colori, le quali sono infinite, ed a questo modo 
farai elezione di nuove invenzioni di colori misti e composti ; ed il medesimo si 
farà con due vetri di vari colori anteposti all' occhio, e così per te potrai seguitare. 

251. De' colori. 

L' azzurro ed il verde non è per sè semplice, perchè l' azzurro è composto di 
luce e di tenebre, come è quello dell' aria, cioè nero perfettissimo e bianco candi- 
dissimo. Il verde è composto d' un semplice e d' un composto, cioè si compone 
d' azzurro e di giallo. 

252. De' colorì specchiati sopra cose lustre di vari colori. 

Sempre la cosa specchiata partecipa del colore del corpo che la specchia. Lo 
specchio si tinge in parte del colore da esso specchiato, e partecipa tanto più 1' uno 
dell' altro, quanto la cosa che si specchia è più o meno potente che il colore dello 
specchio. E quella cosa parrà di più potente colore nello specchio, che più parte- 
cipa del colore d' esso specchio. 

253. De' colori del corpo. 

Infra i colori del corpo quello sarà veduto in maggior distanza, che sarà di più 
splendida bianchezza. Adunque si vedrà in minor longinquità quello che sarà di 
maggiore oscurità. 

Infra i corpi di egual bianchezza e distanza dall' occhio, quello si dimostrerà 
più candido, che è circondato da maggiore oscurità : e per contrario quell' oscurità 
si dimostrerà più tenebrosa, che sarà veduta in più candida bianchezza. 



94 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 254 



2 54. De' colori. 

De' colori di egual perfezione, quello si dimostrerà di maggior eccellenza che 
sarà veduto in compagnia del color retto contrario. Retto contrario è il pallido col 
rosso e il nero col bianco, benché nè V uno nè 1' altro sia colore ; azzurro e giallo 
come oro, verde e rosso. Ogni colore si conosce meglio nel suo contrario che nel 
suo simile, come 1' oscuro nel chiaro e il chiaro nell' oscuro. Il bianco che termina 
con 1' oscuro fa che in essi termini 1' oscuro pare più nero ed il bianco pare più 
candido. 

Quella cosa che sarà veduta in aria oscura e torbida essendo bianca parrà di 
maggior forma che non è. Questo accade perchè, come ho detto di sopra, la cosa 
chiara cresce nel campo oscuro, per le ragioni dianzi assegnate. 

Il mezzo che è fra 1' occhio e la cosa vista trasmuta essa cosa nel suo colore, 
come: l'aria azzurra farà che le montagne lontane saranno azzurre; il vetro rosso fa 
che ciò che l'occhio vede dopo di esso pare rosso; il lume che fanno le stelle intorno 
ad esse è occupato per la tenebrosità della notte, che si trova infra l' occhio e 
l' illuminazione d' esse stelle. 

255. Del vero colore. 

Il vero colore di qualunque corpo si dimostrerà in quella parte che non sarà 
occupata da alcuna qualità d' ombra, nè da lustro, se sarà un corpo pulito. 

256. Del colore delle montagne. 

Quella montagna distante dall' occhio si dimostrerà di più beli' azzurro, che sarà 
da sè più oscura ; e quella sarà più oscura, che sarà più alta e più boschereccia, 
perchè tali boschi mostrano i loro arbusti dalla parte di sotto per essere forte alti, 
e la parte di sotto è scura perchè non vede il cielo. Ancora le piante selvatiche 
de' boschi sono in sè più oscure che le domestiche ; molto più oscure sono le quercie, 
faggi, abeti, cipressi e pini, che non sono gli alberi d' ulivi ed altri frutti. Quella 
lucidità che s' interpone infra 1' occhio ed il nero, che sarà più sottile nella gran 
sua cima, farà esso nero di più beli' azzurro, e così di converso ; e quella pianta 
manco pare di dividersi dal suo campo, che termina con un campo di colore più 
simile al suo, e così di converso. Quella parte del bianco parrà più candida, che 
sarà più presso al confine del nero, e così parranno meno bianche quelle che più 
saranno remote da esso scuro ; e quella parte del nero parrà più oscura, che sarà 
più vicina al bianco, e così parrà manco oscura quella che sarà più remota da 
esso bianco. 



a 258] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SECONDA 



95 



257. Come il pittore deve mettere in pratica la prospettiva de' colori. 

A voler mettere in pratica questa prospettiva del variare, perdere, ovvero dimi- 
nuire la propria essenza de' colori, piglierai di cento in cento braccia cose poste 
infra la campagna, come sono alberi, case, uomini e siti, ed in quanto al primo 
albero, avrai un vetro fermo bene e così sia fermo 1' occhio tuo ; ed in detto vetro 
disegna un albero sopra la forma di quello ; di poi scostalo tanto per traverso che 
l' albero naturale confini quasi col tuo disegnato ; poi colorisci il tuo disegno in 
modo che per colore e forma stia a paragone l' uno dell' altro, o che tutti due, 
chiudendo un occhio, paiano dipinti, e detto vetro sia d' una medesima distanza ; 
e questa regola medesima fa degli alberi secondi e de' terzi di cento in cento braccia, 
di mano in mano; e questi ti servono come tuoi adiutori e maestri sempre, ope- 
rando nelle tue opere, dove appartengono, e faranno bene sfuggir l' opera. Ma io 
trovo per regola che il secondo diminuisce quattro quinti dal primo quando fosse 
lontano venti braccia dal primo. 



Mi 



258. Della prospettiva aerea. 

Evvi un' altra prospettiva, la quale chiamo aerea imperocché per la varietà dell' aria 
si possono conoscere le diverse distanze di vari edifici terminati ne' loro nascimenti 
da una sola linea, come sarebbe il veder molti edifici di là da 
un muro che tutti appariscono sopra 1' estremità di detto muro 
d'una medesima grandezza, e che tu volessi in pittura far parer ^ 

più lontano 1' uno che l'altro ; è da figurarsi un' aria un poco j 

grossa. Tu sai che in simil aria le ultime cose vedute in quella, 

come son le montagne, per la gran quantità dell' aria che si trova infra 1' occhio 
tuo e dette montagne, queste paiono azzurre, quasi del color dell' aria, quando il 
sole è per levante. Adunque farai sopra il detto muro il primo edificio del suo 
colore ; il più lontano fàllo meno profilato e più azzurro, e quello che tu vuoi che 
sia più in là altrettanto, fàllo altrettanto più azzurro ; e quello che tu vuoi che sia 
cinque volte più lontano, fàllo cinque volte più azzurro ; e questa regola farà che 
gli edifici che sono sopra una linea parranno d' una medesima grandezza, e chiara- 
mente si conoscerà quale è più distante e quale è maggiore dell' altro. 



PARTE TERZA. 

DE' VARI ACCIDENTI E MOVIMENTI DEI DUOMO 
E PROPORZIONE DI MEMBRA. 

259. Delle mutazioni delle misure dell'uomo 
pel movimento delle membra a diversi 
aspetti. 

Variansi le misure dell' uomo in ciascun membro, 
piegando quelli più o meno, ed a diversi aspetti, dimi- 
nuendoli o crescendoli tanto più o meno da una 
parte, quanto gli crescono o diminuiscono dal lato 
opposito. 

260. Delle mutazioni delle misure dell'uomo 
dal nascimento al suo ultimo crescimento. 

L'uomo nella sua prima infanzia ha la larghezza delle spalle eguale alla lunghezza 
del viso, ed allo spazio che è dalle spalle alle gomita, essendo spiegato il braccio, ed 
è simile allo spazio che è dal dito grosso della mano al detto gomito piegato, ed è 
simile allo spazio che è dal nascimento della verga al mezzo del ginocchio, ed 
è simile allo spazio che è da essa giuntura del ginocchio alla giuntura del piede. Ma 
quando 1' uomo è pervenuto all' ultima sua altezza, ogni predetto spazio raddoppia 
la lunghezza sua, eccetto la lunghezza del viso, la quale, insieme con la grandezza 
di tutto il capo, fa poca varietà ; e per questo 1' uomo che ha finito la sua grandezza, 

L. da Vinci — Trattato della pithira. \ ^ 




98 LEONARDO DA VINCI [§ 260 

il quale sia bene proporzionato, è dieci de' suoi volti, e la larghezza delle spalle 
è due d' essi volti : e così tutte le altre lunghezze sopradette son due d' essi volti ; 
ed il resto si dirà neh' universale misura dell' uomo. 

261. Come i puttini hanno le giunture contrarie agli uomini nelle loro 

grossezze. 

I putti piccoli hanno tutti le giunture sottili, e gli spazi posti fra 1' una e 1' altra 
sono grossi ; e questo accade perchè la pelle sopra le giunture è sola senz' altra 
polpa che di natura di nervo, che cinge e lega insieme le ossa, e la carnosità umorosa 
si trova fra 1' una e 1' altra giuntura inclusa fra la pelle e 1' osso ; ma perchè le ossa 
sono più grosse nelle giunture che fra le giunture, la carne, nel crescere dell' uomo, 
viene a lasciare quella superfluità che stava fra la pelle e l' osso, onde la pelle 
s' accosta più all' osso, e viene ad assottigliare le membra ; sopra le giunture non 
v' essendo che la cartilaginosa e nervosa pelle, non può disseccare, e non dissec- 
cando, non diminuisce ; per queste ragioni i puttini- sono sottili nelle giunture, e 
grossi fra le giunture stesse, come si vede le giunture delle dita, braccia e spalle 
sottili, e con cavi fusi ; 1 e gli uomini per lo contrario esser grossi in tutte le giun- 
ture, dita, braccia e gambe ; e dove i puttini hanno in cavo, 2 essi aver di rilievo. 

262. Delle differenti misure che v'hanno fra i putti e gli uomini. 

Fra gli uomini ed i puttini trovo gran differenza di lunghezze dall' una all' altra 
giuntura, imperocché 1' uomo ha dalla giuntura della spalla al gomito, e dal gomito 
alla punta del dito grosso, e da un omero della spalla all'altro due teste per pezzo, 
ed il putto ne ha una, perchè la natura compone prima la grandezza della casa 
dell' intelletto, che quella degli spiriti vitali. 

263. Delle giunture delle dita. 

Le dita della mano ingrossano le loro giunture per tutti i loro aspetti quando 
si piegano, e tanto più s' ingrossano quanto più si piegano, e così diminuiscono 
quanto più le dita si addrizzano ; il simile accade delle dita de' piedi, e tanto più 
si varieranno quanto esse saranno più carnose. 



1 Nell'edizione romana, 1817: «e concave»; forse: «e cavi fuori» 

2 Nel codice: «in fuori». 



a 267] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



99 



264. Delle giunture delle spalle, e loro accrescimenti e diminuzioni. 

Delle giunture delle spalle e delle altre membra piegabili si dirà nel suo luogo 
nel Trattato della notomia, dove si mostrano le cause de' moti di tutte le parti di 
che si compone l' uomo. 

265. Delle spalle. 

Sono i moti semplici principali del piegamento fatto dalla giuntura della spalla, 
cioè quando il braccio a quella appiccato si move in alto o in basso, o in avanti 
o indietro, benché si potrebbe dire tali moti essere infiniti, perchè se si volterà la 
spalla a una parete di muro, e si segnerà col suo braccio una figura circolare, si 
sarà fatto tutti i moti che sono in essa spalla ; perchè ogni quantità continua è divi- 
sibile in infinito, e tal cerchio è quantità continua fatta dal moto del braccio ; il 
qual moto non produce quantità continua, se essa continuazione non la conduce. 
Adunque il moto d' esso braccio è stato per tutte le parti del cerchio ; ed essendo 
il cerchio divisibile in infinito, infinite sono state le varietà della spalla. 

266. Delle misure universali de' corpi. 

Dico che le misure universali de' corpi si debbono osservare nelle lunghezze 
delle figure, e non nelle grossezze, perchè delle laudabili e maravigliose cose che 
appariscono nelle opere della natura, è che nessuna sua opera, in qualunque specie 
per sè, 1' un particolare con precisione si somiglia all' altro. Adunque tu, imitatore 
di tal natura, guarda ed attendi alla varietà de' lineamenti. Piacerai bene che tu 
fugga le cose mostruose, come di gambe lunghe, busti corti, petti stretti e braccia 
lunghe ; piglia dunque le misure delle giunture e le grossezze in che forte varia 
essa natura, e variale ancora tu. E se tu pure vorrai sopra una medesima misura 
fare le tue figure, sappi che non si conosceranno 1' una dall' altra, il che non si vede 
nella natura. 

267. Delle misure del corpo umano e piegamenti di membra. 

Necessità costringe il pittore ad aver notizia degli ossi sostenitori e dell' armatura 
della carne che sopra essi si posa, e delle giunture che accrescono e diminuiscono 
ne' loro piegamenti ; per la qual cosa la misura del braccio disteso non confà con la 
misura del braccio piegato c . Cresce il braccio e diminuisce infra la varietà dell' ultima 
sua estensione e piegamento l'ottava parte della sua lunghezza. L'accrescimento 
e 1' accortamento del braccio viene dall' osso che avanza fuori della giuntura del 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 267 




braccio, il quale, come vedi nella figura ab, fa lungo tratto 
dalla spalla al gomito, essendo l' angolo d' esso gomito 
minore che retto ; e tanto più cresce quanto tal angolo 
diminuisce, e tanto più diminuisce quanto il predetto 
angolo si fa maggiore. Tanto più cresce lo spazio dalla 
spalla al gomito quanto l' angolo della piegatura d' esso 
gomito si fa minore che retto, e tanto più diminuisce quanto 
esso è maggiore che retto. 

268. Della proporzionalità delle membra. 

Tutte le parti di qualunque animale sieno corrispon- 
denti al suo tutto, cioè che quel che è corto e grosso 
debba avere ogni membro in sè corto e grosso, e quello 
che è lungo e sottile abbia le membra lunghe e sottili, 
ed il mediocre abbia le membra della medesima medio- 
crità ; ed il medesimo intendo aver detto delle piante, le 
quali non sieno storpiate dall' uomo o dai venti, perchè 
queste rimettono gioventù sopra vecchiezza, e così è distrutta 



la loro naturale proporzionalità. 



269. Della giuntura della mano col braccio. 

La giuntura del braccio con la mano diminuisce nello stringere della mano, ed 
ingrossa quando la mano si viene ad aprire ; il contrario fa il braccio infra il gomito 
e la mano per tutti i suoi versi; e questo nasce che neh" aprir la mano i muscoli 
domestici si distendono, ed assottigliano il braccio infra il gomito e la mano, e quando 
la mano si stringe, i muscoli domestici e silvestri si ritirano ed ingrossano, ma i 
silvestri soli si discostano dall' osso, per esser tirati dal piegar della mano. 




270. Delle giunture de' piedi, e loro ingrossamenti 
e diminuzioni. 

Solo la diminuzione ed accrescimento della giuntura del 
piede è fatta nell' aspetto della sua parte silvestre def, la quale 
cresce quando 1' angolo di tal giuntura si fa più acuto, e tanto 
diminuisce quanto esso si fa più ottuso, cioè dalla giuntura 
dinanzi a c b , si parla. 



a 275] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



101 



271. Delle membra che diminuiscono quando si piegano, e crescono 
quando si distendono. 

Infra le membra che hanno giunture piegabili, solo il ginocchio è quello che 
nel piegarsi diminuisce la sua grossezza, e nel distendersi ingrossa. 

272. Delle membra che ingrossano nelle loro giunture quando si piegano. 

Tutte le membra dell' uomo ingrossano ne' piegamenti delle loro giunture, eccetto 
la giuntura della gamba. 



273. Delle membra degli uomini ignudi. 

Fra le membra degli uomini ignudi che s' affaticano in diverse azioni, scoprano i 
loro muscoli quelle sole che sostengono la maggior fatica dell' operazione, e le altre 
sieno più o meno pronunziate ne' loro muscoli, secondo che più o meno s'affaticano. 



a 



274. De' moti potenti delle membra dell'uomo. 
Quel braccio sarà di più potente e più lungo moto, il 



quale, essendosi mosso dal suo naturale sito, avrà più potente 

aderenza degli altri membri a ritirarlo nel sito dove esso u(r^i [/ 

desidera moversi. Come l' uomo a che muove il braccio 

col tratto c, e lo porta in contrario sito col moversi con tutta la persona in b 



275. De' movimenti dell'uomo. 

La somma e principal parte dell' arte è l' invenzione de' componimenti di qua- 
lunque cosa ; e la seconda parte è de' movimenti che abbiano attenenza alle loro 
operazioni, le quali sieno fatte con prontitudine, secondo i gradi de' loro opera- 
tori, così in pigrizia, come in sollecitudine ; e che la prontitudine di ferocità sia 
della somma qualità che si richiede all' operatore di quella. Come quando uno debba 
gittar dardi, o sassi, od altre simili cose, che la 
figura dimostri sua somma disposizione in tale 
azione, della quale qui sono due figure in azione 
ed in potenza ; la prima in valetudine è la figura a , 
la seconda è il movimento b\ ma 1' a rimoverà più 
da sè la cosa gittata che la b, perchè, ancoraché 
Funa e l'altra mostrino di voler trarre il loro peso 




102 LEONARDO DA VINCI [§275 

ad un medesimo aspetto, 1' a avendo volto i piedi ad esso aspetto quando si torce, 
e si rimove da quello in contrario sito, dove esso apparecchia la disposizione della 
potenza, esso ritorna con velocità e comodità al sito dove esso lascia uscire il peso 
dalle sue mani. Ma in questo medesimo caso la figura b , avendo le punte de' piedi 
volte in contrario sito al luogo dove essa vuol trarre il suo peso, si storce ad esso 
luogo con grande incomodità, e per conseguenza 1' effetto è debole, ed il moto parte- 
cipa della sua causa, perchè l'apparecchio della forza in ciascun movimento vuol 
essere con istorcimenti e piegamenti di gran violenza, ed il ritorno sia con agio e 
comodità, e così 1' operazione ha buon effetto ; perchè il balestro che non ha dispo- 
sizione violenta, il moto del mobile da lui rimosso sarà breve, o nullo ; perchè dove 
non è disfazione di violenza non è moto, e dove non è violenza, essa non può 
esser distrutta ; e per questo 1' arco che non ha violenza non può far moto se non 
acquista essa violenza, e neh' acquistarla non la caccia da sè. Così l' uomo che non 
si torce nè si piega non ha acquistato potenza. Adunque, quando avrà tratto il suo 
dardo, si troverà essere storto e debole per quel verso dove esso ha tratto il mobile, 
ed acquistato una potenza, la quale sol vale a tornare in contrario moto. 

276. Dell'attitudine e de' movimenti delle membra. 

Non sieno replicati i medesimi movimenti in una medesima figura nelle sue 
membra, o mani, o dita: nè ancora si replichino le medesime attitudini in una 
istoria ; e se l' istoria fosse grandissima, come una zuffa od uccisione di soldati, dove 
non è nel dare se non tre modi, cioè una punta, un rovescio e un fendente, in 
questo caso tu ti hai ad ingegnare che tutti i fendenti sieno fatti in varie vedute, 
come dire alcuno sia volto indietro, alcuno per lato ed alcuno dinanzi, e così tutti 
gli altri aspetti de' medesimi tre movimenti sieno partecipanti di questi tre movi- 
menti semplici ; e per questo dimanderemo tutti gli altri partecipanti d' uno di 
questi. 1 Ma i moti composti sono nelle battaglie di grande artificio e di grande 
vivacità e movimento ; e sono detti composti quelli che una sola figura ti dimostra 
le gambe dinanzi, 2 e parte del profilo della spalla. E di questi composti si dirà in 
altro luogo. 

277. Delle giunture delle membra. 

Delle giunture delle membra e varietà delle loro piegature è da considerare 
com'è il crescere della carne da un lato e mancare dall'altro; e questo s' ha da 
ricercare nel collo degli animali, perchè i loro moti sono di tre nature, delle quali 



1 L'edizione viennese aggiunge: «moti semplici». 

2 Nell'edizione romana, 1817 : « son detti composti quegli che una sola figura ti dimostra, come s'ella si 
vedrà con le gambe dinanzi », ecc. 



a 281] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 103 

due ne sono semplici ed uno composto, che partecipa dell' uno e dell' altro semplice ; 
de' quali moti semplici 1' uno è quando si piega all' una o all' altra spalla, o quando 
esso alza o abbassa la testa che sopra gli posa. Il secondo è quando esso collo si 
torce a destra o a sinistra senza incurvamento, anzi resta dritto, ma avrà il volto 
inverso una delle spalle. Il terzo moto, che è detto composto, è quando nel piega- 
mento suo si aggiunge il suo torcimento, come quando 1' orecchio s' inchina inverso 
una delle spalle, e il viso si volta inverso la medesima parte, o alla spalla opposita 
col viso volto al cielo. 

278. Della membrificazione dell'uomo. 

Misura in te la proporzione della tua membrificazione, e se la trovi in alcuna 
parte discordante, notala, e forte ti guarderai di non 1' usare nelle figure che per 
te si compongono, perchè questo è commi vizio de' pittori di far cose simili a sè. 

279. De' membri. 

Tutt' i membri esercitino queir ufficio al quale furono destinati. Ne' morti o 
dormienti nessun membro apparisca vivo o desto. Il piede, che riceve il peso dell'uomo, 
sia schiacciato e non con dita scherzanti, se già non posasse sopra il calcagno. 

280. Delle membrificazioni degli animali. 

Sian fatte le membra agli animali convenienti alle loro qualità. Dico che tu 
non ritragga una gamba di un gentile, o braccio, o altre membra, e le appicchi 
ad uno grosso di petto o di collo. E che tu non mischi membra di giovani con quelle 
di vecchi ; e non membra prosperose e muscolose con le gentili e fievoli, e non 
quelle de' maschi con quelle delle femmine. 

281. De' moti delle parti del volto. 

I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali, sono molti ; de' quali 
i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare in diverse voci acute e gravi : 
ammirazione, ira, letizia, malinconia, paura, doglia di martirio e simili, delle quali 
si farà menzione. E prima del riso e del pianto, che sono molto simili nella bocca 
e nelle guancie e serramento d' occhi, ma solo si variano nelle ciglia e loro inter- 
vallo ; e questo tutto diremo al suo luogo, cioè delle varietà che piglia il volto, le 
mani e tutta la persona per ciascuno d' essi accidenti, de' quali a te, pittore, è neces- 
saria la cognizione, se no la tua arte dimostrerà veramente i corpi due volte morti. 
Ed ancora ti ricordo che i movimenti non sienp tanto sbalestrati e tanto mossi, 



104 LEONARDO DA VINCI [§281 

che la pace paia battaglia o moresca d' ubriachi, e sopratutto che i circostanti al 
caso per il quale è fatta la storia sieno intenti a esso caso con atti che mostrino 
ammirazione, riverenza, dolore, sospetto, paura o gaudio, secondo che richiede il 
caso per il quale è fatto il congiunto, o vero concorso delle tue figure. E fa che 
le tue istorie non sieno 1' una sopra 1' altra in una medesima parete con diversi oriz- 
zonti, sicché essa paia una bottega di mereiaio con le sue cassette fatte a quadretti. 

282. De' movimenti dell'uomo nel volto. 

Gli accidenti mentali muovono il volto dell' uomo in diversi modi, de' quali 
alcuno ride, alcuno piange, altri si rallegra, altri s' attrista, alcuno mostra ira, altri 
pietà, alcuno si maraviglia, altri si spaventano, altri si dimostrano balordi, altri 
cogitativi e speculanti. E questi tali accidenti debbono accompagnare le mani col 
volto, e così la persona. 

283. Qualità d'arie de' visi. 

Fa che i visi non sieno di una medesima aria, come ne' più si vede operare ; 
ma fa diverse arie, secondo le età e complessioni, e nature triste o buone. 

284. De' membri e descrizione d'effigie. 

Le parti che mettono in mezzo il gobbo del naso si variano in otto modi: 
1 cioè o esse sono egualmente dritte, o egualmente concave, o egualmente convesse ; 

2 ovvero sono disugualmente rette, concave e convesse; 3 ovvero 
sono nelle parti superiori rette e di sotto concave ; 4 ovvero di sopra 
rette e di sotto convesse ; 5 ovvero di sopra concave e di sotto 
rette; 6° o di sopra concave e di sotto convesse; 7 o di sopra 
convesse e di sotto rette ; 8° o di sopra convesse e di sotto concave. 
L' appiccatura del naso col ciglio è di due ragioni, cioè, o che essa è concava, 
o che essa è dritta. 

La fronte ha tre varietà, o eh' essa è piana, o eh' essa è concava, o eh' essa è 
colma; la piana si divide in due parti, cioè, o ch'essa è convessa nella parte di sopra, 
o nella parte di sotto, ovvero di sopra e di sotto, ovvero piana di sopra e di sotto. 

285. Del fare un'effigie umana in profilo dopo averlo guardato una 
sola volta. 

In questo caso ti bisogna mettere a mente le varietà de' quattro membri diversi 
in profilo, come sarebbe naso, bocca, mento e fronte. Diremo prima de' nasi, i 




a 287] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 105 

quali sono di tre sorta, cioè dritti, concavi e convessi. De' dritti non ve n' è altro 
che quattro varietà, cioè lunghi, corti, alti con la punta, e bassi. I nasi concavi 



convesso 



diritto 




sono di tre sorta, de' quali alcuni hanno la concavità nella parte superiore, alcuni 
nel mezzo ed alcuni nella parte inferiore. I nasi convessi ancora si variano in tre 






il gobbo in mezzo fra I il gobbo in mezzo fra linee I il gobbo in mezzo fra linee 
linee rette convesse concave 

modi, cioè alcuni hanno il gobbo nella parte di sopra, alcuni nel mezzo ed altri 
di sotto ; gli sporti che mettono in mezzo il gobbo del naso si variano in tre modi, 
cioè o sono dritti, o sono concavi, o sono convessi. 



286. Modo di tener a mente la forma d'un volto. 

Se tu vuoi avere facilità nel tenerti a mente un' aria d' un volto, impara prima 
a mente di molte teste, occhi, nasi, bocche, menti, gole, colli e spalle. Poniamo 
caso, i nasi sono di dieci ragioni : dritto, gobbo, cavo, col rilievo più su, o più 
giù che il mezzo, aquilino, pari, simo, tondo ed acuto : questi sono buoni in quanto 
al profilo. In faccia i nasi sono di undici ragioni : eguale, grosso in mezzo, sottile 
in mezzo, la punta grossa e sottile nell' appiccatura, sottile nella punta e grosso 
nell' appiccatura, di larghe narici e di strette, di alte e di basse, di buchi scoperti 
e di buchi occupati dalla punta. E così troverai diversità nelle altre particole, le 
quali cose tu dèi ritrarre di naturale e metterle a mente ; ovvero, quando hai a fare 
un volto a mente, porta teco un piccolo libretto dove sieno notate simili fazioni, 
e quando hai dato un' occhiata al volto della persona che vuoi ritrarre, guarderai 
poi in parte qual naso o bocca se gli assomigli, e gli farai un piccol segno per 
riconoscerlo poi a casa e metterlo insieme. De' visi mostruosi non parlo, perchè 
senza fatica si tengono a mente. 

287. Della bellezza de' volti. 

Non si facciano muscoli con aspra definizione, ma i dolci lumi finiscano insen- 
sibilmente nelle piacevoli e dilettevoli ombre, e di questo nasce grazia e formosità. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. \ ^ 



ioó 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 288 



288. Di fisonomia e chiromanzia. 

Della fallace fisonomia e chiromanzia non mi estenderò, perchè in esse non 
è verità ; e questo si manifesta perchè tali chimere non hanno fondamenti scientifici. 
Vero è che i segni de' volti mostrano in parte la natura degli uomini, i loro vizi 
e complessioni; ma nel volto i segni che separano le guancie dai labbri della bocca, 
e le nari del naso e le casse degli occhi sono evidenti, se sono uomini allegri e 
spesso ridenti ; e quelli che poco li segnano sono uomini operatori della cogita- 
zione ; e quelli che hanno le parti del viso di gran rilievo e profondità sono uomini 
bestiali ed iracondi con poca ragione ; e quelli che hanno le linee interposte infra 
le ciglia forte evidenti sono iracondi, e quelli che hanno le linee trasversali della 
fronte forte lineate sono uomini copiosi di lamentazioni occulte e palesi. E così 
si può dire di molte parti. Ma della mano tu troverai grandissimi eserciti esser 
morti in una medesima ora di coltello, che nessun segno della mano è simile 1' uno 
all' altro, e così in un naufragio. 

289. Del porre le membra. 

Le membra che durano fatica le farai muscolose, e quelle che non s' adoprano 
le farai senza muscoli e dolci. 

290. Degli atti delle figure. 

Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la 
figura ha nell'animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile. 

291. Dell ' attitudine . 

La fontanella della gola cade sopra il piede, e, gittando un braccio innanzi, la 
fontanella esce d' esso piede ; e se la gamba gitta indietro, la fontanella va innanzi, 
e così si muta in ogni attitudine. 

292. De' movimenti delle membra, quando si figura l'uomo, che sieno 
atti propri. 

Quella figura, il movimento della quale non è compagno dell' accidente eh' è 
finto essere nella mente di essa, mostra le membra non essere obbedienti al giudizio 
della detta figura, e il giudizio dell' operatore essere di poca valetudine. 



a 297] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



107 



293. Ogni moto della figura finta dev' essere fatto in modo che mostri 
effetto. 

Quel movimento eh' è finto essere appropriato all' accidente mentale, eh' è nella 
figura, dev' esser fatto di gran pronti tudine, e che mostri in essa grande affezione e 
fervore ; altrimenti tal figura sarà detta due volte morta, com' è morta perchè essa 
è finta, e morta un' altra volta quando essa non dimostra moto nè di mente nè 
di corpo. 

294. De' moti propri dimostratori del moto della mente del motore. 

I moti ed attitudini delle figure vogliono dimostrare il proprio accidente mentale 
dell' operatore di tali moti in modo che nessun' altra cosa possano significare. 

295. De' moti propri operati da uomini di diverse età. 

I moti propri saranno di tanto maggiore o minor prontitudine e dignità, secondo 
l' età, prosperità o dignità dell' operatore di tal moto ; cioè i moti di un vecchio 
o quelli di un fanciullo non saranno pronti come quelli di un garzone fatto, ed 
ancora i moti di un re od altra dignità devono essere di maggiore gravità e reve- 
renza, che quelli di un facchino od altro vii uomo. 

296. De' movimenti dell'uomo e d'altri animali. 

I movimenti dell' uomo sopra un medesimo accidente sono infinitamente vari in 
sè medesimi. Provasi così : sia che uno dia una percussione sopra qualche obietto ; 
dico che tale percussione è in due disposizioni, cioè, o eh' egli è in alzare la cosa, che 
deve discendere alla creazione della percussione, o ch'egli è nel moto, che discende. 
O sia 1' uno, o sia 1' altro modo, qui non si negherà che il moto non sia fatto in 
ispazio, e che lo spazio non sia quantità continua, e che ogni quantità continua 
non sia divisibile in infinito. Adunque è concluso : ogni moto della cosa che discende 
è variabile in infinito. 

297. Di un medesimo atto veduto da vari siti. 

Una medesima attitudine si dimostrerà variata in infinito, perchè da infiniti luoghi 
può esser veduta ; i quali luoghi hanno quantità continua, e la quantità continua è 
divisibile in infinito. Adunque infinitamente vari siti mostrano ogni azione umana 
in sè medesima. 



io8 



LEONARDO DA VINCI 



t§ 298 



298. Della membrificazione de' nudi e loro operazioni. 

Le membra degl' ignudi debbono essere più o meno evidenti negli scoprimenti 
de' muscoli, secondo la maggiore o minor fatica de' detti membri. 

299. Degli scoprimenti o coprimenti de' muscoli di ciascun membro 
nelle attitudini degli animali. 

Ricordo a te, pittore, che ne' movimenti che tu fingi esser fatti dalle tue figure 
tu scopra quei muscoli, i quali soli si adoprano nel moto ed azione della tua figura ; 
e quel muscolo che in tal caso è più adoperato, più si manifesti, e quello eh' è meno 
adoperato, meno si spedisca ; e quello che nulla adopera, resti lento e molle e con 
poca dimostrazione. E per questo ti persuado a intendere la notomia de' muscoli, 
corde ed ossi, senza la qual notizia poco farai. E se tu ritrarrai di naturale, forse 
quello che tu eleggi mancherà di buoni muscoli in quell' atto che tu vuoi che faccia ; 
ma sempre non avrai comodità di buoni nudi, nè sempre li potrai ritrarre ; meglio 
è per te e più utile avere in pratica ed a mente tal varietà. 

300. De' movimenti dell' uomo ed altri animali. 

I moti degli animali sono di due specie, cioè moto locale e moto azionale. 
Il moto locale è quando 1' animale si muove da luogo a luogo ; e il moto azionale 
è il moto che fa 1' animale in sè medesimo senza mutazione di luogo. Il moto locale 
è di tre specie, cioè salire, discendere ed andare per luogo piano. A questi tre se 
n' aggiungono due, cioè tardo e veloce, e due altri, cioè il moto retto ed il tortuoso, 
ed un altro appresso, cioè il saltare. Ma il moto azionale è in infinito insieme colle 
infinite operazioni, le quali non senza suo danno spesse volte si procaccia l'uomo. 
I moti sono di tre specie, cioè locale, azionale semplice, ed il terzo è moto composto 
d' azionale col locale. Tardità e velocità non si debbono connumerare ne' moti locali, 
ma negli accidenti di essi moti. Infiniti sono i moti composti, perchè in quelli è 
ballare, schermire, giuocolare, seminare, arare, remare ; ma questo remare è di semplici 
azionali, perchè il moto azionale fatto dall'uomo nel remare non si mischia col 
locale mediante il moto dell' uomo, ma mediante il moto della barca. 

301. Del moto e corso dell'uomo ed altri animali. 

Quando 1' uomo od altro animale si muove con velocità o tardità, sempre quella 
parte che è sopra la gamba che sostiene il corpo sarà più bassa che la parte 
opposita. 



a 305] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



109 



302. Quando è maggior differenza d'altezza delle spalle dell'uomo 
nelle sue azioni. 

Quelle spalle o lati dell' uomo o d' altro animale avranno infra loro maggior 
differenza nell' altezza, delle quali il loro tutto sarà di più tardo moto ; seguita il 
contrario, cioè che quelle parti degli animali avranno minor differenza nelle loro 
altezze, delle quali il loro tutto sarà di più veloce moto ; e questo si prova per la 
nona del moto locale, dove dice : ogni grave pesa per la linea del suo moto ; adunque, 
movendosi il tutto verso alcun luogo, la parte a quello unita seguita la linea brevissima 
del moto del suo tutto, senza dar di sè peso nelle parti laterali d' esso tutto. 




303. Risposta contra. 

Dice 1' avversario, in quanto alla prima parte di sopra, non esser necessario che 
1' uomo che sta fermo, o che cammina con tardo moto, usi di continuo la predetta 
ponderazione delle membra sopra il centro della gra- 

c b a 

vità che sostiene il peso del tutto, perchè molte volte 
1' uomo non usa nè osserva tal regola, anzi fa tutto 
il contrario, conciossiachè alcuna volta esso si piega 
lateralmente, stando sopra un sol piede, alcuna volta 
scarica parte del suo peso sopra la gamba che non 
è retta, cioè quella che si piega nel ginocchio, come 

si mostra nelle due figure b c . Rispondesi che quel che non è fatto dalle spalle nella 
figura c è fatto nel fianco, come sarà dimostrato a suo luogo. 

304. Come il braccio raccolto muta tutto l'uomo dalla sua prima pon- 
derazione quando esso braccio s' estende. 

L' estensione del braccio raccolto muove tutta la ponderazione dell' uomo sopra 
il suo piede, sostentacelo del tutto, come si mostra in chi va con le braccia aperte 
sopra la corda senz' altro bastone. 



305. Dell' uomo ed altri animali che nel muoversi con tardità non hanno 
il centro della gravità troppo remoto dal centro de' sostentaceli. 

Quell' animale avrà il centro delle gambe suoi sostentaceli tanto più vicino al 
perpendicolo del centro della gravità, il quale sarà di più tardi movimenti, e così 
di converso, quello avrà il centro de' sostentaceli più remoto dal perpendicolo del 
centro della gravità sua, il quale sarà di più veloce moto. 



I IO 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 306 



306. Dell'uomo che porta un peso sopra le spalle. 

Sempre la spalla dell' uomo che sostiene il peso è più alta che la spalla senza 
peso ; e questo si dimostra nella figura posta in margine, per la quale passa la linea 
centrale di tutto il peso dell' uomo e del peso da lui portato : il qual peso composto 
r ^ | se non fosse diviso con egual somma sopra il centro della gamba 

(j^ks ^ cne P osa > sarebbe necessità che tutto il composto rovinasse ; 

/ s j p > ma la necessità provvede che tanta parte del peso naturale 

\j I Va dell'uomo si gitti in un de' lati, quanta è la quantità del peso 

JL^L J X ) accidentale che si aggiunge dall' opposito lato; e questo far non 
si può se 1' uomo non si piega e non s' abbassa dal lato suo 
più lieve con tanto piegamento che partecipi del peso accidentale da lui portato : e 
questo far non si può se la spalla del peso non si alza e la spalla lieve non s' abbassa : 
questo è il mezzo che l' artificiosa necessità ha trovato in tale azione. 

307. Della ponderazione dell'uomo sopra i suoi piedi. 

Sempre il peso dell' uomo che posa sopra una sola gamba sarà diviso con egual 
parte opposita sopra il centro della gravità eh' e' sostiene. 

308. Dell' uomo che si muove. 

L' uomo che si muove avrà il centro della sua gravità sopra il centro della 
gamba che posa in terra. 



309. Della bilicazione del peso di qualunque animale immobile sopra 
le sue gambe. 

La privazione del moto di qualunque animale, il quale posa sopra i suoi piedi, 
nasce dalla privazione dell' inegualità che hanno infra loro - gli oppositi pesi che si 
sostengono sopra i loro piedi. 



310. De' piegamenti e voltamenti dell'uomo. 

Tanto diminuisce l' uomo nel piegamento dell' uno de' suoi lati, 
lì \K ^ quanto egli cresce nell' altro suo lato opposito, e tal piegatura sarà 
all' ultimo subdupla alla parte che si stende. E di questo si farà parti- 



I 



colare trattato. 



TRATTATO DELLA PITTURA 



— PARTE TERZA 



1 1 1 



311. De' piegamenti. 

Tanto quanto 1' uno de' lati de' membri piegabili si farà, 
più lungo, tanto la sua parte opposita sarà diminuita. La linea 
centrale estrinseca de' lati che non si piegano, de' membri 
piegabili, mai diminuisce o cresce di sua lunghezza. 

312. Della equiponderanza. 

Sempre la figura che sostiene peso fuor di sè e della linea centrale della sua 
quantità, deve gittar tanto peso naturale od accidentale dall' opposita parte, che faccia 
equiponderanza de' pesi intorno alla linea centrale che si parte dal centro della parte 
del piè che si posa, e passa per tutta la soma del peso sopra essa parte de' piedi in 
terra posata. Vedesi naturalmente uno che piglia un peso dall' uno de' bracci gittar 
fuori di sè il braccio opposito ; e se quello non basta a far 1' equiponderanza, vi porge 
tanto di peso di sè medesimo piegandosi, che si fa sufficiente a resistere all' applicato 
peso. Si vede ancora in uno che sia per cadere riverso su 1' uno de' suoi lati laterali, 
che sempre getta fuori il braccio dall' opposita parte. 

313. Del moto umano. 

Quando tu vuoi fare 1' uomo motore d' alcun peso, considera che i moti debbono 
esser fatti per diverse linee, cioè o di basso o in alto con semplice moto, come fa 
quello che chinandosi piglia il peso che rizzandosi vuole alzare, o quando vuole 
strascinarsi alcuna cosa dietro, ovvero spingere innanzi, o vuol tirare in basso con 
corda che passa per carrucola. Qui si ricorda che il peso dell' uomo tira tanto quanto 
il centro della gravità sua è fuori del centro del suo sostentacelo ; a questo s' aggiunge 
la forza che fanno le gambe e la schiena piegate nel suo rizzarsi. 

Ma non si scende o sale, nè mai si cammina per nessuna linea, che il piè di 
dietro non alzi il calcagno. 

314. Del moto creato dalla distruzione del bilico. 

Il moto è creato dalla distruzione del bilico, cioè dalla inegualità, imperocché 
nessuna cosa per sè si muove che non esca dal suo bilico, e quella si fa più veloce, 
che più si rimuove dal detto suo bilico. 




I 12 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 315 



315. Del bilico delle figure. 



Se la figura posa sopra uno de' suoi piedi, la spalla di quel lato che posa sarà 



che non posa innanzi o indietro. 

316. Della grazia delle membra. 

Le membra col corpo debbono essere accomodate con grazia al proposito dell'ef- 
fetto che tu vuoi che faccia la figura; e se tu vuoi fare figura che mostri in sè 
leggiadria, devi far membri gentili e distesi, senza dimostrazione di troppi muscoli, 
e quei pochi che al proposito farai dimostrare, fàlli dolci, cioè di poca evidenza, 
con ombre non tinte, e le membra, e massimamente le braccia, disnodate, cioè 
che nessun membro stia in linea dritta col membro che si aggiunge seco. E se 
il fianco, polo dell' uomo, si trova, per lo posare fatto, che il destro sia più alto 
del sinistro, farai la giuntura della spalla superiore piovere per linea perpendicolare 
sopra il più eminente oggetto del fianco, e sia essa spalla destra più bassa della 
sinistra, e la fontanella sia sempre superiore al mezzo della giuntura del piè di sopra 
che posa ; e la gamba che non posa abbia il suo ginocchio più basso che 1' altro 
e presso all'altra gamba. 

Le attitudini della testa e braccia sono infinite, però non mi estenderò in darne 
alcuna regola. Pure dirò che esse sieno facili e grate con vari storcimenti, e di 
unire con le menti le giunture che vi son date, acciò non paiano pezzi di legno. 

317. Della comodità delle membra. 

In quanto alla comodità di esse membra, avrai a considerare che quando tu 
vuoi figurare uno che per qualche accidente si abbia a voltare indietro, o per canto, 
che tu non faccia muovere i piedi e tutte le membra in quella parte dove volta 
la testa, anzi, farai operare con partire esso svolgimento in quattro giunture, cioè 
quella del piede, del ginocchio, del fianco e del collo ; e se poserà sulla gamba 
destra, farai il ginocchio della sinistra piegare indietro, ed il suo piede sia elevato 
alquanto di fuori, e la spalla sinistra sia alquanto più bassa che la destra, e la nuca 
si scontri nel medesimo luogo dove è volta la noce di fuori del piè sinistro, e la 
spalla sinistra sarà sopra la punta del piè destro per perpendicolar linea. E sempre 




sempre più bassa che l' altra, e la fontanella della gola sarà 
sopra il mezzo della gamba che posa. Il medesimo accadrà 
per qualunque linea noi vedremo essa figura, essendo senza 
braccia sportanti non molto fuori della figura, o senza peso 
addosso, o in mano, o in ispalla, o sportamento della gamba 



a 32i] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 113 

usa, che dove le figure hanno volta la testa non vi si volga il petto, chè la natura 
per nostra comodità ci ha fatto il collo, che con facilità può servire a diverse bande, 
volendo 1' occhio voltarsi in vari siti, ed a questo medesimo sono in parte obbe- 
dienti le altre giunture. E se fai 1' uomo a sedere, e che le sue braccia s' avessero 
in qualche modo ad adoperare in qualche cosa traversa, fa che il petto si volga 
sopra la giuntura del fianco. 

318. D'una figura sola fuori dell'istoria. 

Ancora non replicare le membra ad un medesimo moto alla figura, la quale 
tu fingi esser sola, cioè che se la figura mostra di correr sola, che tu non le faccia 
tutte due le mani innanzi, ma una innanzi e 1' altra indietro, perchè altrimenti non 
può correre ; e se il piè destro è innanzi, che il braccio destro sia indietro ed il 
sinistro innanzi; perchè senza tal disposizione non si può correr bene. E se farai 
uno che sega, 1 che abbia una gamba che si gitti alquanto innanzi, e fa che 1' altra 
ritorni sotto la testa ed il braccio superiore scambi il moto e vada innanzi ; e così 
di questo si dirà appieno nel libro de' movimenti. 

319. Quali sono le principali importanze che appartengono alla figura. 

Fra le principali cose importanti che si richiedono nelle figurazioni degli animali, 
è situar bene la testa sopra le spalle, il busto sopra i fianchi, ed i fianchi e le 
spalle sopra i piedi. 

320. Del bilicare il peso intorno al centro della gravità de' corpi. 

La figura che senza moto sopra i suoi piedi si sostiene, darà di sè eguali pesi 
oppositi intorno al centro del suo sostentacelo. Dico, che se la figura senza moto 
sarà posta sopra i suoi piedi, se gitta un braccio innanzi al suo petto, essa deve 
gittar tanto peso naturale indietro quanto ne gitta del naturale ed accidentale innanzi. 
Ed il medesimo dico di ciascuna parte che sporta fuori del suo tutto oltre il solito. 

321. Delle figure che hanno a maneggiare o portar pesi. 

Mai si leverà o porterà peso dall' uomo, eh' e' non mandi di sè più di altrettanto 
peso che quello che vuole levare, e lo porti in opposita parte a quella donde esso 
leva il detto peso. 

1 Cosi il codice. L'edizione viennese propone di dire: « uno che segga »; l' edizione romana, 1817, ha: «uno 
che lo seguiti ». 

L. da Vinci — Trattato della pittura. J C 



ii 4 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 322 



322. Delle attitudini degli uomini. 

Sieno le attitudini degli uomini con le loro membra in tal modo disposte, che 
con quelle si dimostri l' intenzione del loro animo. 

323. Varietà d'attitudini. 

Si pronunzino gli atti degli uomini secondo le loro età e dignità, e si variino 
secondo le specie, cioè de' maschi e delle femmine. 

324. Delle attitudini delle figure. 

Dico che il pittore deve notare negli uomini le attitudini ed i moti nati da 
qualunque accidente immediate ; siano notati o messi nella mente, e non aspettar 
che F atto del piangere sia fatto fare a uno in prova senza gran causa di pianto, 
e poi ritrarlo, perchè tale atto, non nascendo dal vero caso, non sarà nè pronto 
nè naturale ; ma è ben buono averlo prima notato dal caso naturale, e poi far stare 
uno in quell' atto per vedere alcuna parte al proposito e poi ritrarlo. 

325. Dell'attenzione de' circostanti ad un caso notando. 

Tutt' i circostanti di qualunque caso degno d' essere notato stanno con diversi atti 
ammirativi a considerare esso atto, come quando la giustizia punisce i malfattori ; 
e se il caso è di cosa devota, tutt' i circostanti drizzino gli occhi con diversi atti 
di devozione a esso caso, come il mostrare F ostia nel sagrificio, e simili ; e s' egli 
è caso degno di riso o di pianto, in questo non è necessario che tutt' i circostanti 
voltino gli occhi ad esso caso, ma con diversi movimenti, e che gran parte di quelli 
si rallegrino o si dolgano insieme; e se il caso è pauroso, i visi spaventati di 
quelli che fuggono facciano gran dimostrazione di timore e di fuga, con vari movi- 
menti, come si dirà nel quarto libro de' moti. 

326. Qualità de' nudi. 

Non far mai una figura che abbia del sottile con muscoli di troppo rilievo ; 
imperocché gli uomini sottili non hanno mai troppa carne sopra le ossa, ma sono 
sottili per la carestia di carne, e dove è poca carne non può esser grossezza di 
muscoli. 



ì 



a 331] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



ii5 



327. Come i muscolosi sono corti e grossi. 

I muscolosi hanno grosse le ossa, e sono uomini grossi e corti, ed hanno carestia 
di grasso, imperocché le carnosità de' muscoli per il loro accrescimento si restringono 
insieme, ed il grasso che infra loro si suole interporre non ha luogo, ed i muscoli 
in tali magri, essendo in stretti contatti infra loro e non potendosi dilatare, crescono 
in grossezza, e più crescono in quella parte che è più remota da' loro estremi, cioè 
inverso il mezzo della loro larghezza e lunghezza. 

328. Come i grassi non hanno grossi muscoli. 

Ancoraché i grassi sieno in sé corti e grossi, come gli anzidetti muscolosi, essi 
hanno sottili muscoli, ma la loro pelle veste molta grassezza spugnosa e vana, cioè 
piena d'aria; e però essi grassi si sostengono più sopra l'acqua che non fanno i 
muscolosi, che hanno la pelle ripiena ed entro ad essa minor quantità d' aria. 

329. Quali sono i muscoli che spariscono ne' movimenti diversi del- 
l' uomo. 

Neil' alzare ed abbassare delle braccia le poppe spariscono, od esse si fanno di 
più rilievo : il simile fanno i rilievi de' fianchi nel piegarsi in fuori o in dentro nei 
loro fianchi ; e le spalle fanno più varietà, e i fianchi, ed il collo, che nessun' altra 
giuntura, perchè hanno i moti più variabili ; e di questo si farà un libro particolare. 

330. De' muscoli. 

I membri non debbono aver nella gioventù pronunziazione di muscoli, perchè 
ciò è segno di fortezza attempata, e ne' giovanetti non è nè tempo, nè matura 
fortezza. Sieno i sentimenti delle membra pronunziati più o meno evidenti, secondo 
che più o meno saranno affaticati. Sempre saranno più evidenti i muscoli di quelle 
membra che saranno in maggior fatica esercitati. Quei muscoli saranno manco scolpiti 
nelle membra, che saranno da minor fatica esercitati. Mai le linee centrali intrinseche 
de' membri che si piegano stanno nella loro naturale lunghezza. I muscoli grossi 
e lati sieno fatti ai potenti con le membra concorrenti a tale disposizione. 

331. Di non far tutti i muscoli alle figure, se non sono di gran fatica. 

Non voler fare evidenti tutt' i muscoli alle tue figure, perchè ancora eh' essi 
sieno ai loro siti, e' non si fanno di grande evidenza, se le membra dov' essi son 



n6 LEONARDO DA VINCI [§ 331 

situati non sono in grande forza o fatica, e le membra che restano senza esercizio 
siano senza dimostrazione di muscoli. E se altrimenti farai, piuttosto un sacco di noci 
che figura umana avrai imitato. 



332. De' muscoli degli animali. 

Le concavità interposte infra i muscoli non debbono essere di qualità, che la 
pelle paia che vesta due bastoni posti in comune loro contatto, nè ancora che paiano 
due bastoni alquanto rimossi da tal contatto, e che la pelle penda in vano con 

b curvità lunga com'è /, ma che 

? ^^^y^^~ g s * a ' com ^ *' P osata S0 P ra il 

n grasso spugnoso interposto negli 

angoli, com' è V angolo m n , il 

quale angolo nasce dal fine del contatto de' muscoli; e perchè la pelle non può 

discendere in tale angolo, la natura ha riempiuto tale angolo di piccola quantità 

di grasso spugnoso, o vuo' dire vescicoso, con vesciche minute piene d' aria, la quale 

in sè si condensa o si rarefà, secondo l' accrescimento o rarefazione della sostanza 

de' muscoli. 1 

333. Che il nudo figurato con grand' evidenza di muscoli sarà senza 
moto. 

Il nudo figurato con grand' evidenza di tutti i suoi muscoli sarà senza moto, 
perchè non si può muovere se una parte de' muscoli non si allenta, quando gli 
oppositi muscoli tirano; e quelli che allentano mancano della loro dimostrazione, 
e quelli che tirano si scoprono forte e fannosi evidenti. 



334. Che le figure ignude non debbono aver i loro muscoli ricercati 
affatto. 

Le figure ignude non debbono essere ricercate integralmente con tutti i loro 
muscoli, perchè riescono difficili e sgraziate. Tu hai ad intendere tutti i muscoli 
dell' uomo, e quelli pronunziare con poca evidenza dove l' uomo non si affatica 
nelle sue parti. Quel membro che sarà più affaticato sarà quello che più dimostrerà 
i suoi muscoli. Per queir aspetto che il membro si volta alla sua operazione, per 
quel medesimo saranno i suoi muscoli più spesso pronunziati. Il muscolo in sè 
pronunzia spesso le sue particole mediante 1' operazione, in modo che senza tale 
operazione in esso prima non si dimostravano. 



1 Una nota nel codice avverte che « manca il fine »> di questo paragrafo. 



a 337] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



117 



335. Che quelli che compongono grassezza aumentano assai di forza 
dopo la prima gioventù. 

Quelli che compongono grassezza aumentano assai di forza dopo la prima gio- 
ventù, perchè la pelle sempre sta tirata sopra i muscoli. Ma questi non son troppo 
destri ed agili ne' loro movimenti, e perchè tal pelle sta tirata, essi sono di gran 
potenza universale infusa per tutte le membra ; e di qui nasce che chi manca della 
disposizione della predetta pelle si aiuta col portare strette le vestimenta sopra le sue 
membra e serrasi con diverse legature, acciocché nella condensazione de' muscoli 
essi abbiano dove potere spingersi ed appoggiarsi. Ma quando i grassi vengono ad 
ismagrirsi, molto s' indeboliscono, perchè la sgonfiata pelle resta vizza e grinzosa ; e 
non trovando i muscoli dove appoggiarsi, non si possono condensare nè farsi duri, 
onde restano di piccola potenza. La mediocre grassezza non mai sgonfiata per alcuna 
malattia fa che la pelle sta tirata sopra i muscoli, e questi mostrano pochi senti- 
menti nella superficie de' loro corpi. 

336. Come la natura attende occultare le ossa negli animali quanto 
può la necessità de' membri loro. 

La natura intende occultare le ossa negli animali quanto può la necessità dei 
membri loro, e questo fa più in un corpo che in un altro. Farà più ne' corpi 
dov' essa non è impedita, che dov' è impedita. Adunque nel fiore della gioventù 
la pelle è tirata e stesa quanto essa può, essendo posta 1' altezza de' corpi che non 
hanno ad esser grossi o corpulenti ; dipoi per l' operazione delle membra la pelle 
cresce sopra la piegatura delle giunture, e così stando poi le membra distese, la 
pelle cresciuta sopra le giunture s' aggrinza ; dipoi nel crescere in età i muscoli 
s' assottigliano, e la pelle che li veste viene a crescere ed empirsi di grinze, ed a 
cascare e separarsi dai muscoli per gli umori interposti infra i muscoli e la pelle ; 
e le ramificazioni de' nervi, che collegano la pelle co' muscoli, e le danno il senti- 
mento, si vengono a spogliare delle parti de' muscoli che li vestivano, ed in luogo 
di essi muscoli sono circondati da tristi umori ; e per questo sono mal nutriti inab- 
bondantemente ; onde tal membrificazione, tra pel continuo peso della pelle e pel 
grande umore, si viene ad allungare e discostare la pelle dai muscoli e dalle ossa, 
e comporre diversi sacchi pieni di rappe e di grinze. 

337. Com'è necessario al pittore sapere la notomia. 

Necessaria cosa è al pittore, per essere buon membrificatore nelle attitudini e 
gesti che fare si possono per i nudi, di sapere la notomia di nervi, ossa, muscoli 



n8 LEONARDO DA VINCI [§ 337 

e lacerti, per sapere ne' diversi movimenti e forze qual nervo o muscolo è di tal 
movimento cagione ; e solo far quelli evidenti e questi ingrossati, e non gli altri 
per tutto, come molti fanno, che per parere gran disegnatori fanno i loro nudi 
legnosi e senza grazia, che paiono a vederli un sacco di noci più che superficie 
umana, ovvero un fascio di ravani, piuttosto che muscolosi nudi. 

338. Dell'allargamento e raccorciamento de' muscoli. 

Il muscolo della coscia di dietro fa maggior varietà nella sua estensione ed 
attrazione che nessun altro muscolo che sia nell' uomo ; il secondo è quello che 
compone la natica ; il terzo è quello della schiena ; il quarto è quello della gola ; 
il quinto è quello delle spalle ; il sesto è quello dello stomaco, che nasce sotto il 
pomo granato e termina nel pettignone, come si dirà di tutti. 

339. Dove si trova corda negli uomini senza muscoli. 

Dove il braccio termina con la palma della mano presso a quattro dita, si trova 
una corda, la maggiore che sia nell' uomo, la quale è senza muscolo, e nasce nel 
mezzo dell' uno de' fucili del braccio, e termina nel mezzo dell' altro fucile, ed ha 
figura quadrata, ed è larga circa tre dita e grossa mezzo dito ; e questa serve solo 
a tenere insieme stretti i due detti fucili del braccio, acciò non si dilatino. 

340. Degli otto pezzi che nascono nel mezzo delle corde in varie giun- 
ture dell' uomo. 

Nascono nelle giunture dell' uomo alcuni pezzi d' osso, i quali sono stabili nel 
mezzo delle corde che legano alcune giunture, come le rotelle delle ginocchia e 
quelle delle spalle, de' petti de' piedi, i quali sono in tutto otto, chè ve n' è una 
per spalla ed una per ginocchio, e due per ciascun piede sotto la prima giuntura 
de' diti grossi verso il calcagno ; e questi si fanno durissimi verso la vecchiezza 
dell' uomo. 

341. Del muscolo che è infra il pomo granato ed il pettignone. 

Nasce un muscolo presso il pomo granato e termina nel pettignone, il qual 
muscolo è di tre potenze, perchè è diviso nella sua lunghezza da tre corde, cioè, 
prima il muscolo superiore, poi una corda larga come esso muscolo, poi seguita 
il secondo muscolo più basso di questo, al quale si congiunge la seconda corda; 
alfine seguita il terzo muscolo con la terza corda, la qual corda è congiunta all' osso 
del pettine ; e queste tre riprese di tre muscoli con tre corde sono fatte dalla natura 



a 345] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 119 

per il gran moto che ha 1' uomo nel suo piegarsi e distendersi con simile muscolo, 
il quale, se fosse d' un pezzo, farebbe troppa varietà nel suo dilatarsi e restringersi, 
nel piegarsi e distendersi dell' uomo, e fa maggior bellezza nell' uomo aver poca 
varietà di tal muscolo nelle sue azioni, imperocché se il muscolo si ha da distendere 
nove dita, ed altrettante poi ritirarsi, ne tocca tre dita per ciascun muscolo, le quali 
fanno poca varietà nella loro figura e poco deformano la bellezza del corpo. 



342. Dell'ultimo svoltamento che può far l'uomo nel vedersi 
a dietro. 

L' ultimo svoltamento dell' uomo sarà nel dimostrarsi le calcagne in 
faccia, 1 ed il viso in faccia; ma questo non si farà senza difficoltà, 
se non si piega la gamba ed abbassisi 2 la spalla che guarda la nuca; 
e la causa di tale svoltamento sarà dimostrata nella noto mia, e quali 
muscoli primi ed ultimi si muovano. 




343. Quanto si può avvicinare l' un braccio con l'altro di dietro. 



Delle braccia che si mandano di dietro, le gomita non si faranno 
mai più vicine, che le più lunghe dita passino le gomita dell' oppo- 
sita mano, cioè che 1' ultima vicinità che aver possano le gomita dietro 
alle reni, sarà quanto è lo spazio che è dal suo gomito all' estremo 
del maggior dito della mano. Queste braccia fanno un quadrato 
perfetto. 

344. Quanto si possano traversare le braccia sopra il petto, 
e che le gomita vengano nel mezzo del petto. 

Queste gomita con le spalle e le braccia fanno un triangolo equi- 
latero. 

345. Dell'apparecchio della forza nell'uomo che vuol gene- 
rare gran percussione. 



Quando l' uomo si dispone alla creazione del moto 
con la forza, esso si piega e torce quanto può nel moto 
contrario a quello dove vuol generare la percussione, 






1 Nell'edizione romana, 1817 : «indietro». 

2 L'edizione viennese, ricostruendo, sulle tracce del Poussin, la figura in modo da renderla più corrispondente 
alla dizione del codice, propone la variante: «alzisi». 



120 LEONARDO DA VINCI . [§345 

e quivi s' apparecchia nella forza che a lui è possibile, la quale poi congiunge e 
lascia sopra della cosa da lui percossa con moto decomposto. 



346. Della forza composta dall'uomo, e prima si dirà delle braccia. 



I muscoli che muovono il maggior fucile del braccio nell' estensione e retrazione 
del braccio, nascono circa il mezzo dell' osso detto adiutorio, 1' uno dietro all' altro ; 
di dietro è nato quello che estende il braccio, e dinanzi quello che lo piega. 
Se l' uomo è più potente nel tirare che nello spingere, provasi per la nona 
de ponderibus ì dove dice: infra i pesi di egual potenza, quello si dimo- 
strerà più potente, che sarà più remoto dal polo della loro bilancia. 
Ne segue perciò che essendo n b muscolo e n c muscolo di potenza 
infra loro eguali, il muscolo dinanzi, ne, è più potente che il muscolo 
di dietro, n b , perchè esso è fermo nel braccio in c , sito più remoto 
dal polo del gomito a , che non è b , il quale è di là da esso polo, 
e così è concluso l' intento. Ma questa è forza semplice e non com- 
posta, come ci si propone di trattare, e dovemmo metter questa 
innanzi. Ma la forza composta sarà quella che, facendosi un' opera- 
zione con le braccia, vi s' aggiunge una seconda potenza del peso della persona e 
0w _. nr delle gambe, come nel tirare e nello spingere, che oltre alla 

^V^j potenza delle braccia vi s' aggiunge il peso della persona, e la 

forza della schiena e delle gambe, la quale è nel voler disten- 
dersi ; come sarebbe di due ad una colonna, che uno la spingesse e l' altro la 
tirasse. 




347. Quale è maggior potenza nell'uomo, quella del tirare o quella 
dello spingere. 

Molto maggior potenza ha 1' uomo nel tirare che nello spingere, perchè nel tirare 
vi si aggiunge la potenza de' muscoli delle braccia che sono creati solo al tirare, 
e non allo spingere, perchè quando il braccio è dritto, i muscoli che muovono il 
gomito non possono avere alcuna azione nello spingere più che si avesse 1' uomo 
appoggiando la spalla alla cosa che egli vuole rimuovere dal suo sito, nella quale 
solo s'adoprano i nervi che drizzano la schiena incurvata, e quelli che drizzano 
la gamba piegata, e stanno sotto la coscia e nella polpa dietro alla gamba. E così 
è concluso al tirare aggiungersi la potenza delle braccia, e la potente estensione 
della schiena e delle gambe, insieme col peso dell' uomo nella qualità che richiede 
la sua obliquità; ed allo spingere concorre il medesimo, mancandogli la potenza 
delle braccia, perchè tanto è a spingere con un braccio dritto senza moto, come 
è avere interposto un pezzo di legno fra la spalla e la cosa che si sospinge. 



a 35o] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



121 



348. Delle membra che piegano, e che officio fa la carne che le veste 
in essi piegamenti. 

La carne che veste le giunture delle ossa, e le altre parti ad esse vicine, crescono 
e diminuiscono nelle loro grossezze secondo il piegamento o estensione delle predette 
membra, cioè crescono dalla parte di dentro dell' angolo che si genera ne' piega- 
menti de' membri, e s' assottigliano e si estendono dalla parte di fuori dell' angolo 
esteriore ; ed il mezzo che s' interpone fra Y angolo convesso ed il concavo parte- 
cipa di tale accrescimento o diminuzione, ma tanto più o meno quanto le parti sono 
più vicine o remote dagli angoli delle dette giunture piegate. 

349. Del voltare la gamba senza la coscia. 

Impossibile è il voltar la gamba dal ginocchio in giù senza voltare la coscia 
con altrettanto moto, e questo nasce perchè la giuntura dell' osso del ginocchio ha 
il contatto dell' osso della coscia internato e commesso con 1' osso della gamba, e 
solo si può muovere tal giuntura innanzi o indietro, nel modo che richiede il 
camminare e l' inginocchiarsi ; ma non si può mai muovere da quella lateralmente, 
perchè i contatti che compongono la giuntura del ginocchio non lo comportano ; 
imperocché se tal giuntura fosse piegabile e voltabile, come 1' osso dell' adiutorio che 
si commette nella spalla, e come quello della coscia che si commette nelle anche, 
F uomo avrebbe sempre piegabili così le gambe per i loro lati, come dalla parte 
dinanzi alla parte di dietro, e sempre tali gambe sarebbero torte; ed ancora tal 
giuntura non può preterire la rettitudine della gamba, ed è solo piegabile innanzi e 
non indietro, perchè se si piegasse indietro, 1' uomo non si potrebbe levare in piedi 
quando fosse inginocchiato, perchè nel levarsi di ginocchioni, delle due ginocchia 
prima si dà il carico del busto sopra 1' uno de' ginocchi e scaricasi il peso dell' altro, 
ed in quel tempo 1' altra gamba non sente altro peso che di sè medesima, onde con 
facilità leva il ginocchio da terra, e mette la pianta del piede tutta posata alla terra ; 
dipoi rende tutto il peso sopra esso piede posato, appoggiando la mano sopra il suo 
ginocchio, ed in un tempo distende il braccio, il quale porta il petto e la testa in 
alto, e così distende e drizza la coscia col petto, e si fa dritto sopra esso piede 
posato insino che ha levato V altra gamba. 

350. Delle pieghe della carne. 

Sempre la carne piegata è grinzita dall' opposita parte da che essa è tirata. 



L. da Vinci — Trattato della pittura. 



IÓ 



122 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 351 



351. Del moto semplice dell'uomo. 

Moto semplice nell' uomo è detto quello eh' e' fa nel piegarsi semplicemente 
innanzi, o indietro, od in traverso. 

352. Del moto composto fatto dall'uomo. 

Il moto composto nell' uomo è detto quello che per alcuna operazione si richiede 
piegarsi in giù ed in traverso in un medesimo tempo. Adunque tu, pittore, fa i 
movimenti composti, i quali siano integralmente alle loro composizioni, cioè se uno 
fa un atto composto mediante la necessità di tale azione, che tu non l' imiti in 
contrario col fargli fare un atto semplice, il quale sarà poi remoto da essa azione. 

353. De' moti appropriati agli effetti degli uomini. 

I moti delle tue figure debbono essere dimostrativi della qualità della forza, quale 
conviene da quelle usare a diverse azioni ; cioè che tu non faccia dimostrare la 
medesima forza a quel che leva una bacchetta, la quale sia conveniente all' alzare 
d' un trave. Adunque fa loro diverse 1 le dimostrazioni delle forze secondo la qualità 
de' pesi da loro maneggiati. 

354. De' moti delle figure. 

Non farai mai le teste dritte sopra le spalle, ma voltate in traverso, a destra 

a sinistra, ancoraché esse guardino in su o in giù, o dritto, perchè gli è neces- 
sario fare i lor moti che mostrino vivacità desta e non addormentata. E non fare 

1 mezzi di tutta la persona dinanzi o di dietro, che mostrino le loro rettitudini sopra 
o sotto agli altri mezzi superiori o inferiori; e se pure li vuoi usare, fàllo ne' vecchi: 
e non replicare i movimenti delle braccia o delle gambe, non che in una medesima 
figura, ma nè anche nelle circostanti e vicine, se già la necessità del caso che si 
finge non ti costringesse. 

In questi tali precetti di pittura si richiede il modo di persuadere la natura 
de' moti, come agli oratori quella delle parole, le quali si comanda non essere 
replicate se non nelle esclamazioni ; ma nella pittura non accade simil cosa ; perchè 
le esclamazioni sono fatte in vari tempi, e le replicazioni degli atti son vedute in 
un medesimo tempo. 



Nel codice : « fa loro preparare >> 



a 360] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



123 



355. De' movimenti. 

Fa i moti delle tue figure appropriati agli accidenti mentali di esse figure ; cioè, 
che se tu la fingi essere irata, che il viso non dimostri in contrario, ma sia quello 
che in lui altra cosa che ira giudicarvi non si possa, ed il simile dell' allegrezza, 
malinconia, riso, pianto e simili. 

356. De' maggiori o minori gradi degli accidenti mentali. 

Oltre di questo, che tu non faccia grandi movimenti ne' piccoli o minimi accidenti 
mentali, nè piccoli movimenti negli accidenti grandi. 

357. De' medesimi accidenti che accadono all'uomo di diverse età. 

Un medesimo grado di alterazione non sta bene essere pronunziato mediante 
il moto delle membra in un atto feroce da un vecchio come da un giovane, ed 
un atto feroce non si deve figurare in un giovane come in un vecchio. 

358. Degli atti dimostrativi. 

Negli atti affezionati dimostrativi di cose propinque per tempo o per sito s' hanno 
a dimostrare con la mano non troppo remota da essi dimostratori ; e se le predette 
cose saranno remote, remota dev' essere ancora la mano del dimostratore, e la faccia 
del viso volta a ciò che si dimostra. 

359. Delle diciotto 1 operazioni dell'uomo. 

Fermezza, movimento, corso, ritto, appoggiato, a sedere, chinato, ginocchioni, 
giacente, sospeso, portare, esser portato, spingere, tirare, battere, esser battuto, aggra- 
vare ed alleggerire. 

360. Della disposizione delle membra secondo le figure. 

Alle membra che sono in operazione fa che s' ingrossino i muscoli, in modo 
conveniente alle fatiche loro, e quelle che non sono in operazione restino semplici. 



1 Nel codice : « otto » 



I2 4 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 36i 



361. Della qualità delle membra secondo l'età. 

Ne' giovani non ricercherai muscoli o lacerti, ma dolce carnosità con semplici 
piegature, e rotondità di membra. 

362. Della varietà de' visi. 

Sia variata 1' aria de' visi secondo gli accidenti dell' uomo in fatica, in riposo, 
in pianto, in riso, in gridare, in timore, e cose simili ; ed ancora le membra della 
persona insieme con tutta l' attitudine debbono rispondere all' effigie alterata. 

363. Della membrifìcazione degli animali. 

Tutte le parti di qualunque animale debbono essere corrispondenti all' età del 
suo tutto, cioè che le membra de' giovani non sieno ricercate con pronunziati muscoli, 
corde o vene, come fanno alcuni, i quali, per mostrare artificioso e gran disegno, 
guastano il tutto, mediante le scambiate membra. Il medesimo fanno altri, che per 
mancamento di disegno fanno ai vecchi membra di giovani. 

364. Come la figura non sarà laudabile s'essa non mostra la passione 
dell' animo. 

Quella figura non sarà laudabile s' essa, il più che sarà possibile, non esprimerà 
coli' atto la passione dell' animo suo. 

365. Come le mani e le braccia in tutte le loro operazioni hanno da 
dimostrare l' intenzione del loro motore il più che si può. 

Le mani e le braccia in tutte le loro operazioni hanno da dimostrare l' intenzione 
del loro motore quanto sarà possibile, perchè con quelle, chi ha affezionato giudizio, 
si accompagna gì' intenti mentali in tutti i suoi movimenti. E sempre i bravi oratori, 
quando vogliono persuadere agli uditori qualche cosa, accompagnano le mani e le 
braccia con le loro parole, benché alcuni insensati non si curino di tale ornamento, 
e paiano nel loro tribunale statue di legno, per la bocca delle quali passi per condotto 
la voce di alcun uomo che sia nascosto in tal tribunale. E questa tale usanza è 
gran difetto ne' vivi, e molto più nelle figure finte, le quali, se non sono aiutate 
dal loro creatore con atti pronti ed accomodati all' intenzione che tu fingi essere 
in tal figura, allora essa figura sarà giudicata due volte morta, cioè morta perchè 
essa non è viva, e morta nella sua azione. Ma per tornare al nostro intento, qui di 



a 369] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 125 

sotto si figurerà e dirà di più accidenti, cioè del moto dell' irato, del dolore, della 
paura, dello spavento subito, del pianto, della fuga, del desiderio, t del comandare, 
della pigrizia e della sollecitudine, e simili. 1 

366. De' moti appropriati alla mente del mobile. 

Sono alcuni moti mentali senza il moto del corpo, ed alcuni col moto del corpo. 
I moti mentali senza il moto del corpo lasciano cadere le braccia, le mani ed ogni 
altra parte che mostri vita ; ma i moti mentali con il moto del corpo tengono il 
corpo con le sue membra con moto appropriato al moto della mente ; e di questo 
tal discorso si dirà molte cose. Evvi un terzo moto che è partecipante dell' uno 
• e dell' altro, ed un quarto che non è nè l' uno nè l' altro ; e questi ultimi sono 
insensati, ovvero disensati ; e si metteranno nel capitolo della pazzia, o de' buffoni 
nelle loro moresche. 

367. Come gli atti mentali muovano la persona in primo grado di 
facilità e comodità. 

Il moto mentale muove il corpo con atti semplici e facili, non in qua nè in 
là, perchè il suo obietto è nella mente, la quale non muove i sensi, quando in sè 
medesima è occupata. 

368. Del moto nato dalla mente mediante l'obietto. 

Se il moto dell' uomo è causato mediante 1' obietto, o tale obietto nasce imme- 
diate, o no : se nasce immediate, quel che si muove torce prima all' obietto il senso 
più necessario, eh' è 1' occhio, lasciando stare i piedi al primo luogo, e solo muove 
le coscie insieme con i fianchi ed i ginocchi verso quella parte dove si volta 1' occhio, 
e così in tali accidenti si farà gran discorso. 

369. De' moti comuni. 

Tanto sono vari i movimenti degli uomini, quante sono le varietà degli acci- 
denti che discorrono per le loro menti; e ciascun accidente in sè muoverà più o 
meno essi uomini, secondo che saranno di maggiore o di minor potenza, e secondo 
l'età; perchè altro moto farà sopra un medesimo caso un giovane che un vecchio. 

1 Nota nel codice : « Ma nota, lettore, che ancoraché messer Leonardo prometta di trattare di tutti i sopra- 
detti accidenti, che per questo non ne parla, come io credo, per smenticanza, o per qualche altro disturbo, come 
si può vedere all'originale, che dietro a questo capitolo scrive l'argomento di un altro senza il suo capitelo, ed 
è il seguente: Del figurare V irato ed in quante parti si divida tale accidente » . 



126 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 37o 



370. Del moto degli animali. 

Ogni animale di due piedi abbassa nel suo moto più quella parte eh' è sopra 
il piede che alza, che quella eh' è sopra il piede che posa in terra ; e la sua parte 
suprema fa il contrario ; e questo si vede ne' fianchi e nelle spalle dell' uomo quando 
cammina, e negli uccelli il medesimo con la testa e con la groppa. 

371. Che ogni membro per sè sia proporzionato a tutto il suo corpo. 

Fa che ogni parte d' un tutto sia proporzionata al suo tutto : come se un uomo 
è di figura grossa e corta, fa che il medesimo sia in sè ogni suo membro, cioè 
braccia corte e grosse, mani larghe, grosse e corte, e dita con le giunture nel sopra- 
detto modo, e così il rimanente. Ed il medesimo intendo aver detto degli universi 
animali e piante, così nel diminuire le proporzionalità delle grossezze, come dell' in- 
grossarle. 

372. Che se le figure non esprimono la mente sono due volte morte. 

Se le figure non fanno atti pronti i quali colle membra esprimano il concetto 
della mente loro, esse figure sono due volte morte, perchè morte sono principal- 
mente chè la pittura in sè non è viva, ma esprimitrice di cose vive senza vita, e 
se non le si aggiunge la vivacità dell' atto, essa rimane morta la seconda volta. 
Sicché dilettatevi studiosamente di vedere in quei che parlano, insieme co' moti 
delle mani, se potrete accostarli e udirli, che causa fa loro fare tali movimenti. Molto 
bene saranno vedute le minuzie degli atti particolari appresso de' mutoli, i quali 
non sanno disegnare, benché pochi sieno che non si aiutino e che non figurino 
col disegno. Imparate adunque da' muti a fare i moti delle membra che esprimano 
il concetto della mente de' parlatori. Considerate quelli che ridono e quelli che 
piangono, guardate quelli che con ira gridano, e così tutti gli accidenti delle menti 
nostre. Osservate il decoro, e considerate che non si conviene nè per sito nè per 
atto operare il signore come il servo, nè l' infante come l' adolescente, ma eguale 
al vecchio che poco si sostiene. Non fate al villano l'atto che si deve ad un nobile 
ed accostumato, nè il forte come il debole, nè gli atti delle meretrici come quelli 
delle oneste donne, nè de' maschi come delle femmine. 

373. Dell'osservanza del decoro. 

Osserva il decoro, cioè la convenienza dell' atto, vesti, sito, e circonspetti della 
dignità o viltà delle cose che tu vuoi figurare ; cioè che il re sia di barba, aria ed 



a 376] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 127 

abito gravé, ed il sito ornato, ed i circostanti stiano con riverenza, ammirazione 
ed abiti degni e convenienti alla gravità d' una corte reale, ed i vili disornati, infinti 
ed abietti, ed i loro circostanti abbiano similitudine con atti vili e presuntuosi, e 
tutte le membra corrispondano a tal componimento ; e che gli atti d' un vecchio 
non sieno simili a quelli d' un giovane, e quelli d' una femmina a quelli d' un maschio, 
nè quelli d' un uomo a quelli d' un fanciullo. 

374. Dell'età delle figure. 

Non mischiare una quantità di fanciulli con altrettanti vecchi, nè giovani con 
infanti, nè donne con uomini, se già il caso che vuoi figurare non li legasse insieme 
misti. 

375. Qualità d'uomini ne' componimenti delle istorie. 

Per l' ordinario ne' componimenti comuni delle istorie usa di fare rari vecchi, 
e separati dai giovani, perchè i vecchi sono rari, ed i lor costumi non si convengono 
con i costumi de' giovani, e dove non è conformità di costumi non si fa amicizia, 
e dove non è amicizia si genera separazione. E dove tu farai componimenti d' istorie 
apparenti di gravità e consiglio, fagli pochi giovani, perchè i giovani volentieri fuggono 
i consigli ed altre cose nobili. 

376. Del figurare uno che parli infra più persone. 

Userai di far quello che tu vuoi che parli fra molte persone in atto di consi- 
derare la materia eh' egli ha da trattare, e di accomodare in lui gli atti appartenenti 
ad essa materia; cioè, se la materia è persuasiva, che gli atti sieno al proposito, 
e se è materia di dichiarazione di diverse ragioni, fa che quello che parla pigli con 
i due diti della mano destra un dito della sinistra, avendone serrato i due minori, 
e col viso pronto volto verso il popolo ; con la bocca alquanto aperta, che paia 
che parli ; e se egli siede, che paia che si sollevi alquanto ritto, e con la testa 
innanzi ; e se lo fai in piedi, fàllo alquanto chinarsi col petto e la testa verso il 
popolo, il quale figurerai tacito ed attento a riguardare l' oratore in viso con atti 
ammirativi ; e fa la bocca d' alcun vecchio per maraviglia delle udite sentenze chiusa, 
e negli estremi bassi tirarsi indietro molte pieghe delle guancie ; e con le ciglia alte 
nelle giunture le quali creino molte pieghe per la fronte. Alcuni a sedere con le 
dita delle mani insieme tessute, tenendovi dentro il ginocchio stanco ; altri con 
un ginocchio sopra l' altro, sul quale tenga la mano, che dentro a sè riceva il 
gomito, la mano del quale vada a sostenere il mento barbuto di qualche vecchio 
chinato. 



128 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 377 



377. Come si deve fare una figura irata. 

Alla figura irata farai tenere uno per i capelli col capo storto a terra, e con 
uno de' ginocchi sul costato, e col braccio destro levare il pugno in alto ; questo 
abbia i capelli elevati, le ciglia basse e strette, ed i denti stretti e i due estremi 
daccanto della bocca arcati, il collo grosso, e dinanzi, per il chinarsi al nemico, 
sia pieno di grinze. 

378. Come si figura un disperato. 

Al disperato farai darsi d' un coltello, e con le mani aversi stracciato i vesti- 
menti, e sia una d' esse mani in opera a stracciar la ferita, e lo farai con i piè 
distanti, e le gambe alquanto piegate, e la persona similmente verso terra con capelli 
stracciati e sparsi. 

379. Delle convenienze delle membra. 

E ti ricordo ancora che tu abbia grande avvertenza nel dare le membra alle 
figure, che paiano, dopo l' essere concordanti alla grandezza del corpo, ancor simil- 
mente all' età ; cioè i giovani con pochi muscoli nelle membra, e vene di delicata 
superficie, e membra rotonde di grato colore. Agli uomini sieno nervose e piene 
di muscoli. Ai vecchi sieno con superficie a grinze ruvide e venose, ed i nervi 
molto evidenti. 

380. Del ridere e del piangere e differenza loro. 

Da quel che ride a quel che piange non si varia nè occhi, nè bocca, nè guancie, 
ma solo la rigidità delle ciglia che s' aggiunge a chi piange, e levasi a chi ride. A 
colui che piange s' aggiunge ancora 1' atto di stracciarsi con le mani i vestimenti ed 
i capelli, e con le unghie stracciarsi la pelle del volto, il che non accade a chi ride. 
Non farai il viso di chi piange con eguali movimenti di quel che ride, perchè spesso 
si somigliano, e perchè il vero modo si è di variare siccome è variato 1' accidente 
del pianto dall' accidente del riso, imperocché, per piangere, le ciglia e la bocca si 
variano nelle varie cause del pianto, perchè alcuno piange con ira, alcuno con paura, 
alcuno per tenerezza ed allegrezza, alcuno per sospetto, alcuno per doglia e tormento 
ed alcuno per pietà e dolore de' parenti o amici persi : de' quali piangenti alcuno 
si mostra disperato, alcuno mediocre, alcuno grida, alcuno sta con il viso al cielo 
e con le mani in basso, avendo le dita di quelle insieme tessute; altri timorosi con 
le spalle innalzate alle orecchie ; e così seguono secondo le predette cause. Quel che 



a 385] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 129 

versa il pianto alza le ciglia nelle loro giunture, e le stringe insieme, e compone 
grinze di sopra, e in mezzo ai canti della bocca in basso ; e colui che ride li ha 
alti e le ciglia aperte e spaziose. 

381. De' posati d' infanti. 

Negl' infanti e ne' vecchi non debbono essere atti pronti fatti mediante le loro 
gambe. 

382. De' posati di femmine e di giovanetti. 

Nelle femmine e ne' giovanetti non debbono essere atti di gambe sbarrate o 
troppo aperte, perchè dimostrano audacia, o al tutto privazione di vergogna; e le 
strette dimostrano timore di vergogna. 

383. Del rizzarsi l'uomo da sedere di sito piano. 

Stando l'uomo a sedere sul pavimento, la prima cosa che fa nel suo levarsi 
è che trae a sè il piede, e posa la mano in terra da quel lato che si vuol levare, 
e gitta la persona sopra il braccio che posa, e mette il ginocchio in terra da quel 
lato che si vuol levare. 1 

384. Del saltare, e che cosa aumenta il salto. 

Natura insegna ed opera senza alcun discorso del saltatore, che quando vuol 
saltare, egli alza con impeto le braccia e le spalle, le quali, seguitando l'impeto, 
si muovono insieme con gran parte del corpo, e levansi in alto, sino a tanto che 
il loro impeto in sè si consumi ; il qual impeto è accompagnato dalla estensione 
subita del corpo incurvato nella schiena e nelle giunture delle coscie, delle ginocchia 
e de' piedi ; la qual estensione è fatta per obliquo, cioè innanzi ed all' insù ; e così 
il moto dedicato all'andare innanzi porta innanzi il corpo che salta, ed il moto 
d' andare all' insù alza il corpo, e gli fa fare grand' arco ed aumenta il salto. 

385. Del moto delle figure nello spingere o tirare. 

Lo spingere e tirare sono di una medesima azione, conciossiachè lo spingere 
è solo un'estensione di membra, ed il tirare è un' attrazione di esse membra; ed 



1 Nota nel codice : « Trovo scritto appresso al capitolo di sopra il soggetto del suo contrario, ma poi non ne 
parla niente, ed è questo: Del cadere l'uomo a sedere in sito piano*. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. I J 



i 3 o LEONARDO DA VINCI [§ 385 

all' una e all' altra potenza si aggiunge il peso del motore contro alla cosa sospinta 
o tirata, e non vi è altra differenza senonchè l' uno spinge e l' altro tira : quello 
che spinge stando in piedi ha il mobile sospinto dinanzi a sè, e quello che tira 
lo ha di dietro a sè. Lo spingere e il tirare può esser fatto per diverse linee intorno 
al centro della potenza del motore, il qual centro in quanto alle braccia sarà nel 
luogo dove il nervo dell' omero della spalla, e quel della poppa, e quello della 
patella dell' opposita alla poppa si giungono coli' osso della spalla superiore. 



386. Dell' uomo che vuol trarre una cosa fuor di sè con grand' impeto. 



L' uomo il quale vorrà trarre un dardo, o pietra, od altra 
cosa con impetuoso moto, può essere figurato in due modi 
principali, cioè o potrà esser figurato quando si prepara alla 
creazione del moto, o veramente quando il moto d'esso è finito. 
Ma se tu lo figurerai per la creazione del moto, allora il lato 
di dentro del piede sarà con la medesima linea del petto, ma 
avrà la spalla contraria sopra il piede, cioè se il piede destro sarà sotto il peso 
dell' uomo, la spalla sinistra sarà sopra la punta d' esso piede destro. 




387. Perchè quello che vuol ficcare tirando il ferro in terra, alza la 
gamba opposita incurvata. 

Colui che col trarre vuol ficcare o trarre il calmone 1 in terra, alza la gamba 
opposita al braccio che trae, e quella piega nel ginocchio ; e questo fa per bilicarsi 
sopra il piede che posa in terra, senza il qual piegamento o storcimento di gamba 
far non si potrebbe, nè potrebbe trarre, se tal gamba non si distendesse. 



388. Ponderazione de' corpi che non si muovono. 




Le ponderazioni ovvero bilichi degli uomini si dividono 
in due parti, cioè semplice e composto. Bilicazione semplice 
è quella che è fatta dall' uomo sopra i suoi piedi immobili, 
sui quali esso uomo, aprendo le braccia con diverse distanze 
dal suo mezzo, o chinandosi stando sopra uno o i due piedi, 
sempre il centro della sua gravità sta per linea perpendi- 



colare sopra il centro d' esso piede che posa ; e se posa sopra i due piedi egual- 
mente, allora il peso dell' uomo avrà il suo centro perpendicolare nel mezzo della 
linea che misura lo spazio interposto infra i centri d' essi piedi. 



Così il codice. Forse « calamo » 



a 391] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 131 

Il bilico composto s' intende esser quello che fa un uomo che sostiene sopra 
di sè un peso per diversi moti; com'è nel figurare Ercole che scoppia Anteo, il 
quale, sospendendolo da terra infra il petto e le braccia, che tu gli faccia tanto 
la sua figura di dietro alla linea centrale de' suoi piedi, quanto Anteo ha il centro 
della sua gravità dinanzi ai medesimi piedi. 

389. Dell'uomo che posa sopra i suoi due piedi, che dà di sè più 
peso all' uno che all' altro. 

Quando per lungo stare in piedi l' uomo ha stancata la gamba dove posa, esso 
manda parte del peso sopra l'altra gamba; ma questo tal posare ha da essere usato 
dall'età decrepita, o dall'infanzia, o veramente in uno stanco, perchè mostra stan- 
chezza o poca valetudine di membra; e però sempre si vede un giovane, che sia 
sano e gagliardo, posarsi sopra l'una delle gambe, e se dà alquanto di peso all'altra 
gamba, esso 1' usa quando vuol dar principio necessario al suo movimento, senza il 
quale si nega ogni moto, perchè il moto si genera dall' inegualità. 

390. De' posati delle figure. 

Sempre le figure che posano debbono variare le membra, cioè che se un braccio 
va innanzi, che l' altro stia fermo o vada indietro ; e se la figura posa sopra una 
gamba, che la spalla che è sopra essa gamba sia più bassa che l'altra; e questo 
si usa dagli uomini di buoni sensi, i quali sempre attendono per natura a bilicare 
l'uomo sopra i suoi piedi, acciocché non rovini; perchè, posando sopra un piede, 
1' opposita gamba non sostiene esso uomo, stando piegata, la quale in sè è come se 
fosse morta; onde necessità fa che il peso che è dalle gambe insù mandi il centro 
della sua gravità sopra la giuntura della gamba che lo sostiene. 

391. Della ponderazione dell'uomo nel fermarsi sopra i suoi piedi. 

L'uomo che si ferma sopra i suoi piedi, o si caricherà con egual peso sopra 
ciascun piede, o si caricherà con pesi ineguali. Se si caricherà egualmente sopra 
essi piedi, egli si caricherà con peso naturale misto con peso accidentale, o si cari- 
cherà con semplice peso naturale. Se si caricherà con peso naturale misto con peso 
accidentale, allora gli estremi oppositi de' membri non saranno egualmente distanti 
dai poli delle giunture de' piedi ; ma se si caricherà con peso naturale semplice, 
allora tali estremi di membri oppositi saranno egualmente distanti dalla giuntura 
del piede. E così di questa ponderazione si farà un libro particolare. 



32 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 392 



392. Del moto locale più o meno veloce. 

Il moto locale fatto dall'uomo o da altro animale sarà di tanto maggiore o 
minor velocità, quanto il centro della loro gravità sarà più remoto o propinquo 
al centro del piede dove si sostengono. 



393. Degli animali da quattro piedi, e come si muovono. 




La somma altezza degli animali da quattro piedi si varia più 
negli animali che camminano, che in quelli che stanno saldi ; e tanto 



\^ più o meno quanto essi animali son di maggiore o minor grandezza : 
e questo è causato dall' obliquità delle gambe che toccano terra, che 
innalzano il corpo di esso animale quando tali gambe disfanno la loro obliquità, 
quando si pongono perpendicolari sopra la terra. 




394. Delle corrispondenze che ha la metà dell' uomo con 1' altra metà. 

Mai l'una metà della grossezza e larghezza dell' uomo sarà eguale all' altra, se 
le membra a quella congiunte non faranno eguali e simili moti. 



395. Come nel saltare dell'uomo in alto vi si trovano tre moti. 

Quando l' uomo salta in alto, la testa è tre volte più veloce del calcagno del 
piede, innanzi che la punta del piede si spicchi da terra, e due volte più veloce 
che i fianchi ; e questo accade perchè si disfanno in un medesimo tempo tre angoli, 
de' quali il superiore è quello dove il busto si congiunge con le coscie dinanzi; 
il secondo è quello dove le coscie di dietro si congiungono con le gambe di dietro ; 
il terzo è dove la gamba dinanzi si congiunge con l' osso del piede. 

396. Che è impossibile che una memoria riserbi tutti gli aspetti e le 
mutazioni delle membra. 

Impossibile è che alcuna memoria possa riserbare tutti gli aspetti 
o mutamenti d' alcun membro di qualunque animale si sia. Questo 
caso lo esemplificheremo con la dimostrazione d' una mano. E perchè 
ogni quantità continua è divisibile in infinito, il moto dell' occhio 
che riguarda la mano, e si muove dall' a al b , si muove per uno 
spazio ab, il quale ancor esso è quantità continua, e per conseguenza divisibile 
in infinito, ed in ogni parte di moto varia l'aspetto e la figura della mano nel 




a 398 ] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 

suo vedere, e così farà movendosi in tutto il cerchio ; ed il simile farà la 
mano che s' innalza nel suo moto, cioè passerà per ispazio che è quantità. 

397. Delle prime quattro parti che si richiedono alla figura. 

L' attitudine è la prima parte più nobile della figura ; non che la 
buona figura dipinta in trista attitudine abbia disgrazia, ma la viva in 
somma bontà di bellezza perde di riputazione, quando gli atti suoi non sono acco- 
modati all' ufficio eh' essi hanno a fare. Senza alcun dubbio essa attitudine è di 
maggiore speculazione che non è la bontà in sè della figura dipinta ; conciossiachè 
tale bontà di figura si possa fare per imitazione della viva, ma il movimento di tal 
figura bisogna che nasca da grande discrezione d' ingegno ; la seconda parte nobile 
è l' avere rilievo ; la terza è il buon disegno ; la quarta il bel colorito. 

398. Discorso sopra il pratico. 

E tu, pittore, studia di fare le tue opere che abbiano a tirare a sè i loro veditori, 
e quelli fermare con grande ammirazione e diletto, e non attirarli e poi scacciarli, 
come fa l' aria a quel che ne' tempi notturni salta ignudo del letto a contemplare 
la qualità di essa aria nubilosa o serena, che immediate, scacciato dal freddo di 
quella, ritorna nel letto, donde prima si tolse ; ma fa le opere tue simili a quell' aria, 
che ne' tempi caldi tira gli uomini dai lor letti, e li ritiene con diletto a prendere 
1' estivo fresco ; e non voler essere prima pratico che dotto, e che 1' avarizia vinca 
la gloria che di tale arte meritamente si acquista. Non vedi tu che infra le umane 
bellezze il viso bellissimo ferma i viandanti e non i loro ricchi ornamenti ? E questo 
dico a te che con oro od altri ricchi fregi adorni le tue figure. Non vedi tu isplen- 
denti bellezze della gioventù diminuire di loro eccellenza per gli eccessivi e troppo 
culti ornamenti ? Non hai tu visto le montanare involte negl' inculti e poveri panni 
acquistare maggior bellezza, che quelle che sono ornate ? Non usare le affettate accon- 
ciature o capellature di teste, dove appresso de' goffi cervelli un sol capello posto 
più da un lato che dall'altro, colui che lo tiene se ne promette grande infamia 
credendo che i circostanti abbandonino ogni lor primo pensiero, e solo di quel 
parlino e solo quello riprendano ; e questi tali hanno sempre per lor consigliero lo 
specchio ed il pettine, ed il vento è loro capital nemico sconciatore degli azzimati 
capelli. Fa tu adunque alle tue teste i capelli scherzare insieme col finto vento 
intorno ai giovanili volti, e con diverso rivoltare graziosamente ornarli. E non far 
come quelli che li impiastrano con colle, e fanno parere i visi come se fossero inve- 
triati ; umane pazzie in aumentazione, delle quali non bastano i naviganti a condurre 
dalle orientali parti le gomme arabiche, per riparare che il vento non varii 1' egualità 
delle loro chiome, che di più vanno ancora investigando. 




134 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 399 



399. Della pratica cercata con gran sollecitudine dal pittore. 

E tu, pittore, che desideri grandissima pratica, hai da intendere, che se tu non 
la fai sopra buon fondamento delle cose naturali, farai opere assai con poco onore e 
men guadagno ; e se la farai buona, le opere tue saranno molte e buone, con tuo 
grande onore e molta utilità. 

400. Del giudicare il pittore le sue opere e quelle d' altrui. 

Quando l' opera sta pari col giudizio, quello è tristo segno in tal giudizio ; e 
quando 1' opera supera il giudizio, questo è pessimo, come accade a chi si mara- 
viglia d' aver sì bene operato ; e quando il giudizio supera 1' opera, questo è perfetto 
segno ; e se vi è giovane in tal disposizione, senza dubbio questo sarà eccellente 
operatore, ma sarà componitore di poche opere, le quali saranno di qualità che 
fermeranno gli uomini con ammirazione a contemplar le loro perfezioni. 

40 1 . Del giudicare il pittore la sua pittura. 

Noi sappiamo che gli errori si conoscono più nelle altrui opere che nelle proprie, 
e spesso, riprendendo gli altrui piccoli errori, non vedrai i tuoi grandi. Per fuggire 
simile ignoranza, fa che tu sia prima buon prospettivo, di poi che tu abbia intera 
notizia delle misure dell' uomo e d' altri animali, e che tu sia ancora buon archi- 
tettore, cioè in quanto s' appartiene alla forma degli edifici e delle altre cose, che 
sono sopra la terra, che sono d' infinite forme ; e di quante più avrai notizia, più 
sarà laudata la tua operazione, ed in quelle che tu non hai pratica, non ricusare 
di ritrarle di naturale. Ma per tornare alla promessa di sopra, dico che nel tuo 
dipingere tu devi tenere uno specchio piano, e spesso riguardarvi dentro l' opera 
tua, la quale lì sarà veduta per lo contrario, e ti parrà di mano d' altro maestro, e 
giudicherai meglio gli errori tuoi che altrimenti. Ed ancora sarà buono levarsi spesso 
e pigliarsi qualche sollazzo, perchè nel ritornare tu migliorerai il giudizio; chè lo 
star saldo nell' opera ti farà forte ingannare. È buono ancora lo allontanarsi, perchè 
1' opera pare minore, e più si comprende in un' occhiata, e meglio si conoscono le 
discordanti e sproporzionate membra ed i colori delle cose, che d' appresso. 

402. Come lo specchio è il maestro de' pittori. 

Quando tu vuoi vedere se la tua pittura tutta insieme ha conformità con la 
cosa ritratta di naturale, abbi uno specchio, e favvi dentro specchiare la cosa viva, 
e paragona la cosa specchiata con la tua pittura, e considera bene se il subietto 



a 404] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 135 

dell' una e dell' altra similitudine abbiano conformità insieme. Sopratutto lo specchio 
si deve pigliare per maestro, intendo lo specchio piano, imperocché sulla sua super- 
ficie le cose hanno similitudine con la pittura in molte parti ; cioè, tu vedi la pittura 
fatta sopra un piano dimostrare cose che paiono rilevate, e lo specchio sopra un 
piano fa il medesimo ; la pittura è una sola superficie, e lo specchio è quel mede- 
simo ; la pittura è impalpabile in quanto che quello che pare tondo e spiccato non 
si può circondare con le mani, e lo specchio fa il simile. Lo specchio e la pittura 
mostrano la similitudine delle cose circondata da ombre e lume, e l' una e 1' altra 
pare assai di là dalla sua superficie. E se tu conosci che lo specchio per mezzo 
de' lineamenti ed ombre e lumi ti fa parere le cose spiccate, ed avendo tu fra i tuoi 
colori le ombre ed i lumi più potenti che quelli dello specchio, certo, se tu li saprai 
ben comporre insieme, la tua pittura parrà ancor essa una cosa naturale vista in 
un grande specchio. 

403. Come si deve conoscere una buona pittura e che qualità deve 
avere per essere buona. 

Quello che prima si deve giudicare per voler conoscere una buona pittura è 
che il moto sia appropriato alla mente del motore ; secondo, che il maggiore o 
minor rilievo delle cose ombrose sia accomodato secondo le distanze ; terzo, che 
le proporzioni delle membra corrispondano alla proporzionalità del loro tutto ; quarto, 
che il decoro del sito sia corrispondente al decoro de' suoi atti ; quinto, che le membri- 
ficazioni sieno accomodate alla condizione de' membrificati, cioè ai gentili membra 
gentili, ai grossi grosse membra ed ai grassi grasse similmente. 

404. Come la vera pittura stia nella superficie dello specchio piano. 

Lo specchio di piana superficie contiene in sè la vera pittura in essa superficie ; 
e la perfetta pittura, fatta nella superficie di qualunque materia piana, è simile alla 
superficie dello specchio ; e voi, pittori, trovate nella superficie degli specchi piani 
il vostro maestro, il quale v' insegna il chiaro e 1' oscuro e lo scorto di qualunque 
obietto ; ed i vostri colori ne hanno uno che è più chiaro che le parti illuminate 
del simulacro di tale obietto, e similmente in essi colori se ne trova alcuno che 
è più scuro che alcuna oscurità di esso obietto ; donde nasce che tu, pittore, farai 
le tue pitture simili a quelle di tale specchio, quando è veduto da un solo occhio, 
perchè i due occhi circondano l' obietto minore dell' occhio. 



56 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 405 



405. Qual pittura è più laudabile. 

Quella pittura è più laudabile, la quale ha più conformità con la cosa imitata. 
Questo propongo a confusione di quei pittori i quali vogliono racconciare le cose 
di natura, come sono quelli che imitano un figliuolino d' un anno, la testa del quale 
entra cinque volte nella sua altezza, ed essi ve la fanno entrare otto ; e la larghezza 
delle spalle è simile alla testa, e questi la fanno dupla, e così vanno riducendo un 
piccolo fanciullo d' un anno alla proporzione di un uomo di trent' anni : e tante 
volte hanno usato e visto usare tal errore, che 1' hanno converso in usanza, la quale 
usanza è tanto penetrata e stabilita nel lor corrotto giudizio, che fan credere a loro 
medesimi che la natura, o chi imita la natura, faccia grandissimo errore a non fare 
come essi fanno. 

406. Qual è il primo obietto intenzionale del pittore. 

La prima intenzione del pittore è fare che una superficie piana si dimostri 
un corpo rilevato e spiccato da esso piano ; e quello che in tale arte eccede più 
gli altri, quello merita maggior laude, e questa tale investigazione, anzi corona di 
tale scienza, nasce dalle ombre e dai lumi, o vuoi dire chiaro e scuro. Adunque 
chi fugge le ombre fugge la gloria dell' arte appresso i nobili ingegni, e 1' acquista 
appresso l' ignorante volgo, il quale nulla più desidera che bellezza di colori, dimen- 
ticando al tutto la bellezza e maraviglia del dimostrare di rilievo la cosa piana. 

407. Quale è più importante, nella pittura, o le ombre o i loro 
lineamenti. 

Di molto maggiore investigazione e speculazione sono le ombre nella pittura che 
i loro lineamenti ; e la prova di questo s' insegna che i lineamenti si possono lucidare 
con veli, o vetri piani interposti fra 1' occhio e la cosa che si deve lucidare ; ma 
le ombre non sono comprese da tale regola, per l' insensibilità de' loro termini, i 
quali il più delle volte sono confusi, come si dimostra nel libro delle ombre e 
de' lumi. 

408. Come si deve dare il lume alle figure. 

Il lume deve essere usato secondo che darebbe il naturale sito dove fingi essere 
la tua figura ; cioè, se la fingi al sole, fa le ombre oscure, e gran piazze di lumi, 
e stampavi le ombre di tutti i circostanti corpi in terra. E se la figura è in tristo 
tempo, fa poca differenza dai lumi alle ombre, e senza farle alcun' ombra ai piedi ; 



a 4H] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 137 

e se la figura sarà in casa, fa gran differenza dai lumi alle ombre, ed ombra per 
terra ; e se tu vi figuri finestra impannata ed abitazione bianca, fa poca differenza 
dai lumi alle ombre ; e se essa è illuminata dal fuoco, fa i lumi rosseggianti e potenti, 
e scure le ombre, e lo sbattimento delle ombre per i muri o per terra sia terminato ; 
e quanto più 1' ombra si allontana dal corpo, tanto più si faccia ampia e magna ; e 
se detta figura fosse illuminata parte dal fuoco e parte dall' aria, fa che il lume causato 
dall' aria sia più potente, e quello del fuoco sia quasi rosso, a similitudine del fuoco. 
E sopratutto fa che le tue figure dipinte abbiano il lume grande e da alto, cioè 
quel vivo che tu ritrarrai, imperocché le persone che tu vedi per le strade tutte 
hanno il lume di sopra ; e sappi che non vi è tuo gran conoscente che, dandogli 
il lume di sotto, tu non duri fatica a riconoscerlo. 

409. Dove deve star quello che risguarda la pittura. 

Poniamo che a b sia la pittura veduta, e che d sia il lume. Dico che se tu ti 
porrai infra c ed e , comprenderai male la pittura, e massime 
se sarà fatta ad olio, o veramente verniciata, perchè avrà lustro, 
e sarà quasi di natura di specchio, e per questa cagione quanto 
più ti accosterai al punto c , meno vedrai, perchè quivi risal- 
tano i raggi del lume mandato dalla finestra alla pittura; e se ti porrai infra e e d, 
quivi sarà bene operata la tua vista, e massime quanto più t' appresserai al punto d, 
perchè quel luogo è meno partecipante di detta percussione de' raggi riflessi. 

410. Come si deve porre alto il punto. 

Il punto dev' essere all' altezza dell' occhio di un uomo comune, e l' ultimo 
orizzonte della pianura che confina col cielo dev'esser fatto all'altezza d'esso termine 
della terra piana col cielo, salvo le montagne, che sono libere. 

411. Che le figure piccole non debbono per ragione esser finite. 

Dico che se le cose appariranno di minuta forma, ciò nascerà dall' essere dette 
cose lontane dall' occhio ; essendo così, conviene che infra l' occhio e la cosa sia 
molt' aria, e la molt' aria impedisce l' evidenza della forma d' essi obietti, onde le 
minute particole d' essi corpi saranno indiscernibili e non conosciute. Adunque tu, 
pittore, farai le piccole figure solamente accennate e non finite, e se altrimenti 
farai, sarà contro gli effetti della natura tua maestra. La cosa rimane piccola per 
la distanza grande che è fra 1' occhio e la cosa ; la distanza grande rinchiude dentro 
di sè molt' aria, la molt' aria fa in sè grosso corpo, il quale impedisce e toglie 
all' occhio le minute particole degli obietti. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. \ § 




138 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 412 



412. Che campo deve usare il pittore alle sue opere. 

Poiché per esperienza si vede che tutti i corpi sono circondati da ombra e 
lume, voglio che tu, pittore, accomodi quella parte che è illuminata, sicché termini 
in cosa oscura, e così la parte del corpo ombrata termini in cosa chiara. E questa 
regola darà grande aiuto a rilevare le tue figure. 

413. Precetto di pittura. 

Dove l'ombra confina col lume, abbi rispetto dov'è più chiara o scura e dov'essa 
è più o meno sfumosa inverso il lume. E sopratutto ti ricordo che ne' giovani tu 
non faccia le ombre terminate come fa la pietra, perchè la carne tiene un poco 
del trasparente, come si vede a guardare in una mano che sia posta infra 1' occhio 
ed il sole, che la si vede rosseggiare e trasparire luminosa; e se tu vuoi vedere 
qual ombra si richiede alla tua carne, vi farai su un' ombra col tuo dito, e secondo 
che tu la vuoi più chiara o scura, tieni il dito più presso o più lontano dalla tua 
pittura e quella contraffa. 

414. Del fingere un sito selvaggio. 

Gli alberi e le erbe che sono più ramificati di sottili rami debbono aver minore 
oscurità d' ombre, e quegli alberi e quelle erbe che avranno maggiori foglie saranno 
cagione di maggior ombra. 

415. Come devi far parere naturale un animale finto. 

Tu sai non potersi fare alcun animale, il quale non abbia le sue membra, e 
che ciascuno per sè non sia a similitudine con qualcuno degli altri animali. Adunque, 
se vuoi far parere naturale un animai finto, dato, diciamo, che sia un serpente, 
per la testa pigliane una di un mastino o bracco, e ponile gli occhi di gatto, e 
le orecchie d' istrice, ed il naso di veltro, e le ciglia di leone, e le tempie di gallo 
vecchio, ed il collo di testuggine d' acqua. 

416. De' siti che si debbono eleggere per fare le cose che abbiano 
rilievo con grazia. 

Nelle strade volte a ponente, stante il sole a mezzodì, le pareti sieno in modo 
alte, che quella che è volta al sole non abbia a riverberare ne' corpi ombrosi, e 
buona sarebbe l' aria senza splendore ; allora saranno veduti i lati de' volti parte- 



a 419] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 139 

cipare dell' oscurità delle pareti a quella opposi te ; e così i lati del naso ; e tutta 
la faccia volta alla bocca della strada sarà illuminata. Per la qual cosa 1' occhio 
che sarà nel mezzo della bocca di tale strada vedrà tal viso con tutte le faccie a 
lui volte essere illuminate, e quei lati che sono volti alle pareti de' muri essere ombrosi. 
A questo s' aggiungerà la grazia d' ombre con 
grato perdimento, private integralmente d' ogni 
termine spedito ; e questo nascerà per causa della 
lunghezza del lume che passa infra i tetti delle 
case e penetra infra le pareti, e termina sopra 
il pavimento della strada, e risalta per moto 
riflesso ne' luoghi ombrosi de' volti, e quelli 
alquanto rischiara. E la lunghezza del già detto 
lume del cielo stampato dai termini de' tetti con la sua fronte, che sta sopra la 
bocca della strada, illumina quasi insino vicino al nascimento delle ombre che stanno 
sotto gli oggetti del volto ; e così di mano in mano si va mutando in chiarezza, 
insino che termina sopra del mento con oscurità insensibile per qualunque verso. 
Come se tal lume fosse ae, vedi la linea fe del lume che illumina fino sotto il 
naso, e la linea cf solo illumina infin sotto il labbro; e la linea ah si estende fino 
sotto il mento ; e qui il naso rimane forte luminoso, perchè è veduto da tutto il 
lume abcde. 

41 7. Del dividere e spiccare le figure dai loro campi. 

Tu hai a mettere la tua figura scura in campo chiaro ; e se sarà chiara, mettila 
in campo scuro ; e se è chiara e scura, metti la parte scura nel campo chiaro e 
la parte chiara nel campo scuro. 

418. Della differenza delle figure in ombre e lumi, poste in diversi siti. 

I lumi piccoli fanno grandi e terminate ombre sopra i corpi ombrosi. I lumi 
grandi fanno sopra i corpi ombrosi piccole ombre e di confusi termini. Quando 
sarà incluso il piccolo e potente lume nel grande e meno potente, come è il sole 
neh" aria, allora il meno potente resterà in luogo d' ombra sopra de' corpi da esso 
illuminati. 

419. Del fuggire l' improporzionalità delle circostanze. 

Grandissimo vizio si dimostra presso di molti pittori, cioè di fare 1' abitazione 
degli uomini ed altre circostanze in tal modo, che le porte delle città non danno 
alle ginocchia de' loro abitatori, ancoraché esse sieno più vicine all' occhio del 




140 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 419 



riguar datore che non è 1' uomo che in quella mostri voler entrare. Abbiamo veduto 
i portici carichi d' uomini, e le colonne di quelli sostenitrici essere nel pugno ad 
un uomo che ad una di esse si appoggiava ad uso di sottil bastone ; e così altre simili 
cose sono molto da essere schivate. 

420. Corrispondano i corpi, sì per grandezza come per ufficio, alla 
cosa di cui si tratta. 

Questa proposizione è prima definita che proposta; adunque leggerai di sopra. 

421. De' termini de' corpi detti lineamenti, ovvero contorni. 

Sono i termini de' corpi di tanto minima evidenza, che in ogni piccolo inter- 
vallo che s' interpone infra la cosa e 1' occhio, esso occhio non comprende 1' effigie 
dell' amico o parente, e non lo conosce, se non per 1' abito, e per il tutto riceve 
notizia del tutto insieme con la parte. 

422. Degli accidenti superficiali che prima si perdono per le distanze. 

Le prime cose che si perdono nel discostarsi dai corpi ombrosi sono i termini 
loro ; secondariamente in più distanza si perdono le ombre che dividono le parti 
de' corpi che si toccano ; terzo, la grossezza delle gambe da piè, e così successiva- 
mente si perdono le parti più minute, di modo che a lunga distanza solo rimane 
una massa ovale di confusa figura. 

423. Degli accidenti superficiali che prima si perdono nel discostarsi 
de' corpi ombrosi. 

La prima cosa che de' colori si perde nelle distanze è il lustro, loro parte 
minima, e lume de' lumi ; la seconda è il lume, perchè è minore dell' ombra ; la 
terza sono le ombre principali ; e rimane nell' ultimo una mediocre oscurità confusa. 

424. Della natura de' termini de' corpi sopra gli altri corpi. 

Quando i corpi di convessa superficie termineranno sopra altri corpi di egual 



parrà più che altra sua parte chiaro, ancoraché il lume che sopra le aste discende 
sia sopra esse aste di egual chiarezza. 




colore, il termine del convesso parrà più oscuro che il corpo che 
col convesso termine terminerà. Il termine delle aste equigiacenti 
parrà in campo bianco di grande oscurità, ed in campo oscuro 



a 428] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



141 



425. Della figura che va contro il vento. 

Sempre la figura che si muove infra il vento per qualunque 
linea non osserva il centro della sua gravità con debita dispo- 
sizione sopra il centro del suo sostentacelo. 



426. Delle finestre dove si ritraggono le figure. 

Sia la finestra delle stanze de' pittori fatta d' impannate senza tramezzi, ed occupata 
di grado in grado inverso i suoi termini di gradi di scurito di nero, in modo che 
il termine del lume non sia congiunto col termine della finestra. 




427. Perchè misurando un viso e poi dipingendolo in tale grandezza 
esso si dimostrerà maggiore del naturale. 

a b è la larghezza del sito, ed è posta nella distanza della carta c f, dove 
sono le guancie ; essa avrebbe a stare indietro tutto a c , 
ed allora le tempie sarebbero portate nella distanza or 
delle linee afe bf, sicché vi è la differenza co ed r d ; 
si conclude che la linea cf e la linea d f, per essere 
più corte, hanno da andare a trovare la carta dov' è <t 
disegnata 1' altezza tutta, cioè le linee af e bf dov' è la verità, e si fa la differenza, 
com'è detto, di co e di rd. 




428. Se la superficie d'ogni corpo opaco partecipa del colore del 
suo obietto. 

Tu hai da intendere, se sarà messo un obietto bianco infra due pareti, delle 
quali una sia bianca e l'altra nera, che tu troverai tal proporzione infra la parte 
ombrosa e la parte luminosa del detto obietto, qual sarà quella delle predette 
pareti; e se l'obietto sarà di colore azzurro, farà il simile; onde, avendo da dipin- 
gere, farai come seguita : togli il nero per ombrare l' obietto azzurro che sia simile 
al nero, ovvero ombra della parete che tu fingi che abbia a riverberare nel tuo 
obietto, e volendolo fare con certa e vera scienza, userai fare in questo modo: 
quando tu fai le tue pareti di qual colore si voglia, piglia un piccolo cucchiaro, 
poco maggiore che quello da orecchie, e maggiore o minore secondo le grandi o 
piccole opere in che tale operazione s'ha da esercitare; e questo cucchiaro abbia 
i suoi estremi labbri di eguale altezza, e con questo misurerai i gradi delle quan- 
tità de' colori che tu adopri nelle tue mistioni: come sarebbe, quando nelle dette 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 428 



pareti che tu avessi fatto la prima ombra di tre gradi d' oscurità e d' un grado di 
chiarezza, cioè tre cucchiari rasi, come si fanno le misure del grano, e questi tre 
cucchiari fossero di semplice nero, ed un cucchiaro di biacca, tu avresti fatto una 
composizione di qualità certa senza alcun dubbio. Ora tu hai fatto una parete bianca 
ed una oscura, ed hai a mettere un obietto azzurro infra loro, il qual obietto vuoi 
che abbia la vera ombra e lume che a tal azzurro si conviene; adunque poni da 
una parte quell' azzurro che tu vuoi che resti senz'ombra, e poni da canto il nero; 
poi togli tre cucchiari di nero, e componilo con un cucchiaro d' azzurro luminoso, 
e metti con esso la più oscura ombra. Fatto questo, vedi se l'obietto è sferico, 



sarebbe in n , che lascia tanto dell' oscuro quanto esso partecipa della parete supe- 
riore ad; il qual colore mischierai con la prima ombra di ab con le medesime 
distinzioni. 

429. Del moto e corso degli animali. 

Quella figura si dimostrerà di maggior corso la quale stia più per rovinare innanzi. 

430. De' corpi che per sè si muovono o veloci o tardi. 

Il corpo che per sè si muove sarà tanto più veloce quanto il centro della sua 
gravità è più distante dal centro del suo sostentacelo . Questo è detto per il moto 
degli uccelli, i quali senza battimento d' ale o favor di vento per sè medesimi si 
muovono : e questo accade quando il centro della loro gravità è fuori del centro 
del loro sostentacelo, cioè fuori del mezzo della resistenza delle loro ale, perchè se 
il mezzo delle ale sarà più indietro che il mezzo, ovvero centro della detta gravità 
di tutto l' uccello, allora esso uccello si muoverà innanzi ed in basso ; ma tanto più 
o meno innanzi che in basso, quanto il centro della detta gravità sarà più remoto o 
propinquo al mezzo delle sue ale, cioè che il centro della gravità remoto dal mezzo 
delle ale fa il discenso dell' uccello molto obliquo, e se esso centro sarà vicino al 
mezzo delle ale, il discenso di tale uccello sarà di poca obliquità. 




colonnale, o quadrato, o come si sia ; e se egli è 
sferico,' tira le linee dagli estremi della parete oscura 
al centro di esso obietto sferico, e dove esse linee 
si tagliano nella superficie di tale obietto, quivi 
infra tanto terminano le maggiori ombre infra 
eguali angoli ; poi comincia a rischiarare, come 



a 432] 



TRATTATO DELLA PITTURA 



— PARTE TERZA 



143 



431. Per fare una figura che si dimostri esser alta braccia quaranta in 

spazio di braccia venti ed abbia mem- 
bra corrispondenti, e stia dritta in piedi. 1 

In questo ed in ogni altro caso non deve 
dar noia al pittore come si stia il muro, ovvero 
parete dove esso dipinge, e massime avendo 
1' occhio che riguarda tal pittura a vederla da 
una finestra, o da altro spiracolo ; perchè 1' oc- 
chio non ha da attendere alla planizie ovvero 
curvità di esse pareti, ma solo alle cose che 
di là da tal parete si hanno a dimostrare per 
diversi luoghi della finta campagna. Ma meglio 
si farebbe tal figura nella cur- 
vità frg, perchè in essa non 
sono angoli. 

432. Per fare una figura nel muro di dodici braccia, che apparisca 
d' altezza di ventiquattro braccia. 





Se vuoi fare una figura od altra cosa che 
apparisca d' altezza di ventiquattro braccia, 
farai in questa forma: figura prima la pa- 
rete mn con la metà dell'uomo che vuoi 
fare ; di poi l' altra metà farai nella volta m r. 
Ma prima di fare la figura nella volta, fa sul 
piano d' una sala la parete della forma che 
sta il muro con la volta dove tu hai a fare 
la tua figura, dipoi farai dietro ad essa parete 
la figura disegnata in profilo di che gran- 
dezza ti piace, e tira tutte le sue linee al 
punto / ; e nel modo eh' esse si taglino sulla 
parete m, così la figurerai sul muro, che 
ha similitudine con la parete, ed avrai tutte 
le altezze e sporti della figura ; e le larghezze, 

ovvero grossezze che si trovano nel muro dritto 11111, le farai in propria forma, 
perchè nel fuggir del muro la figura diminuisce per sè medesima. La figura che va 







/' / 

/ 

/ / 


) \ 


1^771 


V 






n 


lì 

) 



1 Le abbreviazioni che precedono i numeri io nella figura incisa significano « braccia 



144 LEONARDO DA VINCI [§432 

nella volta ti bisogna diminuirla, come se essa fosse dritta, la quale diminuzione ti 
bisogna fare in su una sala ben piana ; e lì sarà la figura che leverai dalla parete n r 
con le sue vere grossezze, e ridiminuirle in una parete di rilievo sarà buon modo. 

433. Pittura e sua membrificazione e componitori. 

Luce, tenebre, colore, corpo, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete. 
Di queste dieci parti dell' ufficio dell' occhio la pittura ne ha sette, delle quali la 
prima è luce, tenebre, colore, figura, sito, remozione, propinquità. Io ne levo il 
corpo, il moto e la quiete ; e restano cioè luce e tenebre, che vuol dire ombra e 
lume, o vuoi dire chiaro e scuro, e colore; il corpo non ci metto, perchè la pittura 
è in sè cosa superficiale, e la superficie non ha corpo, com' è definito in geometria. 
A dir meglio, ciò eh' è visibile, è connumerato nella scienza della pittura. Adunque 
i dieci predicamenti dell' occhio detti di sopra, ragionevolmente sono i dieci libri 
in che io parto la mia pittura ; ma luce e tenebre sono un sol libro, che tratta di 
lume ed ombra, e fassene un medesimo libro perchè 1' ombra è circondata, ovvero 
in contatto del lume. E il simile accade al lume coli' ombra, e sempre ne' confini 
si mischiano insieme lume ed ombra. 

E tanto più 1' ombra derivativa si mischia col lume, quanto essa è più distante 
dal corpo ombroso. Ma il colore non si vedrà mai semplice. Provasi per la nona, 
che dice : la superficie d' ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, ancoraché 
essa sia superficie di corpo trasparente, come aria, acqua e simili ; perchè l'aria piglia 
la luce dal sole, e le tenebre nascono dalla privazione d'esso sole. Adunque l'aria 
si tinge in tanti vari colori quanti son quelli onde essa s'interpone infra l'occhio 
e loro, perchè l'aria in sè non ha colore più che n'abbia l'acqua, ma l'umido 
che si mischia con essa dalla mezza regione in giù è quello che la ingrossa, e, 
ingrossando, i raggi solari che vi percuotono l' illuminano, e 1' aria che è da detta 
mezza regione in su resta tenebrosa ; e perchè luce e tenebre compongono colore 
azzurro, questo è l' azzurro in che si tinge l' aria, con tanta maggiore o minore 
oscurità quanto l' aria è mista con minore o maggiore umidità. 

434. Pittura e sua definizione. 

La pittura è composizione di luce e di tenebre, insieme mista colle diverse qualità 
di tutti i colori semplici e composti. 

435. Pittura a lume universale. 

Usa sempre nelle moltitudini d' uomini e d' animali di fare le parti delle loro 
figure, ovvero corpi, tanto più oscure quanto esse sono più basse e quanto esse 



438] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



145 



sono più vicine al mezzo della loro moltitudine, ancoraché 
essi sieno in sè d' uniforme colore ; e questo è neces- 
sario, perchè minor quantità del cielo, illuminatore dei 
corpi, si vede ne' bassi spazi interposti fra i detti ani- 
mali, che nelle parti supreme de' medesimi spazi. Provasi 
per la figura qui posta, dove ab ed è posto per l'arco 
del cielo, universale illuminatore de' corpi ad esso inte- 
riori ; n m sono i corpi che terminano lo spazio sfrh 
infra loro interposto, nel quale spazio si vede manifesta- 
mente che il sito / (essendo solo illuminato dalla parte 
del cielo ed) è illuminato da minor parte del cielo che 
il sito e , il quale è veduto dalla parte del cielo a b che è k t r 

tre tanti maggiore che il cielo e d ; adunque sarà più illuminata tre tanti in e che in / . 




436. De' campi proporzionati ai corpi che in essi campeggiano, e prima 
delle superficie piane d' uniforme colore. 

I campi di qualunque superficie piana e di colore e lume uniformi non parranno 
separati da essa superficie, essendo del medesimo colore e lume. Adunque, per il 
converso parranno separati, se seguita conclusione conversa. 



437. Pittura: di figura e corpo. 

I corpi regolari sono di due sorta, 1' uno de' quali è vestito di superficie curva, 
ovale o sferica, 1' altro è circondato di superficie laterata, regolare o irregolare. I corpi 
sferici, ovvero ovali, paiono sempre separati dai loro campi, ancoraché esso corpo 
sia del colore del suo campo, ed il simile accadrà de' corpi laterati ; e questo accade 
per essere disposti alla generazione delle ombre da qualcuno de' loro lati, il che 
non può accadere nelle superficie piane. 



438. Pittura: mancherà prima di notizia la parte di quel corpo che 
sarà di minor quantità. 

Delle parti di quei corpi che si rimuovono dall' occhio, quella mancherà prima 
di notizia la quale sarà di minor figura ; ne segue che la parte di maggior quan- 
tità sarà 1' ultima a mancare di sua notizia. Adunque, tu, pittore, non finire i piccoli 
membri di quelle cose che sono molto remote dall'occhio, ma seguita la regola 
data nel sesto. 

Quanti sono quelli che nel figurar le città ed altre cose remote dall' occhio 
fanno i termini notissimi degli edifici non altrimenti che se fossero in vicinissime 

L. da Vinci — Trattato della pitUira. \ Q 



i 4 6 LEONARDO DA VINCI [§ 438 

propinquità ; e questo è impossibile in natura, perchè nessuna potentissima vista 
è quella che in sì vicina propinquità possa vedere i predetti termini con vera notizia, 
perchè i termini d' essi corpi sono termini delle loro superficie, ed i termini delle 
superficie sono linee, le quali linee non sono parte alcuna della quantità di essa 
superficie, nè anche dell' aria che di sè veste tal superficie. Adunque quello che 
non è parte d' alcuna cosa è invisibile, come è provato in geometria. E se tu, 
pittore, farai essi termini spediti e noti, come è in usanza, e' non sarà da te figurata 
sì remota distanza, che per tale difetto 1 non si dimostri vicinissima. Ancora gli 
angoli degli edifici son quelli che nelle distanti città non si debbono figurare, perchè 
d' appresso è impossibile vederli, conciossiachè essi angoli sono il concorso di due 
linee in un punto, ed il punto non ha parte, adunque è invisibile. 

439. Perchè una medesima campagna si dimostra alcuna volta maggiore 
o minore eh' essa non è. 

Mostransi le campagne alcuna volta maggiori o minori che esse non sono, per 
l' interposizione dell' aria più grossa o sottile del suo ordinario, la quale s' interpone 
infra 1' orizzonte e 1' occhio che lo vede. Infra gli orizzonti di egual distanza dal- 
l' occhio, quello si dimostrerà esser più remoto, il quale sarà veduto infra l' aria 
più grossa, e quello si dimostrerà più propinquo, che si vedrà in aria più sottile. 
Una medesima cosa, veduta in distanze eguali, parrà tanto maggiore o minore, 
quanto l' aria interposta fra l' occhio e la cosa sarà più grossa o sottile. E s' è 
la cosa veduta nel termine di cento miglia di distanza, le quali miglia sieno aria 
conforme e sottile, e che la medesima cosa sia veduta nel termine di esse cento 
miglia, le quali sieno di aria uniforme e grossa con grossezza quadrupla all' aria 
antidetta, senza dubbio le medesime cose vedute nella prima aria sottile, e poi 
vedute nella grossa, parranno quattro tanti maggiori che nella sottile. 

Le cose ineguali vedute, in distanze eguali parranno eguali ; se la grossezza 
dell' aria interposta infra l' occhio ed esse cose sarà ineguale, cioè l' aria grossa 
interposta infra la cosa minore ; e questo si prova mediante la prospettiva de' colori, 
che fa che una gran montagna, parendo piccola alla misura, pare maggiore che 
una piccola vicino all' occhio, come spesso si vede che un dito vicino all' occhio 
copre una gran montagna discosta dall' occhio. 

440. Pittura. 

Fra le cose di eguale oscurità, magnitudine, figura e distanza dall' occhio, quella 
si dimostrerà minore, che sarà veduta in campo di maggior splendore o bianchezza. 



Nell'edizione romana, 1817: «effetto» 



a 441] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 147 

Questo c' insegna il sole veduto dietro alle piante senza foglie, che tutte le loro 
ramificazioni che si trovano a riscontro del corpo solare sono tanto diminuite, che 
esse restano invisibili. Il simile farà un' asta interposta fra 1' occhio e il corpo solare. 

I corpi paralleli posti per lo dritto, essendo veduti infra la nebbia, s' hanno a 
dimostrar più grossi da capo che da piedi. Provasi per la nona, che dice : la nebbia 
o 1' aria grossa penetrata dai raggi solari si mostrerà tanto più bianca, quanto essa 
è più bassa. 

Le cose vedute da lontano sono sproporzionate, e questo nasce perchè la parte 
più chiara manda all' occhio il suo simulacro con più vigoroso raggio che non fa 
la parte sua oscura. Ed io vidi una donna vestita di nero con panno bianco in 
testa, che si mostrava due tanti maggiore che la grossezza delle sue spalle, le quali 
erano vestite di nero. 



44 1 . Delle città ed altre cose vedute all' aria grossa. 



Gli edifici delle città veduti sotto 1' occhio ne' tempi delle nebbie e delle arie 
ingrossate dai fumi de' loro fuochi, od altri vapori, sempre saranno tanto meno noti 
quanto e' sono in minor altezza, e per il converso saranno tanto più spediti e noti 
quanto si vedranno in maggior altezza. Provasi per la quarta di questo, che dice: 
1' aria esser tanto più grossa quanto è più bassa, e tanto più sottile quanto è più 
alta. E questo si dimostra per essa quarta posta in margine ; e diremo la torre a f 
esser veduta dall' occhio n neh' aria grossa, la quale si divide in quattro gradi, tanto 
più grossi, quanto sono più bassi. 

Quanto minor quantità d' aria s' interpone fra 1' occhio e la cosa veduta, tanto 
meno il colore d' essa cosa parteciperà del colore di tale n 
aria. Seguita che quanto maggior quantità sarà d'aria inter- 
posta infra l' occhio e la cosa veduta, tanto più la cosa 
parteciperà del colore dell' aria interposta. Dimostrasi : 
essendo 1' occhio 11 al quale concorrono le cinque specie 
delle cinque parti della torre a f, cioè abcdef, dico che 
se l'aria fosse d'uniforme grossezza, tal proporzione avrebbe 
la partecipazione del colore dell' aria che acquista il piè 
della torre, /, con la partecipazione del colore dell' aria 
che acquista la parte della torre b , quale è la proporzione 
che ha la lunghezza della linea fm con la linea b s . Ma per la passata, che prova 
l'aria non essere uniforme nella sua grossezza, ma tanto più grossa quanto essa è 
più bassa, egli è necessario che la proporzione de' colori in che 1' aria tinge di sè 
le parti della torre b ed / sieno di maggior proporzione che la proporzione sopradetta, 
conciossiachè la linea vi /, oltre all' essere più lunga che la linea s b , passa per 
l' aria, che ha grossezza uniformemente disforme. 



















\ 




\ 








\ 



148 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 442 




442. De' raggi solari che penetrano gli spi- 
racoli de' nuvoli. 



I raggi solari penetratoli degli spiracoli interposti 
infra le varie densità e globosità de' nuvoli, illuminano 
tutti i siti dove si tagliano, ed illuminano anche le 
tenebre, e tingono di sè tutti i luoghi oscuri che sono 
dopo loro, le quali oscurità si dimostrano infra gli 
intervalli di essi raggi solari. 



443. Delle cose che 1' occhio vede sotto sè miste infra nebbia ed 
aria grossa. 

Quanto l' aria sarà più vicina all' acqua o alla terra, tanto si farà più grossa. 
Provasi per la diciannovesima del secondo, che dice : quella cosa meno si leverà 
che avrà in sè maggior gravezza ; ne seguita che la più lieve più s' innalza che la 
grave; adunque è concluso il nostro proposito. 



445. Della cosa che si mostra da lontano. 

Quella cosa oscura si dimostrerà più chiara, la quale sarà più remota dall' occhio. 
Seguita per il converso che la cosa oscura si dimostrerà di maggiore oscurità, la 
quale si troverà più vicina all' occhio. Adunque le parti inferiori di qualunque cosa 
posta nell' aria grossa parranno più remote da piedi che nelle loro sommità, e per 
questo la vicina base del monte parrà più lontana che la cima del medesimo monte, 
la quale in sè è più remota. 




444. Degli edifici veduti nell'aria grossa. 



Quella parte dell' edificio sarà manco evidente, che 



si vedrà in aria di maggior grossezza ; e così di con- 
verso sarà più nota quella che si vedrà in aria più sottile. 
Adunque l' occhio 11 , vedendo la torre a d, ne vedrà in 
ogni grado di bassezza parte manco nota e più chiara, 
ed in ogni grado d' altezza parte più nota e meno 
chiara. 



a 449] 



TRATTATO DELLA PITTURA 



— PARTE TERZA 



149 



446. Della veduta di una città in aria grossa. 

L' occhio che sotto di sè vede la città in aria grossa, vede le sommità degli 
edifici più oscure e più note che il loro nascimento, e vede le dette sommità in 
campo chiaro, perchè le vede nell'aria bassa e grossa; e questo avviene per la 
passata. 

447. De' termini inferiori delle cose remote. 

I termini inferiori delle cose remote saranno meno sensibili che i loro termini 
superiori ; e questo accade assai alle montagne e ai colli, le cime de' quali si facciano 
campi de' lati delle altre montagne che sono dopo loro ; ed a queste si vedono 
i termini di sopra più spediti che le loro basi, perchè il termine di sopra è più 
oscuro, per esser meno occupato dall' aria grossa, la quale sta ne' luoghi bassi ; e 
questa è quella che confonde i detti termini delle basi de' colli: ed il medesimo 
accade negli alberi e negli edifici ed altre cose che s'innalzano infra l'aria; e di 
qui nasce che spesso le alte torri vedute in lunga distanza paiono grosse da capo 
e sottili da piedi, perchè la parte di sopra mostra gli angoli de' lati che terminano 
con la fronte, perchè 1' aria sottile non te li cela, come la grossa a quelli da piedi ; 
e questo accade per la settima del primo, che dice : dove 1' aria grossa s' interpone 
infra l' occhio e il sole, è più lucente in basso che in alto ; e dove l' aria è più 
bianca, essa occupa all' occhio più le cose oscure che se tale aria fosse azzurra, 
come si vede in lunga distanza i merli delle fortezze avere gli spazi loro eguali 
alla larghezza de' merli, e pare assai maggiore lo spazio che il merlo ; ed in distanza 
più remota lo spazio occupa e cuopre tutto il merlo, e tal fortezza sol mostra il 
muro dritto e senza merli. 

448. Delle cose vedute da lontano. 

I termini di queir obietto saranno manco noti, che saranno veduti in maggior 
distanza. 

449. Dell'azzurro di che si mostrano essere i paesi lontani. 

Delle cose remote dall' occhio, le quali sieno di che color si voglia, quella si 
dimostrerà di colore più azzurro, la quale sarà di maggiore oscurità naturale o 
accidentale. Naturale è quella che è oscura da sè ; accidentale è quella che è oscurata 
mediante 1' ombra che le è fatta da altri obietti. 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 45o 



450. Quali sono quelle parti de' corpi delle quali per distanza manca 
la notizia. 

Quelle parti de' corpi che saranno di minor quantità saranno le prime delle 
quali per lunga distanza si perde la notizia. Questo accade perchè le specie delle 
cose minori in pari distanza vengono all' occhio con minor angolo che le maggiori, 
e la cognizione delle cose remote è di tanto minor notizia quanto esse sono di 
minor quantità. Seguita dunque, che quando la quantità maggiore in lunga distanza 
viene all' occhio per angolo minimo, e quasi si perde di notizia, la quantità minore 
del tutto manca della sua cognizione. 

451. Perchè le cose quanto più si rimuovono dall' occhio manco si 
conoscono. 

Quella cosa sarà manco nota, la quale sarà più remota dall' occhio. Questo accade 
perchè prima si perdono le parti che sono più minute, e le seconde, meno minute, 
sono perse nella maggior distanza; e così successivamente seguitando a poco a 
poco, consumandosi le parti, si consuma la notizia della cosa remota, in modo 
che alla fine si perdono tutte le parti insieme col tutto ; e manca ancora il colore 
per causa della grossezza dell' aria che s' interpone infra 1' occhio e la cosa veduta. 

452. Perchè le torri parallele paiono nelle nebbie più strette da piedi 
che da capo. 

Le torri parallele nella nebbia si dimostrano in lunga distanza più sottili da 
piedi che da capo, perchè la nebbia che loro fa campo è più spessa e più bianca 
da basso che da alto ; onde per la terza di questo che dice : la cosa scura posta 
in campo bianco diminuisce all' occhio la sua grandezza, e il converso che dice : 
la cosa bianca posta in campo scuro si dimostra più grossa che in campo chiaro, 
seguita che la bassezza della torre oscura avendo per campo la bianchezza della 
bassa e folta nebbia, essa nebbia cresce in dimostrazione sopra i termini inferiori di 
tale torre e li diminuisce ; il che far non può tal nebbia ne' termini superiori della 
torre dove la nebbia è più sottile. 

453. Perchè i volti da lontano paiono oscuri. 

Noi vediamo chiaro che tutte le similitudini delle cose evidenti che ci sono per 
obietto, così grandi come piccole, entrano al senso per la piccola luce dell' occhio. 
Se per sì piccola entrata passa la similitudine della grandezza del cielo e della terra, 



a 45 6 J TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 151 

essendo il volto dell' uomo infra sì grandi similitudini di cose quasi niente, per la 
lontananza che lo diminuisce, occupa sì poco d' essa luce, che rimane incompren- 
sibile ; ed avendo da passare dalla superficie all' impressiva per un mezzo oscuro, 
cioè il nervo vuoto, che pare oscuro, quella specie, non essendo di color potente, 
si tinge in quella oscurità della via, e giunta alla impressiva pare oscura. Altra 
cagione non si può in nessun modo integrare. Se quel punto è nero, che sta nella 
luce, è perchè egli è pieno d' un umore trasparente a guisa d' aria, e fa l' ufficio 
che farebbe un buco fatto in un' asse, che a riguardarlo par nero, e le cose vedute 
per l' aria chiara e scura si confondono nell' oscurità. 

454. Perchè l'uomo visto a certa distanza non è conosciuto. 

La prospettiva diminuita ci dimostra, che quanto la cosa è più lontana, più si 
fa piccola. E se tu riguarderai un uomo che sia distante da te una balestrata, e 
ti parrà la finestra di una piccola agucchia appresso all' occhio, potrai vedere per 
quella molti uomini mandare le loro similitudini all' occhio, e in un medesimo tempo 
tutte capiranno in detta finestra. Adunque, se 1' uomo lontano una balestrata manda 
la sua similitudine all' occhio, che occupa una piccola parte di una finestra d' aguc- 
chia, come potrai tu in sì piccola figura scorgere o vedere il naso, o bocca, od 
alcuna particola di esso corpo ? E non vedendosi, non potrai conoscere 1' uomo che 
non mostra le membra, le quali fanno gli uomini di diverse forme. 

455. Quali sono le parti che prima si perdono di notizia ne' corpi che 
si rimuovono dall' occhio, e quali più si conservano. 

Quella parte del corpo che si rimuove dall' occhio è quella che meno conserva 
la sua evidenza, la quale è di minor figura. Questo accade ne' lustri de' corpi sferici 
o colonnali, e nelle membra più sottili de' corpi, come il cervo, che prima si rimane 
di mandar all' occhio le specie, ovvero similitudini delle sue gambe e corna che il 
suo busto, il quale, per esser più grosso, più si conserva nelle sue specie. Ma la 
prima cosa che si perde in distanza sono i lineamenti, che terminano le superficie 
e figure de' corpi. 

456. Della prospettiva lineale. 

La prospettiva lineale si estende nell' ufficio delle linee visuali a provare per 
misura quanto la cosa seconda è minore che la prima, e la terza che la seconda, 
e così di grado in grado insino al fine delle cose vedute. Trovo per esperienza che 
la cosa seconda, se sarà tanto distante dalla prima quanto la prima è distante dal- 
l' occhio tuo, che, benché infra loro sieno di pari grandezza, la seconda sarà minore 



152 LEONARDO DA VINCI [§ 456 

che la prima ; e se la terza cosa sarà di pari grandezza della seconda e prima innanzi 
ad essa, sarà lontana dalla seconda quanto la seconda dalla prima, sarà di un terzo 
della grandezza della prima ; e così, di grado in grado, per pari distanza faranno sempre 
diminuzione proporzionata la seconda dalla prima, purché 1' intervallo non passi 
dentro al numero di venti braccia ; e infra dette venti braccia la figura simile a 
te perderà due quarti di sua grandezza, ed infra quaranta perderà tre quarti e poi 
cinque sesti in sessanta braccia, e così di mano in mano farà sua diminuzione, 
facendo la parete lontana da te due volte la tua grandezza, chè il farla una sola 
fa gran differenza dalle prime braccia alle seconde. 

457. De' corpi veduti nella nebbia. 

Quelle cose le quali saranno vedute nella nebbia si dimostreranno maggiori 
assai che la loro vera grandezza ; e questo nasce perchè la prospettiva del mezzo 
interposto infra 1' occhio e tale obietto non accorda il color suo con la magnitudine 
di esso obietto, perchè tal nebbia è simile alla confusa aria interposta infra 1' occhio 
e 1' orizzonte in tempo sereno, ed il corpo vicino all' occhio veduto dopo la vicina 
nebbia si mostra essere alla distanza dell' orizzonte, nel quale una grandissima torre 
si dimostrerebbe minore che il predetto uomo, stando vicino. 

458. Delle altezze degli edifici visti nelle nebbie. 

Quella parte del vicino edificio si mostra più confusa, la quale è più remota 
da terra ; e questo nasce perchè più nebbia è infra 1' occhio e la cima dell' edificio, 
che non è dall' occhio alla sua base. La torre parallela veduta in lunga distanza 
infra la nebbia si dimostrerà tanto più sottile, quanto essa sarà più vicina alla sua 
base. Questo nasce per la passata, che dice : la nebbia si dimostra tanto più bianca 
e più spessa, quanto essa è più vicina alla terra, e per la seconda di questo, che 
dice : la cosa oscura parrà di tanto minor figura quanto essa sarà veduta in campo 
di più potente bianchezza. Adunque, essendo più bianca la nebbia da piedi che da 
capo, è necessario che l' oscurità di tal torre si dimostri più stretta da piedi che 
da capo. 

459. Delle città ed altri edifici veduti la sera o la mattina nella nebbia. 

Negli edifici veduti in lunga distanza da sera o da mattina nella nebbia od aria 
grossa, solo si dimostra la chiarezza delle loro parti illuminate dal sole, che si trova 
inverso 1' orizzonte, e le parti de' detti edifici che non sono vedute dal sole restano 
quasi del colore di mediocre oscurità di nebbia. 



a 461] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



153 



460. Perchè le cose più alte poste nella distanza sono più oscure che 
le basse, ancoraché la nebbia sia uniforme in grossezza. 

Delle cose poste nella nebbia, od altra 
aria grossa, o per vapore, o per fumo, o 
per distanza, quella sarà tanto più nota, 
che sarà più alta ; e delle cose di eguale 
altezza quella parrà più oscura, che cam- 
peggia in più profonda nebbia, come ac- 
cade all' occhio h , che vedendo abc torri 
di eguale altezza infra loro, vede c , som- 
mità della prima torre, in r , bassezza di 
due gradi di profondità nella nebbia, e 
vede la sommità della torre di mezzo b in un sol grado di nebbia ; adunque c som 
mità si dimostra più oscura che la sommità della torre b . 

























r 


\ 

















461. Delle macchie delle ombre che appariscono ne' corpi da lontano. 

Sempre la gola od altra perpendicolare dirittura che sopra di sè abbia alcuno 
sporto sarà più oscura che la faccia perpendicolare di esso sporto ; ne seguita che 
quel corpo si dimostrerà più illuminato, che da maggior somma di un medesimo 
lume sarà veduto. Vedi in a che non v' illumina parte alcuna del cielo fk, ed in b 
vi illumina il cielo ik, ed in c il cielo hk, ed in d il cielo gk, 



ed in e il cielo fk integralmente ; adunque il petto sarà di pari 
chiarezza della fronte, naso e mento. Ma quello che io ti ho a 
ricordare de' volti, è che tu consideri in quelli come in diverse 
distanze si perdono diverse qualità d' ombre, e solo restano à ì 
quelle prime macchie, cioè della incassatura dell' occhio ed j 




altre simili, e nel fine il viso rimane oscuro, perchè in quello / 
si consumano i lumi, i quali sono piccola cosa a compa- 
razione delle ombre mezzane, per la qual cosa a lungo andare si consuma qualità 
e quantità de' lumi ed ombre principali, e si confonde ogni qualità in un' ombra 
mezzana. E questa è la causa che gli alberi ed ogni corpo a certa distanza si dimo- 
strano farsi in sè più oscuri che essendo quelli medesimi vicini all' occhio ; la quale 
oscurità nell' aria che s' interpone infra 1' occhio e la cosa fa che essa cosa si rischiara 
e pende in azzurro ; ma piuttosto azzurreggia nelle ombre che nelle parti luminose, 
dove si mostra più la verità de' colori. 



L. da Vinci — Trattato della pittura. 



20 



154 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 462 



462. Perchè sul far della sera le ombre de' corpi generate in bianca 
parete sono azzurre. 

Le ombre de' corpi generate dal rossore del sole vicino all' orizzonte sempre 
saranno azzurre ; e questo nasce per 1' undecima, dove si dice : la superficie di ogni 
corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Adunque, essendo la. bianchezza 
della parete privata al tutto d'ogni colore, si tinge del colore de' suoi obietti, i quali 
sono in questo caso il sole ed il cielo, perchè il sole rosseggia verso la sera, ed 
il cielo dimostra azzurro ; e dove è 1' ombra non vede il 
sole, per 1' ottava delle ombre, che dice : il luminoso non 
vede mai le ombre da esso figurate ; 1 e dove in tal parete 
non vede il sole, quivi è veduto dal cielo ; adunque per la 
detta undecima, l'ombra derivativa avrà la percussione nella 
bianca parete di colore azzurro, ed il campo d' essa ombra veduto dal rossore del 
sole parteciperà del color rosso. 

463. Dove è più chiaro il fumo. 

Il fumo veduto infra il sole e 1' occhio sarà chiaro e lucido più che alcun' altra 
parte del paese dove nasce ; il medesimo fanno la polvere e la nebbia, le quali, se 
tu sarai ancora infra il sole e loro, ti parranno oscure. 

464. Della polvere. 

La polvere che si leva per il corso d' alcun animale, quanto più si leva, più è 
chiara, e così più è oscura, quanto meno s'innalza, stante essa infra il sole e l'occhio. 

465. Del fumo. 

Il fumo è più trasparente ed oscuro inverso gli estremi delle sue globulenze che 
inverso i loro mezzi. 

Il fumo si muove con tanto maggiore obliquità, quanto il vento suo motore è 
più potente. 

Sono i fumi di tanti vari colori, quante sono le varietà delle cose che li generano. 
I fumi non fanno ombre terminate, ed i loro confini sono tanto meno noti, 
quanto essi sono più distanti dalle loro cause ; e le cose poste dopo loro sono tanto 




x Nel codice : « Nessun luminoso non vede mai », ecc. Neil' edizione romana, 1817 : « Nessun luminoso non 
vide mai le ombre del corpo da lui illuminato ; quivi è veduto », ecc. 



a 468] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 155 

meno evidenti, quanto i gruppi del fumo sono più densi ; e tanto più son bianchi, 
quanto sono più vicini al principio, e più azzurri inverso il fine. 

Il fuoco parrà tanto più scuro, quanto maggior somma di fumo s' interporrà 
infra l' occhio ed esso fuoco. 

Dove il fumo è più remoto, le cose sono da esso meno occupate. 

Fa il paese con fumo ad uso di spessa nebbia, nella quale si vedano fumi in 
diversi luoghi con le loro fiamme ne' principi illuminatrici delle più dense globu- 
lenze d' essi fumi; ed i monti più alti, più sieno evidenti che le loro radici, come 
fare si vede nelle nebbie. 1 

466. Pittura. 

La superficie di ogni opaco partecipa del colore del suo obietto, e tanto più, 
quanto tal superficie si avvicina a maggior bianchezza. 

La superficie d' ogni opaco partecipa del colore del mezzo trasparente interposto 
infra l' occhio ed essa superficie ; e tanto più, quanto esso mezzo è più denso, o 
con maggiore spazio s' interpone infra V occhio e la detta superficie. 

I termini de' corpi opachi saranno meno noti quanto saranno più distanti 
dall' occhio che li vede. 

467. Della parte del corpo opaco. 

Quella parte del corpo opaco sarà più ombrata o illuminata, che sarà più vicina 
all' ombroso che l' oscura, o al luminoso che l' illumina. 

La superficie d' ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto, ma con 
tanto maggiore o minore impressione quanto esso obietto è più vicino o remoto, o 
di maggiore o minor potenza. 

Le cose vedute infra il lume e le ombre si dimostreranno di maggior rilievo 
che quelle che sono nel lume o nelle ombre. 

468. Precetto di pittura. 

Quando tu farai nelle lunghe distanze le cose cognite e spedite, esse cose non 
distanti ma propinque si dimostreranno. Adunque, nella tua imitazione fa che le 
cose abbiano quella parte della cognizione che mostrano le distanze ; e se la cosa 
che ti sta per obietto sarà di termini confusi e dubbiosi, ancora tu farai il simile 
nel tuo simulacro. 



1 Nota nel codice : « Era sotto di questo capitolo un rompimento di montagna, per dentro delle quali rotture 
scherzavano fiamme di fuoco, disegnate di penna ed ombrate di acquarella, da vedere cosa mirabile e viva». 



156 LEONARDO DA VINCI [§ 468 

Le cose distanti per due diverse cause si dimostrano di confusi e dubbiosi 
termini ; l' una delle quali è che viene per tanto piccolo angolo all' occhio, eh' essa 
diminuisce tanto, che fa l' ufficio delle cose minime, che, ancoraché esse sieno vicine 
all' occhio, l' occhio non può comprendere di che figura si sia tal corpo, come sono 
le unghie delle dita delle formiche e simili cose. La seconda è, che infra l' occhio e 
le cose distanti s' interpone tanto d' aria che essa si fa spessa e grossa ; per la sua 
bianchezza essa tinge le ombre e le vela della sua bianchezza, e le fa oscure d' un 
colore il quale è tra nero e bianco, quale è 1' azzurro. 

Benché per le lunghe distanze si perda la cognizione dell' essere di molte cose, 
nondimeno quelle che saranno illuminate dal sole si renderanno di più certa dimo- 
strazione, e le altre nelle confuse nebbie parranno involte. 

Perchè in ogni grado di bassezza l' aria acquista parte di grossezza, le cose 
che saranno più basse si dimostreranno più confuse, e così di converso. 

Quando il sole fa rosseggiare i nuvoli dell' orizzonte, le cose che per la distanza 
si vestivano d'azzurro saranno partecipanti di tal rossore, onde si farà una mistione 
infra azzurro e rosso, la quale renderà la campagna molto allegra e gioconda; e 
tutte le cose che saranno illuminate da tal rossore, che sono dense, saranno molto 
evidenti, e rosseggieranno ; e l'aria per esser trasparente avrà in sé per tutto infuso 
tal rosseggiamento, onde si dimostrerà del color del fiore de' gigli. 

Sempre quell' aria che sta infra il sole e la terra, quando si leva o pone, sarà 
più occupatrice delle cose che sono dopo essa che nessun' altra parte d' aria ; e questo 
nasce dall'essere essa più biancheggiante. 

469. De' termini della cosa bianca. 

Non sian fatti profili ne' termini di un corpo che campeggi sopra un altro, ma 
solo esso corpo per sé si spiccherà. 

Se il termine della cosa bianca si scontrerà sopra altra cosa bianca, se esso 
sarà curvo, creerà termine oscuro per sua natura, e sarà la più oscura parte che 
abbia la parte luminosa, e se campeggierà in luogo oscuro, esso termine parrà la 
più chiara parte che abbia la parte luminosa. 

Quella cosa parrà più remota e spiccata dall' altra che campeggierà in campo 
più vario da sé. 

Nelle distanze si perdono prima i termini de' corpi che hanno colori simili, e 
che il termine dell' uno sia sopra dell' altro, come il termine d' una quercia sopra 
un' altra quercia simile. Secondo, in maggior distanza si perderanno i termini dei 
corpi di colori mezzani terminati 1' uno sopra dell' altro, com' è verde, cioè alberi, 
terreno lavorato, muraglie, od altre rovine di monti o di sassi. Per ultimo si perde- 
ranno i termini de' corpi terminati il chiaro nell' oscuro e 1' oscuro nel chiaro. 



a 470] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



157 



470. Precetto. 

Infra le cose di eguale altezza che sopra 1' occhio sieno situate, quella che sarà più 
remota dall' occhio parrà più bassa. E se sarà situata sotto V occhio, la più vicina 
ad esso occhio parrà più bassa; e le laterali parallele concorreranno in un punto. 

Manco sono evidenti ne' siti lontani le cose che sono d' intorno ai fiumi, che 
quelle che da tali fiumi o paduli sono remote. 

Infra le cose di eguale spessitudine, quelle che saranno più vicine all'occhio 
parranno più rare, e le più remote si mostreranno più spesse. 

L' occhio che sarà di maggior pupilla vedrà 1' obietto di maggior figura. Questo 
si dimostra nel guardare un corpo celeste per un piccolo spiracolo fatto con 1' ago 
nella carta, che per non poter operare di essa luce se non una piccola parte, esso 
corpo pare diminuire tanto della sua grandezza, quanto la parte della luce che lo 
vede è mancante del suo tutto. 

L' aria che è ingrossata, e s' interpone infra 1' occhio e la cosa, ti rende essa 
cosa d' incerti e confusi termini, e fa esso obietto parere di maggior figura che non è. 
Questo nasce perchè la prospettiva lineale non diminuisce l' angolo che porta le 
sue specie all' occhio, e la prospettiva de' colori la spinge e rimuove in maggior 
distanza che essa non è ; sicché 1' una la rimuove dall' occhio, e 1' altra le conserva 
la sua magnitudine. 

Quando il sole è in occidente, le nebbie che ricadono ingrossano l' aria, e le 
cose che non sono vedute dal sole restano oscure e confuse, e quelle che dal sole 
sono illuminate rosseggiano e gialleggiano, secondo che il sole si dimostra all' oriz- 
zonte. Ancora le cose che da questo sono illuminate sono forte evidenti, e massime 
gli edifici e le case delle città e ville, perchè le loro ombre sono oscure, e pare 
che tale loro certa dimostrazione nasca di confusi ed incerti fondamenti ; perchè ogni 
cosa è d' un colore, se non è veduta da esso sole. 

Quando il sole è in occidente, i nuvoli che infra esso e te si trovano sono illu- 
minati di sotto, chè vedono il sole, e gli altri di qua sono oscuri, ma di scuro 
rosseggiante, ed i trasparenti hanno poche ombre. 

La cosa illuminata dal sole è ancora illuminata dall' aria, in modo che si creano 
due ombre, delle quali quella sarà più oscura, che avrà la sua linea centrale dritta 
al centro del sole. Sempre la linea centrale del lume primitivo e derivativo sarà 
con la linea centrale 
delle ombre primitive o 
derivative. 

Bello spettacolo fa 
il sole quando è in po- 
nente, il quale illumina 






158 LEONARDO DA VINCI [§ 470 

tutti gli alti edifici delle città e castella, e gli alti alberi delle campagne, e li tinge 
del suo colore; e tutto il resto da lì in giù rimane di poco rilievo, perchè, essendo 

solamente illuminato dall' aria, 
hanno poca differenza le ombre 
dai lumi, e per questo non spic- 
cano troppo ; e le cose che infra queste più s' innalzano sono tocche dai raggi solari, 
e, come si è detto, si tingono nel loro colore; onde tu hai a torre del colore di 

,2. -che tu fai il sole, e ne hai a mettere 
in qualunque color chiaro con il 
quale tu illumini essi corpi. 
Ancora spesse volte accade che 
un nuvolo parrà oscuro senza avere ombra da altro nuvolo da esso separato ; e questo 
accade secondo il sito dell' occhio, perchè dell' uno vicino vede solo la parte ombrosa, 
e degli altri vede l'ombrosa e la luminosa. 

Infra le cose di eguale altezza, quella che sarà più distante dall' occhio parrà 

più bassa. Vedi che il nuvolo 
primo, ancoraché sia più basso 
che il secondo, pare più alto 
di questo, come ti dimostra 
nella parete il tagliamento della 
piramide del primo nuvolo 
basso in no , e nel secondo 
più alto in n m , sotto o n . Questo nasce quando ti par vedere un nuvolo oscuro 
più alto che un nuvolo chiaro per i raggi del sole o in oriente o in occidente 




471. Perchè la cosa dipinta, ancoraché essa venga all' occhio per quella 
medesima grossezza d' angolo che quella che è più remota di essa, 
non pare tanto remota quanto quella della remozione naturale. 

Diciamo: io dipingo sulla parete ab una cosa che abbia a parere distante un 




miglio, e dipoi io gliene metto 



illato una che ha la vera distanza 
di un miglio, le quali due cose 
sono in modo ordinate, che la parete ac taglia le piramidi con egual grandezza; 
nientedimeno mai con due occhi parranno di egual distanza. 



472. Pittura. 

Principalissima parte della pittura sono i campi delle cose dipinte, ne' quali campi 
i termini de' corpi naturali che hanno in essi curvità convessa sempre si cono- 



a 475] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 159 

scono le figure di tai corpi in essi campi, ancoraché i colori de' corpi sieno del 
medesimo colore del predetto campo. E questo nasce perchè i termini convessi 
de' corpi non sono illuminati nel medesimo modo che dal medesimo lume è illu- 
minato il campo, perchè tal termine molte volte è più chiaro o più oscuro che 
esso campo. Ma se tal termine è del colore di tal campo, senza dubbio tal parte 
di pittura proibirà la notizia della figura di tal termine, e questa tale elezione di 
pittura è da essere schivata dagl' ingegni de' buoni pittori, conciossiachè l' inten- 
zione del pittore è di far parere i suoi corpi di qua dai campi ; e nel sopradetto 
caso accade il contrario, non che in pittura, ma nelle cose di rilievo. 

473. Del giudizio ch'hai da fare sopra un'opera d'un pittore. 

Prima è che tu consideri le figure, se hanno il rilievo qual richiede il sito 
ed il lume che le illumina, e che le ombre non sieno quelle medesime negli estremi 
dell' istoria che nel mezzo, perchè altra cosa è V essere circondato dall' ombra, ed 
altra è l' aver 1' ombra da un sol lato. Quelle sono circondate dalle ombre, che 
sono inverso il mezzo dell' istoria, perchè sono adombrate dalle figure interposte 
infra esse ed il lume : e quelle sono adombrate da un solo lato, le quali sono inter- 
poste infra il lume e l'istoria, perchè dove non vede il lume, vede l'istoria, e vi 
rappresenta 1' oscurità d' essa istoria, e dove non vede l' istoria, vede lo splendore 
del lume, e vi si rappresenta la sua chiarezza. 

Secondaria è che il seminamento, ovvero compartizione delle figure, sia secondo 
il caso del quale tu vuoi che sia essa istoria. 

Terza, che le figure sieno con prontitudine intente al loro particolare. 

474. Del rilievo delle figure remote dall'occhio. 

Quel corpo opaco si dimostrerà essere di minor rilievo, il quale sarà più distante 
dall' occhio ; e questo accade perchè l' aria interposta fra l' occhio ed esso corpo 
opaco, per esser essa cosa chiara più che l' ombra di tal corpo, corrompe essa 
ombra, e la rischiara, e le toglie la potenza della sua oscurità, la qual cosa è causa 
di farle perdere il suo rilievo. 

475. De' termini de' membri illuminati. 

Il termine di quel membro illuminato parrà più oscuro, che sarà veduto in 
campo più chiaro, e così parrà più chiaro quello che sarà veduto in campo più 
oscuro ; e se tal termine sarà piano e veduto in campo chiaro simile alla chiarezza 
sua, il termine sarà insensibile. 



ióo 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 476 



476. De' termini. 

I termini delle cose seconde non saranno mai cogniti come i primi. Adunque 
tu, pittore, non terminare immediate le cose quarte con le quinte, come le prime 
con le seconde, perchè il termine d' una cosa in un' altra è di natura di linea mate- 
matica, ma non linea ; perchè il termine d' un colore è principio d' un altro colore, 
e non ha da essere però detto linea, perchè nessuna cosa s' interpone infra il termine 
di un colore che sia anteposto ad un altro colore, se non è il termine, il quale 
è cosa insensibile d' appresso ; adunque tu, pittore, non lo pronunziare nelle cose 
distanti. 

477. Delle incarnazioni e figure remote dall'occhio. 

Devesi per lo pittore porre nelle figure e cose remote dall' occhio solamente le 
macchie, non terminate, ma di confusi termini ; e sia fatta 1' elezione di tali figure 
quando è nuvolo, o in sulla sera, e sopratutto guardisi, come ho detto, dai lumi 
ed ombre terminate, perchè paiono poi tinte quando si vedono da lontano, e riescono 
poi opere difficili e senza grazia. E ti hai a ricordare che mai le ombre sieno di 
qualità, che per la loro oscurità tu abbia a perdere il colore ove si causano, se già 
il luogo dove i corpi sono situati non fosse tenebroso ; e non far profili, non disfilar 
capelli, non dar lumi bianchi, se non nelle cose bianche, e che essi lumi abbiano 
a dimostrare la prima bellezza del colore dove si posano. 

478. Pittura. 

I termini e la figura di qualunque parte de' corpi ombrosi male si conoscono 
nelle ombre e ne' lumi loro ; ma nelle parti interposte infra i lumi e le ombre le 
parti di essi corpi sono in primo grado di notizia. 

479. Discorso di pittura. 

La prospettiva, la quale si estende nella pittura, si divide in tre parti princi- 
pali, delle quali la prima è della diminuzione che fanno le quantità de' corpi in 
diverse distanze ; la seconda parte è quella che tratta della diminuzione de' colori di 
tali corpi ; la terza è quella che diminuisce la notizia delle figure e de' termini che 
hanno essi corpi in varie distanze. 



a 481] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



161 



480. Pittura. 

L' azzurro dell' aria è di color composto di luce e di tenebre ; la luce dico per 
causa dell' aria illuminata nelle particole dell' umidità infra essa aria infusa ; per le 
tenebre dico 1' aria pura, la quale non è divisa in atomi, cioè particole d' umidità, 
nella quale s' abbiano a percuotere i raggi solari. E di questo si vede l' esempio 
nell' aria che s' interpone infra 1' occhio e le montagne ombrose per le ombre della 
gran copia degli alberi che sopra esse si trovano, ovvero ombrose in quella parte 
che non è percossa dai raggi solari, la quale aria si fa azzurra, e non si fa azzurra 
nella parte sua luminosa, e peggio nella parte coperta di neve. 

Fra le cose egualmente oscure e di egual distanza, quella si dimostrerà esser 
più oscura, che terminerà in più bianco campo, e così di converso. 

Quella cosa che sarà dipinta di bianco e nero apparirà di miglior rilievo che 
alcun' altra. Però ricordati, pittore, di vestire le tue figure di colori più chiari che 
tu puoi : chè se le farai di colore oscuro, saranno di poco rilievo e di poca evidenza 
da lontano, e questo perchè le ombre di tutte le cose sono oscure ; e se farai una 
veste oscura, poco divario sarà dal lume alle ombre ; e ne' colori chiari vi sarà 
gran differenza. 

481. Perchè di due cose di pari grandezza parrà maggiore la dipinta 
che quella di rilievo. 

Questa ragione non è di facile dimostrazione, come molte altre, ma pure mi 
ingegnerò di satisfare, se non in tutto, almeno in quel tanto che più potrò. La 
prospettiva diminuita ci dimostra per ragione che le cose, quanto più son lontane 
dall'occhio, più diminuiscono, e queste ragioni ben son confermate dall'esperienza; 
adunque le linee visuali che si trovano infra 1' obietto e l' occhio, quando s' estendono 
alla superficie della pittura, tutte si tagliano a un medesimo termine, e le linee 
che si trovano infra 1' occhio e la scultura sono di vari termini e lunghezze. Quella 
linea è più lunga che s' estende sopra un membro più lontano che gli altri, e però 
quel membro pare minore, essendovi molte linee più lunghe che le altre ; e per 
cagione che vi sono molte particole più lontane 1' una che l'altra, ed essendo più 
lontane, conviene eh' appariscano minori ; apparendo minori, vengono a fare, pel loro 
diminuire, minore tutta la somma dell' obietto. E questo non accade nella pittura. 
Per le linee terminate ad una medesima distanza, conviene che sieno senza diminu- 
zione ; adunque le particole non diminuite non diminuiscono la somma dell' obietto ; 
e per questo non diminuisce la pittura come la scultura. 



L. da Vinci — Trattato della pitUira. 



62 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 482 



482. Perchè le cose perfettamente ritratte di naturale non paiono del 
medesimo rilievo qual pare esso naturale. 

Impossibile è che la pittura, imitata con somma perfezione di lineamenti, ombra, 
lume, colore, possa parere del medesimo rilievo qual pare il naturale, se già tal 
naturale in lunga distanza non è veduto da un sol occhio. Provasi, e sieno gli 
occhi a b i quali veggano V obietto c col concorso delle linee centrali degli occhi a c 

e b c , le quali linee concorrono a tale 
obietto nel punto c; e le altre linee 
laterali di essa centrale vedono dietro 
a tal obietto lo spazio gd, e l' occhio a 
vede tutto lo spazio fd e 1' occhio b 
vede tutto lo spazio ge. Adunque i 
due occhi vedono di dietro all' obietto c tutto lo spazio fe ; per la qual cosa tal 
obietto c resta trasparente, secondo la definizione della trasparenza, dietro la quale 
niente si nasconde; il che intervenir non può a quello che vede con un sol occhio 
un obietto maggiore di esso occhio ; nè intervenire potrebbe a queir occhio che 
vede obietti assai minori della sua pupilla, come in margine si dimostra. E per quello 
che si è detto possiamo conchiudere il nostro quesito : perchè una cosa dipinta 
occupa tutto lo spazio che ha dietro a sè, e per nessuna via è possibile veder parte 
alcuna del campo eh' è dentro alla linea sua circonferenziale di dietro a sè. 




483. Qual pare più rilevato, o il rilievo vicino all'occhio, o il rilievo 
remoto da esso occhio. 

Quel corpo opaco si dimostrerà di maggior rilievo, il quale sarà più vicino 
all' occhio ; e per conseguenza la cosa più remota si dimostrerà di minor rilievo, 
cioè meno spiccata dal suo campo. Provasi, e sia / la fronte dell'obietto ph, eh' è 

& a, più vicino all'occhio a che non è n, fronte dell'obietto nm, ed 

^ il campo dp è quello che si deve vedere dopo i primi due 
„ detti obietti dall' occhio a . Ora noi vediamo 1' occhio a , che 
vede di là dall'obietto ph tutto il campo df, e non vede 
dopo il secondo obietto n m , se non la parte del campo dg . Adunque diremo, che 
tal proporzione sarà da dimostrazione a dimostrazione del rilievo de' due obietti, 
qual è da campo a campo, cioè dal campo dg al campo df. . 

484. Precetto. 

Le cose di rilievo d' appresso viste con un sol occhio parranno simili ad una 
perfetta pittura. 




a 488] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 

Se vedrai con gli occhi a b il punto c , ti parrà esso punto c 
in df\ e se lo guardi coli' occhio solo g t ti parrà h in m ; e la 
pittura non avrà mai in sè queste due varietà. 



485. Di far che le cose paiano spiccate da' lor *£~ U ^ 
campi, cioè dalla parete dove sono dipinte. 

Molto più rilievo mostreranno le cose nel campo chiaro e illuminato che nel- 
1' oscuro. La ragione di quel che si propone è, che se tu vuoi dar rilievo alla tua 
figura, tu la fai che quella parte del corpo che è più remota dal lume manco 
partecipi di esso lume ; onde viene a rimanere più oscura, e terminando poi in 
campo scuro, viene a cadere in confusi termini ; per la qual cosa, se non vi accade 
riflesso, l' opera resta senza grazia, e da lontano non appariscono se non le parti 
luminose, onde conviene che le oscure paiano esser del campo medesimo ; onde 
le cose paiono tagliate e rilevate tanto meno del dovere, quanto è 1' oscuro. 




486. Precetto. 

Le figure hanno più grazia poste ne' lumi universali che ne' particolari e piccoli, 
perchè i gran lumi, non potenti, abbracciano i rilievi de' corpi, e le opere fatte in 
tali lumi appariscono da lontano con grazia ; e quelle che sono ritratte a lumi piccoli 
pigliano gran somma d' ombra, e simili opere fatte con tali ombre mai appariscono 
dai luoghi lontani altro che tinte. 

487. Come le figure spesso somigliano ai loro maestri. 

Questo accade, che il giudizio nostro è quello che muove la mano alle creazioni 
de' lineamenti di esse figure per diversi aspetti insino a tanto ch'esso si satisfaccia; 
e perchè esso giudizio è una delle potenze dell'anima nostra, con il quale essa com- 
pose la forma del corpo, dov' essa abita, secondo il suo volere, onde, avendo colle 
mani a rifare un corpo umano, volontieri rifà quel corpo, di eh' essa fu prima inven- 
trice. E di qui nasce che chi s' innamora, volontieri s' innamora di cose a sè 
somiglianti. 

488. Del figurare le parti del mondo. 

Sarai avvertito ancora, che ne' luoghi marittimi, o vicini a quelli volti alle parti 
meridionali, non farai il verno figurato negli alberi o prati come nelle parti remote 
da essi mari e settentrionali faresti, eccetto che negli alberi i quali ogni anno 
gittano le foglie. 



64 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 489 



489. Del figurare le quattro cose de' tempi dell'anno, o partecipanti 
di quelle. 

Neil' autunno farai le cose secondo 1' età di tal tempo, cioè nel principio comin- 
ciano ad impallidir le foglie degli alberi ne' più vecchi rami, più o meno secondo 
che la pianta è in luogo sterile o fertile, ed ancora più pallide e rosseggianti a quelle 
specie d' alberi, i quali furono i primi a fare i loro frutti ; e non fare come molti 
fanno, tutte le sorta degli alberi, ancoraché da te sieno egualmente distanti, di 
una medesima qualità di verde. Così dicendo de' prati, come delle piante ed altre 
qualità di terreni e sassi, e pedali delle predette piante, varia sempre, perchè la 
natura è variabile in infinito, non che nelle specie, ma nelle medesime piante troverà 
vari colori, cioè nelle vimene son più belle e maggiori le foglie che negli altri rami. 
Ed è tanto dilettevole natura e copiosa nel variare, che infra gli alberi della mede- 
sima natura non si troverebbe una pianta che appresso somigliasse all' altra, e non 
che le piante, ma i rami, o foglie, o frutti di quelle, non si troverà uno che preci- 
samente somigli a un altro ; sicché abbi tu avvertenza, e varia quanto più puoi. 

490. Del vento dipinto. 

Nella figurazione del vento, oltre al piegar de' rami ed al rovesciar foglie inverso 
l' avvenimento del vento, si deve raffigurare i rannugolamenti della sottil polvere 
mista con l' intorbidata aria. 

491. Del principio di una pioggia. 

La pioggia cade infra l'aria, quella oscurando con livida tintura, pigliando dall'uno 
de' lati il lume del sole, e 1' ombra dalla parte opposita, come si vede fare alle nebbie; 
ed oscurasi la terra> a cui da tal pioggia è tolto lo splendor del sole; e le cose 
vedute di là da essa sono di confusi ed inintelligibili termini, e le cose che saranno 
più vicine all' occhio saranno più note ; e più note saranno le cose vedute nella 
pioggia ombrosa, che quelle della pioggia illuminata. E questo accade perchè le 
cose vedute nelle ombrose pioggie solo perdono i lumi principali; ma le cose che 
si vedono nelle luminose perdono il lume e le ombre, perchè le parti luminose 
si mischiano con la luminosità dell' illuminata aria, e le parti ombrose sono rischiarate 
dalla medesima chiarezza della detta aria illuminata. 1 



1 Nota nel codice : « Era a mezzo questo capitolo una città in iscorto, sopra della quale cadeva una pioggia 
rischiarata a loco a loco dal sole, tocca d'acquarella, cosa bellissima da vedere, pur di man propria dell'autore ». 



a 494] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



165 



492. Della disposizione di una fortuna di venti e di pioggia. 

Vedesi 1' aria tinta di oscura nuvolosità negli apparecchi delle procelle, ovvero 
fortune del mare, le quali sono mischie di pioggie e di venti con serpeggiamenti 
de' tortuosi corsi delle minaccianti folgori celesti; e le piante piegate a terra colle 
rovesciate foglie sopra i declinanti rami, le quali paiono voler fuggire dai lor siti, 
come spaventate dalle percussioni degli orribili e spaventosi voli de' venti, fra i quali 
s'infondono i revertiginosi corsi della turbolenta polvere ed arena de' liti marini; 
l' oscuro orizzonte del cielo si fa campo di fumolenti nuvoli, i quali, percossi dai 
solari raggi penetrati per le opposite rotture de' nuvoli, percuotono la terra, quella 
illuminando sotto le loro percussioni ; i venti persecutori della polvere, quella con 
gruppolenti globosità levano a balzo infra V aria con colore cineruleo mista con i 
rosseggiali ti raggi solari di quella penetratori. Gli animali, senza guida spaventati, 
discorrono a rote per diversi siti; i tuoni creati nelle globulose nuvole scacciano 
da sè le infuriate saette, la luce delle quali illumina le ombrose campagne in diversi 
luoghi. 



493. Delle ombre fatte da' ponti sopra la loro acqua. 

Le ombre de' ponti non saranno mai vedute sopra le loro acque, se prima 
l' acqua non perde 1' ufficio dello specchiare per causa di torbidezza. E questo si 
prova, perchè 1' acqua chiara è di superficie lustra e r. 
pulita, e specchia il ponte in tutti i luoghi interposti — -^^^^^^^ 
infra eguali angoli infra l' occhio ed il ponte, e specchia 

l' aria sotto il ponte, dove deve essere l' ombra di tal ponte, il che non può far 
l'acqua torbida, perchè non specchia, ma ben riceve l'ombra, come farebbe una strada 
polverente. 



494. De' simulacri chiari o scuri che s' imprimono sopra i luoghi ombrosi 
e luminati posti infra la superficie ed il fondo delle acque chiare. 

Quando i simulacri degli obietti oscuri o luminosi s' imprimono sopra le parti 
oscure o illuminate de' corpi interposti infra il fondo delle acque e la superficie, 
allora le parti ombrose di essi corpi si faranno più scure, che saranno coperte dai 
simulacri ombrosi ; ed il simile faranno le loro parti luminose ; ma se sopra le parti 
ombrose e luminose s' imprimeranno i simulacri luminosi, allora le parti illuminate 
de' predetti corpi si faranno di maggior chiarezza, e le loro ombre perderanno la 
loro grande oscurità ; e questi tali corpi si dimostreranno di minor rilievo, che i 
corpi percossi dai simulacri oscuri. E questo accade, perchè, com'è detto, i simulacri 



i66 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 494 



ombrosi aumentano le ombre de' corpi ombrosi, i quali, ancoraché sieno veduti 
dal sole, che penetra la superficie dell'acqua, e facciansi colle loro ombre forte 
differenti dai lumi di essi corpi, s' aggiunge ad essi 1' ombra coli' oscurità del simu- 
lacro oscuro, che si specchia nella pelle delle acque ; e così si aumenta l' ombra di 
questi corpi facendosi più oscura. Ed ancoraché tale simulacro oscuro tinga di sé 
le parti illuminate di tali corpi sommersi, non gli manca la chiarezza che gli dà 
la percussione de' raggi solari, la quale, ancora eh' essa sia alquanto alterata da 
esso simulacro oscuro, poco nuoce, perchè gli è tanto il giovamento eh' esso dà alle 
parti ombrose, che i corpi sommersi hanno più rilievo assai che quelli che sono 
alterati dal simulacro luminoso ; il quale, ancoraché rischiari le loro parti illumi- 



di sé il simulacro, il quale si specchia nella superficie di tale acqua, e che un' altra 
parte di ghiaia abbia sopra di sé il simulacro dell'aria besm, dico che la ghiaia 
coperta dal simulacro oscuro sarà più visibile che la ghiaia eh' è coperta dalla chiarezza 
del simulacro chiaro ; e la cagione si è che la parte percossa dal simulacro oscuro è 
più visibile che quella eh' è percossa dal simulacro illuminato, perchè la virtù visiva 
è superata ed offesa dalla parte illuminata dell' acqua, per l' aria che in essa si 
specchia, e così è aumentata tal virtù visiva dalla parte oscurata di essa acqua, ed 
in questo caso la pupilla dell' occhio non è d' uniforme virtù, perchè da un lato è 
offesa dal troppo lume e dall' altro aumentata dall' oscuro. 

Adunque quel eh' è detto di sopra non nasce se non da cause remote da tali 
acque e da tali simulacri, perchè solo tal cosa nasce dall' occhio, il quale è offeso 
dallo splendore del simulacro dell' aria, ed è aumentato dall' altra parte dal simu- 
lacro oscuro. 

495. Dell'acqua chiara è trasparente il fondo fuori della superficie. 

Dell' acqua che per la sua trasparenza si vede il fondo, si dimostrerà tanto più 
spedito esso fondo, quanto 1' acqua sarà di più tardo moto ; e questo accade perchè 
le acque che son di tardo moto hanno la superficie senz'onde; per la sua planizie 
superficiale si vedono le vere figure delle ghiaie ed arena poste in fondo di esse 
acque ; e questo intervenire non può all' acqua di veloce moto, per causa delle 
onde che si generano nella superficie ; per le quali onde avendo a passare i simu- 
lacri delle varie figure delle ghiaie, non le possono portare all' occhio, perchè le 




nate siccome le ombrose, le alterazioni di esse parti 
ombrose sono di tanta chiarezza, che tali corpi som- 
mersi in tal sito si dimostrano di poco rilievo. Sia 
che il pelago nm tv abbia ghiaia, o erbe, o altri corpi 
ombrosi nel fondo della chiarezza della sua acqua, 
la quale pigli i suoi lumi dai raggi solari eh' escono 
dal sole d , e che una parte di ghiaia abbia sopra 



a 499 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



167 



varie obliquità de' lati e fronti delle onde, e curvità, e lor 
sommità, ed intervalli, trasportano i simulacri fuori del retto 
nostro vedere, e tortesi le rette linee de' loro simulacri a diversi 
aspetti, ci mostrano confusamente le lor figure. E questo è dimo- 
strato negli specchi flessuosi, cioè specchi misti di rettitudine, 
convessità e concavità. 




496. Della schiuma dell'acqua. 

La schiuma dell' acqua si dimostrerà di minor bianchezza, la quale sarà più 
remota dalla superficie dell' acqua. E questo si prova per la quarta di questo, che 
dice: il naturai colore della cosa sommersa si trasmuterà più nel colore verde 
dell' acqua, la quale ha maggior somma di acqua sopra di sè. 



497. Precetto di pittura. 

La prospettiva è briglia e timone della pittura. 

La grandezza della figura dipinta dovrebbe mostrare a che distanza essa 
è veduta. 

Se tu vedi una figura grande al naturale, sappi che essa si dimostra essere 
appresso all'occhio. 




498. Precetto. 

Sempre l'umbilico è nella linea centrale del peso che è da esso 
umbilico in su, e così tien conto del peso accidentale dell'uomo, come 
del suo peso naturale. Questo si dimostra nel distendere il braccio, che 
il pugno posto nel suo estremo fa l'ufficio che far si vede al contrap- 
peso posto neh' estremo della stadera ; onde per necessità si gitta tanto 
peso di là dall' umbilico, quanto è il peso accidentale del pugno; ed il calcagno da 
quel lato convien che s'innalzi. 




499. De' dieci uffici dell'occhio, tutti appartenenti alla pittura. 

La pittura si estende in tutti i dieci uffici dell'occhio, cioè: tenebre, luce, corpo, 
colore, figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete; de' quali uffici sarà intes- 
suta questa mia piccola opera, ricordando al pittore con che regola e modo deve 
imitare colla sua arte tutte queste cose, opera di natura ed ornamento del mondo. 



68 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 5oo 



500. Della statua. 

Se vuoi fare una figura di marmo, fanne prima una di terra, la quale, finita 
che 1' hai e secca, mettila in una cassa che sia ancora capace, dopo la figura tratta 
d' esso luogo, a ricevere il marmo che vuoi scolpirvi dentro la figura a similitudine 
di quella di terra. Poi messa la figura di terra dentro ad essa cassa, abbi bacchette, 
che entrino appunto per i suoi buchi, e spingile dentro tanto per ciascun buco, 
che ciascuna bacchetta bianca tocchi la figura in diversi luoghi, e la parte d' esse 
bacchette che resta fuori della cassa tingi di nero, e fa il contrassegno alla bacchetta 
ed al suo buco, in modo che a tua posta si scontri. E trarrai dalla" cassa la figura di 
terra, e metterai il tuo pezzo di marmo, e tanto leverai dal marmo, che tutte le 
tue bacchette si nascondano sino al loro segno in detti buchi ; e per poter far meglio 
questo, fa che tutta la cassa si possa levare in alto, ed il fondo d' essa cassa resti 
sempre sotto al marmo, ed a questo modo ne potrai levare con i ferri con gran 
facilità. 

501. Per fare una pittura d'eterna vernice. 

Dipingi la tua pittura sopra della carta tirata in telaio, ben delineata 1 e piana, 
e poi da' una buona e grossa imprimitura di pece e mattone ben pesti ; di poi 
da' l' imprimitura di biacca e giallorino, poi colorisci, e vernicia d' olio vecchio 
chiaro e sodo, ed appiccalo al vetro ben piano. Ma sarà meglio fare un quadro 
di terra ben vetriato e ben piano, e poi dar sopra esso vetriato l' imprimitura di biacca 
e giallorino ; poi colorisci e vernicia, poi appicca il vetro cristallino con la vernice 
ben chiara ad esso vetro ; ma fa prima ben seccare in istufa oscura esso colorito, 
e poi vernicialo con olio di noce ed ambra, ovvero olio di noce rassodato al sole. 
Se vuoi fare vetri sottili e piani, gonfia le bocce infra due tavole di bronzo o dì 
marmo lustrate, e tanto le gonfia che tu le scoppi col fiato ; e saranno piani e 
sì sottili, che tu piegherai il vetro, il quale poi sarà appiccato colla vernice alla 
pittura. E questo vetro per essere sottile non si romperà per alcuna percussione. 
Puossi ancora tirare in lungo ed in largo una piastra infocata sopra infocato fornello. 

502. Modo di colorire in tela. 

Metti la tua tela in telaro, e dàlie colla debole, e lascia seccare, e disegna, 
e da' le incarnazioni con pennelli di setole, e così fresca farai 1' ombra sfumata a 
tuo modo. L'incarnazione sarà biacca, lacca e giallorino: e l'ombra sarà nero e 



Nel codice : « delicata 



a 505] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 169 

maiorica e un poco di lacca, o vuoi lapis duro. Sfumato che tu hai, lascia seccare, 
poi ritocca a secco con lacca e gomma, stata assai tempo con l' acqua gommata 
insieme liquida, che è migliore, perchè fa l' ufficio suo senza lustrare. 

Ancora per fare le ombre più oscure, togli la lacca gommata sopradetta ed 
inchiostro, e con questa ombra puoi ombrare molti colori, perchè è trasparente; 
e puoi ombrare azzurro, lacca; di verso le ombre, dico, perchè di verso i lumi 
ombrerai di lacca semplice gommata sopra la lacca senza tempera, perchè senza 
tempera si vela sopra il cinabro temperato e secco. 1 

503. De' fumi delle città. 

I fumi sono veduti meglio e più spediti nelle parti orientali che nelle occi- 
dentali, stando il sole all' oriente ; e questo nasce per due cause : 

La prima è che il sole traspare co' suoi raggi nelle particole di tal fumo, e le 
rischiara e le fa evidenti ; 

La seconda è che i tetti delle case veduti all' oriente in tal tempo sono 
ombrosi, perchè la loro obliquità non può essere illuminata dal sole. 

Ed il simile accade nella polvere, e 1' una e 1' altra è tanto più luminosa, quanto 
essa è più densa, ed è più densa inverso il mezzo. 

504. Del fumo e della polvere. 

Stando il sole all' oriente, il fumo delle città non sarà veduto all' occidente, 
perchè esso non è veduto penetrato dai raggi solari, nè veduto in campo oscuro, 
perchè i tetti delle case mostrano all' occhio quella medesima parte che si mostra 
al sole, e per questo campo chiaro tal fumo poco si vede. 

Ma la polvere in simile aspetto si dimostra oscura più che il fumo, per esser 
essa di materia più densa che il fumo, eh' è materia umida. 

505. Precetto di prospettiva in pittura. 

Quando tu non conoscerai varietà di chiarezza o di oscurità infra 1' aria, allora 
la prospettiva delle ombre sarà scacciata dalla tua imitazione, e solo ti hai a valere 
della prospettiva della diminuzione de' corpi e della prospettiva del diminuire dei 
colori e del diminuire delle cognizioni delle cose all' occhio contrapposte ; e questa 
tal operazione fa parere una medesima cosa più remota, cioè la perdita della cogni- 
zione della figura di qualunque obietto. 

L' occhio non avrà mai per la prospettiva lineare, senza suo moto, cognizione 



1 Nell'edizione viennese: «a secco)). 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 



22 



170 LEONARDO DA VINCI [§505 

della distanza che è fra l' obietto che s' interponga infra esso occhio ed un' altra 
cosa, se non mediante la prospettiva de' colori. 



506. L'occhio posto in alto che vede degli obietti bassi. 

Quando l'occhio posto in alto sito vedrà le alte cime de' monti insieme colle 
loro basi, allora i colori delle cime de' monti parranno più distanti che i colori 
delle loro basi. Provasi per la quarta di questo, che dice : infra i colori di eguale 
natura il più remoto si tinge più del colore del mezzo interposto infra esso e 1' occhio 
che lo vede. Seguita, che, essendo le basi de' monti vedute per più grossa aria che 
le loro cime, esse basi parranno più remote dall' occhio che esse cime, le quali 

sono vedute dal medesimo occhio per 1' aria più sottile. 
Sia dunque 1' occhio posto nell' altezza a , il quale vede 
la sommità del monte b dopo la interposizione dell' aria ab , 

FlG. I a . 

e vede la base d del medesimo monte dopo l'aria ad, 
spazio più breve che V ab] per essere essa aria a d più grossa che 1' aria a b , la base 
del monte, coni' è detto, parrà più distante che la sua cima. 




507. L'occhio posto in basso che vede degli obietti bassi ed alti. 

Ma quando 1' occhio posto in basso sito vedrà le basi de' monti e le loro cime, 
allora i colori di esso monte saranno assai men noti che quellli degli antecedenti; 
e questo accade perchè tale cima e base di monte è veduta di tanta maggiore gros- 
sezza che le anzidette, quanto l'occhio che la vede 




è situato in più basso luogo. Il quale occhio sia n, 



e la cima e la base del monte siano oc. Adunque, 

FlG. 2 a . 

essendo la linea visuale cn nella seconda figura più 
bassa che la visuale della prima figura d a , egli è necessario che il colore della 
base della seconda dimostrazione sia più variato dal suo naturale colore che quello 
della base della prima dimostrazione, ed il medesimo s' intende aver detto delle 
cime de' monti. 

■» 

508. Perchè si dà il concorso di tutte le specie che vengono all'occhio 
ad un sol punto. 

r ò Delle cose di egual grandezza in varie distanze situate, la più 

^ remota sarà veduta sotto minore angolo; bd è eguale al ce, 
ma ce viene all' occhio per tanto minore angolo che bd, quanto 
esso è più remoto dal punto a, come mostra l'angolo cae al rispetto dell'an- 
golo bad. 




a 5i3] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE TERZA 



171 



509. Delle cose specchiate nell'acqua. 

Delle cose specchiate nell' acqua quella sarà più simile in colore alla cosa spec- 
chiata, la quale si specchia in acqua più chiara. 

510. Delle cose specchiate in acqua torbida. 

Sempre le cose specchiate in acqua torbida partecipano del colore di quella cosa 
che intorbida tale acqua. 

511. Delle cose specchiate in acqua corrente. 

Delle cose specchiate in acqua corrente, il simulacro di quella cosa si dimo- 
strerà tanto più lungo e di confusi termini, il quale s' imprimerà in acqua di più 
veloce corso. 

512. Della natura elei mezzo interposto infra l'occhio e l'obietto. 

Il mezzo interposto infra l' occhio e l' obietto è di due quantità : cioè o esso 
ha superficie come 1' acqua e il cristallo, od altra cosa trasparente, od esso è senza 
superficie comune, coni' è 1' aria che si appoggia alla superficie de' corpi che dentro 
ad essa s' inchiudono, la quale aria non ha in sè superficie continua se non nel 
termine inferiore e superiore. 

513. Effetti del mezzo circondato da superficie comune. 

Il mezzo circondato da superficie comune non rende mai all' occhio 1' obietto, 
che sta dopo sè, nel suo vero sito. Provasi, e sia il cristallo di superficie parallele o r , 
per il quale 1' occhio a vede la metà dell' obietto ng che sta dopo 
di esso, cioè 11 m , per la parte del cristallo b , e vede il rima- * 
nente dell' obietto, m g , per l' aria che sta sotto il cristallo ; e ;r - 
per la settima del quarto la linea della parte superiore dell'obietto n 
si piega nell'introito del cristallo e fa la linea nba\ e la linea della parte infe- 
riore mg è veduta nel suo vero sito per la settima del quarto, come si mostra 
nelle linee che passano per l'aria sotto il cristallo in mg a. Adunque l'ima metà 
dell'obietto nm cresce nel cristallo bo e l'altra metà diminuisce nell' aria -che sta 
sotto il cristallo in p . 




172 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 5H a 516] 



514. Degli obietti. 

Quella parte dell' obietto sarà più illuminata, che sarà più propinqua al lumi- 
noso che l' illumina. 

La similitudine e la sostanza delle cose in ogni grado di distanza perdono i gradi 
di potenza, cioè, quanto la cosa sarà più remota dall' occhio, sarà tanto meno pene- 
trabile infra l' aria con la sua similitudine. 

515. Delle diminuzioni de' colori e corpi. 

Sia osservata la diminuzione delle qualità de' colori insieme con la diminuzione 
de' corpi ove si applicano. 

516. Delle interposizioni de' corpi trasparenti infra l'occhio e l'obietto. 

Quanto maggiore sarà la interposizione trasparente infra 1' occhio e 1' obietto, 
tanto più si trasmuterà il colore dell' obietto nel colore del trasparente interposto. 

Quando 1' obietto s' interpone infra l' occhio ed il lume, per la linea centrale 
che si estende fra il centro del lume e 1' occhio, allora tal obietto sarà totalmente 
privato di lume. 



PARTE QUARTA. 



DE 1 PANNI E MODO DI VESTIR LE EIGURE CON GRAZIA 
E DEGLI ABITI E NATURE DE' PANNI. 



x o grosso che tu vuoi figurare ; e puoi usare ne' com- 
ponimenti delle istorie dell'una e dell'altra sorta per satisfare a diversi giudizi. 

519. Del vestire le figure con grazia. 

Usa ne' tuoi panni che quella parte che circonda la figura mostri il modo dell' at- 
titudine di essa figura, e quelle parti che restano fuori di quella adornale a modo 
volante e sparso, come si dirà. 




I panni che vestono le figure debbono mostrare di 
essere abitati da esse figure. Con breve circuizione 
mostrare l' attitudine e moto di tali figure e fuggire 
le confusioni di molte pieghe, e massime sopra i 
rilievi, acciocché sieno cogniti. 



517. De' panni che vestono le figure. 



I panni che vestono le figure debbono avere le 
pieghe salde o rotte secondo la qualità del panno sottile 



518. Delle maniere rotte o salde de' panni 
che vestono le figure. 



174 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 520 



520. De' panni che vestono le figure, e pieghe loro. 

I panni che vestono le figure debbono avere le loro pieghe accomodate a cingere 
le membra da loro vestite in modo che nelle parti illuminate non si pongano pieghe 
d' ombre oscure, e nelle parti ombrose non si facciano pieghe di troppa chiarezza, 
e che i lineamenti di esse pieghe vadano in qualche parte circondando le membra 
da loro coperte, e non con lineamenti che taglino le membra, nè con ombre che 
sfondino più dentro che non è la superficie del corpo vestito. Ed in effetto il panno 
sia in modo adattato, che non paia disabitato, cioè che non paia un aggruppamento 
di panno spogliato dall' uomo, come si vede fare a molti, i quali s' innamorano tanto 
de' vari aggruppamenti di varie pieghe, che n' empiono tutta una figura, dimenti- 
candosi 1' effetto per che tal panno è fatto, cioè per vestire e circondare con grazia 
le membra, dov' essi si posano, e non empire in tutto di ventri o vesciche sgonfiate 
sopra i rilievi illuminati de' membri. Non. nego già che non si debba fare alcuna 
bella falda, ma sia fatta in parte della figura dove le membra infra essa e il corpo 
raccolgono e ragunano tal panno. E sopratutto varia i panni nelle istorie, com' è 
nel fare in alcuni le pieghe con rotture affacciate, e questo è ne' panni densi ; ed 
alcun panno abbia i piegamenti molli, e le loro volte non laterate, ma curve ; e questo 
accade nelle saie e rasce ed altri panni rari, come tele, veli e simili. E farai ancora 
de' panni di poche e gran pieghe, come ne' panni grossi, come si vede ne' feltri e schia- 
vine ed altri copertoi da letto. E questi ricordi non do ai maestri, ma a quelli i quali 
non vogliono insegnare, chè certo questi non sono maestri, perchè chi non insegna ha 
paura che gli sia tolto il guadagno, e chi stima il guadagno abbandona lo studio, il 
quale si contiene nelle opere di natura, maestra de' pittori, delle quali le imparate si 
mettono in oblivione, e quelle che non sono state imparate più non s'imparano. 

521. Del modo di vestire le figure. 

Osserva il decoro con che tu vesti le figure secondo i loro gradi e le loro 
età; e sopratutto che i panni non occupino il movimento, cioè le membra, e che 
le dette membra non sieno tagliate dalle pieghe, nè dalle ombre de' panni. Ed 
imita quanto puoi i Greci e i Latini col modo dello scoprire le membra, quando 
il vento appoggia sopra di loro i panni. E fa poche pieghe ; fanne solo assai negli 
uomini vecchi togati e di autorità. 

522. De' vestimenti. 

I vestimenti debbono essere diversificati di varie nature di falde, mediante la 
loro qualità ; cioè, s' egli è panno grosso e raro, farà pieghe maccaronesche e rare, e 



a 525] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUARTA 175 

s' egli è di mediocre grossezza e denso, farà le pieghe affacciate e di piccoli angoli ; 
e sopratutto ti ricorda in ogni qualità di panno di fare le pieghe infra 1' una rompi- 
tura e l'altra grosse in mezzo e sottili dai lati, e la minore grossezza di essa piega 
sia nel mezzo dell' angolo rotondo della piega. 



523. De' panni volanti o stabili. 

I panni di che son vestite le figure sono di tre sorta, cioè sottili, grossi e mezzani; 
i sottili sono più agili ed atti a movimenti ; adunque, quando la figura corre, considera 
i moti di essa figura, perchè essa si spiega ora a destra, ora a sinistra, e sul posare 
la gamba destra il panno da quella parte s' alza da piè, riflettendo la percussione 
della sua onda ; ed in quel tempo la gamba che resta indietro fa il simile col 
panno che di sopra le si appoggia, e la parte dinanzi tutta con diverse pieghe si 
appoggia sopra il petto, corpo, coscie e gambe, e di dietro tutto si scosta, salvo 
la gamba che resta indietro; ed i panni mezzani fanno minori movimenti, ed i 
grossi quasi niente, se già il vento non li aiuterà a muovere. 

Gli estremi de' panni, o in alto o in basso, secondo i piegamenti, e che s' acco- 
stino da piedi secondo il posare,- o piegare, o storcere, o percuotervi dentro delle 
gambe, e che s' accostino o discostino dalle giunture secondo il passo, o corso, 
o salto, ovver che il vento da sè li percuota, senz' altro moto della figura ; e che 
le pieghe sieno accomodate alle qualità de' panni trasparenti od opachi. 



524. Operazioni de' panni e loro pieghe, che sono di tre nature. 




SD 



Molti sono quelli che amano le piegature delle falde de' panni con angoli acuti, 
crudi e spediti ; altri con angoli quasi insensibili, altri senz' alcun angolo, ma in 
luogo di quelli fanno curvate. Di queste tre 
sorta, alcuno vuol panni grossi e di poche 
pieghe, altri sottili e di gran numero di 
pieghe, altri piglia la parte di mezzo. E di 
questi tre tu seguiterai le opinioni, metten- 
done di ciascuna sorta nella tua istoria, 
aggiungendovi di quelli che paiono vecchi 
pezzati, e nuovi abbondanti di panno, ed alcuni miseri, secondo le qualità di chi 
tu vesti, e così fa de' loro colori. 




525. Delle nature delle pieghe de' panni. 

Quella parte della piega che si trova più lontana da' suoi costretti estremi, si 
ridurrà più in sua prima natura. Naturalmente ogni cosa desidera mantenersi in suo 



76 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 525 



essere ; il panno perchè è di eguale densità e spessitudine, sì nel suo rovescio come 
nel suo dirigo desidera di stare piano ; onde, quando esso è da qualche piega o 
£ falda costretto a lasciare essa planizie, osserva la 

/ \\ (^S/ffltk \#* natura della forza in quella parte di sè dov'esso è 



ti proposi che quella parte del panno eh' era più lontana ai costretti estremi si 
ridurrebbe più nella sua prima natura ; adunque c trovandosi più lontano da a b , 
la piega sarà più larga in b che in alcun altro suo luogo. 

526. Come si devono dare le pieghe ai panni. 

Ad un panno non si deve dare confusione di molte pieghe, anzi farne solamente 
dove colle mani o braccia sono ritenute, ed il resto sia lasciato cadere semplicemente 
dove lo tira la sua natura, e non sia intraversata la figura da troppi lineamenti o 
rompimenti di pieghe. 

I panni si debbono ritrarre di naturale, cioè se vorrai fare panno lano, usa le 
pieghe secondo quello, e se sarà seta, o panno fino, o da villani, o di lino, o di 
velo, a ciascuno le sue pieghe va diversificando, e non fare abito come molti fanno 
sopra i modelli coperti di carte, o corami sottili, chè t' inganneresti forte. 

527. Delle poche pieghe de' panni. 

Le figure essendo vestite di mantello non debbono tanto mostrare il nudo, che 
il mantello paia in sulle carni, se già tu non volessi che il mantello fosse sulle carni ; 
imperocché tu devi pensare che tra il mantello e le carni sono altre vesti che 
impediscono lo scoprire la forma delle membra sopra il mantello ; e quella forma 
di membra che fai discoprire, fàlla in modo grossa, che appariscano sotto al man- 
tello altri vestimenti ; solo farai scoprire la quasi vera grossezza delle membra ad 
una ninfa o ad un angelo, i quali si figurino vestiti di sottili vestimenti, sospinti o 
impressi dal soffiare de' venti ; a questi tali e simili si potrà benissimo fare scoprire 
la forma delle membra. 

528. Delle pieghe de' panni in iscorto. 

Fa vedere, dove la figura scorta, maggior numero di pieghe che dov' essa non 
scorta; e le sue membra sieno circondate da pieghe spesse e giranti intorno ad 




||. ; più costretto, e quella parte eh' è più lontana ad 
Jj|. essi costringimenti troverai ridursi più alla prima sua 
% natura, cioè dello stare disteso ed ampio. Esempio: 



sia abe la piega del panno detto di sopra; ac sia 



il luogo dov' esso panno è piegato e costretto ; io 



a 53o] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUARTA 



177 



esse. Esempio : a sia dove sta 1' oc- 
chio ; m n manda il mezzo di alcuni 
circoli più lontani dall' occhio che i 




loro fini; no li mostra diritti, perchè si trova a riscontro; pq li manda per contrario. 
Sicché usa questa discrezione nelle pieghe che circondano le braccia, le gambe od altro. 



Gli abiti delle figure sieno accomodati all' età ed al decoro, cioè, che il vecchio 
sia togato, il giovane ornato di abito che manco occupi il collo dagli omeri delle 
spalle in su, eccetto quelli che fan professione in religione. E si fugga il più che 
si può gli abiti della sua età, eccetto che quando si riscontrassero essere de' sopra- 
detti ; e non si debbono usare se non nelle figure che hanno a somigliare a quelli 
che son sepolti per le chiese, acciocché si riservi riso ne' nostri successori delle 
pazze invenzioni degli uomini, ovvero che lascino loro ammirazione della loro degnità 
e bellezza. Ed io a' miei giorni non mi ricordo aver visto nella mia puerizia gli 
uomini piccoli e grandi avere tutti gli estremi de' vestimenti frappati in tutte le 
parti sì da capo come da piè e da lato ; ed ancora parve tanto bella invenzione 
a quella età, che frappavano ancora le dette frappe, e portavano i cappucci in 
simile modo, e le scarpe e le creste frappate che uscivano dalle principali cuciture 
de' vestimenti di vari colori. Dipoi vidi le scarpe, berrette, scarselle, armi, che si 
portano per offendere, i collari de' vestimenti, gli estremi de' giupponi da piedi, le 
code de' vestimenti, ed in effetto infino alle bocche di chi volea parer bello erano 
appuntate di lunghe ed acute punte. Nell'altra età cominciarono a crescere le maniche, 
ed eran talmente grandi, che ciascuna per sé era maggiore della vesta; poi comin- 
ciarono ad alzare i vestimenti intorno al collo, tanto, che alla fine coprirono tutto 
il capo ; poi cominciarono a spogliarlo in modo, che i panni non potevano essere 
sostenuti dalle spalle, perchè non vi si posavano sopra ; poi cominciarono a slungare 
sì i vestimenti, che al continuo gli uomini avevano le braccia cariche di panni per 
non li pestare co' piedi ; poi vennero in tanta stremità, che vestivano solamente fino 
ai fianchi ed alle gomita, ed erano sì stretti, che da quelli pativano gran supplizio, e 
molti ne crepavano di sotto ; ed i piedi sì stretti, che le dita di essi si sovrapponevano 
l' uno all' altro, e caricavansi di calli. 

530. Dell'occhio che vede pieghe de' panni che circondano l'uomo. 

Le ombre interposte infra le pieghe de' panni circondatrici de' corpi umani 
saranno tanto più oscure, quanto esse sono più a riscontro all' occhio colle concavità 
dove tali ombre son generate. E questo intendo aver detto, quando l' occhio è 
situato infra la parte ombrosa e luminosa della predetta figura. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 2 j 



529. De' modi del vestire le figure, ed abiti diversi. 



i 7 8 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 53i a 532] 



531. Delle pieghe de' panni. 

Sempre le pieghe de' panni situate in qualunque atto delle figure debbono con 
i loro lineamenti mostrare 1' atto di tale figura in modo che non dieno ambiguità 
o confusione della vera attitudine a chi le considera, e che nessuna piega coli' ombra 
della sua profondità tagli alcun membro, cioè che paia più dentro la profondità 
della piega che la superficie del membro vestito; e che se tu figuri figure vestite 
di più vestimenti, che non paia che 1' ultima veste rinchiuda dentro a sè le semplici 
ossa di tal figura, ma le carni insieme con quelle, ed i panni vestimento della carne 
con tanta grossezza qual si richiede alla moltiplicazione de' suoi gradi. 

Le pieghe de' panni che circondano le membra debbono diminuire della loro 
grossezza inverso gli estremi della cosa circondata. 

532. Delle pieghe. 

La lunghezza delle pieghe che sono più strette alle membra debbono aggrin- 
zarsi da quel lato dove il membro per le sue piegature diminuisce e tirarsi dall' opposita 
parte di essa piegatura. 




PARTE QUINTA. 



DELL 1 OMBRA E LUME, E DELLA PROSPETTLVA. 



533. Che cosa è ombra. 

L' ombra, nominata per il proprio suo vocabolo, è da esser 
chiamata alleviazione di lume applicato alla superficie de' corpi, 
della quale il principio è nel fine della luce, ed il fine è nelle 
tenebre. 

534. Che differenza è da ombra a tenebre. 

La differenza che è da ombre a tenebre è questa, che l' ombra è alleviamento di 
luce, e tenebre è integralmente privamento di essa luce. 

535. Da che deriva l'ombra. 

L' ombra deriva da due cose dissimili l'una dall' altra, imperocché l'ima è corporea 
e l' altra spirituale : corporea è il corpo ombroso, spirituale è il lume ; adunque lume 
e corpo son cagione dell' ombra. 

536. Dell'essere dell'ombra per sè. 

L' ombra è della natura delle cose universali, che tutte sono più potenti nel 
principio, e inverso il fine indeboliscono : dico nel principio di ogni forma e qualità 




180 LEONARDO DA VINCI [§536 

evidente ed inevidente, e non delle cose condotte di piccol principio in molto accre- 
scimento dal tempo, come sarebbe una gran quercia che ha debole principio per 
una piccola ghianda ; anzi dirò la quercia essere più potente al nascimento, eh' essa 
fa della terra, cioè nella maggiore sua grossezza ; adunque le tenebre sono il primo 
grado dell' ombra, e la luce è 1' ultimo. Adunque tu, pittore, farai 1' ombra più scura 
appresso alla sua cagione, ed il fine che si converta in luce, cioè che paia senza fine. 

537. Che cosa è ombra e lume, e qual è di maggior potenza. 

Ombra è privazione di luce, e sola opposizione de' corpi densi opposti ai raggi 
luminosi ; ombra è di natura delle tenebre, lume è di natura della luce ; l' uno asconde 
e 1' altro dimostra ; sono sempre in compagnia congiunti ai corpi ; e 1' ombra è di 
maggior potenza che il lume, imperocché quella proibisce e priva interamente i corpi 
della luce, e la luce non può mai cacciare in tutto 1' ombra dai corpi, cioè corpi densi. 

538. Che sia ombra e tenebre. 

L' ombra è diminuzione di luce ; tenebre è privazione di luce. 

539. In quante parti si divide 1' ombra. 

L' ombra si divide in due parti, delle quali la prima è detta ombra primitiva, 
la seconda ombra derivativa. 

540. Dell'ombra e sua divisione. 

Le ombre ne' corpi si generano dagli obietti oscuri ad essi corpi anteposti, e 
si dividono in due parti, delle quali l' una è detta primitiva, l' altra derivativa. 

541. Di due specie di ombre ed in quante parti si dividono. 

Le specie delle ombre si dividono in due parti, 1' una delle quali è detta semplice 
e 1' altra composta : semplice è quella che da un sol lume e da un sol corpo è 
causata; composta è quella che da più lumi sopra un medesimo corpo si genera, 
o da più lumi sopra più corpi. La semplice ombra si divide in due parti, cioè 
primitiva e derivativa: primitiva è quella che è congiunta nelle superficie del corpo 
ombroso ; derivativa è quell' ombra che si parte dal predetto corpo, e discorre per 
l' aria, e se trova resistenza si ferma nel luogo dove percuote colla figura della 
sua propria base; e il simile si dice delle ombre composte. 

Sempre 1' ombra primitiva si fa base dell' ombra derivativa. 



a 545] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 181 

I termini delle ombre derivative sono rettilinei. 

Tanto più diminuisce 1' oscurità dell' ombra derivativa, quanto essa è più remota 
dall' ombra primitiva. 

Queir ombra si dimostrerà più oscura, che sarà circondata da più splendida 
bianchezza; e, pel contrario, sarà meno evidente dov'essa sarà generata in più oscuro 
campo. 

542. Qual è più oscura, o l'ombra primitiva o l'ombra derivativa. 

Sempre è più oscura 1' ombra primitiva che 1' ombra derivativa, non essendo 
corrotta dalla percussione di un lume riflesso che si fa campo della percussione 
di essa ombra derivativa, b c de sia il corpo ombroso ; a sia 
il lume che causa l'ombra primitiva bec e fa la deriva- 
tiva bechi; dico che se non è l'illuminato riflesso fheig 
che rifletta e corrompa l'ombra primitiva in be con fh, 
ed in ce con ig, che tale ombra primitiva resterà più oscura 
che la percussione della derivativa, essendo l' un' ombra 
e l' altra fatta in superficie di eguale oscurità di colore, o di egual chiarezza. 

L' ombra parrà tanto più scura, quanto essa sarà più presso al lume. Tutte le 
ombre sono di un medesimo colore, e quella che si trova in campo più luminoso 
apparisce di maggiore oscurità. 

Infra le ombre di pari qualità, quella che sarà più vicina all' occhio apparirà 
di minore oscurità. 

543. Che differenza è da ombra a tenebre. 

Ombra è detta quella dove alcuna parte di luminoso o illuminato può vedere; 
tenebre è quella dove alcuna parte di luminoso o illuminato per incidenza o riflessione 
può vedere. 

544. Che differenza è da ombra semplice a ombra composta. 

Ombra semplice è quella dove alcuna parte del luminoso non può vedere, ed 
ombra composta è quella dove infra 1' ombra semplice si mischia alcuna parte del 
lume derivativo. 

545. Che differenza è da lume composto a ombra composta. 

Ombra composta è quella la quale partecipa più dell' ombroso che del lumi- 
noso ; lume composto è quello che partecipa più del luminoso che dell' ombroso ; 




182 LEONARDO DA VINCI [§ 545 

adunque diremo queir ombra e quel lume composto pigliare il nome da quella 
cosa di che esso è più partecipante ; cioè che se un luminato vede più ombra 
che lume, sarà detto vestito di ombra composta; e se sarà vestito più dal lumi- 
noso che dall'ombroso, allora, com'è detto, sarà nominato lume composto. 

546. Come sempre il lume composto e 1' ombra composta confinano 
insieme. 

Sempre i lumi composti e le ombre composte confinano insieme ; ma il termine 
esteriore dell' ombra composta è 1' ombra semplice, ed il termine del lume composto 
è il semplice illuminato. 

547. Che il termine dell'ombra semplice sarà di minor notizia. 

Il termine dell'ombra semplice sarà di minor notizia che il termine dell'ombra 
composta, del quale il corpo ombroso sarà più vicino al corpo luminoso; e questo 
nasce perchè l' angolo dell' ombra e lume composto è più ottuso. 

Sempre l' ombra derivativa semplice nata da corpo minore del suo luminoso 
avrà la base di verso il corpo ombroso ; ma l' ombra col lume composto avrà 
l' angolo di verso il luminoso. 

548. Dell'ombra derivativa composta. 

L' ombra derivativa composta perde tanto più della sua oscurità, quanto essa 
si fa più remota dall'ombra semplice derivativa. Provasi per la nona che dice: 
quell' ombra si farà di minore oscurità, che da maggiore quantità di luminoso sarà 

veduta. Sia adunque on luminoso e ba ombroso, e 
sia 011 f la piramide luminosa e bak la piramide della 
semplice derivativa. Dico che in g sarà meno illuminato 
il quarto che in /, perchè in / vede tutto il lume 011 
e in g manca il quarto del lume on, conciossiachè 
solo cn, eh' è i tre quarti del luminoso, è quel che illu- 
mina in g, e in h vede la metà dn del luminoso on\ 
adunque h ha la metà del lume /, ed in i vede il quarto 
di esso lume o n , cioè e n ; adunque i è men luminoso 
i tre quarti dell'/, ed in k non vede alcuna parte di 
esso lume ; adunque lì è privazione di lume, e principio della semplice ombra 
derivativa. E così abbiam definito della composta ombra derivativa. 




a 55 1 i 



TRATTATO DELLA PITTURA 



— PARTE QUINTA 



549. Come l'ombra primitiva e derivativa sono congiunte. 

Sempre 1' ombra primitiva con 1' ombra derivativa sarà congiunta ; questa conclu- 
sione per sè si prova, perchè l' ombra primitiva si fa base 
della derivativa, ma sol si variano, per quanto che 1' ombra 
primitiva di sè tinge il corpo al quale è congiunta, e la derivativa 
s' infonde per tutta 1' aria da essa penetrata. Provasi, e sia il 
corpo luminoso f, e il corpo ombroso sia aobc, e l'ombra 
primitiva, eh' è congiunta a tal corpo ombroso, è la parte a b c , 
e la derivativa ab c d nasce insieme con la primitiva ; e questa tale ombra è detta 
semplice, nella quale alcuna -parte del luminoso non può vedere. 

550. Come l'ombra semplice con l'ombra composta si congiunge. 

Sempre la semplice ombra con l' ombra composta sarà congiunta ; questo si 
prova per la passata, dove dice 1' ombra primitiva farsi base dell' ombra derivativa ; 
e perchè 1' ombra semplice e la composta nascono in un medesimo corpo l' una 
all' altra congiunta, egli è necessario che l' effetto partecipi della causa ; e perchè 
V ombra composta non è in sè altro che diminuzione di lume, e comincia al prin- 
cipio del corpo luminoso e finisce insieme col fine di esso luminoso, seguita che 
tale ombra si genera in mezzo infra la semplice ombra ed il semplice lume. Provasi, 
e sia il luminoso abe e l'ombroso de, e la semplice ombra derivativa sia de/, 
e la composta ombra derivativa f e k ; ma la semplice derivativa non vede parte 
alcuna del corpo luminoso ; ma l' ombra derivativa composta vede sempre parte 
del luminoso, maggiore o minore, secondo la maggiore o minor remozione che le 
sue parti hanno dall' ombra semplice derivativa. Provasi, e sia tale ombra cfk , la 
quale con la metà della sua grossezza fk, cioè ik, vede la metà del luminoso ab, 
eh' è ac\ e questa è la parte più chiara di essa ombra composta, e l' altra metà 
più oscura della medesima composta, eh' è fi , vede c b , seconda metà di esso lumi- 
noso ; e così abbiamo determinato le due parti della composta ombra derivativa, 
più chiara o men oscura 1' una che l' altra. 

551. Della semplice e composta ombra primitiva. 

La semplice e la composta ombra son così proporzionate infra loro nelle ombre 
primitive congiunte ai corpi ombrosi, come nelle ombre derivative separate dai 
medesimi corpi ombrosi. E questo si prova perchè le derivative semplici e composte 
sono così infra loro congiunte senza alcuna intermissione, come se fossero esse primi- 
tive di esse derivative origine. 




i8 4 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 552 



552. De' termini dell'ombra composta. 

La derivativa ombra composta è d'infinita lunghezza, per esser essa piramidale 
di piramide originata alla sua punta; e questo si prova perchè, in qualunque parte 
si sia tagliata essa lunghezza piramidale, mai sarà distrutto il suo angolo, come 
accade nella derivativa ombra semplice. 

553. Del termine dell'ombra semplice. 

L' ombra derivativa semplice è di breve discorso rispetto alla derivativa com- 
posta, perchè essa composta, com' è detto, ha origine dal suo angolo, e questa ha 
1' origine dalla sua base ; e questo si manifesta perchè in qualunque parte essa pira- 
mide sia tagliata da corpo ombroso, essa divisione non distrugge mai la base sua. 

554. Che ombra fa il lume eguale all'ombroso nella figura delle sue 
ombre. 

Se 1' ombroso sarà eguale al luminoso, allora V ombra semplice sarà parallela e 
infinita per lunghezza ; ma V ombra ed il lume composto sarà piramidale d' angolo 
riguardatore del luminoso. 

555. Che ombra fa l'ombroso maggiore del luminoso. 

Se 1' ombroso sarà maggiore del suo luminoso, allora la semplice ombra deri- 
vativa avrà i suoi lati concorrenti all' angolo potenziale di là dal corpo luminoso ; 
e gli angoli dell' ombra e lume composto riguarderanno tutto il corpo luminoso. 

556. Quante sono le sorta delle ombre. 

Tre sono le sorta delle ombre, delle quali l' una nasce dal lume particolare, 
com' è sole, luna o fiamma ; la seconda è quella che deriva da porta, finestra od 
altra apertura, donde si vede gran parte del cielo ; la terza è quella che nasce dal 
lume universale, com' è il lume del nostro emisfero, essendo senza sole. 

557. Quante sono le specie delle ombre. 

^ Le specie delle ombre sono di due sorta, delle quali l' una è 

•Ì1ì;ì 1 'ììì.1^ ~Z ZD detta primitiva, 1' altra derivativa : primitiva è quella eh' è congiunta 
al corpo ombroso ; derivativa è quella che deriva dalla primitiva. 



5 62] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



185 



558. Di quante sorta è l'ombra primitiva. 

L' ombra primitiva è unica e sola e mai non si varia, ed i suoi termini vedono 
il termine del corpo luminoso ed i termini della parte del corpo illuminata, dov' essa 
è congiunta. 



SS9- In quanti modi si varia l'ombra primitiva. . , 

[H5B)€ 

L' ombra primitiva si varia in due modi, de' quali il primo 
è semplice, e il secondo è composto. Semplice è quello che riguarda 
luogo oscuro, e per questo tale ombra è tenebrosa; composta è u "'" 
quella che vede luogo illuminato con vari colori, che allora tale ombra si mischierà 
colle specie de' colori degli obietti contrapposti. 



560. Che varietà ha l'ombra derivativa. 

Le varietà dell' ombra derivativa sono di due sorta, delle quali 1' una è mista 
coli' aria che sta per iscontro all' ombra primitiva ; l' altra è quella che percuote 
nell' obietto che taglia essa derivativa. 



561. Di quante figure è l'ombra derivativa. 



m 



Tre sono le figure dell' ombra derivativa : la prima è 
piramidale, nata dall' ombroso minore del luminoso ; la 
seconda è parallela, nata dall' ombroso eguale al luminoso ; 
la terza è disgregabile in infinito, ed infinita è la colon- 
naie, ed infinita la piramidale, perchè dopo la prima 
piramide fa intersecazione, e genera contro la piramide 
finita una infinita piramide, trovando infinito spazio. E di queste tre sorta di ombre 
derivative si tratterà appieno. 



562. Dell'ombra che si muove con maggior velocità che il corpo suo 
ombroso. 

Possibile è che 1' ombra derivativa sia moltissime 
volte più veloce che la sua ombra primitiva. Provasi, 
e sia a il luminoso, b sia il corpo ombroso, il quale si 
muove di b in c per la linea bd\ e nel medesimo tempo l'ombra derivativa del corpo b si 
muove tutto lo spazio be, il quale spazio può ricever in sè migliaia di volte lo spazio bc. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 2 A. 




i86 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 563 



563. Dell'ombra derivativa, la quale è molto più tarda che l'ombra 
primitiva. 

È possibile ancora che l' ombra derivativa sia molto più tarda che l' ombra 
primitiva. Provasi, e sia che il corpo ombroso bc si 



l' ombra derivativa non si partirà del de . 

564. Dell'ombra derivativa che sarà eguale all'ombra primitiva. 

Il moto dell' ombra derivativa sarà eguale al moto dell' ombra primitiva quando 
il luminoso, causatore dell' ombra, sarà di moto eguale al moto del corpo ombroso, 
o vuoi dire dell' ombra primitiva, altrimenti è impossibile ; perchè chi cammina per 
ponente dalla mattina alla sera avrà la prima parte del dì 1' ombra più tarda, andando 
innanzi al camminante, che non è esso camminatore ; e neh" ultima metà del dì 
1' ombra sarà molto più veloce al fuggire indietro, che il corpo ombroso ad andare 
innanzi. 

565. Dell'ombra derivativa remota dall'ombra primitiva. 



vativa, e cge è il termine confuso di essa ombra derivativa. 

566. Natura ovvero condizione dell'ombra. 

Nessuna ombra è senza riflesso, il quale riflesso l' aumenta o la indebolisce ; 
e quella riflessione l'aumenta, la quale nasce da cosa oscura più di essa ombra; 
e quell' altra riflessione la indebolisce, eh' è nata da cosa più chiara di essa ombra. 




muova sopra il piano ne tutto lo spazio ce, e che la sua 
ombra derivativa sia nella contrapposta parete d e ; dico che 
l'ombra primitiva bc si muoverà tutto lo spazio bd, che 



a 




I termini dell' ombra derivativa saranno più 
confusi, i quali saranno più distanti all' ombra 
primitiva. Provasi, e sia ab luminoso; è c Gl'om- 
broso primitivo, ed ed è la semplice ombra deri- 




L' ombra aumentata è quella nella quale solo riflette la sua 
ombra derivativa, a sia il luminoso, bc sia l'ombra primitiva 
# ovvero originale, e dg sarà l' ombra originata. 



_/ 567. Qual è l'ombra aumentata. 



a 570] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



187 



568. Se l'ombra primitiva è più potente che l'ombra derivativa. 

L' ombra primitiva, essendo semplice, sarà di eguale oscurità dell' ombra semplice 
derivativa. Provasi, e sia l'ombra semplice primitiva de, e 
la semplice derivativa sia fg\ dico per la quarta di questo, 
dove dice : tenebre è privazion di luce, adunque la semplice 
ombra è quella che non riceve alcuna riflessione illuminata, e 
per questo resta tenebrosa, come de che non vede il lume a, 
nè ancora l'ombra semplice derivativa fg non lo vede, e 
per tanto vengono ad essere infra loro esse ombre di eguale oscurità, perchè 1' una 
e l' altra è privata di luce e di riflesso luminoso. 

569. De' moti delle ombre. 

I moti delle ombre sono di cinque nature, de' quali il primo diremo essere 
quello che muove l' ombra derivativa insieme col suo corpo ombroso, ed il lume 
causatore di essa ombra resta immobile ; il secondo diremo quello del quale si 
muove V ombra ed il lume, ma il corpo ombroso è immobile ; il terzo sarà quello 
dal quale si muove il corpo ombroso ed il luminoso, ma con più tardità il lumi- 
noso che 1' ombroso ; nel quarto moto di essa ombra si muove più veloce il corpo 
ombroso che il luminoso, 1 e nel quinto i moti dell' ombroso e del luminoso sono 
infra loro eguali. E di questo si tratterà distintamente al suo luogo. 

570. Percussione dell'ombra derivativa e sue condizioni. 

La percussione dell' ombra derivativa non sarà mai simile all' ombra primitiva, 
s' essa non ha condizioni : prima, che il corpo ombroso non abbia angoli, nè sia 
traforato, nè frappato ; seconda, che la figura del corpo luminoso sia di figura simile 
alla figura del corpo ombroso ; terza, che la grandezza del corpo luminoso sia eguale 
alla grandezza del corpo ombroso ; quarta, che la superficie del raggio ombroso 
sia in ogni lato di eguale lunghezza; quinta, che la percussione dell'ombra deri- 
vativa sia creata infra angoli eguali ; sesta, che tal percussione sia fatta in parete 
piana ed unita. 




1 L'edizione viennese propone: «più veloce il corpo luminoso che l'ombroso», 



i88 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 571 



571. Dell'ombra derivativa, e dove è maggiore. 



Quell' ombra derivativa è di maggior quantità, la 
quale nasce da maggior quantità di lume, e così pel 
contrario. Provasi: ab , lume piccolo, fa le ombre deri- 
vative cge e dfh, che son piccole. Piglia la figura 
succedente : km, lume del cielo, che è universale, fa 
1' ombra derivativa grande in rtx, e così lo spazio s u , 
perchè la parte del cielo pn fa essa ombra rtx, e 
così lo spazio parte del cielo, fa l'opposita ombra osu. 

572. Della morte dell'ombra derivativa. 

L'ombra derivativa sarà al tutto distrutta ne' corpi illuminati da lume universale. 




573. Della somma potenza dell'ombra derivativa. 

Ne' lumi particolari 1' ombra derivativa si farà di tanto maggior potenza, quanto 
esso lume sarà di minor quantità sensibile e di più potente chiarezza. 



574. Dell'ombra semplice di prima oscurità. 



L' ombra semplice è quella che da nessun lume riflesso può esser veduta, ma 
solo da un' ombra opposita sarà aumentata. Sia lo sferico g 
messo nella concavità b c e/, ed il lume particolare sia a , il 
quale percuote in b e riflette in d, e risalta con la seconda 
riflessione nello sferico g, il quale aduna parte dell' ombra sem- 
plice nell'angolo e, che non vede nè il lume incidente nè il 
lume riflesso di nessun grado di riflessione. Adunque 1' ombra 
dello sferico riceve la riflessione dall' ombra semplice e , e per questo è detta ombra 
semplice. 




■il) ( ) 



575. Delle tre varie figure delle ombre deri- 
vative. 

Tre sono le varietà delle ombre derivative, delle quali 
1' una è larga nel suo nascimento, e quanto più si rimuove 
da tal principio, più si ristringe ; la seconda osserva infi- 
nita lunghezza colla medesima lunghezza del suo nascimento ; la terza è quella 



il 



a 578] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



189 



che in ogni grado di distanza dopo la larghezza del suo nascimento acquista gradi 
di larghezza. 

576. Varietà di ciascuna delle dette tre ombre derivative. 

Dell' ombra derivativa nata da corpo ombroso minore del corpo che l' illumina, 
quella sarà piramidale, e tanto più corta, quanto essa sarà più vicina al corpo lumi- 
noso ; ma la parallela in tal caso non si varia ; ma la dilatabile tanto più si allarga 
quanto più si avvicina al suo luminoso. 

577. Che le ombre derivative sono di tre nature. 

Le ombre derivative sono di tre nature, delle quali 1' una è dilatabile, l' altra 
colonnale, la terza concorrente al sito dell' intersecazione de' suoi lati ; i quali dopo 
tale intersecazione sono d' infinita larghezza, ovvero rettitudine ; e se tu dicessi tale 
ombra esser terminata nell'angolo della congiunzione de' suoi lati, e non passare 
più oltre, questo si nega, perchè nella prima delle ombre si prova quella cosa essere 
interamente terminata, della quale parte alcuna non eccede i suoi termini ; il che 
qui in tale ombra si vede il contrario, conciossiachè mediante che nasce tale ombra 
derivativa, nasce manifestamente la figura di due piramidi ombrose, le quali nei 
loro angoli sono congiunte. Adunque, se 



causata dall'angolo e non dal corpo om- 
broso; e questo si nega coli' aiuto della seconda di questo, che dice l'ombra essere 
un accidente creato da corpi ombrosi interposti infra il sito di essa ombra ed il 
corpo luminoso. E per questo è chiaro l'ombra non dall'angolo dell'ombra deri- 
vativa essere generata, ma solo dal corpo ombroso. 

578. Che le ombre derivative sono di tre specie. 

Le ombre derivative sono di tre specie, cioè, o sarà maggiore il tagliamento 
dell' ombra nella parete ove percuote, che non è la base sua, o 1' ombra sarà minore 
di essa base, o sarà eguale. E se sarà maggiore, è segno che il lume che illumina 
il corpo ombroso è minore di esso corpo; e se sarà minore, il lume sarà maggiore 
del corpo; e se sarà eguale, il lume sarà eguale ad esso corpo. 



per l' avversario la prima piramide om- 
brosa è terminatrice dell' ombra derivativa 
col suo angolo, donde nasce la seconda 
piramide ombrosa? Dice l'avversario esser 





190 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 579 



579. Qualità di ombre. 

Infra le eguali alleviazioni di luce tal proporzione sarà da oscurità a oscurità delle 
generate ombre, qual sarà da oscurità a oscurità de' colori ove tali ombre son congiunte. 



580. Del moto dell' ombra. 



Sempre il moto dell' ombra è più veloce che il moto del corpo che la genera, 
essendo il luminoso immobile. Provasi, e sia il luminoso a, e l'ombroso b, e 
l'ombra d; dico che in pari tempo si muove l'ombroso b in c 
che il d ombra si muove in e ; e quella proporzione è da velocità 
a velocità fatta in un medesimo tempo, qual è da lunghezza di 
moto a lunghezza di moto; adunque quella 
proporzione che ha la lunghezza del moto fatto 
dall' ombra b insino in c , colla lunghezza del 
moto fatto dall' ombra d in e , tale hanno infra 
loro le predette velocità de' moti. Ma se il 
luminoso sarà eguale in velocità al moto dell' ombroso, allora l' ombra e l' ombroso 
saranno eguali infra loro di moti eguali. E se il luminoso sarà più veloce dell' om- 
broso, allora il moto dell' ombra sarà più tardo che il moto dell' ombroso. Ma se 
il luminoso sarà più tardo che 1' ombroso, allora 1' ombra sarà più veloce che 1' ombroso. 




581. Dell'ombra piramidale. 

L' ombra piramidale generata dal corpo parallelo sarà tanto più 
stretta che il corpo ombroso, quanto la semplice ombra derivativa 
sarà tagliata più distante dal suo corpo ombroso. 



582. Della semplice ombra derivativa. 

La semplice ombra derivativa è di tre sorta, cioè una finita in lunghezza e 
due infinite : la finita è piramidale, e delle infinite una ve n' è colonnale e 1' altra 
dilatabile, e tutte e tre sono di lati rettilinei ; ma 1' ombra concorrente, cioè pira- 
midale, nasce da ombroso minore del luminoso, e la colonnale nasce da ombroso 
eguale al luminoso, e la dilatabile da ombroso maggiore del luminoso. 

583. Dell'ombra derivativa composta. 

L'ombra derivativa composta è di due sorta, cioè colonnale e dilatabile. 



a 588] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



191 



584. Se l'ombra può esser veduta per l'aria. 

L' ombra sarà veduta per l' aria caliginosa o polverosa, e questo ci si mostra 
quando il sole penetra per gli spiracoli in luoghi oscuri, che allora si vede 1' ombra 
interposta infra i due o più raggi solari che passano infra detti spiracoli. 



585. Se l'ombra derivativa è più oscura in un luogo che in un altro. 

L' ombra derivativa sarà tanto più oscura, quanto essa sarà più vicina al suo 
corpo ombroso, ovvero più vicina alla sua ombra primitiva ; e questo nasce perchè 
i suoi termini sono più noti nel nascimento che nelle parti remote da tal nascimento. 



586. Quale ombra derivativa mostrerà i suoi termini più noti. 

Quell' ombra derivativa mostrerà i termini della sua percussione più noti, della 
quale il corpo ombroso sarà più distante dal corpo luminoso. 



587. In quanti modi principali si trasforma la percussione 
dell' ombra derivativa. 



ED 



La percussione dell' ombra derivativa ha due varietà, 
cioè diretta ed obliqua: la diretta è sempre minore in 
quantità dell' obliqua, la quale si può estendere inverso l' infinito. 



10 o 



588. In quanti modi si varia la quantità della percussione dell'ombra 
coli' ombra primitiva. 




W D 



L' ombra, ovvero la percussione dell' ombra, si varia 
in tre modi, per le tre dette sorta di sopra, cioè congrega- 
bile, disgregabile ed osservata: la disgregabile ha maggiore 
la percussione che l' ombra primitiva ; l' osservata ha 
sempre eguale la percussione all' ombra primitiva ; la con- 
gregarle fa di due sorta percussioni, cioè una nella 
congregabile e l'altra nella disgregabile; ma la congre- 
garle ha sempre minore la percussione dell' ombra che l' ombra primitiva, e la 
sua parte disgregabile fa il contrario. 




192 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 589 



589. Come l'ombra derivativa, essendo circondata in tutto o in parte 
da campo illuminato, è più oscura che la primitiva. 

L' ombra derivativa, la quale sarà in tutto o in parte circondata da campo 
luminoso, sarà sempre più oscura che 1' ombra primitiva, la 
quale è in piana superficie. Sia il lume a , e l' obietto che 
ritiene l'ombra primitiva sia bc, e la parete de sia quella 
che riceve l' ombra derivativa nella parte n m , ed il suo 
rimanente dn ed me resta illuminato dall' a, ed il lume dn 
riflette nell'ombra primitiva bc, ed il simile fa il lume me\ 
adunque la derivativa n m , non vedendo il lume a , resta oscura, e la primitiva si 
illumina dal campo illuminato che circonda la derivativa, e però è più oscura la 
derivativa che la primitiva. 




590. Come l'ombra primitiva, che non è congiunta con piana super- 
fìcie, non sarà di eguale oscurità. 

Provasi, e sia l'ombra primitiva congiunta all'obietto bcd, nel quale vede 
c l'ombra derivativa fg, ed ancora vi vede il campo suo 
illuminato efg/i; dico che tal corpo sarà più illuminato 
in b estremo che nel mezzo d, perchè in b vede il lume a 
primitivo, ed il lume e f derivativo vi vede per raggi riflessi, 
e l'ombra derivativa fg non vi aggiunge, perchè fbd è l'an- 
golo della contingenza fatto dalla fb e dalla curva bd; e 
tutto il rimanente di tal corpo è veduto dall' ombra deri- 
vativa fg, più o meno, secondo che la linea fg può farsi 
base di triangolo con maggiore o minore angolo. 




591. Condizione degli obietti oscuri di ciascun' ombra. 

Infra gli obietti di eguale oscurità, figura e grandezza, quello aumenterà più 
V oscurità della contrapposta ombra, il quale le sarà più vicino. 



a 




592. Qual campo renderà le ombre più 
oscure. 

Infra le ombre di eguale oscurità quella si dimo- 
strerà più oscura, la quale si genera in campo di 



maggiore bianchezza; seguita che quella parrà meno oscura, che sarà in campo 



a 595] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 193 

più oscuro. Provasi in una medesima ombra, perchè la sua parte estrema, che da 
una parte confina col campo bianco, pare oscurissima, e dall' altra parte dov' essa 
confina con sè medesima, pare di poca oscurità. E sia l'ombra dell'obietto bd 
fatta sopra de , la quale par più nera in ne, perchè confina col campo bianco e e , 
che in nd, che confina col campo oscuro ne. 

593. Dove sarà più oscura l'ombra derivativa. 

Queir ombra derivativa sarà di maggiore oscurità, la quale sarà più vicina alla 
sua causa, e quelle che sono remote si faranno più chiare. 

Quell' ombra sarà più spedita e terminata, che sarà più vicina al suo nasci- 
mento, e manco spedita è la più remota. 

L' ombra si dimostra più oscura inverso gli estremi che inverso il mezzo suo. 

594. Delle ombre. 

Mai 1' ombra avrà la vera similitudine del dintorno del corpo donde nasce, ancora 
che fosse sferica, se il lume non sarà della figura del corpo ombroso. 

Se il lume è di lunga figura, la qual lunghezza si estenda in alto, le ombre 
de' corpi da quello illuminate si estenderanno in latitudine. 

Se la lunghezza del lume sarà trasversale, Y ombra del corpo sferico si farà 
lunga nella sua altezza ; e così per qualunque modo si troverà la lunghezza del lume, 
sempre 1' ombra avrà la sua lunghezza in contrario intersecata ad uso di croce colla 
lunghezza del lume. 

Se il lume sarà più grosso e più corto del corpo ombroso, la percussione del- 
l' ombra derivativa sarà più lunga e più sottile che l' ombra primitiva. 

Se il lume sarà più sottile e più lungo che il corpo ombroso, la percussione 
dell' ombra derivativa sarà più grossa e più corta che la primitiva. 

Se la lunghezza e larghezza del luminoso saranno eguali alla lunghezza e larghezza 
del corpo ombroso, allora la percussione della derivativa ombra sarà della mede- 
sima figura ne' suoi termini che 1' ombra primitiva. 

595. De' termini che circondano le ombre derivative nelle loro per- 
cussioni. 

Sempre i termini delle semplici ombre derivative sono nelle loro percussioni 
circondati del colore delle cose illuminate, che mandano i loro raggi dal mede- 
simo lato del luminoso che illumina il corpo ombroso generatore della detta ombra. 



L. da Vinci — Trattato della pithira. 



25 



94 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 596 



596. Come ogni corpo ombroso genera tante ombre quante sono le 
parti luminose che lo circondano. 

I corpi ombrosi generano tante sorta di ombre intorno alla loro base, e di tanti 
colori, quanti sono gli oppositi colori illuminati che li circondano; ma tanto più 
potente 1' una che 1' altra, quanto il luminoso opposito sarà di maggior splendore, 
e questo c' insegnano diversi lumi posti intorno ad un medesimo corpo ombroso. 

597. Delle varie oscurità delle ombre circondatrici di un medesimo 
corpo ombroso. 

Delle ombre circondatrici di un medesimo corpo ombroso, quella sarà più oscura, 
la quale sarà generata da più potente luminoso. 

598. Dell'ombra fatta da un corpo infra due lumi eguali. 

Quel corpo che si troverà collocato infra due lumi eguali muoverà da sè due 
ombre, le quali si drizzeranno per linea ai due lumi, e se rimuoverai detto corpo 
e lo farai più presso all' uno de' lumi che all' altro, 1' ombra sua che si drizzerà a 
più propinquo lume sarà di minore oscurità che se si drizzerà al più lontano lume. 

599. Che quel corpo eh' è più propinquo al lume fa maggior ombra, 
e perchè. 

Se un obietto anteposto ad un particolar lume sarà di propinqua vicinità, vedrai 
a quello far ombra grandissima nella contrapposta parete; e quanto più allontanerai 
detto obietto dal lume, tanto si diminuirà la forma di essa ombra. 

600. Perchè 1' ombra maggiore che la sua cagione si fa di discordante 
proporzione. 

La discordanza della proporzione dell' ombra grande più che la sua cagione 
nasce perchè il lume, essendo minore che 1' obietto, non può essere di eguale distanza 
alle estremità di esso obietto, e quella parte eh' è più propinqua più cresce che le 
distanti ; e però più cresce. 

601. Perchè l'ombra maggiore che la sua cagione ha termini confusi. 

Quell' aria che circoscrive il lume è quasi di natura di esso lume per chiarezza 
e per colore, e quanto più si allontana, più perde di sua similitudine ; e la cosa 



a 606] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 195 

che fa grand' ombra è vicina al lume, e trovasi illuminata dal lume e dall' aria 
luminosa, onde quest' aria lascia i termini confusi dell' ombra. 

602. Come l'ombra separata non sarà mai simile per grandezza alla 
sua cagione. 

Se i raggi luminosi sono, come l'esperienza conferma, causati da un solo punto, 
ed in corso circolare al suo punto si van disgregando e spargendo 
per 1' aria, quanto più si allontanano, più si allargano, e sempre 
la cosa posta fra il lume e la parete è portata per ombra mag- 
giore, perchè i raggi che la toccano, giunto il loro concorso alla parete, son fatti 
più larghi. 

603. Che differenza è da ombra congiunta co' corpi ad ombra separata. 

Ombra congiunta è quella che mai si parte dai corpi illuminati, come sarebbe 
una palla, la quale stante al lume sempre ha una parte di sè occupata dall'ombra, 
la quale mai si divide per mutazione di sito fatta da essa palla. Ombra separata 
può essere e non essere creata dal corpo ; poniamo eh' essa palla sia distante da 
un muro un braccio, e dall' opposita parte sia il lume ; il detto lume manderà in 
detto muro appunto tanta dilatazione di ombra, quant' è quella che si trova sulla 
parte della palla che è volta a detto muro. Quella parte dell' ombra separata che 
non appare, sarà quando il lume sarà di sotto alla palla, che la sua ombra ne va 
inverso il cielo, e non trovando resistenza pel cammino, si perde. 

604. Natura dell'ombra derivativa. 

L' ombra derivativa cresce e diminuisce secondo 1' accrescimento o diminuzione 
della sua ombra primitiva. 

605. Delle figure delle ombre. 

Mai 1' ombra derivativa sarà integralmente simile al corpo ombroso che la genera- 
se il lume che cinge co' suoi raggi i termini di tal corpo non è della medesima 
figura di esso corpo. 

606. Dell'ombra derivativa generata in altra ombra derivativa. 

L' ombra derivativa nata dal sole può esser fatta sopra 1' ombra derivativa generata 
dall ' aria. Provasi, e sia 1' ombra dell' obietto m , la quale è generata dall' aria ef nello 




196 LEONARDO DA VINCI [§ 606 

spazio deb] e sia che l'obietto n mediante il sole g faccia 
l'ombra ab e) e del rimanente dell'ombra dm e che in tal 
sito non vede 1' aria e f, 1 nè ancora vi vede il sole, adunque 
è ombra doppia perchè è generata dai due obietti, cioè n m . 

607. De' termini dell'ombra derivativa. 

I termini dell' ombra derivativa sono meno sensibili ne' lumi universali che nei 
particolari. 

608. Dell'estensione dell'ombra derivativa. 

I termini delle ombre derivative si dilatano tanto più dintorno al corpo ombroso, 
quanto il lume che le genera è di maggior grandezza. 

609. Dove l' ombra derivativa è più oscura. 

Quella parte dell' ombra derivativa sarà più oscura, la quale sarà più vicina alla 
sua causa. Seguita il contrario, che dice: quella parte dell'ombra derivativa sarà 
di minore oscurità, la quale sarà più remota dalla sua causa. 

610. Delle varietà delle ombre nel variare le grandezze de' lumi che 
le generano. 

Tanto cresce 1' ombra ad un medesimo corpo, quanta è la diminuzione del lume 
che la genera senza mutazioni di sito. 

611. Del variare dell' ombra senza diminuzione del lume che la causa. 

Tanto cresce o diminuisce l' ombra di un medesimo corpo, quanto cresce o 
diminuisce lo spazio interposto infra il lume e 1' obietto ombroso, il quale è in sè 
minore del corpo luminoso. 

612. Dell'ombra che si converte in lume. 

II sito ombrato mediante il sole resterà illuminato dall' aria dopo la partita di 
esso sole, perchè sempre il minor lume è ombra del lume maggiore. 




1 Così il codice. L'edizione viennese propone di correggere così: «... l'ombra abc\ la metà dell'ombra 
di vi, de, sarà rischiarata dal sole, ed il rimanente dell'ombra di m, cò, che in tal sito», ecc. 



a 616] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



197 



613. Del lume che si converte in ombra. 

Il sito illuminato dall' aria si farà ombroso se sarà circondato dalla percussione 
de' raggi solari ; e questo nasce perchè il maggior lume fa parere oscuro il lume 
di minor luce. 



614. Dell' ombra derivativa creata da lume di lunga figura, che percuote 
l' obietto simile a sè. 

Quando il lume che passa per spiracolo di lunga e stretta figura percuoterà 
1' obietto ombroso di figura e situazione simile a sè, allora l'ombra avrà la figura 
dell' obietto ombroso. Provasi, e sia lo spiracolo donde penetra il lume nel luogo 
oscuro a b , e 1' obietto colonnale di figura eguale e simile 
alla figura dello spiracolo sia ed, ed ef sia la percussione I IT~ 
del raggio ombroso del detto obietto c d ; dico tale ombra 
non poter essere maggiore, nè ancora minore di esso spira- 
colo in alcuna distanza, essendo il lume condizionato nel predetto modo. E questo 
resta provato per la quarta di questo, che dice che tutti i raggi ombrosi e luminosi 
sono rettilinei. 




615. Che le ombre debbono sempre partecipare del colore del corpo 
ombroso. 

Nessuna cosa pare della sua naturale bianchezza, perchè i siti ne' quali essa 
è veduta la rendono all' occhio tanto più o men bianca, quanto tal sito sarà più 
o meno oscuro ; e questo c' insegna la luna, che di giorno ci si mostra nel cielo 
di poca chiarezza e la notte con tanto splendore, eh' essa ci rende di sè il simu- 
lacro del sole e del giorno col suo scacciar delle tenebre. E questo nasce da due 
cose: e prima è il paragone che in sè ha natura di mostrare le cose tanto più 
perfette nelle specie de' loro colori, quanto esse sono più disformi ; la seconda è 
che la pupilla è maggiore la notte che il giorno, com' è provato ; e maggiore pupilla 
vede un corpo luminoso di maggior quantità e di più eccellente splendore che la 
pupilla minore, come prova chi guarda le stelle per un piccolo foro fatto nella carta. 



616. Delle cose bianche remote dall'occhio. 

La cosa bianca rimossa dall' occhio, quanto più si rimuove, più perde la sua 
bianchezza, e tanto più quanto il sole l' illumina, perchè partecipa del colore del 
sole misto col colore dell' aria che s' interpone infra l' occhio ed il bianco. La 



198 LEONARDO DA VINCI [§ 616 

quale aria, se il sole è all' oriente, si mostra torba e rosseggiante mediante i vapori 
che in essa si levano; ma se l'occhio si volterà all'oriente, vedrà solamente le 
ombre del bianco partecipare del colore azzurro. 

617. Delle ombre delle cose remote e lor colore. 

Le ombre delle cose remote parteciperanno tanto più di colore azzurro, quanto 
esse saranno in sè più oscure e più remote; e questo accade per la interposizione 
della chiarezza dell' aria che s' intramette infra 1' oscurità de' corpi ombrosi interposti 
infra il sole e l'occhio che la vede; ma se l'occhio si volta in opposito al sole, 
non vedrà simile azzurro. 

618. Delle ombre, e quali sono quelle primitive che saranno più oscure 
sopra il suo corpo. 

Le ombre primitive si faranno più oscure, che saran generate in superficie di 
corpo più denso, e pel contrario più chiare nelle superficie de' corpi più rari; questo 
è manifesto, perchè le specie di quegli obietti che tingono de' lor colori i contrap- 
posti corpi s' imprimono con maggior vigore, le quali trovali 
più densa e pulita superficie sopra essi corpi. Provasi, e 
sia il corpo denso rs interposto infra l'obietto luminoso nm 
e 1' obietto ombroso op ; per la settima del nono, che dice : 
la superficie di ogni corpo partecipa del colore del suo obietto, diremo adunque che 
la parte de r di esso corpo è illuminata, perchè il suo obietto n m è luminoso ; e 
per simil modo diremo la parte opposita abs essere ombrosa, perchè il suo obietto 
è oscuro ; e così è concluso il nostro proposito. 

619. Oual parte della superficie di un corpo s'imprime meglio del 
colore del suo obietto. 

Quella parte della superficie di un corpo denso partecipa più intensamente del 
colore del suo obietto, la quale è men veduta da altri obietti di altri colori. Adunque 
colla medesima figura ci serviremo al nostro proposito; e sia che la superfìcie del 
sopradetto corpo crd non sia veduta dall'oscurità op, essa sarà tutta privata di 
ombra, e similmente se la superficie a s b non sarà veduta dal luminoso 11 vi , essa 
sarà al tutto privata di luce. 




a 624] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



199 



620. Qual parte della superficie di un corpo ombroso sarà dove i 
colori degli obietti si mischiano. 

Per tutta quella parte della superficie di un corpo ombroso, la quale è veduta 
dai colori di più obietti, saran miste le specie de' predetti colori ; adunque la parte 
del corpo ombroso ed ab sarà mista di luce e di ombra, perchè in tal luogo è 
veduta dal lume nm e dall'oscuro op. 

621. Qual parte è di mediocre ombra nella superficie di un corpo 
ombroso. 

La parte della superficie di un corpo ombroso sarà di mediocre chiarezza e 
di mediocre ombrosità, nella quale egualmente è veduto dal chiaro e dall' oscuro ; 
adunque nella linea hk sarà un'ombra tanto meno oscura che la sua semplice 
ombra primitiva asb, quanto essa è men chiara che il semplice lume primitivo crd. 

622. Qual parte della superficie illuminata sarà di maggior chiarezza. 

Quella parte del corpo illuminato sarà più luminosa, la 
quale sarà più vicina all' obietto che l' illumina. Provasi, e 
sia la parte del corpo illuminato opc, e l'obietto che lo 
illumina sia ab; dico che il punto c è più illuminato che 
alcuna altra parte di tal corpo, perchè l' angolo acb, lumi- 
noso che la percuote, è più grosso che alcun altro angolo che in tale superficie 
generar si possa. 

623. Qual ombra principale nelle superficie de' corpi avrà minore o 
maggior differenza delle parti luminose. 

L' ombra de' corpi neri, essendo principale, avrà minor differenza da' suoi lumi 
principali che nella superficie di alcun altro colore. 

624. Delle ombre fatte nelle parti ombrose de' corpi opachi. 

Le ombre fatte nelle ombre de' corpi opachi non hanno ad essere di quella 
evidenza che hanno quelle che son fatte nelle parti luminose de' medesimi corpi, 
nè ancora hanno da essere generate dal lume primitivo, ma da derivativo. 




200 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 625 



625. Qual corpo piglia più quantità di ombra. 




Quel corpo sarà vestito di maggior quantità di ombra, 
il quale sarà illuminato da minor corpo luminoso, ab ed sia 
il corpo ombroso, g è il piccolo luminoso, il quale solo 
illumina di esso ombroso la parte ab e, onde la parte om- 
brosa ade resta molto maggiore che la parte luminosa ab e. 



626. Qual corpo piglia più quantità di luce. 

^ Maggior quantità di luce piglia quel corpo che da maggior 

IjL^ lume sarà illuminato, ab ed sia il corpo illuminato, ef è quel 

& corpo che lo illumina ; dico, che per essere tanto maggiore 

f . . . . . 

^ il luminoso che l'illuminato, la parte illuminata bed sarà molto 

maggiore che la sua parte ombrosa bad, e questo è provato per la rettitudine 
de' raggi luminosi eg, fg. 




627. Qual corpo piglia più oscura ombra. 

Quel corpo piglierà ombra di maggiore oscurità il quale sarà più denso, anco- 
raché tali corpi sieno di un medesimo colore ; dico che più oscura sarà l' ombra 
di un panno verde, che quella di un albero fronzuto, ancoraché il verde del panno 
e delle foglie dell' albero sia di una medesima qualità ; e questo causasi perchè il 
panno non è trasparente coni' è la foglia e non ha aria illuminata interposta infra 
le sue parti come ha la verdura delle piante, la quale abbia a confondere la parte 
ombrosa. 



628. Della qualità dell'oscurità delle ombre. 



Le oscurità delle ombre derivative sono variabili in infinito 
con tanta maggiore o minor potenza, quante sono le maggiori o 
minori distanze nelle quali le percussioni delle ombre derivative 
* son causate. Provasi, e sia il sole a che genera l'ombra nphi, 
nella quale entra il lume dell' aria che circonda i raggi solari, 
cioè ebrs di sopra, e di sotto fers, e rischiara essa ombra, 
la quale è oscurissima nello spazio tipo, dove non vede nè sole, 
nè aria, se non gli estremi suoi be. 




a 632 J 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



201 



629. Dell'ombra delle verdure de' prati. 

Le verdure de' prati hanno minima, anzi quasi insensibil ombra, e massime dove 
le erbe sono minute e sottili di foglie, e per questo le ombre non si possono generare, 
perchè il grand' emisfero cinge in cerchio le minute festuche, e se non è cespo di 
larghe foglie, le ombre delle erbe sono di poca evidenza. 



630. Precetto di pittura. 

Ne' lumi universali le ombre occupano poco luogo nelle superficie de' loro corpi ; 
e questo nasce perchè la gran somma del lume del nostro emisfero cinge infino 
alle infime parti de' corpi ombrosi, se esso non è impedito 
col suo orizzonte, e massime se esso è sospeso dalla terra. c jf A 
/sia l'ombroso, e la terra; ab ed è il nostro emisfero, ad è I ^^^4J^y^ \ 
1' orizzonte di tale emisfero, di che, ancoraché 1' oscurità ^hSA^^. 
della terra u x oscuri tanto del corpo ombroso quanto essa ** y 7 ^ 

ne vede, 1' orizzonte che vede le medesime parti illumina 

i medesimi luoghi e confonde le specie ombrose della predetta terra, la quale era in 
disposizione di fare tali ombre oscure nel disotto dell' obietto, s' essa non n' era impedita. 

631. Delle ombre che non sono compagne della parte illuminata. 

Rarissime sono quelle ombre de' corpi opachi che sieno vere ombre delle loro 
parti illuminate. Questa è provata per la settima del quarto, la quale dice che la 
superficie di ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto. Adunque il 
colore illuminato de' volti, avendo per obietto un color nero, parteciperà di ombre 
nere, e così farà del giallo, verde ed azzurro, e di ogni altro colore ad esso contrap- 
posto ; e questo accade per causa che ogni corpo manda la similitudine sua per 
tutta la sua circostante aria, com' è provato in prospettiva, e come si vede per espe- 
rienza del sole, del quale tutti gli obietti ad esso anteposti partecipano della sua 
luce e quella riflettono agli altri obietti, come si vede della luna e delle altre stelle, 
le quali a noi riflettono il lume a lor dato dal sole ; ed il medesimo fanno le tenebre, 
conciossiachè esse vestono della loro oscurità ciò che dentro ad esse si rinchiude. 

632. Del lume de' corpi ombrosi che non sono quasi mai del vero 
colore del corpo illuminato. 

Quasi mai potremo dire essere che la superficie de' corpi illuminati sia del vero 
colore di essi corpi. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 2 6 



202 LEONARDO DA VINCI [§ 632 

La settima del quarto dice la causa di quello che ci è proposto, ed ancora 
ci dimostra che quando un volto posto in luogo oscuro sarà da una parte illu- 
minato da un raggio dell' aria e da un altro dal raggio della candela accesa, senza 
dubbio parrà di due colori ; ed avanti che l' aria vedesse tal volto, il lume della 
candela pareva suo debito colore ; e così dell' aria interveniva. 

Se terrai una lista bianca, e la metterai in luogo tenebroso, e le farai pigliare il 
lume per tre spiracoli, cioè dal sole, dal fuoco e dall' aria, tal lista sarà di tre colori. 

633. Come son le ombre per lunga distanza. 

Le ombre si perdono in lunga distanza, perchè la grande quantità dell'aria luminosa, 
che si trova infra 1' occhio e la cosa veduta, tinge 1' ombra di essa cosa nel suo colore. 

634. Della larghezza delle ombre, e de' lumi primitivi. 

La dilatazione e retrazione delle ombre, ovvero la maggiore o minor larghezza 
delle ombre e de' lumi sopra i corpi opachi, saranno trovate nelle maggiori o minori 
curvità delle parti de' corpi dove si generano. 

635. Delle maggiori o minori oscurità delle ombre. 

Le maggiori o minori oscurità delle ombre si generano nelle più curve parti 
de' membri, e le meno oscure saranno trovate nelle parti più larghe. 

636. Dove le ombre ingannano il giudizio che dà sentenza della lor 
maggiore o minore oscurità. 

Infra le ombre di eguale oscurità quella si dimostrerà meno oscura, la quale 
sarà circondata da lumi di minore potenza, come sono le ombre che si generano 
infra lumi riflessi ; adunque tu, pittore, pensa di non t' ingannare col variare tal ombra. 

637. Dove i lumi ingannano il giudizio del pittore. 

Infra i lumi di eguale chiarezza quello parrà più potente, il quale sarà minore 
e sarà circondato da campo più oscuro. 

638. Dell'ombra ne' corpi. 

Quando figuri le ombre oscure ne' corpi ombrosi, figura sempre la causa di tale 
oscurità, ed il simile farai de' riflessi, perchè le ombre oscure nascono da oscuri 



a 642] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 203 

obietti ed i riflessi da obietti di piccola chiarezza, cioè da lumi diminuiti ; e tal 
proporzione è dalla parte illuminata de' corpi alla parte rischiarata dal riflesso, quale 
è dalla causa del lume di essi corpi alla causa di tale riflesso. 

639. Delle qualità di ombre e di lumi. 

Molto maggiore sarà la differenza de' lumi dalle loro ombre ne' corpi posti ai 
potenti lumi, che in quelli che sono posti ne' luoghi oscuri. 

640. Delle ombre e lumi, e colori. 

Quella parte del corpo ombroso si mostrerà più luminosa, che da più potente 
lume sarà illuminata. 

Tanto sarà maggiore in sè la quantità delle ombre ne' corpi ombrosi che la 
sua quantità illuminata, quanto è maggiore la quantità della oscurità da lui veduta 
che quella dello splendore che lo illumina. 

641. De' lumi ed ombre, e colori di quelli. 

Nessun corpo si dimostrerà mai integralmente del suo naturai colore. Quello 
che si propone può accadere per due diverse cause, delle quali la prima accade 
per interposizione del mezzo che s' include infra 1' obietto e 1' occhio ; la seconda è 
quando le cose che illuminano il predetto corpo non ritengano in sè qualità di 
alcun colore. 

Quella parte del corpo si dimostrerebbe del suo naturai colore, la quale fosse 
illuminata da luminoso senza colore, e che in tale illuminamento non vegga altro 
obietto che il predetto lume : questo non accade mai potersi vedere se non nel 
colore turchino posto per piano inverso il cielo sopra un altissimo monte, acciocché 
in tal luogo non possa vedere altro obietto, e che il sole sia occupato, nel morire, 
da bassi nuvoli, e che il panno sia del colore dell' aria. Ma in questo caso io mi 
ridico, perchè il rosato anch' esso cresce di bellezza, quando il sole che l' illumina 
nell' occidente rosseggia insieme co' nuvoli che gli s' interpongono ; benché in questo 
caso si potrebbe ancora accettare per vero, perchè se il rosato illuminato dal lume 
rosseggiante mostra più che altrove bellezza, gli è segno che i lumi di altri colori 
anche rossi gli toglieranno la sua bellezza naturale. 

642. Dell'ombra e lumi negli obietti. 

La superficie di ogni corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto. Gran 
rispetto bisogna al pittore nel situare le cose sue infra obietti di varie potenze di 



204 LEONARDO DA VINCI [§ 642 

lumi, e vari colori illuminati, conciossiachè ogni corpo da quelli circondato non si 
mostra mai integralmente del suo vero colore. 

643. De' termini insensibili delle ombre. 

Quella parte dell' ombra sarà più oscura, che con men somma di lume s' infonde. 

644. Delle qualità de' lumi ed ombre ne' corpi ombrosi. 

Dico che le ombre sono di poca potenza nelle parti de' corpi che sono volte 
inverso la causa del lume, e così sono le ombre infra le ombre volte alla causa 
di esse ombre. Dimostransi di gran potenza le ombre ed i lumi che sono infra 
la causa delle ombre e la causa del lume. 

645. Delle dimostrazioni de' lumi e delle ombre. 

Quell' ombra si dimostrerà più oscura che sarà più vicina alla più luminosa 
parte del corpo, e così di converso si dimostrerà meno oscura quella che sarà più 
vicina alle più oscure parti de' corpi. 

646. De' lumi. 

Quel lume si dimostrerà più chiaro che si accosterà più all' oscuro, e parrà 
men chiaro che sarà più vicino alle parti più luminose del corpo. 

647. De' lumi ed ombre. 

Ombra è diminuzione o privazione di luce. L'ombra sarà di maggior quantità 
sopra il suo corpo ombroso, che da minor quantità di luce sarà illuminato. Da 
quanta maggior somma di luce il corpo sarà illuminato, tanto minore sarà la quantità 
dell' ombra che sopra esso corpo rimane, a è il corpo luminoso ; beh il corpo 
ombroso ; b è la parte del corpo che si illumina ; c è quella parte rimanente privata 
di luce, ed in questo è maggiore l'ombroso che il luminoso; /è il corpo luminoso 
maggiore che 1' ombroso a sè opposito ; fe è il corpo ombroso ; / è la parte illu- 
minata; g è la parte ombrata. 1 



Manca la figura nel codice. 



a 651] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



205 



648. De' lumi ed ombre che di sè tingono le superficie delle campagne. 

Le ombre e lumi delle campagne partecipano del colore delle lor cause, perchè 
1' oscurità composta dalle grossezze de' nuvoli, oltre alla privazione de' raggi solari, 
tinge di sè ciò che per essa si tocca. Ma la circostante aria fuori de' nuvoli ed 
ombre vede ed illumina il medesimo sito, e lo fa partecipante di colore azzurro ; 
e 1' aria penetrata dai raggi solari che si trova infra 1' oscurità della predetta ombra 
della terra e l' occhio di chi la vede, tinge ancora essa tale sito di color azzurro, 
come si prova l'azzurro dell' aria esser nato di luce e di tenebre. Ma la parte delle 
campagne illuminata dal sole partecipa del colore dell' aria e del sole, ma assai 
partecipa dell' aria, perchè fa ufficio di maggiore per essere 1' aria più propinqua, e 
si fa campo d' innumerabili soli inquanto all'occhio. E queste campagne parte- 
cipano tanto più di azzurro, quanto esse sono più remote dall' occhio ; e tanto 
più esso azzurro si fa chiaro, quando s' innalza all' orizzonte, e questo esce dai 
vapori umidi. 

Le cose son men note nelle ombre che ne' lumi, ed il lume universale cinge 
di sè i corpi ombrosi e li lascia con poco rilievo, quando l' occhio s' interpone 
infra l'ombroso ed il lume. L'ombra a tale occhio è invisibile, ma i corpi laterali 
in tal tempo mostreranno de' loro lumi con tanta maggiore o minor quantità, quanto 
tali corpi saranno più vicini o remoti alla linea retta che si estende dall' uno all' altro 
orizzonte, passando per i due occhi veditori di tali campagne. 

649. Del lume derivativo. 

Il lume derivativo risulta da due cose, cioè lume originale e corpo ombroso. 

650. De 1 lumi. 

I lumi che illuminano i corpi opachi sono di quattro sorta, cioè universale, 
com' è quello dell' aria che è dentro al nostro orizzonte ; e particolare, com' è quello 
del sole, o di una finestra, o porta, o altro spazio ; il terzo è il lume riflesso ; 
quarto è quello il quale passa per cose trasparenti, come tela o carta e simili, ma 
non trasparenti come vetri, o cristalli, od altri corpi, i quali fanno il medesimo 
effetto, come se nulla fosse interposto infra il corpo ombroso ed il lume che lo 
illumina, e di questi parleremo distintamente nel nostro discorso. 

651. Di illuminazione e lustro. 

L' illuminazione è partecipazione di luce, e lustro è specchia mento di essa luce. 



20Ó 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 652 



652. Di ombra e lume. 

Tenebre è privazione di luce, e luce è privazione di tenebre ; ombra è mistione 
di tenebre con luce, e sarà di tanto maggiore o minore oscurità, quanto la luce 
che con essa si mischia sarà di minore o di maggior potenza. 

653. Di ombra e lume. 

Quell' obietto avrà le sue ombre e lumi di termini più insensibili, il quale sarà 
interposto infra maggiori obietti oscuri e chiari di quantità continui. Provasi, e sia 
l'obietto o, il quale è interposto infra l'ombroso 11 m e il luminoso rs \ dico che 



altra parte di esso sferico ; e lo prova la seconda figura : b a c vede tutta la oscurità eg f; 
tale oscurità non s' imprime sopra esso b a c con egual potenza, perchè non s' imprime 
con uniforme quantità, conciossiachè a , che vede tutta 1' oscurità ef, è molto più 
oscuro che b , il quale ne vede solamente la metà eg ; e il simile accade in c , eh' è 
veduto dall'ombra^/. 

654. De' lumi ed ombre. 

Ogni parte del corpo ed ogni minima particola che si trova avere alquanto 
di rilievo, io ti ricordo che guardi a dar loro i principati delle ombre e de' lumi. 

655. Di ombra e lume. 

Ogni parte della superficie che circonda i corpi si trasmuta in parte del colore 
di quella cosa che le è posta per obietto. 

656. Esempio. 

Se tu porrai un corpo sferico in mezzo a vari obietti, cioè che da una parte 
sia lume del sole e dall' opposita parte sia un muro illuminato dal sole, il quale 
sia verde o di altro colore; il piano dove si posa sia rosso; dai due lati traversi 
sia oscuro ; vedrai il naturale colore di detto corpo partecipare de' colori che gli 




V obietto ombroso cinge quasi tutto l' obietto colla sua 
piramide n a m , e il simile fa all' opposito la piramide 
del luminoso rcs \ e per l'ottava del quinto è concluso 
quello che si propone, la quale dice, che quella parte 
dello sferico sarà più oscura che più vede della ante- 
posta oscurità ; seguita che c è più oscuro che in alcuna 



a 66 ij TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 207 

sono per obietto : il più potente sarà il luminoso ; il secondo sarà quello della parete 
illuminata; il terzo quello dell' ombra ; rimane poi una quantità che partecipa del 
colore degli estremi. 

657. Di ombre e lumi. 

Vedi tu, che ritrai delle opere di natura, le quantità e qualità e le figure di 
lumi ed ombre di ciascun muscolo, e nota nelle lunghezze della loro figura a qual 
muscolo si drizzano colle rettitudini delle loro linee centrali. 

658. De' lumi infra le ombre. 

Quando ritrai alcun corpo, ricordati, quando fai paragone della potenza de' lumi 
delle sue parti illuminate, che spesso 1' occhio s' inganna, parendogli più chiara quella 
che è men chiara; e la causa nasce mediante i paragoni delle parti che confinano 
con loro, perchè se avran due parti di chiarezza ineguali, e che la men chiara 
confini con parti oscure, e la più chiara confini con parti chiare, coni' è il cielo 
o simili chiarezze, allora quella eh' è men chiara, o vuoi dire lucida, parrà più lucida, 
e la più chiara parrà più oscura. 

659. Del chiaro e scuro. 

Il chiaro e lo scuro insieme cogli scorti è la eccellenza della scienza della pittura. 

660. Del chiaro e scuro. 

Il chiaro e lo scuro, cioè il lume e le ombre, hanno un mezzo, il quale non 
si può nominare nè chiaro nè scuro, ma egualmente partecipante di esso chiaro 
e scuro ; ed è alcuna volta egualmente distante dal chiaro e dallo scuro, ed alcuna 
volta più vicino all'uno che all'altro. 

661. Delle quattro cose che si hanno eia considerare principalmente 
nelle ombre e ne' lumi. 

Quattro sono le parti principali le quali si hanno da considerare nella pittura, 
cioè qualità, quantità, sito e figura: per la qualità s'intende che ombra, e quale parte 
dell' ombra è più o men oscura ; quantità, cioè quanto sia la grandezza di tale ombra 
rispetto alle altre vicine; sito, cioè in che modo si debbano situare, e sopra che 
parte del membro dove si appoggia ; figura, cioè che figura sia quella di essa ombra, 
come a dire se essa è triangolare, o partecipi di tondo, o di quadrato, ecc. 



2o8 LEONARDO DA VINCI [§ 66 1 

L' aspetto ancora è da connumerare, nelle parti delle ombre, cioè che se l'ombra 
ha del lungo, vedere a che aspetto si drizza la somma di tale lunghezza ; se si 
drizza all' orecchio 1' ombra di un ciglio, se si drizza alle nari 1' ombra inferiore 
della cassa dell'occhio, e così con simili riscontri di vari aspetti situare esse ombre; 
adunque l' aspetto è da essere preposto al sito. 

662. Della natura del lume illuminatore de '* corpi ombrosi. 

Il lume universale cinge la parte del corpo ombroso da esso veduta, e l' illumina, 
e varia l' illuminazione di quella con tanto maggiore o minor chiarezza, quanto le 
parti di tal corpo illuminate son vedute da maggiore o minore quantità di esso 
lume universale. 

663. De' lumi universali sopra i corpi puliti. 

I lumi universali circostanti ai corpi puliti daranno chiarezza universale nelle 
superficie di tali corpi. 

664. De' corpi ombrosi i quali son puliti e lustri. 

Ne' corpi ombrosi i quali hanno superficie pulita e lustra, quelli eh' hanno lume 
particolare variano in loro le ombre ed i lustri in tanti vari siti quante sono le 
mutazioni del lume dell' occhio che li vede. 

In questo caso il lume particolare può essere immobile e l' occhio mobile, e 
così di converso, eh' è quel medesimo in quanto alle mutazioni de' lustri e delle 
ombre nelle superficie di essi corpi. 

665. Come i corpi circondati da lume universale generano in molte 
parti di sè i lumi particolari. 

Generansi i lumi particolari nelle superficie de' corpi ombrosi, ancoraché il loro 
tutto sia circondato di sopra da lume universale del cielo senza sole, com' è quando 
alcun oscuro nuvolo ce lo toglie e ce 1' occupa ; e questo nasce per la inegualità 
eh' hanno le superficie di essi corpi, mediante le membra a quelli congiunte, le quali, 
interponendosi infra esso lume ed il corpo ombroso, privano esso corpo di gran 
quantità di. luce universale ; onde la luce, che penetra infra i membri ed il corpo, 
sarà lume particolare, cioè parte di tutto il lume, che di sè abbraccia le parti este- 
riori di ciascun membro del corpo. 



a 668] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



209 



666. Delle ombre e lumi co' quali si fingono le cose naturali. 

Sono alcuni che vogliono vedere le ombre oscure in tutte le loro opere, e così 
biasimano chi non fa come loro. A questi tali si satisfarà in parte coli' operare ombre 
oscure ed ombre chiare ; le oscure ne' luoghi oscuri, e le chiare nelle campagne a 
lumi universali. 



667. Delle ombre, ed in quali corpi non possono essere di gran potenza 
di oscurità, e così i lumi. 

Dove non si generano ombre di grande oscurità, non si possono neppur generare 
lumi di gran chiarezza. E questo accade negli alberi di rare e strette foglie, come 
salici, scope, ginepri e simili, ed ancora ne' panni trasparenti, come sono zendadi, 
veli e simili, e così i capelli crespi e sparsi ; e questo accade perchè tutta la somma 
di ciascuna di predette specie non compone lustri nelle sue particole, e se vi sono, 
sono insensibili, e le loro specie poco si rimuovono dal luogo dove si generano ; ed il 
simile fanno le parti ombrose di tali particole, e tutta la somma non genera ombra 
oscura, perchè l' aria le penetra ed illumina, così le parti vicine al mezzo, come 
quelle di fuori ; e se vi è varietà, essa è quasi insensibile, e così le parti illuminate 
di essa somma non possono essere di troppa differenza dalle parti ombrose, perchè 
penetrando, com' è detto, 1' aria luminosa per tutte le particole, le parti illuminate 
sono tanto vicine alle particole adombrate, che le loro specie mandate all' occhio 
fanno un misto confuso, composto di minimi chiari e scuri, in modo che non si 
discerne in tal misto altro che confusione a uso di nebbia. Il simile accade ne' veli, 
tele ragnate, e simili. 



668. Del lume particolare del sole o di altro corpo luminoso. 



Quella parte del corpo illuminato sarà di più intensa chiarezza, la quale sarà 
percossa dal raggio luminoso infra angoli più simili ; e la meno illuminata sarà 
quella che si troverà infra angoli più disformi 
di essi raggi luminosi. 

L' angolo n nel lato che riguarda il sole, 
per essere percosso da esso sole infra angoli 
eguali, sarà illuminato con maggiore potenza 
di raggi che nessun' altra parte di esso corpo 
illuminato ; e il punto c sarà men che nessun' altra parte illuminato, per essere 
esso punto ferito dal corpo solare con angoli più disformi che nessun' altra parte 
della planizie, donde si estendono tali raggi solari ; e sia de' due angoli il mag- 
li, da Vinci — Trattato della pittura. 2 J 




2 io LEONARDO DA VINCI [§ 668 

giore dee ed il minore eef, e gli angoli eguali, che io doveva figurare prima, 

siano ano e bnr , i quali sono di punto eguali, e per questo n sarà più che altra 

parte illuminato. 




669. Del lume universale dell'aria dove non 
percuote il sole. 

Quella cosa si dimostrerà più illuminata, che sarà 
veduta da maggiore quantità di luminoso ; per quel eh' è 
detto, e sarà più illuminato che a , perchè e vede maggior 
somma di cielo, vedendo r s che non vede a , vedendo 
solamente il cielo bcd. 



670. Dell'universale illuminazione mista colla particolare del sole o di 
altri lumi. 

Senza dubbio quella parte del corpo ombroso che sarà veduta da men quantità 
del corpo universale e particolare, quella sarà meno illuminata. Provasi, e sia a il 

corpo del sole posto nel cielo n a m ; dico che il punto 
del corpo ombroso sarà più illuminato dal lume univer- 
sale che il punto r , perchè o vede ed è veduto da tutta 
la parte del lume universale nani, ed il punto r non 
è veduto se non dalla parte del cielo m e . Dipoi è 
veduto da tutta la quantità del sole eh' è volta ad esso, ed r non vede alcuna 
parte di esso sole. 




671. Dell'ombra media, la quale s'interpone infra la parte illuminata 
e 1' ombrosa de' corpi. 

Infra la parte illuminata e 1' ombrosa de' corpi s' inframmette 1' ombra media, 
la quale varia assai i suoi termini, imperocché dov' essa termina con l' ombra si 
converte in ombra, e dov' essa termina coli' una parte illuminata si fa della chiarezza 
di essa illuminata ; e se il lume primitivo sarà particolare, allora vi saranno i lustri, 
i quali sono così espediti termini dell' ombra media, quanto si sia la parte ombrosa. 

672. Se il gran lume di poca potenza vai quanto un piccolo lume di 
gran potenza. 

L' ombra generata da un piccolo lume e potente è più oscura che 1' ombra nata 
da un maggior lume e di minore potenza. 



a 675] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



21 1 



673. Del mezzo incluso infra i lumi e le ombre principali. 



L' ombra mezzana si dimostrerà di tanto maggiore quantità, quanto l' occhio 
che la vede sarà più a riscontro del centro della sua magni- 
tudine. Ombra mezzana è detta quella che tinge le superficie 
de' corpi ombrosi dopo l' ombra principale, e vi si contiene 
dentro il riflesso, e si fa tanto più oscura o chiara, quanto 
essa è più vicina o remota dall'ombra principale, nin sia 
1' ombra più oscura, il resto sempre si rischiarerà insino al 
punto o . Il resto della figura non è in altro al proposito della proposta, ma servirà 
alla succedente. 




674. Del sito dell'occhio che vede più o men ombra secondo il moto 
eh' esso fa intorno al corpo ombroso. 

Tanto si variano le proporzioni delle quantità eh' hanno infra loro le parti 
ombrose ed illuminate de' corpi ombrosi, quante sono le varietà de' siti dell' occhio 
che le vede. Provasi, e sia amno il corpo ombroso, p sia il luminoso che lo 
abbraccia; co' suoi raggi pr e ps illumina la parte mdn, e il rimanente noni resta 
oscuro, e 1' occhio che vede tal corpo sia q , il quale co' suoi raggi visuali abbraccia 
esso corpo ombroso, e vede tutto dmo, nella qual veduta vede dm, parte illu- 
minata assai minore che mo , parte ombrosa, come si prova nella piramide dqo, 
tagliata in k h , egualmente distante alla sua base divisa nel punto c . E così simil- 
mente si varierà in tanti modi la quantità del chiaro e scuro all' occhio che lo vede, 
quante saranno le varietà de' siti del predetto occhio. 



675. Qual sito è quello donde mai si vede ombra negli sferici ombrosi. 

L' occhio che sarà situato dentro alla piramide riflessa delle specie illuminate 
de' corpi ombrosi non vedrà mai nessuna parte ombrosa di esso corpo. La piramide 
riflessa delle specie illuminate sia a b c , e la parte illu- 
minata del corpo ombroso sia la parte bed; e l'occhio 
che sta dentro a tale piramide sia e , al quale non potran 
mai concorrere tutte le specie illuminate b c d se esso non 
si trova nel punto luminoso a , dal quale nessuna ombra 
è mai veduta, eh' esso subito non la distrugga ; seguita adunque che e , non vedendo 
se non la parte illuminata dp , è più privato di vedere i termini dell' ombra b c 
che non è a , eh' è tanto più remoto. 




212 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 676 



676. Qual sito ovvero qual distanza è quella intorno al corpo sferico, 
donde mai non è privato d' ombra. 

Ma quando 1' occhio sarà più distante dallo sferico ombroso che il corpo che 
lo illumina, allora è impossibile trovar sito donde 1' occhio sia integralmente privato 
delle specie ombrose di tale corpo. Provasi: bnc sia il corpo ombroso, a sia il corpo 

luminoso, bnc è la sua parte ombrosa e òse sarà illumi- 
nata ; o sia 1' occhio più remoto dal corpo ombroso che 
il lume a , il quale occhio vede tutta 1' ombra bdee; e se 
esso occhio si muoverà circolarmente intorno ad esso 
corpo con la medesima distanza, impossibile è che mai integralmente perda tutta la 
predetta ombra; imperocché, se col suo moto perde una parte di essa ombra da 
un lato, esso pel moto n' acquista dall' altro. 

677. Qual lume fa le ombre de' corpi più differenti ai lumi loro. 

Quel corpo farà le ombre di maggiore oscurità, il quale sarà 
illuminato da lume di maggior splendore. Il punto a è illuminato 
dal sole, ed il punto b è illuminato dall' aria illuminata dal sole ; 
e tal proporzione sarà dall' illuminato a all' illuminato b , quale è 
la proporzione che ha il lume del sole con quello dell' aria. 

678. Di vari obietti vicini veduti in lunga distanza. 

Quando gli obietti vicini infra loro e minuti saran veduti in lunga distanza, 
in modo che si perda la notizia delle loro figure, allora si causa un misto delle 
loro specie, il quale parteciperà più di quel colore del quale sarà vestita la maggior 
somma de' detti obietti. 

679. Del sito dove l'obietto si mostra di maggiore oscurità. 

Quell' obietto si mostra più oscuro in pari distanza dall' occhio, il quale sarà 
veduto in più alto sito ; e questo accade perchè l' aria è più sottile, quanto più 
s' innalza, e manco occupa 1' obietto che la sua grossezza ; e di qui nasce che sempre 
le cime de' colli che campeggiano nelle spiaggie de' monti si dimostrano essere più 
oscure che le basi de' colli stessi. 





a 682] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



213 



680. Dove ed in qual colore le ombre perdano più il colore naturale 
della cosa ombrata. 

Il bianco, che non vede nè lume incidente, nè alcuna sorta di lume riflesso, 
è quello che prima perde nella sua ombra integralmente il suo proprio naturai colore, 
se colore si potesse dire il bianco. Ma il nero aumenta il suo colore nelle ombre, 
e lo perde nelle sue parti illuminate, e tanto più lo perde, quanto la parte illuminata 
è veduta da lume di maggior potenza. E il verde e l' azzurro aumentano il lor colore 
nelle ombre mezzane; ed il rosso e il giallo acquistano di colore nelle loro parti illu- 
minate ; il simile fa il bianco, ed i colori misti partecipano della natura de' colori 
che compongono tal mistione ; cioè il nero misto col bianco fa berettino, il quale 
non è bello nelle ultime ombre, com' è il nero semplice, e non è bello in su' lumi, 
come il semplice bianco, ma la suprema sua bellezza si è infra lume ed ombra. 

681. Qual colore di corpo farà ombra più differente dal lume, cioè 
qual sarà più oscura. 

Quel corpo avrà le sue parti ombrose più remote di chiarezza rispetto alle parti 
illuminate, il quale sarà di colore più propinquo al bianco. 

682. Qual parte di un corpo sarà più illuminata da un medesimo 
lume in qualità. 

Quella parte di un corpo che sarà illuminata da una qualità luminosa, sarà di 
più intensa chiarezza di quella la quale è percossa da più grosso angolo luminoso. 
Provasi, e sia l'emisfero rmc, il quale illumina la 
casa klof) dico che quella parte della casa sarà più 
illuminata eh' è percossa da più grosso angolo nato da 
una medesima qualità luminosa. Adunque in /, dove 
percuote nfe, sarà più intensa chiarezza di lume, che 
dove percuote l'angolo e de, e la proporzione de' lumi sarà la medesima che quella 
degli angoli, e la proporzione degli angoli sarà la medesima di quella della 
loro base ne ed ee, de' quali il maggiore eccede 
il minore in tutta la parte ne\ e così in a, sotto 
la gronda del tetto di tal casa, sarà tanto minor 
luce che in d , quanto la base b e di tale angolo b a e 
è minore della base e e ; e così seguita sempre propor- 
zionatamente, essendo il lume di una medesima qualità. Ed il medesimo eh' è detto 
di sopra si conferma in qualunque corpo illuminato del nostro emisfero ; e qui si 





214 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 682 




parte di de, cioè da 
s 7 




manifesta nella parte dell'obietto sferico sotto l'emisfero k ed f, il quale nel punto b 
è illuminato da tutta la parte ace , e nella parte d dall'emisfero ef, ed in dal gf, 
ed in n da m f, ed in h da e così hai conosciuto dov' è il primo lume e la prima 
ombra in qualunque corpo. 

Quella parte di un corpo ombroso sarà più luminosa, che da maggior somma 

di lume sarà illuminata. Adunque, ponendo pel corpo 
ombroso il corpo ab c ed i d fn pel corpo luminoso, 
cioè 1' emisfero illuminato, nella parte c ha il doppio 
più lume che nella parte b, e tre quarti più che 
in a, perchè, c è illuminato dal cielo dgfc, e b 
dal df, eh' è la metà meno di de, e la parte a sarà solo illuminata dalla quarta 
d. 

La superficie di ogni corpo opaco partecipa del 
colore del suo obietto. Sia d il corpo opaco, an sia 
il corpo luminoso, a c sia di un colore oscuro, c d sia 
il piano illuminato dall'emisfero afmn \ per 1' an- 
tidetta r sarà più illuminata che ; o che s ; s che / ; 
e il simile faranno le parti che son volte ad ae, 
corpo oscuro, ed il simile quelle che son volte al luogo illuminato ed; e di qui 
nasce lume e ombra, e lume riflesso. 

L' ombra che resta sotto gli sporti delle copriture degli edifìci, la quale fa il 

sole, in ogni grado di altezza 
acquista oscurità. 

La cosa veduta dentro alle 
abitazioni illuminate da lume 
particolare ed alto di qualche 
finestra dimostrerà gran diffe- 
renza infra i lumi e le sue ombre, 
e massime se l'abitazione sarà 
grande o scura. Quando il lume particolare illuminerà il suo obietto, il quale obietto 
abbia in opposita parte alcuna cosa illuminata dal medesimo lume, che sia di color 
chiaro, allora nascerà il controlume, cioè riflesso, ovvero riverberazione. 

Quella parte del lume riflesso che veste in parte la superficie de' corpi, sarà 
tanto men chiara che la parte illuminata dall' aria, quanto essa è meno chiara 
dell' aria. 

E tu, pittore, che usi le istorie, fa che le tue figure abbiano tante varietà di 
lumi e di ombre, quanto son vari gli obietti che le hanno create, e non far maniera 
generale. 

La parte della superficie di ogni corpo partecipa di tanti vari colori, quanti 
son quelli che gli stanno per obietto. 




a 683] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 215 

La campagna illuminata dal sole avrà le ombre di qualunque cosa di grande 
oscurità, e quel che la vedrà per l' opposita parte che la vede il sole, gli parrà 
oscurissima e le cose remote gli parranno propinque. 

Ma quando tu vedrai le cose per la linea che le vede il sole, esse ti si mostreranno 
senza ombre, e le cose propinque ti si mostreranno remote ed incognite di figura. 

La cosa che sarà illuminata dall' aria senza sole avrà quella parte più oscura, 
che vedrà manco aria, e tanto più oscura quanto essa sarà veduta da maggior 
somma di sito oscuro. 

Le cose vedute alla campagna hanno poca differenza dalle loro ombre ai loro 
lumi, e le ombre saranno quasi insensibili e senza alcuna terminazione; anzi, a simi- 
litudine di fumi, s'andranno perdendo inverso le parti luminose, e sol quivi saranno 
più oscure, dov' esse saranno private dell' obietto dell' aria. 

La cosa veduta in luoghi poco luminosi, od in sul principiare della notte, ancora 
essa avrà poca differenza dai lumi alle ombre, e se sarà intera notte, la differenza 
infra i lumi e le ombre all' occhio umano è tanto insensibile, che perde la figura 
del tutto e solo si dimostra alle sottili viste degli animali notturni. 

Le cose per distanza ti si mostrano ambigue e dubbiose ; fàlle con tal confu- 
sione, se no esse non parranno della medesima distanza ; non terminare i loro 
confini con certa terminazione, perchè i termini sono linee o angoli, e per essere 
le ultime delle cose minime, non che di lontano, ma d'appresso, saranno invisibili. 

Se la linea e così il punto matematico son cose invisibili, i termini delle cose, 
per essere ancora essi in linea, sono invisibili, essendo propinqui; adunque, tu, 
pittore, non terminerai le cose remote dall'occhio, nelle quali distanze, non ch'essi 
termini, ma le parti de' corpi sono insensibili. 

Tutte le cose illuminate partecipano del colore del loro illuminante. 

Le cose ombrate ritengono del colore della cosa che le oscura. 

Quanto maggiore è il lume della cosa illuminata, tanto più oscuro pare il corpo 
ombroso che in esso campeggia. 



683. Egualità di ombre in pari corpi ombrosi e luminosi in diverse 
distanze. 

Possibile è che un medesimo corpo ombroso pigli 
eguale ombra da luminosi di varie grandezze, fogr è 
un corpo ombroso, del quale l'ombra è fgo, gene- 
rata dalla privazione dell'aspetto del luminoso de * 
nella vera distanza, e dal luminoso bc nella distanza remota; 
e questo nasce che l' uno e Y altro luminoso è egualmente 
privato dell' aspetto ombroso fog mediante la rettitudine delle 

linee ab , pc . Il medesimo diremo di due luminosi in varie distanze da un ombroso, 




2i6 LEONARDO DA VINCI [§ 683 

cioè il luminoso rs grande ed il luminoso ac piccolo, variamente remoti da esso 
ombroso n moq . 



684. Qual luminoso è quello che mai vedrà se non la metà dello 
sferico ombroso. 

Quando lo sferico ombroso sarà illuminato dallo sferico luminoso di grandezza 
eguale allo sferico ombroso, allora la parte ombrosa e quella luminosa di esso corpo 
ombroso saranno infra loro eguali. Sia ab ed lo sferico ombroso eguale allo sferico 
luminoso ef\ dico la parte ombrosa abe dello sferico ombroso 
essere eguale alla parte luminosa a b d. E provasi così : le paral- 
lele efst son contingenti alle fronti dal diametro a b , cioè diametro 
dello sferico ombroso, il quale diametro passa pel centro di esso sferico, che, essendo 
diviso nel diametro detto, sarà diviso per eguali, e 1' una parte sarà tutta ombrosa 
e l' altra sarà tutta luminosa. 

685. S'egli è possibile che per alcuna distanza un corpo luminoso 
possa illuminare solamente la metà di un corpo ombroso minore 
di esso. 

Impossibile è che per alcuna distanza un luminoso maggiore di un ombroso 
possa illuminare appunto la metà di esso ombroso. 

>pr Quel eh' è detto si prova per le linee parallele, le quali si causano 

— — ^ per essere equidistanti infra loro ; ed infra linee equidistanti non 
s' include punto se non corpi sferici di quel diametro ; adunque gli estremi di due 
sferici ineguali non saranno contingenti a due linee parallele. 

686. Delle varie oscurità delle ombre de' corpi in pittura contraffatte. 

La superfìcie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto, e tanto 
più o meno quanto l' obietto gli sarà più vicino o remoto. 

^ Provasi la prima parte, e sia gbc la superficie del corpo opaco, 

il quale porremo che sia di superficie bianca, e che l'obietto rs 
sia nero, e l'obietto nm sia ancor esso bianco; e per la nona di 
questo, che prova che ogni corpo empie l' aria circostante delle specie 
del suo colore e della similitudine del corpo colorito, rs, obietto nero, 
empirà l'aria, che gli sta dinanzi, di colore oscuro, il quale termi- 
nerà in vgb, parte del corpo opaco gbc, la qual parte si tingerà nello stesso colore 
del suo obietto rs; ed il corpo bianco dell' altro obietto nm imbiancherà tutta la parte 
del corpo opaco rngbc; adunque nell'opaco si troverà tutto gv in semplice parteci- 




a 689 J TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 217 

pazione di nero rs, ed in bc in semplice bianco, ed in gb, eh' è veduto dall' obietto 
bianco e dall' obietto nero, sarà color composto di bianco e di nero, cioè super- 
ficie di color misto. 

Per la seconda parte della detta proposizione molto sarà più oscuro in g che 
in b, perchè g è più vicino al corpo nero rs, che non è b, e questo è manifesto 
per la definizione del cerchio in geometria, com' è figurato ; ed oltre di ■ 



questo neh" angolo b per essere il minore angolo che sia, com' è provato 
in geometria nell' angolo della contingenza, b non può vedere altro che 




1' estremo del corpo rs nel punto r, ed oltre questo si aggiunge in b la chiarezza del- 
l' obietto bianco nm, il quale, ancoraché fosse nero, per essere più remoto dal b che g 
dall' ri-, com'è provato, b non sarebbe mai di tanta oscurità quanto è quella del g. 

Quel colore sarà veduto da più distante luogo, che sarà più remoto dal nero. 
E quello si dimostrerà in pari distanze di più espediti termini, il quale sarà veduto in 
campo più disforme in chiarezza od in oscurità di esso colore. 

687. Quali colori fan più varietà di lumi alle ombre. 

Infra i colori sarà maggior differenza dalle loro ombre ai loro lumi, i quali 
saran più simili alla bianchezza, perchè il bianco ha più chiara illuminazione e 
più oscura ombrosità che altro colore, benché nè il bianco né il nero sien nel 
numero de' colori. 

688. Tutti i colori nelle lontane ombre sono ignoti ed indiscernibili. 

Tutti i colori di lontano saranno nelle ombre ignorati, perchè la cosa che non 
è tocca dal principale lume non è potente a mandare di sé all'occhio per l'aria 
più luminosa la sua similitudine, perchè il minore lume è vinto dal maggiore. 

Esempio: noi vediamo, essendo in una casa, che tutti i colori i quali sono 
nelle pareti delle mura si veggono chiaramente ed espeditamente quando le finestre 
di detta abitazione sono aperte; e se noi usciremo fuori di essa casa e riguarderemo 
un poco di lontano per dette finestre le pitture fatte su dette mura, in iscambio 
di esse pitture vedremo una continuata oscurità. 

689. De' colori delle specie degli obietti che tingono di sè le superficie 
de' corpi opachi. 

Molte sono le volte che le superficie de' corpi opachi nel tingersi 
de' colori de' loro obietti pigliano colori che non sono in essi obietti. 
Provasi: ed sia il corpo opaco, ed ab sia il suo obietto, il quale 
porremo che sia di color giallo, ed il corpo opaco azzurro; dico che tutta la parte 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 2 8 




218 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 689 



della superficie dnc di tal corpo opaco, che in sè è azzurro, si dimostrerà esser 
verde, ed il simile farebbe se l'opaco fosse giallo e l'obietto azzurro; e questo nasce 
perchè i colori vari, quando sono misti, si trasmutano in un terzo colore, parteci- 
pante dell'uno e dell'altro; e per questo il giallo misto coli' azzurro fa verde, il 
qual verde è un composto de' suoi componenti, che manifestamente si comprende 
dal pittore speculativo. 

690. Del color falso delle ombre de' corpi opachi. 

Quando un opaco fa la sua ombra nella superficie di un altro opaco, il quale 
sia illuminato da due vari luminosi, allora tale ombra non dimostrerà essere del 
medesimo corpo opaco, ma di altra cosa. 



tale opaco, e di sopra termina con colore di viola, cioè che in de è illuminato da 
un misto composto dell'azzurro dell'aria ab e del rossore del fuoco de, eh' è quasi 
colore di viola ; e così abbiamo provato tale ombra esser falsa, cioè eh' essa non 
è ombra del bianco, nè ancora del rossore che la circonda. 



L'ombra de' corpi non deve partecipare di altro colore, che quel del corpo 
dove si applica ; adunque, non essendo il nero connumerato nel numero de' colori, 
da esso si tolgono le ombre di tutti i colori de' corpi con più o meno oscurità, 
che più o men si richiede nel suo luogo, non perdendo mai integralmente il colore 
di detto corpo, se non nelle tenebre incluse dentro ai termini del corpo opaco. 

Adunque tu, pittore, che vuoi ritrarre, tingi alquanto le pareti del tuo studio 
di bianco misto con nero, perchè bianco e nero non è colore. 

692. Qual obietto tinge più della sua similitudine le superficie bianche 
de' corpi opachi. 

Quell' obietto tingerà più della sua similitudine le superficie de' corpi bianchi 
opachi, il quale sarà di natura più remòto dal bianco. Quel che qui si dimostra 




Provasi: nde sia il corpo opaco, e sia bianco in 
sè, e sia illuminato dall'aria ab e dal fuoco cg, dipoi 
sia anteposto infra il fuoco e l'opaco 1' obietto op , 
del quale l'ombra si taglierà nella superficie in dn ; 
ora in esso dn non illumina più il rossore del fuoco, 
ma l'azzurro dell'aria, onde in dn sarà partecipante 
di azzurro ed in n f vede il fuoco ; adunque 1' ombra 
azzurra termina di sotto col rossore del fuoco sopra 



691. Qual è in sè vera ombra de' colori de' corpi. 



a 696] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 219 

essere più remoto dal bianco è il nero, e questo è quello in che la superficie del 
bianco opaco più si tingerà che di nessun colore di altri obietti. 

693. Degli accidenti delle superficie de' corpi. 

La superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto, il qual 
colore sarà sopra essa superficie tanto più sensibile, quanto la superficie di tal 
corpo sarà più bianca e quanto tal colore le sarà più vicino. 

694. Del colore delle ombre, e quanto si oscurano. 

Siccome tutti i colori si tingono nell' oscurità delle tenebre della notte, così 
l'ombra di qualunque colore finisce in esse tenebre; adunque tu, pittore, non osser- 
vare che nelle ultime tue oscurità si abbia a conoscere i colori che confinano 
insieme, perchè se natura noi concede, e che tu fai professione di essere imitatore 
di natura quanto nell'arte si concede, non ti dare ad intendere di racconciare i 
suoi errori, perchè errore non è in essa, ma sappi eh' esso è in te ; conciossia, dato 
un principio, egli è necessario che seguiti un mezzo ed un fine compagno di esso 
principio. 

695. De' colori de' lumi illuminatori de' corpi ombrosi. 

Il corpo ombroso posto infra propinque pareti in 
luogo tenebroso, il quale da un lato sia illuminato da 
un minimo lume di candela, e dall' opposita sua parte 
sia illuminato da un minimo spiracolo di aria, se sarà 
bianco, allora tal corpo si dimostrerà da un lato giallo 
e dall' altro azzurro, stando 1' occhio in luogo illuminato dall' aria. 

696. Quel che fan le ombre co' lumi ne' paragoni. 

I vestimenti neri fan parere gli uomini più rilevati che i vestimenti bianchi ; 
e questo nasce per la terza del nono che dice : la superficie di ogni corpo opaco 
partecipa del colore del suo obietto. Adunque seguita che le parti del volto che 
vedono e son vedute dagli obietti neri, si dimostrano partecipare di esso nero; e 
per questo le ombre saranno oscure e di gran differenza dalle parti di esso volto 
illuminate. Ma i vestimenti bianchi faranno le ombre de' visi partecipanti di tal 
bianchezza, e per questo le parti del volto si dimostreranno di poco rilievo per 
avere il chiaro e lo scuro infra loro poca differenza di chiaro e di scuro; seguita 
che in questo caso l' ombra del viso non sarà vera ombra di tali carni. 




220 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 697 



697. Quali sono gli obietti delle carni che le fanno dimostrare le 
ombre compagne de' lumi. 

Il lume di vetro incarnato e 1' abitazione dell' uomo tinta nel medesimo incar- 
nato, e così i vestimenti, faranno parere il volto co' veri lumi ed ombre delle sue 
carni, e questo modo è utilissimo per far parere la carni bellissime ; ma tal precetto 
è contro ai precetti delle figure poste in campagna circuita da diversi colori, che 
essendo poi la figura posta in tal campagna, essa sarebbe contro alla terza del nono 
di questa. 

698. Delle ombre de' visi che passando per le strade molli non paiono 
compagne delle loro incarnazioni. 

Quello che si dimanda accade che spesse volte un viso sarà colorito o bianco 
e le ombre gialleggieranno, e questo accade che le strade bagnate più gialleggiano 
che le asciutte, e che le parti del viso che sono volte a tali strade sono tinte della 
giallezza ed oscurità delle strade che gli stanno per obietto. 

699. Della qualità dell'aria alle ombre e ai lumi. 

Quel corpo farà maggiore differenza dalle ombre ai lumi, che si troverà esser 
visto da maggior lume, come lume di sole, o la notte il lume del fuoco ; e questo 
è poco da usare in pittura, perchè le opere rimangono crude e senza grazia. 

In quel corpo che si troverà in mediocre lume sarà poca differenza dai lumi 
alle ombre ; e questo accade sul far della sera, o quando è nuvolo ; e queste opere 
sono dolci, ed havvi grazia ogni qualità di volto, sicché in ogni cosa gli estremi 
sono viziosi ; il troppo lume fa crudo, il troppo scuro non lascia vedere ; il mezzano 
è buono. 

700. De' lumi piccoli. 

Ancora i lumi fatti da piccole finestre fanno gran differenza dai lumi alle ombre, 
e massime se la stanza da quelle illuminata sarà grande ; e questo non è buono 
da usare. 

701. Qual superficie fa minor differenza di chiaro e di scuro. 

La superficie nera, e quelle ancora che più partecipano di essa nigredine, ha 
minor differenza infra le sue parti ombrose e luminose che alcun' altra, perchè la 



a 705] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 221 

parte illuminata si dimostra esser nera, e l' ombrata non può esser altro che 
nera, ma con poca varietà acquista alquanto di più oscurità che la parte nera 
illuminata. 

702. Dov'è maggior varietà dalle ombre ai lumi, o nelle cose vicine 
o nelle remote. 

Quel corpo ombroso avrà men differenza infra i suoi lumi ed ombre, il quale 
sarà più remoto dall' occhio, e così di converso essendo vicino ad esso occhio, per 
causa della chiarezza dell' aria luminosa la quale s' interpone con maggior grossezza 
infra l' occhio ed esso corpo ombroso quando è remoto eh' essendo vicino. 

703. Quale sarà quel corpo che di pari colore e distanza dall'occhio 
men varia i suoi lumi dalle ombre. 

Quel corpo mostrerà men differenza dalle sue ombre a' suoi lumi, il quale sarà 
in aria di maggiore oscurità ; e così di converso essendo in aria di maggior splendore, 
come ci mostran le cose poste nelle tenebre, le quali non si possono conoscere, 
e le cose anteposte allo splendore del sole, che le ombre paiono tenebrose rispetto 
alle parti percosse dai raggi solari. 

704. Perchè si conoscono le vere figure di qualunque corpo vestito 
e terminato nelle superficie. 

Le ombre e i lumi sono certissima causa a far conoscere le figure di qualunque 
corpo, perchè un colore di eguale chiarezza od oscurità non può dimostrare il suo 
rilievo, ma fa ufficio di superficie piana, la quale con egual distanza in tutte le 
sue parti sia egualmente distante dallo splendore che lo illumina. 

705. Della discrezione delle ombre de' siti e delle cose poste in 
quelli. 

Se il sole sarà nell' oriente e guarderai inverso occidente, vedrai tutte le cose illu- 
minate essere interamente private di ombra, perchè tu vedi ciò che vede il sole ; e se 
riguarderai a mezzodì o tramontana, vedrai tutti i corpi essere circondati da ombra 
e lume, perchè tu vedi quello che vede e non vede il sole ; e se riguarderai verso 
il cammino del sole, tutti i corpi ti mostreranno la loro parte ombrata, perchè quella 
parte che tu vedi non può esser veduta dal sole. 



222 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 7o6 



706. In quali superficie si trova la vera ed eguale luce. 

Quella superficie sarà egualmente illuminata, la quale sarà egualmente remota 
dal corpo che l'illumina; come se dal lume a, il quale illumina la superficie bcd s 
fossero tirate le linee eguali a essa superficie ; allora per la definizione del cerchio 
essa superficie sarà egualmente illuminata in ogni sua parte ; e se tal superficie fosse 
piana, come si dimostra nella seconda dimostrazione efgh, allora se gli estremi 




della superficie saranno egualmente distanti da tali linee, il mezzo h sarà la parte 
più vicina a tale lume ; e sarà tanto più illuminata che tali estremi, quanto essa 
sarà più vicina al detto suo lume e ; ma se gli estremi di tale superficie piana saranno 
con distanze ineguali rimossi da tale lume, come si dimostra nella terza figura iklm, 
allora la parte più vicina e la più remota avranno tal proporzione ne' loro lumi, 
quale è quella delle loro distanze dal corpo che le illumina. 



707. Della chiarezza del lume derivativo. 

La più eccellente chiarezza del lume derivativo è dove vede tutto il corpo 
luminoso con la metà del suo destro o sinistro campo ombroso. Provasi, e sia 

il luminoso b c , e il campo suo ombroso destro e sinistro 
sia de ed ab , ed il corpo ombroso minore del lumi- 
noso sia n m , e la parete p s è dove s' imprimono le 
specie ombrose e luminose. Dico adunque, sopra essa 
parete ps nel punto r sarà la più eccellente chiarezza 
di lume che in alcun' altra parte di esso pavimento. 
Questo si manifesta perchè in r vede tutto il corpo 
luminoso be con la metà del campo scuro ad, cioè ed, 
come ci mostrano i concorsi rettilinei della piramide 
ombrosa cdr e la piramide luminosa ber; adunque in r 
vede tanta quantità del campo scuro ed quanto si sia il 
luminoso b e ; ma nel punto s vede a b ombroso e vi vede ancora e d ombroso, i 
quali due spazi oscuri valgono il doppio del luminoso be', ma quanto più ti muo- 
verai dall' s inverso IV, più perderai dell'oscurità ab. Adunque, dall'i- inverso Vr 
sempre si rischiara il pavimento sr\ ancora, quanto più ti muoverai dall' r all' o, 




a 7 io] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 223 

tanto men vedrai del luminoso; e per questo più si oscura il pavimento ro quanto 
si avvicina all' . E per tal discorso abbiamo provato essere r la più chiara parte del 
pavimento os. 

708. Della remozione e propinquità che fa l'uomo nel discostarsi ed 
avvicinarsi ad un medesimo lume, e della varietà delle ombre sue. 

Tanto si variano le ombre e i lumi in un medesimo corpo di figura e quantità, 
quante sono le varietà degli appropinquamenti o remozioni -r ' 2 
che fa l'uomo dinanzi a esso lume. Provasi, e sia l'uomo b c , ^éìiJj\t' 
il quale, avendo il lume dall' a, fa la sua ombra bcf\ dipoi y l/* c ' 
1' uomo si muove da c in e , e il lume, che resta fermo, varia l' ombra di figura e 
di grandezza, la quale è la seconda ombra deg. 

709. Delle varietà che fa il lume immobile delle ombre che si gene- 
rano ne' corpi, che in sè medesimi si piegano, o abbassano, o 
alzano senza mutazione de' loro piedi. 

Provasi, e sia il lume immobile f e 1' uomo immobile di piante 
sia ab, il quale s'inchina in cb; dico l'ombra variarsi in infinito 
da a a c per essere il moto fatto in ispazio, e lo spazio è quantità 
continua, e per conseguente divisibile in infinito ; adunque le ombre 
son variate in infinito, cioè dalla prima ombra aob all'ombra seconda ber] e così 
si è concluso il proposito nostro. 

710. Oual corpo è quello che accostandosi al lume cresce la sua 
parte ombrosa. 

Quando il corpo luminoso sarà minore del corpo da esso illuminato, tanto 
crescerà 1' ombra al corpo illuminato, quanto e' si farà più vicino al corpo lumi- 
noso, a sia il corpo luminoso minore dell' ombroso r sgl , 
il quale illumina tutta la parte rsg inclusa dentro a' suoi 
raggi luminosi a n ed a m ; onde la parte ombrosa, per 
necessità di tali raggi, resta tutto rlg ombroso. Dipoi 
io avvicino al medesimo luminoso esso corpo ombroso, 
e sarà dpeo , il quale sarà rinchiuso dentro alla retti- 
tudine de' raggi luminosi a b ed a c , e sarà tocco da essi 
raggi nel punto d e nel punto e , e la linea d e divide la parte ombrosa dalla sua 
luminosa dpe dal do e , la qual parte ombrosa per necessità è maggiore che 1' ombrosa 
del corpo più remoto rlg\ e tutto nasce dai raggi luminosi che, per esser retti, si 





224 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 7io 



separano tanto più remoti dal mezzo di tal corpo ombroso, quanto esso corpo 
sarà più vicino al luminoso. 

711. Qual è quel corpo che quanto più si accosta al lume più dimi- 
nuisce la sua parte ombrosa. 

Quando il corpo luminoso sarà maggiore del corpo da esso illuminato, tanto 
più diminuirà 1' ombra al corpo illuminato, quanto questo 
si farà più vicino ad esso luminoso, ab sia il corpo lumi- 
noso maggiore del corpo ombroso xyrh, il quale, acco- 
standosi al luminoso in fecd, diminuisce la sua ombra, 
perchè è abbracciato più di là dal suo mezzo dai raggi 
luminosi stando vicino al corpo che lo illumina, che quando esso era più remoto. 




712. Qual è quel corpo ombroso che non cresce nè diminuisce le 
sue parti ombrose o luminose per nessuna distanza o vicinità dal 
corpo che lo illumina. 

Quando il corpo ombroso e il luminoso saranno infra 
loro di egual grandezza, allora nessuna distanza o vicinità, 
che infra loro s' interponga, avrà potenza di diminuire o 

crescere le loro parti ombrose o illumi- 
nate, nm sia il corpo ombroso, il quale, 
tirato nel sito c d più vicino al luminoso a b , 
non ha cresciuto o diminuito la quantità della 
sua ombra ; e questo accade perchè i raggi 
luminosi che lo abbracciano sono in sè 
paralleli. 

713. Infra i corpi di eguale grandezza, 
quello che da maggior lume sarà 
illuminato avrà la sua ombra di 
minore lunghezza. 

Quei corpi che saranno più propinqui o 
remoti dal loro lume originale, faranno più 
o meno breve la loro ombra derivativa. 

Nello sperimentare s' afferma la sopradetta 
proposizione, per cagione che il corpo mn 
è abbracciato da più parte di lume che il 




a 715] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 225 

corpo p q , come di sopra si dimostra. Diciamo che vcabdx sia il cielo che fa il 
lume originale ; che s t sia una finestra dond' entrino le specie luminose, e così m n p q 
sieno i corpi ombrosi contrapposti a detto lume ; m n sarà di minore ombra deri- 
vativa, perchè la sua ombra originale sarà poca, ed il lume derivativo sarà grande, 
perchè ancora sarà grande il lume ( riginale cd\ pq avrà più ombra derivativa, 
perchè la sua ombra originale sarà maggiore ; il lume suo derivativo sarà minore che 
quello del corpo mn, perchè quella parte dell' emisfero ab , che lo illumina, è minore 
che l'emisfero ed, illuminatore del corpo mn. 

714. Quei corpi sparsi situati in abitazione illuminata da una sola fine- 
stra faranno l' ombra derivativa più o meno breve, secondo che 
sarà più o meno a riscontro di essa finestra. 

La ragione che i corpi ombrosi che 
si trovano situati più dritti al mezzo della 
finestra, fanno l' ombra più breve che 
quelli situati in traverso sito, si è che 
vedono la finestra in propria forma, ed 
i corpi traversi la vedono in iscorto ; a 
quello di mezzo la finestra pare grande, 
ai traversi pare piccola; quel di mezzo 
vede 1' emisfero grande, cioè e/, e quelli 
dai lati lo vedono piccolo, cioè qr vede ab 
e così mn vede cd\ il corpo di mezzo, 
perchè ha maggior quantità di lume che 
quelli dai lati, è illuminato assai più basso 
che il suo centro, e però 1' ombra è più breve, e tanto quanto a b entra in c f, tanto 
la piramide g 4 entra in ey appunto. 

715. Ogni mezzo d' ombra derivativa si drizza col mezzo dell' ombra 
originale, e col centro del corpo ombroso, e del lume derivativo, 
e col mezzo della finestra, ed in ultimo col mezzo di quella parte 
del meridionale fatto dall' emisfero celeste. 

yh è il mezzo dell'ombra derivativa, Ih dell'ombra originale; / sia il mezzo 
del corpo ombroso, Ik del lume derivativo; v sia il mezzo delle finestre; e sia 1' ultimo 
mezzo del lume originale fatto da quella parte dell' emisfero del cielo che illumina 
il corpo ombroso. 




L. da Vinci — Trattato della pittura. 



29 



226 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 7i6 



716. Ogni ombra fatta dal corpo ombroso minore del lume originale 
manderà le ombre derivative tinte del colore della loro origine. 

L' origine dell' ombra ef sia n, e sarà tinta in suo colore ; 1' origine di he sia o, 
e sarà similmente tinta in suo colore, e così il colore di vh sarà tinto nel colore 
del p perchè nasce da esso, e l'ombra del triangolo zky sarà tinta nel colore di q 
perchè deriva da esso q; f è il primo grado di lume, perchè quivi illumina tutta 
la finestra ad, e così nel corpo ombroso m è di simil chiarezza ; zky è un trian- 
golo che contiene in sè il primo grado di ombra, perchè in esso triangolo non 

capita il lume ad; xh è il secondo grado 
d' ombra perchè lì non illumina se non un 
terzo della finestra, cioè cdh, e sarà il terzo 
grado di ombra perchè lì vede i due terzi 
della finestra b d ; e / sarà 1' ultimo grado 
di ombra perchè l' ultimo grado di lume 
della finestra illumina nel luogo di /. 

717. Quella parte del corpo ombroso 
sarà meno luminosa, che sarà ve- 
duta da minore quantità di lume. 

La parte del corpo m è primo grado di 
lume perchè lì vede tutta la finestra a d per 
la linea a f\ il secondo grado è n perchè lì 
vede il lume b d per la linea b e ; è il terzo grado perchè lì vede il lume e d per 
la linea cb; p è il penultimo perchè lì vede ed per la linea dv; q è l'ultimo 
grado perchè lì non vede nessuna parte della finestra; tanto quanto ed entra in ad, 
tanto è più scuro nrs che m, e tutto l'altro campo senz'ombra. 

718. Ogni lume che cade sopra i corpi ombrosi infra eguali angoli, 
tiene il primo grado di chiarezza, e quello sarà più scuro che 
riceve gli angoli meno eguali, ed il lume o le ombre fanno loro 
ufficio per piramide. 

L' angolo e tiene il primo grado di chiarezza perchè lì vede tutta la finestra a b 
e tutto l'orizzonte del cielo mx; l'angolo d fa poca differenza da e, perchè gli 
angoli che lo mettono in mezzo non sono tanto disformi di proporzione quanto 
gli altri di sotto, e mancagli solamente quella parte dell' orizzonte eh' è tra y x ; 
benché l' acquisti altrettanto dall' opposito lato, nondimeno la sua linea è di poca 




a 719. 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



227 



potenza, perchè il suo angolo è minore che il suo compagno ; l' angolo e d 
minor lume perchè lì non vede; manca il lume ms ed il lume vx, ed 
angoli sono assai disformi ; l' angolo k e 
1' angolo f sono messi in mezzo ciascun per 
sè da angoli molto disformi l' uno dall' altro, 
e però saranno di poco lume, perchè in k 
vede solamente il lume ftt, ed in / non 
vede se non tq ; og sarà l' ultimo grado 
di lume perchè lì non vede nessuna parte 
del lume dell' orizzonte, e sono quelle le 
linee che un' altra volta ricompongono una 
piramide simile alla piramide c, la quale 
piramide / si troverà nel primo grado di 
ombra, perchè ancora essa cade infra eguali 
angoli; ed essi angoli si drizzano e si sguar- 
dano per una linea retta che passa dal centro 
del corpo ombroso, e s' accoppia al mezzo 
del lume ; le specie luminose moltiplicate nei 
termini della finestra ne' punti ab fanno un 
chiarore che circonda 1' ombra derivativa creata dal corpo ombroso nel luogo 
le specie oscure si moltiplicano in og e finiscono in 7 e 8. 



sarà di 
i loro 




4 e 6; 



719. Ogni ombra fatta dai corpi si dirizza, colla linea del mezzo ad 
un solo punto fatto per intersecazione di linee luminose nel mezzo 
dello spazio e grossezza della finestra. 



La ragione premessa di sopra chiara- 
mente appare per esperienza; imperocché 
figurerai uno sito colla finestra a tramon- 
tana, la quale sia s /, vedrai all' orizzonte di 
levante produrre una linea, che toccando i 
due angoli della finestra f capiterà in d, 
e l' orizzonte di ponente produrrà la sua 
linea toccando gli altri due angoli della fine- 
stra rs e finirà in ^, e questa interseca- 
zione viene appunto nel mezzo dello spazio 
e della grossezza della finestra : ancora ti con- 
fermerai meglio questa ragione col porre due 
bastoni come nel luogo di gh\ vi vedrai 
la linea fatta dal mezzo dell' ombra reale drizzarsi al centro m e coli' orizzonte 11 f. 




228 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 720 



720. Ogni ombra con tutte sue varietà che per distanza cresce per 
larghezza più che la sua cagione, le sue linee esteriori si congiun- 
gono insieme infra il lume e il corpo ombroso. 




Questa proposizione chiaramente appare 
e si conferma dalla esperienza, imperocché 
se ab sarà una finestra senza alcuna tramez- 
zatura, l'aria luminosa che sta da destra in a 
è vista da sinistra in d, e l'aria che sta da 
sinistra in b , illumina da destra nel punto c, 



e dette linee s' intersecano nel punto m . 



721. Ogni corpo ombroso si trova infra due piramidi, una scura e 
l' altra luminosa ; 1' una si vede e 1' altra no, e questo solo accade 
quando il lume entra per una finestra. 

Fa conto che ab sia la finestra e 
che r sia il corpo ombroso ; il lume 
destro j passa il corpo dal lato sinistro 
del corpo ombroso in g e va in f ; il lume 
sinistro k passa a detto corpo nel lato 
destro in i e va in m , e quelle due 
linee s'intersecano in c e lì fanno pira- 
mide ; dipoi a b tocca il corpo ombroso 
in ig e fa la sua piramide in fig ; / sarà 
oscuro, perchè mai lì può vedere il 
lume a big) c sempre sarà luminoso, perchè lì vede il lume. 

722. Qual è quel lume che, ancoraché l'occhio sia più discosto dallo 
sferico ombroso che esso lume, non potrà mai vedere ombra, 
stando dietro al lume. 

Quando il luminoso sarà eguale o maggiore che lo sferico ombroso, allora 
l'occhio che sarà dopo tal lume non potrà mai vedere 
l alcuna parte di ombra nel corpo ombroso per la differenza 
del detto luminoso, ccdf sia lo sferico ombroso, ab è il 
corpo luminoso eguale all' ombroso, e 1' ombra di tal corpo 
sferico sia cfd\ dico che l'occhio /, che sta dopo il lume ab in qualunque 
distanza si voglia, mai potrà vedere parte alcuna d' ombra, per la settima del 





a 725] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 229 

nono che dice : mai le parallele concorrono in punto, perchè acb d son poste paral- 
lele, e se abbracciano di punto la metà dello sferico e le linee n m , che concorrono 
in punto /, esso punto non potrà mai vedere la metà dello sferico nel diametro 
suo ed. 



723. Dell'occhio che per lunga distanza mai gli sarà occupata la 
veduta dell' ombra nell' ombroso, quando il luminoso sarà minore 
dell' ombroso. 

Ma quando il luminoso sarà minore dell' ombroso, gli sarà sempre trovata qualche 
distanza, donde l'occhio potrà vedere l'ombra di esso ^ 
ombroso. Sia opef il corpo ombroso, ed il lume sia ab , ^(|jjE0 IZZ^-"-^»" 
in che proporzione si voglia minore di esso ombroso; J- * 
dico che mai si proibirà che 1' occhio ;/ , che sta di dietro al lume, non veda qualche 
parte ombrosa dell' ombra del corpo sferico ombroso, come mostra la rettitudine 
delle linee. 



724. Dell'ombra dell'opaco sferico posto infra l'aria. 

La parte dello sferico opaco sarà più ombrosa, che da maggior somma di 
oscurità sarà veduta. Sia 1' obietto oscuro il piano de , e 1' emisfero luminoso sia due , 
ed il corpo sferico interposto infra il lume dell' emisfero e l' oscurità della terra 
sia bepo; dico che la parte o qp sarà più oscura che alcuna 
parte di tale sferico, perchè il sole vede il tutto de' lati 
dell' opposi ta oscurità della terra de, ed ogni altro suo lato 
ne vede meno. Provasi per uno degli elementi, che dice: 
la linea prodotta dal centro del circolo all'angolo della 
contingenza sarà perpendicolare e cadrà infra due angoli 
retti ; seguita che la linea che vien dal centro x della sfera termina in s e infra 
angoli retti nel punto , vede tutta l'oscurità della terra de, e così tale è veduto 
da essa terra ; il simile fa p opposito per le medesime cagioni ; e così q ed ogni parte 
che s' interpone infra op , spazio. Ma il q è di più eccellente oscurità per essere 
in mezzo sopra la terra, che non è X o od il p , che son più vicini agli estremi di 
tale oscurità della terra e cominciano a vedere l'orizzonte di esso emisfero e si 
mischiano col suo lume. 




725. Dell'ombra dell'opaco sferico posato sopra la terra. 

Ma V ombra dell' opaco sferico, il quale si posa in contatto colla terra, sarà di 
maggiore oscurità che 1' antecedente, che solamente la vede come suo obietto. Provasi, 



230 LEONARDO DA VINCI [§ 725 

e sia lo sferico opaco 11 m s posato sopra la terra a c nel punto 5 , e 1' arco ab c 
sia il nostro emisfero ; dico che 1' ombra che fa esso sferico 
sopra la terra dove si posa sarà più oscura che 1' antidetta, 
per l' ottava che dice : ogni causa è fatta partecipe della 
sua causa, onde seguita che la terra, causa di tale ombra, 
darà l' ombra più oscura, che sarà in sè più oscura ; adunque, 
essendo più oscura 1' ombrata che l' illuminata, lì è concluso. 

726. Delle ombre de' corpi alquanto trasparenti. 

Nessun corpo partecipante di trasparenza fa ombra oscura se non è ombrato 
dall' oscurità delle ombre di molti altri simili corpi, come sono le foglie degli alberi, 
che fanno le ombre l' una sopra l' altra. 

727. Dell'ombra maestra che sta infra il lume incidente ed il riflesso. 

Nota la vera figura che ha 1' ombra maestra, la quale s' interpone infra il lume 
riflesso ed il lume incidente. Questa tale ombra non si taglia, nè ha fine se non 
insieme col membro sopra il quale si appoggia, ed i suoi lati sono di varie distanze 
dal suo mezzo e di varie conterminazioni con esso lume incidente e riflesso. Impe- 
rocché alcuna volta si mostra di termini noti ed alcuna volta di termini insen- 
sibili ; alcuna volta si piega della sua rettitudine, alcuna volta osserva rettitudine ; 
alcuna volta i termini sono distanti ineguali dal mezzo dell' ombra principale ; e di 
questo discorso si comporrà un libro. 

728. De' termini de' corpi che prima si perdono di notizia. 

I termini de' corpi opachi sono quelli de' quali in brevissima distanza si perde 
la notizia ; questa di che si predice il perdimento della notizia è la superficie dei 
corpi, per altro modo detta termine de' corpi densi, la quale, non avendo corpo, 
non dà di sè spedita notizia e tanto meno ne dà quanto essa è più remota dal 
suo investigatore. 

729. De' termini de' corpi opachi. 

I veri termini de' corpi opachi mai saranno veduti con spedita cognizione ; e 
questo nasce perchè la virtù visiva non si causa in punto com'è provato nella terza 
del quinto di prospettiva, dove dice : la virtù visiva essere infusa per tutta la pupilla 
dell'occhio; adunque, essendo la pupilla abc che vede il termine del corpo n nello 
estremo ;;z occupare nella parete gh tutto lo spazio def, perchè la parte superiore a 




a 732] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 23 

della pupilla vede il termine del corpo m nel punto d, 
e il mezzo della pupilla, b, vede un altro termine più 
basso nel punto e che è più alto del d, e la parte infe- 
riore della pupilla, e , vede un altro termine del corpo più 
basso, il quale è portato più alto nella detta parete ; e così è provata la causa della 
confusione de' termini che hanno i corpi ombrosi. 




730. Come i termini de' corpi ombrosi veduti da una medesima 
pupilla non sono in un medesimo sito in esso corpo. 

I termini de' corpi opachi veduti da una medesima pupilla non saranno mai 
in un medesimo sito in esso corpo. Provasi, e sia che la 
pupilla a b vegga la parte superiore del corpo opaco n ; 
dico che la parte inferiore b di tal pupilla vedrà il ter- 
mine di esso corpo nel punto d, terminato nella parete or 
nel punto e , e la parte superiore a della pupilla vedrà esso 
termine del corpo opaco nel punto e terminare in detta parete. Adunque, non 
essendo c d in un medesimo sito di tal corpo opaco, noi abbiamo provato il 
nostro intento. 




731. Come quel corpo ha i suoi termini più confusi, che sarà più 
vicino all' occhio che li vede. 

Tanto saranno più confusi i termini de' corpi opachi, 
quanto e' saranno più vicini all' occhio che li vede. Quel 
che si propone si prova con mostrare ab, pupilla, vedere 
i termini nel corpo e in ed forte distanti 1' un dall'altro, 
e per questo restan confusi ; e vede i termini del corpo f, 
eh' è più remoto, essere ancora più vicini, cioè no, e per conseguente li viene a 
vedere più spediti che quelli del corpo e . 

732. Come si deve conoscere qual parte del corpo deve essere più 
o men luminosa che le altre. 

Se a sarà il lume e la testa sarà il corpo da quello illuminato ; e quella parte 
di essa testa che riceve sopra di sè il raggio fra angoli più eguali sarà più illu- 
minata; e quella parte che riceverà i raggi infra angoli meno eguali sarà meno 
luminosa ; e fa questo lume nel suo ufficio a similitudine del colpo, imperocché il 
colpo che cadrà infra eguali angoli sarà in primo grado di potenza, e quando cadrà 
infra disuguali sarà tanto meno potente che il primo, quanto gli angoli saranno 




232 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 732 



più disformi. Esempligrazia, se gitterai una palla in un muro, che le estremità sieno 

equidistanti da te, il colpo cadrà 
infra eguali angoli, e se la gitterai 
in detto muro stando da una delle 
sue estremità, la palla cadrà infra 
disuguali angoli e il colpo non si 
appiccherà. 




/ Il M I 5 a 
g MIMI 6 a 
h 11 II 11 I f 
/ Il 11 11 11 

k\ I M II II 
/Il II II II 



9 a 
I 10 



733. Quando gli angoli fatti 
dalle linee incidenti sa- 
ranno più eguali, in quel 
luogo sarà più lume, e 
dove saran più disuguali, 
sarà più oscurità. 

Poiché provato si è che ogni 
lume terminato fa, ovvero pare che 
nasca da un sol punto, quella parte 
illuminata da quello avrà la sua particola più luminosa, sopra la quale cadrà la 
linea radiosa fra due angoli eguali, come di sopra si dimostra nella linea ag , e così 
in a h e simile in al; e quella particola della parte illuminata sarà men luminosa, 
sopra la quale la linea incidente ferirà tra due angoli, come appare in bcd\ 
e per questa via ancora potrai conoscere le parti private di lume, come appare 
in m k . 



m\\ \ \\ I I I I I I 



734. Come i corpi accompagnati da ombra e lume sempre variano 
i loro termini dal colore e lume di quella cosa che confina colla 
loro superficie. 

Se vedrai un corpo che la parte illuminata campeggi e termini in campo oscuro, 
la parte di esso lume che parrà di maggior chiarezza sarà quella che terminerà 
coli' oscuro in d\ e se detta parte illuminata confina col campo chiaro, il termine 
di esso corpo illuminato parrà men chiaro che prima, e la sua somma 
chiarezza apparirà infra il termine del campo m f e l'ombra; e questo 
medesimo accade all' ombra, imperocché il termine di quella parte 
del corpo adombrato che campeggia in luogo chiaro in / parrà di 
molto maggiore oscurità che il resto; e se detta ombra termina in campo oscuro, 
il termine dell' ombra parrà più chiaro che prima, e la sua somma oscurità sarà 
infra detto termine ed il lume, nel punto o . 




a 738 J 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



233 



735. De' colmi de' lumi che si voltano e trasmutano, secondo che si 
trasmuta V occhio veditore di esso corpo. 

Poniamo che il detto corpo sia questo tondo qui in margine hWmMÉM^^ 
figurato, e che il lume sia il punto a, e che la parte del corpo \/ * 
illuminata sia bc, e che l'occhio sia nel punto d; dico che il lustro, \J 
perchè è tutto per tutto, e tutto nella parte, stando nel punto d, 
parrà nel punto c , e tanto quanto V occhio si trasmuterà da d ad a , tanto il 
lustro si trasmuterà da c ad 11 . 



736. Modo come devono terminare le ombre fatte dagli obietti. 

Se l' obietto sarà questa montagna qui figurata, ed 
il lume fosse il punto a , dico . che da b a d e simil- 
mente da c ad / non sarà lume se non per raggi riflessi ; 
e questo nasce che i raggi luminosi non si adoprano se 
non per linea retta, e quel medesimo fanno i secondi raggi che sono riflessi. 




737. Qual parte dello sferico meno si illumina. 

Quella parte del corpo ombroso sarà manco illuminata, che da minor parte del 
corpo luminoso sarà veduta. Provasi, e sia il corpo ombroso asqr, e il luminoso 
sia il suo emisfero n c ef\ dico che la parte a e la parte , 
per essere esse vedute da eguali archi aced e cedf, 
sono vedute da eguali quantità di lume, e sono per questo 
egualmente da essi illuminate. Ma r , veduto dal minore 
arco odf, riceve men lume ; ed il p , che sol vede d f, 
minore che e d f, per questo resta meno luminoso, ed ancor meno luminoso rimane q , 
che sol vede l' estremo dell' orizzonte /. 

738. Qual parte dello sferico più si illumina. 

E quella parte che degli sferici si illumina sarà di più intensa chiarezza, che 
con minor somma di specie ombrose si accompagna. Provasi, 
e sia fno il corpo sferico ombroso, ed abc l'emisfero lumi- 
noso, e il piano a c V oscurità della terra ; dico adunque, che 
la parte della sfera fn sarà di più intensa chiarezza, perchè 
non vede nessuna parte della terra a c , ed è 111 sè di egual ' 
chiarezza, per essere illuminata dagli eguali archi dell'emisfero abc, cioè l'arco are 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 3O 





234 LEONARDO DA VINCI [§ 738 

è pari all' arco rbs ed all'arco bsc, e per una concezione che dice, che quando 
due cose sono eguali ad una terza, esse sono ancora infra loro eguali, adunque / fn 
sono eguali in chiarezza. 



739. Qual parte dell'opaco sferico meno si illumina. 

Quella parte dell' opaco sferico sarà di più oscura ombrosità, che da men somma 
di raggi luminosi sarà vista. Benché questa abbia gran similitudine con la prima 
di sopra, non resterò che io non la provi, perchè essa prova alquanto si varia ; 
e sia il corpo ombroso f no, e l'emisfero sia abe, e 1' oscurità della terra sia la 
linea ac\ dico in prima che la parte superiore dello sferico fpn sarà egualmente 
illuminata da tutto l' emisfero a b c , e così lo dimostro per le tre porzioni date 
eguali, cioè are che illumina il punto /, e rbs che illumina p , e gsc che illumina n\ 
adunque, per la settima del nono è concluso fpn, parte superiore dello sferico, 
essere di eguale chiarezza ; la quale settima del nono dice che tutte quelle parti dei 
corpi che con eguale distanza saranno illuminate da eguali e simili lumi, sempre per 
necessità saranno di eguale chiarezza, e tale condizione accade ad fpn. Seguita 
la seconda dimostrazione : sia abe il corpo ombroso sferico ; d fe sia 1' emisfero illu- 
minatore ; de è la terra che qui causa 1' ombra ; dico che 
tutta la parte della sfera anb per la passata è privata 
di ombra, perchè non è veduta dall' oscurità della terra, 
e tutto il rimanente della superficie di tale sfera è ombroso 
con più o meno oscurità, secondo che più o men somma 
dell' oscurità della terra con minore o maggior quantità della luce dell' emisfero si 
accompagna. Adunque il punto c , che vede minor somma di tale emisfero e maggior 
somma della terra, sarà più oscurato che alcun' altra parte dell' ombra, cioè non 
vede se non r d e se dell' emisfero, e vede tutta la terra de ; e la più chiara 
sarà ab, perchè non vede se non gli estremi della terra de. 

Tanto sarà minore quella parte che di qualunque 
sferico si illumina, quanto sarà minore la parte del lumi- 
noso che la vede. Provasi: ah sia il corpo ombroso, 
eie sia il nostro emisfero; seguita che a, parte del corpo 
ombroso, sarà meno illuminata per esser veduta da minor 
parte del corpo luminoso, cioè da men parte del giorno 
di esso nostro emisfero, come ci mostrano le due parti bc e de. 

Adunque quella parte dello sferico che si illumina sarà di maggior figura che 
da maggior somma del luminoso sarà illuminata. Provasi per il converso dell' an- 
tecedente : se il minimo lume bc , de del nostro emisfero illumina una minima parte 
dello sferico ah, il massimo lume di esso emisfero illuminerà la parte massima di 
tal corpo sferico, cioè se bc , df della figura seguente illumina solo la parte n m r , 





a 743 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



235 



il rimanente dell'emisfero, giunto con esso la sua parte bc, df, illuminerà il rima- 
mente del predetto sferico. Perchè, ancoraché bc, d /illu- 
mini nmr , esso illumina ancora la parte kn dal lato 
sferico, e 1' altra / r dalla parte opposita. 

Dice qui 1' avversario che non vuole tanta scienza, 
che gli basta la pratica del ritrarre le cose naturali ; al 
quale si risponde che nessuna cosa è che più c' inganni 

che fidarsi del nostro giudizio senz' altra ragione, come prova sempre 1' esperienza, 
nemica degli alchimisti, negromanti ed altri semplici ingegni. 




740. Della proporzione che hanno le parti luminose de' corpi co' loro 
riflessi. 

Tal proporzione avrà la parte illuminata dal lume incidente da 
quella che si illumina dal lume riflesso, quale ha il lume incidente 
con esso lume riflesso. Provasi : sia ab il lume incidente che illu- 
mina lo sferico ed in end, e passa co' suoi raggi all'obietto ef, e 
di lì si riflette in enid) dico che se il lume ab ha due gradi di potenza e V cf 
ne ha uno, eh' è subduplo a due, che il lume riflesso cmd sarà subduplo al 
lume end. 




741. Della parte più oscura dell'ombra ne' corpi sferici o colonnali. 

La parte dell' ombra de' corpi sferici o colonnali sarà interposta infra il suo 
lume incidente ed il lume riflesso. 

742. Come le ombre fatte da lumi particolari si debbono fuggire, perchè 
sono i loro fini simili ai principi. 

Le ombre fatte dal sole od altri lumi particolari sono senza grazia del corpo, 
che da quelle è accompagnato, imperocché confusamente lascia le parti di sé con 
evidente termine di ombra dal lume, e le ombre sono di pari potenza nell' ultimo 
che nel principio. 

743. Del dare i lumi debiti alle cose illuminate secondo i siti. 

Ai lumi accomodati alle cose da essi illuminate bisogna avere gran rispetti, 
conciossiachè in una medesima istoria vi accade parti che sono alla campagna al 
lume universale dell' aria, ed altre che sono in portici, che son lumi misti di parti- 
colari ed universali, ed altre ai lumi particolari, cioè in abitazioni che pigliano il 



236 LEONARDO DA VINCI [§ 743 

lume da ima sola finestra. Di queste tre sorta di lumi, alla prima è necessario i 
lumi pigliare gran campi, per la quarta del primo che dice : tal proporzione è da 
grandezza a grandezza delle parti de' corpi illuminati, quale è da grandezza a gran- 
dezza degli obietti di quelli illuminatori ; ed ancora di questi, cioè chi richiede riflessi 
dell' un corpo nell' altro, dove il lume entra per istretti luoghi infra i corpi illuminati 
da lume universale, perchè ai lumi che penetrano infra i corpi vicini 1' uno all' altro 
accade il medesimo che ai lumi che penetrano per le finestre e porte delle case, 
le quali noi dimandiamo lumi particolari ; e così di questo faremo al suo luogo 
i debiti ricordi. 

744. Regola del porre le debite ombre e i debiti lumi ad una figura, 
ovvero corpo laterato. 

Tal sarà la maggiore o minore oscurità dell' ombra, ovvero la maggiore o minor 
chiarezza di lume che ferirà sopra le faccie di un corpo laterato, qual sarà la 
maggiore o minore grossezza dell' angolo che si rinchiude infra la linea centrale 

del luminoso che percuote sopra il mezzo del lato 
illuminato e la superficie di esso lato illuminato ; 
come se il corpo illuminato fosse colonnato ottan- 
golare, la fronte del quale è posta qui in margine; 
e sia che la linea centrale ra, la quale si estende 
dal centro del luminoso r al centro del lato s c ; e 
sia ancora che la linea centrale r d si estenda dal 
centro di esso luminoso r al centro del lato c f\ dico 
che tal proporzione sarà dalla qualità del lume che 
riceve da esso luminoso il lato se sì quella che dal 
medesimo luminoso riceve il secondo lato c /, qual sarà dalla grossezza dell' an- 
golo bac alla grossezza dell ' angolo edf. 

745. Regola del porre le vere chiarezze de' lumi sopra i lati del 
predetto corpo. 

Sia tolto un colore simile al colore del corpo che tu vuoi imitare, e sia tolto 
il colore del principale lume col quale vuoi illuminare esso corpo; dipoi, se tu 
trovi che il sopradetto maggiore angolo sia duplo all' angolo minore, allora tu 
torrai una parte del colore naturale del corpo che vuoi imitare, e dàgli due parti 
del lume che tu vuoi eh' esso riceva, ed avrai posto il lume duplo al lume minore ; 
dipoi, per fare il lume subduplo, togli una sola parte di esso colore naturale del 
già detto corpo, ed aggiungigli solo una parte del detto lume, e così avrai fatto 
sopra un medesimo colore un lume il quale sarà doppio l'uno all'altro, perchè 




a 748] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 237 

sopra una quantità di esso colore è data una simile quantità di lume, ed all'altra 
quantità son date due quantità di tale lume. E se tu vuoi misurare di punto esse 
quantità di colori, abbi un piccolo cucchiaro col quale tu 
possa pigliare le tue quantità eguali, coni' è posto qui in mar- 
gine. E quando tu hai con esso tolto il tuo colore, tu lo radi 
colla piccola riga, come far si suole alle misure delle biade quando si vendono 
esse biade. 

746. Perchè pare più chiaro il campo illuminato intorno all'ombra 
derivativa stando in casa che in campagna. 

Il campo chiaro che circonda 1' ombra derivativa è più chiaro vicino ad essa 
ombra che nelle parti più remote; e questo accade quando tal campo riceve il 
lume da una finestra, e non accade in campagna. E come questo nasce sarà definito 
a suo luogo nel libro dell' ombra e lume. 

747. Del dare i lumi. 

Da' prima un' ombra universale per tutta la parte contenente che non vede 
il lume, poi dàgli ombre mezzane, e le principali a paragone l' una dell' altra, e 
così da' il lume contenente di mezzano lume, dandogli poi i mezzi e i principali 
similmente a paragone. 

748. Del dare con artificiosi lumi ed ombre aiuto al finto rilievo 
della pittura. 

Neil' aumentare la pittura nel suo rilievo userai fare, infra la finta figura e 
quella cosa visiva che riceve la sua ombra, una linea di chiaro lume che divida 
la figura dall' oscurato obietto ; e nel medesimo obietto farai due parti chiare che 
mettano in mezzo l' ombra fatta nel muro dalla contrapposta figura. Usa spesso 
fare quelle membra che tu vuoi che si partano alquanto dal loro corpo, e massime 
quando le braccia intraversano il petto, di fare che infra il battimento dell'ombra 
del braccio sul petto e la propria ombra del braccio resti alquanto di lume, che 
paia che passi nello spazio eh' è infra il petto ed il braccio. E quando tu vuoi 
che il braccio paia più distante dal petto, tanto più fa detto lume maggiore, e 
sempre fa che tu t' ingegni di accomodare i corpi in campi che la parte di essi 
corpi eh' è oscura termini in campo chiaro, e la parte del corpo illuminata termini 
in campo oscuro. 




2 3 8 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 749 



749. Del circondare i corpi con vari lineamenti di ombra. 

Fa che sempre le ombre fatte sopra la superficie de' corpi da vari obietti usino 
ondeggiare con vari torcimenti, mediante la varietà de' membri che fanno le ombre 
e della cosa che riceve essa ombra. 

750. Modo di fare alle figure l'ombra compagna del lume e del 
corpo. 

Quando fai una figura e che tu vuoi vedere se l'ombra è compagna del lume, 
eh' essa non sia o più rossa o gialla che si sia la natura dell' essere del colore che 
tu vuoi adombrare, farai così : fa l' ombra col tuo dito sopra la parte illuminata, 
e se l' ombra accidentale da te fatta sarà simile all' ombra naturale fatta dal dito 
sopra la tua opera, starà bene, e puoi col dito più presso o più lontano fare ombre 
più scure o più chiare, le quali sempre paragona colla tua. 

751. De' siti de' lumi e delle ombre delle cose vedute in cam- 
pagna. 

Quando 1' occhio vede tutte le parti de' corpi veduti dal sole, esso vedrà tutti 
i corpi senz' ombra. Provasi per la nona che dice : la superficie di ogni corpo opaco 
partecipa del colore del suo obietto. Adunque, essendo il sole obietto di tutte quelle 
parti delle superficie de' corpi che lo vedono, esse parti di superficie partecipano 
della chiarezza del sole che li illumina. Risguarderà essi corpi, ed è impossibile che 
possa vedere altra parte di tali corpi che si sia quella eh' è veduta dal sole. Adunque 
non vedrà primitiva nè derivativa di nessuno de' predetti corpi. 

752. Se il sole è in oriente e l'occhio a settentrione, ovvero a 
meridie. 

Quando il sole è all' oriente e 1' occhio a settentrione o a meridie, allora l'occhio 
vedrà le ombre primitive de' corpi orientali ed i lumi de' corpi occidentali, ed esso 
essere appunto in mezzo ai lumi ed alle ombre de' corpi. 

753. Del sole e dell'occhio posti all'oriente. 

Quando il sole e 1' occhio saranno all' oriente, allora tutte le parti delle super- 
ficie che vedono il sole si dimostreranno all' occhio illuminate, per la nona di 
questo. 



a 757] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



239 



754. Del sole all' oriente e l'occhio all'occidente. 

Quando l' occhio di occidente vede il sole all'oriente, allora i corpi opachi 
interposti infra 1' oriente e 1' occidente mostreranno all' occhio le sue ombre. Seguita 
che un paese è mezzo chiaro e mezzo scuro. 



755. Ricordo al pittore. 

Adunque tu, o pittore, quando figuri i tuoi paesi o campagne col lume a destra 
o a sinistra, ricordati, per la sopradetta conclusione, come le ombre de' corpi hanno 




ad occupare con maggiore o minor quantità, quanto essi corpi sono più vicini o 
più remoti dalla causa che li illumina. 



756. Della convenienza delle ombre compagne de' loro lumi. 

In questa parte tu devi avere gran rispetto alle cose circostanti a que' corpi 
che tu vuoi figurare, per la prima del quarto, che prova che la superficie di ogni 
corpo ombroso partecipa del colore del suo obietto ; ma si deve accomodare coli' arte 
a fare a riscontro delle ombre de' corpi verdi cose verdi, come prati e simili conve- 
nienze, acciocché l' ombra, partecipando del colore di tale obietto, non venga a 
degenerare ed a parere ombra di altro corpo, che verde ; perchè se tu metterai 
il rosso illuminato a riscontro dell' ombra, la quale è in sè verde, questa tale 
ombra rosseggierà e farà colore di ombra, la quale sarà bruttissima e molto 
varia dalla vera ombra del verde; e quel che di tal colore si dice, s'intende di tutti 
gli altri. 



757. In che parte de' corpi ombrosi si dimostreranno i loro colori di 
più eccellente bellezza. 

L' eccellente bellezza di qualunque colore che non abbia in sè lustro sarà sempre 
nell' eccellente chiarezza della parte più illuminata di essi corpi ombrosi. 



240 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 758 



758. Perchè i termini de' corpi ombrosi si mostrano alcuna volta più 
chiari o più scuri che non sono. 

I termini de' corpi ombrosi si dimostrano tanto più chiari o più scuri che non 
sono, quanto il campo che con loro confina sarà più scuro o più chiaro del colore 
di quel corpo che lo termina. 

759. Che differenza è dalla parte illuminata nelle superfìcie de' corpi 
ombrosi alla parte lustra. 

La parte del corpo ombroso che si illumina parrà tanto men luminosa quanto 
essa più si avvicinerà al suo lustro ; e questo è causato dalla gran varietà eh' è infra 
loro ne' loro confini, la quale è cagione che la parte men lucida pare oscura in tali 
confini, e la parte lucida del lustro pare chiarissima. Ma queste tali superficie che 
ricevono le dette impressioni sono di natura di specchi confusi, i quali pigliano 
confusamente il simulacro del sole e del cielo che gli fa campo, e similmente del 
lume di una finestra e della oscurità della parete nella quale è fatta essa finestra. 



DEL LUSTRO. 

760. Del lustro de' corpi ombrosi. 

De' lustri de' corpi di egual tersità, quello avrà più differenza col suo campo, 
che si genererà in più nera superficie ; e questo nasce che i lustri si generano in 
superficie pulite, che son quasi di natura di specchi ; e perchè tutti gli specchi ren- 
dono all'occhio quel che ricevono dagli obietti, adunque ogni specchio che ha per 
obietto il sole, rende esso sole di un medesimo colore, e il sole parrà più potente in 
campo oscuro che in campo chiaro. 

761. Come il lustro è più potente in campo nero che in alcun altro 
campo. 

Infra i lustri di eguale potenza quello si dimostrerà di più eccellente chiarezza, 
che sarà in campo più oscuro ; questa è la medesima di sopra, ma si varia, chè 
quella parla della differenza eh' esso ha dal suo campo, e questa della differenza che 
ha un lustro nel campo nero dal lustro generato in altri campi. 



a 767] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



241 



762. Come il lustro generato nel campo bianco è di piccola potenza. 

De' lustri di egual potenza quello si mostrerà di minor splendore che si genera 
in più bianca superficie. 

763. Delle grandezze de' lustri sopra i corpi tersi. 

De' lustri generati sopra gli sferici egualmente distanti dall' occhio, quello sarà 
di minor figura, che si genererà sopra sferico di minor grandezza. Vedasi ne' graniculi 
dell' argento vivo, i quali sono quasi di quantità insensibili, i loro lustri essere eguali 
alla grandezza di essi grani ; e questo nasce chè la virtù visiva della pupilla è 
maggiore di esso graniculo, e per questo lo circonda com'è detto. 

764. Che differenza è da lustro a lume. 

La differenza eh' è dal lustro al lume, è che sempre il lustro è più potente che 
il lume, ed il lume è di maggiore quantità che il lustro ; ed il lustro si muove 
insieme coli' occhio o colla sua causa, o coli' uno e coli' altra; ma il lume è stabilito 
al luogo terminato, non rimuovendosi la causa che lo genera. 

765. Del lume e lustro. 

I lumi che si generano nelle superficie terse de' corpi opachi saranno immobili 
ne' corpi immobili ancoraché 1' occhio de' veditori si muova ; ma i lustri saranno 
sopra i medesimi corpi in tanti luoghi della loro superficie, quanti sono i siti dove 
1' occhio si muove. 

766. Quali corpi sono quelli che hanno il lume senza lustro. 

I corpi opachi che hanno superficie densa ed aspra non generano mai lustro 
in alcun luogo della loro parte illuminata. 

767. Quali corpi sono quelli che hanno lustro e non parte luminosa. 

I corpi opachi densi con tersa 1 superficie sono quelli che hanno tutto il lustro 
in tanti luoghi della parte illuminata quanti sono i siti che possono ricevere l'angolo 
della incidenza del lume e dell' occhio ; ma perchè tale superficie specchia tutte 

1 Nel codice : « densa ». 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 'l \ 



242 LEONARDO DA VINCI [§767 

le cose circostanti al lume, l' illuminato non si conosce in tal parte del corpo 
illuminato. 

768. Del lustro. 

Il lustro partecipa assai più del colore del lume che illumina il corpo che lustra, 
che del colore di esso corpo ; e questo nasce in superficie dense. 1 

Il lustro di molti corpi ombrosi è integralmente del colore del corpo illumi- 
nato, com' è quello dell' oro brunito, dell' argento ed altri metalli e simili corpi. 

Il lustro di foglie, vetri e gioie poco partecipa del colore del corpo ove nasce 
ed assai del colore del corpo che lo illumina. 

Il lustro fatto nella profondità di densi trasparenti è in primo grado della bellezza di 
tale colore, come si vede dentro al rubino, balascio, vetri e simili cose ; questo accade 
chè infra l' occhio ed esso lustro s' interpone tutto il color naturale del corpo trasparente. 

I lumi riflessi de' corpi densi e lustri sono di molto maggior bellezza che non 
è il naturai colore di essi corpi, come si vede nelle pieghe, che si aprono, dell' oro 
che si fila ed in altri simili corpi, che l' una superficie riverbera nell' altra a sè 
contrapposta, e l' altra riverbera in essa, e così fanno successivamente in infinito. 

Nessun corpo lustro e trasparente può dimostrare sopra di sè ombra ricevuta 
d' alcun obietto, come si vede nelle ombre de' ponti de' fiumi, che mai si vedono, 
se non sopra le acque torbide, e nelle chiare non appariscono. 

II lustro sarà sopra gli obietti trovato in tanti vari siti, quanto son vari i luoghi 
dond' esso è veduto. 

Stando l' occhio e l' obietto senza moto, si muoverà il lustro sopra l' obietto 
insieme col lume che lo cagiona ; stando il lume e 1' obietto senza moto, si muoverà 
il lustro sopra 1' obietto insieme col moto dell' occhio che lo vede. 

Nasce il lustro nelle superficie pulite di qualunque corpo, delle quali piglieranno 
più lume quelle che saranno più dense e pulite. 

DE 1 RIFLESSI. 2 

769. Dell'ombra interposta infra lume incidente e lume riflesso. 

L' ombra che s' interpone infra il lume incidente ed il lume riflesso sarà di 
grande oscurità e si dimostrerà più oscura eh' essa non è, per causa del paragone 
del lume incidente che con essa confina. 

1 Nell'edizione viennese: «terse». 

2 Oltre questo titolo, nel codice si leggono le seguenti parole cancellate: « De' riflessi de' lumi che risaltano 
alle ombre ». 



a 771] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



243 



770. Dove il riflesso dev'essere più oscuro. 

Se il lume s illumina il corpo rp , e' farà V ombra primitiva più chiara di 
sopra, inverso il lume, che eli sotto dov' esso corpo si posa sopra il piano, per la 
quarta di questo che dice: la superficie di ogni corpo par- 
tecipa del colore del suo obietto ; adunque l' ombra derivativa, 
la quale si stampa sopra il pavimento nel sito mp , risalta 
nella parte del corpo ombroso op , ed il lume derivativo, che 
cinge tale ombra, cioè m 11 , risalta in or , e questa è la causa 
che sempre tali corpi ombrosi non hanno mai il riflesso luminoso ne' confini che ha 
il corpo ombroso col suo pavimento. 

771. Perchè i riflessi poco o niente si vedono ne' lumi universali. 

I riflessi de' corpi ombrosi poco o niente si vedono ne' lumi universali ; e 
questo nasce perchè tal lume universale circonda ed abbraccia assai ciascuno di 
essi corpi, la superficie de' quali, coni' è provato, partecipa del colore de' suoi 
obietti; come se il corpo a fosse illuminato dal suo emisfero ged ed ombrato dalla 
terra gfd; qui la superficie di tal corpo è illuminata ed ombrata dall'aria della 
terra che gli sta per obietto, e tanto più o meno illuminata ed ombrata, secondo 
che più o meno è veduta da maggior somma di luminoso o di scuro; come si 
vede, nel punto k essere veduto da tutta la parte dell'emisfero hei, e non è veduto 
da nessuna parte dell' oscurità della terra. Adunque seguita, k essere più illuminato 
che a dove solo vede la parte dell'emisfero ed, e tale 
illuminazione è corretta dall'oscurità della terra rd, la 
quale tutta vede ed è veduta dal punto a , com' è provato 
in prospettiva ; e se noi vorremo dire dal punto b , noi 
troveremo quello essere meno illuminato che il punto a , 
conciossiachè esso b vede la metà dell'emisfero che vedeva a, cioè vede tutto ed, 
ed il b vede solamente ed eh' è la metà del ed, e vede tutta la oscurità della terra 
che vedeva a, cioè la terra rd, e vi si aggiunge la parte rf eh' è più oscura, perchè 
in essa manca il lume dell'emisfero ee, il quale non manca alla terra rd. Adunque 
per tale ragione questo corpo non può avere riflesso, perchè il riflesso del lume 
è dopo l'ombra principale de' corpi; e qùi l'ombra principale è nel punto dove 
tal corpo è in contatto col piano della terra, perchè lì è interamente privato 
di luce. 





244 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 772 



772. Come il riflesso si genera ne' lumi universali. 

Generasi il riflesso ne' corpi illuminati dai lumi universali, quando una parte 
del corpo illuminato riflette il suo maggior lume in quel 
luogo dove vede minor parte del medesimo lume ; come, 
vedendo il cielo ef nel luogo d, e una maggior parte 
del medesimo cielo veda k , allora il lume deriva- 
tivo k rifletterà in d\ ma di questo si farà distinto 
trattato al suo luogo deputato. 

773. Quali lumi facciano più nota e spedita la figura de' muscoli. 

De' lumi che debbon dare vera notizia della figura de' muscoli, gli universali 
non sono buoni, ma i particolari sono perfetti, e tanto più quanto essi lumi saranno 
di minor figura; e tale dimostrazione si deve fare col movimento del lume per 
più versi, imperocché, se il lume stesse fermo, esso illuminerebbe piccola parte del 
corpo muscoloso, ed il suo rimanente rimarrebbe oscuro, e per conseguenza sarebbe 
ignoto. 

774. Come i corpi bianchi si devono figurare. 

Se figurerai un corpo bianco circondato da molt' aria, 1 perchè il bianco non 
ha da sè colore, ma si tinge e trasmuta in parte del colore che gli è per obietto. 
Se vedrai una donna vestita di bianco in una campagna, il colore di quella parte 
di lei che sarà veduta dal sole sarà chiaro in modo, che darà in parte, come il 
sole, noia alla vista ; e quella parte che sarà veduta dall' aria luminosa per i raggi 
del sele tessuti e penetrati infra essa, perchè 1' aria in sè è azzurra, la parte della 
donna vista da dett' aria parrà pendere in azzurro ; se nella superficie della terra 
vicina saranno prati, e che la donna si trovi infra un prato illuminato dal sole 
ed esso sole, vedrai tu le parti di esse pieghe, che possono esser viste dal prato, 
tingersi per raggi riflessi nel colore di esso prato ; e così si va trasmutando nei 
colori de' luminosi e non luminosi obietti vicini. Se tu 2 saprai ragionare e scrivere 
la dimostrazione delle forme, il pittore le farà che parranno animate con ombre 
e lumi componitori dell' aria de' volti, della quale tu non puoi aggiungere con la 
penna, dove si aggiunge col pennello. 

1 L'edizione viennese propone eli aggiungere: « abbi rispetto ai colori de' suoi obietti ». 

2 La stessa edizione corregge: «Se tu, poeta», ecc. 




a 778] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



245 



775. Dell'occhio che sta al chiaro e vede il luogo oscuro. 

Nello scuro nessun colore secondo è della medesima chiarezza che il primo, 
ancoraché in sè sieno simili. Provasi per la quarta di questo dove dice : la super- 
ficie di quel corpo si tingerà più del mezzo trasparente interposto infra 1' occhio 
ed esso corpo, del quale mezzo interposto sarà di maggiore grossezza. Adunque 
riman concluso che il colore secondo, posto in mezzo di trasparente oscuro, avrà 
più oscurità interposta infra sè e 1' occhio, che il color primo, il quale si trova più 
vicino al medesimo occhio ; e tal proporzione sarà da oscurità a oscurità di essi 
colori, qual sarà da quantità a quantità del mezzo oscuro che di sè li tinge. 

776. Dell'occhio che vede le cose in luogo chiaro. 

Neil' aria illuminata nessun colore secondo sarà oscuro come il medesimo colore 
eh' è più vicino. Provasi per l'antecedente, perchè più grossezza della chiarezza dell'aria 
resta interposta infra 1' occhio e il secondo colore, che infra 1' occhio e il color primo; 
e per conseguenza la proporzione delle varietà di tali colori sarà simile alle propor- 
zioni di esse quantità di arie interposte infra 1' occhio e i detti colori. 

777. Delle ombre e lumi 
delle città. 

Quando il sole è all'oriente, 
e l' occhio sta sopra il mezzo 
di una città, esso occhio vedrà 
la parte meridionale di essa città aver i tetti mezzo ombrosi e mezzo luminosi, e 
così la settentrionale ; la orientale sarà tutta ombrosa, e la occidentale sarà tutta 
luminosa. 

778. Dell'illuminazione delle parti infime de' corpi insieme ristretti, 
come gli uomini in battaglia. 

Le parti degli uomini e cavalli in battaglia trava- 
gliami saranno tanto più oscure, quanto esse saranno 
più vicine alla terra che li sostiene ; e questo si prova 
per le pareti de' pozzi, le quali si fanno tanto più oscure, 
quanto esse più si profondano; e questo nasce perchè la 
parte più profonda de' pozzi vede ed è veduta da minor parte dell' aria luminosa, 
che nessun' altra sua parte; ed i pavimenti del medesimo colore, che hanno le 





246 LEONARDO DA VINCI [§778 

gambe de' predetti uomini e cavalli, saranno sempre più illuminati infra angoli eguali 
che le altre predette gambe. 

779. Del lume particolare. 

Il lume particolare è causa di dar miglior rilievo 1 ai corpi ombrosi, che 1' uni- 
versale, come ci mostra il paragone di una parte di campagna illuminata dal sole, 
ed una ombrata dal nuvolo, che solo si illumina del lume universale dell' aria. 



DELLE OMBROSITÀ E CHIAREZZE DE' MONTI. 



780. Prospettiva comune. 

Delle cose di egual movimento quella parrà più tarda che sarà più distante 
dall' occhio, sia che in pari tempo si faccia eguali lunghezze di moti in varie distanze, 
le quali sieno dall' a all'/ e dal g al k , e così dall' / all' m ; dico che tal propor- 
zione parrà da velocità a velocità e da lunghezza di moto a lunghezza di moto, 
quale è da distanza a distanza della cosa veduta che si muove all' occhio che la 
vede. E sia dunque Im in tripla proporzione di distanza dall'occhio 
o colla distanza af da esso o ; dico che il moto / m parrà per 
velocità e lunghezza esser triplo al moto dell' a al b 2 fatto nel mede- 
simo tempo e moto. Provasi, perchè nella distanza a f dall' occhio 
si dimostra Im essersi mosso solamente lo spazio ed, quando a 
s' è mosso in f, e così sarà trovato lo spazio ed entrare tre volte 
nello spazio af) adunque esso spazio af è triplo allo spazio ed, 
e perchè lì un moto e l' altro son fatti in un medesimo tempo, il 
moto af pare tre tanti più veloce che il moto ed. Che è quel che si dovea 
provare. 




781. Delle cime de' monti vedute di sopra in giù. 

Le cime de' monti vedute 1' una dopo l' altra d' alto in basso non rischiarano 
nella medesima proporzione delle distanze che hanno infra loro esse cime de' monti, 
ma molto meno, per la settima del quarto che dice : le distanze de' paesi veduti 



1 Cosi il codice. Nell'edizione romana 1817 e nell'edizione viennese: «maggior rilievo», 

2 Nell'edizione viennese: «subtriplo al moto dell' a all'_/"». 



a 783] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 247 

d' alto in basso insino all' orizzonte si vanno oscurando, e quelle che son vedute di 
basso in alto nella medesima distanza del primo si van sempre rischiarando. Questo 
nasce per la terza del nono che dice : la grossezza dell' aria 
veduta di sotto in su è molto più chiara e splendente che 
quella veduta di sopra in giù ; e questo deriva perchè 1' aria 
veduta d' alto in basso è alquanto penetrata dalle specie 
oscure della terra che le sta di sotto ; e però si dimostra 
all' occhio più oscura che quella eh' è veduta di sotto in 
su, la quale è penetrata dai raggi del sole, i quali ven- 
gono all' occhio con gran chiarezza. Adunque il medesimo accade ne' monti e paesi 
proposti, le specie de' quali, passando per le predette arie, si dimostreranno o chiare 
o scure, secondo l' oscurità o chiarezza dell' aria. 




782. Dell'aria che mostra più chiare le radici de' monti che le 
loro cime. 

Le cime de' monti si dimostreranno sempre più oscure che le loro basi. Questo 
accade perchè tali cime de' monti penetrano in aria più 
sottile che non fanno le basi loro, per la seconda del 
primo che dice, che quella regione d' aria sarà tanto più 
trasparente e sottile, quanto essa è più remota dall' acqua 
e dalla terra ; adunque seguita, tali cime dei monti che 
giungono in essa aria sottile si dimostrano più della loro naturale oscurità che 
quelle che penetrano nell' aria bassa, la quale, com' è provato, è molto più grossa. 




783. Perchè i monti distanti mostrano più oscure le sommità che le 
loro basi. 

Provasi quel eh' è già detto più sopra ; seguito e 
dico che, ancoraché gli spazi de' monti aopq sieno 
infra loro nella proporzione dell' egualità, che i colori 
delle cime di essi monti opq non osserveranno la mede- 
sima proporzione nel loro rischiarare, com' essi farebbero 
essendo di una medesima altezza, perchè se fossero di 
medesima altezza essi sarebbero in aria di egual grossezza 
colle loro estremità ; ed allora la proporzione delle distanze 
e de' colori sarebbe una medesima ; ma tale disposizione 
non si può dimostrare all' occhio, perchè se l' occhio 
è alto quanto esse cime de' monti, gli è necessario che di tali monti le cime di 
quelli che son di là dal primo monte siano tutte nell' altezza dell' occhio e del primo 




248 LEONARDO DA VINCI [§ 783 

monte ; e per questo seguita che il secondo monte, e il terzo e così gli altri che 
seguitano, non eccedano nè siano ecceduti dal primo monte nè dall'occhio. Adunque 
nella superficie della cima del primo monte si scontrano le cime di tutti i monti che 
seguon dopo il primo monte, e per questo non si può vedere se non la cima del 
primo; adunque tale dimostrazione è vana, come a occhio, b sommità del primo 
monte, ed delle altre cime; vedi che la cima b , scontrandosi nelle due altre cime ed, 
che 1' occhio a vede le tre cime b e d nel medesimo termine del monte b ; e queste 
hanno le distanze ed i colori in medesima proporzione, ma non si vede nè distanza 
nè colori. 



784. Delle cime de' monti che si scoprono all'occhio l' una più alta 
dell' altra, che le proporzioni delle distanze non sono colle propor- 
zioni de' colori. 

Quando 1' occhio vede le cime de' monti di eguali distanze ed altezze sotto di 
sè, esso non vedrà i colori delle cime di tali monti di diminuzione di colori nella 
medesima proporzione delle già dette distanze, perchè passano all' occhio per diverse 

grossezze d'aria. Provasi: siano opq le cime di tre 
f"/* monti, che in sè sono di un medesimo colore e di 

:r 



medesima distanza l' una dall'altra; a sia l'occhio 




'V 



\ 10 ) 

Yv ff/-^ cne l e vede, il quale è più alto ch'esse cime; dico 
che la proporzione delle qualità delle distanze che 
hanno infra esse le cime di tali monti non saranno una medesima con la proporzione 
delle diminuzioni de' colori di tali cime di monti ; e questo nasce perchè essendo a o 
due, e ap quattro, e aq sei, cioè nella proporzione dell'egualità, l'aria no non è 
subdupla all'aria mp , ma subtripla, e lo spazio dall'occhio ao è subduplo allo 
spazio ap , e lo spazio a o è subquadruplo allo spazio s q , che secondo lo spazio 
de' monti avrebbe ad essere subtriplo. 



785. Delle cime de' monti che non diminuiscono ne' colori secondo la 
distanza delle cime loro. 

Quando le cime de' monti saranno di eguale distanza 1' una dall' altra e di egual 
differenza di altezze infra loro, esse saranno ancora in egual differenza di altezze 

e di sottilità d' aria, ma non in eguale diminuzione 
di colori, perchè la più alta sarà più oscura eh' essa 
non deve. Provasi, perchè la cima è tutta neh' aria 
grossa, e forte s'imbianca di essa aria, p è veduta 
dall'occhio a in meno aria grossa com'è rei, e nell'aria più sottile tutto pr; 
adunque s'imbianca quasi come e>\ q è veduto per l'aria grossa tutto ia e nella 









'A 




;— { 













a 787] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 249 

più sottile ki, ed in più sottile lk\ questa è più chiara che , ma non quanto si 
richiede a tale distanza. 

7 86. Dell'inganno del pittore nella grandezza degli alberi e degli altri 
corpi delle campagne. 

Giudica ben tu, o pittore o miniatore, quanto la tua pittura debb' essere veduta 
remota dall' occhio, e fingi che a tale distanza sia veduto uno spiracolo, o vuoi 
dir buca o finestra, per la quale le cose anteposte possano penetrare al tuo occhio; 
e veramente tu giudicherai le cose vedute essere tanto minime, che non che le 
membra, ma il tutto quasi ti parrà impossibile a poter figurare. Come se 1' occhio 
fosse o e la buca di un quarto di braccio eguale alla tua tavola dipinta 
sia ab , discosta dall' occhio mezzo braccio ; allora tu vedrai per esso 
spazio tutte le cose che veder si possono dentro alla lunghezza di un 
orizzonte di cento miglia, in tanto confusa diminuzione, che non che 
figurar di quelle alcuna parte eh' abbia figura, ma appena potrai porre 
sì piccolo punto di pennello, che non sia maggiore che ogni casamento posto in 
dieci miglia di distanza. 




787. Perchè i monti in lunga distanza si dimostrano più scuri nella 
cima che nella base. 

L' aria che acquista gradi di grossezza in ogni grado della sua bassezza e della sua 
distanza, è causa che le cime de' monti che più s' innalzano più mostrano la sua 
naturale oscurità, perchè manco sono impedite dalla grossezza dell' aria nella cima che 
nella loro base, o nella vicinità che nella remozione. Provasi: op, ds, cr, ak sono 
gradi dell'aria che sempre si assottigliano quanto più s'innalzano; af,fh, hk sono 
gli altri gradi trasversali dove 1' aria acquista sottilità quanto più si avvicina. Seguita 
che la cima del monte e è più scura in cima che nella base, perchè, coni' è detto, 
l' aria è più grossa in basso che in alto. ^ ^ jr 

Ancora il monte e è più oscuro che il 
monte g , perchè minor grossezza di aria è 
infra ce che infra dg, e la cima g essendo 
più alta che la sua base, fa il simile del P 
monte e , facendosi più oscura quanto più s' innalza ; ed in pari distanza, come 
dire y g , parrebbe più oscuro che la cima e per giungere esso in aria che meno 
impedisce per essere più sottile ; onde non segue che tal sia la proporzione delle 
oscurità de' monti, qual è quella delle loro vicinità, la quale seguiterebbe se le cime 
de' monti fossero di eguale altezza; ma^, per levarsi più alto, non l'osserva, perchè 
penetra in aria più sottile. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. j 2 




250 



LEONARDO DA VINCI" 



[§ 788 



788. Perchè i monti paiono avere più oscure le cime che le basi in 
lunga distanza. 

La grossezza dell' aria è di tante varietà di sottilità quante sono le varietà delle 
altezze che le sue parti hanno dall' acqua e dalla terra, e tanto si trova più sottile 
e fredda, quanto essa è più remota dalla detta terra. Per 
la prima la montagna p si dimostrerà più chiara che il 
monte o , perchè più aria è infra a occhio e p monte, che 
fra esso a e il monte o ; e così il monte q sarà più chiaro 
che il monte p, ma tal chiarezza non avrà la medesima 
proporzione colla chiarezza del p , quale hanno le distanze, 
perchè q si trova in aria più sottile che p , onde si mostra più oscura che non 
richiede la proporzione della distanza. 

789. Come non si deve figurar le montagne così azzurre il verno come 
l'estate. 

I paesi fatti nella figurazione del verno non debbono dimostrare le loro montagne 
azzurre, come far si vede alle montagne nell' estate ; e questo si prova per la quarta 
di questo che dice : infra le montagne vedute in lunga distanza, quella si dimo- 
strerà di colore più azzurro, la quale sarà in sè più scura. Adunque, essendo le 
piante spogliate delle lor foglie, si dimostrano di color berettino ; essendo colle foglie, 
sono di color verde ; e tanto quanto il verde è più oscuro che il berettino, tanto 
si mostrerà più azzurro il verde che il berettino, per la quinta di questo. Le ombre 
delle piante vestite di foglie sono tanto più oscure che le ombre di quelle piante 
che sono spogliate di foglie, quanto le piante vestite di foglie sono men rare che 
quelle che non hanno foglie. E così abbiamo provato il nostro intento. 

La definizione del colore azzurro dell' aria dà sentenza perchè i paesi son più 
azzurri di state che di verno. 

790. Come i monti ombrati dai nuvoli partecipano del colore azzurro. 

I monti ombrati dai nuvoli partecipano di colore azzurro, quando il tempo sarà 
chiaro intorno ad esso nuvolo; e questo è causato perchè l'aria illuminata dal sole 
si trova di gran chiarezza, e la similitudine di tale oscurità di monte ombrato dal 
nuvolo, passando all' occhio per la predetta chiarezza dell' aria, viene a farsi di colore 
azzurro, come fu provato nella quinta del secondo. 




a 793] 



TRATTATO DELLA PITTURA — 



PARTE QUINTA 



251 



791. Dell'aria che infra i monti si dimostra. 

Più si dimostra l' aria luminosa e chiara inverso la parte del sole che nelle parti 
opposite. 

792. De' monti e loro divisione in pittura. 



Dico che l'aria interposta infra l'occhio 
ed il monte pare più chiara in p che in a ; 
e questo può accadere per diverse cause, 
delle quali la prima è che 1' aria interposta 




infra 1' occhio e il p è maggior somma che P 

quella che s'interpone infra l'occhio e Va, e per conseguente è più chiara. La 

seconda è che l' aria è più grossa in p valle che in a monte. 

793. Pittura che mostra la necessaria figurazione delle alpi, monti 
e colli. 

Le figure de' monti, detti catena del mondo, sono generate dai corsi de' fiumi nati 
di piova, neve, grandine e diacci resoluti dai raggi solari della state, la quale reso- 
luzione è generazione di acque ragunate da molti piccoli rivi concorrenti da diversi 
aspetti ai maggiori rivi ; crescono, in magnitudine, (pianto essi acquistano di moto, 
insinché si convocano al gran mare oceano, sempre togliendo dall' una delle rive 
e rendendo all' altra, insinché ricercano la larghezza delle loro valli ; e di quella non 
si contentano; consumano le radici de' monti laterali, i quali minando sopra essi 
fiumi chiudono le valli, e, come se si volessero vendicare, proibiscono il corso di 
tal fiume e lo convertono in lago, dove l' acqua con tardissimo moto pare raumi- 
liata, insino a tanto che la generata chiusa del minato monte sarà di nuovo consu- 
mata dal corso della predetta acqua. 

Adunque diremo che queir acqua che di più stretto e breve cammino si trova, 
meno consuma il luogo dove passa, e di converso più consuma dov' essa è larghis- 
sima e profonda. Seguita per questo che gli altissimi gioghi de' monti, essendo il più 
del tempo vestiti di neve, e le pioggie con piccol tempo li percuotono, ed i fiumi non 
vi sono, insino a tanto che le poche gocciole della pioggia avanzate al sorbimento 
dell' arida cima cominciano a generare i minutissimi rami di tardissimo moto, i 
quali non hanno potenza di torbidarsi di alcuna particola di terra da loro mossa, 
mediante le vecchie radici delle minute erbe; per la qual cosa tali gioghi de' monti 
hanno più eternità nelle loro superficie che nelle radici, dove i furiosi corsi delle 
acque ragunate al continuo, non contenti della portata terra, essi rimuovono i colli 



252 LEONARDO DA VINCI [§ 793 

coperti di piante insieme con i grandissimi sassi, quelli rotolando per lungo spazio 
infinchè li ha condotti in minuta ghiaia ed all' ultimo in sottil litta. 

794. Pittura, e come i monti crescono. 

Per quel che dietro a questa è concluso, egli è necessario concedere che le 
basi de' monti e de' colli al continuo si restringono. Essendo così, non si può negare 
che le valli non si allarghino, e perchè la larghezza del fiume non può poi occupare 
la larghezza della cresciuta sua valle, 1 anzi, muta al continuo sito, lasciando il corso 
da quel luogo dov' egli ha scaricato più materia, la qual materia rodendo e levando 
i ghiaiosi argini insino a tanto che, portata via tutta la già lasciata materia, riacquista 
1' antico suo letto, del quale non si parte infino a tanto che altro simile accidente 
lo rimuove dal predetto sito ; e così di pioggia in pioggia fatte di tempo in tempo 
si va scaricando di materia e peso ciascuna valle. 

795. Pittura nel figurare le qualità e membri de' paesi montuosi. 

Quelle erbe e piante saranno di colore tanto più pallido, quanto il terreno che 
le nutrisce è più magro e carestioso di umore. Il terreno è più carestioso e magro 
sopra i sassi, di che si compongono i monti. E gli alberi saranno tanto minori 
e più sottili, quanto essi si fanno più vicini alla sommità de' monti ; ed il terreno 
è tanto più magro, quanto si avvicina più alle predette sommità de' monti; e tanto 
più abbondante è il terreno di grassezza, quanto esso è più propinquo alle concavità 
delle valli. Adunque tu, pittore, mostrerai nelle sommità de' monti i sassi di che 
esso si compone, in gran parte scoperti di terreno, e le erbe che vi nascono minute 
e magre ed in gran parte impallidite e secche per carestia di umore, e 1' arenosa 
e magra terra si veda trasparire infra le pallide erbe, e le minute piante stentate 
ed invecchiate in minima grandezza con corte e spesse ramificazioni e con poche 
foglie, scoprendo in gran parte le rugginenti ed aride radici tessute colle falde e 
rotture de' rugginosi scogli, nate dagli storpiati ceppi dagli uomini e dai venti ; 
ed in molte parti si vegga gli scogli superare i colli degli alti monti vestiti di sottile 
e pallida ruggine ; ed in alcuna parte dimostrare i lor veri colori, scoperti mediante 
la percussione delle folgori del cielo, il corso delle quali, non senza vendetta di 
tali scogli, spesso è impedito. E quanto più discendi alle radici de' monti, le 
piante saranno più vigorose e spesse di rami e di foglie, e le lor verdure di tante 
varietà, quante sono le specie delle piante di che tali selve 'si compongono ; delle 
quali le ramificazioni con diversi ordini, e diverse spessitudini di rami e di foglie, 
e diverse figure ed altezze, ed alcune con istrette ramificazioni, come il cipresso, e 



Nell'edizione romana, 1817: « della cresciuta della sua valle ». 



a 799] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 



253 



similmente delle altre con ramificazioni sparse e dilatabili, come la quercia ed il 
castagno e simili. Alcune con minutissime foglie, altre con rare, come il ginepro, 
il platano e simili. Alcune quantità di piante insieme nate divise da diverse gran- 
dezze di spazi ed altre unite senza divisioni di prati o altri spazi. 

796. De' monti. 

Molto si discerne nelle varie distanze de' colli e monti le loro sommità, 
che nessuna cosa che in quelli sia. E 
questo accade perchè in ogni grado di 
distanza dall' occhio inverso 1' oriente si \J 
acquista gradi di perdizione e chiarezza 

di aria, ovvero bianchezza ; e da / a b è il doppio più chiaro che da / ad a . 





797. De' monti. 



Le sommità delle mon- 
tagne e de' colli parranno 
più scure, perchè maggior 
somma di alberi si scon- 
trano l'uno nell'altro, e non 
si vede il piano loro inter- 
vallo, eh' è più chiaro, come si vede nelle spiaggie, ed è quella medesima 
che oscura le campagne nel mezzo delle loro altezze. 



798. Precetto. 

Tanto son vari i lumi e le ombre, quante sono le varietà de' siti dove si trovano. 
Quando la parte ombrosa de' corpi sarà aumentata da 
obietto oscuro, essa ombra si farà tanto più scura che ^-^f^^ 
prima, quanto tale aumento è men chiaro che l'aria. ^^^^--^IIL^^J!^ 
La percussione dell'ombra derivativa non sarà mai della 
sua origine primitiva, se il lume primitivo non sarà della simile figura del corpo 
che fa le ombre. 



799. Del corpo luminoso che si volta intorno senza mutazione di sito 
e riceve un medesimo lume da diversi lati e si varia in infinito. 



Le ombre che in compagnia de' lumi vestono un corpo irregolare saranno di 
tante varie oscurità e di tante figure, quante sono le varietà che fa esso corpo nel 



254 LEONARDO DA VINCI [§ 799 

suo moto circumvolubile ; e tanto è a voltare il corpo intorno stando fermo il lume, 
quanto a voltare intorno il lume ad un corpo immobile. Provasi, e sia e 11 il corpo 
^ immobile e il lume mobile sia b , il quale si muove dal b all' a ; 
dico che quando il lume era in b , 1' ombra del globo d si estendeva 
dal d all'/, la quale nel muovere il lume dal b all' a si muta dall'/ 
all'*, e così la detta ombra è mutata di quantità e di figura, perchè 
il luogo dov' essa si trova non è della medesima figura eh' era il luogo dond' essa 
si divise. E tal mutazione di figura e di quantità è infinitamente variabile, perchè se 
tutto il sito che prima era occupato dall' ombra è in sè per tutto vario e di quantità 
continua, e ogni quantità continua è divisibile in infinito, adunque è concluso che 
la quantità dell' ombra e la sua figura sono variabili in infinito. 

Tu, pittore, non diminuire più la prospettiva de' colori che quella delle figure, 
dove tali colori si generano. E non diminuire più la prospettiva lineale che quella 
de' colori, ma seguita la diminuzione dell' una e dell' altra prospettiva, secondo le 
regole dell' ottavo e del settimo. 

Ben è vero che nella natura la prospettiva de' colori mai rompe la sua legge, 
e la prospettiva delle grandezze è libera, perchè vicino all' occhio si troverà un 
piccolo colle e da lontano una montagna grandissima, e così degli alberi ed edifici.' 

L' oscurità delle tenebre è integrai privazione di luce, e infra la luce e le tenebre, 
per essere loro quantità continua, viene ad esser variabile in infinito ; cioè tra le 
tenebre e la luce è una potenza piramidale, la quale essendo sempre divisa per 
metà inverso la punta, sempre il rimanente è più luminoso che la parte levata. 

800. Di ombra e lume de' corpi ombrosi. 

Tutte le parti de' corpi che l' occhio vede infra il lume e l' ombra hanno ad 
essere forte terminate di ombra e lume, e le parti volte al lume saranno confuse 
in modo, che infra il lume sarà poca differenza. Le parti ombrose, se non vi accade 
riflesso, avranno, siccome le illuminate, poca varietà dalle più o meno oscure. 

801. De' corpi illuminati dall'aria senza il sole. 

Delle figure ed altri corpi veduti dall' aria senza il sole, tu farai le loro ombre 
colla quinta del quarto, che c' insegna che quella parte di qualunque corpo opaco 
sarà più illuminata, che sarà veduta da maggior parte del corpo che l' illumina. 
Sicché pertanto considera tu, e tira le linee immaginative dal corpo che illumina 
al corpo illuminato; e guarda, chi più ne vede, più s'illumina; e qui i riflessi han 
poca apparenza, e questo è un modo comune a tutti gli obietti che sono sotto 1' aria 
illuminata, quando alcun nuvolo cuopre la luce del sole, o veramente quando 
il sole immediate è tramontato, che il cielo ci dà un lume morto, al quale ogni 




a 806 J TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 255 

corpo mostra insensibilmente i termini delle ombre co' loro lumi sopra i corpi 
ombrosi. 

802. Quei termini delle ombre saranno più insensibili, che nasceranno 
da maggior quantità di luce. 

I riflessi ovvero le ombre che si rinchiudono infra il lume incidente e riflesso, 
saranno in un medesimo sito di maggiore oscurità, le quali saranno di maggiore 
quantità. Questo accade perchè, quando esse sono di maggior quantità, per la settima 
del nono esse hanno più remoti due lumi, cioè il riflesso e l' incidente, onde 1' ombra 
è manco impedita. 

803. Quale ombra è più oscura. 

Quella parte dell' ombra sarà più oscura, che sarà più vicina alla sua origine. 

804. Del lume. 

Quel lume sarà di maggior quantità, che sarà generato sopra corpo di minor 
curvità, essendo tale lume prodotto di una medesima causa. 

Quei corpi che sono illuminati dall' aria senza il sole, generano ombre senza 
termini sensibili. Quei corpi che sono illuminati dall'aria col sole fanno le ombre 
di termini di soperchia sensibilità di termini. 1 

805. Precetto. 

I corpi illuminati da diverse qualità di colori di lumi non hanno le parti illu- 
minate delle lor superficie convenienti ai colori delle lor parti ombrose. 

Rarissime sono le volte che i colori delle superficie de' corpi opachi abbiano 
i debiti colori delle ombre corrispondenti ai colori delle lor parti illuminate. 

Quel che si propone, nasce che gli obietti che fanno 1' ombra sopra tali corpi 
non sono del colore naturale di essi corpi, nè del medesimo colore naturale dell' illu- 
minatore d' esso corpo. 

806. Precetto. 

II vero colore delle ombre e de' lumi di ciascun corpo è che le pareti dell' abita- 
zione dove tal corpo si trova sieno del colore del corpo che dentro a loro si serra 

1 Edizione romana, 1817: «fanno le ombre con soperchia sensibilità di termini». 



256 LEONARDO DA VINCI [§ 806 

e che il lume della impannata che illumina tale abitazione sia ancor esso del colore 
del corpo rinchiuso. E così l' abitazione genererà colle sue parti ombrose ombre 
sopra del corpo rinchiuso, che saranno di colore proporzionevoli ad esso corpo 
ombrato, e le parti illuminate dal colore della finestra saranno convenienti al colore 
del corpo illuminato ed al colore delle sue ombre. 

807. De' termini de' corpi mediante i campi. 

I termini de' corpi mediante i campi sempre paiono variati in più oscurità o 
chiarezza che l' altro loro rimanente. Quel eh' è detto accade per la settima di questo, 
che prova che tanto paiono più chiari i termini delle cose bianche, quanto essi 
confinano in termini più oscuri, e tanto paiono più oscuri i termini delle cose ombrate, 
quanto esse confinano in cosa più bianca. L' esempio principale si dimostra nel 
bianco veduto in parte dal sole, la parte illuminata del quale pare più candida al 
paragone dell' ombra, e 1' ombra più oscura al paragone del chiaro ; e questo si vede 
bene nelle pareti de' muri ed in altri corpi piani. 

808. Precetto delle ombre. 

Le ombre de' corpi distanti debbono esser fatte al medesimo lume, imperocché 
se tu facessi la tua mistione de' colori al sole per imitare le cose vedute dal sole, 
e che poi tu facessi la mistione delle ombre de' corpi all' ombra, per imitare le cose 
che non sono viste dal sole, e che poi tu mettessi ogni cosa all' ombra, non ti 
riuscirebbe la vera similitudine ; perchè tu hai da considerare che una medesima 
qualità di colori posta all' ombra sarà ombra vera di quel eh' è posto al sole ; e 
se tu poi dessi il sole all' ombrato come all' illuminato, tu vedresti 1' ombra ed il 
lume imitato esser fatto di un medesimo colore. 

809. Dell'imitazione de' colori in qualunque distanza. 

Quando tu vuoi contraffare un colore, abbi rispetto che, stando tu nel sito 
ombroso, in quello tu non voglia imitare il sito luminoso, perchè inganneresti con 
tale imitazione te medesimo. Quello che hai da fare in tal caso a voler adoperare 
con certezza come si conviene alle matematiche dimostrazioni, è che per tutti i 
colori che tu hai da imitare paragoni l' imitante coli' imitato a un medesimo lume 
e che il tuo colore sia conterminale alla linea visuale del color naturale. 

Diciamo che tu voglia imitare la montagna nella parte eh' è veduta dal sole. 
Metti i tuoi colori al sole, e alla veduta di quello fa la tua mistione di colori 
imitabili, e paragona al medesimo lume solare, tenendo il tuo colore scontrato col 
colore imitato ; come a dire : io ho il sole a mezzogiorno, e ritraggo il monte a 



a 8n] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE QUINTA 257 

ponente, il quale è mezzo ombroso e mezzo luminoso ; ma qui io voglio imitare 
il luminoso : io torrò un poco di carta vestita di quel colore che mi parrà esser 
simile all' imitato e la porrò allo scontro di esso imitato, in modo che infra il 




vero ed il falso non si vedrà spazio, e così le farò vedere i raggi del sole, e tanto 
aggiungerò varietà di colori, che il colore di ciascuno sarà simile, e così andrò 
facendo in ogni qualità di colori ombrosi o luminosi. 



carpe c//uminaù? 



810. Del lume riflesso. 

Tanto quanto la cosa illuminata sarà 
men luminosa che il suo illuminante, tanto la i umin 
sua parte riflessa sarà men luminosa che la 




parte illuminata. Quella cosa sarà più illumi- ilàcrTLbtah 
nata che sarà più propinqua all' illuminante. 

Tanto quanto bc entra in ba, tanto sarà più illuminato in ad che in de. Quella 
parete che sarà più illuminata, parrà che abbia le sue ombre di maggiore oscurità. 



811. Di prospettiva. 



Quando con due occhi si vedrà due eguali obietti che sieno minori ciascun 
per sè che non è l' intervallo delle luci di essi occhi, allora </ 
il secondo obietto parrà maggiore che il primo. La piramide ac ^ 
abbraccia il primo obietto, e la piramide db abbraccia il secondo 
obietto. Ora, tanto parrà maggiore l'obietto m che 11, quanto la larghezza della 
piramide db sarà maggiore di ac. 





L. da Vinci — Trattato della pittura. 



33 




PARTE SESTA. 



DEGLI ALBERI E DELLE VERDURE. 




8 12. Discorso delle qualità de' fiori nelle ramificazioni 
delle erbe. 

De' fiori che nascono nelle ramificazioni delle erbe, alcuni fiori- 
scono prima nelle somme altezze di esse ramificazioni, ed altri 
aprono il primo fiore nell' infima bassezza del loro fusto. 



813. Della ramificazione delle piante. 

Prima : ogni ramo di qualunque pianta che non è superato 
/ dal peso di sè medesimo s' incurva, levando il suo estremo verso 
il cielo. Seconda: maggiori sono i ramiculi de' rami degli alberi 
che nascono di sotto, che quelli che nascono .di sopra. Terza: tutti i ramiculi nati 
inverso il centro dell' albero per la soverchia 'ombra in breve tempo si consumano 
Quarta : quelle ramificazioni delle piante saranno più vigorose e favorite, le quali sono 
più vicine alle parti estreme superiori di esse piante, causa 1' aria ed il sole. Quinta : 
gli angoli delle divisioni delle ramificazioni degli alberi sono infra loro 
eguali. Sesta: ma quegli angoli si fanno tanto più ottusi quanto i rami 
de' loro lati si vanno invecchiando. Settima: il lato di quell'angolo 
si fa più obliquo, il quale è fatto di ramo più sottile. Ottava: ogni 
biforcazione di rami insieme giunta ricompone la grossezza del ramo 
che con essa si congiunge: come a dire ab giunto insieme fa c\ ed giunto insieme 




26o LEONARDO DA VINCI [§813 

fa f, e fe giunto insieme fa la grossezza del primo ramo op , il quale op grossezza 
è eguale a tutte le grossezze abcd, e questo nasce perchè l'umore del più grosso 
si divide secondo i rami. Nona: tante sono le torture de' rami maestri, 
quanti sono i nascimenti delle loro ramificazioni che infra loro non 
si scontrano. Decima: quella tortura de' rami più si piega, la quale 
ha i suoi rami di più conforme grossezza: vedi ne ramo e così bc per 
essere infra loro eguali, che il ramo ned è più piegato che quel di 
sopra aon che ha i rami più disformi. Undecima: l'appiccatura della 
foglia sempre lascia vestigio di sè sotto il suo ramo, crescendo insieme 
con tal ramo insino che la scorza crepa e scoppia per vecchiezza dell' albero. 

814. Della ramificazione delle piante. 

Sempre il margine donde si spicca la foglia del ramo cresce nella medesima 
proporzione che fa il ramo, e sempre si manifesta insino che la vecchiezza scoppia 



e rompe la scorza di tale ramo. Sia pbe la grossezza 

j?/' di detto ramo ; b e d sia la foglia che si appicca al ramo 

/ >é^-^v \ m tutto lo spazio boe, eh' è il terzo della grossezza del 

A [\ ) \ ramo ; o è l' occhio dove nasce il ramiculo sopra la foglia ; 

y y^-^ J d [ co adunque, che circondando l' appiccatura della foglia 

/ la terza parte della grossezza del ramo, crescendo il 

^ ramo pbc alla grossezza hgs, lascierà ancora il terzo 



del cerchio di tale grossezza, com' è segnato in gs . Quel ramo sarà più curvo 
nell' albero, il quale nasce più basso nella quantità della sua ramificazione. 

815. Della ramificazione delle piante. 

I margini che fanno la congiunzione dei 
rami nel loro appiccarsi insieme quando ingros- 
sano nelle inforcature, nel tempo della gioventù 
restano assai rilevati, e nella vecchiezza restano 
in cavo. 

816. Delle minori ramificazioni delle piante. 

Le foglie che compongono le ultime ramificazioni delle piante sono più evidenti 
nella parte di sopra che di sotto, e questo avviene più ne' noci che in altre piante, 
perchè le loro foglie sono composte di sette altre foglie, in quel modo che tu vedi 
qui appresso figurato, le quali per il loro peso ricadono in basso, e spesse volte si 
appoggiano l'una sopra l'altra, e compongono una piastra assai luminosa, e questa si 





Pianta giovane Pianta vecchia 



a 819] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 261 

dimostra in lunga distanza, ma d'appresso si vedono poi i lustri sopra ciascuna foglia, 
e nella parte di sotto di essa ramificazione le foglie pendono obliquamente sotto 
il lor nascimento, facendo ombra !' una sopra l' altra alla sottoposta. E 
per quel che si è detto si conclude che tale ramificazione ha le foglie più 
espedite di sopra che di sotto, perchè non sono occupate dalle altre; e dalla 
. parte di sotto, per essere occupate dalle superiori, non sono interamente 
comprese dall'occhio. Ancora di sopra le foglie per pendere sopra il loro 
nascimento poco si rimuovono sopra il lor nascimento, e di sotto si discostano 
assai; e per questo le foglie superiori di tali ramiculi sono men remote dalla massa 
di tutte e sue foglie, che le foglie ultime di sotto ; e questo accade nel lume parti- 
colare, perchè neh' universale le foglie hanno lume e non lustro ; e tutti gli alberi 
che hanno le foglie composte di altre foglie fanno l' officio sopradetto, ed ancora 
che hanno le foglie larghe, come il platano, tiglio, fico e simili. 




817. Della proporzione che hanno infra loro le ramificazioni delle 
piante. è 

Tal proporzione hanno le grossezze della ramificazione di ciascuna 
pianta nata il medesimo anno col lor primo fusto, quale hanno le 
antecedenti e succedenti di tutti gli altri anni preteriti e futuri, cioè 
che ogni anno i rami che ha acquistato ciascuna pianta, quando 
hanno finito di crescere, essendo insieme calcolate e unite le loro 
grossezze, essi sono eguali al ramo nato l'anno passato, il quale li ha 
partoriti, e così seguitano innanzi, e così saranno trovati ne' tempi . 
futuri; come dire i rami ad e bd, ultimi della pianta, essendo insieme giunti, 
saranno eguali al ramo de che li ha partoriti. 




818. Della ramificazione degli alberi. 

Le ramificazioni degli alberi nel caricarsi di frutti e di foglie mutano sito da 
quello eh' esse tenevano l' invernata. Mai da ramo a ramo la grossezza de' rami 
che si biforcano non si varia, se non quasi insensibilmente; e chi vi riponesse i 
ramiculi che nascono infra le principali ramificazioni, rifarebbe la grossezza di 
punto eguale per tutto. 



819. All'albero giovane non crepa la scorza. 

I rami delle piante sono situati in due modi, cioè o sono a riscontro l'uno 
dell' altro, o no, e se non sono a riscontro, il ramo di mezzo s' andrà piegando 
ora all' un ramo, ora all' altro ; e se sono a riscontro, 1' albero di mezzo sarà diritto. 



2Ó2 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 8i9 





Sempre il ramo si genera sopra 1' appiccatura della 
foglia, e così fa il frutto. La scorza degli alberi 
sempre crepa per la lunghezza della pianta, salvo 
quella del ciliegio, che scoppia a circoli. Quando 
la pianta maestra si dividerà in uno o più rami 
principali ad una medesima altezza, allora i margini 
delle giunture di tali rami si faranno più alti a 
riscontro l' uno dell' altro che inverso il centro dell' al- 
bero, inverso il quale rimarranno gran concavità. E questo avviene quando gli 
angoli de' rami sono più stretti infra loro che 1' angolo che sta di verso il centro 
dell'albero maestro, come a dire ab , rami, sono divisi da più stretti angoli, e così bc, 

che non sono i rami a c ; e così adunque 
tali rami neh" ingrossare, più presto e 
con maggiore aumento si congiungono 
in de, e più s' innalza la loro giuntura 
in ac\ e per questo la giuntura di 
mezzo resta più bassa; provasi essere 
per necessità, e siano i tre circoli 11 m , 
i quali si toccano in punto delle linee n m 
ed mo ed 011, e non in mezzo, e non potendo attaccarsi insieme se non dov'essi 
si toccano, si appiccheranno adunque in essi contatti, e non in mezzo dove non 
si toccano; e così neh' ingrossare tale attaccatura s'alzerà, come di sopra si mostra, 
in yc, e donde monta in alto tale giuntura, il mezzo che non si tocca resta basso 
e concavato. 




820. Della ramificazione delle piante. 



Quella parte della pianta mostrerà e sarà di maggior vecchiezza, la quale sarà 
più presso al suo nascimento, come mostrano le crepature della sua scorza. Questo 

si vede ne' noci, i quali hanno spesse volte gran parte 
della scorza tirata e pulita sopra la scorza vecchia e 
crepata, e così sono di tante varie gioventù e vecchiezze 
w'P / quante sono le loro ramificazioni maestre. Gli anni dell' età 
degli alberi, che non sono stati storpiati dagli uomini, si 




possono annoverare nelle loro ramificazioni maestre; 
come abedef, circoli, in ogni creazione di ramifica- 
zione principale, pigliando il ramo eh' è più vicino al 
mezzo dell'albero. Gli alberi hanno in sè tante varie età, 
quante sono le loro principali ramificazioni. La parte più giovane della pianta avrà 
la scorza più pulita e tersa che alcun' altra parte. 



a 822] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 263 

La parte meridionale delle piante mostra maggior gioventù e vigore che le setten- 
trionali. La parte più vecchia della scorza dell' albero è sempre quella che prima 
crepa. Quella parte dell'albero avrà più ruvida e grossa scorza, che sarà di maggior 
vecchiezza. I circoli de' rami degli alberi segati mostrano il numero de' loro anni, 
e quali furono più umidi o più secchi, secondo la maggiore o minore loro gros- 
sezza. E così mostrano gli aspetti del mondo dov' essi erano volti ; perchè più grossi 
sono a settentrione che a meridie ; e così il centro dell'albero per tal causa è più vicino 
alla scorza sua meridionale che alla scorza settentrionale ; e benché questo non serva 
alla pittura, pure io lo scriverò per lasciare men cose indietro degli alberi, che alla mia 
notizia sia possibile. Quelle cime degli alberi faranno maggiore accrescimento, che 
saranno più vicine al ramo maestro del loro albero. Le foglie che prima nascono, e che 
più tardi cascano, sono quelle che nascono nelle cime maestre degli alberi. Quell'albero 
che più invecchia ammette minori rami. Quel ramo che si estende in più continuata 
grossezza e più diritta, è quello il quale genera minori ramiculi intorno a sè. 



821. Delle ramificazioni delle piante. 

Le piante che assai si dilatano hanno gli angoli delle partizioni che separano 
le loro ramificazioni tanto più ottusi, quanto il nascimento loro è più basso, cioè 
più vicino alla parte più grossa e più vecchia dell'albero. Adunque nella parte più 
giovane dell' albero gli angoli delle sue ramificazioni sono più acuti. 



822. Del nascimento delle foglie sopra i rami. 

Non diminuisce mai la grossezza di alcun ramo dallo spazio eh' è da foglia a 
foglia, se non quanto è la grossezza dell' occhio eh' è su essa foglia, la qual gros- 
sezza manca al ramo che succede insino all'altra 
foglia. Ha messo la natura le foglie degli ultimi 
rami di molte piante, che sempre la sesta foglia 
è sopra la prima, e così segue successivamente, 
se la regola non è impedita ; e questo ha fatto 
per due utilità d' esse piante : la prima è perchè, 
nascendo il ramo e il frutto nell' anno seguente 
dalla gemella vena dell' occhio eh' è sopra in 
contatto dell' appiccatura della foglia, l' acqua 
che bagna tal ramo possa discendere a nutrire 
tal gemella col fermarsi la goccia nella concavità del nascimento di essa foglia; ed 
il secondo giovamento è che, nascendo tali rami 1' anno seguente, 1' uno non cuopre 
1' altro, perchè nascono volti a cinque aspetti i cinque rami, ed il sesto nasce sopra 
il primo assai remoto. 





264 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 823 



823. Delle ramificazioni delle piante colle loro foglie. 

Le ramificazioni delle piante, alcune, come 1' olmo, sono larghe e sottili ad uso 
di mano aperta in iscorto, e queste si mostrano nelle loro quantità; di sotto si 
mostrano dalla parte superiore; e quelle che sono più alte si mostrano di sotto, 
e quelle di mezzo in una parte di sotto ed una di sopra; e la parte di sopra è 
in estremo di essa ramificazione: e questa parte di mezzo è la più scortata che 
nessun' altra di quelle che sono volte colle punte inverso te, e di esse parti di mezzo 
dell' altezza della pianta la più lunga sarà inverso gli estremi di essi alberi, e fa 
a queste tali ramificazioni come le foglie della felce selvatica che nasce per gli 
argini de' fiumi. Altre ramificazioni sono tonde, come quelle degli alberi che mettono 
i ramiculi e le foglie, che la sesta è sopra la prima ; ed altre sono rare e trasparenti, 




come il salice e simili. Gli estremi delle ramificazioni delle 
piante, se non sono superati dal peso de' frutti, si voltano 
inverso il cielo quanto è più possibile. Le parti dirette delle 
loro foglie stanno volte inverso il cielo per ricevere il nutrimento 



della rugiada che cade la notte. Il sole dà spirito e vita alle piante; e la terra 
coli' umido le nutrisce. Intorno a questo caso io provai già a lasciare solamente 
una minima radice ad una zucca, e quella tenevo nutrita coli' acqua ; e tale zucca 
condusse a perfezione tutti i frutti eh' essa potè generare, i quali furono circa sessanta 
zucche di quelle larghe. E posi mente con diligenza a tale vita, e conobbi che 
la rugiada della notte era quella che col suo umido penetrava abbondantemente 
per l' appiccatura delle sue grandi foglie al nutrimento di essa pianta co' suoi 
figliuoli. 

Per regola, le foglie nate nel ramo ultimo dell' anno saranno ne' due rami 
fratelli in contrario moto, cioè che, voltandosi intorno il nascimento delle foglie 
al loro ramo, in modo che la sesta foglia di sopra nasca sopra la sesta di sotto, 
il moto del loro voltarsi è, se 1' uno volta inverso il suo compagno a destra, 1' altro 
gli si volta a sinistra. La foglia è tetta ovvero poppa del ramo o frutti che nascon 
1' anno che viene. 

824. Del nascimento de' rami nelle piante. 

Tale è il nascimento delle ramificazioni delle piante sopra i loro rami principali, 
qual è il nascimento delle foglie, le quali foglie hanno quattro modi di proce- 
dere 1' una più alta che l' altra. Il primo più universale è, che sempre la sesta di 
sopra nasce sopra la sesta di sotto ; il secondo è che le due terze di sopra sono 
sopra le due terze di sotto, ed il terzo modo è che la terza di sopra è sopra la 
terza di sotto. 



a 828] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



265 



825. Perchè molte volte i legnami non sono diritti nelle lor vene. 

Quando i rami che succedono il secondo anno sopra quelli dell'anno 
passato non hanno le grossezze simili sopra i rami antecedenti, ma da 
lato, allora il vigore di quel ramo di sotto si torce al nutrimento di quello 
eh' è più alto ; ancoraché esso sia un poco da lato. Ma se tali ramifica- 
zioni avranno egualità nel loro crescere, le vene del loro fusto saranno 
diritte ed equidistanti in ogni grado di altezza della loro pianta. Adunque 
tu, pittore, che non hai tali regole, per fuggire il biasimo degli intendenti 
sii vago di ritrarre ogni tua cosa di naturale e non dispensare lo studio come 
fanno i guadagnatoli. 




826. Degli alberi. 

Sempre inverso i fondi delle valli e co' rami di esse valli gli alberi sono maggiori 
e più spessi che inverso la sommità de' colli. Le cime de' monti sono più erbose 
che le loro spiaggie, perchè quivi non è concorso di acque, che le abbiano a lavare, 
come nelle spiaggie. 



827. Degli alberi. 

Se il ramo dell' albero ti viene in iscorto, le sue foglie ti si dimostreranno in 
faccia o circa ; e se il ramo si mostrerà nella vera forma, le sue foglie si mostreranno 
improprie, cioè in iscorto. Quando 1' albero per lunga distanza non manda più la 
vera figura all' occhio o bugiarda delle sue foglie, allora resta la figura delle poste 
de' rami con certa quantità e qualità. Quando manca per distanza la figura delle 
poste de' rami, resta all' occhio solo la somma del suo chiaro e scuro ; e se più là 
vorrai giudicare, tu avrai da esso solo la figura del suo colore, che lo dividerà da 
altre cose diverse, e se non saranno diverse, non si scernerà da loro. 



828. Della ramificazione deeli alberi. 

o 

Tutte le ramificazioni degli alberi hanno il nascimento della sesta foglia supe- 
riore, che sta sopra la sesta inferiore. Il medesimo hanno le viti, canne, pruno 
delle more e simili, salvo la vitalba gelsomino che ha le poste appaiate 1' una sopra 
l'altra intraversata. Tutti gli alberi che hanno il sole dopo sè sono scuri inverso 
il mezzo. 



L. da Vinci ' — Trattato della pittura. 



34 



266 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 829 



829. Della ramificazione che in un anno rimette nelle fronti de' rami 
tagliati. 

Tal sarà la quantità del ramiculo che rimette sopra il ramo tagliato, con la 
quantità de' ramiculi che di tal ramo tagliato dovea produrre il medesimo anno, 
quale è la quantità della camicia che sta infra la scorza ed il legno, cioè la sua 
linea circonferenziale fatta sopra il taglio del ramo con la lunghezza del diametro 
di tale ramiculo ; e questo accade perchè il nutrimento che passa per tale diametro, 
il quale solea di lì passare per innalzarsi a nutrire i rami del medesimo anno, non 
trovandoli, si ferma a nutrire quel ramo che nasce nel fine della scorza e camicia. 
Ma questa regola pare che patisca eccezione, perchè se tutti i rami che di tutto 
il nutrimento seco viene a generare queir anno, rifaceano tanta quantità di rami che, 
essendo insieme ricomposti ed uniti, colle loro grossezze e' si ricomponeano gros- 
sezza eguale al tagliato ramo ; adunque, se tutta la fronte della scorza e camicia 
della pianta tagliata ricomponesse negl' interi labbri della sua tagliatura un cerchio 
unito di un continuato ramo che abbracciasse il tutto della circonferenza del legno, 
esso rifarebbe quel medesimo anno tanta grossezza di legname, quanta è la grossezza 
del ramo ch'esso abbraccia; il che pare impossibile, ancoraché l'aria, la pioggia e la 
rugiada l' aiutassero ; conciossiachè molto maggiore è la circonferenza di tutte le ultime 
ramificazioni insieme giunta, le quali la pianta, non essendo tagliata, dovea generare 
quell' anno, che non è la circonferenza estesa in tutta la fronte della scorza tagliata; 
e per conseguenza più nutrimento tira, perchè in tale scorza e camicia sta la vita 
della pianta. Ma di questo non si tratterà il fine in questo luogo, perchè si riserva 
altrove, e non accade alla pittura. 

830. Della proporzione de' rami colla proporzione del loro nutrimento. 

Tal proporzione han tutte le ramificazioni di un medesimo anno nelle loro gros- 
sezze insieme unite colla grossezza del loro fusto, quale ha il nutrimento di esso 
fusto col nutrimento de' predetti rami, cioè che tale è la cosa nutrita, qual è il 
suo nutrimento. Perchè se sarà tagliato un ramo di una pianta, e che vi sia su 
innestato ovvero inserito uno de' suoi medesimi ramiculi, esso ramiculo si farà col 
tempo assai più grosso che il ramo che lo nutrisce, e sarà perchè il nutrimento 
ovvero spiriti vitali soccorrono il luogo offeso. Nello inserire a scudo molti occhi 
di piante in cerchio ad un tronco tagliato comporranno il medesimo anno più quantità 
di grossezza che non è la fronte di tal fusto tagliato. 



a 834] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



267 



831. Dell'accrescimento degli alberi e per qual verso più crescono. 

Le ramificazioni de' rami maggiori non crescono inverso il mezzo della loro pianta ; 
e questo nasce perchè naturalmente ogni ramo cerca V aria e fugge 1' ombra, e perchè 
le ombre sono più potenti nella parte inferiore de' rami che risguardan la terra che 
in quella che si volta al cielo, nella quale sempre si riduce il corso dell' acqua che 
piove e della rugiada che moltiplica la notte, e tiene più umida essa parte inferiore 
che la superiore ; e per questo i rami hanno più abbondante nutrimento in tal parte, 
e per questo più crescono. 

832. Quali rami degli alberi sono quelli che più crescono in un 
anno. 

Sempre le maggiori ramificazioni de' massimi rami sono quelle che nascono dalla 
parte del ramo che guarda la terra, e le minori nascono da quella sopra esso massimo 
ramo; e questa tal grandezza di ramo inferiore nasce perchè sempre l'umore del 
ramo, quando non è percosso dal caldo del sole, ricade nella parte di sotto del 
suo ramo ; e però più nutrisce l' umore dove di esso è maggiore abbondanza ; e 
per questo il ramo sempre ha la scorza più grossa di sotto che di sopra ; e questa 
è potissima causa che i ramiculi di esso ramo sono assai maggiori di sotto che 
di sopra, e per questo gli alberi mettono assai rami all' ingiù, i quali sono causa 
che il ramo che di sotto gli succede non mette gran ramiculi contro il ramo che 
gli sta di sopra ; e per questo le piante non si confondono, nè tolgono l' aria 
Luna all'altra per la vicinità di tante ramificazioni, perchè dan luogo l'ima all'altra; 
e se quel ramo, com'è .detto, cresce assai all' ingiù, quel che gli cresce incontro 
cresce poco all' insù. 

833. Della scorza degli alberi. 

L' accrescimento della grossezza delle piante è fatto dal sugo, il quale si genera 
nel mese di aprile infra la camicia ed il legno di esso albero; ed in quel tempo 
essa camicia si converte in iscorza, e la scorza acquista nuove crepature nelle pro- 
fondità delle ordinarie crepature. 

834. Della parte settentrionale delle piante degli alberi. 

Sempre la parte settentrionale degli alberi vecchi veste la scorza del suo pedale 
di verdicante piumosità. 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 835 



835. Della scorza delle piante, 



La scorza delle piante è sempre con maggiori crepature di verso mezzodì che 
nella parte settentrionale. 

h 





836. Delle diversità che hanno le 
ramificazioni degli alberi. 



Tre sono i modi delle ramificazioni 
degli alberi, de' quali modi l'uno è mettere 
i rami per due contrari aspetti, l' uno ad 
oriente e l'altro ad occidente, e non sono 
a riscontro l' uno dell' altro, ma in mezzo 
dello spazio opposito; l'altro li mette a 
due a due, a riscontro l' uno dell' altro, ma se due ne saranno per levante e 
ponente, gli altri a meridie e settentrione; la terza ha sempre il sesto ramo sopra 
il primo successivamente. 

837. Delle ramificazioni delle piante che mettono i rami a 
riscontro 1' uno dell' altro. 

Tutte le piante che mettono i rami a gradi 1' uno a riscontro dell' altro 
con eguale grossezza, sempre saranno diritte come 1' abete ab . E questa 
tal dirittura nasce perchè le parti opposite essendo eguali in grossezza, 
tirano eguale umore, o vo' dire nutrimento, e fanno i rami di egual peso, 
onde seguita che da eguali cause nascono eguali effetti, e tale egualità riserva la 
rettitudine eguale di essa pianta. 




838. Degli accidenti che piegano le predette piante. 

Ma quando le predette piante metteranno le loro ramificazioni ineguali in 
grossezza, allora tal pianta non osserverà la dirittura, ma la piega in opposita parte 
al ramo più grosso ; e questo accade perchè necessità costringe tal pianta ad essere 
in mezzo ad eguali pesi, senza di che 1 presto rovinerebbe per piccol vento che 
traesse per la linea donde cresce il ramo più grosso. 



Nel codice: «se non che». 



a 841] 



TRATTATO DELLA PITTURA — 



PARTE SESTA 



269 



839. Degli accidenti delle ramificazioni delle piante. 

I quattro accidenti delle ramificazioni delle piante sono questi, cioè: lustro, 
lume, trasparenza ed ombra ; e se 1' occhio vedrà sopra essa ramificazione, la parte 
illuminata si dimostrerà di maggior quantità che la parte ombrosa; e questo accade 
perchè essa parte illuminata è maggiore che la ombrosa, conciossiachè in quella si 
contiene il lume ed il lustro e la trasparenza; la qual trasparenza al presente lascierò 
da parte, e descriverò la dimostrazione della parte illuminata, la quale è quella eh' è 
messa per la quarta parte delle qualità de' colori che si variano nelle superficie dei 
corpi, cioè qualità mezzana, che vuol dire non esser lume principale ma mezzano; 
dipoi seguita 1' altra quarta parte mezzana, che vuol dire non essere ombra principale, 
ma mezzana ; e la qualità mezzana illaminata è interposta infra il lustro e la qualità 
mezzana ombrosa, la quale qualità mezzana ombrosa è interposta infra la mezzana 
illuminata e le ombre principali. La terza parte, che è la trasparenza, solo accade 
nelle cose trasparenti, e non ne' corpi opachi. Ma parlando al presente delle foglie 
degli alberi, è necessario descrivere questo secondo accidente, il quale è d' impor- 
tanza alla figurazione delle piante, benché dinanzi a me non è stata usata, che ce 
ne sia notizia. Questa è situata come sarà detto di sotto. 

840. Delle trasparenze delle foglie. 

Quando il lume è all' oriente e 1' occhio vede la pianta di sotto inverso tramon- 
tana, esso vedrà la parte orientale dell' albero in gran parte trasparente, eccetto 
quelle che sono occupate dall'ombra delle altre foglie; e la parte occidentale dell'al- 
bero sarà oscura, perchè riceve sopra di sè 1' ombra della ramificazione, cioè quella 
parte eh' è volta all' oriente. 

841. Del centro degli alberi nella loro grossezza. 

II centro delle piante nella divisione delle loro ramificazioni 
non sarà mai in mezzo della grossezza de' loro rami; e questo 
accade ancora perchè più umore è dal lato di dentro della rami- 
ficazione dell'albero che di fuori, come dire c, eh' è la congiunzione 
de' rami ac e ce, cresce più dal centro de' rami bd che da essi centri bd agli 
estremi di fuori a e . 




270 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 842 



842. Oual pianta cresce nelle selve di più continuata grossezza ed 
in maggiore altezza. 

Quella pianta crescerà in più continuata e maggiore lunghezza, la quale nascerà in 
più bassa e stretta valle ed in più folta selva e più remota dagli estremi di essa selva. 

843. Qual pianta è di grossezza più disforme e di minore altezza 
e più dura. 

Quella pianta sarà più disforme in grossezza, che nasce in più alto sito ed in 
selva più rara e più remota dal mezzo di quella. 

844. Delle piante e legnami segati i quali mai per sè si piegheranno. 

Quando tu vuoi che l'albero tagliato non si pieghi nella sua rettitudine, segalo 
per metà pel verso della sua lunghezza, e volgi le parti divise l' una al contrario 
dell' altra, cioè quella parte eh' era da piedi mettila da capo, e quella da capo volgila 
da piedi, e poi ricongiungile insieme, e questa tale collegazione mai si piega. 

845. Delle aste che più si mantengono diritte. 

L' asta che sarà fatta di quella parte dell' albero eh' è più volta a tramontana, 
sarà quella che meno delle altre si piegherà, e più manterrà la sua naturale 
dirittura. E questo è per causa che in tal parte il sole poco vede, e poco muove 
l' umore dell' albero, il che non interviene alla parte meridionale, perchè tutto il 
giorno è veduta dal sole, il quale muove l' umore in essa parte di pianta dalla 
parte sua orientale all'occidentale insieme col suo corso. 

846. Delle crepature de' legni quando si seccano. 

Delle crepature che fanno i legni nel loro seccare, quella pianta le farà più 
diritte, che sarà più remota dagli estremi della sua selva, e quella più torte, che 
è nata più vicina agli estremi di essa selva. 

847. De' legni che non si scoppiano nel seccarsi. 

Quando tu vuoi che il legno nel seccare non faccia alcuna crepatura, fàllo 
lungamente bollire nell' acqua comune, o tienilo lungamente nel fondo di un fiume, 
tanto che consumi il suo naturai vigore. 



a 851] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 271 

848. Ramificazione di alberi in diverse distanze. 

I primi alberi danno all' occhio le loro vere figure ; espeditamente appariscono 
i lumi, lustri, ombre e trasparenze di ciascuna posta delle foglie nate negli ultimi - 
ramiculi delle piante ; nella seconda distanza posta dall' orizzonte 1 all' occhio, lì appa- 
risce la somma delle foglie poste ad uso di punti negli antedetti ramiculi ; nella 
terza distanza appariscono le predette somme de' ramiculi ad uso di punti seminati 
nelle somme delle ramificazioni maggiori ; nella quarta distanza rimangono le dette 
ramificazioni maggiori tanto diminuite, che solo restano in figura di confusi punti 
nel tutto dell' albero ; poi seguita 1' orizzonte, che fa la quinta ed ultima distanza, 
dove 1' albero è tutto diminuito, in tal modo che resta in forma di punto. E così 
ho diviso la distanza eh' è dall' occhio al vero orizzonte, che termina in pianura, 
in cinque parti eguali. 

849. Della parte che resta nota negli alberi in lunga distanza. 

Nelle lunghe distanze che hanno le piante dall' occhio che le vede, sol di loro 
si dimostrano le somme loro principali ombrose e luminose ; ma quelle che non 
sono principali si perdono per la loro diminuzione, imperocché, se una piccola parte 
illuminata resta in grande spazio ombroso, essa si perde e non corrompe in parte 
alcuna essa ombra ; il simile accade di una piccola parte ombrosa in un gran campo 
illuminato. 

850. Delle distanze più remote delle anzidette. 

Ma quando gli alberi saranno in maggiore distanza, allora le somme ombrose 
e luminose si confonderanno per l' aria interposta e per la loro diminuzione, in 
modo che parranno esser tutte di un medesimo colore, cioè azzurro. 

851. Delle cime de' rami delle piante fronzute. 

Le prime ombre che fanno le prime foglie sopra le seconde de' rami fronzuti 
sono meno scure che quelle che fanno esse foglie ombrate sopra le terze foglie ; 
e così quelle che fanno esse terze foglie ombrate sopra le quarte ; e di qui nasce 
che le foglie illuminate, che hanno per campo le terze e le quarte foglie ombrose, 
si mostrano di maggior rilievo che quelle che hanno per campo le prime foglie 



1 Nel codice : « oriente ». 



272 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 851 



8 #f 




e 



ombrate. Come se il sole fosse e, e la prima foglia illu- 
minata da esso sole fosse a , la quale ha per campo 
la seconda foglia b , secondo l' occhio n ; dico che tale 
foglia spiccherà meno avendo per campo essa seconda 
foglia, che s' essa sportasse più in fuori ed avesse per campo 
la fogliar, eh' è più scura per essere interposte più foglie 
infra essa ed il sole. E più spiccherebbe s' essa campeg- 



giasse sopra la quarta foglia, cioè d. 

852. Perchè i medesimi alberi paiono più chiari d'appresso che da 



Gli alberi di medesima specie si dimostrano essere più chiari d'appresso che 
da lontano, per tre cause. La prima è perchè le ombre si mostrano più oscure 
d'appresso, e per tale oscurità le ramificazioni illuminate, che con esse confinano, 
si dimostrano più chiare che non sono ; la seconda è che nel rimuoversi dall' occhio 
1' aria che s' interpone infra tali ombre e l' occhio, con maggiore grossezza che prima 
non solea, rischiara essa ombrosità, e la fa in colore partecipante di azzurro : per 
la qual cosa i rami luminosi non si dimostrano con sicuro paragone come prima, 
e vengono a parere oscurati ; la terza cagione è che le specie che tali ramificazioni 
mandano all' occhio di chiaro e di scuro si mischiano ne' loro estremi insieme 
e si confondono, perchè sempre le parti ombrose sono di maggior somma che le 
luminose, ed esse ombrose acquistano più cognizione in lunga distanza che le poche 
chiare ; e per queste tre cause gli alberi si dimostrano più oscuri da lontano che 
d'appresso, e perchè ancora le parti luminose tanto più crescono quanto esse sono 
di più potente illuminazione ; il che tanto più si dimostra potente quanto minore 
grandezza di aria infra l' occhio ed esse s' interpone. 

853. Perchè gli alberi da una distanza in là quanto più sono lontani 
più si rischiarano. 

Da una distanza in là gli alberi, quanto più s' allontanano dall' occhio, tanto 
più gli si dimostrano chiari, tantoché all' ultimo sono della chiarezza dell' aria 
nell' orizzonte. Questo nasce per 1' aria che s' interpone infra essi alberi e 1' occhio, 
la quale essendo di bianca qualità, quanto con maggior quantità s' interpone, di 
tanto maggiore bianchezza occupa essi alberi, i quali per partecipare in sè di scuro 
colore, la bianchezza di tale aria interposta rende le parti oscure più azzurre che 
le parti loro illuminate. 



lontano. 



a 8 57 ] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



273 



854. Delle varietà delle ombre degli alberi ad un medesimo lume, 
in un medesimo paese, in lume particolare. 

Quando il sole è all' oriente, gli alberi a te orientali hanno grandi ombre, ed 
i meridionali mezzo ombrosi, e gli occidentali tutti illuminati ; ma questi tre aspetti 
non bastano, perchè sta meglio a dire tutto 1' albero orientale sarà ombroso, e quello 
che sarà a scirocco sarà i tre quarti ombroso ; e 1' ombra dell' albero meridionale 
occupa la metà dell' albero ; ed il quarto dell' albero di libeccio sarà ombroso, e 
l'albero occidentale non mostra ombra alcuna. 

855. De' lumi della ramificazione degli alberi. 

Per quello eh' è detto di sopra, le somme delle ramificazioni degli alberi illu- 
minate, ancoraché ciascuna loro foglia sia divisa dalle altre foglie con ispazio ombroso, 
accade che nelle distanze la parte ombrosa essendo minuta si perde, per essere, 
coni' è detto, occupata e superata dalla parte luminosa, la quale non diminuisce 
per distanza quanto 1' ombrosa ; e per questo seguita che la somma delle foglie di 
un medesimo ramo in alquanta distanza par essere quasi di un medesimo colore ; e se 
pure per una buona vista si discerne alquanto delle ombre de' detti intervalli ombrosi 
interposti infra le foglie, essi non si dimostrano della debita oscurità; e questo nasce 
per due cause : la prima si è per la grossezza dell' aria che s' interpone infra l' occhio 
e 1' obietto ombroso ; la seconda si è perchè le minute specie in sì lunga distanza 
si mischiano alquanto ne' loro termini e confondono la cognizione loro, e restando 
più nota la parte illuminata che 1' ombrata, per esse le ombre si dimostrano di poca 
oscurità. 

856. Della forma che hanno le piante nel congiungersi colle loro 
radici. 

I pedali delle piante non osservano la rotondità della loro grossezza quando si 
accostano al nascimento de' rami, o delle loro radici ; e questo nasce perchè tali 
ramificazioni superiori ed inferiori sono le membra donde si nutriscono le piante ; 
cioè che di sopra la state si nutriscono colla rugiada e pioggie mediante le foglie, 
e di sotto 1' invernata mediante il contatto che ha la terra colle loro radici. 

857. Delle ombre e lumi e loro grandezze nelle foglie. 

Le ramificazioni delle piante sono vedute di sotto, o di sopra, o in mezzo; se 
esse sono vedute di sotto, allora, se il lume sarà universale, è maggiore la parte 

L. da Vinci — Trattato della pìtttira. 2 ^ 



274 LEONARDO DA VINCI [§857 

ombrosa che la illuminata. E s'esse saranno vedute di sopra, sarà maggiore la parte 
illuminata che la ombrosa. E s' esse saranno vedute in mezzo, tanto sarà la parte 
illuminata quanto quella delle ombre. 



858. Dell' illuminazione delle piante. 

Nella situazione dell' occhio, il quale vede illuminata quella parte delle piante 
che veggono il luminoso, mai sarà veduta illuminata l' una pianta come l' altra. 

Provasi, e sia l'occhio c che vede le due piante bd, le quali 




sono illuminate dal sole a ; dico che tale occhio c non vedrà 
i lumi essere della medesima proporzione alla sua ombra nell'un 
albero come nell' altro, imperocché queir albero eh' è più vicino 
al sole si dimostrerà di tanto più ombroso che quello che n' è 



più remoto, quanto l' un albero sarà più vicino al concorso 
de' raggi solari che vengono all' occhio, che 1' altro. Vedi che dell' albero d non si 
vede dall' occhio c altro che 1' ombra e dal medesimo occhio c si vede l' albero b 
mezzo illuminato e mezz' ombrato. 



859. Ricordo delle piante al pittore. 

Ricordati, o pittore, che tanto sono varie le oscurità delle ombre in una 

medesima specie di piante, quanto sono varie le rarità o densità delle loro rami- 
ficazioni. 



860. Del lume universale illuminatore delle piante. 



Quella parte della pianta si dimostrerà vestita di ombre di minore oscurità, la 
quale sarà più remota dalla terra. Provasi : 2/ p sia la pianta, n b c sia 1' emisfero illu- 

6^ ^ minato ; la parte di sotto dell'albero vede la terra pc , 

cioè la parte 0; e vede un poco dell'emisfero in ed; 
ma la parte più alta nella concavità a è veduta da 
\ maggior somma dell'emisfero, cioè bc; e per questo, 
perchè non vede la oscurità della terra, resta più 
illuminata. Ma se l' albero è spesso di foglie come il lauro, l' abete e il bosso, 
allora è variato ; perchè, ancoraché a non veda la terra, e' vede 1' oscurità delle 
foglie divise da molte ombre, la quale oscurità riverbera in su ne' riversi delle 
soprapposte foglie ; e questi tali alberi hanno le ombre tanto più oscure, quanto 
esse sono più vicine al mezzo dell' albero. 




a 866] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



275 



861. Degli alberi e loro lume. 

Il vero modo da pratico nel figurare le campagne, vo' dire paesi colle loro piante, 
si è dell'eleggere che il cielo sia occupato dal sole, acciocché esse campagne ricevano 
lume universale e non il particolare del sole, il quale fa le ombre tagliate ed assai 
differenti dai lumi. 

862. Della parte illuminata delle verdure e de' monti. 

La parte illuminata si dimostrerà più in lunga distanza del suo naturai colore, 
la quale sarà illuminata da più potente lume. 

863. De' lumi delle foglie oscure. 

I lumi di quelle foglie saranno più del colore dell' aria che in loro si specchia, 
le quali sono di colore più oscuro; e questo è causato perchè il chiaro della parte 
illuminata coli' oscuro in sè compone colore azzurro, e tal chiaro nasce dall' azzurro 
dell' aria che nella superficie pulita di tali foglie si specchia ed aumenta l' azzurro 
che la detta chiarezza suol generare colle cose oscure. 

864. De' lumi delle foglie di verdura traenti al giallo. 

Ma le foglie di verdura traenti al giallo non hanno nello specchiare dell' aria a fare 
lustro partecipante d' azzurro, conciossiachè ogni cosa che apparisce nello specchio 
partecipa del colore di tale specchio ; adunque l' azzurro dell' aria specchiato nel giallo 
della foglia pare verde, perchè azzurro e giallo insieme misti compongono bellissimo 
verde; adunque verdegialli saranno i lustri delle foglie chiare traenti al color giallo. 

865. Degli alberi che sono illuminati dal sole e dall'aria. 

Gli alberi illuminati dal sole e dall' aria avendo le foglie di colore oscuro, queste 
saranno da una parte illuminate dall' aria, e per questo tale illuminazione partecipa 
d'azzurro; e dall'altra parte saranno illuminate dall'aria e dal sole, e quella parte 
che l'occhio vedrà illuminata dal sole sarà lustra. 

866. De' lustri delle foglie delle piante. 

Le foglie delle piante comunemente sono di superficie pulita, per la qual cosa 
esse specchiano in parte il colore dell' aria, la quale aria partecipa di bianco per 



276 LEONARDO DA VINCI [§ 866 

essere mista con sottili e trasparenti nuvole; la superficie delle quali foglie, quando, 
sono di natura oscure come quelle degli olmi, quando non sono polverose, rendono 
i loro lustri di colore partecipante di azzurro; e questo accade per la settima del 
quarto che mostra : il chiaro misto coli' oscuro compone azzurro. E tali foglie 
hanno i rami lustri tanto più azzurri quanto l' aria che in esse si specchia sarà 
più purificata ed azzurra; ma se tali foglie sono giovani, come nelle cime de' rami 
nel mese di maggio, allora esse saranno verdi con partecipazione di giallo; e se 
i loro lustri saranno generati dall' aria azzurra, che in lor si specchia, allora i lustri 
saranno verdi, per la terza di esso quarto che dice : il color giallo misto coli' azzurro 
sempre genera color verde. 

I lustri di tutte le foglie di densa superficie parteciperanno del colore dell'aria, 
e quanto più saranno le foglie oscure, più si faranno di natura di specchio, e per 
conseguenza tali lustri parteciperanno più di azzurro. 

867. Del verde delle foglie. 

I più bei verdi che abbiano le foglie degli alberi sarà quando essi s' interpon- 
gono colla loro grossezza infra 1' occhio e l' aria. 

868. Dell'oscurità dell'albero. 

Molto più oscura è quella parte dell' albero che termina nell' aria, che quella 
che termina nella selva, o monti, o colli. 

869. Degli alberi. 

Quando le piante saranno riguardate di verso il sole, per la trasparenza delle 
loro foglie esse inverso gli estremi si dimostreranno di più bel verde che prima 
non era; inverso il mezzo parrà forte oscuro, e le foglie che non saranno traspa- 
renti saranno quelle che ti mostreranno il loro dritto, e piglieranno lustri molto 
evidenti. 

Ma se riguarderai le piante dall' opposita parte del sole, tu le vedrai con poche 
ombre ed assai lustri nelle foglie, se saranno dense. 

870. Degli alberi posti sotto l'occhio. 

Gli alberi posti sotto l' occhio, ancoraché sieno in sè di eguale altezza e di 
eguali colori e spessitudine di ramificazione, non resterà che in sè in ogni grado 
di distanza essi non acquistino oscurità ; e questo nasce perchè a quello che ti è più 
vicino, per essergli tu di sopra, tu vedi quella parte di esso che si mostra al cielo 



a 874] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 277 

illuminatore delle cose, onde tu vedi di esso la parte illuminata, e però si mostra 
con effetto più chiara, e quella che t' è più 
remota tu la vedi più di sotto, ond' essa 
ti mostra di sè le parti più ombrose, e 
per conseguenza sarà 1 più oscura, e se non 
fosse che maggior somma d' aria s' inter- 
pone infra l' occhio e la seconda che infra esso occhio e la prima che viene a 
rischiarare tale oscurità, la prospettiva de' colori scorterebbe per 1' opposito. 

871. Delle cime sparse degli alberi. 

Le cime sparse degli alberi rari di rara ramificazione non pigliano sensibili 
ombre, perchè i loro rami sono sottili e di rare e sottili foglie e le loro parti che 
non sono trasparenti restano illuminate. 

872. Delle remozioni delle campagne. 

L' estremità degli alberi ne' luoghi alquanto remoti le farai quasi insensibili e 
poco variate dal loro campo. 

873. Dell'azzurro che acquistano gli alberi remoti. 

L' azzurro che acquistano gli alberi ne' luoghi remoti si genera più nell' oscurità 
che inverso le parti luminose ; e questo nasce per la luce dell' aria interposta infra 
1' occhio e 1' ombra, che si tinge in colore celeste ; e le parti luminose degli alberi 
sono le ultime che mancano della loro verdura. 

874. Del sole che illumina la foresta. 

Quando il sole illumina la foresta, gli alberi delle selve si dimostreranno di 
terminate ombre e lumi, e per questo parranno essersi avvicinati a te, perchè si 
fanno di più cognita figura ; e ciò che di loro non è veduto dal sole, pare oscuro 
egualmente, salvo le loro parti sottili che s' interpongono infra il sole e te, le quali 
si faranno chiare per la loro trasparenza ; e questo accade il fare minor quantità 
di lumi negli alberi illuminati dal sole che dal cielo, perchè maggiore è il cielo 
che il sole, e maggior causa fa maggiori effetti in questo caso. 

Nel farsi minori le ombre delle piante, gli alberi parranno non essere più 
rari, e massime dove hanno un medesimo colore, e che di loro natura sieno 

1 Nella edizione romana 1817 e nella viennese: «si ti fa». 




278 LEONARDO DA VINCI [§ 874 

di rami rari e di foglie sottili, come persico, susino e simili ; perchè di loro 
1' ombra ritirandosi inverso il mezzo della pianta, essa pianta pare essere diminuita, 
ed i rami che del tutto restano fuori dell' ombra paiono un medesimo colore 
e campo. 



875. Delle parti luminose delle verdure delle piante. 

Le parti luminose delle verdure delle piante, nelle vicinità eh' esse hanno coli' oc- 
chio, mostrano ad esso occhio essere più chiare che quelle delle piante remote, e 
le loro parti ombrose si mostrano più scure che quelle di esse piante remote. Le 
piante remote mostrano le loro parti luminose più scure che quelle delle piante 
vicine, e le loro parti ombrose si mostrano più chiare che le parti ombrose di esse 
piante vicine ; e questo nasce perchè il concorso delle specie di esse piante ombrose 
e luminose si confondono e si mischiano per le grandi distanze che esse hanno 
dall' occhio che le vede. 



876. Delle piante che sono infra l'occhio e il lume. 

Delle piante che sono infra 1' occhio e il lume, la parte dinanzi sarà chiara, la 
qual chiarezza sarà mista di ramificazioni di foglie trasparenti per essere vedute da 
rovescio, con foglie lustre vedute dal diritto, ed il loro campo di sotto e di retro 
sarà di verdura oscura per essere ombrata dalla parte dinanzi della detta pianta; 
e questo accade nelle piante più alte dell' occhio. 

877. Del colore accidentale degli alberi. 

I colori accidentali delle fronde degli alberi sono quattro, cioè ombra, lume, 
lustro e trasparenza. 



878. Della dimostrazione degli accidenti. 

Delle parti accidentali delle foglie delle piante in lunga distanza si farà un 
misto, il quale parteciperà più di queir accidente che sarà di maggior figura. 



'Vv^-^rf'Ste 879. Quali termini dimostrino le piante remote 

VV, 1 1 v { \ H\ ( €*^/o| dall'aria che si fa lor campo. 

^^^^^ 

^^-MJI [ I termini che hanno le ramificazioni degli alberi col- 

l' aria illuminata, quanto più sono remoti, più si fanno 

in figura traente allo sferico, e quanto più sono vicini, meno dimostrano di tale 



a 88 1] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 279 

sfericità, come a albero primo, che per essere vicino all' occhio, dimostra la vera 
figura della sua ramificazione, la quale si diminuisce quasi in b , ed al tutto si perde 
in c , dove non che i rami di essa pianta si vedono, ma tutta la pianta con gran 
fatica si conosce. 

Ogni corpo ombroso, il quale sia di qualunque figura si voglia, in lunga distanza 
pare essere sferico ; e questo nasce perchè, s' egli è un corpo quadrato, in brevissima 
distanza si perdono gli angoli suoi, e poco più oltre si perdono i lati 1 minori che 
restano ; e così, prima che si perda il tutto, si perdono le parti per essere 
minori del tutto, come 1' uomo eh' è in tale aspetto perde prima le gambe, ^ ^ 
le braccia e la testa che il busto ; dipoi perde prima gli estremi della lunghezza 
che della larghezza, e quando son fatti eguali, sarebbe quadro, se gli angoli vi 
restassero, ma non vi restando, è tondo. 



880. Delle ombre delle piante. 

Le ombre delle piante poste ne' paesi non si dimostrano vestire di sè con mede- 
sima situazione nelle piante destre come nelle sinistre, e massime essendo il sole 
a destra od a sinistra. Provasi per la quarta che dice : i corpi opachi interposti 
infra il lume e 1' occhio si dimostrano tutti ombrosi ; e per la quinta : 1' occhio inter- 
posto infra il corpo opaco ed il lume vede il corpo opaco tutto illuminato ; e per 
la sesta : 1' occhio ed il corpo opaco interposto infra le tenebre ed il lume sarà veduto 
mezzo ombroso e mezzo luminoso. 



881. Delle ombre e trasparenze delle foglie. 

Le foglie delle piante per essere trasparenti non mandano integrali tenebre alle 
foglie da loro ombrate, ma mandano ombre di piccola oscurità che acquistano bellezza 
di verde ; e le terze foglie alle prime sottoposte pigliano doppia oscurità all' oscurità 
della seconda foglia, perchè due sole foglie la ombrano, e così le terze e poi le 
quarte, sempre si vanno moltiplicando in oscurità, e così andrebbero in infinito. 
E però tu, pittore, quando fai le poste de' gran rami fronzuti, falle più illuminate 
che la parte inverso il centro dell' albero, e le poste de' rami più inverso il lume 
ancora più illuminate, e le poste di esse poste ancora più, e le ultime foglie più, 
e più le parti ultime delle foglie disposte al lume. Tutte le erbe e foglie dell' albero 
interposte infra 1' occhio ed il sole sono vedute per trasparenza aiutata dal lume 
del sole, la qual trasparenza è in suo sommo grado di bellezza di verde, ed è di 
più virtù de' raggi solari, che dall' opposita parte l' illuminano, che per suo naturale 
colore. 



Ne.l codice : «poco più si perde più di lati» 



28o 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 882 



882. Delle ombre delle foglie trasparenti. 

Le ombre che sono nelle foglie trasparenti, vedute da rovescio, sono quelle 
medesime ombre che sono dal dritto di esse foglie, le quali traspariscono da rovescio 
insieme colla parte luminosa, ove è 1 il lustro che mai può trasparire. Quando 1' una 
verdura è dietro all' altra, i lustri delle foglie e le trasparenze si dimostrano di maggior 
potenza che quelle che confinano colla chiarezza dell' aria. E se il sole illumina le 
foglie che s' inframmettono infra esso e 1' occhio, senza che l' occhio veda il sole, 
allora i lustri delle foglie e le loro trasparenze sono eccessivi. Molto è utile il fare 
alcune ramificazioni basse, le quali sieno scure e campeggino in verdure illuminate, 
che sieno alquanto remote dalle prime. 

Delle verdure oscure vedute di sotto, quella parte è più oscura eh' è più vicina 
all' occhio, cioè eh' è più distante dall' aria luminosa. 



883. Del non fingere mai foglie trasparenti al sole. 

Non fingere mai foglie trasparenti al sole perchè sono confuse ; e questo accade 
perchè sopra la trasparenza di una foglia vi si stamperà 1' ombra di un' altra foglia 
che le sta di sopra, la quale ombra è di termini spediti e di terminata oscurità, 
ed alcuna volta è mezza o terza parte di essa foglia che adombra, e così tale rami- 
ficazione è confusa, ed è da fuggire la sua imitazione. I ramiculi superiori de' rami 
laterali delle piante si accostano più al lor ramo maestro che non fanno quei di 
sotto. Quella foglia è meno trasparente, che piglia il lume infra angoli più disformi. 
I rami più bassi delle piante che fan grandi foglie e frutti gravi, come noci e fichi 
e simili, sempre si dirizzano alla terra. 



884. Dell'ombra della foglia. 

Alcuna volta la foglia ha tre accidenti, cioè ombra, lustro e trasparenza, come 
se il lume fosse in n alla foglia s e l'occhio in /;/, che 




vedrà a illuminato, b ombrato, c trasparente. La foglia 
di superficie concava veduta dal rovescio di sotto in su, 
alcuna volta si mostrerà mezzo ombrosa e mezzo traspa- 



rente ; come : po sia la foglia ed il lume m e V occhio n, il quale vedrà adombrato, 
perchè il lume non la percuote infra gli angoli eguali, nè da diritto nè da rovescio, 
e il p sarà il lume trasparente nel suo rovescio. 



Nell'edizione viennese: «fuorché». 



a 888] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



281 



Quando le foglie saranno interposte infra il lume e 1' occhio, 
allora la più vicina all' occhio sarà la più oscura, e la più re- 



885. Delle foglie oscure dinanzi alle trasparenti. 




mota sarà la più chiara, non campeggiando nell' aria ; e questo 
accade nelle foglie che sono dal centro dell' albero in là, cioè inverso il lume. 

886. Delle piante giovani e loro foglie. 

Le piante giovani hanno le foglie più trasparenti e più pulita scorza che le 
vecchie, e massime il noce, ed è più chiaro di maggio che di settembre. Le ombre 
delle piante non sono mai nere, perchè dove l' aria penetra non possono essere 
tenebre. 

887. Del colore delle foglie. 

Se il lume viene da vi 1 e 1' occhio sia in n , esso occhio vede il colore delle 
foglie a b tutto partecipare del colore dell' vi , cioè dell' aria, ed Ibc saranno vedute 
da rovescio, trasparenti con bellissimo color verde partecipante di giallo. 

Se m sarà il luminoso illuminatore della foglia s , tutti gli occhi che vedranno 
il rovescio di essa foglia la vedranno di bellissimo verde chiaro, per essere tra- 
sparente. 

Molte sono le volte che le poste delle foglie saranno senza ombre, ed avranno 
il rovescio trasparente ed il diritto sarà lustro. 

888. Degli alberi che mettono i rami diritti. 

Il salice ed altre simili piante a cui si tagliano i rami ogni tre o quattro anni, 
mettono rami assai diritti, e là loro ombra è inverso il mezzo, dove nascono essi 
rami, ed inverso gli estremi fan poca ombra per le loro minute foglie ed i rari 
e sottili rami ; adunque i rami che si levano inverso il cielo avranno poca ombra e 
poco rilievo, e que' rami che guardano dall' orizzonte in giù nascono nella parte 
oscura dell' ombra e vengonsi rischiarando a poco a poco insino ai loro estremi ; 
e questi mostrano buon rilievo per essere in gradi di rischiaramento in campo 
ombroso. Quella pianta sarà meno ombrata, che avrà più rara ramificazione e 
rare foglie. 

1 Mancano le figure nel codice Vaticano. 



L. da Vinci — Trattato della pittura. 



36 



282 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 889 



889. Delle ombre degli alberi. 

Stando il sole all' oriente, gli alberi occidentali all' occhio si dimostreranno di 
pochissimo rilievo e quasi d' insensibile dimostrazione se l' aria che infra l' occhio 
ed esse piante s' interpone è molto fosca ; per la settima di questo, e' son privati 
d' ombra, e, benché 1' ombra sia in ciascuna divisione di ramificazione, egli accade 
che le similitudini dell' ombra e lume che vengono all' occhio sono confuse e miste 
insieme, e per la loro piccola figura non si possono comprendere. Ed i lumi prin- 
cipali sono nel mezzo delle piante, e le ombre inverso gli estremi, e le loro sepa- 
razioni son divise dalle ombre degl' intervalli di esse piante, quando le selve sono 
spesse di alberi, e nelle rare i termini poco si vedono. 

890. Degli alberi orientali. 

Stando il sole all' oriente, gli alberi veduti inverso esso oriente avranno il lume 
che li circonderà d' intorno alle sue ombre, eccetto di verso la terra, salvo se 1' albero 
non fosse stato rimondo l' anno innanzi. E gli alberi meridionali e settentrionali 
saranno mezzo ombrosi e mezzo luminosi, e più o meno ombrosi o luminosi, secon- 
dochè saranno più o meno orientali od occidentali. 

L' occhio alto o basso varia le ombre ed i lumi negli alberi, imperocché 1' occhio 
alto vede gli alberi con poche ombre ed il basso con assai ombre. 

Tanto son varie le verdure delle piante, quanto son varie le loro specie. 

Stando il sole all' oriente, i suoi alberi sono oscuri inverso il mezzo, ed i loro 
estremi sono luminosi. 

891. Delle ombre delle piante orientali. 

Le ombre delle piante orientali occupano gran parte della pianta, e sono tanto 
più oscure quanto gli alberi sono più spessi di foglie. 

892. Delle piante meridionali. 

Quando il sole è all' oriente, le piante meridionali e settentrionali hanno quasi 
tanto di lume quanto di ombre, ma tanto maggior somma di lume quanto esse 
sono più occidentali, e tanto maggior somma di ombra quanto esse sono più 
orientali. 



a 897] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



283 



893. De' prati. 

Stando il sole all' oriente, le verdure de' prati e d' altre piccole piante sono di 
bellissima verdura per essere trasparenti al sole, il che non accade ne' prati occi- 
dentali ; e le erbe meridionali e settentrionali sono di mediocre bellezza di verdura. 

894. Delle erbe de' prati. 

Delle erbe che pigliano 1' ombra delle piante che nascono infra esse, quelle che 
sono di qua dall' ombra hanno le festuche illuminate in campo ombroso, e le erbe 
che loro hanno ombrato hanno le festuche oscure in campo chiaro, cioè nel campo 
eh' è di là dall' ombra. 

895. Dell'ombra della verdura. 

Sempre 1' ombra delle verdure partecipano dell' azzurro, e così ogni ombra di 
ogni altra cosa, e tanto più ne piglia quanto essa è più distante dall'occhio, e 
meno, quanto essa è più vicina. 

896. De' paesi in pittura. 

Gli alberi ed i monti de' paesi fatti in pittura debbono mostrare le loro ombre 
da quel lato donde viene 
il lume, e debbono mo- 
strare le parti illuminate 
da quel lato donde ven- 
gono le ombre; e mo- 
strino il lume e le ombre 
in quelli che l' occhio vede dove vede il lume e le ombre ; provasi per la figura 
in margine. 

897. Perchè le ombre de' rami fronzuti non si dimostrano potenti 
vicino alle loro parti luminose come nelle parti opposite. 

La parte illuminata de' rami degli alberi in lunga distanza confonde le parti 
ombrose che infra le particole illuminate di essi rami si trovano. Questo accade 
perchè le parti illuminate in lunga distanza crescono di lor figura, e le ombrose 
diminuiscono in tanta quantità, eh' esse non sono sensibili all' occhio, ma solo si 
dimostrano nelle loro similitudini, che vengono all' occhio, una cosa confusa, perchè 




284 LEONARDO DA VINCI [§897 

tali specie ombrose e luminose fanno insieme un misto, e per essersi più mante- 
nute tali parti luminose, il composto di queste due qualità si dimostra essere di 
quella natura che apparisce la maggior parte del ramo. 

898. Qual parte del ramo della pianta sarà più oscura. 

Quella parte del ramo della pianta sarà più oscura, che sarà più remota da' suoi 
estremi, essendo l' albero di uniforme spartimento di ramificazione. 

899. Della veduta degli alberi. 

Farai infra le piante che sono negli argini delle strade le loro ombre solari tutte 
discontinuate, a similitudine delle poste delle frasche, onde derivano. 

900. De' paesi. 

Sono i paesi chiari in sul principio, perchè tu vedi infra le cime degli alberi e 
prati ed altri spazi ed intervalli delle piante. Ma quando tu cominci per la distanza 
a perdere essi intervalli, tu vedi solo le ramificazioni degli alberi, le quali, ancor- 
ch' esse sieno del medesimo colore de' prati, pigliano più ombra verso il centro 
dell' albero, che non fa il prato per la loro spessitudine e diminuzione ; onde per 
questo accade tale oscurità, la quale ancor essa poi per distanza si rischiara e con- 
vertesi nel colore dell' orizzonte. 

901. Pittura della nebbia che cuopre i paesi. 

Le nebbie che si mischiano per 1' aria, quanto più si abbassano, più s' ingrossano, 
in modo che i raggi solari in quella più risplendono, essendo essa interposta infra 
il sole e l'occhio; ma se l'occhio s'interpone infra il sole e la nebbia, essa nebbia 
pare oscura, la quale oscurità è tanto più potente, quanto essa è più bassa, com' è 
provato ; e 1' una e 1' altra nebbia restano oscure come nuvola, quando essa nuvola 
s' interpone infra il sole e la nebbia; ma la nebbia interposta infra il sole e l'occhio, 
per alquanto spazio rimossa dall' occhio, partecipa assai dello splendore del sole, e 
tanto più, quanto essa sarà più vicina al corpo solare ; e gli edifici delle città si 
dimostreranno in tal caso tanto più oscuri, quanto e' saranno posti in più lucente 
nebbia, perchè allora saranno più vicini al sole, e perchè è detto essa nebbia essere 
di grossezza uniformemente disforme, cioè eh' è tanto più grossa quanto essa più 
s' avvicina alla terra, e piglia tanto maggior splendore dal sole quant' essa è più bassa ; 
per la qual cosa gli edifici paralleli, cioè torri e campanili che in essa si trovano, 
si dimostrano tanto men grossi, quanto essi saranno più vicini alla loro base ; e 



a 904] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 285 

questo è necessario, perchè quel corpo oscuro si dimostra - minore eh' è posto in 
più lucente aria ; la ragione è posta nella trentaduesima della mia prospettiva. 

902. De' paesi. 

Le parti ombrose de' paesi remoti partecipano più di colore azzurro che le parti 
illuminate. Provasi per la definizione dell' azzurro in che si tinge 1' aria privata di 
colore; la quale, se non avesse le tenebre sopra di sè, resterebbe bianca, perchè 
in sè l' azzurro dell' aria è composto di luce e di tenebre. 

903. De' paesi nelle nebbie o nel levare o nel porre del sole. 

Dico de' paesi all' occhio tuo orientali ; nel levare del sole, ovvero colle nebbie 
od altri vapori grossi interposti infra il sole e 1' occhio, dico eh' essi saranno molto 
più chiari inverso il sole e manco splendidi nelle parti opposite, cioè occidentali ; 




ma s' egli è senza nebbia o vapori, la parte orientale, ovvero quella parte che si 
interpone infra il sole e 1' occhio, sarà tanto più oscura, quanto essa è all' occhio 
più vicina; e tale accidente accadrà in quella parte che sarà più vicina al sole, 
cioè che parrà più sotto il sole ; e nelle parti opposite farà il contrario a tempo 
chiaro, ed a tempo nebuloso farà il contrario de' t< 

904. Degli alberi veduti di sotto. 

Degli alberi veduti di sotto e contro al lume 1' uno 
dopo l' altro vicinamente, la parte ultima del primo 
sarà trasparente e chiara in gran parte, e campeggierà 
nella parte oscura dell' albero secondo, e così faranno 
tutti successivamente, che saranno situati con le pre- 
dette condizioni, s sia il lume, r sia l'occhio, cdn 
sia l'albero primo, abe sia il secondo; dico che r, 
occhio, vedrà la parte c f in gran parte trasparente 
e chiara, per il lume s che la vede dall' opposita 
parte, e la vedrà in campo oscuro bc, perchè tale 




286 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 904 



oscurità è l'ombra dell'albero abc. Ma se 1' occhio è situato in /, esso vedrà op 
oscuro nel campo chiaro ng . 

Delle parti ombrose trasparenti degli alberi la più vicina a te è più oscura. 




905. Descrizione dell'olmo. 

Questa ramificazione dell' olmo ha il maggior ramo nella sua 
fronte, e i minori sono il primo e il penultimo, quando la maestra 
è dritta. Il nascimento dall' una foglia all' altra è la metà della 
maggior lunghezza della foglia, alquanto manco, perchè le foglie 
fanno intervallo, eh' è circa il terzo della larghezza di tal foglia. 
L' olmo ha le sue foglie più presso alla cima del suo ramo che al 
nascimento, e le loro larghezze poco variano dal risguardare ad 
un medesimo aspetto. Nelle composizioni degli alberi fronzuti sii 
avvertito di non replicare troppe volte un medesimo colore di 
una pianta, che campeggi sopra il medesimo colore dell' altra 
pianta, ma variale con verdura più chiara, o più scura, o più 
verde. 

Sempre la foglia volge il suo dritto inverso il cielo, acciò possa meglio ricevere 
con tutta la sua superficie la rugiada, che con lento moto discende dall'aria; e 
tali foglie sono in modo compartite sopra i loro rami, che l' una occupa l' altra 
meno che sia possibile, coli' intrecciarsi l' una sopra dell' altra, come si vede fare 
all' edera che cuopre i muri ; e tale intrecciamento serve a due cose, cioè a lasciare 
gl'intervalli perchè l'aria ed il sole possano penetrare infra loro; la seconda, che le 
goccie che cadono dalla prima foglia possano cadere anco sopra la quarta e la sesta 
degli altri rami. 



906. Delle foglie del noce. 

Le foglie del noce sono compartite per tutto il ramiculo di quell' anno, e sono 
tanto più distanti l' una dall' altra e con maggior numero, quanto il ramo dove 
tal ramiculo nasce è più giovane, e sono tanto più vicine ne' loro nascimenti e 
di minor numero, quanto il ramiculo dove nascono è nato in ramo più vecchio. 
Nascono i suoi frutti in estremo del suo ramiculo, ed i rami maggiori sono disotto 
al lor ramo, dove nascono ; e questo accade, perchè la gravità del suo umore è più 
atta a discendere che a montare, e per questo i rami che nascono sopra di loro, 
che vanno inverso il cielo, son piccoli e sottili, e quando il ramiculo guarda inverso 
il cielo, le foglie sue si dilatano dal suo estremo con eguali partizioni colle loro 
cime ; e se il ramiculo guarda all' orizzonte, le foglie restano spianate ; e questo 
nasce perchè le foglie universalmente tengono il rovescio loro volto alla terra. 



a 910] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



287 



907. Degli aspetti de' paesi. 

Quando il sole è all' oriente, tutte le parti illuminate delle piante sono di 
bellissima verdura; e questo accade perchè le foglie illuminate dal sole dentro alla 
metà dell' orizzonte, cioè la metà orientale, sono trasparenti. E dentro al semicircolo 
occidentale le verdure hanno tristo colore all' aria umida e torba di color cenere 
scura, per non essere trasparente come 1' orientale, la quale è lucida, e tanto più, 
quanto essa è più umida. 

908. Della trasforazione delle piante in sè. 

La trasforazione dell' aria ne' corpi delle piante, e la trasforazione delle piante 
infra 1' aria in lunga distanza non si dimostrano all' occhio, perchè, dove con fatica 
si comprende il tutto, con difficoltà si conoscono le parti, ma si fa un misto 
confuso, il quale partecipa più di quel eh' è maggior somma. I traforamenti dell' al- 
bero sono di particole di aria illuminata, le quali sono assai minori della pianta, 
e però prima si perdono di notizia eh' essa pianta ; ma non resta per questo che 
esse non vi sieno, onde per necessità si fa un misto di aria e dell'oscuro dell'albero 
ombroso, il quale insieme concorre all'occhio che vede. 

909. Degli alberi che occupano le trasforazioni l'un dell'altro. 

Quella parte dell' albero sarà men trasforata, alla quale si oppone di dietro infra 
1' albero e 1' aria maggior somma di altro albero ; come nell' albero a non si occupa 
trasforazione, nè in b, per non ^ c & „ 



vi è sol la metà trasforato ; cioè c o " ^^s^/ 

occupato dall'albero d, occupato dall'albero e] 1 e poco più oltre tutta la trasfo- 
razione corporale degli alberi è persa. 

L' occhio posto di dietro alla fuga del vento non vedrà mai nessuna foglia di 
qualunque pianta, se non da rovescio, salvo quelle di que' rami che sotto il vento 
risguardano esso vento, o le foglie de' lauri o d' altre piante, che han forte appiccatura. 

910. Precetti di piante e verdure. 

Molto più chiari paiono gli alberi ed i prati risguardando quelli di dietro alla 
fuga del vento, che inverso il suo avvenimento ; e questo nasce perchè ciascuna foglia 

1 L'edizione viennese propone di correggere: « cioè co perchè il resto è occupato dall'albero d, di cui parte 
è occupato dall'albero c », ecc. 



esservi alberi di dietro ; ma in c 




288 LEONARDO DA VINCI [§ 910 

è più pallida da rovescio che dal suo dritto ; chi le guarda di dietro alla fuga del 
vento, le vede da rovescio, e chi le risguarda incontro all' avvenimento del vento, 
le vede ombrose, perchè i loro estremi si piegano e adombrano inverso il loro 
mezzo, ed oltre a questo si veggono per il verso del loro diritto. 

La somma dell' albero sarà più piegata dalla percussione del vento, la quale 
ha i rami più sottili e lunghi, come salici e simili. 

Se 1' occhio sarà infra 1' avvenimento e la fuga del vento, gli alberi gli mostre- 
ranno più spessi i loro rami di vèr l' avvenimento di esso vento che di vèr la 
fuga ; e questo nasce perchè il vento, che percuote le cime di essi alberi ad esso 
volte, le appoggia agli altri rami più potenti, onde quivi si fanno spessi e di poca 
trasparenza ; ma i rami oppositi percossi dal vento che penetra per la trasforazione 
dell' albero, si rimovono dal centro della pianta e si rarificano. 

Delle piante di eguale grossezza ed altezza, quella sarà più piegata dal vento, 
della quale gli estremi de' suoi rami laterali manco sono rimossi dal mezzo di tal 
pianta ; e questo è causato perchè la remozione de' rami non fa scudo al mezzo 
della pianta contro all' avvenimento o percussione del vento. 

Quegli alberi sono più piegati dal corso del vento i quali sono più alti. 

Le piante che saranno più spesse di foglie più saranno piegate dalla percussione 
del vento. 

Nelle grandi selve e nelle biade e prati saranno vedute le onde fatte dal vento 
non altrimenti che si veggono nel mare o nei pelaghi. 

Quella pianta farà più oscura ombra, che sarà di più spesse e grosse foglie, 
come il lauro e simili. 

Le diritture de' rami, che non son vinti dal peso delle foglie o de' frutti, tutte 
si drizzano al centro della loro ramificazione. 

Tutte le grossezze de' rami che ciascun albero mette anno per anno, essendo 
ciascuno annale per sè messo insieme, saranno eguali al primo pedale. 

I pedali delle vecchie piante nate in luoghi umidi ed ombrosi sempre saranno 
vestiti di verde lanugine. 

L' albero più giovane ha più pulita scorza che il vecchio. I rami superiori delle 
piante saranno più copiosi di foglie che gì' inferiori. Le parti esteriori delle selve 
hanno le piante più copiose di foglie che le interiori. I fondi di quelle selve saranno 
manco erbosi, le quali saranno più spesse. 

911. Del comporre in pittura il fondamento de' colori delle piante. 

Modo di comporre in pittura ì fondamenti de' colori delle piante che campeggiano 
nell' aria : falle come tu le vedi di notte a poco chiarore, perchè tu le vedrai egual- 
mente di un colore oscuro trasforate dal chiarore dell' aria ; e così vedrai la loro 
semplice figura spedita senza impedimento di vari colori di verde chiaro o scuro. 



a 9 1 5 J 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SESTA 



289 



912. Precetto. 

Delle ramificazioni delle piante, alcune ne sono acute, alcune rotonde. 

Le più grosse cime delle ramificazioni degli alberi mettono maggiori foglie, o 
maggior quantità, che nessun altro estremo di ramo. 

Sempre le cime delle ramificazioni sono quelle che prima si empiono di foglie. 

Le più grosse cime de' rami sempre sono le maestre de' maggiori rami degli 
alberi; e così di converso le più sottili cime di essi rami sono più remote da 
esse maestre di tali rami. 

913. Precetto delle piante. 

De' rami, ovvero delle loro piante, alcune ne sono integralmente condotte dalla 
natura, ed alcune sono impedite per mancamento naturale ; e queste si seccano 
per sè o tutte o in parte, ed alcune mancano di loro naturale quantità per taglia- 
menti fatti dagli uomini, ed alcune per rompimenti di saette o di venti, od altre 
tempeste. 

Gli alberi che nascono presso alle marine che sono scoperte ai venti son tutti 
piegati dal vento, e così piegati crescono e così restano. 

914. Delle erbe. 

Delle erbe, alcune ne sono all' ombra ed alcune al lume ; e se l' occhio è di 
verso le ombre, vedrà le erbe ombrose avere per campo la chiarezza delle erbe 
illuminate ; e se l' occhio è di verso il lume, vedrà le erbe illuminate aver per 
campo l' oscurità delle erbe ombrose. 

915. Delle foglie. 

Della chiarezza delle foglie, alcuna n' è per la sua trasparenza, perchè sono inter- 
poste infra 1' occhio ed il lume, ed alcuna n' è della semplice illuminazione dell' aria, 
ed alcuna è che riceve lustro. La foglia trasparente mostra più bel colore che non 
il suo naturale ; l' illuminata dall' aria lo mostra di più vero colore ; il lustro parte- 
cipa più del colore dell'aria che si specchia nella densità della superficie della foglia 
che del suo naturai colore. 

Quella foglia che è di superficie pelosa non riceve lustro. Quel cespo sarà 
manco ombroso che sarà più raro e di ramificazione più sottile. Delle foglie delle 
erbe, quella sarà più frappata che sarà più presso alla sua semenza, e la men 
frappata sarà più vicina al suo nascimento. 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 2 7 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 9i6] 



916. Precetto del contraffare il color delle foglie. 

Quelli che si vogliono non integralmente fidare del loro giudizio, nel contraffare 
i veri colori delle foglie debbono pigliare una foglia di queir albero che si vuol 
contraffare e sopra di quella fare le loro mistioni ; e quando essa mistione non 
sarà conosciuta in differenza dal colore di tal foglia, allora tu sarai certo che tal 
colore è d' intera imitazione della foglia ; e così puoi fare nelle altre che vuoi 
imitare, 




PARTE SETTIMA. 

DE 1 NUVOLI. 



917. De' nuvoli. 

Le nuvole sono nebbie tirate in alto dal caldo del sole, e 
la loro elevazione 1 dove il loro acquistato peso si fa di potenza 
eguale al suo motore; e l'acquistato peso nasce dalla loro con- 
densazione, e la condensazione ha origine dal calore eh' è in 
esse infuso, che si rifugge dagli estremi che si trovano penetrati 
dal freddo della mezza regione dell'aria; e l'umidità seguita 
il caldo che lassù la condusse, in qualunque parte esso caldo 
si fugge; e perchè si fugge inverso il mezzo di ciascuna glo- 
bosità de' nuvoli, esse globosità si condensano con terminate 
superficie ad uso di dense montagne, e pigliano le ombre 
mediante i raggi solari che lassù le percuotono. 
I nuvoli si dimostrano alcuna volta ricevere i raggi solari, ed illuminarsi a 
modo di dense montagne, ed alcuna volta i medesimi restare oscurissimi, senza 
variare in alcuna lor parte essa oscurità; e questo nasce per le ombre che lor fanno 
quegli altri nuvoli, che loro tolgono i raggi solari, interponendosi infra il sole ed essi 
nuvoli oscurati. 

1 Così leggesi nel codice. L'edizione viennese, per colmare la evidente lacuna, propone di aggiungere le 
parole : « si arresta ». 




292 



LEONARDO DA VINCI 



[§ 9i8 



918. Del rossore eie' nuvoli. 

Quel rossore nel quale si tingono i nuvoli, con tanto minore o maggior rossore 
nasce, quando il sole si trova agli orizzonti da sera o da mattina, e perchè quel 
corpo che ha alquanta trasparenza è alquanto penetrato dai raggi solari, quando 
esso sole si dimostra da sera o da mattina, e perchè quelle parti de' nuvoli che 
sono inverso gli estremi delle loro globosità sono più sottili in grossezza che nel 
mezzo di essa globosità, i raggi solari li penetrano con più splendente rossore che 
quelle parti grosse, che restano oscure per essere impenetrabili da tali raggi solari; 
e sempre i nuvoli son più sottili ne' contatti delle loro globosità che in mezzo, 
come qui di sopra è provato; e per questo il rossore de' nuvoli è di varie qualità 
di rosso. 

Dico che 1' occhio interposto infra le globosità de' nuvoli ed il corpo del sole 
vedrà i mezzi di esse globosità essere di maggior splendore, che in alcuna altra 
parte ; ma se 1' occhio è da lato, in modo che le linee che vengono dalle globosità 
all' occhio e dal sole al medesimo occhio facciano congiunzione minore dell' angolo 
retto, allora il lume massimo di tali globulenze de' nuvoli sarà negli estremi di esse 
globulenze. 

Quel che qui si tratta del rossore de' nuvoli, s' intende essendo il sole di retro 
ai nuvoli ; ma se il sole è dinanzi ai medesimi nuvoli, allora le globosità loro saranno 
di maggior splendore che ne' loro intervalli, cioè nel mezzo delle globosità e 
concavità; ma non ne' lati, che veggon l'oscurità del cielo e della terra. 

919. Della creazione de' nuvoli. 

I nuvoli sono creati da umidità infusa per 1' aria, la quale si congrega mediante 
il freddo che con diversi venti è trasportato per l'aria; e tali nuvoli generano 
venti nella loro creazione, siccome nella loro distruzione; ma nella creazione si 
generano, perchè lo sparso e vaporato umido nel concorrere alla creazione de' nuvoli 
lascia di sè vuoto il luogo donde si fuggì; e perchè non si dà vacuo in natura, 
egli è necessario che le parti dell' aria circostante alla fuga dell' umido riempiano 
di sè il principiato vacuo : e questo tal moto è detto vento. Ma quando mediante 
il calore del sole tali nuvoli si risolvono in aria, allora si genera contrario vento, 
creato dalla distruzione ed evaporazione del composto nuvolo; e l'uno e l'altro 
accidente, com' è detto, sono causati di vento. 1 E tali venti si generano in ogni parte 
dell' aria, eh' è alterata dal caldo o dal freddo, ed il moto loro è retto e non è 
curvo, come vuole 1' avversario ; perchè, se fosse curvo, non bisognerebbe alzare o 



1 L'edizione viennese sostituisce: « sono causa eli vento « 



a 924] TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE SETTIMA 293 

abbassare le vele ai navigli, per cercare dell' alto o basso vento ; anzi, quella vela 
che fosse percossa da un vento sarebbe al continuo accompagnata da esso vento 
infinchè durasse ; il che in contrario ci mostra 1' esperienza, nel vedere percossa la 
pelle dell' acqua in diverse parti di un medesimo mare, con brevi e corti moti dila- 
tabili, manifesti segni che da diversi luoghi con diverse obliquità di moti discendono 
i venti d' alto in basso ; e tali moti si disgregano per diversi aspetti dai loro principi ; 
e perchè il mare ha superficie sferica, molte volte le onde scorrono senza vento, 
poiché 1' alzato vento le abbandona, onde esse si muovono col principiato impeto. 

920. De' nuvoli e loro gravità e levità. 

Il nuvolo è più lieve dell' aria che gli sta di sotto, ed è più greve dell' aria 
che gli sta di sopra. 

921. Perchè della nebbia si fa nuvoli. 

La nebbia percossa da vari corsi di venti si condensa e si fa nuvolo con varie 
globulenze. 

922. Dell'aria tutta nuvolosa. 

L' aria tutta nuvolosa rende sotto sè la campagna più chiara o più oscura, secondo 
le minori o maggiori grossezze de' nuvoli che s' interpongono infra il sole ed essa 
campagna. Quando l'aria ingrossata che s'interpone infra il sole e la terra sarà di 
uniforme grossezza, tu vedrai poca differenza dalle parti illuminate alle ombrate di 
qualunque corpo. 

923. Dell'ombra de' nuvoli. 

Facciansi le ombre de' nuvoli sopra la terra cogl' intervalli percossi dai raggi 
solari, con maggiore o minor splendore, secondo la maggiore o minor trasparenza 
di essi nuvoli. I nuvoli sono di tanto maggior rossore, quanto essi sono più vicini 
all' orizzonte, e sono di tanto minor rossore, quanto essi sono più remoti da esso 
orizzonte. 

924. De' nuvoli. 

Quando i nuvoli s' interpongono infra il sole e la campagna, le verdure de' boschi 
si dimostreranno di ombre di poca oscurità, e le differenze infra loro ed i lumi 
saranno di poca varietà di oscurità o chiarezza ; perchè, essendo illuminate dalla 



294 LEONARDO DA VINCI [§ 924 a 926] 

gran somma del lume del loro emisfero, le ombre sono cacciate e rifuggite inverso 
il centro degli alberi, ed inverso quella parte di loro che si mostra alla terra. 

925. De' nuvoli sotto la luna. 

Il nuvolo che si trova sotto la luna è più scuro che qualunque altro, ed i 
più remoti sono più chiari ; e la parte del nuvolo eh' è trasparente dentro ed infra 
gli estremi di esso nuvolo, par più chiara che alcun' altra simile parte eh' è nelle 
trasparenze de' nuvoli più remoti ; perchè in ogni grado di distanza il mezzo dei 
nuvoli si fa più chiaro, e le lor parti chiare si fanno più opache rosseggianti di 
mortificato rossore ; e gli estremi delle loro oscurità entranti nella trasparente loro 
chiarezza sono di termini fumosi e confusi; ed il simile fanno gli estremi delle loro 
chiarezze che terminano coli' aria. Ed i nuvoli di piccola grossezza son tutti traspa- 
renti, e più inverso il mezzo che negli estremi, eh' è colore morto rosseggiante in 
colore rozzo e confuso. E quanto i nuvoli sono più discosti dalla luna, il loro lume 
è più albo, che avanza intorno all' ombrosità del nuvolo, e massime di verso la 
luna, e quel eh' è sottile non ha nigredine e poco albore, perchè in esso penetra 
la oscurità della notte che si mostra nell' aria. 

926. De' nuvoli. 

Fa che i nuvoli facciano le loro ombre in terra, e fa i nuvoli di tanto maggior 
rossore, quanto e' sono più vicini all' orizzonte. 



PARTE OTTAVA. 



DELL'ORIZZONTE. 




/ 



Sono gli orizzonti di varie distanze dall' occhio, conciossiachè 
quello è detto orizzonte dove la chiarezza dell' aria termina col 
termine della terra, ed è in tanti siti veduto d' un medesimo 
perpendicolare sopra il centro del mondo, quante sono le altezze 
dell' occhio che il vede ; perchè l' occhio, posto alla pelle del 
mare quieto, vede esso orizzonte vicino un mezzo miglio o circa; 



927. Oual sia il vero sito dell'orizzonte. 



e se l' uomo s' innalza coli' occhio, quant' è la sua universale altezza, l' orizzonte 
si vede remoto da lui sette miglia, e così in ogni grado di altezza scopre l'oriz- 
zonte più remoto da sè, onde accade che quelli che sono nelle cime degli alti 
monti vicini al mare vedono il cerchio dell' orizzonte molto remoto da loro ; ma 
quelli che sono infra terra non hanno 1' orizzonte con eguale distanza, perchè la 
superficie della terra non è egualmente distante dal centro del mondo, onde non 
è di perfetta sfericità, coni' è la pelle dell' acqua ; e quest' è causa di tal varietà di 
distanze infra l' occhio e l' orizzonte. 

Mai 1' orizzonte della sfera dell' acqua sarà più alto delle piante de' piedi di colui 
che il vede stando in contatto con esse piante col contatto che ha il termine del 
mare col termine della terra scoperta dalle acque. 

L' orizzonte del cielo alcuna volta è molto vicino, e massime a quello che si 
trova a lato alle sommità de' monti, e lo vede generare nel termine di essa sommità ; 
e voltandosi indietro all' orizzonte del mare lo vedrà remotissimo. 



296 LEONARDO DA VINCI [§ 927 

Molto distante è 1' orizzonte che si vede nel lito del mare di Egitto ; riguar- 
dando pel corso 1' avvenimento del Nilo inverso l' Etiopia colle sue pianure laterali, 
si vede 1' orizzonte confuso, anzi incognito, perchè v' è tre mila miglia di pianura 
che sempre s' innalza insieme coli' altezza del fiume, e s' interpone tanta grossezza 
d' aria infra 1' occhio e 1' orizzonte etiopico, che ogni cosa si fa bianca ; e così tale 
orizzonte si perde di sua notizia. E questi tali orizzonti fanno molto bel vedere 
in pittura. Vero è che si deve fare alcune montagne laterali con gradi di colori dimi- 
nuiti, come richiede 1' ordine della diminuzione de' colori nelle lunghe distanze. 
Ma per dimostrare che la piramide de' prospettivi abbraccia spazio infinito, noi 
immagineremo ab occhio, il quale taglia i gradi di una 
distanza infinita dnmop, e li taglia con le linee visuali 
nella parete ed , le quali linee visuali in ogni grado di distanza 
del lor nascimento acquistano altezza in essa parete ed, nè mai perverranno all' altezza 
dell'occhio; e per essere ed parete di una quantità continua, essa è divisibile in 
infinito e mai sarà ripiena delle linee visuali, ancoraché la lunghezza di tale ultima 
linea fosse infinita ; nè mai vi giungerai con una linea parallela, ancoraché lo spazio b s 
fosse infinito. 

Le figure che poco diminuiscono poco sono remote dall' occhio, onde per necessità 

— sempre il termine naturale dell' orizzonte si scontra 

nell' occhio della figura ritratta, coni' è la figura a t che 
vede la figura rti vicina a sè nella parte più estrema 
della piramide a t b , cioè r u è minore che a t ; ma 
questa tal piramide non è quella che dimanda la prospet- 
tiva ; conciossiachè quella non si dà in pratiche per avere essa spazio infinito dalla 
base alla sua punta, e questa di sopra ha sette miglia da essa base alla detta punta. 

928. Dell'orizzonte. 

L' orizzonte del cielo e della terra finisce in una 
medesima linea. Provasi, e sia la sfera della terra dnm, 
e la sfera dell'aria arp, e l'occhio d'esso veditore del- 
l' orizzonte della terra sia b , ed / è il detto orizzonte 
della terra, nel quale finisce la veduta dell' aria, e pare 
che a , aria, sia congiunta con f, terra. 

929. Del vero orizzonte. 

Il vero orizzonte ha da essere il termine della sfera dell' acqua, la quale sia 
immobile, perchè tale immobilità statuisce superficie equidistante al centro del mondo, 
come a suo luogo sarà provato. Se il cielo e la terra fossero di piana superficie 






TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE OTTAVA 



297 



a 931 J 

con inframmissione di spazio equidistante, senza dubbio 1' orizzonte de' prospettivi 
sarebbe all' altezza di queir occhio che lo vede ; ma tali spazi paralleli sarebbe neces- 
sario fossero d' infinita distanza, s' essi avessero a parere all' occhio concorrere in 
linea, cioè in contatto ; e questo contatto sarebbe all' altezza dell' occhio di esso risguar- 
datore ; ma perchè la terra avrebbe minor quantità di piano che 
non sarebbe quello del cielo, egli accadrebbe che quando la 
planizie del cielo avesse il suo ultimo termine disceso al pari 
dell'occhio, l'orizzonte della terra sarebbe alzato all'ombilico 
del medesimo risguardatore, e per questo non concorrono al 
medesimo occhio; ma perchè tal cielo e terra non sono divisi 
da spazio di parallela, o vo' dire equidistante planizie, ma di 
spazio convesso nella parte del cielo, e concavo nella parte che veste la terra, egli 
accade che ogni parte che ha la ^ 
superficie della terra può essere 3 





orizzonte, il che accadere non può 
essendo piani il cielo e la terra, come si mostra nel cielo a b e nella terra fe , essendo 
l'occhio in g e la parete ed, dove gli orizzonti af del cielo e della terra piani 
si tagliano ne' punti nm . 



930. Dell' orizzonte. 



L'orizzonte non sarà mai eguale all'altezza dell'occhio che lo vede. Quel hi 
figura eh' è più presso all' orizzonte avrà esso orizzonte più vicino a' suoi piedi 
stando tu saldo che lo guardi. Quella cosa è più alta eh' è più distante dal centro 
del mondo. 

Adunque la linea retta equigiacente non è di eguale 
altezza, e per conseguenza non è equigiacente; onde, se / 
dirai una linea di eguale altezza, non s' intenderà che 

essa sia altro che curva. Se a b sono due uomini, 1' orizzonte n verrà al pari della 
loro altezza. 




931. Dell'orizzonte. 

Se la terra è sferica, mai 1' orizzonte perverrà all' altezza dell' occhio che sarà 
più alto che la superficie 
della terra. Diciamo che l'al- 
tezza dell' occhio sia n m , e 
che la linea giudiciale, ov- 
vero parete, sia b r , ed a 
sia l'orizzonte, e che la linea grh sia la curvità della terra; dico adunque, che 

L. da Vinci — Trattato della pittura. 38 




298 LEONARDO DA VINCI [§93* 

V orizzonte, secondo la rettitudine di afk , è più basso che i piedi dell' uomo tutto m f, 
e più basso, secondo la volta della terra, tutto b o . 



932. Se l'occhio che vede l'orizzonte marittimo, stando co' piedi alla 
pelle di esso mare, vede esso orizzonte più basso di sè. 




L' orizzonte marittimo si mostrerà tanto più basso dell' occhio di quel che tiene 

i piedi ai termini dell'acqua di esso mare, 
quanta è 1' altezza eh' è dall'occhio del veditore 
di esso orizzonte a' suoi piedi. Provasi : n sia 
la riva del mare, an è l'altezza dell'uomo 
che vede l'orizzonte marittimo in 0, dove la 
linea centrale del mondo mo cade perpendi- 
colare nella linea visuale a r che termina in o , 
superficie del mare, per la definizione del cerchio ; 
la centrale a m eccede la centrale m con tutto l' eccesso a n , eh' è la distanza dai 
piedi dell'uomo a' suoi occhi. 



933. Dell'orizzonte specchiato nell'acqua corrente. 

L' acqua che corre infra 1' occhio e 1' orizzonte non rifletterà ad esso occhio tale 
orizzonte, perchè 1' occhio non vede quel lato dell' onda il quale è veduto dall' oriz- 
zonte, nè 1' orizzonte vede quel lato dell' onda eh' è veduto dall' occhio. Adunque, 
per la sesta di questo è concluso il nostro proposito, la quale 
^^N. sesta dice, eh' è impossibile che 1' occhio vegga il simulacro, 
/ \ dove non vede la cosa reale e V occhio in un medesimo tempo. 

A vrcnyx^^J^^T^r^^^ Sia l'onda cb , e l'occhio a, e l'orizzonte d\ dico che 
l'occhio a, non vedendo i lati dell'onda bg, non vedrà 
ancora il simulacro del d che in tale lato si specchia. 



934. Dove l'orizzonte si specchia nell'onda. 

Si specchierà 1' orizzonte, per la sesta di questo, nel lato veduto dall' orizzonte 

e dall'occhio, come si dimostra l'orizzonte /veduto 
dal lato dell' onda b c , il qual lato è ancora veduto 
dall' occhio. 

Adunque tu, pittore, ch'hai a figurare la inon- 
dazione dell' acqua, ricordati che da te non sarà veduto il colore dell' acqua essere 
altrimenti chiaro o scuro, che si sia la chiarezza o 1' oscurità del sito dove tu sei, 
insieme misto col colore delle altre cose che sono dopo te. 




a 935] 



TRATTATO DELLA PITTURA — PARTE OTTAVA 



299 



935. Perchè l'aria grossa vicina all'orizzonte si fa rossa. 

Si fa F aria rossa così all' orizzonte orientale come all' occidentale, essendo grossa, 
e questo rossore si genera infra 1' occhio ed il sole. Ma il rossore dell' arco celeste 
si genera stando 1' occhio infra la pioggia ed il sole ; e la causa dell' uno è il sole 
e l' umidità dell' aria ; ma del rossore dell' arco sono causa il sole, la pioggia e 
1' occhio che il vede. Il qual rossore, insieme cogli altri colori, sarà di tanto maggiore 
eccellenza, quanto la pioggia sarà composta di più grosse gocciole. E quanto tali 
gocciole sono più minute, tanto essi colori sono più morti ; e se la pioggia è di 
natura di nebbia, allora l' arco sarà bianco integralmente scolorito ; ma l' occhio 
vuol essere infra la nebbia ed il sole. 



INDICE DEL TRATTATO. 



PARTE PRIMA. 



1. Se la pittura è scienza o no. . . . 3 

2. Esempio e differenza tra pittura e poesia 4 

3. Quale scienza è più utile, ed in che 

consiste la sua utilità ivi 

4. Delle scienze imitabili, e come la pit- 

tura è inimitabile, però è scienza . 5 

5. Come la pittura abbraccia tutte le super- 

ficie de' corpi, ed in quelli si estende 6 

6. Come la pittura abbraccia le superficie, 

figure e colori de' corpi naturali, e la 
filosofia sol s' estende nelle lor virtù 
naturali ivi 

7. Come F occhio meno s'inganna ne' suoi 

esercizi, che nessun altro senso, in 
luminosi, o trasparenti, ed uniformi, 
e mezzi ivi 

8. Come chi sprezza la pittura non ama la 

filosofia, nè la natura 7 

9. Come il pittore è signore d'ogni sorta 

di gente e di tutte le cose ... ivi 

10. Del poeta e del pittore ivi 

1 1 . Esempio tra la poesia e la pittura . . 8 

12. Qual è di maggior danno alla specie 

umana, o perder 1' occhio o l' orecchio 9 

13. Come la scienza dell'astrologia nasce 

dall'occhio, perchè mediante quello 

è generata io 



Pag. 



14. Pittore che disputa col poeta ... 10 

15. Come la pittura avanza tutte le opere 

umane per sottili speculazioni appar- 
tenenti a quella ivi 

1 6. Differenza che ha la pittura con la poesia 1 2 

17. Che differenza è dalla pittura alla poesia ivi 

18. Differenza infra poesia e pittura. . . 13 



19. Della differenza ed ancora similitudine 

che ha la pittura con la poesia . . ivi 



20. Dell'occhio 15 

21. Disputa del poeia col pittore, e che dif- 

ferenza è da poesia a pittura . . ivi 

22. Arguizione del poeta contro il pittore. 16 

23. Risposta del re Mattia ad un poeta che 

gareggiava con un pittore. ... 17 

24. Conclusione infra il poeta ed il pit- 

tore 18 

25. Come la musica si dee chiamare sorella 

e minore della pittura 19 

26. Parla il musico col pittore .... ivi 

27. Il pittore dà i gradi delle cose opposte 

all' occhio, come il musico dà delle 
voci opposte all'orecchio .... ivi 

28. Conclusione del poeta, del pittore e del 

musico 20 

29. Quale scienza è meccanica, e quale non 

è meccanica 21 



3 02 

32. 

33- 
34- 



LEONARDO DA VINCI 

Pag. 



Perchè la pittura non è connumerata 

nelle scienze 22 

Comincia della scultura, e s' essa è scienza 

o no 23 

Differenza tra la pittura e la scultura . ivi 

Il pittore e lo scultore 24 

Come la scultura è di minore ingegno 
che la pittura, e mancano in lei 
molte parti naturali 26 



[§ 30 

Pag. 

35. Dello scultore e del pittore . . . . 27 

36. Comparazione della pittura alla scul- 

tura 28 

37. Escusazione dello scultore 30 

38. Dell'obbligo che ha la scultura col lume, 

e non la pittura ivi 

39. Differenza eh' è dalla pittura alla scul- 

tura ivi 

40. Della pittura e della poesia . . . . 31 



PARTE SECONDA. 



41. Del primo principio della scienza della 

pittura 33 

42. Principio della scienza della pittura . ivi 

43. Del secondo principio della pittura . ivi 

44. In che si estende la scienza della pittura 34 

45. Quello che deve prima imparare il gio- 

vane ivi 

46. Quale studio deve essere ne' giovani . ivi 

47. Quale regola si deve dare a' putti pittori ivi 

48. Della vita del pittore nel suo studio . 35 

49. Notizia del giovane disposto alla pittura ivi 

50. Precetto ivi 

51. In che modo deve il giovane procedere 

nel suo studio ivi 

52. Del modo di studiare 36 

53. A che similitudine dev'essere l'ingegno 

del pittore ivi 

54. Del giudizio del pittore ivi 

55. Discorso de' precetti del pittore ... ivi 

56. Precetto del pittore 37 

57. Precetti del pittore 38 

58. Dell'essere universale nelle sue opere . ivi 

59. Precetto ivi 

60. Precetti del pittore ivi 

61. Precetto intorno al disegno dello schiz- 

zare storie e figure 39 

62. Dell'operatore della pittura e suoi pre- 

cetti ivi 

63. Modo d'aumentare e destare l'ingegno 

a varie invenzioni 40 

64. Dello studiare insino quando ti desti, o 

innanzi tu ti dormenti nel letto allo 

scuro ivi 



65. Piacere del pittore 41 

66. De' giuochi che debbono fare i dise- 

gnatori ivi 

67. Che si deve prima imparare la diligenza 

che la presta pratica 42 

68. S'egli è meglio disegnare in compagnia 

o no ivi 

69. Modo di bene imparare a mente . . ivi 

70. Come il pittore non è laudabile s' egli 

non è universale 43 

71. Della trista suasione di quelli che fal- 

samente si fanno chiamare pittori . ivi 

72. Come il pittore dev'esser vago di udire, 

nel fare dell' opera, il giudizio di 
ognuno ivi 

73. Come nelle opere d'importanza l'uomo 

non si deve mai fidare tanto nella 
sua memoria, che non degni ritrarre 
dal naturale 44 

74. Di quelli che biasimano chi disegna alle 

feste, e che investiga le opere di Dio ivi 

75. Delle varietà delle figure ivi 

76. Dell'essere universale 45 

77. Dell'errore di quelli che usano la pra- 

tica senza la scienza ivi 

78. Dell'imitare pittori ivi 

79. Ordine del disegnare ivi 

80. Del ritrarre di naturale ivi 

81. Del ritrarre una qualunque cosa . . 46 

82. Come deve essere alto il lume da ri- 

trarre di naturale ivi 

83. Quali lumi si debbono eleggere per ri- 

trarre le figure de' corpi .... ivi 



TRATTATO DELLA PITTURA — INDICE 303 







pag. 






pag. 


84. 


Delle qualità del lume per ritrarre ri- 




1 14. 


Come nelle cose piccole non s inten- 








47 




dono gli errori come nelle grandi ■ 


54 


85- 




ivi 


t t e 


T^^r^lìA In ViitHiro nnn "min ìtìqi Tìnrprp 

JT CI L^llC lei IJlLlLlld J.AU11 iyLH_J lllcXl UftlClV- 




a 
50. 


Del ritrarre di rilievo finto di naturale 


IVI 




spiccata come le cose naturali • . 


e c 

JJ 


87. 


Modo di ritrarre un sito col vetro 


IVI 


IIO. 


T^É*rr»ViA i poni foli rlpllp TicrMYf* 1 nnn 
JrcrLllt- 1 CtiUllUll U.C11C ll^UlC 1 UUC* 




88. 


Dove si debbono ritrarre i paesi . 


A Q 

48 




CAnrn V olfro A Ar\vo r\ct fn OTTI Yf* 
SOUid 1 cllLTO C CMJltl Lia, lUU^liC • 




89. 


Del ritrarre le ombre de' corpi al lume 




T T 1 
117. 


Onol nitHiro. r mpcrlio ik^itp npl fnr 

Vj/licll Hllultl C lllttiiiw Uoaiv ii\^i irti 






di candela di lucerna . ... 


ivi 




tìotrt Ir paca coi rea tf* 


s6 

D u 


90. 


In che termine si debba ritrarre un 




Il8. 


Onnl t 1 "oin rìi rìic.porco f*c\ ntilitn n 1 

C IJl LL UIO^UloU Il 1111 Lei, VJ 1 






volto a dargli grazia d' ombre e lumi 


ivi 




lumi *=»r1 nmhrp rip* pomi 1 loro 

1U.I1 11 CU. CJlllL/IC vlv_ i^wilJi, yJ 1 ±\jlkj 




91. 


Modo di ritrarre d' ombra semplice e 






lineamenti 


ivi 






IV) 


I IO 


Qual h di maggiore importanza, o il 




92. 


Del lume dove si ritraggono le incar- 






movimento creato dagli accidenti di- 






nazioni de' volti, ignudi 


ivi 




vptci rlr^rrli oniTYioli |p loro oninrp 
VCl bl LlCtill rtlllllldll, U 1C 1U1U C111U1C 




93- 


Del ritrarre figure per istorie . . 


49 








94. 


A imparare a far bene un posato 


IVI 


I 20. 


Qual è di più importanza, o clie la 




95- 


In qual tempo si deve studiare la ele- 






{ìcriiva oohonrli in Vip11p77o. ri ì polori 

liti 111 CI ClDUVJllKlL HI UCHC/'Z/Cl KXl ^UlUl 1, 








IVI 




in r1imoctri7Ìoni A'i ormi rilievo 

\J IH LlllllWo LI clZ/1 UHI Lll ti Itili 1111V- VU • 




90. 




5° 


121. 


Onil h "Olii Hifìfipilf 1 1p omVirp p 1 

V^/Utll C IJ1U. UIIIH.I1L, KJ lt< UH1U1 V V- 1 




97- 


Per ritrarre un ignudo dal naturale od 






lnmi o niirp il nKPO'i'ìn onono 
iiiiiii, yj uuic 11 ciioc^iivj uucfhu • • 


C 1 






ivi 




"Pi* pf*At ti ri Al T"ìifforp 




95. 


Misure compartizioni della statua . 


ivi 


I23. 


1\T pni otti o pTio ci t*o 1* nitnvp 

IVlclIlUild, Clic bl iti 1 cllllUlC • • • t 




99. 


Modo di ritrarre di notte un rilievo . 


IVI 


I24. 


TJr>/=»r , ptf i rìì t tii vo. 


C8 


100. 


Come il pittore si deve acconciare al 




TOC 


Pr'Apfifri fii "OltflITO 








IVI 


126. 


\^*JlllC 1U lei UIlUlcl UlLlUlcl .... 




1 1 . 




e t 

5 1 


T 9 1 


Come la pittura dev' essere vista da 




102. 


Dell' inganno che si riceve nel giudizio 














IVI 




Delle prime otto parti in clie